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Beyond the Canvas - Francesco Furini: Uno Sguardo di Virtù

“Una giovane prostituta malconcia, trova rifugio nello studio di un pittore fiorentino: un incontro inaspettato che cambierà il destino di entrambi.”

“Una giovane prostituta malconcia, trova rifugio nello studio di un pittore fiorentino: un incontro inaspettato che cambierà il destino di entrambi.”

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Nr.001-I

MMXXV


©LISAC.LACOLLA


Nr.001-I

MMXXV


BEYOND THE CANVAS è un progetto innovativo di divulgazione storico-artistica che

combina letteratura, arte e storytelling per avvicinare il pubblico alla storia dell’arte.

La raccolta presenta una serie di short stories ispirate alle vicende storiche che hanno

portato alla nascita di celebri opere pittoriche. Ogni racconto si basa su ricerche

biografiche, storiche e archivistiche, trasformando gli artisti e le loro creazioni nei

protagonisti della narrazione.

Le storie nascono come sviluppi narrativi di precedenti pubblicazioni del Dr. Fiore,

trasformando contenuti specialistici in esperienze coinvolgenti.

Beyond the Canvas crea così un equilibrio tra la semplicità della narrazione e la

complessità dell’analisi storico-artistica, rendendo l’arte più accessibile senza

comprometterne la profondità.

Grazie alla pubblicazione online in italiano, tedesco e inglese, Beyond the Canvas è un

progetto internazionale che stimola il dibattito tra gli studiosi e cattura l’interesse di un

pubblico più ampio.

L’evoluzione naturale del progetto è la realizzazione di una serie televisiva antologica su

scala internazionale. Ogni storia verrà adattata in sceneggiatura in lingua inglese, dando

nuova vita alle vicende nascoste dietro ai capolavori della pittura.

Questo approccio permette di bilanciare la promozione dell’arte con la sensibilizzazione

culturale, sviluppando un modello di art marketing etico e innovativo che valorizza la

creatività.

“Uno Sguardo di Virtù” esplora l'intersezione tra arte e morale nella Firenze del

XVII secolo. La storia segue una giovane prostituta in difficoltà che cerca rifugio nello

studio del pittore Francesco Furini.

Il loro incontro inaspettato scatena una trasformazione nella vita di entrambi,

dimostrando come Beyond the Canvas utilizzi narrazioni intime per esplorare profondi

temi di redenzione e la complessa relazione tra artista e soggetto.


“Una giovane prostituta malconcia, trova rifugio nello studio di un pittore fiorentino:

un incontro inaspettato che cambierà il destino di entrambi.”


uel giorno “Lena” – nome evocativo, scelto per celarne l’identità e tutelarne

la giovane età – si trovava in una condizione che non le consentiva di

esercitare il mestiere suo solito.La notte era stata turbolenta, lasciandole

addosso segni, che nemmeno i caldi raggi del mattino riuscivano a lenire.

I suoi occhi, grandi e languidamente inarcati verso il basso, erano quel

giorno innaturalmente gonfi ed infuocati, come se ogni lacrima sofferta le

avesse bruciato le gote, a ricordarle la sua battaglia ancora non vinta. Sul

volto, un gonfiore lungo la guancia destra, si irradiava fino alle labbra,

conferendo loro una tumidezza accattivante e singolare.

Non potendo più ignorare la propria condizione, la fanciulla decise di recarsi dal “Maestro”: un uomo

di neanche trent’anni, ma da tutti tenuti in gran conto per quello “scrigno” che possedeva “nella nappa

del pennello”.

In giro per Firenze era conosciuto come “Sciameròne”, per il modo di vestire un po’ sciatto e

trasandato. Lei, tuttavia, lo conosceva come “Maestro”, sebbene non sapesse neanche come fosse in

viso, per averlo sentito nominare in quel modo dalle colleghe, dedite ad un lucrativo andirivieni dalla

sua bottega.

Per dieci o quattordici lire al giorno, quelle ragazze intascavano più di quanto non guadagnasse lui

per ogni quadro venduto. In quel posto, infatti, tra belletti, unguenti e medicamenti, si faceva Arte. Di

lui si diceva fosse in grado di trasformare quelle fanciulle dannate in Vergini e Sante: ritratti a mezzo

busto, di sinuose giovinette, immersi in quel fondo oltremare che brillava al tenue bagliore di un

moccolo di candela.

Il suo abile pennello e l’occhio esperto plasmavano, coi pigmenti, carni vibranti e diafane in un

raffinato e voyeuristico gioco destinato a ricchi committenti cattolici. In quelle tele, figure discinte

trovavano una bellezza senza tempo, una sensualità che sfidava il decoro e celebrava l’Eros sotto la

maschera del Sacro.

Più volte aveva pensato di seguire le amiche e di profittare anche lei posando al naturale, ma sapeva

che quei soldi le sarebbero stati sottratti con la stessa brutale velocità con cui si era trovata conciata

in quel modo. Ancor di più temeva che il lenone non avrebbe esitato, anche oggi, a rivolgerle le stesse

attenzioni, accusandola per di più di non piacere ai clienti.

Si persuase quindi all’idea che tra gli unguenti e gli àlcoli che il Maestro usava per i suoi pigmenti,

avrebbe trovato il modo di lenire quel tormento, preparando per lei l’olio della Maddalena, panacea

per simili afflizioni. Un modo per compensarlo l’avrebbe pur trovato.

Il Maestro la vide approssimarsi nella stanza buia, l’ascoltò e si disse ben disposto ad aiutarla:

anch’egli era spesso afflitto dallo stesso male. Poi sollevò lo sguardo e le chiese con garbo di portarsi

verso l’unico andito soleggiato disponibile, creato ad arte nella stanza, filtrando la luce da una finestra

socchiusa.

Scrutando quella donna, la sua mente divampò. I segni del dolore sul viso di quella meravigliosa

creatura, gli parvero emanare un’aura di eroicità antica, come i personaggi femminili delle tragedie

greche.

Osservò la fronte aggrottata e la particolare eleganza delle sopracciglia, arcuate come le due “effe” che

solcano il legno di una viola da gamba. Poi, quasi dimentico della di lei richiesta d’aiuto, si affrettò a

cogliere quell’istante: con un rapido tracciare del gessetto, fissò sul foglio l’asimmetria del volto, il

gonfiore della guancia, la languida torsione delle labbra, il collo lungo da cerbiatto, l’acconciatura

raccolta e quel suo sguardo sfuggente e fiero.


Come una falena, la ragazza si tuffò prontamente e con sollievo in quel bagno di luce, mettendosi a

suo agio: quei raggi caldi ed intensi erano per lei un ristoro simile ad un vivido camino d’inverno.

Appoggiata al tavolo, si sentì per la prima volta osservata da un uomo in modo diverso dal solito: lui,

contrariamente agli altri, non riusciva a distogliere lo sguardo dai suoi occhi e da quelli soltanto.

Sulle prime pensò di fargli davvero pena, ma vedeva in lui uno strano tipo di “maschio”, dagli occhi

amorevoli ed i modi gentili. Trovò inoltre teneramente buffo il fatto che stesse scarabocchiando mentre

la guardava e pensò, incuriosita, ad una caricatura. Quando gli si avvicinò per guardare quel piccolo

volto abbozzato su carta nocciola, restò stupefatta e gli chiese se fosse davvero lei: quell’uomo non

soltanto scrutava i suoi occhi e non altra mercanzia, ma era riuscito con pochi tratti a raffigurare la

sua anima triste e combattiva.

«Sei bellissima anche così» le disse, con una sincerità disarmante, mentre le porgeva la pozione con le

dita rese bluastre dal continuo triturare il lapislazzulo. Quel colore intenso e caldo, come il cielo

notturno in estate, luccicò nei sui occhi. «È per le carni» le disse, intendendo gli incarnati della pelle

che risultavano vividi se dipinti al di sopra del blu oltremare.

Con il piede, scostò delicatamente il panno che copriva le bozze impilate contro il muro e Lena subito

riconobbe una delle sue colleghe, più bella e vivida che non dal vero.

Con un impeto di orgoglio fissò lo sguardo del Maestro e decise di ritornare al tavolo: l’ambiente

chiuso e protetto, i modi cortesi di lui e l’effetto calmante che per primo produce l’olio di nardo, le

infondevano una sicurezza ed un’energia a stento trattenute dal dolore ancora vivido e pulsante.

Si rimise comoda, reggendo la testa con la mano, mentre il gomito trovava un cuscino nelle pagine

aperte di un libro. Si era concessa finalmente del tempo per sé stessa e lo stava trascorrendo a guardare

lui, curiosamente affaccendato ed attendendo fiduciosa gli ulteriori benefici della pozione.

Il maestro comprese le intensioni di lei e ne fu a suo modo lusingato. Poggiando sul cavalletto una tela

blu lapislazzulo, già pronta per l’uso, le chiese gentilmente «Posso?». Lei rispose sciogliendo con gesto

rapido e sensuale il colletto, rivelando la precoce maturità di un corpo che, seppur immobile, sembrava

danzare tra forza e vulnerabilità.

Spogliandosi per la prima volta di sua per piacere a sé stessa e non ad altri, Lena sembrava chiedere

al maestro di rivestirla di quella virtù mulìebre che sentiva oramai smarrita.

Lui la sbirciava con fare severo, al di là del telaio.

Lei, non potendo scorgerne in pieno il viso, pensava fosse adirato; avrebbe voluto trovare un modo per

compiacerlo e farlo sorridere, ma tuttavia non demordeva, restando immobile, per ore, fiera e

seduttiva, in quella stessa posizione in cui lui aveva principiato a ritrarla.

In cuor suo il Maestro era profondamente affascinato dal di lei temperamento, oltre che dalla sua

indubbia avvenenza, e cercava in tutti i modi di restare concentrato sulla sua arte. La sua ferrea

volontà era quella di fermare su tela l’unicità di quell’esatto momento in cui Lena aveva deciso di

allentare verso destra il laccio del morbido colletto e, amazzone rediviva, di schiudere al di lui sguardo

le carni voluttuose ed un seno turgido, sensualmente incorniciato nella formosa piega del gomito.

Riusciva a rendersi seduttiva nonostante il dolore e possedeva membra morbide e robuste come quelle

che avrebbero ispirato a Prassitele le sue migliori sculture.

Appoggiata al tavolo da un tempo interminabile e con sempre maggiore difficoltà e stanchezza, Lena

stringeva le nocche al viso con la mano sinistra per reggere quella sua testa sempre più pensosa e

pesante.


Con il gomito a far da perno sul soffice libro squadernato, continuava a lenire le fitte sul suo viso -che

adesso si affacciavano ad intervalli sempre più lunghi- stringendo le nocche, ed offrendo la parte

ancora dolente ai raggi solari ed allo sguardo benevolo del Maestro.

Terminato il volto e non potendo venir meno al suo temperamento giocoso ed al desiderio di

intrattenere una così piacevole presenza, il Maestro non tardò molto ad intrattenere l’ospite recitando

e talora improvvisando versi berneschi: poesie in uno stile comico e gioioso, arricchite di frasi beffarde

ed una calibrato uso di oscenità e trivialità.

Lena, non più assorta nel silenzio creativo del maestro, si alleggerì d’improvviso, lasciando deflagrare

nella stanza buia l’eco luminoso di una risata gàrrula e festosa, come le rondini d’estate.

Resa libera da quell’impeto di gioia, Lena sentì d’un tratto vibrare il lei l’orgoglio, la forza e la dignità

di una divinità ellenica. Era lei che aveva deciso di rivendicare la propria identità, mostrando al

Maestro la sua anima nuda, che promanava da quel corpo marmoreo. A lui spettava ora il compito di

terminare l’opera e dare una forma concreata a quell’ideale artistico di tragica femminilità.

E così, mentre lui si affaccendava tra pennelli e pigmenti, versi e battute, lei divenne Sacerdotessa ed

Oracolo, di una liturgia che trascendeva l’arte pittorica. Quel dolore, che l’aveva spinta fin lì non era

più un fardello: era divenuto l’emblema del riscatto di una vita, sublimata dalla luce e dal talento

artistico di quell’uomo così diverso dagli altri.

Allorché il dipinto prese finalmente vita, emergendo dal pennello del Maestro, Lena fu pervasa da

ebbra soddisfazione. Non era una semplice musa come le sue colleghe: i suoi tratti portavano

l'impronta regale e il racconto epico di un'eroina tragica, capace di trasformare la propria sofferenza

in bellezza eterna. Catturando l’essenza unica di quel dolore e trasfigurandolo in arte, il Maestro fornì

a Lena uno specchio in cui il suo tormento appariva sotto una luce diversa.

Prima di accomiatarsi, il Maestro versò una parte della pozione in una custodia cilindrica in argento,

di quelle che si usano per contenere l’olio santo. “Usalo e tieni il vasetto per te”, le disse mentre

l’accompagnava alla porta. Lena baciò la mano del maestro mentre, questi le porgeva tra le mani

quell’inaspettato regalo.

Dopo quell’incontro non sappiamo cos’altro accadde tra loro.

Il Maestro deciderà di non prendere mai moglie, preferendo farsi prete per necessità sociale, pur di

continuare a restarle fedele. Egli, infatti, non soltanto non la dimenticherà mai, ma farà professione

d’amore in ciascuna opera in cui, oramai riprodotto a memoria, effigierà il di lei viso e membra.

Trascorrerà così l’intera sua esistenza artistica -quasi un ventennio- a riproporre l’eterna giovinezza

di quel volto meravigliosamente tragico e semplicemente unico, morendo a quarantatré anni,

compianto da tutti e con qualche debito in giro.

Scriverà di lui l’illustre concittadino Filippo Baldinucci, che “fu anche di ciò gran cagione il lungo

faticare che egli faceva in sulle pitture e la gran quantità di azzurro oltremarino, che egli usò sempre

nelle medesime, dico nelle carni e fino nelle stesse bozze e le intollerabili spese, ch’ ei fece sempre nei

naturali delle femmine”.


Nell’universo pittorico di Francesco Furini (questo il nome del “Maestro”), fatto di volti femminili di

profilo, di tre quarti o frontali, ma sempre con gli occhi persi verso l’alto, oppure assorti verso il basso,

smarriti in profondi pensieri o finanche invisibili, come nei ritratti realizzati completamente di spalle,

lo sguardo di “Lena” sarà il solo e l'unico in grado di rompere la quarta parete offrendo, a chiunque la

ammiri, la scelta consapevole di una donna che vuole e sa di essere osservata.

Afrodite, Armida, Erato, Irene, Giuditta, Ghismunda, Maddalena, Moira, Ninfa, questi sono soltanto

alcune delle vesti pittoriche che Lena indosserà sulle tele in eterno. Questo è il dono, l’elisir di

giovinezza, di un uomo speciale ad una donna unica, della cui esistenza la Storia (quella con la S

maiuscola) non terrà traccia, spingendo addirittura molti studiosi coevi a credere che non sia mai

esistita una fanciulla con un simile volto.

Circa quattro secoli dopo, il ritrovamento del disegno prima (nel 1998, attualmente presso la

Biblioteca Marucelliana di Firenze) e del Ritratto di Fanciulla al Naturale poi (nel 2015, attualmente

presso un collezionista d’arte italiano), daranno giustizia storica e riscatto sociale a Lena,

consentendole di tornare a raccontarci di lei, della sua vita, del suo sguardo tormentato.

Mani anonime ed ingenue si sono succedute fino ad epoche recentissime, cercando in tutti i modi di

preservare quel delicato tessuto teso su un fragile telaio, rinforzando nei secoli tela con tela e poi

staccando e riapplicando il dipinto su un ulteriore strato di tavola.

Il lungo e meticoloso restauro di una preziosa testimonianza materiale, sopravvissuta amorevolmente

alla furia del tempo, ha ridato infine orgogliosa fierezza e ritrovata bellezza ad una donna, rimasta

per troppo tempo nel silenzio dell’oblio.

A Lisa, amor mio.



Isuoiochi,grandielanguidamenteinarcativersoilbaso,eranoquelgiorno

innaturalmentegonedinfuocati,comeseognilacrimasoffertaleavese

bruciatolegote,aricordarlelasuabatagliaancoranonvinta.

Sulvolto,ungonorelungolaguanciadestra,siiradiavanoalelabbra,conferendo

lorounatumidezzaacativanteesingolare.



Isegnideldoloresulvisodiquelameravigliosacreatura,gliparveroemanareun’aura

dieroicitàantica,comeipersonaggifemminilideletragediegreche.

Oservòlafronteaggrotataelaparticolareeleganzadelesopraciglia,arcuatecomele

due“effe”chesolcanoillegnodiunavioladagamba.



Poi,quasidimenticodeladileirichiestad’aiuto,siaffretòacoglierequel’istante:con

unrapidotraciaredelgeseto,sòsulfogliol’asimmetriadelvolto,ilgonoredela

guancia,lalanguidatorsionedelelabbra,ilcololungodacerbiato,l’aconciatura

racoltaequelsuosguardosfuggenteeero.





Lasuafereavolontàeraqueladifermaresutelal’unicitàdiquel’esatomomentoin

cuiLenaavevadecisodialentareversodestraillaciodelmorbidocoletoe,amazzone

rediviva,dischiuderealdiluisguardolecarnivolutuoseedunsenoturgido,

sensualmenteincorniciatonelaformosapiegadelgomito.



Caturandol’esenzaunicadiqueldoloreetrasgurandoloinarte,ilMaestrofornìa

Lenaunospechioincuiilsuotormentoapparivasotounalucediversa



Afrodite,Armida,Erato,Irene,Giudita,Ghismunda,Maddalena,Moira,Ninfa,

questisonosoltantoalcunedelevestipitorichecheLenaindoseràsuleteleineterno.

Questoèildono,l’elisirdigiovinezza,diunuomospecialeadunadonnaunica,dela

cuiesistenzalaStorianonteràtracia,spingendoaddirituramoltistudiosicoevia

crederechenonsiamaiesistitaunafanciulaconunsimilevolto.



Manianonimeedingenuesisonosucedutenoadepocherecentisime,cercandoin

tutiimodidipreservarequeldelicatotesutotesosuunfragiletelaio,rinforzando

neisecolitelacontelaepoistacandoildipintodaltelaioedincolandolosuun

ulteriorestratoditavola.



Illungoemeticolosorestaurodiunapreziosatestimonianzamateriale,sopravvisuta

amorevolmentealafuriadeltempo,haridatoinneorgogliosaerezzaeritrovata

belezzaadunadonna,rimastapertroppotemponelsilenziodel’oblio.




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