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PS_1988-1989_036

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29. Stagione/Saison

27. aprile/April 1989

ore 10.30 Uhr

27. aprile/April 1989

ore 20.30 Uhr

28. aprile/April 1989

ore 21 Uhr

BOLZANO/BOZEN

Kulturhaus

BOLZANO/BOZEN

Kulturhaus

TRENTO

Auditorium


Otmar Suitner

direttore/Dirigent

è nato a Innsbruck nel 1922 e ha studiato

presso il Conservatorio della sua città natale

e alla Scuola superiore di musica “Mozarteum”

di Salisburgo.

Ha debuttato come direttore d’opera al Teatro

di Stato di Innsbruck. Nel 1952 è stato

direttore a Remscheid, nel 1957 direttore

generale a Ludwigshafen, dal 1960 al 1964

direttore principale al Teatro dell’Opera di

Dresda, dal 1964 è primo direttore generale

del Teatro dell’Opera e direttore principale

dell ’Orchestra di Stato di Berlino. Dal 1977

è anche Professore ordinario e direttore del

corso di direzione alla Scuola superiore di

musica ed arti applicate di Vienna. É Direttore

ospite in quasi tutti i centri musicali

europei, del Nord e Sud-America e Giappone.

Nel 1973 gli è stato assegnato l’Ordine

di S. Gregorio e di Commendatore da parte

di papa Paolo VI; nel 1982 la Croce d’onore

austriaca per le arti e le scienze.

1922 in Innsbruck geboren. Er studierte

am Konservatorium seiner Heimatstadt

und an der Hochschule für Musik “Mozarteum”

in Salzburg. Er debütierte als

Opernkapellmeister am Landestheater

Innsbruck. 1952 ist er Musikdirektor in

Remscheid, 1957 Generalmusikdirektor in

Ludwigshafen. 1960-64 Chefdirigent der

Staatsoper Dresden, seit 1964 erster Generalmusikdirektor

der Deutschen Staatsoper

und Chefdirigent der Staatskapelle Berlin.

Ab 1977 ist er auch ordentlicher Professor

und Leiter einer Dirigentenklasse an der

Hochschule für Musik und Darstellende

Kunst in Wien. Er ist Gastdirigent in fast

allen Musikzentren Europas, in Nord-und

Südamerika und Japan. 1973 wurde ihm

den Gregorius-Orden und die Ernennung

zum Commendatore durch Papst Paul VI.

und 1982 das Österreichische Ehrenkreuz

für Wissenschaft und Kunst, verliehen.


Programma/Programm

a^

BACH (Reger)

Arioso da/aus dem Choralvorspiel

“O Mensch, bewein dein..”

SCHUBERT

Sinfonia n. 1 in re magg.

Symphonie Nr. 1 D-Dur

Adagio, Allegro vivace

Andante

Allegro

Allegro vivace

BRAHMS

Sinfonia n. 1 in do min.

Symphonie Nr. 1 c-moll

Un poco sostenuto. Allegro

Andante sostenuto

Un poco allegretto e grazioso

Adagio, Allegro non troppo, ma con brio

Direttore!Dirigent

OTMAR SUITNER


NOTE AL PROGRAMMA

Bach (Reger): Arioso dal Choralvorspiel “O Mensch...”

Una delle più antiche melodie di corali del repertorio della chiesa protestante,

O Mensch, bewein dein’ Sünde gross di Mathias Greiter, apparsa a

stampa a Strasburgo appena due anni dopo l’uscita delle prime raccolte

luterane, ossia nel 1526 (testo di Sebald Heyden), ha offerto a Johann

Sebastian Bach lo spunto per due magistrali elaborazioni: per coro e orchestra

(alla fine della prima parte della “Matthäus-Passion”) e per solo organo,

come “Choralvorspiel” (BWV 622 = n. 24 della raccolta “Orgel-Büchlein”,

composta fra Weimar e Köthen nel periodo 1713-1717).

Quest’ultima elaborazione è realizzata sotto forma di corale “ornato”, cioè

con la melodia fiorita, ricca di abbellimenti e inserzioni di note che ne

ampliano il disegno, intensificando così l’espressione. A questo contribuiscono

anche le parti sottostanti, che determinano un gioco armonico estremamente

denso, complesso, con procedimenti di notevole incisività (urti,

cromatismi, modulazioni a sorpresa). Tutto ciò rivela una tecnica raffinata

ed evoluta della “Choralbearbeitung”, tanto da costituire un autentico, perfetto

modello.

MAX REGER (1873-1916) ne ha fatto, un anno prima della morte, una

interessante trascrizione per orchestra d’archi, sotto il titolo di Aria, lasciando,

la facoltà a due primi violoncelli di raddoppiare la parte melodica

affidata ai violini primi e rafforzando la sezione grave con i contrabbassi

(con la “scordatura” di una corda, abbassata di un tono). Reger è qui

preoccupato - come nelle altre sue numerose trascrizioni da Bach - di

mantenersi storicamente “fedele” al prototipo, mirando tuttavia ad una

ricerca di minime sfumature, che “giustifichino” il passaggio dall’organo

al complesso d’archi non solo sul piano d’una mera eppur proficua esercitazione

accademica, ma soprattutto su quello d’un approfondimento del discorso

bachiano, nella sua intima espressione (basti accennare alle frequenti

diciture regheriane “sempre espressivo” e alla segmentazione della melodia

in frammenti che i violini devono eseguire ora sull’una, ora sull’altra corda).

A questa concezione e impostazione del problema avrà sicuramente fatto

riferimento Schönberg, nelle sue trascrizioni di “Choralvorspiele” del Cantor.

Schubert: Sinfonia n. 1 in re maggiore

Gian Luigi Dardo

La Prima Sinfonia in re maggiore, composta nello spirito mozartiano e

per un organico evidentemente desunto da quello delle ultime Sinfonie del

salisburghese (sezione fiati con un unico flauto, altri legni e ottoni a due)

fu terminata da Schubert il 28 ottobre 1813, a poco più di sedici anni. Più

di uno studioso ha riscontrato in essa numerose affinità con Beethoven: il

primo tema ricorda l’Ouverture del Prometeo; il secondo quello corrispondente

della sonata Patetica per pianoforte; il Minuetto si riallaccia allo

Scherzo della Seconda Sinfonia beethoveniana, di cui reca l’impronta

anche il secondo tema del Finale, che mima perfino il travolgente impetuoso

crescendo orchestrale “alla Rossini”. Insomma, Schubert, in questa sua

prima prova sinfonica mostra soprattutto di amare e di riconoscersi nella

grande tradizione dei suoi padri viennesi; e nella piccola sala del convitto

reale di Vienna, circondato da una piccola orchestra di volonterosi dilettanti,

cerca soprattutto di imitarne i tratti più caratteristici, mantenendo la forma

tradizionale (“Adagio - Allegro vivace”, ’’Andante”, “Allegro” e finale

’’Allegro vivace”). Eppure, da cima a fondo circola in questa Sinfonia un

tono inconfondibilmente schubertiano: quasi una patina indefinibile e leggera

che vela e trasfigura i pur riconoscibili modelli, conferendo al lavoro

un alone di misteriosa tristezza. Pochi giorni dopo Schubert avrebbe lasciato

definitivamente il collegio reale, e con quest’opera aveva inteso tributare

agli amici un dono d’addio che era anche per chi l’avesse saputo intendere,

una promessa, quella di non tradire mai le sue origini e la sua missione di

musicista.


Johannes Brahms: Sinfonia n. 1 in do minore op. 68

Terminata nel 1876 dopo una lunghissima gestazione durata quattordici

anni, la Sinfonia in do minore segna lo sforzo di Brahms di apparire il

degno continuatore della grande tradizione sinfonica tedesca.

Lo dimostra l’appellativo di “Decima” che Hans von Bülow coniò per la

Prima, quasi a voler indicare in essa la degna consorella delle Nove Sinfonie

di Beethoven e la coerente prosecuzione di un discorso che, non a caso,

trovava un esplicito punto di sutura nelTultimo movimento, con la emblematica

citazione del tema dell’“Inno alla Gioia”.

L’émpito tutto romantico, la libertà costruttiva, l’articolazione melodica,

la dimensione espressiva sovente più lirica che drammatica, l’estenuante

cromatismo, la vaghezza del clima sonoro e degli impasti timbrici, sono

alcuni degli aspetti che caratterizzano in maniera inequivocabile la concenzione

sinfonica brahmsiana. E proprio lo sforzo di contenere entro i confini

del sinfonismo classico una tale varietà di modi di esprimersi, immediati

e liberamente scaturenti l’uno dall’altro, fu la causa principale della lunga

gestazione della Sinfonia e dell’impiego in essa di procedimenti rigorosamente

costruttivi: primo fra tutti quello contrappuntistico; in secondo luogo

quello dell’elaborazione variata, basata sullo sviluppo di brevi motivi o di

figure musicali in sè compiute.

Nell’ultimo movimento (“Adagio - Allegro non troppo”) si raggiunge il

culmine espressivo di tutta la Sinfonia: dalla citazione beethoveniana in

poi la tensione emotiva si fa sempre più alta, l’individuazione armonica e

timbrica assolutamente originale, l’ispirazione melodica più pura, in un

processo graduale di prodigiosa sintesi fra tutti gli elementi compositivi

che approda alla gioia intensamente drammatica, quasi una trasformazione,

del finale.


Eine der ältesten zum Gesangsrepertoire der protestantischen Kirche gehörenden rung g<

Choralmelodien ist die, welche Mathias Greiter nach Sebald Heydens Text O ein Ge

Mensch, bewein dein’ Sünde groß schrieb und schon 1526, knappe zwei Jahre eingedi

drucken ließ. Diese Melodie hat Johann Sebastian Bach als Grundlage für zwei Johani

meisterhafte Bearbeitungen benützt: Die eine, ein Chor mit Orchesterbegleitung, pje na(

maskantors entstandenen, mit “Orgel-Büchlein” überschriebenen Sammlung an- werden

Stimmen vereinigen sich zu einer überaus vielseitigen Harmonik; zusätzlich Empfir

bereichert wird das Ganze durch besondere Kunstgriffe: chromatische Kühnhei- äußerst

ten, überraschende Modulationen und anderes mehr. Die gesamte Komposition gehalte

läßt eine raffinierte, ausgereifte Technik der Choralbearbeitung erkennen, ja sie der her

wenn auch geringe Nuancen auf, welche die Wahl eines neuen Klangkörpers - wächst

sollen, dem, was Bach sagen wollte, die denkbar vollendetste Ausdrucksform Satz sc

ANMERKUNGEN ZUM PROGRAMM

müsset

grüß ai

Bach (Reger): Arioso aus dem Choralvorspiel “O Mensch...”

Mitarb

nach dem Erscheinen der ersten lutherischen Liedersammlungen, in Straßburg

steht am Ende des ersten Teils der “Matthäus-Passion”; die andere ist das. c-moll

“Choralvorspiel” für Orgelsolo BWV 622, welches als Nr. 24 der in den Jahren

1713-1717, also zwischen der Weimarer und Köthener Zeit des späteren Thosehen

s

che Ha

gehört.

Die zweitgenannte Bearbeitung ist als ausgeschmückter Choral gestaltet, mit

' Symph

Bonnei

kolorierter, vielfältig verzierter Melodie und eingeschobenen Noten, welche Brahm'

ihre Anlage erweitern und zur Steigerung der Ausdruckskraft beitragen. Dem

letztgenannten Zweck dient auch die Begleitung: Die tiefer unten geführten

beetho'

, gejn g(

darf als Muster für diese schlechthin angesehen werden.

phonist

Vom besprochenen bachschen Choralvorspiel hat MAX REGER (1873-1916) für die

ein Jahr vor seinem Tod eine interessante Transkription für Streichorchester bei der

geschaffen und diese mit Aria überschrieben; darin stellt er es zwei ersten Celli

frei, den Part der ersten Geigen zu verstärken, und bereichert die niederen Lagen

gelang!

der Ent

durch Tieferstimmen der Kontrabbässe um einen Ton. Reger ist hier, wie auch aufbaui

in seinen übrigen zahlreichen Bachbearbeitungen, darum besorgt, sich möglichst Den at

genau ans erwählte Vorbild zu halten, doch weist sein Arrangement bestimmte, (“Adag

des Streichorchesters an Stelle der Orgel - nicht nur als zwar nützliche, aber origine

doch rein akademische Übung, sondern als ein Bemühen darum rechtfertigen Kompc

zu verleihen. In diesem Zusammenhang mag es von Interesse sein, auf die

Ausführungsanweisungen Regers hinzu weisen, unter denen “sempre espressivo”

besonders häufig vorkommt, ferner auf die Unterteilung der Melodie in Bruchstücke,

welche die Geigen bald auf der einen, bald auf der andern Saite zu

spielen haben. Diese Zielsetzung Regers dürfte wohl auch Schönberg in seinen

Transkriptionen der Bachschen “Choralvorspiele” übernommen haben.

Schubert: Symphonie Nr. 1 in D-Dur

Gian Luigi Dardo

Schuberts Erste in D-Dur - sie ist noch im Geiste Mozarts konzipiert und auch

für eine Besetzung gedacht, welche sich offenbar derjenigen der letzten Symphonien

des Salzburger Meisters anpaßt, d.h. nur eine einzige Flöte bei gleichzeitiger

Verdoppelung der übrigen Holzbläser sowie des Blechs aufweist - wurde am

28. Oktober 1813 fertiggstellt, als der Komponist nur wenig mehr als sechzehn

Jahre zählte. Mehrere Musikforscher haben in diesem Werk zahlreiche Anklänge j

an Beethoven festgestellt: So erinnert das Hauptthema an die Ouvertüre des [

Balletts “Die Geschöpfe des Prometheus”, das Seitenthema an das entsprechende

Motiv der Sonate pathétique; das Menuett knüpft an das Scherzo der Zweiten

von Beethoven an, welches auch auf das Seitenthema des Finales eingewirkt '

hat: Dieser letzte Satz nimmt sogar das mitreißende, stürmische Orchestercre

scendo im Rossinischen Sinne. Kurz, es kommt Schubert in diesem seinem

ersten symphonischen Versuch vor allem darauf an, seinen Standpunkt als

Nachfolger der großen Wiener Symphoniker zu bestimmen; daher auch die

Beibehaltung der traditionellen symphonischen Form (“Adagio-Allegro vivace”,

“Andante”, “Allegro”, und - als Finale - “Allegro vivace”). Und doch hat dieses

Frühwerk in allen seinen Teilen bereits etwas typisch, ja unverkennbar Schubertsches

an sich. Es ist, als legte sich, einem Schleier gleich, der Zauber seiner

Wesensart auf die Muster, die der Symphonie zugrundeliegen - verklärend, aber

auch nicht ohne eine gewisse, geheimnisvolle Trauer. Und letzteres wohl nicht

ohne Grund: Wenige Tage noch, und Schubert sollte das Stadtkonvikt verlassen


müssen, wo er etliche Jahre verbracht hatte: Diese Symphonie war als Abschiedsgruß

an seine Freunde und Mitschüler gedacht, in deren Kreis und mit deren

Mitarbeit - das Konvikt verfügte über ein Orchester - sie denn auch zur Aufführung

gelangte. Als Abschiedsgruß... Aber vielleicht war sie mehr als nur das:

ein Gelöbnis, ein heiliges Versprechen an die edle Kunst, seiner Sendung

eingedenkt zu bleiben, ihr niemals untreu zu werden.

Johannes Brahms: Symphonie nr. 1 in c-moll Op. 68

Die nach vierzehnjähriger mühsamer Arbeit 1876 fertiggestellte Symphonie in

c-moll kennzeichnet die Mühe von Brahms als würdiger Fortführer der deutschen

symphonischen Tradition. Dies beweist die Bezeichnung “Zehnte”, welche

Hans von Bülow für die Erste prägte: Es sollte so gleichsam angedeutet

werden, daß es sich um eine würdige Schwester der neuen beethovenschen

Symphonien handle, um die lückenlose Fortsetzung des Schaffens des großen

Bonner Meisters; nicht nur rein zufällig knüpft der Schlußsatz der Ersten von

Brahms mit seiner Anspielung an das Thema des “Chores an die Freude” an

beethovens Neunte an.

Sein Stil durch romantischen Geist geprägt, der Aufbau viel freier gestaltet, die

Empfindung ist mehr lyrisch als dramatisch, der Chromatismus bis zu den

äußersten Grenzen entwickelt, Klangatmosphäre und Timbrik eher unbestimmt

gehalten. Eine derartige Vielfalt verschiedenster, unmittelbar und frei auseinander

hervorgehender Ausdrucksweisen konnte nur schwer in die klassische-symphonische

Forni gekleidet werden, und dies dürfte in der Hauptsache der Grund

für die schwere Geburt dieses Werkes und für die Tatsache gewesen sein, daß

bei der Arbeit daran streng konstruktische Kompositionsweisen zur Anwendung

gelangten, allen voran die kontrapunktische, dann aber auch die variierte, auf

der Entwicklung kurzer Motive oder in sich geschlossener musikalischer Figuren

aufbauende Verarbeitung.

Den ausdrucksmäßigen Höhepunkt jedoch erreicht die Symphonie im Finale

(“Adagio - Allegro non troppo”): vom Zitat der beethovenschen Melodie an

wächst die emotionale Spannung ständig, wird die Harmonik und Timbrik stets

origineller, die melodische Inspiration reiner; dabei verschmelzen sämtliche

Kompositionselemente in einer zunehmenden Synthese miteinender, bis der

Satz schließlich mit einem dramatischen Höhepunkt ausklingt.



29. Stagione/Saison

27. aprile/April 1989

ore 10.30 Uhr

27. aprile/April 1989

ore 20.30 Uhr

28. aprile/April 1989

ore 21 Uhr

BOLZANO/BOZEN

Kulturhaus

BOLZANO/BOZEN

Kulturhaus

TRENTO

Auditorium

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