06.10.2025 Visualizzazioni

Nelle Valli Bolognesi N° 67 - AUTUNNO 2025

Il trimestrale su natura, cultura, storia e tradizioni locali edito da Emil Banca e diffuso in abbinamento al Resto del Carlino Bologna

Il trimestrale su natura, cultura, storia e tradizioni locali edito da Emil Banca e diffuso in abbinamento al Resto del Carlino Bologna

SHOW MORE
SHOW LESS

Trasformi i suoi PDF in rivista online e aumenti il suo fatturato!

Ottimizzi le sue riviste online per SEO, utilizza backlink potenti e contenuti multimediali per aumentare la sua visibilità e il suo fatturato.

NATURA, CULTURA, TRADIZIONI E TURISMO SLOW TRA LA MONTAGNA E LA PIANURA

Nelle

Anno XVIII - numero 67 - OTTOBRE - NOVEMBRE - DICEMBRE 2025

LA MACCHINA

DEL TEMPO

Felsina o Bononia?

MIti dello sport

Marco Bonamico

e Franco Cresci

AUTUNNO

San Petronio

Vita, opere e curiosità sul Patrono della città e con

Succede solo a Bologna la Basilica non ha più segreti


Da sempre al fianco di chi crea cultura

raccontando la storia delle nostre comunità

1895-

2025

www.emilbanca.it

IL CUORE NEL TERRITORIO


Periodico edito da

Numero registrazione Tribunale

di Bologna - “Nelle Valli Bolognesi”

n° 7927 del 26 febbraio 2009

Direttore responsabile:

Filippo Benni

Hanno collaborato:

Valentina Fioresi

Stefano Lorenzi

William Vivarelli

Claudia Filipello

Katia Brentani

Gianluigi Zucchini

Claudio Evangelisti

Gian Paolo Borghi

Paolo Taranto

Guido Pedroni

Serena Bersani

Marco Tarozzi

Andrea Morisi

Mario Chiarini

Veronica Righetti

Fausto Carpani

Sandra Sazzini

Giuliano Musi

Alessio Atti

Elena Boni

Gianluigi Pagani

Daniele Fini

Paolo Spedicato

Adriano Bacchi Lazzari

Giuseppina Bergamini

Stefania Marconi

Valeria Pritoni

Foto di:

Guido Barbi

William Vivarelli

Paolo Taranto

Giacomo Zati

Archivio Bertozzi

Archivi AppenninoSlow

eXtrabo e Bologna Welcome

e altri in pagina

Progetto Grafico:

Studio Artwork Grafica & Comunicazione

Roberta Ferri - 347.4230717

Pubblicità:

distribuzione.vallibolognesi@gmail.com

051 6758409 - 334 8334945

Rivista stampata su carta ecologica

da Rotopress International

Via Mattei, 106 - 40138 Bologna

Per scrivere alLA REDAZIONE:

vallibolognesi@emilbanca.it

Per abbonamenti e pubblicità contattare appenninoslow:

distribuzione.vallibolognesi@gmail.com - 051 6758409 - 334 8334945

Questa rivista

è un prOdotto editoriale

ideato e realizzato da

In collaborazione con

CITTÀ

METROPOLITANA

DI BOLOGNA

4

6

8

11

12

14

17

18

20

22

24

26

28

30

33

36

38

44

46

48

50

52

54

58

60

SOMMARIO

Gli scatti di William Vivarelli

Fiorrancino

La foto dell’autunno

Il concorso fotografico

In dialetto si dice...

Sgamboz e Sgambuzzen

Erbe di casa nostra

Erba Luigia

La nostra cucina

È tempo di una zuppa calda

Speciale prodotti locali

Brazadela tonda e Carciofo violetto di San Luca

Non tutti sanno che

Petronio, il santo del popolo

Succede solo a Bologna

Alla scoperta della Basilica

In giro con Confguide

Santa Maria della Carità

Tracce di storia

Una galleria d’arte lunga tutta via Zamboni

In giro con AppenninoSlow

La magia del foliage in quattro percorsi

Trekking

Le prime due tappe de I Tesori del Reno

L’autunno con eXtraBo

Dalla Rocca di Bazzano alla Paciu Maison

Appuntamenti

La Tartufesta e altre sagre

Tradizioni

Il Natale contadino

La nostra storia

Memoria in terracotta a Giugnola

Sui banchi come nell’800 a Castello d’Argile

Il delitto Spisani

Quella faida tra i Canetoli e i Bentivoglio

Personaggi

Enrico Giordani e Albertina Cassani

Miti dello sport

Marco Bonamico e Franco Cresci

La macchina del tempo

Felsina o Bononia?

Alle origini del vino

La vendemmia 2025

L’altra faccia della medaglia - Sustenia

L’Edera

Fotonaturalismo

La sedicesima puntata del corso

Entomologia

Forte come una formica

Dialetto e altre storie con Carpani e Borghi

2


GLI SCATTI DI WILLIAM VIVARELLI

Il Fiorrancino

(Regulus ignicapilla)

4


In provincia di Bologna, il Fiorrancino (Regulus ignicapilla) è una

presenza affascinante che anima i nostri boschi e giardini. Questo

uccello, tra i più piccoli d’Europa, è un vero e proprio testimone

della salute dei nostri ecosistemi forestali, e la sua osservazione è un

momento di pura gioia per gli amanti della natura. Il Fiorrancino è un

passeriforme di dimensioni molto ridotte, con una lunghezza di circa

9-10 cm e un peso che si aggira intorno ai 5-6 grammi. Si riconosce per

il suo piumaggio verde oliva sul dorso e grigio chiaro sul ventre. La sua

caratteristica più distintiva è la cresta colorata sulla testa: arancione nel

maschio e gialla nella femmina, bordata da due strisce nere laterali. A

differenza del suo simile, il Regolo, ha una stria superciliare bianca ben

visibile. Nella provincia di Bologna, il Fiorrancino predilige i boschi

di latifoglie e conifere, come quelli che si trovano nei parchi regionali

dei Gessi Bolognesi e Calanchi dell’Abbadessa, o nei boschi dell’alta

collina e dell’Appennino. Spesso lo si può incontrare anche in parchi

urbani e giardini ben alberati. È un uccello molto attivo e agile, che si

muove in continuazione tra i rami e le foglie degli alberi. La sua dieta

è prettamente insettivora: si nutre di ragni, afidi e larve che scova con

grande abilità. Durante l’inverno, non è raro vederlo in piccoli stormi

misti con altre specie, come le cince, in cerca di cibo. La sua presenza

è un indicatore di un ambiente non eccessivamente inquinato e con

una ricca varietà di insetti. Le popolazioni di Fiorrancino che nidificano

nella provincia di Bologna sono considerate sedentarie o parzialmente

migratrici. Questo significa che molti esemplari rimangono tutto l’anno

nel territorio, spostandosi a quote più basse in inverno, mentre altri

possono intraprendere brevi spostamenti verso sud. La sua capacità di

adattarsi al freddo e la sua resilienza lo rendono un abitante stabile

dei nostri ecosistemi. La conservazione del Fiorrancino è strettamente

legata alla tutela dei boschi e delle aree verdi. La distruzione degli

habitat e l’uso di pesticidi sono le principali minacce per questa specie.

Proteggere le foreste e i boschi maturi, dove trova rifugio e cibo, è

fondamentale per garantire che questo piccolo e prezioso uccello

continui ad allietare la natura della provincia di Bologna.

L’ALFABETO di VIVARELLI

Nei numeri precedenti:

Albanella Autunno 2010

Allocco Inverno 2010

Assiolo Primavera 2011

Allodola Estate 2011

Airone cenerino Autunno 2011

Averla maggiore Inverno 2011

Averla piccola Primavera 2012

Aquila reale Estate 2012

Ballerina bianca Autunno 2012

Ballerina gialla Inverno 2012

Barbagianni Primavera 2013

Beccamoschino Estate 2013

Balestruccio Autunno 2013

Calandro Inverno 2013

Capriolo Primavera 2014

Capinera Estate 2014

Cervo Autunno 2014

Cinghiale Inverno 2014

Canapiglia Primavera 2015

Canapino Estate 2015

Cannaiola comune Autunno 2015

Canapino maggiore Inverno 2015

Cannareccione Primavera 2016

Cardellino Estate 2016

Cavaliere d’Italia Autunno 2016

Cinciallegra Inverno 2016

Cincia bigia Primavera 2017

Cincia dal ciuffo Estate 2017

Cincia mora Autunno 2017

Cinciarella Inverno 2017

Cesena Primavera 2018

Cicogna bianca Estate 2018

Civetta Autunno 2018

Cornacchia grigia Inverno 2018

Cormorano Primavera 2019

Codibugnolo Estate 2019

Codirosso comune Autunno 2019

Codirosso spazzacamino Inverno 2019

Colubro di Esculapio Primavera 2020

Coronella Girondica Estate 2020

Covo Imperiale Autunno 2020

Corriere piccolo Inverno 2020

Cuculo Primavera 2021

Culbianco Estate 2021

Cutrettola Autunno 2021

Daino Inverno 2022

Chirotteri Primavera 2022

Cinghiale Estate 2022

Cigno Autunno 2022

Canapiglia Inverno 2023

Uccello combattente Primavera 2023

Codirossone Estate 2023

Colombaccio Autunno 2023

Fagiano comune Inverno 2023

Faina Primavera 2024

Falco Cuculo Estate 2024

Falco di palude Autunno 2024

Falco pellegrino Inverno 2024-2025

Fanello Primavera 2025

Fenicottero rosa Estate 2025

5


LA FOTO DELL’ AUTUNNO

di Paolo Taranto

PORCINI - I porcini sono tra i funghi più

rinomati e conosciuti in ambito culinario,

si raccolgono già dalla primavera ma sono

ancora più abbondanti nella tarda estate e

nel periodo autunnale. I momenti migliori

per trovarli si hanno dopo piogge seguite da

giornate calde e soleggiate

Appartengono al genere Boletus, che include

diverse specie. Il porcino vero (Boletus

edulis) che come dice il nome scientifico è

il migliore da mangiare, il Boletus aureus

(porcino nero) con carne più soda, il Boletus

reticulatus (Porcino reticolato) molto

profumato e il Boletus pinophilus (Porcino

dei pini), tipico dei boschi di conifere (pini e

abeti rossi principalmente).

6


7


IL CONCORSO

È aperto a tutti, fino al 9 novembre, un contest fotografico

dedicato alle meraviglie dell’Emilia-Romagna

Sguardi sul paesaggio

Testo di Ilaria Di Cocco – www.tourer.it

C’è ancora un mese di tempo per partecipare a un contest fotografico molto speciale,

dedicato alla straordinaria – e talvolta poco nota - bellezza dei paesaggi tutelati

dell’Emilia-Romagna, più di 150 aree riconosciute di grande interesse pubblico,

di cui ben 28 nel territorio bolognese, tutte localizzate con grande precisione sulla

mappa interattiva del portale Tourer.it.

Tutte le foto meritevoli saranno pubblicate in modo permanente sulla mappa di

Tourer.it, associate al nome dell’autore. Tourer.it infatti è una mappa collaborativa,

dove i cittadini possono sempre caricare foto dei tanti beni censiti: pievi, castelli,

ville, palazzi, ponti, aree archeologiche, alberi monumentali e adesso anche i

paesaggi tutelati: più di 8 mila mete diffuse in tutta l’Emilia-Romagna.

Santuario della Beata Vergine di San Luca

Bologna | @A.Malinowska

I PREMI

Le foto selezionate come finaliste dalla giuria di esperti saranno

esposte in una mostra che partirà da Bologna, nello splendido

Chiostro dei Celestini, e proseguirà in celebri luoghi d’arte in

tutta la regione. Oltre ai premi per i vincitori quindi, messi a

disposizione dal Touring Club Italiano – Emilia-Romagna, il

contest sarà l’occasione per decine di fotografi di vedere esposti

in grande formato i propri scatti, all’interno di sedi prestigiose in

alcune delle principali città emiliano-romagnole.

Comacchio | Ferrara

@F.Forlani

Torrechiara | Parma

@G.Montali

PER ParteciPARE

www.tourer.it/eventi

tourer@cultura.gov.it

8


Eremo di Tizzano | Bologna

@A.Malinowska

Le foto sono

OPEN SOURCE

Solo nel primo mese di

concorso sono arrivate alla

mail del concorso più di 500

foto, come quelle pubblicate

in queste pagine. Tutti i dati

raccolti dal portale, verificati

con grande scrupolo e

localizzati con altrettanta

precisione dal personale

dedicato del Ministero della

Cultura, sono a disposizione

in formato open di tutti gli

operatori (Enti, associazioni

ecc ecc) per essere riutilizzati

nelle loro iniziative.

COLLABORAZIONI

Pianello Val Tidone | Rocca d’Olgisio - Piacenza

@G.Galatin

Il contest fotografico, che

ha avuto il sostegno di Emil

Banca, vede la collaborazione

fra istituzioni (Ministero della

Cultura e Regione Emilia-

Romagna) e alcune delle

associazioni più attive sul

territorio regionale, come il

Touring Club Italiano, il CAI,

la Federazione Italiana delle

Associazioni Fotografiche,

e la Fondazione Bologna

Welcome.

9


VILLA INDIPENDENTE - SAN LAZZARO COLLINARE

Calvo Immobiliare propone in vendita prestigiosa

villa di 450 mq su due livelli con parco privato

alberato di circa 1 ettaro. Spazioso ingresso,

soggiorno doppio, cucina abitabile, altro salotto

con grandi vetrate panoramiche a tutta altezza,

disimpegno notte, 2 camere di cui una con terrazza,

2 bagni più suite matrimoniale con cabina armadio e

bagno. Al piano sottostante bilocale con uscite verso

il giardino oltre a spazi accessori, cantine, porticati

e autorimesse per 5 auto. Possibilità, con progetto

già approvato, di frazionamento e ampliamento per

ottenere 4 unità indipendenti ognuna con proprio

giardino esclusivo e garage. Libero subito.

Classe energetica G - in attesa di redazione

¤ 1.470.000

Tel. 051 225564

VILLA PADRONALE - IMOLA AD.ZE AUTODROMO

Residenza elegante, indipendente, perimetrata da giardino

esclusivo, due ingressi carrabili per eventuale frazionamento

in due unità autonome. In contesto residenziale, la villa è

stata edificata utilizzando materiali pregiati, perfettamente

manutenuta. Ingresso principale da porticato che conduce

all’atrio, dove risulta protagonista lo scalone di grande

rappresentanza che collega i due piani principali; al primo

livello: ampia zona giorno, studio, 2 camere e servizi; al secondo

livello: generosa zona notte con servizi, terrazza abitabile e

collegamento diretto alla mansarda open space. Completano la

proprietà i locali di servizio al piano terra finestrati, garage, oltre

a posti auto coperti. Ottimo investimento anche per strutture

ricettive o per più nuclei famigliari.

Classe energetica G - in attesa di redazione

¤ 980.000

Tel. 051 225564

VIALE XII GIUGNO AD.ZE - PIANO ALTO CON VISTA PANORAMICA

Lo scenario dei tetti, delle cupole, delle torri e della

collina insieme alla vicinanza ai Giardini Margherita

e a tutte le comodità del centro storico di Bologna,

sono le note distintive dell’appartamento al 4^ piano

con ascensore proposto in vendita a due passi da

via Castiglione e Piazza San Domenico. Ingresso,

salone doppio, cucina abitabile, bagno di servizio,

due camere, bagno padronale, tre balconi, di cui

uno adatto ad ospitare un tavolino per aperitivi al

tramonto sulla città, cantina e parcheggio bici in

giardino condominiale. Doppia esposizione, grande

luminosità in ogni fase del giorno. Da personalizzare

internamente. Libero subito.

Classe energetica G - in attesa di redazione

¤ 520.000

Tel. 051 225564

VIA SAN DONATO - PIANO ALTO

Appartamento ristrutturato al terzo piano, molto

luminoso, con affacci sul verde. Zona residenziale

comoda ai servizi e ai principali mezzi di

trasporto. Ingresso, soggiorno con balcone, due

camere matrimoniali di cui una con balcone,

cucina abitabile, due bagni, un vano finestrato

adibito a singola anch’esso con balcone, oltre a

cantina ciclabile. L’appartamento è ben tenuto,

il riscaldamento è autonomo e dispone dell’aria

condizionata. Ideale sia per uso residenziale che

per investimento con rendite superiori al 4%.

Classe energetica G - in attesa di redazione

¤ 330.000

Tel. 051 225564

CIELO-TERRA CON TERRENO - SANT’AGATA BOLOGNESE

In vendita palazzina libera su quattro lati, ubicata a due passi dal

centro storico di Sant’Agata, in contesto di parchi pubblici e comoda

a tutti i servizi e alle vie di comunicazione. L’immobile si sviluppa

su 3 livelli con vano scale interno per immediata suddivisione in tre

appartamenti, uno per piano, di circa 100 mq ciascuno con ampio

ingresso arredabile, soggiorno, cucina, 2 camere, bagno e balcone.

La palazzina è perimetrata da gradevole corte e giardino di 1800 mq,

su cui insistono spazi accessori di circa 70 mq utilizzati come garage

e cantine, la proprietà gode di piscina fuori terra e posti auto esterni.

Attualmente divisa in due appartamenti: il primo si sviluppa su due

livelli e il secondo occupa invece tutto l’ultimo piano. Soluzione ideale

per più nuclei familiari che cercano la vicinanza ma al contempo

l’indipendenza, con contenuti costi di gestione. Libero 2026.

APE F - EPtot 177,37 KWh/m2/anno

¤ 498.000

Tel. 051 225564

VIA VALLE VERDE - RASTIGNANO PEDECOLLINARE

In posizione panoramica, appartamento di

circa 140mq al piano primo con ascensore,

porticato privato, ampio giardino condominiale

che perimetra l’immobile, posto auto coperto

a rotazione in garage comune, cantina,

ristrutturazione di pregio. Ingresso, salone doppio,

cucina abitabile, zona notte con tre camere e

doppi servizi, balconi e cantina, libero a rogito.

Classe energetica G - in attesa di redazione

¤ 445.000

Tel. 051 225564

AMPIO GARAGE DI 125 MQ - PORTA S. ISAIA

Unico vano con accesso indipendente e carrabile

da laterale defilata dal traffico nelle immediate

vicinanze di Viale Vicini. Calvo immobiliare propone

in vendita al piano terreno immobile che permette la

sosta comoda di 6 autovetture oltre moto e ulteriore

spazio deposito, ottimo stato di manutenzione,

dotato di impianto elettrico e privo di riscaldamento,

contesto condominiale con tetto in comune e 5

grandi lucernari in vetrocemento che rendono

l’ambiente luminoso ed arieggiato, bene raro nel suo

genere, libero subito, attualmente accatastato come

posti auto coperti pertanto acquistabili a pertinenza

della abitazione, con relative agevolazioni fiscali.

Classe energetica G - in attesa di redazione

¤ 325.000

Tel. 051 225564

APPARTAMENTO - CALDERARA DI RENO

Piano alto con ascensore, tripla esposizione molto

luminoso, affacci su corti interne alberate e riservate,

stabile di poche unità abitative, appena ristrutturato

ed oggetto di eco-bonus 110%, ampio giardino

condominiale, ottima posizione comoda al centro ed

ai servizi. L’immobile è perfettamente manutenuto,

finiture in parquet, infissi in legno e vetrocamera,

razionale distribuzione degli spazi interni: ingresso

arredabile, sala, cucina, tre camere e doppi servizi,

due balconi spaziosi e posto auto assegnato.

Volendo garage a parte nel prezzo.

APE E - EPtot 164,81 KWh/m2/anno

¤ 248.000

Tel. 051 225564


In dialetto si dice...

LA FAUNA LOCALE NELLA TRADIZIONE

DELLA BASSA BOLOGNESE

Foto e testi a cura di Mario Chiarini

Oggi desidero parlarvi di due specie ornitiche, lo svasso

piccolo e il tuffetto, che presentano caratteristiche

fisiche e comportamentali simili, appartenenti alla

famiglia dei PODICIPIDI, più comunemente, ma meno

scientificamente, chiamata famiglia degli svassi. Già

il nome scientifico della famiglia, PODICIPIDI, ci fa

subito pensare ad un esplicito richiamo ai piedi e alle

zampe. Provate ad esempio a pensare al “podologo”,

professionista esperto dei piedi. Infatti le due specie in

oggetto, presentano le zampe con una attaccatura al

corpo molto arretrata, per rendere più rapida e veloce

l’immersione. Difficile vederli sul terreno, dove la

loro andatura sarebbe lenta e goffa proprio per questa

Svasso piccolo - SGAMBOZ

Ascolta il suo canto !

In Italia è specie nidificante, migratrice e svernante

regolare, anche se le concentrazioni maggiori di questa

specie si hanno nel corso dell’inverno quando tende ad

occupare vaste aree , selezionando le”valli” con maggior

distribuzione di acque aperte. Nelle acque della bassa

bolognese è presenza rara e occasionale, cosa che non ha

però evitato l’assegnazione di un proprio nome dialettale:

sgamboz. Si nutre di pesci, insetti, larve acquatiche che

cattura immergendosi sott’acqua. Collo piuttosto corto,

corpo tozzo linea di galleggiamento piuttosto alta collo

e sottogola bianco, capo nero, groppone grigio, ma ciò

che lo caratterizza e l’occhio di un bel rosso brillante

che lo differenzia rispetto al tuffetto. In abito estivo,

difficilmente presente nelle aree umide del bolognese, un

sottile ventaglio di piume gialle gli contornano l’occhio

rosso rendendolo inconfondibile.

loro caratteristica che tende a sbilanciarli in avanti.

Un’altra caratteristica che li accomuna è il sistema

di difesa: a differenza degli altri uccelli acquatici,

che all’apparire di un pericolo si involano, le nostre

due specie con veloce ed armonioso movimento si

tuffano a spariscono nell’acqua riemergendo, anche

dopo un minuto, a diversi metri di distanza, per poi

immergersi nuovamente se il pericolo persiste. Infine

un’ultima considerazione: certamente è noto che il

termine “gambuccio” sta ad indicare la parte finale

di un prosciutto, per intenderci la parte più vicina alla

zampa del maiale. E da qui, la derivazione del nome

dialettale di queste due specie ornitiche.

Tuffetto – SGAMBUZZEN

Il Tuffetto è il più piccolo degli svassi europei, dal

caratteristico profilo tondeggiante, con collo corto e

becco dritto e breve, piumaggio scuro, guance e collo

color castano e macchia chiara all’attaccatura del becco.

Schivo e spesso nascosto tra la vegetazione acquatica,

è più facilmente individuabile per il frequente ed

inconfondibile richiamo trillante. Nidificante, è la specie

più frequente nelle aree umide della bassa bolognese;

in inverno è facilmente riconoscibile per essere il più

piccolo “anatroccolo” presente negli spazi umidi della

bassa bolognese, mentre nella stagione estiva si presenta

con becco dritto e breve, piumaggio scuro, guance e collo

color castano e macchia chiara all’attaccatura del becco,

che lo rendono inconfondibile. Per le dimensioni minori

rispetto alla specie precedente, ma con caratteristiche

comportamentali simili gli è stato assegnato il nome

dialettale di sgambuzzen. Gaspare Ungarelli, un grande

studioso del folclore, delle tradizioni e del dialetto

bolognese, in un suo celebre articolo pubblicato sulle

rivista “L’archiginnasio” nel 1930 lo chiama, fra gli altri

nomi, “pi in tal cul” in virtù delle caratteristiche sopra

richiamate

Ascolta il suo canto !

11


ERBE DI CASA NOSTRA

Con una naturopata

per conoscere le leggende,

gli usi medici e quelli tradizionali

delle piante della nostra provincia

L’Aloysia Citriodora, detta anche Cedrina

o Lippia, è una pianta aromatica perenne

della famiglia delle Verbenaceae. Originaria

dell’America del Sud, è stata introdotta in

Europa dagli Spagnoli nel XVII secolo

L’Erba Luigia

Testo di Claudia Filipello - www.naturopatiabologna.it

Da anni il grande ventre di un vaso

in coccio accoglie una pianta che, al

solo sfiorarla, emana un’intensa ed

inconfondibile fragranza di limone.

Sto parlando della profumatissima ed

intensa Lippia citriodora o Aloysia

Citriodora, meglio conosciuta con

l’appellativo di Erba Luigia. Ora

facciamo un bel respiro e proviamo

a dire tutto d’un fiato, i numerosi

nomi con cui è conosciuta questa

pianta: Aloysia citriodora, Lippia o

Verbena triphylla, Verbena odorosa,

da non confondere con la Verbena

officinalis, Erba Luigia, Erba Luisa,

Limoncina, Cedrina, Limone Luigia,

Yerba Louisa. È quasi impossibile

da farsi, ma sicuramente ora avremo

capito di quale pianta si tratta, perché

tra i tanti appellativi ci sarà quello

usato nella nostra regione. Il nome

Aloysia è un omaggio a Maria Luisa di

Parma (1751-1819), moglie di Carlo IV

di Spagna; mentre l’epiteto specifico

citrodora deriva dal latino e significa

dal profumo di limone. Le foglie ed

i flessibili rami, infatti, emanano un

intenso profumo agrumato di limone e

cedro. Mentre il termine Lippia deriva

dall’esploratore che la vide per la

prima volta Augusto Lippi.

È una pianta aromatica arbustiva

perenne della famiglia delle

Verbenaceae, originaria dell’America

del Sud, dove cresce allo stato selvatico

in Ecuador, Perù, Cile, Bolivia ed

Argentina, da dove i conquistadores

spagnoli la introdussero in Europa nel

secolo XVII.

È una pianta rustica, che può

sopravvivere tranquillamente anche

in giardino, se correttamente esposto,

poiché sopravvive in modo spartano,

sfruttando l’acqua ottenuta dalle

piogge del cielo. Tuttavia, durante

i mesi più caldi in caso di siccità,

la pianta tende a soffrire; necessita

quindi, di annaffiature regolari, da

fornire solo quando si nota che il

terreno è ben asciutto, al fine di evitare

dannosi ristagni, che possono rovinare

irreparabilmente le delicate radici. In

autunno l’arbusto perde il fogliame e

le annaffiature possono essere sospese

fino alla primavera successiva. In

generale può sopravvivere anche a

temperature vicine allo zero, ma in

caso di clima particolarmente rigido è

consigliabile posizionarla in una zona

riparata del giardino.

Nel caso fosse coltivata in piena terra,

se l’inverno è particolarmente gelido,

è bene coprirla con dell’agritessuto al

fine di proteggerla dal freddo.

Per avere un arbusto compatto e

dall’aspetto gradevole, è bene potarlo

a fine inverno, in modo da accorciare

i rami più lunghi e sgraziati e da

stimolare la produzione di un ampio

numero di foglioline profumate. Le

foglie sono maggiormente profumate

in piena estate: raccomando la

raccolta per l’utilizzo dopo la prima

metà di giugno. L’aroma delle foglie

raccolte dalla pianta madre continua

ad essere sprigionato anche dalle

foglie secche; per tale motivo possono

essere conservate per lungo tempo in

Rimani aggiornato

su eventi e iniziative

in Appennino!

EXTRABO

extrabo@bolognawelcome.it

051 658 3109

www.bolognawelcome.com

IAT ALTO RENO TERME

iat@comune.altorenoterme.bo.it

0534 521103

www.discoveraltorenoterme.it

WELCOME ROOM MARZABOTTO

iat@comune.marzabotto.bo.it

051 931026

IAT CORNO ALLE SCALE

iat.lizzano@comune.lizzano.bo.it

iat.vidiciatico@comune.lizzano.bo.it

Lizzano: 0534 51052

Vidiciatico: 0534 53159

www.cornoallescale.net

12


Cedrina

“Very irresistible”.

L’olio essenziale è inoltre ricco di

composti volatili, fra cui il geraniolo, il

citrale e il limonene. L’infusione viene

usata come digestivo, carminativo e

antispasmodico ma anche in caso di

dolori dello stomaco o indigestione.

Si consuma inoltre, come blando

sedativo.

Le parti della pianta utilizzate in

infusione vengono raccolti due volte

l’anno: tarda primavera e inizio

autunno. Le parti maggiormente scelte

ed utilizzate per la preparazione di

composti sono le giovani foglie e le

sommità fiorite.

La Lippia è una pianta dotata di

proprietà antispasmodiche, sedative,

febbrifughe, utile anche nei disturbi

digestivi, meteorismo, ipotonia

digestiva; tali proprietà sono ascrivibili

ancora una volta e principalmente,

all’olio essenziale contenuto al suo

interno.

Le attività sedative dell’olio

essenziale della Lippia sono state

confermate da alcuni studi condotti

su animali. La letteratura non cita

effetti secondari tossici; è opportuno

comunque non abusarne, poiché l’uso

eccessivo può determinare irritazione

dello stomaco.

Un altro studio condotto sempre su

animali, ha invece messo in luce le

potenziali proprietà antiparassitarie

dell’olio essenziale. Più in particolare,

si è rivelato utile nelle infestazioni da

Trypanasoma cruzi nei topi.

Nei mesi estivi mettere sui davanzali

o in giardino una o più piantine di

Lippia, permette l’allontanamento

delle zanzare, mosche ed altri insetti.

un recipiente ermetico; oppure messe

in congelatore e consumate entro sei

mesi.

Se amiamo le tisane profumate e

rilassanti, l’Erba Luigia è indicata per

rendere le nostre giornate serene e

leggere; infatti, in erboristeria si usa

nelle preparazioni oltre che per la

preparazione di tisane, anche per infusi

ed impacchi. Quest’ultima modalità

terapeutica è particolarmente indicata

per gli occhi, quando si presentano

gonfi ed arrossati; ma anche in

cucina per fare liquori, marmellate,

macedonie o come spezia fresca nei

piatti freddi.

Le foglie ed i fiori essiccati si possono

usare come antitarme o per profumare

armadi e ambienti, e sempre dalle

foglie, è possibile estrarre l’olio

essenziale. Il suo uso è indicato nella

realizzazione di prodotti cosmetici.

Il profumo di questa pianta è ancora

ampiamente usato in miscele formulate

in marche famose anche oggigiorno,

come Givenchy con il suo profumo

LA RICETTA | Pesto di erba Cedrina

Concludo con una ricetta unica ed interessante da gustare,

il “pesto di erba Cedrina”

Ingredienti:

20 gr di Erba Luigia

50 gr olio extravergine d’oliva

0 gr pinoli

1 pizzico di sale marino integrale

2 cucchiai di acqua ghiacciata

Preparazione

Si raccolgono le giovani foglie, si lavano sotto acqua corrente e si

lasciano asciugare. In un frullatore rendere a farina i pinoli, aggiungere

le foglie di erba Luigia, il pizzico di sale e frullare il tutto, aggiungendo

a filo l’olio, i cucchiai di acqua fino ad ottenere una crema morbida.

Mettere in freezer il bicchiere con il composto per qualche minuto per

evitare l’ossidazione e per mantenere il bellissimo colore verde chiaro.

Invasare, ricoprire di olio e tenere in frigorifero. Da consumare entro

qualche giorno dalla preparazione. È ottimo su crostini, per condire gli

gnocchi, la pasta o con i cereali.

IAT-R INFOSASSO

info@infosasso.it

051 6758409

www.infosasso.it

IAT DIFFUSO VALSAMOGGIA

info@visitcollibolognesi.it

051 836442

www.visitcollibolognesi.it

IAT MONGHIDORO

iat@monghidoro.eu

331 443 0004

www.bolognamontana.it

INFOPOINT

CASTIGLIONE DEI PEPOLI

visitcastiglionedeipepoli@gmail.com

379 113 5432

WELCOME ROOM

SAN BENEDETTO VAL DI SAMBRO

emporio@foiatonda.it

351 6487 521

13


gametour

EMILBANCA

Scoprire l’Emilia è un gioco

Gametour: accetta la sfida,

vinci l’Emilia.

Inizia il viaggio su gametour.it

12


LA NOSTRA CUCINA

Curiosità, consigli e ricette

della tradizione

culinaria bolognese,

dalla Montagna alla Bassa

a cura di Katia Brentani

Piatto povero alla base della nostra

alimentazione sin dalla notte dei

tempi. E anche il primo ristorante

noto come tale fu aperto nel 1765

da un venditore di minestre

È tempo di una

ZUPPA CALDA

Con l’arrivo della stagione autunnale cosa

c’è di meglio di una zuppa calda per

coccolarci, per riscaldare il corpo e nutrire

l’anima. La zuppa esiste dalla notte dei

tempi, è semplice da preparare, nutriente

e versatile. La prima traccia documentata

dagli archeologi risale a circa ventimila

anni fa. Nella grotta di Xianrendong, in

Cina, sono stati rinvenuti frammenti di

ceramica con segni di bruciature. Questi

RICETTA DELLA MONTAGNA

Zuppa del bosco

Ingredienti: 100 gr di funghi porcini, 100 gr

di finferli, 300 gr di orzo perlato, 1 porro, 1

gambo di sedano, 2 carote, il litro e mezzo

di brodo di carne (o vegetale), olio evo,

prezzemolo, sale e pepe.

Procedimento: pulire, lavare le verdure

e tritarle. Versare in una pentola due

cucchiai di olio evo, unire le verdure, fare

dorare e aggiungere l’orzo. Unire i funghi

porcini e i finferli tagliati a fettine e coprire

con 2 litri di acqua. Fare cuocere fino a

quando l’orzo non è cotto (circa 40 minuti).

Guarnire con fettine di porcini, finferli e

crostini.

Le RICETTE

contenitori venivano utilizzati per scaldare

gli alimenti, le prime zuppe. Per tanti

anni La zuppa è stato il piatto principale

delle fasce più povere della popolazione e

l’alimento dei soldati, come la “zuppa nera”

che mangiavano i soldati spartani, preparata

con gli scarti del maiale e l’aggiunta del

sanguinaccio e del vino. Per l’ esercito

ottomano la zuppa era talmente importante

che gli ufficiali della fanteria personale del

RICETTA DELLA PIANURA

Zuppa di cavolo rapa al cardamono

Ingredienti: 500 gr di cavolo rapa,1

litro di brodo di verdure, 1 patata,

cardamomo q.b., olio evo, sale, crostini

o polpettine di pane.

Procedimento: pelare, lavare e tagliare

a dadini il cavolo-rapa. Sbucciare, lavare

e tagliare a dadini la patata. Mettere

a cuocere nel brodo il cavolo-rapa e

la patata. Quando le verdure iniziano

a disfarsi sono cotte. Salare e servire

la zuppa calda cosparsa con semi di

cardamomo e accompagnata da crostini

di pane a forma di cuore o polpettine di

pane.

Curiosità e ricette sono tratte da

Inzuppiamoci di Katia Brentani

per i Quaderni del Loggione

sultano erano chiamati “Chorbaji”, il cui

significato letterale è “cuoco della zuppa”.

Non a caso il primo ristorante, noto come

tale, fu aperto nel 1765 da un venditore di

minestre, M. Boulanger, e serviva solo zuppe

e minestre. Il locale prese il nome dal motto

latino “Venite ad me omnes qui stomacho

laboratis et ego resta urabo” (venite da me

voi tutti il cui stomaco si lamenta e io vi

ristorerò). La parola “zuppa” ha origine

dal gotico suppa (da cui deriva suppe in

tedesco, soupe in francese e soup in inglese)

che significa “fetta di pane bagnata”. Povera

come piatto, ma nutriente e gustosa, la

zuppa veniva preparata con quanto si

riusciva a raccogliere nei campi, nell’orto o

nel bosco aggiungendo, quanto c’era, un po’

di pollame o di maiale. La zuppa è leggera,

ipocalorica e gustosa. Si può preparare di

sole verdure, con legumi, aggiungere aglio

e cipolla, carne, uova, soia, miso. Non è

solo nutriente, ma mette allegria. Si può

servire con crostini, fette di pane grigliato

o grattugiato vegetale. Si può guarnire con

prezzemolo tritato, erbe aromatiche, falde

di peperoni, dadini di zucca, scaglie di

Parmigiano Reggiano, piccoli fiori, bacche,

fiori di zucca e altro ancora.

15


to be you

Sogni che il tuo progetto di vita

sia sostenibile?

Emil Banca è al tuo fianco

con soluzioni pensate per chi,

come te, crede in un futuro

fondato sul rispetto di persone

e ambiente.

banktobe.emilbanca.it

È tempo di fare una scelta

che ti rappresenti.

3016

Messaggio pubblicitario con finalità

promozionale.

Bank to be winner: Per concorso i prodotti a premi di conto promosso corrente da rivolti

Emil Banca Credito Cooperativo ai consumatori valido dal è necessario 17/02/2025 fare

al 31/12/2025. Regolamento riferimento ai completo Fogli Informativi e modalità / Fascicoli di

informativi partecipazione a disposizione disponibili della clientela su

– unitamente https://banktobe.emilbanca.it.

alla Guida Banca d’Italia

Montepremi “Il conto totale corrente € 9.200€ in parole (iva inclusa). semplici” -

presso le filiali della Banca e nella sezione

Messaggio pubblicitario Trasparenza con del finalità sito internet promozionale. della Banca

Per i prodotti di conto corrente rivolti ai (www.emilbanca.it).

consumatori è

necessario fare riferimento ai Fogli Informativi / Fascicoli

informativi a disposizione della clientela – unitamente alla

Guida Banca d’Italia “Il conto corrente in parole semplici” -

presso le filiali della Banca e nella sezione Trasparenza del

sito internet della Banca (www.emilbanca.it).


SPECIALE PRODOTTI LOCALI

La quinta tappa del viaggio alla scoperta dei prodotti

De.Co. di Bologna e della Città Metropolitana

La brazadela medievale

e il carciofo dei Colli

A cura di Valentina Fioresi

Siamo alla quinta tappa del viaggio

alla scoperta di altri due prodotti (la

“brazadela” di Crevalcore e il carciofo

“Violetto di San Luca”) che vantano

la Denominazione Comunale. La

De.Co. è un riconoscimento fornito

dai comuni a prodotti agroalimentari

o attività tradizionali specifiche che

siano fortemente identitari di quel

luogo. Ad oggi sono 17 i prodotti

tipici iscritti al registro De.Co di

Bologna e dell’Area Metropolitana,

mentre i saperi tradizionali sono

cinque.

LA BRAZADELA TONDA

DI CREVALCORE

Chi non ha mai sentito parlare

della “brazadela”? Questo termine

particolare (ma non sicuramente

sconosciuto ai bolognesi) identifica

la ciambella, il dolce più tipico

delle colazioni fatte in casa, il più

“impalugante”* che c’è. Questo

effetto può essere facilmente mitigato

da un bicchiere di latte (o di vino…)

in accompagnamento alla fetta di

torta.

Qui vogliamo parlare in particolare

della “brazadela tonda” di Crevalcore,

che ha ottenuto il riconoscimento

De.Co. nel 2022. Di questo dolce

si trova traccia fin dal 1250 ed

era normalmente considerato un

prodotto tipico dei giorni di festa;

era anche consuetudine preparare

la brazadela in occasione della

cresima dei bambini, in un formato

più piccolo e confezionate con

nastri. La ricetta tipica prevede pochi

e semplici ingredienti (uova, farina,

burro, zucchero, buccia di limone)

e naturalmente l’utilizzo di uno

stampo che conferisca al dolce la

tipica forma col buco al centro. Una

piccola curiosità: sembra che il nome

“brazadela” derivi dal fatto che nelle

locande gli osti la tenessero infilata in

un braccio, mentre con l’altra mano

mescevano vino.

*(Impalugare = termine dialettale che

identifica la caratteristica specifica di

un prodotto, solitamente dolce, che

provoca un certo “allappamento”

mentre viene consumato. Il tasso

di impalugazione si può misurare

in scala che va da zero a “Tortino

Porretta”, il più temibile tra i dolci).

IL CARCIOFO VIOLETTO

DI SAN LUCA

Il “Violetto di San Luca” è una varietà

di carciofo tipica del bolognese,

coltivata nella zona dei colli

bolognesi, tra la città, San Lazzaro

di Savena, Ozzano nell’Emilia e

Pianoro.

I terreni argillosi presenti in queste

aree sono molto importanti per la

coltivazione di questo ortaggio: la

composizione del suolo gli conferisce

infatti il suo sapore particolare fresco

ed erbaceo, con note simili alla radice

di liquirizia. Queste caratteristiche,

unitamente al tipico colore violaceo,

hanno reso il “Violetto di San Luca”

un prodotto conosciuto e richiesto

in tutta l’Emilia Romagna e quindi

anche un’ottima fonte di reddito per

i contadini locali.

A partire dagli anni ‘70 l’abbandono

progressivo delle campagne e delle

coltivazioni agricole ha comportato

la quasi totale scomparsa di questo

carciofo: se la specie è sopravvissuta

fino ad oggi è in particolare per via

del lavoro della famiglia Albertazzi,

che ha continuato a coltivarla.

Oggi il “Violetto” vanta non solo il

riconoscimento De.Co. ma è anche

un presidio Slow Food, coltivato

nelle aziende che fanno parte dell’

“Associazione carciofo Violetto di

San Luca” (Podere San Giuliano,

Azienda agricola Ca’ de Cesari,

Azienda agricola La Galeazza,

Podere Castel de’ Britti e Podere

Chiesuola).

La coltivazione di questi carciofi

segue un particolare disciplinare:non

possono essere utilizzati fertilizzanti

chimici e la riproduzione delle

piante non avviene tramite semina,

ma per via agamica: per produrre

nuove piante vengono utilizzati i

“carducci”, polloni laterali asportati

dalla pianta madre. In generale la

regolamentazione segue i dettami

dell’agricoltura biologica.

Il “violetto di San Luca” viene

raccolto tra metà maggio e metà

giugno e può essere consumato

crudo, lessato o trasformato

(sott’olio, patè o creme). Anche i

“carducci” vengono utilizzati per la

produzione di trasformati, limitando

la produzione di scarti come nella

migliore tradizione contadina.

1731


NON TUTTI SANNO CHE

Il Patrono incarna a pieno lo spirito ribelle della città:

autonoma, indipendente, mai del tutto allineata

PETRONIO

Il santo del popolo

Testi di Serena Bersani - Foto di Guido Barbi

L’aggettivo “bolognese” ha due soli

sinonimi, uno di testa e uno di cuore:

“felsineo” e “petroniano”. Ma essere

petroniano è molto più che essere

bolognese: significa incarnare i valori

della città, condividerne l’anima e lo

spirito più profondo, in chiave più civica

che religiosa. Perché, quando si parla di

santi patroni, ci si aspetta un protettore

canonico, scelto dal clero. A Bologna,

invece, il patrono è un santo “civico”,

adottato dal popolo e dal Comune

prima ancora che dalla Chiesa. San

Petronio incarna lo spirito ribelle della

città: autonoma, indipendente, mai del

tutto allineata. Petronio rappresenta

l’anima orgogliosa di una città che non

ha mai smesso di difendere la propria

autonomia. Ogni 4 ottobre Bologna

rinnova questo patto antico, ricordando

che la sua forza non sta soltanto nelle

pietre di Piazza Maggiore, ma in un

legame spirituale e civile che dura da

oltre millecinquecento anni. Petronio

per i bolognesi non è solo un santo, ma

un’idea di città.

LE ORIGINI DEL CULTO

Capire come e perché nasca il culto

di un santo – e proprio di quello – al

punto da designarlo protettore e in

qualche modo anche simbolo della

città significa entrare nel profondo di

essa e uscirne con un ritratto dei suoi

sentimenti, della sua cultura e dei suoi

valori. Non è un caso che la diffusione

del culto dei santi coincida, come

periodo storico, con l’alto medioevo

e con l’avvento dell’età comunale. In

epoca medievale la città si distingue per

la presenza di un vescovo e il patrono

è di solito il proto vescovo o uno dei

primi, sulla cui tomba si costruisce una

nuova cattedrale. Inoltre, nei momenti

di grandi incertezze amministrative,

il vescovo rappresentava il principale

fattore di coesione cittadina. Non è

quindi un caso che soltanto a metà

del XII secolo si sia sentita l’esigenza

impellente di dare a Bologna un santo

protettore, che riposava indisturbato e

nell’indifferenza dei più da ben sette

secoli, finché i suoi resti non vennero

ritrovati da un padre benedettino

della basilica di Santo Stefano, che

proprio Petronio aveva fondato a metà

Giovanni di Balduccio

(1317-1349),

Basilica di Santo Stefano, Museo

Gabriele Brunelli, (1683)

Piazza Ravegnana, ora in Basilica

del V secolo sul modello della santa

Gerusalemme.

Ma a questo punto occorre fare

parecchi passi indietro rispetto a quel 4

ottobre dell’anno di grazia 1141 in cui

vennero ritrovati i resti di Petronio, che

non fu il primo, bensì l’ottavo vescovo

di Bologna, successore di Felice, l’unico

con il quale condivide la condizione di

santo. Della sua vita sappiamo quello

che ci raccontano due biografie, una

in latino e una in volgare, scritte in

epoca medievale e basate non su

fonti scritte, ma sulla tradizione orale,

nonché condite da personali fantasie.

Così, gli autori dell’agiografia finirono

con l’attribuire al santo tutte le opere

più significative della storia di Bologna,

compresa la fondazione dello Studium

che avvenne invece molti secoli dopo

la sua morte. Del resto, quando si parla

dei santi, non ci si può limitare alla

narrazione della vita e della morte, ma

occorre concentrarsi sui miracoli, a cui

si crede per fede o per campanilismo.

LE ORIGINI DEL SANTO

Il futuro patrono cittadino molto

probabilmente non nacque a Bologna,

ma forse a Costantinopoli figlio di un

alto funzionario imperiale alla corte

di Teodosio, o in Francia o Spagna

dove visse al seguito del padre,

discendente della famiglia dei Petronii,

prefetto pretorio delle Gallie. In ogni

caso, ebbe un’ottima educazione e

scelse ben presto la carriera religiosa

anziché quella civica. A renderlo il


Pietro di Giovanni Lianori

(1428-1460), Pinacoteca Nazionale

simbolo principale della libertà delle

istituzioni bolognesi fu il suo agire per

la ricostruzione della città una volta

nominatone vescovo, a metà del V

secolo. Una nomina che, tra l’altro,

era avvenuta su pressione della città

più che per decisione papale. Infatti,

si narra che, nell’anno 331, al papa

Celestino I fosse apparso in sogno San

Pietro – protettore di Bologna prima

di Petronio – per predirgli la nomina

di Petronio a vescovo della città e

che il giorno successivo fosse giunta

a Roma una delegazione di bolognesi

per annunciare la morte del vescovo

Felice e sollecitare la consacrazione di

Petronio.

All’arrivo del futuro patrono, Bologna

usciva distrutta dalle invasioni

barbariche e subito il nuovo vescovo

si diede da fare per la ricostruzione

delle mura di selenite, ponendo quattro

croci ai punti cardinali del territorio

per consacrarla e proteggerla dal male

e dando il via all’edificazione di una

serie di edifici riproducenti i luoghi

santi di Gerusalemme. Nacque così

la chiesa del Santo Sepolcro, primo

nucleo del complesso delle Sette

Chiese dedicato al protomartire Santo

Stefano, successivamente arricchito da

una serie di reliquie che Petronio riportò

da un suo viaggio a Costantinopoli.

Ovviamente, alla sua morte, nel 450,

volle essere sepolto nel complesso

stefaniano, dove rimase piuttosto

dimenticato fino al 1141. Questa,

in sintesi, vita e morte di Petronio.

Michelangelo (1494-1495),

parte superiore del Sarcofago

dell’Arca di San Domenico

Ma non mancano i miracoli, come

nella migliore tradizione agiografica.

Il pragmatismo dei bolognesi non

tramanda alcun evento prodigioso

avvenuto durante la sua permanenza

in città, ma sono ormai passati dalla

leggenda alla biografia del nostro

santo alcuni eventi miracolosi avvenuti

nella sua giovinezza. Si raccontava (e

lo dimostrano anche le riproduzioni

iconografiche della sua vita) che,

quando non era ancora sacerdote,

assistendo ai lavori di costruzione di

un edificio (il prototipo del bolognese

davanti ai cantieri è stato traslato anche

sul santo patrono) vide un muratore

travolto da una colonna che stava

ergendo. Petronio alzò gli occhi al cielo

e l’operaio si salvò, nonché la colonna

trovò da sé la corretta collocazione.

Un’altra leggenda, riprodotta anche in

un affresco della cappella Bolognini in

San Petronio, narra dell’assoluzione

data dal non ancora vescovo durante

una messa celebrata nel tempio

di Costantinopoli a un pellegrino,

uccisore del principe di Capua, che da

lungo tempo stava peregrinando per il

mondo portando sempre una pietra in

bocca per espiazione.

RISCOPERTA E CONSACRAZIONE

La riscoperta e la consacrazione

a protettore della città in epoca

medievale riproduce quasi sempre

San Petronio, in abiti vescovili, con

in mano un modellino di Bologna,

a significare l’andata in porto

Lorenzo Costa, particolare (1502),

Pinacoteca di Bologna

dell’operazione che aveva fatto di

questa figura un simbolo dell’identità

cittadina e dell’autonomia dei poteri

locali - chiesa, comune e università

– apertamente anticentralisti. A

compimento di ciò, il Comune decise

di erigere in suo onore una chiesa

degna della sua grandezza, che doveva

superare per dimensioni persino San

Pietro a Roma. La prima pietra fu posta

nel 1390, ma il progetto grandioso

rimase incompiuto, bloccato dalla

Chiesa e dalle difficoltà finanziarie.

La chiesa metropolitana, il “duomo”

di Bologna, è rimasta San Pietro, ma

la maestosità di San Petronio che

domina la piazza è un simbolo della

città e, in quanto tale, senza rivali.

L’incompiutezza della facciata rende

la basilica unica nel suo genere,

bella e allo stesso tempo imperfetta

come chi abita la città accolta tra le

mani del suo santo patrono. Che il

culto civico di San Petronio sia stato

frutto di un’operazione politica di

stampo autonomista e repubblicano

piuttosto che di un moto spontaneo

di devozione popolare, oggi i due

aspetti appaiono perfettamente fusi e

in equilibrio. Ogni 4 ottobre, ancora

nel terzo millennio, Bologna celebra il

proprio simbolo, ad un tempo religioso

e civico, richiamo vivo a un’identità

che si riconosce più nella comunità

che nell’individualismo, più nella

piazza condivisa che nell’isolamento.

Buon San Petronio.

19


SUCCEDE SOLO A BOLOGNA

San Petronio è un luogo

magico, da conoscere con

le visite guidate gratuite di

Succede solo a Bologna.

In occasione del Giubileo

2025 non mancano i tour

dedicati all’arte sacra nelle

altre chiese cittadine

Alla scoperta

della Basilica

“Surge nel chiaro inverno la fósca turrita Bologna, e il colle

sopra bianco di neve ride. È l’ora soave che il sol morituro

saluta le torri e ’l tempio, divo Petronio, tuo; le torri i cui merli

tant’ala di secolo lambe, e del solenne tempio la solitaria

cima.” Comincia così “Nella piazza di San Petronio”, celebre

poesia di Giosuè Carducci dedicata alla piazza più famosa di

Bologna, Piazza Maggiore. Sotto le Due Torri il poeta, primo

italiano a vincere il Premio Nobel per la Letteratura, visse

per diversi anni, mentre insegnava all’Università di Bologna,

e proprio qui morì nel 1907. Alla città che l’ha ospitato per

tanto tempo dedicò, nel 1877, questa poesia. Bastano poche

parole per trovare uno dei simboli di Bologna, evidentemente

tanto caro a Carducci: la Basilica di San Petronio. Questo

luogo si erge, mostrandosi in tutta la sua bellezza, da secoli.

È il tempio civico della città. Nel 1388, infatti, il Consiglio

Generale dei Seicento aveva deciso di costruire una chiesa

dedicata al suo Santo Patrono, San Petronio, con lo scopo di

ringraziare per la libertà civica di cui la città godeva in quel

periodo storico, con l’augurio che proseguisse in futuro.

La Basilica è quindi legata a San Petronio, vescovo di Bologna

dal 431 al 450, celebrato in tutta la città il 4 ottobre. Anche

nel mese di ottobre – e in quelli successivi - non mancano

le visite guidate gratuite di Succede solo a Bologna per

ricordare questa ricorrenza, la storia e i tanti primati che da

secoli contraddistinguono uno dei monumenti cittadini più

Il calendario delle visite guidate organizzate

da Succede solo a Bologna, sempre aggiornato, lo trovate

su www.succedesoloabologna.it. Tutte le visite sono svolte

da guide professioniste e sono gratuite con donazione finale

facoltativa a favore del progetto di crowdfunding “Monuments

Care” con cui l’ente si prende cura dei luoghi di interesse

turistico di Bologna e provincia. Per informazioni e prenotazioni è

possibile contattare il numero 0512840436 o scrivere a

prenotazioni@succedesoloabologna.it.

prestigiosi. San Petronio conserva infatti ancora al suo interno

un prezioso patrimonio artistico, oltre alla meridiana più

lunga del mondo e a un organo della fine del Quattrocento

ancora funzionante. Le guide professioniste di Succede solo

a Bologna porteranno così i visitatori alla scoperta della

Basilica, costruita fra il 1390 e il 1663. La posa della prima

pietra avvenne infatti il 7 giugno di 635 anni fa, mentre la

sua costruzione si protrasse per diversi secoli. Il risultato,

ancora oggi visibile a tutti, è assolutamente maestoso (132

metri di lunghezza, 60 di larghezza e 44 di altezza) e rende

la chiesa uno dei più significativi esempi di cattedrale gotica

italiana.

Al suo interno è anche possibile trovare alcuni record. Nella

Basilica di San Petronio è ad esempio conservato l’organo

monumentale a registri indipendenti più antico al mondo.

Lo strumento di Lorenzo di Giacomo da Prato, situato sul

lato destro del presbiterio, fu costruito tra il 1471 e il 1475

L’interno della Basilica

La meridiana più grande del mondo

20


San Petronio

giubilari. Tra i monumenti gestiti da Succede solo a Bologna

c’è anche la Cripta di San Zama, in via dell’Abbadia,

protagonista di numerose visite guidate organizzate

dall’ente. Si tratta di uno dei luoghi più antichi della città,

dove affondano le radici cristiane di Bologna e dove è

possibile viaggiare attraverso i secoli, dall’epoca romana a

quella napoleonica. Un vero e proprio gioiello nascosto, un

luogo nel quale già nel III secolo d.C esisteva il primo e più

importante centro di diffusione del cristianesimo.

ed è il primo grande strumento a registri indipendenti, poiché

ne possiede ben dieci, quasi il doppio del numero consueto.

Dalla musica alla scienza. Nella navata sinistra della Basilica

si può ammirare la meridiana più lunga del mondo. L’opera

è lunga ben 67 metri e fu realizzata da Giovanni Domenico

Cassini, professore di Astronomia all’Università, nel 1655.

Cassini scelse la Basilica della città perché era l’ambiente più

vasto in cui poter realizzare il suo lavoro e perché c’era già

una meridiana più piccola, costruita nel secolo precedente.

La meridiana indica con precisione il mezzogiorno locale

grazie a un piccolo foro praticato sul tetto, da cui entrano

i raggi solari che si proiettano sul pavimento. Il 21 giugno

(giorno del solstizio estivo) del 1655 Cassini invitò tutti i

matematici e professori universitari ad osservare il transito

del sole grazie alla meridiana. Quest’anno sono quindi 370

anni da questa speciale osservazione del solstizio.

E non è l’unica ricorrenza. Il 2025 è infatti anche l’anno del

Giubileo e anche in virtù di questa occasione non mancano

le visite guidate di Succede solo a Bologna all’interno della

Basilica di San Petronio e di tante altre chiese cittadine e

della provincia. Un calendario ricco, che ogni mese riserva

novità, alla scoperta del patrimonio artistico dei luoghi

sacri del territorio. Sono in programma, ad esempio, tour

all’interno del Santuario della Beata Vergine di San Luca,

sul Colle della Guardia, che è tra l’altro una delle chiese

Le altre Basiliche

Poi ci sono le basiliche del centro storico, che custodiscono al

loro interno opere e particolarità uniche nel loro genere. Tra

le più famose, sono numerose le visite guidate organizzate

nelle Basiliche di San Francesco e di Santo Stefano. La prima

venne eretta nel XIII secolo, costituisce uno dei primi esempi

di stile gotico di derivazione francese in Italia e riserva

molte sorprese, come le tombe dei Glossatori della Scuola

bolognese (ovvero fra i primi e più importanti professori dello

Studium) al suo esterno e la grande pala marmorea di gusto

squisitamente gotico che fa da quinta all’altare maggiore,

all’interno. Impossibile non citare, poi, la Basilica di Santo

Stefano, uno dei luoghi di culto più antichi della città. Il

complesso delle Sette Chiese, come viene chiamato, è tra i

monumenti più visitati della città ed è composto, appunto,

dall’unione di più edifici sorti in epoche diverse. Durante la

visita guidata si approfondirà così la storia della chiesa del

Crocifisso e della Trinità, oltre alle Basiliche dei SS. Vitale

e Agricola e del Santo Sepolcro e al Cortile di Pilato. Un

viaggio, insomma, che ripercorre tutte le epoche e i diversi

stili che si sono stratificati nei secoli.

Nel calendario di Succede solo a Bo non mancano la

Basilica di San Giacomo Maggiore di Piazza Rossini -

splendido esempio di architettura del XIII secolo-, la chiesa

di San Giovanni in Monte, che ospita al suo interno un

importante patrimonio artistico con opere di Guercino,

Niccolò dell’Arca e Lorenzo Costa, e la Basilica di San

Martino di via Oberdan con le straordinarie opere d’arte

conservate al suo interno, dipinte da Carracci, Amico

Aspertini, Lorenzo Costa e Paolo Uccello. Il calendario dei

tour si completa poi con altre proposte come la Basilica

di Santa Maria Maggiore in via Galliera, più antica chiesa

bolognese dedicata alla Madonna, la chiesa di San Nicolò

degli Albari, gioiello rococò di via Oberdan, la Cattedrale

di San Pietro, la chiesa dei Santi Gregorio e Siro di via

Montegrappa, il Santuario del Ss. Crocefisso del Cestello e

la Chiesa ortodossa di San Basilio il Grande in via Sant’Isaia.

Non solo città. Da tempo Succede solo a Bologna organizza

il mercoledì sera visite guidate in dialetto bolognese anche

in provincia, al di là dei confini cittadini. Tra queste, non

mancano le proposte dedicate all’arte sacra, come la Pieve

di Sala Bolognese e la Collegiata di San Giovanni Battista a

San Giovanni in Persiceto.

Alfonso Torreggiani, la Cappella barocca che racchiude

il monumentale reliquiario di San Petronio, in Basilica

21


IN GIRO con confguide

Dopo due anni di lavori riapre la chiesa

di via San Felice. Una visita guidata

racconta i segreti dell’antico Borgo di cui

parla Dante nel De Vulgari Eloquentiae

Santa Maria

della Carità

Testi di Sandra Sazzini - Confguide

La chiesa di Santa Maria della Carità ha finalmente riaperto

dopo due anni di intensi restauri. I lavori hanno riparato i diffusi

danni strutturali provocati dal terremoto del 2012 alla copertura

e alla complessa decorazione delle volte dipinte. L’evento è

stato celebrato con una serie di manifestazioni nel quartiere

indicate sotto il nome di Shekinà, una parola della spiritualità

ebraica che indica la presenza divina in uno spazio accogliente,

di amicizia e comunione, aperto alla comunità del quartiere.

Le celebrazioni sono culminate con la messa inaugurale officiata

dal Cardinale Matteo Maria Zuppi il 14 settembre scorso,

mentre le visite guidate svolte da Confguide sotto l’egida di

Ascom hanno contribuito a riscoprire e valorizzare la chiesa e

gli altri luoghi sacri dell’area tra San Felice, via della Grada e via

Riva Reno. Il complesso parrocchiale di Santa Maria della Carità

(SAMAC) è infatti una delle realtà cittadine più importanti. Qui

è l’antico Borgo di San Felice, di cui parla anche Dante nel De

Vulgari Eloquentiae: da fine linguista, egli distingue l’accento del

Borgo dal bolognese allora parlato in piazza di Porta Ravegnana.

Nell’ex convento del Terz’Ordine francescano, trasformato

dagli austriaci in carcere politico, fu tenuto prigioniero anche

padre Ugo Bassi prima dell’esecuzione. Nel 1901 nacque qui la

Società Ginnastica Fortitudo, “Casa Madre” della Fortitudo

Pallacanestro Bologna.

La chiesa

La chiesa di Santa Maria della Carità ha origini lontane:

la prima chiesa romanica sorse nel 1252, accanto a

un hospitale, fondato a proprie spese da don Egidio

Venecello per ricoverare i pellegrini lungo quella che era

l’antica via Emilia. Dapprima sotto l’autorità dell’abate di

Monteveglio, l’intero complesso venne successivamente

affidato alle cure dei Frati del Terzo Ordine Francescano

o della Penitenza. La chiesa nelle forme attuali venne

iniziata da Pietro Fiorini nel 1580, secondo il modello

della grande aula post-tridentina, per essere completata

un secolo dopo da Giovan Battista Bergonzoni, un frate

architetto dell’ordine francescano, che allungò la cappella

maggiore e allargò le due cappelle laterali. Suo è anche

il progetto della bellissima Sacrestia con i due grandi

armadi, dove venne successivamente realizzato il altare

settecentesco della statua della Madonna della Carità in

terracotta, inquadrata tra grandi angeli in stucco.

Tra Sacrestia e Chiesa si contano oltre 60 opere d’arte che

22


VISITE GUIDATE

a Santa Maria della Carità

e San Valentino della Grada

con Sandra Sazzini

Domenica 9 novembre | ore 15

Sabato 13 dicembre | ore 15

Prenotazione obbligatoria

sandra.sazzini@gmail.com

cell. 3391606349.

spaziano dal Cinquecento all’Ottocento, opera di alcuni

dei maggiori artisti bolognesi: Marcantonio Franceschini,

Giuseppe Crespi e figlio, Felice Cignani, Galanino, Cesare

Aretusi, Valesio, Lorenzo Franchi.

La star è tuttavia Annibale Carracci con la sua Crocifissione

del 1583, il discusso e affascinante manifesto delle novità

introdotte dai “cugini” nella pittura bolognese, che oggi

il nuovo impianto di illuminazione mette in risalto, con il

corpo naturale del Cristo che si staglia contro il cielo buio.

Al di sotto risplende il nuovo confessionale in metallo,

fortemente voluto da Don Davide, con all’interno opere

meditative di Ettore Frani. Le nuove luci rivelano anche le

complesse pitture ottocentesche delle volte, pazientemente

stuccate e ripulite lungo le navate e nella cappella

maggiore, che era già stata riparata nel 1951 dopo i danni

dei bombardamenti.

L’itinerario nel Borgo

L’itinerario prosegue verso la graziosa e raccolta chiesa di

Santa Maria e San Valentino della Grada, ora aggregata

alla parrocchia di Santa Maria della Carità. Costruita nel

1632 dalla devozione popolare intorno all’immagine

della Madonna dipinta sulle mura, a ringraziamento della

protezione ricevuta contro la peste, la chiesa a pianta

quadrata mostra ancora il soffitto ligneo a cassettoni di

Antonio Levanti, lo stesso architetto che ha progettato il

Bologna

Teatro Anatomico dell’Archiginnasio. Diversi artisti legati al

Collegio Venturoli hanno collaborato al restauro neoclassico

commissionato dal Conte Salina, che divenne proprietario

della Chiesa dopo gli espropri napoleonici. Altri elementi

preziosi sono le cantorie in legno, l’organo, dotato di alcune

canne molto antiche del leggendario organaro Giovanni

Cipri, e la teca settecentesca del capo di San Valentino, qui

venerato - ahimè - non come romantico protettore degli

innamorati ma degli infermi.

L’Oratorio di San RoccO

L’ultimo gioiello del quartiere, più volte recuperato e

ripulito dopo le peripezie della storia, i disastri della guerra

e l’abbandono, è l’oratorio di San Rocco collocato sopra

l’omonima chiesa, oggi affidata al culto ortodosso. L’edificio

porticato, costruito anch’esso contro le mura, funge da

elegante sfondo architettonico alla strada del Pratello.

La chiesa fu voluta dalla Confraternita di San Rocco cui

appartenevano i filatoglieri, ovvero i famosi lavoratori della

seta di Bologna, che si raccoglievano in preghiera al piano

superiore. L’oratorio, oggi sede del Circolo culturale lirico

Bolognese grazie anche all’ottima acustica, presenta un

soffitto a cassettoni decorati nella luce interna dai principali

pittori della città tra Seicento e Settecento, alternando figure

di santi, evangelisti, dottori della chiesa e virtù cristiane.

La decorazione architettonica a fascia, intercalata da

illusionistici telamoni, appartiene a Girolamo Curti, detto

il Dentone, che come i Carracci ed altri pittori abitava

proprio nel Borgo San Felice. Nei riquadri delle pareti

scorrono gli episodi della vita di San Rocco, cui si sono

applicati gli allievi di Ludovico Carracci, grande amico della

Confraternita: dalla nascita, al soccorso degli appestati, alla

malattia e all’incarceramento, meravigliosamente dipinto dal

Guercino stesso, fino alla morte in prigione di questo santo

medioevale, umile e generoso, così venerato in Francia e

Italia a protezione dalle ondate di peste che regolarmente

affliggevano la popolazione. All’uscita, uno sguardo alle

tracce di un’antica apertura murata ci ricorda che qui si

apriva la misteriosa tredicesima porta di Bologna, con la

sua storia di sangue. Pare che da qui fuggissero i congiurati,

dopo aver ucciso a tradimento Annibale Bentivoglio il 24

giugno 1445. Così, per vendetta, gli amici e gli alleati dei

Bentivoglio la murarono per sempre.

23


Tracce di sTOria

L’antica strê San Donè è come un museo,

dalle bellissime sedi dell’Alma Mater fino

al Comunale e oltre. Tra un Crocifisso

sorridente e una ‘Partita a Tarocchi’, tante

meraviglie da godere… gratuitamente

Una galleria d’arte

lunga tutta via Zamboni

Testo di Gian Luigi Zucchini

Sulla torre della Specola

A Bologna c’è una strada che è come

un’ampia galleria d’arte, che si può

visitare con neve, pioggia o sole rovente.

Si tratta di Strada San Donato (strê San

Donè, in dialetto), oggi via Zamboni, in

memoria di Luigi Zamboni, condannato

a morte da un tribunale austriaco e

suicidatosi in carcere a soli 23 anni.

Gli ingressi in questa spettacolare

quadreria sono quasi tutti gratuiti, e

quindi parrebbe conveniente che molti

ne approfittassero, di tanto in tanto.

Scorriamo pertanto, come in un volo,

questo prezioso itinerario:

Dopo la piccola chiesa “Divo Donato

dicata”, al n. 10 di via Zamboni,

abbelita da decorazioni barocche, un

tempo bellissime, oggi purtroppo molto

deteriorate, ci troviamo nello slargo

di piazza Rossini. Di fronte, si impone

l’ampia facciata della chiesa di San

Giacomo Maggiore (erroneamente si

dice dedicata a santa Rita, che pure si

venera in quel santuario); da lì facciamo

scorrere l’occhio sul lungo portico

che, in una fuga di colonne e preziosi

capitelli, termina in piazza Verdi, dove

sorge il settecentesco teatro Comunale,

ricco di storie musicali. Mentre

siamo ancora fermi in piazza Rossini,

diamo un’occhiata alla lapide che,

sul lato destro, ricorda che lì abitava

l’aristocratica famiglia dei Lambertini,

e lì nacque e visse la propria infanzia

Piazza Verdi

quel personaggio, famosissimo a

Bologna, che fu Prospero Lambertini,

prima sacerdote, poi arcivescovo e

cardinale, infine papa col nome di

Benedetto XIV. E proprio lì di faccia, nel

cinquecentesco palazzo Magnani, al n.

20, sono conservati gli affreschi delle

“Storie di Romolo e Remo” dei giovani

Carracci, insieme ad altri importanti

dipinti di arte antica e moderna dell’ex

Credito Romagnolo (ora Unicredit)

che vanno dal Cinque-Seicento

(Dosso Dossi, Guercino, ecc. ) fino al

Novecento (De Pisis, Morandi, ecc.).

L’ingresso è gratuito. Per informazioni e

prenotazioni, tel. 051 2962504, (ore 9

-17,30), dal lunedì al venerdì.

Da qui, percorrendo il lato sinistro

della via Zamboni, al n. 22, si incontra

Palazzo Malvezzi-Campeggi, oggi sede

della Facoltà di Giurisprudenza. Si dia

almeno un’occhiata al cortile, dove si

trova una grande statua di Ercole scolpita

da Giuseppe Maria Mazza, artista che

incontreremo ancora più avanti, nella

stessa via Zamboni. Volendo, sarebbe

poi interessante vedere l’imponente

Aula Magna, che conserva affreschi e

grandi dipinti di battaglie.

Non si trascuri, in questo rapido

excursus, l’interno della chiesa di san

Giacomo, ricchissima di opere d’arte,

tra cui la Cappella Bentivoglio con

affreschi importandi di Lorenzo Costa,

e soprattutto l’Oratorio di Santa Cecilia,

al n. 15, il più importante documento

pittorico del Rinascimento bolognese,

24


Bologna

Il Crocefisso sorridente

Chiesa di Santa Maria Maddalena

comprendente le storie di Santa Cecilia

e Valeriano, affrescate da Lorenzo

Costa, Amico Aspertini, Francesco

Francia e altri minori.

Superata la piazza dedicata a Giuseppe

Verdi, passiamo sul lato destro della

strada ed entriamo nel fastoso palazzo

fatto costruire dal cardinale Giovanni

Poggi alla metà del XV secolo e diventato

poi sede dell’Accademia delle Scienze.

Non si trascuri, a questo punto, di dare

un’occhiata agli affreschi realizzati tra

il 1549 e il 1551 da Pellegrino Tibaldi

sul tema dell’Odissea, prima di entrare

dall’ingresso principale della sede

centrale e del Rettorato dell’Alma Mater

Studiorum - Università di Bologna.

Qui hanno sede alcuni importanti

musei (Museo di Palazzo Poggi, Museo

Europeo degli studenti, Museo della

Specola) collocati nelle sale del palazzo,

ricco di affreschi cinquecenteschì; tra

gli altri, di grande effetto è “La Partita

a tarocchi” e “Il Convito” eseguiti da

Compianto sul Cristo morto,

di Giuseppe Maria Mazza

Chiesa di Santa Maria Maddalena

Nicolò dell’Abate tra il 1550 - 51, in cui

si rappresenta un festoso incontro, con

dame e cavalieri che indossano curiosi

cappellini piumati.

All’uscita, l’ escursione continua; dopo

pochi metri, arriviamo nella piazzetta

dedicata al noto fumettista Roberto

Raviola detto Magnus, all’incrocio tra via

Zamboni e via De Rolandis, lo studente

patriota che, insieme a Zamboni, fu

condannato a morte e fucilato dagli

Austriaci. Qui si trova la Pinacoteca

Nazionale (v. Belle Arti, 56), una delle

raccolte d’arte più importanti d’Italia,

con opere che vanno dal Trecento

bolognese (in apertura, come ouverture,

lo straordinario dipinto su tavola “San

Giorgio e il drago”, di Vitale da Bologna),

fino al Sei - Settecento, con i nomi più

prestigiosi del Seicento bolognese, quel

‘barocco’ che in questa città emerse

come innovazione, quasi realizzazione

in pittura di quel ‘parlar disgiunto’ a cui

faceva cenno Scipione Gonzaga, in una

lettera indirizzata a Torquato Tasso l’1

ottobre del 1575, per indicare, come

pure in letteratura, fosse necessario uno

stile aperto all’invenzione linguistica ed

espressiva, come già stava avvenendo in

pittura.

Ma l’esplorazione non finisce qui,

come di solito di pensa, trascurando

purtroppo l’ultimo tratto della via

Zamboni. Pertanto, lasciata alle spalle la

Pinacoteca Nazionale, entriamo subito

nella chiesa che sorge quasi di fronte,

dedicata a santa Maria Maddalena. Qui,

presso l’altare, a sinistra entrando, è stato

collocato un Crocifisso, che sembra

trasformare la smorfia di dolore in un

mesto sorriso, per cui è stato definito ‘il

Crocifisso sorridente’.

Il pezzo, appeso al muro in una sala

interna del complesso parrocchiale

insieme ad altri crocifissi di mediocre

fattura, fu notato per la severa qualità

dell’intaglio, tale da non sembrare opera

settecentesca, come pareva vedendo

il perizoma del Cristo drappeggiato

con rifiniture in oro. Infatti, sottoposto

ad un attento restauro, risultò essere

opera tardo-medioevale, molto

probabilmente di ascendenza tedesca.

Per cui fu eliminato il perizoma barocco

e sostituito con un altro più sobrio e

severo, e l’intero corpo del crocifisso

ripulito da vecchie incrostazioni e

ridipinture non corrette. E si cerò di

valorizzare ulteriormente il volto, che

l’artista medioevale - consapevole o

no – aveva modellato trasformando

l’espressione sofferta del Cristo in una

specie di doloroso sorriso.

Nella chiesa inoltre ci sono altre opere

da non trascurare, di artisti bolognesi:

Lippo di Dalmasio, Angelo Piò, Tiburzio

Passerotti, Carlo Cignani, i Gandolfi,

Alessandro Guardassoni, Giuseppe

Marchesi detto ‘il Sansone’ e altri

ancora. Tra tutti, emergente, la stupenda

terracotta del Compianto sul Cristo

morto, di Giuseppe Maria Mazza, con

le tre Marie disperate e il corpo del

Crocifisso disteso pietosamente su un

candido lenzuolo funebre. L’opera è

uno, o forse il capolavoro giovanile, di

Giuseppe Maria Mazza, artista di rilievo

non soltanto locale, che si distinse per

i numerosi lavori di carattere sacro e

profano (si veda l’articolo che si fece

su questa stessa rivista in occasione

dei restauri a cui fu sottoposta l’opera.

Insieme, nello stesso aticolo, una

citazione del ‘Crocifisso sorridente’ ).

All’uscita, non si abbandoni la strada:

ci sono ancora suggestive sorprese: i

musei di petrografia e di paleontologia

e il maestoso arco dell’antica porta, con

cassero e resti delle mura cittadine, che

conserva ancora il nome di Porta San

Donato e non porta Zamboni, come

molti bolognesi ancora dicono.

Alcuni aspetti di questo itinerario

non rientrano strettamente nel campo

dell’arte, ma sono comunque cultura:

e tutto contribuisce ad arricchire

questa città di una preziosa eredità

di arte, di storia e di vita, che sarebbe

doloroso e ignobile trascurare o, peggio,

dimenticare.

25


3026

IN GIRO CON APPENNINOSLOW

I più bei tracciati del Cai

per apprezzare i colori

dell’autunno e scoprire

luoghi insoliti, dalla cascata

dell’Acqua Caduta al borgo

fantasma di Chiapporato

La magia

del foliage

in quattro

percorsi

Testi di: Valentina Fioresi

Foto di: Giovanni Zati

Il foliage: uno spettacolo di colori e sfumature

che dipinge i boschi dell’Appennino durante

l’autunno, a cavallo tra ottobre e novembre.

Prima che le foglie cadano gli alberi sfumano

dal verde brillante dell’estate verso tonalità

gialle, arancioni e marroni, conferendo alle

foreste l’aspetto di un mosaico, intervallato

soltanto da macchie scure di sempreverdi

come abeti e cedri. Passeggiare tra boschi

e crinali durante la stagione autunnale vuol

dire camminare col naso all’insù, immersi in

una tavolozza di colori caldi. Ecco qualche

consiglio per scoprire il lato più vivo della

stagione autunnale in montagna.

La Scola

MONTEACUTO E LA CASCATA

DELL’ACQUA CADUTA

Monteacuto delle Alpi si trova all’interno

del Parco Regionale del Corno alle Scale,

adagiato su un crinale che domina la

valle del Silla e il corso del più nascosto

rio Baricello. Dall’abitato di Monteacuto,

poche case e atmosfera che più medievale

non si può, si scende lungo un’antica strada

lastricata (oggi sentiero CAI 109) che conduce

prima al mulino della Squaglia (dove un

tempo si macinavano le castagne raccolti

nei numerosi castagneti intorno al paese)

e poi al santuario di Madonna del Faggio.

L’edificio venne costruito a metà ‘700, in

seguito all’apparizione dell’immagine della

Madonna su un albero: un evento che viene

ancora oggi celebrato il 26 luglio di ogni

anno. Dal santuario si prosegue tra piccole

salite e discese lungo il rio Baricello, immerso

tra gli ordinati faggi che punteggiano i

versanti. Dopo qualche km si raggiunge

finalmente la cascata dell’Acqua Caduta, non

imponente come altri salti presenti nell’area

Montovolo

del Belvedere ma ugualmente affascinante,

nascosta e misteriosa. Superata la cascata si

prosegue fino a Pian dello Stellaio, un prato

che si apre tra gli alberi, e poi sul sentiero CAI

101 fino al “Rombicciaio”, un luogo custodito

da imponenti faggi secolari, veri e propri

pezzi di storia del bosco. Successivamente il

sentiero CAI 143 ci condurrà al passo della

Donna Morta, un luogo che, a discapito della

toponomastica, appare accogliente, grazie

alla presenza di un bivacco sempre aperto.

Ormai siamo più o meno a metà del trekking:

il sentiero 111 ci riporterà a Monteacuto,

attraverso spettacolari faggete dove si possono

ancora vedere tracce che testimoniano quanto

un tempo i boschi fossero importanti e vissuti:

muretti a secco, casoni, antiche dimore e

lastricati.

MONTE DI STAGNO

E BORGO DI CHIAPPORATO

I boschi tra il lago di Suviana e quello del

Brasimone (entrambi i bacini si trovano

all’interno dell’omonimo parco regionale)

non sono troppo frequentati dai camminatori,

ma non hanno nulla da invidiare rispetto

ad altri luoghi più “gettonati”. Il Monte

di Stagno, Monte Calvi, il Poggio delle

Vecchiette, il Monte Gatta sono solo alcuni

dei rilievi che si trovano in questa zona,

dove si alternano boschi misti e, a quote più

elevate, vaste faggete. Partendo dal piccolo

abitato di Stagno, da cui si può ammirare

un meraviglioso panorama che abbraccia il

lago di Suviana, si può raggiungere il Monte

di Stagno (1213 mslm) camminando lungo

il sentiero CAI 155, totalmente immerso nei

boschi. Dopo un meritato riposo in cima al

monte si ripiega verso Stagno seguendo il

sentiero 009. Sempre da Stagno è possibile

raggiungere anche il borgo abbandonato di

Chiapporato, grazie a una comoda e semplice

passeggiata su strada sterrata. Disabitato dal

2013, il piccolo gruppo di case versa in uno

stato di abbandono che conferisce all’area


Autunno 2025

Tresana

un aspetto romantico e decadente: visitarlo

durante il periodo del foliage non fa che

amplificare questa particolare percezione.

MONTOVOLO E MONTE VIGESE

Una deviazione di pochi km dalla Porrettana

(la via di comunicazione che unisce Bologna

e Pistoia, passando per Porretta Terme come

punto intermedio) ci conduce nel comune di

Grizzana Morandi, in un’area dove un tempo

si estraeva la pietra arenaria, fondamentale

per l’attività degli scalpellini e per la

costruzione degli edifici. Alcune cave sono

ancora visibili, tra castagneti e ripide strade di

montagna, così come i risultati del lavoro di

questi artigiani che nei secoli hanno decorato

finestre, architravi e cantonate dei borghi

della zona: la famosa “Scola”, Predolo, Sterpi,

Campolo. Tutti questi luoghi negli ultimi anni

hanno visto una riscoperta dell’arte della

lavorazione della pietra, grazie a diverse

associazioni locali che tramandano questa

attività tradizionale. Merita sicuramente una

visita (e raggiungibile sia in auto che a piedi

-CAI 0039-) anche Montovolo, un rilievo di

962 mslm dove si possono visitare il Santuario

omonimo e il piccolo oratorio di Santa

Caterina d’Alessandria. Imperdibile anche lo

spettacolo naturalistico: una volta emersi dai

colorati castagneti si può raggiungere la cima

del monte e ammirare il panorama sconfinato

sulla vallata circostante. Merita anche una

camminata sulla cima del monte Vigese,

raggiungibile da Montovolo tramite i sentieri

VMDBO 008 e 039B. L’ultimo tratto presenta

una salita piuttosto decisa, che si snoda tra

boschi misti di querce e castagni, che solo

al termine del sentiero lasciano spazio a

qualche faggio.

Monte Vigese

INTORNO A PORRETTA TERME

Una manciata di abitazioni a pochi km da

Porretta Terme: questa è Madognana, località

immersa tra i colori e la frescura dei boschi

che ricoprono il Monte della Croce; l’abitato

si può raggiungere direttamente da Porretta

grazie al sentiero CAI 103. Le poche case

di Madognana sono raccolte intorno alla

suggestiva piazza, dove sorge anche la chiesa,

abbellita dagli affreschi del pittore ungherese

Adam Kisléghi-Nagy. La passeggiata prosegue

poi verso il Monte della Croce lungo il

sentiero CAI 101: impossibile non fermarsi al

belvedere per ammirare la vista su Porretta.

Lo spettacolo dei castagneti in autunno si può

ammirare anche a Tresana (il “borgo delle

ortensie”), un piccolo gruppo di case in sasso

immerse in un curato castagneto. Tresana si

può raggiungere anche in auto, ma il modo

migliore è a piedi, tramite il sentiero CAI 147

partendo dai prati del Monte Piella oppure dal

già citato Santuario di Madonna del Faggio.

STAMPATORI

DAL 1977

STAMPA

Offset

Digitale

Promozionale

Commerciale

Editoriale

Confezione

Legatoria

Packaging

L’ESPERIENZA CHE

FA LA DIFFERENZA

BERTINORO (FC) 0543 448038

gegraf@gegraf.it www.gegraf.it

2731


3028

TREKKING

Le prime due tappe del

“Tesori del Reno”, percorso

ad anello da fare a piedi o in

MTB con partenza e arrivo

a Vergato per conoscere

le eccellenze storiche,

artistiche e naturali della

media valle del Reno

Da Ontani

alla Rocchetta

A cura di Daniele Fini

Partenza dal municipio di Vergato

Nel numero di luglio abbiamo presentato

il nuovo Cammino nato dalla scintilla

scoccata tra Davide Muzzarini e

l’Associazione Teamleggero aps-asd:

Davide ha portato l’idea e l’Associazione

di Rocca di Roffeno l’ha “messa a

terra” con la collaborazione di Trekking

Italia Emilia Romagna. Il Cammino,

convintamente sostenuto da Emil Banca e

pensato per il trekking e la mountain bike,

si snoda quasi interamente su sentieri

CAI già presenti e attraversa i territori

di Vergato, Grizzana Morandi e Castel

d’Aiano per una lunghezza totale di circa

90 km (il “circa” è frutto della presenza di

alcune varianti di diverso chilometraggio

Sculture Faggioli - Predolo

pensate alternativamente per utenti

praticanti o utenti esperti).

Fruibile tutto l’anno, anche se nel periodo

invernale la percorrenza è subordinata

alle condizioni meteorologiche, è stato

pensato per soddisfare il piacere di

muoversi tra le montagne e le valli del

medio Reno dove è presente una grande

ricchezza di biodiversità vegetale e

animale e, al pari, per dare valore ai tanti

“tesori” diffusi su tutto il territorio: dalle

testimonianze storiche, spirituali, artistiche

e architettoniche alle spettacolari risorse

naturalistiche. In questo numero vogliamo

spiccare con voi un volo planato sulle

prime due tappe a piedi (fuse in un’unica

tappa per le mtb) per farvi scoprire cosa vi

attende in questa avventura.

Vergato - Grizzana Morandi

La tappa degli artisti (13 km)

La tappa che dà il via al nostro viaggio

parte dal municipio di Vergato, che

ha sede nel Palazzo dei Capitani della

Montagna, un edificio storico che fu la

sede del Capitanato della Montagna dal

Quattrocento fino all’inizio del Settecento;

la sua facciata è impreziosita da stemmi e

iscrizioni dei Capitani, e l’interno ospita

vetrate e museo del maestro locale Luigi

Ontani, l’artista che ha anche realizzato

nella piazza della stazione l’originale

fontana di marmo e bronzo raffigurante

un fauno antropomorfo. Immediatamente

ci si incammina sulla stretta via Bacchetti

dove sono presenti numerose opere

artistiche.

Attraversato il ponte sul fiume Reno in

direzione Grizzana Morandi si imbocca

il sentiero CAI n. 174 che si inerpica

decisamente sul versante grizzanese; il

rapido guadagno di quota apre alla vista

di un piacevole panorama sulla valle del

Reno e sul maestoso Corno alle Scale, la

più alta vetta dell’appennino bolognese; i

biker invece, per l’impossibilità di seguire

la prima parte del sentiero, salgono lungo

la strada provinciale fino alla loc. Cà

Piretto; si raggiunge la località Poggio

di Carviano per poi entrare nel territorio

del Parco regionale di Monte Sole

percorrendo sentieri ampi e immersi in

una vegetazione traboccante; incontrerete

poi la prima variante che consente di

scegliere alternativamente il sentiero più

lungo per camminatori ESPERTI (monte

Pezza/Poggio di Veggio/Veggio e poi il


I tesori del RENO

ROCCHETTA-MATTEI

Scola, un antico agglomerato di case da

visitare con estrema cura osservandone i

numerosi particolari.

Prima di raggiungere la meta, meraviglia

tra le meraviglie, la maestosa, misteriosa

e indimenticabile Rocchetta Mattei si

paleserà inaspettatamente ai vostri occhi

come in un sogno. Entrati nel paese di

Riola, prima di attraversare il ponte sul

fiume Reno, potrete ammirare la Chiesa

di Alvar Aalto, una originale opera

religiosa del grande architetto finlandese.

Nell’abitato di Riola termina la seconda

tappa a piedi (la prima per i biker),

moderatamente faticosa. Rifocillatevi e

riposate esaurientemente perché vi aspetta

la tappa successiva, Riola-Castel d’Aiano,

tanto selvaggia quanto emozionante e

severa.

paese di Grizzana M.) o quello FACILE e

più breve per raggiungere il capoluogofine

tappa dove sarà possibile visitare, su

prenotazione, i luoghi del pittore Giorgio

Morandi, i Fienili del Campiaro e la Casa-

Museo, rifocillarsi e pernottare. Tappa

breve ma fisicamente impegnativa con un

guadagno di quota di 530 metri.

Grizzana Morandi – Riola

Chiese, Castelli e Borghi (17 km)

Lasciata alle spalle Grizzana Morandi,

si resta sul tracciato pianeggiante

inizialmente asfaltato in direzione sud/

ovest e, nei pressi del Monumento ai Caduti

Sudafricani nella 2° Guerra, alzando gli

occhi in direzione ovest si palesano due

imponenti montagne: il bolognese Corno

alle Scale e il modenese Monte Cimone,

la vetta più alta dell’Appennino Tosco-

Emiliano con i suoi 2.165 metri; il tracciato

entra nei boschi di querce e castagni poi,

superata la frazione di Collina, il sentiero

inizia a salire fortemente e si può godere

di un ampio panorama sulle valli del

Reno e del Setta; pochi ma impegnativi

chilometri ci separano dal massiccio di

Montovolo consentendoci di raggiungere

il punto più alto della seconda tappa (962

metri). Proprio a Montovolo, conosciuto

nell’antichità come la Montagna Sacra,

scoprirete un luogo magico, carico

di mistero, culla di culti arcaici e, dal

XIII° secolo sede di un sacro complesso

cristiano con il Santuario della Beata

Vergine della Consolazione e l’Oratorio

di Santa Caterina di Alessandria.

Un’emozionante belvedere concederà la

vista della valle sottostante e di quasi tutto

il territorio attraversato del Cammino; una

silenziosa e rispettosa sosta consentirà

di entrare in sintonia con un’atmosfera

mistica che catapulta la mente in un

passato remoto enigmatico e segreto con

la presenza, anche qui come altrove,

del Fiore della Vita scolpito sulla pietra.

Inizia da qui la lunga discesa che

attraverserà in sequenza prima le

località Sterpi, con il piccolo ma molto

decorato Oratorio di Santa Maria sulla

Via (visitabile su appuntamento), Predolo,

sede dello scultore Luigi Faggioli e delle

sue opere esposte nel grande prato,

poi Campolo, Vimignano (sede dello

scultore Daniele Pandolfini) ed infine

l’incredibile borgo medievale de La

Ti guardiamo negli

OCCHI.

IL CUORE NEL TERRITORIO

La nostra banca è fatta

di persone con le quali

costruiamo una

relazione di fiducia.

Curiamo la relazione diretta con persone

e imprese per crescere insieme partendo

non solo da obiettivi, ma anche da valori condivisi.

2931


L’AUTUNNO CON EXTRABO

Da ottobre a dicembre con

“Alla scoperta di Ville e

Castelli” tante visite guidate

a dimore storiche, palazzi

nobiliari e borghi medievali

solitamente non accessibili

Dalla Rocca

alla Maison

Testi di Veronica Righetti

La Rocca di Bazzano

Informazioni e prenotazioni

www.extrabo.com | extrabo@bolognawelcome.it | 051 6583109

Il fascino delle Valli Bolognesi si

manifesta anche attraverso le sue

dimore storiche, palazzi nobiliari e

borghi medievali. Con la rassegna “Alla

scoperta di Ville e Castelli”, eXtraBO

apre le porte di luoghi solitamente non

accessibili al pubblico, trasformando

ogni visita in un viaggio nel tempo tra

arte, architettura e storie di famiglie

che hanno segnato la vita del territorio.

Si parte il 12 ottobre con un itinerario

che unisce il Castello di Serravalle

e la Rocca dei Bentivoglio, due

simboli dell’Appennino bolognese

che raccontano storie di battaglie e

strategie politiche, ma anche di vita

signorile e cultura artistica.

Il 19 ottobre è la volta di Villa Marana,

residenza seicentesca immersa in

un parco secolare e custode della

straordinaria collezione barocca di

Francesco Molinari Pradelli: un tesoro

che documenta la pittura italiana ed

europea del Sei e Settecento.

Il 9 novembre il percorso porta

tra le viuzze di La Scola, uno dei

borghi medievali meglio conservati

dell’Appennino, dove torri, caseforti

e passaggi sospesi convivono

con il maestoso cipresso secolare,

in un’atmosfera sospesa tra storia e

natura.

Il 16 novembre si apre invece il

Palazzo Comunale di San Giovanni

in Persiceto, con i suoi affreschi che

attraversano i secoli dal Rinascimento

al Novecento e con l’elegante

Teatro Comunale, autentico gioiello

settecentesco incastonato all’interno

della sede municipale.

Il 14 dicembre l’appuntamento è

con l’Accademia dei Notturni, antica

Villa Ranuzzi Cospi trasformata

nel Settecento in raffinato salotto

intellettuale: una dimora che affascina

per la sua facciata affrescata e i grandi

spazi verdi, e che oggi accoglie

anche un ristorante dove è possibile

concludere la visita con una cena

tipica.

Infine, il 7 dicembre, si entra in un

luogo unico e sorprendente: Paciu

Maison, la casa-opera dell’artista

Harry Baldissera, dove ogni

stanza diventa un’installazione e

un’esperienza immersiva. Una visita

che non è solo culturale, ma anche

emozionale, capace di mostrare come

l’arte possa reinventare lo spazio

abitato.

19 ottobre - Appennino

I weekend

del gusto

22

Paciu Maison

Il 19 ottobre sono in programma due

esperienze alla scoperta dei sapori

montanari. Al mattino un tour in bus

toccherà le aziende Ca’ de Cesari

e Cinti, per una degustazione che

va dal caffè, ai succhi di frutta e alle

confetture. Nel pomeriggio passeggiata

con raccolta di castagne al Castagneto

didattico di Granaglione, seguito da

degustazione di birra Beltaine.


4 ottobre - Monteacuto Ragazza

Sulle tracce

del LUPO

Gli appuntamenti di eXtraBimbi

SULLE TRACCE

DELLE Fate

Il 4 ottobre è in programma “Sulle

tracce del lupo”, un’esperienza

pensata per adulti e appassionati

di fauna selvatica. L’escursione ad

anello lungo la Via della Lana e della

Seta diventa un vero e proprio viaggio

conoscitivo: si imparano a riconoscere

segni di presenza del lupo e di altri

animali, si scoprono le tecniche di

fototrappolaggio e, al termine, ci si

ritrova al ristorante Montagò di per la

proiezione di immagini e video inediti.

A guidare la giornata ci saranno la

Guida Ambientale Giovanni Rossi

e la biologa Antonella Piccirilli

dell’associazione Io non ho paura del

lupo, che arricchiranno l’esperienza

con racconti e approfondimenti

scientifici.

I TOUR

SU MISURA

Oltre al ricco calendario stagionale,

eXtraBO offre anche la possibilità di

organizzare tour privati e personalizzati:

un regalo originale per compleanni,

anniversari o semplicemente per chi

desidera vivere un’esperienza su misura.

Che si tratti di un piccolo gruppo di

amici o di una famiglia, le proposte

possono essere costruite attorno a temi

come natura, gusto o storia, e adattate

alle età e agli interessi dei partecipanti.

Un modo unico per scoprire il territorio

con lentezza e autenticità, trasformando

una giornata in un ricordo speciale.

Con eXtraBimbi i più piccoli diventano

protagonisti di un’avventura che unisce

manualità, gioco e natura. Ogni mese

vengono proposti appuntamenti che

alternano un laboratorio creativo a

un’escursione all’aperto, con l’obiettivo

di stimolare la curiosità dei bambini e

avvicinarli alla scoperta del territorio.

Si comincia il 18 ottobre con il laboratorio

“Spiriti del bosco”, dove i piccoli

partecipanti, ispirati da racconti e leggende,

costruiranno maschere mimetiche con

foglie, rami e ghiande, per immedesimarsi

nelle creature che proteggono la natura. La

settimana successiva, il 26 ottobre, quelle

stesse maschere torneranno utili durante

l’escursione “Nel bosco delle fate”, tra

grotte misteriose, alberi secolari e rocce

dalle forme fantastiche.

A novembre l’attenzione si sposta

sulle tracce lasciate dagli animali: il 22

novembre il laboratorio “Traccia la

traccia” porterà i bambini a sperimentare

con argilla e colori per scoprire i segni del

passaggio di uomini e animali, mentre il

30 novembre l’escursione “Chi è passato

di qui?” li guiderà nell’area protetta della

Bisana, con taccuino e matita alla mano, alla

Fino a novembre tra Bassa e Appennino

FOLIAGE

Con l’arrivo dell’autunno i boschi e

le colline del bolognese si tingono di

sfumature calde e avvolgenti. La rassegna

Foliage (ottobre–novembre) invita a

godere di questo spettacolo naturale con

passeggiate ed escursioni nei luoghi più

suggestivi: dal Corno alle Scale, dove i

boschi d’Appennino si infiammano di

colori, al Parco dei Laghi, che in questa

stagione offre riflessi unici tra acqua e

foreste, fino alla pianura di Sala Bolognese,

con l’Area di riequilibrio ecologico

“Dosolo”, un’oasi di quiete immersa

nelle tonalità autunnali. Occasioni per

camminare, fotografare e respirare il

fascino della natura che cambia veste.

ricerca delle orme degli abitanti dell’oasi.

L’anno si chiude a dicembre con un percorso

dedicato agli alberi: il 27 dicembre il

laboratorio “Un anno tra gli alberi”, ispirato

da un albo illustrato, permetterà a ciascun

bambino di realizzare il proprio albero

legato al mese di nascita, dando vita insieme

a un calendario 2026 speciale. Infine, il 30

dicembre, l’escursione “Simbiosi e altre

piccole opere d’arte nel bosco” condurrà

famiglie e bambini tra i boschi di Loiano,

alla scoperta di presepi, opere di land art

e segni creativi che raccontano il dialogo

millenario tra uomo e natura.

In questo modo, tra racconti, laboratori

e passeggiate, eXtraBimbi trasforma ogni

esperienza in un’occasione di gioco e

crescita, dove i bambini diventano veri

esploratori del territorio e imparano a

guardare il mondo con occhi nuovi.

31


Diamo vita

alle emozioni

Hotel-Ristoranti

Cerimonie ed eventi

Congressi

Via Santa Margherita, 21 40050 Loiano

Bologna

Tel.: + 051 6544040 info@palazzo-loup.it

www.palazzo-loup.it

32


APPUNTAMENTI

Dal 12 ottobre al 16 novembre in dodici

Comuni dell’Appennino bolognese torna

la sagra diffusa dedicata ai prodotti del

bosco e al pregiato fungo ipogeo

Tartufesta 2025

Con l’autunno torna, puntuale, anche la Tartufesta: una sagra

diffusa su tutto l’Appenino per celebrare il tanto prezioso

fungo ipogeo. Un evento che si ripete anno dopo anno

con l’obiettivo di valorizzare le eccellenze paesaggistiche,

culturali e gastronomiche dell’Appennino bolognese. Tanti

appuntamenti in altrettanti comuni dell’Appennino per

gustare il tartufo grazie a menù prelibati e degustazioni.

Durante le sagre sono in programma anche gare di cani

da tartufo, escursioni guidate e mercatini di prodotti tipici.

IL CALENDARIO

OTTOBRE

Domenica 12 - Monzuno

Sabato 18 e domenica 19 - Lizzano

Sabato 18 e domenica 19 - Pianoro

Domenica 19 - Monzuno

Domenica 19 - Castiglione dei Pepoli

Domenica 19 - San Benedetto Val di Sambro

Sabato 25 e domenica 26 - Savigno

Sabato 25 e domenica 26 - Sasso Marconi

Domenica 26 - Loiano

Domenica 26 - San Benedetto Val di Sambro

NOVEMBRE

Sabato 1 e domenica 2 - Savigno

Sabato 1 e domenica 2 - Sasso Marconi

Sabato 1 - Grizzana

Sabato 1 - Monghidoro

Domenica 2 - Campolo

Sabato 8 e domenica 9 - Savigno

Domenica 9 - Camugnano

Domenica 9 - Castel di Casio

Sabato 15 e domenica 16 - Savigno

LE ALTRE SAGRE

DELL’AUTUNNO

LIZZANO IN BELVEDERE

Sabato 11 ottobre a partire dalle ore 12:30 in

Piazza della Chiesa a Monteacuto delle Alpi c’è

Autunno diVino.

Domenica 16 novembre a Rocca Corneta si

tiene la tradizionale sagra di San Martino con

stand gastronomici, sfilata dei trattori, musica.

MINERBIO

Sabato 4 e domenica 5 ottobre al Castello dei

Manzoli di San Martino in Soverzano si tiene la

Fiera d’Ottobre

MONGHIDORO

Domenica 9 novembre “San Martino nel

castagneto” presso il castagneto del Casone.

Stand gastronomici, raccolta dei marroni.

ARGELATO

Dal 12 ottobre a Funo di Argelato si tiene la Fiera

d’Autunno

NERO GIARDINI

STONEFLY

CAFE' NOIR

TIMBERLAND

MEPHISTO

MELLUSO

IGI & CO

S.Lazzaro Di Savena

CLARKS

ECCO

@patty_scarpe

Pattyscarpe

GEOX

FRAU

Via Jussi 6 - 051 461318 Via Roma 9/b - 051 451879

SUN68

33


> INSERZIONE PUBBLICITARIA

> INSERZIONE PUBBLICITARIA

“Restanza”:

Nuove vite in in un territorio antico

Per

Per

ogni

ogni

camminatore

camminatore

vivere

vivere

l’accoglienza

l’accoglienza

lungo

lungo

la

la

Via

Via

degli

degli

Dei

Dei

o

o

la

la

Via

Via

della

della

Lana

Lana

e

e

della

della

Seta

Seta

è

è

parte

parte

del

del

viaggio:

viaggio:

vi

vi

si

si

incontrano

incontrano

persone

persone

e

e

si

si

ascoltano

ascoltano

storie

storie

di

di

amore

amore

per

per

il

il

territorio

territorio

e

e

di

di

tradizioni.

tradizioni.

Si

Si

scopre

scopre

il

il

volto

volto

più

più

bello

bello

e

e

autentico

autentico

della

della

“restanza”

“restanza”

e

e

il

il

gusto

gusto

dell’ospitalità

dell’ospitalità

calorosa

calorosa

tipicca

delle delle terre terre tosco-emiliane.

tosco-emiliane.

tipi-

La La parola parola “restanza” “restanza” indica indica l’atteggiamentgiamento

di di chi chi decide decide di di rimanere rimanere

l’atteg-

in in montagna, montagna, abbracciando abbracciando il il senso senso

di di appartenenza appartenenza a a un un luogo, luogo, talmentte

radicato radicato da da non non ammettere ammettere ab-

ab-

talmenbandonobandono.

L’Appennino tosco tosco emiliano, emiliano, che che

rischiava rischiava lo lo spopolamento, si si è è

adesso adesso arricchito di di tante tante storie storie di di

“restanza”, tra tra chi chi rimane rimane e e trasformma

la la casa casa di di famiglia, chi chi ha ha deciso deciso

trasfor-

di di restare a a vivere vivere ed ed è è riuscito ad ad

immaginare se se stesso stesso nel nel territorio

nonostante le le difficoltà, prendendo

coscienza del del valore e e delle delle potenzialità

del del luogo, ma ma anche di di chi chi ritorna

alle alle origini e e delinea una una nuova

vita vita su su vecchie radici.

Sono molti anche coloro, spesso

anche stranieri, che che decidono di di ini-

ri-

ini-

ziare

ziare

una

una

nuova

nuova

vita

vita

in

in

montagna,

montagna,

rilevando

rilevando

attività,

attività,

aprendone

aprendone

di

di

nuove,

nuove,

tornando

tornando

a

a

lavorare

lavorare

tra

tra

campi

campi

e

e

vigneti.

vigneti.

Andiamo

Andiamo

a

a

scoprire

scoprire

insieme

insieme

alcune

alcune

di

di

queste

queste

storie?

storie?

Hanno

Hanno

scelto

scelto

di

di

restare

restare

Francesca

Francesca

e

e

Ivano,

Ivano,

rendendo

rendendo

il

il

loro

loro

grazioso

grazioso

bilocalcale

Casanove12 Casanove12 “una “una piccola piccola chic-

chic-

bilocaca”

arredata arredata con con cura. cura.

Casalecchio Casalecchio di di Reno Reno è è per per loro loro casa casa

e e per per questo questo Francesca Francesca ha ha deciso deciso di di

aprire aprire l’attività l’attività dove dove vive vive da da quando quando è è

nata, nata, un un luogo luogo che che ha ha visto visto crescere crescere

e e cambiare cambiare “fino “fino a a diventare diventare la la bellissimsima

città città che che è è ora”. ora”.

bellis-

Il Il loro loro principale principale obiettivo? obiettivo? Un Un ospite ospite

soddisfatto e e accontentato in in ogni ogni

esigenza.

Casanove212

Casalecchio di di Reno Reno (BO) (BO)

+39 +39 333 3333239414

francesca.amorati@gmail.com

www.viadeglidei.it/casalecchio-di-reno/casanove212

Anche

Anche

Elisabetta

Elisabetta

ha

ha

scelto

scelto

di

di

restare

restare

nella

nella

grande

grande

casa

casa

di

di

famiglia,

famiglia,

trasformando

trasformando

la

la

sua

sua

antica

antica

dimora

dimora

colonica

colonica

del

del

1700

1700

nel

nel

B&B

B&B

Elisir

Elisir

Tagliaferro.

Tagliaferro.

Una

Una

location

location

completamente

completamente

ristrutturata,

ristrutturata,

con

con

un

un

bellissimo

bellissimo

panorama

panorama

a

a

360

360

gradi

gradi

sulle

sulle

colline

colline

toscane.

toscane.

B&B B&B Elisir Elisir Tagliaferro Tagliaferro

Loc. Loc. Tagliaferro Tagliaferro

Scarperia Scarperia San San Piero Piero (FI) (FI)

+39 +39 340 3405426292

elisirtoscana@gmail.com

elisirtoscana@gmail.com

www.viadeglidei.it/tagliaferro/bb-elisir-di-tagliaferrsir-di-tagliaferro

Nella Nella Val Val Bisenzio, Bisenzio, lungo lungo la la Via Via della della

Lana Lana e e della della Seta, Seta, l’atmosfera l’atmosfera del del Nido Nido

della della Rondine Rondine è è quella quella di di una una grande grande

casa casa resa resa viva viva da da una una famiglia famiglia numerosarosa.

Qui Qui Cristina, Cristina, con con la la mamma mamma Ada Ada

nume-

e e l’aiuto l’aiuto prezioso prezioso del del marito marito Ido Ido riceve riceve

gli gli ospiti ospiti con con accoglienza, discrezione

e e disponibilità. Nella Nella grande grande cucina cucina di di

famiglia l’atmosfera è semplice è e rilassatasata:

uno uno sfondo sfondo perfetto per per gustose gustose

e rilas-

colazioni con con il il sapore sapore di di una una volta. volta.

34


Il Nido della Rondine

Il Nido della Rondine

Schignano, Vernio (PO)

Schignano, Vernio (PO)

+39 347 363 3356

+39 347 363 3356

cristina.rossomandi@gmail.com

cristina.rossomandi@gmail.com

www.viadellalanaedellaseta.com/vaiano-il-nido-della-rondine

www.viadellalanaedellaseta.com/vaiano-il-nido-della-rondine

A Casa Le Bandite, nella vecchia

A Casa Le Bandite, nella vecchia

dimora del padre, Lisa ha realizzato

dimora del padre, Lisa ha realizzato

due grandi sogni: accogliere al meglio

gli ospiti in una casa vacanze

due grandi sogni: accogliere al meglio

gli ospiti in una casa vacanze

(che adesso offre anche una piscina

(che adesso offre anche una piscina

con acqua salata), e aprire un ristorante,

perfetta location per eventi e

con acqua salata), e aprire un ristorante,

perfetta location per eventi e

matrimoni grazie alla bella vista su

matrimoni grazie alla bella vista su

prati e montagne. Lisa è ben decisa

prati e montagne. Lisa è ben decisa

a “non smettere mai di migliorare,

a “non smettere mai di migliorare,

aggiustare, inventare e sognare!”

aggiustare, inventare e sognare!”

Casa le Bandite - Vernio (PO)

Casa le Bandite - Vernio (PO)

Tel. + 39 347 3186487

Tel. + 39 347 3186487

info@casalebandite.com

info@casalebandite.com

www.viadellalanaedellaseta.com/casa-le-bandite

www.viadellalanaedellaseta.com/casa-le-bandite

Federico, aprendo nel 2018 il B&B

Federico, aprendo nel 2018 il B&B

La Dimora dei Folletti, ha recuperato

La Dimora dei Folletti, ha recuperato

un

un

progetto

progetto

di

di

famiglia

famiglia

interrotto

interrotto

anni

anni

fa:

fa:

ora

ora

è proprietario

è proprietario

di

di

un

un

luogo

luogo

che

che

per

per

lui

lui

è

è

sempre

sempre

stato

stato

magico.

magico.

Suo

Suo

zio

zio

Carlo

Carlo

desiderava

desiderava

che

che

questo

questo

luogo

luogo

fosse

fosse

visitato

visitato

e conosciuto

e conosciuto

da

da

più

più

persone

persone

possibili,

possibili,

tutti

tutti

coloro

coloro

che

che

ora

ora

lasciano

lasciano

un

un

pensiero

pensiero

o

o

una

una

firma

firma

sul

sul

quaderno

quaderno

degli

degli

ospiti.

ospiti.

B&B

B&B

Dimora

Dimora

dei

dei

Folletti

Folletti

Monzuno

Monzuno

(BO)

(BO)

+ 39

+ 39

3465296089

3465296089

dimoradeifolletti@hotmail.com

dimoradeifolletti@hotmail.com

www.viadeglidei.it/monzuno/b%26b-dimora-dei-follettno/b%26b-dimora-dei-folletti

www.viadeglidei.it/monzu-

L’ L’ idea idea del del b&b b&b accarezzava accarezzava da da temppo

Manuela, Manuela, un’artista un’artista che che divide divide la la

tem-

sua sua vita vita tra tra Vicenza Vicenza e e Madonna Madonna dei dei

Fornelli. Fornelli. Proprio Proprio qui qui ha ha ristrutturato

ristrutturato

la la casa casa ricevuta ricevuta in in eredità eredità dal dal padre padre

e nel e nel 2021 2021 ha ha inaugurato inaugurato la la sua sua nuova nuova

attività. attività.

L’obiettivo L’obiettivo è quello è quello di di unire unire ospitalità ospitalità

e cultura, e cultura, offrendo offrendo ai ai camminatori camminatori la la

possibilità possibilità di di una una art- art- experience experience dedicatdicata

alla alla modellazione della della creta creta e e

de-

nell’acquerello.

Una Una sintesi sintesi tra tra le le sue sue due due “vite” “vite” si si

trova trova già già in in piazza piazza a a Madonna Madonna dei dei

Fornelli: Fornelli: il il monumento dedicato dedicato al al

“Viandante” è opera è opera sua! sua!

B&B Passo dopo Passo

B&B Passo dopo Passo

Madonna dei Fornelli (BO)

Madonna dei Fornelli (BO)

+39 335 7956569

+39 335 7956569

passodopopasso.vdd@gmail.com

passodopopasso.vdd@gmail.com

www.viadeglidei.it/madonna-dei-fornelli/b%26b-passo-dopo-passo

www.viadeglidei.it/madonna-dei-fornelli/b%26b-passo-dopo-passo

A volte le storie di vita si assomigliano,

anche se da una parte all’altra

A volte le storie di vita si assomigliano,

anche se da una parte all’altra

dell’Appennino. Sia Lucia (a Vaglia,

dell’Appennino. Sia Lucia (a Vaglia,

sulla Via degli Dei) che Paola (a Vaiano

sulla Via della Lana e della Seta)

sulla Via degli Dei) che Paola (a Vaiano

sulla Via della Lana e della Seta)

hanno ristrutturato la casa di famiglia,

seguendo un progetto radicale

hanno ristrutturato la casa di famiglia,

seguendo un progetto radicale

di cambio vita.

di cambio vita.

Casa Milù è un ambiente storico, fa

Casa Milù è un ambiente storico, fa

parte del complesso rurale “La Spelonca”,

antico magazzino e forno

parte del complesso rurale “La Spelonca”,

antico magazzino e forno

del Convento di Montesenario. Qui

del Convento di Montesenario. Qui

Lucia gestisce anche un home restaurant.

Lucia gestisce anche un home restaurant.

L’affittacamere di Paola è una struttura

degli anni settanta completa-

L’affittacamere di Paola è una struttura

degli anni settanta completamente

ristrutturata e inaugurata a

mente ristrutturata e inaugurata a

luglio 2021, con la nuova denominazione

Le camere di Mario (in ricordo

luglio 2021, con la nuova denominazione

Le camere di Mario (in ricordo

dell’ultimo

dell’ultimo

della

della

famiglia

famiglia

Tacconi).

Tacconi).

I

I

viaggiatori

viaggiatori

sulla

sulla

Via

Via

della

della

Lana

Lana

e della

e della

Seta

Seta

possono

possono

godere

godere

di

di

una

una

vista

vista

panoramica

panoramica

sulla

sulla

Val

Val

di

di

Bisenzio

Bisenzio

e

e

dei

dei

Monti

Monti

della

della

Calvana.

Calvana.

Casa

Casa

Milù

Milù

- Bivigliano,

- Bivigliano,

Vaglia

Vaglia

(FI)

(FI)

+39

+39

338

338

5279823

5279823

lucia.telegatto@gmail.com

lucia.telegatto@gmail.com

www.viadeglidei.it/bivigliano-vaglia/

www.viadeglidei.it/bivigliano-vaglia/

casa-milu

casa-milu

Le Le Camere Camere di di Mario Mario - Schignano,

- Schignano,

Vaiano Vaiano (FI) (FI)

+39 +39 329 329 595 595 5190 5190

lecameredimario@gmail.com

lecameredimario@gmail.com

www.viadellalanaedellaseta.com/

www.viadellalanaedellaseta.com/

le-camere-di-mario

le-camere-di-mario

Laura Laura e Riccardo e Riccardo non non sono sono originari originari

dell’Appennino, dell’Appennino, ma ma hanno hanno acquistatto

nel nel 2021 2021 un un mulino mulino in mezzo mezzo al bo-

al bo-

acquistascosco,

con con l’intenzione l’intenzione di di ristrutturarllo

per per trasformarlo trasformarlo nella nella loro loro nuova nuova

ristrutturar-

casa, casa, progettando progettando da da subito subito una una

parte parte dedicata dedicata all’accoglienza.

La La struttura struttura conserva conserva le le sue sue caratteristiche

originarie, originarie, anche anche se se è è

ca-

stata stata resa resa accogliente e funzionale,

e con con vista vista sulle sulle cascate. cascate.

B&B Il Molinello - Loc. Il Molinello -

B&B Il Molinello - Loc. Il Molinello -

Monzuno (BO)

Monzuno (BO)

+39 3939150528

+39 3939150528

ilmolinello.58@gmail.com

ilmolinello.58@gmail.com

www.viadeglidei.it/monzuno/b%26b-il-molinello

www.viadeglidei.it/monzuno/b%26b-il-molinello

Livia e Lorenzo abitano a Brento dal

Livia e Lorenzo abitano a Brento dal

2015, ma solo nel 2024 hanno aperto

il B&B L’Occhio di Adone, accan-

2015, ma solo nel 2024 hanno aperto

il B&B L’Occhio di Adone, accanto

alla loro abitazione principale. Ex

to alla loro abitazione principale. Ex

pallanuotisti che hanno dedicato

pallanuotisti che hanno dedicato

tanto tempo a questo sport, hanno

tanto tempo a questo sport, hanno

sempre sognato di vivere in montagna,

credendo fortemente nel po-

sempre sognato di vivere in montagna,

credendo fortemente nel potere

attivatore della natura stessa e

tere attivatore della natura stessa e

nell’insegnamento che quotidianamente

offre.

nell’insegnamento che quotidianamente

offre.

B&B Occhio di Adone

B&B Occhio di Adone

Brento, Monzuno (BO)

Brento, Monzuno (BO)

+ 39 348 7143293

+ 39 348 7143293

occhiodiadone@gmail.com

occhiodiadone@gmail.com

www.viadeglidei.it/brento/bb-occhio-di-adone

www.viadeglidei.it/brento/bb-occhio-di-adone

Il sogno di Lucia è iniziato nel 2024

Il sogno di Lucia è iniziato nel 2024

con

con

il desiderio

il desiderio

di trasformare

di trasformare

la sua

la sua

casa

casa

in una

in una

piccola

piccola

oasi

oasi

di accoglienza.

di accoglienza.

Da

Da

bambina

bambina

sognava

sognava

di

di

girare

girare

il

il

mondo,

mondo,

da

da

adulta

adulta

ha

ha

deciso

deciso

di portare

di portare

il mondo

il mondo

a casa

a casa

sua:

sua:

“La

“La

dimora

dimora

di

di

Dafne”.

Dafne”.

Ci

Ci

piace

piace

concludere

concludere

con

con

le sue

le sue

parole

che

parole

che

riflettono

riflettono

lo spirito

lo spirito

di ospitalità

di ospitalità

che

che

anima

anima

ogni

ogni

nostro

nostro

operatore

operatore

sulla

sulla

Via

Via

degli

degli

Dei:

Dei:

“Ogni

“Ogni

nuovo

nuovo

ospite

ospite

è una

è una

gioia

gioia

diversa,

diversa,

volti

volti

che

che

forse

forse

incontrercontrerò

una una volta volta soltanto, soltanto, ma ma tut-

tut-

intti

suscitano suscitano l’emozione l’emozione di di un un nuovo nuovo

incontro, incontro, il piacere il piacere dello dello scambio.. scambio..

.cresce .cresce la la consapevolezza consapevolezza che che il nostrstro

mondo mondo è pieno è pieno di persone di persone mera-

mera-

il novigliosvigliose

e il e contatto il contatto con con la natura la natura ci ci

rende rende tutti tutti persone persone migliori.” migliori.”

La La Dimora Dimora di Dafne di Dafne 48 48 - Monzuno - Monzuno (BO) (BO)

+39 +39 392 392 473 473 3951 3951

ladimoradidafne48@gmail.com

www.viadeglidei.it/monzuno/la-dimora-di-dafne-4ra-di-dafne-48

35


TRADIZIONI

Dai falò alla donviccia, le tradizioni secolari

dell’Alta valle del Reno

Il Natale

contadino

Testi di Valentina Fioresi e Gruppo Studi Capotauro

Il periodo natalizio è un momento dell’anno in cui le

tradizioni vengono riscoperte e celebrate, soprattutto

nelle aree montane, dove il legame con la cultura

locale è più forte.

Nella maggior parte dei casi si tratta di atti e

consuetudini antichissime, in tempi più recenti

“inglobate” dal cristianesimo: la religione ha così

cercato di domare (e dominare) gesti tipici del ceto

contadino associati al paganesimo. L’accensione

dei falò, il gesto di apporre simboli solari su cibi e

abitazioni, le questue tipiche del periodo intorno a

capodanno (così come molte altre tradizioni) non

sono in effetti altro che manifestazioni di culti pagani

sopravvissute fino ai giorni nostri.

IL FALÒ

Il fuoco da sempre affascina e contemporaneamente

spaventa l’uomo: questo timore misto a curiosità ha

fatto sì che diventasse un importantissimo mezzo per

contrassegnare momenti di passaggio durante l’anno

o che venisse utilizzato con valenza benaugurale. I

falò venivano accesi nei campi e il fumo che si levava

dall’accensione del fuoco veniva divinato, alla ricerca

di segni e auspici per il nuovo anno.

Con l’avvento del Cristianesimo è diventata tradizione

accendere un falò davanti alla chiesa durante la notte

di Natale, prima della messa di mezzanotte, per

scaldare Gesù Bambino.

Un tempo si andava di casa in casa chiedendo un

vinciólo (un piccolo fascio di bastoncini) cantando

una filastrocca “Vinciolìn, vinciolìn per scaldar Gesù

Bambin!”. Tutti i vincióli venivano raccolti e utilizzati

per accendere il fuoco.

LA FA∫’ÈLLA

Una fa∫’èlla è un tronco di faggio nel quale vengono

praticate verticalmente delle spaccature, riempite di

legnetti, pezzetti di corteccia, pezzetti di assi e altri

piccoli rimasugli di legno. Veniva posizionata vicino

alle porte delle abitazioni e accesa durante la notte del

solstizio d’ inverno (21 dicembre), la notte più lunga

dell’anno. Naturalmente questa scelta non è casuale:

il chiarore della fa∫’èlla, che una volta accesa brucerà

lentamente fino all’alba, ha la funzione di evocare

la luce, allontanando così le influenze negative

portate dal buio. In epoca più recente la fa∫’èlla ha

continuato a venire accesa durante la notte di Natale,

per mostrare a Gesù Bambino la fede degli uomini.

Non tutti i paesi del Belvedere condividono allo

stesso modo questa usanza, perpetrata principalmente

nelle frazioni di Pianaccio, Monteacuto delle Alpi e

Vidiciatico.

LA DONVICCIA

Il 5 gennaio, vigilia dell’Epifania, a Vidiciatico era

tradizione che i maschi adulti del paese (donne

e bambini erano esclusi, così come erano esclusi

dall’usanza di “dare il buon anno” a Capodanno)

andassero di casa in casa chiedendo offerte di cibo,

portando in cambio auguri di abbondanza. Come

36


DA FARE

DURANTE LE FESTE

ZOLA PREDOSA

Venerdì 6 dicembre accensione delle luminarie e

mostra di presepi in occasione della festa di San

Nicolò.

Da venerdì 6 a lunedì 8 dicembre mercatini di

natale a Villa Edvige Garagnani

Il 6 gennaio (nel pomeriggio) la befana arriva nella

sala dell’Arengo, in municipio.

SASSO MARCONI

Dall’11 al 14 dicembre a Villa Davia (Pontecchio

Marconi) “Riuse with love”, mercatini dell’usato

Domenica 14 dicembre mercatini di natale,

stand gastronomici, intrattenimento con

“Christmas road”

Lizzano in Belvedere

Sabato 22 e domenica 23 novembre; sabato 29

e domenica 30 novembre; sabato 6, domenica

7 e lunedì 8 dicembre dalle ore 10:00 alle ore

18:00 presso la canonica in Piazza della Chiesa

a Monteacuto delle Alpi si terrà il Mercatino di

Natale

MONGHIDORO

Lunedì 8 dicembre “Festa d’inverno” a Ca’

del Costa con stand gastronomici, mercatino e

mostra di presepi

MARZABOTTO

Domenica 30 novembre Gardeletta diventerà un

distaccamento del Polo Nord, popolandosi di Elfi e

ospitando La Casa di Babbo Natale, la fattoria degli

Elfi e tante altre soprese.

L’8 dicembre accensione dell’albero di Natale,

stand gastronomici, mercatino, laboratori per

bambini

Domenica 14 dicembre festa di Natale a

Medelana

Il 24 dicembre, dalle 18:00 alle 23:00. Alla Chiesa

di San Lorenzo di Panico “Presepe vivente”.

Da Domenica 7 dicembre al 5 gennaio si terrà la

mostra dei presepi presso la Chiesa di Santa Maria

Assunta di Luminasio. Aperta tutti i weekend.

Dal 26 dicembre al 6 gennaio a Sibano sarà

possibile ammirare il Paese dei Presepi.

BENTIVOGLIO

A dicembre, a Villa Smeraldi, “Open day del gusto”

di Natale

NELLA BASSA

A inizio gennaio a San Matteo della Decima, San

Giovanni in Persiceto e Crevalcore appuntamento

con i tradizionali “Roghi delle Befane”

nel caso della raccolta dei vincióli anche per la

“Donviccia” veniva cantata una filastrocca:

«Siamo giovani pellegrini, senza pane e senza

quattrini; noi giriamo di qua e di là, sian pietosi chi

ce la fa. Donviccia, pane e sonsiccia [salsiccia]!».

Una buona offerta veniva seguita da auguri benevoli,

un rifiuto da insulti di vario genere come «Scurià,

scurià! » (Frustate, frustate!) o “Pulci e pidocchi ti

saltino agli occhi”: inutile aggiungere che quasi tutti

donavano qualcosa ai questuanti! Questo rito ruota

intorno all’importanza del cibo, un tempo presenza

non sempre scontata, soprattutto sulle tavole dei

contadini. Le offerte, la raccolta e la condivisione di

cibi e bevande faceva sì che tutti potessero mangiare

qualcosa, augurandosi contemporaneamente di poter

vedere tempi migliori. Oggi la Donviccia viene ancora

praticata, per perpetrare la memoria delle tradizioni.

BABBO NATALE E LA BEFANA

La befana, Gesù Bambino e Babbo Natale sembrerebbero

avere ben poco da spartire, in realtà hanno una

caratteristica che li accomuna: tutti e tre portano doni.

La befana porta regalini e dolcetti ancora oggi, ma

un tempo queste offerte (rappresentate soprattutto da

frutta secca o mandarini) servivano più che altro a

farsi benvolere dagli antenati defunti, rappresentati

appunto dalla befana. Nel Belvedere un tempo anche

Gesù Bambino recava piccoli doni ai bambini, che

esprimevano la loro devozione e obbedienza recitando

in chiesa piccoli “sermoncini” a Lui dedicati. Gesù

Bambino ha continuato a portare regali fino a circa

50 anni fa, quando pian piano è stato “soppiantato”

da Babbo Natale, un personaggio moderno che deve

comunque la sua origine a culti pagani prima e al

Cristianesimo poi (nella figura di San Nicola).

37


LA nostra sTOria

L’antico borgo di Giugnola,

al confine tra Emilia, Romagna

e Toscana, rivive in centinaia

di piccole sculture realizzate

da Renato Ferri-Gasperini

Memoria

in TERRACOTTA

Testi di Paolo Spedicato

Giugnola è un borgo di alta collina

sull’Appennino tosco-romagnolo. è una

specie di “finisterre”, un territorio di

frontiera sospeso tra due regioni, Emilia-

Romagna e Toscana, e due comuni:

Castel del Rio in provincia di Bologna

e Piancaldoli appartenente a Firenze.

Questa peculiarità l’ha accompagnata

lungo i secoli della storia, segnati dalla

vicina strada militare romana Flaminia,

da alterne vicende di lotte tra famiglie

feudali nel Medioevo e soprattutto dal

vicinato geo-politico tra il potere dello

Stato Pontificio nella parte emilianoromagnola

e quello dei Granduchi

toscani Asburgo-Lorena fino alla prima

metà dell’800. La vicinanza alla Linea

Gotica negli anni della guerra 1943-45

ha visto all’opera nel suo territorio la lotta

resistente della 36° Brigata Garibaldi

“Bianconcini” attiva nell’Appennino

Renato Ferri-Gasperini

imolese-faentino, e con la partecipazione

di membri della stessa famiglia Gasperini

originaria della zona. Ancora oggi un

monumento ricorda la battaglia di Ca’

di Guzzo (27-28 settembre 1944) e il

sacrificio di numerosi partigiani.

Sono ben visibili i segni della contiguità

dei due stati confinanti per la presenza

di una doppia dogana: quella pontificia,

oggi restaurata, in località Doccia, e

quella granducale in località Mercurio.

Riconoscibili altresì sono un Palazzo

dei Doganieri e una caserma delle

Guardie. Le tracce di una fiscalizzazione

quasi eccessiva colpiscono ma non

stupiscono a causa dell’annoso fenomeno

del contrabbando di frontiera, che si

serviva anche di cunicoli e di passaggi

segreti di casa in casa. Di questa antica

professione è rimasta a otto chilometri da

Giugnola, verso il Passo della Raticosa, la

testimonianza di una fontana, la cosiddetta

Busa di Ledar, intorno alla quale avveniva

la spartizione delle merci contrabbandate.

Renato Ferri-Gasperini ha alle spalle

una vita professionale di geometra nella

Bologna dove vive con la famiglia, ma le

sue radici son ben salde nella Giugnola

della madre Lina Gasperini, nata nel

1912 da genitori emigrati a Landsberg,

Germania, e nella vecchia casa di famiglia,

chiamata sgatera, toponimo che la indica

come appoggiata su un costone del fiume

Sillaro, ossia un crinale arenaceo.

Nel 1991 Renato decide di costruire con

un po’ di creta un presepe in miniatura

per la figlia bimba di dieci anni. Si inventa

letteralmente una tecnica di cottura

usando una stufa a legna, e la magia,

complici i ricordi, comincia a prendere

forma. Dal presepe fanciullesco il lavoro si

sposta alla ricostruzione dell’intero borgo:

case dei vicini e dei parenti, chiesetta, i

caratteristici purgazi o portici a galleria che

collegano le case con le rustiche panche

su cui si ritrova la gente per le chiacchiere

quotidiane; ma anche la cultura materiale

del borgo di montagna prende vita con la

miniaturizzazione degli oggetti di lavoro

in casa e fuori, le pipe, l’attrezzatura per

andare a pesca, la valigia legata con lo

spago, un ombrello, una pila di libri…

“Dopo quel presepe - ricorda Ferri-

Gasperini - ho capito che avrei potuto fare

le case del paese d’origine di mia madre.

Cominciai a fare la casa del fabbro Enea,

la buferina, il mulino della Madonna e

così via. Prima le interiorizzavo, poi le

disegnavo, le rilevavo scrupolosamente,

le foggiavo e le cuocevo nel forno di

Nepoti, in via della Beverara. Facevo tutto

ciò che aveva segnato la mia infanzia in

quei luoghi montanari dove la civiltà

contadina si era fermata. Poi venne la

crisi, nel 2008, del lavoro vero e per

non perdere l’autostima ho cominciato

a produrre di tutto e di più e, senza

rendermene conto, ho fatto circa 1100

pezzi, che ora sono esposti in una piccola

mostra nel cuore di Giugnola. Ora non

produco quasi più per sopravvenuti

acciacchi ma quello che ho fatto non si

cancella si può vedere e offrire ai giovani

che verranno”.

Per il momento, le sculture di Ferri sono

conservate in un luogo privato (ma

accessibile previo contatto con l’autore:

ferrirenato1948@libero.it) in attesa che

termini la ristrutturazione del Mulino

della Madonna di Giugnola dove poi

verranno esposte al pubblico.

38


LA nostra sTOria

Penna, inchiostro e calamaio:

a Castello d’Argile rivive

l’aula scolastica di un tempo

Sui banchi

come

nell’800

Testi di Gian Paolo Borghi

Su lodevole iniziativa del

Comune, a Castello d’Argile è

stata ricostruita un’aula scolastica

d’epoca all’interno della locale

Scuola Primaria Don Bosco, in

uno specifico spazio individuato

nell’ambito di un piano di restauro di

quella struttura. L’iniziativa culturale

costituisce un simbolico “ponte” tra

passato e futuro, a memoria della

conquista di un fondamentale diritto

all’istruzione, progressivamente

realizzato grazie ai processi di

alfabetizzazione di massa realizzati

tra la seconda metà dell’800 e i

primi decenni del ‘900 e proseguiti

nei successivi anni ’50 per adeguare

i livelli conoscitivi alle esigenze dei

nuovi tempi.

Base per la programmazione del

progetto si è dimostrata una efficace

ricerca condotta dalla storica Magda

Barbieri, che, in collaborazione

con la Biblioteca comunale,

ha realizzato una specifica

pubblicazione in occasione delle

celebrazioni del 150° anniversario

dell’Unità d’Italia (Castello d’Argile

dall’analfabetismo alla scuola per

tutti. Un percorso lungo 150 anni),

alla quale ha fatto seguito, sempre

a cura della medesima ricercatrice,

una relazione a uno specifico

convegno di studi, curato da Mirella

d’Ascenzo, dal titolo Tutti a scuola?

L’istruzione elementare nella pianura

bolognese tra Otto e Novecento

(Clueb, Bologna, 2013).

La fase realizzativa dell’aula d’epoca

ha visto il coinvolgimento di un

gruppo di volontari che ha dato

avvio a una condivisa campagna di

ricerca e di raccolta che ha coinvolto

tutta la cittadinanza. Grazie ai social,

hanno peraltro aderito anche persone

di altri paesi e della stessa città di

Bologna.

Il lavoro ha progressivamente

condotto al recupero di materiali

di rilevante valenza documentaria

che in sintesi possono così essere

elencati: banchi e arredi d’epoca,

libri, quaderni scolastici, fotografie,

cartelloni e giochi didattici, carte

geografiche, fotografie di scolaresche

e di singoli scolari, memorie scritte e

orali di scolari e insegnanti, filmati,

penne, pennini e matite, cartelle,

inchiostro ecc.

L’aula d’epoca si è fin da subito

dimostrata in grado di ospitare

visite guidate, occasioni di incontro

e di confronto su tematiche sia

storiche sia del nostro tempo, in

omaggio a quella scuola che tanto

ha contribuito all’istruzione locale.

Nello stesso tempo, si sta pure

traducendo in “osservatorio” per

lo studio dell’evoluzione culturale

novecentesca di un territorio,

finalizzato al monitoraggio della

didattica per le future generazioni.

L’aula d’epoca prevedrà una apertura

straordinaria senza prenotazione la

prima domenica del mese di ottobre

per la Fèsta d’Èrzen (Festa d’Argile).

Per le visite ordinarie, vi si può

accedere con prenotazione scrivendo

alla e-mail cultura@renogalliera.it o

telefonando al numero di cellulare

334 3457691 (anche Whatsapp).

39


LA nostra sTOria

Morte, orrore e mistero nella

Bologna dell’Ottocento

IL DELITTO

SPISANI

Testi di Claudio Evangelisti

Bologna alla fine dell’Ottocento

è una città in pieno sviluppo

economico, urbano e sociale. Ma

fra le sue strade si moltiplicano

le rapine, gli omicidi, i furti e i

ferimenti, riportati quotidianamente

sui giornali. Gli abitanti, al calar

della sera, si rinchiudono nelle loro

case e le strade vengono illuminate

dalla flebile luce delle finestre

che si rinchiudono non appena si

odono rumori sospetti, lasciando

al buio lo sventurato viandante,

delinquente o innocente che sia.

La TESTA di una donna

GALLEGGIA sul Reno

Il 21 gennaio del 1874 un terribile

delitto funestò l’intera città. Verso

l’imbrunire, un birocciaio di nome

Pietro Barozzi mentre si accingeva

a caricare la ghiaia lungo le sponde

del Reno, fuori di porta San Felice,

intravide una sagoma nera sopra

un banco di sabbia. Credendo

si trattasse di un cane morto, si

avvicinò. Il suo raccapriccio fu tale

che emise urla strazianti: era un capo

di donna decapitato dal corpo, col

viso rivolto verso terra. Coi capelli

nerissimi sparsi, raggrumati, gli occhi

stralunati pareva la testa di Medusa.

Accorse gente e accorsero le guardie:

poco dopo risalendo il corso del

fiume si trovò il resto del cadavere.

Il corpo fu portato all’ospedale della

Vita. La misera donna assassinata

fu ben presto riconosciuta per Rita

Spisani, scomparsa da qualche

giorno. L’infelice così macellata

d’anni 36, nubile, era abitante in via

Miola 1068 (ora via Farini) ed era

la governante dell’ingegnere belga

Giovanni De Rechter, dimorante in

Palazzo Pepoli e proprietario della

miniera di Paderno. Sulla Spisani

immediatamente cominciarono a

girare notizie reali ma più spesso

di fantasia, tra cui quella di essere

conosciuta in città per essere stata

cameriera di classi agiate, ma che

ultimamente aveva impiantato un

laboratorio di sartoria nella casa

dove serviva. Era ritenuta confidente

di persone illustri e si vociferava che

conservasse due bisacce in cui si

diceva fossero presenti documenti

compromettenti su parecchi

personaggi altolocati. Tali documenti,

contenuti in una borsa che la donna

portava sempre con sé, non furono

però ritrovati. La Spisani in gioventù

fu per qualche tempo suora di carità,

ma durante la visita fatta anni prima

dalla Superiora generale di Parigi

venne invitata ad abbandonare

l’ordine.

Lunedì mattina uscì dicendo alle

ragazze di laboratorio che sarebbe

rientrata dopo pochi minuti e

non si vide più. A detta di una

sua conoscente, aveva lasciato

all’improvviso la camera dopo la

lettura di una lettera, che non fu mai

trovata, abbandonando gli orecchini,

senza chiudere i mobili, senza

pettinarsi, raccogliendo i capelli

entro una reticella di seta.

LA CRONACA DELL’EPOCA

Come era d’uso nei quotidiani d’epoca,

i particolari più raccapriccianti

vennero gettati in pasto agli avidi

lettori. Si parlò di un’accurata autopsia

eseguita all’Ospitale della Vita dai più

celebri uomini dell’Istituto medico

alla presenza dei più alti ministri

della legge. La morte fu causata con

stilettate nelle spalle e nella schiena.

Particolare di rilievo: tutti i grossi vasi

sanguigni erano privi di sangue tanto

che si opinò che il corpo e la testa

fossero stati tenuti a sgocciolare. Negli

abiti e nella biancheria, attorno al

collo, non si trovarono tracce alcune

di sangue, cosicchè era a dirsi che la

decapitazione fosse stata preceduta

da un denudamento. La veste era di

lana colore marrone: in tasca furono

rinvenute alcune dichiarazioni di

ricevuta di gioie appartenenti a un

fantomatico signor T.

Diverse le segnalazioni di testimoni.

Raffaele Trevisi, servo di casa

Bentivoglio mentre raggiungeva via

Castagnoli notò nella notte tra il 19 ed

il 20, verso le ore 1.30 del mattino,

giungere a gran trotto un biroccino

che riconobbe essere della famiglia

De Rechter; che svoltava all’angolo

del Teatro Comunale diretto verso via

Moline. Vi riconobbe alla guida un

certo Enrico Galavotti, servo anche

lui della casa in cui era governante

40


Bologna

Canale Reno - originebologna.com

la Spisani. Sulla predella del veicolo

poggiava l’estremità di un grande

sacco che giungeva fino alle spalle

del guidatore, coprendolo con i lembi

della “capparella” (mantello). Altra

testimonianza. Eugenia Ferri dichiarò

di avere udito, stando a letto, tre gridi

disperati di donna verso le ore 8. La

Ferri non ebbe dubbi quando furono

ritrovati i resti della Spisani: l’assassino

della sarta non poteva che essere che

il Galavotti, che sapeva avere una

tresca amorosa con la Spisani, e che

considerava uomo pericoloso.

Solo il 26 gennaio il Galavotti venne

arrestato: nato il 9 marzo 1840 a

Bologna, non era individuo troppo

raccomandabile: era anche l’amante

della Marchesa Pio Lamm, più volte

condannato per furto ed ammonito dalla

polizia. Presto risultò dalle indagini,

che il Galavotti poteva essere ritenuto

l’assassino della Spisani, e che la

povera donna, la quale spesso si recava

in scuderia per appuntamenti amorosi,

era stata colpita alle spalle e decapitata

quando ancora non era morta. Nella

stalla si erano trovate numerosissime

tracce di sangue e perfino una parte

della reticella che raccoglieva i suoi

capelli. Ma per quali ragioni il Galavotti

aveva compiuto un così efferato delitto?

Si disse che doveva dei soldi alla

Spisani; si disse che voleva derubarla;

ma l’opinione pubblica non ne fu mai

convinta; circolarono poi voci che la

Spisani aveva abusato della fiducia

di potenti persone di cui conosceva

terribili segreti. Tali documenti,

contenuti in una borsa che la donna

portava sempre con sé, non sono stati

però ritrovati. Da qui il sospetto che vi

sia stato un mandante della Bologna

bene che abbia istigato il delitto e che

la povera donna sia stata decapitata per

ingarbugliare le indagini.

Il processo e la condanna

Il processo ebbe inizio quindici mesi

dopo il delitto cioè il 12 aprile 1875,

nell’ex convento dei Barnabiti. Mai

un processo aveva maggiormente

interessato i bolognesi. Il Galavotti

si presentò disinvoltamente: era un

individuo magro dal viso lungo e

pallido, dagli occhi grigi infossati,

indossante un paletot turchino, calzoni

a scacchi bianchi e neri, con le mani

impegnate a sostenere il cappello a

tuba. Galavotti si mantenne sempre

nella negativa e fu splendidamente

difeso dal famoso avvocato Giuseppe

Ceneri e da Busi che gli salvarono

la testa (esisteva allora la pena di

morte). Sulla colpevolezza come

omicida della Spisani la giuria non

ebbe dubbi, ma per quanto riguarda

il quarto capo di imputazione che lo

incolpava dell’omicidio a scopo di

furto, la giuria rispose negativamente.

E quindi quale era il vero motivo? Il 21

aprile Enrico Galavotti che durante il

processo si dichiarò sempre innocente

fu condannato ai lavori forzati: non

battè ciglio alla lettura della sentenza.

Qualche mese dopo il 4 agosto di quel

medesimo anno, a Nisida il cocchiere

assassino moriva di tisi (anche durante

il processo sputava sangue) portandosi

nella tomba il segreto di quel delitto,

mentre ancora erano esposti nei

negozi, a distanza di tempo dal

verdetto, il suo ritratto insieme a quello

della sua vittima. Rita Spisani venne

tumulata nel cimitero della Certosa e

successivamente i resti furono collocati

in un ossario comune.

Fonti: Museo del Risorgimento, Storia

e memoria di Bologna

41


PERSONAGGI

Figlio di un oste di Casalecchio, verso la fine dell’Ottocento

divenne uno dei tenori più ricercati del mondo. Morì

suicida a soli 42 anni dopo la scomparsa della sorella

ENRICO GIORDANI

Testo di Adriano Bacchi Lazzari

Questo artista lirico che i compositori

di fine Ottocento letteralmente

si litigavano per la sua sensibilità

interpretativa, era un uomo delicato,

sensibile che amava la sua famiglia

di origine, non si era mai sposato, e

soprattutto la sorella che addirittura

idolatrava. La famiglia era composta

dal padre Giovanni, originario di

Casalecchio di Reno di professione

oste, dalla mamma Garavini Maria

Luigia casalinga e di tre figli: Teresa,

Enrico e Gaetano. Abitavano in via

Mascarella al n.83

I cronisti dell’epoca affermano che

Enrico era di carattere faceto, allegro,

affabilissimo, sempre pronto allo

scherzo. Nonostante questa sua

spensieratezza fu talmente colpito

dalla morte dell’amata sorella che

decise di togliersi la vita. Si trovava

in America, impegnato su importanti

palcoscenici, quando venne raggiunto

da un cablogramma che annunciava la

morte della sorella. Subito partì per la

volta di Bologna dove perpetrò il suo

progetto che noi oggi definiremmo

“insano” ma che, per lui, rappresentava

la sola via d’uscita. A 42 anni ha voluto

togliersi la vita, che per lui significava

lasciare per sempre l’ammirazione

dei pubblici di tutti i teatri, l’affetto

generale di chiunque lo conoscesse e

la stima dei compositori di opere come

Puccini.

Chi ama la lirica e i suoi personaggi

non può restare indifferente a questo

tragico evento accaduto 120 anni fa,

è impossibile. Infatti anch’io ho fatto

infinite ricerche e ho trovato il certificato

di morte, la tomba e parecchie notizie.

Sono così riuscito a ricostruire la sua

vita artistica e le sue creazioni.

Già, le sue creazioni. Vi ricordo quelle

del “campanaro” Sgalisa nell’opera

“Cristo di Valaperta” del Maestro

Brunetto data al Lirico di Milano

nel 1894, l’Incredibile nell’Andrea

Chénier di Giordano, lo Spoletta nella

Tosca di Puccini, l’Abaten ell’Adriana

Lecouvreur di Cilea, lo Spallanzani nei

Racconti di Hoffmann di Hoffenbach

e del Mirronedella “Messalina” di De

Lara messa in scena a Piacenza nel

1904. E questa fu l’ultima creazione del

nostro Giordani.

Ho detto che i compositori letteralmente

si litigavano le sue partecipazioni perché

sapeva rappresentarli come essi stessi

immaginavano quei personaggi spesso

inventati dai librettisti. La sua sensibilità

era ritenuta proverbiale. I personaggi da

lui interpretati erano spesso secondari

ma in quelli era ritenuto il migliore.

Enrico Giordani è sepolto alla Certosa

di Bologna nel Pilastro n. XLV del

Campo Nuovo (nel 1922 hanno

invertito la numerazione che ora inizia

dal lato di San Luca, pertanto il pilastro

attualmente, da chi entra dalla parte

della chiesa, è il n. VII) vicino a lui la

sorella e la mamma.

Purtroppo sono riuscito a decifrare solo

una parte della scritta perché il tempo,

l’acqua e il sole l’hanno praticamente

cancellata: si legge solo che gli amici

posero….

I suoi dischi sono ultra-rari e

quasi introvabili, io sono riuscito

a trovarne uno dopo oltre 60 anni

di collezionismo. È un Columbia

Phonograph con afacciata singola,

il cui ascolto è un po’ precario ma,

anche se solo a tratti, si può notare la

sua natura musicale e il pieno possesso

delle facoltà tenorili.

Purtroppo è l’unico ascolto che posso

proporvi ma credetemi, avete avuto

un vero privilegio: ascoltare la voce di

Giordani è un vero evento.

Finisco con le parole di un giornalista

dell’epoca: nella sua spensieratezza

s’annidava, dunque, la disperazione.

Povero signor Giordani!

Diventa un punto di distribuzione

della rivista

Puoi contattarci al numero 379 113 5432 o scrivere

una mail a: distribuzione.vallibolognesi@gmail.com

per sapere come diventare un punto di distribuzione

42

RICEVERAI LE COPIE RICHIESTE DA CONSEGNARE AI

TUOI CLIENTI


PERSONAGGI

Soprano sopraffino, a inizio ‘900 ha girato i teatri di

tutta Europa. Ritiratasi dalle scene si dedicò con passione

all’insegnamento

ALBERTINA CASSANI

Testo di Adriano Bacchi Lazzari

Cantante bolognesissima, abitava in

via Nosadella poi si trasferì in via

Saragozza in un appartamento più

grande dove poteva meglio impartire

le sue pregiatissime lezioni di canto.

La Cassani ha avuto, nella sua vita,

due grandi momenti: fu allieva

del grande Achille Corsi e maestra

dell’altrettanto bravo, simpatico e

mai abbastanza rimpianto Gianni

Raimondi. Da Achille Corsi (nato

a Legnano nel 1840 e spentosi a

Bologna il 15/4/1906) Albertina

Cassani aveva appreso la tecnica

e lo stile dei cantanti dell’800 che

poi avrebbe trasmesso, riveduto e

corretto, al nostro Gianni Raimondi.

Ricordo che Achille Corsi era padre

di Emilia, soprano tra i più affermati

dell’epoca e di Carlo, forse il pittore

bolognese dell’800 più insigne.

Albertina apprende tecnica, musica

e spartiti molto rapidamente tanto

che fra i 17 e 18 anni può debuttare

al Teatro Sociale di Portogruaro nella

Carmen di Georges Bizet nel ruolo

sopranile di Micaela. Il successo

personale della giovanissima

Albertina è di quelli che determinano

subito il grado di appartenenza: era

nata una stella della lirica.

Dal ferrarese approda al Balbo di

Torino e al Municipale di Modena.

Canta in molti teatri ma è nel 1912, a

25 anni, che affronta il difficile ruolo

di Traviata. Inutile dire che Violetta

diventerà un suo cavallo di battaglia

tanto fu l’impressione che destò in

critica e pubblico.

Dal 1924 inizia anche la carriera

internazionale come il debutto

al Teatro Real di Madrid proprio

in Violetta dalla Traviata di Verdi

accanto a Miguel Fleta e il baritono

Celestino Sarobe. Anche questo

esame lo supera a pieni v0ti e la

brillantissima carriera prosegue con

successi ininterrotti. Il giornale “La

Rassegna Melodrammatica” che

ho esposto qui davanti celebra un

successo senza eguali al Teatro Verdi

di Padova in Traviata. In maniera

molto colorita l’autore finisce per

dire che un trionfo simile, in quel

teatro, non era mai stato raggiunto

da nessuno prima.

Albertina ha cantato con tutte le

celebrità della sua epoca, basti

pensare a Miguel Fleta, Riccardo

Stracciari, Galliano Masini,

Dino Borgioli per citarne alcuni.

Celebrità tra le celebità. Questa era

un’autentica legge del palcoscenico.

Io chiesi a Gianni Raimondi quello

che la Cassani diceva di Miguel

Fleta. Lui mi disse che la maestra

era ancora in estasi e rapita dalla

personalità di Fleta. Diceva che

cantare con lui era come toccare il

cielo con un dito!

Ha avuto una carriera lunga e

senza parentesi negative perché

non ha mai tradito la sua vocalità

cantando opere a lei inadeguate. La

sua voce era chiara e brillante ma

era con la ricchissima tavolozza di

colori che conquistava i pubblici.

Ritiratasi dalle scene si dedicò con

passione all’insegnamento. Ha avuto

tantissimi allievi ma uno su tutti

Gianni Raimondi, che non ha mai

lesinato onori e lodi alla sua maestra.

L’AUTORE

Adriano Bacchi Lazzari è tra i più

noti collezionisti di dischi a 78 giri

di lirica e musica leggera. Ha scritto

articoli biografici di cantanti lirici

bolognesi pubblicati sulla rivista

inglese “The Record Collector”

e da anni collabora con il sito

“La voce antica”, per le ricerche

discografiche e biografiche.

Vuoi pubblicizzare la tua attività su

questa rivista?

Tel: 379 113 5432

E-mail:

distribuzione.vallibolognesi@gmail.com

43


la nostra sTOria

La vita di Arcangelo a cui Papa Benedetto XIV

(il bolognese Prospero Lambertini) conferì il

titolo di beato

Quella faida

medievale

tra i Canetoli

e i Bentivoglio

Arcangelo Canetoli in un dipinto

di Luigi Crespi (XVIII secolo)

Testo di Gianluigi Pagani e Giuseppina Bergamini

La storia della famiglia Canetoli, a partire dal XIV secolo,

si intreccia con quella della famiglia Bentivoglio, nella

lotta per il predominio su Bologna. Dato che la storia la

scrivono i vincitori, i Canetoli sono sempre stati ritenuti

“una famiglia ribelle”, con i componenti esiliati da

Bologna, essendosi opposti al predominio dei Bentivoglio.

Queste due famiglie non erano nobili e si erano entrambe

arricchite attraverso le attività economiche e commerciali,

anche se i Canetoli potevano vantare un’aristocrazia

conquistata sui campi di battaglia, all’epoca delle Crociate.

Il loro stemma rappresenta tre canne di canapa in bocca

ad un cane di aspetto feroce. Era proprio quella canapa

coltivata nei loro terreni di Trebbo e Ponte Poledrano.

Le grosse corde che si ottenevano dalla sua lavorazione

erano indispensabili sia nell’edilizia per la costruzione dei

palazzi, sia sulle navi per il cordame delle vele.

Nel 1416 i Canetoli giungono sulla scena politica di

Bologna quando Antongaleazzo Bentivoglio, figlio di

quel Giovanni massacrato 15 anni prima, guidò l’assedio

al palazzo comunale con alleati i Gozzadini, i Ghisilieri

Iacopo della Quercia, Sepolcro di Anton Galeazzo

Bentivoglio, 1438, Chiesa di San Giacomo Maggiore

La famiglia Bentivoglio

e gli stessi Canetoli. Ma era un’alleanza debole, e

Antongaleazzo non si fidava di Matteo Canetoli. Il 26

gennaio dello stesso anno, infatti, i Canetoli furono esiliati

da Bologna e Matteo, da lì a poco, morì cadendo da

cavallo, anche se qualcuno mormorava essere stato ucciso

da un sicario. Dopo l’esilio e dopo la distruzione del loro

palazzo, la famiglia Canetoli cadde quindi in disgrazia.

Cercando tra i tesori custoditi nell’Archivio di Stato di

Bologna, è stata fatta una scoperta di grande interesse:

un testo con la descrizione dell’assassinio di Annibale

Bentivoglio, signore di Bologna, avvenuto il 24 giugno

1445 al termine di una funzione religiosa tenuta nella

cattedrale di San Pietro. Le coltellate che lo uccisero

furono di Bettozzo Canetoli, uno dei capi della storica

famiglia “rivale”.

Un altro personaggio della famiglia viene però ricordato

in tutta Italia. Parliamo del beato Arcangelo Canetoli,

nato a Bologna del 1460 e morto a Gubbio nel 1513.

Arcangelo da bambino aveva subito le amare vicissitudini

della rivalità fra i Canetoli e i Bentivoglio, ed ancora

fanciullo era sopravvissuto in modo provvidenziale allo

sterminio dell’intera famiglia. Proprio per espiare questi

tragici avvenimenti, da giovane era poi entrato fra i

canonici regolari di Santa Maria di Reno detti ‘Renani’.

Questo era un ordine monastico che seguiva la Regola di

S. Agostino e cercava di unire “…l’impegno apostolico a

favore del Popolo di Dio con l’ideale contemplativo, per

crescere nella comunione intima con Gesù, alimentando

la devozione verso la Beata Vergine Maria, Madre del

Salvatore e verso i Santi Canonici”, come recita lo statuto.

Compiuto il periodo di noviziato, fu destinato al convento

di S. Salvatore di Bologna, dove ricevette l’ordinazione

sacerdotale. Ben presto chiese di essere trasferito, poiché

la continua presenza di pellegrini e di ospiti non gli

44


Bologna

Ginevra Sforza e Giovanni II Bentivoglio, terracotta

dipinta, 1889, Palazzo Pepoli Vecchio a Bologna

permetteva il raccoglimento interiore e la meditazione.

Andò quindi a Gubbio, dove l’Ordine ha sempre avuto un

monastero sul Monte Ingino, per onorare S. Ubaldo (1095-

1160) cittadino eugubino, vescovo e riformatore della vita

canonicale, ed un altro monastero sulle falde del Monte

Foce (Calvo), nell’antico eremo di S. Ambrogio, dove è

custodito il corpo incorrotto dello stesso beato Arcangelo

Canetoli (1460-1513).

Durante la sua esistenza, per l’estrema umiltà e per

l’amore della solitudine e della preghiera, il beato

Arcangelo rinunciò ad ogni dignità ecclesiastica. Dopo

essere diventato sacerdote, dal 1498 visse nel convento

di Sant’Ambrogio di Gubbio, amato e venerato sia dagli

umili che dai potenti, fra cui proprio gli Acquisti di Arezzo

e i Medici di Firenze.

Della sua vita conosciamo tanti avvenimenti, perché un

frate suo amico ha tenuto un diario con tutti i miracoli

ed i fatti principali. È morto il 16 aprile 1513 ed il corpo

incorrotto è tuttora venerato a Gubbio. La sua festa è

la seconda domenica di luglio e ancora oggi gli eredi

bolognesi dei Canetoli vanno a Gubbio, vicino all’altare e

al Vescovo, a rendere omaggio al loro parente. Il cardinale

bolognese Prospero Lambertini, testimone oculare della

diffusione del suo culto, divenuto Papa con il nome di

Benedetto XIV, il 2 ottobre 1748 gli conferì il titolo di

‘beato’.

“Mi pare di vedere il giovane religioso - racconta Eleonora

Vescovi, parente dei Canetoli e storica della famiglia – mi

pare quasi di sentirne i passi per i corridoi dei conventi,

di intravederne l’alta figura vestita di chiaro sostare nel

fresco dei chiostri. Una persona gentile dal tratto distinto,

che si distingueva fra gli altri canonici. Aveva nel cuore

un solo desiderio, ossia unirsi alla voce di Dio nella

solitudine della natura. Ma solo a 38 anni, nel suo amato

eremo, il beato Arcangelo ha potuto seguire e dedicarsi

alla sua più vera vocazione. Qui a Gubbio si è impegnato

fin da subito per migliorare l’eremo, per costruire la

cisterna dell’acqua per il monastero, e per prepararsi (con

martello, scalpello ed il proprio lavoro) una celletta nella

roccia viva, per isolarsi in preghiera. Si diceva conducesse

una santa vita ascetica, anche se la gente raccontava che

fosse d’antica illustre famiglia bolognese. Era un uomo

di povertà e di preghiera, certamente fuori dal comune

e ricordava molto il poverello d’Assisi”. Tante persone si

recavano a Gubbio per parlare con il beato Arcangelo,

che dava speranza a tutti coloro che si affidavano a lui, sia

che fossero illustri dame come Elisabetta Gonzaga (che

ha poi lasciato al monastero alcuni suoi possedimenti), o

famosi principi come Francesco della Rovere (che col suo

casato aveva preso il posto dei Montefeltro di Urbino) o

persone semplici del popolo, che lui amava.

Si racconta ancora del viaggio del beato Arcangelo a

Firenze, quando Giuliano dei Medici gli offrì il posto di

arcivescovo di Firenze. “Arcangelo non voleva offendere

nessuno ma rifiutò quella proposta - continua Eleonora

Vescovi - nei primi giorni di marzo 1513 ha fatto ritorno

nella sua Gubbio. Non stava bene e una forte febbre lo

lasciava esausto da alcune settimane. Arrivato a Gubbio,

è riuscito solo a dettare due lettere ad un confratello, e

il 16 aprile è spirato fra i monaci e la gente che tanto

lo stimavano. Dato che la fama di santità di Arcangelo

Canetoli cresceva e si difendeva anche fuori Gubbio, e

tutti parlavano dei miracoli, nel 1617, ossia un secolo

dopo la sua morte, è stato aperto un processo canonico

per la beatificazione del religioso e nel 1736 molte

chiese lo hanno sostenuto. A Gubbio si ricorreva a lui,

con fiducia, in quanto guariva i malati, aiutava i pellegrini

e le persone sofferenti nel corpo e nell’anima. Si prega

ancora oggi davanti al suo corpo incorrotto come si fa

da Sant’Ubaldo, patrono della città. Ho scoperto con

emozione che in diverse chiese d’Italia sono esposti

quadri che rappresentano il beato Canetoli. Sono dipinti

del XVIII secolo, a dimostrazione che, subito dopo la

beatificazione di Benedetto XIV il suo culto, si è diffuso

rapidamente. A Bologna lo troviamo a Grizzana Morandi

su un’opera di Luigi Crespi e poi a Venezia, Candiana di

Padova, Ravenna e Orvieto”.

Nell’anno 1764 il religioso Nicola Lepri ha fatto stampare

un inno per il Beato, che dice “…beato, a te sia gloria

ed onore; fa che il Signore abbia di noi pietà”. Per

approfondire la vita del Beato, e per altre notizie si può

fare riferimento ad Eleonora Vescovi ed al suo manoscritto

“Dal buio una luce”.

Ti diamo

VOCE.

IL CUORE NEL TERRITORIO

Crediamo nella

partecipazione attiva

alla vita della cooperativa.

Con soci e socie condividiamo progetti di crescita comune e offriamo loro

la possibilità di accedere a vantaggi e opportunità riservati.

45


I MITI DELLO SPORT

Piccole grandi storie

dei campioni

di casa nostra

A cura di

Marco Tarozzi

Marco Bonamico

Il ricordo di due giganti:

Marco Bonamico, il “Marine”

dei canestri, e Franco Cresci,

uno dei “Magnifici Sette”

fedelissimi del Bologna

QUANDO GLI EROI SE NE VANNO

Cosa si fa quando se ne vanno le

bandiere, quei meravigliosi eroi che

con le loro gesta sportive ci hanno

aiutati a crescere? Si può piangere,

maledire il destino, sentire il vuoto.

Ma soprattutto ricordare e raccontare

quello che hanno rappresentato, forse

l’unico modo per ritrovare un sorriso

all’idea che non se ne andranno mai

del tutto. Lungo la strada della vita

abbiamo perso Marco Bonamico, il

“Marine”, bandiera della Virtus della

Stella, della Nazionale più gloriosa, ma

anche capace di “reggere”, seppure in

prestito, il salto di sponda così delicato

in questa Città dei Canestri. Un Porthos

straripante, ironico, diretto, ancora

pieno di progetti e voglia di futuro.

Tanto quanto era silenzioso Franco

Cresci, difensore eccelso di un Bologna

minore, quello degli anni Settanta, uno

che viaggiando sottotraccia è diventato

bandiera rossoblù, uno dei “fedelissimi”

della storia del club.

ONDE. Un giorno, tanti anni fa, fecero

a Marco Bonamico quella che forse

è la domanda più scontata per un

uomo di sport: chi è il tuo campione

ideale? Normale aspettarsi che un

ragazzone che stava trovando una

dimensione importante nel mondo

della pallacanestro, a quell’ambiente

guardasse. Lui spiazzò tutti, citando

Dennis Conner, l’imperatore

dell’America’s Cup. Un velista.

Strano, pensarono in molti. Non lo

era, per un ragazzo che nascondeva

dietro quella stazza da wrestler una

profonda cultura, non solo sportiva, e

una sferzante ironia. Per di più, nato a

Genova e cresciuto davanti al mare. «Il

vento e il mare mi scorrono nelle vene,

anche in un deserto vorrei svegliarmi

col rumore delle onde».

“MARINE”. Amava tanto Bologna

che negli ultimi anni si era messo

a raccontarla per mestiere ai turisti

stranieri, inventandosi percorsi

meravigliosi tra cultura e gastronomia,

storia e aneddotica. Culturalmente,

Marco camminava su piani alti.

Sportivamente aveva scritto pagine di

storia indimenticabili, proprio qui nella

Città dei Canestri. Inizi col calcio, nel

ruolo di portiere, poi ovviamente nuoto

e pallanuoto e il basket scoperto con

la canotta dell’Athletic Genova. Così

bravo che nel 1972 finì in casa Virtus,

e a sedici anni era già aggregato alla

prima squadra. In prestito alla Fortitudo

nella stagione 1976-77, quella della

semifinale di campionato e soprattutto

Bonamico con il resto della Virtus

che nel 1984 vinse il decimo scudetto.

Foto - Archivio Luca e Lamberto Bertozzi.

della finale “scippata” in Coppa

Korac, vinta dalla Jugoplastika, tornò

in bianconero l’anno dopo e diventò

quell’ala grande capace di battersi

senza tentennamenti su ogni parquet,

dotata anche di un tiro precisissimo

dalla distanza.

STELLA. Alla Virtus restò nell’ultima

stagione bolognese di Dan Peterson, il

primo a gettarlo in mischia, poi passò

da Siena e da Milano prima di tornare in

bianconero, stavolta per restarci a lungo

e vivere momenti indimenticabili. Su

tutti, quel decimo scudetto del 1984,

la Stella strappata alla terza sfida di

finale-scudetto all’Olimpia Milano del

vecchio maestro Peterson. Insieme a

Villalta, Brunamonti, Lanza, Valenti,

Fantin, Daniele, al giovanissimo Gus

Binelli, allo stralunato Elvis Rolle e

a Van Breda Kolff, la truppa di un

meraviglioso debuttante sulla panchina

bianconera, Alberto Bucci, e del suo

vice Ettore Messina.

AZZURRO. Poi, gioie e dolori. Tra

questi ultimi, la finale di Coppa

Campioni dell’81, persa a Strasburgo

per un solo punto contro il Maccabi,

con un dubbio fallo di sfondamento

fischiato proprio nell’ultima azione

contro Marco. Undici stagioni in

Virtus, con 356 gare disputate e 3665

punti messi a referto. Ma le gioie

sono state anche azzurre: l’argento

olimpico di Mosca nel 1980, l’oro

europeo di Nantes nel 1983. Del resto,

l’impronta di Bonamico in Nazionale

è fatta di 154 presenze, 777 punti e

una solidità sempre determinante.

Poi, dal 2009 al 2013 presidente

3046


BOLOGNA

Franco Cresci

lungimirante di Legadue, e a lungo

commentatore Rai e Dazn. Con la

coerenza e la combattività di sempre.

Solo prendendolo di sorpresa il male è

riuscito a sconfiggerlo. Subdolamente,

lasciandoci addosso mille domande

perché a sessantotto anni la vita ti deve

ancora qualcosa.

CRESCI. Franco Cresci faceva parte

del “club dei fedelissimi”: era uno dei

sette giocatori della storia del Bologna

che hanno superato le 400 partite

con la maglia rossoblù. Il settimo, per

l’esattezza, con 404 presenze totali,

preceduto solo da Bulgarelli, Roversi,

Reguzzoni, Nervo (arrivato anni dopo),

Perani e Gasperi. Diventò bandiera

negli anni Settanta, quando lottare per

lo scudetto non era più possibile, ma

quella squadra restava comunque un

mix di vecchi maestri e giovani talenti,

capace di togliersi grandi soddisfazioni,

senza timori reverenziali. Non ne

aveva certo lui, difensore tenace e

indistruttibile.

FEDELISSIMO. Milanese, classe 1945,

cresciuto nell’Inter senza arrivare in

prima squadra, passò dal Rapallo

e dal Varese, dove centrò subito la

promozione e alla seconda stagione

debuttò in Serie A, appena dopo

aver compiuto ventidue anni, il 24

settembre 1967. Al Bologna arrivò

nella stagione 1968-69, trovando

presto spazio anche grazie alla

sua duttilità, che gli permetteva di

esprimersi da centrale o da laterale

difensivo. Ci sarebbe rimasto per undici

stagioni, spesso sbrigando i lavori

meno semplici, ovvero prendendosi

cura degli attaccanti avversari più

pericolosi. Collezionando in rossoblù

301 presenze in campionato, 73 in

Coppa Italia, 30 nelle varie ribalte

internazionali, tra Coppa delle Coppe,

Coppa delle Fiere, Mitropa, Coppa di

Lega italo-inglese. In tutto, appunto,

404 apparizioni.

TROFEI. Ha vinto due Coppe Italia

e una Coppa Italo-Inglese, prima

di affrontare l’ultimo quinquennio

bolognese molto più complicato e

decadente, con stagioni caratterizzate

da salvezze spesso agguantate a fatica.

Non certo per suoi demeriti, perché

è stato indiscutibilmente uno dei

migliori difensori italiani del proprio

tempo, anche se spesso sottovalutato:

in Nazionale, per esempio, fu preso

in considerazione solo negli anni

giovanili, vincendo l’oro con l’Under

21 ai Giochi del Mediterraneo del 1967

e arrivando fino all’Under 23..

MAINE ROAD. Uno dei ricordi che

lo inorgoglivano era quello della

finale di Coppa di Lega italo-inglese,

un trofeo da tempo finito nell’albo

dei ricordi. Fu un faccia a faccia tra

il Bologna, fresco vincitore della

Coppa Italia, e il Manchester City,

detentore della Football League Cup e

campione appena cinque mesi prima

in Coppa delle Coppe. Dopo l’andata

al Comunale, vinta 1-0 dai rossoblù, il

ritorno a Maine Road del 15 settembre

1970 fu una partita spettacolare, in cui

gli toccò occuparsi di una bandiera del

City, Francis Lee. Non se le mandarono

a dire: il rossoblù tornò negli spogliatoi

con un occhio pesto. Ma l’uscita dal

campo del Bologna vincitore, tra gli

applausi degli avversari disposti su

due file e del pubblico inglese, fu un

momento impagabile.

DERBY. Nel 1979, trentaquattrenne,

Cresci si trasferì al Modena per le

ultime tre annate di calcio giocato.

Poi mostrò il suo valore di tecnico,

guidando tra l’altro Modena, Carpi, Vis

Pesaro, Imola, Castel San Pietro, e fino

a pochi anni fa coordinando il settore

giovanile del Fossolo ‘76. Ma il biennio

più felice arrivò tra il 1992 e il 1994,

quando con il Crevalcore mise in fila

il tricolore dilettanti e la promozione

dalla C2 alla C1. Finendo, per uno

strano scherzo del destino, a giocare

in quest’ultima categoria due derby

storici per il Creva, proprio contro il

“suo” Bologna. Negli ultimi anni, la

malattia gli aveva progressivamente

fatto dimenticare tutto questo passato.

Ma noi non riusciremo a dimenticare lui.

Cresci in marcatura

su Ciccio Graziani

4731


30

LA MACCHINA DEL TEMPO

La convivenza tra Etruschi

e Celti è all’origine di

Bologna

Felsina

o Bononia?

Testi di Elena Boni

Subito prima della dominazione romana,

il territorio bolognese fu abitato da due

popolazioni di origini diverse: gli Etruschi

e i Celti. Grazie ai ricordi scolastici e

alla letteratura divulgativa, siamo portati

a immaginare le due popolazioni come

ben distinte e ad associarle a luoghi

molto differenti: infatti quando diciamo

“Etruschi” pensiamo solitamente alla

Toscana, alle tombe decorate, ai ricchi

corredi funerari e all’origine del nostro

alfabeto; invece il termine “Celti” ci

rimanda immediatamente alla Gallia di

Asterix e alle brughiere dell’Irlanda, con

scenari di battaglie epiche e di musiche

meditative o ballabili. Raramente

pensiamo alla provincia di Bologna

come luogo di incontro, scontro,

coabitazione e scambio di queste due

antiche civiltà: eppure, si tratta dei

nostri antenati, che hanno lasciato sul

territorio tracce importanti della loro

presenza. Fortunatamente oggi queste

tracce sono ben conosciute e studiate,

e tutti possiamo usufruirne con facilità.

Dai Villanoviani AGLI Etruschi

L’epoca villanoviana, di cui abbiamo

Capanna etrusca | Monterenzio

Foto: courtesy Museo civico archeologico di Bologna, archivio Fotografico

parlato nella puntata precedente (VB n.

66 pp. 38-39) è oggi considerata dagli

archeologi la prima fase della civiltà

etrusca nella bassa Pianura padana. Tale

civiltà si sviluppò dal IX al VI secolo

circa, con insediamenti importanti

nella futura area urbana di Bologna,

a Marzabotto, nel Ferrarese (Spina) e

in Romagna (Verucchio). I primi scavi

archeologici furono avviati dal conte

Giovanni Gozzadini tra il 1862 e il

1870 al Pian di Misano di Marzabotto,

con i fondi messi a disposizione dai

conti Aria; in seguito la valle del Reno

si è rivelata ricca di siti archeologici.

Proprio a Pompeo Aria è dedicato

oggi il Museo nazionale etrusco,

che conserva importantissimi reperti

rinvenuti soprattutto nelle necropoli di

Kainua. Questa parola etrusca significa

“città nuova” e indica la fondazione

dell’abitato di Marzabotto, nel 500

a.C., sui resti di un precedente abitato

del VI secolo. Kainua rappresentava,

per la sua epoca, un eccezionale

esempio di pianificazione urbana, con

una serie di strade che si intersecavano

perpendicolarmente (quello che poi

diventerà l’impianto ortogonale tipico

dell’urbanistica romana), un’acropoli o

città alta e due necropoli pure esterne al

centro abitato. Tanto rilevanti furono le

Candelabro etrusco

V sec. aC

Inventario reperti del 1880


Guerriero celtico

ETRUSCHI E CELTI

scoperte archeologiche che l’area diventò

il primo vero Parco archeologico dell’Italia

settentrionale e il conte Gozzadini volle

organizzare a Bologna il grandioso

Carnevale degli Etruschi nel 1874.

Di reperti etruschi è ricchissimo il

Museo civico archeologico di Bologna,

tanto che alcune sale sono dedicate

esclusivamente a questa civiltà. I preziosi

oggetti provengono dagli scavi bolognesi

e da collezioni private.

Tra gli altri siti è particolarmente nota

la necropoli etrusca dei Giardini

Margherita, con le due tombe tuttora

visibili, seppure rovinate dal tempo; da

qui proviene il famoso candelabro con

donna e bambino, pregiato esempio di

arte etrusca. Al museo civico si possono

ammirare steli, urne, fibule, specchi,

armi… un ricchissimo corredo di oggetti

che ci raccontano l’evoluzione nei secoli

di una civiltà raffinata e complessa.

Nel 2019 il museo ha ospitato la grande

mostra Etruschi. Viaggio nelle terre dei

Rasna con 1.400 oggetti provenienti

da 60 istituti italiani ed esteri. Per chi

volesse approfondire, il ricco catalogo

della mostra è ancora in vendita, insieme

alle altre pubblicazioni scientifiche o

divulgative sul tema, presso il negozio

del museo civico.

CELTI O GALLI BOI

La città etrusca vide un importante

cambiamento all’inizio del IV secolo

con l’arrivo dei Galli Boi, una tribù

celtica proveniente dal nord. Gli

invasori si stabilirono soprattutto nelle

zone di pianura e di montagna, ma

i resti archeologici ci raccontano di

frequenti scambi e commistioni con la

città e con le popolazioni locali. L’uso

delle armi, ad esempio, è rivelatore

della coesistenza delle due civiltà:

accanto alle armi in ferro di foggia

celtica o gallica si ritrovano armi in

bronzo prodotte da officine etrusche

secondo l’uso centro-italico (ad

esempio nel sepolcreto Benacci, in

zona Andrea Costa/Ravone). Anche i

metodi di sepoltura dei defunti erano

differenti: inumazione per gli Etruschi,

cremazione per i Galli o Celti; eppure

alcune sepolture rivelano matrimoni

misti, come a Monte Bibele. Proprio

su questo monte che sovrasta la Valle

dell’Idice furono scoperte nel 1978 le

tracce archeologiche di un importante

villaggio etrusco del 400 a.C. Pochi

decenni dopo nell’abitato si insediarono

i Galli (Celti), ma gli Etruschi non

scomparvero. Gli scavi e le ricerche

hanno portato a costituire il piccolo

ma ben organizzato Museo civico

archeologico di Monterenzio e il Parco

archeologico in rete dell’Appennino

bolognese, entrambi gestiti da un

vivace gruppo di archeologi oggi riuniti

nell’associazione ARC.a.

Intorno alla ricerca storica e archeologica

si sono sviluppati anche eventi ludicosociali

e divulgativi, come la famosa

festa celtica “I Fuochi di Taranis” che

si svolge ogni anno a Monterenzio tra

giugno e luglio. Inoltre hanno preso

avvio attività ricettive, agricole o di

trasformazione ispirate alla storia e alla

natura del luogo (v. articolo sulla Valle

di Taranis in VB n. 65 pp. 36-37).

UN NOME, UN INDIZIO

Anche i nomi della nostra città

portano in sé le tracce della presenza

delle due popolazioni. Infatti gli

Etruschi chiamavano la città Vezna

o Felzna, toponimo poi latinizzato

in Felsina. Invece i Galli Boi diedero

probabilmente origine alla dicitura di

Bononia, da cui l’attuale Bologna. Gli

aggettivi “bolognese” e “felsineo”, oggi

usati come perfetti sinonimi, non hanno

quindi in origine lo stesso significato;

ma stanno a testimoniare una storia

locale davvero ricca e complessa, di

cui possiamo scoprire le tracce nei

numerosi musei ed aree archeologiche

del territorio.

da visitare

Museo civico archeologico

Via dell’Archiginnasio, 2

40124 Bologna

Tel. 051 2757211

mca@comune.bologna.it

Museo nazionale etrusco “Pompeo

Aria” e area archeologica di Kainua

Via Porrettana Sud 13

40043 Marzabotto (BO)

Tel. 051 932353

mn-bo.museonazionaletrusco@

cultura.gov.it

Museo civico archeologico

“L. Fantini” e Area d’interesse

archeologico di Monte Bibele

Via del Museo, 2

40050 Monterenzio (BO)

Tel. 329 1949532

info@montebibele.eu

https://montebibele.eu

Teniamo le ORECCHIE

ben aperte.

IL CUORE NEL TERRITORIO

Ascoltiamo le necessità

del territorio che abitiamo

per contribuire a trovare

soluzioni efficaci.

Crediamo nell’ascolto come strumento attivo per le nostre comunità

al fine di promuovere maggiore benessere, coesione e inclusività.

4931


ALLE ORIGINI DEL VINO

La storia

dei vitigni

dei Colli Bolognesi

Il clima è stato favorevole, le previsioni sono

incoraggianti ma la situazione internazionale

preoccupa le aziende che devono esportare

che Vendemmia è stata?

Testo di Alessio Atti

Prima di osservare da vicino i Colli Bolognesi è bene

avere un quadro generale e complessivo dell’andamento

produttivo vitivinicolo del Paese.

A metà agosto, dal Veneto alla Toscana, dal Piemonte

alla Puglia, passando per Sicilia e Sardegna, la campagna

viticola 2025 mostra un’Italia del vino in salute, con

condizioni climatiche variabili ma complessivamente

favorevoli. Il quadro non è uniforme: le differenze tra

Nord e Sud si manifestano soprattutto nel ciclo vegetativo,

nella gestione fitosanitaria e nelle stime produttive, ma la

tendenza generale è positiva.

In Emilia-Romagna, ad esempio, le previsioni indicano

un lieve aumento per Lambrusco e Trebbiano, mentre

Ancellotta e Pignoletto segnalano un piccolo calo,

dovuto in parte alla cascola fiorale e a una scarsa

allegagione. Ci sono però aree in netta crescita: la Sicilia

orientale registra un +20% rispetto allo scorso anno,

l’Oltrepò Pavese si attesta su un +10% e la Franciacorta

prevede uve di qualità eccellente e raccolti abbondanti.

In controtendenza, il Consorzio Asti DOCG ha scelto di

limitare le rese, per mantenere l’equilibrio tra domanda

e offerta.

Il clima ha giocato un ruolo determinante. L’inverno, mite

e regolare, non ha creato problemi di gelo; la primavera,

fresca ad aprile e segnata da piogge ben distribuite, ha

favorito una fioritura graduale e accumulato preziose

riserve idriche. Queste scorte d’acqua si sono rivelate

fondamentali a giugno, quando un’ondata di calore ha

accelerato lo sviluppo vegetativo: grazie all’umidità del

suolo, le piante non hanno subito stress rilevanti. Luglio

ha poi portato marcate escursioni termiche tra giorno e

notte, un fattore chiave per un’invaiatura regolare e una

maturazione fenolica ottimale.

Oggi, a poche settimane dall’inizio della vendemmia,

lo stato sanitario delle uve è in gran parte ottimo: i

grappoli sono ben conformati, le rese attese in linea con

le medie storiche e la prospettiva qualitativa molto alta.

Alcune varietà bianche potrebbero essere raccolte con

un leggero anticipo rispetto alla norma, dando vita a vini

freschi, precisi e fortemente identitari, a condizione che

agosto non riservi eventi estremi.

Sul versante commerciale, tuttavia, lo scenario è meno

incoraggiante. Il settore teme l’effetto delle giacenze

accumulate: l’Italia rischia di affrontare il nuovo

raccolto con cantine già piene, inclusi vini Dop. Un

surplus dovuto a un export in rallentamento, consumi

interni stagnanti e un potere d’acquisto che fatica a

riprendersi. L’inflazione, seppur più contenuta rispetto al

2023, continua a pesare sul clima di fiducia di imprese

e consumatori.

E sui Colli Bolognesi?

Ne ho parlato con l’amica Eleonora Lolli, grande

conoscitrice del panorama vitivinicolo locale, ne

conveniamo che le nostre colline risentono degli stessi

andamenti climatici del resto del Paese e soffrono delle

stesse incertezze di mercato, aggravate però da una

cronica mancanza di coesione: un “fare squadra” che

altrove funziona e qui stenta a decollare.

Dal punto di vista agronomico, l’andamento è positivo.

La vendemmia è iniziata prima del 10 agosto con la

raccolta delle uve destinate alle basi spumante – in

primis Chardonnay e Pinot Nero. Una data che ormai

non stupisce più, dato che le estati sempre più calde e

siccitose stanno consolidando la tendenza ad anticipare

i tempi. La maturazione è in netto anticipo, ma con le

50


dovute attenzioni non dovrebbero esserci problemi di

gradazioni alcoliche eccessive.

La qualità delle uve è eccellente. Restano, purtroppo,

alcune criticità fitosanitarie: in certe zone persistono

malattie come la flavescenza dorata e il mal dell’esca.

L’annata 2025, però, ha visto un rischio molto contenuto

di attacchi fungini, grazie a condizioni meteorologiche

favorevoli che hanno ridotto la pressione di peronospora

e oidio.

Da tenere presente che le zone soggette a smottamenti

e frane dovute alle alluvioni, non sono del tutto

ripristinate. Questa problematica incide notevolmente

sulla produzione e sulla gestione dei vigneti interessati.

In sostanza, non sarà un anno molto diverso dal

precedente: la qualità media sarà alta, con vini ben

progettati e lavorati con sempre maggiore attenzione.

Nonostante le sfide poste da clima e mercato, i Colli

Bolognesi confermano il loro potenziale qualitativo,

frutto di competenza, passione e di un territorio

eterogeneo che sa dare molto.

Eppure, non mi stancherò mai di ripeterlo: queste colline

hanno bisogno di essere amate e valorizzate. Meritano

un abbraccio collettivo, un impegno condiviso che le

aiuti a esprimere tutto il loro carattere e la loro unicità. Il

mondo vitivinicolo felsineo sente l’urgenza di rinnovarsi,

di trovare una voce originale e un’identità forte. E forse

siamo proprio noi, frequentatori di valli e colli, a poter

accendere questa scintilla di rinascita.

VIENICI A TROVARE

PRESSO

STORE · BOLOGNA

Via Ugo Bassi, 4F/4G

BOLOGNA - 40121

LUN - DOM

10:00 - 19:30

tel. 051 4986990

cmpstorebologna@campagnolo.it

51


L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA

Piante, animali e ambienti normalmente visti

in modo negativo hanno anche aspetti positivi,

poco o niente considerati

A cura di Sustenia - Ecologia Applicata

Non è un parassita, non soffoca e non danneggia

gli alberi sui quali si abbraccia per crescere. È un

importante generatore di biodiversità

Avvinta

come l’EDERA

Falena dell’edera

Euplagia quadripunctaria

Testo di Andrea Morisi

L’edera è tra le piante più conosciute

e di solito si pensa di conoscerne

anche la biologia, nonché il suo ruolo

nell’ecosistema. È tipicamente odiata

dai più. Viene accusata innanzitutto

di essere un parassita degli alberi,

di causarne la morte. Di far cadere

gli alberi e di “soffocarli”. E poi di

rovinare i boschi. Per di più non risulta

utile ad alcunchè: non si mangia (è

velenosa!) e non fornisce legname…

L’edera rappresenta quindi un ottimo

Edera monumentale

su grande pioppo

soggetto per questo articolo.

Vediamo un po’. L’edera (Hedera

helix) è una pianta che ha assunto

una sua strategia per concorrere

con le altre nella gara quotidiana a

trovare nutrienti e luce. Il suo “spazio

vitale” se lo conquista non investendo

energia nel formare un tronco robusto

e molto lignificato, bensì sviluppando

la capacità di accrescersi in modo

strisciante e utilizzando il sostegno

fornito dai tronchi di altre piante su

cui fa aderire i propri fusti mediante

delle “radici avventizie” composte da

piccoli fasci di radichette ad uncino

che si saldano alla corteccia della

pianta ospite. Di fatto, quindi, l’edera

è una pianta rampicante, che invece

di attorcigliarsi o usare pampini come

fanno le altre lianose, le cinge con un

fortissimo abbraccio. “Avvinta come

l’edera”, cantava la Nilla nazionale.

I fusti dell’edera formano pian piano

un intreccio attorno al tronco della

pianta ospite, crescendo assieme

ad esso e andando a costituire una

specie di telaio, spesso con i fusti del

rampicante che si fondono tra loro.

L’edera ha un’altra caratteristica: non

sopporta bene l’insolazione diretta.

Ma si capisce bene il perché, dato

che questa liana arriva in genere

dopo che gli alberi su cui si abbarbica

hanno avuto modo di crescere e

creare anche l’ombra sul suolo. Va

evidenziato inoltre che si tratta di una

“sempreverde” che fiorisce nella tarda

estate ed i suoi frutti maturano durante

l’inverno, tutte caratteristiche non

molto comuni nella nostra flora.

IL SUO RUOLO

Avendo tratteggiato chi è l’edera e

di cosa viene solitamente accusata,

vediamo di evidenziare il suo

ruolo ecologico, le sue funzioni

nell’ecosistema ed i servizi

ecosistemici che è in grado di erogare.

Prima di tutto, una cosa: l’edera non è

un parassita. Non succhia la linfa della

pianta ospite. Le sue radici vere sono

nel terreno, quelle con cui si attacca

al tronco degli alberi sono solo degli

agganci per arrampicarsi. La riprova

è semplice, basta tagliare uno dei

cordoni che formano i fusti dell’edera.

Dopo alcuni giorni, le foglie e i getti

posti al di sopra del punto di taglio

appassiranno e poi seccheranno

completamente. La parte sotto il taglio

resterà, invece, verde. Ciò significa

che acqua e nutrienti non arrivano

dalle radici avventizie succhiandoli

dall’ospite, ma da quelle vere, nel

terreno.

Per quanto riguarda il “soffocamento”

degli alberi o il loro crollo sotto il peso

dell’edera, occorre dire che, se un

albero è sano, la sua crescita sovrasta

quella dell’edera. Tipicamente le

chiome degli alberi su cui cresce

l’edera sono più sviluppate del

rampicante, lo si vede molto bene

osservandoli da lontano. L’edera può

soverchiare gli alberi ancora piccoli

oppure non più vegetanti. Con gli altri

convive, con specifici effetti.

La significativa mole di vegetazione

che l’edera può sviluppare sul tronco

e sulle branche degli alberi può

effettivamente arrivare a costituire

52


BIODIVERSITà

Il taglio dei cordoni causa

il disseccamento dell’edera

Ammasso vegetazione

di edera su alberatura

un peso elevato e causare anche

l’effetto “vela” che può sbilanciare la

stabilità degli alberi, fino a causarne

lo schianto in caso di forti venti o

particolari eventi atmosferici (per

esempio nevicate abbondanti). I suoi

effetti negativi sulla stabilità vengono

però compensati dal telaio portante

che l’edera stessa costruisce attorno

al tronco e ai rami della pianta ospite.

GENERATRICE DI BIODIVERSITÀ

La presenza dell’edera va poi vista

sotto il punto di vista delle condizioni

ambientali che è in grado di generare

che ne fanno una importantissima

generatrice di biodiversità. La

copertura in continuo di suolo e di

gran parte della pianta ospite crea

delle nicchie estremamente utili per

il rifugio, il riparo, la riproduzione

e l’alimentazione di moltissimi

organismi. Il groviglio di getti e

foglie sempreverdi sono un ottimo

nascondiglio e vi si creano accumuli

di sostanza organica e di umidità ove

prosperano numerosi invertebrati,

sia adulti che nelle loro forme

larvali (Insetti Dermatteri, Coleotteri

e Emitteri, Molluschi Gasteropodi,

Aracnidi, piccoli Crostacei terrestri,

ecc.). Questi organismi sono poi

attivamente ricercati dai loro

predatori, sia al suolo dove l’edera

può formare tappeti su cui si

muovono toporagni, mustioli, ricci (e

ulteriori predatori come le donnole),

sia su tronchi e rami, frequentati

tipicamente dagli uccelli (picchi di

diverse specie, cince e altri uccelli

di “macchia”). Nel folto dell’edera

sono tanti gli uccelli che nidificano o

passano la notte in dormitorio.

L’edera può effettivamente

essere considerato un elemento

dell’ecosistema che genera habitat

e microclimi e quindi favorisce la

diversificazione della componente

biologica.

E poi, pur essendo velenosa,

costituisce il cibo direttamente per

diversi organismi. Quello forse

più specifico è la falena dell’edera

(Euplagia quadripunctaria), farfalla

protetta in tutta Europa e caratterizzata

da una bella livrea aposematica, che

si nutre nella fase finale della sua

vita da bruco proprio delle foglie

dell’edera. Ma altre parti dell’edera

sono molto apprezzate: i fiori, tra

quelli che fioriscono più avanti nella

stagione, quando le fioriture sono

ormai rare, sono preziosissimi per

gli impollinatori selvatici (e anche

per le api: si produce un particolare

miele di edera), mentre le bacche

nere, che maturano diventando più

tenere con i primi freddi, diventano

un fondamentale pasto quotidiano

per molti uccelli, in particolare merli,

tordi, storni.

L’ALTRA FACCIA DELL’EDERA

Il paesaggio stesso e la forma della

vegetazione e di singole piante,

soprattutto quando si raggiungono

dimensioni monumentali, sono

arricchiti dalla presenza dell’edera,

talvolta con significativi risultati

estetici.

La sua ininterrotta fotosintesi durante

tutto l’anno, unita alla sua grande

capacità di produrre biomassa

organica, ne fanno poi anche un

utile alleato nell’assorbimento

dell’anidride carbonica e nel fissaggio

del carbonio e, quindi, nel contrasto

del cambiamento climatico.

Esistono quindi tanti motivi per non

criminalizzare l’edera e sono tanti i

benefici che derivano dalla presenza,

anche quando molto rilevante, di

questo rampicante sempreverde.

Edera morta su olmo dopo

il taglio dei cordoni

53


FOTONATURALISMO

La sedicesima puntata

di un piccolo corso

sui segreti

del fotografo naturalista

WildWATChing

Leggere i versi

degli animali

Testi e foto di Paolo Taranto

Negli articoli precedenti abbiamo

visto perché è utile conoscere le

vocalizzazioni degli animali e come

registrarle al meglio. Registrare le

vocalizzazioni è utile per costruirsi

un archivio personale, per consultare

altri esperti utili per le identificazioni

difficili ma anche per poterle

analizzare meglio tramite appositi

programmi per computer e dunque

“leggere” le loro caratteristiche.

Questi programmi trasformano il

segnale acustico in un sonogramma,

cioè una rappresentazione grafica

che mostra nel tempo (asse

orizzontale, in secondi) l’andamento

della frequenza (sull’asse verticale,

misurata in kHz) e anche l’intensità

del suono attraverso diverse

sfumature di colore (solitamente in

bianco e nero e tonalità di grigio

intermedie, misurata in dB). In

questo modo la vocalizzazione

diventa “visibile” e può essere letta

come una sequenza di elementi

(punti, tratti, curve etc) consentendo

di misurare e scoprire tutta una serie

di parametri e caratteristiche che

è difficile o impossibile percepire

a udito ad esempio le variazioni di

tonalità, la presenza di armoniche,

la complessa struttura a sillabe e

frasi; in pratica il sonogramma è

una sorta di “impronta digitale” di

una vocalizzazione. Il sonogramma

è dunque un prezioso strumento

per lo studio delle vocalizzazioni

consentendo confronti oggettivi tra

individui o specie o sottospecie e

fornendo un potente strumento per

lo studio della bioacustica.

Come leggere un sonogramma

L’elemento base: la nota. Una “nota”

è la più piccola unità sonora di una

vocalizzazione che si può vedere

in un sonogramma sottoforma di

una traccia sonora continua; è

un evento acustico singolo e può

essere costituita da un suono puro

con frequenza costante, come nel

caso di un fischio, oppure con

frequenza e ampiezza modulate; una

nota può anche avere una struttura

armonica cioè può avere toni con

frequenza multipla della frequenza

fondamentale (cioè la frequenza più

bassa) oppure può essere composta da

una serie di impulsi o da una banda di

rumore. Il numero e l’intensità delle

componenti armoniche determina il

timbro del suono.

STRUTTURA

DI UNA VOCALIZZAZIONE

O UN CANTO

La struttura di una vocalizzazione è

una struttura gerarchica, la sequenza

totale della vocalizzazione può

essere anche molto lunga, da pochi

secondi a qualche minuto ed è

formata da unità più piccole cioè le

frasi o motivi; ogni frase o motivo si

può ripetere in maniera uguale o può

cambiare ma in ogni caso è composta

da sillabe; ogni singola sillaba è a sua

volta formata da singoli elementi o

note. È però da notare che i confini tra

i vari elementi di una vocalizzazione

come le frasi, le sillabe o gli elementi

singoli sono spesso poco chiari e

non sempre si riesce a distinguerli in

maniera chiara in un sonogramma;

alcune specie hanno vocalizzazioni

molto complesse con confini poco

definiti tra le diverse componenti.

Nell’analisi di una vocalizzazione

attraverso il sonogramma vi sono

diversi principali aspetti che possono

essere analizzati ad esempio la durata,

il picco di frequenza, l’intensità del

suono, il tono, la trama del suono.

Descriviamoli più dettagliatamente.

1) Durata

La durata è il primo parametro

che si può osservare e misurare

in sonogramma; l’unità di misura

solitamente sono i secondi o i

millisecondi. La durata può riferirsi

a tutta l’intera vocalizzazione, a una

parte di essa (una frase o motivo), a

54


WildWatching

Nella pagina a sinistra, un Allocco,

rapace notturno molto comune

nei boschi, il tipico canto territoriale

del maschio è composto da note

a bassa frequenza, come avviene

per diverse specie di rapaci notturni.

A sinistra, un Fiorrancino in canto,

piccolissimo Passeriforme ma

dal canto molto melodioso e complesso.

una sillaba, o a un singolo elemento

o nota. Ma le varie parti di una

vocalizzazione sono separate da

spazi vuoti, anche la lunghezza

di questi intervalli è importante

per l’analisi di una vocalizzazione

(intervalli tra motivi o frasi, tra sillabe,

tra note etc).

2) Picchi di frequenza

La seconda informazione che

ci fornisce un sonogramma è la

frequenza o picco (sull’asse y delle

ordinate). Maggiore è la frequenza

e maggiore è il picco di un suono e

si misura in hertz (Hz o kHz); negli

uccelli le frequenze sono comprese

tra 1 e 10 kHz. Più in alto si trova

un suono nel sonogramma maggiore

è il suo picco di frequenza e udito

risulterà acuto, viceversa un suono

con frequenza bassa si trova in basso

e risulta più cupo.

Le singole note o sillabe possono

essere classificate in funzione della

loro frequenza e del modo in cui essa

può variare. Si possono distinguere le

seguenti tipologie:

-Suono monotono: la frequenza

non cambia, appare come una linea

orizzontale sul sonogramma

-Suono crescente (upslurred): la

frequenza aumenta, appare come

una linea inclinata verso l’alto

-Suono decrescente (downslurred):

la frequenza si abbassa, appare come

una linea inclinata verso il basso

-Fischio (overslurred): appare come

una linea curva rivolta verso il basso,

il suono prima si alza in frequenza poi

si abbassa, dunque ha la maggiore

intensità nella parte centrale. Se la

linea curva è al contrario, cioè rivolta

verso l’alto (underslurred) il suono

inizia con una frequenza alta, che

pian piano si abbassa per poi tornare

al valore alto alla fine, con l’intensità

minore posta al centro.

La nota pura si mantiene su una

frequenza singola e ha una certa

durata nel tempo (circa 0,2 secondi);

la nota modulata in frequenza (2)

invece lungo la sua durata copre

diverse frequenze (circa da 3 a

5 kHz); quando la modulazione

diventa molto rapida (4) si ha una

nota vibrata; il click (5) è una nota

semplice molto breve ma che

si estende in un ampio range di

frequenze (circa da 2 a 6 kHz).

3) Intensità

La terza informazione fornita dal

sonogramma è l’intensità del suono,

questa viene rappresentata da una

scala di grigi (o da una scala di colori)

dove alle tonalità più chiare di grigio

(o ai colori più chiari) corrisponde

una bassa intensità del suono mentre

alle tonalità più scure corrisponde

un’intensità maggiore del suono.

4) Frequenze fondamentali e

armoniche

Nelle vocalizzazioni spesso sono

presenti diverse frequenze e sono

visibili sullo spettrogramma. La

frequenza più bassa (lowest-pitched)

è detta frequenza fondamentale

o prima armonica. Poi si possono

avere altre armoniche (dette anche

frequenze parziali) che hanno

frequenze via via più alte e sono

sempre multipli della frequenza più

bassa (per esempio un’armonica con

frequenza fondamentale a 500 Hz

presenta anche frequenze a 1,0 kHz,

1,5 kHz e così via). Le armoniche

danno origine ai suoni nasali; la

nasalità è maggiore o minore in base

alla scala di intensità del suono delle

varie armoniche (colori più chiari

o più scuri andando verso l’alto o

verso il basso).

Le armoniche o sfumature

(“overtones”) sono rappresentate

in un sonogramma da un tipico

pattern a scala dove una frequenza,

quella fondamentale, è quella più

bassa. L’ampiezza relativa di queste

armoniche può variare modificando

notevolmente la qualità del suono;

le sfumature a volte non sono

armoniche ma formano delle bande

laterali nel sonogramma.

Gli aspetti e i parametri mostrati dal

sonogramma di una vocalizzazione

non finiscono qua, ma continueremo

ad analizzarli nel prossimo articolo.

55


DUE NUOVI CALENDARI NATURALISTICI

DI PAOLO TARANTO

IL CALENDARIO SULLE TRACCE DEGLI ANIMALI

La nuova edizione del Calendalibro formato da 26

pagine ricco di illustrazioni e testi su tracce e segni

degli animali.

IL CALENDARIO DEL LUPO

Un nuovo Calendalibro formato da 26 pagine

ricchissimo di foto, grafiche e informazioni

sulla biologia del grande predatore

Per ordini: fotografianaturalisticaorg@gmail.com

Sconto per l’acquisto di entrambi i calendari


ENTOMOLOGIA

Un viaggio nel territorio

per conoscere la diversità

biologica che rende unico

il nostro ecosistema

Alla Dolina della Spipola

l’incontro con Messor capitatus

Forte come

una formica

A cura di Guido Pedroni e Maria Mihaela Dogaru Pitirici

WBA - World Biodiversity Association, Verona

GRN - Gruppo di Ricerca Naturalistica “Charles Darwin”, Bologna

Messor capitatus

Ancora una volta ci siamo ritrovati a

camminare nella Dolina della Spipola sulle

colline del primo Appennino bolognese,

e qui abbiamo osservato (e fotografato)

due colonie di formiche appartenenti

alla specie Messor capitatus descritta da

Latreille nel 1798.

La dolina, zona carsica impostata sul gesso,

è stata trattata più volte in questa sede; è

un ambiente di grande interesse ecologico

perché ha in sé caratteri xerotermici sui suoi

versanti (secchi e caldi, quindi) e caratteri

microtermici (freschi o addirittura freddi) nel

bosco posto sul fondo della dolina stessa e

soprattutto in prossimità delle aperture della

grotta omonima.

Messor capitatus è comune nell’Italia

centrale e meridionale, mentre non si

conosce bene il limite settentrionale del

suo areale, a parte popolazioni relitte nella

Valle di Susa e nelle Prealpi Venete (A.

Scupola in litt.).

Diffuse in tutto il mondo, le oltre 100

specie conosciute appartenenti a questo

genere, nidificano in luoghi aridi e brulli

o anche nelle insenature delle rocce se

queste si trovano sotto un piccolo spessore

di terra, proprio come abbiamo osservato

sui versanti secchi e caldi della Dolina

della Spipola, costruendo il nido nei siti

opportunamente individuati.

Le formiche (Imenotteri come le api e le

vespe) rappresentano da sempre un mondo a

sé stante nell’entomologia, un microcosmo

dove “vince” il superorganismo che ogni

colonia rappresenta, non tanto per il

numero di esemplari (spesso varie migliaia)

ma per la capacità di organizzarsi e di

interagire degli esemplari fra loro, proprio

per il bene di tutta la colonia.

Il nome “Messor” significa “colui che

miete”, da intendersi dunque come una

formica mietitrice. In Italia ci sono nove

specie appartenenti a questo genere.

Il nome è perfettamente attinente ad un

comportamento tipico di questa specie,

in quanto dedita ad un foraggiamento di

gruppo arrivando a formare colonne larghe

e regolari. Le operaie vengono reclutate

grazie alla produzione e al rilascio di

feromoni dalla ghiandola di Dufour invece

che dalle ghiandole velenifere.

Un comportamento particolarmente

interessante riguarda pure la produzione

di feci contenenti gli stessi idrocarburi

della cuticola delle formiche operaie; le

feci vengono sistemate intorno al loro

nido per facilitarne il riconoscimento

della posizione; tali idrocarburi vengono

utilizzati, anche, nella fase di contatto

ravvicinato per determinare se un’altra

formica appartiene alla stessa colonia.

La principale fonte di cibo di Messor

capitatus sono i semi, ma le formiche

possono mangiare anche resti di piante

(cereali soprattutto) e animali. I semi spesso

sono dispersi in ambiente; gli effetti della

dispersione dei semi da parte delle formiche

sono importanti in quanto possono

influenzare la crescita della vegetazione

e il fatto che siano posizionati in una

vegetazione rada significa che i semi sono

sottoposti ad una competizione limitata.

Nelle operaie, il torace presenta un profilo a

gobbe, rialzato rispetto al propodeo, e due

corte spine ridotte a semplici tubercoli sulla

parte dorsale posteriore del propodeo.

L’addome, ovale e di dimensioni ridotte

rispetto al resto del corpo, ha il pungiglione,

che può infliggere punture raramente

dolorose per l’uomo. Le mandibole, di

conformazione tozza, sono ricurve ed

unite alla sommità dell’apparato boccale, e

presentano numerosi denti sul lato interno.

La fondazione di una colonia viene indicata

come “fondazione claustrale”, cioè la

regina cerca un posto tranquillo nella terra

per fondare la colonia, isolandosi in una

cella da cui non uscirà più.

Messor capitatus è una specie polimorfica, il

che significa che ha individui di varie taglie

raggruppabili in classi ricorrenti (minore,

media e maggiore), inoltre è una delle poche

specie che in rare situazioni può avere operaie

telitoche, vale a dire che vengono prodotti da

uova non fecondate solo esemplari femmina

attraverso la partenogenesi. Le operaie major

sono caratterizzate da un capo di grandi

dimensioni, con forma a ciliegia, mentre

le operaie presentano una testa piccola ed

ovale.

Formiche, piccoli animali che hanno

comportamenti straordinariamente

curiosi e interessanti, di grande strategia

comunicativa e comunitaria, e di

“intelligenza” fine e ben organizzata.

Osservando e studiando anche questi

piccoli imenotteri pensiamo si possa

comprendere meglio il nostro stesso ruolo

nella natura.

(Ringraziamo l’amico esperto mirmecologo

Antonio Scupola, del Museo Civico di

Storia Naturale di Verona, per la lettura

critica dell’articolo).

57


Il racconto di FAUSTO CARPANI

Da Gaggio Montano alle trincee sul Podgora

nel primo conflitto mondiale

La guerra

di Turindo

Era stata l’unica licenza dopo otto

mesi di prima linea. Venti giorni

in una Gaggio popolata solo da

donne, vecchi e bambini, perchè gli

uomini validi erano tutti al fronte.

Pochi giorni durante i quali era stato

mèta di un continuo pellegrinaggio

di madri e mogli che venivano a

mendicare notizie dei loro cari, che

solo raramente riuscivano a filtrare

attraverso le maglie della censura

militare.

Era il 16 dicembre del 1916 quando

lasciò il paese con un fiasco di vino

sotto al braccio, piangendo. Quei

lunghi mesi di guerra gli avevano

insegnato che era facile, troppo facile

morire, come Giovanni, il suo amico.

Aveva sporto la testa fuori dalla

trincea per vedere se era vero che i

tedeschi erano a pochi metri da loro.

Era così: la pallottola di un cecchino

lo aveva colto in mezzo alla fronte.

Partì da casa con la certezza di non

farvi più ritorno, perchè la morte

era sempre in agguato, in mezzo al

fango come loro, mai sazia. Lassù,

sul Podgora, c’era un nemico da

combattere, un nemico che però

non era mai venuto a bruciare il suo

raccolto, non gli aveva insidiato le

donne di casa, non gli aveva vuotato

la stalla. Un nemico che non poteva

odiare, montanaro e contadino come

lui, ma al quale doveva sparare e

nel cui ventre doveva affondare la

baionetta, come nella gola di un

porcello; un nemico verso il quale

il 24 maggio 1915 avanzarono di

notte fino a ridosso dei reticolati e lì

presero a scavare con la pala e con

le mani, per fare la “trincera”(trincea)

, lottando con quella roccia dura

che non si lasciava neppure scalfire,

mentre gli ufficiali li incitavano a far

presto, poichè solo rintanandosi in

qualche buca potevano sperare di

vedere l’alba.

Salì sul treno a Porretta, con gli occhi

ancora umidi di pianto, intruppandosi

con altri ragazzi con l’aiuto dei quali

il fiasco fu presto vuoto. Pian piano

il nodo che aveva in gola si sciolse,

stemperando in artefatta allegria

l’angoscia che aveva dentro, mentre

il treno, come cento altri, portava

il suo giovane carico in “zona

d’operazioni”, squallido eufemismo

che nascondeva una realtà fatta di

fango, freddo, inettitudine degli alti

comandi, eroismo inutile e morte.

Attraversarono la grande pianura

ove a lui, contadino di montagna,

apparve così facile il lavorare quella

terra senza grotti e rovine, senza sassi

da scalzare; una terra spartita fra

pochi padroni che abitavano in città e

che venivano in calesse a pretendere

il frutto delle fatiche altrui, in virtù di

chissà quali antichi preivilegi.

Vide anche il grande fiume, quasi

un mare per lui, il cui orizzonte era

chiuso fra il Reno, il Silla e i fossi

intorno al suo campo, gonfi d’acqua

solo al disgelo o dopo un temporale;

quei rii dove andava a “fare la stîrpa”

( ripulire i fossi dagli sterpi - stirpa -

che venivano poi usati per scaldare

il forno.) perchè solo così l’acqua vi

scorreva senza far danno. Dopo la

pianura altri monti: dapprima sagome

azzurrognole che emergevano oltre

la bruma, poi sempre più grandi

piramidi bianche. Il 12 dicembre

1917 il treno giunse in terra friulana

con il suo carico di tristezza.

Fu subito trincea. Non erano

trascorse ventiquattr’ore dagli addii

che già scendeva nel fango di quel

mondo semitrogloditico, gironi

danteschi ove si poteva vivere anche

per mesi, aspettando un cambio che

non veniva mai; ove si moriva senza

quasi accorgersene e sempre senza

saperne il perchè. Scese la sera sulla

trincea. A quell’ora, a casa, andava a

governare le bestie prima di sedere a

tavola, col fuoco che scoppiettava nel

camino. Poi una partita a carte e un

bicchiere di vino.

All’improvviso la montagna impazzì

e lontane vampe annunciarono che il

nemico stava dando loro il bentornato.

La granata arrivò sibilando e fu come

se il mondo andasse in frantumi:

un bagliore accecante, un ruggito

di morte e poi il silenzio rotto dal

lamento dei feriti. Fra questi anche

lui. Con la mano sentiva la punta

dell’enorme scheggia che gli aveva

squarciato il fianco e che premeva

all’interno della sua schiena come un

orribile bubbone che volesse aprirsi.

Quanto tempo trascorse? Qualcuno

lo trasse dal fango e lo portò via da

quell’inferno. Mentre lo sballottavano

su una barella vide ammucchiare

su un camion i compagni morti,

pietosamente composti dai

sopravissuti. All’ospedale da campo

gli levarono quel ferro dal corpo

insieme a un paio di costole e

ricucirono lo squarcio lasciandogli,

a perenne ricordo, un “crespon”

(cicatrice) che è come una medaglia

al valore. Poi l’immobilità su un letto

bianco, in mezzo a una folla di feriti

che si lamentavano e lì, accanto a lui,

quella voce forestiera che gli diceva:

– Amico, se non vuoi morire non

58


Bologna

bere!

Una sete terribile gli arroventava la

gola e gli faceva sognare i suoi fossi

colmi d’acqua, udire il risucchio

delle bestie che bevevano nella

stalla. Per cinque lunghissimi giorni

non potè dissetarsi, con le labbra

che si screpolavano, mentre un

lupo famelico gli piantava le zanne

nel fianco. Ad ogni ora gli facevano

un’iniezione, ora su una gamba,

ora sull’altra e alla domanda di rito:

“Come và?” lui rispondeva:

– A g ho séda! (ho sete..)

La sete! Il supplizio che superava il

dolore della ferita, che non si placava

con la pezzuola umida che ogni tanto

gli mettevano sulle labbra.

Venne anche il cappellano a

chiedergli se voleva confessarsi e

comunicarsi ma lui, come tanti altri

pur credenti, rifiutò. Fra i feriti si era

sparsa la voce che quello era un falso

prete che aveva l’ordine di eliminare

i moribondi con un’ostia avvelenata:

qualcuno aveva creduto di notare

una strana mortalità fra coloro che

avevano fatto la comunione, per far

posto ai feriti che in sempre maggior

numero arrivavano dal fronte. Si

trattava, forse, di fantasie di poveri

cristi che si sentivano esattamente

quello che erano: carne da cannone,

gente che aveva visto esecuzioni

sommarie compiute per decimazione;

ragazzi terrorizzati che si rifiutavano

di tornare in trincea sparando in aria

per protesta e che venivano fucilati

alla schiena per insubordinazione, a

ribellione sedata, avendo come unica

prova la canna del fucile ancora

calda. Soldati per forza che andavano

all’assalto all’arma bianca, falciati

come spighe di grano, povera fanteria

stracciona, la “buffa” che pagò con

un numero altissimo di vite ogni

metro di terra strappato al nemico.

Al quinto giorno bevve un po’ di

Marsala, centellinandolo goccia

a goccia in ventiquattr’ore. Poi,

finalmente, l’umile, preziosa sorella

acqua.

Venne Natale e quel giorno bevve un

po’ di brodo caldo, che mandò giù

titubante, convinto com’era di sentirlo

fuoriuscire dalla schiena. Invece

ne sentì il calore che gli riscaldava

le viscere, sulle quali un anonimo

cerusico militare aveva eseguito un

perfetto lavoro di chirurgia idraulica.

Ancora lunghi giorni di immobilità e

di fame. La sete era ormai un ricordo

e il suo corpo, non ancora pronto

ad accogliere cibi solidi, stentava a

riprendersi, debilitato com’era dalla

perdita di sangue e dalla forzata

inedia. La lunga odissea da un

ospedale all’altro, su lunghi treni

carichi di dolore, fino a Pavia, dove

il cibo era buono ma sempre troppo

scarso.

– Hai da mangiare a casa? – gli chiese

un ufficiale medico dopo averlo

visitato. Rispose di sì anche se non

era vero.

– Allora preparati che ti mando al tuo

paese!

– Mo còmm fâghia andè a cà?An stò

in pè! (Come faccio ad andare a casa?

Non sto in piedi!)

Era vero. Pur non riuscendo a reggersi,

quella era un’occasione da non

perdere: quell’ufficiale aveva fama di

duro, uno che raramente concedeva

convalescenze a casa, soprattutto a

quelli del 78° Fanteria, il reggimento

di suo figlio, ucciso in combattimento

da una pallottola italiana.

Fu caricato sul treno a braccia e

sistemato in uno scompartimento

riservato agli ufficiali, dove avevano

già preso posto quattro capitani. A

Parma un controllore cercò di farlo

sloggiare, ma uno di loro prese le sue

difese:

– Soldato, fai vedere come sei messo!

Aiutandosi con le braccia,

faticosamente si alzò, guadagnandosi

una poltrona imbottita fino a Bologna.

Quivi giunto, un commilitone lo

aiutò a scendere e lo accompagnò

fino alla sala d’aspetto in attesa del

treno per Porretta. Verso l’una di

notte, raccolse tutte le sue forze e si

alzò, trascinandosi fino al convoglio

in partenza. Davanti all’ostacolo

insormontabile rappresentato dalle

predelle per salire si fermò e ancora

una volta fu issato a braccia come un

bambino in fasce. Finalmente il treno

si mosse: stava veramente tornando a

casa, malmesso ma vivo e pensava a

quei ragazzi che lo avevano aiutato a

vuotare il suo fiasco di vino. Quanti

di loro avrebbero preferito tornare

nelle sue condizioni piuttosto che

continuare a marcire nelle trincee! Il

treno correva nella notte verso i suoi

monti, scavalcando ogni tanto quel

fiume, il Reno, lo stesso che scorreva

laggiù, sotto alla sua casa, al quale

portavano acqua anche i suoi fossi.

Arrivò a Porretta a notte fonda e anche

lì qualcuno, un facchino, gli prestò le

sue robuste braccia per farlo scendere.

Nessuno in giro a quell’ora, non un

birocciaio che andasse verso Gaggio,

ma era tanta la voglia di tornare che,

combattendo contro il dolore, si mise

in cammino.

Scarpinò per cinque ore, quasi

strisciando a carponi quando la

strada, poco più d’una mulattiera, si

faceva particolarmente ripida. Arrivò

che era giorno fatto.

A casa, disteso sul letto, sua madre

gli tagliò le brache per poterle sfilare,

tanto erano gonfie le gambe.

Era il 25 febbraio 1917 e lì, nella sua

camera, fra rumori e odori familiari,

pensò che per lui la guerra fosse finita.

Si sbagliava: fu congedato il 4

novembre 1919 e tornò a lavorare il

suo podere a Gaggio Montano. Fece

l’agricoltore fino all’età di 96 anni.

Turindo Brasa, Cavaliere di Vittorio

Veneto, è morto a 101 anni nel 1996.

59


ISTITUZIONI

Gli sportelli della Città Metropolitana per sostenere cittadini

e aziende che vogliono vivere e crescere in Appennino

Lavoro, impresa,

ambiente

Sempre più persone scelgono l’Appennino

bolognese per la qualità della vita che

offre e per la dimensione di comunità che

qui resta viva, ma anche perché possono

ritrovare spazi, tempi e relazioni che altrove

sembrano perdersi. Un trend confermato

dalle statistiche più recenti e dal rinnovato

interesse verso la vita in montagna, che

negli ultimi anni è tornata a essere vista non

solo come meta di svago, ma come luogo

di opportunità, dove costruire progetti di

vita e di lavoro. Chi immagina il proprio

futuro in Appennino oggi può contare sui

servizi che Città metropolitana e Comune di

Bologna mettono a disposizione attraverso

il progetto BIS – Bologna Innovation Square

e gli Sportelli attivi in Appennino: una rete

pensata per sostenere cittadini e imprese,

finanziata con i fondi PNRR destinati al Piano

Urbano Integrato “Città della Conoscenza -

Centro ricerche ENEA Brasimone e Centro di

Mobilità San Benedetto: per una maggiore

attrattività dell’Appennino”, seguendo la

logica che gli interventi fisici debbano essere

accompagnati da investimenti sul capitale

umano e sullo sviluppo imprenditoriale

sostenibile del territorio.

Gli sportelli sono tre, ricevono gratuitamente

su appuntamento, nella sede di Castiglione

dei Pepoli o online in videochiamata,

e accompagnano chi desidera vivere,

lavorare o sviluppare il proprio business

in Appennino, trasformando un’idea in un

percorso concreto.

Lo Sportello Vivere e lavorare in Appennino,

racconta Sara Donati – operatrice del servizio

–, si rivolge a persone e famiglie che stanno

valutando un trasferimento o che si sono da

poco insediate sul territorio. “Le richieste più

frequenti riguardano la ricerca di una casa

o di un’occupazione, ma non mancano

domande sui servizi educativi, sanitari e di

mobilità: aspetti fondamentali per chi vuole

mettere radici”. Lo sportello offre quindi

informazioni pratiche, aiuta a orientarsi

tra pratiche amministrative e adempimenti

burocratici, facilitando l’accesso ai principali

punti di riferimento del Comune o dell’area

vasta di interesse e mettendo a disposizione

contatti utili in base alle esigenze di

ciascuno. Ma soprattutto, apre la strada alle

di Stefania Marconi

reti locali, rendendo l’ingresso in comunità

più semplice e naturale.

Lo Sportello Imprenditoria, invece, è pensato

per chi ha in mente un’attività economica e

vuole svilupparla in Appennino. Il servizio

accompagna aspiranti imprenditori e

imprenditrici, start up e imprese già insediate

che desiderano rilanciare il proprio business,

supportandoli nella definizione del progetto

e creando al tempo stesso occasioni di

confronto attraverso eventi e iniziative

che mettono in rete imprese e istituzioni,

generando nuove idee e fiducia nel futuro

della montagna.

Lo Sportello Green per le imprese è dedicato

alle micro, piccole e medie aziende che

vogliono affrontare la transizione ecologica.

Un tema decisivo ma spesso percepito come

difficile, perché richiede di superare ostacoli

legati a costi, normative e cambiamenti

organizzativi che possono sembrare lontani

dalla quotidianità di un’impresa. Lo sportello

nasce proprio per questo: rendere la

sostenibilità più vicina e praticabile, aiutando

le aziende a informarsi su opportunità e

strumenti concreti, ma anche a condividere

esperienze e trovare soluzioni insieme.

Attivi da marzo 2024, in poco più di un anno

gli sportelli hanno già affiancato più di cento

tra nuovi abitanti e aspiranti imprenditori.

Tra le storie più significative c’è quella della

famiglia che ha deciso di cambiare vita e

trasferirsi in un piccolo borgo non lontano

da Lizzano in Belvedere, per avviare un

progetto di ospitalità e crescere i figli in un

contesto a misura d’uomo. C’è poi la giovane

artigiana che, tornata in montagna, ha aperto

una bottega di moda sostenibile nel comune

di Gaggio Montano, grazie al sostegno del

progetto Giovani Imprese in Cammino e

dello Sportello Imprenditoria. E accanto

a queste storie individuali, ci sono più di

cento imprese che hanno beneficiato dei

servizi: numeri che raccontano un impegno

costante, capace di tradursi in opportunità

concrete per chi guarda all’Appennino come

a un luogo dove costruire futuro.

Accanto all’attività di ascolto e orientamento,

anche la promozione di eventi ha assunto un

ruolo di primo piano: oltre trenta iniziative

in dodici mesi hanno dato nuova linfa al

INFO E CONTATTI

GLI SPORTELLI RICEVONO

GRATUITAMENTE

E SOLO SU APPUNTAMENTO

ogni martedì, mercoledì e giovedì in orario

da concordare tra le 9 e le 18

- in sede: di persona presso il Comune

di Castiglione dei Pepoli (BO), Piazza

Marconi 1

- on line: attraverso videochiamata

Per fissare un appuntamento scrivi a

- viverelavorareinappennino@

cittametropolitana.bo.it

- progimpresa.appennino@

cittametropolitana.bo.it

- sportellogreen@cittametropolitana.bo.it

confronto tra cittadini, imprese, istituzioni e

comunità locali. Tre percorsi, in particolare,

si sono distinti per il loro impatto:

L’Appennino è casa mia (giugno 2025 – in

corso), rassegna di appuntamenti che si

svolge tra Bologna e i comuni montani per far

conoscere da vicino la vita e le opportunità

dell’Appennino, attraverso le storie di chi

ha già scelto di viverci e lavorarci; ECO-

LAB (maggio-luglio 2025), un ciclo di

laboratori pensato per chi desidera avviare o

trasformare un’attività in chiave sostenibile;

“Vuoto a rendere” (febbraio-aprile 2025), tre

incontri che hanno acceso i riflettori sul tema

della locazione aprendo un dialogo con i

proprietari immobiliari per la valorizzazione

delle abitazioni vuote o sottoutilizzate, un

tema centrale per la montagna bolognese,

dove il patrimonio sfitto rappresenta una

delle sfide più urgenti.

Il filo che unisce servizi ed eventi è la volontà

di rendere l’Appennino un luogo in cui sia

possibile vivere bene, fare impresa e sentirsi

parte di una comunità in movimento. È lo

stesso messaggio che gli sportelli trasmettono

in ogni attività: “Hai un progetto di vita o

d’impresa? In Appennino trova spazio per

crescere”. Non una promessa astratta, ma

l’invito concreto di un territorio che sa unire

ambiente, comunità e innovazione, e che

oggi è pronto ad accogliere nuove energie

e nuove idee.

60


61


Il rACCONTO

Pubblichiamo uno dei capitoli del

volume di Valeria Pritoni

Nonna

ERMELINDA

Ermelinda era la mia nonna paterna. La sua vita è stata

quella tipica di tante donne della sua generazione che

hanno attraversato due guerre ed eroicamente hanno

allevato nidiate di figli.

Ci voleva una forza notevole, spesso nascosta dalla mitezza

che la cultura del tempo richiedeva al sesso femminile.

Ermelinda però non fu mai mite, antesignana di una stirpe

di femmine combattive e appassionate, non rinunciò mai

ad affermare il suo pensiero e a lottare con coraggio e

pervicacia per il bene della sua famiglia. I racconti che

seguono mi furono narrati dai figli che, quando si riunivano

in grandi tavolate, attiravano noi bambini con queste storie

in cui l’eroina era proprio lei, Ermelinda.

La guerra, la sfoglia e l’urineri

Mia nonna odiava la guerra e quando ne parlava diventava

triste e concludeva il discorso in fretta, come per scacciare

il ricordo del timor panico che le prendeva quando gli

aerei bombardavano la popolazione di notte e di giorno,

o quando i soldati dell’esercito invasore invadevano le

cascine e minacciavano e uccidevano mentre i fascisti

collaboravano alla carneficina. E prima ancora, giovane

sposa, aveva aspettato il nonno quando era in trincea,

ogni giorno col cuore in gola, ansiosa di avere notizie e

nello stesso tempo con il patema di riceverne. Di guerre

ne aveva viste due, da donna, da moglie e da madre e

aveva imparato che la guerra rendeva peggiori le persone

e portava soltanto morte e miseria.

Questo fatto mi fu narrato da mia zia Guerrina che ne fu

testimone oculare.

Un giorno, nel caseggiato, dove abitava la famiglia di

mio padre, arrivò un gruppo di soldati tedeschi, carichi di

farina, uova, carne, formaggi e ogni altro ben di Dio che

avevano razziato lungo la strada.

Le donne e i bambini terrorizzati dal frastuono e dalle grida

dei militari, stavano nascosti dietro le porte, ma i tedeschi

bussarono con violenza e intimarono loro di aprire.

Due soldati entrarono nella stanza dove la nonna stava

rammendando e le ordinarono di provvedere a fare la

sfoglia e a cuocere per loro il pranzo.

Naturalmente Ermelinda non poté rifiutarsi e così si mise

al lavoro.

Cominciò ad impastare con tanta rabbia, per la sua

impotenza contro la violenza che stava subendo, per

quella rapina che i soldati avevano compiuto, per tutto

quel buon cibo che lei e i suoi figli avrebbero solo potuto

guardare e che invece sarebbe andato a nutrire le pance

di quegli assassini.

Chiamò allora mia zia Guerrina e le disse: “Vam a tur

al granadel per pulir i urineri!” (Traduzione: Vammi a

prendere lo spazzolino per pulire i vasi da notte).

La zia obbedì, anche se non capiva che cosa ne volesse

fare la nonna.

Appena fu di ritorno, Ermelinda prese l’attrezzo e lo usò

per spruzzare la sfoglia di acqua.

La zia spalancò tanto d’occhi e si mise le mani davanti

alla bocca poi disse mormorando, tutto d’un fiato: “Ma

mamma, se se ne accorgono ci ammazzano”

“Te sta zèta, sa vut chi saven! Set sa ghe ed nov, che con

tota la cativeria che ian in tla panza, a ni gnirà gnanc la

caghetta” (Traduzione: Tu stai zitta, che cosa vuoi che

sappiano! Sai qual è il problema, che con tutta la cattiveria

che hanno nella pancia, non gli verrà neppure la diarrea).

In effetti il suo tentativo di boicottaggio dell’esercito

tedesco non ebbe altra conseguenza se non quella sua

piccola soddisfazione personale.

P.S.

Chiedo scusa per il mio pessimo dialetto, lo capisco ma

non lo so assolutamente scrivere...ci fosse ancora la nonna

mi potrebbe insegnare, dimostrando, in questo modo di

non essere ignorante come credeva

Se volete altri racconti di nonna Ermenilda scrivete a

vallibolognesi@emilbanca.it

3062


6331

IL NONNO DELLA BASSA RACCONTA

Ugo Lamberti

e il Passaporto

della Leggera

Gian Paolo Borghi

Le tradizioni popolari

della pianura

bolognese tra fede,

storia e dialetto

Tra gli artisti che caratterizzarono il mondo

popolare della Bologna dell’800, un ruolo di

spicco è rivestito da Ugo Lamberti. Nato nella

città felsinea nel 1858, si distingue fin da

giovane come straordinario strillone-venditore

di giornali e come caustico o esilarante autore

e declamatore di componimenti dialettali.

La sua attività lo conduce in varie località

nelle quali, per integrare i non sempre

cospicui guadagni, stampa e distribuisce

“fogli volanti” e opuscoli umoristici. Ugo

Lamberti (il cui cognome vero è Lambertini)

si dimostra, nel corso degli anni, un autentico

protagonista della ciarlataneria padana. A

questo proposito, il mantovano Arturo Frizzi

(1864-1940), che è suo amico e compagno di

lavoro in diverse occasioni, così lo ricorda nel suo famoso libro

Il Ciarlatano, che conosce varie edizioni a partire dal 1902: «A

Bologna organizzo una squadra di strilloni. Fra gl’ingaggiati è

il bizzarro Ugo Lamberti, noto compilatore di Sirudele, ossia

poesie in vernacolo bolognese, illustrato più volte dal Gandolin.

Aveva un cuore d’oro: distribuiva ai compagni più poveri ciò

che gli restava di guadagno, non potendo addormentarsi con

del peso nelle tasche, perché diceva di volere maestosamente

rispettare le regole da me poste nel famoso Passaporto della

Leggera». Questo “Passaporto” era costituito da un foglio

volante che riproduceva lo stile del documento ufficiale, ma

con prescrizioni decisamente fuori dalle righe. Stampato

dall’Impero della Miseria-Mandamento della Povertà-Comune

della Fame (cito da un’edizione del 1890), tra le regole della

Società della Leggera (della miseria, nel gergo della piazza)

c’era anche quella dell’obbligo di sperperare i soldi guadagnati,

pena la condanna a diversi mesi di reclusione (o, addirittura al

taglio della testa!) ai risparmiatori più virtuosi.

La sua esuberante attività nella piazza del mercato e l’insofferenza

a qualsiasi rapporto subordinato gli procurano diverse, piccole

noie giudiziarie: viene spesso multato perché contravviene al

divieto, sancito dall’allora regolamento di polizia urbana di

Bologna, di “emettere alte grida e di annunciare i fatti contenuti

negli stampati”. Le contravvenzioni, mai pagate, finiscono alla

Pretura Urbana, alle cui udienze (come altri) si difende da sé

oppure con l’assistenza di avvocati più o meno improvvisati!

Tra le sue zirudèle spicca un testo, stampato dalla Società

Tipografica già Compositori di Bologna nel 1889. Conservato

alla Biblioteca dell’Archiginnasio, porta un titolo chilometrico:

Nova Zerudèlla sòura èl questiòn di lardarù

ovvero La Cavalleide ovvero la odissea dei

venditori di carni in…fette (vulgo felsinesi

salumier). Po-e-metto Troicomico-Bestiale-

Serio Faceto. Ugo Lamberti denuncia uno

scandalo petroniano: la sofisticazione di

carni. Questi sono i versi iniziali della sua

composizione: Zèrudèlla propri d’bòn/

Quèst è un fatt an’iè rasòn,/Che a pensar

a zer(t) miseri/L’è davvèira un affar seri./

Che pladur, che confusion/Pr’el trèi cass

che a la Staziòn/L’alter de foun sequestrà

(Zirudella proprio davvero/Questo è un

fatto non c’è ragione,/Che a pensare a

certe miserie/È davvero un affare serio,/Che

subbuglio, che confusione/Per le tre casse

che alla Stazione/L’altro giorno furono sequestrate).

Una sua Nòva Zèrudèlla, priva di data, esce dai torchi della

Tipografia Legale di Bologna. Incentrata su alcuni timori dei

bolognesi, ha come protagonista la torre degli Asinelli, che

pare sia “scossata” a causa di un forte vento. Depositata alla

Biblioteca Nazionale di Firenze, ha questi versi introduttivi:

Ecco una nova Zè-rudella/L’è un po’ lunga mo l’è bella,/Sòura

la pora di bulgnis/Perché, a quell che’es dis,/Al gran vèint di dè

indri/Fè scussar la torr di Asnì./Dov es sèint, la mi zènt/I scherz

ch’po’ far èl veint!:::/Badà che UGO LAMBERTI/Al dis sèimper

del coss zerti,/Un suldein paga la pora/Se a vli reder Tiral fora!

Secondo me, il testo non richiede traduzione in italiano.

La Biblioteca Nazionale di Firenze possiede vari suoi testi, tra

cui un’altra Nova Zerudela, sempre stampata dalla Tipografia

Legale. È una protesta per l’aumento della tassa sulle sigarette,

ma è integrata con la denuncia di una serie di altri problemi che

affliggono l’Italia, tra cui la spedizione ottocentesca in Africa,

che darà luogo alle guerre coloniali etiope e abissina. Ecco i

versi con cui inizia la composizione: Zèrudella an so capir/Cus

al seppa st’lavurir,/In bastaven al Spediziòn/Ch’ien l’arveina dla

Nazion/Ai selta fora int’al piò bell/Anche la tassa del zigal.

La tirannia dello spazio mi costringe a interrompere la mia già

sintetica antologia e chiudo segnalando che dopo la scomparsa

di Ugo Lamberti, avvenuta nel 1893 a Massa Lombarda, nel

ravennate, inizierà a frequentare i mercati l’allora “apprendista”

Giuseppe Ragni (Quall dla sarâca, Quello della salacca), che in

breve tempo diventerà il re della nostra Piazzola. Ma questa è

un’altra storia di cui vi ho già “parlato” in un numero precedente

di questa rivista.


to be winner

Scarica l’app “Per Te” e

partecipa all’instant win per

vincere ogni settimana fino a

3 buoni Vivaticket dal valore

di 50€ o 100€ per vivere live

i tuoi eventi preferiti!

banktobe.emilbanca.it

Bank to be winner: concorso a premi promosso da

Emil Banca Credito Cooperativo valido dal 17/02/2025

al 31/12/2025. Regolamento completo e modalità di

partecipazione disponibili su

https://banktobe.emilbanca.it.

Montepremi totale € 9.200€ (iva inclusa).

Messaggio pubblicitario con finalità promozionale.

Per i prodotti di conto corrente rivolti ai consumatori è

necessario fare riferimento ai Fogli Informativi / Fascicoli

informativi a disposizione della clientela – unitamente alla

Guida Banca d’Italia “Il conto corrente in parole semplici” -

presso le filiali della Banca e nella sezione Trasparenza del

sito internet della Banca (www.emilbanca.it).

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!