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La rivista istituzionale del Soccorso Alpino e Speleologico - n. 84, Novembre 2024

Un secondo interessantissimo numero della Rivista dedicato ai 70 anni del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, nel quale si è voluto scrivere del passato e del futuro di questa importante organizzazione, attraverso storie di persone e avvenimenti particolari che hanno contribuito, e che continuano a contribuire, alla sua crescita ed evoluzione. La storia viene narrata in un percorso lungo 14 parole chiave: le persone, il soccorso sanitario, la tecnica, la formazione, la tecnologia, il soccorso in forra, le unità cinofile, il coordinamento, la Protezione civile, oltre i confini, la legislazione, la prevenzione, la comunicazione, il ricordo. La copertina di questo numero è stata disegnata da Andrea Bettega e sarà oggetto di una cartolina celebrativa e relativo annullo filatelico di Poste Italiane.

Un secondo interessantissimo numero della Rivista dedicato ai 70 anni del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, nel quale si è voluto scrivere del passato e del futuro di questa importante organizzazione, attraverso storie di persone e avvenimenti particolari che hanno contribuito, e che continuano a contribuire, alla sua crescita ed evoluzione. La storia viene narrata in un percorso lungo 14 parole chiave: le persone, il soccorso sanitario, la tecnica, la formazione, la tecnologia, il soccorso in forra, le unità cinofile, il coordinamento, la Protezione civile, oltre i confini, la legislazione, la prevenzione, la comunicazione, il ricordo. La copertina di questo numero è stata disegnata da Andrea Bettega e sarà oggetto di una cartolina celebrativa e relativo annullo filatelico di Poste Italiane.

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Novembre 2024 / n. 84

lpino


Mole Antonelliana (Torino), 27 settembre 2024


Maurizio Dellantonio

Presidente nazionale CNSAS

Cari Soci, cari amici

del Soccorso Alpino e

Speleologico,

quest’anno di celebrazioni per il 70°

anniversario del Corpo Nazionale

Soccorso Alpino e Speleologico è

stato un percorso ricco di eventi

e iniziative, che ha messo in luce

l’importanza del nostro ruolo e la

nostra lunga storia. Le manifestazioni

organizzate dai Servizi regionali e

provinciali, dalle Zone-Delegazioni

e dalle stesse Stazioni, che si sono

tenute in tutta Italia, hanno rappresentato

un’occasione preziosa per

rafforzare il legame con le comunità

della montagna e ricordare il valore

del nostro operato. Le attività territoriali

hanno permesso a ciascuno

di noi di ritrovarsi, condividere

esperienze e mettere in evidenza le

competenze tecniche che ci hanno

contraddistinto nella nostra storia e

ci contraddistinguono nel nostro presente.

Dalle dimostrazioni di soccorso

alle conferenze, fino alle cerimonie

commemorative, ogni evento ha

contribuito a sottolineare la rilevanza

del nostro impegno quotidiano e

la dedizione dei nostri volontari,

ricordando il ruolo dei nostri padri

fondatori che, oggi, permettono a

noi di mettere ancora a frutto i loro

insegnamenti. Nel corso della nostra

lunga e appassionata storia, abbiamo

portato in salvo una cifra che sfiora

le 250.000 persone, un numero che

testimonia l’enorme impegno che

tutti noi abbiamo dedicato al servizio

della collettività. Purtroppo, abbiamo

anche recuperato i corpi di oltre

18.500 soggetti, tragici eventi che ci

ricordano costantemente la delicatezza

del nostro operato e l’importanza

di ogni singolo intervento. Ogni vita

recuperata e ogni persona assistita

sono stati il frutto di un lavoro di

squadra complesso che ha fatto la

differenza nei momenti difficili e

tecnicamente o emotivamente più

impegnativi. Concludiamo questo

anno speciale con gratitudine per il

percorso fatto e con la consapevolezza

che il futuro del CNSAS richiederà

la stessa dedizione e passione che

sino a qui ci ha connotato. Il nostro

impegno è quello di continuare a

coinvolgere le nuove generazioni e

di restare all’altezza delle sfide che il

territorio ci pone. Grazie a tutti per il

vostro contributo, e un caro augurio

di buone feste a voi e alle vostre

famiglie!

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

1


Biblioteca della montagna, Archivio storico SAT, Trento

Nel secondo numero della Rivista dedicato ai 70 anni del Corpo Nazionale

Soccorso Alpino e Speleologico, abbiamo voluto scrivere del passato e del

futuro della nostra organizzazione, attraverso storie di persone e avvenimenti

particolari che hanno contribuito, e che continuano a contribuire,

alla nostra crescita e maturazione generali. Lo abbiamo fatto in un percorso

lungo 14 parole chiave: le persone, il soccorso sanitario, la tecnica, la formazione,

la tecnologia, il soccorso in forra, le unità cinofile, il coordinamento, la Protezione civile, oltre

i confini, la legislazione, la prevenzione, la comunicazione, il ricordo.

La copertina di questo numero è stata disegnata da Andrea Bettega. La stessa sarà oggetto di una

cartolina celebrativa e relativo annullo filatelico di Poste Italiane.

Buona lettura!

Mauro Guiducci e Marianna Calovi

direzione e coordinamento Rivista

2


Sommario

AVERE 70 ANNI

4 Il Soccorso in famiglia

8 Storia del PHTLS-Mountain

12 Dieci ore di soccorso in parete

18 Oltre le competenze tecniche

22 Connettività e trasmissione dati

in grotta

INTERVISTA

28 Il lato acquatico del CNSAS

40 Dall’esperienza di Solda alla

Scuola Nazionale unità cinofile

44 La ricerca che diede vita a Eureka

54 Sinergie nelle maxi-emergenze

FOCUS ISTITUZIONALE

58 L’impegno nei progetti internazionali

60 La raccolta normativa sul CNSAS

64 Sicuri in montagna verso i 25 anni

68 Un ponte tra l’operatività e la

società: il ruolo della comunicazione

PILLOLE

72 L’importanza di essere umani.

Intervista a Gino Comelli

78 Il settantesimo sul territorio

84 Il supporto di Kong e Ferrino

per i nostri 70 anni

86 La nuova sede di Milano

Work in progress

88 La sezione EDU su cnsas.it

lpino

Novembre 2024 / n. 84

Anno XXX

n. 2 (84)

Novembre 2024

DIRETTORE RESPONSABILE

Mauro Guiducci

coordinamentostampa@cnsas.it

COORDINAMENTO REDAZIONE

Marianna Calovi

comunicazione@soccorsoalpinotrentino.it

COMITATO EDITORIALE

Simone Alessandrini, Alfonso Ardizzi,

Roberto Bartola, Ruggero Bissetta,

Simone Bobbio, Roberto Bolza,

Fabio Bristot, Federico Catania,

Fabio Cattaneo, Valentina Minetti,

Claudia Ortu

CONSULENZA EDITORIALE

Paolo Romani

paoloromaniadv@gmail.com

Registrazione presso Tribunale di Milano

n. 2034/2020

PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE

Alberto Grazi

albertograzi@gmail.com

STAMPA

Errebi Grafiche Ripesi S.R.L. - Falconara Marittima AN


AVERE 70 ANNI

LE PERSONE

Il Soccorso

in famiglia

Storia di un padre

e di una figlia

Di Melania Lunazzi, responsabile comunicazione CNSAS – Friuli-Venezia Giulia

4 AVERE 70 ANNI


Gherard e Tamara Plösch, padre e figlia, vivono a Fusine in Valromana,

un paese di montagna a nord della catena del Monte Mangart

e a sud ovest della dorsale del Monte Forno, il “monte dei tre

confini” tra Italia, Austria e Slovenia. Plösch è un cognome che

rivela, nei fonemi mitteleuropei, la complessità storica di questo

luogo di frontiera e il suo radicamento a cavallo tra Carinzia

e Carniola. Gherard è orgoglioso di essere l’ultimo fusinese “puro”, ancorato qui da

generazioni.

Li incontro a casa loro, nel cuore della valle, sotto l’abitato di Fusine, lungo la strada

che va da Tarvisio alla Slovenia, a circa cinque chilometri dal confine di Stato, vicinissimo

ai famosi laghi omonimi ai piedi delle Alpi Giulie. Gherard è entrato nel Soccorso

Alpino nel 1983, ventenne, nella storica Stazione di Cave del Predil, quella di

Ignazio Piussi e Cirillo Floreanini, la più antica formalmente istituita nella Regione,

quella dei Lupi. Gherard ha un’attività più che quarantennale come soccorritore, e ha

lavorato tutta la vita al tempo stesso nel corpo dei Vigili del Fuoco di Tarvisio (ora è in

pensione): non è stato semplice far convivere le due realtà nel suo operato, ma ci è

riuscito bene. «Ho cominciato ad andare in montagna - dice Gherard - a 13-14 anni, di

nascosto dai miei: allora in molti facevamo così e rischiavamo, tanto. Poi ho conosciuto

una stretta cerchia di “vecchi” alpinisti, tra i quali Piussi, i fratelli Perissutti, i primi Lupi di

Cave del Predil e con curiosità mi sono affacciato al mondo del soccorso. Non so spiegare

come mi abbia preso, ma è stato un innamoramento profondo, che ho tuttora».

TAMARA, LA PRIMOGENITA, CLASSE 1999, È STATA ACCOLTA NEL

CORPO NEL 2021 ED È LA PIÙ GIOVANE DELLA STAZIONE, AL

MOMENTO IN CUI SCRIVIAMO. È APPASSIONATA DI MONTAGNA, NE

AMA I SILENZI E LA DIMENSIONE SELVATICA E SOLITARIA, IN CUI SI

RISPECCHIA.

Ha iniziato a frequentarla con il padre, condividendo salite non banali: dodicenne ha

ricevuto il battesimo sui Tauri e ha guadagnato, tra l’altro, la cima del Grossglockner;

pochi giorni prima del nostro incontro, mi dice con un accenno di sorriso, hanno salito

insieme la Ponza Grande. Maestra di sci di fondo, lavora per le ferrovie austriache

e sta per laurearsi in Scienze Forestali. «Un giorno, ero ragazzina, mi ha portato con

sé in elicottero: ricordo ancora l’emozione. Qualche anno dopo ho maturato la decisione

di entrare nel Soccorso Alpino, anche se forse lui non avrebbe voluto, conoscendo i

rischi che si corrono. Sapevo che per me era un’occasione di crescita». «Non ho voluto

né spingerla né frenarla - interloquisce prontamente Gherard - non doveva farmi un

favore né dimostrarmi niente». Fatto sta che il papà ha assistito al rito di iniziazione

della figlia in uso nella Stazione di Cave, quella del terribile beverone da ingurgitare

assieme ad una ridondante e disgustosa “tartina” farcita di sapori contrastanti (un

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

5


L’esperienza di

Tamara è molto fresca,

all’attivo ha ancora

pochi interventi, visto

l’impegno assiduo tra

studio e lavoro.

retaggio di ambito militaresco, rispolverato

in chiave burlona dai fratelli Cobai,

soccorritori d’antan): e lei, oltre ad essere

diventata Operatore di Soccorso Alpino,

ha superato anche quella prova, assistita

da Loris Savio («Ci tenevo fosse un Lupo a

battezzarmi!»), storico Capostazione che

aveva “arruolato” anche suo padre tanti

anni prima.

Sono più di mille le missioni a cui Gherard,

che è anche Tecnico di Elisoccorso

dal 1998 (anno del primo corso in regione),

ha preso parte, tra interventi semplici

e operazioni in parete, ma a guardare

i suoi occhi non sembra affatto stanco:

«È più quello che ricevo, che quello che do.

Lo faccio per gli altri, ma in realtà, forse, lo

faccio più per me». In quarantadue anni

ha assistito ad una grande evoluzione

del CNSAS, nel suo primo decennio di

attività si agiva ancora con gli elicotteri

dell’Esercito: «Venivamo portati a volte

alla base della parete, a volte in cima, ma

spesso si partiva a piedi per raggiungere

il Mangart o la Cima di Riobianco e poi di

nuovo giù, con le corde. Nel mio primo intervento

abbiamo recuperato due alpinisti

morti sotto le pareti del Monte Cimone. È

stato uno shock assistere al dolore dei genitori:

negli anni non fai mai l’abitudine a

queste cose, ma devi cercare di rimanere

distaccato, altrimenti quel dolore distrugge

anche te». Gherard ha vissuto quegli

anni in cui l’operatività durante le missioni

era diversa: nei primi anni veniva usato

ancora il sacco portaferiti Gramminger,

«Erano urla per chi veniva trasportato

e, magari, si faceva anche qualche danno,

ma non c’erano alternative per tirarli giù

dalla parete», ricorda; e su certi versanti

si veniva guidati via radio, osservati dal

basso con il binocolo, se ci si doveva calare

dalla cima per raggiungere le cordate:

«Ricordo un intervento sulla via Debelakova

al Jôf Fuart. Quella volta facemmo

600 metri di calata con la barella e il ferito,

c’era con noi Margherita Monego, la prima

soccorritrice con competenze medico sanitarie:

fu una dura prova anche per lei». L’evoluzione

c’è stata nelle tecniche, nelle

competenze sanitarie e negli addestramenti,

che oggi, sottolinea Gherard, non

solo sono molto più frequenti rispetto

al passato, ma si svolgono in un clima

che lui definisce più disteso e meno

6 AVERE 70 ANNI


spartano: «Ai miei tempi tra una Stazione

e l’altra non ci si conosceva e c’era un po’

di diffidenza, si dovevano prendere le misure;

e poi ci si sentiva osservati, giudicati

con severità dai “vecchi”, se si sbagliava.

Oggi i giovani vengono seguiti e ben indirizzati

verso dove sono più portati e tra

loro, grazie ai social, sono già in contatto:

è tutta un’altra cosa andare a fare un corso

con qualcuno che conosci. Questo giova a

creare più unione e ancora più spirito di

squadra».

L’esperienza di Tamara è molto fresca,

all’attivo ha ancora pochi interventi,

visto l’impegno assiduo tra studio e lavoro.

Le chiedo se come donna si è percepita

in qualche modo “diversa”, in un

ambiente che è per il 95% maschile: «Mi

sono sentita sempre alla pari, nessuna discriminazione

e nessuno sconto», afferma

decisa e, quando indago sulle sue eventuali

aspirazioni come Tecnico di Elisoccorso

sulle orme del padre, risponde con

modestia «Non è un ruolo facile, come T.E.

devi dirigere tutto e io sono molto empatica,

non so se riuscirei ad affrontare certe

cose»: ma ho colto una certa luce nei

suoi occhi. Suo padre si inserisce e precisa

che le donne «Sono brave e molto pignole

nelle manovre di corda» e di fronte

alla domanda «Ti faresti soccorrere da

una donna?» risponde affermativamente,

senza esitare, con fiducia, precisando

che nelle manovre di forza occorre ancora

riconoscere la superiorità maschile.

Tamara a questo punto mi riporta il suo

primo intervento, accaduto proprio ai

Laghi di Fusine, ventenne: «Ero ancora

aspirante e c’era una signora con la caviglia

rotta da portare con la barella per un

buon tratto, da metà sentiero, fino sulla

strada. Era austriaca, non sapeva che parlavo

tedesco e si è rivolta alla sua amica

con tono preoccupato e teso, dicendo: “Ma

siamo sicuri che la ragazzina ce la fa?”. Io

non ho detto nulla, ho incassato e tirato

avanti perché - aggiunge con un piccolo

sorriso - era più importante arrivare presto

all’ambulanza, che rispondere, punta

sull’orgoglio».

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

7


IL SOCCORSO SANITARIO

Storia del

PHTLS-Mountain

di Gianluca Facchetti e Guido Ferrero, Scuola Nazionale Medica

La Scuola Nazionale Medica (SNaMed) nasce alla fine del 2012 e sin

dal 2013 mette a punto e fornisce ai tecnici del Corpo Nazionale

Soccorso Alpino e Speleologico un corso di primo soccorso per le

vittime di trauma in ambiente impervio montano: il BTLS (Basic

Trauma Life Support). Il corso si svolge in due giorni con una lezione

frontale e workshop su valutazioni, manovre e tecniche di soccorso

nel primo giorno ed esercitazione in ambiente con casi simulati il secondo giorno.

Grazie a questo corso, il miglioramento della preparazione dei tecnici in ambito

sanitario è sempre più evidente con il passare degli anni. Esso permette di elevare

il livello conoscitivo, standardizza le procedure e crea un linguaggio di valutazioni

e manovre comune a tutto il Corpo.

Nella primavera del 2020 sono nominato direttore della SNaMed ed eredito una

Scuola costituita da istruttori estremamente competenti ed esperti, che si sono dedicati

per anni a formare i tecnici del CNSAS. A me, però, sembra mancare un pezzo

importante e dato sempre per scontato: la formazione del personale sanitario, medici

e infermieri, nella gestione sanitaria dei traumi in ambiente impervio. L’impressione

è che sia arrivato il momento di far parlare la stessa lingua anche ai sanitari del

CNSAS, in merito alle problematiche traumatologiche insegnata ai tecnici.

8 AVERE 70 ANNI


Espongo l’idea e ricevo consenso da

tutti gli istruttori della Scuola. Un solco

era già stato tracciato dalla prima direzione

della SNaMed, con Mario Milani e

Gloria Brighenti, che aveva permesso la

partecipazione degli istruttori nazionali

sanitari ai corsi di PHTLS (Pre Hospital

Trauma Life Support) della National

American Emergency Medical Technicians

(NAEMT) e di diventarne anche

istruttori. C’è la duplice necessità di

standardizzare i protocolli d’intervento

e di avere un valido background scientifico.

Per farlo a me sembra scontato

unire l’esperienza maturata nei corsi

BTLS con i corsi PHTLS, specificamente

adattati all’ambiente impervio. L’idea è

quella di un corso di tre giorni che comprenda

due giorni di PHTLS e una terza

giornata di esercitazione in ambiente

con casi clinici simulati: nasce così il

PHTLS-Mountain; era l’agosto del 2020.

L’idea successiva era di avere altri due

corsi per coprire le esigenze del canyoning

e della componente speleologica

della nostra organizzazione: PHT-

LS-Canyoning e PHTLS-Cave. Ne parlo

al mio omologo della Scuola sanitaria

speleologica Giuseppe Giovine, che è

entusiasta della proposta. Rimane da

presentare la bontà del progetto alla

Direzione nazionale, che da subito appoggia

l’idea. Si sigla quindi l’accordo

con la NAEMT, diretta nella sua sezione

italiana dal dottore Alberto Adduci.

Passiamo mesi a mettere a punto il corso

e da subito appare evidente che un

progetto di tale respiro necessita di un

responsabile ad hoc. Per me non poteva

essere che Guido Ferrero, il più adatto

dal punto di vista del profilo professionale

e didattico. La prima edizione

del corso si svolge a Torino nel 2021, e

qui cedo la narrazione a Guido…

La scelta della filosofia NAEMT non è

stata una scelta a caso. Questa ci forniva

la giusta elasticità per plasmare

sulle nostre esigenze la metodologia di

approccio e trattamento del soggetto

traumatizzato che, ad oggi, risulta essere

la più seguita e diffusa a livello mondiale.

Una volta accreditati da NAEMT

come centro di formazione certificato e

certificativo, mi trovavo a dover costru-

La scelta della filosofia

NAEMT non è stata

una scelta a caso.

Questa ci forniva

la giusta elasticità

per plasmare sulle

nostre esigenze

la metodologia

di approccio e

trattamento del

soggetto traumatizzato

che, ad oggi, risulta

essere la più seguita

e diffusa a livello

mondiale.

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

9


Una volta accreditati

da NAEMT come

centro di formazione

certificato e

certificativo, mi

trovavo a dover

costruire un progetto

che partiva da

zero. La presenza

di otto istruttori

PHTLS/NAEMT, già

nell’organico della

SNaMed, ha aiutato

a dare il via alla fase

formativa.

ire un progetto che partiva da zero. La

presenza di otto istruttori PHTLS/NA-

EMT, già nell’organico della SNaMed,

ha aiutato a dare il via alla fase formativa.

Sono stati organizzati i primi tre

corsi “sperimentali” che si sono svolti

in Piemonte. Non avendo nel nostro

organico nessun direttore e nessun coordinatore

di corso, le prime edizioni e

alcune delle successive sono state possibili

grazie all’appoggio di NAEMT-ITA,

che ci ha fornito quelle figure fondamentali,

allora mancanti, mentre la Direzione

nazionale CNSAS e il Direttivo

nazionale SNaMed hanno permesso

l’acquisto del materiale necessario per

il programma formativo.

Grazie ai feedback dei discenti e degli

istruttori interessati, gli argomenti del

corso sono stati adattati in modo sempre

più mirato alle esigenze del Corpo,

che si discostano, in parte, da quelle

che si possono incontrare nel soccorso

urbano. Ci siamo trovati, quindi, a

dover prendere in esame le problematiche

dovute non solo alle diverse

criticità cliniche dei pazienti, ma anche

all’ambiente operativo in cui si interviene,

ai tempi di intervento spesso

prolungati, alla capacità di lavorare in

team e alla multidisciplinarietà tecnico/

sanitaria specifica del CNSAS. Quest’ultimo

punto ha visto il coinvolgimento

attivo degli istruttori della Scuola Nazionale

Tecnici Soccorso Alpino (SNaTe)

nella parte che prevede gli interventi

simulati in ambiente, oltre che dei tecnici

delle regioni ospitanti che si sono

resi disponibili con entusiasmo. Inoltre,

durante i corsi abbiamo potuto selezionare

medici e infermieri che, avendo

determinate caratteristiche, sono stati

inseriti nel percorso formativo per diventare

istruttori PHTLS-Mountain NA-

EMT/CNSAS.

Ad oggi la SNaMed conta 37 istruttori

operativi, 7 in fase di formazione, 3 direttori

di corso e 3 coordinatori di corso,

armonizzati da Gianluca Facchetti,

10 AVERE 70 ANNI


direttore del centro di formazione, e

dal sottoscritto, in veste di coordinatore

nazionale. Dal 2021 ad oggi sono

stati svolti venti corsi, con più di trecento

medici e infermieri del CNSAS formati

e certificati. Vista la peculiarità del

programma, che rende unico a livello

mondiale il format del corso, e viste le

molteplici richieste di partecipazione

che giungevano da sanitari non appartenenti

al Corpo, in accordo con la Direzione

nazionale si è deciso di offrire

questa opportunità formativa anche

ad essi. L’entusiasmo, la professionalità

e la disponibilità di istruttori e discenti

stanno elevando lo standard di soccorso

ai pazienti vittime di trauma, ovvero

la maggioranza degli interventi che il

Soccorso Alpino e Speleologico svolge

in tutta Italia.


LA TECNICA

Dieci ore di

soccorso in

parete

sul monte Brento in Trentino

di Monica Malfatti, viceresponsabile comunicazione CNSAS Trentino

Se il soccorso in montagna è sempre esistito grazie alla generosità

e all’esperienza di singoli alpinisti, il Corpo Nazionale Soccorso Alpino

e Speleologico, con la sua nascita nel 1954, ha dato organizzazione

e struttura a queste forme di aiuto e solidarietà spontanee.

In 70 anni di storia, soccorritori e soccorritrici hanno studiato, sperimentato

e affinato tecniche di intervento e materiali, permettendo

negli anni di portare a termine le missioni con maggiore efficienza, in meno

tempo e su terreni sempre più impervi. In un sistema così complesso, tuttavia, la

componente umana non è da trascurare: solamente grazie ad una “rimodulazione

jazzistica” di quanto appreso si può riuscire veramente a sviluppare e implementare

le modalità di intervento, anche nel caso degli scenari più difficoltosi.

Lo scorso 6 aprile, una base jumper canadese ha perso la vita dopo essersi schiantata

in seguito ad un errato decollo. Per poterne recuperare la salma, senza peraltro

sapere per certo se la ragazza fosse ancora in vita dopo la chiamata di aiuto, ha

avuto luogo uno degli interventi più difficili mai affrontati in parete dal Soccorso

Alpino e Speleologico Trentino, in un ambiente unico nel suo genere: il monte

Brento.

«Vista l’ora piuttosto ibrida in cui la centrale ha ricevuto la chiamata, ovvero le 7.30

circa del mattino, al nucleo elicotteri erano presenti entrambi i tecnici di elisoccorso:

sia quello notturno, in procinto di staccare, sia quello diurno, che doveva cominciare il

proprio turno. In questo modo hanno potuto avvicendarsi, il primo per un sopralluogo

e il secondo per tentare d’intervenire». A spiegarlo è Mauro Mabboni, anch’egli

12 AVERE 70 ANNI


tecnico di elisoccorso, quel giorno fuori

servizio ma allertato fin da subito per

coadiuvare le operazioni, vista l’estrema

criticità della scena e le capacità

tecniche che essa richiedeva.

La donna, infatti si trovava in un punto

decisamente difficile da raggiungere

con l’elicottero, sotto a degli impervi

strapiombi che hanno costretto il velivolo

a verricellare una squadra di sei

soccorritori nel punto più vicino possibile,

sulla cengia sottostante lungo la

via degli Amici, nel tentativo di arrivare

sulla base jumper via terra, ovvero arrampicando.

«La scelta del numero era

strategica. – prosegue Mabboni – Troppe

persone presenti avrebbero potuto rallentare

le operazioni, mentre troppo poche

rischiavano di non essere sufficienti.

Sei è sembrato il numero più congruo, e si

è poi rivelato così. Anche la scelta del materiale

diventava determinante: portarsene

dietro tanto, nonostante l’utilità di essere

ben attrezzati durante un intervento

simile, rischiava comunque di appesantire

sia i soccorritori che le manovre. Nella

tarda mattina, è stato fatto intervenire

l’elicottero B3 Ecureuil che, con il gancio

baricentrico, ci ha portato attrezzatura,

oltre che viveri e acqua. Anche l’alimentazione

e l’idratazione dei soccorritori non

sono elementi da sottovalutare in interventi

lunghi e delicati come questi».

Le vie di possibile accesso alla base jumper

erano tre: dal basso, dall’alto o in

traverso. «Intervenire dal basso, essendo

la ragazza appesa a più di metà parete,

era da escludere. – continua Mabboni

– Scendere dall’alto risultava difficile per

via degli strapiombi, anche se avevamo

individuato una possibile linea che faceva

al caso nostro: richiedeva però molto

tempo, molto materiale e molte risorse,

intese come un maggior numero di persone

in parete, che, come detto, poteva

essere qualcosa di problematico da gestire.

Si è allora deciso di entrare in traverso

rispetto al punto che dovevamo raggiun-

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

13


gere: la ragazza era a 40 metri di sviluppo

verticale da noi, con 70 metri complessivi

di linea da attrezzare e arrampicare. Una

scelta senz’altro inusuale, ma a quel punto

la migliore».

La migliore, purtroppo, per il recupero

di una salma: non sufficiente,

dunque, a salvare la vita della donna.

«Occorre scindere in questi casi l’esito

dell’intervento dallo svolgimento delle

operazioni. – afferma Mabboni – La

base jumper purtroppo non si è salvata

ma le operazioni di soccorso sono state

condotte nel miglior modo possibile,

grazie ad una preziosa sinergia fra tutte

le risorse in campo». Il che significa fra

gli uomini in parete, ovvero quelli che

attrezzavano la via e quelli che coadiuvavano

in cengia, ma anche fra chi coordinava

dal basso, il mezzo aereo e la

centrale operativa. «Sinergie – riprende

Mabboni – che sono state cruciali per

poter portare avanti un intervento durato

più di dieci ore e caratterizzato da una

progressione mista di arrampicata ed artificiale,

con una tecnica in cui il primo di

cordata scalava, il secondo disattrezzava

e il terzo risaliva le corde sulla verticale

delle soste intermedie. In questo senso,

le esercitazioni che svolgiamo insieme

sono determinanti per rafforzare lo spirito

di squadra e l’affiatamento necessari

in ogni intervento di soccorso».

Una volta arrivati sul target, in accordo

con i tre rimasti in cengia, è stata poi allestita

una teleferica, per recuperare la

ragazza con un sistema di paranchi fino

alla cengia. Anche i tre soccorritori che

hanno attrezzato la linea per raggiungere

la ragazza si sono poi calati con la

teleferica, in quanto rientrare dal traverso

diventava problematico e laborioso.

«L’insidiosità dell’intervento – conclude

Mabboni – era dovuta al terreno unico

nel quale si è svolto. Il monte Brento è

particolarissimo a livello morfologico. Su

quella parete c’è un connubio micidiale.

Da una parte abbiamo la frequentazione

14 AVERE 70 ANNI


della montagna da parte dei base jumper,

che si gettano dal Becco dell’Aquila,

un salto relativamente facile e comodo,

il che lo rende molto gettonato per chi

pratica questa disciplina. Dall’altra, la

parete è decisamente strapiombante: si

tratta di una delle pareti generate da una

frana postglaciale più grandi d’Europa e

di conseguenza è molto aggettante, per

tantissimi metri, i quali risultano come

nel caso del nostro intervento irraggiungibili

dall’elicottero».

D’altronde, il primo intervento di soccorso

sul Brento si è svolto almeno

una quindicina di anni fa, in favore di

una cordata d’arrampicatori impegnati

sulla via Vertigine, un itinerario aperto

nel 1992 da un gruppo di forti alpinisti

trentini capeggiato da Heinz Steinkötter.

La via tocca il VI+ ed è spettacolare

e attraente proprio come la parete che

ne ospita i tiri e sui cui strapiombi i due

ragazzi sono rimasti bloccati dopo la

fuoriuscita di alcuni spit. In quel caso

l’intervento fu altrettanto complesso

e i soccorritori impiegarono due giorni

a concluderlo, traendo in salvo la cordata,

fortunatamente incolume nonostante

la dura prova di una permanenza

così lunga in parete.

«In scenari del genere è determinante sviluppare

capacità attive di problem solving.

– continua Mabboni – Non siamo

macchine e dobbiamo saper adattare le

Una volta arrivati sul

target, in accordo con

i tre rimasti in cengia,

è stata poi allestita

una teleferica, per

recuperare la ragazza

con un sistema di

paranchi fino alla

cengia.

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

15


tecniche apprese durante esercitazioni o

interventi simili al contesto nel quale ci

troviamo, mettendo in campo anche una

buona dose di sana improvvisazione».

Ma si badi bene: non è l’improvvisazione

di chi a scuola andava impreparato a

un’interrogazione e cercava di mettere

insieme qualche nozione senza averla

appresa. È piuttosto l’improvvisazione

del jazzista, che conosce bene la musica

e ne applica con precisione le note,

ma lo fa con l’intuizione di saperle rimodulare

ad un contesto irripetibile.

dunque il procedere in calata attraverso

i freni che stanno a monte – per arrivare

in prossimità del tetto e lavorare

poi di lì in autonomia. «La testa di calata

in quel momento resta ferma – spiega

Mabboni – e viene utilizzata come ancoraggio

remoto rispetto alla cima. Uno dei

due soccorritori si stacca autonomamente

con una corda e attrezza, esattamente

arrampicando all’indietro e in artificiale,

Ci vuole intuito, insomma. Una caratteristica

che non può tuttavia prescindere

dall’esperienza, perfezionata e studiata

precedentemente. «Quando fai un intervento

di questo tipo hai la necessità di

condividere le azioni con un gruppo altamente

specializzato, – spiega Mabboni

– identificato anche nelle persone che

stanno a monte e a valle. Il ruolo di gestione

è pertanto fondamentale, al fine

di supportare le richieste tecniche degli

operatori che si trovano in parete». Si

tratta dunque di gestire l’intero sistema

di comunicazione ma soprattutto ogni

possibile imprevisto. «Certo, negli anni

l’attrezzatura per poterlo fare al meglio

è cambiata ma non più di tanto, – prosegue

Mabboni – almeno per quanto

riguarda i freni da calata o la metratura

delle corde utilizzate. Oppure ancora l’uso

del tassellatore per l’inserimento dei

chiodi, anche se su quest’ultimo aspetto

forse sì, qualcosa è cambiato: oggi abbiamo

infatti la possibilità di usare i Pulse,

ancoraggi che vengono posizionati e

recuperati in maniera più agile e veloce».

Le modalità di recupero e di intervento

su una parete strapiombante di questo

tipo sono caratterizzate anzitutto dalla

presenza di due persone sulla testa di

calata, che utilizzano la calata stessa – e

16 AVERE 70 ANNI


la via di progressione, assicurato dall’altro

operatore in testa di calata. Una

cordata a tutti gli effetti, che sfrutta la

testa di calata come ancoraggio remoto.

Quando l’operatore, che sta in questo

modo entrando verso la parete dai tetti

sovrastanti, decide di fermarsi, il secondo

operatore che faceva sicura al primo

dà l’okay agli altri in modo che la calata

da monte riparta. Questo fa sì che l’operatore

rimasto in testa di calata, mentre

viene calato, rimanga il più vicino possibile

allo strapiombo, per poi riuscire nel

complicato compito di togliere le protezioni

messe dall’altro soccorritore, al fine

di liberare le corde».

In zone così strapiombanti intervenire

con l’elicottero, nonostante le moderne

tecnologie oggi presenti in ambito aeronautico,

è difficile. «Si potrebbe provare

qualcosa, magari in futuro, con i droni

– ammette Mabboni – per posizionare

eventualmente delle corde sottili ed essere

agevolati nelle successive operazioni

di recupero, ma sono tutte pratiche ancora

da verificare e provare. La tecnologia

sta facendo passi da giganti ma è la

messa in pratica a fare la differenza».

La messa in pratica, ma anche la scelta

della strategia da adottare di volta in

volta. «È chiaro che la strategia la impari

attraverso le esercitazioni e creando in

quel contesto le problematiche possibili

che si potrebbero verificare. – conclude

Mabboni – Un tempo gli interventi su

una parete come il Brento richiedevano

più giorni per essere portati a compimento.

Ogni epoca ha la sua storia e le

variabili sono talmente tanto cambiate

negli anni che fare un paragone preciso

con il passato è praticamente impossibile.

Ogni intervento di Soccorso Alpino ha

di fatto la sua storia, le sue peculiarità e le

sue diversità. Si possono sviluppare competenze

trasversali nella costruzione ad

hoc di alcuni scenari, ma vanno poi necessariamente

adattate di volta in volta:

gli automatismi non sono contemplati.

Un esempio lampante di questo è proprio

l’intervento dal quale siamo partiti,

dove si è preferito un accesso trasversale

per le ragioni raccontate sopra: una cosa

molto rara ma in quel caso l’unica strada

percorribile».

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

17


LA FORMAZIONE

Oltre le

competenze

tecniche

Il progetto Non Technical Skill

Già dal momento della chiamata si attivano reazioni emotive spesso difficili da controllare,

soprattutto per i più giovani. Durante l’intervento le condizioni ambientali,

le necessità operative e la stanchezza determinano un aumento dello stress che impatta

in modo significativo sui processi comportamentali, decisionali e relazionali

con importanti ricadute sul lavoro di squadra. Questo è un aspetto fondamentale

che contraddistingue la nostra operatività, caratterizzata da complessità legate alla

molteplicità di ruoli esercitati sul posto e a distanza, alla presenza di operatori con caa

cura di Roberto Misseroni, direttore Scuola Nazionale Tecnici, Erik Gadotti,

vicedirettore Scuola Nazionale Unità Cinofile, Maria Chiara Pavesi, psicologa

Negli ultimi dieci anni, all’interno della nostra organizzazione è

cresciuta sempre di più la consapevolezza dell’importanza degli

aspetti non tecnici nella gestione degli interventi. L’analisi delle

problematiche e dei bisogni operativi e gestionali emersi nei vari

Servizi regionali e provinciali del Soccorso Alpino e Speleologico,

ha permesso di individuare criticità legate a fattori relazionali,

emotivi, comunicativi e cognitivi che si sono manifestati durante le operazioni di

soccorso e, in alcuni casi, hanno avuto effetti negativi sui soccorritori presenti e sulle

relazioni tra i componenti della squadra e all’interno dei Servizi. L’influenza di questi

aspetti non prettamente tecnici aumenta in modo proporzionale all’aumentare

della complessità dell’evento, situazioni che si presentano in gran parte dei nostri

interventi. Proviamo a immaginare cosa accade durante un intervento di soccorso

in ambiente.

18 AVERE 70 ANNI


ratteristiche ed esperienze differenti, alla

collaborazione tra più enti e, non ultimo,

alla gestione del rischio in ambiente.

Nei debriefing tutte queste situazioni

sono analizzate spesso da un punto di

vista tecnico e tutto il resto è relegato a

“piccoli problemi di comunicazione”, “di

testa”, “questioni relazionali” o “banali

discussioni post intervento”. Sempre di

più, invece, si riconosce che sono proprio

questi “piccoli problemi” che fanno

la differenza nel successo o nell’insuccesso

delle operazioni. Sono “piccoli

problemi” che possono compromettere

in modo sostanziale la sicurezza e determinare

problematiche negli operatori,

anche di grave entità.

Utilizzando un linguaggio più appropriato,

queste dimensioni rientrano in

quelle che vengono definite “Competenze

non tecniche” (NTS) raggruppate

nelle seguenti categorie (Flin e Maran,

2004):

• consapevolezza della situazione,

• decision-making,

• comunicazione,

• teamwork,

• leadership,

• gestione dello stress,

• capacità di fronteggiare la fatica.

Esse possono e devono essere allenate

nello stesso modo in cui ci si

prepara per gli aspetti tecnici: non

è possibile pensare di mettere in

campo queste competenze durante

l’intervento senza una formazione

preventiva specifica. Un aspetto che

caratterizza la formazione di queste

competenze è la necessità di essere

apprese ed esercitate in modo attivo

sul campo attraverso specifici training

che coinvolgono in modo sinergico

figure tecniche e figure psicologiche.

L’elemento fondamentale che permette

di sviluppare queste competenze

è proprio la sinergia delle due

professionalità esercitata in contesti

operativi e formativi.

Queste riflessioni hanno aperto la

strada a una sperimentazione strutturata

che è cresciuta nell’arco di dieci

anni, con lo scopo di implementare

queste competenze all’interno del

Soccorso Alpino e Speleologico, rivolgendosi

alle figure tecniche specialistiche

nei processi di selezione, nella

loro formazione e nella messa in atto

di interventi di coaching personalizzati

per coloro che avevano vissuto

momenti di difficoltà.

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

19


Questo tipo di attività

richiede agli psicologi

di uscire dal setting

tradizionale d’aula/

studio ed esercitare

la loro professionalità

nei diversi scenari di

intervento tramite la

lettura esperta del

contesto, nonché di

riuscire a trasmettere

agli operatori

strumenti concreti da

utilizzare durante gli

interventi.

Il progetto ha coinvolto gli Istruttori

della Scuola Nazionale Tecnici, della

Scuola Nazionale Forre e della Scuola

Nazionale Unità Cinofile che hanno collaborato

attivamente con professionisti

psicologi, dotati di una formazione nel

campo della psicologia in contesti di

emergenza, ma anche con un’esperienza

operativa nell’ambito del soccorso e,

di conseguenza, in grado di operare nei

diversi contesti operativi.

Per quanto riguarda gli psicologi, la

loro conoscenza delle dinamiche tipiche

dell’operatività e la competenza

nell’operare in contesti reali sono stati

elementi fondamentali per la riuscita

del progetto, perché hanno permesso

di realizzare quella sinergia con le

figure tecniche dei contesti veritieri

e di riprodurre le necessità operative

che, come già evidenziato, diventano

elementi imprescindibili per lo sviluppo

delle NTS. Questo tipo di attività,

infatti, richiede agli psicologi di uscire

dal setting tradizionale d’aula/studio

ed esercitare la loro professionalità nei

diversi scenari di intervento tramite la

lettura esperta del contesto, nonché

di riuscire a trasmettere agli operatori

strumenti concreti da utilizzare durante

gli interventi. È qui evidente l’importanza

data dal fatto che lo psicologo sia

in primis operatore del CNSAS.

Il lavoro svolto in questi anni ha permesso

di formalizzare il modello teorico

di riferimento e di strutturare una

metodologia standardizzata che ad

oggi possiamo ritenere matura. Entrando

più nel merito, in una prima

fase si è lavorato alla strutturazione di

un processo di selezione per le figure

tecniche apicali, mirato a valutare sia

le competenze tecniche che quelle

non tecniche richieste al ruolo. Le selezioni

si sono sempre svolte in contesti

operativi utilizzando metodologie di

assessment, avvalendosi di strumenti

osservativi e colloqui per valutare l’effettivo

possesso delle competenze da

parte del candidato e il suo potenziale

di sviluppo. Un effetto indiretto, ma importante,

di questo processo è stata la

20 AVERE 70 ANNI


profonda valorizzazione delle persone

coinvolte che ha portato un clima di lavoro

impegnativo ma sereno.

In un secondo momento, il progetto ha

risposto al bisogno manifestato da alcuni

Servizi regionali che hanno richiesto

interventi di supporto per operatori

coinvolti in eventi psicologicamente

difficili. Il lavoro svolto in sinergia tra lo

psicologo e le figure tecniche attraverso

simulati, briefing e debriefing, nonché

tramite colloqui clinici, ha consentito

una rielaborazione dei vissuti legati

agli eventi traumatogeni e ha permesso

per tutti la ripresa delle attività. Gli

interventi hanno sempre puntato sulla

promozione e sulla valorizzazione delle

risorse degli operatori.

Infine, è stata strutturata una formazione

per i Tecnici di Elisoccorso e per gli

Istruttori nazionali orientata a sviluppare

le NTS con particolare attenzione

alla consapevolezza dei propri processi

interni utilizzando metodologie attive

e situazioni operative reali. Anche questo

lavoro è stato realizzato attraverso

la collaborazione tra figure tecniche e

psicologiche.

All’interno di questi percorsi sono

emerse diverse tematiche che richiederanno

di essere affrontate nel prossimo

futuro. Temi come le emozioni, lo

stress, i processi decisionali, il ritorno a

casa e la mediazione familiare, la gestione

delle comunicazioni, i ruoli e la

leadership, gli incidenti e il ritorno post

incidente appartengono sempre di più

al vissuto di chi opera nella nostra organizzazione.

I risultati concreti ad oggi ottenuti sono

promettenti e hanno dimostrato l’utilità

degli approcci utilizzati per risolvere

diversi problemi che coinvolgono il singolo,

il gruppo e i Servizi, nonché per

la ricaduta sulla gestione più efficace

della nostra attività operativa.

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

21


LA TECNOLOGIA

Connettività e

trasmissione

dati in grotta

Il sistema Ermes

di Alan De Simone, Coordinatore Commissione Tecnica Speleologica

In un mondo dove ormai siamo sempre più dipendenti dalle tecnologie e

dalla connettività a Internet, forse tra i pochi ambienti ancora non “social”

sono rimaste le remote cime delle montagne e la profondità delle grotte.

In alcune occasioni, però, la tecnologia può essere un valido aiuto nella gestione

delle emergenze. Per questo motivo, dentro la Commissione Tecnica

e la Commissione Medica del Soccorso Speleologico ci siamo interrogati

su quanto la possibilità di avere una connettività dati in grotta avrebbe potuto

aiutare i sanitari nella cura dell’infortunato.

Con questa premessa, ancora una decina di anni fa la Commissione Tecnica Speleologica

del CNSAS ha accettato la sfida e ha iniziato a studiare un sistema che permettesse

la trasmissione dati dall’interno all’esterno della grotta. Questo sistema

ha vissuto più fasi di progetto e sviluppo, dettate dall’avanzamento tecnologico

e dalle risorse disponibili, per poi concretizzarsi quest’anno in una versione definitiva,

altamente stabile e prodotta industrialmente. A completamento di questo

lungo e articolato processo, il 10 settembre 2024 è stato depositato il Brevetto

per Modello d’Utilità del progetto Ermes (Patent no.: 202024000003646 - “Kit di

trasmissione dati e/o comunicazione portatile per spazi confinati”).

22 AVERE 70 ANNI


LE COMUNICAZIONI IN GROTTA E

LA NASCITA DI ERMES

Dopo innumerevoli tentativi abbiamo

constatato che in grotta qualsiasi sistema

di trasmissione radio, in particolare

Wireless e Bluetooth, ha “vita breve” in

quanto le onde generate non riescono

ad attraversare la roccia. Quindi, basta

qualche curva a far perdere il segnale.

Per questo motivo ci siamo concentrati

su una soluzione tassativamente cablata.

Durante gli interventi in grotta è ormai

consolidato l’utilizzo del doppino telefonico

per le comunicazioni. Subito

dopo la partenza della squadra di primo

intervento, che si porta sul ferito

con i materiali necessari alla stabilizzazione

dell’infortunato, in grotta entrano

una o più squadre di telefonisti

con il compito di stendere il doppino

telefonico lungo tutto il tratto interessato

dal recupero dell’infortunato. Per

comunicare, i tecnici impegnati in grotta

si collegano in un punto qualsiasi

del doppino con degli appositi telefoni

autoalimentati. Quelli utilizzati attualmente

in Italia, ma non solo, sono stati

progettati dalla Commissione Tecnica

nel 2013 e poi aggiornati nel 2017. Fino

a qualche anno fa, prima della diffusione

su larga scala della fibra ottica, il

doppino telefonico è stato il sistema di

trasmissione dati comunemente utilizzato

per tutte la connettività di abitazioni

e luoghi di lavoro (connessione

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

23


Dimostrazione trasmissione dati con monitor multiparametrico tramite Ermes

ADSL, VDSL, ecc.). Si è quindi pensato

di utilizzare la stessa tecnologia, adattata

e ottimizzata per la grotta.

messaggi e condividere file di qualsiasi

genere tra interno ed esterno, senza bisogno

di una connessione dati.

Lo scopo principale

di Ermes è quello

di portare Internet

in grotta, ma può

capitare che anche

all’esterno della cavità

non si riesca ad avere

accesso a Internet.

Una volta identificata la tecnologia migliore,

ossia VDSL2, si è iniziato a pensare

agli altri dispositivi necessari per

costruire un’infrastruttura di rete completa

e autonoma, con uno sguardo

sempre attento a contenere i consumi

energetici e a ridurre peso e dimensioni

della valigetta da trasportare. Lo

scopo principale di Ermes è quello di

portare Internet in grotta, ma può capitare

che anche all’esterno della cavità

non si riesca ad avere accesso a Internet.

In questo caso, Ermes implementa

un’infrastruttura locale che permette

di effettuare videochiamate, inviare

IL CONTENUTO DELLE DUE

VALIGETTE ERMES

Andiamo ora a vedere nel dettaglio

cos’è contenuto nelle due valigette.

Iniziamo dalla più grande, il cuore pulsante

di Ermes, da posizionare all’esterno

della grotta. I dispositivi contenuti

sono fondamentalmente tre: il primo

che sta alla base di tutto è il modem

VDSL, che crea la connessione con la

seconda valigetta che viene portata in

grotta tramite il doppino telefonico. Il

secondo è un router potente e sofisticato

con integrato al suo interno un

modem 4G per la connettività tramite

24 CRONACA E INTERVENTI


due SIM telefoniche, un server SAMBA

per la condivisione di file in rete locale,

un server DHCP per l’assegnazione

automatica dei parametri di rete ai dispositivi

collegati, sia all’esterno che

all’interno della grotta, access point

Wi-Fi per il collegamento senza fili

dei dispositivi che si trovano all’esterno

della grotta. Il terzo dispositivo è

un centralino telefonico SIP, basato

sullo standard H.264; è compatibile

con tutte le app “SIP Phone” per smartphone,

tablet e PC/Mac permettendo

la comunicazione audio/video e messaggistica

in rete locale tra interno ed

esterno, senza necessariamente avere

una connessione Internet. Tutti questi

dispositivi con tensione di alimentazione

a 12V vengono alimentati da una

moderna batteria LiFePO4 da 307 Wh

in grado di garantire più giorni di autonomia

al sistema. La valigia è di tipo

Rugged, altamente resistente agli urti

e impermeabile, appositamente studiata

per essere lasciata per giorni sotto

le intemperie, senza che i dispositivi

al suo interno possano risentirne. Per

garantire questa impermeabilità e l’utilizzo

tenendo la valigia chiusa, al suo

esterno sono riportate le prese RJ45

dell’interfaccia LAN e WAN del router,

la presa di alimentazione per collegare

e caricare la batteria interna alla rete a

220V e le antenne 4G del router. Le antenne

normalmente in dotazione sono

ad alto guadagno di circa 20 cm ma è

possibile collegare anche antenne più

grandi a palo o ubicate in posizioni

strategiche per la miglior ricezione del

segnale telefonico, grazie al connettore

standard di tipo N. Inoltre, l’interfaccia

WAN permette di dare al sistema

connettività Internet anche dove non

fosse presente il segnale 4G, utilizzando

un sistema Starlink o altre connettività

satellitari tramite parabola portatile

o installata sugli appositi furgoni

“direzione operazioni”, in dotazione al

Soccorso Alpino e Speleologico.

La seconda valigetta, più piccola viene

trasportata in grotta e collegata al doppino

telefonico nel momento in cui il

sanitario o i soccorritori hanno bisogno

di comunicare e trasmettere informazioni

all’esterno. Al suo interno un modem

VDSL analogo a quello presente in

esterno e un router di dimensioni più

contenute rispetto a quello della prima

valigetta; è dotato di access point Wi-Fi

per il collegamento di tutti i dispositivi

che dall’interno della grotta hanno bisogno

di collegarsi alla rete.

I BENEFICI CHE ERMES PUÒ

PORTARE A UN INTERVENTO

SANITARIO IN GROTTA

Per i sanitari che operano in interventi

complessi in grotta, specie se a elevate

profondità e a molte ore di progressione

dall’ingresso, la possibilità

di effettuare una videochiamata a un

collega all’esterno della grotta o a uno

specialista in una struttura ospedaliera

può essere di grande aiuto per alcune

decisioni da prendere relativamente al

trattamento del paziente.

Inoltre, Ermes permette di condividere

e trasmettere i parametri sanitari

dell’infortunato. Grazie alla collaborazione

con l’azienda Sago Medica Srl

abbiamo avuto la possibilità di testare

il monitor Schiller Touch 7 - prodotto di

riferimento nell’emergenza extraospedaliera,

utilizzato in gran parte delle

basi di elisoccorso in Italia - che tramite

Ermes permette di condividere all’esterno

in tempo reale il display del multiparametrico,

con la possibilità di comandarlo

tramite il touch screen del dispositivo remoto,

oltre che di inviare, ad esempio, un

tracciato ECG tramite SEMA Server a una

Fase di test di Ermes in grotta,

Abisso Bueno Fonteno (BG)

APRILE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

25


Ermes in grotta

Tutti i dispositivi

sono già collegati

e si accendono

automaticamente

instaurando la

connessione. Nel giro

di qualche minuto

compare la rete Wi-

Fi, al quale ci si

collega come se fosse

una normale rete

domestica, e si può già

iniziare a sfruttarne i

servizi.

centrale operativa 118 per la refertazione

da parte di uno specialista, come avviene

quotidianamente da parte dei mezzi dei

servizi sanitari che operano sul territorio.

In un’esercitazione svolta in provincia

di Bologna è stato testato un piccolo

dispositivo elettrocardiografico in dotazione

ai sanitari alpini del Servizio

regionale Emilia-Romagna che tramite

una app sullo smartphone permette di

inviare il tracciato ECG in formato PDF.

La Commissione Medica del Soccorso

Speleologico possiede tre sonde

ecografiche di ridotte dimensioni che

consentono di svolgere attività diagnostica

ed accessi vascolari complessi

in grotta. Queste sonde si collegano via

Wi-Fi ad un telefono o tablet che funge

da schermo e tramite Ermes è possibile

trasmettere all’esterno le immagini,

registrate o in tempo reale, durante lo

svolgimento dell’intervento.

LA SEMPLICITÀ NELL’USO DI ERMES

Nella sua ultima versione, Ermes è

stato sviluppato in modo semplice e

funzionale, così da permettere a chiunque

di utilizzarlo, senza specifiche competenze.

Basta collegare il doppino

telefonico alla valigetta e posizionare

l’interruttore su “On”; tutti i dispositivi

sono già collegati e si accendono automaticamente

instaurando la connessione.

Nel giro di qualche minuto compare

la rete Wi-Fi, al quale ci si collega come

se fosse una normale rete domestica, e

si può già iniziare a sfruttarne i servizi.

LA DISTRIBUZIONE DI ERMES

Siamo ormai giunti al termine di una intensiva

fase di sviluppo e di test dell’ultimo

prototipo. Tra la fine di quest’anno e

l’inizio dell’anno prossimo sarà messo in

commercio dall’azienda BPG Radiocomunicazioni

Srl, con la quale abbiamo

collaborato, e sarà quindi acquistabile

da tutte le Delegazioni speleologiche

o da altri enti che portano soccorso in

spazi confinati. Dal 19 al 22 settembre

scorsi, si è tenuto a Mostar (HiB) il 17th

European Cave Rescue Meeting, un importante

convegno delle associazioni

di soccorso europeo che ha visto par-

26 AVERE 70 ANNI


tecipi decine di Soccorsi Speleologici

provenienti dall’Europa e da altre parti

del mondo, durante il quale abbiamo

presentato questo importante progetto

e raccolto interesse attorno al sistema.

RINGRAZIAMENTI

L’ideazione, lo sviluppo e la realizzazione

di Ermes ha una lunga storia e

ha visto impegnate tante persone del

Soccorso Alpino e Speleologico, e non

solo, che in questi anni hanno portato

il loro contributo per arrivare a quello

che attualmente è l’unico sistema di

trasmissione dati in grotta presente

al mondo. Un grande ringraziamento

va sicuramente a tutti i volontari della

Commissione Tecnica Speleologica del

CNSAS che hanno lavorato al progetto,

alle Delegazioni e ai tecnici che in

questi anni hanno reso possibili le moltissime

prove svolte sui vari prototipi

durante le esercitazioni in grotta, alla

Conferenza dei Delegati, all’Esecutivo

Speleologico e alla Direzione nazionale

che ha creduto in questo ambizioso

progetto, alla Scuola Nazionale Tecnici

di Soccorso Speleologico, della quale

la Commissione Tecnica fa parte. Infine,

un sentito ringraziamento va all’Associazione

Culturale FinalmenteSpeleo2017,

che nel 2017 ha organizzato il

Raduno Nazionale di Speleologia a Finale

Ligure, dove Ermes ha fatto la sua

comparsa per la prima volta, con un

collegamento tra una squadra di soccorritori

in grotta, l’auditorium Santa

Caterina e la Stazione Spaziale Internazionale

ESA da dove l’astronauta Paolo

Nespoli ci ha salutati. FinalmenteSpeleo2017

ha deciso di donare tutto l’utile

ricavato dal raduno al CNSAS per

l’acquisto del primo sistema di trasmissione

dati Ermes.

Videochiamata di gruppo dall_interno della

grotta, Abisso Figherà nelle Alpi Apuane (LU)

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

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IL SOCCORSO IN FORRA

Il lato acquatico

del CNSAS

Tre missioni per raccontarlo

di Pino Antonini, Istruttore Scuola Nazionale Tecnici Soccorso in Forra

LA PRIMA VOLTA

Domenica 13 marzo. Siamo appena scesi dalla montagna e ognuno

torna alla propria abitazione. Ma dopo cena, quando la serata

sembra ormai concludersi nel sonno, arriva una telefonata inattesa.

Un gruppo di alpinisti è bloccato nella Balza dell’Aquila, una forra

tecnicamente facile le cui condizioni, fino a ieri invernali a causa del

forte vento di scirocco, si stanno sbloccando verso una situazione primaverile, con

la comparsa delle prime cascate.

Quando riattacco il telefono mi viene in mente che due settimane prima, un gruppo

di alpinisti era passato dal rifugio dove solitamente ci appoggiamo, chiedendo

informazioni proprio su quella forra. Ci precipitiamo al magazzino per prendere

corde e barelle, anche se dalle prime informazioni non vi è certezza di un vero e

proprio incidente.

Ci affrettiamo a caricare il materiale e partiamo. Arrivati sul posto, ritroviamo le

condizioni che avevamo lasciato scendendo proprio da quella montagna, il Monte

Catria, con un forte vento di scirocco che muove gli alberi. Prendiamo subito

28 AVERE 70 ANNI


contatto con i tecnici della Stazione di

Soccorso Alpino, intervenuta tempestivamente.

Purtroppo, la situazione

è cambiata e le notizie sono tragiche:

affacciandosi dall’alto di una cascata

di 30 metri, un soccorritore non ha potuto

fare altro che osservare due corpi

appesi alla corda di calata, completamente

investiti dalla cascata.

Per loro non c’è più niente da fare, e

sarebbe incauto tentare un recupero

delle salme con il buio senza avere una

chiara visione delle condizioni della

forra. Così, non ci resta che progettare

il recupero per il giorno dopo, valutando

attentamente tutti i rischi a cui

dovremo esporci, in una forra carica

di ghiaccio, neve e acqua. Una perfida

combinazione dello stesso elemento in

forme diverse, ma che crea condizioni

di rischio esponenziale.

I soccorritori, anche se addestrati e “robusti”,

sono sempre esposti al rischio di

finire vittime. Chi comanda è sempre

l’ambiente circostante, in questo caso

la montagna, che pensiamo di conoscere

bene, ma pronta a punirti per

aver creduto di poterne controllare le

dinamiche. Il giorno successivo dovremo

entrare all’alba, approfittando

delle temperature più basse, e quindi

dormiamo sul posto, alloggiando nelle

gelide stanze del monastero di Fonte

Avellana. Un luogo intriso di spiritualità,

ma che stanotte per noi sarà punitivo,

con una sola coperta incapace di

proteggerci dal freddo invernale. Arriva

il mattino e, a parte un russatore incallito,

stanotte nessun’altro ha chiuso

occhio. Colpa del freddo, del russatore,

ma forse anche di quello che ci aspetta,

un lungo recupero pieno di incognite.

Nonostante thè e caffè non riusciamo

a recuperare il calore lasciato al monastero,

sapendo che oggi ne perderemo

molto di più.

Dopo un briefing con la squadra, saliamo

la pista in fuoristrada, finché si può,

poi a piedi nella neve marcia. Soffia

forte lo scirocco caldo su un paesaggio

ancora invernale, ma sappiamo bene

che questa è una disgrazia perché in

forra troveremo l’acqua di fusione sotto

forma di cascate sferzanti. Ma non

solo quelle; ci attenderà qualcosa di ancora

più pericoloso. Dopo aver indossato

gli indumenti impermeabili, facendo

attenzione a non bagnarci nella neve,

iniziamo a scendere le prime cascate,

portando due barelle che, stavolta, non

serviranno purtroppo a salvare alcuna

vita.

Siamo organizzati in due squadre, la

seconda delle quali sarà di rinforzo per

il trasporto della seconda barella. Raggiunta

la cascata, ci affacciamo. Mi ero

preparato a questa immagine, ma la visione

è forte, di quelle che non vanno

più via. La dinamica dell’incidente, in

base alla testimonianza dei tre alpinisti

sopravvissuti, pare essere questa: il

gruppo, entrato nella convinzione che

la forra fosse in condizioni invernali,

quindi con cascate di ghiaccio, ha sottovalutato

il forte vento di scirocco che

li ha sorpresi a scendere sotto il getto

delle cascate con indumenti inadeguati.

Una cascata dopo l’altra si sono bagnati

completamente, perdendo sensibilità

e scivolando verso l’ipotermia. In

forra, una volta che viene recuperata la

prima corda, spesso non c’è possibilità

di ritorno; quindi, non hanno avuto

alternativa alla discesa, che però si è

rivelata una trappola mortale. In tre riescono

a scendere la cascata da 30 metri

e quella successiva, mentre gli ultimi

due, i più esperti, chiudono il gruppo

per recuperare le corde.

Ma, nella discesa della cascata più alta,

il penultimo ha problemi con il discensore

autobloccante, complicata dal

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

29


Una forra carica di

ghiaccio, neve e

acqua. Una perfida

combinazione dello

stesso elemento in

forme diverse, ma che

crea condizioni di

rischio esponenziale.

prussik di autosicura. Cerca di sfuggire

alla cataratta, ma finisce sotto il getto

con l’acqua a un grado, che in pochi

istanti lo spegne per sempre. Il compagno,

vista la situazione, tenta una

coraggiosa operazione di salvataggio

scendendo con i nodi autobloccanti

sulla corda in tensione. Ma raggiunto

l’amico si rende conto che non c’è più

nulla da fare e, a quel punto, tenta di

salvarsi la vita. Ma è legato alla corda

con i nodi autobloccanti, e con le mani

insensibili non riesce a superare quel

corpo esanime che ora ostacola la sua

sopravvivenza. In ultimo fa un estremo

tentativo di togliersi l’imbrago, sfilandosi

dalle asole dei cosciali, ma l’operazione

non riesce completamente e

per questo rimane appeso. Ho pensato

molte volte a quel disperato tentativo,

immedesimandomi in quei gesti senza

speranza, provando le stesse angoscianti

sensazioni.

Esco dai pensieri suscitati da quell’immagine:

non c’è molto tempo per riflettere,

fa davvero molto freddo e le mani

congelano, stiamo scendendo investiti

dalle cascate e affondiamo nella neve.

Inoltre su ogni cascata pendono grandi

stalattiti di ghiaccio del peso di centinaia

di chilogrammi, e lo scirocco sta

minando la stabilità di queste strutture,

sempre più fragili: ogni tanto sentiamo

il rumore di qualche “ghiacciolo” che si

infrange al suolo. Dobbiamo agire, e

così uno di noi scende a verificare la situazione

da vicino, mentre collego una

corda a quella che intrappola i corpi e,

dopo un taglio deciso, calo le salme in

fondo.

Ma sta continuando a cadere ghiaccio

ovunque e la situazione si sta facendo

drammatica anche per noi soccorritori,

che rischiamo di rimanere uccisi

dalla caduta di quelle pesanti spade di

ghiaccio pendenti sulle nostre teste: è

come essere in un imbuto, senza alcuna

possibilità di protezione. Alla base

della cascata non possiamo neppure

fermarci ad imbarellare: troppo perico-

30 AVERE 70 ANNI


loso. Siamo costretti a proseguire calando

i corpi nella cascata successiva,

e poi fino a dove saremo meno esposti

alle scariche.

Mentre gli ultimi della squadra recuperano

le corde, crolla parte della struttura

di ghiaccio che colpisce alla spalla un

soccorritore: è dolorante e sulle prime

sembra una cosa grave, poi per fortuna

si riprende. La cosa si fa sempre più

seria. A questo punto la minaccia di

crolli è altissima e siamo costretti ad

interrompere l’ingresso in forra della

squadra di supporto per il recupero

della seconda barella: è già fin troppo

rischioso per noi. Trovata una posizione

meno pericolosa, dobbiamo ricomporre

i due sfortunati, un’operazione non

facile, e quindi iniziare il faticoso recupero

delle barelle, che dobbiamo alternare,

dal momento che siamo troppo

pochi per entrambe: avanziamo con

la prima per alcune decine di metri,

poi torniamo a prendere l’altra. Ogni

tanto una sosta, che vorremmo evitare

per il freddo intenso, ma necessaria per

riprendere le forze. Nel trasporto della

barella perdiamo la sensibilità delle

mani, avendole bagnate. E cominciamo

anche a tremare. La fatica e il freddo

consumano rapidamente le nostre

batterie. Dopo altre cascate, finalmente

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

31


Comunichiamo al

resto della squadra di

rientrare, faremo quel

che è necessario in

quelli che siamo. Poi

di nuovo un bagliore,

ma stavolta è diverso:

è la luce di una

lampada frontale.

raggiungiamo l’ultima dove, ad attenderci,

troviamo i tecnici della Stazione

di Soccorso Alpino a cui passiamo le

barelle. È la liberazione di un peso doloroso,

non solo fisico. Solo qualche ora

più tardi riprenderemo il calore perduto

e la sensibilità completa delle estremità.

Era il 14 marzo del 1988.

Sembrerebbe tutto passato, ma non è

così. Molto tempo dopo ho incontrato

Maria Teresa, vedova di un compagno

coraggioso, che ha perso la vita nel

disperato e vano tentativo di salvarne

un’altra ormai spenta. In queste circostanze

prendono forma le domande

sul perché è potuto succedere, a sottolineare

il tentativo di tornare a quei

momenti, quasi a voler gridare a quel

gruppo di non entrare in quella trappola

di acqua e ghiaccio, per cambiare un

destino inaccettabile. Questo incidente

rappresenta il punto zero, poiché da

quel momento il Soccorso Speleologico

del CNSAS ha iniziato ad analizzare

il problema del soccorso in forra, incaricando

la Commissione Tecnica Speleologica

(CTS) di trovare soluzioni adeguate

agli incidenti in uno scenario fino

a quel momento sconosciuto. Qualche

anno più tardi, in seno alla CTS sarà

istituito un gruppo di lavoro specifico,

che prenderà il nome di Commissione

Tecnica Forre, estesa a tecnici di estrazione

alpina, ed antesignana dell’attuale

Scuola Nazionale Tecnici Soccorso in

Forra (SNaFor).

Oggi la SNaFor è il riferimento nel CN-

SAS per il soccorso in forra, una scuola

impegnata nella ricerca e nello sviluppo

di tecniche e strategie per migliorare

costantemente la sicurezza delle

squadre di soccorso in forra che operano

sul territorio.

UNA CORDA NEL BUIO

Siamo a tavola, in attesa della cena che

segue all’esercitazione di soccorso in

forra. Le mute sono ancora stese ad

asciugare. E invece neppure un boccone

da mandare giù, perché dobbiamo

andare di corsa, come i ladri, mettendo

nello zaino la roba bagnata. Destinazione

Fosso il Rio: da un cellulare anonimo

è partito il messaggio per una ri-

32 AVERE 70 ANNI


NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

33


Non c’è tempo

per le chiacchiere,

dobbiamo sbrigarci,

dal momento che

il temporale è già

sopra di noi. Chi ha

visto una piena sa

quanto sia devastante

e in questo frangente

cerchiamo di muoverci

rapidamente per

portare tutti in salvo

nel più breve tempo

possibile.

chiesta d’aiuto. Un gruppo di torrentisti

è bloccato al buio. Dopo un’ora di curve

siamo in zona, e ci prepariamo a salire a

piedi, consapevoli che il meteo minaccia

temporali di forte intensità e che la

forra è alimentata da un bacino molto

ampio. Il rischio di una piena è concreto.

Sarà il karma, ma in genere le missioni

di soccorso non sono mai sotto

un bel sole e in una giornata di tempo

stabile. Saliamo a piedi per scorciatoie

che ci permettono di bypassare la parte

superiore della forra, dal momento

che il gruppo in difficoltà si trova più in

basso. Il torrente, a causa delle piogge

dei giorni precedenti, ha una portata

superiore alla media e, nonostante

un’ottima conoscenza della forra e dei

punti più pericolosi, con il buio e il rumore

assordante dell’acqua non c’è da

essere molto allegri. Dopo i primi salti

troviamo una corda che si perde nel

buio verso il toboga: è il tratto chiave,

dove l’acqua scorrendo in uno stretto

canale inclinato ti investe in pieno; il

rischio di perdere il controllo in queste

condizioni è davvero molto alto e la vasca

che si trova in fondo è una trappola

pericolosa per la presenza di tronchi e

rami accatastati. Facendo ricorso alle

tecniche specifiche e alla conoscenza

del posto, riusciamo a installare una teleferica

per consentire a tutta la squadra

di superare in sicurezza il punto critico.

Almeno questa è fatta, pensiamo.

Ma un bagliore improvviso all’orizzonte

spegne l’entusiasmo del momento: il

temporale si avvicina.

In queste condizioni impegnare altri

soccorritori in forra è rischioso: si va più

lenti e questo, con la minaccia di una

piena incombente, non ce lo possiamo

permettere. Così, cautelativamente,

comunichiamo al resto della squadra

di rientrare, faremo quel che è necessario

in quelli che siamo. Poi di nuovo un

bagliore, ma stavolta è diverso: è la luce

di una lampada frontale. Finalmente

prendiamo contatto con il gruppo in

difficoltà: hanno tutte le corde bloccate

a causa di una serie di errori tecnici e

poi si sono spaventati per la portata del

torrente che ha colto tutti di sorpresa.

Fin dall’allertamento temevamo il peg-

34 AVERE 70 ANNI


gio per qualcuno di loro, ma per fortuna

sono in buone condizioni, anche se

provati psicologicamente. Quando ci

vedono si sentono sollevati e, a causa

della tensione accumulata, qualcuno

scoppia in lacrime. Per puro caso hanno

trovato una cengia a pochi metri

dal torrente, un riparo in cui attendere.

Ma non c’è tempo per le chiacchiere,

dobbiamo sbrigarci, dal momento che

il temporale è già sopra di noi. Chi ha

visto una piena sa quanto sia devastante

e in questo frangente cerchiamo di

muoverci rapidamente per portare tutti

in salvo nel più breve tempo possibile.

Per fortuna, riusciamo ad attrezzare

una traiettoria di calata lontana dall’ultima

cascata, per non rischiare di essere

travolti da una piena improvvisa. E così,

uno dopo l’altro, il numeroso gruppo

viene calato alla base della cascata;

ormai la disavventura per loro è alle

spalle e vengono accompagnati alle

auto dai tecnici della locale Stazione

di Soccorso Alpino. Poi, quando siamo

fuori anche noi, dopo aver recuperato

le corde, si scatena il temporale. Appena

in tempo.

A posteriori abbiamo analizzato le

scelte, trovandole opportune. In questi

frangenti, entrare in forra numerosi

non è una buona idea: procedendo

più lenti si è maggiormente esposti al

rischio per un tempo maggiore. Inoltre,

nell’imminenza di una piena, è più

facile trovare un riparo per pochi. In

questi casi, essere in tanti non fa più

forte la squadra. Anzi, si possono creare

le condizioni per una tragedia.

Nei giorni a seguire è arrivata una lettera

di ringraziamento, scritta con il cuore,

in cui si esprimeva un forte senso di

gratitudine nei confronti delle squadre

CNSAS intervenute. Una gradita sorpresa,

se si pensa che il responsabile di quel

gruppo è anche soccorritore di un’organizzazione

di soccorso dello Stato, con la

quale i rapporti sono talvolta conflittuali.

Un riconoscimento, ma soprattutto la

prova che le competenze del Soccorso

Alpino e Speleologico, maturate in molti

decenni, sono nei fatti e non sulle carte.

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

35


FUORI DALLE (NOSTRE) ACQUE

TERRITORIALI

Maggio 2023. Da ogni canale informativo

rimbalzano le notizie dell’alluvione

che si sta abbattendo in Emilia-Romagna.

Qualche mese prima era toccato

alle Marche, finita con un bilancio di

molte vittime. Ormai queste calamità

sono ricorrenti e il CNSAS si trova, suo

malgrado, ad essere sempre più spesso

in prima linea anche su questo fronte.

Ci si aspetta una telefonata da un momento

all’altro e infatti, come previsto,

arriva la richiesta di supporto al Servizio

regionale Emilia-Romagna. Parte la

squadra forre, equipaggiata con il necessario

per entrare in acqua e per portare

soccorso a chi in acqua non può

entrare. Mute e canotto, jacket di aiuto

al galleggiamento e sonde da valanga,

che fanno il loro dovere anche in acqua.

Partiamo nella notte, come da copione,

e arrivati in zona veniamo guidati

telefonicamente sulle uniche strade

Appena arrivati,

nell’inevitabile caos

che caratterizza le fasi

iniziali dei soccorsi,

ci viene assegnata una

missione: dobbiamo

recuperare una

persona bloccata

nella palazzina

di un quartiere

completamente

allagato, a poche

decine di metri dalle

sponde del fiume

esondato.

36 AVERE 70 ANNI


percorribili e i ponti transitabili: sembra

facile, ma con strade e sottopassaggi

allagati risulta difficile anche solo

raggiungere la base operativa. Come

cercare la strada giusta in un labirinto.

La situazione rispetto alle Marche al

momento appare meno drammatica in

termini di vite umane, ma le dimensioni

sono nettamente più ampie e i danni

incalcolabili.

Appena arrivati, nell’inevitabile caos

che caratterizza le fasi iniziali dei soccorsi,

ci viene assegnata una missione:

dobbiamo recuperare una persona

bloccata nella palazzina di un quartiere

completamente allagato, a poche

decine di metri dalle sponde del fiume

esondato. Un’auto medica ci guida sul

posto, dove ci sono i famigliari delle

persone bloccate; in molti ci chiedono

di sapere qualcosa dei loro parenti, dei

quali non hanno più notizie da molte

ore. Chiediamo dettagli per la localizzazione

delle case, poi entriamo in acqua,

sonde alla mano. Infatti, mentre

avanziamo nell’acqua che si alza progressivamente,

dobbiamo verificare

con le sonde che non ci siano tombini

aperti, scoppiati durante la piena, che

possono inghiottirti letteralmente:

l’ambiente urbano in questi casi è pericoloso

quasi quanto un campo minato,

dove il rischio è entrare in una fabbrica

con prodotti chimici aggressivi sversati

in acqua, lamiere in cui tagliarsi,

smottamenti del terreno e oggetti galleggianti

che nella corrente possono

colpirti o intrappolarti. Già, la corrente,

quella del fiume che scorre a meno di

dieci metri da noi e che qui è debole,

ma basta un leggero incremento della

portata per una pioggia a monte, che

neppure vedi, e il fiume si prende altri

argini portando una forte corrente

dove prima non c’era; si corre il rischio

di essere travolti. Raggiungiamo i condomini

dove la gente, affacciata dai

balconi, chiede aiuto. Siamo partiti con

l’obiettivo di recuperare una persona

con problemi sanitari in divenire e ci

ritroviamo a raccogliere una decina di

richieste di aiuto: abbiamo già impegnato

tutta la notte. Mentre avanziamo

tra le macchine allagate, ne trovo una

legata con la corda, un disperato tentativo

di ritrovarla dove è stata parcheg-

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

37


Entriamo nell’intimità

di queste case, dove

le famiglie al primo

piano sono tutte

sulle scale: il loro

appartamento è una

piscina. Il resto del

palazzo se la passa

solo un po’ meglio.

giata; esempi come questi ce ne sono

molti e fanno capire come la gente,

in questi casi, davanti alla perdita certa

di un bene fa cose assurde, talvolta

mettendo a repentaglio la propria vita.

Finalmente raggiungiamo l’abitazione:

inutile suonare il campanello, non c’è

corrente. Quindi dobbiamo scavalcare

il cancello portando anche il canotto,

ed entrare nel condominio allagato

fino alle scale. Entriamo nell’intimità di

queste case, dove le famiglie al primo

piano sono tutte sulle scale: il loro appartamento

è una piscina. Il resto del

palazzo se la passa solo un po’ meglio,

ma se l’acqua non rientra negli argini

presto sarà un problema di fame e di

emergenza sanitaria: manca l’acqua

corrente, il gas, la luce e ovviamente

le comunicazioni, i cellulari sono scarichi.

Quindi non si può bere, cucinare,

andare in bagno e non si sa nulla sugli

sviluppi dell’alluvione. Questa povera

gente ha salva la vita, ma la ripresa

non sarà facile, e anche quando i danni

materiali saranno stati riparati e gli argini

dei fiumi ricostruiti, a ogni allerta

arancione si presenterà lo spettro di

rivivere un nuovo dramma, di dover

ricominciare da capo. Ma ora dobbiamo

occuparci dell’emergenza e siamo

già all’opera, con una persona anziana

che aiutiamo a scendere le scale, fino al

canotto; senza questo piccolo natante

sarebbe impossibile evacuare la gente,

che altrimenti si vedrebbe costretta ad

entrare nell’acqua gelida fino al petto.

Ma non tutti hanno la fortuna di poter

scendere le scale: chi ha il primo piano

completamente sommerso lo dobbiamo

calare dalla finestra del piano superiore

direttamente sul canotto. La notte

trascorre così per noi, ma siamo svegli

e motivati, facendo da traghettatori a

persone anziane, disabili, bambini e

anche animali domestici. Rientriamo

in base all’alba, ma subito veniamo

taskati per un’altra missione, nelle campagne.

Ci fa da guida l’auto medica,

indispensabile se non si conosce il territorio.

Mentre ci avviciniamo alla zona

operazioni siamo costretti a numerosi

38 AVERE 70 ANNI


aggiramenti per evitare strade ormai

impraticabili. E quando troviamo la

strada giusta, a un passo dall’obiettivo,

vediamo la sconfinata pianura che si

sta allagando a vista d’occhio: un grosso

canale sta esondando e noi siamo

vicini; dobbiamo invertire la marcia e

fuggire: sì, ma dove? È tutto piatto e

non ci sono zone in rilievo. Ci rendiamo

conto di come in questi casi c’è il rischio

concreto di trovarsi in trappola tra due

canali, con la prospettiva di dover abbandonare

i mezzi di soccorso al loro

destino e cercare un albero o un tetto

su cui salvarsi. Fuggiamo a tutta velocità

sulle strade che si stanno allagando,

aprendo un varco nelle acque, riuscendo

a sfuggire per un soffio.

Mentre rientriamo in base veniamo dirottati

su un’altra missione nelle colline

circostanti. E qui ci confrontiamo con

un altro problema, le frane. La strada

che stiamo percorrendo è in buona

parte invasa da colate di terra e vegetazione.

Dopo qualche ostinato tentativo

di proseguire dobbiamo rinunciare,

troppo pericoloso, rischiamo di sparire

in qualche smottamento: questa notte

una squadra CNSAS è sfuggita per un

soffio alla tragedia, rimanendo intrappolata

fino all’alba tra due frane. In

un’alluvione il pericolo non viene solo

il fiume. A metà mattinata la fase critica

dell’emergenza è ormai esaurita, quello

che potevamo fare lo abbiamo fatto e

non ci siamo risparmiati. Rientriamo a

casa sonnolenti, ma sicuri di aver fatto

il nostro dovere fino in fondo, anche

se fuori da quelle che sono le “nostre”

acque territoriali, ma nelle quali sappiamo

muoverci, potendo contare anche

su una cultura della sicurezza che è

nel nostro DNA, e su quell’inspiegabile

sesto senso che si sviluppa con l’esperienza

dopo molte missioni ed esercitazioni

di soccorso.

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

39


LE UNITÀ CINOFILE

Dall’esperienza di Solda

alla Scuola Nazionale

unità cinofile

di Marianna Calovi, coordinamento Rivista CNSAS

Dopo le prime esperienze pionieristiche della Scuola per cani

da valanga, nata negli anni Sessanta a Solda in Alto Adige,

dentro il Soccorso Alpino e Speleologico si è sviluppata una

specializzazione che risulta fondamentale in numerosi scenari:

dalla valanga alla ricerca di superficie, fino ad arrivare alla

ricerca in catastrofe. Parliamo delle Unità cinofile con Markus

Reinstadler, istruttore nazionale di Solda, nel Soccorso Alpino e Speleologico dal

1982.

«Ho una fotografia di me da piccolo nel passeggino, insieme al pastore tedesco di mio

papà; sono nato e cresciuto circondato dai cani». Markus è il figlio di Robert Reinstadler,

uno delle prime unità cinofila del Soccorso Alpino di Solda, insieme ad Albin

Platzer e a Fritz Reinstadler, il fondatore della Scuola cani da valanga che per prima,

in Italia, ha formato unità cinofile di tutto l’arco alpino. «L’intuizione di utilizzare

i cani nella ricerca in valanga è arrivata nel 1960 quando il cane della guida alpina

Fritz Reinstadler, impegnato a lavorare nei pressi di una slavina che mesi prima aveva

40 AVERE 70 ANNI


travolto il parroco del paese nei dintorni

di Solda, si allontana dal suo padrone e

grazie al suo fiuto riesce a individuare il

punto in cui si trova il corpo, cercato invano

da diversi volontari».

Proprio da questo episodio nascono

le basi per organizzare la Scuola cani

da valanga, partita agli inizi degli anni

Sessanta a Solda con corsi più piccoli

a livello provinciale, per poi arrivare

al 1966 con il 1° Corso Nazionale. «Per

concretizzare questa idea, Fritz e altri

componenti del Soccorso Alpino sono

stati in Svizzera per studiare cosa già si

faceva e per apprendere tecniche e metodi

dagli istruttori del posto. Inoltre, bisognava

occuparsi di trovare i cani per i

conduttori; in questo aiutò il maresciallo

della Guardia di Finanza Carlo Arricci,

che regalò quattro cani ai soccorritori

della Stazione di Solda, tra cui c’era mio

padre. Dall’esperienza dei primi corsi organizzati

a livello locale con il supporto

degli istruttori svizzeri, la Scuola è cresciuta,

raggruppando attorno a sé, di

anno in anno, istruttori e discenti non

solo del Soccorso Alpino ma anche della

Guardia di Finanza, dei Carabinieri e del

Corpo forestale, provenienti da diverse

località di tutto l’arco alpino. Al primo

corso nazionale del 1966 hanno partecipato

circa quaranta persone e negli anni

successivi i numeri sono cresciuti».

Come si può leggere dai documenti, il

programma del corso tenuto dal 20 al

28 aprile del 1968 prevedeva lezioni

teoriche sull’equipaggiamento per la

ricerca in valanga, sul primo soccorso

dei travolti e sull’impiego dell’elicottero,

oltre che esercizi pratici in ambiente

su vari tipi di valanga, sugli sci con i

cani, per il trasporto dei cani con la seggiovia,

per l’impiego della sonda in valanga,

di ricerca notturna e con l’intervento

dell’elicottero. «I corsi duravano

sette giorni e si svolgevano sempre la settimana

dopo Pasqua. Erano previsti tre

livelli di corso, classe A, B e C, al termine

del quale chi superava l’esame riceveva

una medaglia di bronzo, d’argento o d’oro,

a seconda della classe. Nei primi anni

Settanta fu realizzato anche un piccolo

manuale scritto da Fritz ed Ernst Reinstadler,

insieme a don Hurton, in italiano e

in tedesco; una sorta di guida dove il conduttore

trovava le direttive per quello che

si era stabilito essere il corretto modo di

addestrare, prendersi cura ed educare il

cane. Certo, alcune cose sono cambiate

nel tempo, come l’approccio all’addestramento.

Inizialmente si è puntato molto

a premiare il cane attraverso il cibo o a

toglierglielo se non faceva il suo lavoro,

successivamente ci si è orientati più verso

la dimensione del gioco con l’utilizzo

sempre più frequente delle palline o altri

oggetti da dare al cane come premio».

Il primo manuale scritto nel

1971 da Fritz Reinstadler, con

la collaborazione di Ernst

Reinstadler e don Josef Hurton.

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

41


La Scuola nasce a Solda per sviluppare

e diffondere l’impiego delle unità

cinofile in uno scenario ben preciso,

quello degli interventi di ricerca in valanga.

Ma ben presto si capisce che le

potenzialità potevano essere maggiori.

«Una delle evoluzioni più importanti

in tema di unità cinofile dentro il Soccorso

Alpino è stata quella di ampliare

la formazione di conduttori e cani per

intervenire in situazioni diverse dalla

valanga. Parlo della ricerca in superficie

e in maceria, ben più complicate della

ricerca in valanga. Sfogliando il primo

calendario della Scuola del 1987, si può

notare che l’interesse verso la ricerca in

superficie era nato già allora. Furono

poi tre le unità cinofile che andarono in

Irpinia per dare una mano dopo il terremoto

del 1980; per questo a Hermann

Pircher, direttore della Scuola dopo

Fritz Reinstadler, dal 1978 al 1984, fu

conferito un diploma di benemerenza.

Sviluppare questa competenza, inoltre,

significava dare maggiore continuità

all’addestramento e alla formazione,

poiché si lavorava tutto l’anno, sia in

estate che in inverno».

Una delle evoluzioni

più importanti in

tema di unità cinofile

dentro il Soccorso

Alpino è stata

quella di ampliare

la formazione di

conduttori e cani

per intervenire in

situazioni diverse

dalla valanga.

Dal primo calendario della Scuola Cani da Valanga di Solda, 1978

42 AVERE 70 ANNI


Diploma di

benemerenza

Rimanendo in tema di evoluzioni, nel

primo manuale del 1971 “Il cane da

valanga e il suo conduttore” ci sono

dei capitoli dedicati alla storia e all’alimentazione

del cane da pastore,

mentre nelle fotografie del calendario

del 1978 si vede che tutti i conduttori

hanno un pastore tedesco. «In un primo

momento l’unica razza impiegata

per fare ricerca in valanga era quella del

pastore tedesco, in effetti. La decisione

presa successivamente di aprirsi ad altre

razze è stata importante e determinante

per migliorare l’efficienza degli

interventi di soccorso. Si pensi soltanto

ai vantaggi nell’impiegare cani di taglia

media, più agili e snelli, anche quando

devono essere messi sull’elicottero.

Oggi, per fortuna, le razze utilizzate per

fare soccorso alpino sono varie, dai Border

collie, al Pastore tedesco grigione, al

Pastore belga malinois, solo per citarne

alcune».

Quello che in tutti questi anni non è

cambiato, probabilmente, è il rapporto

tra il conduttore e il suo cane. Nel caso

dell’unità cinofila, infatti, nonostante il

progresso della tecnologia, la sintonia

che lega il cane e il suo conduttore è

ancora l’elemento chiave capace di risolvere

in modo positivo interventi di

soccorso complessi. «Fin dalle origini

il cane viveva con te, faceva parte della

tua famiglia, lo curavi e lo addestravi

tutti i giorni, lo portavi in vacanza. Al di

là dei cambiamenti che possono esserci

stati in termini di formazione, di alimentazione

e approccio all’addestramento

questo principio valeva nel 1966, e vale

ancora oggi».

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

43


IL COORDINAMENTO

La ricerca che diede

vita a Eureka

di Fabio Bristot (Rufus), Direzione nazionale CNSAS

Il telefono vibrava con fastidiosa insistenza sul tavolo di legno chiaro attorno

al quale la Direzione nazionale stava ormai avviandosi a completare il proprio

lavoro. Un mare di carte e qualche cartellina che avevano iniziato a muoversi

tale era l’insistenza di quelle chiamate che arrivavano da un numero sconosciuto.

Alla fine, ancor prima che quell’incontro avesse termine, mi ero deciso

a rispondere.

“Rufus, Rufus, è la terza telefonata che faccio al numero di casa di Bortoli (nda: Capo

Stazione CNSAS di Feltre dell’epoca) e non risponde! Tu quasi lo stesso, però!”

Avevo risposto chiarendo inizialmente che la nostra Zona per attività di soccorso

era attivabile esclusivamente tramite la Centrale Operativa del 118, sui tre numeri

di reperibilità che ogni Stazione aveva in dotazione proprio da qualche mese, ed

era tassativamente esclusa la chiamata al domicilio del personale CNSAS da parte di

terzi. Quindi, avevo specificato che si chiama De Bortoli, anche se poco cambiava, in

effetti, nell’economia della telefonata.

Dopo questa necessaria precisazione fatta più che altro per evenienze future, era

stata da subito posta in evidenza dal mio interlocutore l’urgenza della chiamata. Un

aereo triposto decollato da Bolzano nel primo pomeriggio con direzione Trieste non

risultava essere atterrato alla destinazione prevista dal piano di volo. I telefoni degli

occupanti risultavano spenti o fuori campo. Non vi era alcuna notizia certa di tracciati

radar o segnali di eventuali trasponder. Nessuna testimonianza su avvistamenti,

anche per le pessime condizioni meteo della giornata. Veniva chiesto al Soccorso

Alpino di Feltre, competente per quello che si riteneva essere il territorio di ricerca

primaria, ovvero la zona del Monte Grappa versante nord e nord-ovest, un’immediata

attivazione sul campo.

44 AVERE 70 ANNI


Ringraziavo in modo genuino per questa

telefonata, con la quale si volevano

accorciare i tempi canonici dell’attivazione

ufficiale, tanto che dopo qualche

istante venivo raggiunto dalla telefonata

di Poggio Renatico (FE) che dava formalmente

inizio all’attività di ricerca dell’aeromobile

targhe I-IABT. Venivano fornite

le anagrafiche dei passeggeri e qualche

altra informazione. Veniva comunicato,

infine, che già in prima mattinata sarebbe

arrivato un AB205 e, successivamente,

un AB412. Sarebbero poi seguiti in

tarda serata ulteriori accordi di natura

tecnica.

Giorno 1 – venerdì 16 aprile

Già nel corso della serata 33 tecnici appartenenti

a 4 Stazioni CNSAS si erano

attivati, iniziando una perlustrazione

delle principali strade boschive e mulattiere

dell’area indicataci dall’Aeronautica

Militare perché considerata come attendibile

per possibili crash. Oltre a questa

attività, venivano verificati promontori

e punti panoramici per cogliere eventuali

riferimenti visivi dell’aereo caduto,

quali fiamme o testimonianze fortuite

di qualcuno che nel primo pomeriggio

avesse notato o sentito qualcosa di

anomalo. L’oscurità e l’indeterminatezza

dell’area non avevano favorito l’attività

di ricerca, motivo per cui, già poco dopo

mezzanotte, erano state allertate altre

componenti del CNSAS e deciso di creare

il centro di coordinamento presso la

caserma locale dei Vigili del Fuoco, dove

aveva sede anche la Stazione, e che disponeva

di un’area dove sarebbe stato

possibile garantire almeno due piazzole

per gli elicotteri.

provvedeva a tracciare le aree di ricerca

primaria, in attesa che l’Aeronautica

Militare arrivasse in zona con i loro due

elicotteri, il centro di coordinamento e

una cisterna per il rifornimento. Nel frattempo,

sia l’elicottero del 118 di Pieve

di Cadore sia quello del 118 di Treviso

effettuavano importanti ricognizioni nel

complesso massiccio del Monte Grappa

e dei gruppi contermini minori, anche

con l’elitrasporto di numerose squadre

in quota. Nel pomeriggio si affiancava

un elicottero dei Vigili del Fuoco per la

sola attività di carattere ricognitivo. Per

tutta la giornata, invece, i due elicotteri

dell’Aeronautica Militare continuavano

senza sosta a scandagliare i fianchi delle

montagne o a elitrasportare altre squadre

in quota.

Tutte le zone verificate con buona attendibilità

venivano recensite sulle carte in

uso a livello locale, utilizzando colorazioni

diverse e indicando con codici convenzionali

la tipologia e composizione

della squadra e la sua denominazione.

Veniva comunicato,

infine, che già in

prima mattinata

sarebbe arrivato

un AB205 e,

successivamente, un

AB412. Sarebbero poi

seguiti in tarda serata

ulteriori accordi di

natura tecnica.

Giorno 2 – sabato 17 aprile

62 tecnici di 8 Stazioni, coordinandosi

in modo ottimale con tutte le forze in

campo, già dalle prime ore del mattino

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

45


Ci si concentrava

allora su quanto

doveva essere

ancora verificato

o era opportuno

riconsiderare,

attraverso un’attenta

pianificazione e

gestione del personale

tecnico e dei mezzi

che si spostavano

sul territorio dalle

prime luci del giorno

al tardo pomeriggio

della giornata.

Il lavoro febbrile si sviluppava in un’area

molto vasta e morfologicamente complessa

con decine di soggetti coinvolti

e con un buon coordinamento da parte

del CNSAS che, insieme al Corpo Forestale

dello Stato e ai Vigili del Fuoco, individuava

le aree da considerare di ricerca

primaria. Si cercava, inoltre, di raccogliere

testimonianze, ma molto spesso si rilevano

prive di fondamento.

Alla sera, come un fulmine a ciel sereno

ci raggiungeva la notizia che la Prefettura

di Vicenza avvocava a sé la direzione

delle ricerche pur essendo marginalmente

interessata dall’evento e senza

dirette competenze nella gestione via

terra delle forze in campo che voleva

dirigere. Si teneva poco dopo una riunione

di fuoco, con una dialettica molto

aspra nel corso della quale, a fronte del

fatto che la stessa Prefettura non aveva

contezza neppure delle aree che erano

state scansionate in giornata, veniva

deciso, con determinazione da parte

del CNSAS, che il coordinamento si tenesse

in quella stanza, a Feltre, e che

le forze via terra fossero coordinate dal

CNSAS. Veniva accettata questa istanza

con il Prefetto di Belluno che mediò

questa soluzione.

Giorno 3 – domenica 18 aprile

La mattinata iniziava con la tensione della

sera precedente non ancora del tutto

dissipata, ma uomini di buona volontà

rimuovevano pian piano le varie incrostazioni

ideologiche createsi e le non

giustificate primogeniture di comando.

Ci si concentrava allora su quanto doveva

essere ancora verificato o era opportuno

riconsiderare, attraverso un’attenta

pianificazione e gestione del personale

tecnico e dei mezzi che si spostavano

sul territorio dalle prime luci del giorno

al tardo pomeriggio della giornata. Notevole

lo sforzo del CNSAS che riesce a

mettere in campo ben 88 tecnici provenienti

da 12 diverse Stazioni.

Veniva potenziata l’attività di ricerca aerea.

Oltre agli equipaggi già menzionati

si aggiungeva un AB412 della Guardia

di Finanza e un AB206 dell’Aeronautica

Militare. Purtroppo, nonostante le aree

ulteriormente scansionate dagli elicot-

46 AVERE 70 ANNI


teri e quelle investigate dal personale a

terra, non si avevano apprezzati indizi

di sviluppo. Tracciati radar e altri aspetti

tecnologici non erano inoltre di alcun

aiuto, poiché i vari modelli proposti venivano

vanificati dalla ricerca che non

dava l’esito sperato. Una certa stanchezza

iniziava, dunque, a farsi sentire soprattutto

sulle persone che già da due

giorni e mezzo, pressoché senza riposo,

agivano incessantemente nel tentativo

di risolvere quell’estenuante ricerca di

cui i media riempivano pagine intere di

cronaca.

Giorno 4 – lunedì 19 aprile

Su richiesta del CNSAS alla Prefettura

di Belluno si affiancavano alle squadre

già in campo una quarantina di uomini

dell’Esercito Italiano con la qualifica di

Alpieri, equipaggiati leggeri e con un’ottima

capacità di movimento, ma purtroppo

con una conoscenza sommaria

dei luoghi, ragion per cui per ogni sei di

loro era previsto un affiancamento di un

tecnico della Stazione di Feltre. Avranno

il compito di verificare un’area piuttosto

vasta contigua al lago del Corlo, in uno

dei comuni prospicenti alla possibile rotta

dell’aereo.

Il tempo era molto variabile con tratti

piovosi che avevano impedito in alcune

ore o limitato del tutto ogni capacità di

ricognizione e perlustrazione da parte

degli elicotteri. Alcune zone erano state

allora ridefinite con l’invio e l’intervento

del personale via terra. Continuava

invece in modo serrato la percorrenza

di tutto il reticolo di arterie secondarie

e di mulattiere della zona. Centinaia di

chilometri percorsi a piedi e con mezzi

fuoristrada, fermandosi per perlustrare

ampie zone con i binocoli.

In modo diligente, pur con l’evidente

limite degli strumenti (nda: altri non ve

ne erano allora) fornivamo alle tre Prefetture

interessate dall’evento e come

successo nei giorni precedenti, un’ottima

evidenza grafica del lavoro fatto dal

personale CNSAS e da quello degli altri

enti e organizzazioni, esplicitando con

segni grafici e colorazioni diverse le varie

Il tempo era molto

variabile con tratti

piovosi che avevano

impedito in alcune

ore o limitato del

tutto ogni capacità

di ricognizione e

perlustrazione da

parte degli elicotteri.

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

47


tipologie di attività resa via terra e con la

ricerca aerea.

Giorno 5 – martedì 20 aprile

Finalmente con condizioni del tempo

più favorevoli, il consueto ingente numero

di tecnici appartenenti alle organizzazioni

già presenti nei giorni precedenti,

congiuntamente ai due elicotteri

del SUEM 118 e quelli dell’Aeronautica

Militare, Guardia di Finanza e Vigili del

Fuoco, tornavano a battere a tappeto

tutto il territorio, spostando l’asse delle

ricerche leggermente più a ovest.

In tarda mattinata, alla Stazione del CN-

SAS di Feltre arrivava una segnalazione

da un privato cittadino, che permetteva,

certificata la notizia come attendibile, di

spostare ancora più a ovest e nord-ovest

l’attività di ricerca aerea e in parte quella

delle squadre terrestri. Ciò previo, obbligatorio

e funzionale coinvolgimento

dell’Aeronautica Militare. Finalmente,

verso le 14, la carcassa dell’aeroplano

viene avvistata proprio da parte di un

elicottero dell’Aeronautica Militare, tra la

neve, al limite di un bosco. Siamo nelle

propaggini nord dell’Altipiano di Asiago,

per circa 350 metri in Comune di Grigno,

Provincia di Trento.

L’elicottero del 118 di Treviso, con nostro

personale a bordo e con un tecnico

Enac, decolla immediatamente seguito

da quello dei Vigili del Fuoco. Vengono

48 AVERE 70 ANNI


ritrovati il pilota (Davide Lofredo di Trieste)

e i due passeggeri (Andrea Brecelli

e Ferruccio Pinzan di Trieste) morti sul

colpo a causa del terribile schianto. Le

salme, una volta ottenuta l’autorizzazione

alla rimozione da parte dell’Autorità

Giudiziaria, vengono portate dall’elicottero

del 118 di Treviso in un luogo facilmente

raggiungibile via strada da parte

dei tecnici Enac e dei Carabinieri.

La ricerca poteva dirsi mestamente conclusa.

Il lavoro straordinario della Stazione

di Feltre alla fine aveva pagato,

assieme a quello di tutti i vari soggetti

intervenuti, tra le quali è opportuno citare

l’Aeronautica Militare per il notevole

lavoro di coordinamento delle forze aeree

in campo e l’importante ospitalità e

logistica dei Vigili del Fuoco. Andava sottolineato

con onestà intellettuale però

che c’era margine per risolvere alcune

problematiche che, con gli strumenti a

disposizione (cartografia cartacea, stampati

presso vari soggetti terzi, computer

senza software dedicati, ecc.), non era

stato possibile finalizzare diversamente.

Quando, cioè, vi sono in campo valori

numerici che hanno raggiunto in una

giornata addirittura le duecento unità

impiegate in attività operativa sul campo,

oltre che cinque elicotteri per le attività

di ricognizione e il trasporto delle

squadre, è pressoché fisiologico che vi

siano degli errori o delle dinamiche che

rallentano alcune fasi della ricerca.

**

Dopo quelle giornate così drammatiche,

dense di aspetti tecnico-operativi ma

anche di risvolti umani, ci siamo interrogati

su una questione prioritaria, ovvero

quella rispetto alla quale avevamo

maggiormente sofferto con quei numeri

straordinari impegnati nella ricerca: non

era più possibile coordinare e dirigere

un’operazione di soccorso così complessa

in ambito montano, con l’interazione

di decine di soggetti diversi per provenienza

e su territori complessi morfologicamente,

con fotocopie in bianco e

nero di cartografia estratta da mappe e

supporti cartacei diversi; con pennarelli

che, nella migliore della ipotesi, nascondevano

il segno grafico sottostante o il

La ricerca poteva dirsi

mestamente conclusa.

Il lavoro straordinario

della Stazione di

Feltre alla fine aveva

pagato, assieme a

quello di tutti i vari

soggetti intervenuti,

tra le quali è

opportuno citare

l’Aeronautica Militare

per il notevole lavoro

di coordinamento

delle forze aeree in

campo e l’importante

ospitalità e logistica

dei Vigili del Fuoco.

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

49


toponimo che invece doveva essere evidenziato;

con pezzi di carta con elenchi

di personale che passavano di mano in

mano di continuo, sino a renderli sdruciti

pizzini. Non era più possibile non avere

un feedback fedele e preciso riguardo

l’uscita delle squadre sul territorio, cioè

la descrizione dell’area o rete di sentieri

assegnati in ordine all’attività resa da un

punto di vista quali-quantitativo, così da

avere l’esatta definizione del lavoro effettivamente

svolto e da chi era stato svolto.

Solo con questi grossolani, ma indispensabili

parametri sarebbe stato possibile

prima pianificare e poi dirigere una ricerca

come quella di Feltre e quelle in qualche

modo assimilabili per il numero di

soggetti coinvolti, per la diversificazione

delle forze in campo e per gli altri fattori

qua in parte esplicitati.

Nacque allora l’idea di sviluppare un

software, poi realmente realizzato grazie

a un finanziamento nell’ambito dell’“Interreg

III Italia-Austria” (nda: progettazioni

di finanziamento UE) e all’attività

congiunta effettuata con il Servizio regionale

del Friuli-Venezia Giulia, che

aveva già lavorato sul tema in questione

in modo analogo e con profitto.

Il nome del software che riassunse tutte

quelle criticità non poteva che essere

allora Èureka (nda: letteralmente “ho

trovato” in greco antico). Venne presentato

nel corso della Cisa-Ikar di Cortina

d’Ampezzo nel 2005, nell’ambito di una

simulazione di ricerca che per la prima

volta venne introdotta in ambito internazionale,

viste le crescenti criticità nella

gestione di questi eventi in territorio

montano e impervio. Èureka è stato per

anni il software in uso al CNSAS e sui

suoi principi operativi è stato realizzato

successivamente Geco.

In chiusura, un aneddoto che avevo dimenticato.

In una delle tantissime riunioni

organizzate per descrivere le specifiche

del progetto del futuro software, avrei

detto “se riusciamo a farlo davvero funzionare

lo chiamiamo anche un poco presuntuosamente

ho trovato”, come buon

viatico per tutte le ricerche future di cui il

CNSAS avrebbe preso parte. Così fu.

50 AVERE 70 ANNI


LE FORZE MESSE IN CAMPO

16 APRILE

ENTE PROVENIENZA NUMERO TECNICI

IMPIEGATI

1 Stazione Soccorso Alpino Feltre 10

2 Stazione Soccorso Alpino Belluno 3

3 Stazione Soccorso Alpino Longarone 7

4 Stazione Soccorso Alpino Pedemontana del Grappa 13

5 VV.F. Belluno 14

7 CC, CFS e PS n.c. 8

53

17 APRILE

ENTE PROVENIENZA NUMERO TECNICI

IMPIEGATI

1 Stazione Soccorso Alpino Feltre 16

2 Stazione Soccorso Alpino Agordo 5

3 Stazione Soccorso Alpino Asiago 8

4 Stazione Soccorso Alpino Belluno 5

5 Stazione Soccorso Alpino Longarone 7

6 Stazione Soccorso Alpino

12

Pedemontana del Grappa

7 Stazione Soccorso Speleo Veneto Orientale 5

8 Stazione Soccorso Speleo Vicenza 4

9 VV.F. Belluno, Treviso e Vicenza e Volontari 58

13 A.M., CC, CFS, GdF e PS n.c. 19

139

18 APRILE

ENTE PROVENIENZA NUMERO TECNICI

IMPIEGATI

1 Stazione Soccorso Alpino Feltre 16

2 Stazione Soccorso Alpino Agordo 5

3 Stazione Soccorso Alpino Alleghe 3

4 Stazione Soccorso Alpino Alpago 5

5 Stazione Soccorso Alpino Asiago 6

6 Stazione Soccorso Alpino Belluno 5

7 Stazione Soccorso Alpino Cortina d’Ampezzo 4

8 Stazione Soccorso Alpino Longarone 7

9 Stazione Soccorso Alpino Pedemontana del Grappa 12

10 Stazione Soccorso Speleo Veneto Orientale 9

11 Stazione Soccorso Speleo Vicenza 6

12 Stazione Soccorso Alpino Trieste ed altre 5

13 VV.F. Belluno, Treviso e Vicenza e Volontari 88

14 A.M., CC, CFS, GdF e PS n.c. 24

15 PROTEZIONE CIVILE n.c. 11

206

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

51


19 APRILE

ENTE PROVENIENZA NUMERO TECNICI

IMPIEGATI

1 Stazione Soccorso Alpino Feltre 11

2 Stazione Soccorso Alpino Agordo 5

3 Stazione Soccorso Alpino Pieve di Cadore 7

4 Stazione Soccorso Alpino Alpago 4

5 Stazione Soccorso Alpino Asiago 8

6 Stazione Soccorso Alpino Belluno 4

7 Stazione Soccorso Alpino San Vito di Cadore 5

8 Stazione Soccorso Alpino Longarone 2

9 Stazione Soccorso Alpino Pedemontana del Grappa 3

10 Stazione Soccorso Alpino Val Biois 5

11 Stazione Soccorso Speleo Veneto Orientale 6

12 Stazione Soccorso Speleo Vicenza 4

13 Stazione Soccorso Alpino Livinallongo del Col di Lana 1

13 VV.F. VV.F. Belluno, Feltre, Treviso e Vicenza 76

15 A.M., CC, CFS, E.I. G.d.F. e PS n.c. + 40 Alpieri 58

16 PROTEZIONE CIVILE n.c. 9

208

20 APRILE

ENTE PROVENIENZA NUMERO TECNICI

IMPIEGATI

1 Stazione Soccorso Alpino Feltre 13

2 Stazione Soccorso Alpino Agordo 7

3 Stazione Soccorso Alpino Pieve di Cadore 2

4 Stazione Soccorso Alpino Asiago 11

5 Stazione Soccorso Alpino Belluno 4

6 Stazione Soccorso Alpino Centro Cadore 3

7 Stazione Soccorso Alpino Longarone 4

8 Stazione Soccorso Alpino Pedemontana del Grappa 3

9 Stazione Soccorso Alpino Sappada 2

10 Stazione Soccorso Speleo Veneto Orientale 9

11 Stazione Soccorso Speleo Vicenza 3

12 Stazione Soccorso Alpino Val Comelico 4

13 VV.F. VV.F. Belluno, Feltre, Treviso e Vicenza 79

15 A.M., CC, CFS, GdF e PS n.c. 16

16 PROTEZIONE CIVILE n.c. 14

174

52 AVERE 70 ANNI


16/20 APRILE - ELICOTTERI

TIPOLOGIA MEZZO ENTE/AMMINISTRAZIONE GIORNATE

1 A109K2 118 di Pieve di Cadore 3

2 A109POWER 118 di Treviso 4

3 AB412 A.M. 3

5 AB205 E.I. 3

6 AB412 G.d.F. di Bolzano 2

7 AB206 A.M. 2

8 A109POWER VV.F. di Venezia 3

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

53


LA PROTEZIONE CIVILE

Sinergie nelle

maxi-emergenze

Il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico è riconosciuto a livello

nazionale come uno dei principali attori nel sistema di Protezione Civile.

Fondato con l’obiettivo primario di soccorrere chiunque si trovasse in difficoltà

nelle aree montane e negli ambienti ipogei naturali, il CNSAS ha

ampliato progressivamente il proprio campo di intervento. Oggi, il suo

ruolo si estende ben oltre i confini delle montagne, con una partecipazione

attiva in operazioni di soccorso durante calamità naturali e incidenti di grande

portata in tutto il territorio nazionale.

La relazione tra il CNSAS e la Protezione Civile si è rafforzata nel corso di decenni,

attraverso una serie di interventi significativi che appartengono alla storia di

quando ancora non esisteva il termine “protezione civile”, né era stato ancora

licenziata una specifica norma che ne disciplinasse il suo complesso mondo. Il

tragico disastro del Vajont del 1963 e l’alluvione di Firenze e del nord-est del 1966

sono stati tra i primi eventi a vedere il coinvolgimento diretto del CNSAS. La capacità

delle squadre di soccorritori di operare in condizioni critiche, come quelle

legate agli smottamenti e alle inondazioni, ha dimostrato la necessità di una predi

Federico Catania, responsabile comunicazione CNSAS

54 AVERE 70 ANNI


senza specializzata e ben coordinata.

Uno degli eventi più devastanti è stato

il terremoto del Friuli del 1976, dove il

CNSAS ha collaborato con la Protezione

Civile e altre forze sul campo per il

recupero dei dispersi e il salvataggio di

vite umane, in un contesto di distruzione

totale. Lo stesso è avvenuto nel

1985 a Stava (TN) e 1987, quando l’alluvione

in Valtellina (SO) ha richiesto

un impegno straordinario per affrontare

frane e strade interrotte. Anche in

questo caso, il CNSAS ha dimostrato la

propria prontezza operativa.

Tra gli anni ‘80 e ‘90, il CNSAS è stato

coinvolto in numerosi altri interventi.

L’incidente dell’ATR 42 nei cieli lariani

in Lombardia nel 1987 e l’alluvione in

Piemonte del 1994 sono esempi emblematici

della sua capacità di adattarsi

a scenari diversificati. Il terremoto

in Umbria e Marche del 1997, che

colpì duramente il centro Italia, vide

ancora una volta il CNSAS protagonista

nelle operazioni di soccorso e recupero

in zone montuose e difficili da

raggiungere.

Uno dei terremoti più distruttivi degli

ultimi anni è stato quello dell’Aquila

del 2009, dove il CNSAS ha avuto un

ruolo determinante nel soccorso dei

dispersi sotto le macerie. Le squadre

hanno lavorato fianco a fianco con gli

altri enti di soccorso per affrontare le

drammatiche conseguenze del sisma.

Il successivo terremoto del 2012, che

ha colpito l’Emilia, la Lombardia e il

Veneto, ha visto un altro massiccio intervento

del CNSAS, che ha messo a

disposizione oltre 600 tecnici.

Negli ultimi anni, gli interventi del

CNSAS si sono moltiplicati a fronte di

eventi naturali sempre più frequenti.

La nevicata che ha colpito le Marche

e l’alto Veneto nel 2012 e nel 2014 ha

richiesto la mobilitazione di centinaia

di tecnici, mentre le alluvioni a Refrontolo

(TV) e in Liguria nel 2014 hanno

visto la partecipazione tempestiva delle

squadre del CNSAS, con oltre 100

tecnici impegnati in ciascun evento. In

modo analogo in altre situazioni manifestatesi

in eventi alluvionali in Toscana,

Liguria e sempre anche in Piemonte,

in successivi eventi.

Il terremoto di Amatrice (RI) del 2016

e le nevicate in Abruzzo nel 2017

hanno rappresentato momenti particolarmente

critici, con una massiccia

presenza del CNSAS. Durante il tragico

evento della valanga di Rigopiano (PE),

il CNSAS è stato tra i primi ad arrivare

sul luogo della tragedia, operando in

condizioni proibitive per giorni, con

oltre 400 tecnici coinvolti.

Nel 2018, la tempesta Vaia, che devastò

vaste aree del nord Italia, ha visto

un’eccezionale mobilitazione del CN-

SAS, con 707 tecnici impegnati nel

soccorso e nella messa in sicurezza

dei territori colpiti. Gli anni successivi

hanno continuato a mettere alla prova

il Corpo: l’alluvione in Piemonte del

2020, (NA) la valanga del Monte Velino

(AQ) nel 2022, l’alluvione nelle Marche

e la tragedia di Ischia sono solo alcuni

Il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico ringrazia il dott. Fabrizio Curcio per il lavoro svolto durante

la sua guida del Dipartimento della Protezione Civile. La sua collaborazione, oltre a quella del suo staff, è stata

preziosa in molte situazioni operative. Al suo successore subentrato a luglio 2024, dott. Fabio Ciciliano, auguriamo

buon lavoro nel nuovo incarico, certi che il dialogo e la collaborazione continueranno nel solco delle attività svolte

insieme negli anni passati.

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

55


Questi eventi, pur se

diversificati per natura

e portata, hanno un

filo conduttore: la

capacità del CNSAS di

operare in situazioni

di emergenza con

efficienza e rapidità.

esempi degli eventi che hanno visto

la presenza primaria del CNSAS nelle

operazioni di soccorso.

Uno degli eventi più complessi dal

punto di vista operativo è stato il crollo

dei seracchi sulla Marmolada nel 2022,

dove la collaborazione tra il CNSAS e i

servizi di elisoccorso di Trento, Belluno,

Bolzano (Aiut Alpin Dolomites) e Treviso,

con un’attività sinergica svolta in

modo contestuale, è stata cruciale per

affrontare un’emergenza in alta quota

e recuperare le vittime ed i feriti. In

quell’occasione, il CNSAS ha dimostrato

ancora una volta come la specializzazione

delle sue squadre sia fondamentale

in situazioni estreme.

Nel 2023, l’alluvione in Emilia-Romagna

ha rappresentato l’ennesima sfida

per il CNSAS. Con 368 tecnici impegnati

nelle operazioni di evacuazione e recupero

delle zone colpite, il Corpo ha

risposto con prontezza e determinazione

a una delle peggiori crisi legate

ad eventi meteo degli ultimi anni.

Questi eventi, pur se diversificati per

natura e portata, ai quali andrebbero

ad aggiungersi altre decine di casistiche

similari, hanno un filo conduttore:

la capacità del CNSAS di operare in

situazioni di emergenza con efficienza

e rapidità. Le squadre del Corpo

Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico,

formate per affrontare condizioni

estreme in montagna e in grotte

e negli ambienti impervi del territorio

56 AVERE 70 ANNI


nazionale, sono state in grado di mettere

a frutto la loro esperienza anche in

contesti urbani e in situazioni di calamità

naturali.

La relazione con la Protezione Civile si

basa su una collaborazione costante

e strategica. Il CNSAS non è solo una

struttura operativa ai sensi del D.lgs.

2 gennaio 2018, n. 1, ma anche una

realtà che partecipa attivamente alla

pianificazione delle attività di prevenzione

e gestione delle emergenze. Gli

scenari operativi in cui il CNSAS è stato

coinvolto negli anni hanno contribuito

a sviluppare un metodo di lavoro

sempre più efficiente, fondato sulla

prontezza operativa, la specializzazione

tecnica e una forte capacità di coordinarsi

con le altre forze in campo.

In un Paese come l’Italia, dove il rischio

di terremoti, alluvioni e incidenti

legati all’ambiente naturale e ad

altri fattori, che naturali non sono, è

purtroppo sempre presente, il ruolo

del CNSAS rappresenta un indiscusso

asset operativo per intervenire a

fianco della Protezione Civile in molte

delle diversificate emergenze e secondo

specialità del Corpo.

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

57


OLTRE I CONFINI

L’impegno nei

progetti internazionali

di Simone Alessandrini, viceresponsabile comunicazione CNSAS

Il nostro Corpo si è distinto, in modo particolare negli ultimi due anni, per il

suo impegno non solo sul territorio nazionale, ma anche a livello internazionale.

Due recenti progetti in Kosovo e Pakistan testimoniano la dedizione

del Soccorso Alpino e Speleologico nel condividere le proprie competenze

e nel promuovere la sicurezza in montagna in contesti internazionali.

In Kosovo, il CNSAS ha svolto un ruolo fondamentale nella formazione di una nuova

generazione di soccorritori montani. Nell’ambito del progetto “Naturkosovo”,

realizzato dalle ONG italiane CELIM e RTM sotto la supervisione dell’Agenzia Italiana

per la Cooperazione e lo Sviluppo (AICS) del Ministero degli Affari Esteri, è

stata completata con successo la formazione di trenta soccorritori di base e otto

soccorritori avanzati, ad opera di istruttori afferenti alle Scuole Nazionali Tecnici

e Medici (alpina). Un totale di oltre venti giornate di formazione e valutazione,

che hanno ravvivato un movimento di persone interessate a svolgere l’attività di

soccorso in montagna, capaci di cogliere l’opportunità di imparare e, soprattutto,

di comprendere l’importanza dell’auto-organizzazione a livello burocratico e

politico. Infatti, grazie al progetto NaturKosovo, il neocostituito gruppo di soccor-

58 AVERE 70 ANNI


ritori in poco più di un anno è riuscito

ad ottenere, con il supporto della compagine

italiana, tre locali da adibire a

Stazioni di soccorso nelle municipalità

di Decani, Peja e Junik, dotati di ogni

materiale di squadra necessario per lo

svolgimento di missioni di soccorso. È

motivo d’orgoglio per il Soccorso Alpino

e Speleologico registrare l’entusiasmo

e il rispetto verso i nostri istruttori

e, soprattutto, sapere che i soccorritori

formati sono chiamati spesso a condurre

operazioni di ricerca e soccorso

anche nella vicina Albania. Il progetto

vedrà attivarsi entro il 2025 ulteriori

moduli di re-training per fissare i concetti

e mantenere il rapporto di collaborazione

tra CNSAS ed il servizio di

ricerca e soccorso del Kosovo.

Nella primavera scorsa gli istruttori

regionali tecnici del Piemonte e della

Lombardia hanno collaborato al

progetto “High Altitude Guides”, che

rappresenta un altro grande esempio

dell’impegno internazionale del CN-

SAS. In collaborazione con EvK2CNR,

tre istruttori hanno contribuito alla formazione

di oltre trenta guide locali in

Pakistan, con l’obiettivo di migliorare

la loro sicurezza durante le spedizioni

in alta quota. Le sessioni di formazione

hanno incluso tecniche di progressione

su vari tipi di terreno, recupero e calata

su roccia e ghiaccio, oltre a tecniche

di soccorso: attività volte a rafforzare

le capacità delle guide locali nell’affrontare

le sfide poste dall’alpinismo

ad alta quota. La collaborazione con le

guide pakistane ha permesso di creare

un importante ponte tra esperienze e

conoscenze, consolidando la presenza

del Soccorso Alpino e Speleologico anche

in contesti montani lontani e impegnativi.

Questi progetti rappresentano solo

una parte dell’ampio spettro delle attività

internazionali del CNSAS, che continua

a condividere le proprie competenze

tecniche e sanitarie in varie parti

del mondo (basti pensare alla complessa

operazione di soccorso coordinata

dai tecnici di Soccorso Speleologico e

dai sanitari italiani in Turchia poco più

di un anno fa). Attraverso la formazione,

l’addestramento e il trasferimento

di know-how, il CNSAS contribuisce a

creare una rete globale di soccorritori

pronti ad affrontare le sfide dell’ambiente

montano, ovunque esse si presentino.

È motivo d’orgoglio

per il Soccorso

Alpino e Speleologico

registrare

l’entusiasmo e il

rispetto verso i

nostri istruttori e,

soprattutto, sapere

che i soccorritori

formati sono chiamati

spesso a condurre

operazioni di ricerca e

soccorso anche nella

vicina Albania.

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

59


LA LEGISLAZIONE

Nella storia del Soccorso Alpino e Speleologico, menzione speciale

merita anche la ricca produzione normativa, sia statale

che regionale, che in questi anni ha contribuito alla crescita

e allo sviluppo delle attività istituzionali del CNSAS. In virtù

della loro importanza, tutte le disposizioni normative che disciplinano

il ruolo e le competenze del Corpo, sono state infatti

oggetto di recente pubblicazione nel volume “Normativa statale e regionale, e

ordinamento interno del CNSAS”, presentato in occasione dell’Assemblea nazionale

del 18 maggio a Coccaglio (Brescia).

La raccolta normativa, frutto di un progetto giunto a compimento dopo anni di

lavoro, ripercorre in ordine cronologico i vari testi di legge a partire da quelli recanti

le prime sovvenzioni riconosciute al Club Alpino Italiano per le attività di vigilanza,

La raccolta

normativa

sul CNSAS

di Gian Paolo Boscariol, socio onorario CNSAS e Claudia Ortu, responsabile

comunicazione CNSAS Sardegna

60 AVERE 70 ANNI


prevenzione e soccorso degli infortunati

nell’esercizio delle attività alpinistiche

fino alle più recenti disposizioni che disciplinano

le diverse realtà territoriali.

Il principale contributo che questa

pubblicazione intende dare è proprio

quello di ricostruire i vari passaggi che

hanno determinato un progressivo e

maggiore riconoscimento a livello normativo

delle attività istituzionali fino

all’attuale disciplina che, proprio in virtù

del fatto che vengono espletate sul territorio

nazionale attraverso i 21 Servizi

regionali o provinciali in cui si articola

il Corpo, corrispondenti alle 19 Regioni

e alle 2 Province autonome di Trento e

di Bolzano, sono state anche oggetto di

disciplina a livello territoriale.

IL QUADRO NORMATIVO NAZIONALE

Ripercorrendo le varie tappe che hanno

portato all’attuale disciplina che regola

l’operato dei volontari del CNSAS, occorre

sottolineare che, rispetto alla data

di costituzione del CNSAS (1954) quale

Sezione “speciale” del Club Alpino Italiano,

a livello di legislazione statale soltanto

nel 2001 si ebbe una legge speciale

(legge n. 74 del 2001), con la quale

lo Stato disciplina l’attività del CNSAS.

Precedentemente, già con la legge n.

93 del 1961 di riordino del CAI (poi modificata

dalla legge n. 776 del 1985), il

legislatore riconobbe, tra i compiti ad

esso assegnati, quello di provvedere

all’organizzazione di idonee iniziative

tecniche per la vigilanza e la prevenzione

degli infortuni nell’esercizio delle

attività alpinistiche, escursionistiche

e speleologiche, per il soccorso degli

infortunati o dei pericolanti e per il recupero

dei caduti (art. 2, primo comma,

lett. g).

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

61


A livello di

legislazione statale

soltanto nel 2001

si ebbe una legge

speciale (legge n. 74

del 2001), con la quale

lo Stato disciplina

l’attività del CNSAS.

Ad essa seguì la legge n. 162 del 1992

dove troviamo finalmente specifiche

disposizioni per i volontari del CNSAS

e per l’agevolazione delle relative operazioni

soccorso (c.d. legge Marniga). In

seguito, con il decreto legislativo n. 419

del 1999 (art. 6, co. 6) il CNSAS fu dotato

di autonomia organizzativa, funzionale

e patrimoniale.

Ma è con la legge n. 74 del 2001 che

viene riconosciuto e sancito il valore

di solidarietà sociale e la funzione di

servizio di pubblica utilità svolta dal

CNSAS (art. 1, co. 1) e, altresì, affermati

i suoi compiti nell’ambito del Servizio

nazionale della Protezione civile (art.

1, co. 4) e, in particolare, del Servizio

sanitario nazionale (art. 2). Rispetto a

quest’ultimo infatti, viene stabilito che

le Regioni e le Province autonome di

Trento e di Bolzano, individuano nelle

strutture operative regionali e provinciali

del CNSAS i soggetti di riferimento

esclusivo per l’attuazione del soccorso

sanitario nel territorio montano e in

ambiente ipogeo, prevedendo altresì,

nell’ambito dell’organizzazione dei servizi

di urgenza e di emergenza sanitaria,

la possibilità di stipulare apposite

convenzioni con le strutture operative

regionali e provinciali del Corpo, atte

a disciplinare i servizi di soccorso e di

elisoccorso.

Da ultimo, la legge n. 74 è stata modificata

dall’articolo 37-sexies del D.L. n.

104 del 2020. In virtù di questo progressivo

riconoscimento anche a livello

normativo dell’importanza della funzione

svolta, l’Assemblea dei delegati

CAI del 18 dicembre 2010 deliberò di

trasformare il CNSAS da “sezione speciale”

a “sezione nazionale” del CAI e nel

marzo 2014 fu riconosciuta al CNSAS la

personalità giuridica.

L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA

REGIONALE

Le prime leggi regionali o provinciali di

riconoscimento del ruolo e delle attività

di soccorso svolto dalle strutture ter-

62 AVERE 70 ANNI


ritoriali del CNSAS si ebbero ovviamente

nelle regioni alpine e sorsero ancor

prima della legge del 1961 di riordino

del CAI.

Già nel 1958, con la legge n. 14, il Trentino-Alto

Adige aveva provveduto alla creazione

di un fondo per le spese derivanti

da interventi dei corpi di soccorso alpino

della Regione: in conseguenza dell’attribuzione

di competenze alle due Province

autonome di Trento e di Bolzano, nel

1973 il fondo fu riproposto in forma provinciale

da due apposite leggi provinciali.

Nel 1961 fu la volta della Valle d’Aosta

con la legge n. 2 (Provvidenze per l’incremento

del patrimonio alpinistico e

per l’attrezzatura e il funzionamento dei

servizi del Corpo di Soccorso alpino), per

poi istituire con l’articolo 9 della legge n.

39 del 1975 il Soccorso Alpino Valdostano

- SAV. Il Friuli-Venezia Giulia disciplinò

l’attività del CAI con la legge n. 34 del

1992, considerando anche le attività del

Soccorso Alpino e Speleologico.

Con l’effettiva nascita delle regioni a statuto

ordinario anche le altre regioni alpine

emanarono disposizioni legislative

sul soccorso alpino: la Lombardia con la

legge n. 29 del 1976; il Veneto con la legge

n. 62 del 1979, il Piemonte con alcuni

articoli della legge n. 24 del 1980.

Sul versante appenninico nel 1977 la

Toscana approvò la legge n. 51 sul “Servizio

di soccorso alpino”, così come l’Abruzzo

intervenne sulla materia con la

legge n. 52; ad esse seguirono il Molise

con la legge n. 22 de 1980 (quale contributo

annuo alla “squadra di soccorso”

della Sezione del CAI), le Marche con la

legge n. 23 del 1983, l’Emilia-Romagna

con la legge n. 12 del 1985, il Lazio con la

legge n. 27 del 1988, la Toscana con l’articolo

9 della legge n. 17 del 1988 (sulla

“Rete escursionistica della Toscana”) e la

Liguria con la legge n. 15 del 1993.

Con l’emanazione di una legge organica

a livello nazionale (legge n. 74

del 2001) solo alcune Regioni – e peraltro

in anni recenti – hanno tuttavia

provveduto ad approvare una nuova

normativa più completa e organica

rispetto alla precedente, andando a

recepire pienamente i contenuti della

stessa legge nazionale: l’Abruzzo (legge

n. 20 del 2014); la Lombardia (legge

n. 5 del 2015); il Veneto (legge n. 11 del

2015); la Calabria (legge n. 1 del 2017);

il Friuli-V.G. (legge n. 24 del 2017); il Molise

(legge n. 17 del 2017).

Negli anni più recenti sono state approvate

specifiche leggi dalla Campania

(legge n. 21 del 2019, poi modificata

nel 2020), dal Piemonte (legge n. 20 del

2021), dall’Umbria (legge n. 1 del 2021)

e dalla Toscana (legge n. 18 del 2024).

In altri casi il legislatore regionale, richiamando

la legge n. 74, si è limitato

a riconoscere il ruolo del regionale CN-

SAS nell’ambito di norme di carattere

più eterogeneo, senza tuttavia fornire

una disciplina dettagliata: è il caso della

Sardegna (art. 15, co. 11, legge n. 2

del 2007) e della Sicilia (art. 11, co. 58,

legge n. 26 del 2012).

Una disciplina particolare sull’organizzazione

del soccorso alpino (in questo

caso il SAV) è stata adottata dalla Valle

d’Aosta con la legge n. 5 del 2007, mentre

la Provincia autonoma di Bolzano

con la legge n. 13 del 2007 e la Provincia

autonoma di Trento con l’articolo 44

della legge n. 9 del 2011 ne hanno disciplinato

le modalità di finanziamento

nell’ambito delle rispettive normative

in tema di protezione civile.

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

63


LA PREVENZIONE

Sicuri in montagna

verso i 25 anni

La presenza sul territorio, anche se disomogenea, ha fatto rete e da tempo ogni

giornata è caratterizzata dalla proposta di decine di eventi in grado di coinvolgere

direttamente un numero rilevante di appassionati; approssimativamente, sono

sempre diverse migliaia le partecipazioni che si contano. Queste due giornate, se

pur nel loro ambito, ovvero senza velleità formative ma solo perseguendo obietdi

Elio Guastalli, referente progetto Sicuri in montagna

Sicuri in montagna, il progetto della Direzione nazionale

del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e

Speleologico, si avvia verso il traguardo dei 25 anni;

eravamo ad inizio millennio quando, con l’indimenticabile

Daniele Chiappa “Ciapin”, si diede vita a

quest’idea per parlare di prevenzione degli incidenti

in montagna.

Da subito si pensò di registrare Sicuri in montagna come marchio

del CNSAS e col tempo le sue attività, concentrate nelle

due giornate nazionali, quella invernale la terza domenica di

gennaio e quella estiva la terza domenica di giugno, si sono

diffuse e radicate sul territorio nazionale. Da molti anni la collaborazione

è ampiamente condivisa con il Club Alpino Italiano

attraverso il coinvolgimento attivo di scuole e sezioni. Al pari, questi momenti

sono sempre favorevoli per allacciare buoni rapporti con enti e amministrazioni

sviluppando così efficaci sinergie. Molte iniziative passano attraverso i mezzi di

comunicazione, giornali e tv, a volte anche di carattere nazionale; questa cassa

di risonanza ci aiuta in modo efficace a diffondere un messaggio di prevenzione

equilibrato, senza alterare la visione della montagna e di chi la frequenta.

64 AVERE 70 ANNI


tivi informativi e di sensibilizzazione,

hanno raggiunto una diffusione e un

seguito che le collocano senza dubbio

fra le manifestazioni più partecipate

all’interno del CNSAS e del CAI. Convegni,

presidi, escursioni guidate, campi

neve dimostrativi e molto altro, sono

le attività che parlano di prevenzione,

di responsabilità e consapevolezza, di

amore per la montagna, della necessità

di viverla in libertà ma sempre con

il giusto equilibrio fra passione e prudenza.

UN QUARTO DI SECOLO È UN

PERIODO IMPORTANTE; LE

ESPERIENZE REALIZZATE IN

QUESTI ANNI RACCONTANO

MOLTE COSE CHE, SE PUR

BREVEMENTE, VALE SEMPRE LA

PENA CONDIVIDERE. MOLTE

OSSERVAZIONI EMERGONO

DALLA RACCOLTA DEI DATI

INFORMATIVI CHE, SENZA

POTER VANTARE UNA VALENZA

STATISTICA, EVIDENZIANO

ASPETTI INTERESSANTI, A

VOLTE CURIOSI.

Molti partecipanti alle giornate di Sicuri

in montagna non sono iscritti al

CAI; questo riscontro è positivo perché

dimostra la capacità di queste iniziative

di avvicinare persone spesso principianti,

comunque interessate a ricevere

utili consigli e a condividere buone

pratiche. Una considerazione emersa

negli ultimissimi anni, sempre osservando

i partecipanti e leggendo le

loro dichiarazioni, riguarda l’aumento

di appassionati alle prime armi e poco

consapevoli, che approcciano la montagna

sulla spinta della voglia di libertà

scaturita nel post covid. Questo problema

di frequentazione di massa della

montagna si traduce non solo con l’assalto

a bivacchi e rifugi ma anche con

l’aumento significativo delle chiamate

di soccorso accompagnate, a volte, da

aspettative poco ragionevoli.

Senza dubbio, la frequentazione della

montagna segue una sua stagionalità,

almeno così era e così dovrebbe essere.

Purtroppo, gli innegabili cambiamenti

climatici hanno alterato il flusso delle

stagioni e, al contempo, la possibilità

per molti appassionati di valutare la

montagna in modo obiettivo, senza

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

65


Molti partecipanti

alle giornate non

sono iscritti al CAI;

questo riscontro

è positivo perché

dimostra la capacità

di queste iniziative

di avvicinare persone

spesso principianti,

comunque interessate

a ricevere utili consigli

e a condividere buone

pratiche.

farsi prendere dalla smania delle proprie

aspettative. Ne è prova, ad esempio, ciò

che si osserva durante le giornate di prevenzione

invernali quando molte persone,

anche esperte, non nascondono

la loro incapacità di resistere al fascino

delle prime nevi, se pur depositate con

evidenti fattori di alta criticità. Se a questo

si aggiunge poi il fatto che non sono

pochi coloro che continuano a confondere

la prevenzione del rischio da valanga

con l’autosoccorso e l’autosoccorso

con la sola ricerca con l’ARTVa, si evince

come i problemi non siano affatto risolti.

Un’altra osservazione riguarda il cambiamento

delle attività, ovvero delle

discipline che vengono coinvolte dalle

giornate di Sicuri in montagna, ad

esempio, attraverso i presidi dei sentieri;

sia nella stagione estiva che in

quella invernale. Venticinque anni fa i

ciaspolatori non erano numerosi; oggi,

battono di gran lunga gli scialpinisti

dimostrando, purtroppo, una preparazione

mediamente assai più modesta,

per quanto riguarda la frequentazione

dell’ambiente innevato in ragionevole

sicurezza. Nei presidi dei sentieri durante

la stagione estiva, in modo tanto

evidente quanto inaspettato, si osserva

l’aumento della mountain bike, incentivata

anche dalla diffusione delle biciclette

a pedalata assistita. I problemi

che ne derivano non sono trascurabili

e si possono misurare anche attraverso

le statistiche degli incidenti. Oggi le

ferrate sono oggetto di maggiore attenzione

per quanto riguarda l’uso dei

sistemi di auto protezione, set di dissipazione

dell’energia di caduta, imbracatura

e casco; rimangono comunque

66 AVERE 70 ANNI


percorsi di facile approccio dove non è

difficile osservare persone con qualche

difficoltà di progressione.

Si diceva che le esperienze e i dati rilevati

in tanti anni di Sicuri in montagna

meriterebbero di essere maggiormente

condivisi; è vero. Nel passaggio dei

25 anni d’attività si potrebbe pensare

di programmare una connessione, un

incontro, fra quanti, con passione e a

volte con caparbietà, si sono impegnati

per diffondere questo progetto di prevenzione:

ci proveremo.

200.000 DOWNLOAD PER GEORESQ

GeoResQ, l’applicazione dedicata alla sicurezza in montagna, ha raggiunto un traguardo significativo: 200.000

iscritti! Ideata dal Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico in collaborazione con il CAI, GeoResQ è

un prezioso strumento per chi frequenta le montagne. L’app permette di inviare richieste di soccorso in modo

rapido e preciso, fornendo la propria posizione esatta e riducendo così i tempi di intervento. Disponibile su

smartphone, è particolarmente utile per chi pratica escursionismo, alpinismo o mountain bike. Questo straordinario

risultato testimonia quanto sia fondamentale la prevenzione e la sicurezza in montagna. GeoResQ si

conferma un compagno essenziale per gli amanti della natura, contribuendo a rendere più sicure le esperienze

all’aria aperta. Se non lo hai già fatto, promuovi il download dell’app GeoResQ tra i tuoi amici e conoscenti!

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

67


LA COMUNICAZIONE

Un ponte tra

l’operatività e la

società: il ruolo della

comunicazione

La struttura della comunicazione all’interno del CNSAS è articolata e ramificata:

ogni Servizio regionale o provinciale ha un proprio responsabile per la stampa

o per le comunicazioni territoriali. A livello nazionale, un team cura la comunicazione

per garantire uniformità di linguaggio e di messaggio, lavorando a stretto

contatto con i vari territori. Questa sinergia tra il livello nazionale e territoriale

consente di affrontare in modo puntuale ogni situazione, garantendo sia l’operadi

Federico Catania, responsabile comunicazione CNSAS

Nel contesto operativo del Soccorso Alpino e Speleologico, la

comunicazione riveste un ruolo cruciale, non solo per garantire

una corretta informazione verso l’esterno, ma anche per

coordinare e coinvolgere i nostri membri a livello interno. Un

aspetto che emerge con forza è la delicatezza e l’importanza

di mantenere un equilibrio tra una comunicazione efficace,

trasparente e rispettosa, considerato che spesso siamo chiamati a parlare non

solo a chi opera sul campo, ma anche a chi è coinvolto emotivamente, come le

famiglie delle vittime.

68 AVERE 70 ANNI


tività locale sia una visione di insieme

coerente.

GLI STRUMENTI DELLA

COMUNICAZIONE

Per far sì che le nostre attività siano comprese

e valorizzate correttamente, utilizziamo

diversi strumenti di comunicazione,

ciascuno con un ruolo specifico:

• comunicati stampa: rappresentano

lo strumento principe per informare

i media e l’opinione pubblica

in maniera tempestiva e accurata.

Ogni volta che avviene un intervento

significativo, i nostri responsabili

territoriali sono pronti a redigere

comunicati che rispettano il giusto

equilibrio tra dati tecnici e attenzione

alle persone coinvolte;

• newsletter interna: fondamentale

per tenere informati tutti i nostri soci

sulle iniziative in corso, gli aggiornamenti

normativi e le storie di intervento.

Questo canale rafforza il senso

di comunità all’interno del CNSAS e

favorisce lo scambio di conoscenze

tra i vari livelli operativi;

• rivista del CNSAS: un vero e proprio

punto di riferimento per approfondimenti

tematici e storie di successo.

Attraverso articoli che esplorano

ogni aspetto del nostro lavoro, dalla

tecnica agli interventi più complessi,

diamo voce a chi opera ogni giorno

sul campo e offriamo uno sguardo

più ampio sulla missione del Soccorso

Alpino e Speleologico;

• social media: i canali digitali come

Facebook, X (ex Twitter), LinkedIn,

TikTok, Instagram e YouTube ci permettono

di raggiungere un pubblico

vasto e variegato, divulgando contenuti

che vanno dalle informazioni sugli

interventi in corso, alle campagne

di prevenzione e sensibilizzazione,

fino alle storie umane che caratterizzano

il nostro lavoro. L’utilizzo strategico

dei social ci consente di essere

presenti sia in situazioni di emergenza,

dove la tempestività è fondamentale,

sia in contesti più educativi,

rafforzando il nostro ruolo anche in

ottica di prevenzione.

BILANCIARE LA COMUNICAZIONE:

UNA SFIDA QUOTIDIANA

La nostra comunicazione deve sempre

essere bilanciata. Da un lato, c’è la necessità

di fornire informazioni accurate e

tempestive, soprattutto quando ci sono

operazioni in corso o situazioni di emergenza.

Dall’altro lato, però, vi è il rispetto

dovuto alle famiglie delle persone

coinvolte negli incidenti e il bisogno di

evitare qualsiasi sensazionalismo. Questa

delicatezza è fondamentale perché

ogni parola pesa quando ci si confronta

con storie umane, spesso drammatiche.

OGNI GIORNO ABBIAMO GLI

OCCHI PUNTATI ADDOSSO,

NON SOLO DA PARTE DEI

MEDIA, MA ANCHE DALLE

FAMIGLIE DELLE VITTIME E

DAI CITTADINI CHE SEGUONO

CON APPRENSIONE LE

NOSTRE ATTIVITÀ. IL NOSTRO

TEAM DI COMUNICAZIONE,

A TUTTI I LIVELLI, È

CHIAMATO A GESTIRE

CON PROFESSIONALITÀ E

SENSIBILITÀ OGNI SINGOLA

COMUNICAZIONE, PER

GARANTIRE CHE IL MESSAGGIO

TRASMESSO SIA SEMPRE

CORRETTO, RISPETTOSO E

IN LINEA CON I VALORI DEL

CNSAS.

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

69


LA COMUNICAZIONE INTERNA: UN

COLLANTE PER L’ORGANIZZAZIONE

Se la comunicazione verso l’esterno

è cruciale, quella interna non è meno

importante. Mantenere un flusso costante

di informazioni tra i vari livelli

dell’organizzazione, aggiornare costantemente

i nostri operatori sulle novità e

le best practice, e condividere i successi

e le difficoltà è fondamentale per mantenere

coesa la nostra grande famiglia.

La newsletter interna, ad esempio,

non è solo un bollettino di notizie, ma

uno strumento che rafforza il senso di

appartenenza e alimenta lo spirito di

squadra.

INIZIATIVE PER IL 70°

ANNIVERSARIO: LA SPILLETTA

CELEBRATIVA

Tra le numerose iniziative che hanno

caratterizzato quest’anno, in occasione

del 70° anniversario della fondazione

del CNSAS, una delle più sentite è stata

l’invio di una spilletta celebrativa a tutti

i nostri soci. Un gesto simbolico, ma di

grande valore, che ha permesso a ciascuno

di noi di sentirsi parte di questa

grande storia fatta di solidarietà, passione

e impegno. La spilletta non è solo

un ricordo di un traguardo importante,

ma anche un simbolo del legame che

unisce tutti i membri del Soccorso Alpino

e Speleologico.

La comunicazione all’interno del CN-

SAS è dunque molto più di un semplice

strumento operativo: è un collante che

tiene insieme tutte le parti dell’organizzazione,

permette di dialogare con il

pubblico e con le famiglie delle vittime

e assicura che il nostro messaggio arrivi

sempre in modo chiaro e rispettoso.

Un ringraziamento speciale va a tutte

le persone che negli anni hanno contribuito

a costruire e rafforzare la comunicazione

del CNSAS, rendendo possibile

una diffusione corretta, puntuale

e rispettosa del nostro lavoro. Grazie

agli addetti stampa, ai responsabili

delle comunicazioni territoriali e ai vari

team nazionali che si sono succeduti, il

Soccorso Alpino e Speleologico è oggi

in grado di trasmettere non solo informazioni,

ma anche i valori di solidarietà

e passione che ci caratterizzano. Il loro

(e nostro) impegno, spesso svolto dietro

le quinte, è stato ed è fondamentale

per garantire che la nostra voce arrivi

chiara e forte ai media e nelle istituzioni,

con l’equilibrio necessario in ogni

situazione.

70 AVERE 70 ANNI


IL RICORDO

Le vette più alte non sono solo

montagne, ma monumenti a chi ha

sacrificato tutto per il bene degli altri.

Il vostro ricordo rimane

incancellabile nei cuori di chi

continua a scalarle.

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

71


INTERVISTA

INTERVISTA

L’importanza di

essere umani

Intervista a Gino Comelli

di Simone Alessandrini, viceresponsabile comunicazione CNSAS

Gino è un’istituzione del CNSAS che non necessita di presentazione

alcuna. Chi come me ha avuto la fortuna e l’onore di

incrociare la sua strada all’interno del percorso di formazione

da soccorritore sa bene di cosa si parla: con lui ci si sentiva

in soggezione per l’enorme bagaglio tecnico e culturale, ma

mai sotto pressione durante le varie fasi di valutazione. Aveva

una qualità che superava le sue indiscutibili capacità tecniche da alpinista e

soccorritore: era umano. In quanto tale comprendeva bene l’importanza di essere

brave persone ancora prima di tecnici impeccabili, proprio perché, come

lui ripeteva spesso, «abbiamo a che fare con vite umane, non con macchine».

E proprio da qui nasce l’idea comune di realizzare l’ennesima intervista, che

72 INTERVISTA


però non raccontasse delle sue imprese

alpinistiche, dei suoi albori nella

sua amata Val Rosandra o della genesi

del suo orgoglio più grande: l’Aiut

Alpin. Nella nostra chiacchierata, la

sua ultima a microfoni accesi, abbiamo

intenzionalmente approfondito

tematiche che vanno oltre la cronaca

di quanto già ampiamente raccontato,

concentrandoci sull’importanza di

lasciare un messaggio, una riflessione

a chi avrebbe letto quelle parole. La

speranza per tutti noi dell’area comunicazione,

era di poter regalare a Gino

questo ulteriore riconoscimento, a

riprova di quanto lui sia stato importante

per tutti noi, con la sua disponibilità

e fiducia nei nostri confronti

e nel nostro operato quotidiano. Al

termine dell’intervista l’emozione

tradiva la speranza, consapevoli che

quelle parole avrebbero assunto un

significato ancora più profondo.

Gino, tutti ormai sappiamo della tua

gioventù, prima in Val Rosandra, poi

in Val di Fassa e in Val Gardena. Come

è nato il tuo rapporto con il Soccorso

Alpino e Speleologico?

Mi ricordo che, come guida giovane, ero

spesso senza clienti e quindi libero. Di

conseguenza, quando c’era un soccorso,

spesso il capostazione mi chiamava

per collaborare con loro. Ho imparato

come funzionava questo mondo grazie

alla fiducia che loro riponevano nei miei

confronti. Se c’era un intervento, spesso

il primo ad essere chiamato era il sottoscritto,

e finivo per fare più interventi che

giornate da guida! E così è cominciato il

mio rapporto con il soccorso: i giovani

entusiasti e i vecchi, contenti di aver trovato

un sostituto, mi dicevano sempre:

«hai carta bianca, fai tutto quello che c’è

da fare, lo sai fare».

E da lì, dapprima soccorritore, poi

istruttore.

Sono stato il primo trentino, nel 1982, ad

essere mandato in Valle d’Aosta con la

Scuola nazionale, insieme a grandi nomi

del soccorso come Cosimo Zampelli e

Franco Garda. E da lì poi hanno cominciato

a farmi girare anche a livello nazionale,

tanto che le prime volte dicevo «ma

siete sicuri? Ma dove vado?». Poi arrivavo

in Puglia o in Sicilia e appena scoprivano

da dove arrivavo mi dicevano: «eh ma tu

vieni dal paradiso!», io rispondevo sempre:

«ne abbiamo talmente tanti di interventi

che, se venite su, ve ne diamo un po’

ben volentieri!».

Qual è il tuo ricordo di queste esperienze?

In ogni luogo in cui sono stato, grazie al

CNSAS posso dire di essere stato trattato

benissimo e soprattutto di aver trovato

delle grandi persone e grandi amici; specialmente

in questo periodo, fortuna che

ci sono! Ho avuto la possibilità di costruire

bei rapporti, non solo a livello tecnico,

perché poi è facile fare confusione in

quanto è importante adattare il proprio

livello e la formazione al contesto ambientale

in cui ci si trova. Secondo il mio

punto di vista è inutile andare in Puglia a

far fare calate di 800 metri, che ci voglio-

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

73


no poi le bombole da sub! È importante

adeguarsi alle esigenze reali sul campo,

pur mantenendo il livello standard

nazionale richiesto dalla Scuola. Poi

magari c’è la curiosità ed è importante

raccontare che cosa si prova quando ci

si appende con 800 metri di vuoto sotto.

Ricordo di quando raccontavo delle

esercitazioni in Marmolada e rimanevano

tutti incantati, ma cercavo anche

di spiegare loro che la differenza non la

fanno i metri di vuoto sotto di te, ma la

sicurezza nelle manovre. L’importante è

sapere cosa dobbiamo fare e come comportarci.

Quello che hai seminato raccogli,

sempre.

Di soccorsi ne hai fatti molti, sia via

terra che con l’elicottero. Quanto conta

l’aspetto umano durante una missione?

Conta tantissimo. Anche ai miei ragazzi

(i tecnici della stazione Alta Val di

Fassa, ndr) dico di stare sempre tranquilli

perché più tranquillo è il ferito o

i compagni, più facile è il soccorso, più

sicuri sono i soccorritori. Posso dargli

qualsiasi comando e loro lo eseguiranno

perché non si sentono aggrediti e

sanno che possono stare tranquilli, se

invece io li agito non hanno più fiducia

e facciamo tutti più fatica. Impiegherò

mezz’ora in più? Nessun problema, ormai

ci sono e devo trovare la soluzione

migliore per uscirne in maniera sicura e

tranquilla. Sai, spesso non consideriamo

troppo il fatto che siamo volontari,

iper-specializzati, capaci, preparati, ma

pur sempre volontari e questo fa tanto

perché abbiamo scelto di farlo e nessuno

ci obbliga per un qualsiasi motivo. È

ben difficile tirarsi indietro, ma se non

sussistono le condizioni di sicurezza è

importante valutare bene, studiando

con attenzione la strategia e aspettando

eventualmente le condizioni di sicurezza

per la squadra, e non solo per

l’infortunato. Anche perché dobbiamo

ricordarci sempre che siamo esseri

umani, non macchine programmate e

indistruttibili, e dobbiamo tenere bene

a mente che a casa c’è sempre qualcuno

che ci aspetta e che aspetta anche chi

andiamo a riprendere. Non dobbiamo

mai perdere la sensibilità che distingue

l’uomo da una macchina perché può

fare davvero la differenza in tante situazioni,

perché noi per fortuna riusciamo

a ragionare anche con il cuore, mentre

le macchine ragionano secondo calcoli

preimpostati. Ricordo bene una scena

che mi ha colpito molto e mi ha fatto

capire quanto i piccoli gesti talvolta

possano essere giganti, se li vedi con gli

occhi della persona che vai a soccorrere.

Eravamo in elicottero e solitamente

quando siamo in volo ci aiutiamo l’un

l’altro come una vera squadra; spesso

mi è capitato di supportare il medico in

alcune operazioni. Quel giorno, invece

di chiedermi di aspirare un medicinale

con la siringa, il dottore mi guardò e mi

disse: «Gino, tieni questa mano!». Io rimasi

attonito, non capivo bene cosa volesse

dire! Così strinsi la mano di questa

74 INTERVISTA


signora, che non mi mollò più fino all’arrivo

in sala operatoria e mi disse anche:

«nella sfortuna oggi ho trovato le persone

giuste». Ecco, per lei quella mano

significò molto e a me non costò nulla:

ho fatto qualcosa in più per aiutare una

persona in difficoltà e questo deve essere

il senso principe che ogni soccorritore

deve tenere sempre a mente.

Come è cambiato il soccorso in montagna

in questi anni?

Anni fa non c’erano radio e tante altre

cose, erano altri tempi. Una volta chi

frequentava la montagna e si faceva

male, spesso erroneamente si vergognava

anche a chiamare i soccorsi. Chi

si sentiva affaticato tornava indietro

per paura di fare figuracce. Oggi invece

bisogna correre, pur rimanendo volontari:

oggi se arrivi in ritardo rischi

anche di prendere insulti da parte dei

compagni di gita dell’infortunato perché

ci hai messo troppo tempo. Siamo

volontari particolari, perché in Italia si

tende a usare questo termine per denigrare

chi invece svolge una mansione

con nobiltà d’animo, e siamo sempre

super aggiornati, super specializzati

e preparati. La cosa più importante di

tutte è rispettare l’uomo che c’è dietro

una divisa, a maggior ragione se questa

persona lascia tutto per accorrere

in soccorso, perché spesso lasciamo i

nostri colleghi di lavoro e ancor più importante

i nostri familiari, che a casa

ci aspettano. Proprio a tal proposito,

c’è un detto di vecchi saggi che dice:

“meglio un bel processo, che un bel

funerale”. In questa situazione attuale

del tutto e subito non dobbiamo farci

prendere dalla fretta ma valutare sempre

tutto con attenzione e soprattutto

preservare l’incolumità dei soccorritori

ancor prima di quella delle persone da

soccorrere, perché per recuperare un

escursionista con una caviglia fratturata

non dobbiamo mai e poi mai rischiare

di dover recuperare tre persone

in più, che nel tentativo di soccorrerne

una hanno rischiato la loro pelle.

Qual è il ricordo più bello?

La cosa più bella è l’affetto che ricevevo

quando andavo a sud come istruttore

nazionale. Sai, qui da noi (in Trentino,

ndr) c’è entusiasmo, ma è un entusiasmo

ormai calcolato, dettato dal fatto che facciamo

tanti interventi, mentre magari andando

giù ne fanno meno e ogni attività

è una grande festa, un grande momento

per fare squadra. Questo loro sentimento

è contagioso e ti senti ancor più responsabile

e determinato a lasciare davvero

qualcosa; spesso capita che i miei colleghi

vadano in giro e pensino soltanto a valutare,

senza lasciare nulla a chi li osserva. È

facile dire: «mostrami asola e contro-asola»,

ma la vera bravura da parte di chi valuta

è prima di tutto quella di insegnare,

mostrando, correggendo e poi, alla fine

di tutto, valutando. Questo purtroppo a

molti manca o passa in secondo piano.

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

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Se dovessi dare un consiglio al Soccorso

Alpino, cosa diresti?

Sai, penso a quello che è successo sul

Natisone. Noi siamo settemila, siamo

bravissimi in quello che facciamo, ma

io dico che abbiamo bisogno di tutti e

dobbiamo cercare di coinvolgere tutti.

Non perché chiamano noi, gli altri dobbiamo

lasciarli da una parte, se c’è bisogno

di gente non dobbiamo vergognarci

a fare squadra. Certamente, spesso

siamo noi che conosciamo bene zone

e tecniche, quindi il coordinamento dovrebbe

spettare a noi in molte situazioni,

ma magari non in tutte. Laddove c’è

qualcuno più strutturato di noi, dobbiamo

avere l’intelligenza di collaborare,

senza sottometterci, ma dando il nostro

contributo, perché tutti sanno - anche

se non lo ammetteranno mai - che noi

in tantissime situazioni possiamo fare

la differenza. Poi però qualche volta, chi

siede ad un tavolo, ci chiama volontari

pensando di denigrarci.

E poi vorrei dare degli ultimi consigli ai

nostri tecnici: salutiamo le persone che

rimangono a casa. Diciamo loro dove

andiamo e cosa facciamo, sarà difficile

dirgli quando ritorniamo ma comunque

cerchiamo un abbraccio, una carezza,

un bacio. Non andiamo mai via senza

aver salutato le persone che rimangono

a casa, perché noi non ci preoccupiamo,

ma loro sono in ansia per noi e non

dobbiamo mai avere fretta perché ormai

siamo in una situazione delicata e non

dobbiamo peggiorarla. E ricordatevi che

il primo obiettivo non è solo quello di fare

il soccorso, ma di tornare a casa, tutti.

Come immagini la nostra realtà tra

trent’anni?

Se penso a come eravamo trent’anni

fa mi viene davvero difficile pensare

a cosa potremo essere, trent’anni

sono tanti. Io però spero che l’uomo

sia ancora al centro di tutto e non

l’elicottero supersonico, non l’attrezzatura

automatica, perché l’uomo è

24 ore su 24 un essere pensante e ragiona

con la testa e soprattutto con

il cuore.

Altra cosa che dimenticavo: l’arma leggera

fa il guerriero veloce; quindi, questi

zaini non riempiamoli di materiale inutile

e ricordiamoci di lasciare sempre un

piccolo spazio simbolico per portare con

noi un po’ di fortuna, che non guasta

mai. Mi raccomando! Ciao a tutti e buona

fortuna

76 INTERVISTA


NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

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FOCUS ISTITUZIONALE

Il settantesimo

sul territorio

Eventi e celebrazioni

di Federico Catania e Simone Alessandrini, responsabili comunicazione CNSAS

Il settantesimo è un anniversario che abbiamo voluto condividere con tutta

Italia, attraverso una serie di eventi territoriali che ci hanno permesso di incontrare

cittadini, appassionati della montagna e della speleologia e i soci

del Club Alpino Italiano, promuovendo il valore della prevenzione, della

sicurezza in ambiente impervio e la storia del nostro Corpo. Eventi resi possibili

grazie al fondamentale contributo dei Servizi regionali e provinciali

del Soccorso Alpino e Speleologico che hanno lavorato con impegno e dedizione

per organizzare ogni dettaglio. Il loro sforzo è stato supportato dal team della

comunicazione nazionale, che ha garantito la visibilità e il coordinamento degli

eventi, permettendo di informare un ampio pubblico sui diversi appuntamenti

organizzati.

Il primo appuntamento del nostro anno si è svolto il primo giorno dell’anno, il 1°

gennaio, a Tarvisio, sul Monte Lussari, con una suggestiva fiaccolata celebrativa. I

nostri soccorritori hanno effettuato una discesa sugli sci indossando attrezzature

storiche, rievocando le origini del Soccorso Alpino e Speleologico.

78 FOCUS ISTITUZIONALE


NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

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Questo evento ha dato il via simbolicamente

ai festeggiamenti per i 70

anni ed è stato oggetto di un video

diffuso sui principali social media e

che ha svelato il logo celebrativo del

2024.

Il secondo appuntamento si è svolto a

Gioia del Colle, in Puglia, il 12 maggio

2024. In questa occasione, abbiamo

organizzato un’intera giornata dedicata

alla prevenzione degli infortuni

in montagna, con sessioni pratiche

sui fondamenti di primo soccorso e

gestione delle emergenze, simulazioni

di intervento tecnico-sanitario e un

trekking guidato tra i sentieri. È stata

un’opportunità preziosa per mostrare

come il nostro lavoro quotidiano,

spesso invisibile, sia essenziale per

garantire la sicurezza in montagna. A

conclusione della giornata, un incontro

culturale con l’autore Nanni Pizzorni

ci ha permesso di riflettere sulla

nostra storia e sulle sfide future.

Successivamente, dal 31 maggio al 2

giugno, ci siamo spostati in Sardegna,

a Ulassai, per partecipare all’Ulassai

Festival 2024. Tre giorni di immersione

tra natura e sport, in uno scenario mozzafiato

come quello dell’Ogliastra, che

hanno visto il nostro stand nazionale

attirare l’attenzione di grandi e piccoli.

Tra le attività proposte, abbiamo presentato

GeoResQ, l’applicazione per il

soccorso in montagna, organizzato dimostrazioni

con le nostre unità cinofile

e dato vita all’iniziativa “Soccorritore

per un giorno”, coinvolgendo bambini e

ragazzi in attività pratiche di primo soccorso.

L’entusiasmo e la partecipazione

dimostrano quanto sia fondamentale il

nostro ruolo anche nel promuovere la

cultura della sicurezza, soprattutto tra

le nuove generazioni.

80 FOCUS ISTITUZIONALE


A luglio, il 27 e 28, abbiamo preso parte

al Festival della Montagna di Fara San

Martino, in Abruzzo. Questo evento ci

ha permesso di mostrare attrezzature e

mezzi di soccorso a chi, come noi, vive

la montagna con passione. Il momento

culminante è stato il convegno del 28

luglio, “La sicurezza in montagna: una

storia di 70 anni”, in cui il nostro presidente

nazionale, Maurizio Dellantonio,

ha ripercorso le tappe più significative

del Soccorso Alpino e Speleologico. La

presenza di alpinisti di spicco, come Silvio

Mondinelli, ha arricchito la discussione,

offrendo prospettive preziose su

come la sicurezza in montagna sia un

tema sempre attuale.

Agosto è stato un mese particolarmente

intenso. Tra il 3 e il 4 agosto, siamo

stati a Ovindoli, sempre in Abruzzo,

dove abbiamo parlato di sicurezza in

montagna durante un incontro con le

istituzioni locali e i cittadini. Abbiamo

anche offerto una struttura di arrampicata

per bambini e adulti, dimostrando

ancora una volta l’importanza

di educare fin da piccoli alla sicurezza

in montagna. Il 16 e 17 agosto, invece,

siamo stati a Portovenere, in Liguria,

dove abbiamo allestito uno stand con

attrezzature e gadget. In questa suggestiva

località, abbiamo preso parte

all’accensione dei lumini sul promontorio

di Portovenere in onore della Madonna

Bianca, un evento che ha unito

spiritualità e impegno civile.

Il 28 settembre ci siamo spostati in Piemonte,

al Monte dei Cappuccini, a Torino,

per una giornata di dimostrazioni

pratiche. Tecniche di trasporto della barella,

gestione dei traumi e allestimento

di una teleferica sono solo alcune delle

attività svolte durante l’evento, che ha

visto una partecipazione attiva da parte

del pubblico. La cerimonia del pomeriggio

ha segnato il culmine della giornata,

con la celebrazione del nostro anniversario

e l’inaugurazione di una mostra storica

al Museo Nazionale della Montagna,

dedicata ai nostri 70 anni di storia.

A rendere questa giornata piemontese

ancora più speciale, è stata l’illuminazione

della Mole Antonelliana durante la

notte con il logo celebrativo del 70° anniversario

del CNSAS, un gesto simbolico

che ha evidenziato il forte legame tra la

nostra storia e il territorio piemontese. La

Mole, simbolo di Torino, si è così vestita

a festa per onorare il nostro impegno e

la nostra dedizione, rendendo visibile

a tutta la città il lavoro che, da 70 anni,

portiamo avanti con passione e spirito di

servizio.

L’11 ottobre a Belluno, abbiamo proseguito

la nostra serie di eventi con una

serata al Teatro Dino Buzzati nell’ambito

della rassegna di montagna “Oltre le

Vette”. Il titolo dell’incontro, “Di Roccia e

di Cuore”, rappresenta perfettamente la

nostra missione: un corpo saldo come

la roccia, ma con il cuore sempre rivolto

a chi ha bisogno. In questa occasione,

abbiamo ricordato i sette decenni della

nostra storia, con racconti emozionanti e

aneddoti dai protagonisti di ieri e di oggi.

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

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Oltre agli eventi già citati, il nostro

viaggio per il 70° anniversario ha toccato

numerose altre località. L’8 giugno

abbiamo fatto tappa a Castione

della Presolana, in provincia di Bergamo,

mentre il 10 agosto ci siamo incontrati

presso l’Oasi delle Mainarde, a

Isernia. A fine ottobre, il 26 e 27, siamo

stati a Palermo, seguiti dal 1° novembre

a Caselle in Pittari, in provincia di

Salerno. Dal 7 al 10 novembre ci siamo

spostati a Ivrea, in provincia di Torino,

e nei giorni successivi, il 9 e 10 novembre,

siamo stati a L’Aquila. Successivamente,

dal 15 al 17 novembre, ci siamo

trovati a Cuneo, mentre il 16 e 17

novembre siamo stati a Gemona del

Friuli, in provincia di Udine. Gli appuntamenti

di novembre sono proseguiti

ad Ascoli Piceno il 23 e 24 novembre.

Infine, il 12 dicembre chiuderemo l’anno

a Roma, con un momento speciale

nella Capitale di cui avrete notizia

tramite newsletter e sui nostri canali

social.

Ogni incontro sul territorio è stato

un’occasione per ribadire la nostra

presenza costante al fianco di chi vive

la montagna, promuovendo la sicurezza

e ricordando quanto sia prezioso

il contributo di chi, come noi, sceglie

di mettersi al servizio degli altri.

82 FOCUS ISTITUZIONALE


NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

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Il supporto

di Kong e Ferrino

per i nostri 70 anni

Una collaborazione storica

a cura della Redazione

Nell’immaginario comune dei membri della nostra organizzazione

Kong e Ferrino sono da sempre una costante nelle attrezzature

utilizzate nelle missioni di soccorso. E sono proprio

queste due aziende ad aver creduto maggiormente nelle celebrazioni

dei nostri 70 anni, attraverso il supporto alle numerose

iniziative messe in campo in questo 2024.

Due storici partner tecnici, Kong e Ferrino, che hanno scelto di celebrare l’importante

traguardo del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, da sempre

un punto di riferimento a livello nazionale e internazionale nel settore del soccorso

e protagonista, insieme a queste due realtà, nello sviluppo di innovativi sistemi

per migliorare la condizione di soccorritori e soccorsi durante le missioni.

Come sottolineato dal Presidente di Kong, Dott. Marco Bonaiti: «per noi di Kong è

un grande onore celebrare insieme a loro i 70 anni di un’organizzazione che rappresenta

un’eccellenza assoluta nel panorama del soccorso a livello nazionale e internazionale.

Il legame tra Kong e il CNSAS è storico e profondo, fondato sulla condivisione

di valori comuni come la sicurezza, la precisione e la continua innovazione al servizio

della vita umana. La collaborazione tra le due realtà ha permesso di sviluppare dispositivi

e attrezzature fondamentali per il Soccorso Alpino e Speleologico, come la

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famosa barella “Lecco”, il kit per elisoccorso

“Everest”, il palo pescante “Stelvio” con

winch di recupero “Ortles”, oltre a svariate

imbragature e discensori».

Grazie al feedback costante dei soccorritori,

Kong ha affinato i propri strumenti

per garantire la massima affidabilità

in situazioni critiche, contribuendo a

migliorare le tecniche di salvataggio in

Italia e a rendere il Paese un modello di

riferimento per l’efficienza nelle operazioni

di soccorso in ambiente impervio.

Rapporto di lunga durata anche quello

con Ferrino, che affonda le sue radici nella

fine anni Novanta, in cui Ferrino inizia

a collaborare attivamente con il CNSAS,

in particolare con le Scuole Nazionali,

sviluppando una linea di zaini che da

oltre 25 anni accompagna i volontari

nelle operazioni di soccorso. Non a caso,

gli stessi zaini riportano nomi evocativi

e riconducibili alla nostra realtà: il Sierra

Alfa (Soccorso Alpino) e il progetto

sviluppato anche dall’Istruttore Nazionale

Oskar Piazza, deceduto in Nepal

nel 2015: lo zaino OP (Oskar Piazza) 50.

«L’ascolto delle esigenze specifiche del CN-

SAS ha permesso all’azienda di realizzare

prodotti studiati appositamente per le

attività di soccorso - afferma Giorgio Rabajoli

di Ferrino S.p.A. - ribadendo così la

vicinanza tra professionisti dell’ambiente

montano e un’azienda che ha nel proprio

DNA lo sviluppo e l’innovazione”

Aver avuto al nostro fianco queste due

realtà vuol dire molto per il CNSAS: insieme

siamo cresciuti, abbiamo lavorato

in sinergia e, ciò che più conta, abbiamo

creato sistemi migliorativi per la

gestione degli infortunati in ambiente

impervio, elemento fondamentale per

migliorare il sistema di pre-ospedalizzazione,

riducendo il più possibile i

rischi derivanti da una gestione non sanitaria

del paziente in ambienti in cui il

rischio evolutivo è un nemico concreto

e talvolta letale.

NOVEMBRE 2024 | SOCCORSO ALPINO SPELEOLOGICO

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PILLOLE

La nuova sede

di Milano

Work in progress

La nuova sede del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico a

Milano sta prendendo forma. Le immagini scattate lo scorso ottobre

documentano lo stato attuale dei lavori, con progressi significativi

già visibili. Sono stati completati il rifacimento del tetto e la sistemazione

delle facciate, segnando un passo importante verso la realizzazione

di uno spazio moderno e funzionale.

Attualmente (l’articolo è stato concluso in ottobre), il team è impegnato nella costruzione

delle contropareti e nella posa dell’isolamento, operazioni cruciali per

garantire l’efficienza energetica e la sicurezza della struttura. Entro la fine di ottobre,

è prevista l’inizio della posa degli impianti, un ulteriore passo verso la conclusione

di questo progetto. Inquadra il QR code che trovi qui accanto e collegati alla

pagina dello studio d’architettura per seguire i lavori.

86 PILLOLE


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La sezione

EDU su cnsas.it

Sul sito del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico -

cnsas.it - è stata recentemente lanciata una nuova sezione EDU,

pensata specificamente per promuovere tra i più giovani la cultura

della prudenza in montagna.

Questa area offre una raccolta scaricabile di disegni da colorare,

insieme a materiali didattici progettati per divertire ed educare

bambini e bambine riguardo le regole fondamentali per affrontare la montagna

con consapevolezza in ogni sua stagione. Attraverso giochi e attività creative i più

piccoli possono esplorare il mondo del Soccorso Alpino e Speleologico e acquisire

conoscenze utili per future avventure all’aria aperta.

Visita il sito www.cnsas.it/edu/ per scoprire tutti i materiali a disposizione!

88 PILLOLE



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IL SOCCORSO

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le attività outdoor, ti permette di inviare un allarme

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