Elba: I Fiori della Terra
La straordinaria diversità geo-mineralogica della terra degli Etruschi.
La straordinaria diversità geo-mineralogica della terra degli Etruschi.
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I QUADERNI DI ENJOYELBA
N°2
Andrea Dini, Graziano Rinaldi, Patrizia Lupi
ELBA: I FIORI DELLA TERRA - La straordinaria diversità geo-mineralogica della terra degli Etruschi
Progetto e Coordinamento Editoriale:
Patrizia Lupi per Enjoy Elba and the Tuscan Archipelago
www.enjoyelba.eu – info@enjoyelba.eu
Coordinamento progetto Elba degli Etruschi:
Sabrina Busato
Foto: Andrea Dini, Graziano Rinaldi, Antonio Miglioli, Marco Lorenzoni, Paolo Orlandi, Cristian Biagioni,
Massimo D’Orazio, Piero Ambrino, Museo La Specola, Laura Pagliantini, Franco Sammartino,
Gian Mario Gentini, Paolo Calcara.
Progetto grafico e impaginazione:
Federico Del Vecchio per Studio Mezzanotte - Pisa
Stampa: IGV srl – San Giovanni Valdarno
ISBN 9788894615609
© 2021 Movability Books - Roma
Tutti i diritti sono riservati
SIMTUR – Società Italiana professionisti della mobilità e del turismo sostenibile
www.simtur.it | segreteria@simtur.it
Foto di Copertina: Ematite - cristalli iridescenti di 3 cm con cristalli prismatici di quarzo;
cantiere Bacino, miniera di Rio Marina (coll. Lorenzoni, foto©Dini)
Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta
senza l’autorizzazione del titolare del copyright e degli autori.
1° edizione: dicembre 2021
Pubblicazione realizzata con la compartecipazione della Regione Toscana,
nell’ambito delle celebrazioni della Giornata degli Etruschi 2021 del Consiglio Regionale della Toscana
ELBA: LA TERRA DEGLI ETRUSCHI
-
L’Elba è conosciuta dall’antichità per la ricchezza dei suoi giacimenti minerari, utilizzati fin
dall’età del bronzo e del ferro dai popoli del Tirreno. Gli Etruschi trovarono nella lavorazione del
ferro una delle loro principali fonti di ricchezza.
Numerosissime ancora le testimonianze della lavorazione di questo prezioso minerale, a volte
poco conosciute, sparse per tutta l’isola, in particolare sul versante orientale dove numerose
erano le miniere che sono state sfruttate fino agli anni ’80.
Elba degli Etruschi racconta il patrimonio etrusco dell’isola, valorizzandolo con una serie di
azioni che puntano ad approfondirne la conoscenza storica, valorizzandone nel contempo
anche il patrimonio geo-mineralogico, minerario e paesaggistico.
Avvicinarsi alle radici della comunità elbana, all’immenso patrimonio minerario e paesaggistico,
e farne un occasione per divulgarne la conoscenza attraverso le tracce di una antichissima
quotidianità: dalle lavorazioni dei metalli, in particolare il ferro, ai momenti di vita quotidiana,
il cibo, i paesaggi. Attraverso il tempo, per rimanere connessi ai nostri antenati, ed accrescere
la consapevolezza del patrimonio culturale e paesaggistico che i nostri progenitori etruschi ci
hanno consegnato, e che dobbiamo ora continuare a studiare e tutelare per consegnarlo alle
generazioni future.
Il volume “I Fiori della Terra” fissa in un’opera editoriale la diversità geo-mineralogica del
territorio e le informazioni sulla civiltà etrusca elbana.
I soggetti partner che hanno aderito all’iniziativa appartengono a vari ambiti: scientifico, storico,
turistico, divulgativo, culturale, e rappresentano loro stessi un grande patrimonio collaborativo,
sul quale l’Isola d’Elba può contare: una rete di rapporti in grado di offrire le migliori competenze
e conoscenze per gli approfondimenti storici, ed una collaborazione ottimale per la produzione
del volume, la realizzazione delle passeggiate, e la divulgazione delle attività previste nel progetto.
Sabrina Busato
Coordinatrice del progetto
.
4
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
PREFAZIONE
L’Isola d’Elba va vissuta con tutti e cinque i sensi, solo così se ne potrà
apprezzare la ricchezza e l’unicità, oltre ad ammirarne la bellezza, dovunque
si guardi.
L’Elba va vissuta palmo a palmo perché, a partire dagli scogli che come lunghe
dita afferrano i fondali più profondi ricchi di ogni specie marina, alla cima dei
suoi monti più alti che brillano al sole, è tutta da scoprire.
Gli antichi la conoscevano, non c’è popolo che non sia sbarcato sulle sue coste
frastagliate o sulle spiagge dai mille colori, rifugio e approdo, avamposti di una
terra generosa che prometteva doni e ricchezza. Gli Etruschi, fra i primi, ne
hanno tratto vantaggio per i loro commerci in tutto il Mediterraneo.
La lavorazione dei metalli ha seminato tracce in ogni versante. La morfologia
dell’Isola è cambiata nei secoli secondo l’azione dei suoi abitanti che ne
traevano sostentamento per vivere: le cave di granito al centro, le miniere
a Oriente, i ricami delle vigne con i muretti a secco arroccati sui graniti ad
Occidente.
In molti ne hanno studiato la flora, i minerali, il mare. Un patrimonio che oggi
diventa attrazione per un turismo consapevole, attento, rispettoso, curioso.
Un turismo lento capace di osservare la natura, le sfumature dei paesaggi
al cambiare delle stagioni, i profumi e l’arcobaleno dei colori, le voci degli
abitanti che raccontano leggende, i sapori dei prodotti della terra e del mare.
Vi invitiamo a farlo anche con questo volume, cercando nelle rocce che
incontrate qualche traccia, che sia una storia, un graffito o una gemma
preziosa.
A metà fra favola e guida turistica, fra memoria e voglia di futuro, fra scienza
e fantasia, fra immagini e parole, abbiamo voluto presentarvi l’anima di un
Isola, farvi vedere anche tutto quello che non si vede, perché si sappia che
l’orizzonte è anche sotto i nostri piedi.
Patrizia Lupi
Direttore Responsabile
Enjoy Elba and the Tuscan Archipelago
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INDICE
01. STORIE GEO-MINERALOGICHE
08
02. DIVERSITÀ GEO-MINERALOGICA
10
03. RINALDONIANI, ARGONAUTI, ETRUSCHI, ... TOSCANI
20
04. COME È NATA LA DIVERSITÀ GEO-MINERALOGICA ELBANA
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05. ELBA OCCIDENTALE - IL REGNO DI PLOUTŌN
-
5.1 Il regno di Ploutōn
5.2 Elbaite & Co. - I minerali delle pegmatiti di San Piero
5.3 Cocktail magmatico - Megacristalli e inclusi mafici a Capo Sant’Andrea
5.4 La tavolozza oceanica - Le rodingiti di Punta Polveraia
5.5 Forme uniche - Il granato ottaedrico dell’Affaccata
5.6 Misteri della cristallizzazione - Il quarzo “gommoide” di Palombaia
5.7 Fluidi in fuga - Le nuove tormaline di San Piero
5.8 Rimedi naturali - La magnesite di San Piero
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38
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I QUADERNI DI ENJOY ELBA
06. ELBA CENTRALE - IL VULCANO MANCATO
-
6.1 Il vulcano mancato
6.2 Capo Bianco - Tormalina o sudore degli Argonauti?
6.3 Il fascino delle forme - Il quarzo della zona Biodola-Procchio
6.4 Voglia di Brasile - Il quarzo ametistino di Casa Ischia
6.5 I cristalli di Foresi - La calcite di Forte Falcone
6.6 Campo ai Peri - I granati venuti da lontano
6.7 Meglio beta o alfa? - I quarzi “bipiramidali” di Campo all’Aia
6.8 Piccolo è bello - Le cavità miarolitiche di San Martino
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07. ELBA ORIENTALE - FERRO MEDITERRANEO
-
7.1 Ferro mediterraneo
7.2 Ferro o stagno e tungsteno? - La strana ematite di Terranera
7.3 I cristalli di Stenone - L’ematite del Cantiere Bacino
7.4 L’eleganza di Platone - La pirite di Rio Marina
7.5 I metalli di Pseudo-Aristotele- Le meraviglie di Grotta Rame
7.6 Crisi diplomatiche - L’ilvaite della Torre di Rio
7.7 Fiori di cobalto - l’eritrite del Cantiere Francesche
7.8 La scoperta di Alfeo - Il quarzo prasio di Porticciolo
100
102
106
110
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122
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130
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LETTURE CONSIGLIATE
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08. GLI ETRUSCHI ALL’ISOLA D’ELBA
140
PARTNERS
146
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
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01. Storie Geo - Mineralogiche
Un’isola, tre zone geologiche distinte, otto storie geomineralogiche
per zona. Storie da guardare e da leggere,
anche in ordine sparso, e da far riaffiorare alla memoria
durante le escursioni sull’isola. Un libro da piegare e
infilare nello zaino o nella borsa per poi leggerne un
capitolo stesi su una cote di granito o su una spiaggia
di quarzo. Non aspettatevi di trovare la descrizione di
tutti i minerali elbani o la storia geologica dettagliata
dell’isola degli ultimi 500 milioni di anni. Per quello ci
sono già molti libri divulgativi e scientifici, come pure
molte centinaia di articoli scientifici su riviste nazionali
e internazionali. Abbiamo provato a parlare di geologia
e mineralogia raccontando storie e aneddoti scientifici,
umani, storici, politici e mitologici. Anche molte delle
foto che accompagnano il testo raccontano storie
brevi, sintetiche ma evocative. I colori, le geometrie e le
tessiture del paesaggio e degli esemplari mineralogici
sono stati immortalati da abili fotografi amanti della
natura elbana .
Attenzione, sono prevedibili vari tipi di reazione alla
lettura del libro. Potreste annoiarvi dopo cinque minuti
e buttare via il libro perché sapete già tutto, oppure
appassionarvi ai temi storico-scientifico-naturalistici e
diventare topi di biblioteca alla ricerca di sempre nuovi
dettagli delle storie. Un’altra possibilità è che vi facciate
prendere dallo spirito dell’esploratore e che diventiate
collezionisti di minerali. In ogni caso l’obiettivo è
raggiunto: far aumentare la vostra percezione del
pianeta parlando di geodiversità. La geodiversità sta
alla base di ogni ecosistema e quella elbana è talmente
eccezionale da aver attirato gli esseri umani sull’isola
fin da epoche remote: Rinaldoniani, Etruschi, forse gli
Argonauti, insomma Toscani.
Le parti introduttive potete anche saltarle o tornare a leggerle
dopo una o più storie, giusto per approfondire qualche
dettaglio. L’auspicio è che almeno una delle ventiquattro
storie vi faccia venire voglia di conoscere meglio il pianeta
che sta sotto i nostri piedi. È da almeno dodici mila anni che
lo sfruttiamo sempre più intensamente e ora sta dando chiari
segni di insofferenza. Il cambiamento climatico ci fa alzare gli
occhi verso il cielo alla ricerca di nuvole impazzite ma sarebbe
meglio abbassarli per imparare a conoscere la parte di pianeta
che diamo per scontata, quella che percepiamo solo quando si
scuote o erutta.
Attraverso le varie storie farete la conoscenza di scienziati,
commercianti di minerali, naturalisti, direttori minerari,
nobili e politici. Tutti personaggi importanti che hanno legato
il proprio nome o tratto profitto dalla mineralogia elbana ma
che, in gran parte, non sarebbero stati capaci di estrarre un
singolo cristallo di minerale dalle dure rocce dell’isola. È per
questo motivo che ricorderemo con piacere gli straordinari
personaggi elbani che estrassero i magnifici esemplari che
ammiriamo nei musei di tutto il mondo. Alcuni sono rimasti
immortalati nei documenti del passato, altri, cavatori del
granito o minatori del ferro, non hanno lasciato traccia. Due
per tutti, Luigi Celleri e Alfeo Ricci. Il primo, un sanpierese che,
nella seconda metà del 1800, ha legato il suo nome ai minerali
dell’Elba centro-occidentale. A lui è dedicato il Museo MUM
di San Piero come pure l’ultimo nuovo minerale scoperto
sull’isola: la celleriite. Il secondo, riese e figlio di minatori, si
dedicò ai minerali dell’Elba orientale diventando guida di
riferimento per curatori di museo, scienziati e collezionisti
che nel secondo dopoguerra sbarcavano sull’isola. La sua
collezione è esposta nel Museo “Alfeo Ricci” di Capoliveri.
A questo punto non resta che augurarvi
un buon viaggio di scoperta
Andrea Dini e Graziano Rinaldi
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I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Miniera di Rio Albano. Le mille sfumature di colore del minerale ferrifero
lungo la scogliera tra Topinetti e Cala Seregola. Sullo sfondo l’Isola di Palmaiola e Piombino
Foto©Rinaldi
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
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02. Diversità Geo - Mineralogica
IL MONDO SOTTO I NOSTRI PIEDI
Provate a uscire di casa e a guardare
cosa avete sotto i piedi. Asfalto,
marciapiedi di cemento, nel migliore
dei casi l’erba di qualche giardino.
L’ambiente urbano è fatto così,
deve rendere facile la vita. I nostri
spostamenti a piedi, o con i mezzi di
locomozione, devono essere veloci e
soprattutto non ci dobbiamo sporcare
le scarpe! Non ci sarebbe da stupirsi
se di fronte alla domanda “di cosa è
fatto l’interno del pianeta Terra?” una
ragazzina o un ragazzino delle scuole
rispondesse “di cemento e di asfalto”.
Spesso ci lamentiamo, giustamente,
della carenza di verde urbano ma non
ci rendiamo conto che l’urbanizzazione
intensiva ci fa perdere il contatto
anche con un altro aspetto, banale ma
allo stesso tempo caratterizzante, del
pianeta su cui viviamo. La pellicola di
asfalto e cemento ci isola dalla “dura”
realtà: viviamo su uno dei quattro
pianeti rocciosi del Sistema Solare
(Mercurio, Venere e Marte oltre alla
Terra).
Ma dove stanno queste rocce? I più fortunati che vivono in qualche borgo storico
sanno sicuramente che il palazzo pretorio è fatto di arenaria ed invece la facciata
del duomo di marmi colorati. Ma chi li ha portati e, soprattutto, dove sono stati presi
questi bellissimi blocchi di roccia? Nascono già squadrati come il pollo nel cellofan
del supermercato? Fuori dalle città può andare meglio, ma non ci illudiamo. Tutte le
zone pianeggianti e collinari dove era possibile coltivare sono state profondamente
modificate. È da migliaia di anni che i contadini rimuovono pietre, rivoltano il suolo,
modellano la topografia per rendere sempre più facile e redditizia la loro attività
produttiva; e sempre meno visibile la struttura interna del pianeta.
Stiamo esagerando, è vero. A scuola ci vengono insegnate molte cose e anche che
l’interno della Terra è costituito da rocce e minerali. Ma quale percezione possiamo
averne se non riusciamo a vederlo? La vera natura rocciosa del pianeta emerge con
prepotenza solo quando ci spostiamo in zone montuose o costiere dove i gradienti
topografici e l’erosione creano pareti, creste, falesie. È li che si fa la conoscenza con
l’ossatura profonda della Terra, con le rocce, i minerali, le stratificazioni del tempo
geologico scandite dai fossili e le deformazioni indotte dalle immani forze tettoniche
sprigionate dal movimento delle placche. Partendo dallo studio di queste sezioni
geologiche naturali gli scienziati hanno iniziato a capire di cosa è fatto e come
funziona il pianeta dinamico che sta sotto i nostri piedi.
Il noto giornalista scientifico Luigi Bignami, alcuni anni fa pubblicò un articolo dove
utilizzava lo stratagemma dell’ascensore immaginario per scendere nelle viscere
del pianeta, attraversando crosta e mantello fino a raggiungere, 6371 km più in
basso, il nucleo e il centro della Terra. Prendiamolo per risalire verso la superficie
descrivendo, in modo estremamente semplificato, le rocce e i minerali dei diversi
gusci. I primi 1200 km di risalita (nucleo interno) sono estremamente noiosi e caldi
(4900-4700 °C). Vediamo un solo minerale, una lega di ferro e nickel a struttura
esagonale. Secondo alcuni scienziati si potrebbe trattare di un singolo, enorme
cristallo! Tra 5150 e 2891 km (nucleo esterno) la temperatura rimane superiore ai
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I QUADERNI DI ENJOY ELBA
3500°C ma la pressione diminuisce molto
e il ferro fonde. Quindi per circa 2200 km
non vediamo nemmeno un minerale.
Meno male che la risalita nel ferro fuso è
“veloce” e raggiungiamo rapidamente la
base del mantello inferiore (2891 km).
Da qui in poi viaggiamo più “freschi”
poichè la temperatura scende
progressivamente fino a 900°C. Il
panorama geo-mineralogico diventa
meno noioso perchè il mantello terrestre
ha una maggiore variabilità chimica
e possiamo incontrare alcune decine
di minerali diversi, anche se l’80-90 %
del mantello è comunque costituito da
pochissimi silicati di magnesio, ferro e
calcio: bridgmanite e Ca-Si perovskite nel
mantello inferiore; olivina, clinopirosseno
e ortopirosseno nel mantello superiore.
Pochi minerali significa avere un numero
limitato di combinazioni per creare rocce
diverse. Infatti gran parte del mantello
superiore è costituito da un solo tipo di
roccia: la peridotite.
Questa foto, scattata da Cima del Monte - tra Porto Azzurro e Rio Elba - verso il Monte Capanne e con alle spalle il Canale di Piombino, fa capire la posizione baricentrica dell'isola d'Elba tra Mar Tirreno
Settentrionale e Mar Ligure (Foto©Dini). Sull'orizzonte a destra si vede l'isola di Capraia, a sinistra invece l'isola di Pianosa e le montagne della Corsica. Grazie ai suoi 150 km di costa e a montagne alte fino a
1000 metri, l'Isola d'Elba offre le migliori esposizioni di rocce della crosta continentale nell'area tirrenica. Il crinale di rocce sedimentarie da cui è stata scattata la foto fa parte del settore orientale dell'isola
(tra Cavo e Capo Calamita), dove troviamo i giacimenti di ferro ed ogni tipo di roccia: idrotermale, magmatica, metamorfica, sedimentaria e metasomatica. Nella parte centrale, tra Portoferraio e Marina di
Campo, affiorano intrusioni granitiche sub-vulcaniche incassate in rocce sedimentarie. Infine la parte occidentale è occupata dal più grande plutone granitico della Toscana (Monte Capanne, 1018m) e dalla
sua aureola metamorfica di contatto.
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
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Arriviamo così a circa 40 km di
profondità; siamo alla base della crosta
terrestre. Rispetto al mantello e al
nucleo terrestri, la crosta è ben poca
cosa: come la sottile buccia di una
pesca. La temperatura da ora in poi
cala rapidamente, dai 600-700°C della
base della crosta ai pochi gradi della
superficie. Tuttavia i pochi chilometri
che ci separano dalla superficie ci
riservano molte sorprese. Nel corso
delle ere geologiche, tutti gli elementi
chimici che non riuscivano a trovare
posto stabile nella rigida struttura
del mantello e del nucleo si sono
concentrati nel guscio più esterno.
La tettonica delle placche e l’abbondanza
di acqua, sia come fase liquida di
superficie sia come molecole nei
minerali della crosta terrestre, hanno
fatto il resto. L’acqua, specialmente
quella calda, è il più potente solvente
naturale e, quando si allea con alcuni
elementi (cloro, solfo, fluoro, carbonio)
è in grado di trasportare in soluzione
gran parte degli elementi chimici della
Tavola Periodica. L’acqua altera le rocce
in superficie e, quando si scalda in
profondità, diventa fluido idrotermale
che trasforma le rocce che attraversa
per poi andare a creare nuove rocce
idrotermali: i giacimenti minerari. Se
i movimenti delle placche tettoniche
portano a grande profondità delle rocce
ricche di minerali idrati, l’aumento
di temperatura fa uscire l’acqua dai
minerali. Questi fluidi acquosi possono
contaminare il mantello superiore
permettendogli di fondere. Si formano
così i magmi che spesso vediamo
eruttare dai vulcani delle Ande,
dell’Indonesia o delle Isole Eolie. Anche
l’ossigeno dell’atmosfera fa la sua parte
e, a partire da 2,5 miliardi di anni fa,
la mineralogia della crosta terrestre è
stata modificata anche dai processi di
ossidazione superficiale.
Tutti questi processi, e altri ancora,
hanno combinato in innumerevoli
modi gli elementi chimici
disponibili nella crosta terrestre
complicandone in modo crescente,
col trascorrere delle ere geologiche,
la sua composizione mineralogica.
Nella crosta terrestre sono stati
identificati circa 5000 minerali
diversi e ogni anno gli scienziati
ne scoprono di nuovi. I processi
geologici (magmatismo, alterazione
idrotermale, alterazione superficiale,
sedimentazione e metamorfismo)
hanno potuto “attingere” a questo
inventario di possibili combinazioni
cristallochimiche creando un catalogo
estremamente diversificato di
associazioni mineralogiche: le rocce
della crosta terrestre.
A destra: La falesia a sud della Torre di Rio Marina è attraversata
da un banco di roccia verde-marrone-nera, chiamata “skarn”,
costituita da silicati di ferro e calcio (hedenbergite, ilvaite e
epidoto). Lo skarn si è formato per reazione tra le rocce carbonatiche
e gli stessi fluidi idrotermali che generarono i giacimenti
ferriferi. La violenta reazione chimica è avvenuta circa 5,5 milioni
di anni fa quando questo settore dell’isola si trovava ancora a
molti chilometri di profondità. Foto©Dini
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I QUADERNI DI ENJOY ELBA
GEODIVERSITÀ: ALL’ORIGINE
DI TUTTE LE DIVERSITÀ
Siamo appena usciti dall’ascensore e
possiamo camminare sul nostro bel
pianeta un po' più consapevoli di cosa
abbiamo sotto i piedi. Ci fermiamo, e un
pensiero assurdo ci viene alla mente:
come sarebbe vivere su un pianeta
geologicamente, mineralogicamente
e geomorfologicamente uniforme
e monotono? Il geomorfologo
inglese Murray Gray, nel suo libro
“Geodiversity”, fa l’esempio di un
ipotetico pianeta costituito da un solo
tipo di roccia (quarzite) e da un solo
minerale (quarzo). L’omogeneità non
aiuta. Non esisterebbero i giacimenti
dei metalli che hanno permesso
all’umanità di sviluppare tecnologie
complesse. Non esisterebbero le fonti
energetiche fossili che, pur responsabili
del cambiamento climatico in corso, ci
hanno fornito l’energia per l’evoluzione
tecnologica. Probabilmente non sarebbe
attiva la tettonica delle placche e anche
i processi di superficie (erosione,
alterazione) sarebbero molto diversi. In
assenza di diversità fisica, chimica, geomineralogica,
pedologica e morfologica
l’evoluzione biologica sarebbe stata
ostacolata e non si sarebbero evolute
forme complesse di vita. In sostanza
Homo Sapiens non esisterebbe!
Fortunatamente la Terra non è
un pianeta di quarzo e la grande
geodiversità della crosta terrestre ha
agito da catalizzatore per creare una
biosfera altrettanto ricca di diversità.
Minerali, rocce, fossili, suoli, sedimenti,
forme del terreno, topografia, processi
geologici, idrologici e morfogenetici
sono tutti elementi fondamentali della
geodiversità che ci circonda.
Gli elementi che compongono la
geodiversità offrono molti vantaggi per
le persone e la società. La geodiversità
è alla base di tutto: dalle risorse
naturali su cui è fondata la nostra
società, ai terreni in cui coltiviamo;
dalla regolamentazione geologica
del nostro ambiente, ai paesaggi
all’aperto che le persone visitano per
svago. La geodiversità è alla base della
biodiversità e di ogni ecosistema. I suoi
paesaggi ispirano l’arte, sostengono
il turismo e rafforzano una vita
sana. Ogni singolo elemento della
geodiversità ci insegna la storia della
Terra, indirizzando i nostri approcci per
fronteggiare il cambiamento climatico.
Ma per la maggior parte delle persone,
dal pubblico al decisore politico, tutto
questo è sconosciuto. Per questo motivo
c’è un urgente bisogno di aumentare
la comprensione pubblica della
geodiversità.
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
13
La geodiversità è un concetto molto ampio e in questo libro,
per motivi di spazio e di competenze degli autori, abbiamo
posto l’accento solo sulla diversità mineralogica, litologica e
dei processi geologici che formano appunto minerali e rocce.
5000 minerali e centinaia di rocce diverse, ma non sempre
la diversità geo-mineralogica si concentra nello stesso luogo
della crosta terrestre. Ci sono regioni del pianeta dove, per
centinaia di migliaia di chilometri quadrati affiora solo roccia
calcarea. Il calcare è costituito da un solo minerale, la calcite
(carbonato di calcio). Quindi, un minerale per un solo tipo di
roccia. I famosi paesaggi carsici nei calcari delle province di
Guizhou e Guangxi (Cina) si estendono per una superficie più
grande dell’Italia. Basta cambiare tipo di roccia e facilmente si
passa da uno ad una decina di minerali diversi. Chi ha visitato
il parco di Yosemite in California sa che si può camminare
per molti giorni attraverso il grande batolite granitico della
Sierra Nevada (circa 10000 km 2 ; la metà della superficie
della Toscana). In questo caso i 10-15 minerali presenti
si combinano per formare solo 3-4 tipi diversi di rocce
granitiche. È monotono il mantello ma anche la crosta a volte
non scherza!
Esistono però singole località dove in un’area di pochi chilometri
quadrati sono stati identificati centinaia di minerali diversi. In
genere si tratta di giacimenti minerari (ad esempio Tsumeb,
Namibia; Mont Saint’Hilaire, Canada; Laurion, Grecia; Val
Graveglia, Liguria; Lengenbach, Svizzera) o di particolari vulcani
attivi (Vesuvio e Vulcano, Italia; Tolbachik, Kamchatka, Russia).
Il record mondiale di specie minerali è detenuto dalla piccola
miniera di barite, fluorite e solfuri di rame-piombo-argento
conosciuta come “Grube Clara” (Valle di Rankach, Wolfach,
Germania): 456 minerali diversi di cui 17 sono stati scoperti per la
prima volta in questa località. La miniera coltiva tre filoni lunghi
600 metri, spessi 3 metri e profondi circa 800 m. L’incredibile
diversità mineralogica di Grube Clara (456) è concentrata in un
volume di quattro millesimi di chilometro cubo. Circa il 10 %
delle specie esistenti sul pianeta in una briciola della crosta
terrestre.
Questo è un esempio di estrema diversità mineralogica
puntuale. Tuttavia la diversità litologica della zona di Grube
Clara è bassissima: per centinaia di chilometri quadrati
intorno alla miniera troviamo solo un tipo di roccia, lo gneiss.
Dagli esempi fatti si capisce che non è facile definire la
diversità mineralogica di una località perché essa può variare
molto a seconda della scala di osservazione. Tuttavia esistono
dei luoghi speciali del nostro pianeta dove la sovrapposizione
nel tempo e nello spazio di processi tettonici, magmatici,
metamorfici e idrotermali ha creato una notevole diversità
mineralogica e litologica estesa per centinaia e migliaia di
chilometri quadrati. Uno di questi luoghi è l’Isola d’Elba e,
come vedremo, è anche per questo che da migliaia di anni gli
esseri umani frequentano l’isola toscana.
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I QUADERNI DI ENJOY ELBA
LA STRAORDINARIA DIVERSITÀ
GEO-MINERALOGICA ELBANA
Due uomini risalgono una mulattiera
sulle pendici del Monte Capanne,
poco sopra la spiaggia di Fetovaia. Il
somaro che li accompagna è carico
di sacchi pieni di rocce; dal basto si
vedono sbucare martelli e rotoli di
carte topografiche. Quello che sembra
comandare la spedizione si ferma a
osservare un masso di roccia grigia
attraversato da una “lingua” di granito
e chiede all’aiutante di preparare la
carta topografica necessaria per il
rilevamento geologico. Bernardino Lotti,
questo il nome dell’ingegnere minerario,
scopre nel 1894 a Fetovaia le prove
inconfutabili che il plutone granitico
del Monte Capanne è un’intrusione
magmatica relativamente “giovane”.
Lotti stabilì che era più giovane
dell’epoca eocenica (56-34 milioni di
anni) andando contro il pensiero di
molti altri geologi che volevano che tutti
i graniti del pianeta fossero molto più
antichi. Oggi sappiamo che il plutone
del Monte Capanne si è formato grazie
all’intrusione di almeno tre iniezioni
di magma, circa 7 milioni di anni fa. I
numeri contano fino ad un certo punto
(facile con gli strumenti analitici che
abbiamo a disposizione oggi), conta
molto di più la capacità del Lotti di
osservare e leggere la storia geologica
scritta in un affioramento di roccia.
Bernardino Lotti è stato uno dei più
grandi geologi toscani e la sua carta
geologica dell’Isola d’Elba (1884) è stata
la prima rappresentazione cartografica
accurata e moderna della geodiversità
elbana .
La carta geologica dell’Isola d’Elba di Bernardino Lotti (1884),
pur superata dal punto di vista stratigrafico e tettonico, rimane
ancora oggi valida per la rappresentazione delle litologie dell’isola.
Semplicemente guardando la varietà di colori si intuisce la
grande geodiversità.
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
15
Sempre a lui si deve una frase che ha
precorso i concetti di geodiversità e di
geoconservazione andando a cogliere
l’unicità geo-mineralogica dell’isola:
“L’Isola d’Elba ed il Campigliese possono
chiamarsi a buon diritto grandiosi
musei mineralogici naturali”. Eppure
alla fine del 1800, i minerali noti all’Isola
d’Elba erano meno di 100. Per l’epoca
era già molto e infatti l’isola era meta
di un pellegrinaggio continuo da parte
di geologi, mineralogisti, curatori di
musei, commercianti e collezionisti
di minerali, esploratori minerari
provenienti da ogni parte del mondo.
I primi scienziati naturalisti, attratti
dalla ricchezza mineralogica dell’isola,
arrivarono nella seconda metà del
1700. All’inizio soprattutto francesi
ma poi, a partire dall’inizio del 1800,
anche tedeschi, svizzeri, inglesi e …
italiani. Si, noi arriviamo un po’ dopo
perché le Scienze della Terra nascono in
ritardo nelle università italiane. Come
abbiamo detto la geodiversità sta alla
base di tutto e, quella elbana e più in
generale toscana, ha stimolato una
grande diversità culturale e scientifica
in Toscana e in tutta Italia. Attualmente
in Toscana agiscono ben 5 diverse
istituzioni scientifiche nell’ambito delle
Scienze della Terra: tre dipartimenti
universitari (Firenze, Pisa e Siena),
l’Istituto di Geoscienze e Georisorse
del CNR (Pisa e Firenze) e l’Istituto
Nazionale di Geofisica e Vulcanologia
(Pisa). La grande diversità di approcci
metodologici e culturali ha permesso
di far crescere in modo esponenziale le
conoscenze geo-mineralogiche della
regione e la comprensione dei processi
geologici nel sistema Appennino-
Tirreno settentrionale.
Diamo un po' di numeri. Quasi 250
specie minerali identificate nell’isola,
cioè circa il 5% di tutti i minerali finora
scoperti sulla Terra. Una media di più
di 100 specie minerali per 100 km 2 ,
un valore 10-100 volte superiore alla
media di gran parte dell’Italia e del
mondo. 15 specie minerali scoperte
per la prima volta sull’isola. Due di
queste nuove specie prendono il nome
dall’isola: elbaite (dal nome moderno)
e ilvaite (dal nome latino). Molte decine
di rocce diverse appartenenti a tutti e
quattro i principali raggruppamenti
di rocce: sedimentarie, magmatiche,
metamorfiche e idrotermali. Rocce di
età variabile da 450 a 5 milioni di anni
fa e formatesi in contesti sia oceanici
che continentali. Tutti i principali
processi geologici ben rappresentati:
sedimentazione, deformazione,
magmatismo, metamorfismo,
idrotermalismo e metasomatismo.
Bernardino Lotti si sbagliava, l’Isola
d’Elba è molto più di un museo. È un
paradiso geo-mineralogico!
Un’isola così ricca di minerali che
appena arrivarono gli scienziati venne
subito scoperta una nuova specie (1808):
l’ilvaite di Torre di Rio.
Un minerale molto bello in cristalli
prismatici, neri lucenti, fino a 10 cm
di lunghezza e raggruppati in eleganti
druse insieme a hedenbergite e quarzo.
Prima ancora dell’ilvaite, alla fine del
1700, Dolomieu aveva raccolto nelle
pegmatiti di San Piero dei cristalli
policromi di tormalina. Nel 1914
questi cristalli vennero riconosciuti da
Vernadsky come una nuova tormalina
di litio a cui dette il nome di elbaite.
Sempre nelle pegmatiti di San Piero,
nel 1846, viene scoperta la pollucite,
un nuovo minerale di cesio in grossi
cristalli incolori associati all’elbaite. Si
tratta di tre minerali relativamente rari
nella crosta terrestre ma che all’Elba
costituiscono esemplari mineralogici
bellissimi e ambiti dai musei di tutto
il mondo. Una partenza decisamente
esaltante, che poi è stata seguita
da numerose nuove scoperte la cui
cadenza temporale evidenzia alti e bassi
delle attività di ricerca scientifica. Il
primo periodo d’oro della mineralogia
elbana si chiude all’inizio del 1900 con
la scoperta della dachiardite (1905)
seguita appunto dall’elbaite (1914). Nel
periodo compreso tra le due guerre
mondiali non vengono scoperte nuove
specie minerali e anche le ricerche
di tipo geologico rallentano. Negli
anni cinquanta del secolo scorso
riparte la ricerca scientifica sull’isola
e oltre ad alcuni fondamentali studi
sull’evoluzione tettono-magmatica
si assiste alla scoperta di due nuovi
16
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
minerali: la minguzzite (1955) e la bonattite (1957). Dopo un
nuovo periodo di stallo assistiamo ad un secondo periodo
d’oro della ricerca mineralogica che porta alla scoperta di
ben nove nuove specie minerali: uranopolycrase (1993),
rubicline (1998), riomarinaite (2005), ramanite-Cs e
ramanite-Rb (2008), tsilaisite (2011), fluor-tsilaisite (2012),
magnesiolucchesiite (2019), uvite (2020) e celleriite (2020).
Gli ultimi cinque minerali scoperti nella zona di San Piero
sono tutti membri del gruppo della tormalina, come l’elbaite.
A San Piero, oltre ai sei nuovi tipi di tormalina, si trovano
anche schorl, dravite, rossmanite e foitite, altre quattro specie
del gruppo della tormalina scoperte fuori dall’Elba . L’unica
località del pianeta dove sono state scoperte ben sei specie
nuove e dove coesistono dieci specie di questo affascinante
gruppo di minerali.
Ilvaite, il primo minerale nuovo scoperto all’Isola d’Elba (1808). Questo cristallo di 8 cm fa parte di
una grande drusa di 30x40 cm conservata nella collezione di mineralogia del Liceo Classico di Lucca
(Foto©Dini). Si tratta di un esemplare storico estratto nella prima metà del 1800 a Torre di Rio e
probabilmente acquisito durante la quinta Riunione degli Scienziati Italiani tenutasi a Lucca nel 1843.
Le Riunioni degli Scienziati Italiani furono delle manifestazioni scientifiche che però, già dal nome,
avevano una chiara connotazione politica. L’unità del paese era una condizione necessaria per far
crescere la ricerca scientifica italiana al passo con gli altri stati europei. Il segretario della Sezione
di Geologia e Mineralogia durante la Riunione del 1843 fu il professore di geologia Leopoldo Pilla
(Università di Pisa) che poi morì durante la Battaglia di Curtatone e Montanara (1848) mentre era al
comando del Battaglione Universitario. Foto©Dini
Dachiardite, aggregati di cristalli poligeminati a sezione ottagonale con depressione al centro. Il più
grande misura 4 mm; Collezione V. Marinai; Foto©Rinaldi. La dachiardite fu trovata nel 1905 da Giulio
Pullè durante lo scavo del filone pegmatitico “Speranza” nella Cava della Fonte del Prete (San Piero). I
campioni vennero studiati dal professor Giovanni D’Achiardi che dedicò il nuovo minerale ad Antonio
D’Achiardi, suo padre e fondatore della scuola di mineralogia all’Università di Pisa. La dachiardite fa
parte del gruppo delle zeoliti, dei minerali che si formano in condizioni idrotermali di bassa temperatura
successivamente alla cristallizzazione di alta temperatura dei filoni pegmatitici. Studi recenti
hanno stabilito che ci sono diversi tipi di dachiardite. Quella elbana contiene prevalentemente calcio
e il nome corretto è: dachiardite-Ca. Cercando nelle discariche dell’antica cava della Fonte del Prete
è ancora possibile trovare piccoli frammenti con cristalli di dachiardite.
Foto©Rinaldi
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
17
L’elba non è solo tormalina o minerali
nuovi e rari. Il minerale che ne
ha caratterizzato di più la storia,
l’economia e la cultura è un minerale
abbastanza comune, un banale ossido
di ferro, l’ematite. Un minerale nero
metallico, quando si trova in lamine
luccicanti più grandi di un centesimo
di millimetro ma che magicamente
diventa rosso vivo quando viene
polverizzato in un mortaio. Le antiche
romane lo utilizzavano nelle sue diverse
granulometrie, per truccarsi: fondotinta
rosso o ombretto glitter!
Ematite, drusa di cristalli romboedrici iridescenti (fino a 2 cm)
associati a piccoli cristalli prismatici di quarzo coperti da una
patina marrone, Cantiere Vigneria, Miniera di Rio Marina (Coll.
Tonietti, Foto©Rinaldi). Il normale colore dell’ematite è nero
con riflessi metallici (in basso a destra). L’iridescenza è causata
dall’interferenza della luce con una sottilissima patina di
idrossidi di ferro che riveste le facce dei cristalli. Foto©Rinaldi
Le grandi masse di ematite presenti
lungo la costa orientale dell’Isola d’Elba,
tra Cavo e Porto Azzurro, attirarono
l’attenzione degli esseri umani fin da
epoche remote. All’inizio le popolazioni
neolitiche notarono l’ematite per il suo
aspetto estetico ma poi, con l’arrivo
dei popoli dell’area egea, a partire da
circa 3000 anni fa, si diffuse il suo uso
come ottimo minerale per l’estrazione
metallurgica del ferro metallico.
L’attività mineraria nei giacimenti
minerari della costa orientale dell’Isola
d’Elba è stata documentata in modo
ininterrotto per oltre 2500 anni fino al
1981, anno della definitiva chiusura delle
miniere di ferro.
18
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
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03. Rinaldoniani,
Argonauti,
Etruschi...
Toscani
L’Isola d’Elba è stata popolata, o quanto meno frequentata, dagli
esseri umani a partire dal Paleolitico medio (75000-35000 BP; "Before
Present") quando, a causa dell’ultimo Periodo Glaciale (Wurm), il
livello del mare era da 40 a 120 metri più basso di oggi. L’Elba era unita
alla Toscana configurandosi come la punta di un grande promontorio
proteso verso la Corsica. In questo periodo i frequentatori del
“promontorio” elbano erano poco interessati alla geodiversità e
molto di più alla ricca selvaggina. La famosa Grotta di Reale (Porto
Azzurro) ha restituito resti di cervi, caprioli, lepri, cinghiali oltre a
orsi, pantere, ippopotami e rinoceronti! Il periodo che separa questi
nostri progenitori dall’avvento degli Etruschi (2900 BP) è ricchissimo
di eventi e di cambiamenti culturali alla scala locale e globale che,
all’Isola d’Elba , attendono di essere studiati in dettaglio. Tre eventi in
particolare stabiliscono un legame molto stretto tra le popolazioni
umane e la geodiversità del territorio elbano: l’esplosione culturale
del Paleolitico Superiore, l’inizio dell’Età dei Metalli nell’Eneolitico e
l’incorporazione del territorio elbano nei miti greci durante l’Età del
Ferro.
TRUCCHI E GIOIELLI PALEOLITICI
L’esplosione culturale del Paleolitico
Superiore si caratterizza per gli
utensili sempre più perfezionati, per
l’introduzione di ornamenti in osso/
conchiglia/roccia e di strumenti
musicali, come pure per le prime,
straordinarie, forme d’arte cioè scultura
e pittura. Gli esseri umani sviluppano
capacità tecniche e soprattutto
acquisiscono progressivamente
una profonda conoscenza della
geodiversità che li circonda. Non ci
stupisce quindi scoprire che, durante
il Paleolitico Superiore (35000-20000
BP), i frequentatori del “promontorio”
elbano avessero notato la presenza di
un minerale nero, luccicante, pesante
e facilmente lavorabile: l’ematite
dei giacimenti dell’attuale costa
orientale. Ne raccolsero dei frammenti
esclusivamente per motivi ornamentali
poiché la metallurgia del ferro era
ancora lontana da venire.
Troviamo pezzi di ematite in alcuni
siti gravettiani e epigravettiani della
Toscana (25000-10000 BP). Quelli
del sito gravettiano del Bilancino
(Firenze), studiati dal gruppo
dell’archeologa Biancamaria Aranguren
(Soprintendenza per i Beni Archeologici
della Toscana), furono utilizzati per
la produzione di pigmenti. Nel sito
epigravettiano di Villa Padula (periferia
di Livorno) invece fu trovato un ciottolo
di ematite microcristallina di 4,5 cm a
20
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
cui era stata praticata una scanalatura.
Secondo Franco Sammartino,
conservatore onorario della sezione di
Preistoria del Museo di Storia Naturale
del Mediterraneo (Livorno), si tratta
di una specie di pendente da portare
sospeso ad un legaccio. In entrambi i
casi le analisi geochimiche condotte
sull’ematite dal professor Massimo
D’Orazio (Università di Pisa) hanno
stabilito con certezza la provenienza
elbana .
Il piccolo complesso megalitico di Sassi Ritti si trova alle pendici
sud-orientali del Monte Capanne, tra San Piero e Cavoli
Foto©Calcara
MINATORI E COLLEZIONISTI DI MINERALI NEOLITICI
Il pendente di ematite elbana trovato nel sito epigravettiano di
Villa Padula, Livorno (altezza 4,5 cm). La scanalatura era funzionale
alla sospensione, tuttavia va rilevata una certa somiglianza
con la tipica forma delle “Veneri Paleolitiche”o “Veneri steatopigie”
diffuse in tutta Europa durante il Paleolitico Superiore.
Foto©Sammartino
Il tempo passa, Homo Sapiens sviluppa l’agricoltura, i ghiacci si sciolgono, il
livello del mare sale e, passato il periodo glaciale, l’Elba torna ad essere un’isola. Il
promontorio proteso verso la Corsica non esiste più ma l’Isola d’Elba continua ad
essere un “ponte” per i popoli e le merci che transitano nel Mediterraneo centrooccidentale.
Durante la fase finale del Neolitico (Eneolitico o Età del Rame; 5500-
4000 BP), l’Isola d’Elba è caratterizzata da un’intensa frequentazione umana che
ha lasciato numerose testimonianze con alcuni caratteri riconducibili alla cultura
di Rinaldone (area tosco-laziale). Tale frequentazione potrebbe essere connessa
con la ricerca, con l’approvvigionamento e, verosimilmente, con la lavorazione
almeno parziale in loco dei minerali di rame. I Rinaldoniani, definiti anche come
i “giganti del mare”, approdarono sulle coste toscane all’inizio dell’Eneolitico,
probabilmente provenienti dall’area egeo-anatolica e portarono con sé qualcosa
di nuovo e rivoluzionario: l’arte della metallurgia, contribuendo ad uno sviluppo
decisivo dell’area tosco-laziale nella fase pre-etrusca. A quanto pare portarono
anche il megalitismo. Le strutture megalitiche costruite dai Rinaldoniani a cavallo
tra Toscana e Lazio hanno notevoli analogie temporali e geometriche con i ben noti
siti della Sardegna e della Corsica e anche con i più piccoli megaliti granitici di Sassi
Ritti sulle pendici sud-occidentali del Monte Capanne.
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
21
Cerchiamo di capire dove i “Rinaldoniani” elbani possono
aver trovato il prezioso metallo. Due località elbane sono
particolarmente indiziate perché presentano concentrazioni
di rame nativo facilmente estraibile e lavorabile per semplice
martellatura a caldo: Capo Calamita (Capoliveri) e Santa
Lucia (Portoferraio). Nel primo caso si tratta di un grande
giacimento di ossidi di ferro (magnetite e ematite) con
quantità accessorie di solfuri di rame e ferro (calcopirite e
pirite). Tuttavia i processi di ossidazione superficiale mediati
dalle acque piovane hanno disciolto i solfuri concentrando
il rame in masse ad altissima concentrazione di metallo.
Masse di rame nativo di molti chilogrammi sono state estratte
anche durante gli ultimi anni di attività della miniera. Il rame
nativo è associato a masse cospicue di carbonati-solfaticloruri-silicati
di rame (malachite, azzurrite, brochantite,
clinoatacamite, crisocolla), di ossido di rame (cuprite)
e idrossidi di ferro (goethite). A Santa Lucia una piccola
mineralizzazione cuprifera è incassata in rocce ofiolitiche
ed è costituita prevalentemente da solfuri di rame e ferro
(calcopirite, bornite e pirite) con cuprite e rame nativo. Una
massa di rame nativo del peso di 16 kg fu scoperta intorno
alla metà del 1800 durante le attività di ricerca mineraria.
Nei dintorni delle ricerche minerarie di Santa Lucia, il
noto esperto di archeologia elbana Gino Brambilla ha
rinvenuto oggetti in bronzo e scorie metallurgiche riferibili
alla lavorazione del minerale di rame. Mentre le piccole
concentrazioni cuprifere suscitavano qualche interesse nelle
popolazioni eneolitiche dell’isola, le grandi masse di minerale
di ferro venivano largamente ignorate. Tuttavia i prospettori
minerari eneolitici notarono un altro minerale, il quarzo, i
cui bei cristalli luccicanti e “gemmosi” sono molto frequenti
in numerose località dell’isola. Nella sepoltura eneolitica di
Monte Moncione (tra Portoferraio e Lacona), assieme a punte
di freccia, ceramiche e pendenti in conchiglia, i ricercatori
guidati dall’archeologa Lorella Alderighi (Soprintendenza per i
Beni Archeologici della Toscana) hanno trovato alcuni cristalli
di quarzo di possibile provenienza elbana . I primi collezionisti
di minerali dell’umanità! All’epoca il quarzo doveva andare di
moda visto che ne sono stati trovati cristalli in molti altri siti
eneolitici della Toscana (Podere Uliveto, Livorno; Tecchia della
Gabellaccia, Carrara; Grotta della Scaletta, Vecchiano-PI).
Due cristalli di quarzo ialino trovati nel sito Eneolitico di Monte Moncione (il maggiore di 2,5 cm;
Foto©Pagliantini). Difficile dire i motivi per cui erano stati raccolti: a scopo decorativo o per essere usati
come bulini?
L'ETÀ DEL FERRO, IL MITO
E GLI ETRUSCHI
Passiamo al terzo punto della lista: il mito e l’Età del Ferro. Le
sperimentazioni metallurgiche su minerali misti di rame,
arsenico e stagno portarono alla scoperta del bronzo: una
lega di rame-arsenico o rame-stagno molto resistente e
dura. Terminò così l’Età del Rame ed iniziò l’Età del Bronzo
(4000-3000 BP) durante la quale le conoscenze metallurgiche
aumentarono rapidamente fino al punto di domare il
metallo più difficile ma allo stesso tempo più dirompente
22
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
della storia dell’umanità: il ferro. In
Anatolia la scoperta della metallurgia
del ferro avvenne circa 3400 anni fa,
ma nell’area tirrenica arrivò con circa
500 anni di ritardo. In questo periodo
di transizione tra Età del Bronzo e Età
del Ferro, mentre all’Elba si aveva un
periodo di minore frequentazione,
nell’area egeo-anatolica si sviluppavano
le civiltà Minoica e Ittita e nasceva la
mitologia greca. I miti greci si diffusero
inizialmente grazie alla tradizione
poetica orale minoica per poi confluire
nei poemi epici di Omero. Di quelle
storie rimangono solo le trasposizioni
pittoriche di dei, eroi ed episodi
mitici su vasi di ceramica e molti altri
manufatti, fino alle prime versioni
scritte che risalgono a circa 2600
anni fa. I navigatori egeo-anatolici
Minerali di rame della zona di ossidazione del giacimento ferrifero
di Capo Calamita. Aggregato dendritico di cristalli di rame nativo
associati a cuprite rosso scuro e malachite verde (6 cm, Col.
Lorenzoni; Foto©Dini)
che da millenni esploravano in modo
intermittente l’area tirrenica avevano
visitato l’Isola d’Elba innumerevoli volte
e ne conoscevano, per motivi legati alla
navigazione, il colore e la forma di ogni
scogliera e di ogni insenatura. Avevano
sicuramente notato lo strano minerale
nero, pesante e lucente che abbondava
lungo la costa orientale dell’isola.
Appena ebbero coscienza del valore
immenso di quel minerale di ferro
purissimo tentarono di garantirsene
l’utilizzo. Il modo migliore era di
colonizzare l’area e allo stesso tempo
di creare una narrazione mitologica
che legittimasse la loro presenza
commerciale/politica nella regione.
Bastano cinque righe di testo in cui si
fa sbarcare un gruppo di greci sulle
spiagge di un’isola e il gioco è fatto. E che
greci! Eroi, semidei, addirittura Ercole, e
poi Giasone, Castore, Polluce e una nave
magica, Argo, che sembra trovasse la
rotta da sola. Eroi mitologici e come tali
senza tempo: Apollonio Rhodio scrive
le Argonautiche 2300 anni fa, ma il
mito è già presente nei poemi omerici
di mezzo secolo prima e il nucleo della
leggenda sembra precedere la Guerra di
Troia (3200 BP). È cosi che il mito degli
Argonauti venne integrato con la rotta
tirrenica e con una non casuale sosta
nell’isola Aethalia, la fuligginosa, ovvero
l’odierna Isola d’Elba . Si, perché come
dice Alessandro Corretti, archeologo
della Scuola Normale Superiore di
Pisa, quello degli Argonauti è un mito
composito cresciuto nel tempo, una
specie d’integrale spazio-temporale
delle esplorazioni-migrazioni greche
attraverso l’Europa e il Mediterraneo.
Sembra che la modifica fosse già stata
introdotta 2800 anni fa. Gli Etruschi
conoscevano questo mito molto bene
visto che ne riproducevano delle scene
sulla loro ceramica. Va a finire che anche
gli Etruschi sono un po’ Argonauti!
Minerali di rame della zona di ossidazione del giacimento ferrifero
di Capo Calamita. Aggregato concrezionale a strati concentrici di
azzurrite e malachite intorno ad un nucleo di idrossidi di ferro
(30 cm, Col. Ricci; Foto©Rinaldi)
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
23
Con gli Etruschi è iniziato lo
sfruttamento industriale dei giacimenti
di ferro elbani che, pur con alcune
pause, è proseguito fino al 1981, anno
della definitiva chiusura. Come ci
racconta l’archeologa Laura Pagliantini
nell’articolo a pag. 140 di questo volume,
la presenza etrusca all’Isola d’Elba è
abbastanza ben documentata ma le
testimonianze dell’attività mineraria e
metallurgica sono scarse. L’unico sito in
cui sono attestate attività metallurgiche
è quello di San Bennato (tra Rio Marina
e Cavo) datato con metodi archeomagnetici
a circa 2500 anni fa. Il resto
è storia, ben narrata in molti libri e
articoli scientifici e divulgativi di cui
una selezione è riportata alla fine del
volume. Un’ultima cosa va ricordata.
L’isola, anche dopo gli Etruschi, ha
continuato ad essere attraversata da
flussi migratori, occupazioni militari
e scorribande piratesche a cui si sono
aggiunti in tempi moderni spedizioni
scientifiche, esplorazioni minerarie e
flussi turistici. Quello che è rimasto è
la straordinaria diversità umana degli
abitanti dell’Isola d’Elba e della Toscana
in generale. Forse non sarebbe stato
possibile se la geodiversità elbana non
fosse stata così attrattiva.
Colonne di granito semilavorate di epoca pisana in località
Grottarelle, Cavoli, versante sud-occidentale del Monte Capanne
(Foto©Calcara). Il granito del Monte Capanne, specialmente
quello con tessitura omogenea affiorante tra San Piero, Cavoli,
Seccheto e Fetovaia è stato utilizzato ininterrottamente per
almeno 5000 anni, dai megaliti Eneolitici, alle colonne romane e
pisane, ai rivestimenti del Giardino di Boboli in epoca rinascimentale,
fino al largo utilizzo in epoca moderna come arredo urbano.
Foto©GianMarioGentini
24
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Ferro e rame, metalli molto diversi ma che a volte creano effetti
cromatici simili nei minerali. Sopra stalattiti di melanterite (solfato
di ferro) in una cavità dei detriti ricchi di pirite el cantiere Conche,
Miniere di Rio Albano (13 cm; Foto©Rinaldi).
A destra: piccole tracce di rame sono responsabili del colore
azzurro di questa splendida concrezione di aragonite (carbonato
di calcio), cantiere Vallone, miniera di Capo Calamita.
Coll. Ricci, Foto©Rinaldi
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
25
04. Come è nata
la diversità
geo-mineralogica elbana
La Terra è un pianeta dinamico in continua evoluzione. La
distribuzione geografica dei continenti, degli oceani e delle
catene di montagne che vediamo oggi è solo una delle infinite
configurazioni che il pianeta ha avuto nel corso degli ultimi
4,5 miliardi di anni. Per comprendere i motivi dell’attuale
geodiversità elbana dobbiamo conoscere la configurazione
geodinamica dell’isola al momento in cui si formarono i
minerali e le rocce che andremo a descrivere. Questo richiede
di saper leggere il libro geo-mineralogico del territorio
dell’Isola d’Elba . È come provare a interpretare un testo antico
scritto in una lingua di cui non conosciamo ancora bene
l’alfabeto e la struttura sintattica, e di cui sono andati persi
interi capitoli o pezzi di frasi. Difficile ma entusiasmante; un
lavoro da investigatori.
La teoria della Tettonica delle Placche ci dice che la parte più
esterna, solida, del pianeta è suddivisa in settori litosferici
in continuo movimento relativo tra loro. Come un puzzle
tridimensionale sferico le cui tessere cambiano forma
e dimensione nel tempo perché alcune si allontanano
aumentando di area, mentre altre si scontrano riducendosi. Altre
tessere semplicemente scorrono, una rispetto all’altra. Dove le
tessere-placche si allontanano si crea nuova litosfera oceanica
(es. la dorsale medio-atlantica); dove si scontrano, una delle due
deve subdurre (n.d.a. sprofondare) nel mantello terrestre mentre
l’altra si deforma creando una catena orogenetica e un arco di
vulcani (es. le Ande). Infine, dove le placche scorrono vengono
accumulate e rilasciate enormi quantità di energia meccanica
sottoforma di terremoti (es. la faglia di Sant’Andreas in California).
Dopo che il canadese Tuzo Wilson finì di affinare, nel
1965, la Teoria della Tettonica delle Placche, la rivoluzione
scientifica che ne seguì investì anche i geologi che lavoravano
in Appennino e all’Isola d’Elba . Finalmente il libro geomineralogico
elbano poteva essere letto, compreso e
interpretato in modo più chiaro. Gli scienziati della Terra
capirono due cose fondamentali: 1) la catena appenninica
si era formata perché la placca Ionico-Adriatica subduceva
immergendosi verso ovest sotto l’Appennino; 2) la catena
appenninica non è sempre stata dove la vediamo oggi. Il
secondo punto è particolarmente intrigante! Dove stava
l’Appennino o meglio, il paleo-Appennino, 30 milioni di
anni fa? Alla latitudine dell’Elba , stava 300 km più a ovest!
Correva lungo l’attuale costa della Corsica, continuava a
sud costeggiando la Sardegna per poi girare verso ovest
collegandosi alla catena del Maghreb (Tunisia, Algeria,
Marocco). E l’Isola d’Elba ? Semplicemente non esisteva come
espressione geomorfologica e geografica, ma esistevano già
una buona parte delle rocce che oggi la compongono. Per
comprendere l’attuale assetto geologico dell’Isola d’Elba ,
capite bene che è fondamentale ricostruire cosa è successo
tra 30 milioni di anni e oggi, quando il paleo-Appennino è
“transitato” dalle parti dell’isola correndo verso la sua attuale
posizione.
Trecento chilometri in 30 milioni di anni; come la
giudichereste questa corsa? Veloce o lenta? Corrisponde a
un centimetro all’anno. Niente di speciale dal punto di vista
geologico. Tuttavia le indagini degli ultimi 50 anni ci dicono
che buona parte dello spostamento del paleo-Appennino
è avvenuto in pochi milioni di anni. La velocità potrebbe
aumentare fino a 3 o 4 centimetri all’anno. Nell’arco della
sua vita, una tartaruga gigante miocenica del paleo-Mar
Tirreno avrebbe dovuto nuotare 3 o 4 metri in più per
andare a deporre le uova sulle spiagge toscane che si
allontanavano progressivamente verso est! Si perché mentre
i rilievi appenninici si spostavano verso est, la regione ad
occidente della catena sprofondava, la crosta continentale
26
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
si assottigliava e il paleo-Appennino collassava. Così si è
formato il bacino marino del Tirreno Settentrionale. I geologi
lo definiscono un bacino di retroarco continentale. L’Elba è
un frammento della paleo-catena orogenica che l’Appennino
si è lasciato alle spalle nella sua corsa verso est. A sud, nel
Tirreno meridionale, la velocità e l’entità dello spostamento
verso est e sud-est dell’Appenino sono stati tali da strappare
la crosta continentale e creare nuova crosta oceanica. Povere
tartarughe, qui dovevano nuotare anche 10 metri in più!
Lasciamo le tartarughe e torniamo all’Isola d’Elba . Non è facile
per gli scienziati conoscere la costituzione geologica dei fondali
marini. C’è bisogno di navi oceanografiche capaci di dragare
le rocce del fondo, di perforarle con speciali sonde o di guidare
sommergibili e robot sottomarini. Sulle navi possiamo mettere
strumenti geofisici per leggere dalla superficie i caratteri magnetici,
sismici e gravimetrici delle rocce in profondità. Tutto questo
costa tantissimo e non è sempre possibile farlo con il dettaglio
auspicato dagli scienziati. Le isole dell’Arcipelago Toscano ci offrono
la possibilità di conoscere la geologia del Mar Tirreno-Ligure
in modo diretto e a costi relativamente più bassi. L’Isola d’Elba ,
grazie alla sua notevole estensione, è quella che offre le maggiori
opportunità di ricostruire in dettaglio la storia geologica del sistema
Tirreno-Appennino settentrionale. Sull’isola ci sono rocce di quasi
500 milioni di anni formatesi lungo il margine settentrionale
dell’antico Supercontinente Gondwana, rocce sedimentate
all’inizio dell’epoca dei dinosauri (Permiano-Trias), pezzi dell’oceano
Ligure-Piemontese di 150 milioni anni fa, rocce metamorfiche che
20 milioni di anni fa si erano trovate in condizioni di alta pressione
alla radice della catena paleo-Appenninica. Meriterebbero un
libro per parlare di Geodiversità in termini di processi geologici,
geomorfologici, paleoclimatici, etc. Anche in questo caso potrebbero
essere raccontate molte storie per aiutare il pubblico a scoprire la
storia geologica del pianeta. Noi abbiamo scelto di concentrarci sulla
storia geologica e minerogenetica più recente, quella che tra 8,5 e 5
milioni di anni fa ha regalato all’Elba la straordinaria diversità geomineralogica
dei suoi Fiori della Terra.
In questa sezione verticale (traccia blu nella mappa in alto) si vede la situazione
attuale (tratto pieno) e la posizione della Placca Adriatica nel passato (tratteggiato).
Schema semplificato della migrazione spazio-temporale della
Catena Appenninica negli ultimi 30 milioni di anni. Fino a 15-20
milioni di anni fa, il bacino tirrenico non esisteva. Il paleo-Appennino
è “transitato” nell’area attualmente occupata dall’Isola
d’Elba circa 20 milioni di anni fa.
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
27
Qui vi presentiamo una carta geologica
schematica e dei cartoon interpretativi
che possono aiutare a visualizzare, in
modo estremamente semplificato, gli
eventi tettono-magmatico-idrotermali
a cui ci riferiremo nelle storie che
stiamo per raccontarvi. Abbiamo
anche cercato di collegare le storie
all’evoluzione geologica dell’isola. Come
sempre in Scienza, questa è la nostra
ricostruzione, quella che secondo
noi soddisfa il più ampio numero di
osservazioni e dati scientifici (alla scala
dell’isola e dell’intero sistema Tirreno-
Appennino Settentrionale), e quella che
permette di sviluppare una narrazione
efficace e non troppo ardua da digerire.
Ben vengano altre visioni e narrazioni
che aiutino il grande pubblico a
guardarsi sotto i piedi.
Nel Miocene inferiore, circa 20
milioni di anni fa (in questo paragrafo
abbreviato con la sigla “Ma”), il paleo-
Appennino passava dalle parti dell’Isola
d’Elba . La catena orogenica aveva
raggiunto il suo massimo spessore
grazie all’impilamento delle numerose
unità tettoniche che si osservano
nell’isola. Unità tettoniche strappate
alla crosta oceanica Ligure-Piemontese
ma anche alla crosta continentale
del margine “toscano” dell’oceano.
Mentre la catena si propagava verso
est, il regime tettonico alle spalle del
paleo-Appennino (a ovest) cambiò
da compressivo a prevalentemente
estensionale e iniziò la formazione
del bacino di retroarco tirrenico. La
paleo-catena iniziò ad assottigliarsi
passando da 30-40 km a 20-25 km di
spessore, mentre in profondità il caldo
mantello astenosferico iniziò a risalire.
Nelle zone di bacino di retroarco, di
solito il mantello cerca di raggiungere
basse profondità per fondere e
produrre magmi basaltici che possono
originare nuova crosta oceanica
(come nel Tirreno Meridionale). In
Toscana questo non è avvenuto, la
crosta continentale, pur assottigliata,
ha resistito e ha accumulato il calore
ceduto dal mantello sottostante. Dopo
alcuni milioni di anni di riscaldamento
forzato, i metasedimenti della parte
profonda della crosta toscana iniziarono
a fondere parzialmente producendo i
primi magmi granitici. Mano a mano
che si accumulava calore, frazioni
crescenti della crosta fondevano aiutate
anche dall’arrivo di piccoli volumi di
magma mafico prodotto dalla fusione
del mantello sottostante. La presenza
dei fusi silicatici granitici alla base
della crosta, non permise ai magmi del
mantello di risalire verso la superficie. Li
intrappolarono in profondità facendone
sfuggire piccoli volumi solo alla fine
della storia magmatica.
Carta geologica schematica dell’Isola d’Elba con indicate le località
trattate nelle storie geo-mineralogiche dei prossimi capitoli.
28
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
29
Le intrusioni del Miocene superiore
che osserviamo all’Isola d’Elba sono
state alimentate da iniezioni multiple
di magmi granitici e solo da volumi
minori di magmi di mantello. I magmi
risalirono dalla base della crosta fino
a livelli crostali molto superficiali
(1-6 km) formando un complesso di
intrusioni granitiche subvulcaniche,
due complessi plutonici granitici, e due
sciami di dicchi mafici post-plutonici.
Il primo evento intrusivo (8,5-7,44
Ma) produsse in modo sequenziale il
complesso subvulcanico dei porfidi
granitici: l’Aplite di Capo Bianco (8,5
Ma), il Porfido di Portoferraio (8 Ma) e
il Porfido di San Martino (7,44 Ma). A
questa fase subvulcanica ci riferiamo
con le storie che riguardano le rocce
degli Argonauti a Capo Bianco, i quarzi
beta “bipiramidali” di Campo all’Aia e le
cavità miarolitiche di San Martino. Nel
frattempo la crosta inferiore continuava
a fondere e nuovi pulsi di magma
granitico, sempre più voluminosi, si
accumularono alla base del complesso
subvulcanico. Si formò così il grande
plutone monzogranitico del Monte
Capanne (7,4-6,9 Ma), la sua aureola
metamorfica di contatto e i dicchi
leucogranitici e pegmatitici. Questa
fase plutonico-metamorfica è narrata
nelle storie sulle rodingiti di Punta
Polveraia, sui granati dell’Affaccata,
sull’elbaite delle pegmatiti, sulle nuove
tormaline di San Piero e forse anche
nella storia sui granati di Campo ai
Peri. Questo primo e prolungato evento
magmatico-metamorfico si chiude con
uno sciame di dicchi mafici, originatisi
nel mantello, che taglia tutte le rocce
precedentemente descritte (Porfido di
Orano; 6,85 Ma). L’accumulo di grosse
intrusioni granitiche nella crosta
superficiale accelerò il movimento
di faglie estensionali a basso angolo
che traslarono e abbassarono verso
est la parte superiore del complesso
30
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
magmatico (complesso subvulcanico).
Per questo motivo i porfidi granitici
incassati nelle Unità tettoniche
oceaniche, originariamente posti
sulla verticale del Monte Capanne,
oggi affiorano nell’Elba centrale,
mentre il plutone del Monte Capanne
è stato progressivamente esumato
alla superficie nell’Elba occidentale. In
questa fase esumativa, la deformazione
tettonica mise in comunicazione le
acque meteoriche superficiali con il
sistema magmatico ormai cristallizzato
ma ancora caldo. È in questo momento
che si formarono i minerali descritti
nelle storie sui quarzi “gommoidi” di
Palombaia, sulla magnesite di San Piero,
sui quarzi della zona Biodola-Procchio,
sul quarzo ametistino di Casa Ischia.
Schema dell’evoluzione tettono-magmatica
dell’Isola d’Elba durante gli ultimi 8,5 milioni di anni.
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
31
Circa mezzo milione di anni più tardi,
il magmatismo migrò verso est e, tra
6,4 e 5,9 Ma, produsse il complesso
plutonico presente nell’Elba orientale:
un plutone di monzogranito e uno
sciame di dicchi-sills di leucogranito a
tormalina. Questi prodotti felsici furono
successivamente tagliati da uno sciame
di dicchi mafici originatisi nel mantello
(Porfido di Monte Castello; ca. 5,9 Ma).
Anche in questo caso, l’accumulo
di intrusioni magmatiche nella
crosta superficiale accelerò la rapida
esumazione tettonica del complesso
magmatico lungo faglie estensionali
a basso e alto angolo e anche faglie
trascorrenti. Nell’Elba orientale non
si formarono le fantastiche pegmatiti
della zona di San Piero. Anche l’aureola
metamorfica di contatto, sviluppata
in rocce scistose omogenee, non
riuscì a generare bei minerali. Tuttavia
la circolazione idrotermale di alta
temperatura avvenuta durante la fase
tardo-magmatica e esumativa (circa
5,9-5,4 Ma) generò rocce metasomatiche
(skarn a hedenbergite, ilvaite, granato,
epidoto) e giacimenti idrotermali di
ferro. Questa fase è narrata nelle storie
sulla geochimica dell’ematite elbana,
sui cristalli di ematite di Stenone,
sulla pirite di Rio Marina, sull’ilvaite
di Torre di Rio, e sul quarzo prasio del
Porticciolo. Elba Centro-Occidentale e
Elba Orientale. Due storie magmatiche
simili, ma processi minerogenetici
parzialmente distinti che hanno
incrementato la diversità geomineralogica
dell’isola.
A questo punto la storia magmaticoidrotermale
si interrompe, l’Isola d’Elba
è rimasta troppo indietro rispetto alla
corsa verso est del sistema orogenico
Appenninico. Nel Pliocene i processi
magmatico-idrotermali furono attivi
in Toscana centro-meridionale:
graniti, rioliti, giacimenti di pirite,
skarn e molto altro. All’Elba il periodo
“caldo” della formazione dei minerali
era finito ma iniziava un periodo
“freddo” altrettanto interessante. La
prossimità alla superficie dei giacimenti
esumati dai processi tettonici e erosivi,
innescò progressivamente sempre più
interazioni con le acque meteoriche.
I solfuri di ferro, rame, cobalto sono
molto reattivi in condizioni ossidanti e
All’interno delle rocce granitiche elbane si osservano spesso frammenti di rocce metamorfiche. Si tratta di pezzi di roccia strappati
dal magma durante la risalita attraverso la crosta terrestre. Il frammento di “scisto” grigio della foto contiene una notevole quantità di
sillimanite fibrosa e grossi cristalli di granato rosso, minerali che si formano durante i processi di fusione della crosta continentale.
Potrebbe essere un pezzo della roccia “sorgente” che generò il magma granitico. Se l’ipotesi fosse giusta, avremmo di fronte un
campione della crosta inferiore toscana rimasto intrappolato nel porfido granitico dopo aver viaggiato per una ventina di chilometri nel
condotto magmatico (affioramento di Porfido di San Martino presso Lamaia, Elba Centrale; Foto©Dini).
32
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
lentamente iniziarono a formarsi i "Fiori
della Terra" più giovani che abbiamo
all’Isola d’Elba . Minerali coloratissimi e
scientificamente rilevanti che vengono
descritti nelle storie su le meraviglie di
Grotta Rame e sui “fiori di cobalto” del
Cantiere Francesche. Anche la storia
sui cristalli di calcite di Raffello Foresi
riguarda questa fase recente, forse
carsica, della minerogenesi elbana .
Se avete letto fino a qui, possiamo
essere molto contenti perché vuol dire
che non vi abbiamo annoiato troppo
e siamo riusciti a farvi tenere gli occhi
puntati verso la Terra che sta sotto ai
vostri piedi. Complimenti, ora la strada
è in discesa: belle immagini, qualche
storia insolita, informazioni per qualche
bella escursione. Insomma è finita la
scuola; buone vacanze nella diversità
geo-mineralogica della Terra degli
Etruschi.
Questo filone di roccia scura, attraversa il granito del Monte Capanne
tagliando anche un piccolo filone biancastro di pegmatite
(Chiessi, Foto©Dini). È un bell’esempio di Porfido di Orano, la
roccia magmatica che chiude, 6,85 milioni di anni fa, il ciclo magmatico
dell’Elba Centro-Occidentale. È l’unica roccia magmatica
del complesso del Monte Capanne che si è formata da un magma
originatosi nel mantello. Il Porfido di Orano contiene cristalli di olivina,
pirosseno cromifero, spinello cromifero, anfibolo e flogopite,
tutti minerali tipici dei magmi di mantello. Qui, come pure a Porto
Azzurro, a Montecristo e al Giglio, il magma mafico riuscì a sfuggire
dalla base della crosta solo alla fine del ciclo magmatico
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
33
Elba
Occidentale
34
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Tafoni nel granito a Pietra Murata (Seccheto).
All’orizzonte, oltre a Pianosa, le altre
due isole granitiche: Giglio e Montecristo.
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
35
5.1 Elba
Occidentale
IL REGNO DI PLOUTŌN
COSMOGONIA SOTTERRANEA
Sopra, la luce, la possibilità di vedere,
di capire per esperienza diretta. Sotto,
le tenebre, il mondo sotterraneo fatto
di roccia e minerali dove è impossibile
penetrare e capire, se non scavando
oscuri cunicoli minerari. Da questa
oggettiva difficoltà di comprendere
ciò che ci sta sotto i piedi nasce
la complessità dei miti antichi
riguardanti il mondo sotterraneo.
Le stesse divinità che popolano questo
mondo inaccessibile, nella mitologia
greca, sono confuse, hanno molteplici
nomi e ruoli, spesso contrastanti.
Tra tutte le divinità, una in particolare
ci aiuta a parlare della geologia e della
mineralogia dell’Isola d’Elba . Si tratta
di Ploutōn, conosciuto anche come
Hades, fratello di Zeus e Poseidone.
Mentre i fratelli hanno il controllo
rispettivamente del cielo e del mare,
lui è il custode del mondo sotterraneo
incluse le ricchezze minerarie. Una
divinità delle rocce e dei minerali,
positiva, che però fa paura quando
viene appellata con l’altro nome, Hades,
il custode del mondo dei morti. A noi
piace il primo nome, Ploutōn, perchè
sta all’origine del termine geologico
plutone, utilizzato nelle Scienze della
Terra per indicare le intrusioni di
rocce magmatiche come quella che
costituisce il Monte Capanne.
LA MONTAGNA DI GRANITO
Il plutone monzogranitico del
Monte Capanne caratterizza tutta la
parte occidentale dell’Isola d’Elba .
Quando si è formato, circa 7 milioni
di anni fa, si trovava a 6 chilometri di
profondità. Il magma granitico che
si era formato dalla fusione parziale
della crosta terrestre, risalendo verso
la superficie, trovò una trappola che
ne bloccò il cammino. Non riuscendo
ad eruttare alla superficie, il magma
si espanse lateralmente tra gli strati
delle rocce creando uno strato
circolare orizzontale di magma più
o meno corrispondente all’attuale
perimetro dell’Elba occidentale (10 km
di diametro). La pressione del magma
che continuava a risalire dalla base della
crosta, iniziò a gonfiare l’intrusione
tabulare sollevando e deformando il
pacco di rocce che la sovrastavano. La
sottile intrusione tabulare (chiamata
sill dai geologi) si trasformò cosi in un
laccolite (intrusione tabulare un pò
più spessa al centro) per poi gonfiarsi
al punto da diventare un plutone:
una specie di “torta di Nonna Papera”
molto gonfia al centro e sottile ai bordi.
L’attuale morfologia del Monte Capanne
corrisponde approssimativamente
all’originaria superficie superiore
dell’intrusione: l’erosione e la tettonica
hanno rimosso le rocce che avevano
bloccato il magma lasciando esposto
il granito. La vetta del Monte Capanne
attualmente supera di poco i 1000 metri
ma il plutone continua in profondità
per altri due chilometri sotto il livello
del mare. I geologi hanno stimato che
il volume dell’intrusione è di circa 120
km 3 . Immaginatevi di inserire una
“torta” di magma di 120 km 3 a 900°C,
dentro alle rocce relativamente fredde
(150-300°C) della crosta continentale
superficiale. il magma deve cedere
calore alle rocce incassanti e, mentre
lui cristallizza diventando granito, le
trasforma in rocce metamorfiche. I
plutoni di tutto il mondo sono avvolti
da quella che in Scienze della Terra
viene definita l’aureola metamorfica di
contatto.
L’ABBRACCIO FATALE
L’aureola di contatto ha un rapporto
di odio-amore con il magma: ne
interrompe la corsa verso la superficie
ma, allo stesso tempo, ne rallenta la morte
(cristallizzazione del magma in granito)
36
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
grazie alla bassa conducibilità termica
che la caratterizza. Per un’intrusione delle
dimensioni del Monte Capanne questo
significa allungare la vita del plutone di
almeno centomila anni! Durante tutto
questo tempo, le rocce che abbracciano
il plutone ricristallizzano a temperature
di 500-700°C e si trasformano in rocce
metamorfiche. Ci sono molti plutoni
sul pianeta avvolti da aureole semplici
costituite da un solo tipo di roccia. Nel
caso del Monte Capanne no! La storia
geologica che ha preceduto la formazione
del plutone ha creato una grande
eterogeneità litologica che poi è stata
immortalata nell’aureola metamorfica.
Calcari, diaspri, argilliti, basalti, gabbri,
serpentiniti. Le reazioni metamorfiche
hanno trasformato queste rocce in
marmi, quarziti, scisti, anfiboliti, etc.
Un vero paradiso per gli scienziati e
gli studenti dei corsi di geologia. E non
finisce qui. Mentre le rocce dell’aureola
si trasformavano, il plutone in avanzata
fase di cristallizzazione rilasciava acqua
caldissima (supercritica) ricca di silice. Le
reazioni tra questi fluidi supercritici e le
rocce dell’aureola hanno formato minerali
di calcio, silicio e ferro (calcosilicati) dai
colori sgargianti: granato rosa, rosso
e arancione, epidoto verde, vesuviana
bruna e verde. Tutte queste rocce,
bellissime, avvolgevano il plutone in un
abbraccio fatale. Oggi sono state erose
in buona parte, ma percorrendo l’anello
stradale intorno al Monte Capanne
possiamo ancora ammirarle.
GLI SCRIGNI DI PLOUTŌN
Gli esseri umani sono stati attratti fin dal
Neolitico da quelli che oggi definiamo
metalli preziosi e gemme. Oro, argento
e poi smeraldi, acquamarine, rubini,
tormaline dai mille colori, topazi, quarzi
ialini e ametista. L’unico fatto oggettivo
è che si tratta di minerali rari da trovare
in natura, almeno in esemplari puri e
di dimensioni significative. Tuttavia
il motivo della loro preziosità (e del
loro costo) è legato esclusivamente
ad un fattore emozionale, soggettivo:
piacciono a Homo Sapiens. Questi
minerali si trovano all’interno di una
varietà di giacimenti e di tipi di rocce.
Per le gemme, uno dei posti ideali dove
andare a cercare è proprio al bordo
di alcuni plutoni granitici. Al termine
della storia magmatica e metamorfica
che abbiamo appena descritto avviene
spesso qualcosa di speciale. Del magma
particolarmente ricco di silice, potassio,
sodio, boro, berillio, litio, cesio e altri
metalli rari migra dal plutone, o dalle
zone alla radice del plutone, e va a
formare dei piccoli filoni proprio in
prossimità del contatto tra plutone
e aureola. Per motivi ancora non
compresi dalla scienza queste piccole
tasche di magma (decine-centinaia
di metri cubi), invece di cristallizzare
in un’aggregato di quarzo, ortoclasio,
plagioclasio e biotite a grana mediofine
(come il normale granito del Monte
Capanne), formano una roccia costituita
da cristalli degli stessi minerali ma di
dimensioni molto più grandi, talvolta
gigantesche (fino a molti metri).
Questa roccia si chiama pegmatite
granitica. Sul versante orientale del
plutone del Monte Capanne (tra Colle
di Palombaia e Procchio), al contatto
tra granito e aureola, si trovano molti
filoni pegmatitici. Nelle cavità di queste
pegmatiti sono stati trovati bellissimi
cristalli di tormalina policroma, di
berillo acquamarina e altri minerali che
hanno reso famosa l’Isola d’Elba . Oggi li
possiamo ammirare nei musei di tutto il
mondo e anche al MUM di San Piero.
LA MONTAGNA GEMELLA
Torniamo al mito. Sembra che ben
prima che gli Etruschi si stabilissero
nella nostra regione, gli Argonauti
passassero dall’Isola d’Elba.
Nel loro girovagare per il
Mediterraneo, Giasone e gli altri
eroi si fermarono anche nell’isola di
Samotracia (Mar Egeo) per rendere
omaggio agli dei. La montagna più alta
dell’isola è costituita da un plutone
granitico simile a quello del Monte
Capanne e, forse non a caso, Ploutōn
era una delle divinità più venerate a
Samotracia. Chissà se gli Etruschi non
si fermarono in Toscana anche per
questo, per nostalgia della montagna
gemella!
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
37
5.2 Elbaite & Co.
I MINERALI DELLE PEGMATITI DI SAN PIERO
ELBAITE, LA REGINA DEI MINERALI
San Pietroburgo, giugno 1913, il famoso
mineralogista-geochimico russo
Vladimir Ivanovich Vernadsky invia, alla
prestigiosa rivista scientifica tedesca
Zeitschrift für Kristallographie, un
manoscritto sulla cristallochimica del
gruppo della tormalina. Nasce l’elbaite.
Vernadsky, studiando dei cristalli di
tormalina rosa trovati nelle pegmatiti
di San Piero all’Isola d’Elba identifica gli
elementi chimici che la costituiscono:
litio, boro, sodio, alluminio, silicio,
ossigeno e idrogeno. Grazie alle sue
conoscenze di chimica e fisica (era
allievo di Mendeleev, l’ideatore della
Tavola Periodica degli elementi), e ad
una notevole capacità di astrazione,
riesce ad immaginare come questi
elementi sono distribuiti nella struttura
cristallina di questo minerale, ben prima
che la diffrazione a Raggi X diventi una
routine. Vernadsky non ebbe dubbi,
la tormalina di litio e sodio si doveva
chiamare elbaite perchè era dall’Isola
d’Elba che, a quel tempo, provenivano
gli esemplari più belli con cristalli
policromi verdi, gialli e rosa. Grazie ai
moderni metodi di indagine, oggi conosciamo in dettaglio la cristallochimica di
questo complesso gruppo di minerali, ma, come vedremo, le tormaline dell’Isola
d’Elba continuano a sorprendere collezionisti e scienziati. Quando il magma
pegmatitico inizia a cristallizzare, la prima tormalina che si forma è nera, ricca di
ferro, e cresce in competizione con i cristalli di quarzo, ortoclasio e plagioclasio.
Il nome di questa tormalina ferrifera, povera di litio, è schorl. Si forma così la parte
compatta del filone pegmatitico. Molti dei filoni pegmatitici che incontriamo nel
plutone granitico del Monte Capanne sono interamente massivi, macchiettati di
schorl nero, e purtroppo privi di cristalli di elbaite. Nella zona di San Piero-Sant’Ilario
però è andata in modo diverso. Il magma pegmatitico, cristallizzando, non riuscì a
chiudere tutto lo spazio disponibile e nella parte assiale dei filoni restarono degli
spazi vuoti: i geodi. In queste cavità i cristalli dei vari minerali crebbero indisturbati
acquisendo le forme eleganti che vediamo negli esemplati esposti nei musei. È in
questo momento che avviene qualcosa di straordinario: i cristalli di tormalina nera
della porzione massiva della pegmatite appena si affacciano nel geode cambiano
colore. Il colore passa, senza soluzione di continuità, da nero, a marrone-verde, a
verde, a giallo, e infine a rosa. In alcuni casi la terminazione dei cristalli è acroica.
Il passaggio dalla zona massiva al geode avvenne quando il ferro del fluido
magmatico si stava esaurendo e la tormalina, per crescere, dovette arrangiarsi
con quello che era rimasto nel fluido residuale: litio, sodio, boro, alluminio, silicio,
ossigeno e idrogeno. È così che si formano, a temperature decrescenti comprese tra
600 e 300°C, i cristalli policromi della regina dei minerali: l’elbaite. Si tratta di uno
dei minerali più ricercati per fini collezionistici come pure in campo gemmologico.
Chi fu a trovare il primo cristallo di elbaite a San Piero? Non lo possiamo sapere,
probabilmente un contadino della zona, magari un etrusco. Il primo scienziato
che ne parla è Deodat de Dolomieu nel 1785 e poi, a partire dall’occupazione
francese dell’isola all’inizio del XIX secolo, fu un susseguirsi di naturalisti, geologi e
mineralogisti che vennero in pellegrinaggio a San Piero per vedere e accaparrarsi
i cristalli policromi di quella che poi diventerà l’elbaite. Gli abitanti di San Piero
38
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
diventarono esperti nello scoprire
e scavare i filoni pegmatitici; il più
famoso fu Luigi Celleri, in attività nella
seconda metà del 1800. Ancora oggi,
andando a cercare nei detriti delle
antiche cave di pegmatite intorno
a San Piero è possibile trovare dei
cristalli di elbaite policroma. Alcuni
fortunati collezionisti, strisciando nella
fitta macchia mediterranea, hanno
ritrovato esemplari di elbaite perduti
o dimenticati dai cavatori, forse dal
Celleri! Ai meno fortunati non resta che
visitare il Museo MUM di San Piero o i
musei universitari di Firenze e Pisa.
Elbaite, cristallo policromo di 3 cm associato a quarzo, ortoclasio, albite e lepidolite. Grotta d’Oggi,
San Piero (Collezione Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa; Foto©Dini).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
39
GROTTA D’OGGI:
LO SCRIGNO DELL’ISOLA
Da San Piero, guardando verso nord in direzione di
Sant’Ilario, si nota sul fondo del Fosso Bovalico una spalla
di granito incisa da una piccola cava. Si tratta della cava di
pegmatite di Grotta d’Oggi, la prima ad essere stata scavata
e una delle ultime ad essere abbandonata. Il granito è
attraversato da grandi filoni di pegmatite da cui sono stati
estratti eccezionali esemplari di elbaite policroma, berillo
blu (var. acquamarina) rosa (var. morganite) e incolore
(var. goshenite), granato spessartite rosso e arancione.
Sembra che alcuni cristalli siano stati sfaccettati e donati al
Granduca di Toscana. Nei cinque filoni pegmatitici di Grotta
d’Oggi furono scoperte cavità insolitamente grandi e ricche
di cristalli. Nella seconda metà del 1800, Luigi Celleri scavava
a Grotta d’Oggi per conto del collezionista fiorentino Giorgio
Roster, quando scoprì una cavità talmente grande che per
vedere i cristalli al suo interno ci fu bisogno di una candela!
In quel periodo furono costituite le famose collezioni Roster
e Foresi che poi confluirono nella collezione dell’istituto
di Studi Superiori di Firenze. Oggi possiamo ammirarle,
compresi gli esemplari del geode della candela, nel Museo
“La Specola” dell’Università di Firenze.
In alto:
Granato spessartite - cristallo rombododecaedrico di 1,5 cm su
cristalli di albite, San Piero (Coll. Pezzotta, Foto©Miglioli).
In basso:
Berillo varietà acquamarina - cristallo prismatico esagonale di 1,5
cm su cristalli di ortoclasio, San Piero (Coll. e Foto©Dini)
40
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
L'antica cava di Grotta d'Oggi nel Fosso Bovalico.
In secondo piano il paese di Sant'Ilario. Foto©Dini
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
41
Sezione della parte assiale di un filone
pegmatitico della zona di Grotta d’Oggi
(Foto©Dini). La parte riempita di argilla marrone è
un geode. Le pareti della cavità sono tappezzate
da grossi cristalli di ortoclasio color bianco-rosa,
albite azzurrina, quarzo grigio-fumé e lepidolite
grigio-violacea. In questa foto si osserva molto
bene l’evoluzione chimica della tormalina che
da nera (schorl) nella parte massiva diventa
progressivamente più ricca in litio e povera in
ferro (parte verde; elbaite ricca di manganese) per
poi diventare elbaite pura (parte rosa) nella cavità.
Purtroppo questo geode era stato invaso dal
detrito superficiale e dalle radici e alcuni cristalli di
elbaite sono stati danneggiati. Da alcuni anni sono
state sviluppate delle tecniche di restauro che, nel
caso siano stati recuperati tutti i pezzi flottanti,
permettono di riassemblare i cristalli danneggiati
sulla loro matrice. Nel passato, centinaia di
esemplari fratturati sono andati irrimediabilmente
persi, come testimoniato dalle migliaia di
frammenti di cristalli di elbaite conservati nei
musei di mineralogia di Firenze e Pisa.
Luigi Celleri nel 1899 a Grotta d’Oggi.
Riproduzione di una foto di Giovanni D’Achiardi.
42
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
43
Le pegmatiti di San Piero si
caratterizzano per l’alto contenuto
in litio, cesio e altri metalli rari come
tantalio, niobio, stagno, tungsteno. Il
litio è contenuto nella lepidolite, nella
petalite e nell’elbaite; il cesio nella
pollucite. La pollucite è stata scoperta
per la prima volta al mondo nel 1846 in
queste pegmatiti. Era spesso associata
ad un altro minerale, anch’esso ritenuto
una nuova specie, e perciò denominato
“castorite” (per ricordare Castore e
Polluce, i gemelli del gruppo degli
Argonauti). Purtroppo, il minerale era
già stato descritto in precedenza in
un’altra località svedese. Il nome petalite
mantenne la priorità e il “polluce”
elbano rimase senza fratello gemello.
Pollucite - frammento di 3 cm, parzialmente corroso, residuo
di un grosso cristallo icositetraedico, San Piero (Coll. Museo di
Storia Naturale dell’Università di Pisa, Foto©Dini).
Petalite - cristallo prismatico tabulare corroso (4 cm), San
Piero (Coll. e Foto©Miglioli).
Lepidolite - aggregato a rosa di cristalli lamellari (4 cm) con ortoclasio,
albite e quarzo, San Piero (Coll. Lorenzoni, Foto©Dini).
Elbaite - cristallo di 1 cm con ortoclasio, albite e quarzo,
Grotta d'Oggi (Coll. e Foto©Miglioli).
44
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Elbaite - cristallo policromo (1,5 cm) su albite e quarzo, San
Piero (Coll. e Foto©Lorenzoni).
Berillo rosa (varietà morganite) - cristallo prismatico esagonale
di 1,5 cm su albite, associato ad un cristallo biterminato
di elbaite, San Piero (Coll. Pezzotta, Foto©Miglioli).
Elbaite - cristallo prismatico di 1,5 cm associato a quarzo, ortoclasio e albite, San Piero
(Coll. e Foto©Lorenzoni).
Berillo incolore (varietà goshenite) - cristallo di (1,5 cm) con
elbaite verde e quarzo, San Piero (Coll. e Foto©Dini).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
45
In alto a sinistra: Zircone - cristalli prismatici
geminati (2 mm), San Piero
(Coll. e Foto©Orlandi).
In alto a destra: Microlite - cristalli ottaedrici
modificati da facce di rombododecaedro (1
mm), San Piero (Coll. e Foto©Orlandi)
Al centro: Cristalli prismatici-tabulari,
geminati (1 mm) di un minerale del gruppo
policrasio-euxenite, San Piero (Coll. e
Foto©Orlandi).
Cassiterite - cristalli di 5 mm con abito complesso.
(Coll. Lorenzoni, Foto©Dini)
Guardando al microscopio gli esemplari
pegmatitici di San Piero scopriamo un
mondo nascosto fatto di microscopici
cristalli di zircone, microlite, cassiterite,
euxenite, uranopolicrasio, manganocolumbite,
ixiolite, woodginite, etc.
Tutti minerali che contengono metalli
rari come zirconio, tantalio, stagno,
niobio, uranio, cerio, torio, ittrio,
tungsteno e afnio.
46
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Diversità mineralogica in un cristallo.
Tormalina policroma di 3 cm con
lepidolite, ortoclasio e quarzo
(Valle dei Forcioni, Coll. e Foto©Dini).
Lungo lo stesso cristallo troviamo quattro
specie mineralogiche distinte. Alla
base tormalina nera ferrifera (schorl) che
passa rapidamente a elbaite verde.
Il contenuto di manganese aumente e
la parte centrale del cristallo è classificabile
come tsilaisite. Il manganese poi
cala e la parte verde chiaro-rosa è di
nuovo elbaite. La fascia incolore sotto la
terminazione contiene pochissimo sodio
ed è classificabile come rossmanite.
Da notare la bella alternanza di bande
azzurre che precedono la formazione del
"cappello" blu scuro, ferrifero (schorl).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
47
La lista dei minerali trovati nelle pegmatiti elbane è
lunghissima. In questo capitolo vi abbiamo fatto vedere e
raccontato una minima parte delle meraviglie del sistema
pegmatitico di San Piero. Le “letture consigliate” alla fine del
volume vi permetteranno di approfondire l’argomento.
POLO ANALOGO (+)
POLO ANTILOGO (-)
La tormalina è un minerale polare privo di centro di simmetria
ed è quindi caratterizzato da momento di dipolo elettrico.
Ben prima di conoscere la struttura atomica del minerale, i
mineralogisti del 1800 lo avevano capito grazie all’osservazione
delle proprietà piroelettriche e piezoelettriche del minerale,
come pure dalla diversa morfologia delle terminazioni dei
cristalli. Il polo antilogo (negativo) dei cristalli ha in genere una
terminazione più acuta rispetto alla terminazione più piatta del
polo analogo (positivo). I disegni mostrano alcune tormaline
elbane studiate da Gerhard Vom Rath nel 1870.
48
Elbaite - particolare di uno dei grandi pezzi estratti
da Luigi Celleri dal geode della Candela a Grotta
d’Oggi. L’esemplare misura 30x20x20 cm e contiene
50 cristalli di tormalina, alcuni lunghi fino a 8 cm
(#E4973 - Coll. e Foto Museo “La Specola”, Sistema
Museale Università di Firenze).
49
5.3 Cocktail
Magmatico
MEGACRISTALLI E INCLUSI MAFICI
A CAPO SANT’ANDREA
Sabbia di quarzo sotto i piedi, il sole che batte implacabile e il
mare azzurro che vi chiama: ma questa volta lo fate aspettare.
Camminando lungo la spiaggia di Sant’Andrea vi dirigete
verso la scogliera di granito, oltre il pontile di cemento. Vi state
per immergere in uno degli affioramenti di rocce granitiche
più conosciuto del pianeta. Scienziati e studenti universitari
di tutto il mondo passano di qua da almeno un paio di
secoli, per vedere lo spettacolo dei grandi cristalli bianchi
di ortoclasio che “nuotano” nella massa granitica. Questi
cristalli sono così grandi che vengono chiamati megacristalli
per sottolinearne le inusuali dimensioni: fino a 20 cm di
lunghezza, grandi come una mano stesa! I megacristalli
mostrano una perfetta geometria prismatica-tabulare e facce
cristallografiche nette che spesso l’erosione marina mette in
evidenza. Gli studi più recenti ci dicono che si sono formati a
grande profondità, prima che il magma risalisse attraverso
la crosta e si intrudesse a sei chilometri sotto la superficie,
formando il plutone granitico del Monte Capanne. I grandi
cristalli di ortoclasio quindi fluivano veramente, come pezzi di
legno nelle linee di flusso e nei vortici di un fiume. Il magma
è molto più viscoso dell’acqua e il suo movimento in genere
è estremamente caotico. Osservando le pareti di roccia
con centinaia di megacristalli per metro quadrato, vedrete
zone dove i cristalli sono allineati, altre dove sottolineano
vortici e infine zone dove sembrano essere disposti in modo
disordinato. Camminando verso la punta estrema di Capo
Sant’Andrea noterete che quelle strane masse di roccia scura,
arrotondate, che avete già osservato insieme ai megacristalli,
aumentano di numero e dimensione. Cambia anche il
colore. Alcuni sono scurissimi, quasi neri, altri sfumano
verso toni di grigio più chiaro, ve ne sono alcuni che sono
appena più scuri del granito. Tutti comunque mostrano una
grana estremamente fine. Sono inclusi “microgranulari
mafici”. Sostanzialmente si tratta di “gocce” di magma
meno ricco di silice rispetto al granito, forse originatosi nel
mantello, e poi mescolatosi con il magma granitico mentre
risaliva lungo il condotto magmatico. Malgrado la diversa
temperatura e viscosità, i due magmi riuscirono a mescolarsi
meccanicamente ma senza miscelarsi completamente. Per
questo oggi vediamo le “gocce” di roccia mafica disperse nella
roccia granitica felsica.
Se siete osservatori pazienti riuscirete a individuare delle
zone dove i megacristalli del granito sono riusciti a penetrare
all’interno degli inclusi mafici, con tutti i passaggi intermedi:
da megacristalli appoggiati agli inclusi, a quelli penetrati per
pochi centimetri a quelli totalmente inglobati nell’incluso
e che si sono tirati dietro una scia di cristalli più piccoli del
magma granitico. Questa contaminazione meccanica è
avvenuta probabilmente lungo il condotto magmatico quando
entrambi i magmi potevano fluire liberamente.
50
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
La parete verticale alle spalle di Capo
Sant’Andrea mostra un bellissimo cocktail
di magma felsico granitico e magma
mafico, con migliaia di megacristalli
di ortoclasio che fluiscono in mezzo
(Foto©Dini).
Dettaglio del granito a Capo Sant’Andrea
con i grossi megacristalli di ortoclasio e
alcuni piccoli inclusi mafici (Foto©Dini).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
51
5.4 La tavolozza
oceanica
LE RODINGITI DI PUNTA POLVERAIA
Un posto dove venire al tramonto, ma non all’ultimo momento
con il sole già dietro la Corsica. Meglio arrivare prima, a Punta
Polveraia, quando il cielo è ancora azzurro e il mare sfuma dal
blu al verde scuro, per gustarsi lo spettacolo delle variazioni
cromatiche tra giorno e notte. Qualche cirro di alta quota
che si tingerà di rosa quando l’orizzonte sfumerà sui toni
dell’arancio, e siamo pronti per la lezione di pittura. Sotto
il faro di Punta Polveraia, la scogliera di roccia scura, verde
quasi nera, cede lentamente il calore mentre ci godiamo
lo spettacolo. Roccia del colore della pelle di certi serpenti,
appunto, la serpentinite. Un pezzo di mantello oceanico che,
nel Giurassico, 150 milioni di anni fa, si trovava sul fondo
dell’Oceano Ligure-Piemontese e oggi si ritrova a far parte
della crosta continentale toscana e per di più appiccicato
ad un plutone granitico! Succedono cose strane quando le
placche tettoniche si muovono, sia quando si allontanano
generando nuovi oceani, sia quando convergono formando le
catene montuose. La serpentinite di Punta Polveraia si formò
quando la peridotite del mantello venne idratata dall’acqua
di mare lungo la dorsale dell’oceano giurassico. Olivina e
pirosseno (minerali anidri) si trasformarono in lizardite un
minerale che contiene il 13% in peso di acqua. Nella crosta
oceanica, la peridotite è sempre associata ad altri due tipi
di roccia: gabbro e basalto. Se la peridotite era stata intrusa
52
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Lenti di rodingite nella massa di metaserpentinite
di Punta Polveraia (Foto©Dini).
da dicchi di gabbro, al momento della reazione con l’acqua di mare,
avviene una reazione di scambio chimico tra le due rocce che produce
una delle rocce più belle del pianeta: la rodingite. Il gabbro, una roccia
costituita da plagioclasio bianco e pirosseno verde-grigio, si trasforma
in rodingite diventando rosa-arancio (granato), verde smeraldo
(pirosseno), verde-azzurro (clinocloro), marrone (vesuviana), biancoverde
(prehnite). A Punta Polveraia, le serpentiniti inglobano alcune
lenti di rodingite creando un contrasto cromatico fantastico tra
l’esplosione di colori rodingitica e la scura massa serpentinitica.
La tavolozza di colori oceanici della rodingite
(Foto©Dini)
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
53
Sette milioni di anni fa, quando ormai
la serpentinite era stata strappata
dal fondo oceanico e implicata
nella catena montuosa del paleo-
Appennino, arrivò il magma granitico
del Monte Capanne. Il calore ceduto dal
magma fece “evaporare” buona parte
dell’acqua intrappolata nei minerali
della serpentinite trasformandola in
metaserpentinite e ricristallizzando
parzialmente le lenti di rodingite. I fluidi
acquosi migrando nelle fessure della
roccia produssero delle vene di minerali
idrotermali: soprattutto epidoto verde
chiaro e granato rosso e arancio. Nella
metaserpentinite di Punta Polveraia e
di Punta della Fornace (poco a sud), si
possono trovare fessure tappezzate da
bei cristalli di epidoto. Nei metabasalti,
sempre associati alla metaserpentinite
(zona tra Pomonte e Fetovaia), sono
frequenti fessure con cristalli di granato,
clorite, titanite, albite e alcune volte
tormalina nera, ferrifera.
Epidoto – cristalli prismatici complessi (1,5
cm) associati a anfibolo fibroso grigio-verde;
Mortigliano (Coll. Lorenzoni, Foto©Dini).
54
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Granato – cristalli icositetraedrici (0,7 cm)
su metabasalto; Pomonte
(Coll. e Foto©Dini).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
55
5.5 Forme uniche
IL GRANATO OTTAEDRICO DELL’AFFACCATA
Il granato è un minerale molto diffuso
nelle rocce della crosta terrestre
soprattutto in quelle metamorfiche e
idrotermali-metasomatiche. Costituisce
spesso esemplari appariscenti
ed estetici con cristalli idiomorfi
rombododecaedrici e icositetraedrici
di colore variabile da nero, a rosso,
ad arancio, ma talvolta anche verde,
violetto, giallo e rosa. Insomma,
uno dei minerali più ricercati dai
curatori dei musei e dai collezionisti
di minerali. Cercate pure su internet,
troverete cristalli rombododecaedrici e
icositetraedrici di granato in migliaia di
località del mondo ma solo quelli trovati
nelle rodingiti del versante orientale
del Monte Capanne all’Isola d’Elba
sono di forma ottaedrica. Una forma
cristallografica possibile in tutti i granati
del mondo ma che, per qualche motivo
che non conosciamo, si manifesta solo
in questo particolare tipo di granati
elbani.
Nel 1859 il sanpierese Giuseppe Pisani
scoprì i primi granati ottaedrici a Colle
di Castiglioni (sotto San Piero). Alla metà
degli anni 1870 fu la volta di Luigi Celleri,
il quale individuò una lente di rodingite
con cristalli di granato ottaedrico in
località L'Affaccata, lungo la mulattiera
che scende da Sant’Ilario alla Pila.
Non si tratta di campioni eclatanti,
i cristalli sono piccoli (in genere
pochi millimetri), ma l’insolito abito
cristallografico attirò immediatamente
l’interesse dei mineralogisti italiani e
stranieri. Le rodingiti che li ospitano
sono simili a quelle di Punta Polveraia,
ma la deformazione tettonica subita
dall’aureola di contatto sul versante
orientale del plutone del Monte
Capanne le ha fratturate intensamente
creando lo spazio per far crescere
i cristalli di granato. Alla forma
ottaedrica si associa spesso quella
rombododecaedrica e si osservano
cristalli con abito misto, senza soluzione
di continuità tra i due estremi. I cristalli
hanno una composizione chimica
corrispondente alla grossularia (la
specie di calcio e alluminio del gruppo
dei granati). Nelle fessure il granato
rosa-arancio-giallo è associato a
cristalli di clorite verde e epidoto verde
pistacchio.
56
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Granato – tipico cristallo ottaedrico di 4
mm associato a cristalli lamellari di clorite,
Affaccata (Coll. Museo di Storia Naturale
Università di Pisa, Foto©Orlandi). Le quattro
piccole facce sul vertice del cristallo
sono di icositetredro.
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
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L’antica trincea scavata da Celleri in
località l’Affaccata. Sullo sfondo il paese di
Sant’Ilario (Foto©Dini).
Granato – cristalli fino a 1 cm associati a clorite, Affaccata, Sant’Ilario
(Coll. e Foto©Dini). Le facce triangolari e trapezoidali satinate sono di
ottaedro, quelle lucide ondulate di rombododecaedro.
58
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Blocco di rodingite raccolto nella trincea dell’Affaccata (Foto©Dini).
Una delle superfici è coperta da piccolissimi cristalli di granato ottaedrico.
Abiti osservati nei cristalli di granato dell’Affaccata.
Epidoto –cristalli prismatici fino a 3 cm
associati a cristalli lamellari di clorite,
Affaccata (Coll. Museo di Storia Naturale
Università di Pisa, Foto©Dini).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
59
Le fessure dove sono stati trovati i cristalli di quarzo gommoide sulla scogliera
di Colle di Palombaia. Le fessure cristallizzate passano lateralmente a vene
compatte di quarzo dall’aspetto cariato. Le rocce incassanti sono costituite da
marmi e metadiaspri iniettati di piccole intrusioni granitiche (Foto©Dini).
60
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Cristallo trasparente, sfaccettato, con spigoli
e vertici vivi che creano straordinari giochi di
luce e di rifrazioni interne. Questo è il quarzo
nell’immaginario comune, il minerale più
comune nella crosta terrestre e, probabilmente,
il minerale che tutti saprebbero riconoscere.
L’Isola d’elba ne è disseminata di questi
cristalli, ialini, bianchi, verdi, ametista, e poi
quelli arrossati dagli idrossidi di ferro. Ma
nella Terra degli Etruschi non poteva mancare
qualcosa di insolito anche a proposito di un
minerale così comune. Cristalli di quarzo dal
bel prisma esagonale, ordinari e spigolosi
nella parte inferiore, che però, salendo verso
la terminazione, mostrano una progressiva
curvatura degli spigoli e delle facce. Facce e
spigoli tanto più curvi quanto più vicini all’apice,
tanto che le sommità dei cristalli talvolta
terminano a cupola, come gocce di cristallo fuso
lucentissime. Quarzi gommoidi. Così furono
definiti, subito dopo essere stati scoperti dal
solito Celleri e studiati dal mineralogista Luigi
Bombicci (1869). Il Celleri si adirò tantissimo
quando il geologo pisano Giuseppe Meneghini
ventilò l’ipotesi che le terminazioni fossero
state arrotondate artificialmente e, da buon
sanpierese sanguigno, soprannominò il
professore “testa secca”! Malgrado la non
particolare bellezza, questi cristalli furono al
centro di un’accesa discussione riguardo i motivi
della strana forma che ancora oggi continua ad
essere unica al mondo. Alcune facce curve sono
state osservate in cristalli di quarzo brasiliani,
delle Alpi, russi ma mai la perfetta e lucida
curvatura di tutta la parte terminale del cristallo
come a Colle di Palombaia.
IL QUARZO “GOMMOIDE” DI PALOMBAIA
5.6 Misteri
della cristallizzazione
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
61
Tre furono le ipotesi proposte per
spiegare l’insolita forma: 1) fusione dei
cristalli per aumento di temperatura, 2)
dissoluzione dei cristalli per reazione
con fluidi idrotermali acidi e 3) crescita
di innumerevoli facce con angoli
degradanti che simulano appunto una
superficie curva. La prima delle ipotesi
fu subito scartata perché per fondere
il quarzo è necessario raggiungere
temperature di circa 1700°C. Sulle altre
due ipotesi la comunità scientifica,
come al solito, si divise. Il Bombicci e i
mineralogisti pisani si schierarono a
favore dell’origine primaria (crescita
di innumerevoli facce degradanti)
mentre il geologo tedesco Gerhard
Vom Rath e il collega olandese Gustaaf
Molengraaff appoggiarono l’origine
secondaria (dissoluzione successiva
alla formazione). In favore dell’origine
primaria sta il fatto che la curvatura
non interessa tutti gli spigoli dei cristalli
e che nello stesso geode possono
coesistere cristalli con terminazione
curva e normale. Nel caso di una
dissoluzione per passaggio di fluidi
acidi, tutti i cristalli dovrebbero essere
stati modificati. All’epoca comunque
la disputa non era risolvibile. Oggi,
con i moderni microscopi elettronici
a emissione di campo e i microscopi
a forza atomica si potrebbe studiare
le strane superfici curve alla scala
nanometrica e magari ottenere i dati
scientifici necessari a dirimere la
questione.
Gruppo di cristalli di quarzo gommoide fino a 4 cm
(Coll. Lorenzoni, Foto©Dini).
62
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Dettaglio di una terminazione a cupola di un cristallo di quarzo di
Colle di Palombaia (Coll. e Foto©Dini).
Due cristalli di quarzo (circa 4 cm) trovati nella stessa vena
idrotermale di Colle di Palombaia, a pochi metri di distanza
uno dall'altro (Coll. e Foto©Dini). Il cristallo di sinistra è del tipo
gommoide, quello di destra presenta il normale abito con facce
e spigoli definiti.
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
63
5.7 Fluidi in fuga
LE NUOVE TORMALINE DI SAN PIERO
Nel 1800 l’Isola d’Elba era la località
più famosa al mondo per la tormalina
grazie ai suoi eleganti cristalli
policromi. Non a caso quando nel
1914 Vernadsky la caratterizzò come
termine estremo di litio, alluminio e
sodio di questo complesso gruppo di
minerali, la chiamò elbaite. A partire
dalla fine del 1800 e poi con l’inizio del
XX secolo, vennero scoperti bellissimi
cristalli di elbaite in altre pegmatiti
del mondo: Russia, California, Brasile,
64
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Afghanistan, Madagascar, Mozambico
solo per citare le principali. Questi
filoni pegmatitici erano molto più
grandi di quelli elbani e così pure le
cavità cristallizzate che producevano
cristalli di tormalina molto più
grossi suscettibili di essere lavorati
per il mercato gemmologico. La
globalizzazione e la diffusione
dei campioni di elbaite straniera
sia in ambito gemmologico che
collezionistico ha offuscato un po'
gli esemplari elbani. Tuttavia, dopo
la chiusura delle cave elbane, la
rarità degli esemplari disponibili e
soprattutto il delicato equilibrio tra
dimensione, morfologia e colore dei
cristalli, e la varietà e qualità degli
altri minerali associati li ha resi
oggetti esclusivi, molto desiderati dai
collezionisti e dai curatori di museo
più raffinati. Volete mettere avere
nella collezione un esemplare di
elbaite elbana , cioè della località tipo
dove è stata identificata, piuttosto che
un campione, magari più bello, ma
proveniente da un’anonima miniera
brasiliana?
In alto: L’affioramento di meta-serpentinite sotto la Cappella di
San Rocco (San Piero) con le fessure tappezzate da cristalli neri
di magnesiolucchesiite (Foto©Dini).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
65
Ma la storia non poteva finire così, con l’Elba relegata
ad una posizione di nicchia. Negli ultimi dieci anni, la
diversità geo-mineralogica elbana si è presa la rivincita.
Grazie al lavoro fatto da un team di ricercatori guidato da
Ferdinando Bosi (Università La Sapienza, Roma) e Federico
Pezzotta (Museo Civico di Storia Naturale di Milano) sono
state identificate cinque nuove specie del gruppo della
tormalina. L’area pegmatitica di San Piero-Sant’Ilario è così
diventata la zona del pianeta con maggiore diversità per
quanto riguarda il gruppo della tormalina: dieci specie che
coesistono in pochi chilometri quadrati, di cui sei scoperte
all’Elba . Le prime due (tsilaisite e fluor-tsilaisite) sono state
identificate studiando attentamente l’evoluzione chimica
della porzione verde dei bellissimi cristalli policromi
ritenuti essere costituiti da sola elbaite. La formazione
delle altre tre specie nuove (uvite, magnesiolucchesiite
e celleriite) è collegata alla evoluzione tardiva dei filoni
pegmatitici. Al termine della cristallizzazione del magma
pegmatitico, buona parte del boro presente era stato
incorporato nei cristalli policromi neri-verdi-gialli-rosa
di tormalina ma una certa quantità era rimasta nel fluido
acquoso residuale dei geodi. Il nostro pianeta è dinamico
e basta una piccola sollecitazione tettonica o una sovrapressione
per fratturare la pegmatite e farne fuggire i fluidi
residuali. Uscendo dal filone pegmatitico, i fluidi trovarono
rocce di ogni tipo (meta-serpentiniti, anfiboliti, graniti,
hornfels pelitiche), con cui reagirono arricchendosi di nuovi
elementi chimici e precipitando tormalina lungo le fratture
attraversate. Le rocce incontrate potevano contenere molto
magnesio (meta-serpentiniti) o molto calcio e un po' di
magnesio (anfiboliti), o anche una significativa quantità di
ferro e poco magnesio e calcio (granito, hornfels pelitiche).
Nelle serpentiniti si formò la magnesiolucchesiite o la più
comune dravite e nelle anfiboliti l’uvite. Molti dei filoni
pegmatitici di San Piero sono incassati nel granito ricco di
biotite ferrifera e i fluidi in “fuga” più “lenti” si arricchirono
solo di ferro, formando vene di comune tormalina ferrifera:
lo schorl. I fluidi fuggitivi, ormai arricchiti in ferro,
ebbero l’occasione di rientrare nella pegmatite fratturata
producendo una sovracrescita di tormalina ferrifera sui
cristalli di elbaite: il “cappello” nero che caratterizza le
cosiddette tormaline a “testa di moro”. In un caso i fluidi
residuali reagirono con un minerale ricco di manganese
(granato spessartina) creando dei “cappelli” violacei di una
nuova tormalina manganesifera: la celleriite.
Un’ultima nota. Le nuove specie magnesiolucchesiite e
uvite si presentano in cristalli neri del tutto simili a quelli
della comune tormalina ferrifera e come tali catalogati
nelle collezioni mineralogiche da oltre due secoli. Solo
l’intuizione degli scienziati ne ha permesso l’identificazione
rivelando così la complessa storia di reazioni chimiche tra
rocce e fluidi.
Magnesiolucchesiite - cristalli prismatici di 1 cm terminati da
facce di romboedro cresciuti su un tappeto di cristalli di anfibolo;
San Rocco, San Piero (Coll. e Foto©Biagioni).
66
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Cristallo di 2 cm di elbaite verde-gialla con sovracrescita nera di schorl
(testa di moro) da un filone pegmatitico di Grotta d’Oggi, San Piero
(Coll. Museo di storia naturale dell'Università di Pisa; Foto©Lorenzoni).
Uvite – cristalli prismatici fino a 7 mm terminati da facce
di romboedro; Facciatoia, San Piero (Coll. e Foto©Dini).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
67
5.8 Rimedi
naturali
LA MAGNESITE DI SAN PIERO
Il cambiamento climatico in corso è un fatto incontrovertibile
che gli scienziati e molte associazioni ambientaliste hanno
posto all’attenzione pubblica da molti decenni. Negli
ultimi anni, i dati scientifici, il chiaro aumento di eventi
metereologici estremi e la riduzione dei ghiacci nelle aree
polari e di alta montagna hanno creato una crescente
consapevolezza sia nelle popolazioni sia tra i decisori politici.
Cosa fare? Non esiste una soluzione unica. L’international
Panel on Climate Change (IPCC) ha definito una strategia
integrata che include l’abbandono progressivo delle fonti
energetiche fossili, il forte aumento di fonti di energia
rinnovabili (es. solare, eolico, geotermia) e la rimozione di CO 2
dall’atmosfera o da zone di emissione puntuale mediante
riforestazione e sequestro mineralogico/geologico.
Quest’ultimo è un processo che prevede di immagazzinare
la CO 2
all’interno di strati profondi della crosta terrestre
(sequestro geologico) o, ancor meglio, di sequestrare
definitivamente la CO 2
all’interno della struttura cristallina di
alcuni minerali. Il sequestro mineralogico si ottiene facendo
reagire silicati e ossidi di magnesio, ferro e calcio con acqua e
anidride carbonica in modo da far precipitare carbonati.
Il gruppo di lavoro guidato da Chiara Boschi, ricercatrice
dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR, è da molti
anni che sta studiando alcuni giacimenti di carbonato di
magnesio (magnesite) ospitati nelle rocce serpentinitiche
toscane. La magnesite non ci dovrebbe stare nelle
serpentiniti. Come mai in Toscana, molti milioni di tonnellate
di serpentinite si sono trasformati spontaneamente in
magnesite? Le ricerche svolte finora non hanno risolto tutti
gli aspetti di questa complessa reazione idrotermale ma
hanno stabilito chiaramente che la serpentinite fratturata può
essere infiltrata naturalmente da acqua e anidride carbonica
trasformando i silicati di magnesio in una nuova associazione
mineralogica costituita da minerali argillosi e opale (silice
amorfa). Buona parte del magnesio della serpentinite va in
soluzione e, reagendo con la CO 2
, precipita grandi quantità di
magnesite all’interno delle fratture. Se riusciremo a replicare
questo processo a livello industriale, avremo uno strumento
in più per mitigare il cambiamento climatico in atto.
All’Isola d’Elba sono presenti piccoli giacimenti di magnesite
nelle rocce serpentinitiche dell’aureola di contatto del plutone
del Monte Capanne. Soprattutto nella zona tra Procchio e Colle
di Palombaia ma anche nella zona di Bagno e Punta Polveraia.
La magnesite forma un reticolo di vene bianche che tagliano
la serpentinite, formatesi per interazione con fluidi di bassa
temperatura ricchi di CO 2
. La reazione idrotermale ebbe luogo
dopo la fase di alta temperatura che produsse i graniti, le rocce
metamorfiche e i famosi filoni pegmatitici di San Piero. Nelle
vene, oltre alla magnesite è presente dolomite (carbonato di
calcio e magnesio) e opale (silice amorfa). Questi giacimenti
sono stati sfruttati nei secoli scorsi per produrre materiali per
l’industria dei refrattari e della ceramica. Oggi, camminando
faticosamente in mezzo alla macchia mediterranea o nei
boschi di querce, ci possiamo imbattere in ciò che resta delle
piccole cave dove lavoravano molti cavatori e anche molte
donne addette alla cernita a mano del minerale.
68
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Le cave di magnesite del Caviere (San
Piero) nel 1908, in una foto di Giovanni
D’Achiardi. Oggi tutta l’area è coperta
da un fitto bosco di querce.
La parete di una delle vecchie cave intorno
al paese di San Piero con il reticolo di
vene di magnesite che veniva sfruttato in
passato (Foto©Dini).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
69
70
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Due esemplari di opale estratti nei giacimenti di magnesite di San Piero (Coll. Museo di Storia
Naturale dell’Università di Pisa; Foto©Dini). Il campione bianco traslucido (5 cm) è un tipico esempio
dell’opale trovato nelle vene di magnesite. Quello nero (8 cm) contiene piccoli cristalli di granato
marrone ed è esemplificativo dell’opale che sostituisce le rocce incassanti il giacimento.
Pezzo di serpentinite idrotermalizzata
(15 cm) tagliato da un reticolo
di vene di magnesite bianca, Poggio
Accolta (Foto©Dini).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
71
Elba
Centrale
72
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Il grande sill di Porfido di San Martino a Capo Poro fu prodotto dall’iniezione
di magma granitico nelle rocce sedimentarie già piegate
e fagliate dall’orogenesi Appenninica (Foto©Dini)
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
73
6.1 Elba
Centrale
IL VULCANO MANCATO
EFESTO E LA FUCINA DEGLI DEI
Per gli antichi greci le eruzioni
vulcaniche erano provocate dai Titani.
I Titani combattevano con gli dei
dell'Olimpo e nelle loro tremende
battaglie scuotevano la Terra, la
quale in tutta risposta non poteva
che vomitare il fuoco nascosto
nelle proprie viscere. I vulcani
nascondevano l’officina dove Efesto
forgiava le armi degli dei. La sua
dimora abituale era l’isola vulcanica
di Limnos, nell’Egeo settentrionale,
posta alcune decine di chilometri a
sud di Samotracia, l’isola granitica
dove abitava Ploutōn. Il parallelo tra
Arcipelago Toscano e isole del Mar
Egeo settentrionale torna ancora
una volta. Dalla costa settentrionale
dell’Isola d’Elba, se guardiamo
verso nord-ovest vediamo l’Isola di
Capraia, un vulcano attivo intorno
a sette milioni di anni fa. Oggi è uno
dei sette gioielli del Parco Nazionale
dell’Arcipelago Toscano e uno dei
maggiori misteri per gli scienziati
che studiano l’evoluzione tettonomagmatica
del Tirreno Settentrionale.
Sette milioni di anni fa, mentre a
Capraia i magmi andesitici eruttavano
in superficie, appena 40 chilometri
a sud-est il magma granitico elbano
veniva bloccato a circa sei chilometri
di profondità formando il plutone del
Monte Capanne. La cosa che stupisce
e incuriosisce i geologi non è tanto il
diverso grado di risalita del magma
ma quanto il fatto che mentre a
Capraia la crosta terrestre, con in testa
l’apparato vulcanico, è rimasta quella
di sette milioni di anni fa, all’Elba i
sei chilometri di crosta che stavano
sopra il plutone del Monte Capanne
sono “scomparsi”. Visto che nulla si
crea e nulla si distrugge, ma tutto si
trasforma, gli scienziati della Terra si
sono arrovellati per decenni cercando
una soluzione al mistero.
TREVISAN E MARINELLI:
TITANI SCIENTIFICI
A volte per cambiare le cose non
basta essere competenti, bisogna
anche essere coraggiosi e visionari.
Nel secondo dopoguerra, cambiare
paradigma geologico, dopo che le teorie
autoctoniste di Bernardino Lotti erano
state demolite dai geologi alpini, era
necessario. La carta geologica dell’Isola
d’Elba di Lotti era ancora ampiamente
valida dal punto di vista litologico ma
l’interpretazione tettonica e stratigrafica
doveva essere rivista totalmente. La
complessa sequenza di formazioni
geologiche non era una sequenza
di sedimentazione continua dal
Paleozoico all’Oligocene sottoposta solo
a movimenti e deformazioni verticali.
Gli Appennini, come le Alpi, si erano
formati mediante la sovrapposizione
tettonica di settori di crosta continentale
e oceanica un tempo adiacenti. Interi
pezzi di crosta terrestre si erano spostati
lateralmente per molti chilometri
sovrapponendosi alle sequenze vicine,
scompaginando completamente
l’ordine temporale delle formazioni
geologiche. Era necessario definire
delle sequenze coerenti di formazioni
geologiche (Unità Tettoniche),
individuare le superfici lungo le
quali era avvenuto il movimento di
accavallamento (Contatti Tettonici) e reinterpretare
la storia geologica dell’isola.
Negli anni 1940-50, Livio Trevisan,
geologo dell’Università di Pisa fece
tutto questo ma poi, non contento,
andò oltre. Qui sta la genialità del
personaggio. Dopo aver suddiviso
l’Isola d’Elba in cinque unità tettoniche
(le chiamò Complessi) si accorse che il
quadro geologico era reso ancora più
complicato da alcuni contatti tettonici
anomali. All’Elba e in tutto l’Appennino
le unità tettoniche si sono accavallate
con un movimento di sovrascorrimento
74
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
da ovest a est lungo superfici che
salgono verso est. I contatti tettonici
anomali che osservava all’Isola d’Elba
erano inclinati verso est e tagliavano i
contatti tettonici “normali” tra le unità
tettoniche. Non erano superfici di
accavallamento (i geologi le chiamano
thrusts), erano faglie estensionali a
basso angolo successive alla formazione
della catena appenninica. Faglie che
abbassavano interi settori crostali
facendoli scivolare lateralmente per
chilometri e scoprendo così quello
che ci stava sotto: i plutoni granitici.
La soluzione era stata trovata. All’Elba
i plutoni granitici erano stati esumati
alla superficie facendo scivolare
“gentilmente” verso est i sei chilometri
di crosta che in origine li ricopriva. A
Capraia, chiaramente questa tettonica
estensionale non aveva giocato con
la stessa intensità visto che il livello di
superficie attuale corrisponde a quello
di sette milioni di anni fa. Tra Capraia e
l’Elba c’è qualcosa di misterioso che ne
ha determinato la diversa evoluzione
geologica. Ma questa è un’altra storia
e soprattutto è qualcosa che aspetta
ancora di essere studiato.
Trevisan aveva capito che non bastava
studiare la stratigrafia delle sequenze
sedimentarie e le superfici tettoniche.
Sapeva che le rocce granitiche e le rocce
metamorfiche dell’isola contenevano
delle informazioni molto importanti che
potevano assicurare un salto di qualità
al suo nuovo modello tettonico. È a
questo punto che entra in gioco Giorgio
Marinelli, petrografo dell’Università
di Pisa. Gli studi pionieristici fatti da
Marinelli negli anni 1950 sulle rocce
granitiche elbane innescarono una
ricerca molto più ampia sull’origine
dei magmi della Provincia Magmatica
Toscana (1960-70). Marinelli ipotizzò
che tutte le rocce magmatiche recenti
della Toscana (Miocene-Quaternario)
fossero state prodotte dalla fusione
parziale della crosta continentale
profonda. Il magma ricco di silice
sarebbe poi risalito raggiungendo
diversi livelli crostali. I magmi fermatisi
in profondità avrebbero creato i plutoni
granitici (Monte Capanne, Porto
Azzurro, Montecristo, Giglio, Gavorrano,
Campiglia M.ma) mentre quelli giunti
in superficie avrebbero formato alcuni
complessi vulcanici (San Vincenzo
e Roccastrada). In questa ipotesi
scientifica, i porfidi granitici dell’Elba
Centrale occupavano una posizione
speciale perché avevano caratteristiche
intermedie tra quelle plutoniche
e quelle vulcaniche. Oggi vengono
considerate come intrusioni superficiali
(intruse da 1 a 5 km di profondità) e
classificate come rocce sub-vulcaniche.
Per poco i magmi non arrivarono alla
superficie. Potremmo parlare quindi di
un “vulcano mancato”!
IL VULCANO MANCATO DELL’ELBA
CENTRALE
Non è facile determinare come mai
il magma non ce la fece a eruttare
perché i parametri in gioco sono molti:
profondità della camera magmatica,
volume di magma, condizioni
tettoniche, struttura della crosta
superficiale, etc. All’inizio degli anni
1990, un gruppo di lavoro guidato
dal petrologo Fabrizio Innocenti
(Università di Pisa), allievo di Marinelli,
riprese il lavoro interrotto negli anni
1970 sulle intrusioni subvulcaniche
dell’Elba Centrale. I nuovi dati geologici,
geochimici e geocronologici andarono
a rinforzare l’ipotesi di Trevisan e
definirono una evoluzione magmatica
coerente con la storia geodinamica
dell’area. I porfidi granitici non erano
coevi o addirittura più giovani del
plutone del Monte Capanne, come
sostenuto fino a quel momento. Le
evidenze geologiche e geocronologiche
indicavano chiaramente che si erano
formati prima (tra 8,5 e 7,5 milioni di
anni) e non nella posizione occupata
attualmente. I porfidi granitici intrusi
nelle rocce sedimentarie dell’Elba
Centrale originariamente si trovavano
sulla verticale del plutone del Monte
Capanne il quale li aveva anche intrusi
e deformati. Rappresentano cioè una
parte della sequenza mancante. Mentre
il plutone veniva progressivamente
esumato verso la superficie, i porfidi
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
75
granitici e le loro rocce incassanti
scivolavano lentamente verso est
lungo una faglia a basso angolo. I dati
geochimici e geocronologici ci dicono
che queste intrusioni subvulcaniche
sono state alimentate dai primi
magmi formati durante la fase di
assottigliamento e riscaldamento della
crosta toscana. I magmi riuscirono
a risalire fin quasi alla superficie
formando spettacolari intrusioni
tabulari sub-orizzontali interstratificate
con gli strati di arenaria, calcare e
argillite. Alcune, come il grande laccolite
del Porfido di San Martino raggiungono
700 metri di spessore e 10 km di
estensione laterale. Tuttavia i volumi
in gioco erano troppo piccoli per poter
sperare di arrivare a formare un vulcano
in superficie.
Nel frattempo, la fusione parziale della
crosta profonda produceva sempre
più magma granitico. Malgrado il
maggiore volume di magma formato,
a questo punto la crosta era diventata
più impervia a causa della progressiva
risalita delle isoterme e dei numerosi
“ostacoli” formatisi in precedenza (le
intrusioni tabulari di porfido). Quando
i circa 130 km 3 di magma granitico
del Monte Capanne “decisero” di
risalire (7,4-6,9 milioni di anni), non
riuscirono a superare la base del
complesso laccolitico formato in
precedenza e produssero un grande
plutone circondato dalla sua aureola
metamorfica di contatto.
A differenza del plutone del Monte
Capanne, i porfidi dell’Elba Centrale si
intrusero troppo vicino alla superficie,
in rocce molto meno calde, e non
produssero alcuna aureola metamorfica.
Raffreddando rapidamente, la struttura
porfirica del magma venne mantenuta
e i grossi fenocristalli presenti furono
inglobati in una massa quarzofeldspatica
a grana finissima. Quindi non
ci fu neanche la possibilità di formare
filoni pegmatitici. Insomma, malgrado la
notevole analogia dei magmi, il sistema
sub-vulcanico dell’Elba Centrale generò
una minore geodiversità in termini di
processi minerogenetici e quindi una
minore diversità mineralogica. In ogni
modo, qualche bella sorpresa ce la offre
anche questo settore dell’isola. Non
poteva essere diversamente, all’Isola
d’Elba!
Al centro: A Cala Rossa (Punta dello Zenobito, Isola di Capraia) è esposta la spettacolare sequenza di
scorie di un cono vulcanico attivo 4,5 milioni di anni fa. Il resto dell’Isola fu costruito da eruzioni vulcaniche
più antiche, circa 7 milioni di anni fa. (Foto©Rinaldi)
A destra: Valle di Cala Maestra, Isola di Montecristo. Il granito dell’isola è simile a quello del Monte
Capanne. Anche qui, 7 milioni di anni fa, i magmi non arrivarono alla superficie e formarono un plutone
in profondità (Foto©Rinaldi).
In basso: Intrusioni tabulari (sills) di Porfido di Portoferraio (8 Ma) nelle sequenze sedimentarie di Capo
Fonza, Golfo di Campo, Elba Centrale (Foto©Dini). Queste intrusioni subvulcaniche non hanno prodotto
alcun effetto metamorfico nelle rocce incassanti.
76
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
77
L’Aplite di Capo Bianco - particolare della falesia lungo l’omonima spiaggia.
I noduli sferoidali di tormalina sembrano “galleggiare” e fluire nella massa
quarzo-feldspatica. Le bande rosa devono il colore alla presenza di zinnwaldite,
una mica ricca di litio e fluoro.
78
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
I magmi granitici più ricchi di boro, fluoro e litio
di solito non riescono a risalire molto nella crosta
continentale. Si fermano a 5-10 chilometri di
profondità, in condizioni plutoniche, e formano
filoni pegmatitici come quelli di San Piero. Circa
8,5 milioni di anni fa, all’Isola d’Elba , un piccolo
volume di questi magmi è riuscito a risalire
fino a un paio di chilometri dalla superficie e
ha formato una roccia unica al mondo: l’Aplite
di Capo Bianco. La risalita deve essere stata
velocissima, altrimenti il magma avrebbe perso
calore cristallizzando a maggiore profondità.
A causa della rapida diminuzione di pressione,
il magma è stato forzato a separarsi in due fasi
immiscibili dando luogo a qualcosa di simile a
un’emulsione di gocce di olio in acqua. Il boro,
il ferro, lo stagno, l’acqua si sono concentrati in
vere e proprie bolle sferoidali di fuso disperse nel
normale magma granitico. Una volta arrivato a
destinazione, la rapidissima cristallizzazione ha
congelato in un’istantanea le tessiture di flusso
del magma trasformando le bolle in perfetti
noduli sferici di tormalina di colore nero bluastro
immersi in una matrice granitica bianca a
grana criptocristallina. La roccia ha un aspetto
estremamente variegato, alternando bande
bianchissime costituite da quarzo e feldspati,
a bande di colore rosa-crema dove ai minerali
precedenti si associa la zinnwaldite, una mica
molto ricca di litio e fluoro.
TORMALINA O SUDORE DEGLI ARGONAUTI ?
6.2 Capo Bianco:
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
79
Rocce granitiche di composizione chimica simile a questa si trovano in molte parti
del mondo, ma cristallizzando a maggiore profondità, hanno sviluppato una grana
più grossolana, perdendo molti dei dettagli registrati nell’Aplite di Capo Bianco.
L’unicità di questa roccia fu notata anche dai primi frequentatori dell’isola. Gli
antichi greci la descrissero nel mito degli Argonauti. Si tratta della prima roccia
descritta petrograficamente, due millenni prima dell’invenzione del microscopio!
Nel mito infatti troviamo il termine “poikilous” (nella petrografia moderna: in
inglese, poikilitic; in italiano, pecilitico) per descrivere la tessitura macchiettata di
questa roccia, ma per Apollonio Rhodio non è tormalina ciò che macchia di nero
la roccia, macchie di sudore, sudore misto allo sporco accumulato dagli Argonauti
nel viaggio e nelle varie attività svolte sull’isola (sport, estrazione e lavorazione del
minerale di ferro). Alla fine della giornata, gli Argonauti raschiarono via il sudore
dal corpo e lo schizzarono sui ciottoli della spiaggia e sulla falesia producendo le
perfette macchie circolari nere.
Andate a vedere le rocce degli Argonauti a Capo Bianco, ma anche alle Ghiaie,
alla Padulella, al Seccione, a Sansone. Spiagge bellissime fatte di ciottoli bianchi
macchiati di nero, bagnate dal mare colore dell’acquamarina.
La spiaggia degli Argonauti a Capo Bianco (Foto©Rinaldi).
Le “macchie” di tormalina sui ciottoli della
spiaggia di Capo Bianco incuriosirono gli
antichi frequentatori dell’isola e ispirarono
la narrazione mitologica degli Argonauti
(Foto©Dini).
80
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
L’erosione e l’azione meccanica delle onde, talvolta isola i noduli
di tormalina dalla roccia mostrando chiaramente la loro geometria
sferoidale (Diametro circa 8 cm; Foto©Dini).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
81
6.3 Il fascino
delle forme
IL QUARZO DELLA ZONA BIODOLA-PROCCHIO
“Cristallo di Monte in pezzi grossi come un pomo di bastone. Guglie cristalline,
che nella trasparenza non sono inferiori ai Cristalli dei Svizzeri”. Anton Giacinto
Cecchini (Comandante della Marina all’Isola d’Elba ) nel 1783 descrive così i
cristalli di quarzo che i contadini e i pastori trovavano frequentemente nel
terreno tra Biodola e Procchio. Siamo nella zona settentrionale del grande
complesso di laccoliti porfirici dell’Elba Centrale. I porfidi granitici che si
alternano alle rocce sedimentarie (calcari, arenarie, argilliti) hanno un aspetto
meno compatto del solito, spesso sono friabili o addirittura trasformati in una
massa terrosa. Sono gli effetti del passaggio dei fluidi idrotermali che hanno
mobilizzato buona parte del sodio, del calcio, del magnesio e del ferro lasciando
solo silice, alluminio e potassio. Il porfido granitico, costituito da quarzo,
ortoclasio, plagiocalsio e biotite, è stato trasformato in una roccia idrotermale
fatta di quarzo e muscovite. Al posto dei grandi cristalli idiomorfi di sanidino
spesso troviamo dei buchi che ne mantengono la forma. Questa rielaborazione
mineralogica e chimica è avvenuta tra sei e sette milioni di anni fa quando le
rocce di cui parliamo erano ancora sepolte a molti chilometri di profondità.
L’elemento chimico più abbondante nel porfido è il silicio (quasi il 40 % in peso)
e i fluidi idrotermali ne presero in soluzione una parte per poi precipitare nelle
fratture della roccia bellissimi cristalli di quarzo. Non solo nelle fratture del
porfido granitico ma anche nelle fratture delle rocce sedimentarie adiacenti
(soprattutto nell’arenaria).
Inclusioni fluide a “cristallo negativo” in un
cristallo di quarzo di 2 cm; Biodola-Procchio
(Coll. e Foto©Miglioli).
Pomonte foto ©DanieleFiaschi
82
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Quarzo - gruppo di cristalli fino
a 8 cm; Biodola-Procchio
(Coll. Prati, Foto©Miglioli).
84
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
I cristalli di quarzo della zona Biodola-Procchio sono noti in
ambito collezionistico e museologico per la loro limpidezza,
per la grande varietà di morfologie cristallografiche e per la
frequente presenza di “gocce di acqua” incluse nei cristalli.
Il fluido acquoso che produsse le intense trasformazioni
idrotermali fu intrappolato durante la crescita dei cristalli e
oggi lo possiamo vedere e analizzare con speciali strumenti
di laboratorio. I geologi studiano queste inclusioni fluide
per definire le condizioni di temperatura e pressione
durante l’evento idrotermale e anche per scoprire la
composizione chimica del fluido idrotermale. Un carattere
ricorrente di questi cristalli di quarzo è la presenza di
tramogge. Le tramogge sono dei buchi di forma complessa,
Dettaglio di una bella tramoggia su una faccia terminale di romboedro
di un cristallo di quarzo della zona Biodola-Procchio (Coll. e Foto
©Miglioli). Il colore marrone-rossastro è causato da argilla e idrossidi
di ferro infiltratisi nella tramoggia.
Quarzo - cristalli ialini divergenti di 4 cm con inclusioni fluide;
Procchio (Coll. Prati e Foto ©Miglioli).
ma geometrica, che interessano soprattutto le
facce terminali di romboedro. Si formano quando
il cristallo cresce più rapidamente lungo gli
spigoli e i vertici mentre le facce restano indietro.
Le tramogge possono essere interpretate come
inclusioni fluide “abortite”. Se la tramoggia
fosse stata “cicatrizzata”, durante l’ultimo stadio
di cristallizzazione, la cavità piena di fluido
idrotermale sarebbe stata isolata dall’esterno
fornendoci un campione indisturbato del fluido
di cristallizzazione. La competizione tra la rapida
crescita del quarzo e la velocità di diffusione della
silice nel fluido idrotermale decise se il cristallo ci
doveva offrire una bella tramoggia da collezione
oppure una grande inclusione fluida per gli studi
petrologici.
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
85
Uno dei vecchi scavi nella scogliera di porfido granitico,
sotto Casa Ischia, da dove furono estratti esemplari di
quarzo ametistino in piccoli cristalli (Foto©Dini).
6.4 Voglia di Brasile
IL QUARZO AMETISTINO DI CASA ISCHIA
86
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Se il quarzo è il minerale più conosciuto dal grande pubblico, la sua varietà
ametista lo è all’ennesima potenza. I grandi geodi di quarzo ametista brasiliani
sono stati commercializzati in tutto il mondo e se ne vedono esemplari nelle
vetrine dei negozi o come soprammobili nelle case. Sono indubbiamente oggetti
belli ma, a parte alcuni casi eccezionali, essi vengono considerati materiali
dozzinali e di scarso pregio in ambito museale e collezionistico. È deprimente
vedere esemplari di quarzo ametista brasiliano in vendita nei negozi o nei
bookshop dei musei/parchi toscani e elbani. Ci scandalizziamo di fronte al
tentativo di commercializzare un formaggio “parmesan” prodotto in Cile, ma non
ci poniamo il minimo problema se il turista che viene a visitare la regione con i
cristalli di pirite più belli del mondo deve tornare a casa con in mano un pezzetto
di pirite peruviana. In una regione ricca di minerali come la Toscana questo è
un controsenso che andrebbe evitato o comunque attenuato. Un progetto di
estrazione controllata di minerali in alcune località toscane permetterebbe
di rifornire queste strutture sostenendo un commercio rispettoso della storia
geologica, mineraria e collezionistica della regione. Alcuni tentativi degni di
nota sono stati fatti nella miniera di Rio Marina. Il materiale estratto, oltre a
impreziosire il Museo del Parco Minerario, è stato regolarmente distribuito nelle
realtà commerciali del territorio riscuotendo un discreto successo tra turisti e
collezionisti.
C’è una località minore, quasi sconosciuta, nell’Elba Centrale dove in passato
sono stati estratti esemplari di quarzo ametistino in druse di piccoli cristalli
che ricordano quelle brasiliane. Le dimensioni dei cristalli sono decisamente
inferiori come pure l’intensità del colore che non raggiunge mai la saturazione
di quelli sudamericani. Lungo la costa settentrionale del Golfo di Campo gli
affioramenti di porfido granitico sono attraversati da un reticolo di vene
di quarzo che occasionalmente mostrano delle cavità tappezzate di piccoli
cristalli di quarzo. Il colore in genere è bianco o grigiastro ma in località Casa
Ischia furono trovate druse di cristalli ametistini. La varietà ametista del
quarzo si trova anche in altre località dell’isola e, trasgredendo alla struttura
dell’opera, colleghiamo l’ametista di Casa Ischia con quella trovata in varie
località minerarie dell’Elba Orientale. Il colore è simile ma l’abito dei cristalli
è totalmente diverso. Bei cristalli prismatici di quarzo ametista furono trovati
nell’ematite della miniera di Rio Marina (Cantiere Bacino), come pure nello skarn
di Santa Filomena a Rio Marina e nella magnetite di Capo Calamita (Cantiere
Vallone).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
87
Drusa di cristalli millimetrici di quarzo ametista; Casa Ischia, Golfo di Campo (Coll. Museo di Storia
Naturale dell’Università di Pisa, Foto©Dini).
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I QUADERNI DI ENJOY ELBA
In alto a sinistra: Grande cristallo prismatico (12 cm) di quarzo ametista del cantiere Bacino; Rio Marina
(Coll. Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa, Foto©Dini).
In basso a sinistra: Quarzo ametista – gruppo di cristalli fino a 5 cm su magnetite e quarzo; Cantiere
Vallone, miniera di Capo Calamita (Coll. Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa, Foto©Dini).
A destra: Quarzo ametista - cristallo prismatico (2,2 cm) da Santa Filomena, Rio Marina
(Coll. e Foto©Miglioli).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
89
6.5 I cristalli
di Foresi
LA CALCITE DI FORTE FALCONE
All’Isola d’Elba i cristalli dei minerali sono ovunque, anche in città. Camminando per
la città vecchia di Portoferraio, fate attenzione alle rocce che affiorano lungo alcune
scarpate o nel tunnel di Porta di Terra. La roccia bianca, massiccia, in grandi banchi
stratificati, utilizzata anche per la costruzione delle case e delle fortificazioni della
città, è un calcare a grana finissima che i geologi chiamano Calcare a Calpionelle.
Ottima pietra da costruzione. Se fate attenzione vi accorgerete che la massa del
calcare è attraversata da innumerevoli vene candide di calcite e da piccole cavità
carsiche rivestite da uno strato di cristalli di calcite. Sulla falesia a nord di Forte
Falcone, la fortificazione nella parte alta della città vecchia, le vene e le cavità carsiche
sono di notevoli dimensioni e ospitano ampie cavità con cristalli di calcite grandi
anche diversi centimetri. Qui la roccia è fortemente brecciata ed il colore passa a
rosa tenue, rosso e marrone. Questa cosa non poteva sfuggire al collezionista più
famoso dell’isola: Raffaello Foresi. Tra il 1850 e il 1876, Foresi costituì una straordinaria
collezione di minerali elbani, in cui la calcite di Forte Falcone era uno dei minerali più
rappresentati. Sembra che Foresi avesse una specie di fissazione per questo minerale
elbano, malgrado il minor pregio rispetto agli iconici esemplari di ematite, pirite,
elbaite e pollucite. Uno dei migliori “giacimenti” di cristalli di calcite, il Foresi lo aveva
proprio sotto casa a Portoferraio: la falesia di Forte Falcone.
90
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
La falesia calcarea alla base di Forte Falcone dove sono stati estratti i cristalli di calcite di Raffaello Foresi (Foto Sailko, Wikimedia Commons).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
91
Nel corso di innumerevoli scavi furono estratti centinaia di
esemplari con cristalli di calcite di abito cristallografico e
colore molto variabili. Alcuni con abito scalenoedrico, altri
con abito romboedrico, altri ancora con cristalli romboedrici
geminati in modo inusuale. Questi ultimi erano assai ricercati
per le collezioni e furono studiati in dettaglio nel 1867 dal
mineralogista tedesco Gerhard Vom Rath. A questo proposito
è interessante ricordare un divertente aneddoto che si evince
leggendo l’articolo sulla calcite di Vom Rath. L’esemplare
di calcite studiato era stato acquistato dal commerciante di
minerali tedesco August Krantz ed era privo della località di
provenienza, riportando un generico “Elba ”. Un esemplare
simile, anche questo con provenienza generica “Elba ”, è
ancora presente nelle collezioni del Museo di Mineralogia
dell’Università di Pisa. Il Vom Rath scrisse comunque che
l’esemplare di calcite da lui studiato doveva provenire da Forte
Falcone perché era da questa località che Foresi estraeva
i migliori campioni di calcite. Sembra quindi che il Foresi
commercializzasse molti esemplari senza dare precise
indicazioni sulla località di provenienza. Un’abitudine antica,
diffusa ancora oggi, dei commercianti e dei collezionisti
di minerali per mantenere segrete le zone di estrazione e
ostacolare il lavoro di eventuali competitori.
92
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Drusa di cristalli scalenoedrici-romboedrici di calcite; Forte
Falcone (Coll. Museo di Storia Naturale dell’Università di
Pisa; Foto©Dini).
Ritratto di Raffaello Foresi, di Antonio Ciseri; Pinacoteca Foresiana,
Portoferraio (Foto Sailko, ©Wikimedia Commons).
Cristallo di calcite con abito complesso formato da un
romboedro (arancio), vari scalenoedri (verde e giallo) e il
prisma esagonale (bianco); Forte Falcone (modificato
da un disegno di Emanuele Grill).
A sinistra: Drusa di cristalli romboedrici, geminati di calcite
simili a quelli descritti da Vom Rath nel 1867; falesia di Forte
Falcone (Coll. Museo di Storia Naturale dell’Università di
Pisa; Foto©Dini).
Cristalli romboedrici geminati di calcite; Forte Falcone
(modificato da un disegno di Gerhard Vom Rath).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
93
6.6 Campo ai Peri
I GRANATI VENUTI DA LONTANO
Parlando dell’Elba Occidentale abbiamo visto che le rocce
dell’aureola di contatto del plutone granitico di Monte Capanne
hanno subito intensi effetti metamorfici e idrotermali. Il risultato
è stato la formazione di splendide cristallizzazioni di granato
ed epidoto ma anche di clorite, titanite, clinozoisite, vesuviana,
wollastonite e pirosseno. Minerali che in genere troviamo nelle
immediate vicinanze delle intrusioni granitiche perché hanno
bisogno di temperature relativamente alte per formarsi. Nell’Elba
Centrale non si sono avuti grandi effetti metamorfici di contatto
perché il magma granitico si è intruso a bassa profondità
formando intrusioni tabulari all’interno di rocce relativamente
Dalle montagne sopra Porto Azzurro, guardando verso ovest, si vedono le pendici orientali di Monte
Orello con la stretta Valle dei Catenacci che si apre in corrispondenza di Campo ai Peri (Foto©Dini).
I cristalli di granato provengono dalle rocce basaltiche nella parte bassa della Valle dei Catenacci. Sullo
sfondo a destra si nota il paese di San Piero sulle pendici del Monte Capanne e all'orizzonte la Corsica.
fredde. Tuttavia esiste una fascia di rocce ofiolitiche (basalti,
gabbri e serpentiniti) e calcaree, tra la Punta delle Grotte nella
Baia di Portoferraio e Capo Norsi nel Golfo Stella, dove sono
estremamente diffuse belle cristallizzazioni di granato, epidoto,
wollastonite, pirosseno e vesuviana. Gli esemplari più belli di
granato ed epidoto furono scoperti nel 1800 nella località di
Campo ai Peri tra Portoferraio e Porto Azzurro. Cosa ci stanno
a fare? Siamo molto lontani dal plutone del Monte Capanne e
94
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Cristalli rombododecaedrici di granato grossularia associati a
cristalli di quarzo latteo su un tappeto di cristalli verdi di epidoto
(Coll. Vannini, Foto©Biagioni).
anche le intrusioni del sistema magmatico di Porto Azzurro sono
ad almeno 2 chilometri di distanza. Una spiegazione ci sarebbe.
Livio Trevisan (Università di Pisa) la intuì quando, negli anni
1940-50, stava ridefinendo la geologia elbana . Tutto il settore
centrale dell’isola un tempo stava sopra la verticale del Monte
Capanne. Durante la formazione del plutone granitico, questo
blocco crostale scivolò progressivamente verso est, lungo una
superficie tettonica inclinata a basso angolo, fino a trovarsi a
circa dieci chilometri di distanza dalla posizione originaria. Le
rocce ofiolitiche-carbonatiche della fascia Punta delle Grotte-
Capo Norsi potrebbero rappresentare un “pezzo” dell’aureola di
contatto del Monte Capanne, tagliato e traslato verso est. I granati
di Campo ai Peri potrebbero non avere una “radice” profonda ma
semplicemente essere arrivati da molto lontano!
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
95
6.7 Meglio
beta o alfa?
I QUARZI BIPIRAMIDALI
DI CAMPO ALL’AIA
Nell’area tra Procchio e Biodola, oltre ai bellissimi cristalli di
quarzo ialini descritti in precedenza, si possono raccogliere
cristalli di quarzo di forma assai diversa. Cristalli
“bipiramidali” a sezione esagonale, bianchi, raramente
trasparenti. La terminazione dei cristalli è simile a quella
osservata nei cristalli delle vene idrotermali, ma il prisma
esagonale è estremamente corto, a volte assente. Questo è
il quarzo che cresce nel magma granitico prima che venga
iniettato nelle intrusioni sub-vulcaniche. I mineralogisti lo
chiamano quarzo-beta, perché formandosi a temperature
superiori a 600°C, ha una struttura cristallografica
leggermente diversa dal quarzo idrotermale di più bassa
temperatura che viene denominato quarzo-alfa. I porfidi
granitici dell’Elba Centrale, e più in generale tutte le rocce
granitiche e riolitiche della Toscana contengono miliardi di
fenocristalli bipiramidali di quarzo-beta. Separarli
dalla roccia è molto difficile perché gli altri minerali
magmatici vi aderiscono tenacemente. Tra Procchio
e Biodola, lo stesso processo idrotermale che ha
creato le vene idrotermali con i cristalli di quarzoalfa,
ha alterato i feldspati del porfido liberando dalla
morsa magmatica le “bipiramidi” di quarzo-beta.
In tutta la zona è facile trovare cristalli bipiramidali
isolati grandi fino a 2 centimetri, ma nella vallecola
a monte di Campo all’Aia sono particolarmente
abbondanti. A onor del vero non si può più parlare
di vero quarzo-beta. I cristalli si formarono come
quarzo-beta ma, come la temperatura scese
sotto i 600°C, si trasformarono in quarzo-alfa
cambiando l’ordine interno degli atomi di silicio e
96
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
ossigeno. Dovremmo chiamarlo: quarzo-alfa paramorfo
di quarzo-beta. I petrologi studiano questi cristalli perché
possono avere intrappolato piccole gocce del magma in
cui si formarono (oggi trasformate in vetro o in silicati
criptocristallini). Anche dalle inclusioni di vetro del quarzobeta
è possibile ricavare informazioni su temperatura,
pressione e composizione chimica del sistema magmatico in
cui stavano cristallizzando.
A sinistra:
Sopra Campo all’Aia c’è una zona di porfido profondamente alterato dove
alla superficie si vedono migliaia di cristalli “bipiramidali” di quarzo sciolti
nel terreno (Foto©Dini).
A destra:
Cristallo “bipiramidale” di quarzo alfa paramorfo di quarzo beta (2,2 cm);
Procchio (Coll. e Foto©Miglioli).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
97
6.8 Piccolo è bello
LE CAVITÀ MIAROLITICHE DI SAN MARTINO
L’Elba ci stupisce per la varietà di
minerali e per la relativa frequenza
di esemplari mineralogici estetici,
con eleganti cristalli di grandi
dimensioni. Ma bello non vuol dire
per forza grande. Esiste un mondo
sorprendente fatto di cristalli
piccolissimi da scoprire attraverso un
microscopio stereoscopico o anche
uno dei nuovi microscopietti digitali
da collegare direttamente al computer.
Bastano 20-40 ingrandimenti per
immergersi nel magico mondo dei
microminerali. Si parla in genere
di cristalli inferiori al millimetro!
Per trovare begli esemplari basta
raccogliere qualche pezzetto di
roccia in qualche località dell’isola e,
una volta tornati a casa, frantumarli
in pezzi di piccole dimensioni da
guardare al microscopio. Se avrete
preso le rocce giuste sarà facile
scoprire decine di piccole cavità
tappezzate da microscopici cristalli
idiomorfi di vari minerali. Anche un
banale cristallino di calcite o quarzo
può offrire riflessi, geometrie e colori
di grande interesse.
La parte sommitale del bastione
montuoso tra Monte San Martino e
Monte Tambone è una località ideale
per andare a caccia di microminerali.
In quest’area affiora estesamente
il Porfido granitico di San Martino
con i suoi grandi cristalli magmatici
di sanidino e quarzo e i più piccoli
98
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
fenocristalli di biotite e plagioclasio.
Come abbiamo già accennato, in
questi porfidi è impossibile trovare
vene pegmatitiche come quelle
della zona di San Piero. Tuttavia il
magma granitico che ha prodotto il
porfido era ricco di boro e, quando
il magma cristallizzò, piccole gocce
di fluido acquoso ricco di boro,
fluoro, silice rimasero intrappolate
nella massa della roccia granitica.
Si formarono così miriadi di piccole
cavità miarolitiche grandi pochi
millimetri tappezzate da microcristalli
di adularia, quarzo, ciuffetti di
cristalli aghiformi verdi-marroni di
tormalina ferrifera, sferule di clorite e
muscovite, ottaedri di fluorite verde,
cristalli bipiramidali di anatasio
nero-blu, aghetti di berillo bianco e
chissà quanti altri minerali ancora
che attendono di essere identificati.
Localmente le micro-gocce di fluido si
riunirono insieme e produssero cavità
miarolitiche di alcuni centimetri
in cui sono stati trovati bei cristalli
di tormalina nera grandi fino a 2
centimetri.
A sinistra:
Cristallo ottaedrico di fluorite verde di 1 mm associato a cristalli
ialini di adularia e quarzo e a globuli di clorite e muscovite. Da una
cavità miarolitica nel porfido granitico di Monte San Martino (Coll.
e Foto©Dini).
Al centro:
Ciuffo di cristalli di tormalina ferrifera verde-marrone (1, 5 mm)
associata a cristalli ialini di adularia e quarzo; Monte San Martino
(Coll. e Foto©Dini).
A destra:
Cristalli prismatici tozzi di tormalina ferrifera nera (1 cm) da una
cavità miarolitica nel porfido granitico di Monte San Martino (Coll. e
Foto©Biagioni).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
99
L’ex area mineraria di Rio Marina (Parco Minerario dell'Isola d'Elba) vista da
Cima del Monte (Foto©Dini). Sullo sfondo, l’area siderurgica di Piombino
dove veniva trattato il minerale elbano.
100
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Elba
Orientale
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
101
7.1 Elba
Orientale
FERRO MEDITERRANEO
PICCOLI, UTILI E …
RICCHI DI CRISTALLI
Per quasi tre millenni i giacimenti
di ferro dell’Isola d’Elba sono
stati scavati per estrarre ossidi e
idrossidi di ferro. In totale sono
stati prodotti circa 60 milioni di
tonnellate di minerale ferrifero.
Sembra una bella quantità ma in
effetti non lo è. Al giorno d’oggi per
condurre in modo remunerativo
una miniera di ferro è necessario
che il giacimento contenga alcuni
miliardi di tonnellate di minerale.
La più grande miniera di ferro nel
mondo, Carajas in Brasile, produce
fino a 90 milioni di tonnellate di
minerale all’anno: più di quanto
l’Isola d’Elba abbia prodotto in 3000
anni! Insomma, se i giacimenti di
ferro elbani fossero stati scoperti 40
anni fa, non sarebbero mai entrati in
produzione. C’è ovviamente bisogno
di contestualizzare il discorso. Tre
millenni fa i giacimenti elbani erano
sicuramente remunerativi e già una
produzione di alcune migliaia di
tonnellate all’anno era da considerarsi
rilevante. Questo almeno fino al 1700
e alla Rivoluzione Industriale. Da quel
momento in poi le cose cambiarono
rapidamente e i giacimenti elbani
persero progressivamente e
definitivamente il ruolo centrale
di principale risorsa ferrifera del
Mediterraneo. Non dimentichiamo
però la funzione sociale e di sostegno
all’economia locale. Nel secondo
dopoguerra, i piccoli giacimenti elbani,
già in fase di esaurimento, hanno
comunque contribuito a sostenere
l’economia dell’isola e dell’Italia in
generale, aiutando in modo indiretto
la transizione verso un’economia
dell’isola basata sul turismo.
Per musei e collezioni la cosa che
conta di più sono i bei cristalli dei
minerali e non le produzioni di
minerale da mandare in fonderia.
I grandi giganti ferriferi mondiali
sono in genere poverissimi di cristalli
essendo formati da monotone
sequenze di antichi sedimenti ferriferi
metamorfosati. La diversità geomineralogica
dei piccoli giacimenti
elbani viceversa è straordinaria e, da
almeno 500 anni, va ad impreziosire
collezioni pubbliche e private in tutto
il mondo.
DISPUTE SERIE E EXTRAVAGANTI
La prima disputa pseudo-scientifica
sulla geologia dell’Isola d’Elba fu
innescata circa 2000 anni fa. Riguarda
la presunta, e assurda, capacità
dei giacimenti ferriferi elbani di
“rigenerarsi” dopo essere stati scavati.
Strabone, e probabilmente ancor
prima Varrone, dicono chiaramente
che “fossae, unde metalla sunt eruta,
rursum tractu temporis implentur”
(le miniere da cui sono stati scavati i
minerali, vengono nuovamente colmate
nel corso del tempo). Nello stesso
periodo, Virgilio è più prudente e ci dice
semplicemente che i giacimenti ferriferi
dell’Isola d’Elba erano inesauribili
(insula inexhaustis chalibum generosa
metallis). Quest’ultima affermazione
è plausibile considerando che, ai ritmi
produttivi dell’epoca (poche migliaia
di tonnellate/anno), l’esaurimento
dei giacimenti elbani (molte decine
di milioni di tonnellate) avrebbe
richiesto millenni. Ben diversa la prima
affermazione che sembra sottintendere
un comportamento magico e
rigenerante dei giacimenti. Tuttavia
anche questa affermazione potrebbe
essere molto meno esoterica di quanto
si sia pensato in passato. Uno dei più
grandi problemi della miniera di Rio
Marina in epoca moderna era la intima
commistione tra ematite e minerali
argillosi plastici (cloriti, smectiti e
caolino) che rendeva estremamente
102
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
instabili gallerie e trincee di coltivazione.
Nelle relazioni minerarie si evince
una vera e propria lotta dei minatori
per arginare i continui collassi e
smottamenti. È molto probabile che
gli stretti cunicoli di epoca etruscoromana
collassassero continuamente
riempiendosi di minerale e dando la
falsa impressione di un giacimento che
si rigenerava miracolosamente. Inoltre,
come si può osservare ancora oggi a
Rio Marina, l’ossidazione della pirite per
percolazione delle acque meteoriche
produceva continuamente incrostazioni
di idrossido di ferro che intasavano le
gallerie minerarie. Millecinquecento
anni più tardi la forza rigeneratrice
dei giacimenti elbani viene nominata
da Vannoccio Biringuccio (De la
Pirotechnia, 1540), ma per sentito dire,
e senza grande convinzione. L’ipotesi
che il minerale di ferro si formasse
continuamente fu ripresa da Tronson
de Coudray (1774) dopo aver visto dei
picconi incrostati di minerale ferrifero
trovati all’interno di un’antica galleria
di Rio. Pochi anni più tardi Ermenegildo
Pini (1777) e Arsenne Thiebaut de
Berneaud (1808) si espressero
chiaramente contro tale teoria e poi
finalmente, agli albori delle moderne
Scienze Geologiche, il geologo pisano
Paolo Savi (1836) chiuse il dibattito
fornendo le prime accurate descrizioni
dei giacimenti di ferro elbani.
Prima il Savi, e poi anche Bernardino
Lotti e gli altri scienziati della Terra fino
alla metà del 1900, sostennero l’ipotesi
che i giacimenti di ferro dell’Elba
Orientale si fossero formati grazie ai
fluidi idrotermali di alta temperatura
rilasciati durante la cristallizzazione
delle intrusioni granitiche. Intrusioni
tabulari di granito affiorano infatti in
prossimità di molti giacimenti elbani,
da Ortano (a sud di Rio Marina) fino
alla punta estrema della Penisola del
Calamita. I fluidi idrotermali avrebbero
trasportato in soluzione metalli di
origine magmatica (principalmente
ferro) che poi sarebbero precipitati
sottoforma di ematite, magnetite, pirite,
ilvaite, hedenbergite e granato, tutti
minerali contenenti notevoli quantità
di ferro. I fautori di questa ipotesi
“plutonista epigenetica” non tenevano
conto però del fatto che i magmi
granitici elbani contengono poco ferro e
che esso viene frazionato precocemente
durante la cristallizzazione della biotite
magmatica. Quindi, quando i fluidi
idrotermali fuggono dalle intrusioni
contengono ormai pochissimo ferro.
Questo era un paradosso che andava
superato. Alla fine degli anni 1950 un
giovane geologo tedesco – Johann
Bodechtel – stava lavorando all’Isola
d’Elba per la tesi di laurea. I risultati
delle sue ricerche, e del contesto
culturale in cui studiava a Monaco di
Baviera, lo convinsero che i giacimenti
ferriferi elbani non erano stati formati
dai fluidi di origine magmatica. Nel
1965 propose una ipotesi alternativa
che possiamo definire “singeneticoidrotermale”
che spostava la formazione
delle concentrazioni di minerali di ferro
elbane indietro nel tempo: al limite tra
Permiano e Trias, circa 250 milioni di
anni fa. I giacimenti si sarebbero formati
grazie alla circolazione idrotermale e
alla sedimentazione avvenuta sull’antico
fondale marino. Il magmatismo
granitico del Miocene avrebbe solo
interferito casualmente con questi
“proto-giacimenti” di ematite e pirite
creando gli skarn e rimobilizzando
il minerale già presente. L’ipotesi di
Bodechtel fu successivamente ripresa
e sostanziata da un gruppo di scienziati
dell’Università di Firenze guidato dal
professor Giuseppe Tanelli. A questo
periodo – anni 1970/90 – risale lo studio
fondamentale sugli skarn della Toscana
e in particolare su quelli elbani di Torre
di Rio, Ortano, Calamita, Ginevro e
Sassi Neri. Nello stesso periodo, altri
scienziati tra cui Giorgio Marinelli
proposero una terza ipotesi di lavoro
che si ricollegava all’ipotesi epigenetica:
i giacimenti si sarebbero formati nel
Miocene ma il magma granitico avrebbe
fornito solo il calore, promuovendo la
circolazione di fluidi idrotermali non
magmatici (meteorici o marini). I fluidi
caldi avrebbero estratto il ferro reagendo
con delle rocce ricche di biotite, per poi
depositarlo nei giacimenti che conosciamo.
Con la progressiva chiusura delle
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
103
Blocchi di ematite e limonite sulla spiaggia della “Gavina”
a Rio Marina. Sullo sfondo un simbolo scomparso: il pontile
di carico del minerale distrutto dalla mareggiata del 2018
(Foto©Rinaldi).
miniere, negli anni 1980, anche gli studi scientifici sui
giacimenti si affievolirono. I giacimenti di ferro più famosi
dell’antichità attendono ancora risposte. Gli studi geologici,
petrologici e geocronologici condotti negli ultimi venti anni
hanno migliorato molto la comprensione dell’evoluzione
tettono-magmatica dell’isola creando il presupposto per
una nuova fase di studio dei giacimenti. La soluzione va
ancora trovata, e va cercata nella complessità della pila
di unità tettoniche dell’isola e dei sistemi magmaticoidrotermali
elbani e toscani, nei diversi tipi di magmi che li
hanno alimentati nel tempo e nelle reazioni metamorfiche e
idrotermali che hanno coinvolto le rocce metasedimentarie
che ne costituiscono l’involucro profondo. In pratica, la
soluzione è nascosta nella geodiversità dell’isola. Se ne
capiremo il linguaggio, potremo leggere il libro fino all’ultima
pagina.
La ricerca scientifica su questi argomenti non serve più ad
aiutare l’attività mineraria locale ma a sviluppare modelli
concettuali sulla formazione dei giacimenti da applicare
in altre aree della Terra e, più in generale, a comprendere il
funzionamento del nostro pianeta e a raccontarlo alle persone
che, sempre di più, visitano l’isola non solo per motivi balneari.
In questo scenario, il Parco Nazionale dell’Arcipelago e i Parchi
Minerari agiscono da “mediatori culturali” tra scienziati e
visitatori, traducendo in un linguaggio chiaro e accessibile
le conoscenze scientifiche.Scopo delle nostre storie è anche
questo: fornire degli spunti a chi, guide ambientali o turistiche,
svolge il difficile compito di trasferire la conoscenza.
104
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Riomarinaite – cristalli prismatici bianchi di meno di un
millimetro su pirite e bismutinite alterata, Cantiere Falcacci,
Rio Marina (Coll. Senesi, Foto©Ambrino). La riomarinaite è
un nuovo minerale di bismuto scoperto all’Elba nel 2005
grazie all’instancabile attività dei collezionisti di minerali e
degli scienziati.
Una pozza di acqua piovana esalta il colore
del minerale di ferro al Cantiere Vallone,
miniera di Capo Calamita (Foto©Rinaldi).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
105
7.2
Ferro o stagno
e tungsteno?
LA STRANA EMATITE DI TERRANERA
106
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
In genere, i giacimenti di ferro
producono ferro. Ovvio direte voi.
Si e no. Molti giacimenti di altro tipo
producono due o più metalli in quantità
comparabili (giacimenti di Pb-Zn-
Cu) oppure un metallo principale e
vari altri metalli come sottoprodotto
(giacimenti di zinco dove si producono
piccole ma preziose quantità di
indio e cadmio). L’Elba non è stata
un’eccezione, scorrendo le Relazioni
del Servizio Minerario vediamo che
le miniere dell’isola hanno prodotto
solo ferro. Non scendiamo in dettagli
scientifici ma questo fatto non ha mai
stupito nessun geologo. Nessuno si
aspettava di trovare altri metalli in
quantità apprezzabili nell’ematite o
nella magnetite delle nostre miniere.
Nel 1947 nasce a Firenze il Centro
di Studio per la Minerogenesi e la
Geochimica Applicata, diretto all’epoca
da Guido Carobbi e poi confluito, nel
2001, nell’Istituto di Geoscienze e
Il laghetto di Terranera visto dalla sommità delle coltivazioni della
ex-miniera (Foto©Dini).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
107
Georsisorse del CNR. Nel corso degli
anni 1950 Carobbi, insieme a Carlo
Minguzzi e a Carlo Garavelli, indagarono
in modo dettagliato la composizione
chimica dei minerali di ferro elbani per
capirne l’origine senza però trovare
concentrazioni particolarmente elevate
di alcun elemento. Sessanta anni più
tardi, siamo nel 2010, le miniere sono
chiuse ma a Marco Benvenuti, esperto
di Archeo-metallurgia dell’Università di
Firenze, viene in mente di riprendere lo
studio geochimico di questi minerali per
ben altri motivi: tracciare i movimenti
del minerale di ferro elbano nell’area
mediterranea durante l’antichità.
Un’idea che aveva sviluppato insieme
all’amico Alessandro Corretti della
Scuola Normale Superiore di Pisa.
Lo studio, condotto in collaborazione
con il geochimico Massimo D’Orazio
(Università di Pisa) e un team affiatato,
portò ad una scoperta inaspettata:
l’ematite in masse microgranulari delle
miniere elbane, la cosiddetta "vena
luccica", aveva sistematicamente un alto
contenuto di stagno e tungsteno.
Le analisi di decine di campioni furono
ripetute per esser certi del risultato.
Molti campioni di ematite vennero presi
in diversi punti dei cantieri minerari
di Rio Marina, Rio Albano e Terranera
ma il risultato era sempre lo stesso:
da molte centinaia a molte migliaia
di grammi di stagno e tungsteno per
tonnellata di ematite. Il record assoluto
fu trovato nei campioni di ematite della
piccola miniera di Terranera vicino a
Porto Azzurro: fino a 8 chilogrammi di
stagno e 5 chilogrammi di tungsteno per
tonnellata di minerale.
Semplificando, un cubo di 60 centimetri
di lato di ematite (1 tonnellata) di
Terranera contiene stagno (8 kg) e
tungsteno (5 kg) per un valore nominale
108
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
di quasi 400 dollari mentre il ferro che vi è contenuto (700 kg)
vale appena 150 dollari. Per tremila anni abbiamo sfruttato
delle miniere di ferro per il ferro ma sarebbe stato meglio
coltivarle (almeno negli ultimi 100 anni) per estrarre stagno e
tungsteno. Le analisi condotte su tutti i maggiori giacimenti di
ferro europei e mediterranei indicano che questi due metalli
sono concentrati in modo anomalo solo nel minerale ferrifero
dell’Isola d’Elba. Analizzando materiali metallurgici da siti
di epoca etrusco-romana e medievale è stato visto che delle
significative quantità dei due metalli vengono intrappolate
anche nelle scorie metallurgiche. L’idea di Benvenuti era
giusta, ora gli archeologi hanno un tracciante geochimico per
ricostruire le rotte commerciali dell’ematite elbana attraverso
il Mediterraneo.
Anche i giacimenti di magnetite
del Promontorio
del Calamita contengono
significative quantità
di minerali di stagno
e tungsteno. Questo
cristallo ottaedrico giallo
di scheelite (tungstato
di calcio) proviene dalla
miniera del Ginevro (Coll.
e Foto©Orlandi).
A sinistra:
I diversi tipi di ematite coltivati un tempo
all’Elba : dietro a sinistra un pezzo della
“vena ferrata” a grana grossa; a destra un
pezzo di “vena luccica” lamellare a grana
fine; di fronte a destra, un mucchietto di
"puletta", la polvere di ematite che veniva
concentrata dal moto ondoso, sulle spiagge
della zona mineraria. Le due palline sono
un esempio degli agglomerati di ematite
che furono prodotti per un certo periodo
nell’impianto di Cala Seregola aspirando
i sedimenti ricchi di ematite presenti sul
fondo marino (Coll. e Foto©Dini; campo
inquadrato 15 cm).
Pirite – cristallo pentagonododecaedrico di
8 cm su ematite lamellare, miniera di Terranera;
(Coll. Giannini, Foto©Rinaldi).
A destra:
Per vedere i minerali responsabili dell’anomalia
di stagno e tungsteno nell’ematite
elbana bisogna usare un microscopio
speciale che, invece della luce normale,
usa un fascio di elettroni (Foto©D’Orazio).
Negli interstizi delle lamelle dell’ematite di
Terranera si scoprono cristalli grandi un
millesimo di millimetro di cassiterite (ossido
di stagno, a destra) e di ferberite (tungstato
di ferro, a sinistra).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
109
7.3 I cristalli di Stenone
L’EMATITE DEL CANTIERE BACINO
Usciti dal Museo del Louvre, mentre girovagate
per le strade di Parigi, vi imbattete in una
famosa libreria antiquaria a pochi isolati
di distanza. Un posto per collezionisti
facoltosi, ma decidete di entrare
lo stesso per curiosare tra libri
e mappe antiche. Il personale vi
guarda con occhi indagatori per
capire le vostre intenzioni. Buttate
li un “J’aimerais jeter un coup d’œil
aux …” tirato fuori da chissà quale recondita
memoria liceale, giusto per tranquillizzarli.
Affascinati dai volumi manoscritti blindati
sotto vetri antisfondamento, venite attirati da
un volumetto grande un palmo appoggiato in
bella vista in uno scaffale di libri meno preziosi.
Roba del 1600, non abbastanza rara da essere tenuta
nelle casseforti di cristallo. Sulla copertina in pergamena
rigida, sicuramente non originale, c’è scritto: “Nicolai Stenonis -
De solido intra solidum naturaliter contento dissertationis prodromus”.
Non ci potete credere, il “Prodromo” di Niccolò Stenone! O meglio, Niels Stensen, visto che era danese.
Un commesso si avvicina e vi sussurra “le livre est au prix de 30.000 €”. Ve lo apre e scoprite che si tratta della prima
Ematite - splendida drusa di 18 cm,
Rio Marina (Coll. Museo di Storia
Naturale dell’Università di Pisa,
Foto©Dini).
edizione del 1669. A questo punto esagerate e chiedete di vedere la tavola delle illustrazioni, quella che sapete bene contenere i
disegni dei cristalli di ematite dell’Isola d’Elba . Belli i disegni sulla carta ormai ingiallita, ma ancora meglio la frase che è passata
alla storia, nascosta tra le didascalie della tavola delle illustrazioni: “… in plano axis laterum, & numerum, & longitudinem varie
mutari non mutatis angulis, …” (nel piano dell’asse, variamente mutano il numero e la lunghezza dei lati, senza che mutino gli
angoli). Che genio! Oggi sembra banale, ma intuire per primi la legge fondamentale della cristallografia moderna, quella sulla
costanza dell’angolo diedro enunciata da Romé de L’Isle nel 1772, non era cosa da poco. Si apriva improvvisamente una finestra
sull’ordine interno della materia solida. Stenone viene considerato uno dei padri della geologia moderna insieme agli italiani
110
Il Cantiere Bacino della Miniera di Rio Marina (Foto©Dini). Il “Filone della Polveriera” occupava la zona nord-orientale del Cantiere - a destra nella foto - sotto il
vecchio magazzino degli esplosivi che si trovava in alto sulla collina. In una parte del “filone” si trovavano bellissime druse di sola ematite, ma c’era una zona
in cui l’ematite era associata a cristalli di quarzo. Tutti i documenti indicano il Cantiere Bacino come la località più famosa e produttiva per le druse di cristalli
di ematite. Dall’antichità fino alla fine del 1800, la “Miniera di Rio” ha sempre coinciso con il Cantiere Bacino e la sua estensione verso l’alto in direzione dei
cantieri Sanguinaccio, Rotonda, Filon Basso. L’estrazione ben organizzata della migliore ematite industriale avveniva qui. Molti altri piccoli scavi sfruttavano
le “terre ferrifere” presenti un po' ovunque. Tra questi cantieri minori c’era anche la “Cavina”, direttamente sulla costa a nord di Rio, che corrisponde a
quello che poi diventerà il Cantiere Vigneria. Bellissime druse di ematite sono state estratte anche in questo cantiere quando, durante il 1900, la coltivazione
venne allargata fin sotto la scarpata che scende da Pozzofondi. Nella favolosa collezione di Giorgio Roster (seconda metà del 1800) i campioni con cristalli
di ematite provengono quasi tutti da “Miniera di Rio” - “Polveriera” (66 esemplari). I pochi campioni della “Miniera di Vigneria” (10 esemplari) sono di ematite
lamellare o micacea e solo due hanno cristalli romboedrici tozzi. La leggenda che i migliori esemplari antichi (1800) di ematite provenissero da Vigneria,
sembra non avere fondamento. Vigneria diventò un cantiere importante solo a partire dalla fine del 1800.
Ulisse Aldrovandi (1522–1605) e Giovanni Arduino (1714-1795).
Il naturalista danese ebbe una vita complicata durante la
quale passò alcuni anni anche in Toscana, presso la corte del
Granduca Ferdinando II. Qui sviluppò i suoi studi di geologia,
paleontologia e appunto di cristallografia. I granduchi di
Toscana avevano l’esclusiva sul commercio dell’ematite
elbana e, a quanto pare, portarono lo Stenone in gita alle
miniere di Rio Marina. La miniera di Rio, un tempo, non era
estesa quanto la vediamo oggi. Buona parte del minerale
industriale migliore veniva cavato nell’area dell’attuale
Cantiere Bacino. Il minerale era costituito prevalentemente
dalla “vena luccica”, ematite microcristallina a grana fine e
abbastanza friabile, e dalla “vena ferrata” ematite a grana
grossolana, durissima e dall’aspetto dell’acciaio.
Una zona del cantiere Bacino era attraversata da un
banco di “vena luccica” mista ad una argilla biancastra - il
"bianchetto" – in cui erano presenti grosse lenti di “vena
ferrata”, ricchissima di cavità tappezzate da fantastici cristalli
di ematite. Quei cristalli per cui Rio Marina è diventata
famosa in tutto il mondo. I cristalli avevano abito variabile
da lenticolare-lamellare, a discoidale, fino a cristalli tozzi a
forma di “botticella”. Sono questi ultimi cristalli che colpirono
la fantasia di Stenone. Se ne trovavano in gran numero e, pur
non misurandone gli angoli tra le facce, riuscì a capire che in
tutti i cristalli gli angoli tra facce analoghe erano identici. Se
nel suo girovagare per l’Europa, Stenone non fosse passato
dalla miniera di Rio Marina, la mineralogia moderna avrebbe
dovuto attendere un’altra mente illuminata. Serendipità.
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
111
Goethite irridescente che incrosta cristalli lamellari
di ematite, esemplare di 16 cm dalla miniera
di Rio Marina (Coll. Museo di Storia Naturale
dell'Università di Pisa, Foto©Dini).
112
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Ematite – gruppo di cristalli a “botticella”fino a
2,2 cm; Cantiere Bacino, Rio Marina (Coll. Ricci,
Foto©Rinaldi).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
113
Il “Filone della Polveriera” al Cantiere Bacino ha continuato
a fornire eccezionali druse di cristalli di ematite anche
successivamente, fino alla chiusura della miniera.
Napoleone ne era affascinato e le faceva raccogliere per
fare doni agli amici. Raffaello Foresi e Giorgio Roster,
come pure scienziati di tutto il mondo, ne raccolsero
e acquistarono esemplari per le loro collezioni. Quelle
con cristalli grigio-neri lucenti come l’acciaio e quelli
iridescenti come la coda di un pavone. Altri cristalli erano
incrostati di spesse croste di idrossidi di ferro che intaccate
lasciavano vedere le facce speculari dei cristalli. Altri
esemplari avevano cristalli prismatici di quarzo ialino,
bianco e ametistino distribuiti tra i cristalli di ematite.
Tutti questi cristalli sono più o meno magnetici perché al
loro nucleo sono presenti quantità variabili di magnetite.
Gli ingegneri Giulio Pullè e Celso Capacci, nel 1874, si
lamentavano perché il filone era stato esaurito e non si
potevano più raccogliere esemplari con cristalli di ematite.
Il filone non era esaurito, magari si era interrotto, e infatti
esemplari notevoli sono stati trovati anche nel XX secolo. Il
“Filone della Polveriera” c’è ancora! La parte più profonda,
la radice, è ancora li sepolta sotto i detriti del Cantiere
Bacino.
Sviluppo piano di un cristallo a “botticella” di ematite di Rio Marina raffigurato nella
Tavola del Prodromo di Niccolò Stenone.
Stavate sognando a occhi aperti la storia dei cristalli
di ematite di Stenone e non avete più seguito le parole
del commesso che cercava di vendervi il libro. Allora
uscite, dicendo che il libro è bellissimo ma la copertina,
non originale, vi rende perplessi. Mentre salutate
garbatamente, sorridete pensando alla copia digitale
del Prodromo che, pochi giorni prima, avete consultato
gratuitamente su internet.
Modelli di cristalli di ematite di Rio Marina. La variazione
da abito discoidale ad abito a “botticella” è dovuta al
maggiore o minore sviluppo delle facce di romboedro
diretto (arancio). Il cristallo in alto è simile a quello
raffigurato da Stenone nel Prodromo.
114
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Ematite – cristallo iridescente isolato di 3,5 cm,
Rio Marina (Coll. e Foto©Miglioli).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
115
7.4 L'eleganza
di Platone
LA PIRITE DI RIO MARINA
Questa storia non è totalmente fondata
scientificamente. Abbiamo liberato
la fantasia appoggiandoci a fatti reali
come la mineralogia del giacimento
di Rio Marina e la scoperta dei solidi
regolari nell’antica Grecia. Ci piace
pensare che le risorse ferrifere dell’Isola
d’Elba , contese da Etruschi e coloni
greci (2800-2300 anni fa), abbiano
avuto un ruolo, anche se casuale, nella
scoperta dei cosiddetti solidi platonici.
I solidi platonici sono cinque poliedri
convessi regolari che hanno per facce
poligoni regolari congruenti – cioè tutte
uguali e sovrapponibili – con spigoli,
vertici e angoloidi equivalenti. Più facile
se li descriviamo. Il tetraedro è fatto da
quattro triangoli equilateri, l’esaedro o
cubo da sei facce quadrate, l’ottaedro da
otto triangoli equilateri, il dodecaedro
da dodici facce pentagonali e infine
l’icosaedro da venti triangoli equilateri.
Circa 2500 anni fa, Pitagora, Platone e
Teeteto li studiarono e ne fornirono la
dimostrazione e i metodi di costruzione.
Secondo Euclide, il tetraedro, il cubo
e il dodecaedro furono introdotti
da Pitagora e solo successivamente
Teeteto, allievo di Platone, introdusse
l’ottaedro e l’icosaedro. Alcuni famosi
matematici sono “tormentati” da questa
sequenza temporale. Perché l’ottaedro
che è di più facile dimostrazione, e
intuibile anche dalla conoscenza delle
piramidi egizie (metà ottaedro), è stato
introdotto dopo il dodecaedro? Diciamo
subito che a noi questo dilemma non
da alcun tormento. Tuttavia, volendo
far dormire notti più serene agli amici
matematici, abbiamo escogitato una
possibile soluzione.
La pirite è un minerale che cristallizza
nel sistema cubico e perciò forma
cristalli di abito cubico, ottaedrico e
pentagonododecaedrico, o di abito
più complesso in cui intervengono
contemporaneamente tutte e tre le
forme e anche facce appartenenti al
rombododecaedro, triacisottaedro,
icositetraedro, diacisdodecaedro, etc.
Comunque sia, ricordatevi le tre forme
iniziali e le altre scordatele. Sono roba
da cristallografi o collezionisti nerd.
Il dodecaedro platonico somiglia
moltissimo al pentagonododecaedro
della pirite, ma in quest’ultimo le facce
pentagonali non sono perfettamente
congruenti per motivi di simmetria.
A volte il pentagonododecaedro e
l’ottaedro si uniscono e intersecandosi
costituiscono cristalli di pirite di abito
apparentemente icosaedrico platonico.
Anche in questo caso non si tratta di un
vero solido platonico perché le facce
triangolari dello pseudo-icosaedro non
sono equilatere.
116
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Pirite – gruppo di cristalli pentagonododecaedrici
fino a 4 cm, Valle Giove, Rio Marina
(Coll. e Foto©Lorenzoni).
A sinistra: il pentagonododecaedro della pirite.
A destra: il dodecaedro di Platone.
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
117
In tutti i cantieri della miniera di Rio Marina, i cristalli di pirite
più comuni sono di forma pentagonododecaedrica. I cristalli di
abito cubico erano comuni, ma sempre subordinati ai cristalli
pentagonododecaedrici. Viceversa i cristalli di abito ottaedrico
sono stati trovati raramente. Ancora più rari, e per questo
molto ricercati dai collezionisti, sono i cristalli ad abito pseudoicosaedrico.
Una nave greca di ritorno in Magna Grecia carica di
ematite elbana , avrebbe portato sicuramente qualche souvenir
mineralogico: cristalli di ematite e pirite prevalentemente,
forse qualche cristallo di quarzo. Un regalo gradito per il
sommo Pitagora, arrivato da poco a Crotone. È molto probabile
che, nel pacchetto, Pitagora avrebbe trovato molti cristalli
pentagonododecaedrici di pirite oltre ad alcuni di abito cubico.
Un’ottima ispirazione per i suoi solidi regolari: dodecaedro
e esaedro. Nel tempo, nuovi carichi di minerale elbano
potrebbero essere arrivati fino ad Atene e qualche cristallo
ottaedrico e pseudo-icosaedrico di pirite potrebbe essere stato
notato da Platone e dall’allievo Teeteto.
La storia è pura fiction ma è possibile che la frequenza
relativa degli abiti cristallografici della pirite di Rio Marina
abbia influenzato la scoperta sequenziale nel tempo dei vari
solidi platonici. Più materiale arrivava e più aumentavano le
possibilità di trovare qualche cristallo ottaedrico e pseudoicosaedrico.
E il tetraedro, direte voi? Perché non ne avete
parlato? Non possiamo mica spiegarvi tutto. Andate su internet
e cercate di scoprire quali minerali formano cristalli tetraedrici,
magari ci potete scrivere voi una storia!
Pirite – gruppo di cristalli cubici fino a 4 cm,
Falcacci, Rio Marina (Coll. e Foto©Dini).
118
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Pirite ottaedrica – il cristallo di destra, su ematite, è
grande 4 cm; il gruppo di sinistra è di circa 2 cm, Rio
Marina (Coll.Museo di Storia Naturale dell’Università
di Pisa; Foto©Dini).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
119
Come si forma lo pseudo-icosaedro:
ottaedro (giallo) + pentagonododecaedro
(verde); a destra, in rosa, l’icosaedro
platonico
Come si forma un geminato a “croce di
ferro: due cristalli pentagonododecaedri
compenetrati ruotati di 90°
Pirite – cristalli pseudo-icosaedrici fino a 3 cm su ematite, Bacino, Rio Marina (Coll. Lorenzoni, Foto©Dini).
120
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Pirite –geminato a “croce di ferro” di 7,5
cm su clorite, Valle Giove, Rio Marina (Coll.
Ricci, Foto Rinaldi)
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
121
7.5 I metalli di
Pseudo-Aristotele
LE MERAVIGLIE DI GROTTA RAME
Anni 1970, nell’aria c’è odore di chiusura perché i corpi
minerari più grandi e facilmente coltivabili sono stati
esauriti e l’estrazione del minerale di ferro nelle miniere
elbane accelera andando a “grattare” i residui disponibili.
Nella miniera di Capo Calamita si finisce di abbattere lo
sciame di lenti di magnetite incassate nella grande lente
di skarn (hedenbergite e ilvaite) che correva tra il vecchio
cantiere Francesche e il cantiere Vallone Basso a livello del
mare. Serviva per scendere a coltivare la lente inferiore.
Nell’occasione viene anche scoperchiata la “Grotta Rame”
(quota 49 m), un cantiere anomalo, di scarsa qualità perché
ricco di silice opalina impregnata di idrossidi di ferro,
di masse terrose di ossidi di manganese e di minerali
argillosi (smectite), ma soprattutto ricco di minerali di
rame. Meravigliose concrezioni di crisocolla azzurra e verde
alternate a croste di silice opalina nera, limonite arancione,
ciuffi verdi di malachite, cristalli azzurri a losanga di
azzurrite e microcristalli verde scuro di clinoatacamite. Ne
furono estratte a tonnellate ma non finirono negli impianti
metallurgici. Andarono sul mercato del collezionismo di
minerali, soprattutto verso i paesi di lingua tedesca. Buona
parte del materiale finì probabilmente nelle discariche visto
lo scarso valore industriale di questo minerale misto. Alcuni
blocchi e ciottoli si vedono ancora oggi, stondati dall’azione dei
frangenti, lungo la spiaggia delle Francesche o del Cannello.
Grotta Rame fu cancellata nel giro di pochi anni dall’azione
Cristalli cubici millimetrici di cuprite su idrossidi di ferro, Grotta Rame, Capo Calamita (Coll. e Foto©Dini).
122
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Aggregato dendritico di cristalli di rame nativo, 7 cm, Grotta
Rame, Capo Calamita (Coll. Lorenzoni, Foto©Dini).
delle mine e delle ruspe. Tra i collezionisti di minerali
dell’epoca ci fu un disperato tentativo di andare a estrarre
qualche esemplare prima che la grotta delle meraviglie
scomparisse.
Cosa rimane oggi di Grotta Rame oltre ai blocchi rotolati in
riva al mare? Gli esemplari “salvati” dai collezionisti di tutto
il mondo, le relazioni minerarie e qualche foto sgualcita. I
residui della grande lente intermedia di skarn affiorano in riva
al mare (Vallone Basso) e salgono fino a quota +40, sopra gli
impianti di carico. Sopra questa quota e fino a quota 112 m,
oggi vediamo solo marmo. Alla famosa quota “+ 49 m” c’è un
ampio pendio brullo e cumuli di detrito dove oggi sfrecciano i
mountain bikers. I geologi sono un po' “detectives” e curiosando
tra collezioni polverose e archivi minerari, grazie anche ai
sopralluoghi effettuati con la disponibilità della società che
gestisce la ex-miniera (Caput Liberum S.r.l.), siamo riusciti
a ricostruire virtualmente la geologia della grotta delle
meraviglie. Grotta Rame era un reattore supergenico. Una
porzione della lente di skarn molto ricca di solfuri di ferro
e rame (pirite e calcopirite) che, a causa delle numerose
fratture, era stata invasa dalle acque superficiali. Le acque
meteoriche sono molto ossidanti e destabilizzano i solfuri (i
geologi la definiscono alterazione supergenica) portando in
soluzione i metalli e trasformando lo solfo dei solfuri in acido
solforico. L’ossidazione dei solfuri è una reazione esotermica
e quindi, in breve tempo, l’acqua meteorica divenne calda e
acida e ancor più aggressiva, non solo con i solfuri, ma anche
con il marmo e addirittura con i silicati dello skarn. Una specie
di reazione a catena che provocò la progressiva argillificazione
dello skarn, l’allargamento delle fratture del marmo e la
precipitazione intermittente di minerali ossidati di rame, ferro
e manganese (quest’ultimo lisciviato dai silicati dello skarn).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
123
Sulla parete di marmo che sale ripida da quota +60
fin su al Trincerone di quota 112m, si vedono ancora i
camini verticali da cui si era infiltrata l’acqua meteorica
e lungo i quali, dopo aver reagito con i solfuri di ferro e
rame, l’acqua aveva depositato minerali di ferro e rame.
A seconda delle oscillazioni di temperatura, acidità e
potenziale di ossido-riduzione, l’acqua poteva reagire con
i solfuri dello skarn o depositare i metalli lisciviati. Nei
camini dentro al marmo le condizioni erano più ossidanti
e il rame precipitò sottoforma di carbonati, cloruri e
silicati di rame. Nello skarn in reazione, le condizioni
oscillavano da ossidanti a più riducenti e oltre agli splendi
minerali verdi-azzurri di rame si formarono anche degli
eleganti aggregati arborescenti dendritici di rame nativo e
dei cristalli di cuprite. Facendo una stima dell’abbondanza
di rame nativo e delle dimensioni del reattore, è possibile
che a Grotta Rame si fossero formate molte centinaia di
chilogrammi di metallo.
Immaginate di essere un esploratore Rinaldoniano e
di trovarvi sopra un affioramento come Grotta Rame.
Sarebbe stata la cuccagna! Rame già pronto all’uso senza
bisogno di perdere tempo a costruire forni metallurgici
per ridurre i solfuri o i carbonati di rame. Un posto da
ricordare e magari, una volta cambiate le conoscenze
metallurgiche, da sfruttare anche per l’abbondante
minerale di ferro presente li vicino (magnetite e ematite).
La fantasia corre ma il cosiddetto Pseudo-Aristotele, 2300
anni fa, poteva aver ragione: “… un’isola chiamata Aethalia,
nella quale dalla medesima miniera prima era stato
ricavato il rame … e poi non se ne sarebbe più trovato; ma,
trascorso molto tempo, … vi apparve il ferro, del quale
tuttora si servono gli Etruschi …”.
Aggregati centimetrici di cristalli aciculari di malachite a forma di “cavolfiore”,
Grotta Rame, Capo Calamita (Coll. Giacomelli, Foto©Rinaldi).
124
Elba — I FIORI DELLA TERRA
125
7.6 Crisi
diplomatiche
L’ILVAITE DELLA TORRE DI RIO
Ilvaite – Cristalli prismatici fino a 3 con quarzo; Cala
Baroccia, Rio Marina (Coll. Lorenzoni, Foto©Dini).
Lenti di rodingite nella massa di metaserpentinite
di Punta Polveraia (Foto©Dini).
126
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Ilvaite – Cristalli prismatici lunghi fino
a 3 cm associati a cristalli di quarzo
e calcite su matrice di hedenbergite;
Torre di Rio Marina (Coll. Museo di
Storia Naturale dell’Università di Pisa,
Foto©Dini).
Tra il 1816 e il 1822, l’esploratore e naturalista tedesco
Eduard Rüppel fu inviato varie volte all’Isola d’Elba dalla
Senckenbergischen Naturforschenden Gesellschaft (Società
dei Naturalisti di Senckenberg; Germania) per uno scopo ben
preciso: ottenere degli esemplari con cristalli di ilvaite dello
skarn della Torre di Rio. L’ilvaite è un bel minerale e, all’epoca
era un minerale scoperto da poco tempo e quindi non ancora
rappresentato in molte collezioni mineralogiche museali. Un
buon motivo, ma c’era dell’altro. Leggendo l’articolo pubblicato
da Rüppel nel 1825 sulla rivista Zeitschrift fur Mineralogie si
evince immediatamente una notevole acredine nei confronti
dell’ingegnere minerario francese Claude-Hugues le Lievre
che nel 1807 aveva identificato questo minerale come specie
nuova. Rüppel a un certo punto scrive che l’importanza
di questa nuova specie “… fu ampiamente riconosciuta,
ma con grande fastidio degli appassionati delle collezioni
mineralogiche. Le Lievre usa il monopolio della sua scoperta
in un modo molto egoistico, negoziando ogni pezzetto
di questo minerale, non importa quanto piccolo, a prezzi
altissimi …”. Possibile che tutto questo livore scaturisse da dei
minerali venduti a prezzi troppo alti?
In effetti il problema era un altro. Questioni diplomatiche
internazionali. I rapporti tra Germania e Francia non erano
mai stati ottimali e la disfatta, nella battaglia di Jena del 1806,
delle truppe prussiane da parte della Grande Armata francese
guidata da Napoleone Bonaparte non aveva migliorato le cose.
Le Lievre nel 1807, pensò bene di dedicare il nuovo minerale
da lui scoperto proprio a quella battaglia. Inizialmente
l’ilvaite si chiamò yénite (cambiò la “j” iniziale in “y” per
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
127
Ilvaite – Cristalli prismatici di 6 cm parzialmente
coperti dalle tipiche incrostazioni
arancioni di idrossido di ferro; Cala
Baroccia, Rio Marina (Coll. Museo di Storia
Naturale dell’Università di Pisa, Foto©Dini).
128
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
motivi di pronuncia in francese). Ci fu un’alzata di scudi degli
scienziati tedeschi, e non solo, contro questo comportamento
eticamente discutibile e in breve tempo furono proposti
due nomi alternativi: ilvaite (1811) e lievrite (1816). Per lungo
tempo i tre nomi continuarono a essere usati dagli scienziati
ma alla fine prevalse il nome ilvaite. Malgrado l’International
Mineralogical Association consideri ilvaite il nome ufficiale,
lievrite continua ad essere occasionalmente ed erroneamente
utilizzato nella letteratura scientifica.
Eduard Rüppel sbarcò all’Elba per la prima volta nel 1816,
cioè poco dopo che il Congresso di Vienna aveva ripristinato
l’ordine politico pre-napoleonico in Europa. Napoleone
aveva lasciato l’Isola d’Elba un anno prima, e scienziati e
commercianti di minerali potevano venire liberamente a
procurarsi esemplari di ilvaite evitando il monopolio di le
Lievre. In uno dei suoi viaggi Rüppel riuscì ad acquistare una
partita di esemplari di ilvaite per 400 lire toscane, all’epoca,
lo stipendio di un anno di un manovale. I cristalli di ilvaite
venivano estratti da due distinte località del grande corpo di
skarn a hedenbergite e ilvaite che corre dalla Torre di Rio fin
sotto Monte Fico. La prima, situata sulle scogliere a sud della
Torre, forniva cristalli lucidi di ilvaite di piccole dimensioni
su hedenbergite. La seconda, conosciuta all’epoca come Cala
Baroccia, era situata sul ripido versante sud-occidentale che
sale sopra l’insenatura di Marina di Gennaro e forniva gli
esemplari più spettacolari con cristalli lunghi fino a 10 cm
e larghi anche 3-4 cm. Malgrado negli ultimi decenni siano
stati trovati cristalli molto più belli in alcune miniere della
Mongolia Interna (Cina), gli esemplari di ilvaite della località
tipo di Rio Marina sono molto ambiti dai collezionisti italiani e
stranieri più raffinati.
Hedenbergite – Drusa di cristalli
prismatici verdi associati a cristalli di
quarzo prasio con base ametistina di 5 cm;
Santa Filomena, Rio Marina (Coll. Giannini,
Foto©Rinaldi).
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
129
7.7 Fiori di
Cobalto
L’ERITRITE DEL CANTIERE FRANCESCHE
Cobalto, metallo grigio argenteo,
separato dai chimici nella prima
metà del 1700 ma utilizzato
inconsapevolmente fin dall’antichità
grazie ai suoi sali che coloravano di
blu vetri, smalti e ceramiche. Il perfido
folletto delle foreste tedesche (kobolt)
lo sostituiva all’argento delle miniere.
Gli ignari minatori però riconoscevano
i suoi minerali per l’odore di aglio – la
cobaltite contiene arsenico – che
emanava una volta percosso. Oggi il
cobalto vale 60000 dollari la tonnellata!
Viene considerato un metallo strategico
dal Pentagono e da tutti gli organi
governativi occidentali perché la sua
produzione è attualmente concentrata
in Congo e la sua raffinazione in Cina.
Essendo un metallo fondamentale per
la costruzione delle batterie al litio,
la sua disponibilità determinerà la
realizzazione o meno della transizione
energetica dai combustibili fossili
all’elettrico nel campo della mobilità
umana.
Eritrite – ciuffi di cristalli prismatici tabulari
di 3 mm su idrossidi di ferro e ossidi di
manganese; Cantiere Francesche, miniera
di Capo Calamita (Coll. Privata, Foto©Dini).
130
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
131
All’Isola d’Elba non ci sono mai state
miniere di cobalto ma alcuni cristalli
di cobaltite – il solfuro-arseniuro del
metallo – sono stati trovati nello skarn
della Torre di Rio fin dall’inizio del
1800. Nello skarn della miniera di Capo
Calamita non fu trovata cobaltite ma, al
Cantiere Francesche, erano abbastanza
comuni delle bellissime incrostazioni
violacee e rosa di un minerale che si
forma dall’ossidazione della cobaltite:
l’eritrite. Cristalli piccoli ma raggruppati
in estetici aggregati raggiati: veri e
propri fiori di cobalto che possiamo
ammirare nelle collezioni dei Musei
delle Università di Firenze e Pisa, come
pure nella collezione di Walter Giannini
a Porto Azzurro. Negli anni 1950 le
analisi geochimiche stabilirono che la
pirite delle miniere elbane conteneva
molto cobalto, fino a migliaia di grammi
per tonnellata. Furono anche ritrovati
nuovi cristalli di cobaltite a Torre di Rio,
ma sempre in modo sporadico.
Le cose rare attirano scienziati e
collezionisti e la ricerca dei minerali
di cobalto nelle miniere elbane è
continuata fino ad oggi. Paolo Orlandi,
mineralogista dell’Università di Pisa e
uno dei massimi esperti di mineralogia
132
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
elbana, ha rincorso per molti anni
questi minerali. Nel corso delle sue
ricerche riuscì ad identificare cristalli
di eritrite anche nello skarn della
miniera del Ginevro. Recentemente le
indagini hanno portato i frutti sperati.
Un allievo di Orlandi, il professor
Cristian Biagioni dell’Università di
Pisa, ha identificato cobaltite in masse
cospicue in campioni di skarn raccolti
nelle discariche del Ginevro, fornitigli
dall’esperto collezionista Fabio Senesi.
Grazie alla disponibilità della società
Caput Liberum S.r.l. le indagini sono
state estese alle gallerie della miniera
dove sono stati individuati affioramenti
di skarn ricchi di minerali di cobalto.
Le quantità in gioco sono piccole ed
è molto difficile che il cobalto possa
essere estratto all’Elba.
A sinistra: Cobaltite – cristalli cubo-ottaedrici di 2 mm inglobati
nello skarn della miniera del Ginevro (Coll. Senesi, Foto©Dini).
A destra: L’eritrite si forma tutt’ora sulle pareti umide di alcune gallerie
della miniera del Ginevro. Questi fiori di cobalto evidenziano la
presenza di piccoli cristalli di cobaltite nello skarn (Foto©Dini).
La sua presenza diffusa (pirite
cobaltifera, cobaltite negli skarn)
può fornire importanti indicazioni
sull’origine dei giacimenti elbani.
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
133
6.8 La scoperta di Alfeo
IL QUARZO PRASIO DI PORTICCIOLO
Tutti i minerali elbani in cristalli
grandi ed eleganti che vedete e leggete
in questo libro sono stati scoperti
durante il 1800. Le intense attività
estrattive, la passione sfrenata di
Raffaello Foresi e Giorgio Roster,
la bravura del Celleri e la curiosità
degli scienziati si intrecciarono,
alimentando un rapidissimo
processo di scoperta mineralogica
dell’isola. Successivamente sono
state identificate molte specie, anche
nuove in assoluto, ma quasi sempre
in cristalli piccolissimi. C’è però un
minerale comune, il quarzo, che
solo nel secondo dopoguerra è stato
trovato in bellissimi cristalli di colore
verde, della cosiddetta varietà prasio.
Il quarzo prasio si trova all’interno
di un corpo di skarn molto alterato
che affiora in località Porticciolo,
un chilometro a sud della Torre di
Rio Marina. Prima non era mai stato
trovato: non se ne vedono esemplari
nelle collezioni storiche dei musei.
Fino alla scoperta dei giacimenti di
quarzo prasio di Serifos (anni 1970;
Grecia) e di Huanggang (anni 1990;
Mongolia Interna, Cina), quelli elbani
sono stati gli unici esemplari estetici
di quarzo prasio al mondo.
Alcuni anni fa, in un articolo sulla
Rivista Mineralogica Italiana, è
stata ricostruita la storia di uno dei
collezionisti più noti dell'isola, il riese
Alfeo Ricci. Gli autori dell'articolo
ipotizzano che sia stato proprio
lui, nel secondo dopoguerra, a
scoprire il giacimento di quarzo
prasio del Porticciolo. Nato in una
famiglia di minatori nel 1924, rimase
affascinato fin da giovanissimo dai
minerali che i parenti raccoglievano
occasionalmente in miniera. Iniziò a
studiare mineralogia da autodidatta
e presto cominciò a cercare minerali
in tutte le miniere dell’Elba Orientale.
Nell’immediato secondo dopoguerra
diventò una guida di riferimento per
i curatori di museo e gli scienziati che
sbarcavano sull’isola per i loro studi
scientifici. Morì giovanissimo nel
1962, a soli 38 anni. La sua collezione,
ricca di splendidi esemplari è stata
conservata dalla famiglia e ora è
esposta al Museo “Alfeo Ricci” di
Capoliveri.
Alfeo Ricci a dorso di somaro, un mezzo di trasporto molto usato
all’Elba in quegli anni. Ci piace fantasticare che nelle ceste stesse
trasportando qualche bell’esemplare di quarzo prasio.
134
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Quarzo prasio – uno degli esemplari trovati nello skarn
alterato del Porticciolo da Alfeo Ricci negli anni 1950
(Coll. Ricci, Foto©Rinaldi). I cristalli raggiungono i 4 cm; si
intravedono all’interno le inclusioni fibrose di probabile
hedenbergite che ne determinano il bel colore verde.
La zona del Porticciolo fa parte del
Cantiere Tignitoio dell’ex-miniera di
Ortano. La miniera ebbe un notevole
sviluppo a partire dall’inizio degli anni
1950, quando la Montecatini S.p.A.
ottenne la concessione dell’area per
la ricerca e coltivazione di alcune lenti
di pirite e pirrotina incassate in corpi
di skarn (hedenbergite e ilvaite). In
precedenza, l’esplorazione mineraria
era stata polarizzata dai giacimenti
di ossidi di ferro mentre gli skarn a
solfuri di ferro della zona di Ortano
erano rimasti nell’ombra. È probabile
che all’inizio degli anni 1950, mentre
i geologi della Montecatini S.p.A.
facevano esplorazione nella zona
(sondaggi, trincee, gallerie), Alfeo Ricci
abbia avuto l’occasione di raccogliere
alcuni di quegli strani quarzi verdi.
La sua abilità di collezionista gli
permise di estrarre esemplari molto
belli che possiamo ancora ammirare
nel museo di Capoliveri.
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
135
Tre esemplari di quarzo prasio (Coll. Privata,
Foto©Miglioli). La drusa più grande (15 cm) e il
gruppo di cristalli a destra sono del Porticciolo;
l’esemplare a sinistra proviene da Santa Filomena
e mostra cristalli in parte verdi (prasio) e in parte
violetti (ametista).
136
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Quarzo Prasio - Drusa di cristalli di 5 cm su skarn, Porticciolo
(Coll. Prati, foto©Miglioli)
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
137
Letture
Consigliate
-
D’Achiardi A. (1872-73) Mineralogia della
Toscana. Vol. I e II, Ed. Tipografia Nistri,
Pisa, 276 e 402 pp.
Barsotti G. e Nannoni R. (2006)
Rocce, minerali e miniere delle isole
dell’Arcipelago Toscano. Ed. Pacini, Pisa,
150 pp.
Carobbi G. e Rodolico F. (1976) I minerali
della Toscana – Saggio di mineralogia
regionale. Ed. Olschki, Firenze, 278 pp.
-Conti S., Conticelli S., Cornamusini G.
-Dini A., Rocchi S., Westerman D.S. and
Farina F. (2009) The Late Miocene
intrusive complex of Elba Island:
two centuries of studies from Savi to
Innocenti. Acta Vulcanologica, 21, 11-32.
-Calanchi N. Dal Rio G. e Prati A. (1976)
Miniere e minerali dell’Elba orientale.
Ed. -Cacciari, Bologna, 102 pp.
138
e Marroni M. (2021) Toscana. Guide
Geologiche Regionali, Vol. 15. Società
Geologica
-
Italiana, Roma, 250 pp.
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
-Lotti B. (1886) Descrizione geologica
dell’Isola d’Elba . Memorie Descrittive
della Carta Geologica d’Italia, Vol. 2, Ed.
Tipografia
-
Nazionale, Roma, 254 pp.
Barsotti Alcuni G. dei e Nannoni termini scientifici R. (2006) utilizzati Rocce,
mine nel Alcuni testo potranno dei termini risultare scientifici ostici.
utilizzati Non vi nel preoccupate, testo potranno sul WEB risultare troverete
ostici. tutto Non quello vi preoccupate, che vi serve e molto sul WEB di più.
troverete Ormai tutto non ha quello più senso che vi inserire serve un e
molto glossario di più. Ormai in un libro. non Abbiamo ha più senso parlato di
inserire composizione un glossario chimica in un e cristallografica
libro.
Abbiamo dei minerali parlato senza di composizione
però inserire
chimica formule e cristallografica chimiche o classificazioni dei minerali
senza cristallografiche. però inserire Sono formule cose chimiche
molto
o classificazioni importanti, ma cristallografiche.
non era nostro obiettivo
Sono farvele cose molto imparare importanti, e anche per ma questo non vi
aiuterà il WEB.
Millosevich F. (1914) I 5000 elbani del
Museo di Firenze – contributo alla
conoscenza della mineralogia dell’Isola
d’Elba – Ed. Reale Istituto di Studi
Superiori Pratici e di Perfezionamento,
Firenze, 96 p.
-Orlandi P. e Pezzotta F. (1996) Minerali
dell’Isola d’Elba – I minerali dei
giacimenti metalliferi dell’Elba orientale
e delle pegmatiti del Monte Capanne. Ed.
Novecento Grafico, Bergamo, 245 pp.
-Pandeli E., Principi G., Bortolotti V.,
Benvenuti M., Fazzuoli M., Dini A.,
Fanucci F., Menna F. e Nirta G. (2013)
The Elba Island: an intriguig geological
puzzle in the Northern Tyrrhenian
Sea. Geological Field Trips, 5, Servizio
Geologico d’Italia, 114 pp.
Pratesi G. (2012) Il Museo di Storia
Naturale dell’Università degli Studi di
Firenze. Le collezioni mineralogiche e
litologiche. Ed. University Press, Firenze.
317 -pp.
Rinaldi G. (2002) Minerali, rocce
e miniere dell’Isola d’Elba . Ed.
Archipelagos,
-
Portoferraio,160 pp.
Tanelli G. e Benvenuti M. (1998) Guida
ai minerali dell’Isola d’Elba e del
Campigliese. Ed. Il Libraio, Portoferraio,
164 -pp.
Due siti molto validi per cercare
informazioni sui minerali e sulle località
dell’Isola d’Elba sono:
www.mindat.org
www.webmineral.com.
Sul sito Geoscopio della Regione Toscana
troverete carte geologiche, topografiche e
molto altro.
Inserendo le coordinate geografiche
riportate all’inizio di ogni storia in
una qualsiasi App GPS per cellulari,
localizzerete la località descritta.
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
139
140
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Gli Etruschi
all'isola d'Elba
Laura Pagliantini
Assegnista di ricerca Università degli Studi di Siena
Membro Archeologia Diffusa a.p.s.
Parlare dell’isola d’Elba significa,
ancora oggi, a quarant'anni dalla
chiusura definitiva delle miniere di
ferro nel 1981, rievocare un mondo
minerario e siderurgico che ebbe un
grande rilievo nell’economia e nella
società dell’isola e che tuttora ne
costituisce un aspetto fortemente
identitario.
E questa fama è ben giustificata se si
considera che tale attività mineraria
affonda le sue radici in epoca etrusca
e che ha costituito la ricchezza della
città di Populonia e dei Romani che
presero, successivamente, il controllo
dell’isola.
In antichità la ricchezza delle
miniere di ferro elbane ha attirato
l’attenzione non solo di metallurghi
e commercianti ma anche di poeti
e scrittori di curiosità, i quali ci
parlano della inesauribilità delle
risorse minerarie e della loro
capacità di autorigenerarsi. Il
nome greco dell’isola Aethaleia da
tradurre “fuligginosa”, evoca appunto
l’immagine di un’isola circondata da
una cappa di fumo, che scaturiva dalle
fornaci che lavoravano il ferro appena
estratto o alludeva al colore scuro che
caratterizza, anche oggi, alcune delle
spiagge della costa.
Il reperto più conosciuto relativo
al periodo etrusco è sicuramente il
Bronzetto di Offerente, rinvenuto in
località Le Trane nel 1764 (fig. 1). La
statuetta rappresenta un giovane in
piedi, vestito con un pesante mantello
aderente che lascia scoperte la spalla
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
141
e le braccia e coi piedi chiusi negli
alti calzari a punta, i calcei repandi.
Il giovane tende in avanti la mano
per offrire un dono votivo, purtroppo
mancante, ad una divinità: per questo
è stato denominato “l’Offerente”.
Questo reperto, di grande
valore,artistico e culturale, venne
acquistato dal re di Napoli, Carlo III di
Borbone, che stava allestendo il museo
della città e si trattava del primo e più
antico oggetto proveniente dall’Etruria
che fosse entrato a far parte del
patrimonio del museo.
Il bronzetto, prodotto verosimilmente
da un’officina populoniese degli ultimi
decenni del VI secolo a.C., è stato il
pezzo di punta nella mostra dedicata
agli Etruschi del Museo Archeologico
Nazionale di Napoli (terminata il
31 maggio 2021), che ha creato un
percorso di approfondimento, per
molti aspetti inedito, sull’antica
popolazione italica. Lo straordinario
bronzetto dell’Offerente da Le Trane, il
rinvenimento agli inizi del XIX secolo
di alcune statuette bronzee a Grassera,
poi andate disperse, e le notizie
ottocentesche relative al recupero di
alcune statuette in bronzo presso San
Mamiliano, indicherebbero la presenza,
nel cuore del distretto minerario
dell’isola ed in prossimità della rada
di Portoferraio, di alcuni importanti
luoghi di culto.
Fig. 1
Ma dove si trovavano gli abitati e le altre
tracce del popolo etrusco sull’isola? I
ritrovamenti archeologici, effettuati
perlopiù nell’800 e quindi privi di
informazioni puntuali sul contesto di
deposizione e soggetti ad una forte
dispersione dei reperti, rendono
l’epoca etrusca il periodo più silente
nella storia dell’isola.
A partire dal VI secolo a.C. gli anfratti
granitici naturali del versante
occidentale, presenti sui pianori di
Monte Giove, Masso dell’Aquila, Omo
Masso, Serraventosa, Masso alla Quata
e Poggio sono tuttavia caratterizzati
dalla presenza di alcune sepolture, i cui
corredi, appaiono composti da buccheri
provenienti da Caere, ceramiche
corinzie ed etrusco-corinzie importate
da Vulci, coppe ioniche e numerose
tipologie di fibule in bronzo (fig. 2).
Fig. 2
142
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Fig. 3
Fig. 4
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
143
In età etrusca classica (V secolo a.C.), i nuclei funerari
rinvenuti mostrano una sensibile concentrazione
dell’insediamento sia intorno alla rada di Portoferraio, che
nella parte centro-orientale dell’isola, in prossimità delle
miniere di ferro (fig. 4).
Anche in questo caso le sepolture sono caratterizzate da
ricchi corredi, come testimoniato da una tomba femminile
nella necropoli di Casa del Duca, il corredo della quale
comprendeva oreficerie e oggetti d’ornamento in argento e
pasta vitrea (oggi conservati presso i Civici Musei di Reggio
Emilia).
I materiali di queste tombe denotano un certo grado di
prestigio raggiunto dei gruppi umani elbani: la presenza
nel contesto sepolcrale di Monte Giove di una grattugia in
bronzo, oggetto caratteristico del simposio che serviva per
grattugiare formaggio e spezie da mescolare con il vino,
indica l’appartenenza del defunto alla classe aristocratica
(fig. 5).
destinate ad essere reimpiegate negli altiforni di Piombino
e Portoferraio. Lo scavo incontrollato con mezzi meccanici
degli accumuli antichi, e con essi di gran parte dei reperti
archeologici che ne connotavano i momenti di formazione,
ha così provocato un’enorme perdita d’informazione e creato
profonde lacune su molti aspetti della lavorazione del ferro
sull’isola. All’Elba l’unico sito in cui sono attestate tracce
della produzione del ferro sul suolo insulare, sono emerse
durante lo scavo dell’impianto metallurgico di epoca medio
e tardo repubblicana di San Bennato, presso Rio Marina,
dove, i risultati di analisi archeo-magnetiche, hanno indicato
forti anomalie da calore riferibili alla metà del V secolo
a.C. nonostante nel sito non siano stati rinvenuti materiali
ceramici di questo periodo ma relativi ad epoca successiva.
Lo status elevato raggiunto dagli etruschi stanziati sull’isola
è da mettere in relazione non solo alla posizione di
centralità dell’isola stessa, in rapporto alle rotte commerciali
marittime, ma soprattutto con le operazioni di controllo
nell’avvio dello sfruttamento minerario. E’ a partire infatti
dal VI secolo a.C. che la miniere “inesauribili” di ematite
del versante orientale vengono per la prima volta aperte
e, il minerale di ferro elbano, estratto e commercializzato
nei principali siti della costa tirrenica. Sulla base dei dati
archeologici a disposizione, risulta però estremamente
difficile determinare l’avvio sull’isola di attività di
sfruttamento delle miniere ferrifere e la trasformazione
del minerale in semilavorati. Scorie e resti di fornaci si
trovano ancora sparsi in tutto il territorio elbano, nonostante
l’isola, analogalmente a quanto avvenne nel Golfo di Baratti,
sia stata oggetto di una vasta operazione di asporto e
recupero delle scorie ferrose antiche, fra il 1936 ed il 1950,
Fig. 5
144
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Il fatto che l’ematite elbana inizi a circolare lungo la costa
alla fine del VII secolo a.C. è determinabile sulla base
di un insieme di elementi chimici che, con la loro alta
concentrazione, caratterizzano il minerale di ferro dell’Elba
orientale, rendendolo unico. Grazie ad un’approfondita
analisi, si è potuto capire che l’ematite proveniente dalle
miniere di Rio Marina ha una concentrazione molto elevata
di stagno e tungsteno e ciò ne costituisce un significativo e
preciso marcatore.
Questa caratteristica ha consentito di determinare non
solo l’inizio della commercializzazione del minerale elbano
ma anche le varie direttrici di questo commercio, come
dimostrano i numerosi frammenti di ematite di sicura
provenienza isolana rinvenuti nell’edificio industriale
di Populonia, nei siti metallurgici di Rondelli (Follonica),
Puntone di Scarlino, Fonteblanda (Talamone) e presso il
Castellare del Campese all’isola del Giglio. A partire da questo
momento il ferro irrompe nella vita di Populonia: l’isola
d’Elba con le sue miniere è appena oltre il canale e Populonia
inizierà ad esercitare su di lei una specie di protettorato. A
ridosso della spiaggia del Golfo di Baratti sorgono quartieri
industriali specializzati nell’affinamento dell’ematite estratta
delle miniere dell’Elba per produrre ferro e la città diventerà,
in breve tempo, il più importante centro siderurgico
dell’antichità mediterranea.
principali approdi che dell’area mineraria (fig. 6). Si trattò
verosimilmente di un grande progetto di “militarizzazione”
messo in atto dalla città di Populonia, in cui le fortezze
insulari dovevano essere integrate con la rete fortificata
del territorio populoniese per mezzo di un sistema di
segnalazioni e avvistamento.
Le fortezze d’altura protessero l’isola fino agli inizi del III
secolo a.C., ma non riuscirono a resistere all’implacabile
avanzata dei Romani verso le città etrusche della costa
settentrionale del Tirreno: queste piazzeforti vennero
distrutte violentemente e la città di Populonia, e con essa
l’isola d’Elba , caddero sotto il dominio romano.
Fu verosimilmente la grande importanza acquisita dall’Isola
d’Elba per l’economia di Populonia che spinse la città etrusca
a tutelare l’isola dall’ambizione di altre potenze straniere e
a proteggere in maniera capillare le fonti di estrazione del
minerale contro altre scorrerie nemiche.
A partire dal V, ma in maniera più strutturata tra la fine
del IV ed il III secolo a.C., sorsero sull’isola una serie
di “fortezze d’altura”, edificate nei punti più strategici,
omogenee per impianto, cronologia e posizione topografica,
disposte in collegamento ottico tra loro e a controllo sia dei
Fig. 6
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
145
Partner
PARCO MENERARIO
DELL’ISOLA D’ELBA
Il "Parco Minerario dell'Isola d'Elba s.r.l.", che
nasce nel 1991 con l’obiettivo di riconvertire
le aree degradate dall’estrazione del ferro
e promuovere lo sviluppo socioeconomico
delle comunità locali, custodisce un
patrimonio geologico, mineralogico e storico
minerario di inestimabile valore. Un parco
all’interno di un Parco, quello Nazionale
dell’Arcipelago Toscano, da esplorare a
piedi, in bici, a bordo di un trenino o di un
fuoristrada per un’avventura fuori dal tempo,
in un paesaggio surreale, in un giardino
di fiori minerali, ripercorrendo le vecchie
strade ferrate e le storie di quegli uomini
che lo hanno vissuto, amato e trasformato,
radicalmente.
Il "Parco Minerario dell'Isola d'Elba s.r.l."
oltre a gestire due strutture museali
aperte al pubblico, a Rio Marina e a Rio
Elba , conserva un archivio storico dove
sono raccolti innumerevoli e preziosissimi
documenti, mappe e disegni tecnici a partire
dal 1881 fino alla chiusura delle miniere
avvenuta negli anni ’90 del XX° secolo,
attualmente consultabili, che testimoniano
la vita mineraria del territorio ed anche
di altre aree minerarie collegate a quella
elbana .
Museo Minerario - Rio Marina
Il Museo dei minerali e dell’arte mineraria si trova all’interno della
prestigiosa sede storica della direzione delle miniere, posta nel centro storico
di Rio Marina. La sala principale ospita una preziosa esposizione di minerali
dell’Isola d’Elba , mentre nelle altre si possono osservare diversi ambienti
di miniera, fedelmente ricostruiti da esperti di archeologia industriale, con
materiale originale rinvenuto nelle vecchie miniere.
Orario di apertura da marzo a ottobre: 09:00-12:30 / 15:30-19:00
Durante gli altri mesi dell’anno è visitabile su prenotazione telefonando al
numero 0565-962088 o inviando un’e-mail a info@parcominelba .it.
Museo Archeologico del Distretto Minerario - Rio nell'Elba
Il Museo Archeologico del Distretto Minerario è dedicato alla storia connessa
alle attività minerarie che hanno reso l’isola famosa fin dai tempi più antichi.
Il percorso del museo abbraccia un lungo arco di tempo: dalla tarda età del
rame all’epoca etrusca, romana, fino ad arrivare all’epoca tardo medievale.
Il Museo Archeologico del Distretto Minerario di solito è aperto al pubblico
dalla settimana di Pasqua fino ad ottobre nelle ore 09:30-12:40 / 16:00-19:30
Durante gli altri mesi dell’anno è visitabile su prenotazione contattando il
Parco Minerario dell’Isola d’Elba telefonando allo 0565-962088 o inviando
un’e-mail a info@parcominelba .it.
Parco Minerario dell’Isola d’Elba S.r.l.
Palazzo del Burò
Via Magenta, 26
57038 Rio Marina (LI)
Tel. +39 0565 924069 fax +39 0565 925698
email: info@parcominelba .it
146
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Partner
FEISCT - Federazione
Europea Itinerari Storici,
Culturali, Turistici
Feisct (Federazione Europea Itinerari Storici
Culturali e Turistici) nasce per promuovere e
valorizzare gli itinerari storici e culturali, con
l’obiettivo di aiutare i territori, in particolare
i borghi ed i centri minori a sostenersi
attraverso l’economia generata dal turismo
lento. Camminatori, trekkers, cavalieri,
ciclisti e tutto quel turismo attento alla
cultura e desideroso di conoscere la storia
e le tradizioni locali, possono contribuire
a sostenere la crescita delle realtà locali.
Favoriamo il rapporto con gli Enti, aiutiamo
e coordiniamo la creazione dei sistemi di
servizi, favoriamo la crescita del turismo
sostenibile attraverso iniziative, convegni
ed eventi sui territori. Feisct rappresenta
ed aggrega Comuni, Enti pubblici e privati,
associazioni ed operatori economici, con
l’obiettivo di essere un luogo di incontro
e dialogo, e laboratorio per lo sviluppo di
sinergie attraverso gli itinerari culturali ed i
cammini. FEISCT è Ente sostenitore dei Faro
Social Lab in Italia, ed Ente organizzatore
di Meet Tourism, Meeting Internazionale
degli Itinerari Culturali Europei e delle
destinazioni d’Eccellenza, manifestazione
organizzata sotto l’Alto Patronato del
Parlamento Europeo e con la collaborazione
dell’Istituto Europeo degli Itinerari Culturali,
Ministero Beni Culturali, Regione Toscana ed altri
prestigiosi partners.
Insieme per il territorio - Sviluppiamo politiche ed azioni di sostegno ai
territori che ne favoriscano la sostenibilità, dialogando e collaborando con
Enti locali, nazionali ed europei. Valorizziamo il patrimonio identitario
materiale ed immateriali: antichi saperi, tradizioni locali, artigianato,
enogastronomia e aiutiamo gli operatori locali a conoscere gli strumenti che
possono utilizzare per essere più visibili, per entrare nel circuito dei servizi
dedicati agli itinerari culturali ed intercettare quel turismo esperienziale,
desideroso di conoscere la genuinità e le persone che abitano i luoghi meno
conosciuti del nostro territorio.
Sensibilizziamo i ragazzi delle scuole, per aiutarli a comprendere il valore
di ciò che li circonda, ed Insegnare loro ad essere orgogliosi del proprio
territorio ed attenti nella gestione e nella promozione del luogo in cui vivono,
attraverso percorsi di marketing territoriale e alternanza scuola – lavoro
mirati alla promozione del loro territorio. Cultura, Turismo, Innovazione
L’innovazione fornisce strumenti strategici per la promozione turistica,
adeguati alla competitività del mercato internazionale, Feisct promuove
l’adozione di tecniche di engagment per aumentare la fruibilità dei territori,
indirizzando l’attenzione soprattutto ai centri minori ed ai piccoli borghi,
detentori di un patrimonio culturale ancora poco conosciuto ma prezioso.
Per informazioni:
segreteriafeisct@gmail.com
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
147
Partner
ENJOY ELBA
AND THE TUSCAN
ARCHIPELAGO
Enjoy Elba and The Tuscan Archipelago
fa parte di un progetto editoriale che ha al
centro la narrazione dei luoghi e delle loro
comunità, svelandone gli elementi identitari,
esplorandone la diversità come elemento
di ricchezza e di vitalità, raccontandoli per
valorizzarli e salvaguardarli, offrendo spunti
di riflessione o idee per progetti di futuro.
La rivista nasce per dare voce alle comunità
dell’Isola d’Elba e delle Isole di Toscana:
Giglio, Giannutri, Pianosa, Gorgona,
Capraia, Montecristo. L’obiettivo, comune
a quello della Convenzione di Faro, è quello
di proteggere e promuovere il patrimonio
culturale, inteso come patrimonio materiale
ed immateriale, costituito da valori identitari
e tradizioni, coinvolgendo le comunità e
le società che ne sono custodi. Si rivolge a
target diversi, a partire da quello turistico,
nell’ottica di un turismo sostenibile e
consapevole, con un approccio integrato alla
narrazione, raccontando nelle sue rubriche
il paesaggio e l’ambiente, la incredibile
geodiversità e biodiversità, le persone, i
mestieri e le tradizioni, le opportunità di
benessere e di svago.
Le rubriche della rivista trattano quattro filoni principali: ambiente e bellezza
del territorio; lifestyle, benessere e attività outdoor; cultura, arti, tradizioni e
memoria; enogastronomia, artigianato, agricoltura e produzioni locali.
Attraverso la narrazione intendiamo rafforzare la memoria e il senso di
appartenenza delle persone, promuovendo la responsabilità condivisa
per l’ambiente in cui vivono, anche solo per una vacanza. Ci rivolgiamo
a viaggiatori, italiani e stranieri, accompagnandoli in un percorso di
conoscenza, comprensione e condivisione del patrimonio dell’Isola e
dell’Arcipelago, per favorire un turismo e una economia sostenibile.
La bellezza della Isole di Toscana è pari alla loro fragilità: per questo crediamo
in un turismo lento, che valorizzi i piccoli borghi e le molte anime dell’Elba
e delle Isole dell’Arcipelago, favorendo la destagionalizzazione. Un turismo
esperienziale, all’insegna del benessere, della salute e del gusto, incentrato
sulle tradizioni enogastronomiche e i prodotti locali. Un turismo che
favorisca altri settori economici collaterali quali l’agricoltura e l’artigianato
o quello dei servizi e delle nuove tecnologie. Un turismo consapevole e
partecipativo che rispetti la biodiversità e la geodiversità dei territori.
I “Quaderni di Enjoy”, come questo, sono numeri monografici dedicati ad
argomenti specifici che meritano approfondimenti. Il primo è stato dedicato
alla flora dell’Elba , per descrivere la ricchissima biodiversità dell’Isola,
che rischia di scomparire per l’incuria dell’uomo. Il secondo alla splendida
geodiversità ed alla mineralogia dell’Arcipelago, fonte di ricchezza dai tempi
più antichi, attualmente, affascinante attrazione turistica.
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148
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Partner
PARCO NAZIONALE
ARCIPELAGO
TOSCANO
L’Area Protetta, istituita nel 1996, si estende
per circa 180 kmq a terra e abbraccia un
ampio tratto di mare (circa 600 kmq)
includendo tutte le isole dell’Arcipelago.
In particolare, viene tutelata metà della
superficie dell’Elba e del Giglio, a Capraia
è esclusa dall’area Parco solo la ridotta
estensione dell’abitato. Montecristo, Pianosa
e Gorgona sono rigorosamente protette in
quanto l’accesso è regolamentato secondo
criteri di sostenibilità. Infine, l’accesso è
libero a Giannutri pur essendo necessario,
in gran parte dell’isola, essere accompagnati
da guide. Il Parco è totalmente inserito nel
Santuario Internazionale per la Protezione
dei Mammiferi Marini “Pelagos” che è
un’Area Marina Protetta tra Italia, Francia e
Principato di Monaco.
Isole diverse per la natura geologica
delle terre, per i paesaggi e per i gioielli
di biodiversità che vi sono custoditi, così
come per la storia e le vicende umane che
hanno animato il passato di questi luoghi.
Ci sono angoli dove è possibile immergersi
in acque turchine, spazi aperti illuminati
dalla luce dorata dei tramonti, scenari
verdi delle boscaglie di leccio intercalati
da geometrici terrazzamenti coltivati, e
giungere alle estese macchie di fiori coloratissimi che si protendono verso il
mare. Oltre quel limite, si apre il regno delle piante pioniere che si coricano
sulle rocce per raggiungere le falesie a picco sul mare o gli scogli che
custodiscono piccole cale di sabbia dolcemente invase dal rincorrersi delle
onde. Muovendosi lungo i sentieri dell’entroterra si incontrano piccoli abitati,
ancora ben conservati, con antichi baluardi fortificati a testimonianza delle
vicende tumultuose nelle passate dominazioni.
L’Ente, grazie al suo duplice impegno nella conservazione e nella
valorizzazione delle risorse storico culturali dell’Arcipelago Toscano ha
ricevuto nel 2013 il riconoscimento di Riserva della Biosfera MAB Unesco.
È nata così la Riserva MAB UNESCO “Isole di Toscana” che è composta dalle
sette isole dell’Arcipelago, alcune isolette tra la costa toscana e la Corsica e
dal mare che le circonda; ambienti che racchiudono una grande diversità
geologica e biologica rappresentativa della regione mediterranea. Il
programma MAB (Man and Biosphere) UNESCO si sviluppa all’interno delle
scienze naturali e sociali per l’uso razionale e sostenibile e la conservazione
delle risorse della biosfera e per il miglioramento della relazione generale
tra le persone e il loro ambiente. In coerenza con tali obiettivi la Riserva
della Biosfera “Isole di Toscana” promuove progetti e iniziative finalizzate
a tutelare le risorse naturali e a incentivare uno sviluppo economico
sostenibile a vantaggio delle comunità locali.
Sede Amministrativa:
Loc. Enfola, 16
57037 Portoferraio (LI)
+39 0565 919411
www.islepark.it - parco@islepark.it
Informazioni e prenotazioni:
Info Park
Zona porto - Portoferraio
+39 0565 908231
info@parcoarcipelago.info
prenotazioni@parcoarcipelago.info
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
149
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MUM – MUSEO
MINERALOGICO
“LUIGI CELLERI”
Il MUM – Museo Mineralogico “Luigi Celleri”,
è stato istituito dal Comune di Campo
nell’Elba nel 2014. Questa nuova realtà
museale è stata realizzata grazie al 60%
di contributi regionali e al 40% di risorse
comunali. I fondi sono stati utilizzati per la
ristrutturazione dell’edificio che lo ospita
(l’ex edificio scolastico di San Piero).
La direzione scientifica e il ruolo di
Conservatore sono affidati con incarico
a titolo gratuito al Dr. Federico Pezzotta,
mentre il ruolo di gestore è stato affidato
tramite gara a Pelagos, società del territorio
specializzata nel settore dell’educazione
ambientale e della ricerca scientifica,
escursionismo naturalistico e sportivo,
turismo scolastico e sociale, con numerose
esperienze di gestione e collaborazione con
Il Parco Minerario dell’Isola d’Elba , con il
Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano ed
altri importanti soggetti pubblici e privati.
Il Museo comprende esemplari donati da
celebri ricercatori, alcuni campioni delle
collezioni storiche del Museo di Storia
Naturale di Milano, parte della collezione di
Federico Pezzotta, altri appartenenti al Parco
Minerario dell’Isola d’Elba .
Il Museo ha iniziato da subito un importante
percorso evolutivo.
Modernamente attrezzato e trasformato in una struttura polivalente, vanta
vari punti di forza: sorge davanti all’antica Pieve romanica di San Niccolò,
ad un passo dal Belvedere, punto panoramico per eccellenza di San Piero, a
breve distanza dai più celebri siti mineralogici. Ha ambienti ampi, ricche sale
ed un giardino, destinati alla gestione delle molteplici proposte culturali che
il Museo offre. É offerta un’ampia gamma di servizi tra cui trekking tematici,
visite guidate, serate a tema, laboratori didattici rivolti a scuole e famiglie.
É sede di mostre temporanee organizzate in calendari artistici annuali gestiti
da un direttore artistico nominato da Pelagos. Nel 2021 è stata inaugurata la
mostra permanente “Il Mestiere del Granito”, doverosa opera omaggio a San
Piero e alla sua storia, allestita con tecniche moderne e raffinate. Il MUM ha
un linguaggio ed una comunicazione originale e innovativa: è un museo che
parla, attraverso un’efficace infografica a parete, rappresentando fenomeni
geologici e naturalistici ed evocando frasi celebri o poesie.
Contiene un laboratorio con attrezzature tecnico-scientifiche, una sala
multimediale con filmati tematici, postazioni con touchscreen per gli
approfondimenti, un bookshop con inclusa un’area consultazione libera ed
un archivio consultabile su richiesta
MUM - Museo Mineralogico "Luigi Celleri"
via Cavour - San Piero In Campo - Isola d’Elba
tel. +39 393 8040990
P.I. 01395810490
info@museomum.it
150
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
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IGG - ISTITUTO
DI GEOSCIENZE E
GEORISORSE DEL CNR
L'Istituto di Geoscienze e Georisorse (IGG)
è un istituto del Consiglio Nazionale delle
Ricerche (CNR) e si occupa dello studio
interdisciplinare delle Geoscienze, con
studi di base, ricerche applicate e supporto
decisionale alle istituzioni.
IGG si occupa della conservazione, gestione
e uso sostenibile delle risorse geologiche
e naturali, della stima e riduzione della
pericolosità geologica e ambientale e della
stima e mitigazione dei rischi associati ai
cambiamenti globali. L'Istituto opera in tre
ambiti principali: la geodinamica (tettonica
a placche, processi e sistemi geologici
profondi e alla superficie, geologia e
geochimica terrestre e planetaria, dinamica
della crosta continentale, geomateriali,
ciclo del carbonio), le acque sotterranee
(geotermia, acquiferi, idrogeologia, idrologia
isotopica, ciclo idrologico, inquinamento)
e la geocronologia e le ricostruzioni
paleoclimatiche e paleoambientali su un
ampio spettro di scale temporali.
Le attività di ricerca includono la
comprensione, misura, interpretazione
e modellistica dei processi geologici,
geodinamici e geochimici del Sistema Terra;
lo studio del ciclo globale del carbonio e delle interazioni geosfera-biosfera
alle diverse scale spaziali e temporali; la geocronologia e le ricostruzioni
paleoclimatiche e paleoambientali; l'analisi e l'utilizzo dei geomateriali per
i beni culturali e la salute; la geologia e la geochimica planetaria; lo studio,
l'esplorazione e l'utilizzo delle risorse geotermiche; l'analisi e la mitigazione
della pericolosità geologica e ambientale; la caratterizzazione del ciclo
idrologico e delle risorse idriche, con particolare attenzione alle acque
sotterranee; la stima e mitigazione degli impatti dei cambiamenti globali.
Per lo svolgimento delle attività di ricerca, l'Istituto conduce monitoraggi
e misure sul campo, analisi di laboratorio (geochimica, analisi isotopiche,
geocronologia, proprietà delle rocce e dei minerali, tettonica sperimentale),
analisi e interpretazione dei dati, sviluppo e implementazione di banche dati
e simulazioni numeriche. IGG dispone di circa trenta laboratori, alcuni dei
quali a livelli di eccellenza mondiale. Sono altresì svolte attività di formazione
(tesi di laurea e di dottorato, organizzazione di corsi post-dottorali) e di
disseminazione dei risultati scientifici.
In vista dell’International Geodiversity Day (6 ottobre 2022), IGG sta
sviluppando una serie di attività di ricerca e di divulgazione in cui si inquadra
anche il presente volume sulla diversità geo-mineralogica dell’Isola d’Elba .
IGG - Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR
Via G. Moruzzi 1 - 56124 Pisa
Telefono: +39 050 6212370
Email: a.dini@igg.cnr.it
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
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ARCHEOLOGIA
DIFFUSA A.P.S.
L’Associazione di promozione sociale
“Archeologia Diffusa”, rappresentata dal
Prof. Franco Cambi dell’Università degli
Studi di Siena, nasce dalla sinergia tra
diversi professionisti, uniti dalla volontà di
impegnarsi attivamente nella ricerca e nella
promozione del patrimonio archeologico,
storico, artistico ed ambientale italiano.
L’intento è quello di rivolgersi ad un pubblico
il più possibile vasto ed eterogeneo, da qui il
nome Archeologia Diffusa: tutti i soci sono
fermamente convinti che questo patrimonio
non debba essere diritto esclusivo degli
addetti ai lavori ma che questi debbano
adoperarsi per far sì che tutti siano in grado
di comprendere, apprezzare ed amare
le ricchezze ambientali e le storie che i
nostri territori anelano di raccontare ma
che purtroppo, per varie ragioni, restano
sconosciute.
Gli obiettivi dell’Associazione riguardano la promozione e la gestione di
manifestazioni culturali e sociali, visite guidate, conferenze, laboratori
didattici, aperture straordinarie di siti e creazione di percorsi tematici.
A partire dal 2016 l’Associazione ha operato in particolare all’Isola d’Elba , in
stretta collaborazione con l’Università degli Studi di Siena, nello svolgimento
dello scavo archeologico della villa romana del Podere San Marco a San
Giovanni, nell’organizzazione della manifestazione regionale “Notti
dell’Archeologia” per il Comune di Portoferraio e nella gestione degli eventi
culturali del parco archeologico della Villa romana delle Grotte.
archeologiadiffusa@gmail.com
archeologiadiffusa.wordpress.com
FB: Archeologia Diffusa
152
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
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DIPARTIMENTO DI
SCIENZE DELLA TERRA
UNIVERSITÀ DI PISA
Il termine "Scienze della Terra" ha lo stesso
valore che si assegnava una volta al termine
"Geologia", cioè di scienza comprensiva
di tutte le conoscenze relative al pianeta
Terra. “Il "Dipartimento di Scienze della
Terra" è la struttura dell’Università di
Pisa che a partire dal 1981, con l’unione
dei due precedenti e storici istituti di
“Geologia e Paleontologia” e “Mineralogia e
Petrografia” riunisce gli studiosi di geologia,
mineralogia, petrografia, geografia fisica,
paleontologia, geochimica, e ne promuove
l'attività di ricerca e didattica. Entrambe
le attività, non disgiunte l’una dall’altra,
sono rivolte alla conoscenza dei processi
esogeni ed endogeni legati alla dinamica
del pianeta e alla preparazione dei futuri
geologi nei diversi ambiti sia professionali
sia di ricerca. L’Attività didattica è svolta
nell’ambito di tre corsi di laurea; un corso
triennale e due corsi magistrali e dalla
Scuola di Dottorato, post-laurea, che prepara
i futuri ricercatori universitari e/o figure
professionali. L’Attività di ricerca viene
svolta in collaborazione con altri istituti
e/o università, nell’ambito di progetti di
ricerca nazionale ed internazionale che
coprono un ampio spettro di tematiche
(stratigrafiche, paleontologiche, strutturali,
petrografiche, mineralogiche, planetarie) in diverse aree geologiche e
geografiche del pianeta (es. Alpi, Appennino, Himalaya, Ande meridionali,
Atlante, Antartide). L’attività di ricerca riguarda anche gli aspetti geologici
dell’Appennino settentrionale, in particolare il massiccio delle Alpi Apuane, i
cui primi studi “moderni” sono iniziati negli anni Ottanta ad opera di docenti
del Dipartimento. Risultati di grande rilievo sono stati la realizzazione
negli anni Novanta del “Modello Strutturale d’Italia” che sintetizza gli
aspetti geologici dell’Italia e il successivo progetto di Cartografia Geologica
Nazionale. L’arcipelago toscano e l’Isola d’Elba in particolare, sono stati
e sono oggetto di numerose ricerche a partire dalla pubblicazione della
“Carta Geologica dell’Isola d’Elba ” come prima “sintesi” moderna della
geologia dell’isola. Le ricerche attuali riguardano la struttura tettonica
dell’isola, di recente pubblicazione la carta geologica dell’area orientale, i
caratteri mineralogici e geochimici delle rocce magmatiche e lo sviluppo
dei sistemi di mineralizzazioni in relazione alla tettonica recente del Tirreno
settentrionale.
Dipartimento di Scienze della Terra
Università di Pisa
Via S. Maria 53 -54162 Pisa
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
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ISPRA - ReMI
LA RETE DEI PARCHI E MUSEI
MINERARI ITALIANI
L’Italia conserva un vasto e originale
patrimonio industriale legato all’estrazione
e lavorazione dei minerali, nonché un
variegato patrimonio geominerario. I resti e
le testimonianze di oltre 2 milleni di attività
estrattiva lungo la penisola, costituiscono un
patrimonio di dati scientifici, antropologici
e storico-culturali assai elevato, con
significative potenzialità divulgative e
turistiche non ancora apprezzate appieno.
I siti minerari rappresentano la tipica sintesi
di patrimonio industriale, archeologico,
culturale, storico e paesaggistico intorno
alla quale si sono sviluppate aggregazioni
sociali e comunità che hanno determinato
le condizioni essenziali per la crescita
economica e sociale del paese.
Il grande patrimonio minerario dismesso,
per alcuni decenni, è rimasto abbandonato
a se stesso, senza intravedere alcuna
possibilità sul suo futuro. Molte realtà sono
state soggette a bonifiche per rispondere
ad emergenze ambientali, alcune norme
orientate alla riconversione e recupero
ambientale negli anni 90 e 2000 hanno
favorito le prime azioni di recupero sul
territorio in Sardegna, in Toscana, in
Piemonte ma complessivamente, non vi
è stata una strategia nazionale capace di
affrontare la gestione delle realtà minerarie dismesse.
Tutte le iniziative di riconversione avviate, mancando di un coordinamento
sul territorio di valenza nazionale, risultano non omogenee e con
investimenti non inseriti in un progetto economico e culturale di sviluppo
complessivo.
In questo quadro, gli anni novanta sono stati in ogni caso un momento di
passaggio importante in quanto alcune realtà, spinte da stimoli culturali,
spesso di valenza locale, hanno avviato i primi tentativi di tutela e
valorizzazione del patrimonio.
Si è dunque assistito in anni più recenti ad un cambio di tendenza ed il
patrimonio minerario ha iniziato ad essere interpretato, anche alla luce
dei processi attivati su scala europea, come una opportunità culturale.
Oggi anche a seguito della Pandemia Covid-19, la promozione del turismo
minerario quale turismo responsabile e sostenibile, attento all’ambiente
ed alle comunità, è quanto mai urgente ed attuale e non può più essere
tralasciato. Oggi la promozione della tutela, valorizzazione e riconversione
di parte del copioso patrimonio minerario dismesso, è in linea con gli
obiettivi di sviluppo sostenibile Goal 11 dell’ONU 2030 sulle città e comunità
sostenibili, che intende pianificare il territorio in modo da proteggere e
salvaguardare il patrimonio culturale e naturale nonché di valorizzarlo in
maniera integrata con i circuiti dei cammini e vie storiche, dei borghi italiani,
delle ferrovie turistiche, della mobilità dolce a piedi ed in bicicletta, dei luoghi
dell’enogastronomia di qualità.
Il 2 ottobre 2015 a Milano all’interno della cornice dell’EXPO, viene siglato un
protocollo d’intesa che sancisce la nascita della Rete Nazionale dei parchi e
musei minerari, denominata ReMi. La rete coordinata da ISPRA, promossa
in collaborazione con la Regione Lombardia, patrocinata dal Ministero dello
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I QUADERNI DI ENJOY ELBA
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Sviluppo Economico, l’ANIM e l’AIPAI, il
CNG (Consiglio Nazionale dei Geologi),
vede da subito la partecipazione dei 4
parchi minerari nazionali e di buona
parte delle realtà minerarie museali
italiani.
Dopo 5 anni e mezzo di lavoro della
Rete, opportunamente coordinata
da ISPRA, il numero degli aderenti è
cresciuto con grande rapidità, molti
degli obiettivi sono stati raggiunti, altri
sono stati meglio individuati e mirati,
in stretta collaborazione con il comitato
della rete. Tutti i dati e le informazioni
sulle attività condotte fino ad oggi, sono
scaricabili sul sito ISPRA/ReMi, tra cui il
volume “Viaggio nell’Italia mineraria ”).
Un altro importante risultato è stato
quello di avanzare una proposta di
legge, quale sintesi delle varie esigenze
territoriali, il disegno di legge 1274/2018
denominato programmaticamente
“Disposizioni per la tutela e la
valorizzazione dei siti minerari
dismessi e del loro patrimonio
geologico, storico, archeologico,
paesaggistico e ambientale”, la prima
proposta concreta di cornice normativa
elaborata in Italia sui siti minerari
dismessi, maturata in seno alla Rete
ReMi e pertanto espressione e frutto di
una elaborata sintesi dei vari soggetti
che quotidianamente gestiscono il
patrimonio minerario nel nostro paese.
Agata Patanè
Agata Patanè, tecnologo presso il Dipartimento per il Servizio Geologico d’Italia ISPRA. Coordinatore
nazionale della Rete nazionale dei musei e parchi minerari, della Giornata Nazionale delle Miniere.
Membro del CdA del Parco delle Colline metallifere toscane. Dal 1995 opera nel campo della tutela
ambientale e pianificazione territoriale. Ha collaborato con IGEAM S.r.l., 3Ti Progetti, Dipartimento
di Ingegneria Chimica, dei Materiali, delle Materie Prime e Metallurgia della Sapienza di Roma.
agata.patane@isprambiente.it
Luca Sbrilli
Luca Sbrilli, geologo. Dal 1994 svolge l’attività di libero Professionista. Già Responsabile Ufficio
Ambiente e Aree protette del Circondario della Val di Cornia dal 2001, è dipendente part-time
dell’Agenzia per la Protezione Ambientale della Toscana, occupandosi fino al 2008 di VIA e VAS e dal
2013 geologo del settore Geotermia. Dal 2007 al 2016 ha svolto l’incarico di Presidente della Parchi
Val di Cornia SpA società pubblica finalizzata alla gestione di parchi naturalistici, archeologici e
minerari. Membro del Comitato di coordinamento ReMi e dal 2017 con delega del Parco Minerario
dell’Isola d’elbanell’Assemblea ReMi.
lsbrilli12@gmail.com
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
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PRO LOCO
RIO
La Proloco di Rio è nata nel 2019 dalla
fusione delle due Proloco già esistenti ed
operanti sul territorio, quella di Rio Marina e
Cavo e quella di Rio Elba che si sono unite per
ottimizzare le risorse umane e finanziarie
dopo la fusione dei comuni di Rio Elba e Rio
Marina che ha dato origine al Comune di
Rio. Da qui è nata l’esigenza di creare una
sinergia, capace di affrontare al meglio le
necessità del territorio, proponendo alle
amministrazioni competenti tutte quelle
iniziative atte a tutelare e valorizzare le
bellezze e risorse naturali, attivando ogni
possibile forma di collaborazione con enti
pubblici e privati per il soddisfacimento di
interessi collettivi.
La Proloco si occupa in primo luogo di dare un servizio di informazione
ed accoglienza turistica attraverso i propri centri Infopoint disposti nelle
tre frazioni del comune di Rio (Rio Marina, Rio Elba e Cavo) con personale
preparato a questo scopo. Molte sono le iniziative ed eventi turisticamente
rilevanti sia di carattere musicale, che culturale e sportivo, pubblicizzate
attraverso i nostri social ed il nostro sito Internet. La nostra attività, rivolta sia
agli abitanti che ai turisti, si svolge prevalentemente in collaborazione con il
Comune di Rio, il Parco Minerario, le strutture di accoglienza e ristorazione
nonché di tutti i soggetti che collaborano in maniera diretta o indiretta per
favorire la conoscenza del territorio, della cultura e della gastronomia locale.
Contatti:
segretria@prolocorio.it
prolocorio@pec.it
L’identità culturale del territorio, la ricchezza
geologica di Rio, le tradizioni minerarie
che risalgono alle epoche più antiche,
le testimonianze storico artistiche, le
produzioni enogastronomiche, l’unicità dei
suoi paesaggi e del suo ambiente marino
e terrestre, sono un patrimonio sul quale
fondare lo sviluppo sostenibile di tutta
l’area. La Pro Loco è la custode di quei valori
materiali ed immateriali che costituiscono la
vera ricchezza dei nostri paesi.
156
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Partner
PRO LOCO
CAPOLIVERI
La Pro Loco di Capoliveri, fondata nel 2015,
è composta da volontari che con amore
e passione si impegnano per animare la
vita sociale del paese, mantenendo vivo il
senso di comunità e valorizzando l’identità
culturale del territorio.
Il nuovo direttivo, eletto nel 2021, è composto
da Paolo Martino, Presidente, e da tredici
consiglieri: Maria Grazia Giacomelli (Vice
Presidente), Mirco Bulleri, Puccini Lorenzo,
Lucio Pilu; Barbera Antonio, Martino
Giuseppe, Conte Giuliano, Melis Erminia,
Crispu Andrea, Palmieri Antonietta, Porcelli
Eliseo, le Segretarie Alessandra Geri e Laura
Padovan.
Molti gli eventi che vengono organizzati
durante l’anno per ricordare le tradizioni e
la storia del paese e per offrire ai residenti
e turisti momenti di svago e condivisione.
Molti i concerti con cantanti di fama
internazionale come i Volo, Luca Carboni,
Mario Biondi, Edoardo Bennato, Panariello.
Numerose le feste gastronomiche come la
Festa del Pesce Povero e la Magna Longa che
coniuga sport e salute con una passeggiata
sul Monte Calamita con vari stop per
degustare piatti tipici.
Appuntamento annuale anche con la Festa del Cavatore, nel mese di giugno,
per ricordare la storia di Capoliveri e quella dei nostri minatori.
Numerosi anche gli eventi culturali, come presentazioni di libri e premi
letterari o rievocazioni storiche come in occasione del bicentenario della
morte di Napoleone o per i settecento anni di Dante. Con la collaborazione
del Comune abbiamo curato una mostra fotografica, con foto storiche e
oggetti d’epoca per raccontare la storia del nostro territorio. Con orgoglio
collaboriamo con altre associazioni come Diversamente Sani, Telefono
Azzurro, Pubblica Assistenza, oltre a sostenere raccolte fondi per iniziative
sociali. Collaboriamo attivamente con gli organizzatori anche per alcune
manifestazioni come il Rally Storico dell’Elba e l’Elba Park.
La Festa dell’Uva, arrivata alla sua XXV° edizione, attira ogni anno numerosi
spettatori da tutti i Paesi dell’Elba , della Toscana e del mondo. Su temi diversi
ogni anno, i quattro rioni del paese si contendono il premio per il migliore
allestimento, con lo stesso impegno e la stessa voglia di vincere il Bacco.
Durante l’inverno non mancano i momenti di festa come per la Festa di
Natale in cui vengono distribuiti i doni a tutti e la Festa di Carnevale o quella
delle Donne l’8 marzo.
La grande partecipazione popolare, la solidarietà e l’aiuto che arrivano
da tutto il paese sono la più gratificante ricompensa per il nostro lavoro
e consolidano quei rapporti sociali e interpersonali, anche fra diverse
generazioni, che sono il vero patrimonio della nostra comunità.
Viale Australia, c/o Comune di Capoliveri
tel. +39 339 3307145 - +39 0565 967650
alexia786@gmail.com - prolococapoliveri@gmail.com
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
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PRO LOCO
PORTO AZZURRO
La Pro Loco Porto Azzurro si è costituita il 13
febbraio 2012.
Riunisce in associazione tutte le persone
fisiche (Soci) che intendono operare
attivamente per favorire lo sviluppo
turistico, culturale, ambientale, sociale,
sportivo, storico, artistico del territorio del
Comune di Porto Azzurro e migliorare la vita
dei suoi residenti e dei suoi ospiti.
La Pro Loco Porto Azzurro non ha finalità di
lucro ed i suoi Soci operano a favore della
medesima con il concetto del volontariato,
operando con un ordinamento interno
ispirato a principi di democrazia ed
indirizzato ad ottenere i migliori risultati
possibili nell’ambito dell’attività di
promozione ed utilità sociale.
La Pro Loco Porto Azzurro può sviluppare
la sua attività attraverso molteplici
iniziative come ad esempio l’edizione e
la pubblicazione di varia natura, fisse od
in movimento, con mezzi tradizionali
od elettronici e la partecipazione o
l’organizzazione (in Italia o all’estero) di
eventi idonei al raggiungimento dell’oggetto
sociale.
Molti gli eventi organizzati dalla Pro Loco, sia in estate che nelle altre stagioni
quando le condizioni di sicurezza lo permettono, a partire dal Carnevale,
alla Festa dei Fiori, dalla Notte Azzurra, al Radiostop Festival, alle escursioni
guidate ai luoghi di interesse storico ed ambientale, agli eventi musicali
come il MaggyArt Festival e quelli culturali, tutti di grande richiamo.
La Pro Loco Porto Azzurro, associazione di promozione sociale
regolamentata dalle recenti normative del terzo settore, aderisce all’U.N.P.L.I.
(Unione Nazionale Pro Loco d’Italia) nel rispetto dello Statuto e delle
normative U.N.P.L.I.
La sede dell’Ufficio Informazioni si trova al piano terra del Palazzo Comunale
di Porto Azzurro, in Lungomare Paride Adami 19. È aperto tutti i giorni dalle 9
alle 12.40, e dalle 16 alle 19 (eccetto la domenica).
Lungomare Paride Adami 19 – Porto Azzurro
Tel. +39 351 7195991
Email info@prolocoportoazzurro.it
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I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Partner
PRO LOCO
CAMPO NELL'ELBA
Costituita nel 2011 per volontà di un gruppo
di imprenditori e cittadini di Campo, la Pro
Loco ha riunito tutte le associazioni del
territorio per trovare sinergie e risorse per
valorizzare al meglio le tradizioni e l’offerta
turistica del paese e delle frazioni del
Comune.
Numerosissime le manifestazioni
organizzate in estate ed inverno grazie alla
disponibilità ed all’impegno dei soci ed alla
stretta collaborazione con l’Amministrazione
comunale.
Ed ancora le Feste patronali, i festival musicali, gli incontri culturali, le
escursioni dentro e fuori i borghi e le loro campagne, gli importanti
appuntamenti sportivi che richiamano appassionati da tutto il mondo nelle
varie discipline a partire dalla mountainbike.
Sia in inverno che in estate i volontari riescono a gestire un ricco programma
di iniziative che partono dai valori identitari del luogo per offrire un
ventaglio di proposte per i cittadini e gli ospiti del territorio.
La Pro Loco svolge un’importante funzione per il Comune di Campo gestendo
il punto informazioni dove è possibile avere assistenza e buoni consigli,
oltre che partecipando attivamene alle campagne di sensibilizzazioni e
solidarietà per il covid. L’ufficio è aperto dal lunedì al venerdì dalle ore 10 alle
ore 12.
Dal Palio dei somari che vede contrapposte
le otto frazioni del comune alla Festa del
Corpus domini con l’allestimento di aiuole
fiorite lungo le strade del centro storico
di Marina di Campo, dalla Notte bianca
allo “sbancomatto”, curioso mercatino
organizzato dai commercianti a prezzi di
realizzo, dalla festa legata alle tradizioni
enogastronomiche: “Dolci Tradizioni” al
mercatino dei bambini “Bimbinfiera”, sono
numerose le occasioni per chiamare a
raccolta il Paese all’insegna dell’accoglienza
e del divertimento.
Piazza dei Granatieri 200
57034 Marina di Campo
Tel. +39 0565 976792
Email. info@prolococamponellelba .it
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
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Partner
ASSOCIAZIONE
CULTURALE
CARLO D’EGO
L’Associazione culturale “Carlo d’Ego” nasce
nel 2013 a pochi mesi dalla scomparsa
di Carlo Carletti, conosciuto come Carlo
d’Ego, giornalista, documentarista attento e
poliedrico, appassionato curioso del proprio
paese e della propria gente, per conservare
e valorizzare il suo “tesoro”: migliaia di
fotografie, filmati, diapositive, articoli che
raccontano la storia di Rio Marina e di tutta
l’Isola d’Elba .
Scopo dell’Associazione è quello di custodire
questa preziosa memoria identitaria,
catalogando diapositive e fotografie con
le quali Carlo ha descritto la sua gente,
recuperandone gli scritti, classificando
le centinaia di filmati che ha girato,
provvedendo al loro restauro ove si renda
necessario.
Negli anni l’Associazione ha organizzato
con successo un gran numero di eventi,
condividendo con i cittadini elbani e con
gli ospiti dell’Isola questa ricchissima
memoria, perché non se ne perdesse traccia,
tramandando quei valori e quel patrimonio
fatto di valori materiali e immateriali che
sono le fondamenta della comunità riese ed
isolana.
I componenti dell’Associazione, con lo stesso amore di Carlo Carletti che
li lega alla loro terra, ai paesi di Cavo, Rio Elba, Rio Marina, passando per
Bagnaia, Nisporto, Nisportino fino a Capo d’Arco, condividono la stessa
missione e parafrasando uno scritto di Carlo Carletti “… ripercorrendo il
passato sull’onda di testimonianze, ricordi ed esperienze personali, con il
proposito di offrire un qualche contributo al non dimenticare e a conservare
serenamente la consapevolezza dei nostri valori e delle nostre radici”
E così riemergono dal passato, che è scuola di futuro, la vita dura dei cavatori,
la terra devastata per come è stata trasformata e distorta per cento anni, con
tutta la sua bellezza e le sue ferite. Perchè nulla di quella storia, fatta di fatica
e coraggio, di tenacia e dignità, deve andare perso, anzi, dovrà trasformarsi
in memoria condivisa che genera risorsa, restituendo alle nuove generazioni
l’insegnamento dei loro nonni, riqualificando anche il territorio e la sua
antichissima storia, le gallerie, le cave, i laghetti rossi, i percorsi - ed ancora -
i carteggi, gli archivi e la raccolta delle testimonianze.
Carlo d’Ego è stato corrispondente del quotidiano La Nazione (dal 1958 al 1978); corrispondente
del quotidiano del Il Tirreno (dal 1978 al 2008); collaboratore dei periodici Lisola e La Piaggia; nel
1992 ha pubblicato la raccolta fotografica L’ALTRA Elba ; ha collaborato con I quaderni di Santa
Caterina; è stato direttore responsabile dell’emittente RTS e del periodico La Piaggia; è l’autore
delle due raccolte RACCONTI RIESI e RIESITA’, pubblicati nei primi anni 2000
Via Magenta 16 - 57038 Rio Marina
associazionecarlodego@gmail.com
FB @carlodego – centro culturale
160
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Partner
CAPUT
LIBERUM
La Caput Liberum è una società privata a
totale partecipazione pubblica ed agisce
secondo gli schemi definiti "In House
Providing" come società strumentale all'Ente
Pubblico controllante con lo scopo di gestire i
servizi di interesse pubblico quali la gestione
dei "Servizi Culturali" e di alcune strutture:
- le "Miniere di Capoliveri", occupandosi della
loro valorizzazione turistica ed organizzando
visite guidate agli ambienti museali, ai
cantieri estrattivi esterni ed alla galleria
sotterranea del Ginevro, unica in tutta l'isola
- il "Museo del Mare" alla scoperta del
fascino degli abissi per rivivere un
affascinante frammento della nostra storia
risorgimentale attraverso i preziosi oggetti
del carico del Polluce
mortuaria; si conserva la bella abside romanica decorata da coppie di
archetti pensili divisi da paraste. Nel 1376 il papa Gregorio XI, ritornato dalla
cattività avignonese, avrebbe fatto scalo con la propria nave nel sottostante
golfo e nella pieve avrebbe celebrato la messa a beneficio della popolazione
del paese.
- il "Cinema Teatro Flamingo" fortemente voluto dall’amministrazione
comunale, è nato al fine di dare alla popolazione elbana un punto di ritrovo
e socializzazione oltrechè fornire un intrattenimento in più per i tanti turisti
che popolano l’isola nei mesi estivi.
Le guide che lavorano con la "Caput Liberum srl", hanno raccolto storie,
documenti, testimonianze del patrimonio minerario elbano e raccontano
con entusiasmo come si viveva quando la miniera era la risorsa principale
di quel territorio. Percorrendo la Miniera del Ginevro e l'intero promontorio
di Calamita sono molte le sorprese di questo piccolo grande mondo, alla
scoperta di un' Elba autentica e selvaggia: a piedi, in bici, con le simpatiche
jeep da Safari o insieme alle guide scendendo nel cuore della terra fino a 24
metri sotto il mare.
- la "Pieve di San Michele" attestata dal
1235, era originariamente intitolata ai santi
Giovanni e Michele, come si evince da un
atto notarile (1343) di Andrea Pupi
(«...plebis Sanctorum Iohannis et Michelis de
Capolivro...»). Danneggiata dall'incursione
delle truppe di Dragut nel 1553, perse
le originarie funzioni cultuali, finché
nell'Ottocento fu trasformata in cappella
Piazza del Cavatore 1
57031 Capoliveri
Tel. +39 0565 935135 - Fax. +39 0565 967343
Mail: info@caput-liberum.it
www.caput-liberum.it
minieracalamita@gmail.com
Tel. +39 393 9059583 - +39 393 8720018 - +39 0565 935492
museodelmare.capoliveri@gmail.com
Tel. +39 393 9059583 - +39 393 8720018
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
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Partner
LA PICCOLA
MINIERA
La Piccola Miniera nasce dalla fantasia,
unita all’esperienza mineraria, di Emilio
Giacomelli che, quaranta anni fa, ebbe
l’intuito di dedicare la sua attività al
patrimonio geologico e minerario elbano
creando un luogo espositivo ed un
laboratorio per la lavorazione delle pietre
dure, creando, principalmente nella sua
taglieria artigianale, monili ed oggetti di ogni
tipo e foggia.
Il tocco della conduzione familiare si
sente anche nel resto dell’azienda; sia nel
Museo dove si racconta la presenza degli
Etruschi all’Elba , in maniera semplice,
didattica, accessibile a tutti, sia nella parte
commerciale dove la famiglia Giacomelli
cerca di mettere a disposizione di tutti
l’esperienza acquisita negli anni dando
esaurienti spiegazioni e consigli.
naturali e autentici, un capolavoro artistico che fornisce un esempio del
complesso sistema estrattivo dei vari minerali elbani. Particolarmente
interessante è il Museo Minerario Etrusco che si propone di valorizzare
l’importanza della presenza etrusca all’Isola d’Elba oltre 19 bacheche con
esposti minerali corredati da schede didattiche e fotografie dei punti di
ritrovamento. Di notevole interesse culturale sono la riproduzione di quattro
forni etruschi in sezione con le varie tappe di cottura dell’ematite, il video sul
funzionamento dei forni ed una serie di bellissimi affreschi.
Completa il tour l’Enoteca-Degustazione in cui vengono proposti e
raccontati i più importanti prodotti gastronomici del territorio.
La Piccola Miniera si trova a Porto Azzurro,
lungo la strada provinciale in direzione per Rio Marina
a soli 500 metri dal centro storico.
Via Provinciale Est
57036 Porto Azzurro
Tel. + 39 0565 95350
Email: info@lapiccolaminiera.it
La visita alla Piccola Miniera inizia in una
grande sala espositiva, dove è possibile
scoprire preziosi monili e bigiotteria in larga
parte prodotta artigianalmente: soluzioni
fantasiose che nascono dalla lavorazione
sapiente della pietra.
La Piccola Miniera è un’opera
completamente ricostruita con materiali
162
I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Partner
ITALIA NOSTRA
ARCIPELAGO
TOSCANO
L’Associazione Italia Nostra è stata costituita
il 29 ottobre 1955 e riconosciuta con Decreto
del Presidente della Repubblica 22 agosto
1958, Nr. 1111. Ha lo scopo di concorrere alla
tutela e alla valorizzazione del patrimonio
storico, artistico e naturale della Nazione.
L’Associazione, Organizzazione Non
Lucrativa di Utilità Sociale, non ha scopo
di lucro e ha carattere di volontariato
conformemente alle disposizioni legislative
statali e regionali concernenti la materia.
La missione di Italia Nostra Onlus è quella
di proteggere i beni culturali e ambientali.
Le città, i parchi, i paesaggi, la qualità del
territorio, il risanamento ambientale del
nostro Arcipelago, la promozione di uno
sviluppo sostenibile, sono fra i principali
obiettivi dell’Associazione.
Italia Nostra dialoga con le Pubbliche
Amministrazioni chiedendo di investire
risorse nella sicurezza del territorio, nella
conservazione e tutela del patrimonio
culturale (monumenti, centri storici), nel
sostegno a musei, biblioteche, archivi e nelle
relative risorse umane rafforzandone le
competenze professionali.
Ma il compito di Italia Nostra non si
esaurisce nel salvare dall’abbandono e
dal degrado monumenti antichi, bellezze naturali o opere dell’ingegno;
Italia Nostra persegue infatti un nuovo modello di sviluppo, fondato sulla
valorizzazione dell’inestimabile patrimonio culturale e naturale italiano,
capace di fornire risposte in termini di qualità del vivere e di occupazione.
Da sempre consideriamo strategica l’educazione e la formazione di giovani e
adulti sui temi del paesaggio, l’ambiente e i beni culturali nella convinzione
che solo cosa si conosce si può tutelare e valorizzare.
La Sezione di Italia Nostra Arcipelago Toscano (INAT) nasce all’elba nel 1966
ad opera del suo primo Presidente Alfonso Preziosi che l’ha diretta per
oltre trent’anni. Obiettivo dell’Associazione è la conservazione, narrazione,
salvaguardia e valorizzazione del patrimonio identitario dell’Arcipelago.
Innumerevoli gli interventi negli oltre cinquant’anni di attività, dai temi
ambientali a quelli paesaggistici, dalla valorizzazioni del ricco patrimonio
materiale e immateriale dell’Elba e dell’Arcipelago a partire dai siti
archeologici per arrivare alle opere d’arte e architettura presenti su tutte
le isole di Toscana, senza perdere di vista il vasto patrimonio letterario e le
opere di molti autori o artisti nati o che hanno vissuto nell’Arcipelago. INAT,
sempre attenta ai temi ambientali ed alla incredibile geo e biodiversità delle
Isole, svolge una funzione di monitoraggio, in un confronto sereno con le
Istituzioni e gli enti pubblici e privati, per salvaguardare l’habitat marino e
terrestre dell’Arcipelago.
arcipelagotoscano@italianostra.org
www.italianostrarcipelagotoscano.it
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
163
Partner
ACCADEMIA ITALIANA
DELLA CUCINA
DELEGAZIONE ELBA
L'Accademia Italiana della Cucina è
un'istituzione culturale della Repubblica
Italiana, senza scopo di lucro riconosciuta
dal Ministero per le Attività e i Beni Culturali,
a testimonianza che la cucina è una delle
espressioni più profonde della cultura di
un territorio. Fu fondata il 29 luglio 1953 a
Milano da Orio Vergani, con un gruppo di
qualificati esponenti della cultura, industria
e giornalismo.
In quest'ottica siamo promotori di ricerche condotte da scuole e università
sul recupero di specie vegetali, oltre che di ricerche in archivi storici sul
nostro territorio per risalire alle popolazioni che lo hanno abitato, come gli
Etruschi, lasciando importanti testimonianze e reperti.
Confidiamo e auspichiamo che siano condotti ulteriori approfondimenti e
studi su questi importanti abitanti dell'Elba, a cui dobbiamo molto in termini
di notorietà e cultura. Sicuramente qualche tradizione, ancora oggi in uso,
ha radici nella civiltà etrusca, e l'archeologia ne ha scoperto tracce anche
all'Elba.
L'Accademia ha sede a Milano, ma persegue
i suoi obiettivi attraverso l'attività delle
Delegazioni e Legazioni che attualmente
sono 223 in Italia e 67 Delegazioni e 22
Legazioni all'estero, con più di 8500 associati
in tutto il mondo.
Viale Elba 28 – 57037 Portoferraio
Tel. +39 380 3831931
Email: rossanaicelba @gmail.com
FB: Accademia Italiana della Cucina - Delegazione Elba
Anche la Delegazione dell'Isola d'Elba
ricerca, custodisce e divulga le proprie
tradizioni e le proprie radici. Svolge
un'intensa attività di ricerca storica e
riscoperta di antiche tradizioni coniugata
sempre o quasi con un'attività conviviale, che
costituisce occasione d'incontro e di fervido
scambio d'idee tra gli Accademici.
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I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Partner
L'ELBA
DEL VICINO
L’Elba del Vicino ha sede nell’Istituto Sacro
Cuore, a quattro passi dal centro del paese
di Rio Marina, ed è gestita da una comunità
di persone (religiose, laici e giovani) pronti
ad accogliervi e guidarvi alla scoperta
dell’Isola. Nasce con una progettualità
innovativa, in cui l’Istituto religioso delle
Figlie di Maria Ausiliatrice, l’Associazione
CIOFS Formazione professionale e il
privato sociale, cooperativa Vedogiovane,
collaborano, costruiscono e concretizzano
insieme ideali e modelli per un nuovo modo
di essere presenti nel territorio. Come?
L’Elba del vicino è accoglienza, animazione
del territorio, laboratorio di formazione su
educazione, comunità, lavoro, turismo, arte,
cultura, spiritualità e molto altro ancora.
Potremmo quasi definirlo uno spazio ibrido
di incontri e uno spazio di ibridazione di vite,
storie, esperienze, che conducono ad una
caleidoscopica trasformazione in essere..
Ostello L’Elba del vicino
Via Don Giovanni Minzoni 5
57038 Rio Marina
www.elbadelvicino.com
Tel. +39 348 1589655 – +39 0565 962042
Questo progetto complesso si traduce in un ostello dove nessuno potrà
considerarsi solo un cliente o un consumatore, ma sarà piuttosto attore
responsabile di ogni esperienza qui condivisibile
- un luogo di animazione per i bimbi e i ragazzi del territorio che ogni giorno
frequentano l’oratorio, il doposcuola, le attività ludiche
- un luogo di elaborazione di idee, di progettazione e formazione dove ci si
incontra per lavorare insieme e da cui partono ulteriori progetti di contrasto
alla povertà educativa, di volontariato, di arte e cultura che permettono di
agire, qui ed altrove, ma soprattutto permettono di sostare, riconciliarsi,
confrontarsi, crescere insieme… e formarsi
- un luogo di arte, perché grazie al progetto “una stagione d’artista”, giovani
artisti da tutta Italia, permangono una settimana, sperimentano il luogo,
creano e restituiscono sottoforma di spettacolo gratuito, opera d’arte, video
o performance, quanto l’Isola, il contesto, le persone, hanno dato e hanno
ricevuto.
È un luogo di passaggio. Di trasformazione e cambiamento. Di crescita e di
maturazione. Di ri-generazione. L'Elba del Vicino è uno spazio di innovazione
sociale, dove qualunque visitatore ha l'opportunità libera di lasciare una propria
orma trasformando lo spazio, che cambia continuamente con il suo passaggio.
Occasione data dall'accoglienza e dal sentirsi arrivato o tornato a casa.
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
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Partner
INFOELBA
InfoElba srl è una Web Agency leader nel
settore informatico e turistico all’Isola d’Elba.
Si occupa principalmente di realizzazione
e gestione siti web, sviluppo applicazioni
per dispositivi mobili e software internet
oriented.
Dal 1999 gestisce InfoElba .it, il portale
turistico più visitato dell’isola, dove descrive
l’Elba a 360 gradi, offrendo informazioni e
suggerimenti per le vacanze e le indicazioni
utili di carattere organizzativo: come
arrivare, come fare il biglietto del traghetto,
dove dormire e mangiare, cosa visitare, sport
e attività da praticare, escursioni, ma anche
raccontando la straordinaria complessità
e diversità della natura di questo angolo di
paradiso dove, a pochi chilometri di distanza,
si alternano spiagge da sogno, montagne
di granito, verdi boschi, laghetti nascosti e
miniere dall’aspetto lunare.
Il network di InfoElba comprende anche
numerosi altri siti e portali, tra cui i
più importanti sono Elba eventi.it, sito
di promozione di spettacoli, eventi e
manifestazioni organizzate sull’isola e il blog
iloveElba .it, nato per condividere storie e
racconti sull’Elba e su ciò che la rende un
territorio così straordinario e speciale.
Strumenti indispensabili per coloro che desiderano vivere la loro vacanza
in maniera smart sono anche le tre app gratuite realizzate dall’azienda: Elba
Spiagge, guida dettagliata e utile a tutte le spiagge dell’Elba , Elba Traghetti ed
Elba Eventi.
Grazie a questa esperienza pluriennale nel settore del turismo e a una
profonda conoscenza del territorio elbano, InfoElba ha realizzato anche
diversi prodotti editoriali.
In particolare ha dedicato il proprio impegno alla creazione di una cartina
e una guida cartacea su Le Spiagge dell’Isola d’Elba , nelle quali le spiagge
sono accuratamente illustrate con descrizioni dettagliate, foto, indicazioni
precise su come raggiungerle, parcheggi, servizi presenti e suggerimenti
su come fruirne al meglio in base al vento. La Guida Isola d’Elba è l’ultimo
progetto di InfoElba, nato con l’intento di valorizzare la ricchezza dell’isola e
le tante identità che contraddistinguono il territorio: dalla natura alla storia,
le tradizioni, borghi e paesi, le esperienze e le attività outdoor e la cultura
enogastronomica.
All’interno della guida si trovano descritti nel dettaglio i tanti luoghi di
interesse e le attività da provare: chiese, fortezze, monumenti e miniere
da visitare, escursioni, luoghi da non perdere, itinerari e gite, esperienze
outdoor, spiagge, prodotti e ricette della tradizione.
Viale Teseo Tesei 12 - Centro servizi Il Molino
57037 Portoferraio
www.infoelba .it
infoelba @gmail.com
amministrazione@infoelba .it
Tel. +39 0565 918864
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I QUADERNI DI ENJOY ELBA
Partner
ACQUA
DELL’ELBA
Acqua dell’Elba è l’essenza del mare. La sua
unicità risiede nel realizzare manufatti nel
cuore dell’Arcipelago Toscano, utilizzando
materie prime di alta qualità ispirate al mare
e all’Isola d’Elba, lavorando secondo un saper
fare artigiano.
Il modo di fare impresa di Acqua dell’Elba si
ispira alle botteghe artigiane rinascimentali,
dove alle straordinarie capacità manuali del
maestro e dei suoi allievi si accostavano una
naturale propensione al bello, una profonda
conoscenza delle arti e della cultura ed una
spiccata tensione alla realizzazione di prodotti
che fossero al contempo funzionali e ricchi di
significati. Manufatti unici, poiché realizzati
secondo tecniche artigianali ispirate all’arte
e a un luogo unico come l’Isola d’Elba.
Acqua dell’Elba è l’autentica interprete delle
sensazioni e delle evocazioni del mare,
restituite ai suoi clienti tramite 7 linee di
profumi (Essenza, Classica, Arcipelago, Blu,
Essenza di un’Isola, Bimbi, Sport) e 13 fragranze
per l’ambiente (Mare, Brezza di Mare, Costa del
Sole, Fiori, Profumi del Monte Capanne, Giglio
delle Sabbie, Giardino degli Aranci, Casa dei
Mandarini, Limonaia di Sant’Andrea, Note di
Natale, Isola di Montecristo, Notte d’Estate).
A queste si aggiungono:
- prodotti per la persona: creme corpo, gel doccia shampoo, saponi,
deodoranti, salviette detergenti;
- prodotti per la profumazione d’ambiente: profumatori d’ambiente, profumi
d’ambiente, fragranze per tessuti, candele profumate, gessi profumati,
ceramiche profumate;
- tessuti: teli da mare, accappatoi, parei, bermuda;
- accessori: borse da mare, beauty, cappelli.
La visione di Acqua dell’Elba è creare bellezza per le persone e l’ambiente.
Bellezza intesa come valorizzazione del bello in tutte le sue forme: estetica,
esperienziale, sociale e culturale. La missione di Acqua dell’Elba è creare
profumi ispirati dalla bellezza del mare che soddisfino l’idea di ben-essere
delle persone, promuovendo al contempo un modello di crescita sostenibile.
Via A. Moro 69 – 57033 Marciana Marina
Tel. + 39 0565 995130
info@acquadellelba .it
www.acquadellelba.it
ELBA — I FIORI DELLA TERRA
167
Partner
SIMTUR – Società Italiana
professionisti della mobilità
e del turismo sostenibile
SIMTUR è ecosistema professionale: una
rete nazionale a carattere tecnico, scientifico
e culturale, costituita ai sensi della legge 14
gennaio 2013 n. 4.
L’associazione non persegue finalità di
lucro e opera nell’interesse collettivo,
proponendosi di contribuire alla
necessaria transizione ecologica
attraverso la formazione, la qualificazione
e la rappresentanza unitaria di figure
professionali innovative nei settori della
mobilità di persone, merci, informazioni e
dati.
SIMTUR promuove la ricerca scientifica e,
attraverso il proprio centro studi, realizza
attività di rilevazione statistica, analisi,
progettazione e pianificazione. Progetta
inoltre campagne educative e divulgative
volte a stimolare l’opinione pubblica verso
un cambiamento dei modelli di produzione,
di distribuzione, di trasporto e di consumo.
La visione di SIMTUR (“Visio2050”) si poggia
su 3 pilastri: bellezza, lentezza e gentilezza.
Per dare forma a questi valori, oltre al
Meeting annuale “All Routes lead to Rome”,
al circuito primaverile outdoor “Days Out”, al
Premio nazionale “Go Slow” e alle iniziative
digitali “SIMTUR Live!”, l’associazione ha
attivato e aderito a diverse strategie globali e azioni locali per contrastare i
cambiamenti climatici, suddivise per risorsa:
ARIA > “European Mobility Week” e “EmissioniZero: 50+50=0x2050”
TERRA > “Earth Overshoot Day”, “BioSlow” e “Salviamo il Paesaggio”
ACQUA > “Water Footprint” e “Rotte Blu come Vie Verdi”.
Fiori all’occhiello dell’agenda SIMTUR sono anche la “Board nazionale degli
Itinerari, delle Rotte, dei Cammini e delle Ciclovie” e il programma nazionale
“Piccole Patrie”, per promuovere un turismo responsabile, sostenibile e di
comunità.
SIMTUR ha istituito e presentato al Ministero dello Sviluppo Economico
un registro nazionale di professionisti, che possono richiedere l’iscrizione
sottoscrivendo il codice deontologico e dimostrando di aver acquisito le
fondamentali competenze multidisciplinari nei settori della mobilità e del
turismo culturale sostenibile.
Per assicurare una qualificazione evoluta ed un costante aggiornamento
professionale dei propri associati, è nato il catalogo formativo nazionale
Movability, che propone masterclass, corsi modulari e momenti di alta
formazione residenziale diffusa nei territori in forma di Camp.
Da queste esperienze di ricerca, analisi, pianificazione e connessione è sorta
l’intuizione di registrare il marchio editoriale Movability Books.
www.simtur.it
segreteria@simtur.it