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Powertrain 2025-3/4

Tra gli argomenti di questo numero: AUTOMOTIVE BMW: l’elettrico? Bene e a meno! GENERAZIONE Avoni: tutti sull’isola dell’energia EVENTI Perkins: il 2606, il 904 e Coeus ELETTRIFICAZIONE Flash Battery: con l’ad, Marco Righi Archimede Energia: non solo per Bruno CONFRONTO 5 litri industriali: con Hyundai, Doty 2025 FOCUS ETS: MAN tra le Alpi e le isole Scania: l’Italia è sul podio mondiale Deutz Italy: nella lente di Marco Colombo IDROGENO Dumarey Automotive Italia e il Politecnico di Torino COMPONENTI Allison Italia: nelle parole di Simone Pace Zadi: fanali, elettronica e sinergie LIBRO VERDE 2030 Anie e Mimit: l’energia e le imprese RUBRICHE Editoriale; Hi-Tech; Oem&motori

Tra gli argomenti di questo numero:

AUTOMOTIVE
BMW: l’elettrico? Bene e a meno!
GENERAZIONE
Avoni: tutti sull’isola dell’energia
EVENTI
Perkins: il 2606, il 904 e Coeus
ELETTRIFICAZIONE
Flash Battery: con l’ad, Marco Righi
Archimede Energia: non solo per Bruno
CONFRONTO
5 litri industriali: con Hyundai, Doty 2025
FOCUS
ETS: MAN tra le Alpi e le isole
Scania: l’Italia è sul podio mondiale
Deutz Italy: nella lente di Marco Colombo
IDROGENO
Dumarey Automotive Italia e il Politecnico di Torino
COMPONENTI
Allison Italia: nelle parole di Simone Pace
Zadi: fanali, elettronica e sinergie
LIBRO VERDE 2030
Anie e Mimit: l’energia e le imprese
RUBRICHE
Editoriale; Hi-Tech; Oem&motori

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2023 2025

N° 10 3-4

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ITALIA

VADO E TORNO EDIZIONI

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ISSN 0042 - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in a. p.

D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46)

art. 1, comma 1, LO/MI

• ALLA SCOPERTA DELLE BATTERIE TRICOLORI,

CON FLASH BATTERY E ARCHIMEDE ENERGIA

• KEY: A RIMINI CI SARANNO ANCHE MAN, A

CASA DI ETS, E AVONI, CON IL POWER ISLAND

• STORYTELLING: ALLISON, DEUTZ,

DUMAREY, PERKINS, SCANIA, ZADI


Marzo-Aprile 2025

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IL SONDAGGIO

DEL MESE

Il Ministero delle Imprese e

del Made in Italy ha definito

un Libro Verde, a cui ha

contribuito anche ANIE

Confindustria, che si propone

di indicare le linee guida per

le politiche industriali fino al

2030. Tra i punti chiave, per

abbassare il costo dell’energia

e restituire competitività al

sistema Paese, c’è il riscatto del

nucleare di nuova generazione

(Smr e Amr). Vi trovate in

sintonia con questa presa di

posizione del MIMIT?

Rispondi su

powertrainweb.it

Il sondaggio non ha valore statistico. Le rilevazioni

non sono basate su un campione scientifico

AUTOMOTIVE

8. BMW:

L’elettrico? Bene e a meno!

GENERAZIONE

10. Avoni:

Tutti sull’isola dell’energia

EVENTI

12. Perkins:

Il 2606, il 904 e Coeus

ELETTRIFICAZIONE

16. Flash Battery:

Con l’ad, Marco Righi

22. Archimede Energia:

Non solo per Bruno

CONFRONTO

26. 5 litri industriali:

Con Hyundai, Doty 2025

FOCUS

30. ETS:

MAN tra le Alpi e le isole

34. Scania:

L’Italia è sul podio mondiale

36. Deutz Italy:

Nella lente di Marco Colombo

IDROGENO

38. Dumarey Automotive Italia:

E il Politecnico di Torino

COMPONENTI

42. Allison Italia:

Nelle parole di Simone Pace

46. Zadi:

Fanali, elettronica e sinergie

LIBRO VERDE 2030

48. Anie e Mimit:

L’energia e le imprese

RUBRICHE

4. Editoriale 6. Hi-Tech

50. Oem&motori

SOMMARIO

3



MA GUARDA UN PO’ TE...

S

pietata egemonia commerciale,

monopolio assoluto delle celle,

controllo dispotico delle terre

rare africane (senza contare

quelle disponibili nella Terra di Mezzo,

senza doversi scomodare troppo),

la resa incondizionata dell’industria

italiana, un differenziale tecnologico

traducibile in un dumping sostanziale.

Sì, è la solita tiritera sul tramonto

dell’Occidente e sull’inesorabile declino

dell’eurocentrismo. Tralasciando

implicazioni geopolitiche e divagazioni

culturali, il quadro tecnologicoproduttivo

è veramente così drammatico

e compromesso? Sul numero di gennaiofebbraio

ci siamo diffusamente soffermati

su Reinova. In due anni ha bruciato le

tappe, fornendo consulenza urbi et orbi,

dalle firme più glamour dell’automobile

a progetti di riciclo delle batterie e di

compatibilità dell’approccio Bev con

l’universo delle applicazioni mobili

industriali e marine. Ed è stato l’ad e

fondatore, Giuseppe Corcione, a spiegarci

che «l’obiettivo è accompagnare il cliente

dal foglio bianco fino alla produzione,

assumendoci la responsabilità che quel

componente funzioni». Come dire, system

integrator si può, anche e soprattutto

nell’elettrificazione. Restando in ambito

familiare (Reinova è stata rilevata da

HB4), l’altra holding della famiglia Bruno,

BGG, si è aggiudicata la maggioranza

del pacchetto Dynamico, concepito da

Geminiani. È un sistema di accumulo e

ricarica rapida per veicoli elettrici che può

essere alimentato da non importa quale

fonte primaria di energia elettrica (rete,

rinnovabili, generatori) ed è in grado

di integrare le funzioni di un gruppo di

continuità (Ups) a ritardo zero, di uno

stabilizzatore di tensione, di un rettificatore

di frequenza. Ancora Corcione, a fine

intervista ci ha ricordato di due eccellenze

italiane “alla spina”. La bolzanina

Alpitronic si è evoluta dall’elettronica di

potenza all’Hyperchager, primeggiando

nell’agone delle colonnine. La

seconda è E80, campione degli Agv,

i robottini a guida autonoma, che ha

capitalizzato le virtuose sinergie con

Flash Battery. Su queste pagine trovate

un’immersione in profondità tra i

pacchi batteria di Archimede Energia,

a Verbania, e della stessa Flash Battery,

sulla Via Emilia. A una quindicina di

chilometri si trova Zapi, che ha fatto

shopping anche in Canada, con DeltaQ.

Come si dice, «ma guarda un po’ te...»

EDITORIALE

4



KEY Rimini

JCB e il motore a idrogeno

COMPIUTA

IDENTITÀ

Elettrificazione dei consumi ed

efficientamento energetico. KEY

ha trovato una sua compiuta

identità da quando è maturato

l’affrancamento da Ecomondo.

C’è spazio per l’ecosistema

portuale. La cogenerazione

rimane centrale. L’idrogeno? In

collaborazione con Hannover Messe

HI-TECH

Rimini si è affrancata dall’immagine

esclusiva di quinta

scenica felliniana e santuario

della movida estiva. IEG ha

promosso il quartiere fieristico

a luogo di marketplace e networking.

Dal 5 al 7 marzo va in

scena KEY, cresciuta del 20%

sia in termini di espositori che

di volumi. Le circa 200 aziende

espositrici del 2022 sono più

che quadruplicate. Chiediamo a

Christian Previati, Exhibition

Manager di KEY, se quella che fu

Key Energy è diventata grande.

«L’evento è sempre più coerente

al progetto iniziale. Il driver

primario è l’elettrificazione dei

consumi, inteso come efficientamento

energetico di tutte le aree

economiche. KEY si concentra,

per esempio, sulla mobilità elettrica,

seppure con un approccio

non integralista, mentre i carburanti

sintetici rimangono un tema

di Ecomondo. A KEY trattiamo

la molecola solo in riferimento

all’idrogeno, che, come vettore,

si inserisce come un semplice

tassello nel più ampio puzzle

dell’efficientamento energetico

e non solo in riferimento al trasporto

pesante, che è un focus di

IBE ed Ecomondo».

Come vi approcciate all’idrogeno?

«Abbiamo attivato una collaborazione

con Hannover Fairs International

GmbH (HFI), filiale

italiana di Deutsche Messe AG,

con cui co-organizziamo l’area

di KEY dedicata all’idrogeno.

Il loro supporto è prezioso per

garantire un approccio più internazionale

e di servizio ai visitatori.

L’idrogeno è una delle

tecnologie da mettere in campo

per progredire nella transizione,

insieme a quei combustibili,

come ammoniaca e metanolo,

che si affiancano all’idrogeno

puro nei settori hard-to-abate.

Oltre, a questo, abbiamo introdotto

un focus sui porti declinato

sui temi energetici. L’iniziativa

si chiama Su.port – Sustainable

Ports for Energy Transition: i

porti sono hub strategici per le

rinnovabili, inseriti nei contesti

urbani e con delle banchine da

elettrificare (vedi il cold ironing).

La decarbonizzazione portuale si

ottiene anche intervenendo sulla

erogazione di energia per il mantenimento

della nave in rada. Per

questo dedicheremo una giornata

alla elettrificazione delle banchine

portuali coinvolgendo un partner

esterno molto competente in

materia di shipping».

E per il resto?

«Ci occupiamo di biogas all’interno

del settore dedicato all’efficienza

energetica, che coinvolge

la cogenerazione. La produzione

del biometano rimane, invece,

un tema di Ecomondo. La cogenerazione

sta vivendo una fase di

calma. I segnali che riceviamo

ci suggeriscono una predilezione

per altre soluzioni, su tutte il solare

termico per applicazioni industriali.

Questa tecnologia gode

di ottima salute, nonostante i

cambiamenti normativi. Due anni

fa era trainato dal residenziale,

per via del superbonus. Quanto

allo storage, il settore è in crescita

vertiginosa e per questo a

KEY25 occupa due padiglioni.

Va bene anche l’eolico, che abbraccia

l’orizzonte lontano, ma

plausibile, dell’offshore».

Nel 2026 è confermato il DPE?

«Sarà una fiera molto più varia,

che si occuperà dell’intero sistema

di gestione della trasmissione

di rete (tralicci, trasformatori, alternatori,

centraline, regolazione,

con un approccio più predittivo,

digitalizzazione ecc.)».

VIA LIBERA

Undici autorità nazionali europee hanno concesso

l’autorizzazione alla vendita del 4,8 litri a idrogeno

di JCB, in attesa che altre autorità competenti

seguano l’esempio nel corso del 2025.

MTA ha rilevato il 60% di EFI Technology

MTA ha rilevato il 60% delle

quote di EFI Technology,

specializzata nelle centraline

controllo motore destinate ai

veicoli a combustione e a quelli

elettrici. Oltre ai dispositivi di

controllo motore, la gamma

offerta dall’azienda comprende

sistemi di gestione della batteria

di trazione (BMS), inverter,

body computer, sistemi di

controllo sospensioni attive.

Gli attuali azionisti di EFI

Technology continuano a

detenere il 40% delle quote

JCB può esclamare “bingo!”,

dopo avere ottenuto l’autorizzazione

alla vendita del

motore a idrogeno da undici

autorità nazionali europee. I

britannici hanno fortemente

investito nell’applicazione endotermica

dell’idrogeno. JCB

ha confermato che la Vehicle

Authority olandese RDW è

stata la prima autorità competente

a rilasciare la certificazione

ufficiale, autorizzando

la vendita del motore nei Paesi

Bassi. Altri enti di analoghi in

tutta Europa hanno seguito l’esempio

di RDW rilasciando la

certificazione necessaria, tra

cui Gran Bretagna, Irlanda del

Nord, Germania, Francia, Spagna,

Belgio, Polonia, Finlandia,

Svizzera e Liechtenstein. Le

autorità di rilascio delle licenze

di altri Paesi sono pronte a

societarie, mantenendo i loro

ruoli direzionali e operativi.

Antonio Falchetti, Direttore

Generale di MTA, così si

pronuncia in merito: «Questa

acquisizione, in linea con le

precedenti, contribuisce a un

ulteriore aumento della nostra

gamma di prodotti e rafforza il

ruolo internazionale di MTA, in

particolare in mercati strategici

quali India e Cina, dove EFI

Technology vanta una forte

presenza e MTA possiede già

stabilimenti produttivi».

seguire con la certificazione nel

corso del 2025.

JCB ha già prodotto più di

130 motori test che alimentano

terne, sollevatori telescopici e

gruppi elettrogeni. I test nel

mondo reale delle apparecchiature

a idrogeno di JCB presso i

siti dei clienti sono ora in una

fase avanzata e stanno procedendo

con risultati soddisfacenti.

Il Politecnico di Milano e l’hard-to-abate. Che fare?

Lo chiamano “hard-to-abate” e

rappresenta tutti quegli ambiti dove

è più difficile fare il rifornimento con

la presa di corrente. Nell’ambito di

Powertrain s’intendono i pesanti, e,

aggiungiamo noi, quelle applicazioni

mobili industriali che hanno carichi

gravosi. Il Politecnico di Milano è

partito da una considerazione, emersa

dalla seconda edizione dello “Zero

Carbon Technology Pathways Report”,

redatto dall’Energy&Strategy della

School of Management del Politecnico.

Nonostante gli sforzi profusi, a livello

globale la quantità di emissioni di gas

serra continua ad aumentare, benché

più lentamente, mentre in Europa e

in Italia sono in calo dal 1990. Ma se

l’Unione europea a fine 2023 aveva

registrato una diminuzione del 36%,

l’Italia nello stesso periodo si è fermata

a -27% e il gap è ancora più significativo

considerando che contestualmente

il Pil pro capite europeo è cresciuto

del 57% contro il 23% del nostro

Paese. Ciononostante, il percorso

intrapreso è quello corretto ed è frutto

dell’efficientamento energetico (il

rapporto consumi/Pil si è ridotto del

30%) e della diffusione delle rinnovabili

L’Ecomax nella

alimentazione a

idrogeno, che

abbiamo visto in

cava nel Regno

Unito appena tre

anni fa e, nel 2023,

a Conexpo ed

Agritechnica. Ad

aprile 2025, sarà

al Bauma Monaco.

(il rapporto emissioni/consumi è sceso

del 18%). Quindi, che fare? Davide

Chiaroni, vicedirettore di E&S: «Senza

intaccare in maniera decisa le emissioni

di questi settori è impossibile avvicinare

i target di riduzione che l’UE si è data

al 2030 e al 2050. Infatti, il quadro

normativo si è mosso per renderne

più stringenti gli obblighi: il sistema EU

ETS ha aumentato il target di riduzione

rispetto al 2005 dal -43% all’attuale

-62% ed è stato affiancato dal sistema

ETS 2 per quanto riguarda le emissioni

prodotte dalla combustione di carburanti

nei settori del trasporto e residenziale».

6

7



bmw. Oliver Zipse c’ha visto lungo

BEV ALLA BAVARESE

Visitaci:

Padiglione A4, stand 336

È una ricetta che funziona, dal momento che nel 2024 BMW ha piazzato

426mila auto a batteria. Oltre a lasciarsi alle spalle Tesla nel fondamentale

mercato di casa, il costruttore di Monaco può vantare un altro sorpasso, giocato

nel circuito domestico. L’edizione più potente della serie 4 Gran Coupé elettrica

fa risparmiare all’acquirente 12mila euro rispetto all’equivalente a benzina

BMW ha

abbandonato il

progetto di una

serie puramente

elettrica,

affiancando agli

endotermici degli

analoghi modelli

elettrici.

AUTOMOTIVE

Solo il tempo dirà chi ha ragione. Se il crollo

delle vendite di Tesla in Europa (meno 47,7%

in media a gennaio, con un meno 59% in Germania)

è davvero causato dalla fuga dei clienti legata

alle esternazioni di Elon Musk oppure dalla

maldestra gestione commerciale del rinnovo della

popolarissima Model Y. Non c’è comunque bisogno

di attendere il secondo semestre del 2025 per scoprire

come per un’importante costruttore tedesco –

nonostante ci sia chi ancora parla dell’auto elettrica

come un fiasco – il 2024 abbia rappresentato un

anno d’oro. Dai piani alti dei palazzi BMW, infatti,

si sottolinea come sia il marchio di Monaco ad

avere battuto ampiamente Tesla in fatto di immatricolazioni

di Bev in Germania. E non si tratta di una

coincidenza: nel 2024 nel mondo sono state vendute

426mila auto elettriche con l’elica bianco-azzurra

sul frontale. Un numero che consente a BMW di

vantare una quota di full electric (ogni tipo di ibrido

quindi escluso) pari quasi al 17%, lasciandosi alle

spalle concorrenti quali Audi-Volkswagen e Mercedes,

le cui vendite hanno stagnato intorno al 9%.

Il risultato dei bavaresi è frutto, certo, dell’essere

partiti con le Bev almeno dieci anni prima dei

concorrenti, ma anche dell’originale strategia commerciale

voluta dal Ceo Oliver Zipse. Abbandonato

il progetto MegaCity, che prevedeva un line-up

elettrico diverso da quello termico (le iniziali i3 e

i8), Zipse ha scelto di affiancare a ciascun modello

termico un’edizione full electric sviluppata per ingolosire

il cliente che sceglie BMW per le emozioni

di guida. Versioni elettriche ad alte prestazioni, con

allestimenti tecnologicamente innovativi ma listini

concorrenziali.

E costa addirittura di meno

Strategia vincente, come dimostra il successo sul

mercato tedesco della BMW serie 4 Gran Coupé,

una quattro porte con portellone da 4,70 metri che

garantisce identica abitabilità e capacità di carico

dei bagagli in entrambe le versioni. Ma, nell’edizione

più potente, costa 12mila euro in meno se

si sceglie l’elettrica: a parità di accessori e allestimento

la i4 xDrive 40 da 401 cavalli con trazione

integrale e 540 chilometri di autonomia dichiarata

è a listino a 64mila euro, contro i 76mila necessari

per sedersi al volante della M440i xDrive con il

sei cilindri in linea a benzina da 374 cavalli sotto

il cofano. Di fatto un’auto elettrica top di gamma al

prezzo della 430d a gasolio da 286 cavalli nell’allestimento

base. Un vantaggio che non si ferma

al momento dell’acquisto. Secondo le tabelle dei

costi di esercizio delle company car a quattro anni

elaborate in Germania, la BMW i4 “risparmia” 20

centesimi al chilometro: 0,76 euro/km contro gli

0,96 della M440i a benzina.

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8

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avoni. Power Island

HUB

ENERGETICO

Questo è un passaggio epocale nella transizione

di Avoni. Sì, perché questa parola magica impatta

tanto il processo quanto gli attori che ne fanno

parte. Power Island si compone di pannelli

fotovoltaici, batteria di accumulo e un generatore

compatibile con l’Hvo. A tutti gli effetti una centrale

energetica che conferisce senso al termine smart

stazionari

Volete una didascalia in calce al container, affettuosamente

ribattezzato “Power Island Hvo”

da quelli di Avoni? La affidiamo alla memoria

di Lucio Battisti: “Tu chiamale, se vuoi, emozioni”.

La presentazione del progetto è stata infatti, per così

dire, emozionale e prismatica. Un gioco di luci ha

riverberato sull’austero contenitore i concetti che

racchiudono l’essenza funzionale di questo gruppo

di potenza. È successo mercoledì 18 dicembre, nel

giardino di Palazzo Stella, in provincia di Bologna.

Per identificare quello che convenzionalmente è stato

identificato come Power Island e, informalmente,

“sintesi energetica intelligente”, potrebbero bastare

i tratti salienti del profilo. Un impianto fotovoltaico

costituito da 14 pannelli da 500W cadauno (dalla

capacità complessiva di 7 chilowatt, calcolatrice alla

mano); un generatore endotermico, motorizzato dall’F36

di FPT Industrial, un 4 cilindri (AxC 102x110

mm) capace di 100 kVA (80 kW); il sistema di telecontrollo;

l’accumulo; il quadro master; il container

insonorizzato. Non ci siamo però accontentati delle

generalità anagrafiche. Una soluzione energetica di

questo respiro esige che ne sia radiografata anche

l’anima. Diamo dunque spazio a Francesco Avoni,

Ad di Avoni Industrial, e Roberto Paolozzi, Application

director.

La genesi del progetto

Francesco Avoni: «Questo sistema è nato all’incirca

un anno fa da un’idea di integrazione, per rendere

l’endotermico ancora fruibile, alimentato dalle fonti

rinnovabili. Appena quattro mesi più tardi, Power

Island era già sul tavolo. Sviluppato all’interno di

un container da 20 piedi, è oggi disponibile in questa

configurazione, che rappresenta solamente una

delle configurazioni possibili. Si compone di pannelli

fotovoltaici, una batteria di accumulo da 70 kWh e

un generatore da 100 kVA, alimentato ad Hvo. Costituisce

a tutti gli effetti un hub energetico, in grado

di accumulare energia da fonti rinnovabili (solare,

eolico, etc), ricevere energia dalla rete e, contemporaneamente,

di aumentarla. Funziona anche in isola.

Una sola linea di prelievo, che in questa applicazione

alimenta tre colonnine, ma potremmo enumerare

diversi altri impieghi. Consideri che questo hub è

autorizzato a cedere energia alla rete, in presenza di

una fonte esterna, che sia un impianto eolico oppure

un fotovoltaico, posizionato a terra o sul tetto».

Quali altre applicazioni? «Abbiamo cominciato con

le colonnine, ma potrebbero essere centri di calcolo

e sistemi di trasmissione dati, tipicamente disaster

recovery. Abbiamo pensato anche ai vari compiti di

protezione civile. Nel caso saltasse l’energia elettrica

che alimenta i ponti radio, con il Power Island

è possibile ritrasmettere wifi la produzione di energia

elettrica. C’è una nostra consociata, 2appy, che

si occupa espressamente di questo, telefonia base,

sistemi trasmissione dati e ponti radio. Abbiamo

contemplato anche l’utilizzo medicale, in seguito a

una esplicita richiesta del committente, che noleggia

container per effettuare Tac e risonanze magnetiche.

Stiamo dunque sviluppando un prodotto analogo a

quello presentato qui, a Palazzo Stella (l’area appartiene

amministrativamente al Comune di Crespellano,

BO, ndr), che sarà destinato a un servizio di

diagnosi mobile. Un’applicazione che richiede tanto,

all’energia, sia in termini di quantità che di qualità».

Questa intuizione risponde al 100% ai criteri Esg

(Environmental, social, governance), sottolineano gli

ideatori. «È un hub che muove l’energia da una direzione

all’altra» riprende Francesco Avoni, «quindi in

consumo o in emissione, a seconda delle esigenze del

luogo o del momento. È programmabile e controllato

a distanza. Può essere “abbandonato a sé stesso”,

senza il controllo diretto dell’operatore, assecondando

le specifiche richieste di stagionalità e di orario.

È posizionato all’interno di un’area residenziale e si

vuole impedire al generatore di fare rumore dalle 24

alle 6? Lo si programma in maniera che risponda

a queste o ad altre esigenze. Provvederà autonomamente

a caricare e scaricare le batterie».

Evocato il sistema di stoccaggio, interviene in merito

Roberto Paolozzi. «Il Bess è modulare, per assecondare

le richieste del mercato, al netto delle batterie.

Questo Bess eroga 70 kWh, possiamo scendere o

salire di taglia a nostro piacimento».

Energia in tutte le salse

Francesco Avoni: «Questa macchina rende fruibile

l’energia in corrente continua, alternata, prodotta da

rinnovabili, da Hvo o da generatore convenzionale,

su un’unica linea di acquisizione o di cessione. Con

questo sistema puntiamo ad essere il meno invasivi

possibile, rispetto a quanto avviene abitualmente. Mi

spiego: avremmo potuto ottenere prestazioni analoghe

da un generatore alimentato a Hvo, ma a quale

prezzo? Quello di tenerlo acceso 24 ore al giorno,

magari per spremere a malapena un kWh. Nel caso

servissero picchi di potenza, si possono mettere in

parallelo più macchine. Quando ho bisogno di più

chilowatt, il sistema lo consente e valuta il da farsi,

secondo un criterio di efficienza, avviando il generatore,

prelevando l’energia accumulata nelle batterie,

o attingendo alle rinnovabili. Questo gruppo è stato

concepito all’interno di un container da 20 piedi, facilmente

trasportabile, ma lo stesso schema è applicabile

a un 40 piedi, che permette di avere maggior

spazio a disposizione degli apparecchi medicali, dei

distributori di cibo e bevande, oppure dei dispositivi

per la filtrazione, la raccolta e il riciclo dell’acqua

potabile. Quest’ultima modalità di impiego si applica

a contesti di emergenza idrica che non sono

chiaramente quelli della pianura padana. Il sistema

premia comunque la migliore efficienza energetica.

Si candida pure a scenari dalle esigenze variabili,

come il fabbisogno energetico del villaggio turistico,

anche in ragione della sua facile trasportabilità».

Roberto Paolozzi: «Questa è una delle configurazioni

possibili, ispirata dalla versatilità e dalla

praticità del container mobile. Ciò non toglie che,

volendo utilizzare l’applicazione all’interno di uno

stabile, la si può installare in modalità fissa. Quello

che fa la differenza è il cuore del sistema, il plc

che coordina le fonti di energia. Dialoga con tutti i

dispositivi, tramite la linea CAN, con il Bess e l’inverter

a gestire la fase di carica e scarica dell’accumulo,

il generatore, con pannello di controllo che

dialoga con la scheda master. C’è un pannello per

la rete, il fotovoltaico con il suo inverter. Opportunamente

settato, è in grado di controllare anche

un campo eolico. Con un’unica busbar realizziamo

il parallelo tra quattro fonti di energia diverse. Ha

una pre-configurazione di default, ma è comunque

customizzabile».

Anche nel caso del Power Island, come del powerpack

di cui abbiamo parlato nel post Key Energy, la

Avoni si è avvalsa della collaborazione di Maurizio

Bruno della Bastelli HBS.

L’immagine

del container

illuminato esalta la

proiezione dell’hub

energetico di Avoni

nell’applicazione

in isola. In questo

allestimento i

pannelli fotovoltaici

sono 14, ognuno

dei quali capace di

500 Watt.

10

11



PERKINS. Alla disfida del bauma Monaco

TIENE BENE

LE CURVE

Ci riferiamo al 3,6 litri che si è impennato

a 106 kW e 566 Nm, e al 12,9 litri, ormai

prossimo alla produzione seriale. Al

Museo del Design di Londra, Perkins

si è raccontata, alla vigilia del bauma.

Digitalizzazione, assistenza e maggiori

dettagli sul Progetto Coeus, che abbina

biocombustibili, “scintilla” e sistema

ibrido

terra

Perkins ha chiamato a raccolta la stampa di

settore per renderci edotti sulle anticipazioni

del bauma Monaco. Le luci dei riflettori non

si sono accese tanto sulle anteprime di prodotto,

quanto sulla visione e sulla strategia. Al Museo del

Design, a Londra, martedì 4 febbraio abbiamo avvistato

un “pezzo” familiare. È il 904J-E36TA di

Perkins, nella taglia da 106 chilowatt. E non era

solo. Da Peterborough si sono trasferiti numerosi

nella capitale per raccontarci come si stanno muovendo

sullo scenario industriale. Fiducia rinnovata

negli endotermici, alternativi sì, che loro definiscono

advandced sustainable power, aggiornandoci sul

progetto di ibridizzazione chiamato Coeus. Infine,

la digitalizzazione e la connettività. Alla base, c’è

una triade di valori che informa l’orientamento di

Perkins: fiducia e spirito collaborativo, soluzioni

smart e un supporto agile agli installatori e agli utilizzatori

finali. È stata l’occasione per ripercorrere

il percorso di Perkins verso l’implementazione della

gamma di endotermici, che rimangono la spina

dorsale delle soluzioni di Peterborough. Questo excursus

è stato affidato a James Gardiner, Product

Marketing Manager. Una traiettoria disegnata sul

doppio binario di evoluzione e rivoluzione, espressione

ufficiale di Perkins che gioca sull’assonanza

tra i due concetti. Non solo correzioni di tiro, come

l’adozione del common rail sul 404J, ma estensione

della gamma, che comprende nove piattaforme

principali, con potenze da 7 a 567 chilowatt. Oltre

ai motori nudi, alcuni monoblocchi sono disponibili

in allestimento Electric Power e marino. Oltre

agli ausiliari presentati al Seawork di Southampton,

l’E44 e l’E70B, e ha fatto ritorno al Mets di Amsterdam,

dopo otto anni di assenza. Le attenzioni

dell’ingegneria sono concentrate sull’ottimizzazione

dei motori, comprese le variabili ai combustibili

fossili. Al momento Perkins si muove cautamente

sull’idrogeno, mentre tutti i suoi motori sono compatibili

con B20, Hvo e altri biocarburanti. Lo dimostra

il continuo sviluppo di piattaforme chiave,

come la Serie 900 e la Serie 2600. Soffermiamoci

su quest’ultima. Presentato congiuntamente a Caterpillar

al Conexpo 2023, il sei cilindri in linea è un

12,9 litri (AxC 130x162 mm) che eroga fino a 515

chilowatt nell’intervallo tra 1.800 e 2.100 giri. La

densità di potenza si avvicina a 4 kW per litro di

cilindrata. Nell’ottica di consolidare le quotazioni

dei motori endotermici nell’arena industriale, l’obiettivo

primario è stato quello del compromesso

tra la durata e la compattezza. Il design, peraltro,

non è finalizzato solo a ridurre gli ingombri, è stato

concepito per adeguarsi ai combustibili gassosi e

all’idrogeno e a eventuali aggiornamenti normativi

(UE Stage VI ed EPA Tier 5). Pressioni elevate in

camera di combustione, con 22-24 Mpa dichiarati,

equivalenti a 220-240 bar, e i sistemi di raffreddamento,

alla pari dei sistemi di controllo, ottimizzano

le prestazioni in tutti i cicli di carico e sono finalizzati

a incidere sul Tco e a facilitare l’integrazione

con il layout delle macchine.

Manutenzione a mille ore

Perkins ha alzato l’asticella degli intervalli di manutenzione

a 1.000 ore, ha adottato sistemi di sfiato

integrati, filtri a cartuccia. Come dire, anche i

dettagli aiutano a migliorare la robustezza di unità

sottoposte a cicli di lavoro sfibranti e a fortissime

sollecitazioni. Queste ultime possono riflettersi

in vibrazioni e livelli di rumorosità. Perkins

ha calibrato l’iniezione a più fasi, per stemperare

la detonazione, posizionato sul posteriore il treno

di ingranaggi e messo mano alla gestione termica,

migliorando il flusso dei liquidi refrigeranti, per ridurre

le vibrazioni e il rumore. Perkins rivendica

alcune pietre miliari, nello sviluppo del 12,9 litri, a

partire dal 20% in più di potenza rispetto alle precedenti

piattaforme da 13 litri, con un corrispondente

Kevin Walsh e la connettività

Perkins chiarisce le cose fin

dall’onomastica. Si chiama

Connectivity il servizio che

fornisce il monitoraggio del

motore con aggiornamenti

giornalieri. Il livello “basic” è

implementabile con la soluzione

Hub Pro, che introduce

approfondimenti predittivi e il

Clarity Pro, che include set di

dati configurabili dall’utente,

allarmi personalizzati e

visualizzazioni interattive.

Kevin Walsh, Digital Business

development manager, ci

ha illuminato sul flusso delle

informazioni all’interno del

sistema “Oem Api data sharing”.

I dati passano attraverso l’Oem,

prima di essere inoltrati agli

esperti Perkins per l’analisi del

monitoraggio delle condizioni

(Cma). Questi esperti analizzano

i dati dei guasti, le ore del motore

e i dati relativi alla posizione.

«Il rapporto Cma può essere

inviato alla rete di assistenza

o al servizio Perkins, oppure

all’Oem ed eventualmente alla

sua rete di assistenza. Inoltre,

questo sistema incorpora

dispositivi di telemetria remota

che trasmettono i dati del

motore. Questi dispositivi sono

incremento di coppia a bassi regimi (3.200 Nm), e

la stessa percentuale di diminuzione del peso nei

confronti del 2506 e del 2806.

Le ultime due annotazioni riguardano il taglio di

2-3 dBA e il 5% di maggior efficienza del carburante.

Nel corso dell’anno scorso sono state completate

le prove condotte dai costruttori, sulle loro macchine,

e nel corso del 2025 entrerà in produzione con

motori pilota, per entrare a regime l’anno prossimo.

Nel mirino le serie 2200, 2400, 2500 e la serie

riferibili al sistema dell’Oem o

integrati direttamente nel motore.

Per quanto riguarda il ruolo di

MyEngine App per l’utente finale:

L’applicazione è integrata nel

sistema Perkins Interlink tramite

Api (Application programming

interface) e serve agli utenti

per accedere a informazioni

utili derivanti dal monitoraggio

delle condizioni. Questi

approfondimenti si basano

sui dati telemetrici in entrata e

sono collegati all’ecosistema

Perkins, garantendo

chiarezza e precisione nella

comunicazione».

Il 904J, immortalato

al Museo del

Design di Londra,

ha alzato l’asticella

a 106 kW

12

13



2800, fino a 560 chilowatt, che saranno fagocitate

proprio dalla 2600. James Gardiner ha quindi virato

sullo special guest del Museo del Design di Londra:

il 904J-E36TA da 3,6 litri che dal mese di marzo

è proposto nella taratura da 106 chilowatt. Ce lo

ricordiamo quando fu proposto al Bauma Monaco

del 2016 all’interno di una teca. Sostituto del precedente

3,4 litri nel range dei compatti, da allora

di strada ne ha fatta tanta. Affiancato da un 2,8 litri,

è scaturito da oltre 160.000 ore di sviluppo, su

più di ottanta macchine. La serie 904, inizialmente

conosciuta come Syncro, è prodotta direttamente a

Peterborough, oltre che a Wuxi, uno dei principali

distretti dell’industria meccatronica e automotive

cinese. Ad ottobre 2023 risultano consegnate oltre

100mila unità.

terra

Alla voce “compatti”

Servivano due unità che competessero nell’affollatissima

arena a cavallo dei tre litri (AxC 90x110

mm, 700 cc per cilindro) e a ridosso dei quattro litri

(AxC 98x120 mm, 900 cc per cilindro), in sostituzione

della canna da litro, di cui Perkins è stata una

paladina. È giunta l’ora di accelerare sulla densità

di potenza. Si è dunque deciso di alzare la potenza

del 6%, 106 chilowatt a 2.200 giri, con 566 Nm

disponibili a 1.500, e di limare gli ingombri. Un

risultato ottenuto anche grazie al sistema di posttrattamento

Emat, che ridimensiona il packaging

dell’Scr e conserva il modulo a castello sul motore,

minimizzando l’impatto volumetrico. La flessibilità

investe anche il posizionamento della pompa del

combustibile, il volano e le prese di forza. Una bella

zampata, che consente al 904 di scalare posizioni

nella griglia della potenza dei concorrenti, e con

una coppia da prim’attore. Si pone così al vertice

dei 3,6 litri. Per aggrapparsi a curve più impetuose

bisognare passare ai 3,8 litri di Cummins e ai 3,9

di Deutz e John Deere.

Altro capitolo, chiamato Coeus. Questo progetto,

che in italiano si chiamerebbe Ceo, come il titano

dell’intelletto, ci fu presentato allo Shard, sempre

qui a Londra, nel settembre del 2023. «Quello che

stiamo cercando di ottenere è un sistema di alimentazione

che abbia le stesse prestazioni a fronte

dell’utilizzo di carburanti diversi, che hanno prestazioni

diverse». Si tratta dunque di ottimizzare le

sezioni sensibili al delta termico, alla differente viscosità

e alle variazioni in termini prestazionali dei

vari combustibili biogenici e sintetici. L’obiettivo

dichiarato è quello di semplificare la vita ai piccoli

e medi installatori, per fornire un motore “plug &

play” capace di digerire etanolo, metanolo, biometano

o idrogeno, che richiedono una piattaforma di

combustione ad accensione comandata.

Paul Moore e il progetto Coeus

Ci ha aggiornati sulle evoluzioni Paul Moore, integrated

powertrain engineering manager. Le premesse

sono note. Molti costruttori non hanno la massa

critica per sviluppare e integrare questi sistemi a

bordo macchina. A maggior ragione quando si

approcciano vettori energetici fisicamente diversi

in termini di proprietà fisiche. È possibile mitigare

questo aspetto attraverso lo sviluppo di sistemi

ibridi e fornire la stessa esperienza all’utente, oltre

a fornire vantaggi in termini di efficienza. Il sistema

ibrido consente di modulare potenza e coppia e

raggiungere le curve ottimali per ogni ciclo di applicazione.

Sostenuto da un finanziamento del governo

britannico di 11,14 milioni di sterline attraverso

l’Advanced propulsion centre UK (Apc), il Progetto

Coeus avrà una durata di tre anni e mezzo. I primi

test sono in corso, proprio nel primo semestre del

2025, con il traguardo di equipaggiare le macchi-

ne nel terzo trimestre del prossimo anno. I partner

sono Equipmake, che fornirà la tecnologia per il

powertrain elettrico, e l’Università di Loughborough,

attraverso l’analisi avanzata del motore e il

controllo delle emissioni. La Serie 1200 da 7 litri

è stata scelta come modello su cui intervenire e innestare

componenti ibridi-elettrici e controlli avanzati

per consentire il funzionamento a idrogeno. Il

sistema di propulsione ibrida da 45-250 chilowatt

sarà configurato con sensori Ecm, radiatori, gruppi

di raffreddamento, filtrazione, sistemi di controllo

e hardware di post-trattamento installati in fabbrica.

Questo sistema di integrazione con i costruttori si

innesta su quanto Perkins è già in gradi di offrire.

Ci riferiamo al Customer machine engineering team

(Cmet), che affianca gli installatori nella valutazione

delle diverse alternative propulsive. Il Cmet è

il braccio operativo che fornisce una consulenza

sull’intero spettro di progettazione, comprese le

considerazioni su manutenzione e Tco, dal foglio

bianco allo stadio prototipale, fino alla validazione

funzionale delle macchine. Gli ingegneri di Perkins

gestiscono il processo di progettazione, collaudo

e firma della macchina, assicurando agli Oem un

modello di progetto in 3D e una macchina pronta

per la fase successiva del processo di sviluppo,

proteggendo al contempo la proprietà intellettuale

e mantenendo al sicuro i dati riservati.

Il 2606J, all’atto

della presentazione

al Conexpo di Las

Vegas, nel 2023.

In basso a sinistra,

Andy Curtis,

Customer Solutions

Director

14

15



flash battery

ENCICLOPEDIA

INDUSTRIALE

Perché Flash Battery, intelligenza elettrica del

Gruppo E80, non si limita a equipaggiare gli

Agv della casa madre. Dalle piattaforme aeree

ai telescopici, dalle macchine compatte da

cantiere ai carri miscelatori, le batterie hanno

superato la prova del nove. Il litio-ferrofosfato

se ne va alla conquista dell’industriale

Sulla destra,

Marco Righi, Ceo

e fondatore di

Flash Battery.

Alla sua sinistra,

in questo scatto,

Alan Pastorelli,

co-fondatore e

Cto dell’azienda

terra

Bev, un acronimo che ha scosso nelle fondamenta

l’ancien régime delle quattro ruote (Tesla è

tallonata da una miriade di concorrenti cinesi,

BYD su tutti. I marchi storici del design tedesco,

invece, ancorati nella rada dell’endotermico e incagliati

nella riconversione elettrica, sono alle prese

con drammatici piani di ristrutturazione) e incombe

nel conservativo anfiteatro delle applicazioni mobili

industriali. Stazionari e marini non fanno eccezione,

semmai si dimostrano ancor più recalcitranti alla

conversione all’elettrico. Più o meno tutti gli attori

della disfida della transizione sono stati folgorati

sulla via del pacco batterie. La panoramica dei costruttori

di accumulatori, assali e avviamenti elettrici,

per lo meno alle latitudini occidentali, soffre l’asimmetria

tra la pianificazione delle magnifiche sorti e

progressive del phase-out endotermico e l’effettiva

penetrazione del verbo elettrico nelle consuetudini e

nella propensione degli utilizzatori finali. Il caso di

Northvolt è esemplificativo, per non citare la teoria

di start-up nel settore dei veicoli industriali (le montagne

russe di Volta Trucks vi dicono nulla?).

Caccia allo specialista

Negli ultimi anni si è assistito all’accaparramento degli

specialisti di batterie da parte di motoristi, Oem o

altri attori del business industriale. La vicentina Sme

è finita sotto l’ombrello di Dana nel 2019. Su questo

numero vi raccontiamo anche la parabola di Archimede

Energia, assorbita da HB4. Per focalizzarci

sulla Motor Valley, anzi, restringendo ancora più il

fuoco, sul distretto meccatronico reggiano, Benevelli

è stata inglobata da Comer Industries. Zapi, che

dell’elettrificazione è impregnata fin dall’atto fondativo,

si è aggiudicata i servizi di solution provider

di 4e Consulting. C’è un’azienda, però, che sulla via

Emilia, baricentrica tra Reggio e Parma, ha scritto un

capitolo diverso di questa storia. Flash Battery, fondata

da Marco Righi, che tuttora occupa il gradino

più alto del management, si è imposta in questo scenario

con una progressione lineare che l’ha scampata

dalle lune traverse del mercato. E l’approdo in E80

Group protagonista assoluta dei veicoli a movimentazione

automatica per i plessi manifatturieri, gli Agv,

è risultato naturale e mutualmente vantaggioso. Ce lo

conferma lo stesso Marco Righi: «In effetti, di produttori

di batterie che sono riusciti a posizionarsi sul

mercato, rimanendoci negli anni, ce ne sono sempre

stati pochi. Alcuni, addirittura, sono falliti. Non è il

caso di Flash Battery, che è cresciuta in modo armonico,

camminando saldamente sulle sue gambe. E80

Group è entrata nel capitale con circa 400mila euro

per rilevarne il 40%. Certo, lo sviluppo dell’elettrico

si sta confermando lento, in uno scenario che si

caratterizza per gli scarsi volumi e i grandi investimenti

richiesti. Oltretutto, chi si aspetta volumi molti

alti, spesso associati a prodotti standardizzati, deve

fare i conti con il mercato asiatico. Inevitabile che

costoro abbiano sofferto. Allargando lo sguardo, si

vede una grande prospettiva per il futuro, i produttori

di batterie sono di interesse globale, sia per la

finanza che per l’industria. Lo dimostra il fatto che le

acquisizioni non siano così facili, perché le aziende

si fanno strapagare, anche quando non dispongono

di una tecnologia consolidata».

Certo, questi specialisti sono una preda ghiotta per le

aziende più strutturate, e spesso diventano captive.

«Si tratta essenzialmente di opportunità. I costruttori

di powertrain tradizionali e gli Oem puntano a incorporare

queste competenze. Per quanto ci riguarda,

la collaborazione con E80 Group è partita nel 2013,

l’ingresso nel capitale societario risale al 2015. È

stata un’operazione a tutti gli effetti “win win”. Loro

sono pionieri nell’utilizzo del litio e necessitavano di

internalizzare le tecnologie, perché reduci da esperienze

negative. La batteria è un elemento “sensibile”,

in un impianto automatizzato con centinaia di carrelli

a guida autonoma che funzionano senza sosta. Nel

caso in cui una batteria abbia un’anomalia, questo

rischia di inficiare la produttività dell’intero stabilimento.

E80 Group ha così internalizzato il know-how

e Flash Battery ne ha beneficiato in termini di volumi

e competenze. La nostra è una logica diversa da quella

che stanno recentemente seguendo i grandi gruppi

nell’accaparrarsi i produttori di batterie, facendo un

investimento in prospettiva. E80 Group ha intrapreso

una politica di verticalizzazione per evitare qualsiasi

rischio e confermarsi pioniera nell’elettrificazione

della flotta al litio, rispetto ai concorrenti nel settore

delle macchine automatiche».

Oltre quota 24mila

Mentre scriviamo, a Sant’Ilario d’Enza hanno appena

sfondato il tetto delle 24.000 batterie confezionate,

per circa 500 MWh prodotti. Torniamo da Righi.

«Flash Battery ha tre punti altamente distintivi: dispone

del know-how e di un’elettronica proprietaria,

brevettata. Il secondo aspetto importante, che deriva

dal primo, è la capacità di customizzazione. Il terzo

aspetto riguarda gli ulteriori sviluppi nel controllo

da remoto. Sulla manutenzione predittiva stiamo lavorando

molto e riteniamo rappresenti il futuro per

fornire un prodotto di qualità. Flash Battery riesce

a fornire risposte al cliente che non può rivedere il

progetto della macchina adattandola alla batteria e

richiede quindi un prodotto “tailor made”. Noi assicuriamo

la consulenza durante la progettazione a interlocutori

che frequentemente dispongono di profonde

competenze nella parte endotermica e idraulica,

ma hanno bisogno di essere accompagnati nella parte

elettrica, in quanto ne stanno acquisendo di nuove.

Prima del passaggio all’elettrico, i produttori non

avevano idea di come le loro macchine venissero utilizzate

e dei consumi effettivi. Adesso occorre dimensionare

correttamente la batteria, perché altrimenti il

veicolo costerebbe una follia e, per farlo, devi conoscere

il modo in cui il cliente usa la macchina. Prima

dell’entrata in vigore della 4.0 possiamo azzardare

che il 95% delle macchine non fosse controllato in

remoto. In fin dei conti, una volta che il serbatoio era

vuoto, bastava riempirlo. Adesso è tutto più analitico,

dovendo ragionare su risorse non infinite».

Come declinare le vostre competenze dall’assorbimento

captive al progetto per una macchina

16

17



L’anno scorso,

Flash Battery si è

aggiudicata il Premio

per lo Sviluppo

Sostenibile 2024,

nella categoria

“Economia

circolare”,

riconoscimento

promosso dalla

Fondazione per lo

sviluppo sostenibile

ed Ecomondo-Italian

Exhibition Group,

con il patrocinio

del MASE

terra

operatrice?

«La consulenza iniziale è finalizzata alla comprensione

del settore del cliente e del suo obiettivo,

qual è la missione macchina, quali sono i consumi.

Si determina il “pacchetto energia”, che comprende

la batteria e il sistema di ricarica. La batteria

può cambiare in funzione della capacità di ricarica

del cliente. L’approccio è consulenziale e orientato

a definire con precisione quali siano i consumi

effettivi, esplorando il ciclo macchina al di là dei

dati disponibili».

In merito alla vostra offerta, e non solo, di sistemi

propulsivi Bev per applicazioni mobili industriali.

Litio-ferro-fosfato unica via?

«Nella nostra offerta l’Lfp (litio-ferro-fosfato) è

prevalente perché il nostro settore è quello dell’industria

in generale, dal movimento terra al carrello

elevatore alla macchina agricola. Il comune

denominatore è che l’operatore utilizzi la macchina

per diverse ore. Occorrono dunque batterie piuttosto

grandi, per soddisfare le richieste più energivore,

intorno alle due ore, fino alle sei/sette ore

di utilizzo. La Lfp è la miglior chimica di energia,

è competitiva perché non ha materiali critici

all’interno, ha un costo inferiore e una sicurezza

maggiore. Teniamo comunque gli occhi aperti su

altre chimiche. Abbiamo delle preserie Nmc e al

litio titanato, per assecondare le necessità degli

installatori, vuoi per lo spazio a bordo macchina

o per le potenze di utilizzo».

Del resto, il litio si caratterizza per l’intrinseco

potenziale elettrochimico: una batteria agli ioni di

litio genera da 2,4V ai 3,7V per elemento in funzione

della chimica utilizzata. E il sodio?

«La tecnologia dei primordi, quella al sale fuso, è

obsoleta, vincolata a temperature prossime ai 250

gradi, e non ha senso rispolverarla. Gli ioni di

sodio sono tutt’altra cosa, con una resa elevata,

talvolta superiore a determinate batterie al litio. Il

loro limite è la scarsa densità, circa la metà dell’Lfp,

e il livello di maturazione non ancora sufficiente

per essere competitive. Hanno ricevuto una

spinta forte negli anni scorsi, quando il prezzo del

carbonato di litio era arrivato alle stelle. Ad oggi,

con una quotazione del litio ai minimi storici, non

ha minimamente senso, se non nell’ottica dell’energy

storage, dove il volume è poco rilevante e

potrebbero rappresentare un’alternativa».

Se il sodio è obsoleto, va da sé che il piombo sia

paleolitico. Almeno a giudicare dalle differenze

prestazionali, di efficienza (75% rispetto a 96%),

e in termini di cicli di ricarica (1.000 rispetto a

4.000), come ci ricorda il sito di Flash Battery. Lo

slancio comparativo investe anche la media ponderata

delle batterie al litio concorrenti: la ricarica al

50% è stimata in 25 minuti rispetto all’ora, senza

considerare l’azzeramento del fermo macchina. A

proposito di downtime, efficienza e carica, Righi

ci descrive la genesi del bilanciamento elettronico

concepito e sviluppato della società reggiana.

«È partito dall’idea di realizzare qualcosa di diverso

per supportare la chimica Lfp, che tendenzialmente

presenta delle differenze importanti tra una

cella e l’altra e, avendo una curva piatta, eroga

la stessa tensione da 0 a 95%. Insomma, si fatica

a bilanciare durante il funzionamento del veicolo,

a differenza della Nmc. Abbiamo pertanto creato

questo sistema che presenta una potenza superiore,

ci consente di aggiungere e togliere energia

da ogni singola cella, ed è venti volte più potente

di un tradizionale battery management system.

In questo modo siamo riusciti ad ottenere dei fine

carica molto più veloci, meno di mezzora. Si rivela

provvidenziale per gli operatori professionali:

se si fanno più cicli, i costruttori tradizionali ti

impongono una carica completa alla settimana e

di lasciare il veicolo fermo per almeno otto ore.

Noi garantiamo un utilizzo continuativo, con uno

stop indicativamente di 30 minuti ogni 3 settimane.

Supportiamo le celle più basse anche in scarica».

Giuseppe Corcione, ad di Reinova, in una recente

intervista ha individuato nella gestione software il

vero divario competitivo dell’industria europea.

Qual è la ricetta di Flash Battery?

«Facciamo tutto internamente, il che facilita l’aggiornamento

continuo. Stiamo introducendo un

cloud sempre più intelligente che capisce in maniera

chiara il vero “state of health” delle batterie.

Ricevendo un maggior numero di informazioni lato

cloud, riusciamo a lavorare con algoritmi di machine

learning e intelligenza artificiale, che stiamo

ribaltando all’interno del Bms stesso. Prima si

sono affinati gli algoritmi nel Flash Data Center

(il nostro software proprietario di controllo da remoto),

adesso li stiamo riportando a livello macchina.

Le nostre batterie utilizzano aggiornamenti

over-the-air, che ci consentono di verificare il funzionamento

e intervenire da remoto, migliorando

il funzionamento delle batterie man mano che il

tempo passa. È fondamentale, perché la batteria è

un elemento deperibile. Se mi accorgo tardivamente

di un cattivo funzionamento, non è possibile correre

ai ripari, devo per forza di cose sostituirla. Ci

avvaliamo dei gemelli digitali. Il sistema elabora

una stima e, se qualcosa non va nel verso giusto,

si interviene subito, senza aspettare il fine vita».

La densità di potenza è il comune denominatore

di endotermici e Bev. Dal vostro lato, come si

raggiunge questo obiettivo?

«Nel nostro settore, si parla di densità di energia

più che densità di potenza. Le applicazioni richiedono

che sia erogata un’energia costante più che

18

19



Qui, in alto, uno

scatto della sede

di Flash Battery, a

Sant’Ilario d’Enza,

in pronvincia di

Reggio Emilia, al

confine con il

parmense

terra

dei picchi di potenza. La partenza è sempre la cella.

Nella miniaturizzazione del pacco batteria, ciò

che fa la differenza è migliorare la densità energetica

della cella, almeno nella misura preponderante

dell’obiettivo. Per la parte residuale, bisogna

spingere sull’efficienza nella composizione della

batteria stessa: come la assemblo e comprimo le

dimensioni dell’elettronica di controllo, dei dispositivi

di sicurezza e di tutto il resto. Ci rivolgiamo

ai più importanti fornitori di celle, per garantire

continuità di approvvigionamento. Dalla cella in

avanti, ci siamo attrezzati per avere il controllo in

casa. Abbiamo fatto un investimento importante installando

una linea di assemblaggio automatizzata

con saldatura a laser, per creare i moduli internamente.

Ci distinguiamo così da altri concorrenti,

che si riforniscono dei pacchi assemblati all’origine.

Siamo quindi più flessibili nel customizzare i

moduli e variamo agevolmente il fornitore in caso

di anomalie nella catena di approvvigionamento».

Qual è lo spettro reale di ricarica in base al ciclo

di lavoro di una macchina? I cicli di caricoscarico

e l’autonomia soffrono delle variabili

ambientali. Come intervenite per limitare l’entropia

dovuta al rigore invernale?

«Le batterie sono dotate di termoregolazioni, bisogna

scaldarle in presenza di climi rigidi. In questi

contesti sono peraltro abituati a riscaldare anche

i veicoli endotermici, per garantire la massima

operatività. In base alle performance richieste

l’utilizzatore di un veicolo elettrico deve attendere

che le batterie siano in temperatura, quando ci si

trova sottozero. A meno dieci, una batteria funziona

comunque, sebbene non si possa esigere fin da

subito la massima potenza. Anche in questo caso,

è sufficiente lasciarla collegata. Il raffreddamento

è meno nevralgico di quanto avviene nel mondo

automotive, perché sulle applicazioni industriali la

batteria si scarica in diverse ore e anche la ricarica

non è super veloce, dal momento che il limite

non è la tecnologia, ma la fonte, cioè dove effettuo

la ricarica. Nei depositi del “last mile delivery”,

avviene spesso con potenze non superiori a 6 chilowatt

sulla singola presa. I punti di collegamento

sono il collo di bottiglia. Le batterie non si scaldano

perché mediamente la ricarica richiede da due

a sei ore, invalidando la necessità del raffreddamento.

I cantieri vanno nella direzione degli accumuli,

che fungono da buffer e si occupano anche

delle varie utenze».

La Motor Valley è diventata sorprendentemente

un focolaio attivo di specialisti dell’elettrificazione.

«L’Emilia-Romagna è sempre stata all’avanguardia

nell’elettrificazione e ne sta portando a casa i

frutti. Fin dai suoi primi vagiti, Zapi ha supportato

il mondo del carrello elevatore, pioniere assoluto

nell’elettrificazione. Collaboriamo con tutti, gli

altri attori della catena di fornitura sono potenziali

partner, per offrire la soluzione corretta al

cliente. Ci rivolgiamo ai produttori di macchine

europei, con la consulenza di aziende che fanno da

system integrator. In Italia lo facciamo direttamente,

perché non abbiamo bisogno di intermediari.

C’è sempre stata collaborazione in questa filiera. I

nostri interlocutori d’oltralpe fanno shopping nella

nostra zona, quando elettrificano una macchina».

È fattibile una collaborazione con altri costruttori

per confezionare una driveline completa?

«Ufficiosamente è così, ci scambiamo informazioni

per interagire mediante prodotti tra di loro complementari.

È nell’interesse di tutti che i nostri clienti

limitino al massimo gli sforzi e vedano i fornitori il

più possibile integrati. Batterie e controllo motore

sono prodotti strettamente collegati, più di quanto

avvenga, ovviamente, con il motore».

La customizzazione: in che termini?

«Flash Battery dispone di un ufficio tecnico diviso

in due sezioni: una che si occupa di moduli

standard e un altro gruppo di lavoro che crea la

batteria su misura per il cliente, partendo da questi

moduli standard. L’attività di customizzazione

scaturisce dalla consulenza iniziale. Ci adoperiamo

per integrare all’interno della batteria i componenti

richiesti dagli installatori, per fornire un

servizio aggiuntivo al cliente. La batteria potrebbe

diventare una Pdu (Power distribution unit) e integrare

diverse uscite e diversi ingressi per ottimizzare

l’installazione sul veicolo stesso».

L’industria automotive europea è sull’orlo di una

crisi di nervi. Questa impasse, e la claudicante

transizione energetica, possono incidere sulla

democratizzazione dei consumi e riverberarsi

negativamente sui costi della componentistica

per l’off-higway? Gli investimenti nell’elettrico

sono però troppo massicci, oserei dire “compromettenti”

per lo stato di salute di Oem e solution

provider, per riavvolgere il nastro come nulla

fosse. Voi come la vedete?

«Il mondo dell’industria deve essere guidato dalla

ricerca dell’efficienza. Non si può mettere in discussione

la trazione elettrica, la combinazione inverter

e motore riesce a superare il 97% di efficienza.

Non esiste un’altra strada. Ovvio che non può essere

“on/off”, serve a tutti il tempo di capire come

procedere in questa direzione: per gli Oem, cosa

fare, per i dealer, come vendere, per i clienti, capire

come utilizzare queste tecnologie. Serve tempo per

digerire questa soluzione. La diffusione nell’automotive

sta giovando all’off-highway, perché i prezzi

si sono decisamente abbattuti, rispetto ad anni fa.

Più si aumentano i volumi, più si avranno veicoli

con una differenza minore tra termici ed elettrici».

20

21



archimede energia

LE PIACCIONO

TUTTI...

Ci riferiamo ai mercati e agli sbocchi applicativi,

a giudicare dalla diffusione delle batterie di

Archimede Energia a ogni latitudine industriale.

Oltretutto, sono parole di Cesare Miridin, il

direttore commerciale. Archimede è scaturita da

un’intuizione, l’efficientamento energetico, che si

è riverberata positivamente sul secondo capitolo

della biografia aziendale. Corre l’anno 2019 e il

suo destino si intreccia con quello di HB4

Archimede Energia

è diventata il

“genio della

lampada” di HB4

e di BGG, per

quanto riguarda

l’elettrificazione.

Senza disdegnare

l’interlocuzione con

l’esterno, alla luce

delle sinergie con

le altre entità della

costellazione che

fa riferimento alla

famiglia Bruno

Verbano. «Archimede Energia è stata fondata nel

2007 dai Villa, una famiglia di imprenditori milanesi.

Concepita in principio al servizio del settore

immobiliare, nell’ottica dell’efficientamento energetico,

si è insediata nel polo d’innovazione del Lago

Maggiore come start-up di accumuli innovativi. Ci

si poteva inserire in questo contesto solo su invito,

rispettando dei precisi requisiti, essenzialmente

relativi all’innovazione. Un criterio che faceva al

caso nostro: all’epoca, le batterie al litio erano

quanto di più innovativo sul mercato, rispetto a

quelle al piombo e al nichel-cadmio. Siamo stati la

prima start-up italiana ad occuparsi di accumuli

energetici con questa tipologia di celle, che hanno

una densità energetica compresa tra 150 e 200 Wh/

kg e una vita media di 2.000-3.000 cicli di carica

e scarica. Sono entrato in azienda nel 2010» precisa

Miridin «e ho seguito il pioneristico progetto

di elettrificazione del calessino di Piaggio, probabilmente

il primo di questo tipo in Italia. Successivamente,

mi sono occupato dei progetti d’innovazione

per l’automotive con il Centro Ricerche Fiat,

con GM e con Iveco. Il polo d’innovazione è stato

messo in liquidazione nel 2016, una volta esauriti

i fondi europei. Dalla fondazione alla liquidazione

del polo ai giorni nostri (rilevata da HB4 nel 2019,

Archimede è tuttora insediata in via dell’Industria

15, ndr) abbiamo proseguito la diffusione del verbo

delle batterie al litio in tutti i mercati potenzialmenenergia

Proseguiamo l’esplorazione della galassia HB4

facendo rotta sul Lago Maggiore. Dopo la fertile

chiacchierata con Massimo Corcione, ad

di Reinova, abbiamo pensato alla sponda naturale

della società di “idee elettriche” di stanza a Soliera,

in provincia di Modena. Archimede Energia si

riflette sulle sponde del lago, a un tiro di schioppo

da Verbania. Cosa fanno, di mestiere, quelli di

Archimede? Sintetizziamo in pillole il loro 2024.

Hanno messo a magazzino 80.000 celle, per evitare

shock di fornitura, servite per l’assemblaggio

delle 1.410 batterie prodotte nel corso dell’anno per

13.187 kWh di energia, segnando il 12% di progressione

rispetto al 2023. Insomma, proprio quei

sistemi di accumulo che rappresentano l’elemento

pivotale dell’architettura elettrica, insieme ai motori

e agli inverter, di cui Reinova è designer. Le applicazioni

per questa triangolazione con il costruttore

delle macchine possono essere finalizzate nel

giardino di casa HB4 o di BGG (Bruno Generators

Group), come le microvetture di Casalini o i gruppi

ibridizzati di Tecnogen (magari facendo ricorso agli

inverter Powertronics, per restare in famiglia).

Tecnologia per tutti

Altrimenti, pescate dal bacino OE, perché la proiezione

di Archimede alle combinazioni esogene

non si esaurisce con l’incorporazione in HB4, anzi,

si alimenta degli investimenti della holding e delle

interconnessioni virtuose con gli attori del gruppo.

A Verbania richiedono sedici settimane per la prototipazione

da foglio bianco, mentre l’upgrade di

un prodotto esistente è assai più veloce, ci dicono. I

moduli pre-saldati e bilanciati “decantano” un mese

a magazzino, prima di essere utilizzati per la costruzione

delle batterie. Cesare Miridin, Direttore

commerciale di Archimede Energia, ci ha accolti

per una immersione sulla sponda occidentale del

te interessati e interessanti».

Quali mercati, vi chiederete? In cifre, l’energy storage

vale quasi la metà della torta (47%), seguito

dalle torri faro, col 29%. Il residuo quarto dei

volumi è determinato dai veicoli elettrici (11%),

dagli Agv (7%) e dalle barche elettriche (6%). La

risposta di Miridin ha invece un tono più brioso:

«Non abbiamo ancora selezionato i mercati sui

quali concentrarci, perché ci piacciono tutti…

Dopo l’acquisizione da parte di HB4, siamo passati

dall’80% del fatturato legato alla trazione elettrica

e il 20% all’energy storage, al ribaltamento

delle proporzioni. Il Gruppo ha attivato una linea

di produzione presso la RLM di Reggiolo, individuata

come il fulcro del potenziamento produttivo

di Archimede Energia. Il sito di Verbania si evolverà

come Tech Lab, dove dedicarsi alla ideazione

e alla realizzazione di prototipi, preserie e piccole

serie. Archimede Energia vive sulle piccole e medie

imprese. Per noi è fondamentale fidelizzare fornitori

di celle in grado di evadere le nostre richieste.

È capitato in passato che i fornitori di celle

sospendessero la produzione senza preavviso, per

cui oggi abbiamo agganciato fornitori affidabili,

nella top ten dei costruttori mondiali, capaci di

assicurare la replicabilità del prodotto in termini

di caratteristiche e livello qualitativo». In merito

alle applicazioni, Miridin prosegue: «Non seguiamo

il sovraffollato settore delle automobili. Nello

stradale siamo orientati all’ultimo miglio e alle

micro-car come il Birò della Estrima, alle quali

forniamo le batterie e a livello di gruppo, integrate

a motore elettrico e inverter. Ci occupiamo anche

di “special traction” privi di omologazione stradale,

per la movimentazione di grandi carichi nel

settore militare, nelle acciaierie, interporti ed aree

portuali. Abbiamo però anche sviluppato i serbatoi

energetici da 40 kWh per gli Sprinter elettrici di

Esselunga, utilizzati per la consegna della spesa a

domicilio all’interno delle Ztl, kit retrofit autorizzato

da Mercedes e omologato dal ministero, completo

di range extender. Questi accumulatori, oltre

a sostenere la trazione del veicolo alimentavano i

gruppi refrigeratori delle celle frigo, con un assorbimento

medio di 5 kWh. Certo, si trattava generalmente

di consegne a breve raggio, ma il rischio

che qualcosa potesse andare storto e aggravare i

consumi, magari a causa del traffico, motivava il

piccolo generatore di emergenza. Successivamente

abbiamo ottenuto l’omologazione ECE R100-Rev2

su accumulatori che oggi sostengono la trazione di

veicoli N2 con portata 120 quintali». Dopo questa

divagazione automotive, preparatevi a varcare lo

scenario industriale di Archimede. «Posso citare gli

spargisale elettrici della Giletta e le idropulitrici

elettriche di Sirmac per l’utilizzo in galleria, dove

è bandita la manutenzione con macchine endotermiche

e dove risulta indispensabile la certificazione

22

23



energia

R10. Da circa quattro anni stiamo servendo il mercato

dell’agricolo, con i mini-dumper di Cormidi,

di Merlo e i semoventi per la raccolta della frutta

di CMA. Stiamo partecipando allo sviluppo di un

drone atomizzatore, uno spargi concime elettrico e

dei carri miscelatori sempre a guida autonoma per

gli allevamenti bovini. Da un anno serviamo anche

il settore della deforestazione». A questo punto

della discussione, scende in campo il Dynamico, la

creatura di Massimo Geminiani. Il brevetto è stato

acquisito un anno fa: la maggioranza delle quote fa

capo a Bruno Generators Group, la Geminiani rimane

in società con una quota di minoranza. «L’elemento

dell’accumulo è stato sviluppato insieme ad

Archimede Energia», precisa Cesare Miridin. «Alcuni

progetti, per esempio quelli legati al ferroviario,

sono stati affidati alla Dynamico, altri progetti

sono tuttora gestiti direttamente dalla Geminiani,

alcuni dei quali sull’ibridizzazione». La panoplia

di allestimenti prosegue nel settore della nautica,

con i primissimi scafi elettrici varati in Svizzera e

Austria nel 2013, alle più recenti applicazioni ibride

in laguna sulle imbarcazioni per la raccolta rifiuti

della Veritas, sulle vedette della GdF e sui battelli

Actv. «Siamo stati i primi in Italia a ricevere il type

approval per imbarcazioni da lavoro e trasporto

passeggeri, con Bureau Veritas. Successivamente

abbiamo incassato il medesimo tipo di certificazioni

anche da Rina, su una flotta dell’Actv equipaggiata

in primo impianto con dei mild hybrid ad opera di

Vulkan e Bimotor/FPT. Abbiamo fornito le batterie

per battelli turistici che fanno servizio sul lago di

Lugano. Si chiama Rex, il taxi da 18 persone in

corso di sviluppo sempre per il Canton Ticino. Con

la Geminiani abbiamo progettato ed elaborato due

battelli per l’Uzbekistan e sei taxi per il Quatar».

Le vostre competenze impattano l’accumulo. E

volendo essere pignoli, di cos’altro vi occupate,

oltre che delle batterie? «Certamente dello sviluppo

del controllo elettronico, quindi Bms e mechanical

design. All’interno non ci occupiamo della

cella, perché troppo oneroso, come, del resto, non

fanno nemmeno i nostri concorrenti europei. Siamo

tecnologicamente verticali e indipendenti sulla

parte hardware, software e firmware. Ci facciamo

in house addirittura i tool software in ambiente Android

e iOS. Siamo integrati con la maggior parte

dei costruttori di caricabatterie e di inverter, sia

per la trazione che per l’energia. Nel corso del

2024 abbiamo recepito le più recenti innovazioni

dell’elettrochimica, sia nelle declinazioni litio Nmc

(nichel manganese cobalto) sia Lfp (litio ferro fosfato),

con superiore densità energetica prestazione

in potenza. Attingiamo sia dai canali cinesi che da

quelli coreani, per soddisfare tutte le richieste del

mercato. Per lo stazionario, abbiamo incassato la

certificazione CE021 nella sua estensione completa

e bidirezionale, vincolo richiesto dal Gse». Miridin

si concede una battuta: «Le batterie, cioè l’accumulo

elettrochimico è come il prezzemolo, si trova

ovunque». Ovunque, sì, ma con quale chimica? «Il

piombo continuerà ad esistere, concentrato sulle

applicazioni dove non vengono richiesti transitori

di potenza e dove peso/volume non sono un must. Si

ragiona di batterie allo stato solido. Vedremo. Il litio

non è soggetto ad autocombustione. Gli incendi

di batterie al litio, segnalati all’opinione pubblica

in modo semplicistico, sono in realtà innescati da

agenti esterni o da utilizzi impropri. Nelle nostre

batterie c’è poco cobalto o non ce n’è proprio. Proponiamo

sistemi di accumulo anche per Ups, torri

faro e generatori ibridi, dove abbiamo raccolto le

certificazioni necessarie. Siamo operativi nel material

handling, nei plessi industriali od ospedalieri,

su macchine come Agv e sollevatori. Spingiamo

sui Bess, per i quali abbiamo realizzato delle architetture

modulari. La Milantractor gestisce, in

questi giorni, un container carrellato da 35 piedi,

che monta un pacco batterie da 1,2 MW e 500 kWe

di gruppo generatore, per la realizzazione di una

rete pari a 400 kW. Si presta ad eventi fortemente

energivori, come gli spettacoli itineranti».

Assemblaggio e dintorni

A proposito di fornitori, come si svolge l’attività

“manufatturiera”?

«Riceviamo le celle e le assembliamo nei pacchi

batteria. Non ci è possibile standardizzare, non

avendo un adeguato sfogo commerciale. Ogni anno

i committenti introducono varianti dimensionali e

prestazionali. Il Bms è sviluppato all’interno del

plesso di Verbania, ed è composto da un hardware,

una base intelligente con calcolo, e da schede Pcm

(Protection circuit module), le periferiche distribuite

sulla superficie della batteria. Queste schede

consentono di recuperare i dati di tensione e le

temperature delle singole celle. Il Bms ci consente

modularità, sia in termini elettrici che meccanici,

per la realizzazione delle tensioni. Attraverso una

comunicazione Iso Spi, le schede Pcm inviano le

informazioni alla scheda centrale, che le elabora».

Nelle foto in alto,

trovate un paio

di scatti della

produzione e dei

singoli elementi

che compongono

il sistema batteria.

In basso, interno

ed esterno della

sede.

24

25



CONFRONTO. 5 litri industriali

5 litri industriali

GIOCA IL

SETTEBELLO

È infatti salito a sette il numero di

partecipanti alla disfida dei 5 litri.

L’ultimo ingresso è il 4 cilindri della

famiglia HD Hyundai Infracore, che con

la canna da 1,25 litri si è aggiudicato il

Diesel of the Year 2025. Il DX05 coreano

paga pegno alla bilancia ma non ha rivali

in materia di potenza e di coppia

TERRA

26

Confronto inedito, fino al IIIB, che avrebbe

catapultato i 4 cilindri da 5 litri nell’oneroso

empireo dei 6 cilindri con canna da litro o li

avrebbe retrocessi, seppur di poco, agganciandoli

ai 4,5 litri. Ingombri fuori luogo, per dei quattro

cilindri, per dimensioni e peso, e curve sotto

tono per i 4,5 litri, che mediamente non varcano

la soglia dei 130 chilowatt. E così, passo dopo

passo, questa fascia di cilindrata ha guadagnato

autonomia, diventando un serbatoio di Diesel of

the Year. Il primo tassello di questo mosaico è ad

opera di Kubota. Il V5009 è stato eletto Diesel

of the Year nel 2019. Come raccontammo allora,

questa è una storia cominciata molto prima. Per

il grande pubblico, la rivelazione fu affidata alla

luccicante vetrina del Conexpo, il 7 marzo del

2017. A Las Vegas, Kubota si è “macchiata” di

apostasia, alzando l’asticella della segmentazione

giapponese, saldamente ancorata ai compatti. Il

3,3 litri e il 3,8 litri rappresentano storicamente

le cilindrate più corpose e gettonate.

Passaggio di consegne al sorgere del sole

Al tempo stesso ha sfatato un tabù: per la prima

volta, in deroga alla scrupolosa e pudica metodicità

di casa ad Osaka, ha annunciato un motore di

nuovo conio in larghissimo anticipo con le previsioni

di fabbricazione seriale. In attesa di vedere

la luce sulle linee produttive, ha sfilato sulle passerelle

europee dell’Intermat di Parigi e del Bauma,

dove ha ricevuto il premio. È stato il primo

motore non europeo, né americano, a ricevere il

riconoscimento. Per quali ragioni? Nessuna as-

4 CILINDRI “ERETICI”

Lo scatto che

ritrae il DX05 allo

stand Socoges.

Insieme al fratello

maggiore DX08, si è

aggiudicato il Diesel

of the Year 2025.

Marca AGCO POWER DEUTZ HD HYUNDAI INFRACORE ISUZU KUBOTA MTU VOLVO PENTA

Modello CORE50 TCD 5.2 DX05 4HK1 V5009 R4 1000 TAD572VE

CARTA D’IDENTITÀ

A x C mm - C/A 110 x 132 - 1,20 110 x 136 - 1,24 110 x 132 - 1,20 115 x 125 - 1,09 110 x 132 - 1,20 110 x 135 - 1,23 110 x 135 - 1,23

N. cilindri - litri 4 - 5,01 4 - 5,17 4 - 5,01 4 - 5,19 4 - 5,01 4 - 5,13 4 - 5,13

Potenza intermittente kW - rpm 165 - 1.700 170 - 2.300 171 - 1.900 145 - 2.100 157 - 2.200 170 - 2.200 160 - 2.200

Pme bar 23,7 17,5 22 16,3 17,4 18,4 17,3

Velocità lineare pistone m/s 7,5 10,4 8,4 8,8 9,7 9,9 9,9

Coppia max Nm - rpm 950 - 1.200 951 - 1.300 951 - 900 686 - 1.200 882 - 1.500 951 - 1.400 902 - 1.200

Pme a coppia max bar 24,3 23,6 24,3 16,9 22,5 23,8 22,5

Riserva di coppia % 47,7 46 45,5 37,3 46 46 46,3

Coppia a potenza max Nm 921 706 862 657 686 735 696

% Potenza a coppia max (kW) 72,4 (119) 76,20 (130) 52,50 (90) 59,50 (86) 88,30 (139) 82,10 (140) 70,90 (113)

NELLO SPECIFICO

Potenza kW/litro 32,8 32,8 34,1 27,9 31,3 33,1 31,2

Coppia Nm/litro 189,3 183,9 189,5 132,1 175,7 185,3 175,7

Potenza areale kW/dm 2 43,42 44,74 45,00 34,94 41,32 44,74 42,11

METRO E BILANCIA

Peso kg 590 530 620 470 620 540 560

L x W x H mm 923x664x1.171 921x695x902 992x854x1.169 1.019x776x1.034 898x656x972 818x755x1.033 772x859x995

Ingombro m3 0,72 0,58 0,99 0,82 0,57 0,64 0,66

Massa/potenza kg/kW 3,6 3,1 3,6 3,2 3,9 3,2 3,5

Densità globale kg/litri 117,6 102,5 123,6 90,5 123,6 105,2 109,1

Densità di potenza kW/m 3 229,2 293,1 172,7 176,8 275,4 265,6 242,4

Densità assoluta t/m 3 0,82 0,91 0,63 0,57 1,09 0,84 0,85

Densità relativa litri/m 3 6,97 8,91 5,07 6,33 8,80 8,02 7,78

INDICI

ELASTICITÀ 7,9 12,9 12,8 11,2 9,9 11 12,8

PRESTAZIONI 6,8 6,8 6,9 5,4 6,5 6,8 6,5

SOLLECITAZIONE 10,6 11,3 10,9 8,6 10,7 11,2 10,8

LEGGEREZZA 14,4 12,6 15,5 11,2 15,4 12,7 13,5

COMPATTEZZA 16 19,5 11,7 10,3 18,9 17,8 16,3

DIESEL INDUSTRIALI 7,1 7,7 7,4 7,1 7,2 7,6 7,5

27



AGCO POWER

DEUTZ

HD HYUNDAI

KUBOTA

ISUZU

ROLLS-ROYCE

VOLVO PENTA

kW! 185!

Nm!

1.588!

kW! 185!

Nm!

1.485!

kW! 185!

Nm!

1.709!

kW!

185!

1.322!

Nm!

kW! 185!

Nm!

1.660!

kW! 185!

Nm!

1.383!

kW! 185!

Nm!

1.601!

170!

1.438!

170!

1.335!

170!

1.559!

170!

1.172!

170!

1.510!

170!

1.233!

170!

1.451!

155!

1.288!

155!

1.185!

155!

1.409!

155!

1.022!

155!

1.360!

155!

1.083!

155!

1.301!

140!

1.138!

140!

1.035!

140!

1.259!

140!

872!

140!

1.210!

140!

933!

140!

1.151!

125!

988!

125!

885!

125!

1.109!

125!

722!

125!

1.060!

125!

783!

125!

1.001!

110!

838!

110!

735!

110!

959!

110!

572!

110!

910!

110!

633!

110!

851!

95!

688!

95!

585!

95!

809!

95!

422!

95!

760!

95!

483!

95!

701!

80!

538!

80!

435!

80!

659!

80!

272!

80!

610!

80!

333!

80!

551!

65!

388!

65!

285!

65!

509!

65!

122!

65!

460!

65!

183!

65!

401!

50!

rpm!

900! 1.300! 1.700! 2.100!

238!

50!

rpm!

135!

900! 1.500! 2.100! 2.700!

50!

rpm!

900! 1.300! 1.700! 2.100!

359!

50!

rpm!

900! 1.300! 1.700! 2.100!

-28!

50!

rpm!

900! 1.300! 1.700! 2.100!

310!

50!

rpm!

900! 1.300! 1.700! 2.100!

33!

50!

rpm!

900! 1.300! 1.700! 2.100!

251!

sonanza con l’automotive, origini saldamente nei

polverosi ambienti di lavoro che appartengono

ai motori industriali, sovralimentazione allergica

al doppio soffiante e ad inutili complicazioni.

Come scrivemmo all’epoca, alla consegna

del premio: «Dalla metà dell’ultimo decennio, e

sempre più spesso a partire dal IIIB, il vero motore

del motore a combustione interna sono state

le norme sulle emissioni. Nessun costruttore ha

trovato un’alternativa alla coppia Dpf-Scr. L’unico

elemento di diversificazione è stato l’Egr.

La strategia di Kubota di migliorare il sistema di

post-trattamento e i parametri di combustione si

è rivelata premiante. Questa è una delle ragioni

per cui abbiamo scelto il V5009».

Da un Diesel of the Year regolarmente assegnato

a un altro in predicato di diventarlo. L’edizione

2024 è stata “sublimata” per fare spazio al nuovo

corso del premio. Meglio, un ritorno all’antico,

alle fiere agricole di novembre, come agli esordi,

retrodatandoci alla seconda metà del primo decennio.

In quell’occasione c’era un candidato in

pole: AGCO Power. Quella che fu Sisu ha rinnovato

la famiglia motoristica, per gli utilizzi interni

che figurano nella sua missione e per fare breccia

al fuori delle mura perimetrali dei trattori di casa.

Lo abbiamo messo alla frusta (a onor del vero, la

prova in campo è a cura dei colleghi della rivista

Trattori) alla guida del Fendt 620 Vario Profi

Plus. Quelli di AGCO Power hanno insistito sul

tasto del consumo specifico. Quello che dichiarano

è del 6% inferiore alla media dichiarata. Si ragiona

infatti di 188 g/kWh rispetto a 200 g/kWh.

Abbinato alla trasmissione VarioDrive, cambio

continuo con controllo indipendente dell’asse

anteriore e posteriore, costituisce una catena cinematica

in grado di misurare continuamente lo

slittamento sulle ruote e ottimizza la potenza d

trazione. Su questa macchina il Core50 lavora a

regimi ridotti, alla pari dell’impianto idraulico,

con pompa Load Sensing a portata variabile da

205 litri al minuto che alimenta cinque distributori

elettroidraulici posteriori e due anteriori, e

del sistema di raffreddamento, per conciliare la

quadratura del cerchio.

AGCO Power e la quadratura del cerchio

Quale? Forza di trazione e di accelerazione, bassi

consumi di carburante e riduzione dell’usura.

In merito alla riduzione modulare della canna da

1,25, apparsa in prima battuta sul Core75, all’Agritechnica

del 2023, Jarmo Tuorila, direttore

vendite e marketing di AGCO Corporation, ebbe

modo di puntualizzare che «utilizzare la stessa

cilindrata unitaria del Core75 offre vantaggi sinergici

nella nostra produzione e risparmio per

i nostri clienti, poiché entrambi i modelli condividono

la componentistica. La cilindrata da 5

litri si adatta poi perfettamente anche al nostro

portafoglio di motori aggiornato al di sotto del

Core75». Del 7,5 litri eredita il pacchetto tecnologico

di trattamento dei gas di scarico, liquidando

la valvola di ricircolo, la wastegate nella

turbina, albero a camme in testa. Il Core50 è stato

reclutato per il progetto e-Hydrogen. Il termico

è stato adattato all’accensione a scintilla, tramite

l’espianto del tubo di alimentazione e la sostituzione

con le candele, per la combustione dell’idrogeno,

e agisce in modo sinergico con un pacco

batterie e altri componenti della driveline elettri-

ca. Secondo Jouko Järvinen, Manager, Research

& Advanced Engineering. «La coppia e la reattività

dell’elettricità si integrano particolarmente

bene con il motore a idrogeno. L’idrogeno offre

un rifornimento rapido e una potenza costante,

mentre l’elettricità offre una spinta supplettiva

quando è necessario». La canna da 1,25 litri, nel

frazionamento a 4 e 6 cilindri, non ha fatto presa

solo sull’immaginario della ingegneria finlandese.

Nell’estremo oriente, questa modularità ha

fatto breccia tra le intelligenze di HD Hyundai

Infracore.

La ricetta di HD Hyundai Infracore

Si chiamano DX05 e DX08 e si sono aggiudicati

il Diesel of the Year 2025. Per rivoluzionare la

famiglia esistente, e completare in alto l’offerta

dei G2 (i compatti da 1,8, 2,4 e 3,4 litri) i coreani

hanno fatto ricorso a materiali ad alta resistenza

per i principali componenti strutturali, tra cui il

blocco cilindri e la testata. Per le parti mobili,

come punterie, pistoni e fasce elastiche, sono stati

scelti materiali resistenti all’usura per migliorare

la durata. Inoltre, l’adozione di un turbocompressore

a due stadi nei sistemi di aspirazione e

scarico garantisce un aumento della potenza del

21% rispetto ai motori precedenti e migliora anche

la coppia ai bassi regimi. La riduzione dei

consumi è stata stimata nell’8%. Gli intervalli di

manutenzione del filtro del carburante e del filtro

dell’olio sono stati estesi da 500 a 1.000 ore. È

stato inserito il regolatore idraulico, conosciuto

con l’acronimo di Hla (Hydraulic lash adjuster),

per garantire un funzionamento esente da interventi

di manutenzione. La griglia si è “inspessita”

e presenta sette unità da 5 litri. Il paradosso, solo

apparente, è che il Diesel of the Year in carica si

posiziona sull’ultimo scalino dell’Indice Diesel,

pur dominando nei valori relativi alle prestazioni

specifiche. Il motivo è da rintracciare essenzialmente

nella scelta dei materiali, che grava sull’ago

della bilancia a tutto vantaggio della resistenza

alle fonti di stress. Per le parti mobili, come punterie,

pistoni e fasce elastiche, sono stati infatti

scelti materiali resistenti all’usura per aumentarne

la durata. Oltretutto, ci sono 29 chili di differenza

tra la versione a doppio stadio e quella con la waste

gate. Una differenza abissale rispetto a Isuzu,

che però presenta valori termodinamici morigerati,

probabilmente concepiti prevalentemente per

applicazioni domestiche. Nel confronto, risulta la

più pesante insieme all’altro Diesel of the Year,

il V5009 di Kubota, con 620 chili, a una trentina

di chili dal Core50. Rispetto alla media degli

altri tre (Deutz, Rolls-Royce e Volvo) si attesta

intorno al 12 per cento. Si cambia decisamente

registro non appena si passa a scrutare i valori

specifici ancorati alle curve di coppia e potenza.

L’Indice Prestazioni lancia il razzo coreano nello

spazio profondo. Potenza specifica, coppia specifica

e coppia areale sorridono al DX05, come la

coppia a potenza massima, che premia il cilindro

finlandese, con il DX a ruota. Kubota e Rolls-

Royce si distinguono per la percentuale di potenza

disponibile al punto apicale della coppia, sebbene

a un regime superiore a quello dei concorrenti.

Da notare, in conclusione, che con la migrazione

dell’R41000 da Friedrichshafen a Colonia, Deutz

dispone di due tra i candidati più agguerriti, che

contabilizzano l’Indice Diesel più alto.

TERRA

AGCO POWER

DEUTZ

HD HYUNDAI

ISUZU

KUBOTA

ROLLS-ROYCE

VOLVO

28

29



ets. MAN, il KEY e il tempo che verrà

GAS A TUTTI

GLI EFFETTI

Perché la curvatura del mercato, anabolizzata

dagli incentivi, privilegia gli investimenti sulla

riconversione a metano degli impianti a biogas.

ETS è attrezzata per questo genere di attività

ed è orientata a promuovere le caratteristiche

virtuose del gas anche nei settori mission

critical (vedi data center). Senza dimenticare

la centralità del biogas. Ne abbiamo parlato a

Padova, nel quartier generale ETS, con Nicola

Tessari e con Marianna Benetti

È UN BEL RUGGITO

Marca

Modello

MAN

E3872LE201

CARTA D’IDENTITÀ

A x C mm - C/A 138 x 165 - 1,20

N. cilindri - litri 12 - 29,61

Potenza intermittente kW - rpm 735 - 1.500

Pme bar 20,3

Velocità lineare pistone m/s 8,3

Coppia max Nm - rpm 4.675 -

Pme a coppia max bar 20,2

Riserva di coppia % 53,6

Coppia a potenza max Nm 4.675

Arco di utilizzo giri 1.500

NELLO SPECIFICO

Potenza kW/litro 24,8

Coppia Nm/litro 157,8

Potenza areale kW/dm 2 40,95

EFFICIENZA

Meccanica % 44

Termica % 44,2

Totale % 88,2

intervista

Nella parabola evolutiva di ETS, che dalla cabina

di regia di Padova gestisce i motori industriali

MAN per il mercato italiano, sia a giri

fissi che variabili, Marianna Benetti e Klaus Kress

hanno esercitato un ruolo vettoriale. Anche Nicola

Tessari, Amministratore della società, vuole condividere

con noi qualche riflessione sul futuro dei

motori e della stessa ETS. È comunque lei, l’ingegnera

vicentina, a introdurci al mondo dell’azienda

padovana.

«ETS deve presidiare con convinzione un mercato

che si sta rivelando sempre più agguerrito. Ci confrontiamo

con un concorrente del calibro di Jenbacher.

Si stanno affacciando con vigore anche 2G e

Tedom, quest’ultima tramite l’acquisizione di Intergen,

il 25 settembre 2024. Con la riorganizzazione

in corso, a Lomagna si stanno attrezzando per recuperare

i crediti di cui hanno sempre beneficiato.

Lo stesso discorso vale per Tedom, alle prese con

l’assorbimento nel ventre di Yanmar».

Tutto ETS “minuto per minuto”

Apprestiamoci alla rapida “gastroscopia” del recente

periodo, che ha provocato acidità di stomaco a molti

motoristi. Anche il metabolismo di MAN non ne è

esente. Quelli di ETS non si nascondono però dietro

ai luoghi comuni e celebrano l’E38 come la compiuta

realizzazione dei buoni propositi del fratellino, l’E32,

che aveva in parte disatteso le aspettative. Interviene

in merito Nicola Tessari. «Nel 2024 abbiamo ricalcato

il fatturato del 2023, anche in ragione dell’ottimo

lavoro fatto con il service e la ricambistica. La

curva di vendita dei motori si è risollevata verso fine

anno, con l’ingresso di qualche progetto, tra cui dei

revamping di gas naturale. Stiamo risalendo la china

dopo avere scontato alcuni errori di gioventù.

Tuttavia, MAN sta rispondendo con nuove soluzioni

tecnologiche e di service per dare un segnale forte,

nel suo stile, e ci adoperiamo per riprenderci quella

fetta di mercato che ci è sfuggita di mano». Il riferimento

riguarda il service dell’E3262, che ha tradito

alcune magagne. «Nel corso del 2025 ci sono tutti i

presupposti per rilanciare le nostre quotazioni, dopo

avere scontato gli effetti di alcuni peccati di gioventù.

Nel 2022 abbiamo pagato pegno ai rincari del

gas e all’interpretazione della decarbonizzazione,

lontana dal principio di neutralità tecnologica, che

ha discriminato il gas, in quanto di origine fossile.

La contrazione del mercato è imputabile anche alla

riduzione degli incentivi al biogas, indirizzati alla

produzione di biometano, che ha privilegiato taglie

prestazionali più piccole, segmento da sempre dominato

da MAN/ETS ma che ora ha attirato anche

competitor tradizionalmente conosciuti per taglie più

grandi. Si è innescato un conflitto sul tema dell’efficienza;

c’è chi dichiara il 43%, su fasce come quella

dei 200 kW, dove MAN era egemone e dove puntiamo

a riaffacciarci in grande spolvero. Abbiamo messo

in conto anche la sfida dei data center, che si gioca

sulla potenza. Stiamo spingendo l’E3262LE252 in

versione gruppo elettrogeno, 12 cilindri da 24 litri

e 520 chilowatt meccanici. I data center sono attenti

alle emissioni, il che ci autorizza a promuovere i

motori a metano: meno fumo e nessuna problematica

relativa allo stoccaggio del gasolio. È possibile

confezionare un container con due macchine in parallelo,

arrivando a 1 MW». Lo stesso approccio è

fattibile con l’E3872 LE202, che permetterebbe con

2 macchine di raggiungere la ragguardevole potenza

di 1.400 kW elettrici.

Volete commentare le riserve nei confronti del Gnl,

che secondo alcuni sarebbe una “cura peggiore del

male”?

Benetti: «Il Gnl ci è venuto in soccorso all’insorgere

delle recenti tensioni sociopolitiche. La rete gas

italiana è molto sviluppata e interconnessa e finora

ha garantito qualità costante sull’intero territorio

nazionale. Il gas liquefatto ha diverse provenienze

e, di riflesso, differenti livelli qualitativi. Questo non

si riverbera tanto nell’utilizzo termico (caldaie, ndr)

quanto nella combustione interna. Si assiste infatti

a segnalazioni di motori che grippano e battono in

testa, cose che non accadevano da tempo immemorabile:

sicuramente il riconoscimento e la protezione

dei motori da questi danni è una delle sfide future

della cogenerazione in Italia. In questa congiuntura,

il biometano sta diventando una valvola di sfogo per

il settore dei motori a gas».

Quindi, cosa serve, per andare oltre?

Tessari: «Alla recente Fieragricola Tech si è fatto

un gran parlare di idrogeno», puntualizza Tessari.

«ETS risponde con l’omologazione della miscela al

20% per tutti i motori MAN, ed esiste anche una offerta,

più limitata, compatibile con il 100%. Non c’è

però una storicità, mancano le normative e le linee

guida per allestire le macchine. Come lo considero,

questo motore? È antideflagrante? Lo devo vestire

alla maniera del metano o del Gpl? E in merito alla

produzione localizzata? Senza considerare la scabrosa

questione legata ai costi. Diciamoci la verità,

essere ecologici, oggi come oggi, costa un botto! Del

resto, per quanto sia doveroso tenere sotto controllo

la combustione dei motori diesel, lo Stage V si è

rivelato problematico per alcune applicazioni, come

lo stand by. Un gruppo elettrogeno è penalizzato,

quando lavora con carichi parziali. Non ha senso

Nella foto di

apertura, da

sinistra a destra,

“i magnifici tre”

di ETS: Marianna

Benetti, Nicola

Tessari e Klaus

Kress.

30

31



intervista

incentivare, in questo modo, la disattivazione fraudolenta

dei dispositivi antinquinamento, “furbata”

che condanno fermamente. Ritengo più sensata l’adozione

di stage di emissione compatibili con il reale

carico di lavoro».

Una incursione sull’andamento del mercato?

Tessari: «Il Diesel per ETS ha un impatto limitato,

i motori MAN sono molto affidabili ma pagano un

delta prezzo fuori mercato rispetto a certi concorrenti.

Nonostante ciò, è finalmente uscita la versione

da gruppo elettrogeno del D42 a ciclo Diesel, fino

600 kVA in LPT, che riempie un buco di gamma (che

prevedeva 400, 500 e 800 kVA). Per quanto riguarda

i motori a ciclo Otto, ETS sta confermando un

certo target, mettendone altri nel mirino. Nel 2024

abbiamo venduto circa una settantina di stazionari

a gas. I presupposti per il rilancio ci sono, MAN ha

preso una posizione che rivendica il primato delle

proprie soluzioni tecniche, a partire dalla candela

M18, applicata su tutta la gamma».

Benetti: «Usciremo con delle turbine nuove, probabilmente

entro l’anno, per migliorare il rendimento

del 12 cilindri E32. Anche le batterie attirano interesse

e investimenti da parte di MAN, e probabilmente

le porteremo a Ecomondo. Si rivolgono sia al

power che all’offroad».

Un salto (anzi due) in Riviera

Ecco, a proposito di Rimini. Per l’Ecomondo dovremo

attendere, il KEY è invece alle porte. Ci dice

Nicola Tessari: «A Rimini esporremo il sei cilindri a

idrogeno (il D38 stradale è alla prova degli hTGX,

l’H4576 off-highway è testato dalla battipista PistenBully

800 di Kässbohrer, ndr). MAN dispone

anche di un otto cilindri a idrogeno, attualmente sul

banco prova a Norimberga, concepito espressamente

per la cogenerazione».

Benetti: «Esponiamo anche il più performante, l’E-

3872LE, che eroga 700 kWe ed è super-compatto,

ricalcando gli ingombri dell’E32. Il motore affidato

a BioBrent ha ormai maturato 6.000 ore ed è quindi

proposto da MAN come un motore di serie. Stanno

inoltre tornando in auge i gas “eccentrici”, come

quelli ricavati dal legno, e i gas di risulta, legati alle

raffinerie, in alternativa a essere bruciati in torcia

o in caldaia. Con il miglioramento della tecnologia,

sia lato pompe di calore che lato assorbitori, la

cogenerazione, col corretto dimensionamento della

macchina, consente di ottenere un risparmio di CO2,

oltre che economico. Questo, al netto della recente

impennata dei prezzi del gas, sollecitata anche da

fattori speculativi».

Come avete metabolizzato la divisione tra Ecomondo

e KEY?

«Il KEY è più orientato al fotovoltaico, Ecomondo è

uno scenario unico e coerente con la nostra visibilità.

Del resto, per realizzare idrogeno “green” bisogna

per forza passare dal fotovoltaico. Riteniamo

che il pubblico di KEY sia comunque interessato al

gas metano, coinvolgendo anche il bacino degli studi

tecnici e della pubblica amministrazione».

Tutto pronto e tutti pronti per il rilancio, quindi?

Tessari: «Assolutamente sì. Quando le parlai di peccati

di gioventù, mi riferivo all’E32. MAN si è trovata

nelle condizioni di dovere anticipare l’uscita di

questa serie, in contrasto con le sue scrupolosissime

procedure. È capitato ad altri costruttori, costretti

poi a detarare e intervenire con la sostituzione di

componenti critici, per essere incappati nello stesso

genere di situazioni. Una volta rodato questo meccanismo,

MAN garantisce una disponibilità pressoché

immediata dei ricambi, costi certi e chiari, un

approccio al mercato aperto e capillare, che garantisce

la continuità dei servizi post-vendita a livello

internazionale Forti di queste premesse, spingeremo

la ricollocazione del genset MAN. Confidiamo

che anche gli impianti di biogas fino a 300 kW, che

in Italia costituiscono l’applicazione tipica, trovino

nuovo slancio. E noi ci faremo trovare pronti. Prima

o poi lo slancio del biometano si esaurirà».

In alto, a sinistra,

Nicola Tessari,

Amministratore

di ETS, davanti

a un gruppo

elettrogeno.

Ovviamente

motorizzato da

MAN. Gli altri scatti

si riferiscono ai

gettoni fieristici di

ETS presso Fiera

Rimini. In basso, a

destra, un’immagine

dalla sede, in quel

di Padova.

32

33



scania italia. E il 2024

SCHIENA

DIRITTA

Nonostante il fisiologico rallentamento

della grande cavalcata, Scania Power

Solutions ha registrato il 37% di ordini

in attivo. Sempre più consolidata

nell’ambiente della generazione,

ha fornito 220 unità a Powering,

confezionate da NED Generators

segnalare l’ultimogenita della collaborazione con

FB Design, del compianto Fabio Buzzi, una leggenda

dell’ingegneria nautica e delle competizioni

in mare. Si tratta della barca per la Capitaneria di

porto di Brindisi, siglata FB 56 SF. Un biglietto

da visita che potrà regalare soddisfazioni è sicuramente

quello del Super, il rinnovato 13 litri che

si è meritato i galloni di Diesel of the Year 2023,

opportunamente marinizzato. Per quanto riguarda

l’industriale, che annovera installatori del calibro

di grandi faticatori come le macchine di Cometto,

si segnala una new entry, la Settanta di Laurini,

progettata per la demolizione, che sarà disponibile

dal marzo 2025. A dirigere le operazioni della 30

tonn provvederà il DC09 da 257 chilowatt (350

cavalli). E proprio il 9 litri è finito sugli scudi.

Il 9, il 13 e il 16 litri di Scania Power Solutions,

per la cronaca, valgono il 42%, il 36% e il 22%

della torta industriale del 2024, hanno fatto colpo

anche tra gli Oem della generazione. A cominciare

dall’avanguardia Stage V per Bruno Generators. Il

più recente asso di briscola sul tavolo del noleggio

in Italia l’ha calato Powering, che dispone di una

flotta per impieghi industriali che si affida a 58

centri logistici sull’intero territorio nazionale. Il

costruttore dei 220 gruppi elettrogeni consegnati

a Powering nel corso del 2024 è NED Generators.

Elettrico sì, elettrico no? Per dirla come ce l’ha

detta Paolo Carri, «stay tuned». Novità in arrivo

sul fronte della driveline elettrica, dunque. Come

ha sottolineato lo stesso Carri: «Forniamo una soterramare&pg

Poco più di un anno fa, s’intende al crepuscolo

del 2023, Scania Power Solutions Italia aveva

rappresentato per i libri contabili della casa

madre, a Södertälje, il secondo mercato su scala

mondiale in termini di volumi, alle spalle della

sola Cina. Il 2024 è stato un anno complicato per

le aderenze congiunturali. Oltretutto, sono riemersi

bacini di utenza precedentemente in apnea, come

il Brasile. Già nel corso del 2023 la raccolta ordini

aveva decelerato, proseguendo a cavallo dei

due anni. L’anno scorso, invece, si è concluso

decisamente meglio di come fosse iniziato. L’obiettivo

della squadra capitanata da Paolo Carri,

che si è palesato all’abituale conferenza di fine

anno di Scania Italia nella duplice veste di direttore

Marketing & Driving the Shift e di Power

Solutions Italia, è ragionevolmente quello di stazionare

nell’empireo dei “top market”. Nonostante

il clima generale di stagnazione, la raccolta ordini

ha segnato il più 37% rispetto al 2023. La clientela

si è al momento stabilizzata sulla quarantina

di Oem, che si suddividono in tre macro-aree: le

applicazioni mobili industriali, la generazione di

potenza e la nautica. A proposito di quest’ultima,

la riorganizzazione dell’assetto commerciale e

di assistenza si è imperniato su due fulcri: Boni

Motori Marini, per quanto riguarda le barche da

lavoro, e quello più recente, con Bimotor, per il

diporto. È un percorso ai primi passi, quello nel

diporto di Scania Power Solutions Italia, gravido

di incroci astrali fortunati, in ragione della densità

di cantieri.

Qualche referenza

Alle referenze si è aggiunta quella di Tuxedo, con

uno scafo in alluminio che ha sposato la causa

del V8, e dell’Albatro Ordigno, equipaggiato da

una installazione quadrupla di DC13, dalla potenza

complessiva di 3.600 cavalli. Nel commerciale, da

luzione completa e integrata. I progetti di elettrificazione

non sono facili e con la nostra soluzione

forniamo un unico punto di entrata nel sistema di

controllo che governa termico, elettrico, batterie.

Sulle strade italiane

Ma come è stato il 2024 per Scania

Italia? “Sfidante” lo ha definito l’AD

Enrique Enrich, al timone del Grifone

nel nostro Paese da poco più di quattro

anni. «L’aggiornamento del GSR con

l’entrata in vigore della GSR II, e la

deroga arrivata troppo in ritardo, ha

messo sotto pressione la produzione,

la rete e gli allestitori, costringendoli a

far fronte a costi che non sempre sono

riusciti a recuperare». E il 2025? «Sarà

un anno complesso», secondo Enrich,

«con una contrazione del mercato dei

camion, ma possiamo contare su una

squadra fantastica e una rete solida e

collaudata, quindi restiamo ottimisti».

Più nello specifico delle previsioni

per il prossimo anno, il responsabile

vendite Daniel Dusatti risponde così

a una nostra sollecitazione: «Già alla

fine di quest’anno si sono visti segnali

di un calo complessivo del mercato.

Crediamo anche noi che ci sarà una

Insomma, una grande facilitazione del lavoro degli

installatori. Sono diversi gli ambiti applicativi

su cui stiamo ragionando, alcuni con prospettive

più vicine, altri discorsi sono a medio termine».

contrazione nel 2025 e pensiamo (ma

è un’ipotesi che andrà confermata)

che ci si possa attestare sulle 20mila

unità vendute nel segmento over 16

ton. Una quota inferiore rispetto agli

ultimi due anni, ma comunque buona

se si guarda all’andamento degli ultimi

15 anni». Inevitabile il commento di

Dusatti sui risultati ottenuti nel 2024,

che proiettano Scania al primo posto

tra i marchi stranieri. «Questo è un dato

estremamente positivo, che ci lusinga

e ci fa ben sperare. Siamo leader nel

lungo raggio e leader nazionali anche

tra le flotte con più di 100 veicoli, con

buona pace di chi ancora pensa che gli

Scania siano camion per padroncini»,

ha aggiunto Dusatti. Un ruolo di

primissimo piano in questa crescita

ce l’ha la diffusione dei Super, l’ultima

evoluzione dei pesanti Scania che,

citando Alessandro Girardi, Head of

Pre-Sales and Logistics di Scania Italia,

La squadra di

Scania Italia al

gran completo,

al Palazzo Parigi

Hotel di Milano.

Qui di fianco,

un frammento

“industriale” (sopra)

e del V8 (sotto),

direttamente dalla

driveline di un

camion, l’R 590.

«inizia a mostrare i muscoli sulla strada».

Sono circa 4.500 i Super in circolazione

in Italia, e adesso il Grifone spinge

anche su applicazioni diverse dal trattore

stradale, per esempio il construction.

«La catena cinematica è altamente

efficiente, abbiamo lavorato molto sul

cambio, sulla presa di forza e su molti

componenti chiave», ha aggiunto Girardi.

La rete di Scania Italia, menzionata da

Enrich all’inizio della conferenza, conta

oggi 18 concessionarie camionistiche,

6 concessionarie di autobus, 2

concessionarie motori marini, 112

officine, 7 Scania On Site e oltre 2mila

persone coinvolte. Nel 2025, Scania

prevede di inserire tre nuove officine, due

delle quali in Sicilia (Pozzallo e Termini

Imerese), la terza a Nocera Inferiore

(SA). Si investirà sui poli logistici a Roma

Nord, Terni e Pescara, mentre vedrà

la luce una nuova concessionaria di

proprietà a Brugherio (MI).

34

35



deutz italy. E il 2025

SUL TERRITORIO

Dopo l’apertura di una sede commerciale Napoli, Deutz Italy ha in cantiere un centro

operativo in Sicilia e uno in Trentino. L’ad Marco Colombo ha tratteggiato per noi

il quadro all’interno del quale si muoveranno sul mercato italiano. Prossimità agli

installatori e penetrazione di quei segmenti di mercato dove sono meno presenti

COUNTDOWN TO

IFM DECARBONIZATION PATHWAY

Marco Colombo

è amministratore

delegato di Deutz

Italy dall’estate

del 2020. Tre

anni prima,

lunedì 2 ottobre

2017, la storica

concessionaria IML

aveva ceduto le

quote a Deutz AG

Abbiamo incontrato Marco Colombo, amministratore

delegato di Deutz Italy, all’Eima.

Lo scenario più plausibile per una chiacchierata

con il costruttore che domina a queste coordinate

applicative, con il 2,2, il 2,9 e il 3,6 litri.

Facciamo il punto sulla congiuntura, evidenziando

le mosse di Deutz Italy, nell’off-highway e nella generazione.

Quali obiettivi e applicazioni (per esempio,

non ci sono sfuggite le forniture per il dumper

Merlo e il TH di Magni)? Un breve excursus sul

2024 e le prospettive per il 2025.

«Dopo una crescita esponenziale fino all’anno scorso,

abbiamo registrato una contrazione significativa

nel 2024, con un punto apicale nell’agricolo. Con

la nuova gamma di motori ci proponiamo di mantenere

una posizione dominante nel material handling

ed entrare là dove non siamo presenti. Puntiamo,

per esempio, al mondo dei reach staker e a quello

delle trivelle. I progetti in corso e i prototipi non ci

mancano. Siamo dentro alla generazione di potenza

Stage V, e ci siamo volontariamente defilati dal non

emissionato. In questo settore Deutz ha dei piani

importanti, nell’ottica della decarbonizzazione, associati

all’idrogeno e ai nuovi combustibili».

Deutz Italy anche a Napoli

«Bisogna penetrare il territorio, come peraltro aveva

fatto la IML di Keller. Applicato questo principio

al nord, al centro e al sud, procederemo a creare

delle subregioni. Napoli è baricentrica, aspetto non

secondario dal momento che stiamo incrementando

la quota di mercato al sud, soprattutto nel service.

È prevista l’apertura a Palermo. La nostra bussola

prevede tre assi di viluppo: il portafoglio prodotti,

un criterio geografico, per incrementare la nostra

presenza sul territorio, e quello dei mercati: sollevamento,

agricolo, generazione e marino. Nella

nautica, al momento, Deutz Italy prosegue con altri

brand, uno su tutti, Niigata, e con altri prodotti e

servizi elettrici. Azimut ha svelato a Cannes uno

yacht ibrido parallelo, con batterie Torqeedo per

servizi di hotel di bordo, che copre i picchi. Avremo

uno speciale focus sull’oil & gas e sul settore

della difesa. Con l’avvento ibrido-elettrico possono

essere venduti prodotti e servizi ulteriori rispetto al

motore in sé».

Il TCD3.9 e il mercato italiano

«Lo vediamo bene, integra il TCD3.6 e ne rappresenta

il perfetto sostituto. È stato sviluppato in

chiave futuribile con albero a camme in testa. La

produzione del TCD 3.9/4.0 sarà effettuata nello

stabilimento di Colonia in Germania, il che semplifica

la logistica e l’assicurazione della qualità del

prodotto. Ce la giocheremo sicuramente sul servizio

a corollario e, comunque sulle varie customizzazioni

che proporrà Deutz Italy a completamento motore.

La curva di coppia è costante tra 1.300 e 1.600

giri. Il consumo specifico è di 198 g/kWh. Nell’industriale

la turbina è compatta, Deutz ha previsto

delle calotte orientabili entrata e uscita, assiale e

radiale, con diversi gradi di orientamento».

terra

36



dumarey. E il Politecnico di Torino

UNA CELLA

INSIEME

Taglio del nastro alla presenza del Rettore del

Politecnico di Torino e dell’ad di Dumarey

Automotive Italia. Dietro al nastro si intravede

la sala dinamica di sviluppo motori a idrogeno.

È posizionata all’interno di casa Dumarey, ma

le chiavi sono condivise con il Politecnico.

Complessivamente Dumarey gestisce a Torino

19 celle prova, quattro delle quali abilitate ai

test sull’idrogeno. Una di queste è climatica.

Parola a Gianni Boretto e Pierpaolo Antonioli

terra

Seguiamo da vicino Dumarey fin dall’epifania

del V8 GM al Salone di Genova. Era l’epoca

di Punch e il nome Dumarey era all’epoca associato

all’identità anagrafica del fondatore, Guido,

ingegnere meccanico per formazione, innovatore di

professione. Dal settembre 2023 la svolta onomastica,

che ha ribattezzato ogni ganglio dell’azienda

senza inficiarne la natura funzionale: ingegnarsi, disegnare,

rettificare, elevare e implementare la catena

cinematica delle applicazioni stradali, industriali

e marine. Ci siamo infine decisi a mettere piede

nel santuario italiano di Dumarey Group, dove trovano

ospitalità 19 sale prova motore, operative su

tre turni, e 700 dipendenti (un ulteriore migliaio è

dislocato nel resto d’Italia. In Europa gli addetti

sono complessivamente 3.000 circa). L’occasione

era troppo ghiotta: il 16 dicembre 2024, Dumarey

Automotive Italia e il Politecnico hanno inaugurato

la sala prova dinamica per sviluppo motori a idrogeno,

di proprietà di Dumarey e a disposizione del

Politecnico per attività di ricerca, sperimentazione e

trasferimento tecnologico. Varcata la soglia, prospiciente

il Politecnico di Torino, ci ha accolti Gianmarco

Boretto, Director Hardware engineering at

Dumarey Automotive Italia - Chief operating officer

per Dumarey Propulsion Solutions. Gli strappiamo

un commento sull’inaugurazione della sala prove

a servizio del Politecnico. «L’accordo di cooperazione

con il Politecnico di Torino risale al 2008.

Questa sintonia ha incentivato il trasferimento di

moltissimi ingegneri qui da noi. Il Gruppo Dumarey

ha promosso una proficua ricerca comune sull’idrogeno,

a partire da un primo “technical paper” presentato

al Vienna Motor Symposium, nel 2021. Ci

completiamo reciprocamente: l’università ha un focus

su ricerca, analisi metodologica e simulazione,

Dumarey segue la parte orientata alla produzione e

al trasferimento della ricerca di base in ricerca applicata,

fino alle applicazioni finali. Il Politecnico

deve poter svolgere dei test in autonomia, per finalizzare

le attività di ricerca e i progetti finanziati.

Sarebbe complicato fare girare delle celle multicilindro

all’interno delle loro mura, per le questioni

relative alla sicurezza, dalla movimentazione del

carro bombolaio, all’alimentazione, allo stoccaggio

dell’idrogeno. La collaborazione dell’ateneo con

Dumarey segue una duplice direzione. Da un lato,

per l’utilizzo congiunto della sala multi-cilindri che

inauguriamo oggi. Dall’altro, è finalizzata allo sviluppo

di un banco prova del Politecnico ubicato

presso il Dipartimento Energia Galileo Ferraris,

del tipo “single cylinder”. Un ambiente dove svolgere

attività di base, come anticipato, per la ricerca

sui propulsori termici a idrogeno».

Ci farebbe piacere una descrizione dei banchi prova

di Dumarey e delle procedure di test di un motore

a idrogeno o di un Euro 7. Nel caso saranno

mai approvati, di uno Stage VI e un EPA Tier 5.

«Qui, alla Dumarey Automotive Italia, siamo dotati

di 19 sale prova. Includendo questa, in coabitazione

con il Politecnico, sono quattro le celle

attrezzate per l’idrogeno. Scendendo ancora più nel

dettaglio, una delle quattro è climatica, e tollera

temperature fino a meno 40°C. Abbiamo allestito

un’altra sala prova a idrogeno per i sistemi di propulsione

a cella a combustibile, completi di motore

elettrico e simulatore di batterie. Le rimanenti 15

sale prova sono dedicate a motori diesel, alcune

delle quali convertibili a benzina. Una di queste

è di tipo semianecoico, adatta alle prove di NVH

(Noise, Vibration and Harshness) e ottimizzata per

consentire lo sviluppo meccanico e la calibrazione

del motore, con la dovuta enfasi nei confronti del

“sound”. Vibrazioni e timbro sonoro sono fattori

importanti per il successo dei motori diesel in

ambito automotive, soprattutto in considerazione

Dumarey ha acquisito Mahle Powertrain Usa

Non conosce sosta la

campagna acquisti di Dumarey,

che ha rilevato anche Mahle

Powertrain LLC (Mpt Usa),

la filiale statunitense di Mahle

Powertrain, specializzata in

servizi di ingegneria, sviluppo

e testing per gli Oem del

settore automobilistico.

Questa acquisizione strategica

si allinea all’impegno del

Gruppo Dumarey di espandere

i servizi di ingegneria e di

potenziare la presenza negli

Stati Uniti. La chiusura è

prevista per il primo trimestre

del 2025. Gli endotermici

sono tuttora vitali, nel mercato

statunitense, soprattutto per

della sensibilità dell’utenza americana, abituata

ai propulsori a benzina. Quando lanciammo il motore

diesel 4 cilindri da 1.600 cc sulla Chevrolet

Cruze, negli Stati Uniti lo ribattezzarono “whisper

diesel”. Infine, una di queste celle è barometrica e

climatica, per simulare l’effetto quota. Tutte le sale

sono dinamiche e consentono lo sviluppo integrale

del progetto, dall’inizio alla fine. Seguiamo una

direzione automotive, ma per i pick-up di General

Motors, e non solo, abbiamo spinto le capability

verso l’heavy-duty. Sono sette le celle con questa

capability, per potenze e coppie adeguate a propulsori

6-8 cilindri da circa 9-10 litri. Al momento,

soffermandoci all’idrogeno, ci siamo concentrati

sul V8 di GM, ma abbiamo ricevuto richieste da

la presenza sotto i cofani dei

pick-up. «L’acquisizione di

Mahle Powertrain Usa segna

una tappa significativa nella

nostra strategia e riafferma

il nostro legame di lunga

data con gli Stati Uniti», ha

dichiarato Pierpaolo Antonioli,

Cto del Gruppo Dumarey.

L’acquisizione consentirà

inoltre al Gruppo Dumarey di

effettuare investimenti diretti tra

Mpt Usa e Dumarey, sia negli

Stati Uniti sia in Europa, per

rafforzare le capacità di testing.

Inoltre, il Gruppo Dumarey

intende sfruttare le strutture

statunitensi per espandere le

vendite del proprio portafoglio

prodotti, tra cui iniettori,

centraline elettroniche e sistemi

di post-trattamento, creando

inoltre nuove opportunità per

i clienti locali.

Mahle Powertrain LLC

impiega circa 70 persone e

gestisce diverse sale test

motore. Il Gruppo Dumarey

intende espandere la propria

base di clienti nordamericani

concentrandosi sulle

applicazioni medie e pesanti,

sfruttando il portafoglio clienti

complementare di Mpt per

promuovere la crescita e le

sinergie. Mahle Powertrain Llc

sarà integrata e gestita al 100%

da Dumarey Automotive Italia.

parte di altri attori di mercato».

Qual è la richiesta tipica di un vostro cliente

dell’industriale? Quali procedure seguite? Ci

può raccontare brevemente come si attiva la

procedura da foglio bianco? Può un ingegnere

soffrire di sindrome da foglio bianco?

«I nostri ingegneri amano partire dal foglio bianco.

La stessa GM ci ha espressamente richiesto di usare

questo approccio a proposito del citato 4 cilindri

da 1,6 litri, e per il 6 cilindri in linea, da 3 litri e

305 cavalli (destinato al mercato nord-americano),

e molti altri propulsori diesel, a partire dal 2005.

In questi casi abbiamo seguito l’intera fase di sviluppo,

e si è rivelato molto stimolante. Nell’ambito

automotive l’evoluzione delle normative su

Il taglio del nastro

della sala prova

dinamica per

motori a idrogeno

in coabitazione

tra Dumarey

Automotive Italia

e il Politecnico di

Torino. Da sinistra,

Stefano Corgnati,

Rettore del

Politecnico, Chiara

Foglietta, assessora

alla Transizione

Ecologica e Digitale,

Innovazione,

Mobilità e

Trasporti della

Città di Torino, e

Pierpaolo Antonioli,

ad di Dumarey

Automotive Italia.

38

39



terra

emissioni e CO 2

tra il 2005 e il 2020 ha richiesto

la riprogettazione radicale dei propulsori, ad un

ritmo che potremmo definire “frenetico”. Nell’industriale

ci si muove orientandosi all’affidabilità,

con un accento assai più cauto sugli investimenti.

Anche relativamente alle procedure di sviluppo e

validazione, non si possono confrontare i target di

ore a banco del citato 1,6 litri con basamento in

alluminio per “passenger car” e di un motore in

ghisa per applicazioni heavy-duty, che sono almeno

5 volte maggiori. La multidisciplinarietà di Dumarey

consente di applicarsi anche a motori “large

bore”, facendo ampio ricorso agli strumenti di simulazione.

Il punto di forza del centro di Torino è

sempre stato lo sviluppo di hardware e software,

quindi della parte meccanica e di controllo in parallelo,

nello stesso sito e in maniera congiunta,

senza doverci appoggiare a fornitori esterni. Una

delle ragioni della rapidità nello sviluppo di motori

a idrogeno è collegata proprio alla disponibilità di

una centralina proprietaria, come quella presentata

all’ultimo Salone Nautico di Genova. Disponendo

di una piattaforma di controllo estremamente flessibile,

qualora servissero nuovi o diversi attuatori

o iniettori durante lo sviluppo, saremmo in grado di

integrarli nel sistema in modo molto agile».

Guido Dumarey in persona punta coraggiosamente

sui minivan H2 ICE. Voi dove vedete più

“a loro agio” i termici a idrogeno?

«Le prime applicazioni saranno quelle che presentano

meno vincoli per l’installazione del sistema di

stoccaggio dell’idrogeno, per esempio i generatori

stazionari e poi i veicoli commerciali pensanti, per

i quali la disponibilità di un volume sufficiente a

garantire l’autonomia richiesta dagli utilizzatori è

meno critica. Al Bauma 2022 abbiamo presentato

un generatore a idrogeno insieme a Tecnogen:

trattandosi di un’applicazione stazionaria, si è potuto

evitare il problema dell’integrazione del sistema

di stoccaggio. Dal punto di vista tecnico, non

percepiamo particolari criticità e fattori ostativi

nell’applicazione dell’idrogeno a motori di piccola

cilindrata. Abbiamo effettuato attività di sviluppo

del sistema di combustione ad idrogeno anche su

motori con cilindrata unitaria di 500 cc, senza

problemi specifici. Quanto recentemente presentato

da alcuni produttori di motori per motociclette,

come Kawasaki, lo conferma. In conclusione,

i motori a idrogeno sarebbero utilizzabili in tutte

le applicazioni che vedono attualmente installati

motori a benzina o diesel, ma bisogna valutarne

la convenienza a livello di sistema ed in termini di

“total cost of ownership”, che dipende fortemente

dal prezzo dell’idrogeno stesso».

Non sappiamo dove sia la convenienza, allo stato

attuale, abbiamo però chiara in testa l’idea che

sta alla base della capillare campagna acquisti di

Dumarey. Chiediamo maggiori lumi a Pierpaolo

Antonioli, Chief Technology Officer di Dumarey

Group, Ceo di Dumarey Automotive Italia.

Mi aiuta a fare ordine sulle operazioni compiute

da Dumarey in Italia e a giustificarle nel contesto

dei servizi integrati offerti agli Oem?

«Il gruppo Dumarey sta affrontando la transizione

come se fosse una transizione a tutti gli effetti,

inquadrando l’elettrico come parte della soluzione,

non come la soluzione in sé. Questo è sempre

stato il nostro mantra. Le altre opzioni sono

date dall’evoluzione degli endotermici e delle

formule ibridizzate, che utilizzano le tecnologie

attuali nella forma più evoluta. Contribuiscono

alla riduzione della CO 2

. C’è poi il capitolo dei

combustibili alternativi, come l’idrogeno, soprattutto

per il settore dei trasporti, quindi camion,

autobus e veicoli commerciali, senza comunque

trascurare l’off-road. Un capitolo che parla anche

di settori finora scarsamente coinvolti, come

il navale, con l’ammoniaca e il metanolo, combustibili

che consentono lo stoccaggio all’interno

delle navi in forma liquida e generano un basso

impatto ambientale. Supportiamo questi sviluppi

con l’utilizzo di sistemi di controllo elettronico e

del software, che ci consentono di ottimizzare l’impiego

dei combustibili. L’istituzione della divisione

Dumarey Flowmotion Technologies (in seguito

all’acquisizione delle attività produttive di Vitesco

Technologies Italy, ndr) ha senso proprio in questa

direzione. Disponiamo dei componenti chiave

nel campo dell’iniezione per sviluppare motori a

benzina e trasformarli a idrogeno o combustibili

alternativi. Softronix è uno dei nostri cavalli di

battaglia. Ad oggi, lo sviluppo di un motore si innesca

a partire dalla meccanica e dalla termodinamica.

Determinate prestazioni dipendono però

dalle strategie di controllo motore. Noi abbiamo

tutto in casa. Teniamo le diverse entità separate

per assecondare le richieste degli Oem: c’è chi

si occupa dello sviluppo del motore e non della

parte elettronica, e viceversa. Ci sono quelli che

non si occupano né dell’uno né dell’altra, a cui

forniamo il servizio chiavi in mano. Guardiamo a

Usa e Asia, soprattutto all’India, dove lo sviluppo

dell’idrogeno, applicato ai motori a combustione

interna, sta prendendo una piega molto favorevole,

sulla spinta degli incentivi del governo indiano,

sia a livello di infrastrutture che di impiego del

combustibile. Immaginare la mobilità elettrica nel

subcontinente è assai complicato e sarà ridimensionata

rispetto all’Europa. L’idrogeno è molto

usato nelle acciaierie. Lì dispongono di tantissimo

metano, che importano dalla Russia, ed è la prima

fonte per il reforming. Abbiamo sottoscritto una

partnership con Horiba, che mette a disposizione

del Gruppo Dumarey gli stabilimenti di Pune per

l’idrogeno. Le competenze provengono anche da

Dumarey Softronix. Per operare in India è fondamentale

disporre di un centro che parli la stessa

lingua, che condivida la cultura e abbia una consolidata

immagine locale».

La joint venture con Marelli che fine ha fatto?

Dumarey non è forse più sbilanciata sull’endotermico

che sull’elettrificazione?

«La joint-venture con Marelli è basata sullo sviluppo

della componentistica per vetture ibride

o elettriche. Con il rallentamento del mercato in

quel settore, la joint venture si è allineata con la

congiuntura. I clienti faticano a raccogliere ordini

e fare volumi. La priorità di Dumarey è sull’idrogeno

per endotermici, sul motore convenzionale e

sull’ibrido. Inizialmente il diesel-elettrico è stato

percepito come una mera voce di costo, ma rispetto

all’elettrico è più economico. Toyota ha avuto un

comportamento coerente e lineare all’interno della

transizione, sviluppando l’efficienza del sistema

ibrido. Dumarey è attrezzata per confezionare l’ibrido

nella foma diesel-elettrica».

Il Rettore durante

la presentazione

dell’iniziativa.

I valori di

condivisione, in

questo caso sia

tecnico-funzionale

che didattica,

sono alla base

della crescita

professionale dei

giovani aspiranti

ingegneri e

della più estesa

cooperazione tra

l’ateneo e l’azienda.

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allison. Con Simone Pace

TUTT’ALTRA

STORIA

Parola di Simone Pace, approdato da un

paio d’anni alla Allison Transmission nelle

vesti di area sales manager Italia. Paladino

dell’automatico che porta il nome del

fondatore, James Allison, che in Italia

riecheggia, per forza di cose, nei paraggi

di viale Puglia, a Torino. È investito di un

compito: divulgare le virtù del cambio

Allison là dove non siano ancora evidenti.

Anche tra le applicazioni industriali

terra

Allison presidia stabilmente il podio della Dakar

e non ha perso il “brutto vizio” di sedurre

il trasporto pesante. E i trasportatori. È infatti

inusuale che gli utilizzatori finali reclamino una cucitura

sartoriale all’interno di un prodotto plug & play

come il camion. Eppure, succede, perché la propagazione

alle ruote di quella pulsazione in camera di

combustione non è certo derubricabile a mero dettaglio.

Un camionista lo sa, relegato in cabina alla

mercé delle vibrazioni e dei capricci ambientali. Si

potrebbe tranquillamente estendere il concetto agli

operatori delle grandi macchine da cantiere. Quindi,

cosa succede nel sottopancia delle applicazioni mobili

industriali? Il panorama della catena cinematica è in

fermento, in seguito all’adrenalinica curva dell’elettrificazione

e dei sommovimenti tra gli attori del settore.

Abbiamo chiesto a Simone Pace, account manager

& area sales manager presso Allison Transmission,

di raccontarci dei suoi primi due anni di insediamento.

Pace è infatti approdato ad Allison nel febbraio

del 2023 in qualità di area sales manager Italia e key

account del Gruppo Iveco, alle spalle sette anni in

ambito automotive, investito originariamente di un

ruolo tecnico, con un profilo che via via si è sempre

più orientato al commerciale.

Come diffondere il verbo?

Quindi, Simone Pace, che fare per diffondere il

verbo di Allison? «In un contesto in cui ci si prodiga

a creare soluzioni alternative, Allison ambisce a

essere un punto fermo intorno al quale costruire tutto

il resto, a prescindere dal settore e dalle prestazioni

richieste. La nostra tecnologia di propulsione è promessa

di affidabilità».

Anche nell’off-highway? «Per noi rappresenta una

nicchia. Ci indirizziamo verso lo sviluppo prodotto,

in particolare con il cambio 4970 (denominato TerraTran

per alcune applicazioni extraeuropee), una

soluzione a cavallo tra on- e off-highway».

Per chi non la conoscesse, la trasmissione Allison

4970 Specialty Series è stata recentemente scelta da

Sany per la gru fuoristrada STC5000 da 500 tonnellate,

concepita per le aree remote della Cina, compresi i

terreni desertici e montuosi. La 4970 o TerraTran risponde

egregiamente anche alle esigenze dei dumper,

per lo più geolocalizzate in cantiere, cava e miniere.

«Applicazioni che richiedono prestazioni sfidanti,

abbinate a motori ad alte prestazioni, con massima

potenza e coppia trasmesse», riprende Simone Pace.

«Dispone di sette rapporti, che forniscono un range

di utilizzo molto ampio, sia in fase di spunto che di

accelerazione, anche per i trasferimenti a velocità

superiori. I benefici si riflettono anche sul comfort

di guida dell’operatore. La coppia erogabile a bassi

regimi e il convertitore di coppia, che filtra le discontinuità

del motore, stimolano la massima produttività

in fase di utilizzo. L’autista è in grado di fare il suo

lavoro senza troppi pensieri». Volete che vi raccontiamo

qualcos’altro sul TerraTran? La potenza massima

è di 597 chilowatt (800 cavalli), con una coppia in

ingresso fino a 3.200 Nm, che può essere moltiplicata

fino a 4.100 Nm all’uscita del convertitore di coppia

idraulico. Dispone di due velocità di retromarcia con

inversione rapida e blocco in retromarcia.

Come promuovere un prodotto come il vostro, così

conosciuto e performante?

«Lo sviluppo commerciale si applica nella conoscenza

delle diverse sfumature del territorio e delle

esigenze dei clienti. L’Italia è variegata in una miriade

di realtà imprenditoriali, dagli autobus al cavacantiere,

alla difesa e all’emergenza. La conoscenza

delle trasmissioni Allison è spesso superficiale. Allontanandoci

dall’Italia, in Sud America l’ambito agricolo

è più vicino ai nostri prodotti di quanto succeda

in Europa. Qui, puntiamo a nicchie applicative in

cui le prestazioni restano un fattore chiave. Il nostro

obiettivo è estendere la gamma di prodotto, anche se

al momento non è dato sapere in quale direzione. In

alcuni casi, dove è richiesto un supporto tecnico indirizzato

a uno sviluppo dedicato, siamo spalleggiati

dai distributori nazionali, come Ofira Italiana.

Pace ci parla del FracTran, «progettato per il settore

estrattivo e la fratturazione idraulica, attività che

in Italia non sono particolarmente sviluppate. Deve

garantire prestazioni molto elevate: è infatti capace

di trasmettere potenza fino a 2.460 chilowatt (3.300

cavalli) e 14.372 Nm di coppia, prestazioni tutt’altro

che comuni. Si rivolge ad applicazioni che devono

garantire operatività costante, dove non si possono

avere fermi macchina frequenti».

Prosegue, cambiando registro, dall’hardware al software.

«Il progresso tecnologico ci mette a disposizione

un’antologia di configurazioni software. I diversi

pacchetti FuelSense disponibili su molti dei cambi più

recenti e di serie sulle versioni xFE (extra Fuel Economy)

permettono di settare in modo molto preciso

le calibrazioni software per risparmiare carburante

ed ottimizzare le prestazioni, con vantaggi evidenti

nelle applicazioni più sensibili a consumi ed emissioni».

Pensate che, addirittura nel 2017, scrivemmo del

FuelSense 2.0, che consentiva già allora di sforbiciare

i consumi del 6% in tandem con il cambio DynActive,

rispetto al software base.

Adesso, soffermiamoci sulla missione principe di Allison

nel nostro Paese. «I veicoli commerciali pesanti

sono ampiamente utilizzati per la raccolta rifiuti e le

applicazioni antincendio. In ambito militare, inoltre,

Iveco Defense rappresenta l’apice della ricerca

e sviluppo con volumi relativamente ridotti, mentre

Astra ha numeri più elevati e applicazioni estrema-

Simone Pace è

atterrato nella

galassia Allison

dopo sette anni

di esperienza

nell’esigente

universo delle

applicazioni

stradali.

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mente modulari. Sempre per quanto riguarda Astra,

il brand Allison è fortemente riconosciuto anche nel

trasporto eccezionale. Tra gli autobus, i riferimenti

principali sono i costruttori turchi, Isuzu, Otokar

e Temsa. Questi si posizionano in modo peculiare,

con lunghezze tra 7 e 10 metri, taglie sui generis e

particolarmente adatte alle specificità geografiche

dell’Italia. Mi riferisco a quelle zone di difficile transito

(vedi la costiera amalfitana, i valichi alpini o gli

stretti tornanti di tutta la catena appenninica, ndr)

dove il cambio Allison amplifica la coppia motore

permettendo di superare con facilità anche pendenze

elevate. Relativamente alle macchine per il trasporto

pubblico e turistico, mi occupo dello sviluppo commerciale

sul territorio italiano, supportando le flotte

nella scelta del prodotto ideale e dialogando con il

gruppo di colleghi che in Turchia segue lo sviluppo

direttamente con i costruttori».

Chiediamo a Simone Pace una battuta lapidaria. Perché

Allison? «Perché è sinonimo di affidabilità senza

compromessi. Gli automatizzati si travestono da automatici,

conservando una frizione, della quale non

possono superare i limiti. Col convertitore di coppia

è tutta un’altra storia!».

terra

In basso, a sinistra,

una trasmissione

Allison che

incontra i favori

delle applicazioni

mobili industriali

dal profilo sfidante:

il TerraTran.

Sulla destra, una

applicazione

elettrica autobus

per Anadolu Isuzu,

all’IAA del 2024.

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zadi. Ed RLM sono i pivot di HB4 e BGG

VEDERCI

BENE

Richiede una fanaleria all’altezza, ed è la

missione di ZADI, specializzata in lighting, con

un occhio di riguardo per le due ruote. Il titolo

si riferisce anche al carosello di acquisizioni

del Gruppo Bruno, partito proprio da Carpi,

nel 2013. Gli uffici tecnici di ZADI, ECIE e, in

parte, di Giussani si sono coagulati in CEVLab

AUTOMOTIVE

Acronimo dei nomi dei fondatori, Antonio Zavatti

ed Enrico Diacci, ex dipendenti della Magneti

Marelli, la ZADI si trova nel bel mezzo

del distretto tessile carpigiano, in coabitazione con il

quartier generale della controllante HB4. Costituisce

la tappa conclusiva del nostro pellegrinaggio tra alcuni

santuari di BGG e HB4, che fanno riferimento

alla famiglia Bruno. L’imprinting è automotive, fanaleria

e serraggio o, se preferite, lighting e locking,

con un occhio di riguardo alle due ruote. È questa

la tappa che ha estrinsecato in modo cristallino la

missione impressa da Renato Bruno: condividere le

competenze in un’ottica inter-gruppale, nel rispetto

delle specificità dei singoli mercati di riferimento. Le

aziende della galassia HB4 hanno in comune la verticalizzazione

della produzione e l’idea del rilancio

del made in Italy. Una vocazione sottolineata dai tre

propositi alla base della strategia industriale di HB4.

L’obiettivo di servizio è la reattività alle sollecitazioni

del mercato, facendo affidamento sull’internalizzazione

dei processi produttivi. Dal punto di vista

economico, il discorso è chiaro: i margini di profitto

sono condivisi intra moenia. Infine, lo scambio di

conoscenze. Di fronte all’insorgere di una criticità, le

procedure si semplificano. Si procede ad un confronto

con gli altri “inquilini” della domus HB4 coinvolti

nel processo, in una condivisione virtuosa dei passaggi

tecnico-produttivi, allo scopo di risolvere agilmente

il problema. Parola di Paolo Quercia, il Ceo,

che ci ha raccontato: «Nel 2013 ZADI ha rappresentato

il primo tassello del mosaico di acquisizioni.

L’azienda soffriva per la crisi congiunturale e gli

ingenti investimenti effettuati per veicolare a Carpi

la produzione della fanaleria (dalla storica C.E.V. di

Milano), che ha comportato una sensibile esposizione

finanziaria. Una volta risanata e riorganizzata,

è stata il trigger per l’acquisizione della ECIE di

Lainate, una concorrente diretta nella fanaleria. Tra

le altre, ricordo la Ilmas, che a Garbagnate Milanese

si occupa di illuminazione civile e industriale.

La Corisit (Compagnia riscaldamento italiana) si

occupa invece di stufe legno e pellet, a Reggiolo».

Ed è nella bassa reggiana, a ridosso con il confine

lombardo, che Corisit condivide il plesso produttivo

con un’entità pivotale nell’ecosistema HB4, la RLM,

Reggiolo Lavorazioni Meccaniche, di cui parliamo

nel box. Sinergie, dunque. Per entrare nel merito, ci

rivolgiamo ancora a Paolo Quercia. «ZADI ha una

divisione dedicata alle maniglie di apertura e alle

chiavi dei caravan. Uno dei primi progetti infragruppo,

lanciato da Renato Bruno, riguardò la produzione

delle maniglie e serrature per i gruppi elettrogeni,

precedentemente acquistate a catalogo da fornitori

internazionali. Abbiamo quindi concepito prodotti

con caratteristiche specifiche, come una chiave utilizzabile

sia per la maniglia che per il tappo del genset.

Addirittura, la Giussani di Desio, che produce

serrature per armadietti e applicazioni civili in generale,

ha consentito ai gruppi elettrogeni di BGG di

accedere alle serrature riprogrammabili». In sintesi,

questa strategia produce valore aggiunto ai singoli

prodotti ed estrema flessibilità nella personalizzazione.

Come precisa il Ceo di ZADI: «Nel momento

in cui si condividono le tecnologie, il know-how si

diffonde nei tessuti dell’organizzazione e permette

un salto qualitativo delle competenze, contribuendo

alla crescita dell’abito mentale, concetto tanto caro

a Renato Bruno».

A proposito della variazione strutturale degli attori

all’interno del cast HB4 e BGG, ECIE è stata integrata

con ZADI, alla quale ha trasferito la fanaleria

per primo impianto, specializzandosi nella produzione

di schede elettroniche. Un processo che ha convo-

gliato idee e risorse dalla sfera dei fornitori a quella

domestica. Attualmente, la metà del fabbisogno di

schede elettroniche dello stabilimento carpigiano è

soddisfatto proprio da ECIE. L’ultima entrata, Casalini,

è stata fin da subito coinvolta in un progetto

intergruppo, dalle batterie di Archimede, ai motori

elettrici di SM4E, alla fanaleria di ZADI. Le convergenze

coinvolgono anche la parte ideativa, non

solo quella produttiva. «Uno spin-off degli uffici tecnici

di ZADI, di ECIE e, parzialmente, di Giussani,

ha istituito nel 2014 una società di ingegneria, la

CEVLab, che eroga servizi di progettazione e di testing.

Anche in questo caso il processo è biunivoco:

arricchire le competenze tecniche al servizio delle

aziende del gruppo e acquisire un livello di servizio

che consenta di procedere in modo autonomo verso

clienti terzi». Paolo Quercia prosegue nella dissezione

didascalica della affascinante anatomia di

HB4. «Il mio mondo, quello di ZADI, si iscrive nella

subholding automotive. ZADI ha una controllata

tedesca, GKS, che produce sistemi di chiusura ed è

il ponte produttivo e commerciale verso la Germania

(tra cui BMW e KTM). CSI è l’identificativo dello

stabilimento di Jolanda di Savoia, che ha “svoltato”

nell’automazione industriale. La macchina per assemblare

il pacco batterie alla RLM, per esempio, è

stato realizzato proprio dalla CSI. LA ECIE controlla

la CEV Chengdu, che realizzava componenti a basso

costo per l’illuminazione, assemblati in Italia. Nel

percorso di riorganizzazione si è costituita come entità

autonoma, che produce per l’Asia (le fabbriche

cinesi di molti costruttori europei si riforniscono lì).

Gli stampi per la produzione qualificata sono stati

trasferiti in Italia. Un singolare caso di reshoring,

per ottimizzare i costi logistici e garantire elevati

standard qualitativi di alcuni prodotti. Pur riducendo

la marginalità, a conti fatti, i benefici economici e

di servizio hanno avvalorato la nostra scelta. Pensi

che produciamo a Carpi il fanale di uno scooter

elettrico commercializzato nel mercato cinese col

marchio di un primario costruttore europeo. CEV

Chengdu è diventata anche il ponte commerciale in

Cina per le altre società del gruppo». Si è concesso

una precisazione Giorgio Paris, Co-Ceo di BGG,

presente all’incontro: «Favoriamo la mobilità interna,

sia verticale che trasversale tra i due gruppi».

Le sinergie si sostanziano sia nel capitale umano che

in quello tecnologico. Buoni propositi per il futuro

prossimo? «Seguiamo l’evoluzione di prodotto, per

essere sempre più leader nei controlli elettronici»

afferma Quercia. «Vogliamo ampliare la gamma per

i prodotti ricreativi, come caravan e minicar, e gli

sbocchi applicativi delle schede elettroniche».

Così (nella foto

qui sopra) Renato

Bruno in persona

ha voluto l’estetica

del quartier

generale di HB4.

Sorge di fianco agli

stabilimenti ZADI,

a Carpi.

Reggiolo Lavorazioni Meccaniche

Cosa c’entrano le stufe di Corisit

con le altre aziende del gruppo?

Presto detto. Le stufe sono

costruite prevalentemente in

lamierato. La RLM si occupava di

tagli, piegature e saldature delle

stufe, ed è diventata un’azienda

di carpenteria a sé stante,

funzionale alle esigenze di ogni

asset del gruppo. Per intenderci,

in questa nuova impostazione

realizza i basamenti dei genset

di BGG (Bruno Generators,

Tecnogen ecc.) e le lavorazioni

meccaniche di ripresa sui tappi

serbatoio di ZADI, tra le altre

cose. L’obiettivo è verticalizzare il

processo. In quest’ottica anche la

verniciatura è stata internalizzata

ed è applicata ai componenti

per Harley, ai genset, alle stufe.

La RLM si sviluppa su un’area

di circa 5.000 metri quadri e si

rivolge anche all’esterno, come

fornitore di servizi di carpenteria,

tra cui punzonatura, saldatura,

piegature, lavorazioni Cnc. Senza

stilare un inventario dettagliato,

a titolo puramente esplicativo, a

Reggiolo dispongono di cinque

presse meccaniche e una

idraulica, una combinata laser

più punzonatrice con magazzino

automatico, quattro presse

piegatrici, cesoia, pannellatrice e

pantografo. Sono quattro i centri

di lavoro per fresatura e tornitura

e sei le postazioni di saldatura.

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anie. E il Libro Verde sul Made in Italy

DA QUI

AL 2030

ANIE è uno degli attori che si sono seduti al

tavolo del MIMIT per la redazione del Libro

Verde sul Made in Italy. Al centro della lettura del

Ministero, che si proietta al 2030, c’è l’energia,

che sarà sempre più protagonista delle curve

dell’economia. Come produrre energia verde

e quali strategie adottare a livello nazionale

e comunitario per aumentare la competitività

del tessuto produttivo nazionale e scongiurare

la condanna all’obsolescenza e al declino

Filippo Girardi, Presidente ANIE Confindustria: «In un

momento storico caratterizzato da profonde trasformazioni

economiche e tecnologiche, l’Italia ha bisogno di una politica

industriale lungimirante, capace di creare nuovi spazi di crescita

per l’industria nazionale e di rafforzare la competitività del nostro

sistema produttivo».

Semplificare e diversificare

ANIE sottolinea la necessità di semplificare le procedure

autorizzative per un pieno sviluppo delle

fonti energetiche rinnovabili, evidenziando altresì

l’importanza di promuovere soluzioni tecnologiche

avanzate per la riduzione dei consumi elettrici. Infine,

il settore nucleare assume un ruolo strategico

per la diversificazione del mix energetico, grazie al

potenziale degli small modular reactor. Integriamo

affidandoci alla nostra sensibilità. Una normazione

funzionale potrebbe anche implementare la logica

delle Hydrogen Valley e incentivare il reforming,

propedeutico alla produzione su larga scala di idrogeno

verde. In merito allo scabroso e attualissimo

nodo gordiano dei costi dell’energia, che penalizzano

la filiera industriale nazionale nel suo complesso,

oltre a riflettersi sui consumi familiari, ANIE è

favorevole all’adozione di misure come l’aumento

della quota rinnovabile nel mix elettrico nazionale,

l’abolizione del pun index, acronimo di prezzo

unico nazionale, che indirizza il valore all’ingrosso

dell’energia elettrica, e il disaccoppiamento del

prezzo del gas da quello delle fonti rinnovabili.

Inoltre, a sostegno di queste misure, è necessario

incrementare le interconnessioni energetiche con i

Paesi confinanti.

In merito al tema dell’approvvigionamento di maenergia

Politiche industriali, il paradigma che impatta

anche la dimensione sistemica della catena

cinematica: dalla generazione distribuita

all’infrastruttura energetica, dall’asset del trasporto

merci all’industria primaria, al mantra della transizione

energetica. ANIE Confindustria, espressione

dell’imprenditorialità nei settori dell’elettronica e

dell’elettrotecnica, gravidi di 102,7 miliardi di euro

di fatturato nel 2023, ha partecipato alla consultazione

del Libro Verde indetta dal MIMIT, Ministero

delle Imprese e del Made in Italy. Sostanzialmente,

la bussola della transizione verde e digitale da

qui al 2030. Dalla produzione di energia elettrica

alle infrastrutture digitali, dall’elettrificazione dei

consumi alle tecnologie per l’efficienza energetica,

gli associati ad ANIE sono pivotali in questa congiuntura.

La Federazione ha così contribuito alla

redazione del Libro Verde, che delinea una visione

strategica per il potenziamento della filiera nazionale

delle tecnologie, identificando i settori chiave su

cui concentrare gli investimenti. La transizione verde

e quella digitale devono convergere nell’ottica

della ottimizzazione dei consumi e del taglio delle

emissioni clima alteranti. Il documento restituisce

dignità alla neutralità tecnologica, per consentire

a ciascun Paese di adottare le soluzioni più adatte

allo specifico contesto industriale. In questo quadro,

per evitare il rischio di disuguaglianze competitive

tra i Paesi UE, sarà necessario adottare un nuovo

strumento di debito comune per finanziare la transizione.

Per l’Italia, Confindustria stima un fabbisogno

di oltre 1.000 miliardi di euro entro il 2030

per raggiungere gli obiettivi di Fit for 55. Insomma,

aggiungiamo noi, sarebbe tatticamente opportuno

valorizzare l’ecosistema del gas, per applicarlo ai

biocombustibili gassosi e all’idrogeno.

terie prime, ANIE supporta il Critical raw materials

act dell’Unione Europea e le misure nazionali

per rafforzare il riciclo e l’estrazione di materiali

strategici. Allo stesso tempo, promuove politiche

di reshoring per settori cruciali come semiconduttori,

batterie e rinnovabili, favorendo la creazione

di una supply chain in Europa. L’adozione di tecnologie

abilitanti deve essere accompagnata da un

rafforzamento della cybersecurity industriale. La

via maestra è rappresentata dalle agevolazioni per

chi investe in sicurezza informatica, formazione

specializzata e campagne di sensibilizzazione sul

territorio. Il Piano Transizione 5.0 per la Federazione

rappresenta un passo avanti e deve essere accompagnato

da misure atte a colmare il divario digitale

e sostenere le imprese nell’adottare soluzioni green

e tecnologiche.

Dal Libro verde sulla politica industriale

A supporto e integrazione delle note di ANIE, riportiamo

alcuni stralci del Libro Verde. Secondo il

MIMIT i costi complessivi della transizione sono

stimati dall’UE ad almeno 520 miliardi dal 2020

al 2030 per tagliare le emissioni di CO 2

del 55%.

La quota delle rinnovabili sul totale del paniere

energetico italiano nel 2022 era pari al 19% del totale,

rispetto al 7% del 2000. In questo ventennio

la crescita media annua della quota delle energie

rinnovabili è stata pari al 4%. Per quanto riguarda

la generazione di energia elettrica da rinnovabili,

l’Italia si presenta con una quota del 29,5% rispetto

al 35,6% della Germania e il 23,1% della Francia.

Attualmente, la filiera delle tecnologie verdi in Italia

conta poco meno di 800 imprese, di cui 400

specializzate, un valore della produzione di 10,9

miliardi di euro e più di 37 mila dipendenti.

È necessario includere una politica degli input energetici

ripensata su quattro fattori: la creazione di un

mercato unico europeo dell’energia elettrica; l’inserimento

del nucleare di nuova generazione (Smr

e Amr) tra le fonti primarie di generazione dell’elettricità;

l’introduzione del principio di neutralità

tecnologica come cardine della transizione; l’apertura

all’utilizzo dei biocarburanti nell’automotive.

Aggiungiamo un dato essenziale, considerando l’emergenza

dei data center e dell’intelligenza artificiale

come elementi vettoriali del volano economico

e, addirittura, del tessuto sociale: secondo EnelX, i

data center consumano circa 200 terawattora (TWh)

di energia all’anno e si prevede che, per rimanere

entro l’orizzonte temporale del 2030, il loro assorbimento

di elettricità aumenterà di circa quindici volte,

fino a raggiungere l’8% della domanda complessiva

di elettricità. Un passaggio riguarda il deficit competitivo

dovuto alla dipendenza delle terre rare e altre

materie prime. Si stima che la quantità di minerali

critici dovrà crescere di quattro volte al 2040, passando

da 7 milioni a 28 milioni di tonnellate. Nello

specifico, la transizione richiederà un consumo di

rame maggiore del 40%, di nichel del 60%, di cobalto

del 70%, e di litio del 90%. Le auto elettriche

utilizzano 207 chili di minerali per veicolo, mentre

un’auto convenzionale ne richiede appena 33.

In alto, a sinistra,

un reattore

nucleare di nuova

generazione (Snr).

Dall’introduzione

del documento

del MIMIT: «Con

la pubblicazione

del “Libro Verde

Made in Italy 2030”

avviamo una grande

riflessione aperta e

condivisa che, agli

inizi del 2025, ci

porterà ad adottare

il Libro Bianco

del governo sulla

nuova strategia di

politica industriale

per centrare gli

obiettivi delle

transizioni e restare

al passo con i

progressi della

nuova rivoluzione

industriale in

corso»

48

49



RHENUS

NAVE DI

PLATINO

La Mannheim è la

prima combinazione

di spintore e chiatta

a spinta al mondo a

ottenere l’Etichetta

Platino. Il suo segreto?

Le celle a combustibile

Motori e componenti per OEM

Cultura, tecnica, impieghi

e mercato del motore diesel.

Fondato nel 1986

Direttore responsabile

Maurizio Cervetto

Coordinatore redazionale

Fabio Butturi

In redazione

Stefano Agnellini, Ornella Cavalli,

Fabrizio Dalle Nogare, Stefano Eliseo,

Fabio Franchini, Riccardo Schiavo,

Cristina Scuteri, Luca Vitali

Ha collaborato

Maria Grazia Gargioni

Impaginazione e grafica

Marco Zanusso

Gestione editoriale

Fabio Zammaretti

Stampa

Industrie Grafiche RGM srl,

Rozzano (Mi)

oem&motori

Quando si parla di hard-toabate,

quindi di applicazioni

gravose, ci si appella

all’idrogeno. Oppure a altri

biocombustibili, come ammoniaca

e metanolo. Cosa c’è di più indicato

di una chiatta fluviale, che

deve caricare pesi eccezionali?

La pensano così anche alla Allianz

ESA 2024, che ha insignito

del “Premio Innovazione per la

Navigazione Interna” la prima

delle tre chiatte di Rhenus con

propulsione a idrogeno e batteria

elettrica. In questo caso, si ragiona

quindi di celle a combustibile,

e non di endotermici adattati

all’idrogeno. Si chiamano tutte

e tre Mannheim e sono la prima

combinazione al mondo di spintore

e chiatta a spinta a ottenere

l’Etichetta Platino, altro premio

per la navigazione ecologica. La

“Mannheim I+II” ha completato

i vari test di collaudo, tra cui

manovre a zig-zag e frenate d’emergenza,

per verificarne stabilità

e sicurezza. Sono stati inoltre

trainati diversi moduli di chiatte

per determinare il tonnellaggio

massimo che l’imbarcazione può

trasportare. I test, condotti in collaborazione

con gli esperti del

Lloyd’s Register presso l’ufficio

di Rotterdam, hanno permesso

di ottenere anche la certificazione

per il trasporto di merci pericolose

su container. La nave ha

prima ricevuto un certificato di

registrazione provvisorio e, verso

la fine del 2024, ha completato

il suo primo viaggio trasportando

diversi container.

Il Gruppo Rhenus opera nel settore

della logistica con un fatturato

annuo di 7,5 miliardi di euro, occupando

40.000 persone in 1.320

sedi, che presidiano la filiera del

trasporto merci, su strada, binari

e acqua.

Fotolito

Industrie Grafiche RGM srl,

Rozzano (Mi)

Autorizzazione del tribunale

di Milano n.860 del 18 dicembre 1987

Registro Nazionale della Stampa

n. 4596 del 20/04/1994

n. iscrizione R.O.C. 2880 del 30-11-2001

Poste Italiane s.p.a. - Sped. in a. p. -

D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004

n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI

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