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siciliana

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diocribus, ex ore quorum iudicium eliciendum videtur, prelationis<br />

honore minime dignum est, quia non sine quodam tempore<br />

profertur; út puta ibi: Tragemi d’este focora se t’este a bolontate. Si<br />

autem ipsum accipere volumus secundum quod ab ore primorum<br />

Siculorum emanat, ut in preallegatis cantionibus perpendi<br />

potest, nichil differt ab illo quod laudabilissimum est, sicut inferius<br />

ostendimus (DVE 1995:30-3)<br />

Dante in realtà oppone qui il volgare dei primores Siculi, che «nichil<br />

differt ab illo quod laudabilissium est», a quello dei terrigenae mediocres.<br />

Il fatto che per quest’ultimo, che rifiuta, egli usi come esempio un<br />

testo anch’esso tramandato dal Vaticano fa velo al fatto che qui sono<br />

opposte due tradizioni distinte: una è quella ”alta” dei testi che circolavano<br />

toscanizzati, e che avevano assunto valore di modello in Toscana,<br />

l’altra è quella dei testi che erano rimasti estranei alla toscanizzazione e<br />

alla nuova linea vincente della poesia toscana, e perciò erano destinati a<br />

cadere nell’oblio in cui sono poi effettivamente caduti.<br />

La tradizione ”alta” deve dipendere da un unico archetipo toscanizzato,<br />

quello di cui parlava Contini (Contini 1962:388); vale come<br />

argomento in favore della parentela dei codici la stessa osservazione<br />

che Sanga formula partendo dall’assunzione che siano invece indipendenti:<br />

I componimenti della Scuola <strong>siciliana</strong> sono linguisticamente omogenei<br />

e i principali codici che ce li hanno conservati sono indipendenti,<br />

quindi dovremmo supporre che gli amanuensi abbiano<br />

indipendentemente tradotto tutti allo stesso modo (Sanga 1992:199).<br />

Ritorniamo così al dubbio espresso da Furio Brugnolo circa<br />

l’impossibilità dell’esistenza di un qualsivoglia archetipo siciliano, il<br />

fantomatico canzoniere siciliano dei Siciliani (Brugnolo 1995:286); ma la<br />

tradizione cui appartengono i codici toscani deve risalire non tanto ad<br />

un banale episodio di sovrapposizione di una patina linguistica a<br />

un’altra nella copiatura dei testi, quanto ad una vera e propria operazione<br />

culturale, che ha immesso i testi siciliani in Toscana e in toscano<br />

con la stessa dignità libraria che avevano acquisito, all’epoca, i prodotti<br />

letterari dei Provenzali.<br />

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