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esse, conformemente alla funzione del poliptoto, serve a creare un equivoco<br />
semantico fra i verbi parere e apparire nelle sequenze par/ parete/<br />
pare/ par (vv. 10-13). L’”ideologia” della canzone è veicolata<br />
dall’ingente quantità di poliptoti [arde/ arde/ ardo (vv. 28; 32; 34); ancosciare/<br />
ancoscio (vv. 42-43)]. Troviamo un simile procedimento in «Madonna<br />
dir vo voglio» in cui si ripresenta la sequenza pinge/ pingere/ pintura<br />
(vv. 42; 44; 46). Le coppie sinonimiche, come veri e propri topoi,<br />
acquistano grande popolarità nell’immaginario creato dai poeti della<br />
Scuola <strong>siciliana</strong>. A riprova di ciò basta citare i due nomi che appaiono<br />
al v. 56, sospiri e pianti, poi presenti al v. 64 in forma di verbi. Incontriamo<br />
ancora la stessa coppia, questa volta in forma sostantivale, al v.<br />
15 della composizione «Madonna mia, a voi mando». Un’immagine di<br />
questo tipo appare nel v. 11 di «Chi non avesse mai veduto foco» (pen’<br />
e tormento) e nel v. 9 di «Sì alta amanza» (lacrime e pianto). Questi abbinamenti<br />
si possono anche integrare con un terzo elemento, come accade<br />
in «Troppo son dimorato», in cui nei vv. 31-32 dolore e vengiamento<br />
coadiuvati da e doglia aumentano l’intensità dell’immagine.<br />
III.2. La similitudine<br />
Le similitudini che si sviluppano attraverso le parole come, sì come, similemente,<br />
così portano alla ridondanza e alle analogie sinonimiche. Nei<br />
versi 37-48 di «Madonna dir vo voglio» Giacomo descrive l’uomo che<br />
si strugge nel desiderio d’amore con tre immagini molto realistiche e<br />
intense: Sì com’omo in prodito / lo cor mi fa sentire, / che già mai no ’nd’è<br />
chito /mentre non pò toccar lo suo sentore. / Lo non poter mi turba, / com’om<br />
che pinge e sturba, / e pure li dispiace / lo pingere che face, e sé riprende, / che<br />
non fa per natura / la propria pintura; / e non è da blasmare / omo che cade in<br />
mare, a che s’aprende. A ciò fa seguito un’affermazione filosofica che assimila<br />
la situazione amorosa a quella dell’uomo caduto in mare. Il rimando<br />
al mare fa quasi da collegamento per la successiva metafora<br />
nella serie Lo vostro amor che m’ave / in mare tempestoso, che a sua volta<br />
introduce un’ulteriore similitudine: è sì como la nave / c’a la fortuna getta<br />
ogni pesanti, / e campan per lo getto / di loco periglioso. / Similemente eo getto<br />
/ a voi, bella, li mei sospiri e pianti: / ché, s’eo no li gittasse / parria che soffondasse<br />
/ e bene soffondara, / lo cor, tanto gravara in suo disio. È indubbio che<br />
ci troviamo di fronte a uno stereotipo ma è altrettanto certo che nel<br />
campo della similitudine il Notaro dimostra un’inesauribile inventiva.<br />
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