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itinerario religioso comprendente san saturnino e ... - Visit Cagliari

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ITINERARIO RELIGIOSO COMPRENDENTE SAN SATURNINO E BONARIA<br />

RELIGIOUS ITINERARY SAN SATURNINO AND BONARIA<br />

Partenza: Piazza San Cosimo / Departure: Piazza San Cosimo<br />

Arrivo: Parco di Bonaria / Arrival: Park of Bonaria<br />

Tempo di percorrenza previsto:<br />

2 ore e 30” (percorso completo) / 1 ora e 15” (percorso ridotto)<br />

Tour duration:<br />

2 1/2 hours (complete itinerary) / 1 1/4 hours (reduced itinerary)<br />

“F” : Facoltativo<br />

“O”: Optional<br />

Introduzione e quadro storico / Introduction and historical context<br />

Necropoli dell’area di San Saturnino / Necropolis in the San Saturnino area<br />

Basilica di San Saturnino. Esterno. Martyrium /<br />

Basilic of San Saturnino. Exterior. Martyrium<br />

Basilica di San Saturnino. Esterno. Ristrutturazione vittorina /<br />

Basilic of San Saturnino. Exterior. Vittorini Monks’ Renovations<br />

Basilica di San Saturnino. Interno (F) / Basilic of San Saturnino. Interior (O)<br />

Chiesa di San Lucifero. Esterno / Church of San Lucifero. Exterior<br />

Chiesa di San Lucifero. Interno (F) / Church of San Lucifero. Interior (O)<br />

Cimitero Monumentale di Bonaria (F) /Monumental Cemetery of Bonaria (O)<br />

Necropoli di Viale Bonaria / Necropolis in Viale Bonaria<br />

Colle di Bonaria / Bonaria Hill<br />

Nostra Signora di Bonaria. Esterno / Our Lady of Bonaria. Exterior<br />

Santuario di Nostra Signora di Bonaria. Interno /<br />

Sanctuary of Our Lady of Bonaria. Interior<br />

Simulacro della Madonna di Bonaria /<br />

Representation of the Madonna of Bonaria<br />

Basilica di Nostra Signora di Bonaria. Interno /<br />

Basilic of Our Lady of Bonaria. Interior<br />

Museo del Convento di Nostra Signora di Bonaria (F) /<br />

Museum in the Monastery of Our Lady of Bonaria (O)<br />

Parco di Bonaria (F) / Park of Bonaria (O)


Percorso <strong>religioso</strong><br />

Partenza da piazza San Cosimo, arrivo sul colle di Bonaria<br />

Durata <strong>itinerario</strong> completo: circa h 2:30<br />

Durata <strong>itinerario</strong> ridotto: circa h 1:15<br />

1. Introduzione<br />

Benvenuti a <strong>Cagliari</strong>.Attraverso questa audio guida potrete conoscere alcuni dei luoghi<br />

simbolici della religiosità cagliaritana. Per effettuare la visita completa impiegherete circa due<br />

ore e mezza; per effettuare l’<strong>itinerario</strong> nella forma ridotta sarà necessaria circa un’ora e un<br />

quarto.<br />

Ci troviamo in piazza San Cosimo, nel quartiere di Villanova.<br />

Davanti a noi la basilica di San Saturnino, martire cagliaritano, ucciso nel 304 durante le<br />

persecuzioni contro i cristiani ordinate dall’imperatore romano Diocleziano; alla nostra<br />

sinistra la chiesa di San Lucifero, sorta sulla tomba del vescovo della città di <strong>Cagliari</strong> morto<br />

nel 370.<br />

Gli scavi archeologici hanno portato alla luce una vasta necropoli, utilizzata dal periodo<br />

fenicio-punico all’Alto Medioevo, che si estendeva dalle pendici del colle di Bonaria fino a qui.<br />

Quest’area costituisce la più antica necropoli romana della città.<br />

Proprio sotto i nostri piedi, negli anni ’90 del secolo scorso, è stato scavato dagli archeologi un<br />

pozzo, attualmente non visibile a causa del rifacimento della piazza. Dagli scavi risulta che il<br />

pozzo era recintato e aveva una sistemazione digradata antistante che ne garantiva la discesa<br />

verso una fonte. Probabilmente questo fu il primo luogo di sepoltura di San Saturnino, patrono<br />

della città di <strong>Cagliari</strong>.<br />

I racconti agiografici narrano che Saturnino era un giovane nato da genitori cristiani ed<br />

educato alla religione cristiana, ucciso dai pagani perché rifiutò di compiere un sacrificio a<br />

Giove Capitolino, come invece ordinava un editto dell’imperatore. Le fonti non concordano sul<br />

fatto che Saturnino sia stato martirizzato all’interno o all’esterno delle mura della città, che<br />

all’epoca dovevano trovarsi lungo l’attuale via XX Settembre.<br />

Accogliendo la versione del martirio fuori dalle mura, il suo primo luogo di sepoltura dovette<br />

essere proprio all’interno del pozzo sotto i nostri piedi. Questa, tuttavia, non fu la sua<br />

sepoltura definitiva e tutte le fonti concordano nel dire che il corpo del <strong>san</strong>to fu spostato<br />

durante la notte da questa sepoltura provvisoria a quella vera e propria, all’interno<br />

dell’attuale basilica.<br />

Sono stati ritrovati dei cubicoli funerari anche sotto la chiesa di San Lucifero. In uno di questi<br />

cubicoli fu sepolto San Lucifero, vescovo di <strong>Cagliari</strong>, la cui presenza delle spoglie è<br />

testimoniata da due lapidi poste vicino alla tomba; nel secondo cubicolo si credette,<br />

erroneamente, di aver ritrovato le spoglie di San Lussorio (in realtà martirizzato nell’odierna<br />

Fordongianus), mentre nel terzo cubicolo la tradizione identifica il luogo di sepoltura dei due<br />

<strong>san</strong>ti fanciulli Cesello e Camerino.<br />

Nella prima metà del XVII secolo, a seguito della disputa per il primato tra la diocesi di<br />

<strong>Cagliari</strong> e quella di Sassari, si assistette a una vera e propria “ricerca dei corpi <strong>san</strong>ti”, per<br />

stabilire chi potesse annoverarne un numero maggiore. L’allora vescovo di <strong>Cagliari</strong> Francisco<br />

Desquivel dispose che si iniziasse a cercare proprio in questa zona, perché era risaputo che<br />

fosse la necropoli più antica della città; si organizzò un massiccio intervento di scavo, durato<br />

quasi un ventennio, per riportare alla luce i corpi degli innumerevoli <strong>san</strong>ti che si pensava<br />

fossero sepolti là sotto. Il Desquivel incorse però in un grosso errore. Le tombe di epoca<br />

romana erano infatti contrassegnate dalle iniziali B. M., che significano: “bonae memoriae”,<br />

cioè alla buona memoria del defunto; nel XVII secolo, invece, si volle loro attribuire il<br />

significato di “beatus martir”. Appare quindi evidente che, grazie a questa svista, tanti comuni<br />

cittadini furono assurti alla dignità di martire, <strong>san</strong>to, o beato.


Il vescovo spagnolo fece costruire nella cattedrale di Santa Maria di Castello una grande<br />

cripta per accogliere i corpi <strong>san</strong>ti ritrovati nel territorio della diocesi, che furono lì trasportati<br />

con una solenne processione. Tra questi anche le reliquie, o presunte tali, di San Saturnino e<br />

San Lucifero.<br />

2. La necropoli dell’area di San Saturnino<br />

La necropoli che si estendeva nella zona della piazza San Cosimo è in parte andata perduta<br />

sotto i palazzi e le strade circostanti, ma le tombe probabilmente più importanti sono state<br />

risparmiate e sono quelle più vicine alla basilica, all’interno della recinzione del complesso<br />

<strong>religioso</strong> di San Saturnino.<br />

Da sempre i cristiani ambivano a essere sepolti il più vicino possibile al sarcofago di un <strong>san</strong>to o<br />

all’altare delle chiese, tanto che si pagava per poter avere questo privilegio. Le tombe<br />

superstiti, quelle a ridosso del perimetro della chiesa e quelle sotto la sua pavimentazione,<br />

devono essere quindi le sepolture dei più ricchi.<br />

Il ritrovamento delle spoglie di San Saturnino avvenne il 14 ottobre del 1621, durante la vasta<br />

campagna di ricerca dei corpi <strong>san</strong>ti promossa dal vescovo di <strong>Cagliari</strong> Francisco Desquivel. Il<br />

sarcofago che le conteneva fu identificato in quello posto al centro della corda dell’abside della<br />

primitiva basilica, che non coincide con l’abside della chiesa attuale, ma è ruotato di 90° verso<br />

la nostra sinistra. Possiamo vedere quello che resta delle fondamenta della primitiva abside<br />

costeggiando la recinzione del complesso archeologico sul lato sinistro, che si affaccia sulla via<br />

San Lucifero.<br />

Dalle ultime campagne di scavo è emerso che questo sarcofago è posto in una posizione<br />

privilegiata rispetto a tutti gli altri, e anzi, intorno ad essa si affollano numerose tombe “a<br />

cappuccina”. Questa tipologia di tomba è molto semplice e fu largamente utilizzata in epoca<br />

romana e per tutto il Medioevo: il defunto veniva adagiato all’interno della fossa, disteso e<br />

coperto con delle tegole o dei coppi.<br />

Due epigrafi, fino a poco tempo fa ritenute false, attestano la presenza del corpo di San<br />

Saturnino: in una è scritto SANCTUS TURNINUS CALARITANU; nell’altra, più tarda e in<br />

latino volgarizzato, si ricorda il giovane <strong>san</strong>to morto a soli diciotto anni.<br />

Nell’area sono state ritrovate numerose iscrizioni, per la maggior parte in latino e<br />

appartenenti all’ambito cristiano.<br />

3. La basilica di San Saturnino. Esterno. Il martyrium<br />

Sul luogo della sepoltura definitiva di San Saturnino sorse un primo luogo di culto: una prima<br />

basilica di dimensioni più piccole rispetto all’attuale e risalente al V secolo.<br />

Aveva uno sviluppo longitudinale e l’abside rivolto a nord (alla nostra sinistra guardando la<br />

basilica dalla piazza San Cosimo) e fu edificata in un’area occupata da semplici tombe a<br />

cappuccina. Nella corda dell’abside di questo primo edificio è stato ritrovato un sarcofago<br />

vuoto, che effettivamente poteva contenere la spoglie di San Saturnino.<br />

Di questa prima basilica, posta perpendicolarmente rispetto a quella che si trova oggi davanti<br />

ai nostri occhi, abbiamo pochissime notizie.<br />

Nel primo decennio del VI secolo furono esiliati in Sardegna numerosi vescovi cristiani dal<br />

nord Africa: uomini di grande cultura, teologi e difensori dell’ortodossia. Furono qui mandati<br />

dal re vandalo Trasamondo che, essendo di fede ariana, pensava di liberarsi così di loro e di<br />

instaurare l’arianesimo nel nord Africa. Arrivati in Sardegna, una parte di questi ecclesiastici<br />

decise di fermarsi a <strong>Cagliari</strong>, ospite del vescovo della città Brumaio (o Primaio); gli altri si<br />

spostarono in tutta l’Isola, introducendo un tipo di monachesimo di matrice orientale ed<br />

egiziana. Tra i vescovi che rimasero a <strong>Cagliari</strong> c’era quello della città di Ruspe, Fulgenzio.<br />

Fulgenzio fonda qui un monastero con un luogo dedicato alla trascrizione dei testi<br />

(principalmente sacri): lo scriptorium, proprio a fianco a una già esistente basilica di San<br />

Saturnino. Fulgenzio morì nel 533. L’anno seguente Giustiniano riconquistò la Sardegna,<br />

includendola nell’Impero Romano d’Oriente, con capitale Costantinopoli. Probabilmente in<br />

questa occasione, il primo edificio <strong>religioso</strong> dovette subire dei danni, così che fu necessario<br />

ricostruirlo.


Questo nuovo edificio, di cui vediamo oggi il grande corpo quadrato davanti a noi, è chiamato<br />

martyrium, cioè un edificio <strong>religioso</strong> costruito sopra la tomba di un martire. La Sardegna<br />

faceva ora parte dell’Impero d’Oriente; la comunità fondata da Fulgenzio era di stampo<br />

orientale, cosicché il modello della nuova costruzione venne proprio da quei territori. Il suo<br />

prototipo doveva essere quello della chiesa dedicata ai Santi Apostoli a Costantinopoli, nella<br />

fase di ricostruzione giustinianea (536-550).<br />

Della basilica cagliaritana del periodo bizantino, del VI secolo, oggi visibile spicca l’imponenza<br />

del corpo centrale a pianta quadrata, innalzato su quattro massicci pilastri sormontati da<br />

arconi, che sostengono una cupola; da questa struttura centrale dovevano dipartirsi quattro<br />

bracci, disposti a croce e suddivisi in tre navate ciascuno.<br />

Attualmente vedete tre grandi vetrate che chiudono il corpo centrale: una davanti a noi, e due<br />

ai nostri lati; sono state aggiunte durante i lavori di restauro del 1994 e servono per chiudere<br />

il dado là dove si innestavano le navate. Il lato del dado dietro a quello che vediamo è invece<br />

collegato alla navata in cui si apre l’abside della basilica, costruita sopra quella del periodo<br />

bizantino.<br />

4. La basilica di San Saturnino. Esterno. La ristrutturazione vittorina<br />

La basilica di San Saturnino che vedete oggi nelle sue forme attuali è frutto della<br />

ristrutturazione che operarono i monaci Vittorini di Marsiglia, appartenenti all’ordine dei<br />

Benedettini.<br />

I Vittorini furono chiamati a <strong>Cagliari</strong> nel 1089, da papa Gregorio VII. A questa data la<br />

Sardegna era divisa in quattro giudicati, veri e propri regni indipendenti, ognuno retto da uno<br />

iudex. Erano i Giudicati di <strong>Cagliari</strong>, di Arborea, di Torres e di Gallura. La volontà papale era<br />

di spegnere le tendenze autonomiste del clero dei giudicati, di sottomettere i giudici sardi, e di<br />

eliminare i resti del culto cristiano greco-orientale a favore di quello latino.<br />

Il giudice di <strong>Cagliari</strong> si piegò alla volontà del papa per non incorrere in una guerra e in un’<br />

eventuale perdita del Giudicato; per queste ragioni, prima del 1080, ricevette in città il legato<br />

pontificio e iniziò a fare delle donazioni all’ordine dei Vittorini, particolarmente vicino al papa.<br />

Il giudice di <strong>Cagliari</strong> Costantino Salusio II di Lacon Gunale, continuando la politica del padre,<br />

nel 1089 donò il <strong>san</strong>tuario martiriale di San Saturnino di <strong>Cagliari</strong> ai Vittorini. Questi monaci<br />

lavorarono quasi trent’anni al rinnovamento della chiesa, seguendo le coordinate<br />

dell’installazione precedente e utilizzando forme protoromaniche eseguite sotto la direzione di<br />

un architetto provenzale. La nuova struttura fu consacrata nel 1119.<br />

La basilica era a croce latina, e i bracci erano divisi in tre navate. Davanti a noi quello che<br />

resta della facciata della basilica, su cui si apriva un portale d’ingresso principale e due<br />

laterali, a cui corrispondevano altrettante navate. In realtà i due ingressi minori sono stati<br />

ricostruiti durante i lavori di restauro eseguiti negli anni ’50, rifacendosi al modello dell’unica<br />

porta romanica integra della basilica, che si trova al lato dell’abside.<br />

Girando intorno alla basilica, partendo dalla nostra sinistra, osserviamo che l’esterno della<br />

navata superstite dell’edificio, quella dove si trova l’abside, è coronato da una fascia di archetti<br />

pensili in calcare, poggianti su mensoline decorate in vario modo. Tutto il perimetro della<br />

basilica era decorato in questa maniera.<br />

Un tratto distintivo della fabbrica romanica è l’uso abbondante di materiale di reimpiego, che<br />

non si limitò al riutilizzo di colonne, capitelli, basi e altri marmi, ma anche di una grande<br />

quantità di epigrafi latine ed urne cinerarie fenicio-puniche. Queste ultime sono ancora visibili<br />

ai lati della navata superstite, e sono gli oculi circolari disposti sia nella parte alta che in<br />

quella più in basso. Il reimpiego non era dettato solo da motivi economici, ma anche da quelli<br />

antiquari, in funzione della loro valenza rappresentativa.<br />

L’abside della basilica, infine, difficilmente visibile dall’esterno della recinzione, è<br />

semicircolare, e doveva essere decorato anch’esso con archetti pensili.<br />

Se avete scelto il percorso ridotto, dirigetevii verso la chiesa di San Lucifero e vai alla traccia 6.


5. La basilica di San Saturnino. Interno (Facoltativo)<br />

L’interno della basilica di San Saturnino è difficilmente visitabile in quanto apre al pubblico<br />

solamente alcune giornate l’anno, ad esempio in occasione della manifestazione “Monumenti<br />

Aperti”. In ogni caso potrete però osservare parte della zona interna dai cancelli posti sulla<br />

facciata.<br />

Nel caso fosse visitabile, entrando dall’ingresso centrale ci si trova all’interno della basilica,<br />

nella navata principale. Alla nostra destra e alla nostra sinistra le navate laterali, di cui resta<br />

il muro perimetrale scandito ritmicamente da una serie di semicolonne, che reggevano gli<br />

archi su cui poggiavano le volte delle navate laterali. Sul terreno restano ancora delle basi di<br />

colonne che dovevano separare la navata principale da quelle laterali.<br />

Guardate attentamente ai piedi della seconda semicolonna posta sul muro sinistro<br />

dell’ingresso: sopra la zoccolatura di base del muro, scorgerete un concio in pietra, in cui sono<br />

scolpiti una punta e uno scalpello piatto, sormontati dalla croce. Anche questo è un elemento<br />

di reimpiego e risale al VI secolo. Gli arnesi raffigurati sono quelli utilizzati dai lapicidi per<br />

sbozzare i conci in pietra e per eseguire alcuni tipi di decorazione; questo blocco scolpito<br />

rappresenta la firma di queste maestranze.<br />

Entriamo adesso all’interno del corpo cupolato, di epoca bizantina. L’interno del dado vero e<br />

proprio presenta negli spigoli quattro poderosi pilastri, in cui sono incassate altrettante<br />

colonne. Nella parte bassa dei pilastri sono state ricavate delle piccole cavità rettangolari, che<br />

servivano per accogliere le lampade ad olio usate comunemente all’interno dei sepolcri<br />

martiriali.<br />

La cupola, su cui si aprono quattro finestre, è realizzata in piccoli blocchetti di calcare, uniti<br />

tra loro da giunti di malta; la loro disposizione metodologica e qualitativa rivela una profonda<br />

conoscenza delle tipologie costruttive legate alla tradizione classica, di cui evidentemente non<br />

si era persa memoria.<br />

Lungo l’intradosso della cupola, compare un’iscrizione con svolgimento orizzontale e realizzata<br />

in pietra vulcanica. L’invocazione, preceduta da una croce e conclusa da una colomba, recita:<br />

“DS QUI INCOASTI PERNICE USQUE IN FINE”, e significa: “O Signore, Tu che hai<br />

cominciato, porta rapidamente alla fine”. Probabilmente la scritta si riferisce all’interruzione<br />

dei lavori per la costruzione della cupola.<br />

Nel XVII secolo si conservavano ancora tracce del mosaico che decorava la cupola.<br />

Oltre la vetrata destra e quella sinistra si possono vedere le fondamenta e alcuni resti del<br />

transetto, l’elemento architettonico posto perpendicolarmente alla navata principale, che<br />

determina la forma a croce della pianta. La prima basilica costruita sul luogo della sepoltura<br />

definitiva di San Saturnino doveva corrispondere grosso modo all’area del transetto, nella cui<br />

parte sinistra era posto l’abside con l’altare.<br />

Proseguendo il nostro cammino, oltre il corpo centrale, ci troviamo nel braccio absidale della<br />

basilica, l’unico perfettamente integro.<br />

Questo tratto della navata centrale ha una copertura a botte, mentre le navatelle laterali sono<br />

voltate a crociera. Le colonne e i capitelli sono tutti di reimpiego. Nella testata della navata<br />

destra è stato aperto un ingresso lunettato, con un architrave costituito da materiale di<br />

spoglio, probabilmente tardo romano. Questa struttura è l’unica porta romanica superstite.<br />

Al centro della navata centrale, sotto i nostri piedi, fu ricavata nel XVII secolo una cripta della<br />

profondità di cinque metri, per accogliere tutti i frammenti (ossei e non solo) ritrovati nel sito<br />

durante la ricerca dei corpi <strong>san</strong>ti promossa dal vescovo Francisco Desquivel.<br />

Alcune delle colonne della parte centrale dell’edificio, quelle in porfido rosso, presentano una<br />

superficie particolare, come se la pietra si fosse fusa. Durante la seconda guerra mondiale,<br />

quando la città di <strong>Cagliari</strong> fu pe<strong>san</strong>temente bombardata il 13 maggio del 1943, una delle<br />

bombe lanciate dagli aerei esplose nella navata laterale sinistra del braccio superstite,<br />

cau<strong>san</strong>do notevoli danni. L’alterazione della superficie delle colonne è frutto di una reazione<br />

chimica dovuta all’altissima temperatura sviluppatasi dall’esplosione.<br />

Dirigiamoci ora verso l’uscita, e raggiungiamo la vicina chiesa di San Lucifero, che si trova<br />

adesso sulla nostra destra. Arrivati là, fermiamoci davanti alla facciata.


6. Chiesa di San Lucifero. Esterno<br />

La chiesa di San Lucifero fu costruita tra il 1646 e il 1682, sul luogo di sepoltura di San<br />

Lucifero, vescovo di <strong>Cagliari</strong> nel IV secolo.<br />

Intorno al 321 si diffuse nel mondo cristiano la dottrina eretica proposta da Ario, che negava la<br />

natura divina di Cristo, affermandone invece solo quella umana. Nel 325 il Concilio di Nicea<br />

condannò questa dottrina, che tuttavia continuò a diffondersi.<br />

Lucifero, vescovo di <strong>Cagliari</strong>, fu allora mandato nel 355 da papa Liberio al Concilio di Milano,<br />

per difendere l’ortodossia cristiana contro l’arianesimo, abbracciato dallo stesso imperatore<br />

Costanzo II. Assieme a Lucifero fu mandato a Milano un altro teologo sardo, Eusebio, vescovo<br />

di Vercelli. Lucifero fu mandato in esilio prima in Siria, poi in Palestina, e infine in Egitto, e<br />

poté tornare nella sua diocesi solo alla morte dell’imperatore Costanzo. Difese sempre<br />

l’ortodossia, ma ricevette molte critiche per la troppa intransigenza anche nei confronti di chi<br />

si era pentito. Morì a <strong>Cagliari</strong> nel 370.<br />

La chiesa, costruita in stile tardo manierista, presenta una semplice facciata a coronamento<br />

orizzontale, divisa in due livelli da una cornice retta da due paraste angolari.<br />

La parte superiore presenta al centro un oculo circolare e ai lati due piccole finestre<br />

rettangolari che servono a illuminare l’interno della chiesa; nella parte inferiore si apre il<br />

portale d’ingresso, terminato nel 1692.<br />

Esso è incorniciato da due colonne granitiche di reimpiego, poste sopra un alto basamento e<br />

coronate da capitelli ornati da foglie d’acanto, che reggono una cornice con volute ai lati. Al<br />

centro lo stemma della città di <strong>Cagliari</strong> e, ai lati, sulle volute, due cani a guardia dell’ingresso,<br />

simbolo dei frati Domenicani cui la chiesa di San Lucifero appartenne fino al 1767.<br />

Successivamente, la chiesa, con il convento e il collegio, passò ai frati Trinitari, che vi<br />

restarono fino al 1803.<br />

Nel 1826 Carlo Felice di Savoia, re di Sardegna, decise di destinare il complesso <strong>religioso</strong><br />

prima a ospizio per i poveri e successivamente a orfanotrofio; nonostante questi<br />

provvedimenti, la chiesa e il convento caddero in uno stato di degrado fino a che, nel 1891, la<br />

chiesa di San Lucifero divenne parrocchia succursale della collegiata di San Giacomo e, nel<br />

1907, questa divenne la sede della Regia Scuola Industriale, esistente ancora oggi, ma col<br />

mutato nome di Istituto Tecnico Industriale.<br />

Attualmente la chiesa di San Lucifero è sede della parrocchia intitolata alla Beata Vergine del<br />

Rimedio.<br />

Se avete scelto il percorso ridotto, andate alla traccia 9.<br />

7. Chiesa di San Lucifero. Interno (Facoltativo)<br />

La chiesa di San Lucifero ha una pianta a croce latina con sei cappelle laterali, tre su ogni<br />

lato, che si affacciano sulla navata coperta con volta a botte.<br />

All’incrocio della navata col transetto è posta una grande cupola, che poggia su un tamburo<br />

ottagonale. L’interno della chiesa è molto semplice, decorato soltanto da una trabeazione in<br />

stile classico, decorata a dentelli, che percorre tutto il perimetro.<br />

Iniziamo la nostra visita percorrendo il lato destro della navata.<br />

La prima cappella ospita il monumento funebre di San Lucifero, scolpito in marmo bianco<br />

nella seconda metà del XVII secolo da bottega ligure. Il <strong>san</strong>to indossa gli abiti vescovili, ha le<br />

mani incrociate sul petto in segno di riposo eterno, e poggia il capo coperto dalla mitra su due<br />

cuscini decorati da motivi floreali e nappe. Originariamente la statua era collocata nella<br />

cripta, nel punto esatto in cui, nel 1623, furono ritrovate le reliquie del <strong>san</strong>to.<br />

Superate le due cappelle seguenti ci ritroviamo nel transetto. Sulla parete destra si erge<br />

l’imponente altare ligneo barocco, interamente ricoperto in lamina d’oro e dedicato alla<br />

Madonna del Rimedio, patrona della parrocchia. La sua realizzazione è opera di bottega sarda<br />

dei primi decenni del XVIII secolo, mentre lo stemma posto sulla sommità è stato aggiunto dai<br />

frati Trinitari dopo il 1770, quando si insediarono nel complesso <strong>religioso</strong>.


Nella nicchia centrale è posta una piccola statua lignea raffigurante la Madonna del Rimedio<br />

che dà a San Giovanni Mata una sacca con il denaro per riscattare lo schiavo inginocchiato ai<br />

suoi piedi. La statua è opera dello scultore sardo Giuseppe Antonio Lonis, considerato uno dei<br />

principali esponenti del panorama artistico isolano del XVIII secolo.<br />

Riportiamoci adesso all’incrocio della navata con il transetto, sotto la grande cupola, davanti<br />

alla recinzione del presbiterio, lo spazio riservato al clero officiante.<br />

Il presbiterio, costruito sopra la cripta, si presenta particolarmente sopraelevato e circondato<br />

da una balaustra in legno; vi si accede attraverso una gradinata centrale e due laterali, i cui<br />

gradini sono decorati da piastrelle in ceramica dette “azulejos”, ornamento tipico<br />

dell’architettura spagnola e portoghese. Alcuni azulejos raffigurano l’aquila bicipite degli<br />

Asburgo e sono una rara testimonianza del loro breve dominio sulla Sardegna, durato dal 1708<br />

al 1718. Ai lati della scalinata centrale due leoni che atterrano un capro e un felino, intagliati<br />

nel legno.<br />

La cripta sottostante è composta da tre cubicoli in cui, durante le ricerche seicentesche dei<br />

corpi <strong>san</strong>ti, furono ritrovate le reliquie dei <strong>san</strong>ti Rude ed Eliano, Lucifero e quelle<br />

erroneamente attribuite a Lussorio. Sulla tomba di San Lucifero erano poste due lapidi, che<br />

testimoniavano la presenza dei resti mortali del vescovo cagliaritano, riesumati e trasportati<br />

nella cripta della cattedrale di Santa Maria di Castello nella prima metà del XVII secolo.<br />

Nel transetto sinistro sono presenti cinque dipinti a olio su tela. Particolarmente interes<strong>san</strong>te<br />

quello posto sopra la porta della sagrestia, che raffigura San Lussorio affiancato dai Santi<br />

Cesello e Camerino. Alle loro spalle la raffigurazione della città di <strong>Cagliari</strong> come realmente<br />

appariva dal sagrato della chiesa nel XVII secolo.<br />

Usciamo ora dalla chiesa, scendiamo gli scalini e percorriamo a sinistra la via San Lucifero per<br />

poi svoltare a destra nella via Dante e arrivare al Cimitero Monumentale di Bonaria.<br />

8. Il Cimitero Monumentale di Bonaria (Facoltativo)<br />

L’ ingresso principale del cimitero è all’interno di una struttura in cemento armato costruita<br />

nel 1985. Alla destra troviamo la guardiola del custode, a cui potrete chiedere informazioni se<br />

voleste prenotare una visita ai cubicoli paleocristiani, altrimenti non visitabili.<br />

Il cimitero fu costruito nel 1828 e inaugurato il primo gennaio del 1829. Moltissimi dei<br />

monumenti funerari al suo interno sono delle vere e proprie opere d’arte, realizzate tra la<br />

seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Gli stili dei monumenti sono<br />

molto eterogenei e vanno dal neoclassico al realismo, al simbolismo e al liberty.<br />

Il cimitero si estende su un’area utilizzata come necropoli prima in epoca punica e<br />

successivamente in epoca romana e paleocristiana. Subito dopo l’ingresso, sulla destra, sono<br />

situate due tombe paleocristiane scavate nella morbida roccia locale: il cubicolo di Giona e<br />

quello di Munazio Ireneo.<br />

Il cubicolo di Giona è posto in superficie, coperto da una grata. È così chiamato per il soggetto<br />

delle pitture parietali che lo decoravano, risalenti alla prima metà del IV secolo, ora<br />

completamente cancellate a causa dell’incuria.<br />

Il secondo cubicolo è sotterraneo, interamente scavato nella roccia, con arcosoli sulle pareti e<br />

fosse sul pavimento. In uno degli arcosoli era posto l’epitaffio di Munazio Ireneo e ai lati erano<br />

dipinti dei pavoni, simbolo di immortalità; la parte destra dell’arcosolio raffigurava la<br />

resurrezione di Lazzaro.<br />

La parte più antica del cimitero è quella che si estende alla sinistra dell’ingresso e costeggia il<br />

muro di cinta sulla via Dante, dove prima si trovava l’ingresso principale. Già trent’anni dopo<br />

l’inaugurazione si rese necessario ampliare il cimitero, il cui nuovo progetto fu affidato<br />

all’architetto cagliaritano Gaetano Cima.<br />

L’area in cui ci troviamo è suddivisa in settori quadrangolari, dette “quadrati”, al cui centro è<br />

posta una cappella in stile neoclassico.<br />

Portiamoci sulla sinistra dell’ingresso principale. Sul muro parallelo a quello di cinta sono<br />

poste le lapidi di soldati caduti durante la prima guerra mondiale; di fronte, la cappella della<br />

famiglia Chapelle, in cui è posta la statua del profeta Ezechiele, scolpita dal romano Sartorio.


Oltre il muro con le tombe dei soldati si passa in due aree dette “quadrati di San Bardilio”, così<br />

chiamate perché in questo spazio sorgeva l’omonima chiesetta medievale costruita nel luogo in<br />

cui, secondo la leggenda, San Paolo avrebbe predicato il Vangelo.<br />

La titolatura della chiesa era originariamente quella di Santa Maria de Portu Gruttis o de<br />

Portu Salis, ma venne cambiata quando nel 1578 si rinvennero nella zona le reliquie del<br />

martire Bardilio; nel 1909 un crollo all’interno della struttura contribuì allo stato di degrado<br />

in cui la chiesetta versava da tempo, così che nel 1929 si decise di abbatterla.<br />

Le mura che delimitano questi quadrati ospitano numerose tombe, tra cui quella del sindaco di<br />

<strong>Cagliari</strong> Ottone Bacaredda, morto nel 1921, e la tomba dello storico Pietro Martini, morto nel<br />

1866.<br />

Nella parete di fondo, che segue il muro di cinta, si aprono otto arcate, al cui interno si trovano<br />

cappelle di famiglia. Tra queste, le più interes<strong>san</strong>ti sono quelle Birocchi-Berola, col soffitto<br />

ornato da angeli e nuvole in gesso, e quella Calvi, al cui interno si trovano sculture del<br />

Sartorio e dipinti. Di fronte a questa cappella è posto il monumento dell’avvocato Giovanni<br />

Todde: una grande croce sormontata dal busto che ritrae il defunto, alla quale è poggiata una<br />

donna.<br />

Oltre i quadrati di San Bardilio, tra la cappella neoclassica e il muro di cinta su cui si apre<br />

l’originario ingresso principale, sono disposti i quattro quadrati che costituivano il primo<br />

nucleo del cimitero; in questa zona si trovano sepolture a terra e diversi monumenti, come<br />

quello sulla tomba di Giovanni Marghinotti, il maggiore pittore sardo dell’Ottocento, e quello<br />

dedicato al banchiere parigino Camille Victor Fevrier, il cui busto marmoreo è sovrastato da<br />

un tendaggio retto da un angioletto. Lungo le mura si aprono cinquantuno cappelle.<br />

In asse con il vecchio ingresso principale del cimitero e al centro dell’area cimiteriale che si<br />

sviluppa ai piedi del colle, si trova una cappella in stile neoclassico.<br />

Portiamoci sul retro della cappella; addossato al muro si trova il sepolcro del canonico<br />

Giovanni Spano, personalità eminente della cultura sarda, morto nel 1878 e considerato uno<br />

dei più famosi studiosi sardi di archeologia e storia. La sua tomba è costituita da un sarcofago<br />

romano ritrovato dallo studioso nell’area della necropoli, sorretto da quattro colonne e<br />

sormontato dal busto marmoreo del defunto.<br />

Nell’area circostante alla cappella venivano sepolti i bambini.<br />

<strong>Visit</strong>iamo adesso l’area dietro la cappella neoclassica, posta leggermente in pendio e immersa<br />

nella vegetazione. In questa zona segnaliamo la tomba del generale Giovanni Sanna, che<br />

comandò la Brigata Sassari durante la prima guerra mondiale, posta al termine del viale che<br />

porta il suo nome, e la tomba di Francesca Warzee, moglie di un imprenditore belga. Il<br />

monumento Warzee rappresenta la defunta adagiata su un letto, mentre un bambino che<br />

poggia i piedi su un cuscino, solleva amorevolmente il drappo che la copre, come per darle<br />

l’ultimo saluto.<br />

Da qui si accede poi, attraverso delle scalinate, alla parte più alta del cimitero, dove nel muro<br />

di cinta posto alla sommità del colle e nelle pareti parallele, sono disposti diversi filari di loculi<br />

e ossari. Qui riposavano le spoglie del beato Nicola da Gesturi, morto nel 1958, prima che<br />

venissero traslate nel sarcofago in granito all’interno della chiesa dei Cappuccini a <strong>Cagliari</strong> nel<br />

1980. In cima alle scalinate sono poste delle cappelle familiari.<br />

9. La necropoli di viale Bonaria<br />

Uscendo dal cimitero monumentale, percorriamo la salita di viale Bonaria.<br />

Alla nostra sinistra, all’interno della recinzione del parco di Bonaria, vediamo quello che resta<br />

della necropoli del periodo romano, le cui tombe ipogeiche sono scavate nella morbida pietra<br />

calcarea del colle. Al loro interno sono stati ritrovati frammenti ceramici di varie tipologie,<br />

oggi conservati nel museo del Convento di Bonaria.<br />

La necropoli occupava uno spazio molto vasto, che si estendeva dall’attuale piazza San<br />

Cosimo, dove si trova la basilica di San Saturnino, fino al colle di Bonaria, il cui nome in realtà<br />

potrebbe derivare da Bagnaria, che a sua volta viene dal latino Balnearia, e indica che nella<br />

zona dovevano trovarsi delle terme di epoca romana.


Le pendici del colle dovettero essere utilizzate a scopo funerario fin dall’epoca punica, nel IV<br />

secolo a. C., ma niente permane oggi di questa fase più antica.<br />

Non entrate ora a visitare lo spazio delle tombe; ci fermeremo lì al termine del percorso di<br />

visita del parco, seguendo le indicazioni dell’audioguida.<br />

Terminata la salita, fermiamoci sulla sommità del colle, nella piazza antistante la basilica.<br />

10. Il colle di Bonaria<br />

Ci troviamo sulla cima del colle di Bonaria.<br />

Alla nostra sinistra il complesso <strong>religioso</strong> di Nostra Signora di Bonaria, composto dalla<br />

basilica minore, l’attiguo <strong>san</strong>tuario e il convento dei frati Mercedari, che ospita il museo.<br />

Alla nostra destra vediamo lo specchio di mare col porticciolo di “Su Siccu” e la scalinata<br />

monumentale, che parte dal sagrato della basilica e giunge fino al sottostante viale Diaz.<br />

Il progetto dell’articolata scalinata è degli architetti romani Adriano e Lucio Cambellotti; i<br />

lavori per la sua costruzione terminarono nel 1967, senza che il progetto originario venisse<br />

portato a termine. Questo prevedeva infatti anche un ninfeo con una cascata d’acqua, ma la<br />

realizzazione dell’impianto idraulico risultò troppo complessa. Durante i lavori di costruzione<br />

sono state ritrovate delle tombe paleocristiane ad arcosolio, che si possono scorgere ai lati della<br />

gradinata.<br />

Durante il Medioevo, nel periodo giudicale, la capitale del giudicato di <strong>Cagliari</strong> si sviluppava<br />

nell’area di Santa Gilla e si chiamava Santa Igia. Al culmine delle ingerenze della Repubblica<br />

Marinara di Pisa nella politica dell’Isola, e del giudicato di <strong>Cagliari</strong> in particolare, nel 1216<br />

Lamberto Visconti, fratello del podestà di Pisa e giudice di Gallura, costrinse la giudicessa di<br />

<strong>Cagliari</strong>, Benedetta, a fargli dono della rocca di Castello, che vediamo alle nostre spalle. I<br />

Pi<strong>san</strong>i distrussero Santa Igia e costruirono la nuova capitale proprio sulla rocca di Castello,<br />

che fortificarono con poderose mura e numerose torri. Le mire di conquista pi<strong>san</strong>e furono però<br />

interrotte dall’ascesa al soglio pontificio di Bonifacio VIII. Nell’aprile del 1297, con la bolla<br />

Super Reges, il papa istituì il Regno di Sardegna e Corsica, e lo concesse alla Corona di<br />

Aragona, nella persona del re Giacomo II. Il sovrano d’Aragona però, per poter prendere<br />

possesso del territorio donatogli dal papa, doveva prima conquistarlo, così che nel 1323 (ben<br />

ventisei anni dopo la concessione del titolo) il suo esercito iniziò la conquista dell’Isola.<br />

L’esercito aragonese era guidato dall’infante Alfonso che, quando giunse nel territorio della<br />

città di <strong>Cagliari</strong>, fece accampare le sue truppe proprio qui, sul colle di Bonaria. Questa era una<br />

posizione strategica, perché posta su un’altura, con il mare vicino, e soprattutto perché da qui<br />

si poteva controllare la vicina rocca di Castello. L’infante Alfonso munì il colle di Bonaria di<br />

fortificazioni, che inglobarono anche la vicina basilica di San Saturnino col monastero, fece<br />

costruire un edificio con magazzini, delle torri, e anche una chiesetta, che dedicò alla<br />

Santissima Trinità e alla Vergine Maria. Gli Aragonesi battezzarono il colle col nome di Bon<br />

Ayre, e dal 1330 la chiesetta era conosciuta col titolo di Santa Maria di Bon Ayre.<br />

L’anno seguente, nel 1324, al termine di una battaglia combattuta contro i Pi<strong>san</strong>i nel territorio<br />

pianeggiante che si estende tra i colli di Castello e di Bonaria, l’infante Alfonso sconfisse i<br />

Pi<strong>san</strong>i, così che la Corona d’Aragona si impossessò del Giudicato di <strong>Cagliari</strong>. Da qui, poi, partì<br />

la conquista dell’Isola.<br />

La cittadella fortificata fatta costruire dagli Aragonesi su questo colle divenne la capitale del<br />

nuovo regno, ma cadde presto in rovina, perché una volta cacciati definitivamente i Pi<strong>san</strong>i da<br />

Castello, nel 1336 si convinsero tutti i catalani che risiedevano a Bonaria a trasferirsi lì. La<br />

chiesetta dedicata alla Vergine di Bon Ayre, l’attuale <strong>san</strong>tuario, continuò però ad essere<br />

officiata e dal 1335 fu data alla comunità religiosa fondata dal padre mercedario Carlo<br />

Catalano.<br />

11. Nostra Signora di Bonaria. Esterno<br />

Sul piazzale realizzato in pietra, al cui centro campeggia lo stemma dell’Ordine dei frati<br />

Mercedari, si affacciano la basilica minore di Bonaria, la cui facciata è stata realizzata con<br />

pietra calcarea bianca estratta dalle cave del colle, e il piccolo <strong>san</strong>tuario della Vergine di


Bonaria, alla nostra sinistra. Gli edifici attigui al <strong>san</strong>tuario sono quelli del convento<br />

dell’Ordine.<br />

Alle estremità della piazza sono posti due monumenti in bronzo, realizzati dallo scultore<br />

Franco d’Aspro, e commissionati in occasione della visita di papa Paolo VI, il 24 aprile 1970. Il<br />

monumento sulla sinistra raffigura un vascello in balia dei venti; quello sulla destra la<br />

Vergine di Bonaria con una barca in mano.<br />

Portiamo la nostra attenzione dapprima sul <strong>san</strong>tuario, il piccolo edificio posto sulla sinistra<br />

della grande basilica. Questa è la chiesetta fatta edificare dall’infante Alfonso nel 1325<br />

all’interno del suo accampamento militare. La facciata però non è quella originaria. Negli anni<br />

Cinquanta del Novecento la navata del <strong>san</strong>tuario venne leggermente allungata per portare la<br />

sua facciata in asse con quella della basilica. La nuova facciata venne progettata in forme<br />

sobrie, con uno “stile a capanna”, cioè con le falde del tetto a spiovente e un grande rosone<br />

centrale che garantisce l’illuminazione dell’interno.<br />

Il portale è di reimpiego: proviene dalla chiesa cagliaritana di San Francesco di Stampace,<br />

distrutta da un fulmine che nel 1871 ne colpì il campanile. Nella lunetta che lo sovrasta è<br />

posta una statua in bronzo della Vergine di Bonaria.<br />

Nel 1370 un evento prodigioso, narrato nella traccia n° 13 di questa audioguida, fece sì che un<br />

grande numero di fedeli e pellegrini, in particolare naviganti, arrivasse devotamente al<br />

<strong>san</strong>tuario. Nei primi anni del XVIII secolo, visto il grande afflusso di pellegrini al <strong>san</strong>tuario, i<br />

frati Mercedari decisero di edificare una chiesa più grande. La prima pietra del nuovo edificio<br />

<strong>religioso</strong> fu posta il 25 marzo del 1704 e subirono numerose interruzioni per circa due secoli.<br />

Alla fine dell’Ottocento vennero però ripresi i lavori. Nel 1907 papa Pio X proclamò la Vergine<br />

di Bonaria patrona massima della Sardegna, così che nel 1910 fu chiamato a dirigere il nuovo<br />

cantiere l’ingegner Simonetti. Finalmente, nel 1926, la chiesa venne terminata, e il papa Pio<br />

XI le conferì il titolo di “basilica minore”.<br />

La facciata è costruita in conci in calcare bianco ed è suddivisa in due ordini: in quello<br />

superiore si apre la loggia delle benedizioni, sormontata da un timpano al cui interno è posto<br />

lo stemma dell’Ordine della Mercede; in quello inferiore si trovano tre fornici, corrispondenti<br />

ad altrettante navate, e che conducono al pronao, lo spazio coperto che precede l’ingresso vero<br />

e proprio. Entriamo adesso nel <strong>san</strong>tuario.<br />

12. Il Santuario di Nostra Signora di Bonaria. Interno<br />

Ci troviamo all’interno del Santuario di Nostra Signora di Bonaria.<br />

È una piccola chiesa a navata unica la cui copertura, originariamente lignea, si presenta ora a<br />

botte ogivale scandita da sottarchi. L’architettura deriva dai modelli gotico-catalani e ricalca<br />

l’esempio della cappella di Sant’Agata all’interno del palazzo reale di Barcellona.<br />

Nel XVI secolo vennero aperte sette cappelle laterali tra i contrafforti che sorreggevano le<br />

murature: tre sul lato sinistro, e quattro sul lato destro. Quando nel XVIII secolo si iniziò a<br />

costruire l’adiacente basilica, con cui il <strong>san</strong>tuario ha la parete destra in comune, si rese<br />

necessario rimpicciolire le cappelle sul lato destro della navata, che divennero semplici altari.<br />

<strong>Visit</strong>iamo il <strong>san</strong>tuario partendo dal lato destro dell’ingresso. L’ultimo altare che si trova su<br />

questo lato è quello dedicato alla Madonna del Miracolo, vicino al quale è collocata la piccola<br />

statua della Vergine seduta in trono col Bambino, venerata fin dal 1336, e conosciuta col nome<br />

di Madonna del Miracolo. Si racconta che un soldato sfidò al gioco delle carte un suo<br />

commilitone, ponendo la condizione che avrebbero giocato finché uno dei due non avesse perso<br />

tutto. Il soldato si recò allora nella vicina chiesetta aragonese e, arrivato davanti alla statua,<br />

che all’epoca era posta sull’altare maggiore, le chiese aiuto nella partita, minacciandola di<br />

colpirla con la sua spada nel caso avesse perso. Lo sfidante perse tutto quello che aveva, anche<br />

i vestiti e la spada, così, preso dalla rabbia, riprese furiosamente la sua spada e si recò in<br />

chiesa per mantenere la promessa; appena il soldato colpì la statua, sul collo, questa sgorgò<br />

<strong>san</strong>gue. La ferita si poteva vedere ancora fino all’ultimo restauro, mentre fino al XVI secolo si<br />

poteva ancora vedere la spada del soldato appesa sull’altare.<br />

Fermiamoci ora di fronte all’altare maggiore, che si trova sul presbiterio rialzato, all’interno di<br />

un’abside poligonale coperto con una volta a crociera ombrelliforme. All’interno del tiburio


etto da quattro colonne, è posta la statua della Vergine di Bonaria, meta di pellegrinaggio per<br />

numerosissimi fedeli. La sua storia è narrata alla traccia seguente di questa audioguida.<br />

Portiamo adesso il nostro sguardo al centro dell’abside davanti a noi, nel punto in cui<br />

convergono i costoloni in pietra della volta. Appesa a una cordicella di canapa pende una<br />

navicella in avorio, dono di una pellegrina in partenza per la Terra Santa. È l’ex voto più<br />

antico di Bonaria, e si dice che, oscillando, indichi la direzione del vento ai marinai che si<br />

accingono a mettersi in mare.<br />

Fino al 1968 all’interno del <strong>san</strong>tuario erano collocati numerosissimi ex voto, così che il Rettore<br />

Pasquariello decise di allestire un museo all’interno del convento, che custodisse tutti i doni<br />

offerti alla Madonna di Bonaria nei secoli. La navicella, per il suo valore sia devozionale che<br />

storico, è l’unico ex voto rimasto nel <strong>san</strong>tuario.<br />

Ai piedi della balaustra, sul lato sinistro della scala per accedere al presbiterio, è posta la<br />

tomba di Domenico Alberto Azuni, giurista sassarese morto nel 1827, che ricevette incarichi<br />

dal re Vittorio Emanuele I e da Napoleone.<br />

13. Il simulacro della Madonna di Bonaria<br />

Dietro l’altare del <strong>san</strong>tuario si trova il simulacro ligneo della Vergine di Bonaria. A lei sono<br />

dedicati il complesso <strong>religioso</strong> e il colle sul quale ci troviamo.<br />

Si tramanda che una nave spagnola diretta nella penisola italiana fu colta da una forte<br />

tempesta al largo dello specchio di mare antistante il colle. I marinai cercarono di alleggerire<br />

la nave e buttarono tutto il carico a mare per cercare di salvarsi la vita. Buttarono anche una<br />

grande cassa, di cui non conoscevano né il contenuto né il proprietario. Era il 25 marzo del<br />

1370. Appena la cassa toccò le acque agitate del mare, queste si placarono miracolosamente; la<br />

cassa approdò alle pendici di questo colle e la popolazione accorse curiosa per vedere cosa<br />

contenesse. Stranamente nessuno riuscì a sollevare la cassa perché era troppo pe<strong>san</strong>te.<br />

Decisero allora di chiamare i frati Mercedari, che officiavano la piccola chiesetta fatta<br />

costruire dall’infante Alfonso. Solo i frati riuscirono a sollevare la cassa e ad aprirla. Questa<br />

conteneva la statua della Vergine che si trova davanti ai nostri occhi. Sul braccio sinistro<br />

regge il Bambino Gesù, mentre nella mano destra, al momento dell’apertura della cassa,<br />

reggeva una candela accesa.<br />

Si urlò subito al miracolo, e da allora si ebbe sempre un’enorme devozione per questo<br />

simulacro, detto di Bonaria da “buona aria”, il buon vento che favorì fino a qui il suo arrivo. La<br />

sua devozione si diffuse presto non solo nell’Isola, ma in tutto il mondo, specialmente tra i<br />

marinai che la invocano come loro protettrice, tanto che i conquistadores spagnoli le<br />

dedicarono la città capoluogo dell’Argentina, che da lei prende il nome: Buenos Aires. Il nome<br />

infatti non è altro che la traduzione spagnola di Bonaria.<br />

La statua è scolpita in legno di carrubo, e presenta ancora la policromia originaria e il<br />

mantello riccamente decorato con motivi floreali in oro. In realtà i caratteri stilistici della<br />

statua la fanno risalire all’ultimo quarto del XV secolo, circa cento anni dopo che la tradizione<br />

fissa il suo arrivo a <strong>Cagliari</strong>. È opera di uno scultore di cultura iberica e attivo a Napoli, da<br />

identificarsi probabilmente con Pietro Alemanno.<br />

Nonostante la discordanza dei dati della tradizione con quelli ricavati dalle indagini storicoartistiche,<br />

l’intensità della devozione non è diminuita e agli inizi del XX secolo la Madonna di<br />

Bonaria è stata proclamata dal papa patrona massima della Sardegna. Papa Benedetto XVI,<br />

dopo la sua visita in Sardegna il 7 settembre 2008, le ha conferito il “riconoscimento<br />

internazionale” di basilica dedicata alla Madonna.<br />

Per spostarci ora all’interno della basilica, passiamo dalla porta di comunicazione posta sulla<br />

navata destra.<br />

14. La basilica di Nostra Signora di Bonaria. Interno<br />

Ci troviamo nella basilica minore di Bonaria, il più grande <strong>san</strong>tuario cristiano della Sardegna.<br />

Portiamoci all’ingresso, in modo da poter ammirare meglio l’interno.<br />

La chiesa ha pianta a croce latina e impianto a tre navate; all’incrocio della navata principale<br />

con il transetto si apre una grande cupola ottagonale, sotto cui è posto l’altare maggiore,


sormontato da un baldacchino decorato in rame dorato e retto da quattro colonne in marmo<br />

verde.<br />

La navata principale è coperta da una volta a botte e separata dalle adiacenti navate laterali<br />

da quattro arcate a tutto sesto poggianti su alte colonne in calcare; da ognuna delle otto arcate<br />

laterali pendono dei grandi candelabri in bronzo.<br />

Sulle pareti delle navate laterali si aprono delle cappelle, quattro sul lato destro e tre su quello<br />

sinistro, che ospitano ognuna un altare e una tela dipinta. Cinque delle tele delle cappelle sono<br />

state dipinte da Antonio Mura, pittore e incisore sardo degli inizi del Novecento.<br />

Ai lati del transetto della chiesa si trova un grande organo composto da cinquemila canne: è il<br />

più grande di tutta la Sardegna.<br />

Se avete scelto l’<strong>itinerario</strong> ridotto, il vostro percorso finisce qui. Diversamente, seguite le ultime<br />

due tracce.<br />

15. Il Museo del Convento di Nostra Signora di Bonaria (Facoltativo)<br />

Entriamo nell’ edificio sede dell’Ordine dei frati Mercedari.<br />

Passiamo il chiostro, al cui centro si trova un pozzo, e proseguiamo dritti lungo lo spazio<br />

porticato. Varcato l’ingresso ci ritroviamo in un corridoio. Davanti a noi l’ingresso agli<br />

ambienti della sagrestia; alla nostra destra una porta di comunicazione col <strong>san</strong>tuario.<br />

Nella nicchia aperta sulla parete davanti a noi, spostata sulla sinistra, si trova la cassa che<br />

conteneva il simulacro della Madonna di Bonaria, approdata ai piedi del colle. Durante i secoli<br />

i fedeli asportarono schegge del legno, per conservarle come reliquia preziosa.<br />

Sulle pareti sono appesi degli ex voto, dono dei fedeli per ringraziare la Vergine di Bonaria<br />

della grazia ricevuta.<br />

Sul lato opposto del corridoio, all’interno di teche in vetro, modellini di navi. Anche questi sono<br />

degli ex voto offerti da marinai.<br />

Usciamo dalla stessa porta da cui siamo entrati. Attraversiamo il chiostro, ed entriamo<br />

all’interno del piccolo negozio di oggetti sacri, da cui si passa per arrivare al museo, posto al<br />

primo piano. Il Museo è articolato in tre sale e lungo un corridoio che si affaccia sul chiostro.<br />

Appena terminate le scale ci ritroviamo nella prima sala, che ospita reperti archeologici<br />

ritrovati nell’area del colle, tre dipinti a olio di frati Mercedari, e lo stemma dell’Ordine.<br />

L’ordine dei Mercedari venne fondato nel 1218, con la missione di liberare le persone ridotte in<br />

schiavitù dai mussulmani, le cui navi terrorizzavano le coste del Mediterraneo. La liberazione<br />

degli schiavi avveniva attraverso una somma di denaro, per cui i frati si impegnarono<br />

fortemente nella raccolta di fondi per questo scopo. Se il denaro non fosse bastato, sarebbero<br />

stati pronti a offrirsi come schiavi in cambio della liberazione dei prigionieri.<br />

Le uova di struzzo poste nella teca sotto i dipinti sono ex voto offerti da schiavi liberati dai<br />

frati. Usciti dalla stanza, percorriamo il corridoio partendo dal lato sinistro.<br />

Qui sono collocati dei pregevoli modellini di navi, alcuni molto antichi, offerti in dono da<br />

marinai alla loro protettrice; si trovano inoltre dipinti ex voto che narrano le vicende della<br />

grazia ricevuta; maglie offerte da sportivi di diverse discipline.<br />

Terminato il corridoio, giriamo a destra, ed entriamo nella seconda sala, interamente occupata<br />

da bellissimi modellini di navi di molte epoche differenti: dalla galera alle navi a vapore, fino a<br />

quelle più moderne, come la nave scuola Amerigo Vespucci, esposta però nel corridoio.<br />

Dal XVIII secolo compare l’u<strong>san</strong>za di realizzare un modellino in scala prima di iniziare a<br />

costruire la nave. Probabilmente alcuni dei modellini qui presenti sono stati fabbricati per<br />

questo scopo, e poi offerti in dono alla Vergine di Bonaria per chiedere la sua protezione<br />

durante la navigazione.<br />

Dietro una vetrata di questa sala sono esposte le mummie di quattro degli otto membri della<br />

famiglia degli Alagon, marchesi di Villasor, morti di peste durante l’epidemia del 1605.<br />

Vennero sepolti nella pietra calcarea, nei locali della vecchia sagrestia del <strong>san</strong>tuario di<br />

Bonaria, ai piedi della torre aragonese. Il processo naturale di mummificazione è stato causato<br />

dal carbonato di calcio formatosi all’interno della tomba. Il trasferimento delle salme si rese


necessario quando i frati decisero di rifare il presbiterio del <strong>san</strong>tuario, così che vennero qui<br />

trasferite.<br />

In una teca vicina è esposta un’ancora d’argento: fu offerta nel 1899 dalla regina Margherita,<br />

come segno di ringraziamento per il buon esito della spedizione al Polo guidata dal figlio, a<br />

bordo della nave chiamata Stella Polare.<br />

Ritorniamo ora nel corridoio, e proseguiamo la nostra visita fino alla terza e ultima sala.<br />

Qui sono esposti paramenti e arredi sacri, tra cui alcune corone d’argento offerte nel XVI<br />

secolo dalle mogli di vicerè di Sardegna, e due corone d’oro offerte nel 1806 dal re Carlo<br />

Emanuele I e dalla consorte.<br />

Percorrendo l’ultimo tratto di corridoio, vediamo alla nostra destra due cassapanche lignee.<br />

Abbiamo percorso tutti e quattro i lati del corridoio che si affacciano sul chiostro; rientriamo<br />

nella prima sala che abbiamo visitato e dirigiamoci all’uscita.<br />

Se desiderate visitare il parco di Bonaria, una volta usciti dagli edifici del museo, costeggiate il<br />

<strong>san</strong>tuario e poi la basilica; girate subito a sinistra e percorrete la strada che costeggia la<br />

navata.<br />

16. Il Parco di Bonaria (Facoltativo)<br />

Ci troviamo all’interno del Parco di Bonaria, posto proprio sulla sommità del colle.<br />

Al suo interno si trovano diversi tipi di alberi.<br />

All’ingresso, sulla nostra sinistra, la jacaranda: un albero di origine sudamericana, dalla<br />

bellissima inflorescenza a grappolo di colore viola. È una pianta molto comune in città, ed<br />

abbellisce numerosi viali.<br />

Dall’altro lato del vialetto troviamo dei grandi ficus.<br />

Salendo vediamo alla nostra sinistra, dietro gli alberi, la torre campanaria del complesso<br />

<strong>religioso</strong> di Bonaria, addossata all’esterno dell’abside del <strong>san</strong>tuario: è la torre aragonese fatta<br />

costruire dall’infante Alfonso quando piantò i suoi accampamenti sul colle, nel 1324.<br />

Probabilmente era una torre di avvistamento, ed era compresa nella cinta muraria fortificata<br />

che proteggeva l’accampamento aragonese, di cui è l’unico elemento architettonico difensivo<br />

superstite. La torre è costruita in pietra calcarea bianca delle cave di Bonaria e presenta una<br />

sezione poligonale. L’esterno presenta dei solidi contrafforti, mentre la copertura, costruita nel<br />

XIX secolo, è a volta a botte spezzata.<br />

Continuando a risalire il vialetto, arriviamo alla cima della collina, circondata da alberi di<br />

pino. Da qui si gode una bella vista della città, mentre se volgiamo lo sguardo alla nostra<br />

destra vediamo i sepolcreti familiari dell’attiguo cimitero.<br />

Arrivati alla fine del vialetto, dopo esserci fermati nello spazio circolare per ammirare il<br />

panorama, possiamo scendere gli scalini che ci sono oltre e che conducono alla necropoli di<br />

viale Bonaria. State attenti scendendo gli scalini e non avvicinatevi troppo alle tombe, ormai<br />

in stato di totale abbandono, per evitare inutili rischi.<br />

Seguendo la scalinata arriviamo fin giù, dove potrete uscire dal secondo ingresso del parco,<br />

posto ai piedi del colle, davanti all’ingresso del cimitero di Bonaria.<br />

Eviterete così di dover tornare indietro e, se lo vorrete, potrete riposarvi seduti sulle panchine<br />

all’ombra degli alberi di ficus.<br />

Qui finisce il nostro l’<strong>itinerario</strong> attraverso i luoghi simbolici della religiosità a <strong>Cagliari</strong>.

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