Turismo del Gusto Magazine - Luglio 2023
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N°20
Rivista bimestrale
Luglio/Agosto 2023
Questo magazine è un allegato del sito www.turismodelgusto.com
Direttore Responsabile Roberto Rabachino
Vini del Rodano, Delas Frères
un susseguirsi di vigneti e villaggi
Il cielo inizia a Gran Canaria
terrazze, tetti e cime di montagne
Col Vetoraz
coniuga vino e arte
Decortica Amorim
fascino, tradizione, rivoluzione
Raasay distillery
l’eccellenza
Editore e Amministrazione ADV SRLS – Torino – Italia
Direttore Responsabile
Roberto Rabachino
direttore@turismodelgusto.com
Redazione Centrale:
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Paolo Alciati
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Collaborazioni:
Paolo Alciati, Franca Dell’Arciprete Scotti, Silvia Donatiello, Jimmy
Pessina e Redazione Centrale
Immagini:
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Jimmy Pessina, Consorzio Tutela Prosecco DOC, Silvia Donatiello,
V.Biffani, V. Pioggia, ARET Pugliapromozione e Comune Isole
Tremiti
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Contenuti
#TuttoDrink
#TuttoFood
8 Vini del Rodano, Delas Frères
14 Champagne Louis Roederer, è arrivato il
Collection 244
18 Raasay distillery, l’eccellenza
26 Elisa Hoti, il colore nei suoi piatti come in una
galleria d’arte
32 Aromatica, la decima edizione è da incorniciare
#TuttoOk
#TuttoTravel
42 Col Vetoraz coniuga vino e arte
48 Asia e Oceania: Prosecco DOC verso nuovi paesi
obiettivoo
54 Decortica Amorim: fascino, tradizione, rivoluzione
60 Alla scoperta dei vini di Verona in bicicletta
68 Alaska: tra i ghiacci del Pacifico
74 Viaggio tra fondali incontaminati, calette e
grotte marine
82 Ponza: tra mito e storia
90 Il cielo inizia a Gran Canaria
6 TuttoDrink
# TuttoDrink
8 Vini del Rodano, Delas
Frères
14 Champagne Louis
Roederer, è arrivato il Collection
244
18 Raasay distillery,
l’eccellenza
TuttoDrink
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8 TuttoDrink
Vini del Rodano, Delas Frères
La valle del Rodano è un susseguirsi di vigneti che spesso
contornano i villaggi e accompagno la risalita
del fiume che la attraversa
A cura di Redazione Centrale TdG
Tra le moltissime uve che si coltivano, è sicuramente la Syrah ad
avere trovato una propria dimensione, un maggiore sviluppo
nonché un dialogo con le diverse tipologie di suolo. Non è l’unica,
beninteso, ma sicuramente è quella più rappresentativa.
Si trovano, ma in misura inferiore, anche Grenache, Mourvèdre, Marsanne,
Muscat e ancora il Roussanne, l’Ugni Blanc e il Viognier. Cultivar presenti
dai tempi dei Ro-mani, che crearono città e vigneti. Come altrove, certo. Ma
con la differenza che l’aspetto commerciale ai confini del Rodano è stato
immediato. Il vino serviva a rifornire soprattutto la città di Lione.
Dopo il crollo dell’Impero romano è stata l’influenza della chiesa a far
ripartire la viticoltura. Rhône, dal greco rhodanos e dal gallico rodonos, si
dice che derivi da un elemento preindoeuropeo che significa “scorrere”. Piace
pensare allora che non sia mai stata ammessa una discontinuità produttiva.
La vite cresce, non si ferma; a sud-ovest della Francia le radici delle piante
incontra-no quattro tipi di roccia: granito, silice sabbiosa, calcare e argilla.
V’è una roccia madre che svolge un ruolo essenziale nella regolazione
dell’approvvigionamento idrico della vite, e che caratterizza gli aromi e i
sapori dei vini del Rodano, la seconda area più produttiva di Francia, con
oltre tremila ettari suddivisi in 5 comuni e 45 diverse denominazioni. Delas
Frères è tra le realtà più importanti di questo incredibile mosaico di vigneti,
che ha visto una costante crescita qualitativa dal 1993, anno nel quale è
entrata a far parte della galassia Louis Roederer.
La storia è lunga quasi 190 anni, inizia tra Valence e Lione nel 1835 con
Charles e Philippe Delas allorquando decidono di rilevare la Maison de
négoce “Junique”, subito ribattezzata con i loro nomi; per la costituzione di
Delas Frerès bisognerà aspettare gli anni venti del secolo successivo. I figli
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di Philippe, i fratelli Henri e Floren-tis, acquisiscono
vigneti a Châteauneuf-du-Pape e nell’Hermitage, la
produzione aumenta, si aprono i mercati esteri. Con
la terza generazione, Michel Delas, a metà degli anni
sessanta del secolo scorso, aumentano le superfici vitate
e l’espansione commerciale.
Si sposta la sede a Saint-Jean-de-Muzols, vicino a
Tournon-sur-Rhône, importante polo turistico. Con
Jacques Grange, tuttora alla direzione tecnica della
cantina, inizia la definizione dello stile di Delas, gli
ettari di proprietà diventano 30, tra Crozes-Hermitage,
l’Hermitage con il Domaine des Tourettes e due tra i più
prestigiosi terroir, Les Bessards e le Grandes Vignes, e
Les Grand Chemins.
Ebbene, con un parco vitato così ampio e sfaccettato
Delas riesce a proporre una gamma di vini di ampio
respiro, è tra le pochissime a produrre Hermitage rosso
e bianco grazie a un rigoroso approccio parcellare volto
all’esaltazione dei singoli appezzamenti a disposizione
affiancato da un lavoro di selezione delle migliori uve,
che vengono vinificate in cantina dal giovane enologo
di origine italiana Marco Beckmann.
trent’anni fa dalla famiglia Sagna, dell’omonima casa di
importazione e distribuzione, troviamo quelle prodotte
da singola vigna, come la prestigiosa La Landonne Côte-
Rôtie: un Syrah caratterizzato da una struttura tannica
densa e serica, profondità, ricchezza ed eleganza. Una
selezione che rara-mente supera le 2.500 bottiglie
prodotte esclusivamente nelle migliori annate. Lo stesso
vale per il Seigneur de Maugiron, assemblaggio di uve
raccolte nella Côte Brune. Potente ed elegante, qui
il Syrah riporta ad aromi di ribes nero, ribes rosso e
liquirizia.
E ancora il Condrieu La Galopine, un 100 per cento
Viognier di grande freschezza, una vera esplosione di
aromi floreali e fruttati (pesche candite e frutti esotici.
Di grande vigoria e materia, infine, c’è il Cornas Chante-
Perdrix, che regala una splendida struttura tannica
caratterizzata da aromi profondi, rustici – ma nobili –
che con il tempo sviluppano note di pepe e selvaggina.
Info: www.sagna.it
Selezione di grappoli, con un po’ di attività di negoce,
che avviene sopra-tutto per il Saint-Esprit Côtes-du-
Rhône di cui se ne producono 500mila bottiglie; sorsi
sempre decisi, equilibrati e accattivanti, che omaggiano
le principali uve del Rodano (Syrah e Grenache) e
raccontano lo stile di Delas, che si trova in 13 diverse
referenze per una produzione che sfonda il tetto del
milione di bottiglie.
La capacità di gestione di una mole simile di uve è
possibile dal 2016, anno in cui l’azienda ha iniziato il
progetto di totale rinnovamento della cantina, ad opera
dell’architetto Carl Fredrik Svenstedt che ha immaginato
le facciate esterne come le linee delle colline terrazzate
dell’Hermitage. Nello stesso cortile trova spazio anche
una villa con cucine e suite per l’ospitalità.
Tra le etichette più virtuose, soprattutto in Italia, dove
il mercato per i vini Delas Frerès è stato impostato oltre
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G R A P P A
G RAP PA A L
G R A P P A A L
GRAP P A
P A G L IER I N A 4 5 °
B ARB A R E SCO 4 2 °
B A R O L O 42°
AMB R A T A 50 °
BEVI RESPONSABILMENTE
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Champagne Louis Roederer,
è arrivato il Collection 244
Sagna S.p.A sceglie il Portrait di Milano per lanciare l’ultima cuvée
della Maison Champagne Louis Roederer
A cura di Redazione Centrale Tdg
L’evento ha visto la prestigiosa partecipazione
dello Chef de caves Jean-Baptiste Lécaillon, che
ha spiegato la genesi di Collection attraverso
un’esclusiva verticale comprensiva delle prime bottiglie
che lo hanno portato alla riuscita del progetto, dalla
238 alla 244.
In una prestigiosa sala del Portrait di Milano, lo
storico importatore dello Champagne Louis Roederer
ha ufficialmente presentato l’ultima release del progetto
Collection, il 244, dove il numero rappresenta il numero
degli assemblaggi svolti dalla Casa dal 1776, anno della
sua fondazione.
Jean-Baptiste Lécaillon, Chef de caves della Maison
da oltre trent’anni, ha spiegato che Collection non nasce
per motivi di marketing ma per contrastare gli effetti
del cambiamento climatico e soprattutto per svincolarsi
dall’immagine degli Champagne non millesimati degli
anni settanta.
“Bisogna reinterpretare lo Champagne, cercare di
trovare l’identitàà dello Champagne di domani” – ha
affermato JBL. Se fino a qualche decade fa le grandi
annate erano meno frequenti, dall’inizio del nuovo
millennio le cose sono cambiate, sono moltissime
infatti quelle meritevoli di essere espresse tal quali,
“millesimabili”.
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Collection è figlio di un lavoro attento in campagna,
di un’agricoltura efficace in risposta agli effetti del
cambiamento climatico, che creano un nuovo ambiente
e una diversa qualità delle uve: da vendemmie più
anticipate ad acini più sani e maturi, ricchi di sapori,
polpa e consistenza ma con meno acidità. L’uva diventa
espressione del luogo, la voce del suolo in cui nasce; in
breve, c’è un’identità più forte.
Forte di questo cambiamento per Jean-Baptiste era
tempo di nuove sfide. L’acidità, che non gioca più il ruolo
principale, lascia spazio a nuove freschezze e a una
rinnovata forma di leggerezza. I Pinot neri diventano
più strutturati ma è necessario preservane il lato più
dinamico.
Pertanto l’assemblaggio della Maison ha subito un
radicale cambiamento, l’impiego dei vini di Riserva
(affinati in legno) è finalizzato a una resilienza stilistica
del vino, l’uso di annate diverse diventa un punto di
forza, una vera opportunità. La scelta delle date di
raccolta diventa una lettura del millesimo, stigma
del futuro vino; la vinificazione può diventare meno
«invasiva» e agevolare una produzione di vini orientati
al terroir, volti di ogni nuova annata.
La libertà dello stile Roederer
L’obiettivo di Collection – spiega Lécaillon – è mostrare
nuove sfumature e intensità fruttate, complesse, nonché
un maggiore potenziale d’invecchiamento del vino.
Composto per la metà dall’assemblaggio da uve d’annata
provenienti da vigneti di proprietà e di vigneron partner,
che seguono protocolli imposti dalla Maison, Collection
enfatizza il carattere di ogni millesimo.
La vinificazione separata di ogni parcella, poi
assemblata, rivela la singolarità del luogo, Louis
Roederer si concede la libertà di scegliere quali
appezzamenti far rientrare in Collection per una ricetta
che, se da un lato resta coerente a se stessa, dall’altra
riesce a catturare la singolarità del millesimo poi
impreziosito dai vini di riserva di altre grandi annate.
Nel bicchiere si ottiene una maggiore consistenza
e una capacità d’invecchiamento che supera la
decade. Nella retro-etichetta, la Maison restituisce
dettagliatamente tutte le informazioni sul vino,
dall’assemblaggio alla data di sboccatura.
A spasso nel tempo con Collection
Dall’assaggio dei vini preparatori al debutto di
Collection (238, 239, 240), avvenuto con la release
242, si comprende come Roederer abbia ricercato
sempre più tensione passando dalla riduzione della
fermentazione malolattica a una maggiore presenza di
composti fenolici (dati dalle tailles e fermentazioni in
rovere) alla riduzione del dosaggio (passato nel tempo
da 9 a 7 g/l, come nel caso del 244).
Nel 241 e nel 242, il sorso offre sensazioni materiche
e profili aromatici più impattanti, più precisi, di grande
concentrazione e persistenza. Il confronto tra il 243
e il 244, invece, sottolinea un perfetto equilibrio tra
struttura e freschezza, dato da una maggiore presenza
di Chardonnay.
Il risultato? “Un multimillesimato buono come un
vintage” realizzato creando il migliore assemblaggio
possibile ogni anno, capace di esprimere i diversi
terroir della Champagne (Côte des Blancs, Montagne de
Reims e Vallée de la Marne) e lo stile della vendemmia;
uno champagne che, prima di essere tale, è un vino
coinvolgente, avvolto da un finale materico e salino.
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COLLECTION 244
Data di sboccatura il 17/01/2023
Annata 2019
Il 2019, arido e continentale, ha battuto tutti i record
storici delle temperature durante un susseguirsi di
ondate di caldo torrido! Rese moderate e dalla splendida
maturazione caratterizzano i vini, densi e freschi al
tempo stesso. La vendemmia si è svolta dal 10 al 21
settembre.
e potente. Attacco piacevole e dalla texture invitante
e ricca. Sensazione molto succosa e concentrata; la
materia è delicata e carezzevole, avvolge il palato
subito alleggerito da una delicata effervescenza. Le note
affumicate prendono poi il sopravvento per sostenere
un finale ricco di sapore. Collection 244 segna il ritorno
del Meunier della Valle della Marna e della Montagna
de Reims. Grande espressività per i Pinot noir e gli
Chardonnay, che si presentano strutturati e salini!
Caratteristiche
• 1/3 “la Rivière”
• 1/3 “la Montagne”
• 1/3 “la Côte”
Si integrano le uve dei vigneti di proprietà con quelle
provenienti da parcelle selezionate “Cœur de Terroir”
presso vigne di viticoltori partner.
• Uve: 41% Chardonnay, 33% Pinot noir, 26%
Meunier
• 244° Assemblaggio
• Reserve Perpetuelle
• 36% ( 2012/2013/2014/ 2015/2016/2017/2018 )
Vini di Riserva affinati in legno
• 10% ( 2012, 2013, 2014, 2015, 2016, 2017, 2018 )
• Vendemmia 2019:
• 54% (di cui il 5% vinificati in legno)
• Dosaggio: 7g/l
Note di degustazione
Dal bouquet ampio e profondo, con sensazione di
frutti gialli maturi e agrumi. Le note iodate, affumicate,
dovute all’autolisi e all’affinamento in legno, aggiungono
freschezza aromatica. Seguono note di gesso e di leggera
riduzione, che lasciano intravedere un vino concentrato
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Raasay distillery,
l’eccellenza
A cura di Redazione Centrale Tdg
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The Isle of Raasay
Abitata da sole 161 persone, l’Isola di
Raasay (“Isola dei Caprioli” in norreno)
è situata al largo della costa occidentale
della Scozia, nelle Ebridi Interne, a un breve viaggio
in traghetto di 25 minuti da Sconser sull’isola di
Skye.
Quest’angolo del mondo è noto per la sua
bellezza naturale mozzafiato, i paesaggi esagerati,
la geologia impressionante e uno degli ecosistemi
più incredibilmente diversi della Scozia. Radicata in
secoli di distillazione illegale, l’isola di Raasay nelle
Ebridi fornisce gli ingredienti per il perfetto dram.”
ll fiore all’occhiello di Isle of Raasay è il Whisky
Single Malt, leggermente torbato con sentori di
frutti rossi. Due spiriti dell’Isola di Raasay – uno
torbato e l’altro no – maturano separatamente
in botti ex-Rye whiskey (first fill), in botti vergini
di rovere Chinkapin fresco e botti di vino rosso
bordolese (first fill). Questa ricetta realizzata quindi
con sei botti crea il dram perfetto con vera eleganza,
complessità e profondità di carattere. 46,4% vol,
naturale, non filtrato a freddo.
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La prima distilleria
legale sull’Isola di Raasay
A partire dall’epoca del proibizionismo, l’Isola
di Raasay offre gli ingredienti per il perfetto dram.
La distillazione illecita si dice si sia diffusa
sull’Isola di Raasay nel 1850, si evince da un
rinvenimento archeologico del rudere di una
struttura di distillazione abusiva che si trova ancora
sull’isola.
Nuovo inizio
Co-fondata dall’imprenditore scozzese Bill
Bobble e dal Whisky blender e botanista qualificato
Alasdair Day, The Isle of Raasay Distillery ha creato
il suo primo distillato nel 2017.
Dopo tre anni, la prima botte è diventata
legalmente uno scotch, segnando una tappa
importante nella storia dell’isola con la sua prima
distilleria legale.
In seguito, viene riconosciuta come miglior
Distilleria Scozzese e miglior destinazione turistica
agli Scottish Whisky Awards 2022.
Uno Spirito/Un’Isola
Il Whisky e il Gin Raasay sono un’espressone
degli abitanti e dell’isola stessa. Un Hotel, tre B&B,
due negozi e una distilleria costruita con l’aiuto
degli isolani, ecco la piccola comunità dell’Isola di
Raasay nella sua interezza.
Generazioni intere di persone, la conoscenza e
la cultura hanno formato la filosofia autoctona e
influenzato il carattere dello spirito di questa terra.
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L’iconico Single Malt dell’isola
Il Single Malt di Raasay rappresenta un assaggio
dell’eleganza aspra e della eccezionalità dell’isola. Si
tratta di un Whisky leggermente torbato, bilanciato
con i ricchi sapori di frutta scura.
La ricetta attentamente realizzata combina i Single
Malt Raasay, uno torbato e l’altro no, maturati in tre
diversi tipi di botte di rovere: botti ex-Rye whiskey
(first fill), botti vergini di rovere Chinkapin e botti di
vino rosso bordolese (first fill).
Questa ricetta realizzata quindi con sei botti crea
il dram perfetto con vera eleganza, complessità e
profondità di carattere. 46,4% vol, naturale, non filtrato
a freddo.
radice di rabarbaro, angelica, iris e liquirizia, semi
di coriandolo, pepe cubebe e il doppio distillato di
Raasay, mettendo così la qualità dell’isola al primo
posto. Ciascuna bottiglia è distillata e imbottigliata
nell’Isola di Raasay, da cui viene spedita.
Note degustative:
• Naso: fresco e aromatico, con sentori di ginepro,
agrumi e un pizzico di rabarbaro
• Palato: secco con note di ginepro, arancia e
rabarbaro
• Finale: secco e piccante
Info: www.rinaldi1957.it
La storia delle sei botti
Tutto viene distillato, maturato, imbottigliato e
spedito dalla piccola Isola di Raasay.
Il Single Malt di Isle of Raasay è il risultato di una
ricetta unica che sposa sei differenti botti firmate,
ognuna delle quali ha il proprio stile distintivo e il
proprio carattere, per produrre lo stile peculiare della
distilleria: leggermente torbato, bilanciato con i ricchi
sapori di frutta scura.
Il Gin delle Ebridi
Si tratta del primo distillato prodotto legalmente
in un’Isola che è diventata famosa per secoli per la
distillazione illegale. È un gin artigianale che combina
dieci botaniche accuratamente selezionate, incluso
il ginepro di Raasay, scorza d’arancia e di limone,
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#
TuttoFood
28 Elisa Hoti, il colore nei suoi
piatti come in una galleria d’arte
34 Aromatica, la decima
edizione è da incorniciare
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Elisa Hoti, il colore nei suoi piatti
come in una galleria d’arte
A cura di Paolo Alciati
Il colore è un potere che influenza direttamente
l’anima, diceva Kandinsky, e poiché pittura e
cucina sono molto simili, il gourmet che si reca in
un ristorante vuole assolutamente emozionarsi sia con la
vista sia al palato e desidera trovare nel piatto l’attraente
e gustoso risultato dell’ingegno di un cuoco…d’altronde
quando ci si impegna al massimo per realizzare un
buon piatto non si dice sempre “ci ho messo l’anima”?
Cézanne che riproduce il sottobosco, e crea un delicato
sfondo astratto mentre la spuma di caprino diventa la
tela bianca dalla quale spicca la saporita creazione
gastronomica della Hoti.
E Elisa Hoti – chef patron della Trattoria La Madia,
delizioso ristorante gourmet ai piedi della collina
torinese – la sua anima e il suo cuore li trasferisce
realmente nei suoi piatti che lei arricchisce di colori
come variopinti quadri creati da importanti pittori di
scuole, epoche e tecniche diverse: c’è l’action panting
di cui fu maestro Jackson Pollok tra gli anni ’40 e ’60
con il dripping, che si ritrova nel raffinato Scampi,
mela e foie gras in cui spiccano giallo, rosa, verde,
beige e cremisi ma anche nel profumatissimo Risotto
al basilico, crema di burrata e gambero rosso di Mazara
del Vallo (dominante è il verde, e poi bianco e rosso…
piatto strepitoso!)
Mentre negli intensi Spaghetti di Gragnano con crema
ai ricci di mare, tartare di scampi, polvere di aglio nero
e lime, col gioco cromatico tra giallo, arancione, rosa
e nero c’è un deciso rimando alla verniciatura con le
bombolette a spruzzo tipiche dei pittori della street
art contemporanea.
In un altro gustoso primo piatto, i Tortelli con coda alla
vaccinara e spuma di caprino, il succulento condimento
marroncino della coda si amalgama, a mo’ dei vetrini
di un caleidoscopio, con l’olio che vira dal verde chiaro
al verde intenso come in un tenue acquerello di Paul
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28 TuttoFood
L’iniziale citazione di Vasilij Kandinsky non è
riportata per caso… Il coloratissimo Salmone marinato,
con tanto verde e arancione, gocce di giallo, bordeaux,
nero e rosso, celebra i famosissimi “Quadrati con cerchi
concentrici” o i “Cerchi in un cerchio” del grande pittore
russo fondatore dell’astrattismo.
C’è un piatto emblematico che è la cartina di tornasole
della competenza tecnica di un cuoco, è complesso
quanto intrigante: è la Liévre à la Royale, un piatto
epicureo che si esprime in tutta la sua edonistica
struttura. Considerato una pietra miliare della cucina
d’oltralpe, richiede una preparazione certosina, con una
lunga marinatura della lepre nel vino rosso, farcita della
sua stessa carne, con lardo e spezie e l’aggiunta di una
scaloppa di foie gras marinata a sua volta nell’Armagnac
e infine cotta per un giorno intero nel vino aromatizzato
con cannella, ginepro e scorze d’arancio. Un piatto per
palati fini e cuochi di alto livello.
Elisa sfoggia la sua abilità anche in questo piatto che
donerà grande soddisfazione a chi avrà la fortuna di
gustarlo e, per tornare al colore – in questo caso molto
cupo, tra il marrone e il nero a causa della lunghissima
cottura – l’accostamento è con uno dei tanti “Black on
Maroon” di Mark Rothko, uno dei massimi esponenti
dell’espressionismo astratto della scuola newyorkese
del dopoguerra.
Ancora un piatto merita la segnalazione: lo squisito
Piccione, foie gras e coulis di mirtilli che per i colori
utilizzati, petali gialli, rossi, mirtilli blu, germogli verdi
con la carne e il fegato grasso appoggiati come fossero
sospesi sulla spirale di salsa di mirtilli creando così
profondità visiva, ricorda proprio i fluttuanti “Mobiles”
di Alexander Calder.
Last but not least, il piatto “signature” della Hoti – un
dolce davvero goloso di grande successo, talmente richiesto
che è in carta da sempre (…e guai a pensare di toglierlo!) –
si chiama Il frutto proibito e ricorda le nature morte di De
Chirico e anche un po’ quelle di Van Gogh, con protagonista
la mela rossa, lucida, perfetta, una verde foglia di menta
sul picciolo, ben adagiata su un crumble marrone di cacao.
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La mela è forse il frutto più raffigurato nelle nature
morte. Tagliata a metà, il candore della mousse di
cioccolato bianco col cuore giallo tenue della dadolata
di mele ricorda la “Mela” di Domenico Gnoli, pittore del
dettaglio enfatizzato, in bilico tra iperrealismo e pop
art con un attento occhio al Rinascimento.
Nella Mousse di cioccolato fondente 72% cuore di
lampone e marmellata di arance, pur non accostandola
a nessun quadro, il contrasto dei colori marrone scuro
e lucido del cioccolato con il rosso vivido del lampone
è talmente elegante cromaticamente e, soprattutto,
gastronomicamente perfetto, che non potevo non
evidenziarlo!
Colore, quindi, per esaltare il cibo, per celebrarlo, per
renderlo più intrigante e emozionante, per iniziare a
“mangiarlo con gli occhi”, ché poi al palato sarà ancor
più soddisfacente perché Elisa Hoti è davvero brava,
dosa con sapienza freschezza e croccantezza, acidità
e sapidità, morbidezza e intensità gustativa ed è ancor
più meritevole di apprezzamenti perché è autodidatta,
ha fatto una lunga, doverosa e formativa gavetta in
alcuni ristoranti del capoluogo piemontese e dal 2019
gestisce insieme al figlio Fabio il suo adorabile piccolo
locale, 25 coperti e il colore anche sulla tavola con
l’abbinamento cromatico anche tra i bicchieri e i piccoli
coltelli per il burro – una chicca che solo una sensibilità
femminile attenta a certi dettagli può evidenziare –
e con pareti dai toni caldi che creano un’atmosfera
rilassante e rassicurante ben accompagnata dalla grazia
e dal sorriso delle tre collaboratrici di sala che con
raro garbo descrivono le preparazioni e abbinano con
competenza i vini da una carta con oltre cento ottime
etichette tra italiane e internazionali, tra cui champagne
e vini sloveni.
Il suo menù è fatto di certezze, di piatti concreti
ancorché elaborati, i sapori sono netti, nessun
ingrediente sovrasta e copre gli altri, ma tutti
contribuiscono ad armonizzare il gusto e il risultato
è una cucina equilibrata da assaporare con la dovuta
calma per regalarsi un paio d’ore di felicità.
La Madia
Corso Quintino Sella, 85/a Torino
Tel. 011 8190028
mar-sab 19:30-23:00
domenica 12:30-15:30 19:30-23:00
30 TuttoFood
BELLEVIGNE, COGNAC
EVI RESPONSABILMENTE |
DISTRIBUITO DA SAGNA S.P.A. DAL TuttoFood 1928 - WWW.SAGNA.IT
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Aromatica, la decima edizione
è da incorniciare
A cura di Paolo Alciati
32 TuttoFood
“Aromatica“ è un aggettivo che nel Golfo Dianese
è diventato un sostantivo: racchiude in sé un
florilegio di prodotti tipici del territorio, a partire
dal suo “principe”, il basilico, e dal suo seguito di erbe
aromatiche caratteristiche della macchia mediterranea
e degli orti locali: menta, rosmarino, borragine, salvia,
timo, origano, lavanda, erba limoncina e decine e decine
di altre varietà, tutte piacevoli, rigogliose, nei loro
vasi posizionati in bell’ordine sulle mensole …bastava
accostarsi ai vari stand che le vendevano ed eri già
inebriato dai loro intensi profumi.
La filosofia di Aromatica è quella di proporre i
prodotti tipici del ponente ligure insieme ad
eccellenze di altre province ma anche golosità che
annoverano le erbe aromatiche tra i loro ingredienti.
L’evento si è sviluppato in tre intense giornate
nell’accogliente centro pedonale di Diano Marina e ha
ospitato stand di produttori, cooking show, conferenze,
laboratori, presentazioni di libri, street food di qualità,
cene a 4 mani, menù a tema nei ristoranti e tanto altro,
valorizzando la sempre più importante produzione
agricola locale.
Un progetto che dal 2018, anno in cui è stato riavviato
dopo un lungo stop, continua a crescere, ad arricchirsi di
nuovi contenuti e raccoglie sempre maggiori consensi.
È stata una straordinaria occasione per le circa
30.000 persone – di cui ben il 10% provenienti
dall’estero – che hanno ininterrottamente animato
questa profumatissima tre giorni per scoprire nuovi
prodotti, facendosi coinvolgere in golosi assaggi e
acquisti particolari e stuzzicanti, in una cornice ospitale
e multicolore, che ha offerto ai visitatori originalità e
divertimento.
Passeggiare alla ricerca di piante aromatiche raffinate,
di olio extra vergine prelibato, di deliziose olive in
salamoia, di vini ricercati e di mille altre prelibatezze
dei contadini di Liguria è stata sicuramente una delle
attività più piacevoli praticata in quei giorni. Le proposte
degli oltre ottanta espositori di Aromatica sono state
numerose, vere e proprie eccellenze selezionate
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dell’agroalimentare non solo del Golfo Dianese o
della Riviera Ligure ma anche di altre zone d’Italia.
E il pubblico ne ha anche approfittato per scoprire
l’elegante centro pedonale di Diano Marina creando
un indotto economico che ha sicuramente soddisfatto
i commercianti locali. Una bella boccata d’ossigeno,
visti i tempi…
Cooking show, laboratori, degustazioni, presentazioni
e conferenze si sono confermati gli ingredienti distintivi
dell’evento dianese, insieme all’attenta selezione degli
espositori. Il pubblico ha gradito e partecipato numeroso
e con molta attenzione alle molteplici attività (quasi 50
ore di interventi in totale) proposte da chef, esperti,
imprenditori e addetti ai lavori.
che ha fatto registrare un doppio sold out.
Il Cooking Show è il momento principe, l’evento clou
che mette maggiormente in luce le personalità degli Chef
al di fuori delle loro cucine. Il pubblico vuol conoscere
chi decide i menu, gli ingredienti, i condimenti, vuol
vedere come i grandi cuochi impiattano i loro capolavori
e controlla con grandissima attenzione ogni dettaglio.
Vuol carpirne i movimenti, il sorriso e l’empatia, al di
là del puro gesto tecnico.
Oltre alla qualità, particolare attenzione è stata rivolta
ai temi della sostenibilità, a nuovi prodotti liguri di
eccellenza, ai prodotti agroalimentari tradizionali della
regione – incluse De.Co., presidi Slow Food e Prodotti
Agricoli Tradizionali – ed ai vari utilizzi delle erbe
aromatiche che, oltre ad avere effetti benefici per le
loro proprietà organolettiche, col loro sapiente utilizzo
permettono di consumare molto meno sale, con un
grosso beneficio per la salute di tutti.
Grande spazio è stato dato anche ai vini, naturale
complemento di un buon cibo, con degustazioni di
due eccellenze liguri: il Vermentino – il vino a bacca
bianca più importante del Mediterraneo – per la
presentazione del “30° Premio Vermentino” di Diano
Castello e l’Ormeasco di Pornassio, vino a bacca nera
imparentato col Dolcetto che presenta interessanti
note floreali di viola e fruttate di ciliegia e frutti rossi
per virare su ottima speziatura con l’invecchiamento.
Oltre al nettare di Bacco, grande attenzione è stata
rivolta anche agli spirit, sempre più di moda e sempre
più diffusi e apprezzati, dal vermouth all’amaro, dal
whisky al gin. E poi tanti laboratori e degustazioni di
prodotti liguri a denominazione di origine, ospitati
nell’area esperienziale di Assaggia la Liguria, tra cui
la degustazione del “Corochinato”, storico aperitivo dei
genovesi e l’evento teatrale “Pesto, un racconto ligure”
Aromatica in questo è molto didattica: mette in vetrina
chef rinomati dando loro la possibilità di esprimersi di
fronte a un pubblico interessato e competente. E gli chef
hanno incuriosito tutti con piatti di grande successo, da
Manuel Marchetta alla pastry chef Michela Gusciglio,
da Andrea Scarella a Renato Grasso, famoso in tutto il
mondo per il pranzo con Papa Francesco e tanti altri.
Ospiti fissi nei tre giorni più profumati della primavera
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ligure due infaticabili guest star: Tinto – vulcanico
conduttore televisivo e speaker radiofonico, esperto
in agricoltura ed enogastronomia, impegnato in questi
giorni su Rai 1 con la trasmissione Camper e su Rai 2
con Pizza DOC – e Tracy – la bravissima vincitrice di
MasterChef Italia 11.
Sono stati piacevolmente coinvolti in molte delle
attività programmate lungo tutto l’arco delle tre giornate
e loro, sempre sorridenti e presenti, hanno contribuito a
nobilitare l’evento e con la loro innata simpatia, vivacità
e disponibilità per centinaia e centinaia di selfie, si
sono fatti ben volere dal numerosissimo pubblico che
ha affollato entusiasta gli spazi di fronte al palco su
cui si sono avvicendati i vari protagonisti di volta in
volta coinvolti.
Da sottolineare la presenza di cinque chef stellati,
di cui tre liguri: Giorgio Servetto, executive chef del
ristorante Vignamare ad Andora – Giuse Ricchebuono,
del Ristorante Vescovado di Noli – Enrico Marmo, chef
del Balzi Rossi di Ventimiglia – Omar Bonecchi, chef
al Mirtillo Rosso di Alagna e Fabio Ingallinera, del
Nazionale di Vernante.
Indimenticabili le esibizioni di due numeri 1 al mondo,
grandi testimonial del Basilico Genovese Dop: Camilla
Pizzorno, la brava e bella campionessa iridata del Pesto
Championship – che dopo la sua perfetta esibizione sulla
preparazione del pesto al mortaio, ha coinvolto in una
profumatissima gara sulla salsa al basilico più famosa
al mondo anche Tracy e Tinto – e Marco Venturino,
miglior gelatiere del mondo secondo il Gelato Festival
World Ranking, una classifica mondiale che racchiude i
risultati di 11 anni di competizioni in una selezione tra
circa 5 mila gelatieri dei cinque continenti.
Marco ha soddisfatto i palati di tutti i presenti con il
suo Liguretto: “Un sorbetto a base di basilico e limone,
che mi ha permesso di salire sulla vetta del mondo”
ha raccontato al pubblico che lo applaudiva mentre
distribuiva la sua dolce preparazione.
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E ancora lo chef Alessandro Dentone, già campione
italiano di risotto, curatore del catering del Genoa
e testimonial nazionale Aism; l’agronoma Paola
Migliorini, docente dell’Università di Scienze
Gastronomiche di Pollenzo che ha curato un importante
dibattito su “Agricoltura naturale e sostenibilità per
il futuro del cibo”; il professor Claudio Battaglia,
presidente della sezione provinciale della Lilt e autore
di un apprezzatissimo intervento su un argomento
di sempre maggiore attualità come la prevenzione
“aromatica” dei tumori e il maestro pizzaiolo Antonio
Senese, attualmente l’unico a rappresentare la Liguria
nell’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto.
Infine non sono mancati gli specialisti dello “street
food”, il “cibo da strada”. Sui loro mezzi speciali, alcuni
anche originali e divertenti per il loro aspetto, hanno
proposto gustose specialità e ghiottonerie utilizzando
ovviamente anche le erbe aromatiche e i prodotti
del territorio. Il Premio Aromatica è stato infine
consegnato a Marco Bonaldo, imprenditore dianese
che, basandosi su qualità e immagine, si è costruito
un’invidiabile carriera nel settore oleario, tanto da
meritarsi la copertina della prestigiosa rivista Forbes
Italia e l’inserimento tra i migliori 100 manager e
imprenditori italiani.
In mezzo a tutti questi grandi personaggi, bisogna
rimarcare lo straordinario lavoro svolto dagli allievi
dell’Istituto Alberghiero Ruffini-Aicardi di Arma di
Taggia, per il secondo anno consecutivo protagonisti
di Aromatica, ottimamente coordinati dal Prof. Livio
Revello, chef e figura amatissima da tutti gli studenti
che hanno partecipato con entusiasmo in supporto ai
cuochi sul palco dei cooking show.
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42 Il tappo QORK: invincibile
per tecnica e sostenibilità
48 Asia e Oceania: Prosecco
DOC verso nuovi paesi obiettivo
54 Decortica Amorim:
fascino, tradizione, rivoluzione
60 Alla scoperta dei vini di
Verona in bicicletta
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Col Vetoraz coniuga
vino e arte
A cura di Redazione Centrale Tdg
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Passaggio di testimone per il progetto vino e arte. Da Col
Vetoraz arrivano le sculture di Elena Ortica
È
arrivato il momento del passaggio di testimone
per l’iniziativa di Col Vetoraz che coniuga vino
e arte accendendo un dialogo virtuoso tra
eccellenze. Una nuova esposizione è pronta per essere
ammirata negli spazi della Sala Accoglienza a partire
da giugno e per i quattro mesi successivi. Si tratta delle
sculture di Elena Ortica, artista di origini milanesi ma
con base a Treviso, dove oggi vive e lavora.
Sono principalmente a tema femminile le opere scelte
per l’esposizione, suddivise in tre gruppi. La collezione
di ‘Cincie’, sei figure femminili dalle forme tondeggianti
che richiamano la vivacità leggiadria e i movimenti
vibranti della cinciallegra, spesso abbinate ad elementi
sferici in vetro che ne rimarcano la leggerezza. Le teste
della collezione ‘I colori della vita’ che rappresentano
una galleria di etnie attraverso i differenti volti di donna,
e i due ritratti denominati ‘Bacco’ scelti per omaggiare
il settore vinicolo.
Ortica ama esprimersi attraverso un linguaggio
figurativo che ricerca e scava nella forma un’essenza
interiore, oltrepassa l’involucro e arriva all’anima
e al vissuto delle espressioni, per restituire il senso
più profondo della persona. Contraddizioni, limiti ed
aspirazioni emergono con un linguaggio altamente
comunicativo, che crea una corrispondenza immediata
con chi guarda le sue opere.
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“Come un’artista conosce e rispetta la materia di
partenza che plasma per esprimersi – spiega Loris
Dall’Acqua a.d. ed enologo di Col Vetoraz – così noi,
stagione dopo stagione seguiamo con amore, cura ed
ascolto l’evolversi della nostra materia prima, dalla
terra al calice, con un costante atto di difesa delle
nostre origini. Solo così il vino che otteniamo ha in
sé quell’armonia, equilibrio ed eleganza che sono la
chiave della sua piacevolezza.” Vi invitiamo a vivere
questa nuova emozionante esperienza raggiungendoci
sul punto più alto della denominazione, per una
indimenticabile immersione a 5 sensi tra diverse
espressioni di eccellenza; il territorio del Valdobbiadene
DOCG, gli spumanti di Col Vetoraz e le opere d’arte.
Per informazioni:
accoglienza@colvetoraz.it – www.colvetoraz.it
Per approfondire sull’artista:
https://www.trevisosculture.com
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Situata nel cuore della Docg Valdobbiadene, la
cantina Col Vetoraz si trova a quasi 400 mt di altitudine,
nel punto più alto dell’omonimo colle, parte delle
celebri colline del Cartizze da cui ha origine questo
vino pregiato. E’ proprio qui che la famiglia Miotto
si è insediata nel 1838, sviluppando fin dall’inizio la
coltivazione della vite.
Nel 1993 Francesco Miotto, discendente di questa
famiglia, assieme all’agronomo Paolo De Bortoli e
all’enologo Loris Dall’Acqua hanno dato vita all’attuale
Col Vetoraz, una piccola azienda vitivinicola che ha
saputo innovarsi, crescere e raggiungere in 25 anni il
vertice della produzione di Valdobbiadene Docg sia in
termini quantitativi che qualitativi, con oltre 2.200.000
kg di uva Docg vinificata l’anno da cui viene selezionata
la produzione di 1.250.000 di bottiglie.
Grande rispetto per la tradizione, amore profondo per
il territorio, estrema cura dei vigneti e una scrupolosa
metodologia della filiera produttiva e della produzione
delle grandi cuvée, hanno consentito negli anni di
ottenere vini di eccellenza e risultati lusinghieri
ai più prestigiosi concorsi enologici nazionali ed
internazionali.
46 TuttoOk Col Vetoraz Spumanti S.p.A.
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Asia e Oceania: Prosecco DOC
verso nuovi paesi obiettivo
Nuova Zelanda, Australia, Vietnam, Singapore
e tanto altro nella road map di maggio
A cura di Redazione Centrale TdG
Il Consorzio del Prosecco DOC conclude il mese di maggio con un
bilancio attività che rivela il grande impegno sia a livello nazionale che
internazionale. Tante le azioni portate avanti nel corso delle numerose
missioni all’estero. A partire dalle tappe del Moto GPTM a Barcellona, in
Catalogna, e in Francia nel circuito Le Mans. Oltre alla presenza, per la
seconda volta, all’Online Marketing Rockstar, importante fiera dedicata
al mondo del marketing online che si svolge da 9 anni ad Amburgo, in
Germania, e allo “Europe Day 2023” di Singapore.
“Tra le attività meritevoli di attenzione -sottolinea il presidente del
Consorzio Stefano Zanette- sicuramente spicca la nostra prima volta in
Nuova Zelanda, nuovo paese obiettivo per la promozione del Prosecco
DOC. Un mercato che può darci ancora molte soddisfazioni. Nella carta
dei vini di qualsiasi ristorante nel quale ci siamo recati erano presenti più
etichette di Prosecco DOC di quante ce ne fossero di “prosecco australiano”,
nonostante la Nuova Zelanda rappresenti l’85% della quota export della
produzione di quest’ultimo”.
La Nuova Zelanda è stata una della tappe del lungo itinerario percorso
da Prosecco DOC in occasione del Trebicchieri World Tour Special Edition
del Gambero Rosso: un press dinner con menù studiato per l’occasione, un
seminario volto a meglio far conoscere le peculiarità del Prosecco DOC e
un walk around tasting, così da favorire le aziende verso ulteriori sviluppi
commerciali. Attesissimo l’intervento del presidente Stefano Zanette, tra
operatori del settore e rappresentanti degli organi di informazione.
Il viaggio del Prosecco DOC a braccetto con Gambero Rosso è proseguito
con il Top Italian Wines Roadshow verso l’Australia con una doppia tappa
in location esclusive a Sydney il 15 maggio e a Melbourne il 17 maggio,
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per poi concludersi a Ho Chi Minh in Vietnam il 18
maggio. Il format è stato il medesimo: masterlass e walk
around tasting per circa 1000 ospiti tra operatori del
settore e media. Le aziende De Stefani, La Gioiosa, Le
Rughe e Villa Sandi sono state protagoniste delle tappe
oceaniche, mentre all’evento vietnamita hanno preso
parte, oltre a De Stefani, anche Fantinel, Giusti Wine,
La Tordera, Le Contesse, Val D’Oca.
Lorenzo Ruggeri, International Editor Gambero
Rosso, ha così commentato la recente esperienza: “Il
primo pensiero al rientro? Che il Prosecco è capace di
parlare davvero a tutti. Il suo linguaggio è universale,
accessibile, immediato, condensa una visione di stare al
mondo e di intendere la vita che va molto oltre il vino.
Fa impressione spostarsi di 20mila chilometri dalla
denominazione, come nel caso della Nuova Zelanda,
e ritrovare persone che sorridono al solo nome della
parola Prosecco.
Un suono, oltre che un vino, che piace tantissimo.
Nei seminari abbiamo trovato una buona conoscenza
media del prodotto, anche in un Paese come il Vietnam,
mentre in Australia è stato stimolante il confronto con
la stampa, che difende a spada tratta i produttori locali”.
PROSECCO DOC in Vietnam: da Hanoi,
direzione Da Nang, conclude la missione a
Ho Chi Minh.
Il Consorzio di Tutela della DOC Prosecco in
collaborazione con la Camera di Commercio Italiana
in Vietnam (ICHAM) ha anche firmato il progetto “The
Prosecco DOC Lifestyle”: un vero e proprio roadshow che
ha attraversato il paese da nord a sud per promuovere
la Denominazione a operatori del settore e consumatori
vietnamiti. Forti del patrocinio dell’Ambasciata d’Italia
ad Hanoi e del Consolato Generale d’Italia a Ho Chi
Minh City, i vari appuntamenti sono stati ospitati il 15
maggio a Casa Italia ad Hanoi e il 17 maggio all’Hyatt
Regency nella città di Da Nang con tre importanti
momenti: Masterclass di presentazione generale della
DOC Prosecco con degustazione di 8 vini, Walkaround
Tasting che hanno favorito incontri e domande, e
-a suggello delle varie attività- un party conviviale
all’insegna dell’Italian lifestyle con musica dal vivo.
All’evento “Prosecco DOC Lifestyle” hanno partecipato
Antonio Alessandro, Ambasciatore d’Italia in Vietnam
(ad Hanoi), Enrico Padula, Console Generale d’Italia a Ho
Chi Minh City (a Da Nang), Michele D’Ercole, Presidente
di ICHAM e Tran Thanh Quyet, Direttore Esecutivo di
ICHAM. La Masterclass, condotta dai sommelier To Viet
(Hanoi) e Alex Thinh (Da Nang), ha raccolto l’adesione
di numerosi altri sommelier, ma anche produttori,
distributori e rappresentati del settore F&B.
“L’importanza di questa missione -sottolinea
l’Ambasciatore Antonio Alessandro– consiste nel
fatto che il Prosecco DOC è un prodotto molto popolare
e distintivo dell’Italia che ha un ottimo posizionamento
sul mercato e molto spazio per crescere ancora. Per
questo la presenza del Consorzio accompagnato da
otto produttori giunti in Vietnam per illustrare i propri
prodotti ad Hanoi, Da Nang e Ho Chi Minh City, è
stata un’occasione così speciale”. Inoltre, conclude
Alessandro: “l’Ambasciata d’Italia in Vietnam sostiene
tutti gli eventi che promuovono l’autentica cultura
italiana e i prodotti italiani. In tal senso ben venga questo
evento che ha visto ICHAM e il Consorzio Prosecco
DOC collaborare”.
Non è mancato il Console Generale Enrico Padula
a dare il suo benvenuto alla missione a Da Nang: “L’area
centrale del Vietnam, e Da Nang in particolare, hanno
un grande potenziale, essendo città a forte vocazione
turistica e in rapido sviluppo. Anche la celebrazione
della Giornata Nazionale Italiana ha riunito la comunità
italiana a Da Nang a suon di bollicine, ma l’importanza
dei prodotti italiani, in particolare del Prosecco DOC,
ha giocato un ruolo fondamentale nella promozione
delle imprese italiane in Vietnam”.
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Infine è intervenuto Michele D’Ercole, Presidente
di ICHAM a sottolineare il successo dell’evento: “Per la
prima volta, il Consorzio di Tutela della DOC Prosecco
ha visitato il Vietnam e siamo onorati di aver organizzato
questi eventi come ICHAM”. L’export del Prosecco DOC
in Vietnam è più che raddoppiato negli ultimi anni
(+168% dal 2021 al 2022) e presenta ancora grandi
potenzialità di crescita dato che il mercato vietnamita ha
appena iniziato a conoscere il Prosecco DOC. Alla luce
di tutto questo, il Presidente D’Ercole ha assicurato che
“ICHAM continuerà a dare il suo supporto al Consorzio
Prosecco DOC selezionando partner, location e i
potenziali interlocutori potenzialmente interessati”.
Le aziende che hanno partecipato alle attività
organizzate in Vietnam sono: Borga since 1940, Cantina
Pizzolato, Giusti Wine, La Tordera, Le Contesse,
Masottina, Villa degli Olmi, Villa Sandi.
Info: www.prosecco.wine/it
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Decortica Amorim: fascino,
tradizione, rivoluzione
Le querce cantano al ritmo della decortica in Portogallo, fino a
luglio. Un rituale affascinante, che quest’anno si arricchisce di
notevoli innovazioni in termini di sostenibilità
A cura di Redazione Centrale TdG
“
Amorim ha un piano rivoluzionario per il settore, che
consentirà la redditività forestale – afferma l’a.d. Amorim
Cork Italia Carlos Veloso dos Santos – grazie all’anticipo della
produzione, grazie a una densità di coltivazione superiore a quella
attuale e, inoltre, grazie al decisivo contributo che queste nuove
piantagioni daranno rispetto alla CO2: possono catturarne 8
milioni di tonnellate e avere un enorme valore ambientale aiutando
il nostro Paese e l’Europa a raggiungere gli obiettivi dell’accordo
di Parigi e vivere in un mondo con una foresta capace di catturare
per oltre 200 anni CO2 in maniera sistematica.
Sono investimenti con un payback molto lungo, tra 22 e 24 anni,
ma a renderci fiduciosi è la convinzione che abbiamo rispetto al
nostro prodotto e la visione positiva verso il futuro del sughero,
per questo Amorim coinvolgerà gli strumenti finanziari e le risorse
umane necessarie per concretizzare questo piano così ambizioso”.
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Oggi, infatti, il gruppo Amorim ha in gestione
diretta 8.700 ettari di foreste dove andrà a piantare
nei prossimi 4 anni 1,5 milioni di nuove querce da
sughero. Queste scelte di investimento, associate a una
esclusiva irrigazione goccia a goccia, permetteranno di
ottimizzare la risorsa idrica, bene sempre più scarso, e
al contempo favorire una crescita mirata delle piante.
Il ciclo normale di decortica richiedeva 43 anni in
totale, per avere un sughero ottimale per i prodotti di più
alto livello, tra cui i tappi. Osservando l’esperimento di
un coltivatore di oliveto intensivo, Amorim si è accorta
che nello stesso ambiente, con l’irrigazione goccia a
goccia e con i stessi nutrienti dell’olivo, una quercia di 8
anni aveva la stessa dimensione di un albero di 25 anni.
Da qui è nata l’idea di sperimentare un ciclo intensivo,
in cui la prima decortica (sughero vergine) può avvenire
a 8 anni, la seconda dopo soli 4, si toglie in questo
frangente l’irrigazione goccia a goccia e si fornisce solo
al bisogno (in caso di siccità). La terza e ultima decortica,
così, può avvenire dopo 9 anni, ovvero dopo un totale
di 21 anni, meno della metà del tempo precedente.
Ulteriore innovazione è quella dell’attività di decortica
in senso stretto: rimane l’operazione delicata e ad alta
responsabilità finora conosciuta, tuttavia può oggi fruire
di una meccanizzazione degli strumenti. Questi devono
essere comunque gestiti da mani sapienti, quelle degli
esperti – letteralmente – sul campo, che si tramandano
il know-how da secoli e che sono i primi custodi della
pianta, visto che un’incisione troppo profonda può
ferirla e una troppo leggera può rovinare il sughero.
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Tuttavia, possono anch’essi vivere un alleggerimento
della propria attività, che rimane uno dei lavori agricoli
meglio pagati al mondo per la sua specializzazione, a
contrasto, oltretutto, della desertificazione sociale di
queste terre. L’orizzonte odierno punta a una ulteriore
evoluzione: Amorim sta lavorando sulla selezione
genetica per avere la migliore qualità di sughero per
le nuove piante, con l’obiettivo di aumentare anche
quantitativamente, passando da una media di 55 piante
per ettaro a 300 piante per ettaro e con l’ambizione
di sviluppare la messa in produzione di 50.000 ettari
di foreste tra Portogallo e Spagna per aumentare la
produzione mondiale di sughero del 30%.
La decortica e le sue evoluzioni rimangono parte di
una attività di tutela, prima che origine della filiera
produttiva, che si dimostra sempre più strategica
per l’intero bacino del Mediterraneo. Le querce sono
tra le protagoniste, infatti, di uno dei 35 santuari di
biodiversità del pianeta, quella macchia mediterranea
che deve parte della sua sopravvivenza ai 2,2 milioni
di ettari di foresta da sughero: consentono la vita ad
animali e vegetali e assorbono fino a 32 milioni di
tonnellate all’anno di CO2.
In questa maniera si risponde pienamente al noto
proverbio portoghese “io pianto l’eucalipto per me,
il pino per i miei figli e il sughero per i miei nipoti”,
dimostrando uno sguardo lungimirante, visionario e
di piena responsabilità, anche in contesto aziendale.
Info: www.amorimcorkitalia.com
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La tecnologia più ecologica e più efficace
al mondo contro il TCA per i tappi in
sughero naturale.
Ispirato dallo straordinario lavoro che la Natura ha fatto con il sughero, abbiamo creato Naturity®, un processo
interamente naturale che rimuove il TCA e altri composti di deviazioni sensoriali dai nostri tappi in sughero naturale.
Sviluppato dall’Università NOVA di Lisbona e da Amorim Cork, Naturity® è una tecnologia rivoluzionaria progettata
per massimizzare la performance dei nostri tappi senza comprometterne la natura. Grazie ad un processo avanzato
che combina tempi, pressione, temperatura e acqua purificata, siamo ora in grado di separare le molecole del TCA e
altre molecole volatili dalla struttura cellulare dei tappi in sughero naturale, attraverso un metodo non invasivo che
mantiene intatte le caratteristiche cruciali di questo materiale unico.
amorimcorkitalia
La scelta naturale
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Alla scoperta dei vini di Verona
in bicicletta
Un intenso tour enogastronomico in bici, alla scoperta dei vini di
Verona, tra i vigneti della Valpolicella e il Lago di Garda
A cura di Silvia Donatiello
La regione della Valpolicella offre splendide
vedute panoramiche, con i suoi terrazzamenti e
vigneti che si estendono sulle colline. E proprio
attraverso queste colline si snoda un percorso ciclabile
in aperta campagna, tra ampie coltivazioni, ideale
per conoscere questo pezzettino d’Italia in sella a una
bicicletta.
Il Lago di Garda
Partendo da Verona, si prende questa ciclabile che
porta salendo in quota a scollinare fino a raggiungere
il Lago di Garda. Affacciandoci sul lago, sempre in bici,
attraversiamo Bardolino e Lazise, due affascinanti
paesi situati sulla sponda orientale del lago di Garda.
Bardolino è il principale centro della produzione del
vino omonimo. Il paese si estende lungo la riva del lago
e offre una splendida vista panoramica. Il suo centro
storico è caratterizzato da stradine acciottolate, piccole
piazze e edifici storici.
Nonostante Bardolino sia famoso per il suo vino
omonimo, è anche noto per l’olio d’oliva prodotto nella
zona circostante. Ogni anno, a settembre, si svolge
la “Festa dell’Uva e del Vino”, una sagra dedicata alla
celebrazione del vino e della cultura locale. Lazise è
un altro incantevole paese situato sulla riva orientale
del Garda, a pochi chilometri a nord di Bardolino.
Anch’esso offre una splendida vista sul lago e un centro
storico caratterizzato da strette vie medievali e da
un affascinante castello scaligero. Se si ha tempo a
disposizione, il porto di Lazise è un punto di partenza
ideale per esplorare il lago in barca.
Entrambi, Bardolino e Lazise, offrono una
combinazione di bellezze naturali, storia e cultura,
rendendoli luoghi ideali per una piacevole visita sulle
sponde del lago di Garda. Infine, dopo 58 km di pedalate,
raggiungiamo Peschiera, sempre in sella alla nostra due
ruote anche se si trova a soli 15 km di treno da Verona.
Dopo tanti chilometri ci vuole una meritata pausa presso
un’azienda agricola per degustare il Bardolino e poi
si ritorna in treno verso la città di Romeo e Giulietta.
La Valpolicella
Il giorno dopo si parte alla scoperta delle colline
della Valpolicella percorrendo una bella pista ciclabile
attraverso strade di campagna che, immerse tra i vigneti,
fiancheggiano antichi casolari ed eleganti Ville Venete:
alcune di esse sono ora prestigiose cantine e meritano
una visita non solo per l’arte che celano, ma per una
meritata degustazione enologica. E proprio il fine ultimo
di questa pedalata è quello di fermarsi ad assaggiare il
rinomato vino Valpolicella.
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I vigneti della Valpolicella sono famosi in tutto
il mondo per la produzione di vini di alta qualità,
comprendono una superficie di circa 7.600 ettari di
terreno collinare nella provincia di Verona, e producono
principalmente vini rossi, in particolare il Valpolicella
Classico, l’Amarone della Valpolicella e il Recioto della
Valpolicella. Questi vini sono prodotti utilizzando
principalmente tre varietà di uve autoctone: Corvina,
Corvinone e Rondinella.
Il vino Valpolicella Classico è un vino rosso giovane
e fruttato, caratterizzato da aromi di ciliegia e fragola.
L’Amarone della Valpolicella è un vino molto apprezzato,
ottenuto dall’appassimento delle uve prima della
vinificazione. Questo processo di appassimento
conferisce al vino una maggiore concentrazione di
aromi e una struttura più complessa. Il Recioto della
Valpolicella è un vino dolce, ottenuto dalle stesse uve
dell’Amarone, ma fermentato per un periodo più breve
per conservare parte degli zuccheri naturali dell’uva.
A degustazione finita e con gli occhi pieni di bellezza
si ritorna verso il centro città, pedalando all’ombra delle
colline terrazzate e seguendo il corso del fiume Adige.
Soave e il suo vino
Per concludere in bellezza questo tour “cicloenologico”
non poteva mancare una visita a Soave.
Attraversando il centro storico di Verona, ci si ritrova,
poco dopo, immersi nella campagna, costeggiando
piccoli corsi d’acqua fino ad arrivare alle verdeggianti
vallate dell’est veronese. Dopo un paio di facili e
panoramiche salite, si arriva finalmente a Soave, antico
borgo circondato da possenti mura medievali e dominato
da un castello.
Il Castello di Soave è di origine medievale, in buono
stato di conservazione e offre una spettacolare vista
panoramica sulla città e sulla campagna circostante. Si
possono visitare le sue torri, camminare lungo le mura
e ammirare l’architettura storica. Ma per immergersi
nell’atmosfera unica di Soave, niente di meglio che
passeggiare per le sue stradine acciottolate, ammirando
le case colorate, gli edifici storici e respirando l’atmosfera
medievale del borgo. Da non perdere Piazza Antenna, la
piazza principale di Soave, piena di caffetterie per una
pausa rinfrescante e la Chiesa di San Lorenzo, situata
nel centro del borgo. Questa chiesa gotica risalente al
XIII secolo è affascinante sia dall’esterno sia dall’interno,
con i suoi affreschi e il suo campanile. Il borgo, inoltre,
ospita durante l’anno diverse manifestazioni legate al
vino, come la Festa dell’Uva, che offrono l’opportunità
di immergersi completamente nella cultura e nelle
tradizioni locali.
E proprio con il fine di questa full immersion nelle
tradizioni locali, una volta saziata la sete di cultura,
è il momento di assaporare il vino locale. Soave è
famosa per la produzione del suo vino omonimo. Il
vino Soave è principalmente prodotto utilizzando il
vitigno Garganega, che deve costituire almeno il 70%
dell’uvaggio, insieme ad altre varietà bianche come il
Trebbiano di Soave e il Chardonnay, che possono essere
utilizzate in percentuali minori. Questa combinazione
di vitigni conferisce al Soave la sua tipica freschezza,
aromi fruttati e una buona acidità.
I vigneti di Soave sono situati su colline vulcaniche,
caratterizzate da terreni ricchi di basalto, che donano
al vino un’identità unica. La coltivazione dei vigneti
avviene principalmente in regime di pergola veronese,
un sistema di coltivazione tradizionale che consente
una buona esposizione al sole per le uve.
Il Soave si caratterizza per la sua piacevolezza e
versatilità, spaziando dall’abbinamento con antipasti,
pesce e frutti di mare, fino ad accostamenti con formaggi
freschi e piatti a base di verdure. È apprezzato per la
sua freschezza e la sua facilità di beva. Si chiude così,
in questa splendida cornice, tra pedalate e vino, il tour
ciclo-enologico nel veronese e, seppure a malincuore,
una volta raggiunto San Bonifacio, si prende il treno
per il ritorno a Verona.
Per più informazioni: www.cyclando.com
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68 Alaska: tra i ghiacci del
Pacifico
74 Viaggio tra fondali
incontaminati, calette e grotte
marine
82 Ponza: tra mito e storia
90 Il cielo inizia a Gran
Canaria
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Alaska: tra i ghiacci
del Pacifico
Il racconto di questo viaggio che ha dell’incredibile,
di un sogno realizzato che continua a premere nella
memoria con straziante nostalgia
A cura di Jimmy Pessina
Quando si pensa all’Alaska la mente vi associa
immediatamente immagini di paesaggi
coperti da un fitto strato di neve, ghiacciai
colossali e temperature artiche, tuttavia va detto che
questo è vero solo in parte. Durante il corso dei mesi
invernali il paesaggio è esattamente questo e i molti
documentari e film hollywoodiani lo hanno descritto
e mostrato più e più volte. Parlare dell’Alaska è un
po’ difficile, siamo così lontani dal resto degli Usa
che sembra di essere da tutt’altra parte, soprattutto
per quanto riguarda le tradizioni, gli usi e i costumi,
insomma è un modo di vita poco Yankee.
Nonostante ciò, alcuni aspetti sono tipici del resto
degli Usa e sono anche qui, espressamente evidenti; il
paesaggio vasto e sconfinato, la natura che regna sovrana
con le immense foreste, lungo le sue coste frastagliate
da fiordi e da centinaia d’isolette. Per non parlare dei
suoi spettacolari parchi nazionali, la vera essenza di
tutti gli Stati Uniti d’America.
Molti di noi pensano all’Alaska come a un posto
estremamente freddo durante tutto l’anno, non è così. Il
periodo migliore (e il più visitato) è quello estivo quando
il clima è mite, nelle zone più interne le temperature
si aggirano dai 25° ai 32°. Le zone costiere sono più
fresche e soggette a forti precipitazioni. Costante e
noiosa in tutto il paese, la presenza delle zanzare,
bisogna armarsi di repellenti. Essendo prossimi al polo
nord, qui il buio non cala mai (d’estate), più ci si spinge
verso nord, più chiaro troverete (città come Fairbanks
vedono il sole tramontare per due ore!). Le mezze
stagioni durano qualche settimana, mentre ovviamente
l’inverno è particolarmente rigido (- 32° di giorno). Un
viaggio scomodo, più che scomodo, estremamente e
emblematicamente personalizzato, pochi orpelli, solo
una ferrea necessità, inseguire un sogno.
Avere un sogno aiuta a vivere, Cerchiamo ora di
conoscere meglio questo Stato, poco considerato da
un certo tipo di turismo e amato dai viaggiatori. È utile
sapere che la rete stradale è ridotta al minimo e che
molte zone dell’Alaska sono difficilmente raggiungibili
anche via terra.
Le strade come vi ho detto sono poche (alcune sterrate)
e in molte zone, come nel Southeast (dove tra l’altro si
trova la capitale Juneau), mancano del tutto. 1/3 degli
spostamenti sono effettuati via mare, mentre il restante
tramite l’aereo. I motivi che ci spingono fin quassù,
sono legati al paesaggio superbo delle sue montagne e
delle sue foreste; anche il mare offre scenari incantevoli
con gigantesche scogliere a picco, fiordi e veri e proprie
isole ghiacciate.
Gran parte del territorio è occupato dai Parchi
Nazionali, molti dei quali sono di primaria importanza.
Per citarne qualcuno: il Denali N.P. and Preserve, la
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Glaciar Bay N.P. and Preserve, il Kenai Fjords N.P. Il
più vasto di tutti, però, è il Wrangell-St Eliasa, che si
trova a est di Anchorage, 6 volte più grande del Parco
Yellowstone. Geograficamente e territorialmente
l’Alaska, può essere suddivisa in 4 grandi aree: il
Southeast, la regione South Central, Interior che
racchiude l’entroterra e la zona a nord definita Artic
(di cui non c’è molto da dire!).
La regione del Southeast è una zona caratteristica,
molti villaggi come Ketchikan, sono dediti interamente
alla pesca. In queste acque si pescano ben cinque razze
differenti di salmoni, mentre nelle foreste non mancano
i cervi e gli orsi. La regione South Central è l’area in
cui si concentra la maggior parte della popolazione e
indubbiamente è quella più ricca di attrazioni.
Anchorage è il punto di partenza per chi vuole visitare
l’Alaska; la città è molto bella, qualche piccolo grattacielo,
in uno scenario a metà tra le alte montagne innevate
e le acque fredde dell’oceano. La Kenai Peninsula è
l’altro punto obbligato per chi transita da queste parti.
È una lunga lingua di terra coperta da ghiacciai, ricca
di fauna selvatica e pesci. Seward è un centro curioso,
qui arriva il trenino da Anchorage, la città vive delle
sue tradizioni (pesca) ed è il punto di partenza per tutte
le escursioni in barca e nel vicino Kenai Fjords N.P. La
zona dell’entroterra (Interior) è la regione delle grandi
foreste di betulle e abeti rossi ed è il regno incontrastato
di un altro grande parco, il Denali N.P. and Preserve.
di un aereo o di un’imbarcazione, nonostante si trovi
sulla terra ferma. La cultura dell’Alaska è fortemente
legata al suo territorio e agli Inuit. Gli Inuit sono gli
originari abitanti di queste terre, il loro numero è oramai
ridotto e la maggior parte di essi vive ancora seguendo
le tradizioni culturali più antiche, sopravvivendo solo
di caccia e di pesca. Alcuni di loro si spingono fino alle
cittadine per vendere i propri manufatti o le prede più
pregiate.
Il fatto che il turismo in Alaska sia florido dipende
dallo spettacolo che la natura offre. Le suggestive
foreste da attraversare con treni panoramici, ghiacciai
ammirabili dalle navi da crociera, paesaggi sconfinati,
laghi e tanti animali come orsi, alci, caribù, balene,
orche, foche, lontre e leoni marini. Un viaggio scomodo,
più che scomodo, estremamente ed emblematicamente
personalizzato, pochi orpelli, solo una ferrea necessità:
inseguire un sogno e avere un sogno aiuta a vivere.
Impariamo ad amare un posto bello sì, lo sappiamo
tutti, ma inospitale, rispetto ai luoghi comuni (come
la febbre dei tropici). Si sente poco parlare di febbre da
ghiacci, le mete polari richiedono una motivazione in
più, quella che solitamente manca per chi è in cerca di
una vacanza rilassante. Al rientro ci si può ammalare
anche di mal d’Alaska. Questo è poco ma sicuro.
Questo parco copre, quasi 6 milioni di acri e
comprende il maestoso Mt. Mckinley (6194 m), la
vettà più alta del Nord America. Il parco è vietato ai
veicoli non autorizzati ed è impareggiabile per le sue
passeggiate e per gli avvistamenti di orsi, lupi e alci.
La capitale Juneau sorse intorno al 1878 come città
mineraria e prende il suo nome da Joe Juneau, scopritore
del giacimento.
Fu nel 1881 che attraverso una votazione popolare
tra tutti i cittadini e i minatori del posto che si decise
di dare nome Juneau alla città. Caratteristica unica di
questa metropoli che è raggiungibile unicamente a bordo
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VIAGGIO TRA FONDALI
INCONTAMINATI, CALETTE
E GROTTE MARINE
Lasciatevi incantare dalla bellezza delle Isole Tremiti:
San Domino, San Nicola e, completamente disabitate,
Capraia, lo scoglio del Cretaccio e la piccolissima
Pianosa
A cura di Jimmy Pessina
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Un paradiso incontaminato, l’ideale per gli
amanti del diving. Partite da Vieste o da Rodi
Garganico per raggiungere l’arcipelago delle
Tremiti. O da Foggia con un volo in elicottero, per
godervi lo spettacolo del promontorio dall’alto. La
prima tappa del vostro tour da isolani, è San Nicola.
Appena sbarcati, seguite il percorso che si inerpica tra
le mura difensive e raggiungete il punto più alto, dove
sorge il Santuario di Santa Maria a Mare.
L’isola di San Domino, la più grande dell’arcipelago
è un’esplosione di vegetazione, colori e profumi.
Meritano una visita: il boschetto del Diamante, la
piana dell’Eden e il colle dell’Eremita. Fatevi un giro
dell’isola in barca, per ammirare le coste e le numerose
grotte. Le immersioni più belle sono a Punta del Diavolo
e nella Grotta delle Rondinelle.
A Capraia, infine, si fanno le escursioni subacquee
più belle del Mediterraneo. Immergetevi a Punta Secca
e Cala dei Turchi: sarà incredibile nuotare tra polpi e
margherite di mare, mentre Pianosa fa parte di una
Riserva Marina Integrale e quindi non si può visitare
senza autorizzazione.
Le Isole Tremiti sono indubbiamente un paradiso,
con una natura intatta, un mare realmente cristallino
anche se l’ospitalità e l’organizzazione non sempre è
all’altezza delle aspettative. Anche se sono scelte da chi
cerca una vacanza solo mare, le Isole Tremiti offrono
molte cose da vedere, storiche e naturalistiche: la grotta
del Bue Marino e la Pineta a San Domino, la abbaziafortezza
di San Nicola.
I fondali intorno alle isole sono amati da chi fa
immersioni e snorkeling e offrono scenari spettacolari
di grotte, insenature, pesci di ogni razza e dimensione,
relitti romani, turchi e più recenti. Nelle cinque isole si
mangia molto bene ma è molto difficile trovare un hotel
se non si prenota in anticipo. Le Tremiti sono conosciute
anche con il nome di Diomedee perché la loro origine
è legato all’eroe greco Diomede, che le avrebbe create
lanciando in mare tre grandi sassi portati da Troia. In
queste isole Diomede sarebbe poi morto.
Di questo mito restano le Diomedee, uccelli dal canto
particolare che popolano le scogliere dell’arcipelago.
Secondo Virgilio non sono altro che i compagni di
Diomede, trasformati da Afrodite in uccelli affinché
possano per sempre piangere e vegliare sul loro eroe.
La maggior parte delle spiagge delle Tremiti è di ciottoli
e i posti più belli si raggiungono tramite ripide discese
nella macchia mediterranea: prima di avventurarsi per
un bagno quindi, meglio portare con sé sempre crema
solare, scarpette di gomma, cappellino e macchina
fotografica per rubare gli scorci più belli.
Oltre a essere l’unica isola delle Tremiti attrezzata
turisticamente, San Domino è anche famosa come
“l’isola di Lucio Dalla”: il grande cantautore italiano
aveva infatti casa qui e qui ha composto alcune delle sue
canzoni più famose, ispirato dai colori e dal paesaggio.
Oggi troverete un po’ di Lucio Dalla in tutta San Domino,
dalle sue canzoni che risuonano nei locali alle foto
appese nei ristoranti. È facile capire perché è tanto amata
da artisti e turisti che la visitano ogni anno: è un’isola
ancora selvaggia nonostante il turismo, ricoperta di pini
e costeggiata da spiagge sassose e grotte di mille colori.
Tra le spiagge da non perdere a San Domino ci sono
cala Matano e Cala dei Benedettini, che si raggiungono
a piedi dal Molo e sono naturalmente ombreggiate dai
pini d’Aleppo (ma trovate anche lettini, ombrelloni,
bar e ristorante). San Nicola offre invece coste rocciose
con pochi punti in cui prendere il sole, mentre Caprara
vanta cale incontaminate da raggiungere in gommone:
Cala dei Turchi, Cala di Sorrentino e la più bella, Cala
Pietra del Fucile.
Tutte le cale e le baie delle Tremiti sono affacciate su
acque caraibiche che vanno del verde intenso al celeste,
punteggiate da grotte e massi dai nomi suggestivi. Il
periodo migliore per un tuffo e una vacanza di mare alle
Tremiti va da maggio a fine settembre, con l’esclusione
di agosto, in cui sono molto affollate. I giri in barca
delle Tremiti più richiesti sono il giro dell’isola di San
Domino, che è ricca di cale e grotte, e il periplo di tutte
le isole, con soste per fare il bagno nei punti più belli,
in particolare al largo dell’isola di Capraia dove si
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trova una statua sommersa di Padre Pio. L’isolotto del
Cretaccio, di natura argillosa e privo di vegetazione, è
posto tra San Domino e San Nicola, dista 300 mt. da S.
Nicola, 200 metri da S. Domino e da Capraia 900 mt.
Una profonda insenatura aperta verso nord lo
spezza quasi in due tronconi. Più che la minore delle
Isole Tremiti, è considerato il maggiore degli scogli
dell’arcipelago, che a causa della corrosione incessante
degli agenti atmosferici ridurrà la propria estensione
nel corso dei secoli fino a scomparire. Sulla costa sud
si può vedere ciò che resta del molo benedettino. La
leggenda la vuole popolata di fantasmi.
potrete scegliere tra gozzi, lance, motoscafi. Le partenze
sono molto frequenti: c’è un’escursione ogni ora dalle
9 alle 17 e potrete acquistare i biglietti direttamente ai
punti vendita delle varie compagnie sul molo di San
Domino. Alcune compagnie prevedono anche il pranzo a
bordo con pesce pescato al momento. Sono raccomandati
sempre asciugamano, crema solare, scarpette di gomma
per visitare le cale sassose.
Credit Photo: V.Biffani. V. Pioggia, J. Pessina, ARET
Pugliapromozione e Comune Isole Tremiti
Si narra infatti che qui venne giustiziato un detenuto,
il cui fantasma lo popola durante le notti tempestose,
reggendo tra le mani la sua testa decapitata. Ad
arricchirne il “brivido” contribuisce il vicino scoglio
La Vecchia, di colore nero cupo, proprietà di una vecchia
strega. Ma in fondo dovrebbero trattarsi di semplici
credenze. Dal 1989 Pianosa è riserva naturale totale,
distante una ventina di chilometri dalle altre 4 isole
che costituiscono l’arcipelago, il suo nome deriva dalla
struttura pianeggiante, è lunga 700 metri e larga 250,
con un’altezza di 15 mt. sul livello del mare.
La limpidezza cristallina delle acque, il canto dei
gabbiani che si infrange contro il suggestivo vocio del
mare, fanno risvegliare nell’uomo la sensazione di essere
parte della natura. Divieto di approdo e di navigazione
entro i 500 mt., divieto assoluto di pesca e divieto di
immersioni a meno che non accompagnati da guide
subacquee autorizzate.
L’isola, soprattutto per i suoi fondali, riveste
un’importanza strategica per la conservazione delle
risorse marine, creando infatti un’area di estremo valore
per numerosissime comunità di specie ittiche che qui, in
uno dei pochi ambienti ancora incontaminati, trovano
le condizioni adatte per alimentarsi e, soprattutto,
per riprodursi. Le escursioni in giornata partono sia
dalla terraferma, ad esempio dai porti di Vieste e Rodi
Garganico in provincia di Foggia, che direttamente dal
molo di San Domino. Qui troverete varie compagnie e
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PONZA: TRA MITO E STORIA
Un mare incantevole, scogliere scoscese a picco,
oasi profumate di macchia mediterranea, casette
dipinte a colori pastello
A cura di Franca Dell’Arciprete Scotti
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Abbastanza lontana dalla terraferma per
conservarsi autentica. Abbastanza vicina per
invitare a facili escursioni. Ponza è l’esempio
perfetto di isola del Mediterraneo. A 21 miglia circa
dalla costa laziale, la più grande delle Isole Pontine fu
definita da Folco Quilici “una delle isole più belle del
mondo”. Un mare incantevole, scogliere scoscese a picco
dove si arrampicano le capre e volano i gabbiani, oasi
profumate di macchia mediterranea, casette dipinte a
colori pastello che sembrano un quadro naif.
Vi diranno che Ponza è l’isola dei VIP, dove arrivano
gli yacht di Leonardo Di Caprio e Bar Rafaeli, Naomi
Campbell e Beyoncé. Personaggi che si incontrano a
passeggio tra le deliziose boutique di artigianato locale
in lino, rafia, paglia, ceramica. Oppure sono vicini
di tavolo nei ristoranti che conservano un’eccellente
tradizione gastronomica isolana. Di ristoratori che sono
loro stessi personaggi da intervistare, come Oreste,
titolare di Oresteria e Orerock, che racconta volentieri
episodi divertentissimi, aneddoti gustosi come i suoi
piatti.
Ponza dunque come luogo magico prediletto
da VIP di tutto il mondo.
Ma chi non ama la mondanità, andrà alla ricerca
di una Ponza più discreta e appartata. Ci si allontana
dal porto affollatissimo di barche grandi e piccole, di
yacht e motoscafi, per salire in alto a scoprire strade
panoramiche. E qui mille sentieri invitano al trekking.
Ad esempio verso Punta Incenso un sentiero facile
immerge nei profumi e nei colori di lentisco, mirto,
elicriso, assenzio, caprifoglio, ginestre, orchidee
selvatiche. Dall’alto si scoprono, tra agavi e fichi d’India,
le ville immerse nel verde, le calette solitarie color
smeraldo e acquamarina dove dondolano placide la
barche a vela.
Arrivati a Punta Incenso, nelle giornate più terse,
si intravede un panorama infinito che arriva al
Promontorio del Circeo e alle coste del basso Lazio.
La forma stretta e allungata di Ponza, frastagliata
dai innumerevoli rientranze, produce scorci sempre
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diversi sia da terra che dal mare. Il mare ovviamente
è l’elemento imperdibile da godere a tutte le ore, la
mattina da una terrazza, facendo colazione, durante
il giorno in un’escursione in barca o in gommone,
al tramonto, quando si ritorna in porto e i riflessi
dell’acqua si mescolano con i colori pastello delle case.
Le escursioni in barca organizzate dall’ottima
Cooperativa Barcaioli Ponzesi portano a scoprire le
calette più nascoste e inaccessibili, con scogliere a picco
striate di giallo per la presenza di zolfo, o nerissime di
pietra lavica, o bianche di calcare scavato da vento e
piogge. Spettacolari i passaggi tra i faraglioni, gli archi
naturali, le grotte dove ci si infila in gommone per vedere
i riflessi azzurro verdi dell’acqua.
Un’escursione a parte conduce a Palmarola, l’altra
bellissima isola pontina, più piccola e selvaggia, dalla
natura integra e fondali marini spettacolari, paradiso
per i subacquei. E mentre si intravedono scogli e
promontori che potrebbero sembrare tutti uguali, la
fantasia rincorre storie e leggende.
Perché la maga Circe, nobildonne e principesse
rivivono all’improvviso in una roccia, in un enorme
disegno a forma di cuore su una parete, in una grotta
bizzarra, in un dirupo che tramanda storie malinconiche.
Così veleggiare intorno a Ponza significa immergersi
in uno scenario incantato che rievoca i miti omerici.
storica si affermò con i Borboni di Napoli che alla fine
del ‘700 inviarono a Ponza forzati ergastolani, destinati
a opere di cave e di miniera, come è testimoniato nel
cosiddetto Bagno Vecchio. Non dimentichiamo poi
il trentennio del ‘900 in cui Ponza ha visto l’arrivo
di confinati politici, poi diventati parlamentari della
Repubblica, come Terracini, Nenni, Amendola. In questo
mix rocambolesco di storia e leggenda, di personaggi
mitici ed eroi politici, c’è una forte continuità.
Personaggio unificante è San Silverio, già
Papa, morto nel 530 nella vicina Palmarola,
patrono a cui l’isola è devotissima.
San Silverio è da sempre protagonista di una festa
grandiosa che il 20 giugno e nei giorni precedenti
richiama tutti i ponzesi, dovunque si trovino, tanto che
addirittura arriva appositamente una nave di ponzesi
trasferiti all’isola d’Elba. Processione in mare con la
statua del Santo, cerimonie a terra da un borgo all’altro,
cortei di barche pavesate a festa, canti e racconti e alla
fine un grande festoso lancio di garofani rossi per
confermare ogni anno la fedeltà a una tradizione e
l’orgoglio di una comunità.
D’altronde quella che Omero definisce Eea,
l’isola di Circe, non sarebbe proprio Ponza,
secondo le ipotesi di alcuni storici?
Ovviamente c’è anche un’altra storia molto più
concreta e recente. I Romani, che consideravano l’isola
un punto strategico fondamentale per il controllo del
Tirreno centrale, hanno lasciato tracce potenti, un lungo
acquedotto, enormi cisterne sotterranee per l’acqua,
costruite con abilità ingegneristica che lascia senza
fiato. E poi ville di personaggi illustri, memorie di un
acquario dove erano allevate le murene. Quindi un
lungo periodo di oblio in cui Ponza, spopolata, fu base di
pirati per incursioni sulle coste laziali. Una nuova fase
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Vini e gastronomia
Sebbene piccola, Ponza offre ottime possibilità di
soste gustose. D’altronde un’isola frequentata da VIP
internazionali, non potrebbe non essere all’altezza di un
pubblico esigente e sofisticato. Acqua Pazza, dal 2006
una stella Michelin, appare come un anfiteatro sul mare
per godere a pieno di una vista mozzafiato: cucina e
allestimento scenografico di piatti di pesce freschissimo,
verdure provenienti dai terreni dei contadini isolani,
pasta e pane preparati quotidianamente nella cucina.
Per accompagnare il menu una fornitissima cantina con
oltre 900 etichette, italiane ed internazionali.
Oresteria e Orerock: due ristoranti creativi e
pittoreschi, animati dall’allegria di Oreste, storico
“chef” dell’isola, prediletto da attori e personaggi
glam. Un arredo molto marino e molto originale, con
composizioni di legno e conchiglie, dà un tocco easy
chic e accoglie per piatti sfiziosi, come la dadolata di
orata marinata con arance e capperi, gli spaghetti alle
vongole sgusciate con capperi e pane tostato, il filetto
di barracuda in padella con salsa piccante. Gamberi
e Capperi: sulla terrazza del Piccolo Hotel Luisa, un
menu che viene direttamente dal mare, con il miglior
pescato di Ponza. Trai piatti le famose “Linguine c’o
Fellone” tipico primo piatto di Ponza con la Granseola,
la ricciola scottata su maionese allo zenzero, i paccheri
con aragosta e pomodorino del piennolo.
Sosta da non perdere, durante un’escursione in barca
intorno a Ponza, al ristorante La Marina di Cala Feola:
qui, pied dans l’eau, si assaporano, tra gli altri piatti,
una originale parmigiana di pale di fico d’India e un
pesto al finocchietto selvatico. Anche il vino di Ponza
merita attenzione, se non altro perché prodotto in
vigneti difficili, con una cosiddetta “viticoltura eroica”.
Interessante il progetto di valorizzazione di vitigni
autoctoni che ha intrapreso l’azienda Casale del Giglio,
con la produzione del Faro della Guardia, ricavato dal
vitigno Biancolella di Ponza.
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Consigli di viaggio
Moltissime possibilità di alloggio a Ponza, che dispone
soprattutto di grande varietà di appartamenti e B&B.
Tra gli hotel, da segnalare:
• Grand Hotel Chiaia di Luna, con vista
spettacolare sul mare di Ponza, affacciato sulla
verde baia di Chiaia di Luna (spiaggia o“chiaja”
in dialetto napoletano), da cui si ammira un
magnifico tramonto.
• Grand Hotel Santa Domitilla, famoso per un
eccellente Percorso Benessere
• Hotel Bellavista, in ottima posizione, a pochi
metri dal molo e dalla piazzetta, ha il suo punto
di forza nella panoramica terrazza affacciata
direttamente sul mare e sui faraglioni.
Per tutte le info turistiche: www.prolocodiponza.it
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www.rinaldi1957.it
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BEVI RESPONSABILMENTE.
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Il cielo inizia a Gran Canaria
Chi avrebbe mai pensato che a Gran Canaria si è un po’ più vicini
al cielo? Dalle terrazze, i tetti o le cime delle montagne di Gran
Canaria si affacciano su paesaggi urbani e naturali e il tempo,
improvvisamente, si ferma.
A cura di Silvia Donatiello
L’orologio della torre nord della Cattedrale di
Santa Ana è arrivato a Las Palmas de Gran
Canaria da Londra a bordo della corvetta
“Scipion”. Fu costruito nel 1775 e in questi due secoli
e mezzo ha scandito il passare delle ore nei secolari
quartieri di Vegueta e Triana, anche quando il tempo
sembra essersi fermato, come accade quando si sale
in una delle terrazze in cima agli edifici simbolo della
città e ci si trova di fronte alla visione della facciata del
tempio, illuminata di notte dalla luna, e lo sguardo si
perde nel reticolo di stradine che confluiscono come
ruscelli di pietra nella Plaza de Santa Ana.
dall’alto. Il tramonto, invece, è uno spettacolo di ocra
e rosso, dopo il quale il sipario si abbassa e le stelle
diventano l’unico soffitto sopra le nostre teste e ti viene
da canticchiare “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli.
Nel caso di Las Palmas de Gran Canaria, queste oasi
urbane guardano alla storia dal presente.
Ciò che si vede è un ambiente che è stato adattato,
con vecchi edifici che vivono una seconda vita come
A volte non importa che ora sia. E a volte non importa
nemmeno il nome che diamo alle cose. Questi spazi sono
letteralmente e virtualmente al di sopra della routine
che viene contemplata dall’alto come un elemento
distante e incapace di raggiungere queste vette. È
davvero irrilevante che si chiamino terrazze, tetti,
vette o cime di montagna. Cambiano le parole, ma non
il senso di beato isolamento che regalano.
Inoltre, la varietà di atmosfere, cocktail, sapori,
brunch, a volte anche piscine, jazz band e altre sonorità
musicali, così come il clima mite durante tutto l’anno e
i panorami urbani, marini o montani offerti da questi
locali dell’isola moltiplicano i motivi per salire in cima
a queste torri di guardia a metà strada tra cielo e terra.
Da una prospettiva a volo d’uccello, l’oceano è un
immenso dipinto di tonalità blu scintillanti da osservare
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ristoranti alla moda, musei, biblioteche pubbliche,
gelaterie o negozi. Ma anche le navi da crociera che
arrivano in città e si salutano all’alba o alla fine della
giornata con i pertinenti quattro colpi di sirena che
annunciano la loro partenza e suonano come un
“arrivederci a presto”. E infine la città nella città: il
porto de La Luz e, nelle vicinanze, la sagoma sinuosa
dei vulcani addormentati di La Isleta accanto alla
spiaggia di Las Canteras, che naturalmente ha i suoi
punti di osservazione per assistere a un eterno rituale, in
questo caso l’apparizione e la scomparsa della barriera
naturale, la Barra, dietro la quale la spiaggia sabbiosa
è riparata dall’ondeggiare delle maree.
Mentre guardiamo, parliamo o stiamo in silenzio, e
probabilmente senza che ce ne rendiamo conto, lo stesso
sole che illumina il mare, o l’illuminazione notturna
che trasforma la città in un misterioso puzzle di luci
e ombre, giocano con il nostro bicchiere di Ron Miel,
il rum al miele, prodotto DOP di Gran Canaria. Quasi
lo stesso gioco di luce delle vetrate della Chiesa di San
Juan de Arucas, un tempio che dà l’impressione di
poter essere toccato con mano dalla terrazza mentre
si degusta un formaggio e un vino locale.
e bevande, dove la varietà e la fantasia non conoscono
limiti, soprattutto nella sezione cocktail. È come se i
menù fossero stati contagiati dalla biodiversità dell’isola.
Questa scalinata al cielo sale anche fino alla cima
di Gran Canaria. Alla Cruz de Tejeda, e sopra il caffè
fumante o sul bordo di un bicchiere di vino, si possono
scorgere le formazioni geologiche mozzafiato, gloriose
rovine di titanici processi vulcanici, così come le pinete.
Al crepuscolo è facile capire perché il Paesaggio
Culturale Risco Caído e i Sacri Monti di Gran
Canaria, Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO,
ospitano una proliferazione di indicatori solari e lunari
che venivano utilizzati per misurare il tempo che passava
contemplando le stelle. Anche se ora, dalla terrazza,
abbiamo sicuramente dimenticato di guardare l’orologio.
È ora di non pensare all’ora. Ci pensa l’orologio della
torre nord della Cattedrale di Santa Ana.
Info: www.grancanaria.com
E ad Arucas si trova un’altra terrazza da provare,
quella delle degustazioni dei vari rum prodotti dalla
distilleria più antica d’Europa. Poco più avanti, le
piantagioni di banane diventano parte del paesaggio,
mentre lo sguardo vola un po’ più a nord, verso Gáldar,
dove lo scampanio delle campane della chiesa di
Santiago de Los Caballeros si mescola al suono dei
bicchieri che tintinnano in un brindisi. Poi, sulla costa
di Agaete, c’è la possibilità di ammirare da una terrazza
uno di quei tramonti senza fine apparente, fino a quando
l’ultimo fuoco nel cielo lascia il posto alle ceneri della
notte.
A sud, le terrazze panoramiche sono davanti al faro
e alle dune di Maspalomas o davanti alle spiagge di
El Inglés o San Agustín, così come in diverse località
di Mogán. In realtà, il “tramonto” in questi piccoli
angoli di paradiso non ha limiti. Questa mancanza di
frontiere, tra l’altro, si estende anche ai menù di cibo
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