La rivista istituzionale del Soccorso Alpino e Speleologico - n. 84, Novembre 2024
Un secondo interessantissimo numero della Rivista dedicato ai 70 anni del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, nel quale si è voluto scrivere del passato e del futuro di questa importante organizzazione, attraverso storie di persone e avvenimenti particolari che hanno contribuito, e che continuano a contribuire, alla sua crescita ed evoluzione. La storia viene narrata in un percorso lungo 14 parole chiave: le persone, il soccorso sanitario, la tecnica, la formazione, la tecnologia, il soccorso in forra, le unità cinofile, il coordinamento, la Protezione civile, oltre i confini, la legislazione, la prevenzione, la comunicazione, il ricordo. La copertina di questo numero è stata disegnata da Andrea Bettega e sarà oggetto di una cartolina celebrativa e relativo annullo filatelico di Poste Italiane.
Un secondo interessantissimo numero della Rivista dedicato ai 70 anni del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, nel quale si è voluto scrivere del passato e del futuro di questa importante organizzazione, attraverso storie di persone e avvenimenti particolari che hanno contribuito, e che continuano a contribuire, alla sua crescita ed evoluzione. La storia viene narrata in un percorso lungo 14 parole chiave: le persone, il soccorso sanitario, la tecnica, la formazione, la tecnologia, il soccorso in forra, le unità cinofile, il coordinamento, la Protezione civile, oltre i confini, la legislazione, la prevenzione, la comunicazione, il ricordo. La copertina di questo numero è stata disegnata da Andrea Bettega e sarà oggetto di una cartolina celebrativa e relativo annullo filatelico di Poste Italiane.
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Novembre 2024 / n. 84
lpino
Mole Antonelliana (Torino), 27 settembre 2024
Maurizio Dellantonio
Presidente nazionale CNSAS
Cari Soci, cari amici
del Soccorso Alpino e
Speleologico,
quest’anno di celebrazioni per il 70°
anniversario del Corpo Nazionale
Soccorso Alpino e Speleologico è
stato un percorso ricco di eventi
e iniziative, che ha messo in luce
l’importanza del nostro ruolo e la
nostra lunga storia. Le manifestazioni
organizzate dai Servizi regionali e
provinciali, dalle Zone-Delegazioni
e dalle stesse Stazioni, che si sono
tenute in tutta Italia, hanno rappresentato
un’occasione preziosa per
rafforzare il legame con le comunità
della montagna e ricordare il valore
del nostro operato. Le attività territoriali
hanno permesso a ciascuno
di noi di ritrovarsi, condividere
esperienze e mettere in evidenza le
competenze tecniche che ci hanno
contraddistinto nella nostra storia e
ci contraddistinguono nel nostro presente.
Dalle dimostrazioni di soccorso
alle conferenze, fino alle cerimonie
commemorative, ogni evento ha
contribuito a sottolineare la rilevanza
del nostro impegno quotidiano e
la dedizione dei nostri volontari,
ricordando il ruolo dei nostri padri
fondatori che, oggi, permettono a
noi di mettere ancora a frutto i loro
insegnamenti. Nel corso della nostra
lunga e appassionata storia, abbiamo
portato in salvo una cifra che sfiora
le 250.000 persone, un numero che
testimonia l’enorme impegno che
tutti noi abbiamo dedicato al servizio
della collettività. Purtroppo, abbiamo
anche recuperato i corpi di oltre
18.500 soggetti, tragici eventi che ci
ricordano costantemente la delicatezza
del nostro operato e l’importanza
di ogni singolo intervento. Ogni vita
recuperata e ogni persona assistita
sono stati il frutto di un lavoro di
squadra complesso che ha fatto la
differenza nei momenti difficili e
tecnicamente o emotivamente più
impegnativi. Concludiamo questo
anno speciale con gratitudine per il
percorso fatto e con la consapevolezza
che il futuro del CNSAS richiederà
la stessa dedizione e passione che
sino a qui ci ha connotato. Il nostro
impegno è quello di continuare a
coinvolgere le nuove generazioni e
di restare all’altezza delle sfide che il
territorio ci pone. Grazie a tutti per il
vostro contributo, e un caro augurio
di buone feste a voi e alle vostre
famiglie!
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
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Biblioteca della montagna, Archivio storico SAT, Trento
Nel secondo numero della Rivista dedicato ai 70 anni del Corpo Nazionale
Soccorso Alpino e Speleologico, abbiamo voluto scrivere del passato e del
futuro della nostra organizzazione, attraverso storie di persone e avvenimenti
particolari che hanno contribuito, e che continuano a contribuire,
alla nostra crescita e maturazione generali. Lo abbiamo fatto in un percorso
lungo 14 parole chiave: le persone, il soccorso sanitario, la tecnica, la formazione,
la tecnologia, il soccorso in forra, le unità cinofile, il coordinamento, la Protezione civile, oltre
i confini, la legislazione, la prevenzione, la comunicazione, il ricordo.
La copertina di questo numero è stata disegnata da Andrea Bettega. La stessa sarà oggetto di una
cartolina celebrativa e relativo annullo filatelico di Poste Italiane.
Buona lettura!
Mauro Guiducci e Marianna Calovi
direzione e coordinamento Rivista
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Sommario
AVERE 70 ANNI
4 Il Soccorso in famiglia
8 Storia del PHTLS-Mountain
12 Dieci ore di soccorso in parete
18 Oltre le competenze tecniche
22 Connettività e trasmissione dati
in grotta
INTERVISTA
28 Il lato acquatico del CNSAS
40 Dall’esperienza di Solda alla
Scuola Nazionale unità cinofile
44 La ricerca che diede vita a Eureka
54 Sinergie nelle maxi-emergenze
FOCUS ISTITUZIONALE
58 L’impegno nei progetti internazionali
60 La raccolta normativa sul CNSAS
64 Sicuri in montagna verso i 25 anni
68 Un ponte tra l’operatività e la
società: il ruolo della comunicazione
PILLOLE
72 L’importanza di essere umani.
Intervista a Gino Comelli
78 Il settantesimo sul territorio
84 Il supporto di Kong e Ferrino
per i nostri 70 anni
86 La nuova sede di Milano
Work in progress
88 La sezione EDU su cnsas.it
lpino
Novembre 2024 / n. 84
Anno XXX
n. 2 (84)
Novembre 2024
DIRETTORE RESPONSABILE
Mauro Guiducci
coordinamentostampa@cnsas.it
COORDINAMENTO REDAZIONE
Marianna Calovi
comunicazione@soccorsoalpinotrentino.it
COMITATO EDITORIALE
Simone Alessandrini, Alfonso Ardizzi,
Roberto Bartola, Ruggero Bissetta,
Simone Bobbio, Roberto Bolza,
Fabio Bristot, Federico Catania,
Fabio Cattaneo, Valentina Minetti,
Claudia Ortu
CONSULENZA EDITORIALE
Paolo Romani
paoloromaniadv@gmail.com
Registrazione presso Tribunale di Milano
n. 2034/2020
PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE
Alberto Grazi
albertograzi@gmail.com
STAMPA
Errebi Grafiche Ripesi S.R.L. - Falconara Marittima AN
AVERE 70 ANNI
LE PERSONE
Il Soccorso
in famiglia
Storia di un padre
e di una figlia
Di Melania Lunazzi, responsabile comunicazione CNSAS – Friuli-Venezia Giulia
4 AVERE 70 ANNI
Gherard e Tamara Plösch, padre e figlia, vivono a Fusine in Valromana,
un paese di montagna a nord della catena del Monte Mangart
e a sud ovest della dorsale del Monte Forno, il “monte dei tre
confini” tra Italia, Austria e Slovenia. Plösch è un cognome che
rivela, nei fonemi mitteleuropei, la complessità storica di questo
luogo di frontiera e il suo radicamento a cavallo tra Carinzia
e Carniola. Gherard è orgoglioso di essere l’ultimo fusinese “puro”, ancorato qui da
generazioni.
Li incontro a casa loro, nel cuore della valle, sotto l’abitato di Fusine, lungo la strada
che va da Tarvisio alla Slovenia, a circa cinque chilometri dal confine di Stato, vicinissimo
ai famosi laghi omonimi ai piedi delle Alpi Giulie. Gherard è entrato nel Soccorso
Alpino nel 1983, ventenne, nella storica Stazione di Cave del Predil, quella di
Ignazio Piussi e Cirillo Floreanini, la più antica formalmente istituita nella Regione,
quella dei Lupi. Gherard ha un’attività più che quarantennale come soccorritore, e ha
lavorato tutta la vita al tempo stesso nel corpo dei Vigili del Fuoco di Tarvisio (ora è in
pensione): non è stato semplice far convivere le due realtà nel suo operato, ma ci è
riuscito bene. «Ho cominciato ad andare in montagna - dice Gherard - a 13-14 anni, di
nascosto dai miei: allora in molti facevamo così e rischiavamo, tanto. Poi ho conosciuto
una stretta cerchia di “vecchi” alpinisti, tra i quali Piussi, i fratelli Perissutti, i primi Lupi di
Cave del Predil e con curiosità mi sono affacciato al mondo del soccorso. Non so spiegare
come mi abbia preso, ma è stato un innamoramento profondo, che ho tuttora».
TAMARA, LA PRIMOGENITA, CLASSE 1999, È STATA ACCOLTA NEL
CORPO NEL 2021 ED È LA PIÙ GIOVANE DELLA STAZIONE, AL
MOMENTO IN CUI SCRIVIAMO. È APPASSIONATA DI MONTAGNA, NE
AMA I SILENZI E LA DIMENSIONE SELVATICA E SOLITARIA, IN CUI SI
RISPECCHIA.
Ha iniziato a frequentarla con il padre, condividendo salite non banali: dodicenne ha
ricevuto il battesimo sui Tauri e ha guadagnato, tra l’altro, la cima del Grossglockner;
pochi giorni prima del nostro incontro, mi dice con un accenno di sorriso, hanno salito
insieme la Ponza Grande. Maestra di sci di fondo, lavora per le ferrovie austriache
e sta per laurearsi in Scienze Forestali. «Un giorno, ero ragazzina, mi ha portato con
sé in elicottero: ricordo ancora l’emozione. Qualche anno dopo ho maturato la decisione
di entrare nel Soccorso Alpino, anche se forse lui non avrebbe voluto, conoscendo i
rischi che si corrono. Sapevo che per me era un’occasione di crescita». «Non ho voluto
né spingerla né frenarla - interloquisce prontamente Gherard - non doveva farmi un
favore né dimostrarmi niente». Fatto sta che il papà ha assistito al rito di iniziazione
della figlia in uso nella Stazione di Cave, quella del terribile beverone da ingurgitare
assieme ad una ridondante e disgustosa “tartina” farcita di sapori contrastanti (un
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
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L’esperienza di
Tamara è molto fresca,
all’attivo ha ancora
pochi interventi, visto
l’impegno assiduo tra
studio e lavoro.
retaggio di ambito militaresco, rispolverato
in chiave burlona dai fratelli Cobai,
soccorritori d’antan): e lei, oltre ad essere
diventata Operatore di Soccorso Alpino,
ha superato anche quella prova, assistita
da Loris Savio («Ci tenevo fosse un Lupo a
battezzarmi!»), storico Capostazione che
aveva “arruolato” anche suo padre tanti
anni prima.
Sono più di mille le missioni a cui Gherard,
che è anche Tecnico di Elisoccorso
dal 1998 (anno del primo corso in regione),
ha preso parte, tra interventi semplici
e operazioni in parete, ma a guardare
i suoi occhi non sembra affatto stanco:
«È più quello che ricevo, che quello che do.
Lo faccio per gli altri, ma in realtà, forse, lo
faccio più per me». In quarantadue anni
ha assistito ad una grande evoluzione
del CNSAS, nel suo primo decennio di
attività si agiva ancora con gli elicotteri
dell’Esercito: «Venivamo portati a volte
alla base della parete, a volte in cima, ma
spesso si partiva a piedi per raggiungere
il Mangart o la Cima di Riobianco e poi di
nuovo giù, con le corde. Nel mio primo intervento
abbiamo recuperato due alpinisti
morti sotto le pareti del Monte Cimone. È
stato uno shock assistere al dolore dei genitori:
negli anni non fai mai l’abitudine a
queste cose, ma devi cercare di rimanere
distaccato, altrimenti quel dolore distrugge
anche te». Gherard ha vissuto quegli
anni in cui l’operatività durante le missioni
era diversa: nei primi anni veniva usato
ancora il sacco portaferiti Gramminger,
«Erano urla per chi veniva trasportato
e, magari, si faceva anche qualche danno,
ma non c’erano alternative per tirarli giù
dalla parete», ricorda; e su certi versanti
si veniva guidati via radio, osservati dal
basso con il binocolo, se ci si doveva calare
dalla cima per raggiungere le cordate:
«Ricordo un intervento sulla via Debelakova
al Jôf Fuart. Quella volta facemmo
600 metri di calata con la barella e il ferito,
c’era con noi Margherita Monego, la prima
soccorritrice con competenze medico sanitarie:
fu una dura prova anche per lei». L’evoluzione
c’è stata nelle tecniche, nelle
competenze sanitarie e negli addestramenti,
che oggi, sottolinea Gherard, non
solo sono molto più frequenti rispetto
al passato, ma si svolgono in un clima
che lui definisce più disteso e meno
6 AVERE 70 ANNI
spartano: «Ai miei tempi tra una Stazione
e l’altra non ci si conosceva e c’era un po’
di diffidenza, si dovevano prendere le misure;
e poi ci si sentiva osservati, giudicati
con severità dai “vecchi”, se si sbagliava.
Oggi i giovani vengono seguiti e ben indirizzati
verso dove sono più portati e tra
loro, grazie ai social, sono già in contatto:
è tutta un’altra cosa andare a fare un corso
con qualcuno che conosci. Questo giova a
creare più unione e ancora più spirito di
squadra».
L’esperienza di Tamara è molto fresca,
all’attivo ha ancora pochi interventi,
visto l’impegno assiduo tra studio e lavoro.
Le chiedo se come donna si è percepita
in qualche modo “diversa”, in un
ambiente che è per il 95% maschile: «Mi
sono sentita sempre alla pari, nessuna discriminazione
e nessuno sconto», afferma
decisa e, quando indago sulle sue eventuali
aspirazioni come Tecnico di Elisoccorso
sulle orme del padre, risponde con
modestia «Non è un ruolo facile, come T.E.
devi dirigere tutto e io sono molto empatica,
non so se riuscirei ad affrontare certe
cose»: ma ho colto una certa luce nei
suoi occhi. Suo padre si inserisce e precisa
che le donne «Sono brave e molto pignole
nelle manovre di corda» e di fronte
alla domanda «Ti faresti soccorrere da
una donna?» risponde affermativamente,
senza esitare, con fiducia, precisando
che nelle manovre di forza occorre ancora
riconoscere la superiorità maschile.
Tamara a questo punto mi riporta il suo
primo intervento, accaduto proprio ai
Laghi di Fusine, ventenne: «Ero ancora
aspirante e c’era una signora con la caviglia
rotta da portare con la barella per un
buon tratto, da metà sentiero, fino sulla
strada. Era austriaca, non sapeva che parlavo
tedesco e si è rivolta alla sua amica
con tono preoccupato e teso, dicendo: “Ma
siamo sicuri che la ragazzina ce la fa?”. Io
non ho detto nulla, ho incassato e tirato
avanti perché - aggiunge con un piccolo
sorriso - era più importante arrivare presto
all’ambulanza, che rispondere, punta
sull’orgoglio».
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
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IL SOCCORSO SANITARIO
Storia del
PHTLS-Mountain
di Gianluca Facchetti e Guido Ferrero, Scuola Nazionale Medica
La Scuola Nazionale Medica (SNaMed) nasce alla fine del 2012 e sin
dal 2013 mette a punto e fornisce ai tecnici del Corpo Nazionale
Soccorso Alpino e Speleologico un corso di primo soccorso per le
vittime di trauma in ambiente impervio montano: il BTLS (Basic
Trauma Life Support). Il corso si svolge in due giorni con una lezione
frontale e workshop su valutazioni, manovre e tecniche di soccorso
nel primo giorno ed esercitazione in ambiente con casi simulati il secondo giorno.
Grazie a questo corso, il miglioramento della preparazione dei tecnici in ambito
sanitario è sempre più evidente con il passare degli anni. Esso permette di elevare
il livello conoscitivo, standardizza le procedure e crea un linguaggio di valutazioni
e manovre comune a tutto il Corpo.
Nella primavera del 2020 sono nominato direttore della SNaMed ed eredito una
Scuola costituita da istruttori estremamente competenti ed esperti, che si sono dedicati
per anni a formare i tecnici del CNSAS. A me, però, sembra mancare un pezzo
importante e dato sempre per scontato: la formazione del personale sanitario, medici
e infermieri, nella gestione sanitaria dei traumi in ambiente impervio. L’impressione
è che sia arrivato il momento di far parlare la stessa lingua anche ai sanitari del
CNSAS, in merito alle problematiche traumatologiche insegnata ai tecnici.
8 AVERE 70 ANNI
Espongo l’idea e ricevo consenso da
tutti gli istruttori della Scuola. Un solco
era già stato tracciato dalla prima direzione
della SNaMed, con Mario Milani e
Gloria Brighenti, che aveva permesso la
partecipazione degli istruttori nazionali
sanitari ai corsi di PHTLS (Pre Hospital
Trauma Life Support) della National
American Emergency Medical Technicians
(NAEMT) e di diventarne anche
istruttori. C’è la duplice necessità di
standardizzare i protocolli d’intervento
e di avere un valido background scientifico.
Per farlo a me sembra scontato
unire l’esperienza maturata nei corsi
BTLS con i corsi PHTLS, specificamente
adattati all’ambiente impervio. L’idea è
quella di un corso di tre giorni che comprenda
due giorni di PHTLS e una terza
giornata di esercitazione in ambiente
con casi clinici simulati: nasce così il
PHTLS-Mountain; era l’agosto del 2020.
L’idea successiva era di avere altri due
corsi per coprire le esigenze del canyoning
e della componente speleologica
della nostra organizzazione: PHT-
LS-Canyoning e PHTLS-Cave. Ne parlo
al mio omologo della Scuola sanitaria
speleologica Giuseppe Giovine, che è
entusiasta della proposta. Rimane da
presentare la bontà del progetto alla
Direzione nazionale, che da subito appoggia
l’idea. Si sigla quindi l’accordo
con la NAEMT, diretta nella sua sezione
italiana dal dottore Alberto Adduci.
Passiamo mesi a mettere a punto il corso
e da subito appare evidente che un
progetto di tale respiro necessita di un
responsabile ad hoc. Per me non poteva
essere che Guido Ferrero, il più adatto
dal punto di vista del profilo professionale
e didattico. La prima edizione
del corso si svolge a Torino nel 2021, e
qui cedo la narrazione a Guido…
La scelta della filosofia NAEMT non è
stata una scelta a caso. Questa ci forniva
la giusta elasticità per plasmare
sulle nostre esigenze la metodologia di
approccio e trattamento del soggetto
traumatizzato che, ad oggi, risulta essere
la più seguita e diffusa a livello mondiale.
Una volta accreditati da NAEMT
come centro di formazione certificato e
certificativo, mi trovavo a dover costru-
La scelta della filosofia
NAEMT non è stata
una scelta a caso.
Questa ci forniva
la giusta elasticità
per plasmare sulle
nostre esigenze
la metodologia
di approccio e
trattamento del
soggetto traumatizzato
che, ad oggi, risulta
essere la più seguita
e diffusa a livello
mondiale.
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
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Una volta accreditati
da NAEMT come
centro di formazione
certificato e
certificativo, mi
trovavo a dover
costruire un progetto
che partiva da
zero. La presenza
di otto istruttori
PHTLS/NAEMT, già
nell’organico della
SNaMed, ha aiutato
a dare il via alla fase
formativa.
ire un progetto che partiva da zero. La
presenza di otto istruttori PHTLS/NA-
EMT, già nell’organico della SNaMed,
ha aiutato a dare il via alla fase formativa.
Sono stati organizzati i primi tre
corsi “sperimentali” che si sono svolti
in Piemonte. Non avendo nel nostro
organico nessun direttore e nessun coordinatore
di corso, le prime edizioni e
alcune delle successive sono state possibili
grazie all’appoggio di NAEMT-ITA,
che ci ha fornito quelle figure fondamentali,
allora mancanti, mentre la Direzione
nazionale CNSAS e il Direttivo
nazionale SNaMed hanno permesso
l’acquisto del materiale necessario per
il programma formativo.
Grazie ai feedback dei discenti e degli
istruttori interessati, gli argomenti del
corso sono stati adattati in modo sempre
più mirato alle esigenze del Corpo,
che si discostano, in parte, da quelle
che si possono incontrare nel soccorso
urbano. Ci siamo trovati, quindi, a
dover prendere in esame le problematiche
dovute non solo alle diverse
criticità cliniche dei pazienti, ma anche
all’ambiente operativo in cui si interviene,
ai tempi di intervento spesso
prolungati, alla capacità di lavorare in
team e alla multidisciplinarietà tecnico/
sanitaria specifica del CNSAS. Quest’ultimo
punto ha visto il coinvolgimento
attivo degli istruttori della Scuola Nazionale
Tecnici Soccorso Alpino (SNaTe)
nella parte che prevede gli interventi
simulati in ambiente, oltre che dei tecnici
delle regioni ospitanti che si sono
resi disponibili con entusiasmo. Inoltre,
durante i corsi abbiamo potuto selezionare
medici e infermieri che, avendo
determinate caratteristiche, sono stati
inseriti nel percorso formativo per diventare
istruttori PHTLS-Mountain NA-
EMT/CNSAS.
Ad oggi la SNaMed conta 37 istruttori
operativi, 7 in fase di formazione, 3 direttori
di corso e 3 coordinatori di corso,
armonizzati da Gianluca Facchetti,
10 AVERE 70 ANNI
direttore del centro di formazione, e
dal sottoscritto, in veste di coordinatore
nazionale. Dal 2021 ad oggi sono
stati svolti venti corsi, con più di trecento
medici e infermieri del CNSAS formati
e certificati. Vista la peculiarità del
programma, che rende unico a livello
mondiale il format del corso, e viste le
molteplici richieste di partecipazione
che giungevano da sanitari non appartenenti
al Corpo, in accordo con la Direzione
nazionale si è deciso di offrire
questa opportunità formativa anche
ad essi. L’entusiasmo, la professionalità
e la disponibilità di istruttori e discenti
stanno elevando lo standard di soccorso
ai pazienti vittime di trauma, ovvero
la maggioranza degli interventi che il
Soccorso Alpino e Speleologico svolge
in tutta Italia.
LA TECNICA
Dieci ore di
soccorso in
parete
sul monte Brento in Trentino
di Monica Malfatti, viceresponsabile comunicazione CNSAS Trentino
Se il soccorso in montagna è sempre esistito grazie alla generosità
e all’esperienza di singoli alpinisti, il Corpo Nazionale Soccorso Alpino
e Speleologico, con la sua nascita nel 1954, ha dato organizzazione
e struttura a queste forme di aiuto e solidarietà spontanee.
In 70 anni di storia, soccorritori e soccorritrici hanno studiato, sperimentato
e affinato tecniche di intervento e materiali, permettendo
negli anni di portare a termine le missioni con maggiore efficienza, in meno
tempo e su terreni sempre più impervi. In un sistema così complesso, tuttavia, la
componente umana non è da trascurare: solamente grazie ad una “rimodulazione
jazzistica” di quanto appreso si può riuscire veramente a sviluppare e implementare
le modalità di intervento, anche nel caso degli scenari più difficoltosi.
Lo scorso 6 aprile, una base jumper canadese ha perso la vita dopo essersi schiantata
in seguito ad un errato decollo. Per poterne recuperare la salma, senza peraltro
sapere per certo se la ragazza fosse ancora in vita dopo la chiamata di aiuto, ha
avuto luogo uno degli interventi più difficili mai affrontati in parete dal Soccorso
Alpino e Speleologico Trentino, in un ambiente unico nel suo genere: il monte
Brento.
«Vista l’ora piuttosto ibrida in cui la centrale ha ricevuto la chiamata, ovvero le 7.30
circa del mattino, al nucleo elicotteri erano presenti entrambi i tecnici di elisoccorso:
sia quello notturno, in procinto di staccare, sia quello diurno, che doveva cominciare il
proprio turno. In questo modo hanno potuto avvicendarsi, il primo per un sopralluogo
e il secondo per tentare d’intervenire». A spiegarlo è Mauro Mabboni, anch’egli
12 AVERE 70 ANNI
tecnico di elisoccorso, quel giorno fuori
servizio ma allertato fin da subito per
coadiuvare le operazioni, vista l’estrema
criticità della scena e le capacità
tecniche che essa richiedeva.
La donna, infatti si trovava in un punto
decisamente difficile da raggiungere
con l’elicottero, sotto a degli impervi
strapiombi che hanno costretto il velivolo
a verricellare una squadra di sei
soccorritori nel punto più vicino possibile,
sulla cengia sottostante lungo la
via degli Amici, nel tentativo di arrivare
sulla base jumper via terra, ovvero arrampicando.
«La scelta del numero era
strategica. – prosegue Mabboni – Troppe
persone presenti avrebbero potuto rallentare
le operazioni, mentre troppo poche
rischiavano di non essere sufficienti.
Sei è sembrato il numero più congruo, e si
è poi rivelato così. Anche la scelta del materiale
diventava determinante: portarsene
dietro tanto, nonostante l’utilità di essere
ben attrezzati durante un intervento
simile, rischiava comunque di appesantire
sia i soccorritori che le manovre. Nella
tarda mattina, è stato fatto intervenire
l’elicottero B3 Ecureuil che, con il gancio
baricentrico, ci ha portato attrezzatura,
oltre che viveri e acqua. Anche l’alimentazione
e l’idratazione dei soccorritori non
sono elementi da sottovalutare in interventi
lunghi e delicati come questi».
Le vie di possibile accesso alla base jumper
erano tre: dal basso, dall’alto o in
traverso. «Intervenire dal basso, essendo
la ragazza appesa a più di metà parete,
era da escludere. – continua Mabboni
– Scendere dall’alto risultava difficile per
via degli strapiombi, anche se avevamo
individuato una possibile linea che faceva
al caso nostro: richiedeva però molto
tempo, molto materiale e molte risorse,
intese come un maggior numero di persone
in parete, che, come detto, poteva
essere qualcosa di problematico da gestire.
Si è allora deciso di entrare in traverso
rispetto al punto che dovevamo raggiun-
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
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gere: la ragazza era a 40 metri di sviluppo
verticale da noi, con 70 metri complessivi
di linea da attrezzare e arrampicare. Una
scelta senz’altro inusuale, ma a quel punto
la migliore».
La migliore, purtroppo, per il recupero
di una salma: non sufficiente,
dunque, a salvare la vita della donna.
«Occorre scindere in questi casi l’esito
dell’intervento dallo svolgimento delle
operazioni. – afferma Mabboni – La
base jumper purtroppo non si è salvata
ma le operazioni di soccorso sono state
condotte nel miglior modo possibile,
grazie ad una preziosa sinergia fra tutte
le risorse in campo». Il che significa fra
gli uomini in parete, ovvero quelli che
attrezzavano la via e quelli che coadiuvavano
in cengia, ma anche fra chi coordinava
dal basso, il mezzo aereo e la
centrale operativa. «Sinergie – riprende
Mabboni – che sono state cruciali per
poter portare avanti un intervento durato
più di dieci ore e caratterizzato da una
progressione mista di arrampicata ed artificiale,
con una tecnica in cui il primo di
cordata scalava, il secondo disattrezzava
e il terzo risaliva le corde sulla verticale
delle soste intermedie. In questo senso,
le esercitazioni che svolgiamo insieme
sono determinanti per rafforzare lo spirito
di squadra e l’affiatamento necessari
in ogni intervento di soccorso».
Una volta arrivati sul target, in accordo
con i tre rimasti in cengia, è stata poi allestita
una teleferica, per recuperare la
ragazza con un sistema di paranchi fino
alla cengia. Anche i tre soccorritori che
hanno attrezzato la linea per raggiungere
la ragazza si sono poi calati con la
teleferica, in quanto rientrare dal traverso
diventava problematico e laborioso.
«L’insidiosità dell’intervento – conclude
Mabboni – era dovuta al terreno unico
nel quale si è svolto. Il monte Brento è
particolarissimo a livello morfologico. Su
quella parete c’è un connubio micidiale.
Da una parte abbiamo la frequentazione
14 AVERE 70 ANNI
della montagna da parte dei base jumper,
che si gettano dal Becco dell’Aquila,
un salto relativamente facile e comodo,
il che lo rende molto gettonato per chi
pratica questa disciplina. Dall’altra, la
parete è decisamente strapiombante: si
tratta di una delle pareti generate da una
frana postglaciale più grandi d’Europa e
di conseguenza è molto aggettante, per
tantissimi metri, i quali risultano come
nel caso del nostro intervento irraggiungibili
dall’elicottero».
D’altronde, il primo intervento di soccorso
sul Brento si è svolto almeno
una quindicina di anni fa, in favore di
una cordata d’arrampicatori impegnati
sulla via Vertigine, un itinerario aperto
nel 1992 da un gruppo di forti alpinisti
trentini capeggiato da Heinz Steinkötter.
La via tocca il VI+ ed è spettacolare
e attraente proprio come la parete che
ne ospita i tiri e sui cui strapiombi i due
ragazzi sono rimasti bloccati dopo la
fuoriuscita di alcuni spit. In quel caso
l’intervento fu altrettanto complesso
e i soccorritori impiegarono due giorni
a concluderlo, traendo in salvo la cordata,
fortunatamente incolume nonostante
la dura prova di una permanenza
così lunga in parete.
«In scenari del genere è determinante sviluppare
capacità attive di problem solving.
– continua Mabboni – Non siamo
macchine e dobbiamo saper adattare le
Una volta arrivati sul
target, in accordo con
i tre rimasti in cengia,
è stata poi allestita
una teleferica, per
recuperare la ragazza
con un sistema di
paranchi fino alla
cengia.
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
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tecniche apprese durante esercitazioni o
interventi simili al contesto nel quale ci
troviamo, mettendo in campo anche una
buona dose di sana improvvisazione».
Ma si badi bene: non è l’improvvisazione
di chi a scuola andava impreparato a
un’interrogazione e cercava di mettere
insieme qualche nozione senza averla
appresa. È piuttosto l’improvvisazione
del jazzista, che conosce bene la musica
e ne applica con precisione le note,
ma lo fa con l’intuizione di saperle rimodulare
ad un contesto irripetibile.
dunque il procedere in calata attraverso
i freni che stanno a monte – per arrivare
in prossimità del tetto e lavorare
poi di lì in autonomia. «La testa di calata
in quel momento resta ferma – spiega
Mabboni – e viene utilizzata come ancoraggio
remoto rispetto alla cima. Uno dei
due soccorritori si stacca autonomamente
con una corda e attrezza, esattamente
arrampicando all’indietro e in artificiale,
Ci vuole intuito, insomma. Una caratteristica
che non può tuttavia prescindere
dall’esperienza, perfezionata e studiata
precedentemente. «Quando fai un intervento
di questo tipo hai la necessità di
condividere le azioni con un gruppo altamente
specializzato, – spiega Mabboni
– identificato anche nelle persone che
stanno a monte e a valle. Il ruolo di gestione
è pertanto fondamentale, al fine
di supportare le richieste tecniche degli
operatori che si trovano in parete». Si
tratta dunque di gestire l’intero sistema
di comunicazione ma soprattutto ogni
possibile imprevisto. «Certo, negli anni
l’attrezzatura per poterlo fare al meglio
è cambiata ma non più di tanto, – prosegue
Mabboni – almeno per quanto
riguarda i freni da calata o la metratura
delle corde utilizzate. Oppure ancora l’uso
del tassellatore per l’inserimento dei
chiodi, anche se su quest’ultimo aspetto
forse sì, qualcosa è cambiato: oggi abbiamo
infatti la possibilità di usare i Pulse,
ancoraggi che vengono posizionati e
recuperati in maniera più agile e veloce».
Le modalità di recupero e di intervento
su una parete strapiombante di questo
tipo sono caratterizzate anzitutto dalla
presenza di due persone sulla testa di
calata, che utilizzano la calata stessa – e
16 AVERE 70 ANNI
la via di progressione, assicurato dall’altro
operatore in testa di calata. Una
cordata a tutti gli effetti, che sfrutta la
testa di calata come ancoraggio remoto.
Quando l’operatore, che sta in questo
modo entrando verso la parete dai tetti
sovrastanti, decide di fermarsi, il secondo
operatore che faceva sicura al primo
dà l’okay agli altri in modo che la calata
da monte riparta. Questo fa sì che l’operatore
rimasto in testa di calata, mentre
viene calato, rimanga il più vicino possibile
allo strapiombo, per poi riuscire nel
complicato compito di togliere le protezioni
messe dall’altro soccorritore, al fine
di liberare le corde».
In zone così strapiombanti intervenire
con l’elicottero, nonostante le moderne
tecnologie oggi presenti in ambito aeronautico,
è difficile. «Si potrebbe provare
qualcosa, magari in futuro, con i droni
– ammette Mabboni – per posizionare
eventualmente delle corde sottili ed essere
agevolati nelle successive operazioni
di recupero, ma sono tutte pratiche ancora
da verificare e provare. La tecnologia
sta facendo passi da giganti ma è la
messa in pratica a fare la differenza».
La messa in pratica, ma anche la scelta
della strategia da adottare di volta in
volta. «È chiaro che la strategia la impari
attraverso le esercitazioni e creando in
quel contesto le problematiche possibili
che si potrebbero verificare. – conclude
Mabboni – Un tempo gli interventi su
una parete come il Brento richiedevano
più giorni per essere portati a compimento.
Ogni epoca ha la sua storia e le
variabili sono talmente tanto cambiate
negli anni che fare un paragone preciso
con il passato è praticamente impossibile.
Ogni intervento di Soccorso Alpino ha
di fatto la sua storia, le sue peculiarità e le
sue diversità. Si possono sviluppare competenze
trasversali nella costruzione ad
hoc di alcuni scenari, ma vanno poi necessariamente
adattate di volta in volta:
gli automatismi non sono contemplati.
Un esempio lampante di questo è proprio
l’intervento dal quale siamo partiti,
dove si è preferito un accesso trasversale
per le ragioni raccontate sopra: una cosa
molto rara ma in quel caso l’unica strada
percorribile».
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
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LA FORMAZIONE
Oltre le
competenze
tecniche
Il progetto Non Technical Skill
Già dal momento della chiamata si attivano reazioni emotive spesso difficili da controllare,
soprattutto per i più giovani. Durante l’intervento le condizioni ambientali,
le necessità operative e la stanchezza determinano un aumento dello stress che impatta
in modo significativo sui processi comportamentali, decisionali e relazionali
con importanti ricadute sul lavoro di squadra. Questo è un aspetto fondamentale
che contraddistingue la nostra operatività, caratterizzata da complessità legate alla
molteplicità di ruoli esercitati sul posto e a distanza, alla presenza di operatori con caa
cura di Roberto Misseroni, direttore Scuola Nazionale Tecnici, Erik Gadotti,
vicedirettore Scuola Nazionale Unità Cinofile, Maria Chiara Pavesi, psicologa
Negli ultimi dieci anni, all’interno della nostra organizzazione è
cresciuta sempre di più la consapevolezza dell’importanza degli
aspetti non tecnici nella gestione degli interventi. L’analisi delle
problematiche e dei bisogni operativi e gestionali emersi nei vari
Servizi regionali e provinciali del Soccorso Alpino e Speleologico,
ha permesso di individuare criticità legate a fattori relazionali,
emotivi, comunicativi e cognitivi che si sono manifestati durante le operazioni di
soccorso e, in alcuni casi, hanno avuto effetti negativi sui soccorritori presenti e sulle
relazioni tra i componenti della squadra e all’interno dei Servizi. L’influenza di questi
aspetti non prettamente tecnici aumenta in modo proporzionale all’aumentare
della complessità dell’evento, situazioni che si presentano in gran parte dei nostri
interventi. Proviamo a immaginare cosa accade durante un intervento di soccorso
in ambiente.
18 AVERE 70 ANNI
ratteristiche ed esperienze differenti, alla
collaborazione tra più enti e, non ultimo,
alla gestione del rischio in ambiente.
Nei debriefing tutte queste situazioni
sono analizzate spesso da un punto di
vista tecnico e tutto il resto è relegato a
“piccoli problemi di comunicazione”, “di
testa”, “questioni relazionali” o “banali
discussioni post intervento”. Sempre di
più, invece, si riconosce che sono proprio
questi “piccoli problemi” che fanno
la differenza nel successo o nell’insuccesso
delle operazioni. Sono “piccoli
problemi” che possono compromettere
in modo sostanziale la sicurezza e determinare
problematiche negli operatori,
anche di grave entità.
Utilizzando un linguaggio più appropriato,
queste dimensioni rientrano in
quelle che vengono definite “Competenze
non tecniche” (NTS) raggruppate
nelle seguenti categorie (Flin e Maran,
2004):
• consapevolezza della situazione,
• decision-making,
• comunicazione,
• teamwork,
• leadership,
• gestione dello stress,
• capacità di fronteggiare la fatica.
Esse possono e devono essere allenate
nello stesso modo in cui ci si
prepara per gli aspetti tecnici: non
è possibile pensare di mettere in
campo queste competenze durante
l’intervento senza una formazione
preventiva specifica. Un aspetto che
caratterizza la formazione di queste
competenze è la necessità di essere
apprese ed esercitate in modo attivo
sul campo attraverso specifici training
che coinvolgono in modo sinergico
figure tecniche e figure psicologiche.
L’elemento fondamentale che permette
di sviluppare queste competenze
è proprio la sinergia delle due
professionalità esercitata in contesti
operativi e formativi.
Queste riflessioni hanno aperto la
strada a una sperimentazione strutturata
che è cresciuta nell’arco di dieci
anni, con lo scopo di implementare
queste competenze all’interno del
Soccorso Alpino e Speleologico, rivolgendosi
alle figure tecniche specialistiche
nei processi di selezione, nella
loro formazione e nella messa in atto
di interventi di coaching personalizzati
per coloro che avevano vissuto
momenti di difficoltà.
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
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Questo tipo di attività
richiede agli psicologi
di uscire dal setting
tradizionale d’aula/
studio ed esercitare
la loro professionalità
nei diversi scenari di
intervento tramite la
lettura esperta del
contesto, nonché di
riuscire a trasmettere
agli operatori
strumenti concreti da
utilizzare durante gli
interventi.
Il progetto ha coinvolto gli Istruttori
della Scuola Nazionale Tecnici, della
Scuola Nazionale Forre e della Scuola
Nazionale Unità Cinofile che hanno collaborato
attivamente con professionisti
psicologi, dotati di una formazione nel
campo della psicologia in contesti di
emergenza, ma anche con un’esperienza
operativa nell’ambito del soccorso e,
di conseguenza, in grado di operare nei
diversi contesti operativi.
Per quanto riguarda gli psicologi, la
loro conoscenza delle dinamiche tipiche
dell’operatività e la competenza
nell’operare in contesti reali sono stati
elementi fondamentali per la riuscita
del progetto, perché hanno permesso
di realizzare quella sinergia con le
figure tecniche dei contesti veritieri
e di riprodurre le necessità operative
che, come già evidenziato, diventano
elementi imprescindibili per lo sviluppo
delle NTS. Questo tipo di attività,
infatti, richiede agli psicologi di uscire
dal setting tradizionale d’aula/studio
ed esercitare la loro professionalità nei
diversi scenari di intervento tramite la
lettura esperta del contesto, nonché
di riuscire a trasmettere agli operatori
strumenti concreti da utilizzare durante
gli interventi. È qui evidente l’importanza
data dal fatto che lo psicologo sia
in primis operatore del CNSAS.
Il lavoro svolto in questi anni ha permesso
di formalizzare il modello teorico
di riferimento e di strutturare una
metodologia standardizzata che ad
oggi possiamo ritenere matura. Entrando
più nel merito, in una prima
fase si è lavorato alla strutturazione di
un processo di selezione per le figure
tecniche apicali, mirato a valutare sia
le competenze tecniche che quelle
non tecniche richieste al ruolo. Le selezioni
si sono sempre svolte in contesti
operativi utilizzando metodologie di
assessment, avvalendosi di strumenti
osservativi e colloqui per valutare l’effettivo
possesso delle competenze da
parte del candidato e il suo potenziale
di sviluppo. Un effetto indiretto, ma importante,
di questo processo è stata la
20 AVERE 70 ANNI
profonda valorizzazione delle persone
coinvolte che ha portato un clima di lavoro
impegnativo ma sereno.
In un secondo momento, il progetto ha
risposto al bisogno manifestato da alcuni
Servizi regionali che hanno richiesto
interventi di supporto per operatori
coinvolti in eventi psicologicamente
difficili. Il lavoro svolto in sinergia tra lo
psicologo e le figure tecniche attraverso
simulati, briefing e debriefing, nonché
tramite colloqui clinici, ha consentito
una rielaborazione dei vissuti legati
agli eventi traumatogeni e ha permesso
per tutti la ripresa delle attività. Gli
interventi hanno sempre puntato sulla
promozione e sulla valorizzazione delle
risorse degli operatori.
Infine, è stata strutturata una formazione
per i Tecnici di Elisoccorso e per gli
Istruttori nazionali orientata a sviluppare
le NTS con particolare attenzione
alla consapevolezza dei propri processi
interni utilizzando metodologie attive
e situazioni operative reali. Anche questo
lavoro è stato realizzato attraverso
la collaborazione tra figure tecniche e
psicologiche.
All’interno di questi percorsi sono
emerse diverse tematiche che richiederanno
di essere affrontate nel prossimo
futuro. Temi come le emozioni, lo
stress, i processi decisionali, il ritorno a
casa e la mediazione familiare, la gestione
delle comunicazioni, i ruoli e la
leadership, gli incidenti e il ritorno post
incidente appartengono sempre di più
al vissuto di chi opera nella nostra organizzazione.
I risultati concreti ad oggi ottenuti sono
promettenti e hanno dimostrato l’utilità
degli approcci utilizzati per risolvere
diversi problemi che coinvolgono il singolo,
il gruppo e i Servizi, nonché per
la ricaduta sulla gestione più efficace
della nostra attività operativa.
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
21
LA TECNOLOGIA
Connettività e
trasmissione
dati in grotta
Il sistema Ermes
di Alan De Simone, Coordinatore Commissione Tecnica Speleologica
In un mondo dove ormai siamo sempre più dipendenti dalle tecnologie e
dalla connettività a Internet, forse tra i pochi ambienti ancora non “social”
sono rimaste le remote cime delle montagne e la profondità delle grotte.
In alcune occasioni, però, la tecnologia può essere un valido aiuto nella gestione
delle emergenze. Per questo motivo, dentro la Commissione Tecnica
e la Commissione Medica del Soccorso Speleologico ci siamo interrogati
su quanto la possibilità di avere una connettività dati in grotta avrebbe potuto
aiutare i sanitari nella cura dell’infortunato.
Con questa premessa, ancora una decina di anni fa la Commissione Tecnica Speleologica
del CNSAS ha accettato la sfida e ha iniziato a studiare un sistema che permettesse
la trasmissione dati dall’interno all’esterno della grotta. Questo sistema
ha vissuto più fasi di progetto e sviluppo, dettate dall’avanzamento tecnologico
e dalle risorse disponibili, per poi concretizzarsi quest’anno in una versione definitiva,
altamente stabile e prodotta industrialmente. A completamento di questo
lungo e articolato processo, il 10 settembre 2024 è stato depositato il Brevetto
per Modello d’Utilità del progetto Ermes (Patent no.: 202024000003646 - “Kit di
trasmissione dati e/o comunicazione portatile per spazi confinati”).
22 AVERE 70 ANNI
LE COMUNICAZIONI IN GROTTA E
LA NASCITA DI ERMES
Dopo innumerevoli tentativi abbiamo
constatato che in grotta qualsiasi sistema
di trasmissione radio, in particolare
Wireless e Bluetooth, ha “vita breve” in
quanto le onde generate non riescono
ad attraversare la roccia. Quindi, basta
qualche curva a far perdere il segnale.
Per questo motivo ci siamo concentrati
su una soluzione tassativamente cablata.
Durante gli interventi in grotta è ormai
consolidato l’utilizzo del doppino telefonico
per le comunicazioni. Subito
dopo la partenza della squadra di primo
intervento, che si porta sul ferito
con i materiali necessari alla stabilizzazione
dell’infortunato, in grotta entrano
una o più squadre di telefonisti
con il compito di stendere il doppino
telefonico lungo tutto il tratto interessato
dal recupero dell’infortunato. Per
comunicare, i tecnici impegnati in grotta
si collegano in un punto qualsiasi
del doppino con degli appositi telefoni
autoalimentati. Quelli utilizzati attualmente
in Italia, ma non solo, sono stati
progettati dalla Commissione Tecnica
nel 2013 e poi aggiornati nel 2017. Fino
a qualche anno fa, prima della diffusione
su larga scala della fibra ottica, il
doppino telefonico è stato il sistema di
trasmissione dati comunemente utilizzato
per tutte la connettività di abitazioni
e luoghi di lavoro (connessione
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
23
Dimostrazione trasmissione dati con monitor multiparametrico tramite Ermes
ADSL, VDSL, ecc.). Si è quindi pensato
di utilizzare la stessa tecnologia, adattata
e ottimizzata per la grotta.
messaggi e condividere file di qualsiasi
genere tra interno ed esterno, senza bisogno
di una connessione dati.
Lo scopo principale
di Ermes è quello
di portare Internet
in grotta, ma può
capitare che anche
all’esterno della cavità
non si riesca ad avere
accesso a Internet.
Una volta identificata la tecnologia migliore,
ossia VDSL2, si è iniziato a pensare
agli altri dispositivi necessari per
costruire un’infrastruttura di rete completa
e autonoma, con uno sguardo
sempre attento a contenere i consumi
energetici e a ridurre peso e dimensioni
della valigetta da trasportare. Lo
scopo principale di Ermes è quello di
portare Internet in grotta, ma può capitare
che anche all’esterno della cavità
non si riesca ad avere accesso a Internet.
In questo caso, Ermes implementa
un’infrastruttura locale che permette
di effettuare videochiamate, inviare
IL CONTENUTO DELLE DUE
VALIGETTE ERMES
Andiamo ora a vedere nel dettaglio
cos’è contenuto nelle due valigette.
Iniziamo dalla più grande, il cuore pulsante
di Ermes, da posizionare all’esterno
della grotta. I dispositivi contenuti
sono fondamentalmente tre: il primo
che sta alla base di tutto è il modem
VDSL, che crea la connessione con la
seconda valigetta che viene portata in
grotta tramite il doppino telefonico. Il
secondo è un router potente e sofisticato
con integrato al suo interno un
modem 4G per la connettività tramite
24 CRONACA E INTERVENTI
due SIM telefoniche, un server SAMBA
per la condivisione di file in rete locale,
un server DHCP per l’assegnazione
automatica dei parametri di rete ai dispositivi
collegati, sia all’esterno che
all’interno della grotta, access point
Wi-Fi per il collegamento senza fili
dei dispositivi che si trovano all’esterno
della grotta. Il terzo dispositivo è
un centralino telefonico SIP, basato
sullo standard H.264; è compatibile
con tutte le app “SIP Phone” per smartphone,
tablet e PC/Mac permettendo
la comunicazione audio/video e messaggistica
in rete locale tra interno ed
esterno, senza necessariamente avere
una connessione Internet. Tutti questi
dispositivi con tensione di alimentazione
a 12V vengono alimentati da una
moderna batteria LiFePO4 da 307 Wh
in grado di garantire più giorni di autonomia
al sistema. La valigia è di tipo
Rugged, altamente resistente agli urti
e impermeabile, appositamente studiata
per essere lasciata per giorni sotto
le intemperie, senza che i dispositivi
al suo interno possano risentirne. Per
garantire questa impermeabilità e l’utilizzo
tenendo la valigia chiusa, al suo
esterno sono riportate le prese RJ45
dell’interfaccia LAN e WAN del router,
la presa di alimentazione per collegare
e caricare la batteria interna alla rete a
220V e le antenne 4G del router. Le antenne
normalmente in dotazione sono
ad alto guadagno di circa 20 cm ma è
possibile collegare anche antenne più
grandi a palo o ubicate in posizioni
strategiche per la miglior ricezione del
segnale telefonico, grazie al connettore
standard di tipo N. Inoltre, l’interfaccia
WAN permette di dare al sistema
connettività Internet anche dove non
fosse presente il segnale 4G, utilizzando
un sistema Starlink o altre connettività
satellitari tramite parabola portatile
o installata sugli appositi furgoni
“direzione operazioni”, in dotazione al
Soccorso Alpino e Speleologico.
La seconda valigetta, più piccola viene
trasportata in grotta e collegata al doppino
telefonico nel momento in cui il
sanitario o i soccorritori hanno bisogno
di comunicare e trasmettere informazioni
all’esterno. Al suo interno un modem
VDSL analogo a quello presente in
esterno e un router di dimensioni più
contenute rispetto a quello della prima
valigetta; è dotato di access point Wi-Fi
per il collegamento di tutti i dispositivi
che dall’interno della grotta hanno bisogno
di collegarsi alla rete.
I BENEFICI CHE ERMES PUÒ
PORTARE A UN INTERVENTO
SANITARIO IN GROTTA
Per i sanitari che operano in interventi
complessi in grotta, specie se a elevate
profondità e a molte ore di progressione
dall’ingresso, la possibilità
di effettuare una videochiamata a un
collega all’esterno della grotta o a uno
specialista in una struttura ospedaliera
può essere di grande aiuto per alcune
decisioni da prendere relativamente al
trattamento del paziente.
Inoltre, Ermes permette di condividere
e trasmettere i parametri sanitari
dell’infortunato. Grazie alla collaborazione
con l’azienda Sago Medica Srl
abbiamo avuto la possibilità di testare
il monitor Schiller Touch 7 - prodotto di
riferimento nell’emergenza extraospedaliera,
utilizzato in gran parte delle
basi di elisoccorso in Italia - che tramite
Ermes permette di condividere all’esterno
in tempo reale il display del multiparametrico,
con la possibilità di comandarlo
tramite il touch screen del dispositivo remoto,
oltre che di inviare, ad esempio, un
tracciato ECG tramite SEMA Server a una
Fase di test di Ermes in grotta,
Abisso Bueno Fonteno (BG)
APRILE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
25
Ermes in grotta
Tutti i dispositivi
sono già collegati
e si accendono
automaticamente
instaurando la
connessione. Nel giro
di qualche minuto
compare la rete Wi-
Fi, al quale ci si
collega come se fosse
una normale rete
domestica, e si può già
iniziare a sfruttarne i
servizi.
centrale operativa 118 per la refertazione
da parte di uno specialista, come avviene
quotidianamente da parte dei mezzi dei
servizi sanitari che operano sul territorio.
In un’esercitazione svolta in provincia
di Bologna è stato testato un piccolo
dispositivo elettrocardiografico in dotazione
ai sanitari alpini del Servizio
regionale Emilia-Romagna che tramite
una app sullo smartphone permette di
inviare il tracciato ECG in formato PDF.
La Commissione Medica del Soccorso
Speleologico possiede tre sonde
ecografiche di ridotte dimensioni che
consentono di svolgere attività diagnostica
ed accessi vascolari complessi
in grotta. Queste sonde si collegano via
Wi-Fi ad un telefono o tablet che funge
da schermo e tramite Ermes è possibile
trasmettere all’esterno le immagini,
registrate o in tempo reale, durante lo
svolgimento dell’intervento.
LA SEMPLICITÀ NELL’USO DI ERMES
Nella sua ultima versione, Ermes è
stato sviluppato in modo semplice e
funzionale, così da permettere a chiunque
di utilizzarlo, senza specifiche competenze.
Basta collegare il doppino
telefonico alla valigetta e posizionare
l’interruttore su “On”; tutti i dispositivi
sono già collegati e si accendono automaticamente
instaurando la connessione.
Nel giro di qualche minuto compare
la rete Wi-Fi, al quale ci si collega come
se fosse una normale rete domestica, e
si può già iniziare a sfruttarne i servizi.
LA DISTRIBUZIONE DI ERMES
Siamo ormai giunti al termine di una intensiva
fase di sviluppo e di test dell’ultimo
prototipo. Tra la fine di quest’anno e
l’inizio dell’anno prossimo sarà messo in
commercio dall’azienda BPG Radiocomunicazioni
Srl, con la quale abbiamo
collaborato, e sarà quindi acquistabile
da tutte le Delegazioni speleologiche
o da altri enti che portano soccorso in
spazi confinati. Dal 19 al 22 settembre
scorsi, si è tenuto a Mostar (HiB) il 17th
European Cave Rescue Meeting, un importante
convegno delle associazioni
di soccorso europeo che ha visto par-
26 AVERE 70 ANNI
tecipi decine di Soccorsi Speleologici
provenienti dall’Europa e da altre parti
del mondo, durante il quale abbiamo
presentato questo importante progetto
e raccolto interesse attorno al sistema.
RINGRAZIAMENTI
L’ideazione, lo sviluppo e la realizzazione
di Ermes ha una lunga storia e
ha visto impegnate tante persone del
Soccorso Alpino e Speleologico, e non
solo, che in questi anni hanno portato
il loro contributo per arrivare a quello
che attualmente è l’unico sistema di
trasmissione dati in grotta presente
al mondo. Un grande ringraziamento
va sicuramente a tutti i volontari della
Commissione Tecnica Speleologica del
CNSAS che hanno lavorato al progetto,
alle Delegazioni e ai tecnici che in
questi anni hanno reso possibili le moltissime
prove svolte sui vari prototipi
durante le esercitazioni in grotta, alla
Conferenza dei Delegati, all’Esecutivo
Speleologico e alla Direzione nazionale
che ha creduto in questo ambizioso
progetto, alla Scuola Nazionale Tecnici
di Soccorso Speleologico, della quale
la Commissione Tecnica fa parte. Infine,
un sentito ringraziamento va all’Associazione
Culturale FinalmenteSpeleo2017,
che nel 2017 ha organizzato il
Raduno Nazionale di Speleologia a Finale
Ligure, dove Ermes ha fatto la sua
comparsa per la prima volta, con un
collegamento tra una squadra di soccorritori
in grotta, l’auditorium Santa
Caterina e la Stazione Spaziale Internazionale
ESA da dove l’astronauta Paolo
Nespoli ci ha salutati. FinalmenteSpeleo2017
ha deciso di donare tutto l’utile
ricavato dal raduno al CNSAS per
l’acquisto del primo sistema di trasmissione
dati Ermes.
Videochiamata di gruppo dall_interno della
grotta, Abisso Figherà nelle Alpi Apuane (LU)
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
27
IL SOCCORSO IN FORRA
Il lato acquatico
del CNSAS
Tre missioni per raccontarlo
di Pino Antonini, Istruttore Scuola Nazionale Tecnici Soccorso in Forra
LA PRIMA VOLTA
Domenica 13 marzo. Siamo appena scesi dalla montagna e ognuno
torna alla propria abitazione. Ma dopo cena, quando la serata
sembra ormai concludersi nel sonno, arriva una telefonata inattesa.
Un gruppo di alpinisti è bloccato nella Balza dell’Aquila, una forra
tecnicamente facile le cui condizioni, fino a ieri invernali a causa del
forte vento di scirocco, si stanno sbloccando verso una situazione primaverile, con
la comparsa delle prime cascate.
Quando riattacco il telefono mi viene in mente che due settimane prima, un gruppo
di alpinisti era passato dal rifugio dove solitamente ci appoggiamo, chiedendo
informazioni proprio su quella forra. Ci precipitiamo al magazzino per prendere
corde e barelle, anche se dalle prime informazioni non vi è certezza di un vero e
proprio incidente.
Ci affrettiamo a caricare il materiale e partiamo. Arrivati sul posto, ritroviamo le
condizioni che avevamo lasciato scendendo proprio da quella montagna, il Monte
Catria, con un forte vento di scirocco che muove gli alberi. Prendiamo subito
28 AVERE 70 ANNI
contatto con i tecnici della Stazione di
Soccorso Alpino, intervenuta tempestivamente.
Purtroppo, la situazione
è cambiata e le notizie sono tragiche:
affacciandosi dall’alto di una cascata
di 30 metri, un soccorritore non ha potuto
fare altro che osservare due corpi
appesi alla corda di calata, completamente
investiti dalla cascata.
Per loro non c’è più niente da fare, e
sarebbe incauto tentare un recupero
delle salme con il buio senza avere una
chiara visione delle condizioni della
forra. Così, non ci resta che progettare
il recupero per il giorno dopo, valutando
attentamente tutti i rischi a cui
dovremo esporci, in una forra carica
di ghiaccio, neve e acqua. Una perfida
combinazione dello stesso elemento in
forme diverse, ma che crea condizioni
di rischio esponenziale.
I soccorritori, anche se addestrati e “robusti”,
sono sempre esposti al rischio di
finire vittime. Chi comanda è sempre
l’ambiente circostante, in questo caso
la montagna, che pensiamo di conoscere
bene, ma pronta a punirti per
aver creduto di poterne controllare le
dinamiche. Il giorno successivo dovremo
entrare all’alba, approfittando
delle temperature più basse, e quindi
dormiamo sul posto, alloggiando nelle
gelide stanze del monastero di Fonte
Avellana. Un luogo intriso di spiritualità,
ma che stanotte per noi sarà punitivo,
con una sola coperta incapace di
proteggerci dal freddo invernale. Arriva
il mattino e, a parte un russatore incallito,
stanotte nessun’altro ha chiuso
occhio. Colpa del freddo, del russatore,
ma forse anche di quello che ci aspetta,
un lungo recupero pieno di incognite.
Nonostante thè e caffè non riusciamo
a recuperare il calore lasciato al monastero,
sapendo che oggi ne perderemo
molto di più.
Dopo un briefing con la squadra, saliamo
la pista in fuoristrada, finché si può,
poi a piedi nella neve marcia. Soffia
forte lo scirocco caldo su un paesaggio
ancora invernale, ma sappiamo bene
che questa è una disgrazia perché in
forra troveremo l’acqua di fusione sotto
forma di cascate sferzanti. Ma non
solo quelle; ci attenderà qualcosa di ancora
più pericoloso. Dopo aver indossato
gli indumenti impermeabili, facendo
attenzione a non bagnarci nella neve,
iniziamo a scendere le prime cascate,
portando due barelle che, stavolta, non
serviranno purtroppo a salvare alcuna
vita.
Siamo organizzati in due squadre, la
seconda delle quali sarà di rinforzo per
il trasporto della seconda barella. Raggiunta
la cascata, ci affacciamo. Mi ero
preparato a questa immagine, ma la visione
è forte, di quelle che non vanno
più via. La dinamica dell’incidente, in
base alla testimonianza dei tre alpinisti
sopravvissuti, pare essere questa: il
gruppo, entrato nella convinzione che
la forra fosse in condizioni invernali,
quindi con cascate di ghiaccio, ha sottovalutato
il forte vento di scirocco che
li ha sorpresi a scendere sotto il getto
delle cascate con indumenti inadeguati.
Una cascata dopo l’altra si sono bagnati
completamente, perdendo sensibilità
e scivolando verso l’ipotermia. In
forra, una volta che viene recuperata la
prima corda, spesso non c’è possibilità
di ritorno; quindi, non hanno avuto
alternativa alla discesa, che però si è
rivelata una trappola mortale. In tre riescono
a scendere la cascata da 30 metri
e quella successiva, mentre gli ultimi
due, i più esperti, chiudono il gruppo
per recuperare le corde.
Ma, nella discesa della cascata più alta,
il penultimo ha problemi con il discensore
autobloccante, complicata dal
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
29
Una forra carica di
ghiaccio, neve e
acqua. Una perfida
combinazione dello
stesso elemento in
forme diverse, ma che
crea condizioni di
rischio esponenziale.
prussik di autosicura. Cerca di sfuggire
alla cataratta, ma finisce sotto il getto
con l’acqua a un grado, che in pochi
istanti lo spegne per sempre. Il compagno,
vista la situazione, tenta una
coraggiosa operazione di salvataggio
scendendo con i nodi autobloccanti
sulla corda in tensione. Ma raggiunto
l’amico si rende conto che non c’è più
nulla da fare e, a quel punto, tenta di
salvarsi la vita. Ma è legato alla corda
con i nodi autobloccanti, e con le mani
insensibili non riesce a superare quel
corpo esanime che ora ostacola la sua
sopravvivenza. In ultimo fa un estremo
tentativo di togliersi l’imbrago, sfilandosi
dalle asole dei cosciali, ma l’operazione
non riesce completamente e
per questo rimane appeso. Ho pensato
molte volte a quel disperato tentativo,
immedesimandomi in quei gesti senza
speranza, provando le stesse angoscianti
sensazioni.
Esco dai pensieri suscitati da quell’immagine:
non c’è molto tempo per riflettere,
fa davvero molto freddo e le mani
congelano, stiamo scendendo investiti
dalle cascate e affondiamo nella neve.
Inoltre su ogni cascata pendono grandi
stalattiti di ghiaccio del peso di centinaia
di chilogrammi, e lo scirocco sta
minando la stabilità di queste strutture,
sempre più fragili: ogni tanto sentiamo
il rumore di qualche “ghiacciolo” che si
infrange al suolo. Dobbiamo agire, e
così uno di noi scende a verificare la situazione
da vicino, mentre collego una
corda a quella che intrappola i corpi e,
dopo un taglio deciso, calo le salme in
fondo.
Ma sta continuando a cadere ghiaccio
ovunque e la situazione si sta facendo
drammatica anche per noi soccorritori,
che rischiamo di rimanere uccisi
dalla caduta di quelle pesanti spade di
ghiaccio pendenti sulle nostre teste: è
come essere in un imbuto, senza alcuna
possibilità di protezione. Alla base
della cascata non possiamo neppure
fermarci ad imbarellare: troppo perico-
30 AVERE 70 ANNI
loso. Siamo costretti a proseguire calando
i corpi nella cascata successiva,
e poi fino a dove saremo meno esposti
alle scariche.
Mentre gli ultimi della squadra recuperano
le corde, crolla parte della struttura
di ghiaccio che colpisce alla spalla un
soccorritore: è dolorante e sulle prime
sembra una cosa grave, poi per fortuna
si riprende. La cosa si fa sempre più
seria. A questo punto la minaccia di
crolli è altissima e siamo costretti ad
interrompere l’ingresso in forra della
squadra di supporto per il recupero
della seconda barella: è già fin troppo
rischioso per noi. Trovata una posizione
meno pericolosa, dobbiamo ricomporre
i due sfortunati, un’operazione non
facile, e quindi iniziare il faticoso recupero
delle barelle, che dobbiamo alternare,
dal momento che siamo troppo
pochi per entrambe: avanziamo con
la prima per alcune decine di metri,
poi torniamo a prendere l’altra. Ogni
tanto una sosta, che vorremmo evitare
per il freddo intenso, ma necessaria per
riprendere le forze. Nel trasporto della
barella perdiamo la sensibilità delle
mani, avendole bagnate. E cominciamo
anche a tremare. La fatica e il freddo
consumano rapidamente le nostre
batterie. Dopo altre cascate, finalmente
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
31
Comunichiamo al
resto della squadra di
rientrare, faremo quel
che è necessario in
quelli che siamo. Poi
di nuovo un bagliore,
ma stavolta è diverso:
è la luce di una
lampada frontale.
raggiungiamo l’ultima dove, ad attenderci,
troviamo i tecnici della Stazione
di Soccorso Alpino a cui passiamo le
barelle. È la liberazione di un peso doloroso,
non solo fisico. Solo qualche ora
più tardi riprenderemo il calore perduto
e la sensibilità completa delle estremità.
Era il 14 marzo del 1988.
Sembrerebbe tutto passato, ma non è
così. Molto tempo dopo ho incontrato
Maria Teresa, vedova di un compagno
coraggioso, che ha perso la vita nel
disperato e vano tentativo di salvarne
un’altra ormai spenta. In queste circostanze
prendono forma le domande
sul perché è potuto succedere, a sottolineare
il tentativo di tornare a quei
momenti, quasi a voler gridare a quel
gruppo di non entrare in quella trappola
di acqua e ghiaccio, per cambiare un
destino inaccettabile. Questo incidente
rappresenta il punto zero, poiché da
quel momento il Soccorso Speleologico
del CNSAS ha iniziato ad analizzare
il problema del soccorso in forra, incaricando
la Commissione Tecnica Speleologica
(CTS) di trovare soluzioni adeguate
agli incidenti in uno scenario fino
a quel momento sconosciuto. Qualche
anno più tardi, in seno alla CTS sarà
istituito un gruppo di lavoro specifico,
che prenderà il nome di Commissione
Tecnica Forre, estesa a tecnici di estrazione
alpina, ed antesignana dell’attuale
Scuola Nazionale Tecnici Soccorso in
Forra (SNaFor).
Oggi la SNaFor è il riferimento nel CN-
SAS per il soccorso in forra, una scuola
impegnata nella ricerca e nello sviluppo
di tecniche e strategie per migliorare
costantemente la sicurezza delle
squadre di soccorso in forra che operano
sul territorio.
UNA CORDA NEL BUIO
Siamo a tavola, in attesa della cena che
segue all’esercitazione di soccorso in
forra. Le mute sono ancora stese ad
asciugare. E invece neppure un boccone
da mandare giù, perché dobbiamo
andare di corsa, come i ladri, mettendo
nello zaino la roba bagnata. Destinazione
Fosso il Rio: da un cellulare anonimo
è partito il messaggio per una ri-
32 AVERE 70 ANNI
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
33
Non c’è tempo
per le chiacchiere,
dobbiamo sbrigarci,
dal momento che
il temporale è già
sopra di noi. Chi ha
visto una piena sa
quanto sia devastante
e in questo frangente
cerchiamo di muoverci
rapidamente per
portare tutti in salvo
nel più breve tempo
possibile.
chiesta d’aiuto. Un gruppo di torrentisti
è bloccato al buio. Dopo un’ora di curve
siamo in zona, e ci prepariamo a salire a
piedi, consapevoli che il meteo minaccia
temporali di forte intensità e che la
forra è alimentata da un bacino molto
ampio. Il rischio di una piena è concreto.
Sarà il karma, ma in genere le missioni
di soccorso non sono mai sotto
un bel sole e in una giornata di tempo
stabile. Saliamo a piedi per scorciatoie
che ci permettono di bypassare la parte
superiore della forra, dal momento
che il gruppo in difficoltà si trova più in
basso. Il torrente, a causa delle piogge
dei giorni precedenti, ha una portata
superiore alla media e, nonostante
un’ottima conoscenza della forra e dei
punti più pericolosi, con il buio e il rumore
assordante dell’acqua non c’è da
essere molto allegri. Dopo i primi salti
troviamo una corda che si perde nel
buio verso il toboga: è il tratto chiave,
dove l’acqua scorrendo in uno stretto
canale inclinato ti investe in pieno; il
rischio di perdere il controllo in queste
condizioni è davvero molto alto e la vasca
che si trova in fondo è una trappola
pericolosa per la presenza di tronchi e
rami accatastati. Facendo ricorso alle
tecniche specifiche e alla conoscenza
del posto, riusciamo a installare una teleferica
per consentire a tutta la squadra
di superare in sicurezza il punto critico.
Almeno questa è fatta, pensiamo.
Ma un bagliore improvviso all’orizzonte
spegne l’entusiasmo del momento: il
temporale si avvicina.
In queste condizioni impegnare altri
soccorritori in forra è rischioso: si va più
lenti e questo, con la minaccia di una
piena incombente, non ce lo possiamo
permettere. Così, cautelativamente,
comunichiamo al resto della squadra
di rientrare, faremo quel che è necessario
in quelli che siamo. Poi di nuovo un
bagliore, ma stavolta è diverso: è la luce
di una lampada frontale. Finalmente
prendiamo contatto con il gruppo in
difficoltà: hanno tutte le corde bloccate
a causa di una serie di errori tecnici e
poi si sono spaventati per la portata del
torrente che ha colto tutti di sorpresa.
Fin dall’allertamento temevamo il peg-
34 AVERE 70 ANNI
gio per qualcuno di loro, ma per fortuna
sono in buone condizioni, anche se
provati psicologicamente. Quando ci
vedono si sentono sollevati e, a causa
della tensione accumulata, qualcuno
scoppia in lacrime. Per puro caso hanno
trovato una cengia a pochi metri
dal torrente, un riparo in cui attendere.
Ma non c’è tempo per le chiacchiere,
dobbiamo sbrigarci, dal momento che
il temporale è già sopra di noi. Chi ha
visto una piena sa quanto sia devastante
e in questo frangente cerchiamo di
muoverci rapidamente per portare tutti
in salvo nel più breve tempo possibile.
Per fortuna, riusciamo ad attrezzare
una traiettoria di calata lontana dall’ultima
cascata, per non rischiare di essere
travolti da una piena improvvisa. E così,
uno dopo l’altro, il numeroso gruppo
viene calato alla base della cascata;
ormai la disavventura per loro è alle
spalle e vengono accompagnati alle
auto dai tecnici della locale Stazione
di Soccorso Alpino. Poi, quando siamo
fuori anche noi, dopo aver recuperato
le corde, si scatena il temporale. Appena
in tempo.
A posteriori abbiamo analizzato le
scelte, trovandole opportune. In questi
frangenti, entrare in forra numerosi
non è una buona idea: procedendo
più lenti si è maggiormente esposti al
rischio per un tempo maggiore. Inoltre,
nell’imminenza di una piena, è più
facile trovare un riparo per pochi. In
questi casi, essere in tanti non fa più
forte la squadra. Anzi, si possono creare
le condizioni per una tragedia.
Nei giorni a seguire è arrivata una lettera
di ringraziamento, scritta con il cuore,
in cui si esprimeva un forte senso di
gratitudine nei confronti delle squadre
CNSAS intervenute. Una gradita sorpresa,
se si pensa che il responsabile di quel
gruppo è anche soccorritore di un’organizzazione
di soccorso dello Stato, con la
quale i rapporti sono talvolta conflittuali.
Un riconoscimento, ma soprattutto la
prova che le competenze del Soccorso
Alpino e Speleologico, maturate in molti
decenni, sono nei fatti e non sulle carte.
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
35
FUORI DALLE (NOSTRE) ACQUE
TERRITORIALI
Maggio 2023. Da ogni canale informativo
rimbalzano le notizie dell’alluvione
che si sta abbattendo in Emilia-Romagna.
Qualche mese prima era toccato
alle Marche, finita con un bilancio di
molte vittime. Ormai queste calamità
sono ricorrenti e il CNSAS si trova, suo
malgrado, ad essere sempre più spesso
in prima linea anche su questo fronte.
Ci si aspetta una telefonata da un momento
all’altro e infatti, come previsto,
arriva la richiesta di supporto al Servizio
regionale Emilia-Romagna. Parte la
squadra forre, equipaggiata con il necessario
per entrare in acqua e per portare
soccorso a chi in acqua non può
entrare. Mute e canotto, jacket di aiuto
al galleggiamento e sonde da valanga,
che fanno il loro dovere anche in acqua.
Partiamo nella notte, come da copione,
e arrivati in zona veniamo guidati
telefonicamente sulle uniche strade
Appena arrivati,
nell’inevitabile caos
che caratterizza le fasi
iniziali dei soccorsi,
ci viene assegnata una
missione: dobbiamo
recuperare una
persona bloccata
nella palazzina
di un quartiere
completamente
allagato, a poche
decine di metri dalle
sponde del fiume
esondato.
36 AVERE 70 ANNI
percorribili e i ponti transitabili: sembra
facile, ma con strade e sottopassaggi
allagati risulta difficile anche solo
raggiungere la base operativa. Come
cercare la strada giusta in un labirinto.
La situazione rispetto alle Marche al
momento appare meno drammatica in
termini di vite umane, ma le dimensioni
sono nettamente più ampie e i danni
incalcolabili.
Appena arrivati, nell’inevitabile caos
che caratterizza le fasi iniziali dei soccorsi,
ci viene assegnata una missione:
dobbiamo recuperare una persona
bloccata nella palazzina di un quartiere
completamente allagato, a poche
decine di metri dalle sponde del fiume
esondato. Un’auto medica ci guida sul
posto, dove ci sono i famigliari delle
persone bloccate; in molti ci chiedono
di sapere qualcosa dei loro parenti, dei
quali non hanno più notizie da molte
ore. Chiediamo dettagli per la localizzazione
delle case, poi entriamo in acqua,
sonde alla mano. Infatti, mentre
avanziamo nell’acqua che si alza progressivamente,
dobbiamo verificare
con le sonde che non ci siano tombini
aperti, scoppiati durante la piena, che
possono inghiottirti letteralmente:
l’ambiente urbano in questi casi è pericoloso
quasi quanto un campo minato,
dove il rischio è entrare in una fabbrica
con prodotti chimici aggressivi sversati
in acqua, lamiere in cui tagliarsi,
smottamenti del terreno e oggetti galleggianti
che nella corrente possono
colpirti o intrappolarti. Già, la corrente,
quella del fiume che scorre a meno di
dieci metri da noi e che qui è debole,
ma basta un leggero incremento della
portata per una pioggia a monte, che
neppure vedi, e il fiume si prende altri
argini portando una forte corrente
dove prima non c’era; si corre il rischio
di essere travolti. Raggiungiamo i condomini
dove la gente, affacciata dai
balconi, chiede aiuto. Siamo partiti con
l’obiettivo di recuperare una persona
con problemi sanitari in divenire e ci
ritroviamo a raccogliere una decina di
richieste di aiuto: abbiamo già impegnato
tutta la notte. Mentre avanziamo
tra le macchine allagate, ne trovo una
legata con la corda, un disperato tentativo
di ritrovarla dove è stata parcheg-
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
37
Entriamo nell’intimità
di queste case, dove
le famiglie al primo
piano sono tutte
sulle scale: il loro
appartamento è una
piscina. Il resto del
palazzo se la passa
solo un po’ meglio.
giata; esempi come questi ce ne sono
molti e fanno capire come la gente,
in questi casi, davanti alla perdita certa
di un bene fa cose assurde, talvolta
mettendo a repentaglio la propria vita.
Finalmente raggiungiamo l’abitazione:
inutile suonare il campanello, non c’è
corrente. Quindi dobbiamo scavalcare
il cancello portando anche il canotto,
ed entrare nel condominio allagato
fino alle scale. Entriamo nell’intimità di
queste case, dove le famiglie al primo
piano sono tutte sulle scale: il loro appartamento
è una piscina. Il resto del
palazzo se la passa solo un po’ meglio,
ma se l’acqua non rientra negli argini
presto sarà un problema di fame e di
emergenza sanitaria: manca l’acqua
corrente, il gas, la luce e ovviamente
le comunicazioni, i cellulari sono scarichi.
Quindi non si può bere, cucinare,
andare in bagno e non si sa nulla sugli
sviluppi dell’alluvione. Questa povera
gente ha salva la vita, ma la ripresa
non sarà facile, e anche quando i danni
materiali saranno stati riparati e gli argini
dei fiumi ricostruiti, a ogni allerta
arancione si presenterà lo spettro di
rivivere un nuovo dramma, di dover
ricominciare da capo. Ma ora dobbiamo
occuparci dell’emergenza e siamo
già all’opera, con una persona anziana
che aiutiamo a scendere le scale, fino al
canotto; senza questo piccolo natante
sarebbe impossibile evacuare la gente,
che altrimenti si vedrebbe costretta ad
entrare nell’acqua gelida fino al petto.
Ma non tutti hanno la fortuna di poter
scendere le scale: chi ha il primo piano
completamente sommerso lo dobbiamo
calare dalla finestra del piano superiore
direttamente sul canotto. La notte
trascorre così per noi, ma siamo svegli
e motivati, facendo da traghettatori a
persone anziane, disabili, bambini e
anche animali domestici. Rientriamo
in base all’alba, ma subito veniamo
taskati per un’altra missione, nelle campagne.
Ci fa da guida l’auto medica,
indispensabile se non si conosce il territorio.
Mentre ci avviciniamo alla zona
operazioni siamo costretti a numerosi
38 AVERE 70 ANNI
aggiramenti per evitare strade ormai
impraticabili. E quando troviamo la
strada giusta, a un passo dall’obiettivo,
vediamo la sconfinata pianura che si
sta allagando a vista d’occhio: un grosso
canale sta esondando e noi siamo
vicini; dobbiamo invertire la marcia e
fuggire: sì, ma dove? È tutto piatto e
non ci sono zone in rilievo. Ci rendiamo
conto di come in questi casi c’è il rischio
concreto di trovarsi in trappola tra due
canali, con la prospettiva di dover abbandonare
i mezzi di soccorso al loro
destino e cercare un albero o un tetto
su cui salvarsi. Fuggiamo a tutta velocità
sulle strade che si stanno allagando,
aprendo un varco nelle acque, riuscendo
a sfuggire per un soffio.
Mentre rientriamo in base veniamo dirottati
su un’altra missione nelle colline
circostanti. E qui ci confrontiamo con
un altro problema, le frane. La strada
che stiamo percorrendo è in buona
parte invasa da colate di terra e vegetazione.
Dopo qualche ostinato tentativo
di proseguire dobbiamo rinunciare,
troppo pericoloso, rischiamo di sparire
in qualche smottamento: questa notte
una squadra CNSAS è sfuggita per un
soffio alla tragedia, rimanendo intrappolata
fino all’alba tra due frane. In
un’alluvione il pericolo non viene solo
il fiume. A metà mattinata la fase critica
dell’emergenza è ormai esaurita, quello
che potevamo fare lo abbiamo fatto e
non ci siamo risparmiati. Rientriamo a
casa sonnolenti, ma sicuri di aver fatto
il nostro dovere fino in fondo, anche
se fuori da quelle che sono le “nostre”
acque territoriali, ma nelle quali sappiamo
muoverci, potendo contare anche
su una cultura della sicurezza che è
nel nostro DNA, e su quell’inspiegabile
sesto senso che si sviluppa con l’esperienza
dopo molte missioni ed esercitazioni
di soccorso.
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
39
LE UNITÀ CINOFILE
Dall’esperienza di Solda
alla Scuola Nazionale
unità cinofile
di Marianna Calovi, coordinamento Rivista CNSAS
Dopo le prime esperienze pionieristiche della Scuola per cani
da valanga, nata negli anni Sessanta a Solda in Alto Adige,
dentro il Soccorso Alpino e Speleologico si è sviluppata una
specializzazione che risulta fondamentale in numerosi scenari:
dalla valanga alla ricerca di superficie, fino ad arrivare alla
ricerca in catastrofe. Parliamo delle Unità cinofile con Markus
Reinstadler, istruttore nazionale di Solda, nel Soccorso Alpino e Speleologico dal
1982.
«Ho una fotografia di me da piccolo nel passeggino, insieme al pastore tedesco di mio
papà; sono nato e cresciuto circondato dai cani». Markus è il figlio di Robert Reinstadler,
uno delle prime unità cinofila del Soccorso Alpino di Solda, insieme ad Albin
Platzer e a Fritz Reinstadler, il fondatore della Scuola cani da valanga che per prima,
in Italia, ha formato unità cinofile di tutto l’arco alpino. «L’intuizione di utilizzare
i cani nella ricerca in valanga è arrivata nel 1960 quando il cane della guida alpina
Fritz Reinstadler, impegnato a lavorare nei pressi di una slavina che mesi prima aveva
40 AVERE 70 ANNI
travolto il parroco del paese nei dintorni
di Solda, si allontana dal suo padrone e
grazie al suo fiuto riesce a individuare il
punto in cui si trova il corpo, cercato invano
da diversi volontari».
Proprio da questo episodio nascono
le basi per organizzare la Scuola cani
da valanga, partita agli inizi degli anni
Sessanta a Solda con corsi più piccoli
a livello provinciale, per poi arrivare
al 1966 con il 1° Corso Nazionale. «Per
concretizzare questa idea, Fritz e altri
componenti del Soccorso Alpino sono
stati in Svizzera per studiare cosa già si
faceva e per apprendere tecniche e metodi
dagli istruttori del posto. Inoltre, bisognava
occuparsi di trovare i cani per i
conduttori; in questo aiutò il maresciallo
della Guardia di Finanza Carlo Arricci,
che regalò quattro cani ai soccorritori
della Stazione di Solda, tra cui c’era mio
padre. Dall’esperienza dei primi corsi organizzati
a livello locale con il supporto
degli istruttori svizzeri, la Scuola è cresciuta,
raggruppando attorno a sé, di
anno in anno, istruttori e discenti non
solo del Soccorso Alpino ma anche della
Guardia di Finanza, dei Carabinieri e del
Corpo forestale, provenienti da diverse
località di tutto l’arco alpino. Al primo
corso nazionale del 1966 hanno partecipato
circa quaranta persone e negli anni
successivi i numeri sono cresciuti».
Come si può leggere dai documenti, il
programma del corso tenuto dal 20 al
28 aprile del 1968 prevedeva lezioni
teoriche sull’equipaggiamento per la
ricerca in valanga, sul primo soccorso
dei travolti e sull’impiego dell’elicottero,
oltre che esercizi pratici in ambiente
su vari tipi di valanga, sugli sci con i
cani, per il trasporto dei cani con la seggiovia,
per l’impiego della sonda in valanga,
di ricerca notturna e con l’intervento
dell’elicottero. «I corsi duravano
sette giorni e si svolgevano sempre la settimana
dopo Pasqua. Erano previsti tre
livelli di corso, classe A, B e C, al termine
del quale chi superava l’esame riceveva
una medaglia di bronzo, d’argento o d’oro,
a seconda della classe. Nei primi anni
Settanta fu realizzato anche un piccolo
manuale scritto da Fritz ed Ernst Reinstadler,
insieme a don Hurton, in italiano e
in tedesco; una sorta di guida dove il conduttore
trovava le direttive per quello che
si era stabilito essere il corretto modo di
addestrare, prendersi cura ed educare il
cane. Certo, alcune cose sono cambiate
nel tempo, come l’approccio all’addestramento.
Inizialmente si è puntato molto
a premiare il cane attraverso il cibo o a
toglierglielo se non faceva il suo lavoro,
successivamente ci si è orientati più verso
la dimensione del gioco con l’utilizzo
sempre più frequente delle palline o altri
oggetti da dare al cane come premio».
Il primo manuale scritto nel
1971 da Fritz Reinstadler, con
la collaborazione di Ernst
Reinstadler e don Josef Hurton.
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
41
La Scuola nasce a Solda per sviluppare
e diffondere l’impiego delle unità
cinofile in uno scenario ben preciso,
quello degli interventi di ricerca in valanga.
Ma ben presto si capisce che le
potenzialità potevano essere maggiori.
«Una delle evoluzioni più importanti
in tema di unità cinofile dentro il Soccorso
Alpino è stata quella di ampliare
la formazione di conduttori e cani per
intervenire in situazioni diverse dalla
valanga. Parlo della ricerca in superficie
e in maceria, ben più complicate della
ricerca in valanga. Sfogliando il primo
calendario della Scuola del 1987, si può
notare che l’interesse verso la ricerca in
superficie era nato già allora. Furono
poi tre le unità cinofile che andarono in
Irpinia per dare una mano dopo il terremoto
del 1980; per questo a Hermann
Pircher, direttore della Scuola dopo
Fritz Reinstadler, dal 1978 al 1984, fu
conferito un diploma di benemerenza.
Sviluppare questa competenza, inoltre,
significava dare maggiore continuità
all’addestramento e alla formazione,
poiché si lavorava tutto l’anno, sia in
estate che in inverno».
Una delle evoluzioni
più importanti in
tema di unità cinofile
dentro il Soccorso
Alpino è stata
quella di ampliare
la formazione di
conduttori e cani
per intervenire in
situazioni diverse
dalla valanga.
Dal primo calendario della Scuola Cani da Valanga di Solda, 1978
42 AVERE 70 ANNI
Diploma di
benemerenza
Rimanendo in tema di evoluzioni, nel
primo manuale del 1971 “Il cane da
valanga e il suo conduttore” ci sono
dei capitoli dedicati alla storia e all’alimentazione
del cane da pastore,
mentre nelle fotografie del calendario
del 1978 si vede che tutti i conduttori
hanno un pastore tedesco. «In un primo
momento l’unica razza impiegata
per fare ricerca in valanga era quella del
pastore tedesco, in effetti. La decisione
presa successivamente di aprirsi ad altre
razze è stata importante e determinante
per migliorare l’efficienza degli
interventi di soccorso. Si pensi soltanto
ai vantaggi nell’impiegare cani di taglia
media, più agili e snelli, anche quando
devono essere messi sull’elicottero.
Oggi, per fortuna, le razze utilizzate per
fare soccorso alpino sono varie, dai Border
collie, al Pastore tedesco grigione, al
Pastore belga malinois, solo per citarne
alcune».
Quello che in tutti questi anni non è
cambiato, probabilmente, è il rapporto
tra il conduttore e il suo cane. Nel caso
dell’unità cinofila, infatti, nonostante il
progresso della tecnologia, la sintonia
che lega il cane e il suo conduttore è
ancora l’elemento chiave capace di risolvere
in modo positivo interventi di
soccorso complessi. «Fin dalle origini
il cane viveva con te, faceva parte della
tua famiglia, lo curavi e lo addestravi
tutti i giorni, lo portavi in vacanza. Al di
là dei cambiamenti che possono esserci
stati in termini di formazione, di alimentazione
e approccio all’addestramento
questo principio valeva nel 1966, e vale
ancora oggi».
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
43
IL COORDINAMENTO
La ricerca che diede
vita a Eureka
di Fabio Bristot (Rufus), Direzione nazionale CNSAS
Il telefono vibrava con fastidiosa insistenza sul tavolo di legno chiaro attorno
al quale la Direzione nazionale stava ormai avviandosi a completare il proprio
lavoro. Un mare di carte e qualche cartellina che avevano iniziato a muoversi
tale era l’insistenza di quelle chiamate che arrivavano da un numero sconosciuto.
Alla fine, ancor prima che quell’incontro avesse termine, mi ero deciso
a rispondere.
“Rufus, Rufus, è la terza telefonata che faccio al numero di casa di Bortoli (nda: Capo
Stazione CNSAS di Feltre dell’epoca) e non risponde! Tu quasi lo stesso, però!”
Avevo risposto chiarendo inizialmente che la nostra Zona per attività di soccorso
era attivabile esclusivamente tramite la Centrale Operativa del 118, sui tre numeri
di reperibilità che ogni Stazione aveva in dotazione proprio da qualche mese, ed
era tassativamente esclusa la chiamata al domicilio del personale CNSAS da parte di
terzi. Quindi, avevo specificato che si chiama De Bortoli, anche se poco cambiava, in
effetti, nell’economia della telefonata.
Dopo questa necessaria precisazione fatta più che altro per evenienze future, era
stata da subito posta in evidenza dal mio interlocutore l’urgenza della chiamata. Un
aereo triposto decollato da Bolzano nel primo pomeriggio con direzione Trieste non
risultava essere atterrato alla destinazione prevista dal piano di volo. I telefoni degli
occupanti risultavano spenti o fuori campo. Non vi era alcuna notizia certa di tracciati
radar o segnali di eventuali trasponder. Nessuna testimonianza su avvistamenti,
anche per le pessime condizioni meteo della giornata. Veniva chiesto al Soccorso
Alpino di Feltre, competente per quello che si riteneva essere il territorio di ricerca
primaria, ovvero la zona del Monte Grappa versante nord e nord-ovest, un’immediata
attivazione sul campo.
44 AVERE 70 ANNI
Ringraziavo in modo genuino per questa
telefonata, con la quale si volevano
accorciare i tempi canonici dell’attivazione
ufficiale, tanto che dopo qualche
istante venivo raggiunto dalla telefonata
di Poggio Renatico (FE) che dava formalmente
inizio all’attività di ricerca dell’aeromobile
targhe I-IABT. Venivano fornite
le anagrafiche dei passeggeri e qualche
altra informazione. Veniva comunicato,
infine, che già in prima mattinata sarebbe
arrivato un AB205 e, successivamente,
un AB412. Sarebbero poi seguiti in
tarda serata ulteriori accordi di natura
tecnica.
Giorno 1 – venerdì 16 aprile
Già nel corso della serata 33 tecnici appartenenti
a 4 Stazioni CNSAS si erano
attivati, iniziando una perlustrazione
delle principali strade boschive e mulattiere
dell’area indicataci dall’Aeronautica
Militare perché considerata come attendibile
per possibili crash. Oltre a questa
attività, venivano verificati promontori
e punti panoramici per cogliere eventuali
riferimenti visivi dell’aereo caduto,
quali fiamme o testimonianze fortuite
di qualcuno che nel primo pomeriggio
avesse notato o sentito qualcosa di
anomalo. L’oscurità e l’indeterminatezza
dell’area non avevano favorito l’attività
di ricerca, motivo per cui, già poco dopo
mezzanotte, erano state allertate altre
componenti del CNSAS e deciso di creare
il centro di coordinamento presso la
caserma locale dei Vigili del Fuoco, dove
aveva sede anche la Stazione, e che disponeva
di un’area dove sarebbe stato
possibile garantire almeno due piazzole
per gli elicotteri.
provvedeva a tracciare le aree di ricerca
primaria, in attesa che l’Aeronautica
Militare arrivasse in zona con i loro due
elicotteri, il centro di coordinamento e
una cisterna per il rifornimento. Nel frattempo,
sia l’elicottero del 118 di Pieve
di Cadore sia quello del 118 di Treviso
effettuavano importanti ricognizioni nel
complesso massiccio del Monte Grappa
e dei gruppi contermini minori, anche
con l’elitrasporto di numerose squadre
in quota. Nel pomeriggio si affiancava
un elicottero dei Vigili del Fuoco per la
sola attività di carattere ricognitivo. Per
tutta la giornata, invece, i due elicotteri
dell’Aeronautica Militare continuavano
senza sosta a scandagliare i fianchi delle
montagne o a elitrasportare altre squadre
in quota.
Tutte le zone verificate con buona attendibilità
venivano recensite sulle carte in
uso a livello locale, utilizzando colorazioni
diverse e indicando con codici convenzionali
la tipologia e composizione
della squadra e la sua denominazione.
Veniva comunicato,
infine, che già in
prima mattinata
sarebbe arrivato
un AB205 e,
successivamente, un
AB412. Sarebbero poi
seguiti in tarda serata
ulteriori accordi di
natura tecnica.
Giorno 2 – sabato 17 aprile
62 tecnici di 8 Stazioni, coordinandosi
in modo ottimale con tutte le forze in
campo, già dalle prime ore del mattino
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
45
Ci si concentrava
allora su quanto
doveva essere
ancora verificato
o era opportuno
riconsiderare,
attraverso un’attenta
pianificazione e
gestione del personale
tecnico e dei mezzi
che si spostavano
sul territorio dalle
prime luci del giorno
al tardo pomeriggio
della giornata.
Il lavoro febbrile si sviluppava in un’area
molto vasta e morfologicamente complessa
con decine di soggetti coinvolti
e con un buon coordinamento da parte
del CNSAS che, insieme al Corpo Forestale
dello Stato e ai Vigili del Fuoco, individuava
le aree da considerare di ricerca
primaria. Si cercava, inoltre, di raccogliere
testimonianze, ma molto spesso si rilevano
prive di fondamento.
Alla sera, come un fulmine a ciel sereno
ci raggiungeva la notizia che la Prefettura
di Vicenza avvocava a sé la direzione
delle ricerche pur essendo marginalmente
interessata dall’evento e senza
dirette competenze nella gestione via
terra delle forze in campo che voleva
dirigere. Si teneva poco dopo una riunione
di fuoco, con una dialettica molto
aspra nel corso della quale, a fronte del
fatto che la stessa Prefettura non aveva
contezza neppure delle aree che erano
state scansionate in giornata, veniva
deciso, con determinazione da parte
del CNSAS, che il coordinamento si tenesse
in quella stanza, a Feltre, e che
le forze via terra fossero coordinate dal
CNSAS. Veniva accettata questa istanza
con il Prefetto di Belluno che mediò
questa soluzione.
Giorno 3 – domenica 18 aprile
La mattinata iniziava con la tensione della
sera precedente non ancora del tutto
dissipata, ma uomini di buona volontà
rimuovevano pian piano le varie incrostazioni
ideologiche createsi e le non
giustificate primogeniture di comando.
Ci si concentrava allora su quanto doveva
essere ancora verificato o era opportuno
riconsiderare, attraverso un’attenta
pianificazione e gestione del personale
tecnico e dei mezzi che si spostavano
sul territorio dalle prime luci del giorno
al tardo pomeriggio della giornata. Notevole
lo sforzo del CNSAS che riesce a
mettere in campo ben 88 tecnici provenienti
da 12 diverse Stazioni.
Veniva potenziata l’attività di ricerca aerea.
Oltre agli equipaggi già menzionati
si aggiungeva un AB412 della Guardia
di Finanza e un AB206 dell’Aeronautica
Militare. Purtroppo, nonostante le aree
ulteriormente scansionate dagli elicot-
46 AVERE 70 ANNI
teri e quelle investigate dal personale a
terra, non si avevano apprezzati indizi
di sviluppo. Tracciati radar e altri aspetti
tecnologici non erano inoltre di alcun
aiuto, poiché i vari modelli proposti venivano
vanificati dalla ricerca che non
dava l’esito sperato. Una certa stanchezza
iniziava, dunque, a farsi sentire soprattutto
sulle persone che già da due
giorni e mezzo, pressoché senza riposo,
agivano incessantemente nel tentativo
di risolvere quell’estenuante ricerca di
cui i media riempivano pagine intere di
cronaca.
Giorno 4 – lunedì 19 aprile
Su richiesta del CNSAS alla Prefettura
di Belluno si affiancavano alle squadre
già in campo una quarantina di uomini
dell’Esercito Italiano con la qualifica di
Alpieri, equipaggiati leggeri e con un’ottima
capacità di movimento, ma purtroppo
con una conoscenza sommaria
dei luoghi, ragion per cui per ogni sei di
loro era previsto un affiancamento di un
tecnico della Stazione di Feltre. Avranno
il compito di verificare un’area piuttosto
vasta contigua al lago del Corlo, in uno
dei comuni prospicenti alla possibile rotta
dell’aereo.
Il tempo era molto variabile con tratti
piovosi che avevano impedito in alcune
ore o limitato del tutto ogni capacità di
ricognizione e perlustrazione da parte
degli elicotteri. Alcune zone erano state
allora ridefinite con l’invio e l’intervento
del personale via terra. Continuava
invece in modo serrato la percorrenza
di tutto il reticolo di arterie secondarie
e di mulattiere della zona. Centinaia di
chilometri percorsi a piedi e con mezzi
fuoristrada, fermandosi per perlustrare
ampie zone con i binocoli.
In modo diligente, pur con l’evidente
limite degli strumenti (nda: altri non ve
ne erano allora) fornivamo alle tre Prefetture
interessate dall’evento e come
successo nei giorni precedenti, un’ottima
evidenza grafica del lavoro fatto dal
personale CNSAS e da quello degli altri
enti e organizzazioni, esplicitando con
segni grafici e colorazioni diverse le varie
Il tempo era molto
variabile con tratti
piovosi che avevano
impedito in alcune
ore o limitato del
tutto ogni capacità
di ricognizione e
perlustrazione da
parte degli elicotteri.
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
47
tipologie di attività resa via terra e con la
ricerca aerea.
Giorno 5 – martedì 20 aprile
Finalmente con condizioni del tempo
più favorevoli, il consueto ingente numero
di tecnici appartenenti alle organizzazioni
già presenti nei giorni precedenti,
congiuntamente ai due elicotteri
del SUEM 118 e quelli dell’Aeronautica
Militare, Guardia di Finanza e Vigili del
Fuoco, tornavano a battere a tappeto
tutto il territorio, spostando l’asse delle
ricerche leggermente più a ovest.
In tarda mattinata, alla Stazione del CN-
SAS di Feltre arrivava una segnalazione
da un privato cittadino, che permetteva,
certificata la notizia come attendibile, di
spostare ancora più a ovest e nord-ovest
l’attività di ricerca aerea e in parte quella
delle squadre terrestri. Ciò previo, obbligatorio
e funzionale coinvolgimento
dell’Aeronautica Militare. Finalmente,
verso le 14, la carcassa dell’aeroplano
viene avvistata proprio da parte di un
elicottero dell’Aeronautica Militare, tra la
neve, al limite di un bosco. Siamo nelle
propaggini nord dell’Altipiano di Asiago,
per circa 350 metri in Comune di Grigno,
Provincia di Trento.
L’elicottero del 118 di Treviso, con nostro
personale a bordo e con un tecnico
Enac, decolla immediatamente seguito
da quello dei Vigili del Fuoco. Vengono
48 AVERE 70 ANNI
ritrovati il pilota (Davide Lofredo di Trieste)
e i due passeggeri (Andrea Brecelli
e Ferruccio Pinzan di Trieste) morti sul
colpo a causa del terribile schianto. Le
salme, una volta ottenuta l’autorizzazione
alla rimozione da parte dell’Autorità
Giudiziaria, vengono portate dall’elicottero
del 118 di Treviso in un luogo facilmente
raggiungibile via strada da parte
dei tecnici Enac e dei Carabinieri.
La ricerca poteva dirsi mestamente conclusa.
Il lavoro straordinario della Stazione
di Feltre alla fine aveva pagato,
assieme a quello di tutti i vari soggetti
intervenuti, tra le quali è opportuno citare
l’Aeronautica Militare per il notevole
lavoro di coordinamento delle forze aeree
in campo e l’importante ospitalità e
logistica dei Vigili del Fuoco. Andava sottolineato
con onestà intellettuale però
che c’era margine per risolvere alcune
problematiche che, con gli strumenti a
disposizione (cartografia cartacea, stampati
presso vari soggetti terzi, computer
senza software dedicati, ecc.), non era
stato possibile finalizzare diversamente.
Quando, cioè, vi sono in campo valori
numerici che hanno raggiunto in una
giornata addirittura le duecento unità
impiegate in attività operativa sul campo,
oltre che cinque elicotteri per le attività
di ricognizione e il trasporto delle
squadre, è pressoché fisiologico che vi
siano degli errori o delle dinamiche che
rallentano alcune fasi della ricerca.
**
Dopo quelle giornate così drammatiche,
dense di aspetti tecnico-operativi ma
anche di risvolti umani, ci siamo interrogati
su una questione prioritaria, ovvero
quella rispetto alla quale avevamo
maggiormente sofferto con quei numeri
straordinari impegnati nella ricerca: non
era più possibile coordinare e dirigere
un’operazione di soccorso così complessa
in ambito montano, con l’interazione
di decine di soggetti diversi per provenienza
e su territori complessi morfologicamente,
con fotocopie in bianco e
nero di cartografia estratta da mappe e
supporti cartacei diversi; con pennarelli
che, nella migliore della ipotesi, nascondevano
il segno grafico sottostante o il
La ricerca poteva dirsi
mestamente conclusa.
Il lavoro straordinario
della Stazione di
Feltre alla fine aveva
pagato, assieme a
quello di tutti i vari
soggetti intervenuti,
tra le quali è
opportuno citare
l’Aeronautica Militare
per il notevole lavoro
di coordinamento
delle forze aeree in
campo e l’importante
ospitalità e logistica
dei Vigili del Fuoco.
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
49
toponimo che invece doveva essere evidenziato;
con pezzi di carta con elenchi
di personale che passavano di mano in
mano di continuo, sino a renderli sdruciti
pizzini. Non era più possibile non avere
un feedback fedele e preciso riguardo
l’uscita delle squadre sul territorio, cioè
la descrizione dell’area o rete di sentieri
assegnati in ordine all’attività resa da un
punto di vista quali-quantitativo, così da
avere l’esatta definizione del lavoro effettivamente
svolto e da chi era stato svolto.
Solo con questi grossolani, ma indispensabili
parametri sarebbe stato possibile
prima pianificare e poi dirigere una ricerca
come quella di Feltre e quelle in qualche
modo assimilabili per il numero di
soggetti coinvolti, per la diversificazione
delle forze in campo e per gli altri fattori
qua in parte esplicitati.
Nacque allora l’idea di sviluppare un
software, poi realmente realizzato grazie
a un finanziamento nell’ambito dell’“Interreg
III Italia-Austria” (nda: progettazioni
di finanziamento UE) e all’attività
congiunta effettuata con il Servizio regionale
del Friuli-Venezia Giulia, che
aveva già lavorato sul tema in questione
in modo analogo e con profitto.
Il nome del software che riassunse tutte
quelle criticità non poteva che essere
allora Èureka (nda: letteralmente “ho
trovato” in greco antico). Venne presentato
nel corso della Cisa-Ikar di Cortina
d’Ampezzo nel 2005, nell’ambito di una
simulazione di ricerca che per la prima
volta venne introdotta in ambito internazionale,
viste le crescenti criticità nella
gestione di questi eventi in territorio
montano e impervio. Èureka è stato per
anni il software in uso al CNSAS e sui
suoi principi operativi è stato realizzato
successivamente Geco.
In chiusura, un aneddoto che avevo dimenticato.
In una delle tantissime riunioni
organizzate per descrivere le specifiche
del progetto del futuro software, avrei
detto “se riusciamo a farlo davvero funzionare
lo chiamiamo anche un poco presuntuosamente
ho trovato”, come buon
viatico per tutte le ricerche future di cui il
CNSAS avrebbe preso parte. Così fu.
50 AVERE 70 ANNI
LE FORZE MESSE IN CAMPO
16 APRILE
ENTE PROVENIENZA NUMERO TECNICI
IMPIEGATI
1 Stazione Soccorso Alpino Feltre 10
2 Stazione Soccorso Alpino Belluno 3
3 Stazione Soccorso Alpino Longarone 7
4 Stazione Soccorso Alpino Pedemontana del Grappa 13
5 VV.F. Belluno 14
7 CC, CFS e PS n.c. 8
53
17 APRILE
ENTE PROVENIENZA NUMERO TECNICI
IMPIEGATI
1 Stazione Soccorso Alpino Feltre 16
2 Stazione Soccorso Alpino Agordo 5
3 Stazione Soccorso Alpino Asiago 8
4 Stazione Soccorso Alpino Belluno 5
5 Stazione Soccorso Alpino Longarone 7
6 Stazione Soccorso Alpino
12
Pedemontana del Grappa
7 Stazione Soccorso Speleo Veneto Orientale 5
8 Stazione Soccorso Speleo Vicenza 4
9 VV.F. Belluno, Treviso e Vicenza e Volontari 58
13 A.M., CC, CFS, GdF e PS n.c. 19
139
18 APRILE
ENTE PROVENIENZA NUMERO TECNICI
IMPIEGATI
1 Stazione Soccorso Alpino Feltre 16
2 Stazione Soccorso Alpino Agordo 5
3 Stazione Soccorso Alpino Alleghe 3
4 Stazione Soccorso Alpino Alpago 5
5 Stazione Soccorso Alpino Asiago 6
6 Stazione Soccorso Alpino Belluno 5
7 Stazione Soccorso Alpino Cortina d’Ampezzo 4
8 Stazione Soccorso Alpino Longarone 7
9 Stazione Soccorso Alpino Pedemontana del Grappa 12
10 Stazione Soccorso Speleo Veneto Orientale 9
11 Stazione Soccorso Speleo Vicenza 6
12 Stazione Soccorso Alpino Trieste ed altre 5
13 VV.F. Belluno, Treviso e Vicenza e Volontari 88
14 A.M., CC, CFS, GdF e PS n.c. 24
15 PROTEZIONE CIVILE n.c. 11
206
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
51
19 APRILE
ENTE PROVENIENZA NUMERO TECNICI
IMPIEGATI
1 Stazione Soccorso Alpino Feltre 11
2 Stazione Soccorso Alpino Agordo 5
3 Stazione Soccorso Alpino Pieve di Cadore 7
4 Stazione Soccorso Alpino Alpago 4
5 Stazione Soccorso Alpino Asiago 8
6 Stazione Soccorso Alpino Belluno 4
7 Stazione Soccorso Alpino San Vito di Cadore 5
8 Stazione Soccorso Alpino Longarone 2
9 Stazione Soccorso Alpino Pedemontana del Grappa 3
10 Stazione Soccorso Alpino Val Biois 5
11 Stazione Soccorso Speleo Veneto Orientale 6
12 Stazione Soccorso Speleo Vicenza 4
13 Stazione Soccorso Alpino Livinallongo del Col di Lana 1
13 VV.F. VV.F. Belluno, Feltre, Treviso e Vicenza 76
15 A.M., CC, CFS, E.I. G.d.F. e PS n.c. + 40 Alpieri 58
16 PROTEZIONE CIVILE n.c. 9
208
20 APRILE
ENTE PROVENIENZA NUMERO TECNICI
IMPIEGATI
1 Stazione Soccorso Alpino Feltre 13
2 Stazione Soccorso Alpino Agordo 7
3 Stazione Soccorso Alpino Pieve di Cadore 2
4 Stazione Soccorso Alpino Asiago 11
5 Stazione Soccorso Alpino Belluno 4
6 Stazione Soccorso Alpino Centro Cadore 3
7 Stazione Soccorso Alpino Longarone 4
8 Stazione Soccorso Alpino Pedemontana del Grappa 3
9 Stazione Soccorso Alpino Sappada 2
10 Stazione Soccorso Speleo Veneto Orientale 9
11 Stazione Soccorso Speleo Vicenza 3
12 Stazione Soccorso Alpino Val Comelico 4
13 VV.F. VV.F. Belluno, Feltre, Treviso e Vicenza 79
15 A.M., CC, CFS, GdF e PS n.c. 16
16 PROTEZIONE CIVILE n.c. 14
174
52 AVERE 70 ANNI
16/20 APRILE - ELICOTTERI
TIPOLOGIA MEZZO ENTE/AMMINISTRAZIONE GIORNATE
1 A109K2 118 di Pieve di Cadore 3
2 A109POWER 118 di Treviso 4
3 AB412 A.M. 3
5 AB205 E.I. 3
6 AB412 G.d.F. di Bolzano 2
7 AB206 A.M. 2
8 A109POWER VV.F. di Venezia 3
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
53
LA PROTEZIONE CIVILE
Sinergie nelle
maxi-emergenze
Il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico è riconosciuto a livello
nazionale come uno dei principali attori nel sistema di Protezione Civile.
Fondato con l’obiettivo primario di soccorrere chiunque si trovasse in difficoltà
nelle aree montane e negli ambienti ipogei naturali, il CNSAS ha
ampliato progressivamente il proprio campo di intervento. Oggi, il suo
ruolo si estende ben oltre i confini delle montagne, con una partecipazione
attiva in operazioni di soccorso durante calamità naturali e incidenti di grande
portata in tutto il territorio nazionale.
La relazione tra il CNSAS e la Protezione Civile si è rafforzata nel corso di decenni,
attraverso una serie di interventi significativi che appartengono alla storia di
quando ancora non esisteva il termine “protezione civile”, né era stato ancora
licenziata una specifica norma che ne disciplinasse il suo complesso mondo. Il
tragico disastro del Vajont del 1963 e l’alluvione di Firenze e del nord-est del 1966
sono stati tra i primi eventi a vedere il coinvolgimento diretto del CNSAS. La capacità
delle squadre di soccorritori di operare in condizioni critiche, come quelle
legate agli smottamenti e alle inondazioni, ha dimostrato la necessità di una predi
Federico Catania, responsabile comunicazione CNSAS
54 AVERE 70 ANNI
senza specializzata e ben coordinata.
Uno degli eventi più devastanti è stato
il terremoto del Friuli del 1976, dove il
CNSAS ha collaborato con la Protezione
Civile e altre forze sul campo per il
recupero dei dispersi e il salvataggio di
vite umane, in un contesto di distruzione
totale. Lo stesso è avvenuto nel
1985 a Stava (TN) e 1987, quando l’alluvione
in Valtellina (SO) ha richiesto
un impegno straordinario per affrontare
frane e strade interrotte. Anche in
questo caso, il CNSAS ha dimostrato la
propria prontezza operativa.
Tra gli anni ‘80 e ‘90, il CNSAS è stato
coinvolto in numerosi altri interventi.
L’incidente dell’ATR 42 nei cieli lariani
in Lombardia nel 1987 e l’alluvione in
Piemonte del 1994 sono esempi emblematici
della sua capacità di adattarsi
a scenari diversificati. Il terremoto
in Umbria e Marche del 1997, che
colpì duramente il centro Italia, vide
ancora una volta il CNSAS protagonista
nelle operazioni di soccorso e recupero
in zone montuose e difficili da
raggiungere.
Uno dei terremoti più distruttivi degli
ultimi anni è stato quello dell’Aquila
del 2009, dove il CNSAS ha avuto un
ruolo determinante nel soccorso dei
dispersi sotto le macerie. Le squadre
hanno lavorato fianco a fianco con gli
altri enti di soccorso per affrontare le
drammatiche conseguenze del sisma.
Il successivo terremoto del 2012, che
ha colpito l’Emilia, la Lombardia e il
Veneto, ha visto un altro massiccio intervento
del CNSAS, che ha messo a
disposizione oltre 600 tecnici.
Negli ultimi anni, gli interventi del
CNSAS si sono moltiplicati a fronte di
eventi naturali sempre più frequenti.
La nevicata che ha colpito le Marche
e l’alto Veneto nel 2012 e nel 2014 ha
richiesto la mobilitazione di centinaia
di tecnici, mentre le alluvioni a Refrontolo
(TV) e in Liguria nel 2014 hanno
visto la partecipazione tempestiva delle
squadre del CNSAS, con oltre 100
tecnici impegnati in ciascun evento. In
modo analogo in altre situazioni manifestatesi
in eventi alluvionali in Toscana,
Liguria e sempre anche in Piemonte,
in successivi eventi.
Il terremoto di Amatrice (RI) del 2016
e le nevicate in Abruzzo nel 2017
hanno rappresentato momenti particolarmente
critici, con una massiccia
presenza del CNSAS. Durante il tragico
evento della valanga di Rigopiano (PE),
il CNSAS è stato tra i primi ad arrivare
sul luogo della tragedia, operando in
condizioni proibitive per giorni, con
oltre 400 tecnici coinvolti.
Nel 2018, la tempesta Vaia, che devastò
vaste aree del nord Italia, ha visto
un’eccezionale mobilitazione del CN-
SAS, con 707 tecnici impegnati nel
soccorso e nella messa in sicurezza
dei territori colpiti. Gli anni successivi
hanno continuato a mettere alla prova
il Corpo: l’alluvione in Piemonte del
2020, (NA) la valanga del Monte Velino
(AQ) nel 2022, l’alluvione nelle Marche
e la tragedia di Ischia sono solo alcuni
Il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico ringrazia il dott. Fabrizio Curcio per il lavoro svolto durante
la sua guida del Dipartimento della Protezione Civile. La sua collaborazione, oltre a quella del suo staff, è stata
preziosa in molte situazioni operative. Al suo successore subentrato a luglio 2024, dott. Fabio Ciciliano, auguriamo
buon lavoro nel nuovo incarico, certi che il dialogo e la collaborazione continueranno nel solco delle attività svolte
insieme negli anni passati.
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
55
Questi eventi, pur se
diversificati per natura
e portata, hanno un
filo conduttore: la
capacità del CNSAS di
operare in situazioni
di emergenza con
efficienza e rapidità.
esempi degli eventi che hanno visto
la presenza primaria del CNSAS nelle
operazioni di soccorso.
Uno degli eventi più complessi dal
punto di vista operativo è stato il crollo
dei seracchi sulla Marmolada nel 2022,
dove la collaborazione tra il CNSAS e i
servizi di elisoccorso di Trento, Belluno,
Bolzano (Aiut Alpin Dolomites) e Treviso,
con un’attività sinergica svolta in
modo contestuale, è stata cruciale per
affrontare un’emergenza in alta quota
e recuperare le vittime ed i feriti. In
quell’occasione, il CNSAS ha dimostrato
ancora una volta come la specializzazione
delle sue squadre sia fondamentale
in situazioni estreme.
Nel 2023, l’alluvione in Emilia-Romagna
ha rappresentato l’ennesima sfida
per il CNSAS. Con 368 tecnici impegnati
nelle operazioni di evacuazione e recupero
delle zone colpite, il Corpo ha
risposto con prontezza e determinazione
a una delle peggiori crisi legate
ad eventi meteo degli ultimi anni.
Questi eventi, pur se diversificati per
natura e portata, ai quali andrebbero
ad aggiungersi altre decine di casistiche
similari, hanno un filo conduttore:
la capacità del CNSAS di operare in
situazioni di emergenza con efficienza
e rapidità. Le squadre del Corpo
Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico,
formate per affrontare condizioni
estreme in montagna e in grotte
e negli ambienti impervi del territorio
56 AVERE 70 ANNI
nazionale, sono state in grado di mettere
a frutto la loro esperienza anche in
contesti urbani e in situazioni di calamità
naturali.
La relazione con la Protezione Civile si
basa su una collaborazione costante
e strategica. Il CNSAS non è solo una
struttura operativa ai sensi del D.lgs.
2 gennaio 2018, n. 1, ma anche una
realtà che partecipa attivamente alla
pianificazione delle attività di prevenzione
e gestione delle emergenze. Gli
scenari operativi in cui il CNSAS è stato
coinvolto negli anni hanno contribuito
a sviluppare un metodo di lavoro
sempre più efficiente, fondato sulla
prontezza operativa, la specializzazione
tecnica e una forte capacità di coordinarsi
con le altre forze in campo.
In un Paese come l’Italia, dove il rischio
di terremoti, alluvioni e incidenti
legati all’ambiente naturale e ad
altri fattori, che naturali non sono, è
purtroppo sempre presente, il ruolo
del CNSAS rappresenta un indiscusso
asset operativo per intervenire a
fianco della Protezione Civile in molte
delle diversificate emergenze e secondo
specialità del Corpo.
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
57
OLTRE I CONFINI
L’impegno nei
progetti internazionali
di Simone Alessandrini, viceresponsabile comunicazione CNSAS
Il nostro Corpo si è distinto, in modo particolare negli ultimi due anni, per il
suo impegno non solo sul territorio nazionale, ma anche a livello internazionale.
Due recenti progetti in Kosovo e Pakistan testimoniano la dedizione
del Soccorso Alpino e Speleologico nel condividere le proprie competenze
e nel promuovere la sicurezza in montagna in contesti internazionali.
In Kosovo, il CNSAS ha svolto un ruolo fondamentale nella formazione di una nuova
generazione di soccorritori montani. Nell’ambito del progetto “Naturkosovo”,
realizzato dalle ONG italiane CELIM e RTM sotto la supervisione dell’Agenzia Italiana
per la Cooperazione e lo Sviluppo (AICS) del Ministero degli Affari Esteri, è
stata completata con successo la formazione di trenta soccorritori di base e otto
soccorritori avanzati, ad opera di istruttori afferenti alle Scuole Nazionali Tecnici
e Medici (alpina). Un totale di oltre venti giornate di formazione e valutazione,
che hanno ravvivato un movimento di persone interessate a svolgere l’attività di
soccorso in montagna, capaci di cogliere l’opportunità di imparare e, soprattutto,
di comprendere l’importanza dell’auto-organizzazione a livello burocratico e
politico. Infatti, grazie al progetto NaturKosovo, il neocostituito gruppo di soccor-
58 AVERE 70 ANNI
ritori in poco più di un anno è riuscito
ad ottenere, con il supporto della compagine
italiana, tre locali da adibire a
Stazioni di soccorso nelle municipalità
di Decani, Peja e Junik, dotati di ogni
materiale di squadra necessario per lo
svolgimento di missioni di soccorso. È
motivo d’orgoglio per il Soccorso Alpino
e Speleologico registrare l’entusiasmo
e il rispetto verso i nostri istruttori
e, soprattutto, sapere che i soccorritori
formati sono chiamati spesso a condurre
operazioni di ricerca e soccorso
anche nella vicina Albania. Il progetto
vedrà attivarsi entro il 2025 ulteriori
moduli di re-training per fissare i concetti
e mantenere il rapporto di collaborazione
tra CNSAS ed il servizio di
ricerca e soccorso del Kosovo.
Nella primavera scorsa gli istruttori
regionali tecnici del Piemonte e della
Lombardia hanno collaborato al
progetto “High Altitude Guides”, che
rappresenta un altro grande esempio
dell’impegno internazionale del CN-
SAS. In collaborazione con EvK2CNR,
tre istruttori hanno contribuito alla formazione
di oltre trenta guide locali in
Pakistan, con l’obiettivo di migliorare
la loro sicurezza durante le spedizioni
in alta quota. Le sessioni di formazione
hanno incluso tecniche di progressione
su vari tipi di terreno, recupero e calata
su roccia e ghiaccio, oltre a tecniche
di soccorso: attività volte a rafforzare
le capacità delle guide locali nell’affrontare
le sfide poste dall’alpinismo
ad alta quota. La collaborazione con le
guide pakistane ha permesso di creare
un importante ponte tra esperienze e
conoscenze, consolidando la presenza
del Soccorso Alpino e Speleologico anche
in contesti montani lontani e impegnativi.
Questi progetti rappresentano solo
una parte dell’ampio spettro delle attività
internazionali del CNSAS, che continua
a condividere le proprie competenze
tecniche e sanitarie in varie parti
del mondo (basti pensare alla complessa
operazione di soccorso coordinata
dai tecnici di Soccorso Speleologico e
dai sanitari italiani in Turchia poco più
di un anno fa). Attraverso la formazione,
l’addestramento e il trasferimento
di know-how, il CNSAS contribuisce a
creare una rete globale di soccorritori
pronti ad affrontare le sfide dell’ambiente
montano, ovunque esse si presentino.
È motivo d’orgoglio
per il Soccorso
Alpino e Speleologico
registrare
l’entusiasmo e il
rispetto verso i
nostri istruttori e,
soprattutto, sapere
che i soccorritori
formati sono chiamati
spesso a condurre
operazioni di ricerca e
soccorso anche nella
vicina Albania.
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
59
LA LEGISLAZIONE
Nella storia del Soccorso Alpino e Speleologico, menzione speciale
merita anche la ricca produzione normativa, sia statale
che regionale, che in questi anni ha contribuito alla crescita
e allo sviluppo delle attività istituzionali del CNSAS. In virtù
della loro importanza, tutte le disposizioni normative che disciplinano
il ruolo e le competenze del Corpo, sono state infatti
oggetto di recente pubblicazione nel volume “Normativa statale e regionale, e
ordinamento interno del CNSAS”, presentato in occasione dell’Assemblea nazionale
del 18 maggio a Coccaglio (Brescia).
La raccolta normativa, frutto di un progetto giunto a compimento dopo anni di
lavoro, ripercorre in ordine cronologico i vari testi di legge a partire da quelli recanti
le prime sovvenzioni riconosciute al Club Alpino Italiano per le attività di vigilanza,
La raccolta
normativa
sul CNSAS
di Gian Paolo Boscariol, socio onorario CNSAS e Claudia Ortu, responsabile
comunicazione CNSAS Sardegna
60 AVERE 70 ANNI
prevenzione e soccorso degli infortunati
nell’esercizio delle attività alpinistiche
fino alle più recenti disposizioni che disciplinano
le diverse realtà territoriali.
Il principale contributo che questa
pubblicazione intende dare è proprio
quello di ricostruire i vari passaggi che
hanno determinato un progressivo e
maggiore riconoscimento a livello normativo
delle attività istituzionali fino
all’attuale disciplina che, proprio in virtù
del fatto che vengono espletate sul territorio
nazionale attraverso i 21 Servizi
regionali o provinciali in cui si articola
il Corpo, corrispondenti alle 19 Regioni
e alle 2 Province autonome di Trento e
di Bolzano, sono state anche oggetto di
disciplina a livello territoriale.
IL QUADRO NORMATIVO NAZIONALE
Ripercorrendo le varie tappe che hanno
portato all’attuale disciplina che regola
l’operato dei volontari del CNSAS, occorre
sottolineare che, rispetto alla data
di costituzione del CNSAS (1954) quale
Sezione “speciale” del Club Alpino Italiano,
a livello di legislazione statale soltanto
nel 2001 si ebbe una legge speciale
(legge n. 74 del 2001), con la quale
lo Stato disciplina l’attività del CNSAS.
Precedentemente, già con la legge n.
93 del 1961 di riordino del CAI (poi modificata
dalla legge n. 776 del 1985), il
legislatore riconobbe, tra i compiti ad
esso assegnati, quello di provvedere
all’organizzazione di idonee iniziative
tecniche per la vigilanza e la prevenzione
degli infortuni nell’esercizio delle
attività alpinistiche, escursionistiche
e speleologiche, per il soccorso degli
infortunati o dei pericolanti e per il recupero
dei caduti (art. 2, primo comma,
lett. g).
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
61
A livello di
legislazione statale
soltanto nel 2001
si ebbe una legge
speciale (legge n. 74
del 2001), con la quale
lo Stato disciplina
l’attività del CNSAS.
Ad essa seguì la legge n. 162 del 1992
dove troviamo finalmente specifiche
disposizioni per i volontari del CNSAS
e per l’agevolazione delle relative operazioni
soccorso (c.d. legge Marniga). In
seguito, con il decreto legislativo n. 419
del 1999 (art. 6, co. 6) il CNSAS fu dotato
di autonomia organizzativa, funzionale
e patrimoniale.
Ma è con la legge n. 74 del 2001 che
viene riconosciuto e sancito il valore
di solidarietà sociale e la funzione di
servizio di pubblica utilità svolta dal
CNSAS (art. 1, co. 1) e, altresì, affermati
i suoi compiti nell’ambito del Servizio
nazionale della Protezione civile (art.
1, co. 4) e, in particolare, del Servizio
sanitario nazionale (art. 2). Rispetto a
quest’ultimo infatti, viene stabilito che
le Regioni e le Province autonome di
Trento e di Bolzano, individuano nelle
strutture operative regionali e provinciali
del CNSAS i soggetti di riferimento
esclusivo per l’attuazione del soccorso
sanitario nel territorio montano e in
ambiente ipogeo, prevedendo altresì,
nell’ambito dell’organizzazione dei servizi
di urgenza e di emergenza sanitaria,
la possibilità di stipulare apposite
convenzioni con le strutture operative
regionali e provinciali del Corpo, atte
a disciplinare i servizi di soccorso e di
elisoccorso.
Da ultimo, la legge n. 74 è stata modificata
dall’articolo 37-sexies del D.L. n.
104 del 2020. In virtù di questo progressivo
riconoscimento anche a livello
normativo dell’importanza della funzione
svolta, l’Assemblea dei delegati
CAI del 18 dicembre 2010 deliberò di
trasformare il CNSAS da “sezione speciale”
a “sezione nazionale” del CAI e nel
marzo 2014 fu riconosciuta al CNSAS la
personalità giuridica.
L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA
REGIONALE
Le prime leggi regionali o provinciali di
riconoscimento del ruolo e delle attività
di soccorso svolto dalle strutture ter-
62 AVERE 70 ANNI
ritoriali del CNSAS si ebbero ovviamente
nelle regioni alpine e sorsero ancor
prima della legge del 1961 di riordino
del CAI.
Già nel 1958, con la legge n. 14, il Trentino-Alto
Adige aveva provveduto alla creazione
di un fondo per le spese derivanti
da interventi dei corpi di soccorso alpino
della Regione: in conseguenza dell’attribuzione
di competenze alle due Province
autonome di Trento e di Bolzano, nel
1973 il fondo fu riproposto in forma provinciale
da due apposite leggi provinciali.
Nel 1961 fu la volta della Valle d’Aosta
con la legge n. 2 (Provvidenze per l’incremento
del patrimonio alpinistico e
per l’attrezzatura e il funzionamento dei
servizi del Corpo di Soccorso alpino), per
poi istituire con l’articolo 9 della legge n.
39 del 1975 il Soccorso Alpino Valdostano
- SAV. Il Friuli-Venezia Giulia disciplinò
l’attività del CAI con la legge n. 34 del
1992, considerando anche le attività del
Soccorso Alpino e Speleologico.
Con l’effettiva nascita delle regioni a statuto
ordinario anche le altre regioni alpine
emanarono disposizioni legislative
sul soccorso alpino: la Lombardia con la
legge n. 29 del 1976; il Veneto con la legge
n. 62 del 1979, il Piemonte con alcuni
articoli della legge n. 24 del 1980.
Sul versante appenninico nel 1977 la
Toscana approvò la legge n. 51 sul “Servizio
di soccorso alpino”, così come l’Abruzzo
intervenne sulla materia con la
legge n. 52; ad esse seguirono il Molise
con la legge n. 22 de 1980 (quale contributo
annuo alla “squadra di soccorso”
della Sezione del CAI), le Marche con la
legge n. 23 del 1983, l’Emilia-Romagna
con la legge n. 12 del 1985, il Lazio con la
legge n. 27 del 1988, la Toscana con l’articolo
9 della legge n. 17 del 1988 (sulla
“Rete escursionistica della Toscana”) e la
Liguria con la legge n. 15 del 1993.
Con l’emanazione di una legge organica
a livello nazionale (legge n. 74
del 2001) solo alcune Regioni – e peraltro
in anni recenti – hanno tuttavia
provveduto ad approvare una nuova
normativa più completa e organica
rispetto alla precedente, andando a
recepire pienamente i contenuti della
stessa legge nazionale: l’Abruzzo (legge
n. 20 del 2014); la Lombardia (legge
n. 5 del 2015); il Veneto (legge n. 11 del
2015); la Calabria (legge n. 1 del 2017);
il Friuli-V.G. (legge n. 24 del 2017); il Molise
(legge n. 17 del 2017).
Negli anni più recenti sono state approvate
specifiche leggi dalla Campania
(legge n. 21 del 2019, poi modificata
nel 2020), dal Piemonte (legge n. 20 del
2021), dall’Umbria (legge n. 1 del 2021)
e dalla Toscana (legge n. 18 del 2024).
In altri casi il legislatore regionale, richiamando
la legge n. 74, si è limitato
a riconoscere il ruolo del regionale CN-
SAS nell’ambito di norme di carattere
più eterogeneo, senza tuttavia fornire
una disciplina dettagliata: è il caso della
Sardegna (art. 15, co. 11, legge n. 2
del 2007) e della Sicilia (art. 11, co. 58,
legge n. 26 del 2012).
Una disciplina particolare sull’organizzazione
del soccorso alpino (in questo
caso il SAV) è stata adottata dalla Valle
d’Aosta con la legge n. 5 del 2007, mentre
la Provincia autonoma di Bolzano
con la legge n. 13 del 2007 e la Provincia
autonoma di Trento con l’articolo 44
della legge n. 9 del 2011 ne hanno disciplinato
le modalità di finanziamento
nell’ambito delle rispettive normative
in tema di protezione civile.
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
63
LA PREVENZIONE
Sicuri in montagna
verso i 25 anni
La presenza sul territorio, anche se disomogenea, ha fatto rete e da tempo ogni
giornata è caratterizzata dalla proposta di decine di eventi in grado di coinvolgere
direttamente un numero rilevante di appassionati; approssimativamente, sono
sempre diverse migliaia le partecipazioni che si contano. Queste due giornate, se
pur nel loro ambito, ovvero senza velleità formative ma solo perseguendo obietdi
Elio Guastalli, referente progetto Sicuri in montagna
Sicuri in montagna, il progetto della Direzione nazionale
del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e
Speleologico, si avvia verso il traguardo dei 25 anni;
eravamo ad inizio millennio quando, con l’indimenticabile
Daniele Chiappa “Ciapin”, si diede vita a
quest’idea per parlare di prevenzione degli incidenti
in montagna.
Da subito si pensò di registrare Sicuri in montagna come marchio
del CNSAS e col tempo le sue attività, concentrate nelle
due giornate nazionali, quella invernale la terza domenica di
gennaio e quella estiva la terza domenica di giugno, si sono
diffuse e radicate sul territorio nazionale. Da molti anni la collaborazione
è ampiamente condivisa con il Club Alpino Italiano
attraverso il coinvolgimento attivo di scuole e sezioni. Al pari, questi momenti
sono sempre favorevoli per allacciare buoni rapporti con enti e amministrazioni
sviluppando così efficaci sinergie. Molte iniziative passano attraverso i mezzi di
comunicazione, giornali e tv, a volte anche di carattere nazionale; questa cassa
di risonanza ci aiuta in modo efficace a diffondere un messaggio di prevenzione
equilibrato, senza alterare la visione della montagna e di chi la frequenta.
64 AVERE 70 ANNI
tivi informativi e di sensibilizzazione,
hanno raggiunto una diffusione e un
seguito che le collocano senza dubbio
fra le manifestazioni più partecipate
all’interno del CNSAS e del CAI. Convegni,
presidi, escursioni guidate, campi
neve dimostrativi e molto altro, sono
le attività che parlano di prevenzione,
di responsabilità e consapevolezza, di
amore per la montagna, della necessità
di viverla in libertà ma sempre con
il giusto equilibrio fra passione e prudenza.
UN QUARTO DI SECOLO È UN
PERIODO IMPORTANTE; LE
ESPERIENZE REALIZZATE IN
QUESTI ANNI RACCONTANO
MOLTE COSE CHE, SE PUR
BREVEMENTE, VALE SEMPRE LA
PENA CONDIVIDERE. MOLTE
OSSERVAZIONI EMERGONO
DALLA RACCOLTA DEI DATI
INFORMATIVI CHE, SENZA
POTER VANTARE UNA VALENZA
STATISTICA, EVIDENZIANO
ASPETTI INTERESSANTI, A
VOLTE CURIOSI.
Molti partecipanti alle giornate di Sicuri
in montagna non sono iscritti al
CAI; questo riscontro è positivo perché
dimostra la capacità di queste iniziative
di avvicinare persone spesso principianti,
comunque interessate a ricevere
utili consigli e a condividere buone
pratiche. Una considerazione emersa
negli ultimissimi anni, sempre osservando
i partecipanti e leggendo le
loro dichiarazioni, riguarda l’aumento
di appassionati alle prime armi e poco
consapevoli, che approcciano la montagna
sulla spinta della voglia di libertà
scaturita nel post covid. Questo problema
di frequentazione di massa della
montagna si traduce non solo con l’assalto
a bivacchi e rifugi ma anche con
l’aumento significativo delle chiamate
di soccorso accompagnate, a volte, da
aspettative poco ragionevoli.
Senza dubbio, la frequentazione della
montagna segue una sua stagionalità,
almeno così era e così dovrebbe essere.
Purtroppo, gli innegabili cambiamenti
climatici hanno alterato il flusso delle
stagioni e, al contempo, la possibilità
per molti appassionati di valutare la
montagna in modo obiettivo, senza
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
65
Molti partecipanti
alle giornate non
sono iscritti al CAI;
questo riscontro
è positivo perché
dimostra la capacità
di queste iniziative
di avvicinare persone
spesso principianti,
comunque interessate
a ricevere utili consigli
e a condividere buone
pratiche.
farsi prendere dalla smania delle proprie
aspettative. Ne è prova, ad esempio, ciò
che si osserva durante le giornate di prevenzione
invernali quando molte persone,
anche esperte, non nascondono
la loro incapacità di resistere al fascino
delle prime nevi, se pur depositate con
evidenti fattori di alta criticità. Se a questo
si aggiunge poi il fatto che non sono
pochi coloro che continuano a confondere
la prevenzione del rischio da valanga
con l’autosoccorso e l’autosoccorso
con la sola ricerca con l’ARTVa, si evince
come i problemi non siano affatto risolti.
Un’altra osservazione riguarda il cambiamento
delle attività, ovvero delle
discipline che vengono coinvolte dalle
giornate di Sicuri in montagna, ad
esempio, attraverso i presidi dei sentieri;
sia nella stagione estiva che in
quella invernale. Venticinque anni fa i
ciaspolatori non erano numerosi; oggi,
battono di gran lunga gli scialpinisti
dimostrando, purtroppo, una preparazione
mediamente assai più modesta,
per quanto riguarda la frequentazione
dell’ambiente innevato in ragionevole
sicurezza. Nei presidi dei sentieri durante
la stagione estiva, in modo tanto
evidente quanto inaspettato, si osserva
l’aumento della mountain bike, incentivata
anche dalla diffusione delle biciclette
a pedalata assistita. I problemi
che ne derivano non sono trascurabili
e si possono misurare anche attraverso
le statistiche degli incidenti. Oggi le
ferrate sono oggetto di maggiore attenzione
per quanto riguarda l’uso dei
sistemi di auto protezione, set di dissipazione
dell’energia di caduta, imbracatura
e casco; rimangono comunque
66 AVERE 70 ANNI
percorsi di facile approccio dove non è
difficile osservare persone con qualche
difficoltà di progressione.
Si diceva che le esperienze e i dati rilevati
in tanti anni di Sicuri in montagna
meriterebbero di essere maggiormente
condivisi; è vero. Nel passaggio dei
25 anni d’attività si potrebbe pensare
di programmare una connessione, un
incontro, fra quanti, con passione e a
volte con caparbietà, si sono impegnati
per diffondere questo progetto di prevenzione:
ci proveremo.
200.000 DOWNLOAD PER GEORESQ
GeoResQ, l’applicazione dedicata alla sicurezza in montagna, ha raggiunto un traguardo significativo: 200.000
iscritti! Ideata dal Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico in collaborazione con il CAI, GeoResQ è
un prezioso strumento per chi frequenta le montagne. L’app permette di inviare richieste di soccorso in modo
rapido e preciso, fornendo la propria posizione esatta e riducendo così i tempi di intervento. Disponibile su
smartphone, è particolarmente utile per chi pratica escursionismo, alpinismo o mountain bike. Questo straordinario
risultato testimonia quanto sia fondamentale la prevenzione e la sicurezza in montagna. GeoResQ si
conferma un compagno essenziale per gli amanti della natura, contribuendo a rendere più sicure le esperienze
all’aria aperta. Se non lo hai già fatto, promuovi il download dell’app GeoResQ tra i tuoi amici e conoscenti!
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
67
LA COMUNICAZIONE
Un ponte tra
l’operatività e la
società: il ruolo della
comunicazione
La struttura della comunicazione all’interno del CNSAS è articolata e ramificata:
ogni Servizio regionale o provinciale ha un proprio responsabile per la stampa
o per le comunicazioni territoriali. A livello nazionale, un team cura la comunicazione
per garantire uniformità di linguaggio e di messaggio, lavorando a stretto
contatto con i vari territori. Questa sinergia tra il livello nazionale e territoriale
consente di affrontare in modo puntuale ogni situazione, garantendo sia l’operadi
Federico Catania, responsabile comunicazione CNSAS
Nel contesto operativo del Soccorso Alpino e Speleologico, la
comunicazione riveste un ruolo cruciale, non solo per garantire
una corretta informazione verso l’esterno, ma anche per
coordinare e coinvolgere i nostri membri a livello interno. Un
aspetto che emerge con forza è la delicatezza e l’importanza
di mantenere un equilibrio tra una comunicazione efficace,
trasparente e rispettosa, considerato che spesso siamo chiamati a parlare non
solo a chi opera sul campo, ma anche a chi è coinvolto emotivamente, come le
famiglie delle vittime.
68 AVERE 70 ANNI
tività locale sia una visione di insieme
coerente.
GLI STRUMENTI DELLA
COMUNICAZIONE
Per far sì che le nostre attività siano comprese
e valorizzate correttamente, utilizziamo
diversi strumenti di comunicazione,
ciascuno con un ruolo specifico:
• comunicati stampa: rappresentano
lo strumento principe per informare
i media e l’opinione pubblica
in maniera tempestiva e accurata.
Ogni volta che avviene un intervento
significativo, i nostri responsabili
territoriali sono pronti a redigere
comunicati che rispettano il giusto
equilibrio tra dati tecnici e attenzione
alle persone coinvolte;
• newsletter interna: fondamentale
per tenere informati tutti i nostri soci
sulle iniziative in corso, gli aggiornamenti
normativi e le storie di intervento.
Questo canale rafforza il senso
di comunità all’interno del CNSAS e
favorisce lo scambio di conoscenze
tra i vari livelli operativi;
• rivista del CNSAS: un vero e proprio
punto di riferimento per approfondimenti
tematici e storie di successo.
Attraverso articoli che esplorano
ogni aspetto del nostro lavoro, dalla
tecnica agli interventi più complessi,
diamo voce a chi opera ogni giorno
sul campo e offriamo uno sguardo
più ampio sulla missione del Soccorso
Alpino e Speleologico;
• social media: i canali digitali come
Facebook, X (ex Twitter), LinkedIn,
TikTok, Instagram e YouTube ci permettono
di raggiungere un pubblico
vasto e variegato, divulgando contenuti
che vanno dalle informazioni sugli
interventi in corso, alle campagne
di prevenzione e sensibilizzazione,
fino alle storie umane che caratterizzano
il nostro lavoro. L’utilizzo strategico
dei social ci consente di essere
presenti sia in situazioni di emergenza,
dove la tempestività è fondamentale,
sia in contesti più educativi,
rafforzando il nostro ruolo anche in
ottica di prevenzione.
BILANCIARE LA COMUNICAZIONE:
UNA SFIDA QUOTIDIANA
La nostra comunicazione deve sempre
essere bilanciata. Da un lato, c’è la necessità
di fornire informazioni accurate e
tempestive, soprattutto quando ci sono
operazioni in corso o situazioni di emergenza.
Dall’altro lato, però, vi è il rispetto
dovuto alle famiglie delle persone
coinvolte negli incidenti e il bisogno di
evitare qualsiasi sensazionalismo. Questa
delicatezza è fondamentale perché
ogni parola pesa quando ci si confronta
con storie umane, spesso drammatiche.
OGNI GIORNO ABBIAMO GLI
OCCHI PUNTATI ADDOSSO,
NON SOLO DA PARTE DEI
MEDIA, MA ANCHE DALLE
FAMIGLIE DELLE VITTIME E
DAI CITTADINI CHE SEGUONO
CON APPRENSIONE LE
NOSTRE ATTIVITÀ. IL NOSTRO
TEAM DI COMUNICAZIONE,
A TUTTI I LIVELLI, È
CHIAMATO A GESTIRE
CON PROFESSIONALITÀ E
SENSIBILITÀ OGNI SINGOLA
COMUNICAZIONE, PER
GARANTIRE CHE IL MESSAGGIO
TRASMESSO SIA SEMPRE
CORRETTO, RISPETTOSO E
IN LINEA CON I VALORI DEL
CNSAS.
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
69
LA COMUNICAZIONE INTERNA: UN
COLLANTE PER L’ORGANIZZAZIONE
Se la comunicazione verso l’esterno
è cruciale, quella interna non è meno
importante. Mantenere un flusso costante
di informazioni tra i vari livelli
dell’organizzazione, aggiornare costantemente
i nostri operatori sulle novità e
le best practice, e condividere i successi
e le difficoltà è fondamentale per mantenere
coesa la nostra grande famiglia.
La newsletter interna, ad esempio,
non è solo un bollettino di notizie, ma
uno strumento che rafforza il senso di
appartenenza e alimenta lo spirito di
squadra.
INIZIATIVE PER IL 70°
ANNIVERSARIO: LA SPILLETTA
CELEBRATIVA
Tra le numerose iniziative che hanno
caratterizzato quest’anno, in occasione
del 70° anniversario della fondazione
del CNSAS, una delle più sentite è stata
l’invio di una spilletta celebrativa a tutti
i nostri soci. Un gesto simbolico, ma di
grande valore, che ha permesso a ciascuno
di noi di sentirsi parte di questa
grande storia fatta di solidarietà, passione
e impegno. La spilletta non è solo
un ricordo di un traguardo importante,
ma anche un simbolo del legame che
unisce tutti i membri del Soccorso Alpino
e Speleologico.
La comunicazione all’interno del CN-
SAS è dunque molto più di un semplice
strumento operativo: è un collante che
tiene insieme tutte le parti dell’organizzazione,
permette di dialogare con il
pubblico e con le famiglie delle vittime
e assicura che il nostro messaggio arrivi
sempre in modo chiaro e rispettoso.
Un ringraziamento speciale va a tutte
le persone che negli anni hanno contribuito
a costruire e rafforzare la comunicazione
del CNSAS, rendendo possibile
una diffusione corretta, puntuale
e rispettosa del nostro lavoro. Grazie
agli addetti stampa, ai responsabili
delle comunicazioni territoriali e ai vari
team nazionali che si sono succeduti, il
Soccorso Alpino e Speleologico è oggi
in grado di trasmettere non solo informazioni,
ma anche i valori di solidarietà
e passione che ci caratterizzano. Il loro
(e nostro) impegno, spesso svolto dietro
le quinte, è stato ed è fondamentale
per garantire che la nostra voce arrivi
chiara e forte ai media e nelle istituzioni,
con l’equilibrio necessario in ogni
situazione.
70 AVERE 70 ANNI
IL RICORDO
Le vette più alte non sono solo
montagne, ma monumenti a chi ha
sacrificato tutto per il bene degli altri.
Il vostro ricordo rimane
incancellabile nei cuori di chi
continua a scalarle.
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
71
INTERVISTA
INTERVISTA
L’importanza di
essere umani
Intervista a Gino Comelli
di Simone Alessandrini, viceresponsabile comunicazione CNSAS
Gino è un’istituzione del CNSAS che non necessita di presentazione
alcuna. Chi come me ha avuto la fortuna e l’onore di
incrociare la sua strada all’interno del percorso di formazione
da soccorritore sa bene di cosa si parla: con lui ci si sentiva
in soggezione per l’enorme bagaglio tecnico e culturale, ma
mai sotto pressione durante le varie fasi di valutazione. Aveva
una qualità che superava le sue indiscutibili capacità tecniche da alpinista e
soccorritore: era umano. In quanto tale comprendeva bene l’importanza di essere
brave persone ancora prima di tecnici impeccabili, proprio perché, come
lui ripeteva spesso, «abbiamo a che fare con vite umane, non con macchine».
E proprio da qui nasce l’idea comune di realizzare l’ennesima intervista, che
72 INTERVISTA
però non raccontasse delle sue imprese
alpinistiche, dei suoi albori nella
sua amata Val Rosandra o della genesi
del suo orgoglio più grande: l’Aiut
Alpin. Nella nostra chiacchierata, la
sua ultima a microfoni accesi, abbiamo
intenzionalmente approfondito
tematiche che vanno oltre la cronaca
di quanto già ampiamente raccontato,
concentrandoci sull’importanza di
lasciare un messaggio, una riflessione
a chi avrebbe letto quelle parole. La
speranza per tutti noi dell’area comunicazione,
era di poter regalare a Gino
questo ulteriore riconoscimento, a
riprova di quanto lui sia stato importante
per tutti noi, con la sua disponibilità
e fiducia nei nostri confronti
e nel nostro operato quotidiano. Al
termine dell’intervista l’emozione
tradiva la speranza, consapevoli che
quelle parole avrebbero assunto un
significato ancora più profondo.
Gino, tutti ormai sappiamo della tua
gioventù, prima in Val Rosandra, poi
in Val di Fassa e in Val Gardena. Come
è nato il tuo rapporto con il Soccorso
Alpino e Speleologico?
Mi ricordo che, come guida giovane, ero
spesso senza clienti e quindi libero. Di
conseguenza, quando c’era un soccorso,
spesso il capostazione mi chiamava
per collaborare con loro. Ho imparato
come funzionava questo mondo grazie
alla fiducia che loro riponevano nei miei
confronti. Se c’era un intervento, spesso
il primo ad essere chiamato era il sottoscritto,
e finivo per fare più interventi che
giornate da guida! E così è cominciato il
mio rapporto con il soccorso: i giovani
entusiasti e i vecchi, contenti di aver trovato
un sostituto, mi dicevano sempre:
«hai carta bianca, fai tutto quello che c’è
da fare, lo sai fare».
E da lì, dapprima soccorritore, poi
istruttore.
Sono stato il primo trentino, nel 1982, ad
essere mandato in Valle d’Aosta con la
Scuola nazionale, insieme a grandi nomi
del soccorso come Cosimo Zampelli e
Franco Garda. E da lì poi hanno cominciato
a farmi girare anche a livello nazionale,
tanto che le prime volte dicevo «ma
siete sicuri? Ma dove vado?». Poi arrivavo
in Puglia o in Sicilia e appena scoprivano
da dove arrivavo mi dicevano: «eh ma tu
vieni dal paradiso!», io rispondevo sempre:
«ne abbiamo talmente tanti di interventi
che, se venite su, ve ne diamo un po’
ben volentieri!».
Qual è il tuo ricordo di queste esperienze?
In ogni luogo in cui sono stato, grazie al
CNSAS posso dire di essere stato trattato
benissimo e soprattutto di aver trovato
delle grandi persone e grandi amici; specialmente
in questo periodo, fortuna che
ci sono! Ho avuto la possibilità di costruire
bei rapporti, non solo a livello tecnico,
perché poi è facile fare confusione in
quanto è importante adattare il proprio
livello e la formazione al contesto ambientale
in cui ci si trova. Secondo il mio
punto di vista è inutile andare in Puglia a
far fare calate di 800 metri, che ci voglio-
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
73
no poi le bombole da sub! È importante
adeguarsi alle esigenze reali sul campo,
pur mantenendo il livello standard
nazionale richiesto dalla Scuola. Poi
magari c’è la curiosità ed è importante
raccontare che cosa si prova quando ci
si appende con 800 metri di vuoto sotto.
Ricordo di quando raccontavo delle
esercitazioni in Marmolada e rimanevano
tutti incantati, ma cercavo anche
di spiegare loro che la differenza non la
fanno i metri di vuoto sotto di te, ma la
sicurezza nelle manovre. L’importante è
sapere cosa dobbiamo fare e come comportarci.
Quello che hai seminato raccogli,
sempre.
Di soccorsi ne hai fatti molti, sia via
terra che con l’elicottero. Quanto conta
l’aspetto umano durante una missione?
Conta tantissimo. Anche ai miei ragazzi
(i tecnici della stazione Alta Val di
Fassa, ndr) dico di stare sempre tranquilli
perché più tranquillo è il ferito o
i compagni, più facile è il soccorso, più
sicuri sono i soccorritori. Posso dargli
qualsiasi comando e loro lo eseguiranno
perché non si sentono aggrediti e
sanno che possono stare tranquilli, se
invece io li agito non hanno più fiducia
e facciamo tutti più fatica. Impiegherò
mezz’ora in più? Nessun problema, ormai
ci sono e devo trovare la soluzione
migliore per uscirne in maniera sicura e
tranquilla. Sai, spesso non consideriamo
troppo il fatto che siamo volontari,
iper-specializzati, capaci, preparati, ma
pur sempre volontari e questo fa tanto
perché abbiamo scelto di farlo e nessuno
ci obbliga per un qualsiasi motivo. È
ben difficile tirarsi indietro, ma se non
sussistono le condizioni di sicurezza è
importante valutare bene, studiando
con attenzione la strategia e aspettando
eventualmente le condizioni di sicurezza
per la squadra, e non solo per
l’infortunato. Anche perché dobbiamo
ricordarci sempre che siamo esseri
umani, non macchine programmate e
indistruttibili, e dobbiamo tenere bene
a mente che a casa c’è sempre qualcuno
che ci aspetta e che aspetta anche chi
andiamo a riprendere. Non dobbiamo
mai perdere la sensibilità che distingue
l’uomo da una macchina perché può
fare davvero la differenza in tante situazioni,
perché noi per fortuna riusciamo
a ragionare anche con il cuore, mentre
le macchine ragionano secondo calcoli
preimpostati. Ricordo bene una scena
che mi ha colpito molto e mi ha fatto
capire quanto i piccoli gesti talvolta
possano essere giganti, se li vedi con gli
occhi della persona che vai a soccorrere.
Eravamo in elicottero e solitamente
quando siamo in volo ci aiutiamo l’un
l’altro come una vera squadra; spesso
mi è capitato di supportare il medico in
alcune operazioni. Quel giorno, invece
di chiedermi di aspirare un medicinale
con la siringa, il dottore mi guardò e mi
disse: «Gino, tieni questa mano!». Io rimasi
attonito, non capivo bene cosa volesse
dire! Così strinsi la mano di questa
74 INTERVISTA
signora, che non mi mollò più fino all’arrivo
in sala operatoria e mi disse anche:
«nella sfortuna oggi ho trovato le persone
giuste». Ecco, per lei quella mano
significò molto e a me non costò nulla:
ho fatto qualcosa in più per aiutare una
persona in difficoltà e questo deve essere
il senso principe che ogni soccorritore
deve tenere sempre a mente.
Come è cambiato il soccorso in montagna
in questi anni?
Anni fa non c’erano radio e tante altre
cose, erano altri tempi. Una volta chi
frequentava la montagna e si faceva
male, spesso erroneamente si vergognava
anche a chiamare i soccorsi. Chi
si sentiva affaticato tornava indietro
per paura di fare figuracce. Oggi invece
bisogna correre, pur rimanendo volontari:
oggi se arrivi in ritardo rischi
anche di prendere insulti da parte dei
compagni di gita dell’infortunato perché
ci hai messo troppo tempo. Siamo
volontari particolari, perché in Italia si
tende a usare questo termine per denigrare
chi invece svolge una mansione
con nobiltà d’animo, e siamo sempre
super aggiornati, super specializzati
e preparati. La cosa più importante di
tutte è rispettare l’uomo che c’è dietro
una divisa, a maggior ragione se questa
persona lascia tutto per accorrere
in soccorso, perché spesso lasciamo i
nostri colleghi di lavoro e ancor più importante
i nostri familiari, che a casa
ci aspettano. Proprio a tal proposito,
c’è un detto di vecchi saggi che dice:
“meglio un bel processo, che un bel
funerale”. In questa situazione attuale
del tutto e subito non dobbiamo farci
prendere dalla fretta ma valutare sempre
tutto con attenzione e soprattutto
preservare l’incolumità dei soccorritori
ancor prima di quella delle persone da
soccorrere, perché per recuperare un
escursionista con una caviglia fratturata
non dobbiamo mai e poi mai rischiare
di dover recuperare tre persone
in più, che nel tentativo di soccorrerne
una hanno rischiato la loro pelle.
Qual è il ricordo più bello?
La cosa più bella è l’affetto che ricevevo
quando andavo a sud come istruttore
nazionale. Sai, qui da noi (in Trentino,
ndr) c’è entusiasmo, ma è un entusiasmo
ormai calcolato, dettato dal fatto che facciamo
tanti interventi, mentre magari andando
giù ne fanno meno e ogni attività
è una grande festa, un grande momento
per fare squadra. Questo loro sentimento
è contagioso e ti senti ancor più responsabile
e determinato a lasciare davvero
qualcosa; spesso capita che i miei colleghi
vadano in giro e pensino soltanto a valutare,
senza lasciare nulla a chi li osserva. È
facile dire: «mostrami asola e contro-asola»,
ma la vera bravura da parte di chi valuta
è prima di tutto quella di insegnare,
mostrando, correggendo e poi, alla fine
di tutto, valutando. Questo purtroppo a
molti manca o passa in secondo piano.
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
75
Se dovessi dare un consiglio al Soccorso
Alpino, cosa diresti?
Sai, penso a quello che è successo sul
Natisone. Noi siamo settemila, siamo
bravissimi in quello che facciamo, ma
io dico che abbiamo bisogno di tutti e
dobbiamo cercare di coinvolgere tutti.
Non perché chiamano noi, gli altri dobbiamo
lasciarli da una parte, se c’è bisogno
di gente non dobbiamo vergognarci
a fare squadra. Certamente, spesso
siamo noi che conosciamo bene zone
e tecniche, quindi il coordinamento dovrebbe
spettare a noi in molte situazioni,
ma magari non in tutte. Laddove c’è
qualcuno più strutturato di noi, dobbiamo
avere l’intelligenza di collaborare,
senza sottometterci, ma dando il nostro
contributo, perché tutti sanno - anche
se non lo ammetteranno mai - che noi
in tantissime situazioni possiamo fare
la differenza. Poi però qualche volta, chi
siede ad un tavolo, ci chiama volontari
pensando di denigrarci.
E poi vorrei dare degli ultimi consigli ai
nostri tecnici: salutiamo le persone che
rimangono a casa. Diciamo loro dove
andiamo e cosa facciamo, sarà difficile
dirgli quando ritorniamo ma comunque
cerchiamo un abbraccio, una carezza,
un bacio. Non andiamo mai via senza
aver salutato le persone che rimangono
a casa, perché noi non ci preoccupiamo,
ma loro sono in ansia per noi e non
dobbiamo mai avere fretta perché ormai
siamo in una situazione delicata e non
dobbiamo peggiorarla. E ricordatevi che
il primo obiettivo non è solo quello di fare
il soccorso, ma di tornare a casa, tutti.
Come immagini la nostra realtà tra
trent’anni?
Se penso a come eravamo trent’anni
fa mi viene davvero difficile pensare
a cosa potremo essere, trent’anni
sono tanti. Io però spero che l’uomo
sia ancora al centro di tutto e non
l’elicottero supersonico, non l’attrezzatura
automatica, perché l’uomo è
24 ore su 24 un essere pensante e ragiona
con la testa e soprattutto con
il cuore.
Altra cosa che dimenticavo: l’arma leggera
fa il guerriero veloce; quindi, questi
zaini non riempiamoli di materiale inutile
e ricordiamoci di lasciare sempre un
piccolo spazio simbolico per portare con
noi un po’ di fortuna, che non guasta
mai. Mi raccomando! Ciao a tutti e buona
fortuna
76 INTERVISTA
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
77
FOCUS ISTITUZIONALE
Il settantesimo
sul territorio
Eventi e celebrazioni
di Federico Catania e Simone Alessandrini, responsabili comunicazione CNSAS
Il settantesimo è un anniversario che abbiamo voluto condividere con tutta
Italia, attraverso una serie di eventi territoriali che ci hanno permesso di incontrare
cittadini, appassionati della montagna e della speleologia e i soci
del Club Alpino Italiano, promuovendo il valore della prevenzione, della
sicurezza in ambiente impervio e la storia del nostro Corpo. Eventi resi possibili
grazie al fondamentale contributo dei Servizi regionali e provinciali
del Soccorso Alpino e Speleologico che hanno lavorato con impegno e dedizione
per organizzare ogni dettaglio. Il loro sforzo è stato supportato dal team della
comunicazione nazionale, che ha garantito la visibilità e il coordinamento degli
eventi, permettendo di informare un ampio pubblico sui diversi appuntamenti
organizzati.
Il primo appuntamento del nostro anno si è svolto il primo giorno dell’anno, il 1°
gennaio, a Tarvisio, sul Monte Lussari, con una suggestiva fiaccolata celebrativa. I
nostri soccorritori hanno effettuato una discesa sugli sci indossando attrezzature
storiche, rievocando le origini del Soccorso Alpino e Speleologico.
78 FOCUS ISTITUZIONALE
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
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Questo evento ha dato il via simbolicamente
ai festeggiamenti per i 70
anni ed è stato oggetto di un video
diffuso sui principali social media e
che ha svelato il logo celebrativo del
2024.
Il secondo appuntamento si è svolto a
Gioia del Colle, in Puglia, il 12 maggio
2024. In questa occasione, abbiamo
organizzato un’intera giornata dedicata
alla prevenzione degli infortuni
in montagna, con sessioni pratiche
sui fondamenti di primo soccorso e
gestione delle emergenze, simulazioni
di intervento tecnico-sanitario e un
trekking guidato tra i sentieri. È stata
un’opportunità preziosa per mostrare
come il nostro lavoro quotidiano,
spesso invisibile, sia essenziale per
garantire la sicurezza in montagna. A
conclusione della giornata, un incontro
culturale con l’autore Nanni Pizzorni
ci ha permesso di riflettere sulla
nostra storia e sulle sfide future.
Successivamente, dal 31 maggio al 2
giugno, ci siamo spostati in Sardegna,
a Ulassai, per partecipare all’Ulassai
Festival 2024. Tre giorni di immersione
tra natura e sport, in uno scenario mozzafiato
come quello dell’Ogliastra, che
hanno visto il nostro stand nazionale
attirare l’attenzione di grandi e piccoli.
Tra le attività proposte, abbiamo presentato
GeoResQ, l’applicazione per il
soccorso in montagna, organizzato dimostrazioni
con le nostre unità cinofile
e dato vita all’iniziativa “Soccorritore
per un giorno”, coinvolgendo bambini e
ragazzi in attività pratiche di primo soccorso.
L’entusiasmo e la partecipazione
dimostrano quanto sia fondamentale il
nostro ruolo anche nel promuovere la
cultura della sicurezza, soprattutto tra
le nuove generazioni.
80 FOCUS ISTITUZIONALE
A luglio, il 27 e 28, abbiamo preso parte
al Festival della Montagna di Fara San
Martino, in Abruzzo. Questo evento ci
ha permesso di mostrare attrezzature e
mezzi di soccorso a chi, come noi, vive
la montagna con passione. Il momento
culminante è stato il convegno del 28
luglio, “La sicurezza in montagna: una
storia di 70 anni”, in cui il nostro presidente
nazionale, Maurizio Dellantonio,
ha ripercorso le tappe più significative
del Soccorso Alpino e Speleologico. La
presenza di alpinisti di spicco, come Silvio
Mondinelli, ha arricchito la discussione,
offrendo prospettive preziose su
come la sicurezza in montagna sia un
tema sempre attuale.
Agosto è stato un mese particolarmente
intenso. Tra il 3 e il 4 agosto, siamo
stati a Ovindoli, sempre in Abruzzo,
dove abbiamo parlato di sicurezza in
montagna durante un incontro con le
istituzioni locali e i cittadini. Abbiamo
anche offerto una struttura di arrampicata
per bambini e adulti, dimostrando
ancora una volta l’importanza
di educare fin da piccoli alla sicurezza
in montagna. Il 16 e 17 agosto, invece,
siamo stati a Portovenere, in Liguria,
dove abbiamo allestito uno stand con
attrezzature e gadget. In questa suggestiva
località, abbiamo preso parte
all’accensione dei lumini sul promontorio
di Portovenere in onore della Madonna
Bianca, un evento che ha unito
spiritualità e impegno civile.
Il 28 settembre ci siamo spostati in Piemonte,
al Monte dei Cappuccini, a Torino,
per una giornata di dimostrazioni
pratiche. Tecniche di trasporto della barella,
gestione dei traumi e allestimento
di una teleferica sono solo alcune delle
attività svolte durante l’evento, che ha
visto una partecipazione attiva da parte
del pubblico. La cerimonia del pomeriggio
ha segnato il culmine della giornata,
con la celebrazione del nostro anniversario
e l’inaugurazione di una mostra storica
al Museo Nazionale della Montagna,
dedicata ai nostri 70 anni di storia.
A rendere questa giornata piemontese
ancora più speciale, è stata l’illuminazione
della Mole Antonelliana durante la
notte con il logo celebrativo del 70° anniversario
del CNSAS, un gesto simbolico
che ha evidenziato il forte legame tra la
nostra storia e il territorio piemontese. La
Mole, simbolo di Torino, si è così vestita
a festa per onorare il nostro impegno e
la nostra dedizione, rendendo visibile
a tutta la città il lavoro che, da 70 anni,
portiamo avanti con passione e spirito di
servizio.
L’11 ottobre a Belluno, abbiamo proseguito
la nostra serie di eventi con una
serata al Teatro Dino Buzzati nell’ambito
della rassegna di montagna “Oltre le
Vette”. Il titolo dell’incontro, “Di Roccia e
di Cuore”, rappresenta perfettamente la
nostra missione: un corpo saldo come
la roccia, ma con il cuore sempre rivolto
a chi ha bisogno. In questa occasione,
abbiamo ricordato i sette decenni della
nostra storia, con racconti emozionanti e
aneddoti dai protagonisti di ieri e di oggi.
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
81
Oltre agli eventi già citati, il nostro
viaggio per il 70° anniversario ha toccato
numerose altre località. L’8 giugno
abbiamo fatto tappa a Castione
della Presolana, in provincia di Bergamo,
mentre il 10 agosto ci siamo incontrati
presso l’Oasi delle Mainarde, a
Isernia. A fine ottobre, il 26 e 27, siamo
stati a Palermo, seguiti dal 1° novembre
a Caselle in Pittari, in provincia di
Salerno. Dal 7 al 10 novembre ci siamo
spostati a Ivrea, in provincia di Torino,
e nei giorni successivi, il 9 e 10 novembre,
siamo stati a L’Aquila. Successivamente,
dal 15 al 17 novembre, ci siamo
trovati a Cuneo, mentre il 16 e 17
novembre siamo stati a Gemona del
Friuli, in provincia di Udine. Gli appuntamenti
di novembre sono proseguiti
ad Ascoli Piceno il 23 e 24 novembre.
Infine, il 12 dicembre chiuderemo l’anno
a Roma, con un momento speciale
nella Capitale di cui avrete notizia
tramite newsletter e sui nostri canali
social.
Ogni incontro sul territorio è stato
un’occasione per ribadire la nostra
presenza costante al fianco di chi vive
la montagna, promuovendo la sicurezza
e ricordando quanto sia prezioso
il contributo di chi, come noi, sceglie
di mettersi al servizio degli altri.
82 FOCUS ISTITUZIONALE
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Il supporto
di Kong e Ferrino
per i nostri 70 anni
Una collaborazione storica
a cura della Redazione
Nell’immaginario comune dei membri della nostra organizzazione
Kong e Ferrino sono da sempre una costante nelle attrezzature
utilizzate nelle missioni di soccorso. E sono proprio
queste due aziende ad aver creduto maggiormente nelle celebrazioni
dei nostri 70 anni, attraverso il supporto alle numerose
iniziative messe in campo in questo 2024.
Due storici partner tecnici, Kong e Ferrino, che hanno scelto di celebrare l’importante
traguardo del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, da sempre
un punto di riferimento a livello nazionale e internazionale nel settore del soccorso
e protagonista, insieme a queste due realtà, nello sviluppo di innovativi sistemi
per migliorare la condizione di soccorritori e soccorsi durante le missioni.
Come sottolineato dal Presidente di Kong, Dott. Marco Bonaiti: «per noi di Kong è
un grande onore celebrare insieme a loro i 70 anni di un’organizzazione che rappresenta
un’eccellenza assoluta nel panorama del soccorso a livello nazionale e internazionale.
Il legame tra Kong e il CNSAS è storico e profondo, fondato sulla condivisione
di valori comuni come la sicurezza, la precisione e la continua innovazione al servizio
della vita umana. La collaborazione tra le due realtà ha permesso di sviluppare dispositivi
e attrezzature fondamentali per il Soccorso Alpino e Speleologico, come la
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famosa barella “Lecco”, il kit per elisoccorso
“Everest”, il palo pescante “Stelvio” con
winch di recupero “Ortles”, oltre a svariate
imbragature e discensori».
Grazie al feedback costante dei soccorritori,
Kong ha affinato i propri strumenti
per garantire la massima affidabilità
in situazioni critiche, contribuendo a
migliorare le tecniche di salvataggio in
Italia e a rendere il Paese un modello di
riferimento per l’efficienza nelle operazioni
di soccorso in ambiente impervio.
Rapporto di lunga durata anche quello
con Ferrino, che affonda le sue radici nella
fine anni Novanta, in cui Ferrino inizia
a collaborare attivamente con il CNSAS,
in particolare con le Scuole Nazionali,
sviluppando una linea di zaini che da
oltre 25 anni accompagna i volontari
nelle operazioni di soccorso. Non a caso,
gli stessi zaini riportano nomi evocativi
e riconducibili alla nostra realtà: il Sierra
Alfa (Soccorso Alpino) e il progetto
sviluppato anche dall’Istruttore Nazionale
Oskar Piazza, deceduto in Nepal
nel 2015: lo zaino OP (Oskar Piazza) 50.
«L’ascolto delle esigenze specifiche del CN-
SAS ha permesso all’azienda di realizzare
prodotti studiati appositamente per le
attività di soccorso - afferma Giorgio Rabajoli
di Ferrino S.p.A. - ribadendo così la
vicinanza tra professionisti dell’ambiente
montano e un’azienda che ha nel proprio
DNA lo sviluppo e l’innovazione”
Aver avuto al nostro fianco queste due
realtà vuol dire molto per il CNSAS: insieme
siamo cresciuti, abbiamo lavorato
in sinergia e, ciò che più conta, abbiamo
creato sistemi migliorativi per la
gestione degli infortunati in ambiente
impervio, elemento fondamentale per
migliorare il sistema di pre-ospedalizzazione,
riducendo il più possibile i
rischi derivanti da una gestione non sanitaria
del paziente in ambienti in cui il
rischio evolutivo è un nemico concreto
e talvolta letale.
NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
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PILLOLE
La nuova sede
di Milano
Work in progress
La nuova sede del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico a
Milano sta prendendo forma. Le immagini scattate lo scorso ottobre
documentano lo stato attuale dei lavori, con progressi significativi
già visibili. Sono stati completati il rifacimento del tetto e la sistemazione
delle facciate, segnando un passo importante verso la realizzazione
di uno spazio moderno e funzionale.
Attualmente (l’articolo è stato concluso in ottobre), il team è impegnato nella costruzione
delle contropareti e nella posa dell’isolamento, operazioni cruciali per
garantire l’efficienza energetica e la sicurezza della struttura. Entro la fine di ottobre,
è prevista l’inizio della posa degli impianti, un ulteriore passo verso la conclusione
di questo progetto. Inquadra il QR code che trovi qui accanto e collegati alla
pagina dello studio d’architettura per seguire i lavori.
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NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO
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La sezione
EDU su cnsas.it
Sul sito del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico -
cnsas.it - è stata recentemente lanciata una nuova sezione EDU,
pensata specificamente per promuovere tra i più giovani la cultura
della prudenza in montagna.
Questa area offre una raccolta scaricabile di disegni da colorare,
insieme a materiali didattici progettati per divertire ed educare
bambini e bambine riguardo le regole fondamentali per affrontare la montagna
con consapevolezza in ogni sua stagione. Attraverso giochi e attività creative i più
piccoli possono esplorare il mondo del Soccorso Alpino e Speleologico e acquisire
conoscenze utili per future avventure all’aria aperta.
Visita il sito www.cnsas.it/edu/ per scoprire tutti i materiali a disposizione!
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L’APP PER
IL SOCCORSO
IN MONTAGNA
GRATUITA PER SEMPRE
GeoResQ è l’app gratuita che in caso di necessità durante
le attività outdoor, ti permette di inviare un allarme
direttamente al Corpo Nazionale Soccorso Alpino e
Speleologico, comunicando il percorso e la tua posizione.
QUANDO SEI IN MONTAGNA PUÒ SALVARTI LA VITA.
WWW.GEORESQ.IT
Un progetto di
Con il supporto di