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Divago: In Case of Routine

Thesis Project of Bachelor Degree in Communication Design. YEAR: 2018. Project realized with: Alice Cassanmagnago, Alessandro De Vecchi, Alessandro Schino, Andrea Sabetta See the complete Divago project on Behance: Ilaria Castelli

Thesis Project of Bachelor Degree in Communication Design.
YEAR: 2018. Project realized with: Alice Cassanmagnago, Alessandro De Vecchi, Alessandro Schino, Andrea Sabetta
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IN CASE OF ROUTINE

DIVAGO: UN’ESPLORAZIONE CRITICA TRA DISTRAZIONE E SPECULAZIONE

→ autori

alice cassanmagnago

ilaria castelli

alessandro de vecchi

andrea sabetta

alessandro schino

→ relatore

francesco e. guida

corso di laurea in design della comunicazione

politecnico di milano

a.a. 2017–2018



IN CASE OF ROUTINE

DIVAGO: UN’ESPLORAZIONE CRITICA TRA DISTRAZIONE

E SPECULAZIONE

ALICE CASSANMAGNAGO

ILARIA CASTELLI

ALESSANDRO DE VECCHI

ANDREA SABETTA

ALESSANDRO SCHINO


IN CASE OF ROUTINE

Divago: un’esplorazione critica tra distrazione e speculazione

Alice Cassanmagnago

Ilaria Castelli

Alessandro De Vecchi

Andrea Sabetta

Alessandro Schino

Politecnico di Milano

Scuola del Design

Corso di Laurea in Design della Comunicazione

Laboratorio di Sintesi Finale, sez. C1

a.a. 2017–2018

Relatore: Francesco E. Guida

Correlatori: Andrea Braccaloni, Pietro Buffa, Giacomo Scandolara

Tutor: Marcello Biffi, Gabriele Donini


ANTI-DISCIPLINARY WORKS, SPECULATIVE WORDS

di Francesco E. Guida

L’elaborato che segue è uno dei dodici che raccoglie gli esiti

e le relative considerazioni che ciascun gruppo di studenti ha

elaborato durante il Laboratorio di Sintesi Finale del Corso

di Laurea in Design della Comunicazione (a.a. 2017-2018).

La classe, organizzata appunto in 12 gruppi di lavoro, aveva

come obiettivo quello di lavorare su alcune parole riferite a

emozioni o condizioni, stati d’animo, dell’uomo.

L’obiettivo generale è stato quello di progettare una esperienza

centrata su una macchina comunicativa, un dispositivo,

o una interazione – con una propria identità visiva – che

interpretasse la parola assegnata, al fine di coinvolgere gli

utenti in una più ampia comprensione della parola stessa.

Tutto il processo progettuale è stato centrato sul semplice

ed eterno principio dell’imparare facendo che sostanzialmente

consiste nel pasticciare, nel fare errori, nel provare e

riprovare per giungere al migliore risultato possibile. Questo

approccio permette agli studenti di sperimentare espressioni

visive e user experience tra le due e le tre dimensioni. Ciascun

progetto deve poggiare su una solida e motivata base

concettuale ed essere verificato fisicamente, mediante la

realizzazione di prototipi funzionanti.

Questo percorso e i suoi obiettivi sono stati definiti nella

convinzione che il Design della Comunicazione oggi è un

ambito, un contesto, aperto, con limiti e confini sfumati. La

si potrebbe definire come una disciplina anti-disciplinare

che dal design di artefatti visivi fisici e immateriali converge

verso il design di sistemi (Ito, 2016). Del resto il suo centro

si sta spostando sempre più da quello della funzione verso

quello del significato (Antonelli, 2011).

3


Questo spostamento di centro porta inoltre valore nell’adozione

di pratiche speculative in un ambito educativo. Generalmente

il Design della Comunicazione è inteso come

una pratica orientata al problem-solving e anche in ambito

didattico e formativo si ricorre spesso a simulazioni di un

contesto professionale. Nonostante ciò, si deve considerare

la disciplina come raramente centrata su se stessa: è un

linguaggio, un vessillo che è possibile riempire con ciò che

si vuole. Qualche volta è un cliente a riempire tale vessillo,

altre volte questo ruolo lo deve svolgere il progettista. In ogni

caso, il vessillo resta un mezzo di comunicazione (Fuller,

2012). È intrigante coinvolgere gli studenti in un processo

che dal problem-solving si sposta verso il problem-finding,

incoraggiandoli a sviluppare concetti e scenari in cui non è

necessario né fondamentale considerare una precisa funzione.

Per cui: concetto, progetto e verifica delle soluzioni.

Non è tanto un problema di competenze e tecnicalità: è un

problema di conoscenza intellettuale. L’importante è avere

una forte motivazione per imparare cose incerte e a gestire

tale incertezza, ad analizzare criticamente le proprie soluzioni

e a metterle in discussione, piuttosto che imparare

semplicemente una pratica professionale.

Antonelli, P. (2011). “Talk to me”. in Hall, E. (ed.), “Talk to me. Design and Communication

between People and Objects”. New York: Museum of Modern Art.

Fuller, J. (2012). “Graphic design as a liberal art”. [http://jarrettfuller.com/projects/

liberalart, consultato il: 11 Feb. 2018].

Ito, J. (2016). “Design and Science. Can design advance science, and can science advance

design?”. Journal of Design and Science. [http://jods.mitpress.mit.edu/pub/designandscience,

consultato il: 11 Feb. 2018].

4



6


Just another manic monday


È un piacere incantarsi a guardare la

pioggia sulla finestra.

Mentre l’orologio scandisce il passare

inesorabile dei secondi, le gocce scivolano

silenziose sul vetro, una dopo

l’altra, separandosi e rincontrandosi

lungo il labirinto creato da quelle prima

di loro. È come entrare in uno stato

di trance, lontano dai rumori e dai

ritmi frenetici della realtà. «Ok, cinque

minuti possono bastare» dice di colpo

X sbattendo le palpebre più volte e

scrollando le spalle per tornare in sé.

Si alza dalla sedia della sua scrivania

quanto basta per allungare la mano

all’estremità superiore della finestra

e fermare il pioggiatore.

Chiusa la sicura, le gocce cessano

istantaneamente di cadere dal serbatoio

e le poche superstiti terminano velocemente

il loro percorso giungendo

alla base del vetro. Il sole splende fuori

dall’ufficio, ma nient’altro può distrar-


re X dalla sua routine quotidiana. Una

mosca gli si posa sullo schermo del

computer; dopo essersi strofinata le

zampe per un secondo, torna subito

a ronzare intorno alle quattro piccole

scrivanie della stanza, con una traiettoria

tanto confusa quanto ipnotica.

Un rapido giro intorno alla lampada

fluorescente sul soffitto, tappa alla

scrivania 1, scrivania 2, collisione col

vetro della finestra, scrivania 4, finestra,

lampada fluorescente, finestra,

finestra, finestra finestra finestra.

Le mosche ora sono diventate tre e si

muovono in una fitta rete di percorsi

sconclusionati che terminano testardamente

contro quel vetro.

«Non ti sembra di esagerare?» domanda

X scacciando con calma una delle

tre dal viso. «Scusa X, ma capiscimi,

ne ho bisogno – risponde il collega

dalla scrivania 2 senza allontanare lo

sguardo imbambolato dagli insetti in


volo – Per colpa dell’acquisizione con

quegli stronzi sto lavorando su questi

conti giorno e notte da una settimana...

a mali estremi, estremi rimedi»,

sospira raggruppando le tre lattine

aperte e gettandole nel cestino con

le altre prima di tornare a guardare lo

schermo tremolante del suo computer.

“Mosca” recitano le lattine “insetto

distraente in barattolo”.

È un altro lunedì come tanti, il primo di

sette giorni di lavoro, quindi in realtà

semplicemente l’ennesimo di un ciclo

infinito di giorni uguali; questo vizio

di X di chiamarlo “il primo” è solo un

residuo di tradizioni passate, quando

esisteva ancora il weekend.

Non è stato abolito ufficialmente da

nessuno, il weekend. Semplicemente

con gli anni si è rivelato più controproducente

che altro e, di conseguenza,

tramite un processo spontaneo e graduale,

è stato man mano convertito in


volo – Per colpa dell’acquisizione con

quegli stronzi sto lavorando su questi

conti giorno e notte da una settimana...

a mali estremi, estremi rimedi»,

sospira raggruppando le tre lattine

aperte e gettandole nel cestino con

le altre prima di tornare a guardare lo

schermo tremolante del suo computer.

“Mosca” recitano le lattine “insetto

distraente in barattolo”.

È un altro lunedì come tanti, il primo di

sette giorni di lavoro, quindi in realtà

semplicemente l’ennesimo di un ciclo

infinito di giorni uguali; questo vizio

di X di chiamarlo “il primo” è solo un

residuo di tradizioni passate, quando

esisteva ancora il weekend.

Non è stato abolito ufficialmente da

nessuno, il weekend. Semplicemente

con gli anni si è rivelato più controproducente

che altro e, di conseguenza,

tramite un processo spontaneo e graduale,

è stato man mano convertito in



13


STORIA DI UNA RIVOLUZIONE

I

19

LA TIRANNIA DELLA CONCENTRAZIONE

I 1

20

LA NECESSITÀ DI UN LEADER

I 2

IL DESIGN COME MEZZO

II

25

L’IMPORTANZA DELLA CRITICA

II 1

27

DISEGNARE UN MESSAGGIO

II 2

28

VIRTUALITÀ, FINZIONE E REALTÀ

II 3

PROVOCARE CON IRONIA

III

35

I DUE VOLTI DI DIVAGO

III 1

45

LA DISTRAZIONE DIVENTA TANGIBILE

III 2

DOPPIOCLIC

III 2.1

MILLEBOLLE

III 2.2

PIOGGIATORE

III 2.3

MOSCA

III 2.4

IN CASE OF ROUTINE

IV

→ 59

UN’IDENTITÀ IN PRESTITO IV 1

BRANDING SPECULATIVO

L’IDENTITÀ DI DIVAGO

IL VALORE DELL’APPROPRIAZIONE

IV 1.1

IV 1.2

IV 1.3


73

L’UFFICIO COME LUOGO/NON LUOGO

IV 2

IL LINGUAGGIO DI DIVAGO

IV 2.1

LA STRATEGIA DI COMUNICAZIONE

IV 2.2

PERFORMANCE ED EFFETTI SUL PUBBLICO

V

91

IMPORTANZA DEL CONTESTO

V 1

SPAZIO DI DECONTESTUALIZZAZIONE

E RICONTESTUALIZZAZIONE

V 1.1

RECIPROCA DIPENDENZA

TRA PUBBLICO E CONTESTO

V 1.2

→ 93

→ 95

LA PERFORMANCE A BASE MILANO

L’ESPERIENZA ALLA DESIGN WEEK 2018

V 2

V 3



17


STORIA DI UNA RIVOLUZIONE

I

LA TIRANNIA DELLA CONCENTRAZIONE

LA NECESSITÀ DI UN LEADER

I 1

I 2

18


LA TIRANNIA DELLA CONCENTRAZIONE

I 1

C’è chi parla di epoca delle distrazioni digitali, in cui l’essere umano

fatica molto per ritagliarsi un momento di reale produttività,

poiché distratto continuamente da input e stimoli esterni, e c’è

chi parla invece di epoca della concentrazione, dove l’individuo

è invece vittima di una mancanza di riposo.

Al primo gruppo appartengono un gran numero di saggisti e

scrittori, mentre del secondo è parte Divago. A partire dal concetto

di distrazione si è voluto ribaltare la normale concezione

che si ha di questa parola, senza però modificarne il significato,

rendendo positiva la perdita di tempo. La distrazione senza

scopo, infatti, è un argomento estremamente sottovalutato e,

tramite la retorica eversiva di Divago, si è esagerato questo concetto,

presentandolo come soluzione finale e definitiva al lavoro

alienante del mondo contemporaneo.

M. Danon (2017) sottolinea la necessità odierna di un nuovo

modo di pensare la produttività, sostenendo che l’individuo oggi

è portato a inseguire il tempo in un continuo gioco di insoddisfazione

personale, dove gli interrogativi sono “Dove abbiamo

sbagliato? Cosa avremmo potuto fare di più?”. Questo perché

la persona dà per scontato che l’affaticamento sia sinonimo di

un buon risultato. La Danon crede invece che il riposo, non la

distrazione, sia la chiave della rivoluzione, ma la differenza sta

nel fatto che viene proposto come strumento utile a migliorare

le prestazioni, cosa che invece Divago non fa, promuovendo al

contrario una lotta continua per soffocare ogni forma di concentrazione.L’idea

di partenza però è identica:

“Una sbornia può essere piacevole, al momento,

ma porta spesso con sé postumi sgradevoli. Anche

l’ubriacatura da iperattività segue lo stesso discorso,

l’azione dà un’euforia cui è difficile rinunciare. […] è

inebriante, provoca una vera e propria dipendenza.”

(Danon, 2017, p. 2).

La distrazione senza scopo non viene qui arricchita di uno scopo,

ma viene invece ribaltato il modo di presentarla e quindi di percepirla:

perdere tempo è controproducente, ed è proprio questo

che lo rende uno strumento estremamente utile. Divago è un

fictional brand che basa il suo motivo di esistere sulla volontà

di sovvertire l’ordine costituito formato da colossi aziendali che

richiedono ai propri dipendenti sempre più produttività in sempre

minor tempo e in sempre minor spazio. L’ufficio non diventa quindi

19


solo un luogo di lavoro, ma diventa il luogo del lavoro, dove tutto,

dall’arredamento alla disposizione degli oggetti, è progettato

pensando alla produttività. La concentrazione è nemico assoluto

da sconfiggere attraverso la semplicità di un gesto, la facilità di

uno sguardo e la leggerezza di un momento, ritagliati da sé e

per sé, in un atto di difesa autoprodotto attraverso gli strumenti

forniti da Divago.

LA NECESSITÀ DI UN LEADER

I 2

Tramite la sua offerta di prodotti, Divago si introduce silenziosamente

negli uffici aziendali, attraverso oggetti basati su situazioni

reali nelle quali il lavoratore è portato a distrarsi.

Dalla necessità di un leader che guidi la rivolta contro la tirannia

della concentrazione, nasce l’idea di Divago, unico pioniere di

un movimento che si pone nettamente in contrasto coi trend di

oggi. Il concetto di distrazione, che presenta numerosi significati

e accezioni, è stato differenziato in due categorie: volontaria e

involontaria. Se la prima è costituita da quei momenti che ci

concediamo per rilassarci, la seconda fa riferimento invece a

situazioni in cui ci si distrae senza nemmeno accorgersene,

cadendo in uno stato di separazione dal mondo reale, spesso

definito come “incantamento”. Non a caso la stessa parola “distrazione”

significa “distacco”.

Divago basa tutta la sua identità sul tema dell’emergenza sociale,

facendosi promotore di un nuovo movimento di reazione allo

strapotere della concentrazione, creando situazioni irresistibilmente

attraenti per l’utilizzatore, portato a lasciarsi trasportare

dal flusso continuo di distrazione che i prodotti sono in grado

di generare. Da un punto di vista progettuale, la metafora della

rivoluzione è stata declinata in diversi modi, a partire dal tone

of voice del brand, fino alla traduzione materica di tali valori,

attraverso la composizione di un vero e proprio manifesto del

distrazionismo, un elenco programmatico dei valori e delle modalità

secondo cui il brand agisce.

Il progetto basa gran parte della sua potenza comunicativa

sulla creazione di un brand credibile

e plausibile che, in quanto identità che parla e si

esprime, è in grado non solo di trasmettere valori e

messaggi, ma anche di raccogliere consensi e creare

comunità attive di consumatori.

La nascita di Divago però non segue le stesse dinamiche di un

reale brand: la fiction diventa strumento per creare dal nulla

un’azienda che si presenta come leader in un settore e che vanta

una storia decennale di esperienza e successi.

Questa narrazione in medias res è l’elemento che dona credibilità

20


a Divago e che, di conseguenza, rafforza il suo messaggio.

Di fronte a qualcosa di bizzarro, ma finito e tangibile, la reazione

del pubblico è spesso di incredulità: lo sforzo mentale che compie

in quel momento per valutare la reale plausibilità dello scenario

è esso stesso l’obiettivo del progetto Divago, indipendentemente

dal fatto che si intuisca poi la surrealità del tutto o che invece

si resti nel dubbio.

Il 14 maggio 2018, in Daley Plaza a Chicago, è stata allestita

una stazione di gun sharing per il progetto “Chicago Gun Share

Program”, installazione artistica provocatoria nata dalla collaborazione

tra l’agenzia pubblicitaria The Escape Pod e l’organizzazione

Brady Center to Prevent Gun Violence (Fig. 1). Costruendo

un’assonanza visiva e strutturale con le stazioni di bike sharing

e disponendo sulla rastrelliera alcuni fucili AR-15, si suggerisce

la facilità con cui è possibile avere accesso alle armi negli Stati

Uniti, invitando le persone a riflettere su un tema tragicamente

attuale. La reazione del pubblico a questa installazione artistica

si basa sulle stesse premesse logiche di quella che si ha di fronte

a Divago. Chi si interfaccia con Divago è portato a condividerne

la filosofia, spinto dal fatto che il brand comunica un seguito e

una popolarità ovviamente inesistenti, ma propedeutici alla riuscita

del contatto con l’utente. Divago è un brand di culto, un

lovemark come li definisce Kevin Roberts, CEO di Saatchi&Saatchi

“ovvero una nuova categoria di marche caratterizzate da

una straordinaria connessione emotiva con i propri consumatori

[...] secondo associazioni basse o alte di amore e rispetto.” (Ma-

↓ Fig. 1

21


razza & Saviolo, 2012). Essere pionieri di un settore non significa

necessariamente essere rispettati, ed essere rispettati non

significa necessariamente essere amati. Divago è stato pensato

per essere un brand che fonde in sé tutti questi fattori, facendosi

ambasciatore di un messaggio sociale, portatore di una filosofia

di tutto rispetto e garante di uno stile di vita nuovo; il tutto

arricchito da una retorica intrigante e provocatoria.

La componente religiosa che contraddistingue il rapporto tra

consumatori e grandi brand di culto è stata presa in esame

nell’ideazione del progetto, al fine di imitarla parodisticamente,

estrapolando modi e tecniche tramite cui tali brand riescono a

collocarsi all’interno delle vite delle persone. Divago entra nella

routine quotidiana al fine di distruggere la noia che la contraddistingue,

presidiandola e rendendola sua. Il consumatore immaginario

è così portato a maturare una certa fiducia nel brand

Divago, poiché questo si propone come garante della sua salute

fisica e psicologica, difendendolo dal sistema-mostro che ne

controlla e gestisce il tempo. Il coinvolgimento del pubblico avviene

secondo i due elementi fondamentali di qualsiasi brand:

il prodotto e la comunicazione. Divago non può prescindere dai

suoi prodotti, vero fulcro dell’operazione di trasmissione del messaggio.

Questi infatti diventano tramite ironico e provocatorio

secondo cui il brand riesce a far comprendere cosa si intende

quando si parla di rivoluzione contro la distrazione.

Stabiliti i diktat della sua identità, Divago può permettersi di

parlare al pubblico, ingigantendo il problema che cerca di risolvere

ed esagerandone la gravità, proprio come accade nel

mondo della pubblicità.

22


23


IL DESIGN COME MEZZO

II

L’IMPORTANZA DELLA CRITICA

DISEGNARE UN MESSAGGIO

VIRTUALITÀ, FINZIONE E REALTÀ

II 1

II 2

II 3

24


L’IMPORTANZA DELLA CRITICA

II 1

Anthony Dunne e Fiona Raby sono celebri per aver coniato negli

anni ‘90 il termine critical design per riferirsi a tutte quelle prassi

di progettazione utili a creare proposte meditative per invitare

alla riflessione e poi alla contestazione di ipotesi precise o dati di

fatto. Se il design affermativo mantiene e rafforza lo status quo,

il design critico cerca di sovvertire l’ordine prestabilito, invitando

a farsi domande su ogni cosa che sia considerata una verità.

Negli anni ‘90 si diffuse il design concettuale che rese più semplice

utilizzare tale disciplina come forma di progettazione critica

non commerciale ma utile unicamente al suo scopo. In Speculative

everything (2013), Raby e Dunne indagano approfonditamente

ogni sfumatura della speculazione mediata dal design, tra cui

appunto la critica sociale. Il design critico si propone non come

metodologia, ma come posizione ideologica, come attitudine

progettuale, ed è svolto da chiunque riesca, tramite il design,

a generare forme di critica rivolte a tutto ciò che ci circonda.

Una sedia di qualsiasi tipo esiste per affermare se stessa in quanto

sedia, ma esistono modi, come ci insegna Paweł Grunert, per

creare sedute che svolgono un ruolo di critica sociale più che di

appagamento del bisogno di sedersi. La sua poltrona completamente

formata da bottiglie di PET incollate tra loro (Fig. 2),

è tanto un perfetto esempio di riciclo dei materiali e di design

ecosostenibile, quanto di critical design volto alla riflessione sul

tema dell’inquinamento da materie plastiche.

Critical design che diventa design for debate, ovvero design che

invita alla discussione su un tema, al confronto con una problematica

e alla stimolazione verso un’ipotesi di soluzione.

Determinato un problema sociale, quello del lavoro alienante e

dei problemi che genera nel lungo periodo, non si propone una

reale soluzione definitiva, ma un mezzo per invitare al dibattito.

Tra le molte ricerche perseguite sull’argomento, uno studio compiuto

dalla Harvard University e dalla Stanford University (Goh,

Pfeffer & Zenios, 2015) e pubblicato su Health Affairs dimostra

che il lavoro alienante da ufficio provoca stress e innalzamento

del cortisolo, contrastando i cosiddetti ormoni del benessere, con

conseguente abbassamento dell’aspettativa di vita fino a 33 anni.

Lo scenario proposto da Divago, quindi, non è frutto di fantasia

nè pura provocazione, ma anzi stimola interesse verso argomenti

raramente presi in considerazione, come il benessere e le condizioni

di vita legate al troppo lavoro, in un periodo storico che sta

assistendo ad un cambiamento radicale del modo in cui si lavora

25


e si concepisce il ruolo dell’impiego lavorativo nelle vite di ognuno.

La critica sociale, in questo caso, è portata avanti attraverso

un’operazione di critical design dove l’ironia e la provocazione

si propongono come propulsori del messaggio.

Ciò che Dunne e Raby auspicano è che il critical design non

diventi mai uno stile progettuale, ma che resti un’attitudine, e

tengono a sottolineare la differenza tra questi due concetti, per

stimolare un approccio diverso a questa disciplina progettuale.

Inoltre, l’obiettivo, secondo loro, non è sostituire tale attitudine

al design mainstream, ma affiancarlo ad esso, in un interessante

gioco di equilibri e arricchimenti reciproci.

In questo contesto, i design critici sono testimonial di quello che

potrebbe essere, ma, allo stesso tempo, offrono interessanti alternative

per sottolineare le debolezze della normalità esistente.

Qui si inserisce Divago, progetto che nasce per trasportare un

messaggio e trasmetterlo a chi fa esperienza dello stesso. Secondo

Dunne e Raby (2013) “Tutti i buoni design sono critici” (p. 35),

e possono sempre avere la possibilità di esprimere qualcosa che

inviti al critical thinking. Nonostante ad una prima impressione il

critical design possa sembrare cinico e dark, non lo è per il semplice

gusto di esserlo ma guadagna tale fama se paragonato al

design comune, dove l’individuo, contrariamente a qualsiasi altro

ambito della cultura, viene considerato semplice, prevedibile e

obbediente consumatore, e non complesso e contraddittorio.

Se il design classico si basa sull’appagamento dell’estetica, il

critical design cerca di implementare un uso positivo della negatività

per altri fini.

↓ Fig. 2

26


DISEGNARE UN MESSAGGIO

II 2

Determinato il concetto da voler comunicare, Divago costituisce

un tramite per trasmetterlo al pubblico, ampliato di significati,

retoricamente potenziato e provocatoriamente semplificato.

Divago è un fictional brand, ovvero un brand di finzione che però

possiede tutte le caratteristiche di un brand reale: un’identità,

un suo modo di esprimersi, una sua strategia di comunicazione

e soprattutto un prodotto da vendere. È in questa sua natura di

fiction che risiede la riuscita del messaggio sociale, e per certi

versi politico, che vuole comunicare. La serietà con cui Divago

persegue la sua missione è da considerarsi base fondante dell’operazione

di design fiction, in quanto la riuscita del messaggio

dipende completamente dalla credibilità dell’insieme. Sebbene

possa sembrare, per certi aspetti, surreale, il brand Divago è

plausibile, e vuole sensibilizzare le persone su un problema indiscutibilmente

dilagante.

Come spiega Evgeny Morozov in Silicon Valley: i signori del silicio

(2016), parlando di “Stato sociale” e “Stato algoritmico”, “Questa

rivoluzione [l’applicazione di parametri economici a contesti

sociali] cerca di quantificare l’efficienza di diversi programmi sociali,

come se l’obiettivo principale delle reti assistenziali istituite

fosse il raggiungimento di risultati perfetti”. Sebbene il progetto

Divago non parli di istruzione o sanità, fa comunque riferimento

a situazioni dove i diritti umani vengono spesso lesi o sottoposti

a parametri di giudizio basati unicamente su produttività ed efficienza,

dai quali solitamente l’essere umano ne esce sconfitto,

in quanto essere vivente fallibile per natura.

Le forme, i simboli, le figure retoriche e le modalità

espressive tutte, sono espedienti propedeutici alla

riuscita del messaggio, che viene raccontato con

chiave ironica e parodistica, nelle sue forme imitative

del reale, oltre che fortemente accusatoria nei

confronti di un sistema responsabile di una piaga

sociale in veloce espansione.

Questa tipologia di progettazione volta alla creazione di un dibattito

su temi sociali spesso non avvertiti né percepiti dalle persone,

fa parte degli obiettivi del design critico. La creazione di mondi

alternativi, utopici e surreali, ci risulta semplice, come spiega

Fredric Jameson: “Per noi è più facile immaginare la fine del

mondo di un’alternativa al capitalismo, nonostante quest’ultima

è esattamente quello che ci serve” (citato in Dunne & Raby, 2013,

p. 2). Divago gioca molto della sua riuscita su questa retorica,

ponendosi esattamente a metà: propone uno scenario facile da

immaginare al fine di far riflettere su un’alternativa necessaria

al modo in cui viviamo le nostre vite.

La finzione qui è una modalità di creazione di un altro universo,

veicolato da prodotti plausibili che riescono a tradurre in maniera

concreta, tramite l’interazione con essi, il significato del progetto.

27


Come spiega Julian Bleecker, sulla scia del termine “design fiction”

coniato originariamente da Bruce Sterling e “prototipo

diegetico” da David Kirby, nel suo saggio del 2009 Design Fiction:

a short essay on design, science, fact and fiction, la componente

di storytelling gravita intorno all’oggetto ed è incorporata in esso.

Divago produce quattro prodotti da ufficio (vedi III 2) con lo scopo

di distrarre, che da soli riescono a contenere l’intero significato

del progetto, senza bisogno di spiegazione alcuna.

Questo perché, usando le parole di J. Bleecker, “Così come un

oggetto di scena, l’oggetto svolge un ruolo in un racconto: non è lì

per sé, è lì per muovere in avanti la storia. [...] Le storie con qualcosa

da “afferrare” sono migliori, più avvincenti.” (2009, p.83).

La linea di prodotti di Divago non diventa centrale al progetto

solo per l’idea che sta dietro di essi, ma per la loro natura di

oggetto esistente, tangibile, da poter “afferrare e stringere”. Interagendo

con essi, la persona fa esperienza del messaggio sociale

che Divago promuove, in maniera ironica, ma con reali ripercussioni

sulla vita di tutti i giorni, creando più livelli interpretativi.

Dal più superficiale, il sorridere quando si capisce l’ironia del

tutto, al più profondo, rendersi conto dello sforzo che attuiamo

ogni giorno per evitare di cadere vittime della distrazione.

VIRTUALITÀ, FINZIONE E REALTÀ

II 3

Wile E. Coyote, nel tentativo di catturare l’inafferrabile Beep

Beep, è solito utilizzare i più disparati gadget tecnologici appartenenti

a categorie di prodotti molto diverse. Che questi siano

esplosivi, macchine per il volo, pattini o razzi, hanno sempre due

elementi ad accomunarli tutti: la loro stravagante e catastrofica

tendenza a fallire sempre nel loro scopo e il marchio ACME

stampato su di essi.

Nonostante l’evidente sottotesto ironico che sorregge il brand,

nell’osservare i Looney Tunes interagire con i prodotti si ha la

sensazione di guardare dei reali consumatori soddisfare i propri

(assurdi) bisogni. Sebbene tramite modalità diverse, anche Divago

restituisce lo stesso scenario, declinato in parte nel mondo

reale. ACME rientra nel gruppo dei cosiddetti fictional brand,

creati soprattutto per l’uso all’interno di prodotti d’intrattenimento

o artistici, come serie tv, film, libri o fumetti. Divago è l’esito

di un accurato processo di progettazione di un brand, a partire

dalle sue premesse fondanti fino alla sua modalità espressiva.

L’ideazione di un brand e la costruzione di tutte le sue parti, che

queste siano reali o fittizie, è un’operazione che concerne molti

ambiti del design e rientra nel branding, ovvero in quell’insieme di

discipline volte alla gestione strategica e operativa di una marca.

28


La prassi progettuale dietro a Divago appartiene, come già detto

in precedenza, nell’ambito della finzione, con uno scopo per certi

versi simile e per altri diverso dalla maggioranza dei fictional

brand. Come spiegano R. Andersen e J. Gray in Battleground:

The Media (2008), marchi come ACME, così come Duff Beer ne

“I Simpson”, nascono come alternativa parodistica alla pratica

del placement e permettono allo stesso tempo sia di svolgere

una missione di scherno verso aziende reali, sia di promuovere

un’alfabetizzazione mediatica nel pubblico, facendolo ragionare

sull’influenza che esercitano i brand tramite i media.

Sebbene tali scenari siano tipici della televisione

o, più in generale, della finzione cinematografica,

tra i vari messaggi che Divago costruisce e invia

all’osservatore c’è anche la volontà di voler invitare

ad una riflessione più profonda su questi temi,

dispiegati nella realtà attraverso prodotti tangibili.

Divago è un “protobrand” (Muzellec, Lynn & Lambkin, 2012, p.

812) ovvero un brand in potenza, che potrebbe cioè essere trasformato

in una reale azienda.

Tornando agli esempi precedenti, Muzellec, Lynn e Lambkin fanno

notare come spesso e volentieri tali brand fittizi finiscano per

diventare reali brand, venduti tramite operazioni che potrebbero

rientrare nel merchandising ma che progettualmente costituiscono

esempi di reverse product placement, o più propriamente

reverse brand placement, in quanto nascono nel virtuale e solo

in seguito diventano reali. Il risultato è l’apparizione nella realtà

di un brand acquistabile dalle persone, che gode già di una fama

enorme tramite i placement effettuati quando ancora esisteva

solo in potenza. È interessante notare come il confine tra realtà

e finzione venga qui eroso, mescolando e confondendo le due

parti davanti all’osservatore che fa esperienza di marchi al di là

della loro reale esistenza. Divago sfrutta questa ambiguità per

sostenersi: non è necessario esistere per poter rappresentare

una scelta di un potenziale consumatore.

Come vedremo più avanti (vedi V), il pubblico si è più volte dimostrato

interessato ad approfondire il rapporto con la marca,

chiedendo dove fosse possibile acquistare tali prodotti in negozi

od online. Tra le varie differenziazioni operate da Muzellec, Lynn

e Lambkin non mancano quelle attorno al tema dei fictional

brand, che, come spiegano, sono caratterizzati dall’appartenenza

esclusiva al mondo virtuale, ovvero possono essere consumati

solo attraverso scenari virtuali. La “eCola” e la “Sprunk” (Fig. 3)

che i videogiocatori di Grand Theft Auto possono far bere al personaggio

controllato, spesso sono rinforzati nella loro credibilità

attraverso la pubblicizzazione all’interno del mondo generato

virtualmente: è facile quindi, mentre si gioca, imbattersi in cartelloni

pubblicitari ritraenti il prodotto o in camion di tali aziende

che sfrecciano nelle autostrade.

29


Il comune denominatore di tutte queste creazioni è

la loro esistenza in potenza, non dispiegata ancora

nel mondo reale; brand che non sono stati “tangibilizzati”

o “prodottizzati” ma che, nonostante questo,

trasportano una gigantesca brand awareness e un

vastissimo universo di associazioni.

Secondo Brown la loro esistenza è confinata dentro

l’immaginazione di chi ne fa esperienza e non è

nient’altro che la somma di tutte le connessioni mentali

che le persone esercitano attorno ad essi (citato

in Muzellec, Lynn & Lambkin, 2012, p. 817).

La definizione della popolarità di un brand, in termini

di marketing, non si discosta molto dalla definizione

di Stephen Brown, ad ulteriore dimostrazione di

come l’esistenza nel mondo tangibile sia puramente

accessoria. Tuttavia, per essere considerato reale, un

brand necessita di possedere e generare valore economico

(brand equity), che può nascere esclusivamente

dall’interazione con la realtà e solo e soltanto

tramite il consumo di un prodotto.

Quando la marca esiste sia nella realtà, sia nel virtuale

e sia nella realtà sintetizzata al computer (videogames)

si parla di “triple-play brands” ovvero di brand

che vengono consumati dalle persone sia realmente,

sia tramite la loro fruizione digitale all’interno di un

prodotto cinematografico, sia attraverso un consumo

virtuale dentro un videogioco.

Le Gelatine Tuttigusti+1 (in inglese Bertie Bott’s Every

Flavour Beans), celebre marca di caramelle colorate

appartenenti al mondo immaginario del brand Harry

Potter, rappresentano un esempio lampante di triple-play brand,

in quanto esistono in tutti e tre i mondi elencati: nati prima come

brand di finzione, implementati poi nei videogiochi e infine commercializzate

per il pubblico.

Consci di questa approfondita digressione sul tema, è possibile

ora collocare con certezza l’opera di Divago all’interno del grande

mondo dei fictional brand. La sua presenza fisica infatti, seppur

rappresenti un valore aggiunto non trascurabile, è da considerarsi

come materializzazione della sua esistenza virtuale, ma non è

sufficiente a renderlo un brand reale, non rappresentando una

fonte di creazione di valore economico e monetario. Nella sua

totalità, il progetto, essendo un brand, è per sua definizione immateriale:

i prodotti e gli oggetti che sono stati prototipati non

sono altro che una chiave tramite cui poter accedere all’interezza

immateriale del brand.

Sebbene teoricamente lo sia, definire completamente virtuale

un progetto come Divago sarebbe riduttivo, in quanto, come già

detto in precedenza, la sua natura fittizia coinvolge tanto l’am-

↑ Fig. 3 Il fictional brand Sprunk,

ideato dagli sviluppatori della nota

serie di videogiochi action Grand

Theft Auto, parodizza il brand Sprite

giocando sia sul nome (che nello

slang americano indica l’essere

“fottuti”) sia sull’identità visiva.

La perfetta riuscita della parodia

è da ricercarsi nella perfezione

dei dettagli: la Sprunk è identica

in tutto alla sua controparte reale,

sia nelle azioni di marketing

(sponsorizza infatti numerosi veicoli

guidabili dal giocatore), sia nella

brand architecture (così come la

Sprite è posseduta da Coca-Cola

nella realtà, in GTA è possibile

acquistare lattine di Sprunk da

macchinette “eCola”).

30


II 3

A

MODELLO DI MUZELLEC, LYNN E LAMBKIN

real world

virtual world

real brands

(a)

normal

brands

(b)

product

placement

virtual brands

(c)

reverse

brand

placement

(d)

II 3

B

TIPI DI REVERSE PLACEMENT - QUADRANTE (C)

a

b

c

triple-play brands

hyper real fictional brands

hyper real computer-synthesized brands


bito dei fictional brand quanto quello ben più vasto del design

fiction. L’espressione di Divago nel mondo si è resa tangibile non

soltanto all’interno degli oggetti, ma anche attraverso le installazioni

allestite presso location diverse e soprattutto nell’universo

di emozioni e associazioni che il brand ha costruito nella mente

delle persone.

32


33


PROVOCARE CON IRONIA

III

I DUE VOLTI DI DIVAGO

LA DISTRAZIONE DIVENTA TANGIBILE

III 1

III 2

DOPPIOCLIC

MILLEBOLLE

PIOGGIATORE

MOSCA

III 2.1

III 2.2

III 2.3

III 2.4

34


I DUE VOLTI DI DIVAGO III 1

Una costante della narrazione, addirittura prima che questa

diventasse scritta, è sempre stata l’utilizzo di diverse forme di

umorismo. Manifestazioni certe di parodia si ritrovano infatti in

pitture vascolari, maschere e dipinti rupestri appartenenti alle

prime civiltà di Cina, India e Asia Minore.

Passando poi a tempi più recenti e a civiltà più vicine alla nostra

possiamo trovare un’esaltazione del divertimento negli scritti

di Platone, che, rifacendosi molto probabilmente al metodo socratico,

afferma come l’imposizione forzata di nozioni non porti

ad un apprendimento duraturo, al contrario di un metodo di

insegnamento che lascia più spazio al Ludos.

L’utilizzo dello humor è dunque connaturato all’interno della

comunicazione umana, eppure viene tante volte screditato e

additato come strumento volgare e volubile. È indubbio come

l’umorismo possa essere usato in maniera poco efficace o addirittura

completamente errata, ma bisogna anche sottolineare

tutte le volte in cui l’uso dell’umorismo risulta non solo utile, ma

anche intelligente. La forma più raffinata di umorismo è forse

l’ironia e anche di questa troviamo diversi esempi storici.

Nell’Edipo Re, tragedia di Sofocle del 430 a.C. circa, Edipo,

esasperato dalla ricerca dell’assassino del defunto ex-re di di

Tebe Laio, giura che si impegnerà nella ricerca del colpevole

come se a essere stato ucciso fosse stato il suo stesso padre.

Leggendo queste parole o sentendole recitate, al pubblico della

tragedia, che sia lettore o spettatore, non può che scappare un

sorriso, per quanto drammatica possa essere l’opera. Edipo non

sa infatti di essere il terribile colpevole dell’assassinio di Laio e

più volte compie affermazioni simili alla precedente, riempiendo

così l’intera storia di perle tragicamente comiche.

Il potere dell’ironia sta nella sua sottigliezza, si annida nella raffinatezza

di un accenno, nell’ineffabilità di un sussurro. È proprio

questo carattere sfuggevole dell’ironia che la rende così utile in

un progetto di speculative design come Divago.

Elemento chiave della creazione del brand è la tensione

tra realtà e finzione che lo compone. Divago

propone oggetti plausibili, anzi reali, in grado di

confondersi con il quotidiano.

In questi c’è tuttavia qualcosa che sembra sbagliato, che lascia lo

spettatore convinto, ma con un dubbio. La risoluzione del dubbio

porta lo spettatore a intuire l’ironia del progetto, a comprenderne

l’essenza e ad apprezzarlo in pieno. Ecco quindi che il pubblico

35


diventa parte integrante del progetto, da spettatore passivo a

utente attivo. L’ironia però non è solo utile ad attirare il cliente

nel momento in cui il progetto viene spiegato, spesso è usata

anche per agganciare il pubblico e lasciargli un lieve dubbio,

quanto basta perché il nome rimanga impresso.

Fin ora abbiamo parlato di ironia, ma Divago basa la sua retorica

su molti elementi che spesso vengono confusi tra loro o usati

come sinonimi, tra cui il sarcasmo, l’umorismo, la satira o la parodia.

Possiamo trovare conferma di quanto appena affermato nel

saggio L’umorismo del 1908, nel quale Luigi Pirandello analizza

in maniera estremamente approfondita il concetto di umorismo,

distinguendo la sua struttura in due livelli distinti.

Il primo di questi livelli è l’avvertimento del contrario che consiste

nell’elemento comico scaturito dall’intuizione di una contraddizione.

La risata, però, deve presto lasciare spazio al sentimento del

contrario, ovvero all’elaborazione razionale di quella percezione

comica iniziale che diventa ora umoristica. Nasce in quell’istante

una riflessione, elaborata dallo spettatore, che porta ad un

sentimento di identificazione o compassione verso il soggetto

preso in esame.

Lucrezio nel De rerum Natura, parla di come la dottrina epicurea

possa essere difficile da accettare per la società a lui contemporanea,

ma con l’aiuto della poesia, potrebbe essere meglio

ricevuta. La stessa cosa accade esattamente con l’inserzione

di una vena umoristica all’interno di un messaggio di critica

sociale: l’obiettivo è rendere il messaggio più comprensibile e

più facilmente accettabile. Il moralismo da solo non basta a raggiungere

la potenza comunicativa dell’umorismo, poiché si limita

ad un ambito inquieto, nostalgico, malinconico, creando infine

un messaggio debole. Se Divago avesse parlato di emergenza

sociale secondo canoni moralistici, il messaggio non sarebbe

stato tanto potente. Oggi, chi fa ironia, lo fa usando parole diverse

da quelle che sta pensando ma cercando volutamente di farsi

scoprire dall’interlocutore.

La retorica di Divago è parodia di quella usata dai

grandi brand, cioè istituzionale, seria e sicura di sé,

ma talvolta esagera volutamente, rompendo quella

maschera realistica dietro cui si nasconde e facendo

emergere la surrealità del tutto.

È dunque ormai chiaro come l’ironia giochi un ruolo importante

nel processo di attrazione e in secondo luogo di fidelizzazione

del pubblico.

Un’altra forma di comicità che fa leva sulla reazione del pubblico

per generare simpatia e consenso nei propri confronti è la parodia.

Quest’ultima mette a proprio agio lo spettatore presentandosi

come qualcosa di già visto, qualcosa di sicuro, stabilito. Una

volta che questo scenario certo è stabilito ecco che la parodia

lo smonta, quasi lo ridicolizza. L’utilizzo della parodia nelle for-

36


me di comunicazione brand to consumer è una pratica tutt’altro

che rara e molto difficile da gestire, tanto che si trovano molto

più facilmente esempi di operazioni parodistiche mal riuscite.

Un’operazione ben riuscita è stata effettuata in occasione della

festa di san Patrizio nel 2017 e vede come protagonisti due dei

brand più importanti al mondo: McDonald’s e Apple. La parodia

è sviluppata da McDonald’s tramite la produzione di un video

che illustra il processo di creazione di un rivoluzionario oggetto:

una cannuccia.

Nello spot del fast food viene ridicolizzato proprio l’approccio

che Apple ha nei confronti dell’advertising. In apertura viene

presentato un personaggio che sembra essere il direttore del

dipartimento di design e che viene invece poi descritto come

“tizio con accento inglese”. Il video continua sempre sulla falsariga

del colosso della tecnologia mostrando tavole rotonde di

designer e ingegneri immersi nell’ideazione e nella progettazione

del rivoluzionario STRAW: Suction Tube for Reverse Axial

Withdrawal. L’operazione effettuata da McDonald’s potrebbe

comparire nei dizionari come definizione di parodia per la sua

semplicità ed efficacia. Anche Divago, come il colosso dei fast

food, decide di presentare qualcosa di suo tramite video; non si

tratta di uno specifico prodotto di una qualche particolare innovazione,

ma dell’intera azienda. Carrellate aeree sul lotto della

sede di produzione, velocissimi dettagli sulla catena di montaggio

e drammatiche inquadrature al rallentatore sulla squadra di

tecnici brandizzati; questo è come Divago si presenta al pubblico.

Lo scenario presentato potrebbe appartenere a qualunque azienda

↓ Fig. 4

37


↑ Fig. 5

presente sul mercato, da Tesla fino ad una qualsiasi piccola-media

impresa della provincia, proprio questo è ciò che rende la

parodia efficace. Dove sta tuttavia la parodia all’interno del video

aziendale di Divago? Non sono infatti presenti all’interno dello

spot dettagli che imitino un determinato stile o che rimandino a

un determinato brand. Ciò che Divago prende di mira è l’idea del

video aziendale in sé, e tutte le aziende che decidono di usarlo

come mezzo di presentazione della propria identità. Ancora una

volta il brand leader nella distrazione si distacca dallo stereotipo

e dalla concezione di marca tradizionale, ma si proietta nel futuro

prendendosi gioco di tutto ciò che lascia dietro di sé.

Altra strategia attraverso cui Divago si presenta al pubblico

in maniera parodistica è proprio il modo in cui il brand entra

in contatto con i suoi potenziali clienti. È parte integrante del

progetto infatti anche l’ideazione di uno spazio espositivo ideale,

che trae ispirazione da due mondi completamente differenti:

lo store monomarca e lo stand fieristico. L’obiettivo iniziale era

quello di creare uno spazio che avesse le sembianze di un punto

vendita minimalista e moderno, sulla falsariga di un’identità à la

38


Apple. Per aggiungere tuttavia significato all’intera operazione e

mantenere la vena ludica che accompagna il progetto nella sua

interezza, questa aura minimale e asettica è stata affiancata a

un contesto molto diverso, ossia quello della fiera espositiva.

Da questa fusione nasce l’innovativo stand di Divago, ideato di

modo che possa essere osservato da ogni direzione, grazie alla

sua innovativa pianta a croce. I prodotti sono posizionati da soli

in ampi spazi bianchi, ma stavolta non su piani orizzontali, bensì

su pareti intersecanti rosse e bianche.

Quasi come si trattasse di un museo gli oggetti sono accompagnati

da targhette illustrative che ne descrivono funzionamento

e specifiche tecniche. A rinforzare la metafora dell’emergenza,

i prodotti sono esposti all’interno di cassette antincendio, con

tanto di vetro riportante il claim “in case of routine” e pittogrammi

esplicativi sul loro corretto utilizzo. La riappropriazione del

mondo di riferimento (vedi IV 1.2) è qui esasperata all’interno

di un’installazione che ricorda in tutto e per tutto una stazione

d’emergenza, dove avere accesso rapidamente a strumenti utili

per combattere non un incendio, ma l’altrettanto pericolosa

routine lavorativa. Ritroviamo dunque una doppia parodia per

quanto riguarda il piano espositivo, dal momento che Divago

non solo si prende gioco degli store tecnologici di alto profilo,

ma anche delle fiere di provincia.

L’azione compiuta dal brand risulta quasi senza precedenti

all’interno sia della scena critica (nell’ambito

dello speculative design) sia nella scena artistica

(riguardo l’area della performance art).

Unico precedente che possiamo ritrovare che abbia una certa

somiglianza con il padiglione espositivo di Divago è un’azione

intrapresa nel 2014 dal comico statunitense Nathan Fielder

all’interno della sua trasmissione “Nathan for You”. Il progetto

del comico è stato portato avanti con l’obiettivo di sondare i

confini legali della parodia e arrivare al limite del plagio, senza

tuttavia oltrepassare la linea. Il locale è stato allestito in pieno

stile Starbucks, copiando logo, colori e divise, unica differenza:

la presenza del termine dumb prima di Starbucks. Nathan Fielder

descrive l’operazione come una forma di performance art,

considerando il punto vendita una galleria d’arte e i prodotti

venduti le effettive opere d’arte. L’operazione ha contratto un

forte interesse da parte dei media e ha ricevuto numerose critiche

sia su giornali tradizionali, sia online. John Teti, redattore

per The A.V. Club in una review dell’episodio sottolinea come

l’operazione messa in atto dal comico non abbia effettivamente

un significato profondo alla base se non proprio quello che viene

ipotizzato dagli spettatori.

Anthony Dunne e Fiona Raby (2013) sottolineano come l’umorismo

giochi una parte fondamentale nel design speculativo, o

critico, e tuttavia ribadiscono anche come il continuo evidenziare

la vena umoristica di un progetto non faccia altro che abbassar-

39


↑ Fig. 6

40


↑ Fig. 7

41


lo da effettivo strumento di speculazione a elevata e pomposa

forma di intrattenimento. Una ratio 90% umorismo e 10% critica

effettiva è dunque da evitare per la riuscita di un progetto di

speculative design che possa portare questo nome.

Proprio per questo motivo Divago mantiene come punti cardine

realisticità e plausibilità in ogni manifestazione del brand,

che siano i prodotti o le campagne di comunicazione. La vena

umoristica è sempre presente, ma svelata quel poco che basta

per mantenere alta l’attenzione e lasciare intatta la tensione tra

realtà e finzione.

Come già detto in precedenza, l’ironia, protagonista di questo

capitolo, è uno strumento chiave della comunicazione sin dall’antichità.

Da sempre al centro di discussioni di filosofi e linguisti,

dell’ironia abbiamo diverse definizioni e diverse interpretazioni.

Per Freud per esempio l’ironia è semplicemente il dire il contrario

di ciò che si pensa realmente, facendo tuttavia intuire

all’interlocutore cosa realmente si stia pensando senza che ci

siano fraintendimenti; per Kierkegaard invece l’ironia sta nella

cesura del legame tra pensiero e parola.

Abbandonando tuttavia la strada dell’ottocento e delle elevate

discussioni filosofiche, è facile trovare dimostrazioni di ironia

in campi e tempi più simili ai nostri. L’ironia infatti, proprio per

questa sua dicotomia tra significato e significante, non è mai

stata reclusa a semplice veicolo per l’umorismo, ma ha sempre

portato con sé una vena di criticismo. Entrando nel mondo dell’ar-

te e del design è particolarmente facile individuare

questa vena critica man mano che si procede verso i

giorni nostri. Un artista che ha deciso di sfruttare al

massimo l’ironia nella sua produzione è Andy Warhol.

Il genio della pop-art ha usato per anni, come soggetto

principale delle sue opere, gli oggetti più iconici della

sua epoca, dalle bottiglie di Coca-Cola alle lattine di

zuppa Campbell. Questa scelta artistica ha posto il

pubblico davanti ad un bivio: cosa vuole comunicare

Andy Warhol con questa scelta? Criticare la società

dei consumi o esaltarla? L’ironia è certamente visibile

qualunque strada si scelga di percorrere: se si sceglie

infatti di credere che Warhol abbia messo in atto

una celebrazione della società a lui contemporanea

è innegabile notare come ironicamente l’artista abbia

deciso di esaltare non più la rarità e l’unicità, ma al

contrario, ciò che più di ogni altra cosa è comune e

disponibile per tutta la popolazione. Tuttavia quello

che più ci interessa in questo capitolo è la strada

opposta, la via della critica. Seguendo questa strada

l’utilizzo dell’ironia come arma nella pop art di Warhol risulta

altrettanto evidente e facilmente intuibile. Anzichè denunciare la

società rappresentando quanto i suoi prodotti siano negativi, ne

esegue quasi un’esaltazione, celebrandoli e rendendoli, appunto,

arte. Quello che vediamo nell’uso che fa Warhol delle sue opere è

↑ Fig. 8 Un esempio della critica

nelle opere di Warhol, in particolare

della zuppa Campbell, simbolo della

società dei consumi.

42


↑ Fig. 9

il modo di porsi all’interno del sistema dei consumi, producendo

merce che venga etichettata con un valore quantificabile, sminuendo

la natura stessa dell’arte e così facendo eseguendo una

critica essendo parte stessa del problema.

Non solo nella pop-art di Warhol però è presente questa critica

ironica alla società, restando infatti in Italia è facilissimo pensare

alle provocazioni di Piero Manzoni. Negli anni 60, mentre la popart

fioriva, il design d’autore iniziava ad aumentare la sua fama e

a settorializzarsi, esplorando nuovi territori d’indagine. Grazie poi

ad Ettore Sottsass le emozioni tornano ad essere i fondamenti del

progetto e una nuova via si apre nel mondo del design. “Ettore

Sottsass si è espresso senza mezze misure dichiarando, alla

fine degli anni Sessanta, che il design ‘è un modo per discutere

di società, politica, erotismo, cibo e persino di design. Alla fine,

è un modo per costruire una possibile utopia figurativa o una

metafora della vita’” (Antonelli, 2011). Nel ventennio tra gli anni

sessanta e settanta, con la corrente radicale, i confini tra design

e architettura iniziano a confondersi e al primo viene assegnato

l’onere di trasformare i modelli culturali, cosa che evidentemente

per l’architettura non era più possibile. La libertà e la leggerezza

progettuale che caratterizza questi anni, unite al neo-imposto

compito, portano il design ad elevarsi al livello successivo.

Negli anni a seguire l’approccio alla progettazione del radical

design non verrà abbandonato, ma anzi riuscirà ad espandersi

oltre i confini italiani. Per la prima volta nel 1999, all’interno

del libro Hertzian Tales di Anthony Dunne, viene nominato per

43


la prima volta il critical design. Un ipotetico critical designer è

un individuo che è allo stesso tempo amico di scienziati e ricercatori,

eroe per i consumatori e per tutti coloro che fruiscono

delle sue innovazioni e anche personaggio scomodo per politici

e industriali reazionari. Lo stesso Dunne e la sua partner,

professionale e romantica, Fiona Raby affermano la necessità

di muoversi oltre la progettazione unicamente di oggetti ideati

per il mondo di oggi, ma di guardare invece a scenari futuri e

plausibili e progettare avendo quelli in mente. È anche dato per

scontato come questo non possa accadere singolarmente per

mano del designer, ma sia altrettanto necessario ed anzi assolutamente

indispensabile l’aiuto da parte di collaboratori esterni

esperti in altri settori, dai professionisti in estetica e filosofia fino

a scienziati, biologi e medici.

È proprio a questo punto che Divago assume una forma e uno

scopo. Il brand è infatti indissolubilmente legato ad un messaggio

di trasformazione della società ed è facilmente identificabile

dunque come risultato finale di un processo di critical (o speculative)

design.

Tutto ciò che il brand è, viene veicolato a mezzo

ironico, dalla più profonda identità, fino alla sua

manifestazione fisica, ossia i prodotti.

L’ironia nel brand Divago non è utile unicamente ad accattivare

il pubblico e a renderlo parte attiva di un progetto. Presentando

i propri prodotti, Divago non solo presenta se stessa come un’azienda

leader nel settore della distrazione, ma presenta anche

lo scenario in cui l’azienda stessa è nata. La premessa iniziale

è molto simile al nostro mondo di oggi, la situazione che viene

descritta è quella di una società in costante movimento, in cui

i lavoratori sono metaforicamente incatenati alle scrivanie e

sommersi da un carico di stress ormai insopportabile. Divago

è deus ex machina all’interno di questa tragedia. Arrivando nel

posto giusto al momento giusto assume a tratti quasi un carattere

salvifico nei confronti della società. I prodotti di Divago

non hanno altra utilità se non quella di causare distrazione e

restituire uno spiraglio di spensieratezza in un mondo ormai al

confine con l’ossessione.

L’ironia in Divago, come già dichiarato in precedenza, non si

ferma tuttavia soltanto ad un livello materiale, ma è connaturata

nell’essenza stessa del brand. Ciò su cui Divago basa la propria

esistenza, oltre che poi anche la sua identità visiva, è il concetto

di emergenza. Mentre normalmente in una situazione di crisi

l’obiettivo è quello di rimanere il più concentrati possibili di modo

da superare l’ostacolo il più velocemente possibile, cosa succede

tuttavia quando l’emergenza è proprio l’eccesso di concentrazione,

di stress, di stimoli? Pur innestando nella sua essenza un

importante sfondo ironico, Divago si fa portavoce di un problema

che è della massima serietà. Da semplice azienda produttrice,

Divago diventa ambasciatrice della distrazione, portando avanti

44


un manifesto che inneggia alla libertà. Erede del design radicale

italiano degli anni ‘60 e dello Speculative/Critical Design dello

studio Dunne&Raby, in un atto di neo-futurismo il decalogo di

Divago rifiuta lo zeitgeist del mondo in cui si trova e cerca violentemente

di ribaltare la situazione. La presa di posizione del

brand è forte e ancora più forte è l’obiettivo che esso si pone di

raggiungere: rivalutare la distrazione.

LA DISTRAZIONE DIVENTA TANGIBILE

III 2

Nella sua natura di design fiction, Divago cerca di “provocare

in modo creativo, sollevare domande, innovare, investigare, [...]

fa uno sforzo di esplorare nuovi rituali di interazione sociale”

(J. Bleecker, 2009, p. 7). Il compito principale di un progetto di

design fiction è quello di generare idee o mondi che ancora non

sembrano possibili proprio per provocare un dialogo su quella

che è la situazione odierna o su quale potrà essere il nostro futuro.

Come descritto da Dunne e Raby in Speculative Everything:

design, fiction and social dreaming (2013), tre sono gli aspetti

caratteristici per far funzionare un progetto di questo genere: l’uso

della narrazione, i prototipi diegetici e il contesto. La narrazione

utilizzata (vedi IV 2) è basata sulla metafora dell’emergenza che

pone Divago come soluzione alla lotta contro la concentrazione

nell’ambito lavorativo, mentre la parte che riguarda l’importanza

del contesto, sia come esperimento che come riflessione sulla

società di oggi, verrà esposta nei capitoli a seguire. In questo

segmento dell’elaborato vengono analizzati i cosiddetti prototipi

diegetici, ovvero gli oggetti che Divago ha posto come elemento

del proprio atto speculativo.

Questi “intentional fiction objects” hanno il compito di rompere

i cliché visivi legati a narrazioni poste in un futuro più o meno

lontano, riuscendo a portare la mente degli spettatori ad immaginare

il mondo parallelo di cui essi fanno parte. I prototipi non

hanno necessità di funzionare ma devono essere sineddoche

fisiche, ovvero dettagli dell’immaginario che Divago è andato a

costruire. Gianfranco Marrone (2016) nell’analizzare le teorie di

Barthes, saggista e semiologo francese, riguardo il rapporto che

c’è tra gli oggetti e gli uomini, sostiene che per Barthes gli oggetti

hanno un proprio linguaggio e che, anche quando “si trovano lì

apparentemente per altre ragioni – mangiare, vestirsi, arredare,

giocare, spostarsi… –, [gli oggetti] hanno un più preciso scopo

sociale e antropologico: quello di essere mezzi di significazione,

[...] veri e propri testi”.

La presenza di prototipi diegetici è quindi fondamentale

nell’ecosistema di un progetto speculativo,

poichè nella comunicazione è importante essere

45


↑ Fig. 10

coscienti di quanto gli oggetti siano una parte della

molteplicità di linguaggi che “gli uomini utilizzano

per significare se stessi, la società e il cosmo”

(Marrone, 2016).

Introducendo quindi gli oggetti nella narrazione del tema di

Divago, essi non solo rafforzano il senso dell’intera operazione

speculativa, ma le donano nuovi significati che con altri linguaggi

non sarebbero veicolati. Un aspetto importante del processo di

ideazione e progettazione dei prototipi diegetici è stato misurare

in modo consapevole l’ambiguità provocata da tali oggetti in

modo da mantenersi sul filo del finto/reale.

Un esempio di design fiction, in cui l’ambiguità tra finto e reale

è molto forte è quello di Soulaje, un wearable per eutanasia auto-amministrata,

progettato da Design Friction. Questo studio

di Nantes è specializzato “nell’esplorazione di problemi legati a

cambiamenti sociali, culturali e tecnologici della nostra società:

attraverso la creazione di scenari speculativi che mettono in

gioco spazi, oggetti e/o servizi, l’obiettivo primario è quello di

creare punti di partenza per discutere di problemi importanti”.

La creazione di Soulaje era utile ad iniziare la conversazione

riguardo il tema dell’eutanasia in Europa, tema molto discusso e

controverso. Il progetto immagina che nel prossimo futuro, precisamente

nel 2021, ci saranno leggi che consentiranno la morte

auto-controllata e che quindi sarà necessario ideare prodotti di

questo genere che aiutino le persone ad attraversare tale procedura.

Il prototipo diegetico in questione, ovvero lo smartwatch con

fiala annessa di T61, sostanza per l’eutanasia ad uso veterinario,

ha un linguaggio estremamente contemporaneo, universalmente

comprensibile grazie all’utilizzo di un dispositivo a noi vicino ma

con caratteristiche tecnologiche avanzate.

46


Le sue sembianze aiutano quindi ad immaginare un dispositivo

di questo genere in un futuro molto più vicino di quello che si

potrebbe immaginare con la semplice descrizione verbale: l’oggetto

rende di fatto tangibile un’idea che alle persone appare

lontana o quantomeno improbabile.

Appurata l’importanza e il ruolo che questi prototipi svolgono

all’interno dell’intera operazione progettuale, i quattro prodotti

di Divago vengono di seguito presentati singolarmente, in modo

da approfondirne le singole caratteristiche, formali e di contenuto,

riuscendo così ad avere un quadro generale di ciò che ogni

prodotto aggiunge all’intera narrazione del brand.

DOPPIOCLIC

III 2.1

Doppioclic è il prodotto di punta dell’offerta di Divago. La sua

funzionalità e la sua ambiguità in quanto oggetto assurdo, o

comunque fuori dal comune, lo rende il prodotto esemplare

per la comunicazione del messaggio che Divago propone al

pubblico. La sua perfetta riproduzione di una classica penna

a scatto permette di sorprendere l’osservatore nel momento in

cui si accorge che è stata privata della sua funzione originaria di

penna, ovvero la scrittura, che è invece sostituita dalla funzione

secondaria del “clic”, da qui il nome del prodotto, sfruttando la

comune abitudine di abbandonarsi al fidgeting.

Il crescente trend degli ultimi anni di oggetti specifici per la

pratica del fidgeting, si pensi ai vari “fidget spinner” o “fidget

cube” in commercio, ha decisamente sollevato dubbi su come

gadget di questo genere riescano ad avere un successo così

grande nella nostra società. Probabilmente, come si legge in un

articolo di Marco Belpoliti (2017), scrittore e critico letterario,

“il segreto di ogni gadget [...] è quello di essere macchine

entropiche”, ovvero macchine che comportano

attività con un dispendio energetico senza scopo e

senza fine, se non il movimento stesso del gadget.

Questi gadget vengono comparati alle cosiddette “macchine celibi”,

termine inventato da Duchamp e ripreso da Michel Carrouges

per indicare macchine fantastiche del mondo della letteratura,

la cui finalità era proprio di essere inutili, incomprensibili, impossibili,

e persino deliranti. Doppioclic non è un vero e proprio

prodotto antiutilitario: in realtà viene semplicemente sostituita

la sua funzione principale con una secondaria, nascosta, rendendola

l’unica funzione possibile; il motivo dietro a questa

scelta progettuale è appunto quello di rendere la distrazione,

in questo caso rappresentata dalla pratica del fidgeting, l’unica

soluzione possibile.

47


MILLEBOLLE

III 2.2

Millebolle è la carta da parati firmata Divago e non è altro che

pluriball. Come anche per Doppioclic, nella progettazione di Millebolle

si è voluta sostituire la funzione primaria del pluriball, che

è comunemente un materiale per l’imballaggio ammortizzante,

con quella secondaria del fidgeting. È stata sfruttata la comune

abitudine a “scoppiare” le piccole bolle d’aria del materiale come

esempio tipico della perdita di tempo.

Ciò che vediamo in questo caso è un esempio di

iperbole, sia a livello concettuale (un materiale di

origine umile viene esaltato ad un ruolo più “nobile”

ed esteticamente gratificante come quello della

carta da parati), sia a livello fisico (l’esagerazione/

esasperazione delle dimensioni della superficie che

il pluriball va a coprire potenzia l’ironia del prodotto).

Divago non trasforma affatto il prodotto, che rimane, così come

sarebbe venduto in qualsiasi altro contesto, un semplice rotolo

di pluriball; tuttavia, collocandolo all’interno del proprio mondo e

presentandolo in una chiave diversa, in questo caso come carta

da parati, gli dona una nuova funzione.

Così facendo, l’oggetto si avvicina al mondo del ready made, in

cui non era importante tanto l’atto di creazione fisica, e quindi

l’oggetto in quanto tale, ma piuttosto il luogo di collocazione

dell’oggetto, in questo caso sia virtuale, ovvero lo spazio che

occupa all’interno dell’offerta del brand, che fisico, quindi nella

sua presenza all’interno dell’installazione di Divago.

PIOGGIATORE

III 2.3

Pioggiatore è il simulatore di pioggia per interni creato da Divago.

Partendo dalla situazione reale in cui ci si incanta a guardare la

pioggia che scende sulla finestra, è stato creato questo oggetto

particolare, che in un altro tempo avrebbe potuto fare la sua apparizione

nel Catalogue d’Objets Introuvables del 1969 di Jacques

Carelman. Nel mondo di oggi, oggetti di questo genere sembrano

meno assurdi, più verosimili, creando comunque sorpresa poiché

lontani dal nostro modo di vivere. La sua utilità e serietà all’interno

del mondo parallelo di Divago sono caratteristiche che in

questo mondo non solo non vengono percepite, ma veicolano le

sensazioni opposte, generando una sorta di scherno verso un

oggetto reputato così inutile.

Le stesse sensazioni le davano gli oggetti fantascientifici che si

trovano, ad esempio, in un film come Il Dormiglione di Woody

Allen: il regista, per rappresentare un futuro lontano, punta volutamente

all’antirealismo che sfocia nel ridicolo, basti pensare

alla “sfera” e all’orgasmatric, così come all’uso di alluminio da

cucina e alle costruzioni in cartongesso.

48


↑ Fig. 11

49


↑ Fig. 12

50


Il Pioggiatore è un oggetto sicuramente meno antirealista di quelli

del mondo creato da Allen, soprattutto vedendolo nel 2018 e non

nel 1973, ma ripropone un’idea simile di futuro, in cui l’utilizzo

della tecnologia sfocia nella risoluzione di problemi

secondari e a tratti ridicoli piuttosto che nell’impiego

di macchinari e soluzioni intelligenti.

Pioggiatore ha uno spirito simile alle Variations on

Normal di Dominic Wilcox, artista e designer inglese

che nel 2012 ha pubblicato il libro dal titolo omonimo

alle sue invenzioni, anche se lui preferisce definirle

come dei “giochetti visivi, o degli indovinelli che ci

danno un piccolo insight sul mondo che ci circonda”.

I suoi sketch non fanno altro che illustrare in modo

spiritoso dei possibili, seppure improbabili, oggetti di

uso quotidiano che vanno a rispondere al bisogno della

società di comprare prodotti per fare cose tipicamente

naturali, criticando come il capitalismo sfrutti problematiche

sociali per aumentare la nostra adesione

al folle consumismo del nostro tempo. Gli oggetti di

Divago aderiscono in un certo senso a questa retorica,

in quanto l’essere umano del XXI secolo necessita di

oggetti che lo inducano a distrarsi e a staccare dallo

stress della vita lavorativa, quando bisognerebbe invece

interrogarsi prima di tutto sul motivo per cui si è instaurata

una società di questo genere, trovare soluzioni al problema ed

evitare di correggere e ricorreggere errori collaterali.

↑ Fig. 13 Ne Il Dormiglione di

Woody Allen il protagonista si ritrova

catapultato in una società autocratica

vagamente ispirata ai libri di Orwell.

MOSCA

III 2.4

Mosca è l’oggetto che più di tutti incarna il lato provocatorio di

tutta l’operazione. Simulando un barattolo che tiene all’interno

una mosca viva, pronta per essere rilasciata e donare distrazione

all’utente, Mosca si propone come l’oggetto che genera più

curiosità tra tutti. Il dibattito che si crea, e si è creato, attorno

a questo prodotto (C’è davvero una mosca dentro? Ma come è

possibile?) è in realtà il vero prodotto.

Il possibile riferimento alla merda d’artista di Piero Manzoni è

quindi non solo di tipo estetico, poiché di fatto l’atto progettuale

consiste nel cambiare l’etichetta di un barattolo di un prodotto

già esistente, ma anche concettuale: la forza della merda d’artista

non era nella forma quanto nella sua capacità di creare dibattito,

di parlare di sé; parte della retorica dell’arte del Novecento,

in particolare del mondo del ready made, era proprio quello

di determinare il plusvalore di promozione e comunicazione

dell’opera. Divago ha sfruttato le caratteristiche di curiosità del

mondo del ready made per creare un prodotto che generasse

proprio questo: dibattito.

51


↑ Fig. 14

52


↓ Fig. 10

↑ Fig. 15

53


54


↑ Fig. 16

55




IN CASE OF ROUTINE

IV

UN’IDENTITÀ IN PRESTITO

IV 1

BRANDING SPECULATIVO

L’IDENTITÀ DI DIVAGO

IL VALORE DELL’APPROPRIAZIONE

IV 1.1

IV 1.2

IV 1.3

L’UFFICIO COME LUOGO/NON LUOGO

IV 2

IL LINGUAGGIO DI DIVAGO

LA STRATEGIA DI COMUNICAZIONE

IV 2.1

IV 2.2


UN’IDENTITÀ IN PRESTITO IV 1

BRANDING SPECULATIVO IV 1.1

Per la sua forza ed efficacia narrativa, la metafora dell’emergenza

non è stata limitata allo storytelling specifico alla campagna di

advertising, ma è stata integrata nella filosofia di Divago e, di conseguenza,

declinata in tutte le forme in cui si manifesta il brand,

diventandone parte fondamentale, se non addirittura principale.

Sebbene, come fanno notare Dunne e Raby in Speculative

everything (2013), la natura del conceptual design preveda la

celebrazione della propria irrealtà (e ciò li porti spesso a criticare

gli sforzi realistici di alcuni progetti) in certi casi costruire una

speculazione all’apparenza credibile la rende più accessibile; un

accenno di linguaggio familiare può spingere il pubblico ad accettare

più facilmente di rapportarsi agli scenari spesso assurdi

che vengono proposti.

Progettare un equilibrio tra sconcerto e credibilità

è quindi un aspetto importante del design speculativo;

Auger (2013) suggerisce che scenari troppo

familiari tendono a passare inosservati, ma d’altra

parte speculazioni eccessivamente provocatorie

possono generare repulsione.

Nel nostro caso gli “oggetti assurdi” progettati, che abbiamo

presentato nel dettaglio nel capitolo precedente, acquisiscono

una veste apparentemente credibile nel momento in cui viene

deciso di usare il linguaggio consumistico (uno dei ponti percettivi

di Auger è appunto la familiarità), ovvero renderli parte di

una linea di prodotti munita di marchio, packaging e campagna

pubblicitaria. Un coerente e comprensivo processo di brandizzazione,

in questo caso, è ciò che ha reso il progetto accessibile e

plausibile: inoltre non va dato per scontato che l’apprezzamento

estetico del progetto può essere in sé una spinta per il pubblico

a farsi coinvolgere nello scenario speculativo e, idealmente,

anche nelle tematiche discusse nel progetto.

Nel caso di Divago, tuttavia, l’identità corporate sviluppata dal

tema dell’emergenza non ha solamente un ruolo accessorio, bensì

è la componente principale che conferisce spessore di significato

e potenza comunicativa all’intero progetto.

Van Riel e Balmer fanno presente nel loro saggio Corporate

Identity: the concept, its measurement and management (1997)

come, a partire da Olins nel 1978 (seguito poi da altri colleghi),

59


il significato del termine “corporate identity” si sia allargato andando

ad abbracciare aspetti più ampi del design, arrivando ad

indicare la completezza delle modalità con cui un’organizzazione

rivela la propria identità. Ciò avviene attraverso molteplici

vie e manifestazioni, ognuna delle quali è valutata e giudicata

dall’audience: la personalità del brand, il suo comportamento,

la comunicazione interna ed esterna e, ovviamente, il sistema di

segni e forme che costituisce l’identità visiva.

Tuttavia, avendo affrontato approfonditamente in altri capitoli

la filosofia, personalità e strategia di comunicazione di Divago,

questa sezione dell’elaborato si concentrerà su quella che è definita

l’accezione originaria, più tradizionale, di corporate identity,

ovvero quella che si occupa di logo, palette colori e identità

visiva nel suo complesso (Van Riel & Balmer, 1997). Dopotutto,

la percezione visiva e sensoriale di un brand rimane un fattore

determinante e, sebbene non l’unico, uno dei più immediati

nella creazione dell’immagine che il pubblico ha dell’azienda.

Riconoscibilità e brand awareness sono tra i punti fondamentali

della costruzione e valutazione di un brand (anche se speculativo)

e sono direttamente influenzati, e facilitati, da un’identità

visiva memorabile e riconoscibile che inneschi associazioni

immediate alla compagnia (Wheeler, 2009).

L’IDENTITÀ DI DIVAGO

IV 1.2

Rendendo parte integrante del messaggio del brand il tema dell’emergenza,

sono risultati presto ovvi i vantaggi che il linguaggio

di emergenza correntemente in uso, nello specifico quello antincendio,

offriva al progetto. Trattandosi di un sistema di segni

pressoché universale, la cui grafica è progettata per catturare

l’attenzione ed essere inequivocabile e riconoscibile, sfruttarne

il linguaggio significa rendere la filosofia di Divago facilmente

interpretabile ed immediata.

Lasciando da parte per un momento i vantaggi puramente pratici

e grafici, vale la pena esaminare le motivazioni e le conseguenze

“ideologiche” di tale appropriazione.

Prima di tutto, questo sistema di segni è ormai talmente integrato

nel subconscio della società da risultare verosimilmente

senza rivali; sfruttarne la potenza semantica nel linguaggio di

Divago si è rivelato determinante per lo scopo, ovvero aumentare

nel pubblico la percezione del rischio contro cui si vuole

mettere in guardia. All’interno della speculazione, la serietà della

minaccia della routine in questo modo guadagna spessore, scopo

fondamentale della “sensibilizzazione” portata avanti dal brand.

In secondo luogo, il linguaggio di emergenza è, per natura, uno di

quelli che ispira più affidabilità e fiducia e la traslazione di questi

valori all’interno della filosofia di Divago conferisce al brand

un aspetto di altrettanta serietà. Ovviamente l’appropriazione

di questo linguaggio per trattare un tema ordinario, come può

60


essere lo stress da ufficio, è un gesto iperbolico e fortemente

ironico, e ciò risulta evidente tanto al pubblico esterno quanto

ai progettisti.

Tuttavia, sebbene l’ironia sia palese dall’esterno,

all’interno dello scenario speculativo in cui vive Divago

tale linguaggio è utilizzato in maniera seria; in

quel mondo parallelo in cui i prodotti hanno preso

vita, la minaccia della routine è effettivamente diventata

paragonabile a quella di un incendio.

L’atto di appropriazione effettuato produce un duplice effetto:

traslando su una nuova realtà fortemente dissonante il linguaggio

di emergenza dei sistemi antincendio, questo perde necessariamente

parte della sua autorevolezza, ma allo stesso tempo

aumenta esponenzialmente la credibilità del brand Divago e la

vitalità ed urgenza dei suoi servizi.

Avendo giustificato la nostra scelta, possiamo ora soffermarci

ad analizzare più nel dettaglio i principali elementi del sistema

di segni di cui ci siamo appropriati. Partendo da uno degli aspetti

più prevedibili, la scelta della palette cromatica di Divago è

semplice ed ovvia; il colore notoriamente stimola associazioni

mentali immediate e, come è già ben impresso nel sistema di

segni verosimilmente universale a cui facciamo riferimento, il

colore legato al mondo dell’emergenza è da sempre il rosso, in

particolare per quanto riguarda il linguaggio antincendio. Come

stabilito dalla Norma UNI EN ISO 7010, tutti gli sfondi di sistemi

di emergenza e segnaletiche connesse sono rossi (RAL 3000);

mentre testi e simboli sono bianchi (RAL 9003); la palette è stata

ottenuta da una leggera rielaborazione di questi due colori e

dall’aggiunta del nero.

Meno scontata è invece la scelta di un materiale che dà un tocco

in più all’identità visiva di Divago, oltre che ad una coerenza

che accomuna visivamente i packaging, seppur diversi per ogni

prodotto: l’acetato. Per evidenti ragioni pratiche ed estetiche

l’appropriazione del “vetro” delle cassette antincendio (costituito

da lastre Safe Crash realizzate in Blindo light) non è stata fedele;

tuttavia la scelta di usare lastre trasparenti in acetato, se da

una parte conferisce uno stile più pulito e meno tecnico, evoca

altrettanto efficacemente l’immagine della lastra di vetro appartenente

a quel sistema di segni. L’utilizzo di questo materiale nei

packaging mira a conferire un aspetto professionale e specialistico,

oltre che una sensibilità estetica tipica dei grandi brand.

Andando più nel merito grafico troviamo sia un elemento visivo

principale, che funge da marchio insieme al logotipo “Divago”,

sia un sistema di grafica di supporto composto da pittogrammi.

Un simbolo dovrebbe incarnare la mission del brand e, in questo

61


↑ Fig. 17

62


caso, l’elemento grafico che riassume l’interezza di Divago è il

crash; uno dei simboli universali collegati al mondo dell’emergenza,

inequivocabilmente evoca il gesto associato alla rottura

del vetro delle cassette e trasmette l’idea del sollievo istantaneo

e dell’immediatezza dei prodotti Divago. Tuttavia nel nostro caso

non è più usato in senso letterale e pratico come nei sistemi di

emergenza, ma viene astratto a simbolo evocativo di un mondo.

Condividendo, infine, la linea di pensiero che sostiene che la dimensione

del suono stia rapidamente guadagnando importanza

e diventando la nuova frontiera della brand identity, vale la pena

sottolineare come lo stesso simbolo sia in grado di coinvolgere

una pluralità di sensi, tra cui l’udito, evocando il rumore del

vetro spezzato. Il marchio di Divago rivela, così, una ricchezza

sensoriale e simbolica degna di nota.

In secondo luogo, per emulare l’autorevolezza della segnaletica

di emergenza e l’attendibilità dei dispositivi rappresentati, abbiamo

tratto ancora ispirazione dalla Norma UNI EN ISO 7010

per la realizzazione della grafica di supporto:

“La necessità di trasmettere informazioni in materia

di sicurezza con un sistema che, per quanto

possibile, non faccia ricorso all’utilizzo di testi e sia

facilmente comprensibile, ha spinto alla normalizzazione

di segni grafici [...] con l’obiettivo di utilizzare

solo quelli con il più alto grado di comprensione”.

(IAPIR sas, 2012)

Se da una parte, ancora, prendiamo in prestito queste linee guida

per dare una parvenza autorevole alla nostra identità, dall’altra

è evidente l’ossimoro di progettare pittogrammi universalmente

comprensibili per oggetti assurdi che non fanno parte di un

immaginario collettivo.

Per completare questa panoramica dell’identità grafica realizzata

è doveroso citare il carattere tipografico scelto. Nel nostro

caso il sans serif per eccellenza, Helvetica Neue, si è rivelato

la migliore scelta per il linguaggio neutrale, tecnico e “spoglio”

del mondo di riferimento. Anche il suo essere eccessivamente

inflazionato, come alcuni sostengono, lo rende adatto al nostro

scopo: la realizzazione di un’identità sì efficace, ma con un tocco

volutamente monotono e meno ricercato, per mimetizzarsi nel

mondo della silenziosa grafica segnaletica senza eccessive pretese

estetiche. Inoltre, la scelta si è basata nel rispetto dell’ormai

già citata Norma UNI EN ISO 7010, che lo individua come carattere

tipografico standard da usare nella segnaletica antincendio.

63


IV 1.2

C

ELEMENTI DI IMMAGINE COORDINATA


IV 1.2

D

ELEMENTI DI IMMAGINE COORDINATA


IV 1.2

E

SISTEMA DI PITTOGRAMMI


IV 1.2

F

ELEMENTI DI PACKAGING


IV 1.2

G

PACKAGING DOPPIOCLIC


IV 1.2

H

PACKAGING MILLEBOLLE


IV 1.2

I

PACKAGING PIOGGIATORE


IV 1.2

J

PACKAGING MOSCA


IL VALORE DELL’APPROPRIAZIONE

IV 1.3

Pur essendo fortemente ispirata e legata al linguaggio degli

impianti antincendio, l’identità di Divago non è il risultato di una

mera copia o parodia, bensì di un’attenta appropriazione di un

linguaggio quotidiano.

Come viene spiegato nel saggio di Bar, Pisani e Weber

(2016), ciò che distingue l’appropriazione da una

semplice adozione è un processo di rielaborazione

e rinegoziazione creativa in cui gli utenti prendono

qualcosa di esterno e lo fanno proprio.

Questo è ciò che è stato fatto nel progetto di Divago e quello

che ne consegue sono un tono ed un’estetica sempre funzionali

e pratici, ma leggermente più sofisticati.

Non è tuttavia la prima volta che linguaggi visivi quotidiani e

“bassi” vengono sfruttati in grafica e, a questo punto, può valere

la pena fare una digressione sul tema. Tra gli anni ‘80 e i primi

2000, nell’anarchia grafica “senza più regole” (Poynor, 2003)

del post-modernismo, prende forma una tendenza interessante:

quella dell’appropriazione . Se nei primi anni questa si manifesta

prevalentemente come un continuo rifarsi a (o addirittura

clonare) i grandi del primo ‘900, basta aspettare qualche anno

perchè Tibor Kalman rivolga lo sguardo, invece, verso

il basso, alle culture visuali “vernacolari”. Fonte di

ispirazione diventano, così, le strade con la loro innocenza

autoctona: dall’insegna del negozio all’angolo

alla pompa di benzina, passando ovviamente per il

menù della tavola calda.

Riteniamo che sia ancora presente nella nostra cultura

quello che Sergio Polano e Pierpaolo Vetta (2002)

definiscono una “forte attrazione per il vernacolare [...]

soprattutto nelle accezioni più caserecce e artigianali,

con un’intensa fascinazione recente per gli aspetti

aprogettuali” (basti pensare alla rapida ri-ascesa del

cult of ugly nella grafica contemporanea) e, sebbene

il linguaggio visivo dei sistemi antincendio sia sistematico

e tutt’altro che casuale, mantiene comunque

quel fascino anonimo e umile del design senza designer

che passa inosservato nella vita di tutti i giorni.

Per quanto pretestuoso possa sembrare il paragone, il

vernacolare degli anni ‘70 e ‘80 non a caso fu una delle

espressioni di ribellione dei giovani che, rendendosi

conto del potenziale alienante della crescita tecnologica,

volevano sovvertire le regole e rimpossessarsi

del proprio tempo. In quegli anni si parlava prevalentemente

di vernacolare puro; Divago fa invece parte

del vernacolare progettato, il cui nome contraddittorio indica

quei lavori che si ispirano ad una realtà urbana o popolare, ma

↑ Fig. 18 L’approccio progettuale di

Tibor Kalman fu sempre anticonvenzionale,

guidato da uno spirito tanto

infantile quanto critico ed intelligente.

Ciò che, ancora oggi, rende

inconfondibili i suoi lavori è il loro

sapore vernacolare, quasi amatoriale,

che con tanta forza si voleva opporre

al freddo modernismo aziendale.

72


attraverso una rielaborazione, producono un linguaggio nuovo

e attentamente progettato, tutt’altro che vernacolare. Ci piace

pensare però che Divago, nel suo scenario fin troppo plausibile,

faccia anche solo in parte eco a quella lotta.

L’UFFICIO COME LUOGO/NON LUOGO IV 2

Annette Simmons (2007) suggerisce che l’obiettivo delle aziende

deve essere quello di attivare l’immaginazione dei clienti, in

modo da stabilire un contatto emotivo in cui i consumatori si

possano identificare. Lo storytelling di un brand deve essere

fatto di rappresentazioni, testuali, visive e sonore, che puntino

a stabilire immediatamente un contatto profondo con chi sta

cercando di raggiungere.

Nell’intento di portare il proprio messaggio, quasi venisse da

un mondo futuro, Divago si traveste da classica corporation,

adottandone le modalità espressive, proprio per cercare di dare

una veste familiare ad un contenuto surreale. La plausibilità del

brand viene appunto sostenuta dalla perfetta emulazione di un

linguaggio, visivo e non, con cui le persone sono abituate ad interagire.

Solo in un secondo momento, quando ormai è svelata

la natura di fiction dell’intero progetto, viene percepita la sottile

dimensione parodistica del mondo da cui Divago attinge.

La pubblicità, intendendola come è descritta nell’Enciclopedia

Treccani, “una tecnica di comunicazione intenzionale, persuasoria,

di massa, finalizzata, attraverso una serie di strumenti e

strategie, alla commercializzazione di prodotti e servizi”, è uno

dei tratti maggiormente distintivi dell’epoca in cui viviamo: essa

rappresenta il rumore di fondo della nostra società, fino a che

non diventa “martellante, invadente, colonizzatore di ogni spazio

e di ogni relazione sociale” (Cremonesini, 2016, p.88).

La metafora dell’emergenza risulta, come per l’identità visiva

esposta nel capitolo precedente, un ottimo alleato per aumentare

la credibilità della minaccia della routine che Divago vuole

comunicare al suo pubblico. Il concept per la comunicazione

sfrutta la potenza semantica del linguaggio dell’emergenza ma

rielaborata, adattata ai propri scopi e sostenuta da un’ironia di

fondo che permea nel linguaggio, sia testuale sia iconografico,

instaurato dal brand. La pubblicità è per Divago lo strumento

che fa da ponte tra la costruzione di un brand che finge di avere

una propria storia e un proprio mondo solido alle spalle, e il vero

obiettivo del progetto speculativo: la promozione di un pensiero

piuttosto che la vendita dei prodotti.

Infine, è importante ricordare come la pubblicità faccia parte di

un sistema di corrispondenze coerenti tra loro che, se sfruttata

al meglio, rende solida l’intera operazione speculativa. Infatti la

pubblicità “chiude il cerchio dell’universo discorsivo che un’azienda

attiva attorno al suo core business” (Cremonesini, 2016).

73


IL LINGUAGGIO DI DIVAGO

IV 2.1

La campagna di advertising è stata progettata sulla base di tre

elementi principali: il copywriting, l’immagine e colore.

Si è scelto di parlare al pubblico con frasi brevi che nascessero

dalla declinazione del claim principale “in case of routine” in

cinque headline differenti: in case of terrible mondays, in case of

stressful bosses, in case of boring documents, in case of coffees

that suck e in case of annoying colleagues. Tutti i copy fanno riferimento

a situazioni lavorative stereotipate ed esasperate, facendo

leva sulla negatività che ne consegue per invogliare il pubblico

a scoprire quale sia la soluzione presentata. La comunicazione

punta quindi su emozioni universali e non fa mai riferimento ai

prodotti, in modo da aumentare la curiosità ed il mistero che

aleggia attorno ad una retorica d’emergenza.

L’elemento testuale è stato il primo passo verso la formazione

di un linguaggio più complesso, il cui livello successivo è rappresentato

dalla costruzione di immagini che esaltino ciò che

viene per ora comunicato solo a parole.

Per quanto riguarda le immagini, è stato fondamentale fare ricerca

su quali elementi iconografici sarebbero stati necessari

per comunicare nel modo più universale possibile quelli che

sono gli ambienti di lavoro odierni, e allo stesso tempo veicolare

le sensazioni di noia e stress che Divago punta a combattere.

Come reference dal mondo della fotografia sono stati presi in

considerazione le fotografie di Lars Tunbjörk, fotografo svedese,

in particolar modo la sua serie del 1997 Offices, che raccontano

in modo forte e a tratti teatrale i luoghi di lavoro nella loro

dimensione iconica, ovvero quella dei cubicals americani degli

anni Ottanta e Novanta.

Il set è stato costruito cercando di realizzare scenari lavorativi

tanto stereotipati da risultare avulsi dal tempo stesso, appartenenti

ad una dimensione altra dominata unicamente dalla produttività

e dalla concentrazione. L’ufficio rappresentato è identificabile

in un ufficio qualsiasi, senza nome, il più vicino possibile

alla sua idea astratta. A tale scopo sono state allestite delle scrivanie

adornate da oggetti di scena esclusivamente unbranded,

anonimi, privi d’animo tanto da poter generare nel pubblico un

sentimento di identificazione totale di se stessi nella propria realtà

quotidiana. Un point of view quasi soggettivo, in prima persona,

ha reso possibile tradurre la sensazione di isolamento che

la routine è capace di evocare, attraverso la creazione di confini

immaginari che suggerissero l’idea che non esista il mondo oltre

l’atmosfera lamentosa della scrivania disordinata. Le immagini

non fanno esplicitamente riferimento ad alcuna epoca, paese o

cultura, se non per alcuni elementi, come ad esempio il telefono

fisso, di cui spesso si intravede il filo nero, tipico degli anni ‘90.

Nella postproduzione delle immagini si è deciso di mantenere

l’atmosfera il più neutrale possibile, giocando esclusivamente

sulla luce bianca, in modo da accentuare la sensazione di “luo-

74


↑ Fig. 19

go/non luogo” già data dalla presenza dei confini in cui le azioni

degli attori sembrano quasi costrette. L’anonimato che pervade

tutti gli elementi di scena si estende anche all’identità dei

personaggi, di cui si vedono solo le mani o al massimo la nuca,

quando, disperati, poggiano la testa sulla tastiera.

Pensando alla strategia di comunicazione, di cui parleremo nel

paragrafo seguente, era importante tradurre in modo coerente

le immagini in un prodotto audiovisivo. Le caratteristiche visive

e concettuali dell’identità di Divago avevano necessità di

essere tradotte in azioni, così da ampliare il linguaggio visivo

che sarebbe poi stato utilizzato nella campagna di advertising.

L’epicentro dell’esasperazione della routine viene qui tradotto

attraverso l’utilizzo della ripetizione, che riesce a comunicare

la sensazione di fastidio e contemporaneamente ad aumentare

la tensione. L’atmosfera dei video è espressamente infelice,

veicolata sia dalla luce neon, tipica degli spazi lavorativi, sia dal

silenzio interrotto solamente dal suono seccante delle azioni di

routine. Per risultare coerente con l’immaginario visivo costituito

fino ad ora dall’elemento fotografico prima descritto, si è

scelto di mantenere il point of view soggettivo e un’inquadratura

75


↑ Fig. 20

76


↑ Fig. 21

77


molto stretta, mantenendo il focus sulle singole azioni, dando

informazioni sul mondo esterno solo attraverso piccoli indizi.

La tematica del suono risulta però quella più interessante, in

quanto costituisce l’unico elemento distintivo di questa parte del

linguaggio: la dimensione che assume è amplificata, tipica delle

scene cinematografiche in cui si vuole veicolare la sensazione di

isolamento rispetto al fastidioso mondo esterno.

L’obiettivo è quello di ottenere un suono vivido nell’orecchio di

chi ascolta, in modo da immedesimarsi il più possibile nel circolo

vizioso della routine. Ed è così che ogni gesto dell’attore,

dapprima guidato da automatismi, diviene nevrotico e stressato,

in un escalation di suoni e inquadrature sempre più fuggevoli,

concluse da un fragoroso pugno dato alla tastiera del computer.

Un fischio sordo accompagna le scritte finali su sfondo nero, a

indicare lo stordimento che la routine è in grado di generare nel

lavoratore.

Altro elemento su cui è interessante soffermarsi è il colore, che

ha giocato un ruolo importante per la comunicazione, vestendo

il ruolo di spartiacque temporale all’interno della campagna di

advertising. Si è scelto di utilizzare il nero, in opposizione al colore

rosso brillante dell’identità visiva, in modo da non rivelare

quale fosse la soluzione proposta alla routine e identificando così

tutta la comunicazione pre-evento. La componente di mistero,

per sua natura, è in grado di generare interesse nel pubblico,

↓ Fig. 22

78


coinvolgendolo attivamente nella ricerca del suo svelamento

(Ford, Green & Jenkins, 2013). L’intera campagna promozionale,

sebbene qui fosse progettata per pubblicizzare l’evento presso

il BASE Milano, dove Divago è stato esposto, è potenzialmente

applicabile a qualsiasi finalità promozionale del progetto. Non

rivelando minimamente Divago, ma invece provocando (ancora

una volta) il pubblico, ritraendo la sua vita quotidiana e perciò

colpendolo nel personale, è stato possibile aumentare il carico

ironico dell’operazione. L’attesa di una risposta all’interrogativo

posto dalla campagna di advertising, infatti, non ha fatto altro

che rendere ancora più surreale lo svelamento del progetto, sottolineando

l’ovvia spaccatura tra aspettativa (la soluzione alla

routine) e la realtà: Divago.

LA STRATEGIA DI COMUNICAZIONE

IV 2.2

Uno degli obiettivi era quello di costruire attorno al brand una

comunicazione forte, in particolar modo con l’obiettivo di pubblicizzare

l’evento che si è tenuto il 2 marzo 2018 presso il BASE

Milano, che avrebbe costituito l’evento di lancio del progetto.

Per questo motivo la strategia di comunicazione si è basata,

come visto nel paragrafo precedente, sul catturare l’attenzione

del pubblico attraverso la curiosità, il mistero, cercando di fornire

una storyline intrigante, universalmente condivisa, che puntasse

tutta l’attenzione sul grande punto interrogativo in questione,

ovvero i prodotti. Si è scelto infatti di tenere nascosti il più

possibile i tratti significativi dell’intera identità visiva, come ad

esempio il colore rosso (utilizzandolo esclusivamente per i copy

sui manifesti come piccolo indizio) oppure il simbolo del crash.

Il piano d’azione che è stato seguito per la campagna di advertising

doveva rispondere ad un obiettivo principale, ovvero quello

di essere contemporaneamente coerente con gli obiettivi di un

progetto speculativo, ma anche con l’identità che è stata cucita

sopra a Divago, ovvero quella della corporation tradizionale.

I livelli su cui la comunicazione si è mossa sono due: online e offline.

Per quanto riguarda la comunicazione offline si è deciso di

combinare i copy e le fotografie in una serie di cinque manifesti

70x100: ogni manifesto rappresenta una delle storyline riguardanti

la routine d’ufficio di cui abbiamo parlato precedentemente;

la parte testuale viene qui inserita all’interno della fotografia

in una sorta di etichetta, in modo da ottenere un risultato visivo

molto tecnico, pienamente in linea con l’intera identità del brand,

ricordando quello dei cartelli di emergenza e dei prodotti che

verranno svelati all’evento. Alcune cartoline raffiguranti i quattro

prodotti di Divago, sono state utili per emulare la classica comunicazione

tipica da stand fieristico delle aziende.

Per la comunicazione online si sono voluti sfruttare i due canali

principali di comunicazione, ovvero Facebook e Instagram.

Facebook è stato scelto in particolar modo per il suo carattere

universale, popolare, motivo per cui è diventato il principale ca-

79


nale di comunicazione online delle aziende, tradizionale e non.

È stato creato un evento sulla piattaforma che è anche servito

come spazio per pubblicare il teaser video. Su Instagram si è

invece deciso di creare una serie di post sponsorizzati, divisi tra

comunicazione pre-evento e post-evento. I post pre-evento ovviamente

riportavano i cinque copy ideati per la campagna su

sfondo nero, mentre quello post-evento rivelavano il colore rosso

oltre al claim principale del brand, ovvero “in case of routine”.

80


↑ Fig. 23

81


↑ Fig. 24

82


↑ Fig. 25

83


↑ Fig. 26

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↑ Fig. 27

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↑ Fig. 28

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87



89


PERFORMANCE ED EFFETTI SUL PUBBLICO

V

IMPORTANZA DEL CONTESTO

SPAZIO DI DECONTESTUALIZZAZIONE

E RICONTESTUALIZZAZIONE

RECIPROCA DIPENDENZA

TRA PUBBLICO E CONTESTO

V 1

V 1.1

V 1.2

LA PERFORMANCE A BASE MILANO

V 2

L’ESPERIENZA ALLA DESIGN WEEK 2018

V 3

90


IMPORTANZA DEL CONTESTO

SPAZIO DI DECONTESTUALIZZAZIONE

E RICONTESTUALIZZAZIONE

V 1

V 1.1

“Cos’è un contesto? Esiste un contesto che abbia una sua connotazione

di identità costruita a prescindere da un osservatore

e un’attività presente al suo interno? La risposta è certamente

no; un contesto è molto più di un dato ambiente fisico” (Restori,

2011). Come spiega infatti l’autore, il contesto risulta essere costituito

da una molteplicità di fattori che influiscono sulla percezione

finale da parte dell’osservatore: relazioni spaziali, temporali

e culturali, che unite insieme concorrono alla trasmissione di un

messaggio stabilito.

Un’unità comunicativa che prende origine dalle scelte e dai modelli

mentali dei comunicatori, che riescono tuttavia a controllare

soltanto una delle due estremità del processo percettivo. Se

infatti è possibile progettare e definire la situazione di partenza

entro cui si troverà ad agire un preciso atto comunicativo, risulta

d’altro canto molto più complesso gestire i vincoli che andranno

a generare il risultato finale. Ogni circostanza in cui si verifica

un’attività generica deve essere pertanto interpretata e messa

in relazione con tutti gli altri elementi che partecipano alla definizione

del contesto globale.

Il contesto è determinante nella generazione del

senso, come suggerisce A. Restori in Attenzione

sensibile al contesto, per una formazione attenta al

tema della consapevolezza (2011): “Senza l’identificazione

del contesto non si può capire nulla […]; è

la matrice dei significati”.

Spingendosi oltre, si può parlare di contesto intendendolo come

una categoria della mente: quando infatti si cerca di dare significato

a un’esperienza o a una storia che prende piede, si compiono,

spesso in modo inconsapevole, connessioni e legami tra

parti (Restori, 2011).

Questa puntuale relazione reciproca tra l’attività, in questo caso

artistica, e il contesto non indica il semplice rapporto di contiguità

dell’opera con il luogo che la ospita, ma la manifesta volontà

del comunicatore di incontrare le specifiche del luogo, inteso

come spazio di decontestualizzazione e ricontestualizzazione.

Ecco quindi che l’opera “Fontana” di Duchamp rivela il proprio

significato solo dopo essere stata contestualizzata; un oggetto

91


preso dalla propria ubicazione di partenza, capovolto

e ricollocato all’interno di un ambiente che favorisce

la fruizione dell’opera, assume nuove valenze.

Da luoghi di una mera sacralizzazione della merce

artistica verso luoghi della vita, dell’incontro e della

riflessione: contesti che non rappresentano più soltanto

un palcoscenico espositivo, ma che intaccano

alla base la comunicazione di qualsiasi opera. È in

questo scenario che si inserisce anche Divago, caratterizzato

da una certa flessibilità nell’applicabilità a

diverse situazioni reali. Sebbene, infatti, è ben chiaro il

messaggio che, a livello progettuale, ha accompagnato

questo fictional brand sin dall’inizio, nel momento in cui

viene collocato in contesti reali e pubblici, la filosofia

portata avanti può essere delle volte esaltata, delle volte

modificata, o, infine, incompresa. E il processo non è

solo quello che va dall’idea al prodotto, ma soprattutto

quello che dal pezzo fisico arriva alla sua percezione

da parte dell’osservatore (Dardi, 2016). Durante la fase

di progettazione è fondamentale un lavoro di lettura

critica, portato avanti ipotizzando uno scenario che, finché non

viene realizzato concretamente, non risulta del tutto prevedibile.

Ecco quindi che in Divago viene generato e alimentato un continuo

scambio di piani, tra fictional brand e messa in scena reale;

uno scarto logico, a volte non troppo intuitivo, che porta spesso, in

un’ottica esterna, a destabilizzazione o, contrariamente, a entusiasmo.

Il messaggio veicolato circa la positività della distrazione

e la sua necessità in un contesto odierno è stato interpretato in

una molteplicità di modi, a seconda del momento, della situazione,

e anche della forma mentis dell’individuo. Una commistione

di elementi, dalla forte concettualità dei prodotti sviluppati fino

ad arrivare al tone of voice con cui lo stesso brand si comunica:

Divago vuole far diffondere il suo messaggio sociale con ironia

e arguzia e, come verrà approfondito più avanti, la natura delle

riflessioni ottenute è decisamente influenzata da come esso

decide di porsi dinanzi agli occhi del pubblico.

↑ Fig. 29 Datata 1917, Fontana è

un’opera realizzata dall’artista Marcel

Duchamp, consistente in un comune

orinatoio firmato “R.Mutt”.

Il termine ready made, con cui si è

solito identificare questo tipo di produzione

artistica, indica un oggetto

di uso quotidiano, decontestualizzato

e elevato a opera d’arte.

L’artista non crea nulla, si occupa

di ricreare qualcosa di nuovo. Viene

considerata una delle opere più

influenti del XX secolo.

RECIPROCA DIPENDENZA

TRA PUBBLICO E CONTESTO

V 1.2

Parte complementare, legata all’esistenza di un dato contesto

considerato, è la presenza di un pubblico che ci interagisce,

fruendone i contenuti. È proprio nel momento in cui il soggetto

entra in contatto con una determinata attività che produce informazioni,

che si riversano poi sul comunicatore.

Ciò che viene a crearsi è quindi uno spazio comunicativo e culturale

in cui il rapporto tra l’uomo, lo spazio in cui si trova e

l’opera considerata vengono tenuti saldamente insieme dall’aspetto

performativo in tempo reale. Il rapporto di comunicazione,

come sostiene Lotman (1975), avviene secondo un meccanismo

92


IO-EGLI: basato su una forte dinamicità e scambio continuo, un

soggetto della trasmissione (IO) che possiede una data informazione

la pone al destinatario (EGLI), che aspetta di ricevere

il messaggio. Un processo di codifica e decodifica che pone

una riflessione al servizio di tutti: l’incontro di soggetti diversi

in un luogo predefinito genera un sistema di premesse, bisogni

e attese sicuramente differenti.

Quando, in Verso un’ecologia della mente, Bateson parla del

sistema individuo-ambiente si riferisce ad un contesto dove

individuo e spazio sono in una relazione caratterizzata da una

costante posizione riflessiva l’uno con l’altro (citato in Restori,

2011). Continuo scambio ben visibile in Divago: la forte componente

di analisi e di considerazioni oltre ciò che risulta visibile

porta l’utente ad un’insistenza nell’osservazione del progetto,

al porsi dei dubbi che vengono svelati e approfonditi andando

sempre più in profondità. Gli oggetti esposti del brand, a loro

volta, si fanno portatori di significati, e vengono percepiti secondo

modalità lievemente differenti, in base alla loro ubicazione:

in una determinata situazione l’accento può essere posto sul

prodotto in sé, mentre in altri casi è l’apparato comunicativo ad

essere preponderante.

LA PERFORMANCE A BASE MILANO

V 2

Il primo approccio concreto di Divago che viene preso in considerazione

è un evento di multidisciplinary design tenutosi presso

BASE Milano il 2 marzo 2018. In un contesto che ha visto la

presenza di 12 installazioni comunicative, interattive e speculative,

Divago si è presentato come un brand reale, con uno stand

dedicato alla sua pubblicizzazione e il proprio team in divisa a

servizio del pubblico.

E come afferma G. Innella, “Il risultato è che non

c’è più contesto e oggetto, ma una cosa sola, che è

quello che in realtà viene consumato” (Dardi, 2016).

Questo è quello che il designer individua criticamente come uno

dei punti fondamentali per la buona riuscita di un atto di design,

basato su comunicazione e trasmissione di informazione.

Un contesto fortemente interattivo, che ha portato le persone a

vivere Divago in prima persona, tra incertezze, ilarità e riflessioni.

Ed è la stessa formazione e inclinazione personale a giocare un

ruolo preponderante: il background culturale di ciascuna persona

indirizza l’attenzione verso determinati dettagli percettivi

su cui focalizzarsi.

93


↑ Fig. 30

Come afferma infatti Bateson (1976), “Risulta sempre difficile

sviluppare una posizione estetica capace di sviluppare sensibilità

al contesto. Il modo di approcciare la conoscenza procede

tendenzialmente in modo non consapevole, orientato a finalità

predefinite del nostro sistema di premesse. Si dà significato alle

cose che accadono, essendo condizionati da finalità che rispondono

a logiche lineari, prestando attenzione solo ad archi di circuiti

del mondo vivente, secondo la propria attenzione selettiva”.

Un contesto, quello di BASE Milano, di partenza mutevole e

flessibile, che si adatta alle diverse rassegne accolte come un

grosso contenitore, mettendo in forte risalto e in primo piano

ciò che è contenuto all’interno: una serie di progetti universitari

che partendo da un brief molto libero hanno dato luogo alle più

disparate tipologie di risultati, inseriti in uno scenario costituito

perciò da un numero di postazioni molto diversificate tra loro

dal punto di vista dell’esperienza fornita.

Per l’occasione Divago ha sviluppato un ampio spazio espositivo

orizzontale su cui sono stati posti i quattro prodotti, ciascuno in

una propria area definita e corredata di spiegazioni e video che

ne illustravano il funzionamento. La possibilità di interagire con

i prodotti, tra cui samples di pluriball Millebolle da scoppiare e la

possibilità di utilizzare Doppioclic, hanno permesso agli utenti di

entrare in pieno contatto con l’universo del brand.

Curiosità e stupore sono state le reazioni più diffuse tra chi interagiva

con l’installazione. Il team Divago, coordinato internamente

da una divisa specifica e in linea con il brand, in tutta la serietà

94


della finzione portata avanti, si è occupato di esplicare funzionamenti

e scopi di ciascun componente della linea di prodotti.

Ecco che, al contesto di partenza sperimentale che caratterizza

l’evento, se ne è andato a sovrapporre un altro, comunicativo

e concettuale, costituito dall’immaginario creato da questo fictional

brand, generando uno slittamento continuo tra un piano

reale e uno mentale. Ciò che più è da valutare come la prova

della totale confusione di livelli logici, derivata dalla situazione,

è stato il considerare Divago, da parte di alcune persone, come

sponsor ufficiale dell’evento, anziché come progetto universitario,

innalzandolo ulteriormente e provando la sua estrema coerenza

e forte identità.

L’aspetto comunicativo è stato sicuramente il focus all’interno

di questa tipologia di evento, a partire da coloro che ne sono

rimasti affascinati fino ad arrivare alle persone che l’hanno realmente

compreso.

L’ESPERIENZA ALLA DESIGN WEEK 2018

V 3

Il secondo caso di applicabilità reale che si vuole prendere in

esame è la partecipazione del progetto alla Design Week 2018,

presso il distretto di Zona Sant’Ambrogio (DOUTDESign).

La messa in scena di Divago è avvenuta questa volta in un contesto

caratterizzato da una collocazione fissa e garantita, largamente

conosciuta e di più ampio impatto sul pubblico. Il nome

“Fuorisalone” porta infatti con sé una fama già consolidata, un

afflusso notevole che si dirama da soggetti del settore a persone

interessate, fino a coinvolgere turisti che sono richiamati all’attenzione

proprio da questo evento di portata mondiale.

All’interno di una realtà costituita soprattutto da progetti di

product design, Divago si è inserito sempre caratterizzato dalla

sua potenza comunicativa che, anche in questa situazione, ha

tratto spesso in inganno il pubblico, venendo considerato come

un brand reale. Un interesse verso i prodotti, immediato e istantaneo,

da parte dei visitatori è da considerarsi la risposta più

frequentemente riscontrata. Situato all’interno di una sala con

svariati brand promuoventi oggetti fisici e di quotidiana utilità

(lampade, tavoli, sedute), Divago ha rappresentato una netta

spaccatura, risultando molte volte tanto incompreso quanto

apprezzato per la sua originalità.

Il fictional brand e l’apparato concettuale sono, in una situazione

del genere, molto più complessi da far emergere, se non ben

esplicitati. È infatti vero che la mente ricerca ciò che risulta più

attrattivo e intuitivamente comprensibile, rispetto a come un’attività

viene posta e in base a dove essa è inserita.

95


96


↓ Fig. 31

97


↑ Fig. 32

In un contesto meno interattivo e più di “scoperta per l’innovazione”,

l’osservatore tipo si è posto una serie di quesiti molto

concreti, distogliendosi dal messaggio insito nel progetto e ricercando

invece il senso dietro a ciò che vedeva. Le numerose

richieste da parte dei visitatori legate alla vendita e alla futura

messa in commercio dei prodotti Divago riportano il fictional

brand su un piano strettamente pragmatico e utilitaristico.

I chiarimenti e le spiegazioni non sono più state esposte dal team

in divisa di Divago, ma dagli stessi soggetti interpretati questa volta

come autori del progetto, desiderosi di proporre nuovi spunti di

riflessione e di affascinare il pubblico per qualche istante.

Essendo la dicotomia distrazione-concentrazione un binomio

riguardante ogni persona a livello universale, un primo livello

di conoscenza è risultato accessibile a tutti. L’elevazione poi ad

un piano concettuale, che vede i prodotti in sé soltanto come

una concretizzazione del pensiero e della filosofia del brand, è

risultato svariate volte complesso. La buona riuscita dell’intento

è comunque da sottolineare: l’essere percepito come un marchio

reale, serio e concretamente attivo sul mercato non fa altro che

rendere ancor più solidi i principi su cui il progetto Divago si basa.

98


↑ Fig. 33

99


↑ Fig. 34

100


101


BIBLIOGRAFIA

INDICE DELLE IMMAGINI

102


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INDICE DELLE IMMAGINI

Figura 1 - Installazione di The Escape Pod in Daley Plaza a Chicago, 2018. Foto di

Scott Olson, Getty Images. Via Teen Vogue.

Figura 2 - Paweł Grunert, SIE43 Chair. Via Artnet.

Figura 3 - Fotogramma del videogioco GTA San Andreas in cui il personaggio beve

una lattina di Sprunk. Via Gtavicecity.ru.

Figura 4 - Fotogramma del video aziendale di Divago. Foto dell’autore.

Figura 5 - Render 3D dell’allestimento di Divago: sezione dedicata a Mosca. Foto

dell’autore.

Figura 6 - Render 3D dell’allestimento di Divago: sezione dedicata a Pioggiatore.

Foto dell’autore.

Figura 7 - Render 3D dell’allestimento di Divago: visuale aerea. Foto dell’autore.

Figura 8 - Andy Warhol, Campbell’s Soup Cans, Andy Warhol Foundation.

Via WNYC Studios.

Figura 9 - Alcuni pezzi di Radical Design italiano in mostra alla R & Company gallery,

2017. Foto di Joe Kramm, via Metropolis Magazine.

Figura 10 - Prototipo di Soulaje. Foto di Design Friction, via Medium.

Figura 11 - Doppioclic. Foto dell’autore.

Figura 12 - Dettaglio di Millebolle. Foto dell’autore.

Figura 13 - Fotogramma de Il Dormiglione di Woody Allen.

Figura 14 - Mosca. Foto dell’autore.

Figura 15 - Dettaglio di Pioggiatore. Foto dell’autore.

Figura 16 - I prodotti di Divago (Doppioclic, Millebolle, Pioggiatore e Mosca) e i loro

packaging. Foto dell’autore.

Figura 17 - Ricerca visiva di reference del linguaggio antincendio. Foto dell’autore.

Figura 18 - Poster pubblicitario per Restaurant Florent: Menu board #1, 1987. Realizzato

da Florent Morellet e diretto da Tibor Kalman, Cooper Hewitt Collection. Via

Cooper Hewitt.

Figura 19 - Lars Tunbjörk, “Lawyer’s office”, serie Offices, 1997. Via Time.

105


Figura 20 - Fotografia tratta dallo shooting per la campagna di Divago. Foto dell’autore.

Figura 21 - Backstage dello shooting per la campagna di Divago. Foto dell’autore.

Figura 22 - Fotogramma dal video teaser di Divago. Foto dell’autore.

Figura 23 - Manifesto della campagna di advertising di Divago. Foto dell’autore.

Figura 24 - Manifesto della campagna di advertising di Divago. Foto dell’autore.

Figura 25 - Manifesto della campagna di advertising di Divago. Foto dell’autore.

Figura 26 - Manifesto della campagna di advertising di Divago. Foto dell’autore.

Figura 27 - Manifesto della campagna di advertising di Divago. Foto dell’autore.

Figura 28 - Raccolta di fotogrammi del video teaser di Divago. Foto dell’autore.

Figura 29 - Fontana di Marcel Duchamp, 1917. Foto di James Broad, via Flickr.

Figura 30 - Fotografia dell’evento al BASE Milano, 2 marzo 2018. Foto dell’autore.

Figura 31 - Fotografia dell’evento al BASE Milano, 2 marzo 2018. Foto dell’autore.

Figura 32 - Fotografia dell’evento al Fuorisalone 2018. Foto dell’autore.

Figura 33 - Dettaglio dell’uniforme per l’evento al BASE Milano. Foto dell’autore.

Figura 34 - Fotografia dell’evento al Fuorisalone 2018. Foto dell’autore.

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