Nelle Valli Bolognesi N°64
Il numero dell'inverno del trimestrale su natura, cultura e tradizioni locali edito da Emil Banca e diffuso in abbinamento con il Resto del Carlino Bologna
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Nelle
NATURA, CULTURA, TRADIZIONI E TURISMO SLOW TRA LA MONTAGNA E LA PIANURA
Anno XVII - numero 65 - GENNAIO - FEBBRAIO - MARZO 2025
Speciale alluvione
Dai cammini
allo sport
l’Emilia si rialza
Non tutti sanno che
Fantasmi
e altre storie
in giro per la provincia
Portonovo
Nel paese di Giacomino
dove il tempo
si è fermato
INVERNO
I consigli per vivere la magia della neve, dal Corno Express ai percorsi più belli
È tempo di ciaspole
Abbiamo
i PIEDI
per terra.
La nostra priorità
è lo sviluppo sostenibile
del territorio e la tutela
delle comunità locali.
Ogni giorno scegliamo di favorire la crescita responsabile
e sostenibile del nostro territorio e di costruire insieme
il bene comune.
IL CUORE NEL TERRITORIO
SOMMARIO
Periodico edito da
Numero registrazione Tribunale
di Bologna - “Nelle Valli Bolognesi”
n° 7927 del 26 febbraio 2009
Direttore responsabile:
Filippo Benni
Hanno collaborato:
Stefano Lorenzi
William Vivarelli
Claudia Filipello
Katia Brentani
Gianluigi Zucchini
Claudio Evangelisti
Gian Paolo Borghi
Paolo Taranto
Guido Pedroni
Serena Bersani
Marco Tarozzi
Andrea Morisi
Francesca Biagi
Mario Chiarini
Veronica Righetti
Elenia Gubbellini
Fausto Carpani
Sandra Sazzini
Giuliano Musi
Alessio Atti
Giovanni Zati
Nadia Berti
Guido Pedroni
Elena Boni
Gianluigi Pagani
Valentina Fioresi
Gianfranco Bracci
Silvano Ventura
Francesco Nigro
Marco Vagnerini
Foto di:
William Vivarelli
Archivio Bertozzi
Archivi AppenninoSlow
eXtrabo e Bologna Welcome
Paolo Taranto
Guido Barbi e altri in pagina
Progetto Grafico:
Studio Artwork Grafica & Comunicazione
Roberta Ferri - 347.4230717
Pubblicità:
distribuzione.vallibolognesi@gmail.com
051 6758409 - 334 8334945
Rivista stampata su carta ecologica
da Rotopress International
Via Mattei, 106 - 40138 Bologna
Per scrivere alLA REDAZIONE:
vallibolognesi@emilbanca.it
Per abbonamenti e pubblicità contattare appenninoslow:
distribuzione.vallibolognesi@gmail.com - 051 6758409 - 334 8334945
Questa rivista
è un prOdotto editoriale
ideato e realizzato da
In collaborazione con
CITTÀ
METROPOLITANA
DI BOLOGNA
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Gli scatti di William Vivarelli
Falco pellegrino
Le foto dell’inverno
In dialetto si dice....
Falzinel e Bafiet
La nostra cucina
Aggiungi un pesto a tavola
Speciale prodotti locali
Io mangio De.Co.
Erbe di casa nostra
La zucca
Speciale Alluvione
Una città costruita sull’acqua
Quando il Navile si arrabbia
Le alluvioni e gli ecosistemi
Lo sport vuole rinascere
I cammini ripartono dopo la grande paura
La novità per l’inverno
La neve a portata di treno con il Corno Express
Itinerari
Con le ciaspole in Appennino
La nostra storia
Bologna, Pascoli e Matteotti
Il restauro - San Pietro in Casale
La Madonna del Rosario
In giro con eXtrabo
Dentro la Torre di Montorio
Non tutti sanno che
Non entrate in quella casa
Nella Bassa - Portonovo
Nel paese di Giacomino
In Appennino - Pianoro
Guerra e pace nella Montecassino del Nord
La macchina del tempo
Bologna nella Preistoria
Alle origini del vino
Bollicine alla bolognese
Questo la faccio io
Il prato biodiverso
Fotonaturalismo
Macro: le tecniche sul campo
Entomologia
Il maggiolino dei boschi appenninici
L’iniziativa
L’amore del Lions per i portici
Nelle valli segnala
La stagione del teatro di Casalecchio
La compagnia selvatica di Madreselva
Dialetto e altre storie con Carpani e Borghi
GLI SCATTI DI WILLIAM VIVARELLI
Falco pellegrino
(Falco peregrinus)
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Messaggio pubblicitario riguardante forme pensionistiche complementari avente finalità esclusivamente promozionali. Il Fondo Pensione Aperto Aureo è un prodotto istituito da BCC Risparmio&Previdenza SGR.p.A. Prima dell’adesione leggere la Sezione I della Nota informativa
“Informazioni chiave per l’aderente” e l’ulteriore set informativo disponibile gratuitamente presso i soggetti collocatori e sul sito internet www.bccrisparmioeprevidenza.it.
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L’ALFABETO di VIVARELLI
Il falco pellegrino è un rapace affascinante, temuto e ammirato in tutto il mondo. È
un rapace dalle forme solide ma filanti. Ha ali e coda squadrate, testa arrotondata
e un cappuccio grigio-metallico che continua in due grandi “mustacchi” neri. I
giovani si distinguono dagli adulti per le parti inferiori macchiettate anziché
barrate. Abita preferibilmente le aree più impervie e dirupate, nidificando sulle
pareti rocciose, in cenge e piccole cavità. Nelle aree urbane, non disdegna torri e
campanili. Durante l’accoppiamento, il maschio si esibisce in un corteggiamento
che prevede anche doni alla femmina, di prede catturate in volo. È velocissimo,
può raggiungere eccezionalmente i 300 km/h in picchiata. Il volo è agile e
potente. Si nutre quasi esclusivamente di altri uccelli, che caccia in aria, ma può
occasionalmente cibarsi anche di altri vertebrati ed insetti. Il falco pellegrino è
associato alle vette del cielo e agli astri, in particolare al Sole. Questo richiama la
mitologia egizia, che identificava in Horus, figlio di Osiride e Iside, il dio solare per
eccellenza. Le piume scure sotto agli occhi ricordano da vicino l’Occhio di Horus,
importante simbolo misterico legato a prosperità e sovranità. Può essere trovato
ovunque nel mondo, fatta eccezione per le regioni polari e le altitudini troppo
elevate. In provincia di Bologna, la
popolazione è incrementata da 9
coppie nel 1998 a 26 coppie nel
2014. Questo magnifico rapace
continua a ispirare e affascinare
gli appassionati di natura e
gli studiosi. La sua velocità,
la maestosità del volo e il suo
ruolo nella mitologia lo rendono
veramente un “re del cielo.
Tutte le foto sono state scattate
nel bolognese.
I PDF degli arretrati della rivista
si possono scaricare
da www.nellevalli.it.
Per altri scatti di William Vivarelli si può
consultare il sito: www.vivarelli.net
Nei numeri precedenti:
Albanella Autunno 2010
Allocco Inverno 2010
Assiolo Primavera 2011
Allodola Estate 2011
Airone cenerino Autunno 2011
Averla maggiore Inverno 2011
Averla piccola Primavera 2012
Aquila reale Estate 2012
Ballerina bianca Autunno 2012
Ballerina gialla Inverno 2012
Barbagianni Primavera 2013
Beccamoschino Estate 2013
Balestruccio Autunno 2013
Calandro Inverno 2013
Capriolo Primavera 2014
Capinera Estate 2014
Cervo Autunno 2014
Cinghiale Inverno 2014
Canapiglia Primavera 2015
Canapino Estate 2015
Cannaiola comune Autunno 2015
Canapino maggiore Inverno 2015
Cannareccione Primavera 2016
Cardellino Estate 2016
Cavaliere d’Italia Autunno 2016
Cinciallegra Inverno 2016
Cincia bigia Primavera 2017
Cincia dal ciuffo Estate 2017
Cincia mora Autunno 2017
Cinciarella Inverno 2017
Cesena Primavera 2018
Cicogna bianca Estate 2018
Civetta Autunno 2018
Cornacchia grigia Inverno 2018
Cormorano Primavera 2019
Codibugnolo Estate 2019
Codirosso comune Autunno 2019
Codirosso spazzacamino Inverno 2019
Colubro di Esculapio Primavera 2020
Coronella Girondica Estate 2020
Covo Imperiale Autunno 2020
Corriere piccolo Inverno 2020
Cuculo Primavera 2021
Culbianco Estate 2021
Cutrettola Autunno 2021
Daino Inverno 2022
Chirotteri Primavera 2022
Cinghiale Estate 2022
Cigno Autunno 2022
Canapiglia Inverno 2023
Uccello combattente Primavera 2023
Codirossone Estate 2023
Colombaccio Autunno 2023
Fagiano comune Inverno 2023
Faina Primavera 2024
Falco Cuculo Estate 2024
Falco di palude Autunno 2024
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LE FOTO DELL’INVERNO
Testo e foto di Paolo Taranto
MA DOVE AVEVO
NASCOSTO LE BIRRE?
Ovviamente gli animali, come questa Volpe,
non bevono alcolici (a parte rari casi...)
ma molte specie, predatori e non,
hanno l’abitudine di creare
dispense di cibo quando
questo è abbondante.
Quando una volpe trova una carcassa
da cui riesce a strappare pezzi di carne in
abbondanza li nasconde sotterrandoli
per poi recuperarli giorni dopo.
6
TOPOGIGIO ESISTE
VERAMENTE!
Il topo domestico o topolino
delle case (Mus musculus)
è una specie comune ovunque
e spesso odiato dalle persone,
effettivamente non è bello averlo
dentro casa. Quella volta avevo
scoperto una colonia di topi
che viveano nella legnaia e ho
approfittato per fare qualche scatto
tra cui questo di un giovane.
7
VILLA PADRONALE IMOLA AD.ZE AUTODROMO
Residenza elegante, indipendente, perimetrata da giardino
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protagonista lo scalone di grande rappresentanza che collega i
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In dialetto si dice...
LA FAUNA LOCALE NELLA TRADIZIONE
DELLA BASSA BOLOGNESE
Foto e testi a cura di Mario Chiarini
Mignattaio - FALZINEL
Il mignattaio è un trampoliere di grandi dimensioni con
collo e zampe abbastanza lunghe e becco di circa 12-13
cm, sottile, curvo verso il basso, “a falcetto” dice l’Imparati
nella sua opera Avifauna Ravennate. È un frequentatore
abituale delle aree umide del bolognese (anche se con
una presenza ridotta a pochi individui). Nei periodi di
passo, in particolare quello post riproduttivo, si ferma
nelle nostre zone qualche giorno per alimentarsi prima
di intraprendere il lungo viaggio migratorio verso l’Africa.
Presenta un piumaggio marrone-porpora scuro, ali verdi
brillanti. Ama le zone palustri con ricca vegetazione e
acque basse, diciamo pure fangose, che lo favoriscono
nella ricerca di cibo affondando il becco ricurvo nel limo,
nutrendosi di ogni sorta di insetti acquatici, di vermi,
piccoli pesci, molluschi. Per questa sua abitudine, in
antichità era considerato immondo in quanto “si nutriva di
piccoli animali nel fango, di carogne, di uova di serpenti:
cibi oltretutto indigesti che gli rendevano necessario
liberare frequentemente l’intestino”. Fatta questa doverosa
presentazione della specie, parliamo ora del suo nome
dialettale: falzinel. Per risalire alla etimologia del nome
dialettale dobbiamo andare indietro nel tempo e analizzare
brevemente le attività agricole che venivano svolte dai
Ascolta il suo canto !
Ascolta il suo canto!
contadini nelle nostre campagne. Parliamo ovviamente di
attività manuali in quanto la meccanizzazione era ancora
lontana e, tra i diversi strumenti utilizzati ve ne era di uso
comune: una piccola falce, detta falcetta o falcinella, con
manico corto, con lama di circa 30 cm, perpendicolare al
manico. Ora se pensate al lungo collo ed al lungo becco
ricurvo del mignattaio appare facile identificarlo con il
nostro antico strumento; e da qui il nome dialettale falzinel.
Basettino - BAFIET / DUTOUR
La specie che qui vedete fotografata è un Basettino,
raro visitatore delle aree umide della Bassa, ma che si
può incontrare durante gli erratismi autunnali quando
abbandona l’area riproduttiva, costituita da vasti canneti
ai margini di laghi, valli e paludi, come le valli di Argenta
dove è presente una discreta colonia nidificante. È un
piccolo uccello, che si arrampica agile su steli delle canne,
marron-giallastro, con lunga coda, il capo blu-grigio con
un lungo evidente mustacchio nero presente però solo
nel maschio; la femmina, senza mustacchio, presenta
colori più tenui e tendenzialmente tendenti al giallastro
camoscio. Nel dialetto bolognese viene oggi chiamato
bafiet, proprio in virtù dei lunghi mustacchi neri presenti
nel maschio. Al proposito, mi preme evidenziare come
alcuni illustri ornitologi, attivi a fine ‘800 e nella prima metà
del secolo scorso avessero assegnato a questo uccelletto
il nome dialettale di dutour o duturen sempre in virtù
degli evidenti mustacchi neri e questo perché, all’epoca,
evidenti e voluminosi baffi ornavano le facce di molti
illustri uomini politici, letterati e scienziati e in quanto tali
dottori. Anche la celebre maschera bolognese, al dutour
balanzon presenta, nella iconografia classica, un evidente
paio di grandi baffi e indossa l’abito tipico dei professori
dell’Università di Bologna. La foto che vedete allegata è
opera dell’amica, bravissima fotografa naturalista, Valeria
Marchioni che ringrazio sentitamente per la squisita
disponibilità nell’autorizzarmi la pubblicazione.
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LA NOSTRA CUCINA
Curiosità, consigli e ricette
della tradizione
culinaria bolognese,
dalla Montagna alla Bassa
a cura di Katia Brentani
Il pesto deriva dalle “agliate” di
epoca Romana. In montagna in
tempo di vacche magre si preparava
la “ieda”, un trito di aglio e noci
con cui condire la pasta
AGGIUNGI UN PESTO A TAVOLA
Il pesto deriva, molto probabilmente,
da differenti tipi di “agliate” di epoca
Romana e Medioevale. Insieme al
classico pesto di basilico genovese si
sono sviluppate numerose alternative
quasi in ogni luogo della penisola
italica, secondo le disponibilità della
flora locale e delle stagioni.
Gli stessi Genovesi in mancanza di
basilico fresco anticamente usavano
anche maggiorana, prezzemolo e altre
erbe aromatiche o persino verdure come
biete o borraggine. Ciò che caratterizza
infatti quasi sempre tutte le varianti di
pesto è appunto la presenza di aglio,
oltre alla preparazione generalmente a
freddo, all’aggiunta di formaggi e alla
base grassa della salsa ottenuta con l’uso
dell’olio. La salsa di noci è senza dubbio
più antica del pesto classico, e con esso
uno dei principali sughi per pasta.
Pestare nel mortaio semi oleosi per
ottenere una salsa (dolce o salata) era
già tipico in epoca Romana e diffuso
nel Medioevo, con probabili origini
orientali.
Nell’Appennino Bolognese, in un
periodo in cui non c’era “nulla” o poco
più e ci si doveva arrabattare a mettere
in tavola un po’ di companatico, si
preparava la “ieda”, un trito di aglio
e noci con cui condire la pasta. Si
faceva una sfoglia al mattarello da cui
si ritagliavano larghe strisce da cuocersi
in acqua bollente. Una volta cotte si
condivano con un pesto di aglio e noci.
Per preparare la “ieda” si pestavano in un
mortaio l’aglio e le noci e si aggiungeva
l’acqua di cottura della pasta fino a
ottenere un pesto denso e cremoso
con cui si condiva la sfoglia. Le noci
fornivano calorie in quantità e l’aglio
schiariva il sangue e aiutava il cuore. Un
piatto che appesantiva l’alito, ma adatto a
gente abituata a fare grosse fatiche. Oggi
è possibile gustare questo piatto con
piccole variazioni in alcuni agriturismi
o trattorie dell’Appennino Bolognese.
Un altro pesto utilizzato in varie parti
d’Italia e il pesto con la borragine.
La borragine (Borago officinalis), è
una pianta annua o biennale, dalla cui
rosetta di foglie basali ovate e bollose si
innalzano i fusti fioriferi, alti 20-50 cm.
Si pensa sia stata introdotta nel Medioevo
dall’Africa, o dal bacino occidentale
del Mediterraneo, altre teorie fanno
risalire la sua origine alla Siria. I celti
la utilizzavano mischiandola al vino
prima delle battaglie, per infondere
forza e coraggio ai soldati. Anche i
romani ne facevano largo uso, i suoi
infusi allontanavano la malinconia,
ristabilendo il buonumore. Per questo
viene chiamata anche “l’erba del
coraggio”. Fiorisce tra febbraio e agosto
(a seconda delle zone geografiche) con
bei fiori stellati a cinque petali di colore
azzurro-violetto.
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SUN68
Le RICETTE
RICETTA DELLA MONTAGNA
“IEDA” (SALSA DI NOCI)
Ingredienti per 500 grammi di
pasta:
200 gr di gherigli di noci, 1 spicchio
d’aglio, acqua, 2 cucchiai di
parmigiano reggiano grattugiato,
sale, pepe, olio evo
Procedimento - Per una perfetta
salsa di noci i gherigli di noce
andrebbero spellai, così da
togliere l’amaro, per farlo occorre
scottare i gherigli per 5 minuti in
acqua bollente, così sarà più facile
spellarli. Potete anche evitare
questo passaggio se usate noci
giovani e bianche, poco amare.
In un frullatore (e ancora meglio nel
mortaio) frullate i gherigli spellati, i
pinoli, l’aglio privato dell’anima, il
parmigiano e 1/2 bicchiere d’olio.
Aggiungete un po’ di acqua fino a
ottenere una bella crema densa,
aggiustare di sale e pepe.
La salsa alle noci può essere
utilizzata come condimento
per pasta semplice soprattutto
tagliatelle o lasagnette.
RICETTA DELLA PIANURA
Pesto di BORRAGGINE
Ingredienti per 500 grammi di
pasta:
1 mazzo borragine (20/25 foglie)
oppure di biete (bietole) o un misto
di entrambe, 1 spicchio d’aglio,
1/2 cucchiaio di noci, 2 cucchiai di
parmigiano grattugiato, 1 cucchiaio
di pecorino grattugiato. sale, pepe,
olio evo
Procedimento - Pulite e lavate
bene le foglie di borragine (e anche
i fiori se li avete), quindi buttatele
in acqua bollente salata per 4/5
minuti. (Se usate le bietole invece
la cottura dovrà essere di circa 10
minuti).
Scolate le foglie e passatele in una
Curiosità e ricette sono tratte
da ‘Aggiungi un pesto a tavola’
di Michele Cogni,
per I Quaderni del Loggione
ciotola con acqua fredda, quindi
strizzatele e fatele asciugare bene.
Frullate con un poco di olio lo
spicchio d’aglio pulito e privato
dell’anima, le noci, quindi
aggiungete le foglie di borragine (o
le bietole) e olio quanto basta.
In una ciotola mescolate il
composto ottenuto con i formaggi
grattugiati e altro olio, regolate di
sale e aggiungete una macinata di
pepe nero, fino a ottenere un pesto
morbido ma consistente, che andrà
poi allentato al momento dell’uso
con un poco di acqua bollente.
Il pesto di borragine ha un sapore
più tenue e delicato di quello di
basilico, può essere naturalmente
utilizzato per condire qualsiasi tipo
di pasta, specialmente gnocchi,
spaghetti e lasagnette, come salsa
su bruschette o panini e dona un
sapore extra aggiunto a cottura
quasi ultimata sugli umidi di
verdure.
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SPECIALE PRODOTTI LOCALI
Con gli Imbutini di Ozzano, l’olio dei Colli
Bolognesi e la patata di Castel d’Aiano
continua il viaggio alla scoperta dei 17
prodotti a Denominazione Comunale
Io mangio De.CO
A cura di Valentina Fioresi
Siamo alla seconda tappa del viaggio alla scoperta dei
prodotti tipici che vantano la Denominazione Comunale
(De.Co.) del comune di Bologna o di altri comuni della
Città Metropolitana. In questa puntata conosceremo l’olio
dei Colli Bolognesi, gli imbutini di Ozzano nell’Emilia e
la patata di Tolè. La De.Co. è un riconoscimento fornito
dai comuni a prodotti agroalimentari o attività tradizionali
specifiche che siano fortemente identitari di quel luogo.
Ad oggi sono 17 i prodotti tipici iscritti al registro De.Co,
mentre i saperi tradizionali sono 5.
GLI IMBUTINI DI OZZANO
Sembra incredibile che ai giorni nostri si possa creare un
nuovo formato di pasta, eppure una cittadina ozzanese
(Flavia Valentini) è riuscita nell’impresa. Tra tutti i tipi di
pasta fresca, insieme a tagliatelle, gramigna, trofie e altre
specialità, ora vanno annoverati anche gli imbutini di
Ozzano, letteralmente dei piccoli “imbuti”.
La signora Valentini racconta che ha creato gli imbutini in
seguito all’acquisto, nel 2013, di un attrezzo per tagliare
la pasta in piccoli dischi, che non pareva collegato a
nessun formato da lei conosciuto: il passaggio dai dischetti
ai piccoli coni è stato praticamente istintivo. Nel 2017 è
arrivata invece la produzione su scala più ampia, dopo
che una ditta di Argelato si è occupata di progettare una
macchina appositamente brevettata allo scopo: oggi a
Ozzano gli imbutini si trovano anche in vendita presso il
supermercato Conad.
Gli imbutini seguono un rigido disciplinare che ne
determina apporto calorico (306 kcal per 100g di prodotto),
dimensioni (si realizzano a partire da un dischetto di pasta
di 3,7 cm di diametro per 2 mm di spessore) e forma (un
cono leggermente piegato con una piccola apertura sulla
punta). La pasta stessa può essere aromatizzata in vari
modi: i classici imbutini sono gialli, ma vengono prodotti
anche verdi (la pasta viene colorata con gli spinaci), rosa
(alla barbabietola) e addirittura al gusto cacao.
Gli imbutini, piccoli e versatili, sono perfetti per raccogliere
e gustare qualsiasi tipo di condimento, possono incontrare
sia la tradizione che l’innovazione.
centro città o “Uliveto”, borgo vicino a Monteveglio).
Una lunga ondata di freddo nel ‘700 diede un forte stop
a queste coltivazioni, riprese all’inizio del 2000 a partire
da un progetto di mappatura delle piante secolari rimaste
e relative “cultivar”, cioè le varietà agricole della specie
(lo studio e la ricerca sono stati effettuati dal IBE CNR
Bologna). In questo modo è stato possibile recuperare
esattamente le tipologie utilizzate anticamente, le uniche
ammesse per la produzione dell’Olio Extra Vergine di Oliva
“Colli di Bologna”: Farneto, Montebudello, Montecapra,
Montecalvo e Oliveto.
Oggi sono centinaia gli ettari coltivati a ulivi sulle colline
intorno a Bologna, tanto che nel 2017 è nata la “Rete
di Imprese Olio Extravergine Felsineo”, costituita dai
produttori a sud della Via Emilia (10 aziende tra Imola e
Zola Predosa) al fine di tutelare l’olio.
Le aziende che fanno parte della Rete sono: Tenuta Cà
L’OLIO DEI COLLI BOLOGNESI
Pensando alla zona del bolognese il primo prodotto tipico
che viene alla mente non è di certo l’olio d’oliva. In realtà la
coltivazione degli ulivi e relativa produzione di olio hanno
radici molto antiche, tanto che le prime testimonianze
risalgono al Medioevo (sono rimasti fino ad oggi anche
alcuni toponimi legati all’ulivo, come “Via oleari” in
012
1331
De.Co.
Imbutini
Olio
Scarani (Bologna), Azienda Agricola Torre (Zola Predosa),
Azienda Agricola Bonazza (San Lazzaro di Savena), Società
Agricola 1977 (Montecalvo, Corara), Azienda Agricola
Nugareto (Sasso Marconi), Agrivar/Palazzo di Varignana
(Castel San Pietro Terme), Azienda Agricola Assirelli
“Cantina da Vittorio” (Dozza), Azienda Agricola Giovanni
Bettini (Borgo Tossignano), Frantoio Valsanterno (Imola),
Sorella Terra (Imola). La Rete al momento detiene il marchio
collettivo Olio Extravergine di Oliva dei Colli di Bologna
(regolato da un apposito disciplinare, dalla produzione
al confezionamento) dal 2021. Successivamente, con
l’obiettivo di ottenere la certificazione IGP, è stato
modificato il nome dell’associazione in “Rete Olio
Extravergine di Oliva Colli di Bologna”. Al momento,
dopo l’approvazione della Regione Emilia Romagna
e del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, il
procedimento di richiesta per l’IGP è all’esame della
Commissione Europea. Le zone di produzione legate
a questo marchio comprendono le aree collinari a sud
della via Emilia amministrate dalla città Metropolitana
di Bologna: in particolare le coltivazioni oggi si trovano
nei comuni di Bologna, Castel San Pietro Terme, Dozza,
Imola, Borgo Tossignano, Ozzano dell’Emilia, San Lazzaro
di Savena, Casalecchio di Reno, Sasso Marconi e Zola
Predosa, Valsamoggia.
Visti gli importanti riconoscimenti dell’Olio dei Colli di
Bologna è in via di sviluppo un progetto
che prevede di unire le aziende produttrici con una
ciclovia con partenza da Imola e arrivo a
Valsamoggia passando da San Lazzaro di Savena, che
recentemente ha aderito al circuito
“Città dell’Olio”.
LA PATATA DI CASTEL D’AIANO
Le patate sono considerate un prodotto piuttosto povero,
un ingrediente quasi scontato in cucina, poco “nobile”
nonostante la sua estrema versatilità. In montagna le
patate però sono state per decenni una delle basi della
dieta contadina, fatto che ha contribuito a farle entrare
di diritto nella lista dei prodotti tipici insieme a castagne
e derivati, formaggi e panificati come ad esempio le
crescentine. Vista questa lunga tradizione di coltivazione
e utilizzo alle patate raccolte nelle zone di Castel d’Aiano,
Montese, Zocca e Gaggio Montano è stata assegnata la
denominazione De.Co. Come gli altri prodotti che fanno
parte di questa “categoria” anche le patate devono seguire
un preciso disciplinare che regola il modo in cui devono
essere piantate, curate, raccolte e infine confezionate
e distribuite. Anche le cultivar (cioè l’insieme di piante
coltivate e selezionate in base a uno o più specifici
caratteri che si ripetono sempre uguali) sono definite nel
disciplinare, per assicurare che le patate mantengano
inalterate le caratteristiche che le contraddistinguono:
polpa giallo chiara o bianca, buccia bruna o rossastra,
aspetto esterno liscio e privo di aree verdi e avvallamenti.
Le patate devono inoltre crescere in terreni ricchi di sabbia
con elevate capacità drenanti, elemento che limita la
probabilità che si manifestino malattie fungine.
La patata di Castel d’Aiano si può acquistare in tutte le
zone di produzione e spesso anche durante le sagre
autunnali organizzate nelle stesse o in aree limitrofe.
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ERBE DI CASA NOSTRA
Con una naturopata
per conoscere le leggende,
gli usi medici e quelli tradizionali
delle piante della nostra provincia
Colorata, cremosa, dal gusto agrodolce,
è l’ortaggio dell’autunno e dell’inverno.
Nelle epoche antiche era considerato
cibo per poveri. È coltivata ovunque ma
ne esiste anche un tipo selvatico
La Zucca
Testo di Claudia Filipello - www.naturopatiabologna.it
È abitualmente coltivata ovunque, e fornisce un frutto
usato come alimento, ricco soprattutto in fibre, acqua,
minerali e vitamine. La zucca è considerata un ottimo
nutrimento, idoneo a convalescenti e per coloro che
hanno un insufficiente fuoco digestivo, cioè secondo la
naturopatia, una scarsa capacità di scindere gli elementi
complessi del cibo.
La zucca ha un fusto sdraiato, angoloso, ruvido, peloso
e con numerosi viticci, oltre a un fiore di colore bianco
verde o arancio-giallo candido con grandi foglie. Si
coltiva praticamente negli orti di tutta l’Italia.
Esiste anche un tipo di zucca selvatica conosciuta con
il nome di Zucca Bryonia dioica, sempre della famiglia
delle Cucurbitacee; in Italia vegeta nei luoghi incolti.
A scopo medicinale la tradizione popolare utilizza i semi
della zucca, ricchi in fitosteroli, tocoferolo, numerosi
minerali, proteine, pectina, acido salicilico, cucurbitina.
Quest’ultima è un aminoacido, presente in quantità
variabile, nelle diverse specie di zucca, dotato di attività
antielmintica: paralizza i vermi intestinali, quali tenia e
ascaridi, facendoli distaccare dalla parete intestinale.
In passato veniva consigliata l’assunzione di una pasta a
base di semi di zucca tritati per questo problema: 140 gr
di semi maturi, essiccati, sbucciati e pestati in un mortaio
con 60 gr di miele, fino a ridurli in una pasta omogenea,
aggiungendo acqua e limone. Era consigliata l’assunzione
di diversi cucchiai nella giornata o in più giornate a cui
seguiva poi la somministrazione di un lassativo drastico,
per permettere l’eliminazione completa dei vermi morti.
I moderni studi di farmacologia e di clinica hanno
confermato l’uso terapeutico dei semi di zucca per il motivo
sopraindicato, ma in olio estratto dai semi di zucca, ricco
in fitosteroli. L’olio è altrettanto terapeutico come rimedio
per l’infiammazione prostatica. L’attività antiproliferativa
nel tessuto prostatico, è mediata presumibilmente dalla
cucurbitina stessa, o come raccontano studi scientifici
farmacologici sperimentali recenti dai fitosteroli simili
a quelli presenti nella radice di Ortica e nel seme della
Serenoa (spinasterolo, stigmasterolo, campesterolo e
squalene). Il meccanismo d’azione consiste nel blocco
reversibile dei meccanismi biologici e biochimici
dell’infiammazione cronica a carico dei fibroblasti del
tessuto prostatico. Questo meccanismo non semplice è
stato dimostrato recentemente.
Studi clinici hanno posto attenzione e provato altresì la
sicurezza d’impiego e l’efficacia nel ridurre i sintomi
dell’ipertrofia prostatica con aumento del flusso urinario,
riduzione della frequenza delle minzioni notturne,
riduzione del volume vescicale residuo; a cui fa seguito
la riduzione di tutta la componente infiammatoria che
caratterizza questa disarmonia endocrina che riguarda la
prostata.
Ancora una volta, la scienza ripercorre e dimostra
l’uso ben fatto dell’antica fitoterapia. Altri rimedi molto
interessanti che utilizzano la zucca come ingrediente
principale attingono l’origine ad un tempo molto lontano.
Ad esempio: il decotto di zucca ha un’azione emolliente,
antibatterico intestinale ed è un un valido nutrimento nei
casi di dissenteria. La preparazione prevede di far bollire
in 1 litro di acqua, 100 gr di polpa di zucca a pezzetti,
fino a quando l’acqua si sarà ridotta della metà del suo
volume iniziale. Posologia: sorseggiare 2 tazze al giorno
oppure una dose doppia una volta al giorno; il succo
di zucca ha un’azione lassativa utile per la stitichezza
abituale. Si ottiene riducendo la zucca fresca in una
polpa cremosa a cui aggiungere del miele. Posologia: un
bicchiere a digiuno a giorni alternati per circa un mese;
il cataplasma: per scottature e contusioni. Pestare nel
mortaio una manciata di foglie di zucca fresche, dopo
averle lavate ed asciugate. Il succo che ne esce si applica
sulla zona dolorante.
La zucca è già medicina nelle varie preparazioni in cucina
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Zucca
casalinga, specialmente lessata in acqua e condita con
un poco di olio. È cibo benefico per i convalescenti, per
i dispeptici, per gli anziani e per chi soffre di stitichezza.
Non è indicata per chi soffre di disturbi intestinali come
il meteorismo. La zucca non ha controindicazioni
particolari, tranne nei casi di allergie specifiche, anche se
rare. I semi di zucca forniscono più calorie rispetto alla
polpa ma hanno un contenuto lipidico maggiore per cui
si consiglia di non abusarne.
La zucca colorata, cremosa, dal gusto agrodolce è un
ortaggio i cui colori caldi ed avvolgenti richiamano le
sfumature dell’autunno e dell’inverno, del tramonto e
delle lunghe sere fredde davanti al fuoco. Nelle epoche
antiche, in realtà, era considerato un ortaggio ed un cibo
di poco prestigio, comunemente utilizzata dai poveri.
Tuttavia, a causa delle lunghe carestie, i pregiudizi
lasciarono spazio ad un maggior riguardo verso la zucca
che iniziò ad essere apprezzata anche dalle classi sociali
più abbienti.
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SPECIALE ALLUVIONE
La convivenza di Bologna e dei bolognesi
con fiumi, canali e torrenti
Una città
costruita
sull’acqua
Testo di Francesco Nigro - Associazione Vitruvio
I fatti di cronaca attuale legati alla recente alluvione del
19 ottobre sono sotto gli occhi di tutti e non saremo noi
a parlarne nel dettaglio. Tuttavia la soluzione popolare
al problema non sempre mostra una comprensione
reale della più complessa natura di una città che è stata
costruita attorno all’acqua, questa un’esigenza primaria
per la crescita e il suo sviluppo di qualsiasi centro urbano.
Ci comportiamo come se l’acqua non ci dovesse essere o ci
dimentichiamo che c’è e ci può essere, per mille ragioni le
nostre vite si sviluppano indifferenti alla natura della città.
Una città che nella storia ha vantato il maggior numero di
motori idraulici entro mura con oltre trecentocinquanta
macchine mosse da una corrente virtuosa che, se bene
sfruttata, garantiva il funzionamento a catena di decine
di opifici, lavaggio, piccole attività artigianali, igiene
pubblico, irrigazione, acqua alle bestie, navigazione e in
ultimo, ma spesso primo elemento, la difesa militare.
Una città che si è adattata al territorio facendosi forte di
quanto questo consentiva, che ha preso acqua da due
canali le cui origini fra qualche decade si potranno dire
infine millenarie, che vede un acquedotto romano di
duemila anni solcare alla cieca i crinali dalla Val di Setta
fino a Bologna, che può vantare una storia vivace di porti
cittadini senza affacciarsi su mari o fiumi.
Bologna si è per secoli adattata come un guanto al
suo territorio, assecondando, resistendo e, talvolta,
Il Navile in piena al Sostegno del Battiferro.
forzandolo. Le rotte nelle pianure bolognesi testimoniate
da cronache storiche e recenti non si contano, i luoghi
dai nomi acquatici come Bagno, Bagnetto, Bagnarola ecc,
testimoniano la fragilità di un territorio uso alle alluvioni,
ma in buona parte legato nella sua vita e sussistenza a
specchi d’acqua. Un territorio conscio dei vantaggi e dei
rischi.
Più vicino alla città, una via, via Malvolta nel quartiere
Savena, ricorda probabilmente ancora la brutta ansa del
torrente Savena uso alle rotte. Un torrente, il Savena, che
buttava l’acqua nella grande Padusa a Nord della città
nelle terre di confine della Baricella, del “Bargello”, e fu
forzato nel 1776 nell’Idice liberando Bologna dalla morsa
delle acque.
Esiste un delicato equilibrio fra un continuo braccio di
ferro e un adattarsi alle acque.
Spesso ci si dimentica che prima della città c’è stato altro,
che le prime pietre di Bologna sono state in qualche modo
ragionate, che l’adattamento è partito proprio dalla forma
e dalla natura del territorio. Lo stesso impianto della
Bononia romana è stato orientato sull’asse di due corsi:
l’Aposa e il Vallescura.
La storia dei canali tombati in città non è breve e comincia
dalla più semplice e contingente delle ragioni, costruire
il più possibile senza ordine, così vediamo coprire nel
tempo il corso dell’Aposa in via dell’Inferno o inghiottiti
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016
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Dettaglio del Paraporto di via del Navile.
i rami che conducevano le acque del Savena. Si tomba
per evitare incidenti, si tomba per allontanare la gente
da acque pericolose e infette dopo anni di pandemie
ottocentesche, si tomba per aprire nuovi varchi e strade.
Si costruisce su letti dimenticati di fiumi, si costruisce su
torrenti inscatolati nel cemento, ci si mette una pietra
Canali e torrenti
sopra.
Già Kenzo Tange, fra i ricostruttori di Hiroshima, aveva
portato a Bologna un suo sogno di sviluppo fin troppo
utopico che sembra prevedesse nello sviluppo a nord
proprio una tombratura del Navile per assencordare l’asse
stradario verso Ferrara.
Oggi, giunti alla terza alluvione fuori scala, con oltre
tremila metri cubi di fango che dai rii e dalle vallecole
collinari hanno intasato il canale di Reno, con la terza
alluvione del Ravone in pochi mesi a ricalcare i fatti storici
di quella notte di uragano sulla prima pagina del Resto del
Carlino del 1932, con intere aree cittadine allagate che si
scoprono tali perché incapaci di drenare l’enorme quantità
d’acqua su superfici a maggior ragione impermeabilizzate
da cemento e asfalto e con una piena del Navile storica
che ha ingoiato il Sostegno del Battiferro, entrando nelle
case, per poi riversarsi a Corticella (con 4,99 m al Sostegno
di Corticella registrati dei tecnici regionali che superano i
4,88 m del 1982), si pongono nuove sfide idrauliche e di
consapevolezza.
Mappa di proprietà dell’Archivio Storico di Canali di Bologna. La mappa è dell’Ing. Giuseppe Tubertini e rappresenta la Chiavica
denominata Vicinanza delle Lamme a sinistra superiore marcata alla fronte del Canale di Reno. N. 27, non che li numeri 23,22, 21,20,
18 e 17 Chiaviche dell’Ospedale della Vita scolatizie nella suddetta vicnanza delle Lamme superiore; come pure le due chiaviche
del Signo Franchi marcate n.24 e 26 scolatizie nel chiavicotto maestro delle Lamme ed in ultimo la chiavica n.29 detta la Corsina
scolatizia essa pure nel Medesimo Chiavicotto.
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cultura.turismo@comunepersiceto.it
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051 6758409
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SPECIALE ALLUVIONE
Il Ponte della Bionda è finito sott’acqua. A
rischio l’attività dell’Associazione che dal
2004 anima questa parte di città. E quanto
mancano i “Sostegni”...
Quando il Navile si
si arrabbia
Piena del 2008
Testo e foto di Fausto Carpani
Ho sempre considerato Bologna una città fortunata e
ciò perché il suo centro storico non è attraversato da
un fiume, come per esempio Firenze, Roma, Torino,
Verona, solo per fare alcuni esempi. Ricordo l’angoscia
provata nel novembre del ’66, alla vista dell’Arno che
straripava (oggi si dice esondava): il bellissimo Crocifisso
di Cimabue sfregiato dal fango, codici e incunaboli
divenuti blocchi compatti illeggibili, che passavano tra
le mani degli “Angeli del fango”.
Noi no. Il nostro Reno scorre lontano dal centro,
lambisce Borgo Panigale, passa sotto al Pontelungo, si
dirige verso la Bassa dove, in passato, ha fatto danni.
Ma in città, no. E poi non è navigabile come l’Arno o il
Tevere, a Firenze e a Roma, anche se nascono tutti dagli
Appennini, sia pure con diverse lunghezze (Tevere km.
405, Arno km. 241, Reno km. 211).
Il Reno “Italico”, da non confondere con l’altro
“germanico”, è un fiume a regime torrentizio, che gode
di una certa notorietà per il fatto che, nell’anno 43 a.
C., su una sua isola si incontrarono Ottaviano, Antonio
e Lepido, il famoso Triumvirato, la cui memoria rimane
nel toponimo della via che porta all’aeroporto Marconi
e a Calderara di Reno. Ma Bologna è lontana dal Reno,
che non può farvi danni.
Il Reno no, ma gli altri corsi d’acqua, naturali o artificiali,
sì: il rio Meloncello, che negli anni ’30 del secolo scorso
allagò tutta l’area prossima allo Stadio; il rio Vallescura,
i torrenti Ravone e Aposa, la Fossa Cavallina, il torrente
Savena, anche lui figlio di Appennino, e il canale che
da lui prende avvio e nome alla chiusa di San Ruffillo.
Un discorso a parte per il canale di Reno, antico
capolavoro idraulico che, partendo dalla chiusa di
Casalecchio, entra in città alla Grada, per diventare
lungo il suo corso canale delle Moline, Cavaticcio e
poi Navile.
Ecco, il Navile, al Navélli, per secoli e secoli tenuto
a bada dai sostegnaroli che, manovrando chiuse e
porte vinciane, ne regimentavano il corso, favorendo
altresì la navigazione. Poi, nel secolo scorso, tutto
finì: scomparsa la figura del sostegnarolo, che abitava
con la famiglia nelle case dei “Sostegni”; fuori uso i
I Sostegni lungo il Navile
Questi i “Sostegni” lungo il Navile, nel territorio Comunale: La
Bova (o Bua), il Battiferro, il Sostegno Torreggiani (il Sostegnino
o Sustgnén), il Sostegno Landi ( il Sostegnazzo o Sustgnâz),
il Sostegno Grassi (prossimo al Ponte Nuovo o Ponte della
Bionda), il Sostegno di Corticella e il Sostegno detto la
Chiusetta.
meccanismi di apertura e chiusura delle paratoie, il
Navile divenne un corso d’acqua incontrollabile, alla
mercé dei capricci atmosferici e dell’umana inciviltà,
che ne fece una comoda discarica abusiva a cielo
aperto.
L’Associazione Culturale IL PONTE DELLA BIONDA, di
cui mi onoro essere presidente, opera lungo il Navile fin
dal 2004, tagliando l’erba lungo la restara dal Battiferro
al Ponte della Bionda, svuotando i cestini di rifiuti e,
prima del grande straripamento del 19 ottobre scorso,
ha visto almeno altri due tentativi di allagamenti, che
ho documentato fotograficamente.
Ma il più recente si è rivelato anche il più devastante,
almeno per quanto riguarda la nostra sede: l’acqua e il
fango entrati prepotentemente nella golena in cui, oltre
a noi, vivono anche due famiglie, ha reso totalmente
inservibili le nostre attrezzature (elettrodomestici,
strumenti musicali, impianti di amplificazione,
018
1931
Piena del 2011 Piena del 2024
L’iniziativa di Emil Banca
Il Terzo settore riparte
col Crowdfunding
Gli organi di sollevamento della grata sul canale di Reno
trattori…), imbibendo irrimediabilmente i muri interni
dello stabile, a suo tempo nato dalla generosità di
un grande Uomo: Giorgio Ventura. Sappiamo bene
che quanto successo alla nostra sede non è neppure
paragonabile ai danni subiti da chi ha visto distrutte
le proprie case: noi, finito il lavoro di sgombero e
pulizia, torniamo alle nostre abitazioni, fortunatamente
preservate dalla furia degli elementi.
Per vent’anni, in estate, abbiamo ospitato migliaia di
bolognesi venuti ad ascoltare buona musica e a gustare
cibi semplici come la polenta e le crescentine. Ora
come ora non mi sento di garantire il prosieguo della
nostra attività di volontariato perché, anche se con la
generosità di tanti amici potremo tornare a dotarci di
quanto perduto, nessuno è in grado di garantire che il
Navile non decida di fare un bis…
Bisognava pensarci tanti anni fa, al tempo dei
sostegnaroli…
Per aiutare il territorio colpito dall’ennesima alluvione, Emil
Banca, ha deciso di sostenere tutte le realtà del Terzo
Settore danneggiate dalla forza dell’acqua. A polisportive,
parrocchie, associazioni e cooperative sociali delle
provincie di Bologna, Reggio, Modena, Parma, Piacenza
Ferrara e nel mantovano, clienti della Banca, la Bcc offre
la possibilità di attivare senza costi una raccolta fondi sul
portale Ideaginger.it e contribuirà ad ogni campagna di
crowdfunding avviata con un versamento di almeno 1000
euro ed eventuali successivi contributi da valutare in base
all’entità dei danni subiti. Alle realtà del Terzo settore che
richiederanno l’attivazione della campagna di raccolta
fondi verrà offerto anche un piccolo corso di formazione su
come portarla avanti in maniera efficace. “In un momento
così difficile dobbiamo fare fronte comune affinchè il
territorio possa rialzarsi da questa ennesima tragedia. Per
questo abbiamo deciso di concentrare i nostri sforzi verso
quelle realtà che ogni giorno si mettono al servizio degli altri
e del bene comune, cercando il modo migliore per reperire
il massimo delle risorse, in tempi brevi, coinvolgendo il
maggior numero di persone possibili”, ha commentato
il presidente Gian Luca Galletti, che ha aggiunto: “La
nostra esperienza ci insegna che per ogni euro investito,
grazie al crowdfunding se ne raccolgono almeno sette.
In questi anni, assieme a Ideaginger, abbiamo investito
per formare tante realtà che complessivamente hanno
promosso più di 230 campagne e raccolto oltre 2,6 milioni
di euro, tutti finalizzati a progetti sociali nelle comunità. In
più, l’accensione di campagne di raccolta fondi on line
permetterà a tutti di sostenere le realtà a loro più vicine
in maniera sicura e facile rendicontando ogni centesimo
raccolto”.
SPECIALE ALLUVIONE
Cosa succede ad habitat e
organismi quando straripa
un fiume?
LE ALLUVIONI
E GLI ECOSISTEMI
Testo di Andrea Morisi - Sustenia Srl
Non senza ragioni, la considerazione
dell’impatto sugli ecosistemi di
eventi alluvionali, come quelli
che in modo ricorrente stanno
interessando il territorio, non
rientra nella narrazione corrente.
Comprensibilmente l’attenzione è
rivolta ai danni al sistema sociale ed
economico, insediativo e produttivo.
Tenendo ben presente questa
legittima attenzione e lasciando
volutamente fuori dal ragionamento
sia l’evidenza della crisi climatica
globale, sia la ricerca di capri
espiatori locali (siano essi nutrie,
alberi o tombini), occorre rilevare che
l’impatto degli allagamenti si esplicita
anche sulle componenti ambientali
del territorio (suoli, ecosistemi,
organismi) che, però, raramente
sono oggetto di considerazione, sia
in forma di studio, sia in termini di
comunicazione.
Detto questo occorre fare alcune
premesse, che sarebbero scontate,
se non che basta un attimo per
venire incasellati in qualche -ismo
e attribuiti a qualche ideologia,
a cui non vogliamo sottrarci, ma
semplicemente non riteniamo questa
né la sede appropriata, né l’intento
dei ragionamenti che di seguito si
vanno a fare.
Partiamo, dunque, con il dire che
esiste la piena consapevolezza
dell’immenso impatto che i
disastri idraulici hanno recato alla
popolazione, alla vita delle persone,
alle loro case, al loro lavoro, nonché
al territorio abitato e utilizzato
dall’uomo. Rispetto a questi aspetti è
esplicita la vicinanza umana.
Un’altra precisazione riguarda
il fatto che ci si sta riferendo al
contesto della pianura, vale a
dire a un territorio ampiamente e
storicamente antropizzato, per cui
il richiamo a ipotetiche condizioni
“naturali” è tutt’al più un artificio
utilizzato per rendere meglio l’idea.
Rimane, in ogni caso, assolutamente
auspicabile che si possa presto
contare anche su ricerche e su
dati che rendano evidenza, sul
piano scientifico ed oggettivo,
di quello che qui tratteremo in
modo necessariamente generico e
colloquiale.
LA NATURA
CONTRO LA NATURA?
Cosa succede, dunque, quando
un fiume della pianura rompe gli
argini o li sormonta, in occasione
di fenomeni meteorologici estremi
come quelli che la crisi climatica ci
sta mettendo di fronte sempre più
frequentemente?
Il fiume costituisce il grande motore
geomorfologico che genera la
pianura. Ciò avviene da milioni di
anni e, banalmente, non staremmo
parlando della pianura bolognese
se non ci fosse stato un insieme di
corsi d’acqua, grossolanamente
dal Panaro all’Idice, che con il loro
divagare geologico nella Bassa
avessero spagliato le loro piene,
depositando ghiaie, sabbie, argille e
limi.
L’esondazione di un corso d’acqua
dal proprio alveo costituisce,
prettamente, un fenomeno naturale.
Come noto, i nostri fiumi sono stati
artificialmente inalveati, regimentati
ed arginati. I circa duemila anni, dalla
Centuriazione romana alle bonifiche
moderne, che hanno dovuto essere
impiegati per bloccare i tracciati
degli alvei fluviali e regimarne
le portate, sono molto pochi
rispetto ai tempi geologici naturali.
Inevitabilmente, l’esondazione di
un fiume contrappone la natura
all’uomo anche se, paradossalmente,
lo straripamento di un fiume
comporta un impatto anche nei
confronti degli elementi naturali o
almeno quelli ancora presenti nel
contesto artificializzato della pianura
attuale.
RISCHIO ECOLOGICO
Anche i campi coltivati sono
ecosistemi (agroecosistemi) e così
le aree abitate (ecosistemi urbani).
L’esondazione di un fiume comporta
quindi anche un rischio ecosistemico,
con l’impatto nei confronti della
componente fisica dell’ecosistema,
nonché di quella biologica.
Un sistema ecologico, di norma,
esprime una propria resilienza
alle perturbazioni che lo possono
interessare. Più l’ecosistema è
strutturato, maturo, diversificato
e più è capace di opporsi agli
impatti, ma, evidentemente, più gli
impatti avvengono repentinamente
e intensamente e meno risulta
resiliente.
Prendiamo il caso che stiamo
trattando. L’esondazione di un
fiume avviene, nella nostra pianura,
in seguito ad una piena che, a
causa degli argini, ha concentrato
020
2131
La Bassa bolognese nelle immagini dei Vigili del Fuoco
ingenti volumi d’acqua nell’alveo
e nelle golene, fino a quando, per
sormonto o rottura, l’acqua invade
un determinato territorio. Ciò
avviene dunque velocemente e in
modo ingente. Gli agroecosistemi e
gli ecosistemi urbani non sono, per
loro stessa natura, molto resilienti e
il danno apportato dall’esondazione
è molto forte. L’impatto diretto ha
luogo a causa della forza che l’acqua
esercita sul terreno uscendo dal
fiume, ma quello più significativo
è senz’altro caratterizzato
dall’annegamento di un numero
spropositato di organismi. Nel
primo caso si viene a determinare
l’erosione locale del suolo, la
creazione di buche e avvallamenti,
da un lato, e di accumuli del terreno
smosso dalla corrente, dall’altro. In
questo frangente possono nascere
repentinamente depressioni, essere
divelti alberi e ricoperte ampie
superfici con detriti. Habitat, nicchie
ecologiche e organismi vegetali ed
animali vengono quindi fisicamente
cancellati. Nel secondo caso
l’imbibizione del suolo e il formarsi di
un battente d’acqua, per quanto più
lenti, determinano l’annegamento di
tutti gli organismi che non riescono
a nuotare, galleggiare o allontanarsi
fortuitamente. Muoiono quindi gli
innumerevoli organismi del suolo, dai
lombrichi alle talpe, ma anche insetti,
chiocciole, ragni, topi, toporagni,
arvicole, lucertole, ramarri. Possono
essere impattate anche specie di
maggiori dimensioni, come ricci e
donnole e altri Vertebrati, compreso
i loro piccoli, se la stagione in cui
avviene l’esondazione è quella
riproduttiva. Il numero di animali che
subiscono gli effetti di un’alluvione
risulta probabilmente davvero
enorme e l’impatto locale per la
biodiversità conseguentemente
importante. Se l’acqua permane per
giorni dopo l’esondazione, l’asfissia
radicale può, poi, uccidere le piante,
sia erbacee sia legnose.
Se avviene la deposizione del limo
e degli altri solidi sospesi a formare
anche solo pochi centimetri sul
preesistente terreno, si verifica una
sorta di annullamento diffuso delle
comunità biologiche.
In condizioni davvero naturali, questa
fase catastrofica in realtà generebbe
fisicamente nuovi ecosistemi, che poi
ospiterebbero prima specie pioniere
e poi neoecosistemi, passando
per successioni che comportano,
in fondo, una diversificazione
spaziale ed un arricchimento della
biodiversità. Ma gli ecosistemi attuali,
che sopravvivono o sono stati ricreati
appositamente nella nostra pianura,
sono troppo pochi, frammentati e
deboli per potersi complessivamente
giovare dell’alluvione come motore
della diversificazione ambientale
e ciò comporta, di fatto, solo effetti
negativi.
Fenomeni di questo tipo possono
verosimilmente portare all’estinzione
locale di specie e alla scomparsa di
habitat, con ulteriore appesantimento
del bilancio.
Il post allagamento si può infine
configurare come il colpo di grazia,
con il disseccamento delle melme che
si sono depositate nelle aree allagate
e i successivi interventi di rimozione,
necessariamente impattanti a causa
dei movimenti terra, se l’uomo vi
cerca poi di intervenire.
ALTRI EFFETTI SULL’ECOSISTEMA
Ciò che resta localmente dopo
un’alluvione, dal punto di vista
ecosistemico, è dunque una sorta di
deserto a cui si aggiungono anche
altri impatti legati al mutamento
drastico che l’ambiente fisico
ha subito a causa del possibile
instaurarsi di micro-condizioni locali
diverse a causa della scomparsa
della copertura vegetale, della
variazione dell’umidità e del grado
di insolazione diretta. Probabilmente
gli effetti possono arrivare a
riverberarsi addirittura fino al livello
del microbioma fungino e batterico.
Va inoltre considerato che gli
effetti dell’alluvione possono
indirettamente portare ad alterazione
fisico-chimiche dei suoli a causa
dell’apporto di quanto trasportato
con l’acqua, fino al configurarsi di
inquinamento da sostanze chimiche,
oli e inquinanti vari che durante gli
eventi meteorologici così importanti
confluiscono nei corsi d’acqua.
Nello specifico, nel caso degli
agroecosistemi, oltre al danno
alle colture, si possono venire
a determinare fenomeni di
ruscellamento delle sostanze
utilizzate agronomicamente, come
concimi, diserbanti e pesticidi, con
la contestuale vanificazione degli
effetti per i quali erano stati utilizzati
ed il loro pernicioso trasporto altrove
con il ritiro delle acque.
SPECIALE ALLUVIONE
Gli impianti dopo l’alluvione: tra crowdfunding e tanti
dubbi sul futuro
LO SPORT
VUOLE RINASCERE
Testo e foto di Marco Tarozzi
È passato un mese e mezzo, ma le
ferite sono ancora aperte: l’alluvione
del 19 ottobre ha strappato alla vita
un ragazzo di vent’anni in Val di
Zena, dove ancora si ragiona di case
destinate all’abbandono, e questa
volta anche la città è stata colpita
in modo pesante. Anche il mondo
dello sport ha subìto il contraccolpo,
e in tutta la Città metropolitana
abbiamo registrato casi di società
in affanno, costrette a interrompere
l’attività che permette loro di
vivere offrendo occasioni di attività
motoria alle comunità in cui sono
inserite. Impianti sportivi all’aperto
distrutti, palestre da ristrutturare con
interventi urgenti ed economicamente
importanti.
CROWDFUNDING. C’è chi, per
forza di cose, ha dovuto affidarsi al
crowfunding. È il caso del Centro
Ippico Baldazzi di Botteghino di
Zocca, uno dei luoghi più colpiti,
nel cuore della Val di Zena.
La sottoscrizione aperta sulla
piattaforma Gofundme ha raccolto
finora 16.500 euro, un’inezia rispetto
ai danni subìti da un’azienda-gioiello.
«Ci dispiace molto dover arrivare al
punto di dover chiedere un aiuto ad
altre persone», spiega il titolare Ettore
Baldazzi, «ma in un mese abbiamo
subìto due alluvioni, e questa volta
non riusciamo a risolvere tutto da
soli. Gestiamo questa scuderia, che
conta su venti cavalli, dal 2015,
ma io la frequento dal 1990 e non
avevo mai vissuto una situazione del
genere. Abbiamo investito milioni di
euro in un progetto che valorizzava
il territorio, svolgeva un’importante
opera di socializzazione e
manteneva unita la nostra famiglia,
con le mie figlie istruttrici a cui sono
riuscito a trasmettere l’amore per
l’equitazione». L’idea è quella di
ripartire, ma niente sarà come prima.
«Certo, mi rimbocco le maniche
e riparto. Ma creerò un’area più
piccola, un maneggio coperto, con
cinque cavalli. Per gli altri serve un
campo ad ostacoli, riallestirlo in
fretta sarebbe complicato. Se dovessi
ripristinare tutto come era prima,
penso non basterebbe mezzo milione
di euro. Ma la domanda è proprio
questa: vale la pena risistemare
se non sappiamo cosa ci riserverà
il futuro? Abbiamo subìto danni
con l’alluvione del maggio 2023,
altri ancora il 18 settembre, infine
questa terza volta. E il problema
è ripresentato a dicembre. Non è
solo una questione di cambiamenti
climatici, ma anche di manutenzione
del territorio».
SAN MAMOLO. Ha già superato la
quota di 14mila euro di donazioni,
sulla stessa piattaforma, anche la
raccolta dedicata alla nuova palestra
della Polisportiva San Mamolo, sotto
la parrocchiale di Sant’Eugenio in
via del Ravone. C’era orgoglio per il
nuovo parquet in legno norvegese,
la cui stesura era terminata proprio
la mattina di quel sabato maledetto.
I corsi sono comunque ripartiti su
quel campo “rappezzato” che dovrà
essere sostituito. «L’attività con i soci
ci permette di mantenere viva la
polisportiva e di progettare il futuro»,
spiega il presidente Jacopo Mannini.
«Non potevamo permetterci di Palestra Masi a Casalecchio
022
2331
Campo Leoni - Fortitudo baseball Casteldebole
Baldazzi
restare fermi troppo a lungo. Ma
certamente siamo ripartiti da zero,
dopo un anno di lavoro».
SOFTBALL. Il torrente Savena ha
“graziato” il glorioso Gianni Falchi,
tempio del nostro baseball, ma
poche centinaia di metri più in là le
sue acque hanno distrutto l’ “Alfiero
Spisni” dove si allenano e giocano le
ragazze del New Bologna Softball. «Il
fiume ha rotto l’argine e sfondato in
due punti», spiega Davide Termanini,
manager della prima squadra. «Ha
completamente sepolto la terra
rossa, piegato parecchi metri di
rete e anche scavato vere e proprie
voragini sul campo: una misura
tre metri di larghezza e due di
profondità. L’alluvione di un anno
fa ci aveva risparmiati, il Savena
aveva solo lambito l’impianto e
invaso una strettissima striscia di
campo, una situazione risoltasi col
tempo. Stavolta la botta è stata dura,
risistemare significa ricostruire».
BASEBALL. Anche dalla parte opposta
della città il “batti e corri” è finito nel
mirino. Sul campo “Pietro Leoni” di
Casteldebole, “casa” del baseball per
un centinaio di bambini e ragazzi
delle giovanili della Fortitudo, oltre
che per i White Sox, la squadra che
affronta da primattrice il campionato
per non vedenti. Qui i danni più
ingenti li ha fatti, oltre alla pioggia,
non l’acqua del Reno che scorre poco
lontano, ma quella del rio Canalazzo
che con un percorso di sette chilometri
arriva da Zola Predosa. La parte che
ha sofferto maggiormente è il tunnel
coperto, necessario per portare avanti
l’attività invernale, con l’erba sintetica
da sostituire, l’impianto elettrico
da ripristinare e un gran numero di
costose attrezzature definitivamente
rovinate e da buttare. Nel magazzino
sono andate perdute persino le
mazze in legno e le oltre duecento
palline, insieme all’abbigliamento
societario. «Il contatto con il settore
Sport del Comune si è subito
attivato», ci racconta Roberto “Naso”
Franceschini, consigliere della
Fortitudo Baseball. «Ma siamo i primi
a dire che i nostri problemi vengono
dopo situazioni drammatiche che
hanno colpito la città, ci sarà tempo
per sederci a un tavolo, anche
per capire come intervenire sul
Canalazzo, perché non si ripresenti
una situazione simile a breve».
MASI. A Casalecchio i volontari
della Polisportiva Masi hanno
lavorato duro per liberare dal
fango la palestra Gimi Sport Club,
gioiello inaugurato nel 2015, e il
palazzetto Cabral. «Erano sommersi
sotto settantacinque centimetri
d’acqua», spiega sconsolato il
presidente Andrea Ventura. «Usciva
dai lavandini, dai sanitari, la sua
forza ha sfondato porte. Gli impianti
elettrici erano immersi e sono saltati,
il parquet ha subìto danni notevoli. Il
danno materiale è indefinito: dentro
la palestra c’erano macchinari,
attrezzature sportive, il materiale per
la ginnastica artistica: tutto da buttare
e sostituire».
SOSTEGNO. «Ho chiesto a tutte le
società, sia quelle che lavorano in
convenzione col Comune che quelle
che svolgono attività privata, di
segnalare le situazioni di difficoltà»,
spiega l’assessora allo Sport del
Comune, Roberta Li Calzi. «Ci
siamo attivati immediatamente per
sopralluoghi e primi interventi dove
esistevano situazioni di emergenza.
Ci siamo organizzati nell’attesa
che arrivino, contiamo in tempi
ragionevoli, risorse economiche per
il ripristino di terreni e locali. Ma
già ora, come molti hanno potuto
constatare, se c’è da dare una mano
io e il settore Sport siamo presenti:
non vogliamo lasciare indietro
nessuno».
Baldazzi
SPECIALE ALLUVIONE
Percorso per percorso, ecco la situazione
dei sentieri dell’Appennino
I CAMMINI
RIPARTONO
DOPO LA
GRANDE PAURA
Testo e foto di Valentina Fioresi
L’alluvione che ha ripetutamente colpito Bologna e le aree
circostanti in ottobre ha messo letteralmente in ginocchio
gran parte della popolazione residente. I danni sono stati
ingenti e molte zone continuano ancora a fare i conti con
le conseguenze dovute a esondazioni e frane.
Tra le aree più colpite troviamo nuovamente quella
compresa tra i fiumi Savena, Zena e Idice, con allagamenti
ingenti tra San Lazzaro di Savena, Pianoro e Botteghino
di Zocca. I problemi, oltre che nei centri abitati, si sono
manifestati anche nei boschi, coinvolgendo la rete
sentieristica.
Allo stato attuale i maggiori Cammini del bolognese sono
quasi tutti percorribili:
VIA DEGLI DEI
(BOLOGNA - FIRENZE)
La Via degli Dei non presenta particolari criticità dovute
all’alluvione. Naturalmente durante le giornate di allerta
meteo non è consigliabile partire, in quanto il tratto
iniziale della Via si snoda lungo il fiume Reno e potrebbe
essere soggetto a inondazione. Si sono verificati alcuni
piccoli smottamenti lungo il sentiero, ma le criticità sono
state risolte. Sul lato toscano della Via degli Dei non sono
state riscontrate problematiche.
VIA DELLA LANA E DELLA SETA
(BOLOGNA - PRATO)
La Via della Lana e della Seta in generale non ha subito
danni collegati all’alluvione di ottobre 2024.
VIA DEL FANTINI
(SAN LAZZARO DI SAVENA - MONTERENZIO)
La Via del Fantini purtroppo si snoda lungo una delle
aree più danneggiate dagli eventi atmosferici: la Val di
Zena. Non risulta quindi percorribile nella sua interezza,
i danni più gravi (frane, smottamenti) sono stati riscontrati
nella zona del Farneto, di Pianoro, Botteghino di Zocca,
Gorgognano, Monte delle Formiche e Monte Bibele.
La Via del Fantini era stata da poco ripristinata dopo
l’alluvione del maggio 2023, ma purtroppo la situazione
è di nuovo abbastanza critica.
VIA DEI BRENTATORI
(BOLOGNA - BAZZANO)
Per quanto riguarda la Via dei Brentatori si riscontrano
problemi di percorrenza nella zona di Zola Predosa:
qui non è possibile attraversare il torrente Lavino, ma è
possibile aggirarlo passando dal centro di Zola, per poi
raggiungere nuovamente il percorso segnalato.
024
2531
Cammini
VIA MATER DEI
(BOLOGNA - RIPOLI)
La Via Mater Dei, così come la Via del Fantini, attraversa
la Val di Zena (i due percorsi condividono alcuni tratti
sentieristici). Per questo motivo anche per la Mater Dei
valgono le indicazioni date per la Via del Fantini nelle
aree di Pianoro, Monte delle Formiche, Monte Bibele.
BOLOGNA MONTANA ART TRAIL
Il percorso Bologna Montana Art Trail è un anello
costellato di opere di land art (opere realizzate con
materiali naturali) che si sviluppa per circa 100 km tra
le aree di Loiano, Monzuno, Monterenzio, Monghidoro,
San Benedetto Val di Sambro e Firenzuola. Risulta quasi
tutto percorribile, con alcune criticità soprattutto nelle
aree di Loiano e Monterenzio.
Le tracce della Via degli Dei, Via della Lana e della Seta e
Bologna Montana Art Trail sono disponibili nel database
dell’app Walk+, grazie alla quale è possibile tenersi
aggiornati sullo stato di questi percorsi.
La novità
A sciare o a fare una ciaspolata ci si va in
treno e con la convenzione si risparmia
anche su alberghi e noleggi
La neve
a portata di treno
con il CORNO
EXPRESS
A cura di Valentina Fioresi
L’inverno è sicuramente il momento più magico per
godersi il fascino della montagna: la coltre nevosa che
ricopre boschi e cime altera il paesaggio, rendendolo
incredibilmente fiabesco.
Uno dei luoghi migliori per vivere la sensazione
rigenerante dell’aria di montagna è il Corno alle
Scale, la cima più alta dell’Appennino bolognese: qui
il comprensorio sciistico offre tantissime opportunità
per gli amanti della neve e del divertimento.
La stazione sciistica comprende 11 piste delle quali
5 blu (adatte per principianti o per chi è in fase di
avanzamento), 4 rosse (di media difficoltà, adatte a
sciatori che hanno già esperienza) e 2 nere (adatte a
sciatori esperti e con elevate capacità tecniche). Su
alcune di queste piste si sono allenati campioni come
Alberto Tomba (a cui sono intitolate due discese), oggi
testimonial della stazione che lo ha visto nascere.
Non mancano poi i sentieri percorribili anche in
inverno grazie all’ausilio delle ciaspole, un altro
strumento perfetto per scoprire la meraviglia delle
cime innevate. Oltre ai percorsi già fruibili saranno
presto realizzati un percorso dedicato esclusivamente
ai ciaspolatori (con partenza dall’area della Polla,
il centro della stazione sciistica) e una risalita per
praticare ski alp lungo il tracciato della vecchia
sciovia del Cupolino.
eXtraBO, grazie al rinnovato accordo con Trenitalia
Tper e Corno alle Scale srl, anche quest’anno offre
a tutti di poter raggiungere e fruire i servizi della
montagna a prezzi speciali.
Le offerte permettono di arrivare al comprensorio
sciistico del Corno alle Scale in modo semplice e
soprattutto ecologico, sfruttando la disponibilità di
mezzi pubblici che dalla città raggiungono anche
alcune delle zone più lontane dell’Appennino.
Grazie alle offerte del Corno Express sia che siate
amanti delle adrenaliniche discese in sci e snowboard
o appassionati di rigeneranti ciaspolate avrete la
possibilità di acquistare pacchetti convenienti in
un’unica soluzione.
Per il 2024/2025, infatti, sarà di nuovo disponibile
l’offerta giornaliera che include: biglietti del treno
andata e ritorno da Bologna a Porretta Terme (a
prezzi scontati), biglietti della corriera da Porretta
Terme al Corno alle Scale, skipass a prezzo
speciale, convenzione per pranzare nelle baite
direttamente sulle piste da sci! Il “pacchetto Corno
Express” dà anche la possibilità di aggiungere il
noleggio dell’attrezzatura direttamente in loco (sci o
snowboard, casco, scarponi) oppure una lezione di
sci o snowboard a prezzi agevolati. In più lo skipass
acquistato all’interno del pacchetto permette agli
utenti di poter attivare in anticipo la tessera, saltando
così la fila all’arrivo sulle piste. La grande novità di
quest’anno è che il pacchetto sarà disponibile anche
nel fine settimana e durante i giorni festivi.
Ma quest’inverno il Corno Express non si ferma qui. I
pacchetti saranno fruibili non più soltanto da sciatori
e snowboardisti, ma anche da coloro che preferiscono
la calma di un trekking con le ciaspole al brivido della
discesa.
Ogni mercoledì e ogni sabato, da dicembre fino a
chiusura impianti, i ciaspolatori potranno usufruire
degli stessi servizi del pacchetto base (trasporti,
noleggio attrezzatura a prezzo agevolato, buono
sconto per il pranzo) ed essere accompagnati alla
scoperta dei sentieri del Corno alle Scale da una guida
esperta.
Un’altra novità riguarda la possibilità di pernottare
nel comune di Lizzano in Belvedere (ai piedi del
Corno alle Scale) a prezzi agevolati: l’offerta è valida
sia per singoli/coppie che per gruppi. In questo
caso il pacchetto è valido durante la settimana
(pernottamento tra il lunedì e il giovedì), un momento
perfetto per sciare o rilassarsi lontani dalla folla
del fine settimana, vivendo un’esperienza montana
veramente immersiva.
Le offerte “Corno express” sono un’occasione
026
2731
PREZZI
perfetta per vivere la montagna in modo immersivo
e vantaggioso: le opzioni variegate e altamente
personalizzabili possono accontentare tutti gli amanti
del bianco e del turismo d’alta quota.
Il pacchetto è acquistabile presso il punto eXtraBO
(piazza Nettuno 1 a/b, Bologna) oppure on line su:
www.extrabo.com/it/corno-express/
“CORNO EXPRESS - SCI”:
pacchetto infrasettimanale che include trasporto
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Adulto: 40,00€
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pacchetto infrasettimanale che include trasporto
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Adulto: 30,00€
Junior: 25,00€
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Adulto: 55,00€
Junior: 50,00€
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prezzo per il weekend e il periodo festivo:
Adulto: 35,00€
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con pernottamento a partire da 100€
IL CUORE NEL TERRITORIO
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ITINERARI
Quattro percorsi nella montagna bolognese, bellissimi in ogni stagione dell’anno,
che con la neve diventano magici
Con le ciaspole in Appennino
Testo di Giovanni Zati
L’Appennino bolognese è una delle destinazioni più
affascinanti e variegate per gli amanti della montagna,
soprattutto durante l’inverno, quando i suoi crinali
si imbiancano e i paesaggi si trasformano in scenari
fiabeschi.
La montagna bolognese offre diverse opportunità per farsi
scoprire passo dopo passo, immergendoti in estese faggete
e dorsali spazzate dal vento. Vi proponiamo quattro luoghi
da esplorare con le ciaspole, per vivere un’esperienza
unica tra neve e natura. Ognuno di questi luoghi offre
una proposta diversa ma altrettanto entusiasmante per gli
appassionati delle escursioni invernali.
1. LAGO SCAFFAIOLO E CORNO ALLE SCALE:
TRA NATURA E STORIA
Il Lago Scaffaiolo, situato a circa 1.800 metri di altitudine,
è una delle mete più apprezzate per chi desidera
fare una ciaspolata ad alta quota. Il lago è un piccolo
gioiello incastonato tra i crinali del Corno alle Scale, la
vetta più alta dell’Appennino bolognese, che raggiunge
i 1.945 metri sul livello del mare. Durante l’inverno, il
lago Scaffaiolo si trasforma in un paesaggio suggestivo,
circondato da un manto di neve che riflette il cielo e i
crinali circostanti.
L’escursione che parte dal lago o dal rifugio Cavone
per salire al Corno alle Scale è una delle più belle
e panoramiche della zona. Il percorso è un’ottima
occasione per mettersi alla prova in un’escursione di
media difficoltà, adatta a chi ha una buona preparazione
fisica. Durante la salita si attraversano boschi di conifere,
faggete, radure e pendii ricoperti dalle nevicate.
Arrivati in cima al Corno alle Scale, il panorama è
mozzafiato: dalle vette più alte dell’Appennino fino a
scorgere nei giorni più fortunati, le Alpi Apuane e l’isola
di Gorgona all’orizzonte. Una volta giunti al rifugio Duca
degli Abruzzi in prossimità del lago, è possibile godersi
un meritato ristoro, magari assaporando un piatto tipico
della tradizione montanara.
Al Corno alle Scale - @Lab051
028
2931
L’Alpe di Monghidoro nelle foto di Lab051
2. CASCATE DEL DARDAGNA:
LA MAGIA DEL GHIACCIO
Le cascate del Dardagna, nel parco del Corno alle
Scale, sono una delle attrazioni naturali più suggestive
dell’Appennino bolognese. Questo luogo è perfetto per
una ciaspolata invernale. L’itinerario che porta alle cascate
parte dal rifugio Cavone ed è facilmente raggiungibile
sia in auto sia con i mezzi pubblici, prendendo prima
il treno fino a Porretta Terme e poi la linea 776 fino al
Cavone.
Il percorso per arrivare alle cascate è relativamente
facile ma bisogna prestare attenzione sia alla pendenza
che al fondo umido e scivoloso. Durante l’escursione
si attraversano boschi di faggi e abeti, con la neve che
rende il cammino ancora più magico; man mano che
ci si avvicina alla cascata, l’inverno mostra tutta la sua
bellezza.
3. SUVIANA E BRASIMONE:
ESCURSIONI E RELAX
I laghi di Suviana e Brasimone sono il territorio perfetto
per ciaspolare in un ambiente naturale ricco di boschi e
alture non troppo elevate. Entrambi i laghi, che si trovano
rispettivamente a 400 e 800 metri sul livello del mare,
offrono scenari di grande fascino, con le acque che si
alternano alla neve che copre le terre circostanti. Sebbene
non si tratti di escursioni particolarmente difficili, questi
percorsi permettono di godere di paesaggi suggestivi
e rilassanti, perfetti per una giornata di ciaspolate in
compagnia.
Il lago di Suviana, in particolare, è una meta ideale per
chi cerca una ciaspolata tranquilla, immersa nel silenzio
dei boschi tra i sentieri e le forestali che percorrono i suoi
monti. Il percorso che costeggia il lago offre bellissimi
scorci panoramici e si snoda tra i boschi, rendendo
l’atmosfera ancora più silenziosa e affascinante.
Il lago di Brasimone è un’altra meta da non perdere.
Entrambi i laghi ospitano ristoranti e punti sosta dove è
possibile riposarsi e gustare piatti tipici per concludere
al meglio una giornata sulle montagne innevate. Non
lontano, ci sono anche strutture turistiche e agriturismi
dove poter trascorrere la notte e godere di una sosta
rilassante in un ambiente montano.
4. ALPE DI MONGHIDORO:
TRA GRANDUCATO E STATO PONTIFICIO
L’Alpe di Monghidoro è il luogo ideale per chi cerca
un’esperienza che coniughi storia, tradizione e natura.
Situata a circa 1.000 metri di altitudine, l’Alpe è un
ampio altopiano che offre numerosi sentieri da percorrere
a piedi, con partenza dal paese di Monghidoro. Questo
percorso è adatto a escursionisti di tutti i livelli, con una
varietà di itinerari che vanno da quelli più facili a quelli
più impegnativi.
La zona è ricca di storia, poiché è stata una terra di
confine per secoli tra lo Stato Pontificio e il Granducato
di Toscana e nei dintorni possiamo trovare ancora la
vecchia dogana delle Filigare.
L’area è nota per i suoi panorami spettacolari, che
spaziano sulle valli sottostanti e sui monti circostanti,
ricoperti di boschi. L’itinerario che all’Alpe è
particolarmente suggestivo d’inverno quando le nevicate
creano un’atmosfera da fiaba.
E se volessimo anche qui provare i piatti della tradizione
culinaria appenninica emiliana? Nessun problema, vi
basterà recarvi nei ristoranti e trattorie presenti in quasi
ogni località del circondario per assaggiare i gustosi e
ricchi sapori della montagna bolognese.
La nostra storia
All’ombra delle Torri i punti di incontro non comuni tra
i due importanti esponenti della cultura e della società
tra fine Ottocento e primo Novecento
Bologna, PASCOLI
e MATTEOTTI
tra libri, documenti,
memorie
Testo di Gian Luigi Zucchini
Cos’abbia a che fare Giovanni Pascoli
con la figura dell’esponente socialista
Giacomo Matteotti non si spiegherebbe,
senonché si sono intrecciati in questi
ultimi tempi eventi e ricorrenze che
legano - tra fine Ottocento e prima
metà del Novecento - questi personaggi
ai primi sviluppi del movimento
socialista in città e conseguentemente
alla storia nazionale; oltre che alla
cultura politica, scientifica e letteraria
a Bologna e altrove.
Nell’anno appena trascorso, è stato
celebrato il primo centenerio della
L’ultima foto di Giacomo Matteotti
prima dell’assassinio.
morte di Giacomo Matteotti. Si sono
tenute in Italia diverse manifestazioni,
tra cui quelle importanti a Fratta
Polesine, località dove l’uomo politico
nacque il 22 maggio 1885 e visse
l’infanzia e la prima giovinezza.
Qui, la casa natale è diventata museo
nazionale, corredata da un centro di
documentazione utile per approfondire
ulteriormente la situazione economica,
culturale e politica, che - nel piccolo
paese quasi sperduto nella vasta pianura
tra il Po, Rovigo e Ferrara - vide sorgere
all’inizio del secolo XIX una delle
prime società carbonare, preludio di
una coscienza nazionale che troverà poi
ulteriore spazio e consolidamento nel
periodo Risorgimentale. Ricca pagina
di storia, dunque, quasi sconosciuta,
che potrebbe collegarsi agli eventi
bolognesi di quel periodo, (anch’essi
scarsamente conosciuti), in cui furono
giustiziati i giovano bolognesi Luigi
Zamboni e Giambattista De Rolandis.
Ma a Bologna possono essere ricondotti
pure eventi recenti, sempre relativi alla
figura di Matteotti: la lapide posta dal
Comune di Bologna presso la casa da
lui abitata da studente nel capoluogo
emiliano, in via Fondazza 32, pochi
metri prima della casa abitata da
Giorgio Morandi, che si trova nella
stessa via, al n.36; poi il grande
murale che raffigura il volto dell’uomo
politico, dipinto sulla facciata del liceo
Copernico, via Ferruccio Garavaglia,
Giovanni Pascoli
11, inaugurata il 10 giugno 2024, a
cento anni esatti dalla morte dell’uomo
politico. Infine l’importante mostra Di
intelligenza eletta e di animo buono.
Matteotti studente all’Università di
Bologna, inaugurata il 7 novembre
dello stesso anno , ricorrenza della
laurea in legge di Matteotti, e in
corso fino al 3 gennaio 2025, a cento
anni dallo sprezzante discorso che
Mussolini fece in Parlamento relativo
al delitto dell’esponente socialista. La
mostra è stata allestita presso il Museo
Europeo degli Studenti, in via Zamboni
33, luogo che, indipendentemente
dalla mostra, meriterebbe almeno
una visita per gli interessanti oggetti
e i documenti scritti e visivi che vi si
conservano.
Quindi l’Alma Mater Studiorum
Bononiensis, l’Università più antica
dell’intero mondo occidentale , si
trova al centro della formazione di
Matteotti, come lo fu per Giovanni
Pascoli. E per entrambi questo intreccio
fu consolidato da un interesse e una
militanza politica, che si svolse per
il poeta negli anni della giovinezza,
durante la vita universitaria, e per
Matteotti lungo tutta la sua purtroppo
breve esistenza, fino all’assassinio
avvenuto il 10 giugno 1924.
Del Pascoli politico si sa pochissimo,
mentre invece per lui è un periodo
di formazione e di consapevolezza
sociale. Sono soprattutto intensi gli
30
Bologna
Pascoli da giovane docente
anni giovanili, in cui il futuro poeta fu
attirato dalle urgenze di giustizia che
nel tempo cominciavano ad emergere
con forza, e in diversi casi anche in
modo violento. Le spinte anarchiche,
a quei tempi, erano presenti in alcune
frange del movimento socialista,
specialmente in Romagna e in molte
zone della pianura bolognese-emiliana,
insieme ad altre componenti che si
ispiravano all’ideologia della Russia
già sovietica, prima della scissione
comunista di Livorno avvenuta nel
1921. Inoltre permaneva una forte
corrente di ispirazione moderata e
più decisamente democratica, a cui
apparteneva Matteotti, in disaccordo
profondo con le altre correnti più
oltranziste e violente.
Pascoli, già inasprito per l’assassinio
impunito del padre, frustrato per le
proprie condizioni di povertà e per
la diffusa ingiustizia sociale, militava
durante i primi anni della sua vita
universitaria nelle file socialiste.
Estremista e ribelle in un primo
tempo, maturò poi una più razionale e
calibrata visione politica, seguendo il
progetto più concreto e meno eversivo
di Andrea Costa, Filippo Turati ed altri,
come pure – più tardi - Matteotti,
esponente, come si è detto, di una
visione democratica, attenta agli aspetti
sociali degli ultimi e più reietti della
società, in equilibrato dialogo con la
borghesia più illuminata.
Un libro decisamente interessante,
uscito di recente, mette in luce i vari
aspetti della personalità del poeta
attraverso i vari luoghi da lui abitati
in Italia; e Bologna fu senz’altro uno
dei più importanti (si veda il mio
articolo su “Le Valli bolognesi” dell’1
ottobre 2019). Un ampio saggio di
Elisabetta Graziosi, già docente presso
l’Università bolognese, riprende ora
ampiamente questo periodo, cercando
di completare un quadro ancora
impreciso di una vita controversa,
ambigua e mai concretamente accettata
(Pascoli e Bologna: tre incontri, in
Giovanni Pascoli, Viaggio in Italia, a
cura di R. Boschetti e G. Miro Gori,
pp. 341, ed. Il Ponte Vecchio, Cesena,
2014, 18 € ).
Così la vita di due importanti esponenti
della cultura e della società tra fine
Ottocento e primo Novecento,
apparentemente lontanissimi tra loro,
presenta, per sviluppo di ricerche
e ricorrenze, punti di incontro non
comuni proprio nella nostra città di
Bologna.
Ci è sembrato utile ricordarlo.
Giacomo Matteotti
I romanzi e i volumi di ZUcchini
Sono diversi i libri di Gian Luigi Zucchini attualmente disponibili. L’ultimo è il romanzo pubblicato
da Edizioni Efesto, “Verso l’altra parte del cielo”. Vittoria è una donna del popolo - si legge nella
sinossi - nasce in una famiglia molto povera in un antico vicolo del centro storico di Bologna, città
dove si svolge il racconto. Insieme a Vittoria ci sono tanti altri personaggi, con le loro microstorie:
dalla nonna Marianna, ai genitori, alle vicine di casa, alle amiche d’infanzia, al marito; tutti
coinvolti in questo suggestivo romanzo corale che, attraverso la vita della protagonista, ripercorre
in sintesi gli eventi lieti e drammatici dell’ultimo secolo, dall’inizio del Novecento fino alla partenza
di lei per la terra d’Israele, evento con cui si chiude il romanzo. Per il Gruppo Studi Savena Setta
Sambro, ha invece scritto “Una scuola e 50 bambini tra macerie e speranze”, un libro di ricordi
sull’esperienza da maestro di scuola elementare dello stesso Zucchini, e “L’Appennino: una
stagione ritrovata – Avventure e disavventure letterarie”. Per Pendragon ha pubblicato “Antiche
storie di libri e di vita”.
INFO: gianluigizucchini34@gmail.com
31
> INSERZIONE PUBBLICITARIA
In cammino tra Bologna, Prato e Firenze
con soste rigeneranti da veri dei!
Lungo le più famose Vie che uniscono
le tre città d’arte tra Emilia
e Toscana, dopo una bella giornata
di cammino o nella pausa pranzo di
una tappa che sfida il freddo invernale,
ecco che arrivano in soccorso
ristoranti, circoli, alimentari, bar
pasticcerie e chioschi dove trovare
tutto il necessario per ricaricarsi
di energie. Presso questi esercizi
commerciali potrete anche timbrare
la vostra credenziale della
Via degli Dei o della Via della Lana
e della Seta e gustare piatti tipici
emiliani e toscani con una particolare
attenzione ai prodotti che
offrono i loro spettacolari territori.
Pasticceria Saragozza 157
Pasticceria Saragozza 157 è aperta
fin dalle prime ore del mattino con
la sua pasticceria mignon e da passeggio,
con colazioni che spaziano
dal cornetto lievito madre all'italiana
al vegano e a i prodotti per chi è intollerante
al lattosio, con prodotti da
forno salati e dolci.
Saragozza 157 Pasticceria Gourmet
Caffetteria
Via Saragozza, 157/a - Bologna
Tel. 347 6699733
Mail: saragozza157@hotmail.com
www.viadeglidei.it/bologna/saragozza-157-pasticceria-gourmet-caffetteria
Tigelleria artigianale "Le Squisite"
Nella stessa Via Saragozza ma al numero
101/b, un altro punto sosta con
il prodotto più noto del territorio: la
tigella è la protagonista assoluta al
negozio di Giorgia e Francesca che
nella loro Tigelleria artigianale "Le
Squisite" producono a mano tigelle,
spianate e ciacci, tipici dell’appennino
bolognese, preparati con lievito
naturale, lavorati a mano.
Qui la passione per l'artigianato e la
dedizione di una famiglia che ha fatto
della sua attività un vero e proprio
stile di vita, riesce a preservare, oltre
al gusto più genuino e autentico,
anche gli usi, le modalità ed i tempi
di preparazione che ci sono stati tramandati
dalle generazioni passate.
Tigelleria artigianale "Le Squisite"
di via Saragozza
Via Saragozza, 101/b - Bologna
Tel. 351 8218241
Mail: lesquisite.saragozza@libero.it
www.viadeglidei.it/bologna/tigelleria-artigianale-%22le-squisite%22-di-via-saragozza
Paradiso Gluten Free
Per chi deve evitare totalmente i prodotti
con glutine, può fermarsi a Casalecchio
dove, a 500 metri dal percorso
della Via degli Dei, vi aspetta
il Paradiso Gluten Free, un negozio
specializzato in alimenti senza glutine
in gran varietà: prodotti confezionati,
surgelati e da frigo, prodotti da
forno e di pasticceria freschi, e potete
anche chiamare in anticipo per
un’ordinazione “su misura” che può
includere anche prodotti vegan, senza
lattosio, senza zucchero ed altre
esigenze alimentari.
Paradiso Gluten Free
Via Porrettana 179
40033 Casalecchio di Reno (BO)
(+39)3494773239
paradisoglutenfree@gmail.com
www.viadeglidei.it/casalecchio-di-reno/paradiso-gluten-free
Forno Fratelli Gasperini
Se siete in gruppo e volete avere più
scelta per esigenze diverse, a Casalecchio
trovate un piccolo forno artigianale,
il Forno Fratelli Gasperini,
di Matteo e Michele, che per i viandanti
propongono pizze e focacce
farcite e semplici, panini anche da
creare sul momento con i prodotti
della zona, una sana colazione oppure
una bella pagnotta da portare
con sé!
Anche qui si utilizzano materie prime
accuratamente selezionate e lievito
madre per i propri prodotti, buoni e
digeribili, fatti solo con grani italiani,
prevalentemente marchigiani ed
emiliani (Loiano e Sasso Marconi).
Forno Fratelli Gasperini
Via Porrettana, 215 - Casalecchio di
Reno (BO)
Tel. 347 9639788
Mail: forno.gasperini@gmail.com
www.viadeglidei.it/casalecchio-di-reno/forno-fratelli-gasperini
Chiosco Da Spartaco
All’altro capo della Via degli Dei, prima
di concludere l’ultima tappa, si
può fare una bella sosta a Fiesole
dove troviamo due punti ristoro molto
apprezzati dai camminatori.
Da marzo a ottobre, in Piazza Mino vicino
alla fontana pubblica, al fresco
degli alberi, si trova lo storico Chiosco
da Spartaco. Per una sosta pratica,
veloce e gustosa Spartaco sarà
in grado di consigliarvi e prepararvi
generosi panini, schiacciate o piadine
tutti farciti con prodotti di ottima
qualità, del territorio e a filiera corta.
Chiosco da Spartaco
P.zza Mino - Fiesole (FI)
Tel. 335 6123456
Mail: torronetoscano@alice.it
www.viadeglidei.it/fiesole/chiosco-da-spartaco
Fornaio di Fiesole
Il Fornaio di Fiesole, nella meravigliosa
cornice di Piazza Garibaldi
per una golosa sosta con prodotti di
prima qualità, con ingredienti scelti,
ricette tramandate e tanta varietà e
passione!
Il Fornaio di Fiesole
Piazza Garibaldi, 7/r - Fiesole (FI)
Tel. 05559192 / 3346191811
Mail: ilfornaio.fiesole@gmail.com
www.viadeglidei.it/fiesole/il-fornaio-di-fiesole
Truck Food Agricolo"
Orto dell’Olmo
Per chi invece preferisce freschi
prodotti dell’orto, può essersi fermato
un po’ più su, sempre sulla
Via degli Dei, ma in località Olmo,
al "Truck Food Agricolo" Orto
dell’Olmo, che offre ai camminatori
non solo verdura e frutta fresca
della propria azienda agricola
ma anche panini e freschi spuntini.
Orto dell'Olmo
Via dei Bosconi - Loc. Olmo
Fiesole (FI)
Tel. 353 4123265
Mail: info@ortodellolmo.it
www.viadeglidei.it/olmo/orto-dell'olmo
Giova Negozio Alimentari
Arrivati finalmente a Firenze, non si
può non fermarsi da Giova Alimentari,
un negozio storico, proprio in
una delle strette vie intorno a Piazza
Signoria, con ortofrutta e prodotti
alimentari. Visto che ormai il cammino
è giunto alla fine, qui potete
anche acquistare i prodotti tipici gustati
lungo la via, come l’olio e il vino
toscani, ma anche miele, formaggi e
salumi.
Giova Negozio Alimentari
Via Calimaruzza 13/r - Firenze
Tel. 055 210822
giovannicampolmi@hotmail.it
www.viadeglidei.it/firenze/giova-negozio-alimentari
aTipico bottega degusteria
Per chi ha invece percorso la Via della
Lana e della Seta, quando giunge a
Prato, il luogo ideale sia per una pausa
ristorativa che per fare la spesa, è situato
in centro vicino all’arrivo in Piazza
Duomo. Nato come punto vendita
della Strada dei vini di Carmignano
e poi vetrina dei prodotti del paniere
EatPrato, dal 2012 Stefano e Mirko
hanno trasformato aTipico nella bottega
e degusteria dei prodotti tipici
pratesi. Vi invitiamo a seguirli sui loro
social, impossibile racchiudere qui
tutte le loro attività. Intanto gustatevi
da loro i celebri biscotti di Prato, i
vini di Carmignano e le birre artigianali,
salumi e insaccati di zona, miele,
marmellate, salse e ragù e tanto altro.
aTipico bottega degusteria
Via Benedetto Cairoli, 14 - Prato
Tel. 388 5884804
Mail: info@atipicoshop.it
www.viadellalanaedellaseta.com/prato-atipico
Appennino Gnam
Nella tappa centrale della Via degli
Dei, a Madonna dei Fornelli, ecco
un punto sosta diventato ormai un
must, dove poter anche acquistare
gadget della Via: siamo al negozio di
alimentari Appennino Gnam, per i vostri
spuntini e pranzi al sacco durante
il trekking, dove Laura Musolesi può
fornirvi pane fresco, panini con affettati
locali e formaggi, frutta, verdura e
prodotti bio, e, dulcis in fundo... prodotti
dolci da forno!
Appennino Gnam
Piazza Madonna della Neve 5
Madonna dei Fornelli
San Benedetto V. di S. (Bo)
+39 338 9667498
lauramusolesi@gmail.com
www.viadeglidei.it/madonna-dei-fornelli/appennino-gnam
IL RESTAURO
Dopo il restauro dell’opera contenuta nella Parrocchia
di Sant’Alberto, a San Pietro in Casale, si è scoperto
che l’affresco risale alla fine del ‘500. Probabilmente è
di Scuola Ferrarese
La Madonna
del Rosario
svela i suoi misteri
Testo di Agostino Querzoli
Sagrista della chiesa di Sant’Alberto di San Pietro in Casale
La chiesa di Sant’Aberto
a San Pietro in Casale
In provincia di Bologna, a metà strada
tra Bologna e Ferrara, si trova il comune
di San Pietro in Casale. La Parrocchia
di Sant’Alberto è nelle vicinanze,
a due chilometri dal Paese. È una
piccola frazione di circa 300 abitanti
nella campagna della pianura padana.
La chiesa è stata costruita nel 1777
dal parroco don Ercole Calori in stile
toscano, dopo aver demolito la chiesa
preesistente e cambiato l’orientamento
della facciata, non più verso ovest
ma verso est, prospiciente la strada
principale. Il patrono è Sant’Alberto
degli Abbati, carmelitano, vissuto
nel 1200. A lui è dedicata la bella
pala d’altare del pittore bolognese
Alessandro Calvi detto “Il Sordino”.
Il terremoto del 2012 ha danneggiato
in parte l’edificio e la vicina canonica,
che sono state ristrutturate nel 2021
con riapertura della chiesa nel 2022.
La seconda cappella laterale a destra
è dedicata alla Beata Vergine del
Rosario; sopra l’altare c’è un dipinto su
muro con l’immagine della Madonna
in trono con Gesù bambino e con i
santi Domenico e Rosa; attorno al
dipinto, in una cornice rettangolare,
sono raffigurati i 15 misteri del rosario.
Il dipinto era già stato classificato
dalla Soprintendenza come pittura ad
olio risalente a fine ‘500 o inizi ‘600
per la parte superiore, mentre al ‘700
risalirebbero i due Santi dipinti nella
parte inferiore. Più incerta la datazione
dei Misteri del rosario.
Da tempo il dipinto necessitava di
essere restaurato perché in cattivo stato
di conservazione; il volto della Vergine
e quello del bambino non erano
quasi più visibili. Messo in sicurezza
l’edificio dopo il terremoto del 2012,
si è pensato fosse giunto il momento di
restaurare il dipinto. È stata effettuata
una raccolta fondi per far fronte alla
non piccola spesa. È stato scelto, di
comune accordo con l’ufficio Beni
Artistici della Curia, il Laboratorio di
Restauro Ottorino Nonfarmale di San
Lazzaro.
“La raffigurazione centrale che vediamo
è eseguita a olio su muro e con ogni
probabilità corrisponde ad un ripristino
decorativo ottocentesco per colmare
forse lacune e/o fenomeni di degrado
presenti - è stato rilevato dai primi
esami - Le due figure alla base sono state
realizzate su un intonaco molto ruvido
molto difforme da quello superiore.
Prove di pulitura già presenti ed
eseguite in precedenza evidenziano la
presenza di una policromia sottostante
con notevoli difformità cromatiche
rispetto a quelle attuali. Su tutta la
superficie modanata dell’altare è stata
poi applicata nel tempo una vernice
protettiva trasparente fortemente
ingiallita e annerita dal fumo di
candele. Sulla cornice perimetrale dove
sono raffigurate
le piccole scene (15 misteri del rosario)
e sull’intero altare sono presenti anche
ridipinture eseguite a tempera sempre
frutto di ripristini e manutenzioni.
Possiamo affermare con certezza che
l’impianto decorativo originale e più
antico fosse realizzato ad affresco e dal
punto di vista cromatico difforme da
quello presente; le due figure alla base
sono state realizzate successivamente
con una tecnica pittorica ad olio
su muro molto modesta così come
la riproposizione e adeguamento
cromatico realizzato nella parte
superiore e sulla Madonna.”
È emerso subito che necessitava il
parere autorizzativo per sapere come
procedere: restaurare l’esistente o
cercare altri elementi. In accordo
con la direzione lavori si è deciso
“un intervento selettivo finalizzato al
recupero della raffigurazione eseguita
in tempi diversi, riportando alla luce
l’affresco più antico circondato da un
apparato decorativo più tardo con i
Santi Domenico e Rosa e i Misteri del
Rosario con l’obbiettivo di mantenere
un equilibrio formale e cromatico”.
In accordo con il funzionario della
Soprintendenza, si è deciso di verificare
lo stato del dipinto sottostante.
Terminate le fasi di pulitura sono state
realizzate le stuccature delle lacune,
34
San Pietro in Casale
per poi procedere all’applicazione
di un fissativo di tipo acrilico che
ha permesso di eseguire il ritocco
pittorico con colori a tempera, con
velature ad acquerelli sulla parte
affrescata e con colori a vernice
sulle zone realizzare con tecnica a
olio su muro. È stato realizzato un
intervento selettivo finalizzato al
recupero della raffigurazione eseguita
in tempi diversi, riportando alla luce
“l’affresco” più antico circondato da
un apparato decorativo più tardo con i
Santi Domenico e Rosa e i Misteri del
Rosario con l’obbiettivo di mantenere
un equilibrio formale e cromatico.
Dopo i lavori, si è scoperto che la parte
superiore raffigurante la Madonna
in trono con Gesù Bambino non è
una pittura ad olio, ma un affresco
di fine 1500 – inizi 1600, forse di
scuola ferrarese. La parte inferiore
raffigurante San Domenico e Santa
Rosa (aggiunta all’affresco nel 1695
dal pittore bolognese Antonio Dardani)
è stata rimaneggiata più volte. Ci
sono annotazioni di spese nel 1729
e nel 1779 per questo altare della
Beata Vergine del Rosario. I misteri
del rosario sono stati dipinti ad olio
nel 1779. Probabilmente, in questa
occasione, la parte in alto del dipinto
originale è stata coperta dalla cornice
che contiene i misteri, per cui i due
“putti” che reggono rami di ulivo
risultano senza testa. Forse per questo
motivo la parte alta del dipinto è stata
in parte ricoperta con colore scuro e
per evitare il contrasto con la pittura
dei due santi in basso. Il volto della
Madonna e di Gesù Bambino sono di
una tenerezza e dolcezza inusuali ma
nulla si sa sul suo autore.
Questo dipinto, appartiene alla
“vecchia” chiesa demolita, è stato
tagliato, tolto e trasportato nella
“nuova” chiesa costruita nel 1777 a
cura e spese del parroco don Ercole
Calori. Non si conoscono le origini
della pittura, i più vecchi documenti
d’archivio risalgono alla metà del
1600.
È documentata l’esistenza fin dal 1526
di un palazzo, residenza di campagna,
di proprietà di una nobile e facoltosa
famiglia bolognese: i Bottrigari. Presso
il palazzo vi era la cappella dedicata
alla Vergine addolorata. Nel 1724 in
altro inventario è indicato: “separata
dal detto Palazzo, una Cappellina o sia
Oratorio per celebrarvi la S. Messa …”
dedicata alla B.V. Addolorata “ che era
effigiata nella pala d’altare, circondata
da puttini, dal Santo Sudario e
Istrumenti della Passione”.
Di tutto questo non esiste più nulla.
Non si conosce il motivo per cui
nel 1788 lo si fece demolire dalle
fondamenta.
Rimase in piedi, per qualche tempo
ancora, solo il modesto oratorio (che
nel 1785 era già sconsacrato) almeno
fintanto che i beni dei Bottrigari a S.
Alberto non entrarono nel patrimonio
fondiario di Antonio Aldini, poi del
Demanio Napoleonico e vennero a
costituire il vasto Ducato di Galliera.
Nella chiesa parrocchiale, l’altare dove
è collocata l’immagine della Vergine
con Bambino, era la cappella dei
Bottrigari. A questa famiglia competeva
la cura e il decoro della cappella. La
cura della cappella è terminata alla
fine del 1700.
È ipotizzabile che l’affresco della
Madonna del S.S. Rosario nella chiesa,
sia stato commissionato da questa
famiglia sul finire del 1500 per la
cappella della famiglia.
Riteniamo che la Chiesa di Sant’Alberto
possieda una piccola opera d’arte che,
a quanto ci risulta, non abbia uguali
nel nostro territorio.
35
IN GIRO CON EXTRABO
Le visite guidate al “castello” che
domina le valli del Setta e del Sambro
che durante il Risorgimento fece da
rifugio a patrioti e combattenti in fuga
verso la Toscana. Nella Seconda Guerra
Mondiale fu requisito per diventare il
quartier generale delle SS
Dentro
la torre
di montorio
Testi di Veronica Righetti e Elenia Gubbelini
Foto di Giovanni Zati
L’Appennino bolognese custodisce luoghi in cui il
tempo sembra essersi fermato. Uno di questi è la Torre
di Montorio, che svetta maestosa sulla rupe che domina
le valli del Setta e del Sambro. Inserita tra le tappe della
rassegna “Ville e Castelli” di eXtraBo, questa visita regala
l’emozione di un viaggio indietro nei secoli, a quando i
crinali erano confini tra imperi e teatro di battaglie epiche.
Difficile non rimanere affascinati dalla Torre di Montorio:
con le sue mura in pietra e l’imponenza che si staglia
contro il cielo, ha custodito per secoli segreti, leggende
e storie di uomini e donne che vi hanno vissuto o
combattuto intorno. Costruita su uno sperone roccioso,
si erge come un baluardo medievale che conserva il suo
fascino fiabesco, mescolando passato e presente in un
racconto che attraversa mille anni di storia.
La Torre affonda le sue radici in un’epoca lontana,
quando i Longobardi e l’Esarcato di Ravenna si
contendevano il dominio del territorio appenninico.
Gli scavi archeologici recenti suggeriscono che il primo
nucleo della costruzione risalga addirittura al VIII secolo,
ai tempi del re longobardo Liutprando. Proprio lungo i
crinali del Setta e del Sambro correva, forse, il confine
tra due poteri opposti: da un lato il dominio longobardo,
dall’altro le terre sotto il controllo bizantino.
Dopo un lungo periodo di silenzio, la Torre ricompare
nei documenti nel XII secolo, rivelandosi come una
fortezza con mura e cassero. Era un luogo strategico,
punto di vedetta e roccaforte inespugnabile, teatro di
scontri fra i guelfi conti di Monzuno e i ghibellini conti di
Panico. Questi scontri, che segnarono l’epoca medievale
bolognese, riecheggiano ancora oggi tra le pietre della
Torre, che si erge a testimone del passare dei secoli.
Pur chiamata “Torre”, la struttura appare ai visitatori più
come un castello. Le sue mura massicce, la merlatura
CALENDARIO E PRENOTAZIONI
Per partecipare alle visite di “Ville e castelli” e conoscere il
calendario completo delle esperienze consulta:
www.extrabo.it/attivita/alla-scoperta-di-ville-e-castelli/.
Per maggiori informazioni è possibile
contattare eXtraBO (Piazza Nettuno 1 a/b, Bologna):
extrabo@bolognawelcome.it |051 6583109
guelfa originaria e le balestriere ancora visibili raccontano
di un edificio pensato per la difesa e per il controllo del
territorio. Nei secoli successivi, con la fine delle guerre
e il tramonto dell’epoca medievale, Montorio cambia
volto e funzione: da presidio militare diventa residenza
privata. Nel Cinquecento, con le conquiste bolognesi
di Giulio II della Rovere, la Torre perde la sua funzione
strategica. Cambia più volte proprietà e subisce modifiche
significative, assumendo l’aspetto attuale grazie agli
interventi ottocenteschi della famiglia Berti, che ancora
oggi ne è custode.
Le vicende della Torre di Montorio si intrecciano anche
con la storia moderna. Durante il Risorgimento, la Torre
divenne un rifugio per patrioti e combattenti in fuga verso
la Toscana. Ma è nella Seconda Guerra Mondiale che
questo luogo vive giorni drammatici: nel settembre del
1944, la Torre fu requisita come quartier generale della
sedicesima divisione Panzer Grenadieren SS, comandata
dal tristemente noto Walter Reder, protagonista degli
eccidi di Marzabotto. Poco dopo, gli Alleati presero
possesso della struttura, che divenne base per la 24ª
Brigata Guardie britannica durante l’inverno del ’44-
’45. Nel 1985, alcuni veterani britannici tornarono a
Montorio per commemorare il loro servizio con una
targa, simbolo di una memoria condivisa che lega questa
antica costruzione a momenti cruciali del nostro passato.
Oggi, visitare la Torre di Montorio significa immergersi in
un’atmosfera unica, in cui le pietre e i panorami sembrano
raccontare la storia. La struttura, che si sviluppa in più
livelli, conserva dettagli architettonici di grande pregio:
dal portale d’accesso alle stanze interne, ben curate e
36
Ville e castelli
animate dai racconti della famiglia Berti, che narra con
passione la storia del luogo e delle persone che lo hanno
abitato. Durante la visita, si ha l’impressione di essere
sospesi nel tempo: dalle balestriere che affacciano sulla
valle al salone che custodisce cimeli di famiglia, ogni
angolo della Torre di Montorio svela una pagina di storia.
Chi ha già partecipato sottolinea la qualità del racconto
storico, capace di unire vicende locali a grandi eventi
internazionali, rendendo questo luogo un vero e proprio
scrigno della memoria. Camminare tra gli ambienti
interni, osservare gli elementi originali ancora conservati
e ascoltare le storie raccontate con entusiasmo dai
proprietari significa vivere un’esperienza che va oltre la
semplice visita: percepire il respiro del tempo e lasciarsi
avvolgere dal fascino eterno della storia.
IN PIANURA - L’Accademia dei Notturni a Budrio
UN SALOTTO SENZA TEMPO
Le visite si spostano anche nell’area della Pianura
bolognese che, così come la montagna, è ricca di edifici
storici a cui si accostano anche numerosi palazzi signorili
e ville storiche: una di queste meraviglie è sicuramente
l’Accademia dei Notturni, una dimora settecentesca sorta
dall’antica Villa Ranuzzi Cospi, in località Bagnarola di
Budrio.
Grazie alla rassegna di eXtraBo sarà possibile visitare
questa dimora in esclusiva: un’occasione unica per rivivere
i fasti di un tempo, partecipando alla visita guidata e
lasciandosi incantare dalla storia.
Centro della mondanità intellettuale dell’epoca, Villa
Ranuzzi Cospi fa parte del complesso delle Ville di
Bagnarola, formato da tre diverse proprietà: un castello a
quattro torri della famiglia Bentivoglio (risalente al ‘500),
il Casino d’Aurelio (costruito nel ‘500-‘600) e il Floriano
del ‘700-800 (così chiamato da monsignor Floriano dei
Malvezzi-Campeggi) e infine proprio villa Ranuzzi-Cospi
del ‘700.
Osservando la planimetria originaria si può notare come
tutte le ville si integrino armoniosamente nel paesaggio
circostante, formando un complesso unitario unico nel
bolognese, nonostante appartengano a epoche e a
proprietari diversi. La perdita dei giardini e il deterioramento
degli edifici ci impediscono purtroppo di cogliere appieno
la bellezza del complesso, che mantiene però inalterata la
sua maestosità. Fortunatamente è ancora ben conservato
lo splendore di Villa Ranuzzi Cospi, che conserva intatta
una loggia a tre arcate affrescate che completa la facciata.
Ai lati dell’edificio si possono ancora osservare due edifici
un tempo dedicati ai servizi, la “conserva” (ghiacciaia) e
una piccola chiesa.
Oggi la villa ospita il ristorante di proprietà di Giovanni
Tamburini, erede dell’antica salsamenteria (salumeria)
Benni, un’istituzione della gastronomia bolognese.
Il Tamburini acquistò la villa con l’ambizioso progetto di
creare un luogo di convivialità e celebrazione dei sapori
locali, in perfetta armonia tra tradizione e contemporaneità.
La scelta del nome, “Accademia dei Notturni” non fu
casuale: si tratta di un omaggio alla società culturale fondata
alla fine del Settecento da Prospero Ranuzzi Cospi, che
proprio in questa villa teneva le sue riunioni. Nei primi del
‘700 il Conte Vincenzo Ferdinando Ranuzzi Cospi sostituì
la vecchia dimora con l’attuale villa, caratterizzata da un
vasto giardino e una magnifica facciata con loggia a tre
arcate, adorna di affreschi entro cornici di stucco. In questo
luogo, un tempo “si davano convegno dame e cavalieri,
abati e cardinali, tanti fiori bordavano i prati, riempivano
i giardini e il verde delle cinture di piante e lo svettare dei
cipressi, aggiungevano tinte liete alle pietre e vivacità alle
statue, allegro scrosciare alle fontane” (Beseghi).
Info: www.extrabo.it | www.accademiadeinotturni.it/
37
NON TUTTI SANNO CHE
Tra Bassa e Appennino, un giro nelle
vecchie dimore in abbandono, disabitate
ma infestate da oscure presenze
Non entraTe
in quella casa
Testi di Serena Bersani
Non entrate in quella casa. No, non siamo sul set di
un b-movie del mistero, ma nelle campagne bolognesi,
sull’Appennino o, addirittura, ai margini della città, dove
sopravvivono (è proprio il caso di dire) vecchie dimore
in abbandono, castelli diroccati, magioni disabitate ma
infestate da oscure presenze. Attorno ad esse sono sorte
inquietanti leggende alimentate soprattutto dallo stato di
degrado in cui versano da decenni. Ne abbiamo censite
alcune per gli appassionati di luoghi abbandonati (per lo
meno dai vivi).
VILLA CLARA - TREBBO DI RENO
In via Zanardi 449, in zona Trebbo di Reno, sorge quella
che è conosciuta oggi come Villa Clara, in realtà Villa
Malvasia in quanto fu la casa di campagna del noto
storiografo dell’arte Cesare Malvasia che vi villeggiava
negli ultimi decenni del Seicento. Il luogo sarebbe abitato
dal fantasma di una bambina, Clara appunto, figlia di uno
degli ultimi proprietari a inizi Novecento, che sarebbe stata
rinchiusa o, addirittura, murata viva nella casa dal padre
intimorito dai poteri di chiaroveggenza della ragazzina.
Una versione alternativa parla di una fanciulla, figliastra
di un proprietario della dimora, sorpresa ad amoreggiare
con uno stalliere e per questo fatta sopprimere dal padre.
Su un punto le versioni concordano: la povera Clara
continuerebbe ad aggirarsi per la villa piangendo e
lamentandosi.
Villino Anna - Facebook/Casalecchioinvolo
Villino Anna - Facebook/@TesoriAbbandonati
VILLA FLORA - BORGO PANIGALE
A volte i fantasmi sono semplicemente l’effetto del
degrado, della decadenza, dell’abbandono di luoghi che
hanno avuto un passato glorioso, importante, di spicco
rispetto agli spazi circostanti molto più modesti. È il caso
di Villa Flora o Villa Gina, una palazzina in stile liberty
costruita a inizio Novecento in via della Salute, nel cuore
di un quartiere operaio come Borgo Panigale. La volle
il conte Cosimo Pennazzi, principe vassallo dell’Impero
Ottomano di stanza per lo più ad Alessandria d’Egitto,
per la moglie Virginia Lisi. In seguito, cambiò più volte
destinazione d’uso, da asilo a casa di cura per malati
psichiatrici, a rifugio per sfollati durante la Seconda guerra
mondiale. Ora non si sa nemmeno più di chi sia, se delle
Opere Pie o di un ente pubblico. L’ingente investimento
che richiederebbe per essere ristrutturata e destinata a
spazio per gli abitanti del quartiere la rende persino priva
di un proprietario. Ad approfittare dello stato di rovina e
decadenza della struttura fu, nel 1983, il regista Pupi Avati
per girarci le scene iniziali del suo film “Zeder”. Anche
per le suggestioni horror della pellicola sono forse nate
le leggende su inquietanti presenze all’interno della villa.
La location è stata inserita dal Fai tra i “Luoghi del cuore”,
38
Ville infestate
Villa Clara - @ Claudio Evangelisti
ma certo occorre un cuore ben temprato per affrontarne
l’odierno degrado.
VILLINO ANNA - CASALECCHIO
In pieno centro a Casalecchio, in via Garibaldi 54, c’è una
casa dalla struttura di villino svizzero, con i tetti spioventi,
che sembra uscita dalla favola di Hansel e Gretel. Non
a caso da tanti è chiamata “la casa stregata”, anche se
più banalmente si chiama Villino Anna. Disabitata
da almeno tre decenni, porta il nome della moglie del
libraio bolognese Luigi Beltrami che vi abitava negli anni
Trenta del secolo scorso. Lo stato di decadenza in cui
versa, pur risultando avere ancora legittimi proprietari,
la rende spettrale. La presenza di ospiti invisibili è
comunque del tutto ipotetica, anche perché i riferimenti
ad eventi spiacevoli che vi sarebbero accaduti e che ne
legittimerebbero in qualche modo la comparsa, sono del
tutto privi di fondamento. Ma parlare dei costi spaventosi
delle ristrutturazioni di immobili tanto grandi non ha certo
il fascino del racconto di oscure presenze che ne tengono
alla larga i possibili abitanti.
VILLA SAMANTHA - SASSO MARCONI
Spostandoci lungo la Porrettana, a Sasso Marconi,
in località Nugareto si trova un edificio cadente,
comprendente anche un’ex chiesa sconsacrata. Chiamata
impropriamente Villa Samantha, venne abbandonata
alla rovina nel dopoguerra in seguito a uno scandalo
che avrebbe coinvolto l’ultimo parroco e una giovane
donna che gli faceva da perpetua, di cui avrebbe abusato.
Nonostante la sua fama di luogo infestato, la casa è oggetto
di visite di curiosi e appassionati di paranormale, anche
se non è facilmente accessibile per motivi di sicurezza.
Tuttavia, la sua fama cresce ogni anno, attirando chi è in
cerca di emozioni forti o di esperienze fuori dall’ordinario.
La vicina presenza di un piccolo vecchio cimitero ha
attratto in passato satanisti e balordi profanatori delle
tombe di vittime dei bombardamenti della Seconda guerra
mondiale, ormai dimenticate da tutti.
CASTELLO DI SERRAVALLE - VALSAMOGGIA
Ovunque ci sia un castello, è pressoché d’obbligo ci
sia un fantasma. All’interno del Castello di Serravalle
in Valsamoggia, ad esempio, vagherebbero senza pace
le dodici mogli di uno dei discendenti della famiglia
Boccadiferro, che fu proprietaria del maniero dal XIV
al XIX secolo, uccise una dopo l’altra dal marito, che
sarebbe a sua volta tra le anime in pena nel castello dopo
essere rimasto vittima, per contrappasso, della tredicesima
consorte. E ovunque ci sia un borgo abbandonato
da decenni nasce la suggestione che vi si aggirino
oscure presenze. Lo spopolamento di alcune località
appenniniche ben si presta ad alimentare le leggende in
tal senso.
CASE BANDITELLI - CASE LAZZARONI ALTO RENO
Nella zona dell’Alto Reno, percorrendo un’impervia
salita, si arriva nel borgo fantasma di Case Banditelli, non
più abitato fin dagli anni della Seconda guerra mondiale.
Nei decenni, la natura sta riprendendo il sopravvento
sui ruderi, che mantengono un loro fascino non privo
d’inquietudine. Luogo in cui di fatto doveva essere
impossibile vivere anche nei secoli passati, in quanto
privo d’acqua ma che, come il vicino borgo di Case
Lazzaroni, doveva rappresentare più che altro un rifugio
nella macchia appenninica per malfattori e briganti (come
suggeriscono i nomi), in zona strategica sul confine tra lo
Stato Pontificio e il Granducato di Toscana.
CASTELLO D’AFFRICO - GAGGIO MONTANO
Restando in zona, un’altra inquietante dimora è il Castello
d’Affrico, a Gaggio Montano, che sarebbe abitato da una
presenza femminile senza pace, la figlia del castellano
morta suicida per non sposare l’uomo scelto dal padre.
Una parte del castello – fantasma compreso – è attualmente
in vendita. L’intermediazione è affidata a una singolare
agenzia immobiliare, specializzata in case con storie di
crime o di mistero alle spalle, in cui le energie accumulate
nel luogo attraverso i decenni si manifestano ancora in
maniera bizzarra o inquietante. Fiorenza Renda, la titolare
della “Ghost House” – unica in Italia e probabilmente in
Europa, con sede a Bologna – assicura che c’è un mercato
fiorente, soprattutto sul fronte della domanda. In trent’anni
di carriera si è occupata di diversi immobili che erano stati
teatro di fattacci o che risultavano già fin troppo abitati.
«All’inizio, quando scoprivo ciò che era accaduto o le
manifestazioni che si verificavano, mi facevo scrupolo
di avvisare gli acquirenti proponendo loro di restituire
la caparra senza penali, ma in realtà ho sempre trovato
persone già consapevoli dell’accaduto e molto disponibili
a completare l’affare», racconta l’immobiliarista. Si tratta
di un settore di nicchia (non è certo la prima casa da
comperare con il mutuo), destinato a persone in grado
di fare investimenti sostanziosi. “Quello che frena il
mercato – sospira Renda – è il costoso esagerato delle
ristrutturazioni, che superano di gran lunga il prezzo
d’acquisto”.
Intanto il tempo fa crudelmente il suo lavoro e, se gli
edifici saranno destinati al crollo, anche le anime in
pena saranno costrette a sloggiare. Per i ghostbusters
alla bolognese il consiglio resta, dunque, quello iniziale:
non entrate in quella casa. Non tanto per la possibilità di
incontrare un fantasma, quanto per il rischio che vi cada
una trave in testa.
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NELLA BASSA
Viaggio nel borgo che ha dato i natali
a Bulgarelli, il “porto nuovo” fondato
nel Trecento che sembra uscito da un
racconto di Guareschi
Nel PAESE
DI GIACOMINO
Testi di Marco Tarozzi
“A Portonovo ci sono le zanzare, a Bologna c’è la nebbia
e molto freddo. Eppure non c’è altra campagna al di fuori
di Portonovo dove io vorrei stare, e non c’è altra città oltre
a Bologna dove vorrei andare”.
Parole piene di poesia uscite dal cuore di Giacomo
Bulgarelli, bandiera mai ammainata del Bologna, capitano
nella storia e nella memoria. Dedicate alla città da cui
non se ne è mai voluto andare quando era un signore
del calcio italiano, e Rocco e Rivera avrebbero fatto carte
false per portarlo al Milan. Ma soprattutto dedicate a
quel piccolo posto apparentemente fuori dal mondo che
gli ha dato i natali nel 1940, e in cui ha sempre trovato
occasione di tornare.
GIGANTE. Benvenuti a Portonovo, quindici chilometri
da Medicina, un punto smarrito nella Bassa dove è nato
l’ultimo gigante rossoblù. Senza dubbio, Bulgarelli è il
personaggio illustre di cui qui tutti possono raccontare
qualcosa: un saluto, una chiacchierata, una conoscenza
profonda, addirittura un’amicizia. Sulla sua casa natale
da quest’anno è stata posta una targa, accanto c’è la
piazza che porta il suo nome. A pensarci, questa è una
terra fertile per il calcio: ci è nato e vissuto anche Youssef
Maleh, ventiseienne centrocampista dell’Empoli, che non
ha conosciuto l’Onorevole Giacomino ma ne parla con
profondo rispetto.
ARIA DI FESTA. Qui si entra in una dimensione diversa,
si respira un senso di comunione e solidarietà che spiega
tanto dell’attaccamento del campione alla sua terra.
Chi vive qui lo fa con orgoglio: quest’anno, Portonovo
partecipa al concorso “I luoghi del cuore” di FAI, il Fondo
per l’Ambiente Italiano. Difficilmente vincerà, ma c’è
da scommettere che di qui alla scadenza raccoglierà il
voto di tutti i suoi trecentocinquanta abitanti, e di tutti
quelli che arrivano per respirare il clima delle feste di
paese, che si susseguono in ogni stagione dell’anno,
perché questa è una comunità che ama sentirsi viva. In
cucina, quando le luci si accendono, è un trionfo di primi
piatti fatti in casa, dal tortellone alla tagliatella al ragù di
cipolla, e del “friggione”, che da queste parti è un piacere
del gusto di cui è difficile privarsi. Chi viene da Bologna
deve sobbarcarsi un’ottantina di chilometri tra andata e
ritorno, per assaggiarlo. Ma se lo fa, significa che ne vale
Il Bar trattoria dello zio e la casa di Giacomo Bulgarelli
la pena.
MONDO PICCOLO. Portonovo ha un cuore antico.
Fu fondata nel 1334, quando fu costruito il “Canale di
Trecenta”, il tratto navigabile di Buda che portava le
merci verso Ferrara e Modena. Un porto nuovo, appunto:
per questo la strada che arriva dentro al paese è una
sottile linea grigia: dalla San Vitale quattro chilometri
dritti verso Buda, una curva ad angolo retto verso destra,
qualche centinaio di metri, un’altra curva secca a sinistra
e di nuovo giù, altri cinque chilometri in linea retta che si
perdono nel nulla. “E’ impossibile non trovare la piazza
con il bar-trattoria”, dice sorridendo Romina Gurioli,
presidente dell’associazione Pro Portonovi’s. “Prima che
la strada faccia una leggera deviazione a sinistra e poi
prosegua verso il Sillaro, ci sbatti contro”. La grande casa
dove sorge il bar, con la trattoria ancora a pieno regime,
è quella in cui è nato Giacomo. L’esercizio era gestito
da suo zio, a fianco c’era il negozio di alimentari di
papà Leandro, nell’edificio accanto la latteria della zia.
Un mondo piccolo, guareschiano, da cui quel ragazzo
gracile che ci sapeva fare col pallone partì appena
dodicenne per andare a frequentare il collegio San Luigi
a Bologna. Senza mai perdere il legame con le radici.
Questo era davvero il porto nascosto, per lui. La pace e il
silenzio in cui immergersi dopo le mille sfide del calcio.
GIOIELLO. Sul sito del FAI il paese è presentato come
“borgo di Portonovo, città ideale del ‘700”, perché
l’abitato risale a un preciso progetto architettonico
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Portonovo
A sinistra, Giacomo ragazzo con amici
Sotto, Giacomo al bar con lo zio
della Comunità di Medicina, che a partire dal 1730
costituì qui il centro dell’azienda consortile, l’anima
della Partecipanza comunale. Sulla strada, tra edifici
settecenteschi, venendo da Bologna si nota sulla destra
la “casa degli agenti” con il “palazzetto” che era la sede
di rappresentanza e di soggiorno degli amministratori
comunali. A sinistra il complesso parrocchiale di Santa
Croce e San Michele Arcangelo, disegnato da Alfonso
Torreggiani, che conserva un apparato iconografico e
di arredo di grande interesse, tra cui spiccano la pala
dell’altare, raro dipinto di Ercole Lelli, del 1730, e le tele
del Seicento di Giovanni Battista Bolognini e Domenico
Viani.
TERRA FERTILE. C’è un altro dettaglio che rende unico
il paese. I terreni facevano parte della Partecipanza
di Medicina, ma dopo il dissesto economico del 1892
divennero proprietà di un certo cavalier Benelli, che
poi li cedette alla famiglia Tamba. Nel 1933 arrivarono
le Assicurazioni Generali di Trieste e acquistarono tutto:
terreni, case antiche e nuove, in un certo senso anche chi
ci viveva dentro, perché la mano d’opera per i lavori nelle
immense proprietà veniva scelta sul posto. Un ambiente
di operai della terra, in cui la famiglia Bulgarelli spiccava
per quello status di borghesia che può permettere una
attività commerciale ben avviata. Insomma, la famiglia
“stava bene”,
BANDIERA. Qui tutto è a due passi. Lo stadio, indicato
così anche da un cartello stradale in tutto e per tutto
simile a quelli dei grandi centri urbani, è a duecento metri
dalla piazza principale. Inaugurato nel 1976, ci gioca il
Portonovo, fin dalle origini nella categoria Amatori. Per
decenni la società è stata presieduta da Valeriano Brusa,
poi da Secondo Selva e oggi da Giuseppe Astorino.
L’impianto è un gioiello, ci vengono a giocare da tutto
il circondario e anche dalla Romagna. Il Primo Maggio
è ormai tradizione mettere in cartellone il torneo “O
la va o la spacca”, dedicato alle categorie giovanili.
Ci ha portato i suoi ragazzi anche il Bologna. Il nome
non è stato scelto a caso: da sempre, si chiama così la
formazione giovanile del Portonovo, proprio quella in cui
ha militato Bulgarelli prima di partire per Bologna. Ma
pochi sanno che il campione è tornato a indossare questa
maglia a fine carriera. Per due anni è stato regolarmente
tesserato tra gli amatori del Portonovo, e con lui c’era
anche Giuseppe Vavassori, portierone rossoblù degli anni
Settanta, prematuramente scomparso. Ma “Vava” qui
aveva fatto un patto: niente guanti da portiere, giocava
centrocampista. Su questo campo, Bulgarelli portava
anche gli amici delle amichevoli domenicali: Giorgio
Comaschi, Fio Zanotti, Andrea Mingardi, Jimmy Villotti,
e poi Colomba, Pecci, Massimelli. Erano i giorni in cui
Portonovo, la piccola Portonovo, si sentiva al centro del
mondo.
AL CINEMA! Dall’altra parte della strada, proprio di
fronte al bar trattoria, c’è un cinema che va verso il secolo
di vita. Fu costruito proprio quando le Generali presero
possesso del paese, nel 1933. Fu lì che in una sera di
ottobre del 1976 Sandro Ciotti venne a presentare in
prima assoluta “Il profeta del gol”, film su Johann Cruijff
di cui era regista. Lo portò Bulgarelli, naturalmente, e con
lui Pesaola, tanti giocatori e tanti giornalisti. Finì tutto con
la leggendaria “Rustida a Newport”, con Ciotti virtuoso
della fisarmonica, chili di pesce sulla griglia e fiumi di
buon vino della campagna.
Portonovo, insomma, è sempre stato un posto al centro
del mondo dove un tempo c’era tutto, il pallone, la
scuola, il cinema, i negozi. Eppure, anche un posto
lontano da tutto. Per questo, forse, Giacomino sentiva
sempre il bisogno di tornare.
Caseggiato Generali
La nostra STORIA
Ottant’anni fa la Linea Gotica divise in
due la Valle del Savena. Pianoro restò
nella terra di nessuno per un inverno
intero
Guerra e pace
nella Montecassino
del nord
Testi di Gianluigi Pagani
Livergnano nella Seconda guerra mondiale
Villa Morra a Montecalvo
bombardata durante la guerra
Durante la recente visita dell’Arcivescovo di Bologna
Matteo Zuppi alla Zona Pastorale di Pianoro, una parola
è risuonata più volte nei suoi discorsi, ripensando proprio
a questo territorio, definito la ‘Montecassino del nord’
distrutta per il 98% dalla guerra: “…giovani costruite la
Pace! Prendiamo i semi della pace nelle nostre mani e
seminiamoli nei cuori, perché siano carezze di quel bene
che, fatto, ricevuto e accolto, possa essere custodito
e fatto crescere, affinché possa portare tanto bene!”.
Nel 2024/2025 ricordiamo gli 80 anni del passaggio
della Linea Gotica nella Valle del Savena. Questi i
più importanti avvenimenti storici di quei mesi della
Seconda guerra mondiale. La 91° divisione americana,
protagonista dei combattimenti al Passo del Giogo, e dopo
aver oltrepassato il Passo della Raticosa, ha attaccato le
difese tedesche a Monghidoro all’alba del 1 ottobre 1944.
Dopo duri combattimenti, il giorno successivo, gli alleati
sono entrati nel paese passando dalla Crocetta, mentre i
tedeschi della 4° e della 362° divisione si sono ritirati nei
pressi di Loiano. Monzuno è stata liberata fra il 4 e il 5
ottobre 1944 dalle truppe della 34° divisione americana
Red Bull, anche se i primi militari alleati che arrivano
in paese sono stati i soldati della 6° divisione corazzata
sudafricana. Buona parte del territorio comunale è rimasto
in mano dei tedeschi fino alla primavera successiva,
come ad esempio Monterumici liberata soltanto il 18
aprile 1945 dai Diavoli Blu del 350° reggimento dell’88°
divisione americana. Il comune di Loiano è stato liberato
dagli uomini del 362° reggimento della 91° divisione
all’alba del 5 ottobre 1944, dopo un violento attacco dei
bombardieri e dell’artiglieria. Quando si visita il Museo
storico etnografico Linea Gotica di Bruscoli si legge che
molti dei materiali ivi contenuti sono stati lasciati dagli
alleati, che in quel luogo li gestivano i rifornimenti dalle
retrovie.
Purtroppo per noi, invece, da Pianoro in avanti c’è
sempre stato solo il fronte. L’avanzata degli Alleati si è
infatti fermata davanti a Livergnano (nella foto), frazione
del comune di Pianoro, incastonata anch’essa su uno
sperone roccioso del Contrafforte Pliocenico, con la
strada statale 65 costretta a passare in una strettoia. Dal
9 ottobre 1944, per tre giorni di seguito, aviazione e
artiglieria alleate hanno tempestato le postazioni tedesche
posizionate sullo sperone, finché il giorno 14 ottobre i
tedeschi hanno abbandonato Livergnano, attestandosi
più a nord su Belmonte, sopra Pianoro, dove, nei giorni
successivi, l’avanzata si è fermata per tutto l’inverno
1944/1945, fino alla primavera successiva. Livergnano
è stata espugnata il giorno 14, passando dalla Valle di
Zena, Bigallo, Casola e Bortignano. Gli alleati hanno
cercato di sfondare la Linea Gotica nella zona di Pianoro,
creando un cuneo, definito dagli alleati “Winter Line”
ossia “La Linea d’inverno” (lo stesso nome del museo
sulla Seconda guerra mondiale situato a Livergnano,
fondato da Umberto Magnani) e dai tedeschi la “Caesar
line”, per arrivare presto a Bologna, per poi conquistare
la Pianura Padana. Gli americani volevano arrivare presto
in Germania. Invece il primo ministro inglese Winston
Churchill voleva conquistare l’Europa centrale attraverso
Trieste ed il valico di Lubiana per salvare i paesi dell’Est
dall’altrettanto feroce dittatura comunista. Quante storie
ci sarebbero ancora da ricordare: la liberazione di San
Benedetto Val di Sambro il 4 ottobre; i sudafricani che
il 6 ottobre riescono a conquistare Monte Vigese e
Montovolo; gli americani che il 10 ottobre liberano
Monte delle Formiche, il 13 ottobre Monterenzio, e poi
il 16/19 ottobre combattono sopra Pianoro e conquistano
Zena, il Monte della Vigna e il Monte Fano; il sottotenente
pilota brasiliano John Richardson Cordeiro e Silva che
muore vicino a Livergnano, abbattuto con il suo aereo
42
4331
Pianoro
Natale 1943, militari USA del 361°
Reggimento in Italia
Natale 1944 nella zona di Monghidoro e Loiano
lungo la Statale 65 della Futa verso Bologna, il parroco
di Musiano don Cesare Guidi risale la stessa strada in
bicicletta, passando vicino ai carri armati USA, per
ritornare nella parrocchia a svolgere il proprio ministero
e a ricostruire un paese distrutto. Lo stesso don Cesare
che si era rifiutato di festeggiare il passaggio trionfante di
Hitler lungo la Direttissima mentre in treno raggiungeva
Mussolini a Roma, subendo angherie dai fascisti.
E quando gli alleati passano per Rastignano, a salutarli
davanti alla chiesa di San Pietro e Girolamo, crivellata
dai colpi di mitragliatrice dei tedeschi, trovano don
Giorgio Serra, che non ha mai abbandonato la propria
comunità, nascondendosi negli ultimi mesi del conflitto
nelle grotte della Croara, insieme alle sorelle e ad alcuni
parrocchiani. Proprio sulle colline sopra Rastignano vi
è l’Altare Materpacis (nella foto) in ricordo dei caduti
di tutte le guerre, vicino a Villa Morra (nella foto)
parzialmente distrutta dalla guerra. E poi don Giovanni
Sfondrini, novello parroco di Livergnano, che è rimasto
nel territorio, senza avere nulla da mangiare… se non
grossi topi (molto interessante il diario che ci ha lasciato
su quel periodo, dal titolo “Livergnano 1944/1945”). Tre
importanti sacerdoti, punti di riferimento della comunità.
In conclusione vi consiglio un volume per approfondire
questi avvenimenti, “North Apennines – The U.S. Army
Compaigns of World War II”, del Centro di Storia Militare
dell’esercito statunitense di Dwight D. Oland, con
prefazione di John W. Mountcastle, Brigadier General
USA, che è il resoconto quasi giornaliero di quel periodo
storico, con gli avvenimenti nell’Appennino settentrionale
dal 10 settembre 1944 al 4 aprile 1945.
Thunderbolti P47 dalla contraerea tedesca il 6 novembre
1944. A Livergnano possiamo ancora oggi ricordare tutti
questi avvenimenti, fermandoci davanti al monumento
ai caduti del 361° reggimento della 91° divisione che
strapparono ai tedeschi lo sperone roccioso (presente una
statua in bronzo, opera dello scultore Luigi Enzo Mattei),
e alla targa in memoria del pilota brasiliano (alcuni resti
del suo aereo sono ancora conservati presso il Museo
Winter Line, poco distante). A partire da fine ottobre le
forti piogge e la scarsità di mezzi costringono gli alleati
a sospendere le operazioni sulla Gotica per un mese,
e poi dal 13 novembre la radio trasmette il “Proclama
Alexander” dove il generale, comandante delle forze
alleate in Italia, rende pubblica la definitiva sospensione
delle operazioni. Per tutto l’inverno, uno dei più freddi
che la popolazione ricorda, il fronte rimane fermo,
anche sulle montagne sopra Pianoro. L’offensiva alleata
sulla Linea Gotica riprende solo nel febbraio 1945 con
la “Operazione Encore”, e con la grande offensiva di
primavera quando, ad aprile, tutto il fronte si è mosso,
prima nelle pianure della Romagna e poi fra le montagne
dell’Emilia, mentre in Europa i russi arrivano a Vienna
e gli angloamericani entrano in Germania. Il 21 aprile
Bologna, insorta e libera dai tedeschi, vede l’ingresso
dei polacchi dalla zona di San Lazzaro di Savena. È la
fine della guerra anche nella nostra vallata del Savena ed
il 2 maggio cessano le ostilità su tutto il fronte italiano.
Ed è bello ricordare che mentre gli alleati scendono
La macchina del tempo
Dal dente di elefante
scoperto alla Croara a
Luigi Fantini: personaggi,
luoghi e laboratori per
un giorno da archeologi
Bologna
nella preistoria
Testi e foto di Elena Boni
Il sistema dei Musei universitari offre un ampio catalogo di visite guidate e
laboratori per scuole e famiglie (a cura di Le Macchine Celibi). Tra queste,
VertebrArto, Dinosauri da racconto, I padroni della zanna, Paleopictionary
e l’edizione natalizia di Jurassic hunt. Info: www.sma.unibo.it
La preistoria a Bologna cominciò…
nell’Ottocento. Risalgono al XIX secolo,
infatti, le prime importanti scoperte
relative sia alla paleontologia sia
all’archeologia preistorica nel territorio
bolognese.
Nel 1834 sull’altopiano gessoso della
Croara, alle spalle di San Lazzaro,
alcuni contadini raccolsero un dente
di elefante; altri reperti simili furono
trovati negli anni successivi. Queste
scoperte diedero impulso agli scavi e
a ulteriori ricerche: Francesco Orsoni
esplorò la grotta del Farneto e vi trovò
moltissimi reperti lasciati da animali e
uomini preistorici, tanto da dedicare
alle ricerche tutta la sua vita e le sue
fortune. Nel 1871 Giovanni Capellini,
docente di geologia all’Università,
pubblicò la memoria “Armi e utensili
di pietra del Bolognese” in cui riportava
il rinvenimento, fra Monte Donato
e la Croara, di antichi manufatti
realizzati dall’uomo e di ossa di grandi
mammiferi estinti da millenni. Nel
corso dell’Ottocento nacquero o si
consolidarono anche i principali musei
cittadini, che tuttora costituiscono
il luogo privilegiato per studiare la
preistoria a Bologna e ammirarne i
reperti.
Il Novecento fu caratterizzato
soprattutto dalla figura di Luigi Fantini,
speleologo e archeologo autodidatta
che operò “sul campo” tra le valli
del Savena, dello Zena e dell’Idice,
compiendo importantissime scoperte
e regalando ai Bolognesi una quantità
impressionante di reperti. Tuttora le
campagne di scavo preistorico nella
zona appenninica sono compiute da
archeologi in collaborazione con i
gruppi speleologici attivi sul territorio,
mentre nella pianura a nord della Via
Emilia si svolgono campagne di scavo
con metodi archeologici più “classici”
che hanno portato a numerose scoperte
e anche alla nascita di piccoli musei
locali.
I MUSEI UNIVERSITARI
I nostri musei universitari sono fra
i più antichi e prestigiosi d’Italia.
Particolarmente famoso e amato è il
“Museo del dinosauro”: questo il nome
con cui affettuosamente i bambini
chiamano la Collezione di Geologia
Giovanni Capellini dove è conservato
il gigantesco scheletro di diplodoco
che affascina gli scolari bolognesi dal
1909. In tale anno, infatti, fu portata
in città la riproduzione dello scheletro
di dinosauro trovato negli Stati Uniti,
lunga 26 metri. La Collezione, che
fa parte del Sistema museale di
Ateneo (SMA), comprende anche
numerosissimi altri reperti e fossili di
animali e piante preistoriche, tra cui i
pesci fossili del Monte Bolca (VR). Si
trova in via Zamboni 63.
Rimanendo in ambito universitario
è imprescindibile visitare la grande
sede espositiva di Via Selmi 3. La
Collezione di Zoologia espone
moltissimi animali impagliati, scheletri,
ricostruzioni e materiali di studio
sia del presente, sia del passato: vi si
può seguire l’evoluzione delle specie
e ammirare animali oggi scomparsi,
come il dodo, ma anche rettili antichi
e altri “fossili viventi”, eredi biologici
degli animali preistorici. L’evoluzione
anatomica fa da padrona al piano
superiore dell’edificio nella Collezione
di Anatomia Comparata, una delle più
complete a livello internazionale. Qui
il visitatore può ammirare, e persino
toccare, il modo in cui gli animali e
gli uomini hanno modificato le proprie
caratteristiche: denti, ossa, postura… in
relazione alle esigenze di sopravvivenza.
Accanto ad essa si trova la meno
nota Collezione di Antropologia. Qui
l’attenzione si focalizza sugli uomini:
della nostra specie viene illustrata
l’origine, ma anche l’evoluzione
tecnologica, culturale e sociale a partire
dallo studio delle civiltà tradizionali. Per
il visitatore dell’era 3.0 è interessante
vedere come ancora pochi decenni fa
le spedizioni degli antropologi abbiano
potuto rinvenire usanze e tecnologie
“primitive” in remote parti del mondo,
oggi quasi completamente globalizzate.
IL MUSEO ARCHEOLOGICO
Al Comune di Bologna appartiene
invece il Museo Civico Archeologico
(via dell’Archiginnasio 2). Inaugurato
nel 1881, contiene antiche collezioni
universitarie e comunali e soprattutto
l’enorme quantità di rinvenimenti
archeologici venuti alla luce nel
territorio bolognese nel corso
dell’Ottocento e poi del Novecento.
La sezione preistorica copre un arco
cronologico dal paleolitico all’età
dei metalli, con fossili, resti animali,
manufatti dell’uomo, sepolture
preistoriche e così via. Particolarmente
44
4531
Bologna
curate le schede didattiche, le visite, le
pubblicazioni divulgative e la sezione
delle “Collezioni online”: pensate
per le scuole, offrono informazioni e
conoscenze preziose anche per tutti i
cittadini e per i curiosi di ogni età.
La preistoria fuori porta
L’altro sito imprescindibile per chi voglia
conoscere la preistoria bolognese è il
Museo della Preistoria a San Lazzaro
di Savena. Il museo è dedicato a Luigi
Donini, ricercatore sanlazzarese morto
a soli 24 anni nel tentativo di salvare
alcuni speleologi intrappolati in una
grotta. Le sale interne offrono una
vasta collezione di reperti rinvenuti
prevalentemente nelle vicine valli
appenniniche, ma anche ricostruzioni e
diorami utili a immaginare “dal vivo” le
creature e le situazioni di cui vediamo
i resti nelle teche. In questo museo
le ricerche storiche e archeologiche
dialogano con la conoscenza e l’amore
per il territorio: è infatti concepito
come un’esperienza immersiva nella
preistoria. L’edificio è circondato da un
piccolo parco archeologico in cui sono
riscostruiti a grandezza naturale alcuni
animali preistorici, come una tigre dai
denti a sciabola e il grande mammut.
Vale davvero la pena entrare nel parco,
magari dopo una nevicata, per vivere
l’atmosfera del cartone “L’Era Glaciale”
e scattare una foto con Manny e Diego,
o per partecipare ai divertenti laboratori
per scuole e famiglie. Per chi volesse
approfondire, una ricca sezione di
schede storico/didattiche è scaricabile
gratuitamente dal sito: https://www.
museodellapreistoria.it/pillole.html
Diversi Comuni della provincia
bolognese hanno istituito musei piccoli
o grandi per illustrare la storia del proprio
È tornata al parco della Resistenza di
San Lazzaro la spettacolare mostra
“Dinosauri in Carne e Ossa” che
propone 38 modelli di diversi animali
preistorici a grandezza naturale. La visita
costituisce per adulti e bambini un felice
completamento dei percorsi espositivi e
didattici del museo Donini.
INFO: www.dinosauricarneossa.it
territorio, e molti di questi cominciano
proprio dalla preistoria. Li elenchiamo
brevemente, anche se meriterebbero più
spazio: il Museo Civico Archeologico e
Paleoambientale “E. Silvestri” di Budrio,
la sezione archeologica del Museo
civico e Pinacoteca “A. Borgonzoni” di
Medicina, il Museo Civico Archeologico
“A. Crespellani” di Bazzano, la “Sala
della terra” e la “Sala delle origini” al
Centro di Cultura “Paolo Guidotti” di
Castiglion de’ Pepoli.
ARTE PREISTORICA in giro per la città
Passeggiando ai Giardini Margherita è possibile imbattersi in uno strano monolite
nero che ricorda un manufatto preistorico. Si tratta della scultura “Madre” dell’artista
Guy Lydster, di origine neozelandese ma da tempo residente a Bologna. È stata
installata nel 2018 e da allora attira la curiosità di bambini e adulti soprattutto per i
graffiti dal sapore preistorico.
Alle pitture rupestri della preistoria si rifà esplicitamente il pittore bolognese Andrea
Benetti con le collezioni Omaggio alla pittura rupestre, Opere con pigmenti del
paloeolitico o Disegni neorupestri. Per ammirare le collezioni prodotte da questo
Primitivo nel terzo millennio si può visitare il sito: www.andreabenetti.com
Infine per cimentarsi direttamente con l’arte preistorica i più giovani possono seguire
i laboratori ad essa dedicati, rispettivamente, presso i Musei Universitari (Pitture
rupestri e Dipingiamo la preistoria) e il Museo Donini di S. Lazzaro (Una scultura
bestiale, Ombre e figure sulle grotte, Dipingiamo gli animali, Esperimenti con l’argilla,
Paleoartisti).
Sei in buone
MANI.
Vogliamo accompagnarti
in ogni tuo progetto.
Affianchiamo le persone nelle loro scelte offrendo
prodotti e servizi capaci di rispondere in modo corretto
e trasparente alle esigenze in continua evoluzione.
IL CUORE NEL TERRITORIO
ALLE ORIGINI DEL VINO
La storia
dei vitigni
dei Colli Bolognesi
Metodo Classico, Charmat e Ancestrale
trovano nuove dimore sui dolci
pendii felsinei
bollicine
alla bolognese
Testo di Alessio Atti
Sulle nostre colline, è da qualche decennio, non molti in
realtà, che si producono vini di sempre più alta qualità, grazie
alla rinnovata consapevolezza dei nostri vignaioli e di tecniche
di vinificazione sempre più all’avanguardia. Oramai il ricordo
dei vini approssimativi del territorio bolognese è sempre più
lontano anche se, una vena di nostalgia, resta sempre.
Restano le idee di genuinità, di sapere antico e le attuali
tendenze ripercorrono queste considerazioni raccogliendole
in nuove filosofie produttive, proponendo vini possibilmente
meno artefatti.
Stanno ritrovando spazio vitigni ormai quasi scomparsi e
alcuni attenti vigneron danno loro la possibilità di riproporsi,
mostrando quello che valgono.
Storicamente, sulle nostre tavole, il vino frizzante era
sicuramente il benvenuto, che sia stato voluto o meno, la gente
felsinea ha dimestichezza con le bolle, quasi fossero parte
del proprio DNA. Sempre un tantino grossolane ma sempre
apprezzate.
Di certo, la tecnologia in cantina, ha raggiunto qualche tempo
fa anche i nostri Colli, spingendo i produttori a prendere in
considerazione l’imbottigliamento di pregiate bottiglie di
bollicine più fini, più eleganti.
Sfruttando qualità di vite adatta ad una corretta
spumantizzazione come i nostri Trebbiano, Pignoletto e
Barbera, con il forestiero Chardonnay si è raggiunta l’intesa
enoica per tale produzione.
Metodo Classico, Charmat e Ancestrale trovano nuove dimore
sui dolci pendii felsinei. Con il Metodo Classico, stessa tecnica
di produzione dello Champagne, per intenderci, possiamo
individuare vini che sostano sui lieviti diversi anni, anche più
di 5, regalandoci bollicine finissime, cremose e persistenti,
con sentori complessi ed eleganti, rappresentano il fiore
all’occhiello della spumantizzazione bolognese. Da stappare
non solo per le feste o le ricorrenze, i Metodi Classici dei Colli
Bolognesi si accostano egregiamente a molti piatti tradizionali.
Il più grande numero di bottiglie di spumante dei nostri Colli
viene prodotto con il Metodo Charmat, stessa tecnica della
produzione del celebre Prosecco, donandoci vini pronti e
giovani per aperitivi e tutto pasto. Si producono così anche i
famosi Pignoletto o Barbera Frizzante che riempiono i nostri
calici e prendono posto da tempo immemore sulle tovaglie di
ogni bolognese.
Con il Metodo Ancestrale si è riaperta sul vino petroniano
una nuova via che ha comunque radici antiche, i famosi
“rifermentati in bottiglia” stanno mietendo numerosi
riconoscimenti e si posizionano come vino da aperitivo,
fresco e gagliardo, pronto ad essere abbinato a taglieri di
ottimi salumi, formaggi freschi ma anche ad alcuni nostri
grandi piatti.
Da gustare limpidi o, agitando lievemente la bottiglia con
i lieviti in sospensione, ci regalano sensazioni piacevoli ed
intriganti, bollicine vispe e fini accarezzeranno il palato
rimandando la mente a sapori dimenticati.
Le caratteristiche dei nostri terreni, il clima e la qualità delle
uve creano enormi potenzialità per l’ulteriore innalzamento
della qualità di queste produzioni, particolari e mai fuori
moda.
Del resto i vini spumanti rappresentano sempre il culmine
di un momento festoso, celebrativo, anche solenne. Sovente
si vanno a ricercare bolle lontane o straniere, ricche di
blasone, di bella critica e paillettes ma basta guardare dietro
l’angolo, appena qui, sui nostri Colli Bolognesi, per scovare
ragguardevoli bottiglie, eccellenti bollicine che di certo
sorprenderanno e sapranno accontentare i palati più raffinati.
A proposito, attenzione ad un antico vitigno felsineo che
qualche eroico vignaiolo sta recuperando e sta proponendo in
versione spumantizzata. Sia in purezza che in assemblaggio
con altre qualità di vite, poniamo il nostro calice a raccogliere
l’Alionza.
Una scommessa che pare affascinare il mondo enoico della
città turrita. Cin!
47
QUESTO LO FACCIO IO
Azioni e comportamenti
per la tutela
della biodiversità
a cura di Andrea Morisi
(Sustenia srl)
Un modo differente di tagliare
l’erba per aiutare piante, insetti
e animali
Prato a Daucus carota,
Cichorium intybus e Amaranthus
IL PRATO BIODIVERSO
Eccoci qua per un’altra azione molto
concreta e facilmente praticabile da chi
intenda fare la propria parte per dare
una mano alla biodiversità, l’insieme
di animali, vegetali, funghi e tutti gli
organismi che popolano gli stessi
luoghi in cui viviamo noi. O, meglio,
li popolerebbero, fornendoci grandi
vantaggi e grande bellezza al mondo che
ci circonda, se non li avessimo sino ad
ora allontanati, avvelenati, estinti.
Nelle puntate precedenti abbiamo
visto cinque diversi modi per ricreare
nicchie ecologiche e habitat nel nostro
giardino o tra i nostri campi, una sesta
via è rappresentata dalla creazione
dell’ecosistema prativo.
UN AMBIENTE PARTICOLARE
Parlando della pianura, i prati, alle
nostre latitudini, con i nostri suoli e con
le nostre condizioni climatiche, non
costituiscono, di regola, degli ecosistemi
naturali ovvero che si generano e si
mantengono spontaneamente. Salvo rare
e particolari eccezioni, l’origine delle
aree a prato e la loro conservazione
nel tempo sono collegate alle attività
umane: i prati esistono là dove viene
mantenuta tagliata la vegetazione
erbacea presente, che sia per fare fieno,
per fare pascolare animali domestici
oppure per altri scopi decisamente di
tipo artificiale, come aree prative per
finalità estetiche o per rendere possibile
l’ispezione (in corrispondenza di argini,
di manufatti, ecc.).
In condizioni naturali un’area prativa,
magari originatasi perché un bosco è
bruciato completamente oppure un
fiume è esondato ricoprendo di limo
il suolo, non rimane stabile a lungo.
Il pascolo di animali può rallentare la
comparsa di arbusti e poi di alberi, ma il
prato in natura è destinato ad evolversi,
nel tempo, necessariamente a bosco.
Nel nostro caso nel bosco a latifoglie
dominato dalla quercia farnia. Quindi
la maggior parte dei prati che potete
vedere esistono e rimangono perché
l’essere umano taglia periodicamente
l’erba.
Barra falciante per uso domestico
PER FARE UN PRATO
Oggi l’azione di taglio di un prato si
concretizza, di norma, nella trinciatura
dell’erba. Di solito con un trituratore
meccanico o con il rasaerba domestico,
ma in ogni caso significa che la porzione
aerea delle erbe viene sminuzzata da lame
rotanti o da martelletti che ne frantumano
completamente i fusti che rimangono sul
posto in forma di pacciame. Nel caso
dei trituratori meccanici, l’attrezzo può
tranquillamente toccare anche il terreno
senza danneggiarsi, per cui il prato
viene effettivamente rasato alla base.
La triturazione costituisce un’azione
di significativo impatto sulla comunità
del prato. Le erbe vengono ovviamente
tagliate e si ottiene in poco tempo una
netta selezione in quanto quelle che
sopravvivono sono le specie che non
solo sopportano il taglio, ma che sono in
grado di ricacciare rapidamente le foglie
e fiorire in tempi ridotti (per esempio le
margherite pratoline oppure i trifogli o i
denti di leone) oppure che si riproducono
per via vegetativa, cioè non tramite i fiori
e i semi (per esempio la gramigna). Chi
ha la peggio (e scompare rapidamente)
sono le erbe che invece hanno bisogno
di tempo per produrre uno stelo alto che
porti i fiori e poi i semi. Inoltre anche il
continuo apporto di sostanza organica
nel terreno, derivante dall’erba trinciata,
seleziona le specie erbacee presenti,
favorendo quelle più nitrofile e amanti
di terreni ricchi di nutrienti. Un prato,
un parco, un argine frequentemente
triturato non si evolve dunque secondo
la successione ecologica che la natura
riserverebbe alle aree prative, cioè prima
arbusteti e poi bosco.
48
Ambiente e territorio
Cardo dei lanaioli
(Dipsacus fullonum)
con semi
E LA BIODIVERSITÀ?
I risultati per la biodiversità sono
facilmente riscontrabili in modo diffuso:
tutti i prati, di solito, si assomigliano come
composizione floristica, abbondando
di specie diffuse e banali. E anche gli
animali subiscono un impatto diretto in
quanto la triturazione non dà scampo
a qualsiasi organismo entri nel raggio
d’azione del rasaerba o del trincia, che
si tratti di un bruco di farfalla, di una
cavalletta, di un ragno, di una mantide
religiosa, di una chiocciola, di un
bombo intento a succhiare il nettare, ma
anche di un ramarro, di una lucertola
che non si riesca ad allontanare in
modo sufficientemente veloce. Più la
trinciatura è frequente e viene condotta
velocemente, maggiori sono gli effetti
negativi sulla biodiversità del prato.
Come possono salvarsi le specie di
uccelli che nidificano al suolo? E, infatti,
dove sono finite le quaglie, le allodole,
i saltimpalo, le cutrettole, le pispole e le
altre specie di uccelli che, prima della
diffusione della triturazione meccanica
dell’erba, popolavano le aree coltivate?
alta rispetto al suolo, lasciando una
possibilità di scampo. L’esecuzione
del taglio avviene dunque avanti
nella stagione consentendo spesso la
riproduzione di molti animali. La stessa
barra falciante può poi essere provvista
di cosiddetti dispostivi d’involo
(anche semplicemente delle catene
pencolanti) posizionati davanti, in
modo da allertare in anticipo eventuali
animali presenti e farli allontanare o
involare per tempo. Dato poi che il
fieno viene raccolto e allontanato, non
si verifica l’arricchimento continuo del
prato in sostanza organica e risultano
così più competitive le piante erbacee
più adatte a terreni meno ricchi, come
per esempio le orchidee.
UN PRATO PER LA BIODIVERSITÀ
Abbiamo dunque capito che dietro
ad un prato denso di fioriture gialle di
tarassaco o bianco di pratoline possono
esserci problemi per la conservazione
della biodiversità e che ciò che fa la
differenza, sia per le piante, sia per
gli animali, sono le modalità con cui
tagliamo l’erba (triturazione vs. sfalcio),
la raccolta e allontanamento dell’erba
tagliata, la velocità con cui viene
eseguito il taglio e le accortezze che
possono essere prese (attenzione al
periodo di taglio, posizionamento di
catene di involo, andamento centrifugo
e non centripeto del taglio per lasciare
via di fuga agli organismi). Quindi un
prato biodiversificato, con fioriture per
gli impollinatori distribuite nell’arco
della stagione, erbe nutrici dei bruchi
e nettarifere per le farfalle, semi che
rimangono sul fusto a disposizione
degli uccelli granivori in inverno
(anche i cardellini e i passeri stanno
scomparendo), varietà di specie
erbacee (tra cui le meravigliose
orchidee, ma anche i cardi, le carote
selvatiche, le piante bienni), lo si ottiene
regolando proprio il modo con cui lo
gestiamo. Quindi molto può dipendere
da noi. L’erba alta viene spesso
collegata all’abbandono di un luogo, al
“disordine”, alla produzione di zanzare.
I canoni dell’estetica e della bellezza,
come sappiamo, sono molto personali,
ma se anche si preferisse il cosiddetto (e
anonimo!) “prato all’inglese”, un angolo
lasciato allo sviluppo spontaneo del
prato ci regalerebbe sorprese continue
fatte di fiori, colori stagionali, animali di
tantissime specie diverse. E, a proposito,
le zanzare nascono nell’acqua, non
nell’erba…
Per dire che “anche quest’azione per
favorire la biodiversità l’ho fatta io!”
basta poco: diminuiamo i tagli del
prato, lasciamo fiorire e fruttificare
le erbe, usiamo la barra falciante
invece del trituratore, tagliamo l’erba
in modo diversificato, lasciando aree
che tagliamo solo una volta all’anno
(o anche una volta ogni due anni,
per fare sopravvivere anche le piante
bienni, come i bellissimi verbaschi,
per esempio). Se, poi, volete divertirvi,
provate a gestire un’area a prato in
condizioni diverse: in pieno sole o
all’ombra oppure in una zona secca o
più umida: le erbe, i fiori, gli animali
cambieranno e ancora una volta la
natura vi stupirà.
Per fortuna sempre più frequentemente,
anche per risparmiare un po’ i
costi della manutenzione, stanno
aumentando le aree pubbliche e private
in cui si diminuisce l’intensità del
taglio e vengono lasciate parti per la
biodiversità. Spesso anche con la gioia
delle nostre orecchie che non sentono
il rombare di trattorini e rasaerba e del
non dover annusare la puzza dei loro
scarichi anziché il profumo dei fiori del
prato.
L’ALTERNATIVA DELLO SFALCIO
Diverso è il discorso che riguarda lo
sfalcio dell’erba, come quello che
avviene nei prati per la produzione del
fieno. In questo caso il taglio avviene
quando l’erba è già alta (e magari è
già risuscita a fiorire e fruttificare) e
l’impatto diretto con gli organismi
animali è costituito dalla sola linea
rappresentata dalla lama della barra
falciante, riducendo moltissimo le
uccisioni di insetti, artropodi e altra
fauna, anche perché, necessariamente,
la barra falciante deve essere tenuta
Fiore di Dipsacus fullonum visitato da un bombo
49
FOTONATURALISMO
La tredicesima puntata
di un piccolo corso
sui segreti
del fotografo
naturalista
WildWatching
Macro:
Una foto ottenuta col flash integrato della fotocamera non
perfettamente bilanciato che la rende molto artificiale.
le tecniche sul campo
Testi e foto di Paolo Taranto
Negli articoli precedenti abbiamo
già visto le attrezzature utilizzate
per documentare piccoli soggetti,
tecnica detta fotografia macro (o
macrofotografia o fotografia closeup).
In queste pagine vedremo come
usare queste attrezzature al meglio per
ottenere foto di buona qualità.
Impostazioni
Il problema principale nella fotografia
macro è la profondità di campo,
detta PDC per comodità; questa
diminuisce al diminuire della distanza
di messa a fuoco e avendo a che fare
con soggetti piccoli da fotografare a
distanza ravvicinata la PDC si abbassa
notevolmente, quindi nelle foto macro
molto spesso solo una parte del soggetto
è a fuoco mentre il resto risulta fuori
fuoco, il che le rende poco gradevoli.
Come si risolve il problema della
profondità di campo?
Innanzitutto si lavora con le
impostazioni di scatto; per aumentare
la profondità di campo si opera sul
diaframma, chiudendolo (numeri più
alti); generalmente si opera tra F9 ed F11
(in funzione della qualità dell’obiettivo
che si usa si può arrivare anche ad
F16), chiuderlo di più porterebbe alla
“diffrazione” un effetto ottico che
rovina la qualità delle foto. Chiudendo
il diaframma però l’immagine diventerà
più buia, considerando anche il fatto
che spesso si opera all’alba con poca
luce, dunque bisognerà operare sugli
altri parametri per avere una corretta
esposizione: iso e tempo di esposizione.
Anche con gli iso però non bisogna
esagerare, aumentarli troppo può
rovinare la foto, bisogna dunque fermarsi
su un valore intermedio che consenta di
guadagnare luce senza creare disturbo
digitale che rovinerebbe la foto; nelle
moderne fotocamere reflex o mirrorless,
soprattutto se full-frame, la tenuta agli
iso alti è aumentata molto e ciò facilita
le cose sicuramente ma nel resto delle
altre fotocamere è bene tenere gli iso a
valori quanto più bassi possibile.
L’altro parametro su cui poter operare
per guadagnare luce senza rovinare
Fig 1: una fotografia macro “classica”
con il primo piano di un piccolo
soggetto (una farfalla della famiglia
Licenidi); si può notare che non
tutte le parti del corpo sono a fuoco
a causa della ridotta profondità di
campo (foto scattata a 100 mm e F
4.0, tempo di scatto 1/100).
Fig 2: lo stesso soggetto della foto
precedente questa volta fotografato a F
11; la chiusura maggiore del diaframma
aumenta la profondità di campo infatti ora
a parte un’antenna tutto il resto del corpo
del soggetto è a fuoco anche se il tempo di
scatto è diminuito molto (100 mm, F 11,
tempo di scatto 1/50)
Fig 3: una maggiore chiusura
del diaframma (F 16) rende
lo sfondo meno sfuocato
e dunque meno piacevole.
Per ottenere un buono
sfuocato con diaframmi chiusi
bisognerà allontanarsi ancora
di più dallo sfondo.
50
WildWatching
In questa foto invece il flash è stato gestito in modo più corretto bilanciandolo
meglio così da renderlo meno invasivo e più integrato con la luce naturale del
tramonto, la foto risulta più piacevole.
la qualità dell’immagine è il tempo di
esposizione che andrà allungato; il lato
negativo di questo parametro è che si
arriva spesso a tempi di esposizione
piuttosto lunghi (ad es da 1/20 a 1’’
o anche più) e ciò può provocare
problemi di mosso e micromosso; per
questo è fondamentale operare tenendo
la fotocamera su un cavalletto ben
stabile; il micromosso viene provocato
dalla più piccola vibrazione ad esempio
camminare vicino al treppiedi, un
filo di vento o anche solo la pressione
che si esercita sul pulsante di scatto;
un buon trucco per evitare questi
problemi è quello di scattare con un
comando remoto (telecomando con
cavo o wireless o sfruttando il wifi della
fotocamera con l’apposita app); se non
si dispone di questi sistemi è possibile
scattare con il timer impostato a 5 o 10
secondi in questo modo la fotocamera
si stabilizzerà prima dello scatto vero e
proprio.
Purtroppo le vibrazioni causate dal
vento invece sono le più difficili da
risolvere: ci si può posizionare in un
punto più coperto e meno esposto al
vento e in alcuni casi si possono usare
pannelli riflettenti o diffusori o altri tipi
di materiale (basta anche del normale
cartone) per “proteggere” il soggetto dal
vento.
Lo sfondo
Per ottenere uno sfondo perfettamente
sfuocato in modo uniforme è necessario
che esso sia posto ad una certa distanza
in funzione del diaframma utilizzato;
con diaframmi aperti (F 2.8 o F 4) già
uno sfondo a qualche metro di distanza
può risultare perfettamente sfuocato ma
se si chiude il diaframma per ottenere
maggiore PDC a questa distanza la
sfuocatura non sarà perfetta; l’unico
modo per risolvere questo problema,
quando si usa un diaframma più chiuso,
è quello di posizionarsi in modo tale da
avere uno sfondo ancora più distante.
Il parallelismo
Molto spesso però questa chiusura del
diaframma non è ancora sufficiente
a risolvere il problema. Per questo il
parallelismo della fotocamera rispetto al
soggetto è molto importante; in tal modo
si riesce ad avere a fuoco ogni parte del
soggetto a volte anche senza bisogno
di chiudere troppo il diaframma.
Fotografare una farfalla poggiata su
un fiore posizionando la fotocamera
perfettamente parallela alla superficie
delle sue ali consente di avere tutto il
soggetto a fuoco anche con diaframmi
non troppo chiusi.
Quando la profondità di campo non
basta
Nonostante questi accorgimenti non
sempre è possibile avere tutto il soggetto
a fuoco, in questi casi si può operare in
due modi: scattare più foto con diversa
messa a fuoco e fonderle successivamente
in post produzione (Focus-stacking) per
ottenere una foto con tutto il soggetto
a fuoco; questa tecnica può essere
applicata anche direttamente con una
funzione interna delle fotocamere più
moderne, ci penserà il software della
fotocamera stessa a scattare le diverse
foto cambiando il fuoco.
Oppure scegliere un punto principale
da mettere a fuoco, solitamente la
testa o gli occhi, lasciando le altre parti
leggermente fuori fuoco.
Esposizione
Generalmente si usa la fotocamera in
Av (priorità di apertura) eseguendo
degli scatti di controllo per verificare
che l’esposizione calcolata dalla
fotocamera sia corretta, in caso
negativo si interviene con la rotellina
di compensazione dell’esposizione per
correggerla. Negli scatti macro molto
spesso è comunque utile sovraesporre
leggermente le foto, rendendole più
luminose, questo ne aumenta molto
la piacevolezza e l’estetica ma è utile
anche per ridurre il disturbo provocato
da iso alti.
La luce artificiale
Se si vogliono eliminare i problemi
dei tempi lenti discussi nel paragrafo
precedente ci si può far aiutare da fonti
di luce artificiale come flash o led a
luce continua; in questo caso la luce
aggiuntiva da essi forniti consentirà di
abbreviare i tempi di scatto eliminando
i problemi di mosso e micromosso e
consentendo addirittura di scattare
anche a mano libera senza il treppiedi.
Unico aspetto negativo della luce
artificiale è che molto spesso questa si
nota molto e rende le foto stesse molto
“artificiali”; per ottenere buoni scatti
il fotografo deve dunque imparare
a rendere meno invasiva possibile
l’illuminazione artificiale mescolandola
con la luce naturale.
Tecnica sul campo
Dove
Un aspetto molto interessante della
fotografia macro è che può essere
praticata ovunque, non solo andando
in giro per natura nei campi o nei
boschi ma anche in un parco urbano,
nel proprio giardino o persino in un
semplice vaso di fiori sul balcone;
basta infatti letteralmente un piccolo
“fazzoletto” di terreno per dare origine
a interi ecosistemi abitati da minuscoli
esseri viventi, vegetali e animali.
Dunque tutti gli ambienti sono adatti
alla fotografia macro, in ciascuno si
troveranno specie comuni a tutti gli
ambienti ma anche specie specifiche di
ciascun ambiente e questo vale sia per i
vegetali che per gli animali. Il bosco o i
campi incolti sono esempi dei principali
ambienti dove si pratica la fotografia
macro, vista la grande abbondanza di
soggetti in essi presenti.
Quando
I periodi in cui poter praticare la
51
FOTONATURALISMO
macrofotografia sono invece più
limitati; soprattutto per quanto riguarda
gli insetti e gli invertebrati in generale le
stagioni migliori sono quelle più o meno
calde dunque la primavera, l’estate e
l’autunno. La stagione invernale invece
presenta più difficoltà in quanto è
difficile, alle nostre latitudini, trovare
abbondanza di insetti in questa stagione;
dunque il fotografo appassionato
di macro può prendersi una pausa
oppure può cercare di lavorare con la
propria fantasia e scoprire altri soggetti
del micromondo che possono essere
fotografati ad esempio:
-Dettagli del ghiaccio, neve, brina
-Funghi
-Muschi, licheni
-Fioriture invernali (di solito si hanno
verso la fine dell’inverno)
-Invertebrati invernali: chiocciole,
lumache, insetti casalinghi
Orari
Nella fotografia l’orario è molto
importante perché solo in certe ore del
giorno si può avere una buona luce
naturale se non si vogliono usare luci
artificiali. Le ore migliori sono quelle
in cui il sole è basso, ad esempio l’alba
e il tramonto, quando è invece alto si
creerà una luce “dura” che genererà
foto eccessivamente contrastate e piene
di ombre. Anche la temperatura della
luce può essere importante, negli orari
migliori come l’alba e il tramonto si
ha una luce “calda” molto adatta alla
fotografia.
In fotografia naturalistica però gli orari
in cui si opera dipendono anche dalle
abitudini dei soggetti che si vogliono
fotografare, questi possono essere
infatti più o meno attivi in determinate
ore del giorno. Gli insetti in generale
sono soggetti spesso ostici in quanto
raramente si lasciano avvicinare
permettendo di comporre la foto con
calma e usando il treppiedi, per questo il
principale segreto della fotografia macro
è quello di uscire in cerca dei soggetti al
mattino presto, si parte quando è ancora
buio per arrivare sul campo nelle prime
ore di luce, in questi orari, a parte le
caldissime giornate estive, all’alba fa
ancora freddo, il che costringe gli insetti
a rimanere dormienti fin quando il sole
non riscalderà l’ambiente e solo in quel
momento potranno risvegliarsi e iniziare
le attività giornaliere. Farfalle, Libellule,
Ditteri che generalmente durante il
giorno sono sempre molto attivi, nelle
prime ore del mattino possono essere
quindi trovati praticamente immobili
e a volte coperti da rugiada; in questa
situazione è facile applicare le tecniche
precedentemente descritte per ottenere
delle fotografie macro perfette e
dettagliate anche con l’uso di tempi lenti
e cavalletto.
Tipi di macro
Durante il giorno è comunque possibile
fare foto macro in altri modi:
Macro d’azione: si cerca di fotografare
gli insetti in volo. In questo caso
bisogna trovare dei punti ben precisi
come ad esempio dei fiori che attirano
gli insetti o dei posatoi (tipici delle
libellule); si inquadra il posatoio
lasciando spazio nella zona in cui
solitamente arriva l’insetto in volo, si
chiude il diaframma e si usano tempi
veloci, il che costringerà a spingere
molto gli iso, e si scatta a raffica ogni
volta che si vede arrivare l’insetto in
volo.
Macro creativa: proprio perché gli
insetti sono molto attivi e spesso non
vi lasciano avvicinare a distanze
sufficienti per scattare un ritratto
tipico della macro classica né vi
lasciano la possibilità di usare tempi
lenti, diaframmi chiusi e comporre
adeguatamente l’inquadratura, è
possibile fare delle foto mantenendo
una distanza maggiore, quindi con
l’insetto che occupa solo una piccola
parte del fotogramma e lavorando
più sugli sfondi, cercando situazioni
che possano creare sfondi colorati e
variegati o con sfocatura “immersiva”
anteriore e posteriore (soprattutto
con diaframmi molto aperti) e spesso
sfruttando il controluce e la luce del
tramonto/alba.
Soggetti fermi: tra i soggetti della
macrofotografia vi sono anche i
vegetali (ad es fioriture e funghi) che
non presentano problemi dal punto di
vista della mobilità; ma vi sono anche
invertebrati non iper-attivi durante il
giorno, tante specie sono relativamente
“calme” e dunque facilmente
fotografabili, ne sono un esempio i
coleotteri, le mantidi, i ragni.
Inquadratura e composizione
Abbiamo già detto di quanto sia
importante il parallelismo, questa
regola va sempre rispettata. Per il resto
All’alba è facile trovare i soggetti
ricoperti dalla rugiada.
Un tipico esempio di foto macro
d’azione, le libellule sono soggetti
estremamente attivi e quasi
sempre in volo durante il giorno.
Un esempio di foto creativa
in controluce e con diaframma
aperto a F 2.8
Argiope bruennichi, il comune
ragno vespa, uno dei soggetti
che possono essere fotografati
anche in pieno giorno
52
WildWatching
La regola dei terzi. Si pone il soggetto su un terzo a
sinistra o a destra dell’immagine, soprattutto se il soggetto
guarda verso un lato sul quale si lascerà più spazio.
le regole di composizione
sono uguali a quelle
applicate nelle altre
tecniche fotografiche: è
utile per esempio sfruttare
la regola dei terzi così
come porre attenzione
a non tagliare parti del
soggetto (ali, antenne
etc). A volte è anche
utile sfruttare le diagonali
soprattutto nella fotografia
macro creativa dove il
soggetto è piccolo rispetto
al fotogramma.
CALENDARIO NATURALISTICO 2025
53
STILI DI VITA
PER UN MONDO
PIÙ SANO
A cura di
Bio&Sostenibile
46
Contro chi nega che sia ancora
possibile fare qualcosa per
affrontare i cambiamenti climatici
Agire e pensare positivo,
per vincere l’ecoansia
Testo di Silvano Ventura - silvano.ventura@gmail.com
Il nostro Pianeta, sta cambiando
rapidamente.
L’umanità, sembra accorgersene
poco, se non quando è travolta
da cataclismi, ma agire e pensare
positivamente, è l’unica realistica
opzione che abbiamo per dare a
tutti un futuro. Rassegnarci che il
mondo stia andando a rotoli, è un
modo ormai molto diffuso, di tirare
a campare e vivere alla giornata.
Questo modo di pensare e di
non agire, mi sembra si stia
rapidamente diffondendo anche
tra noi ambientalisti, transizionisti,
consumatori consapevoli, persone
attente e sensibili, ecc...
Potrà sembrarvi un po’ forte, ma
credo che questo atteggiamento
rassegnato, oltre a essere utile
ai negazionisti del clima e ai
politici superficiali e ignoranti,
contribuisca negativamente al
nostro futuro collettivo.
Intendiamoci, ci sono molti
validi motivi per essere stanchi,
rassegnati e arrabbiati.
Dopo la pausa dovuta al covid,
e a seguito delle conseguenze di
una guerra voluta in Europa da
chi gestisce e specula sull’energia
(fiancheggiatori e fomentatori di
entrambe le parti in guerra), in
tutto il mondo è ripartita la corsa
all’uso dei combustibili fossili.
Rispolverando anche il peggiore
di tutti: il carbone. Cina, India, e
molti altri paesi in via di sviluppo,
hanno guidato la nuova corsa al
carbone, per sostenere le proprie
arrembanti economie.
Ma di certo le economie forti,
non vogliono perdere posizioni
in questa assurda guerra delle
risorse e così il Fondo Monetario
Internazionale ha calcolato che
i combustibili fossili nel 2022
hanno ricevuto sussidi complessivi
per 71mila miliardi di dollari
pari a 13 milioni al minuto. Tutto
questo nonostante le promesse
di abbattere le emissioni che
producono gas serra e di favorire
le energie rinnovabili.
Ora il vero rischio riguarda
l’impatto psicologico che le notizie
sugli eventi estremi, conseguenti
al cambiamento climatico, unite
alle notizie di un mondo fatto di
uomini e nazioni, costantemente
in guerra o in competizione e
per nulla disposti a collaborare
per affrontare e risolvere le sfide
che il cambiamento climatico ci
pone, si traduca in una rinuncia
a impegnarsi, in un richiudersi
in se stessi e nel proprio piccolo
mondo, vivendo alla giornata,
perché tanto non c’è più niente da
fare, lasciando che tutto il resto del
mondo vada a rotoli.
Una nuova forma di depressione:
l’ecoansia.
Un negazionismo che non nega la
crisi climatica e le sue cause, ma
nega che sia ancora possibile fare
qualcosa per affrontarla.
La buona notizia è che la
transizione energetica è in atto!
Gli investimenti per attivare
fonti energetiche non inquinanti
rinnovabili sono in costante
aumento in tutto il mondo. Le
emissioni sono ancora in aumento,
ma tutti possiamo adottare
comportamenti sempre più
efficienti e consumi sempre più
attenti e sostenibili.
Dobbiamo essere consapevoli,
che ridurre i nostri consumi,
oltre ad essere un modello di vita
più leggero e virtuoso, significa
essere più felici liberandoci dalla
schiavitù dell’iperconsumo e dello
spreco.
Non si tratta di fare sacrifici, ma
di rinunciare consapevolmente, al
superfluo.
Media e pubblicità, spesso
enfatizzano quelle notizie che
servono a vendere di più.
In questo modo, è facile che la
nostra mente si faccia condizionare
dalle paure che ci vengono indotte.
Possiamo però avere una visione
ottimista e agire di conseguenza
ogni giorno, nei nostri ambiti
personali e sociali.
54
ENTOMOLOGIA
Un viaggio nel territorio
per conoscere la diversità
biologica che rende unico
il nostro ecosistema
Lento e paziente, il Melolontha
melolontha è un coleottero che
vive in tutta Europa
Melolontha melolontha
(Foto di Hans Hillewaert)
Il maggiolino dei boschi appenninici
Testi di Guido Pedroni - GRN Gruppo di Ricerca Naturalistica “Charles Darwin” - Bologna
Nei boschi dell’Appennino settentrionale,
comprese le valli bolognesi, sono
presenti numerosissime specie di vari
gruppi animali, soprattutto invertebrati,
tra i quali gli Insetti. Più volte su questa
stessa rivista abbiamo trattato di Insetti
Coleotteri; in questa occasione parliamo
del maggiolino comune, che la scienza
chiama Melolontha melolontha, descritto
per la prima volta da Linnaeus nel lontano
1758. Questa specie appartiene alla
famiglia degli Scarabei (Scarabaeidae). Gli
Scarabei sono formati da un gran numero
di specie, oltre 20.000. Quello più
affine è Melolontha hippocastani; le due
specie possono essere facilmente confuse
l’una con l’altra ad una osservazione
superficiale.
La specie che stiamo considerando vive
nei boschi di quasi tutta Europa, presente
nella porzione più settentrionale della
Spagna fino alla Svezia meridionale
e Scozia, raggiungendo l’Ucraina e la
Russia meridionale, fino alle montagne
del Caucaso. Le sue piante ospiti sono
numerose, interessando alberi e arbusti
a coltivazione agraria, piante forestali e
anche ornamentali.
Melolontha melolontha ha un ciclo di
vita poliennale, cioè passano vari anni
dalla deposizione dell’uovo fino alla
metamorfosi e al termine della sua vita;
l’adulto vive fino ad un massimo di due
mesi. Gli adulti si nutrono delle parti
verdi delle piante ospiti (arbusti e alberi),
soprattutto latifoglie, entrando in azione
al crepuscolo. Le larve invece si nutrono
delle radici di varie specie di piante,
vivendo sottoterra per circa tre o quattro
anni.
Le dimensioni dell’insetto adulto possono
arrivare ai 3 centimetri di lunghezza,
mentre la larva può arrivare a 4 centimetri.
Per evitare infestazioni di questa specie, o
di altre del genere, che possono provocare
vari danni alle piante coltivate, è opportuno
sistemare a copertura del suolo un sistema
di reti a maglie strette per evitare la
deposizione delle uova nel terreno. Fra i
loro predatori naturali troviamo le talpe.
Come tante altre specie di Coleotteri,
dalle forme e dai colori più incredibili,
anche questa specie può attirare la
nostra curiosità per alcuni aspetti della
sua morfologia particolarmente curiosi
e interessanti. Hanno un corpo diviso
in tre parti (capo, torace, addome), con
le elitre che ricoprono le ali e l’addome
sottostante, di colore rosso bruno. La parte
finale dell’addome è di forma triangolare
ed è caratterizzata da una specie di “coda”
chiamata pigidio, di forma leggermente
allungata e sottile, ma ben evidente.
Lateralmente spunta un peluria biancogrigiastra
che fascia l’animale, costituita
da lunghi peli. Le antenne hanno una
articolazione a ginocchio e la loro parte
apicale è formata da un funicolo che
porta una sorta di ventaglio, costituito da
un numero diverso di articoli. L’apparato
boccale molto sviluppato e grande, rispetto
alle dimensioni della testa. Una volta molto
comune nei boschi di collina e montagna,
attualmente sembra in via di rarefazione.
Se avremo la fortuna di imbatterci in
un esemplare adulto di questa specie
potrebbe essere molto interessante fermarsi
ad osservare i movimenti lenti del suo
comportamento; per nulla impressionabile
e armato di grande pazienza, l’insetto
adulto tende a frequentare sempre le
stesse piante e a spostarsi con volo lento e
pesante, accostando il suo modo di volare
a quello di un bombo.
FAI DELLA SOSTENIBILITÀ
IL TUO STILE DI VITA!
www.bioesostenibile.it
55
L’iniziativa con confguide
Il Comitato Portici di Bologna ha
stipulato un patto di collaborazione
con il Quartiere Porto Saragozza per il
recupero del tratto più degradato di via
Galliera. Nel 2025 si impegnerà anche
per Piazza XX settembre assieme ad
Ascom ed Emil Banca
L’amore
del Lions
per i Portici
Testi di Marco Vagnerini
Coordinatore Comitato Lions I Portici di Bologna
Quando nel 1981 sono arrivato a Bologna all’età di 18
anni, quello che mi ha colpito di più della città sono
stati i suoi portici.
Per un bolognese queste storiche arcate sono una
costante, fanno parte del suo panorama quotidiano,
come il mare per chi vive sulla sua riva. Ma a me
ancora adolescente, che venivo da Ravenna, sembrava
una cosa strana e magnifica.
“A Bologna se piove non serve l’ombrello”, era la
risposta ricorrente e scherzosa alla mia domanda del
perché a Bologna ci sono tanti portici.
Al di là di questa indiscutibile constatazione, in effetti
fino agli anni ’90 non c’erano stati studi approfonditi
sulle radici dello straordinario patrimonio architettonico
e urbanistico della nostra città.
Grazie in particolare all’opera della professoressa
Bocchi, si sono chiarite le ragioni storiche che hanno
permesso di sviluppare e mantenere nei secoli la rete
dei portici di Bologna.
Sono stati infatti i decreti municipali emessi dalla
fine del 1200 a stabilire un principio di straordinaria
modernità: l’obbligo per tutti gli edifici privati di
dedicare uno spazio adibito a portico di uso pubblico.
Ancora prima del “boom immobiliare” dell’espansione
universitaria, i portici sono stati spazio di commercio,
produzione artigianale, luogo di stipula notarile e di
incontro fra cittadini e “forestieri”.
Per questo l’Unesco ha riconosciuto i portici di
Bologna come patrimonio universale non solo per
l’unicità della sua rete di 42 km, ma come esempio
di un “importante interscambio di valori umani in un
lungo arco temporale”.
Il riconoscimento del 2021 è arrivato dopo un
PER CHI VUOLE DARE UNA MANO
Chi fosse interessato a collaborare con i Lions in
queste iniziative, anche “mettendo le mani nella
vernice”, può scrivere a marco.vagnerini@gmail.com.
percorso lungo e complesso ed è soggetto a verifiche
periodiche da parte dell’ICOMOS, l’ente certificatore
che ha svolto le visite per la candidatura nel settembre
2020. Va detto che, proprio per le sue caratteristiche,
la rete dei Portici è un bene difficile da tutelare.
L’amministrazione comunale negli ultimi anni ha
stanziato risorse importanti per la lotta al vandalismo
grafico, ma occorre una maggior consapevolezza e
civismo da parte di chi vive, lavora e studia a Bologna.
Per questo, il piano di gestione del dossier Unesco
prevede lo strumento dei patti di collaborazione, con
la sinergia tra associazioni e comitati di volontari
che prestano la loro opera nella lotta al grafitismo e
l’amministrazione che fornisce il materiale necessario.
Da ormai 10 anni anche i Lions di Bologna hanno
voluto dare il loro contributo.
La Lions International Association è nata 107 anni
fa ed è presente in oltre 200 Paesi, con l’obiettivo di
“servire” le comunità locali in cui opera. Con questo
spirito abbiamo iniziato a supportare la candidatura
Unesco quando ancora il risultato sembrava lontano
da raggiungere, con iniziative di lotta al degrado e
sensibilizzazione nelle scuole.
In particolare, il Comitato Lions Portici di Bologna, che
raccoglie tutti i Club dell’area bolognese, ha stipulato
nella primavera del 2023 un patto di collaborazione
con il Quartiere Porto Saragozza, per il recupero
del tratto più degradato di via Galliera. Da questi
interventi, che hanno visto la crescente collaborazione
dei residenti, è nato un Comitato che conta oggi più di
150 aderenti.
Oltre alla lotta contro il vandalismo grafico, il Comitato
Galliera si è attivato per una più complessiva opera
56
Bologna
GLI INTERVENTI PER I PORTICI
Sopra, l’intervento che il Comitato Portici di Bologna
del Lions ha effettuato nel 2018 in via Cartolerie.
A sinistra, quello del 2024 in via Galliera.
di contrasto al degrado della zona, collaborando con
le forze dell’ordine, Hera e altri comitati come quello
di via Polese. Assieme a Confguide abbiamo poi
realizzato visite guidate con gli alunni della scuola
De Amicis a supporto di un percorso didattico sulla
storia dei portici e sono in programma altre iniziative
di valorizzazione dei nostro patrimonio.
Oggi il Comitato Galliera intende impegnarsi nel
percorso di recupero e riqualificazione di piazza XX
settembre, in collaborazione con l’amministrazione e
le altre realtà coinvolte, tra cui Ascom ed Emil Banca
(progetto “Piazzapulita”).
Nel frattempo, sono in corso contatti con i quartieri
Porto Saragozza e Santo Stefano per ampliare il
perimetro dei patti collaborazione nel 2025.
LIONS CLUB INTERNATIONAL
Con oltre 1,4 milioni di soci, Lions Clubs International
è la più grande organizzazione di servizio umanitario
del mondo. Da oltre 100 anni si dedica all’aiuto dei
bisognosi. Tra gli scopi dell’organizzazione rientrano il
“Creare e stimolare uno spirito di comprensione fra i popoli
del mondo, “Promuovere i principi di buon governo e di
buona cittadinanza” e “Prendere attivo interesse al bene
civico, culturale, sociale e morale della comunità”.
Info: www.lionsclubbologna.it
57
Nelle Valli segnala
I prossimi appuntamenti al teatro di Casalecchio di
Reno gestito da Ater
La stagione del Laura Betti
Dieci gli spettacoli per la nuova
stagione del Teatro Laura Betti di
Casalecchio di Reno, affidata alla
cura di ATER Fondazione. Una
proposta che si distingue per la
multidisciplinarità, con l’obiettivo
di arrivare al grande pubblico ma
anche a chi è interessato a temi di
attualità e a nuovi linguaggi. Con
ben 5 prime regionali, nella nuova
stagione convergono il teatro civile,
i grandi nomi della scena, la musica,
la prosa, il circo contemporaneo, la
danza: così, il Teatro Laura Betti si
conferma, ancora una volta, come
luogo di incontro e confronto tra
sguardi diversi, scintilla di quel senso
di comunità che solo l’esperienza
della scena riesce a ricreare.
Dopo la partenza della stagione
con grande successo di pubblico,
il cartellone prosegue giovedì 23
e venerdì 24 gennaio con uno
spettacolo di teatro civile, Impronte
dell’anima. Una testimonianza sullo
sterminio delle persone disabili nel
periodo nazista, raccontata dagli
attori-di-versi della Compagnia
Teatro la Ribalta-Kunst der Vielfalt.
Venerdì 28 febbraio appuntamento
con Circo El Grito, la compagnia
pioniera del circo contemporaneo
presenta in prima regionale Luz de
la luna, un appassionante viaggio
onirico in cui musica, circo e volo si
fondono per donare allo spettatore
uno sguardo nuovo verso ignoti
stati di coscienza. Uno spettacolo
entusiasmante e per tutta la famiglia,
a partire dai 6 anni.
Si passa alla danza giovedì 6 marzo:
sul palcoscenico, in prima regionale,
Danse Macabre! del coreografo
Jacopo Jenna. Punto di partenza è
la tradizione tardo-medievale della
danza macabra – la danza dei morti
– tematica iconografica molto diffusa
nella storia dell’arte occidentale che
deriva dal concetto più generale che
ogni movimento sopramondano e
dell’aldilà sia danza. Prende così
forma un invito austero a danzare
verso l’ignoto, legando e affermando
relazioni con il mondo attuale.
Non potevano mancare i grandi
protagonisti della musica nel
cartellone del Betti: venerdì 14 marzo
va in scena Il cielo è pieno di stelle,
l’omaggio a Pino Daniele di Fabrizio
Bosso e Julian Oliver Mazzariello.
Il progetto nasce nell’ambito di una
rassegna dedicata ai grandi autori
italiani organizzata dal Museo Maxxi
di Roma e curata da Ernesto Assante:
fu proprio il giornalista ad affidare
a Fabrizio il compito di rendere
omaggio al grande cantautore
partenopeo.
Giovedì 27 marzo la compagnia Muta
imago si confronta con un classico
della drammaturgia teatrale, in prima
regionale sul palcoscenico del Betti:
Tre sorelle di Cechov. La compagnia
romana, da anni impegnata in un
percorso di ricerca sulla percezione
del tempo e sulle possibilità che
il teatro ha di indagarlo, affronta
questo classico per rispondere a una
semplice domanda, che non a caso
apre il dramma di Cechov: “Perché
ricordare?”.
A chiudere la stagione 24-25 del
Betti un’altra prima regionale:
martedì 8 aprile, Arturo Cirillo porta
in scena Ferdinando, capolavoro
dello scrittore e regista napoletano
Annibale Ruccello scomparso
prematuramente nel 1986. Scritto per
Isa Danieli, Ferdinando rappresenta
uno dei punti più alti della
drammaturgia italiana degli anni ‘80.
Sono previste diverse
formule di abbonamento.
Per info: 051 570977 -
biglietteria@teatrocasalecchio.it
Maggiori informazioni
su www.teatrocasalecchio.it
e www.ater.emr.it.
Vendita anche su Vivaticket.com
La scena è ambientata nell’agosto
1870, alla caduta del Regno delle
Due Sicilie: gli eventi storici vengono
riletti dall’angolazione tutta privata
e familiare di una ormai decadente
classe borghese, lasciando affiorare
la totale assenza di valori morali
nella società e i grandi cambiamenti
in arrivo.
Il Teatro propone inoltre, una
programmazione dedicata al
pubblico dei più piccoli e delle
famiglie aderendo a Sciroppo di
teatro, il progetto promosso da ATER
Fondazione, in rete con gli assessorati
alla Cultura, al Welfare e alla Sanità
della Regione Emilia-Romagna, che
porta bambini e famiglie a teatro con
la “ricetta” del pediatra.
58
5931
Nelle Valli segnala
Dal 2020 il progetto della cooperativa
Madreselva coinvolge giovani dai
13 ai 17 anni in escursioni lungo i
sentieri d’Appennino per camminare e
conoscersi
La compagnia
selvatica
Testi di Eugenia Marzi
Foto di Tommaso Pignedoli - Coop Madreselva
Un gruppo di giovani in cammino,
uniti dalle avventure vissute e dai
chilometri percorsi.
Nel 2020 nasce con Cooperativa
Madreselva La Compagnia Selvatica,
un progetto che coinvolge giovani
dai 13 ai 17 anni in escursioni
lungo i sentieri d’Appennino. Ragazzi
e ragazze provenienti da varie
parti della provincia di Bologna
si ritrovano a cadenza mensile tra i
boschi, borghi e crinali insieme ad
educatori e guide ambientali escursionistiche.
Condividono ogni mese
un’esperienza diversa, imparano
a leggere le mappe cartografiche,
a riconoscere i luoghi, incontrano
persone locali che raccontano loro
storie e saperi e sperimentano con il
tempo la connessione con il mondo
naturale, la cura per i luoghi, per le
relazioni e il legame con il territorio.
Una piccola famiglia selvatica, aperta
a nuovi partecipanti che cresce
“La natura mi fa sentire libera come un uccello che vola nel
cielo. Così come me tanti altri ragazzi si sentono a proprio agio
camminando nei sentieri montani, ammirando il magnifico
paesaggio e ascoltando i suoni della natura. Passano i giorni e
iniziamo a conoscerci, vorrei che quelle giornate non finissero mai.”
negli anni per condividere un gesto
semplice, trasformativo e rivoluzionario:
il camminare insieme. Una
pratica a cui oggi il gruppo è affezionato
e di cui sente il bisogno.
Tanti i luoghi attraversati e conosciuti,
dal Corno alle Scale a Piazza
Maggiore, e così nell’estate 2024 La
Compagnia Selvatica ha raccontato
attraverso una mostra fotografica gli
anni di cammino: “Gli occhi delle
montagne – lo sguardo delle ragazze
e dei ragazzi sull’Appennino e oltre”
è stata presentata dal gruppo a Pianaccio
e a Monteacuto delle Alpi in
occasione di alcuni festival.
Da ottobre 2024, inoltre, La Compagnia
Selvatica partecipa come gruppo
locale ad un innovativo progetto
nato dalla sinergie e dalle visioni
comuni di tre realtà legate a tre luo-
– Elsa
ghi dell’Appennino Emiliano Romagnolo,
posizionate proprio sull’Alta
Via dei Parchi, ed è per questo che
parte l’Alta Via dei Giovani. Berceto,
con l’Appennino Ritrovato, e
Pennabilli, con Selvatica, insieme al
gruppo bolognese della Compagnia
Selvatica saranno collegati da azioni
comuni incentrate su attività avventurose
all’aperto, in cui i giovani
che partecipano ai tre gruppi locali
si incontreranno e intrecceranno le
loro storie comuni, per concludere a
giugno con un trekking sull’Alta Via
dei Parchi! Si tratta di un progetto di
adventure education dedicato agli
adolescenti legati alle aree interne
dell’Emilia Romagna: trekking, arrampicata,
canyoning e speleologia
e altre avventure. Un progetto che
vuole promuovere l’inclusione dei
ragazzi e delle ragazze nelle aree
interne, lo sviluppo di competenze
trasversali e per la vita e rendere i
giovani ambasciatori di valori ecologici
profondi, costruttori di futuri
possibili.
Con i nostri progetti cerchiamo di
stimolare nei giovani un senso di
Appartenenza al territorio per generare
partecipazione, per formare e
formarci come cittadini attivi, consapevoli
e capaci di interagire nel
fondamentale dialogo intergenerazionale,
tra le istanze ambientali e
nell’approccio al territorio.
Info: educazioneambientale@
coopmadreselva.it
SUCCEDE SOLO A BOLOGNA
Torna a gennaio il corso/laboratorio di
dialetto bolognese .
DÎL MÒ TÉ
IN BULGNAIṠ
Si chiama “Dîl mò té in bulgnaiṡ”
e porta appassionati di ogni età e
provenienza alla scoperta del dialetto
bolognese. Succede solo a Bologna
propone, infatti, per il quarto anno un
laboratorio di dialetto per imparare
a leggere e scrivere correttamente
il Bolognese. Da gennaio 2025 sarà
così nuovamente possibile tornare
a studiare e riscoprire questa lingua
che a tutti gli effetti fa parte della
storia di Bologna e dei suoi cittadini.
La sede di questa speciale scuola
sarà anche quest’anno il Teatro
Mazzacorati 1763 di Bologna (via
Toscana 19). Qui, immersi nella
bellezza di affreschi e cariatidi di
questo gioiello settecentesco, gli
iscritti si cimenteranno nell’imparare
nuove regole di grammatica,
fraseologia e scrittura. Il laboratorio,
come da tradizione tenuto dal
professor Roberto Serra, prevede
tre moduli da sei lezioni ciascuno.
Si comincia con la prima parte,
dedicata alla grammatica, dal 13
gennaio al 17 febbraio, ogni lunedì
alle 21. Nei mesi successivi sarà
invece possibile iscriversi agli altri
due moduli, dedicati rispettivamente
a fraseologia e a lettura e scrittura.
Tutte le informazioni sulle
iscrizioni sono pubblicate su www.
succedesoloabologna.it. Tutti i
moduli sono autoconclusivi e non
collegati tra loro.
Fin dalla sua prima edizione, nel
2021, il laboratorio di dialetto ha
riscosso grande partecipazione,
basti pensare che quattro anni fa
le iscrizioni furono addirittura più
di 300, provenienti da ogni parte
del mondo (qualcuno si collegava
addirittura da Seattle e New York!). I
primi due anni i corsi si sono svolti
da remoto a causa della pandemia,
ma dal 2023 hanno preso il via le
lezioni finalmente in presenza, che
caratterizzeranno anche questa
edizione.
Succede solo a Bologna propone così
una nuova occasione per promuovere
e valorizzare una parte fondamentale
della storia della città come il
dialetto. Per mettere in pratica ciò
che si è imparato al laboratorio – o
anche solo per non rinunciare a una
buona dose settimanale di Bolognese
– ci sono poi le visite guidate gratuite
in dialetto, in programma ogni
mercoledì sera con decine di itinerari
diversi. Un’occasione per immergersi
nel dialetto e nella bellezza di tante
perle del territorio bolognese. I tour
dialettali di Succede solo a Bologna,
infatti, escono anche dai confini
cittadini per toccare diversi comuni
della provincia, da San Giovanni
in Persiceto a San Giorgio di Piano,
da Budrio a Monteveglio, passando
per Minerbio, Sala Bolognese e
Bentivoglio. A completare l’offerta
dedicata al Bolognese, ci sono poi
gli spettacoli gratuiti in dialetto al
Teatro Mazzacorati 1763 o alla Badia
del Lavino di Monte San Pietro,
dedicati ad alcuni grandi classici
della letteratura bolognese, come
“La Flèvia” e “Al Ricât”. Il calendario
completo è disponibile sul sito www.
succedesoloabologna.it.
Diventa un punto di distribuzione
della rivista
Puoi contattarci al numero 379 113 5432 o scrivere
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60
RICEVERAI LE COPIE RICHIESTE DA CONSEGNARE AI
TUOI CLIENTI
Il racconto di Fausto Carpani e i disegni di matitaccia
Turciadûra
In realtà si chiamava Armando, ma
per tutti era Turciadûra, (torchiatura,
spremitura dei graspi d’uva). Questo dà
l’idea dell’affezione particolare che il
nostro ebbe sempre per il divino nettare,
bianco o rosso, dolce o secco che
fosse. Se dovessi dire che era un etilista
- come si definisce oggi chi un tempo
qui a Bologna veniva detto inbariagòt
o, meglio ancora, casarôl – non gli
renderei giustizia: beveva, sì, ma non
l’ho mai visto in preda ai fumi dell’alcol,
mai che avesse dato fastidio a nessuno.
Se c’era da stare in compagnia, magari
davanti a un pistån di quello buono, non
si tirava certo indietro.
Era anche un uomo da favori. Quando
c’era da spostare le damigiane in tempo
di travaso, si poteva star tranquilli che
il buon Turciadûra era di corvèe in
qualche cantina.
Capitò una volta che, dopo aver spillato
il vino dal tino e riempite le damigiane
di un amico, nel bigoncio vi era rimasto
del fondo piuttosto torbidiccio, una
brodaglia imbevibile ma non per lui.
Siccome si era già fatta mezzanotte,
decisero di riprendere il lavoro il giorno
dopo. La sera seguente, appena aperto
l’uscio di cantina, l’amico fece un salto
indietro:
- Ai è una pånndga! 1
– Mo in dóvv? 2– gli fece eco Turciadûra,
sorpreso ma per nulla spaventato.
– Lé, lé… int al bigånz! 3 – disse l’amico
facendo l’atto di fuggire.
Turciadûra si avvicinò al recipiente,
allungò una mano sollevando per la coda
una pundgâza morta che galleggiava nel
vino.
– Và là che lî qué l’à fât una bèla môrt!
Anca mé a vrêv murîr andghè int al vén! 4
Gettò la topaccia nel bidone del rusco
e poi, senza fare una piega, prese un
bicchiere e lo affondò nel bigoncio.
Quando lo sollevò, controllò il colore
e la trasparenza del vino davanti alla
lampadina e poi prese a sorseggiarlo
lentamente.
– Vàddet – disse facendo schioccare la
lingua – la smôrcia la s è bèle depositè
e al vén al s è s-ciaré! 5
E l’amico, come in trance:
- Mo… al bàvvet? E la pånndga? 6
– La pånndga l’è stè tròp ingåurda! –
sentenziò Turciadûra – L’à vló bàvver
tótt int una vôlta e acsé la i é vanzè!
Mé invêzi a m al båvv pianén pianén.
In tótt i quî ai vôl sänper moderaziån!
7
Traduzione
1 – C’è un topo!
2 - Ma dove?
3 - Lì, lì nel bigoncio!
4 – Va là che questa qui ha fatto una
bella morte! Anch’io vorrei morire
annegato nel vino!
5 - Vedi, la feccia si è già depositata e
il vino si è schiarito!
6 – Ma… lo bevi? E la topa?
7 – La topa è stata troppo ingorda! Ha
voluto bere tutto d’un fiato e così c’è
rimasta! Io invece me lo bevo piano
piano. In tutte le cose ci vuole sempre
moderazione!
61
IL NONNO DELLA BASSA RACCONTA
Acqua e sviluppo
nella Bassa
padana
Lo studioso e ricercatore ferrarese
di storia delle bonifiche,
Corrado Pocaterra, ha dato alle
stampe un corposo volume dal
titolo Le strade mutevoli. Il sottotitolo
esplicita ulteriormente
questa sua interessante esperienza
bibliografico-archivistica,
curata dalle Edizioni Festina
Lente di Ferrara: Appunti
per una storia di Ferrara e della
bassa pianura padana attraverso
le vie d’acqua. L’approfondito
studio riguarda anche
il territorio bolognese di pianura
in quel secolare processo
di governo delle acque che ha
caratterizzato la Valle Padana
fin quasi ai nostri giorni e che
si ripropone oggi alla luce dei
recenti fenomenai alluvionali.
Il quadro che emerge da questo
suo lavoro è una lucida delineazione
storica, in un più che
vasto arco temporale, delle vicende
di quelle strade d’acqua
mutevoli, caratterizzanti l’esistenza
di generazioni e generazioni
di genti che hanno vissuto
e operato in questi luoghi
e che hanno conservato una
persistenza della memoria che
alluvioni, guerre e altre calamità
non hanno cancellato.
Supportato da un’ampia bibliografia
e da un altrettanto
efficace apparato documentario,
il libro percorre un lungo
itinerario storico in secoli nei
quali la ricerca di gestione
Corrado Pocaterra
Le strade mutevoli. Appunti per una
storia di Ferrara
e della bassa pianura padana attraverso
le vie d’acqua,
Festina Lente, Ferrara, 2022, pp. 395
dell’assetto idrografico ha dominato
la scena economica
e sociale padana. E proprio
dalla formazione di questa significativa
fascia territoriale
si fonda questo lavoro, i cui
sviluppi storici e territoriali si
estendono dall’Emilia all’area
veneta, con particolare attenzione
al Po, al Reno, all’Adige
e agli altri fiumi veneti.
Seguendo una metodologia
rigorosa e nello stesso tempo
divulgativa, i capitoli si articolano
in un crescendo che af-
Gian Paolo Borghi
Le tradizioni popolari
della pianura
bolognese tra fede,
storia e dialetto
fronta il periodo intercorrente
dalle terramare a Spina, passando
quindi all’insediamento
romano, all’Impero romano
d’Occidente, alle invasioni
barbariche e a tante altre importanti
scansioni storiche,
sino a giungere al periodo
pontificio, non tralasciando
peraltro di affrontare gli aspetti
commerciali nel bacino del
Mediterraneo e lungo l’asta
del Po. Di pari interesse si rivelano
inoltre i puntuali dati
riguardanti le gestioni dei boschi
deltizi, la metallurgia e i
viaggiatori dell’epoca, dai trovatori
ai pellegrini, da Dante a
Petrarca.
Un sostanziale contributo alla
storia della cultura del lavoro
padano è dedicato inoltre agli
antichi mestieri delle acque,
che hanno scandito secoli di
attività fra terra e acque: barcaioli
e paroni (e loro imbarcazioni),
traghettatori, cordai,
facchini, falegnami e calatafari,
mulini e mugnai, pescatori,
salinari, acquaioli ecc. Si
legge, ad esempio, per quanto
riguarda i mulini e i mugnai:
la grande produzione di granaglie
nell’area padana comportava
anche la necessità di
disporre di mulini, per ridurre
i volumi di trasporto sfruttando
la forza motrice della corrente
nel grande fiume o i salti di
quota nelle acque interne.
63
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