Vol. 42 • N. 165 Gennaio-Marzo 2012 - Sip
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<strong>Vol</strong>. <strong>42</strong> <strong>•</strong> N. <strong>165</strong><br />
<strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> <strong>2012</strong><br />
Pacini<br />
EditorE<br />
MEdicina
INDICE numero <strong>165</strong> <strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> <strong>2012</strong><br />
EpatoloGIa (a cura di Pietro Vajro)<br />
Presentazione<br />
terapia delle epatiti virali croniche <strong>2012</strong>: presente e futuro<br />
Claudio Veropalumbo, Pietro Vajro ............................................................................................................................................................ 3<br />
Malattia di Wilson: ancora una sfida diagnostica<br />
Giusy Ranucci, Antonietta Zappu, Maria Barbara Lepori, Raffaele Iorio e Georgios Loudianos .............................................................. 12<br />
Epatite autoimmune: una terapia non sempre facile<br />
Marco Sciveres, Francesco Cirillo, Silvia Nastasio, Giuseppe Maggiore ................................................................................................. 21<br />
oCUlIStICa (a cura di Adriano Magli)<br />
Presentazione<br />
attualità in oftalmologia pediatrica<br />
Lucia Ambrosio, Francesco Matarazzo, Patrizio Magliozzi, Luca Rombetto, Roberta Carelli, Adriano Magli .......................................... 31<br />
la cataratta congenita: iter diagnostico-terapeutico<br />
Adriano Magli, Elena Piozzi, Eduardo Maselli, Giovanni Marsico, Francesco Matarazzo, Luca Rombetto .............................................. 37<br />
Stato della chirurgia refrattiva in età pediatrica<br />
Adriano Magli, Antonello Iovine, Giovanni Marsico, Lucia Ambrosio, Luca Rombetto, Paolo Nucci ......................................................... 43<br />
FroNtIErE (a cura di Antonio Cao, Luigi D. Notarangelo, Achille Iolascon, Andrea Biondi)<br />
traffico intracellulare di proteine Cop dipendente: rilevanza nella patologia umana<br />
Roberta Russo, Maria Rosaria Esposito, Achille Iolascon ....................................................................................................................... 49<br />
tavola rotoNDa (a cura di Andrea Biondi)<br />
la Normativa Europea sui farmaci in età pediatrica<br />
Andrea Biondi ......................................................................................................................................................................................... 55
Epatologia<br />
Le malattie del fegato e delle vie biliari sono cause comuni di malattia cronica in età pediatrica, colpendo circa uno ogni 8.000 bambini.<br />
Molte forme sono congenite e possono essere causate da una varietà di anomalie genetiche, malformazioni strutturali e infezioni prenatali.<br />
Altre – comuni a quelle dell’adulto, come ad esempio le epatopatie croniche virali e autoimmuni o il coinvolgimento epatico di condizioni<br />
sistemiche quali la celiachia e l’obesità – presentano comunque diverse caratteristiche peculiari dell’età pediatrica. Molte, se non trattate<br />
adeguatamente e tempestivamente, evolvono verso la fibrocirrosi epatica fino alla necessità di epatotrapianto.<br />
Le epatopatie esercitano molti effetti negativi non solo sulla funzione epatica del bambino ma anche su crescita, sviluppo e realizzazione<br />
intellettuale, sviluppo psico-sociale e interazioni familiari. La gestione ottimale richiede spesso un approccio globale e multidisciplinare<br />
guidato da specialisti che abbiano specifiche competenze epatologiche pediatriche. L’epatologo pediatra svolge un ruolo critico nel fornire<br />
piani terapeutici completi, consulenze e secondi pareri, su basi di breve o di lungo termine. La diagnosi e la gestione della vasta gamma<br />
di disturbi epatobiliari del bambino può richiedere una varietà di esami sierologici, metabolici, molecolari, istologici, radiografici ed endoscopici.<br />
Gli epatologi pediatri devono pertanto saper interagire con anatomopatologi, genetisti e specialisti metabolici, radiologi, chirurghi<br />
pediatri, chirurghi, radiologi interventisti e altri ancora. Il coordinamento del piano di cura del paziente deve essere spesso sviluppato su<br />
base individuale, non esistendo due pazienti uguali.<br />
Ricerca e buona assistenza clinica vanno di pari passo. Un attivo programma di ricerca epatologica pediatrica è indispensabile per ottenere<br />
avanzamenti nella comprensione della patogenesi e nel trattamento dei problemi epatici del bambino, incluso lo sviluppo di nuove terapie<br />
più sicure e più efficaci. Spesso le esperienze mutuate dalla ricerca clinica nell’adulto debbono essere sfruttate come apripista per velocizzare<br />
i processi di dose finding ed effectiveness.<br />
Questo numero di Prospettive in Pediatria contiene tre lavori di Epatologia Pediatrica che bene illustrano quanto detto sopra.<br />
Il primo contributo focalizza la gestione dell’epatite virale cronica e fornisce al pediatra lo stato dell’arte utile per il trattamento dei pazienti.<br />
Non trascurando tuttavia di presentare dati recentissimi su farmaci di nuova generazione che stanno già ora modificando radicalmente<br />
l’armamentario terapeutico a disposizione nell’adulto.<br />
Il secondo contributo è un Focus che discute in particolare i principali ostacoli legati alla corretta diagnosi clinica e di laboratorio della<br />
malattia di Wilson, indispensabile per evitare l’inesorabile progressione del danno epatico e neurologico se non adeguatamente trattata. Le<br />
principali opzioni terapeutiche agiscono con diversi meccanismi e nessuna di esse è scevra da effetti collaterali che debbono essere ben<br />
noti al paziente per assicurasi una buona compliance.<br />
Il terzo contributo verte sull’epatite autoimmune e tratta in particolare problemi ancora aperti quali il tipo di associazione iniziale dei farmaci<br />
standard, nonché i criteri per la loro discontinuazione. Gli Autori ci mostrano come il trattamento convenzionale con steroidi e azatioprina<br />
sia altamente efficace ma debbano essere protratto a lungo prima di tentare una sospensione. La ciclosporina come farmaco alternativo è<br />
parimenti efficace e ormai sufficientemente radicato nella pratica clinica.<br />
Pietro Vajro<br />
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Salerno<br />
1
<strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> <strong>2012</strong> <strong>•</strong> <strong>Vol</strong>. <strong>42</strong> <strong>•</strong> N. <strong>165</strong> <strong>•</strong> pp. 3-11<br />
terapia delle epatiti virali croniche <strong>2012</strong>:<br />
presente e futuro<br />
Claudio Veropalumbo 1 , Pietro Vajro 2<br />
1 Dipartimento di Pediatria, Università degli Studi Federico II, Napoli<br />
2 Cattedra di Pediatria, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Salerno<br />
Introduzione<br />
Le epatiti virali (epatite virale B [HBV] e C [HCV]) continuano a costituire<br />
un problema di rilievo per la sanità mondiale nonostante<br />
l’introduzione del vaccino contro il virus HBV. Il rischio di contagio<br />
per entrambe le condizioni nella popolazione italiana è ulteriormente<br />
aumentato anche in ragione delle adozioni internazionali e della crescente<br />
immigrazione da Paesi con elevata prevalenza (Giacchino et<br />
al., 2010). La nostra revisione descrive novità circa aspetti generali<br />
delle epatiti croniche da HBV e HCV, evidenziando le peculiarità che<br />
tali patologie assumono quando interessano l’età pediatrica. Aspetto<br />
centrale è però quello relativo alla gestione terapeutica, e pertanto<br />
saranno approfonditi i principali approcci farmacologici a disposizione<br />
e gli aspetti ancora controversi ad essi correlati. Accanto ai<br />
farmaci “tradizionali”, in epoca più recente si stanno sviluppando<br />
nuove terapie che trovano il loro razionale nel blocco delle varie fasi<br />
del ciclo replicativo dei virus epatitici, alcuni dei quali già utilizzabili<br />
nella popolazione adulta, altri in attiva fase di sperimentazione clinica.<br />
Obiettivo<br />
All’interno della revisione sarà fornita una rassegna delle nuove<br />
strategie terapeutiche basate sul miglioramento delle conoscenze<br />
relative al ciclo replicativo virale, con un aggiornamento sullo stato<br />
di evidenza disponibile.<br />
Metodologia della ricerca bibliografica<br />
È stata svolta una ricerca attraverso PubMed utilizzando termini<br />
chiave come: “viral hepatitis treatment; interferon; PEG-interferon;<br />
ribavirin; lamivudine; new antiviral drugs; viral hepatitis, children”,<br />
anche tra loro incrociati. Sono stati selezionati articoli originali, revisioni,<br />
revisioni sistematiche e linee guida più recenti.<br />
Epatite B (HBV)<br />
EPAtoLoGIA<br />
Riassunto<br />
Le criticità relative all’attuale gestione dell’epatite virale sono molteplici. L’alto numero di soggetti infetti nel mondo dimostra la persistente necessità di<br />
introdurre programmi di prevenzione efficaci. La scelta dei soggetti da trattare non è univoca, specialmente per quanto concerne l’età pediatrica, per il<br />
decorso spesso indolente della patologia e gli alti tassi di sieroconversione spontanea. La nostra revisione della letteratura analizza i pro e i contro da tenere<br />
in considerazione nel momento in cui si decide di intraprendere la terapia farmacologica. Vengono riportate le più recenti evidenze relative ai farmaci attualmente<br />
disponibili per il trattamento. Infine sono elencati i dati su agenti terapeutici emergenti nell’adulto, il loro meccanismo d’azione nonché le evidenze<br />
disponibili sui vaccini preventivi e “terapeutici”.<br />
Summary<br />
Several emerging issues related to management of viral hepatitis have recently been discussed in the literature. The high number of infected individuals in<br />
the world demonstrates the persisting need for effective prevention programs. Selection of subjects to be treated is not univocal, especially for the pediatric<br />
age group where the disease course is often considered “mild” and spontaneous seroconversion rates are reported. Our review examines pros and cons to<br />
take into account when one considers to begin pharmacological therapy. We list the most recent evidences related to currently available drugs for treatment.<br />
Finally, data on novel possible therapeutic agents, with their mechanisms of action and available evidence on preventive and “therapeutic” vaccines,<br />
are presented and discussed.<br />
L’epatite cronica da HBV (CHB) costituisce una delle principali<br />
cause di epatopatia nel mondo. Si stima che oltre 400 milioni<br />
di individui siano oggi ancora cronicamente infetti. Fino al 40%<br />
degli individui infetti svilupperà complicanze, inclusa l’insufficienza<br />
epatica, la cirrosi scompensata e il carcinoma epatocellulare.<br />
L’incidenza di quest’ultimo è drammaticamente crollata nei<br />
Paesi endemici dove è stato introdotto il programma vaccinale<br />
(Chang, 2011).<br />
La modalità di trasmissione ha importanti implicazioni poiché c’è<br />
più alto rischio di sviluppare CHB se l’infezione è contratta in epoca<br />
perinatale o prescolare, in relazione ad una maggiore immaturità<br />
delle difese immunitarie che risultano meno capaci di eliminare il<br />
virus. Il rischio di sviluppare CHB dopo esposizione al contagio varia<br />
dal 90% nei nati da madri positive per l’Hepatitis B e Antigen (HBe-<br />
Ag), al 25-30% nei lattanti e nei bambini infettatisi prima dei 5 anni,<br />
fino a meno del 5% nei bambini più grandi e negli adulti. Una volta<br />
infetto, l’individuo può eliminare il virus oppure andare incontro alle<br />
4 fasi della CHB, le cui principali caratteristiche sono riassunte in<br />
tabella I.<br />
Attualmente sono identificati 8 diversi genotipi di HBV (da A a H): i<br />
genotipi B e C sono più comuni in Asia, l’A e il D sono più comuni in<br />
Europa e in India, l’ A e il C predominano negli Stati Uniti. Il genotipo<br />
dell’HBV ha influenza sulla progressione della CHB: individui con<br />
genotipo A, B, D o F in genere sieroconvertono ad anti-HBe entro<br />
3
l’età di 20 anni, mentre individui con genotipo C sieroconvertono ad<br />
un’età media di 47.8 anni (Jonas et al., 2010).<br />
Chi trattare in età pediatrica<br />
La maggior parte dei bambini con CHB sono in fase di immunotolleranza.<br />
La decisione circa il quando e come l’intraprendere<br />
la terapia farmacologica rappresenta pertanto un aspetto ancora<br />
controverso, anche tenendo presente che la sieroconversione<br />
spontanea HBeAg - HBeAb su base annua si verifica nel 7-16%<br />
dei soggetti affetti. Le linee guida presenti in letteratura non<br />
fanno chiaro riferimento all’età pediatrica (Alberti et al., 2011,<br />
Carosi et al., 2007, EASLD, 2009, Lok et al., 2009). Il razionale<br />
della terapia è quello di bloccare la replicazione virale, riducendo<br />
quindi anche l’infettività, e prevenire le complicanze a lungo termine.<br />
Come nell’adulto, anche in età pediatrica fattori predittivi<br />
di buona risposta al trattamento farmacologico sono la bassa<br />
attività replicativa, la bassa carica virale, l’elevata attività citolitica<br />
ed istologica. Obiettivo terapeutico è quello di ottenere la<br />
negativizzazione dell’HBeAg con livelli non rilevabili di HBV-DNA<br />
(EASLD, 2009, Lok et al., 2009).<br />
Incertezze circa l’opportunità di iniziare la terapia derivano dalla osservazione<br />
che la maggior parte dei pazienti non trattati presenta<br />
malattia di grado lieve e che molti di quelli con patologia attiva vanno<br />
incontro a negativizzazione spontanea dell’HBeAg entro i primi<br />
20 anni di vita (Jonas et al., 2010, EASLD, 2009, Lok et al., 2009,<br />
Iorio et al., 2007). La terapia standard fino ad alcuni anni fa con<br />
interferone (IFN) ± priming con steroidi mostrava differenze poco significative<br />
del tasso di sieroconversione e negativizzazione dell’HBV<br />
DNA rispetto ai controlli non trattati, determinando tuttavia una significativa<br />
accelerazione della stessa sieroconversione e negativizzazione<br />
dell’HBV DNA (Vajro et al., 1996, Sokal et al., 1998, Bortolotti<br />
et al., 2000). Pur in assenza di linee guida formali, diversi esperti<br />
suggeriscono dei criteri in base ai quali scegliere se intervenire farmacologicamente<br />
o limitarsi alla sola sorveglianza clinico-laboratoristica<br />
e strumentale. È stato proposto che i bambini selezionati per il<br />
trattamento debbano essere quelli con i seguenti fattori predittivi di<br />
risposta: evidenza di CHB biochimicamente attiva (ALT >2 x v.n.), positività<br />
dell’Hepatitis B surface Antigen (HBsAg) per almeno 6 mesi e<br />
HBeAg+ e/o HBV DNA > 2.000 IU/ml, e con infiammazione epatica<br />
severa all’istologia (Shah et al., 2009, Giacchino et al., 2010, Jonas<br />
et al., 2010).<br />
I pazienti HBeAg+ con transaminasi ALT elevate devono essere osservati<br />
per almeno 12 mesi per valutare l’evenienza di sieroconversione<br />
spontanea. In mancanza di tale evenienza, i pazienti possono<br />
essere considerati candidati alla terapia, preceduta da biopsia epatica<br />
che, in caso di riscontro di fibrosi e/o cirrosi, costituisce una<br />
ulteriore indicazione al trattamento immediato (Jonas et al., 2010).<br />
La Figura 1 riassume le suddette informazioni in una flow-chart di<br />
gestione semplificata.<br />
4<br />
C. Veropalumbo, P. Vajro<br />
Tabella I.<br />
Fasi principali della epatite cronica B (CHB) (modificato da Hoofnagle et al. 2007).<br />
Fase ALT Istologia HBV-DNA HBeAg HBsAg<br />
Immuno-tolleranza Normale o poco aumentata Minima attività. Scarsa fibrosi Livelli elevati (108-1011 copie/ml) Presente Presente<br />
HBeAg+ CHB Costantemente Aumentata Attiva con variabile fibrosi Livelli elevati (106 – 10 10 copie/ml) Presente Presente<br />
HBeAg- CHB Aumentata, spesso fluttuante Attiva con variabile fibrosi Moderato, fluttuante (103 -108 copie/ml) Assente Presente<br />
Portatore inattivo Normale Inattiva con minima fibrosi Basso, indosabile (
terapia delle epatiti virali croniche <strong>2012</strong>: presente e futuro<br />
Tabella II.<br />
Trattamenti disponibili per l’epatite cronica B in età pediatrica negli Stati Uniti (modificato da Ayoub et al. 2011).<br />
Farmaco Età Vantaggi Svantaggi Effetti collaterali Dosaggio Risposta (%)<br />
IFNα ≥2 aa No resistenza. Breve durata<br />
terapia (16-24 settimane)<br />
Lamivudina ≥ 2 aa Buona tolleranza.<br />
Somministrazione orale<br />
Adefovir ≥ 12 aa Buona tolleranza.<br />
Somministrazione orale.<br />
Efficace vs HBV resistente a<br />
lamivudina<br />
di essere somministrata per via orale, anche se necessariamente in<br />
maniera ininterrotta.<br />
Uno studio multicentrico di 24 mesi nel bambino ha evidenziato<br />
che la lamivudina porta ad una sieroconversione in un terzo e in<br />
un quarto rispettivamente di 213 pazienti con CHB mai trattati<br />
precedentemente o precedentemente trattati con lo stesso farmaco.<br />
Il problema principale della terapia con lamivudina è tuttavia<br />
rappresentato dal rischio significativo di farmaco-resistenza<br />
(principalmente legata a mutazioni del locus YMDD del gene della<br />
trascrittasi inversa dell’HBV): in questo studio mutazioni YMDD si<br />
sviluppavano in circa il 50% e nel 64% dei casi, rispettivamente<br />
(Sokal et al., 2006).<br />
Altri analoghi nucleotidici e nucleosidici<br />
Somministrazione<br />
parenterale. Effetti<br />
collaterali<br />
Farmaco-resistenza<br />
comune<br />
Farmaco-resistenza<br />
meno comune della<br />
Lamivudina<br />
Ad eccezione dell’Adefovir, utilizzabile negli USA già in età pediatrica,<br />
diversi analoghi sono stati approvati dall’FDA solo per la terapia<br />
della CHB dell’adulto. Rispetto alla Lamivudina, questi farmaci appaiono<br />
di enorme interesse per il vantaggio di poter essere somministrati<br />
per via orale e per lunghi periodi inducendo una minore<br />
farmaco resistenza.<br />
Adefovir. Nel gruppo di età tra 2 e 19 anni, in uno studio pilota di<br />
sicurezza, efficacia e farmacocinetica, il farmaco non ha purtroppo<br />
mostrato effetto superiore al placebo nell’indurre sieroconversione<br />
dell’HBsAg: un anno di terapia con Adefovir determina sieroconversione<br />
dell’HBeAg nel 12% dei pazienti trattati. Una volta raggiunta,<br />
la sieroconversione è duratura nella quasi totalità dei casi. Come per<br />
la Lamivudina, i pazienti HBeAg negativizzati richiedono trattamento<br />
per tutta la vita (Jonas et al., 2008). Sia nell’adulto che nel bambino,<br />
i tassi di resistenza osservati sono tuttavia nettamente inferiori a<br />
quelli determinati dalla Lamivudina (0%- 29% a 1-5 anni di terapia)<br />
(Jonas et al., 2008, Akman et al., 2010).<br />
Entecavir. È un interessante analogo nucleotidico inibitore della polimerasi<br />
dell’HBV superiore alla Lamivudina nell’indurre soppressione<br />
di HBV DNA, nel miglioramento dell’istologia epatica e nella normalizzazione<br />
delle transaminasi. L’incidenza di resistenza appare<br />
particolarmente bassa, con un tasso del solo 1.2% dopo 5 anni. In<br />
USA è possibile utilizzare il farmaco a partire già dai 16 anni. Recentemente<br />
ne è stata valutata l’efficacia e la sicurezza anche in<br />
età pediatrica, in bambini con CHB precedentemente trattati senza<br />
successo con IFN o Lamivudina o Adefovir da soli o in combinazione.<br />
Dopo 24 settimane di trattamento si otteneva una riduzione signifi-<br />
Sintomi influenzali, aplasia<br />
midollare, alopecia,<br />
ipotiroidismo.<br />
Rallentamento crescita<br />
cativa dei livelli di HBV-DNA con scomparsa in circa il 90% dei bambini<br />
HBeAg negativi e nel 23% di quelli HBeAg positivi (Pawlowska<br />
et al., 2011). Il Tenofovir è un analogo nucleotidico strutturalmente<br />
correlato ma meno potente dell’Adefovir.<br />
Emtricitabina. Analogo nucleotidico strutturalmente simile alla Lamivudina<br />
con rischio elevato di resistenza (13% dopo 2 anni di terapia).<br />
Le prospettive principali sono date dalla potente associazione con<br />
il Tenofovir nella forma di TRUVADA (Tenofovir 300 mg/emtricitabina<br />
200 mg). È stato dimostrato che la resistenza alla Lamivudina o<br />
all’Adefovir non influenzava l’azione di TRUVADA.<br />
Telbivudina. Ultimo analogo nucleotidico approvato dalla FDA per il<br />
trattamento della CHB, la Telbivudina determina un tasso di sieroconversione<br />
dell’HBeAg del 22% e 33% rispettivamente a 1 e 2 anni di<br />
terapia. Come l’Emcitrabina, nella popolazione adulta è un farmaco<br />
efficace specie nel trattamento dell’epatopatia scompensata da HBV.<br />
Futuri campi di ricerca<br />
Vaccino “terapeutico”<br />
Il razionale di un vaccino terapeutico, da utilizzare da solo o in associazione<br />
alla terapia farmacologica convenzionale dell’HBV, è quello<br />
di stimolare la risposta immune in soggetti cronicamente infetti. Recenti<br />
studi hanno valutato la somministrazione di vettori contenenti<br />
la sequenza genica della regione preS (altamente immunogena) in<br />
pazienti di età superiore ai 15 anni, mostrando buona tollerabilità<br />
del vaccino ma incapacità, rispetto alla terapia farmacologica classica,<br />
di indurre sieroconversione (Cavenaugh et al., 2011). Una delle<br />
principali problematiche sembra essere legata all’esaurimento della<br />
risposta T-mediata nei soggetti cronicamente infetti, che quindi hanno<br />
minore capacità di rispondere allo stimolo immunologico di un<br />
vaccino terapeutico. Recentemente il tentativo di incrementare l’immunogenicità<br />
del vaccino terapeutico si è concretizzato mediante la<br />
somministrazione contemporanea di HBsAg e HBeAg ricombinanti<br />
(vaccino noto col nome di NASVAC), in corso di attuale sperimentazione<br />
di fase I su popolazione adulta (Michel et al., 2011).<br />
Epatite C (HCV)<br />
5-10 MU/m2 3<br />
volte/settimana per<br />
24 settimane<br />
Monitorare funzionalità renale 3mg/kg/die fino<br />
a 100 mg/die per<br />
≥52 settimane<br />
Monitorare funzione renale 10 mg/die per 48<br />
settimane<br />
2-58<br />
25-35<br />
16-23<br />
L’infezione da HCV è una problematica di rilevo mondiale che coinvolge<br />
circa 180 milioni di persone. L’infezione è in grado di determinare<br />
epatiti acute e croniche con possibile evoluzione cirrotica<br />
e sviluppo di cancro epatico. Esistono 6 genotipi maggiori e più di<br />
5
80 sottotipi con diversa prevalenza nelle aree mondiali. I genotipi 1a<br />
e 1b sono i più comuni in Europa e negli Stati Uniti e, insieme al 2,<br />
sono i più comuni in assoluto. Alcuni di essi, come il 2 ed il 3, sono<br />
caratterizzati da minore aggressività, migliore risposta alle terapie<br />
antivirali e maggiore possibilità di clearance spontanea (Bortolotti<br />
et al., 2008). La principale modalità di infezione in età pediatrica<br />
è oggi rappresentata dalla trasmissione verticale che rende conto<br />
del 60% dei casi di epatite C nel bambino (Resti et al., 2003). I fattori<br />
associati alla trasmissione verticale sono rappresentati da alto<br />
numero di copie di HCV-RNA materno (>10 6 copie/mm 3 ), coinfezione<br />
con HIV, travaglio prolungato (Mohan et al., 2010, Ruiz-Extremera<br />
et al., 2011). I polimorfismi del locus rs1297986, accanto al gene<br />
dell’interleuchina IL28B (recentemente studiati in relazione alla clearance<br />
virale post-terapia nei pazienti adulti) non sembrano essere<br />
implicati nella trasmissione verticale dell’HCV. Il polimorfismo CC è<br />
tuttavia indipendentemente associato con la clearance spontanea<br />
sia dei bambini con genotipo-1 (Ruiz-Extremera et al., 2011) sia di<br />
quelli con genotipo 2 e 3 (Indolfi et al., Hepatology 2011).<br />
Indicazioni al trattamento<br />
Come per l’epatite cronica B, anche nel caso dell’infezione da HCV<br />
non c’è unanime consenso su quali siano le categorie di pazienti<br />
pediatrici da trattare.<br />
I punti a favore del trattamento sono quelli di prevenire la possibile<br />
progressione della patologia, evitando le gravi sequele epatiche e<br />
riducendo il rischio di contagio nei confronti degli altri e la spesa<br />
sanitaria (Ward et al., 2011). D’altra parte, l’asintomaticità clinica e<br />
laboratoristico/ strumentale nella maggioranza dei pazienti, il costo<br />
e i potenziali effetti collaterali dei farmaci, la lentezza della progressione<br />
e la risposta non sempre favorevole dei pazienti con genotipo<br />
1, inducono perplessità riguardo all’inizio della terapia antivirale<br />
(Wirth et al., 2011).<br />
Considerando comunque che il 5% dei pazienti affetti in età pediatrica<br />
svilupperà epatopatia severa, esistono pressioni nel raccomandare<br />
l’inizio del trattamento antivirale già in età pediatrica, almeno<br />
per i genotipi più favorevoli (Munir et al., 2010).<br />
Terapia standard: Interferone + Ribavirina.<br />
L’Interferone α pegilato (Peg-IFN α), in combinazione con la Ribavirina<br />
(RBV), è attualmente raccomandato come terapia di prima linea<br />
(standard of care, SOC) dell’epatite cronica C (Mohan et al., 2010).<br />
Il Peg-IFN α è in grado di potenziare la risposta immunitaria nei<br />
confronti dell’HCV stimolando l’attività fagocitaria dei macrofagi e<br />
l’attività citotossica dei linfociti nei confronti delle cellule bersaglio<br />
infettate dal virus.<br />
La Ribavirina – somministrata in associazione con l’IFN – è un analogo<br />
della guanosina in grado di inibire la sintesi dell’HCV RNA mediante<br />
inibizione della RNA polimerasi dell’HCV determinando, nella<br />
popolazione adulta, un tasso medio di “sustained virological respon-<br />
6<br />
C. Veropalumbo, P. Vajro<br />
se” (SVR), definita dalla scomparsa di HCV RNA a 24 settimane dalla<br />
sospensione della terapia di circa il 50% nei pazienti con genotipo 1<br />
e di circa l’80% nei pazienti con genotipo 2 e 3 (Munir et al., 2010).<br />
In un ampio studio pediatrico l’azione della terapia con Peg-IFN α +<br />
ribavirina ha determinato un tasso di SVR in oltre la metà dei pazienti<br />
con genotipi 1, 4, 5 e 6, ed in oltre il 90% dei genotipi 2 e 3 (Sokal<br />
et al., 2010). Le caratteristiche dei due farmaci sono riassunte nella<br />
tabella III.<br />
“Terapia individualizzata”<br />
Una recente acquisizione nella terapia dell’epatite C nell’adulto è<br />
quella dell’ “individualizzazione” della stessa (tailored therapy), modulabile<br />
in base a parametri predittivi di SVR (Tsubota et al., 2011).<br />
La SVR è definita dalla scomparsa di HCV RNA (ricercato mediante<br />
PCR qualitativa) a 24 settimane dalla sospensione della terapia. I<br />
parametri predittivi vengono convenzionalmente distinti in: fattori<br />
legati all’ospite e fattori legati all’HCV.<br />
Fattori legati all’ospite. Come la clearance spontanea, anche la risposta<br />
al trattamento dei pazienti con genotipo 1 è stata recentemente<br />
associata al polimorfismo di un singolo nucleotide (SNP) accanto al<br />
gene dell’interleukina 28-B sul cromosoma 19, che codifica per IFNλ-3.<br />
Il locus di interesse è rs 12979860 dove il polimorfismo di un<br />
singolo nucleotide determina diversità allelica (allele C o allele T). Il<br />
tasso di risposta alla terapia standard nei pazienti con HCV di genotipo<br />
1 è superiore nei polimorfismi CC, rispetto ai CT e ai TT (Ghany et<br />
al., 2011). Non sono disponibili dati pediatrici; tuttavia l’importanza<br />
di questo polimorfismo sembra essere plausibile anche nel bambino<br />
(Ruiz-Extremera A et al., 2011).<br />
Fattori correlati all’HCV. Genotipo dell’HCV, carica virale pretrattamento<br />
e risposta virologica iniziale sono importanti fattori predittivi<br />
di SVR. Come già accennato, i pazienti con genotipi 2 e 3 rispondono<br />
alla terapia meglio di quelli con genotipi 1 e 4. Inoltre, basse cariche<br />
virali basali sono elementi predittivi di successo terapeutico, così<br />
come la rapida negativizzazione dell’ HCV-RNA.<br />
Terapia guidata dalla risposta. Il concetto della correlazione tra la<br />
rapidità di scomparsa dell’HCV RNA e il raggiungimento della SVR<br />
ha permesso di introdurre il concetto della terapia guidata dalla risposta.<br />
L’“early viral response” (EVR) è la riduzione di HCV RNA > 2<br />
log rispetto ai livelli pre-terapia (EVR parziale) e la scomparsa (EVR<br />
10<br />
completa) alla 12° settimana di terapia.<br />
In base a queste considerazioni (sinora validate solo nell’adulto) pazienti<br />
con genotipo 1 e 4 con EVR completa possono vantaggiosamente<br />
ridurre la durata del trattamento già a 24 settimane rispetto alle<br />
48 convenzionali. Viceversa, in soggetti che non raggiungono la EVR,<br />
la terapia dovrebbe essere prolungata fino a 72 settimane. Pazienti<br />
con genotipo favorevole (2 e 3) sono anch’essi indirizzati al trattamento<br />
per una durata di 24 settimane. Quest’approccio modulabile costituisce<br />
una prospettiva interessante per l’età pediatrica, anche se non<br />
sono attualmente disponibili evidenze preliminari (Hu et al., 2010).<br />
Tabella III.<br />
Principali caratteristiche dei farmaci utilizzati nel trattamento della epatite C in età pediatrica (modificato da Wirth et al. 2011).<br />
SVR Genotipo 1 Genotipi 2-3 Dosi<br />
IFN α 0-76%<br />
IFN α + ribavirina 27-64% 36-53% >80% IFN 3 milioni U 3volte/settimana<br />
RBV 15mg/kg/die<br />
PEG IFNα-2b/a +ribavirina 44-59% >90% Peg IFN - 60 mg/mq/1volta/settimana<br />
RBV 15 mg/Kg/die<br />
SVR = Sustained virological response; IFN Interferone; RBV= Ribavirina
terapia delle epatiti virali croniche <strong>2012</strong>: presente e futuro<br />
Future prospettive terapeutiche<br />
Nell’adulto vi sono interessanti studi sul ruolo di diversi nuovi farmaci<br />
che agiscono sulle varie fasi replicative dell’HCV, attualmente in<br />
diversi stadi di sperimentazione clinica (Fig. 2).<br />
Albinterferon. Si tratta di una proteina costituita da IFN α 2b geneticamente<br />
fuso ad albumina umana. Un trial nell’adulto ha mostrato<br />
un’efficacia dell’Albinterferon paragonabile a quella del PegIFN<br />
α nell’indurre SVR in soggetti affetti da epatite C. Grazie alla possibilità<br />
di essere somministrato ogni 2 settimane, l’Albinterferon<br />
costituisce un’alternativa interessante nel trattamento dell’epatite<br />
C (Nelson et al., 2009), ed è particolarmente attraente per l’età<br />
pediatrica.<br />
Nuovi antivirali anti HCV. Diversi farmaci, utilizzabili per via orale<br />
in associazione (triplice) con la terapia standard IFN+ribavirina,<br />
provvisti di meccanismo d’azione diverso dall’Interferone, si trovano<br />
attualmente in diverse fasi di sperimentazione clinica nell’adulto,<br />
aumentando significativamente i tassi di negativizzazione dell’HCV-<br />
RNA nel genotipo 1, e portando alla guarigione la quasi totalità dei<br />
pazienti con genotipo 2 e 3. La loro possibile applicazione anche in<br />
età pediatrica è pertanto fortemente auspicabile. La figura 3 illustra<br />
i loro possibili siti di attacco.<br />
Inibitori di proteasi NS3/4. La HCV NS3 serin proteasi e il cofattore<br />
NS4a favoriscono il clivaggio della poliproteina virale in 4 protei-<br />
ne non strutturali. L’inibizione di questo sistema non solo inibisce<br />
la replicazione virale, ma favorisce l’immunità innata impedendo<br />
il clivaggio del Toll-IL1- receptor domain (TRIF) e IFN-β promoter<br />
simulator (IPS-1). Due di questi inibitori (Telaprevir e Boceprevir)<br />
sono stati approvati per l’immissione sul mercato nel maggio 2011<br />
negli USA per il trattamento della popolazione adulta infetta da HCV.<br />
Il primo, somministrato in aggiunta alla SOC therapy incrementa la<br />
SVR di circa il 20% in pazienti mai trattati precedentemente (SVR<br />
fino al 75-80%) e di circa il 30% nei non responders con genotipo<br />
1. Il secondo incrementa la SVR nei pazienti non trattati con<br />
genotipo 1 solamente per somministrazioni prolungate (Kwong et<br />
al., 2011). Entrambi i farmaci permetterebbero di ridurre considerevolmente<br />
anche la durata del trattamento. Tuttavia vanno segnalati<br />
effetti collaterali specifici, quali rash, anemia (talora necessitante<br />
l’uso di eritropoietina e/o riduzione del dosaggio), prurito, nausea<br />
e diarrea per il primo, e anemia e disgeusia per il secondo. Inibitori<br />
di proteasi di 2 a e 3 a generazione sono attualmente in attiva fase di<br />
sperimentazione.<br />
Inibitori dell’HCV polimerasi. La RNA polimerasi RNA-dipendente<br />
NS5B è responsabile della sintesi dell’RNA virale. Gli inibitori di<br />
tale enzima sembrerebbero essere meno efficaci degli inibitori di<br />
NS3/4a, ma agiscono su un numero maggiore di genotipi inducendo<br />
pertanto un vantaggioso minore tasso di resistenza.<br />
Inibitori dell’ingresso cellulare e dell’assemblaggio virale. Una serie<br />
di molecole sembrano costituire nuove prospettive terapeutiche per<br />
Figura 2.<br />
Rappresentazione schematica delle varie fasi di sperimentazione clinica delle opzioni terapeutiche per l’epatite C.<br />
7
il prossimo futuro. Qui di seguito citiamo quelle la cui sperimentazione<br />
è in fase più avanzata (Fusco et al., 2011), rimandando inoltre<br />
alla figura 3 la visualizzazione dei loro siti di attacco.<br />
Civacir: pool di immunoglobuline derivate dal plasma di soggetti anti<br />
HCV positivi teso ad inibire l’ingresso cellulare del virus, al pari degli<br />
inibitori della sintesi delle lipoproteine.<br />
Inibitori delle proteine NS5A e NS4B: la proteina NS5A è implicata<br />
nell’assemblaggio delle componenti capsidiche virali, mentre NS4B,<br />
favorisce la formazione di vescicole dalla membrana della cellula<br />
infetta essenziali per costituire il complesso di assemblaggio virale.<br />
Analoga funzione inibitoria sembra essere svolta da Inibitori di HMG<br />
CoA reduttasi, della ciclofillina, e dell’α-glucosidasi.<br />
Infine, gli Agonisti dei Toll like receptors potrebbero avere un ruolo<br />
nel potenziare la risposta immune nei confronti dell’HCV.<br />
Taribavirina (TBV). È un analogo della guanosina che è selettivamente<br />
captato dal fegato ed è rapidamente convertito a Ribavirina<br />
da una adenosina deaminasi. La presenza di un gruppo carbossamidico<br />
ne ostacola l’accumulo nei globuli rossi riducendo l’incidenza<br />
dell’anemia tipica invece della Ribavirina. Lo studio ViSER<br />
8<br />
C. Veropalumbo, P. Vajro<br />
Figura 3.<br />
Fasi replicative del virus dell’epatite C e possibili siti d’azione dei nuovi farmaci antivirali (modificato da Wyless et al. 2010).<br />
a. L’ingresso nella cellula può essere bloccato da anticorpi neutralizzanti.<br />
b. Il rilascio dell’RNA virale attiva pathways endogeni dell’interferone.<br />
c. L’RNA all’interno del ribosoma attiva l’immunità innata. L’ingresso è mediato dal sito di ingresso interno del ribosoma.<br />
d. Traduzione e processamento delle poliproteine richiedono proteasi NS3/NS4a e possono essere bloccati da inibitori delle proteasi (Boceprevir<br />
e Telaprevir, già in commercio negli USA).<br />
e. La trascrizione può essere inibita dal blocco della traduzione (inibitori delle proteasi), dall’inibizione del legame tra RNA e polimerasi e complesso<br />
replicativo (inibitori ciclofillina) inibitori di NS5A/B (inibitori polimerasi) e inibendo l’elicasi.(Taribavirina in avanzata sperimentazione clinica in<br />
USA).<br />
f. L’assemblaggio virale e la glicosilazione dell’envelope possono essere inibiti da celgosivir e inibitori di NS5A.<br />
appena concluso ha confrontato l’azione del Peg IFNα associato<br />
a RBV o TBV mostrando una minore capacità di indurre la SVR<br />
della terapia comprendente TBV, ma con il vantaggio di un numero<br />
nettamente inferiore di eventi emolitici propri della Ribavirina<br />
(Marcellin et al., 2010).<br />
Vaccino<br />
È un campo di ampio interesse. Il razionale è stimolare la risposta<br />
immune verso l’HCV. Ad oggi le difficoltà sono dettate principalmente<br />
ancora dalle regioni ipervariabili del genoma virale codificanti per<br />
componenti dell’involucro pericapsidico virale in grado di favorire la<br />
continua evasione del virus dalla risposta immune dell’ospite. Attualmente<br />
sono oggetto di studio:<br />
1. Vaccini preventivi in soggetti non infetti. Basano il loro razionale<br />
sulla stimolazione di una produzione anticorpale in grado di inibire<br />
l’ingresso cellulare e favorire l’eliminazione dell’HCV dopo il primo<br />
contatto (Torresi et al., 2011).<br />
2. Vaccini “terapeutici” in soggetti infetti, da soli o in associazione<br />
alla terapia antivirale, stimolerebbero una risposta immune al fine<br />
di accelerare il processo di siero conversione. Tra questi il GlobeIm-
terapia delle epatiti virali croniche <strong>2012</strong>: presente e futuro<br />
mune GI-5005 (costituito da Saccaromyces cerevisiae inattivato ed<br />
esprimente proteine virali verso cui viene stimolata la risposta anticorpale<br />
e cellulo mediata) e l’IC41 (vaccino peptidico sintetico che<br />
risulta in grado di indurre risposta specifica mediante secrezione di<br />
IFN gamma da parte di cellule T CD4+ e CD8+). Vaccini basati su<br />
Epitopi di NS3 ristretti per HLA-A2 utilizzano NS3 modificata per stimolare<br />
una risposta specifica T mediata.<br />
Infine, Vaccini costituiti dal gene NS 3/4a, la cui espressione viene<br />
posta sotto il controllo di un promotore di CMV, hanno mostrato<br />
risultati promettenti in associazione a IFN e ribavirina nell’indurre<br />
sieroconversione (Lapierre et al., 2011; Torresi et al., 2011).<br />
Conclusioni e prospettive per il futuro<br />
La gestione delle epatiti virali si presenta ancora ricca di problematiche<br />
sia per la scelta di se e quando intraprendere un trattamento<br />
farmacologico, sia per la scelta del farmaco da utilizzare, principalmente<br />
legate all’ancora incerta definizione dei fattori predittivi di<br />
risposta a terapie talora inefficaci.<br />
I nuovi farmaci antivirali utilizzati nell’epatite B, costituiti da analoghi<br />
nucleosidici e nucleotidici, sono caratterizzati da una minore<br />
farmaco-resistenza. Al momento l’Adefovir è adoperato in età<br />
pediatrica a partire dai 12 anni negli Stati Uniti, mentre in Italia<br />
può essere utilizzato solo dopo la transizione all’età adulta. Vaccini<br />
terapeutici continuano ad essere testati come possibile trattamen-<br />
Box di orientamento<br />
Figura 4.<br />
Previsione dei progressi terapeutici dell’Epatite<br />
Virale Cronica da HCV.<br />
to nei pazienti infetti da HBV, senza tuttavia mostrarsi fino ad ora<br />
efficaci.<br />
Nella terapia dell’epatite C nel bambino, la SOC therapy rimane ancora<br />
l’associazione duplice Peg IFN+Ribavirina. Le nuove prospettive<br />
terapeutiche – necessarie specie per i genotipi sfavorevoli 1<br />
e 4 – sinora disponibili nell’adulto, sono costituite da nuove forme<br />
coniugate di Interferone e dalla Taribavirina. L’utilizzo di algoritmi<br />
guidati dai polimorfismi dell’IL28B premetterà di modulare appropriatamente<br />
dosi e durata di SOC therapy nei soggetti con fattori<br />
predittivi sfavorevoli. Altre nuove stimolanti strategie terapeutiche<br />
– spesso da utilizzare in associazione con la SOC therapy – sono<br />
costituite dai farmaci attivi contro l’ingresso cellulare dell’HCV e<br />
contro le diverse fasi del ciclo replicativo virale. I risultati degli<br />
studi preliminari rendono fiduciosi che almeno alcuni di questi<br />
– dotati di maggiore efficacia e/o minori effetti collaterali – entrino<br />
rapidamente nell’uso comune. Cocktail di questi moderni farmaci<br />
orali di nuova generazione, che potranno forse funzionare<br />
senza l’associazione dell’IFN, ed eventualmente anche della RBV,<br />
con maggiore efficacia, minori effetti collaterali, minore durata del<br />
trattamento, minore farmaco resistenza, sono attesi nel prossimo<br />
futuro (Fig. 4).<br />
Il ruolo di vaccini contro l’HCV, sia in ambito preventivo che come<br />
strategia terapeutica in soggetti infetti, è uno dei campi di maggiore<br />
interesse. I risultati preliminari sulla popolazione adulta non forniscono<br />
ancora, tuttavia, prove concrete di efficacia.<br />
Cosa si sapeva prima:<br />
Le epatiti virali costituiscono una problematica di rilievo in considerazione della crescita delle adozioni internazionali e della popolazione immigrata non<br />
vaccinata contro l’epatite B o infetta, e dell’assenza di un vaccino efficace per l’epatite C. La scelta di intraprendere il trattamento in età pediatrica è<br />
ancora discussa, in considerazione dell’evoluzione spesso non severa dei pazienti affetti da epatite C, e della elevata percentuale di pazienti affetti da<br />
epatite B che sieroconvertono spontaneamente. I farmaci attualmente utilizzati nel bambino sono pochi, non privi di effetti collaterali e responsabili di<br />
farmaco resistenza in un numero non trascurabile di pazienti.<br />
Cosa sappiamo adesso:<br />
La scelta della terapia farmacologica potrà essere determinata – specie per l’epatite C – non solo dal genotipo virale e dalle caratteristiche laboratoristico/cliniche/<br />
istologiche del paziente. Nuovi polimorfismi genici recentemente associati alla risposta alla terapia dei pazienti affetti da epatite C possono<br />
infatti guidare nell’adulto una scelta terapeutica individualizzata. Inoltre nuovi farmaci, il cui meccanismo d’azione è basato sulla inibizione delle diverse<br />
fasi replicative virali, sono attualmente studiati su popolazione adulta e auspicabilmente potranno essere testati anche nel bambino.<br />
9
Box di orientamento (segue)<br />
Bibliografia<br />
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and young adults with chronic hepatitis B. Int J Infect Dis 2010;14:e236-9.<br />
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viene fatto esplicito riferimento alla gestione dell’infezione pediatrica.<br />
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**Fornisce i dati più importanti relativi ai farmaci adoperati per il trattamento<br />
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Bortolotti F, Jara P, Barbera C, et al. Long term effect of alpha interferon in children<br />
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Bortolotti F, Verucchi G, Cammà C, et al. Italian Observatory for HCV Infection and<br />
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Carosi G, Rizzetto M, Alberti A. Treatment of chronic hepatitis B: update of the recommendations<br />
from the 2007 Italian workshop. Dig Liv Dis 2011;43:259-65.<br />
* Linee guida di gestione dell’infezione da HBV nella popolazione generale. Non<br />
viene fatto esplicito riferimento alla gestione dell’infezione pediatrica.<br />
Cavenaugh JS, Awi D, Mendy M, et al. Partially randomized, non-blinded trial of<br />
DNA and MVA therapeutic vaccines based on hepatitis B virus surface protein for<br />
chronic HBV infection. PLoS One 2011 Feb 15;6:e14626.<br />
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EASL, European association for the study of the liver. EASL clinical practice<br />
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Fusco DN, Chung RT. Novel Therapies for Hepatitis C: Insights from the Structure<br />
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**Review sui più recenti farmaci approvati ed in sperimentazione clinica per il<br />
trattamento dell’epatite C.<br />
Ge D, Fellay J, Thompson AJ, et al. Genetic variation in IL28B predicts hepatitis C<br />
treatment-induced viral clearance. Nature 2009;461:399-401.<br />
**Fornisce evidenze sul ruolo predittivo di risposta alla terapia del polimorfismo<br />
del gene della IL28B nell’adulto.<br />
Ghany MG, Nelson DR, Strader DB, et al. An Update on Treatment of Genotype<br />
1 Chronic Hepatitis C Virus Infection: 2011 Practice Guideline by the American<br />
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Giacchino R, Cappelli B. Treatment of viral hepatitis B in children. Expert Opin<br />
Pharmacother 2010;11:889-903.<br />
**Fornisce una rivisitazione sistematica della letteratura disponibile sul trattamento<br />
dell’epatite B in età pediatrica con un commento pratico finale.<br />
Hoofnagle JH, Doo E, Liang TJ, et al. Management of hepatitis B: summary of a<br />
clinical research workshop. Hepatology 2007;45:1056-75.<br />
Hu J, Doucette K, Hartling L, et al. Treatment of hepatitis C in children: a systematic<br />
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Indolfi G, Sambrotta M, Moriondo M, et al. Genetic variation in interleukin-28B<br />
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Iorio R, Giannattasio A, Cirillo F, et al. Long-term outcome in children with chronic<br />
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Jonas MM, Block JM, Haber BA. Treatment of children with chronic Hepatits B<br />
Virus Infection in United States: patient selection and therapeutic options. Hepatology.<br />
2010;52:2192-205.<br />
**Fornisce uno schema pratico per la selezione dei pazienti pediatrici da trattare<br />
riassumendo le principali evenienze delle pratica clinica.<br />
Jonas MM, Kelly D, Pollack H, et al. Safety, efficacy, and pharmacokinetics of<br />
10<br />
C. Veropalumbo, P. Vajro<br />
Quali ricadute sulla pratica clinica:<br />
Le problematiche di resistenza e di efficacia potrebbero essere superate da nuove strategie terapeutiche, attualmente sperimentate nella popolazione<br />
adulta, sia per l’epatite B che per l’epatite C. Resta ancora controverso e comunque privo di evidenze un vantaggio da parte dei vaccini terapeutici nei<br />
confronti delle terapie tradizionali.<br />
adefovir dipivoxil in children and adolescents (age 2 to
terapia delle epatiti virali croniche <strong>2012</strong>: presente e futuro<br />
of active viral replication in children with chronic hepatitis B infection. Pediatr<br />
Infect Dis J 1996;15:223-31.<br />
* Definisce il ruolo del priming con prednisone in pazienti affetti da epatite cronica<br />
B, risultato non più efficace del solo interferone alpha 2b nell’indurre siero<br />
conversione. Accelerazione della siero conversione e-anti e.<br />
Ward JW, Lok AS, Thomas DL, et al. Report on a single topic conference on<br />
“chronic viral hepatitis – strategies to improve effectiveness of screening and<br />
treatment”. Hepatology <strong>2012</strong>;55:307-15.<br />
Corrispondenza<br />
Wirth S, Kelly D, Sokal E, et al. Guidance for clinical trials for children and adolescents<br />
with chronic hepatitis C. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2011;52:233-7.<br />
** Fornisce informazioni relative alla selezione dei pazienti pediatrici da trattare e alla<br />
tipologia dei farmaci attualmente adottati, proponendo nuove frontiere di ricerca.<br />
Wyles DL. Moving beyond interferon alfa: investigational drugs for hepatitis C<br />
virus infection. Top HIV Med 2010;18:132-6.<br />
** Mette in relazione il meccanismo d’azione dei nuovi potenziali farmaci per il<br />
trattamento dell’epatite C con le fasi replicative dell’HCV.<br />
Pietro Vajro, Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Salerno, via Allende, 84081 Baronissi (SA). Tel. *39 089 672409. E-mail: pvajro@unisa.it<br />
11
Aprile-Giugno <strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> 2011 <strong>2012</strong> <strong>•</strong> <strong>•</strong> <strong>Vol</strong>. <strong>Vol</strong>. 41 <strong>42</strong> <strong>•</strong> <strong>•</strong> N. N. 162 <strong>165</strong> <strong>•</strong> <strong>•</strong> Pp. pp. xx-xx 12-20<br />
NEFRoLoGIA EPAtoLoGIA<br />
Malattia di Wilson:<br />
ancora una sfida diagnostica<br />
Giusy Ranucci * , Antonietta Zappu ** , Maria Barbara Lepori ** , Raffaele Iorio * e Georgios<br />
Loudianos **<br />
*Dipartimento di Pediatria, Università di Napoli Federico II; ** Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologie,<br />
Università di Cagliari<br />
Riassunto<br />
La malattia di Wilson (MW) è un disordine autosomico recessivo, caratterizzato da una difettosa escrezione del rame a livello epatico, dovuta alla presenza<br />
di mutazioni, in omozigosi o eterozigosi composta, del gene ATP7B, localizzato sul cromosoma 13. In conseguenza dell’accumulo di rame, la sintomatologia<br />
clinica si evidenzia principalmente a carico di fegato, sistema nervoso centrale e occhio. La maggior parte dei pazienti in età pediatrica presenta<br />
un’epatopatia all’esordio, mentre i sintomi neurologici e psichiatrici predominano nell’età adolescenziale ed adulta. Le manifestazioni epatiche variano<br />
da forme pauci/asintomatiche con ipertransaminasemia e/o epatomegalia esclusive, a quadri di epatopatia cronica cirrogena o di epatite fulminante. Le<br />
manifestazioni neuropsichiatriche sono molteplici e talora, per la loro aspecificità, possono essere erroneamente interpretate. Esse includono alterazioni<br />
dell’umore, deterioramento delle prestazioni scolastiche, deficit di coordinazione dei movimenti, disturbi della scrittura. Se la MW non viene riconosciuta e<br />
adeguatamente trattata, la progressione del danno può essere rapida ed inesorabile. Sfortunatamente la diagnosi di MW è molto impegnativa, nonostante<br />
i progressi in ambito biochimico e molecolare. Tutti i pazienti con MW, anche quelli in fase pre-sintomatica, devono essere avviati al trattamento farmacologico.<br />
Le principali opzioni terapeutiche sono la D- penicillamina, la trientina e lo zinco che agiscono con diversi meccanismi. Nessuno di tali farmaci è<br />
scevro da effetti collaterali. L’educazione del paziente, l’aderenza alla terapia e la diagnosi precoce dei possibili effetti collaterali dei farmaci sono i punti<br />
cardine per ottenere un successo terapeutico. Nell’articolo saranno discussi i principali problemi dell’approccio diagnostico.<br />
Summary<br />
Wilson disease (WD) is an autosomal recessive inherited disorder of copper excretion, caused by two disease-causing mutations or homozygosity for a single<br />
disease-causing mutation of the ATP7B gene, located on chromosome 13. The accumulation of copper results in symptoms involving particularly liver,<br />
brain and eye. Most of pediatric WD patients present with liver disease, whereas neuropsychiatric symptoms are more common in young adults. The hepatic<br />
clinical presentation ranges widely from asymptomatic hypertransaminasemia and/or hepatomegaly to cirrhosis and acute liver failure (ALF). The clinical<br />
neuropsychiatric symptoms are multiple and for their aspecificity sometimes misinterpreted. They include sudden behavioral changes, worsening in school<br />
performances, inability to carry out activities that need hand-eye coordination and modification in handwriting. If WD is not recognized and adequately<br />
treated, the progression of hepatic and neurologic damage can be very rapid. Therefore the prompt detection of this condition is vital. Unfortunately, the<br />
diagnosis of WD is an especially challenging task in spite of advances in biochemical and molecular knowledges. The first essential step in making the<br />
diagnosis is to think of it. All WD patients, also pre-symptomatic ones, need treatment. The currently available drugs are D-penicillamine, trientine and zinc,<br />
that act with different mechanisms. None of the available drugs is side-effect-free. The patient education, adherence to therapy and early detection of possible<br />
side effects of drugs are the cornerstones for a successful treatment. The critical issues related to the diagnostic approach of WD will be discussed.<br />
Introduzione<br />
La Malattia di Wilson (MW), descritta per la prima volta nel 1912<br />
dal neurologo Americano Kinnear Wilson come “degenerazione<br />
progressiva epatolenticolare”, è un disordine genetico, trasmesso<br />
con modalità autosomica recessiva (Wilson S.A.K, 1912). La<br />
MW colpisce da 1 su 30.000 a 1 su 100.000 individui (Ala et al.,<br />
2007).<br />
Il gene responsabile della malattia codifica per una proteina di<br />
membrana (ATP7B), espressa primariamente nel fegato, il cui ruolo<br />
è quello di regolare il trasporto del rame (Tanzi et al., 1993).<br />
Mutazioni di questo gene causano un deficit di escrezione di rame<br />
nella bile e una sua difettosa incorporazione nella ceruloplasmina.<br />
La compromissione della normale escrezione del rame epatico dà<br />
luogo ad un accumulo di tale metallo primariamente nel fegato,<br />
dove può causare epatite e cirrosi. Successivamente, il rame viene<br />
rilasciato nel sangue e si deposita in altri organi, in particolare nel<br />
cervello, nella cornea e nei tubuli renali.<br />
12<br />
Il fenotipo della MW è molto variabile, dipendendo da molteplici fattori<br />
tra cui l’età e il genotipo. In età pediatrica la MW si manifesta<br />
spesso con un quadro di epatopatia. A prescindere dall’età i segni<br />
clinici sono frequentemente non specifici, con l’eccezione dell’anello<br />
di Kayser-Fleischer che peraltro è di rara osservazione in età pediatrica.<br />
L’eterogeneità dell’espressività clinica e laboratoristica della MW<br />
spiegano perché la diagnosi sia molto impegnativa in età pediatrica<br />
se non si mantiene alto l’indice di sospetto. Qualora non riconosciuta<br />
e opportunamente trattata, la MW può essere una potenziale causa<br />
di insufficienza epatica acuta con necessità di epatotrapianto in taluni<br />
casi (Roberts et al., 2008).<br />
Il successo terapeutico ottenuto utilizzando chelanti orali del rame e<br />
sali di zinco rende la MW una delle epatopatie metaboliche curabili.<br />
Quando adeguatamente trattata la MW ha una prognosi eccellente,<br />
con una curva di sopravvivenza che coincide con quella della popolazione<br />
generale (Bruha et al., 2010). Il trattamento della MW deve
Malattia di Wilson: ancora una sfida diagnostica<br />
Figura 1.<br />
Meccanismi che regolano il metabolismo del rame nell’epatocita e ruolo dell’ATP7B. Il rame viene transportato all’interno dell’epatocita dalla<br />
proteina di membrana CTR1. In seguito viene legato dal metallochaperone ATOX1 e viene transportato nella via secretoria mediante la proteina<br />
ATP7B.<br />
In condizione di normale concentrazione del rame intracellulare, l’ATP7B è localizzata nella regione trans-Golgi e determina il trasporto del rame<br />
all’interno delle cisterne dove viene incorporato nell’apoceruloplasmina, che diventa ceruloplasmina (Sezione A).<br />
In condizioni di eccesso del rame intracellulare, l’ATP7B viene trasferita in forma vescicolare al polo canalicolare dell’epatocita, dove determina<br />
l’eliminazione del rame in eccesso (Sezione B). Quando la concentrazione del rame all’interno della cellula si abbassa la proteina ATP7B ritorna<br />
nella regione trans-Golgi.<br />
Nella Malattia di Wilson a seconda del tipo di mutazione si può avere: difettosa sintesi dell’ATP7B, difettosa modifica post-trascrizionale dell’ATP7B,<br />
difettosa localizzazione dell’ATP7B nell’epatocita, difettosa funzione dell’ATP7B nel trasporto del rame, difettosa interazione proteina-proteina<br />
(ATP7B ed ATOX1).<br />
CTR1: Copper Transporter 1, ATOX1: ATX1 antioxidant protein 1 homolog (yeast), TGN: Trans-Golgi network, Cu:rame<br />
però essere proseguito per tutta la vita; infatti alla sospensione prolungata<br />
della terapia farmacologica segue inevitabilmente la morte<br />
per insufficienza epatica acuta.<br />
Patogenesi<br />
In condizioni fisiologiche il rame alimentare viene assorbito attraverso<br />
lo stomaco ed il duodeno ed arriva al fegato attraverso la vena porta,<br />
qui viene utilizzato per la sintesi di vari enzimi come costituente della<br />
molecola, mentre l’eccesso viene eliminato attraverso le vie biliari (Tapiero<br />
et al., 2003). Il fegato ha un ruolo fondamentale nel metabolismo<br />
del rame perché costituisce il sito di conservazione di questo metallo<br />
e, in condizioni di eccesso, la via principale per la sua eliminazione<br />
attraverso le vie biliari. Ogni giorno viene eliminata con la bile una<br />
quantità di rame equivalente a quella assorbita, che ammonta a circa<br />
2-4 g al giorno (Tapiero et al., 2003). Il ruolo essenziale del fegato<br />
nell’omeostasi del rame é dimostrato dalla normalizzazione della sua<br />
omeostasi in pazienti con MW sottoposti ad epatotrapianto.<br />
L’ingresso del rame negli epatociti avviene attraverso la membrana<br />
basolaterale ad opera di una proteina di membrana chiamata Ctr1.<br />
Dopo l’ingresso, il rame viene immediatamente legato da diverse<br />
proteine, i metallochaperoni, e viene trasportato in diversi siti per<br />
il suo utilizzo (Tapiero et al., 2003). Quindi in condizioni fisiologiche<br />
la quantità di rame libero nel fegato é molto esigua. Tra i chaperoni,<br />
l’Atox1 attraverso l’interazione con la proteina ATP7B é essenziale<br />
per il trasporto del rame nella via secretoria (Fig. 1).<br />
Il gene che codifica per la proteina ATP7B é localizzato sul cromosoma<br />
13q14-21, è costituito da 21 esoni e si estende in una regione<br />
genomica di circa 100kb. Esprime un RNA di 7.5 Kb soprattutto nel<br />
fegato, placenta, rene, ma anche nel cervello dove svolge un ruolo<br />
chiave nella regolazione della omeostasi del rame. La proteina che<br />
codifica, l’ATP7B, appartiene alla famiglia dei trasportatori di metalli<br />
pesanti attraverso le membrane che utilizzano l’energia liberata<br />
dall’idrolisi del fosfato terminale dell’ATP, e quindi vengono nominate<br />
P-type ATPasi (Bull et al., 1993; Tanzi et al., 1993; Petrukhin et al.,<br />
1994; Fig. 2).<br />
La proteina ATP7B è localizzata nella regione trans-Golgi dove agisce<br />
portando il rame nella via secretoria per la sua incorporazione nell’apoceruloplasmina<br />
che così diventa la forma matura e funzionante della<br />
ceruloplasmina (Lutsenko et al., 2002). In condizioni di aumento della<br />
concentrazione del rame intracellulare avviene una migrazione della<br />
proteina di Wilson in una regione citoplasmatica vicina alla membrana<br />
canalicolare, che poi ricicla di nuovo nella regione trans-Golgi quando<br />
la concentrazione intracellulare del rame torna ad essere normale<br />
13
Figura 2.<br />
Modello topologico proposto per la localizzazione della proteina ATP7B<br />
nella regione trans-Golgi. Si distinguono 8 regione transmembra e diversi<br />
domini funzionali: MTCQSC: domini di legame del rame, ITGEA:<br />
dominio di transduzione, CPC: sito di legame del rame prima del ingresso<br />
nel canale degli ioni, TGTKD: dominio di fosforilazione, SEHPL: dominio<br />
altamente conservato sede della mutazione più comune p.H1069Q,<br />
(l’asterisco indica la posizione della mutazione). GDGVND: regione cerniera<br />
che connette jl dominio di legame dell’ATP con la regione transamembrana<br />
7.<br />
(Lutsenko et al., 2002). Nonostante sia ancora poco chiaro, si pensa<br />
che la migrazione della ATP7B costituisca il meccanismo per l’eliminazione<br />
del rame in condizioni di eccesso. Quindi tutte quelle condizioni<br />
che portano ad un difetto di sintesi della proteina di Wilson, della sua<br />
corretta localizzazione nella regione trans-Golgi e della sua capacità di<br />
trafficare in condizione di eccesso intracellulare di rame, si traducono<br />
da una parte in una diminuzione della sintesi della ceruloplasmina,<br />
dall’altra parte in un accumulo di rame nella cellula con danno cellulare<br />
e conseguente rilascio del rame nel circolo che va a depositarsi e<br />
a danneggiare altri organi soprattutto il cervello.<br />
14<br />
Aspetti clinici della MW<br />
Tabella I.<br />
Modalità di presentazione della MW (da Ala et al., 2007; Roberts et al., 2008, modificato).<br />
Epatica Ipertransaminasemia<br />
Epatomegalia<br />
Fegato brillante all’esame ecografico<br />
Epatite acuta<br />
Epatite cronica<br />
Insufficienza epatica con o senza encefalopatia, con o<br />
senza emolisi associata<br />
Cirrosi<br />
Ipertensione portale e sue complicanze<br />
Neurologica Incoordinazione<br />
Disartria, salivazione eccessiva<br />
Facies amimica<br />
Tremore a riposo e intenzionale<br />
Paralisi pseudobulbare<br />
Sincope<br />
Emicrania<br />
Disautonomia<br />
Rigidità distonica<br />
Disfagia<br />
Deterioramento della scrittura: microscrittura<br />
G. Ranucci et al.<br />
Sebbene l’alterata escrezione biliare del rame sia presente sin dalla<br />
nascita, i sintomi generalmente non si manifestano sino ai 3 anni, e<br />
raramente diventano evidenti prima dei 5 anni (Roberts et al., 2008).<br />
I possibili segni e sintomi associati alla MW sono mostrati nella<br />
Tab. I. Le principali presentazioni cliniche sono quella epatica e quella<br />
neuropsichiatrica. Analizzando i dati scaturiti dalla combinazione<br />
delle più ampie casistiche di pazienti con MW descritte in letteratura<br />
(O’ Connor et al., 2007), risulta che la maggior parte dei pazienti in<br />
età pediatrica si presenta con un quadro di malattia epatica, mentre<br />
i sintomi neuropsichiatrici sono più comuni nella tarda adolescenza<br />
e nel giovane adulto e ricorrono solo nel 4-6% dei pazienti pediatrici<br />
con esordio epatico (Iorio et al., 2004; Muller et al., 2007). Paragonando<br />
la percentuale dei pazienti con MW con esordio epatico rispetto<br />
a quelli con esordio neurologico, essa risulta rispettivamente<br />
dell’83% vs 17% prima dei 10 anni, 52% vs 48% tra i 10 e i 18 anni,<br />
24% vs 75% dopo i 18 anni (O’ Connor et al., 2007).<br />
Nel bambino l’epatopatia può manifestarsi con molteplici quadri:<br />
ipertransaminasemia asintomatica, epatomegalia isolata con<br />
eventuale presenza di steatosi all’esame ecografico, epatite acuta<br />
itterica tipo epatite virale acuta, epatite fulminante, epatopatia<br />
cronica cirrogena con variabile grado di insufficienza epatocellulare<br />
ed eventuali segni di ipertensione portale e sue complicanze. In età<br />
pediatrica, la percentuale dei bambini con MW diagnosticata in seguito<br />
al riscontro occasionale di ipertransaminasemia varia dal 14%<br />
all’88%, a seconda delle aree geografiche (Nicastro et al., 2010;<br />
Dhawan et al., 2005; Iorio et al., 2004; Sanchez et al., 1999). In Italia<br />
è particolarmente alta la percentuale dei casi di MW riferiti per ipertransaminasemia<br />
isolata in conseguenza dell’estensiva valutazione<br />
delle transaminasi nel contesto di check-up anche in assenza di<br />
specifiche indicazioni (Iorio et al., 2004).<br />
Le manifestazioni neurologiche si presentano tipicamente durante<br />
l’adolescenza o nella terza decade di vita (Ala et al., 2008). I quadri<br />
di presentazione neurologici sono stati classificati in tre sottogruppi:<br />
sindrome acinetica-rigida simile alla malattia di Parkinson, caratterizzata<br />
da bradicinesia, alterazioni cognitive, disturbi dell’umore;<br />
pseudosclerosi caratterizzata da atassia e tremori con lesioni focali<br />
Psichiatrica Disturbi della personalità<br />
Disturbi del linguaggio<br />
Disturbi dell’umore (depressione e psicosi)<br />
Riduzione delle prestazioni scolastiche<br />
Ematologica Anemia emolitica Coombs-negativa<br />
Renale Nefrolitiasi<br />
Tubulopatia<br />
Oculare Anello di Kayser-Fleischer<br />
Cataratta “sunflower”<br />
Perdita dell’accomodazione<br />
Scheletrica Osteoporosi precoce<br />
Artropatia<br />
Miscellanea Pancreatite<br />
Ipoparatiroidismo<br />
Cardiomiopatia, disaritmie<br />
Cutaneo: lunulae ceruleae<br />
Oligomenorrea; infertilità; aborti ricorrenti
Malattia di Wilson: ancora una sfida diagnostica<br />
del talamo; sindrome distonica presente in pazienti con discinesia,<br />
disartria, e disturbi della personalità che correla con lesioni focali nel<br />
putamen e nel globo pallido. Nei pazienti pediatrici generalmente le<br />
manifestazioni neurologiche e/o psichiatriche precoci sono subdole:<br />
cambiamenti di personalità, alterazioni dell’umore (depressione,<br />
psicosi), deterioramento del rendimento scolastico, incapacità di<br />
compiere attività che richiedono buona coordinazione mano-occhio<br />
ed alterazioni della scrittura come la micrografia.<br />
Le manifestazioni oculari della MW includono la presenza dell’anello<br />
di Kayser-Fleischer (KF), dovuto alla deposizione di rame in corrispondenza<br />
della membrana di Descemet alla periferia della super-<br />
ficie posteriore della cornea. L’anello di Kayser-Fleischer è frequentemente<br />
osservato in caso di esordio neurologico. La sua presenza<br />
anche se ritenuta suggestiva, non è completamente specifica della<br />
MW, poiché può esser presente anche in pazienti con epatopatia<br />
colestatica cronica. Inoltre nei bambini con MW ad esordio epatico,<br />
l’anello di Kayser-Fleischer è generalmente assente (Nicastro et al.,<br />
2010). D’altra parte, l’assenza dell’anello di Kayser-Fleischer non<br />
esclude la diagnosi di MW, anche in pazienti con malattia prevalentemente<br />
neurologica (Roberts et al., 2008).<br />
I pazienti con MW possono presentarsi con importanti manifestazioni<br />
extraepatiche diverse da quelle neurologiche o psichiatriche. Tra<br />
Tabella II.<br />
Score diagnostico per la malattia di Wilson (da Ferenci et al., 2003 modificato).<br />
Sistema a punti per la diagnosi della Malattia di Wilson<br />
Punti<br />
SINTOMI<br />
Anelli di Kayser-Fleischer<br />
Presenti 2<br />
Assenti 0<br />
Coinvolgimento neurologico (o pattern tipico alla RMN dell’encefalo)<br />
Severo 2<br />
Moderato 1<br />
Assente 0<br />
Anemia emolitica Coombs-negativa<br />
Presente 1<br />
Assente 0<br />
ESAMI DI LABORATORIO<br />
Cupruria (in assenza di epatite acuta)<br />
Normale (< 40 μg/24 h) 0<br />
1-2xULN* 1<br />
> 2xULN 2<br />
Normale, ma > 5xULN dopo carico di penicillamina 2<br />
Determinazione quantitativa del rame epatico (in assenza di colestasi)<br />
Normale (< 50 μg/g t.s.) -1<br />
< 5xULN (50-250 μg/g t.s.) 1<br />
> 5xULN (> 250 μg/g t.s.) 2<br />
Determinazione del rame epatico con rodanina<br />
Epatociti positivi alla rodanina presenti 1<br />
Epatociti positivi alla rodanina assenti 0<br />
Ceruloplasmina sierica<br />
Normale 0<br />
10-20 mg/dl 1<br />
queste ricordiamo le manifestazioni ematologiche che vanno dall’<br />
anemia emolitica acuta Coombs-negativa all’emolisi di basso grado<br />
che può associarsi con la MW quando l’epatopatia non è clinicamente<br />
evidente. Altre manifestazioni comprendono alterazioni della funzione<br />
tubulare renale (aminoaciduria, proteinuria, uricosuria, ipercalciuria,<br />
iperfosfaturia, glicosuria, difettosa acidificazione urinaria,<br />
sindrome di Fanconi); alterazioni scheletriche (artrite, rachitismo,<br />
osteoporosi); alterazioni dermatologiche (iperpigmentazione della<br />
cute, acanthosis nigricans); disturbi endocrini (ipoparatiroidismo,<br />
infertilità, aborti spontanei ripetuti); cardiomiopatia; pancreatite.<br />
Aspetti diagnostici della MW<br />
La diagnosi precoce della MW è di fondamentale importanza ai fini<br />
della prognosi. Infatti, il trattamento, se iniziato precocemente, impedisce<br />
l’insorgenza di lesioni gravi ed irreversibili legate all’accumulo<br />
di rame.<br />
Una corretta diagnosi è impegnativa in età pediatrica, considerato<br />
che i criteri convenzionali validi per l’età adulta non sempre sono<br />
applicabili ai bambini (Nicastro et al., 2010; Iorio et al., 2000). L’eterogeneità<br />
dell’espressività clinica e laboratoristica della MW spiega<br />
perché per formulare la diagnosi di MW in età pediatrica sia importante<br />
mantenere alto l’indice di sospetto.<br />
Infatti non esistono singoli elementi clinici e/o laboratoristici che<br />
consentono una diagnosi certa di MW. Nel 2003 è stato proposto uno<br />
score diagnostico per la MW, che include criteri clinici, biochimici,<br />
istologici e molecolari (Ferenci et al., 2003). In tabella II è illustrato<br />
lo scoring system con il corrispondente cut-off diagnostico per ogni<br />
criterio validato nella popolazione pediatrica. Il suo punteggio totale<br />
indica la possibilità che il paziente sia affetto dalla MW: la diagnosi è<br />
altamente probabile quando lo score è maggiore o uguale a 4, probabile<br />
quando compreso tra 2 e 3, improbabile quando inferiore a 2.<br />
Questo score è stato validato nella popolazione pediatrica (Dhawan<br />
et al., 2005; Nicastro et al., 2010). In tabella III sono illustrati i test<br />
diagnostici utilizzati per la MW con i valori ritenuti orientativi per la<br />
diagnosi ed i principali motivi di falsa positività e negatività.<br />
Un test di primo livello è rappresentato dal dosaggio della ceruloplasmina<br />
sierica. Essa è ridotta nei pazienti con MW a causa dell’altera-<br />
16<br />
G. Ranucci et al.<br />
ta biosintesi e della breve emivita dell’apoceruloplasmina (De Bie et<br />
al., 2005). Sono considerati diagnostici di MW valori di ceruloplasmina<br />
inferiori a 20 mg/dL (Ala et al., 2007). Poiché la ceruloplasmina è<br />
una proteina della fase acuta, essa si eleva in situazioni flogistiche<br />
epatiche e non; per cui nei casi di MW con epatite cronica istologicamente<br />
attiva, la ceruloplasmina può essere inizialmente nel range<br />
della norma. In tali casi la ceruloplasminemia può scendere sotto i<br />
20 mg/dl solo dopo l’opportuno trattamento farmacologico della MW.<br />
Inoltre è ben noto che esiste un sottogruppo di pazienti con MW (fino<br />
al 20%) che presenta valori di ceruloplasmina normali (Roberts et<br />
al., 2008; Iorio et al., 2004). Questo in parte può esser spiegato dalla<br />
presenza di mutazioni che non alterano la biosintesi della ceruloplasmina<br />
(Gromadzka et al., 2005). Al contrario, l’ipoceruloplasminemia<br />
non sempre è indicativa di MW, potendosi riscontrare sia in pazienti<br />
eterozigoti per MW che in pazienti con altri disordini (Nicastro et<br />
al., 2009; Ala et al., 2007). In particolare, bassi livelli di ceruloplasmina<br />
sono stati osservati in pazienti con insufficienza epatica di<br />
diversa origine, nella malattia di Menkes, nella malnutrizione, nella<br />
sindrome nefrosica, nell’enteropatia protido-disperdente, nell’apoceruloplasminemia<br />
ereditaria (Hellman et al., 2002). Recentemente<br />
è stato riportato che anche pazienti con il deficit congenito della<br />
glicosilazione (CDG) possono presentare bassi livelli sierici di ceruloplasmina<br />
(Nicastro et al., 2009; Calvo et al., 2008; Mandato et al.,<br />
2006). Mak et al. hanno proposto come cut-off diagnostico per la<br />
ceruloplasmina quello di 14 mg/dl (Mak et al., 2008). Tuttavia è stato<br />
recentemente documentato che in età pediatrica la migliore soglia<br />
diagnostica della ceruloplasmina resta quella di 20 mg/dl (Nicastro<br />
et al., 2010).<br />
La cupruria basale delle 24 ore è un altro parametro utile per la<br />
diagnosi di MW. È importante che la raccolta delle 24 ore venga<br />
effettuata in maniera accurata, in un contenitore di plastica non<br />
contaminato e con l’aggiunta di 2-3 ml di acido cloridrico al 5%. Il<br />
rame urinario riflette la quota del rame libero (non legato alla ceruloplasmina)<br />
circolante nel siero. Secondo Brewer, nei pazienti adulti<br />
sintomatici la cupruria delle 24 ore è sistematicamente superiore a<br />
100 µg/die, valore considerato il limite convenzionale diagnostico<br />
(Brewer et al., 1992). Comunque, è da notare che in molte casistiche<br />
pediatriche una percentuale variabile dei bambini presenta livelli di<br />
Tabella III.<br />
Criteri diagnostici per la diagnosi di Malattia di Wilson in età pediatrica (da O’Connor and Sokol, 2007, modificato)<br />
Test diagnostico Valori diagnostici Cause di falsa positività Cause di falsa negatività<br />
Ceruloplasmina sierica < 20 mg/dl Deficit congenito della glicosilazione, epatite<br />
fulminante, deficit nutrizionale di rame,<br />
protidodispersione, ipoceruloplasminemia<br />
ereditaria, eterozigote per la MW, malattia di<br />
Menkes<br />
Rame epatico > 250 μg/g tessuto secco Epatopatie croniche colestatiche, deficit<br />
congenito della glicosilazione, tumori epatici,<br />
sindrome nefrosica<br />
Cupruria basale delle 24 h > 40 μg/24 h Terapia con chelante del rame, epatite cronica<br />
attiva, epatopatie colestatiche croniche,<br />
insufficienza epatica, epatite autoimmune,<br />
inadeguato campionamento delle urine<br />
Cupruria dopo carico di<br />
penicillamina delle 24 h<br />
Presenza dell’anello di Kayser-<br />
Fleischer<br />
> 1600 μg/24 h Epatopatia cronica colestatica, iperplasia<br />
nodulare rigenerativa, epatite autoimmune,<br />
inadeguato campionamento delle urine<br />
Epatite acuta (infiammazione),<br />
terapia estrogenica, gravidanza<br />
Errore di campionamento<br />
Pazienti con MW presintomatici,<br />
inadeguato campionamento<br />
Pazienti con MW presintomatici,<br />
inadeguato campionamento<br />
Presente Epatopatia cronica colestatica MW in stadio precoce
Malattia di Wilson: ancora una sfida diagnostica<br />
cupruria inferiori a tale cut-off (Muller et al., 2007; Nicastro et al.,<br />
2010). Nei bambini con MW, la cupruria basale sembra essere direttamente<br />
correlata con l’età alla diagnosi, suggerendo un accumulo<br />
progressivo del metallo con il tempo (Nicastro et al., 2009). In accordo<br />
con tale dato, è stato recentemente dimostrato che la diagnosi<br />
di MW in età pediatrica deve esser presa in considerazione quando<br />
i livelli di cupruria sono maggiori di 40 mg/24h. Questa è la soglia<br />
ottimale sia per il test singolo che per il test utilizzato nel contesto<br />
dello scoring system (Nicastro et al., 2010, Roberts et al., 2008).<br />
La determinazione della cupruria delle 24 ore dopo carico di penicillamina,<br />
somministrata alla dose di 500 mg due volte al dì (all’inizio<br />
della raccolta e dopo 12 ore), è stata suggerita nei soggetti con livelli<br />
di cupruria basale inferiori a 100 mg/24h (Roberts et al., 2008). Livelli<br />
superiori a 1600 µg/die sono ritenuti orientativi di MW (Roberts<br />
et al., 2008). Tuttavia una recente rivalutazione del test da carico di<br />
penicillamina in età pediatrica ha documentato con forte evidenza<br />
che il test non andrebbe praticato in bambini senza un’epatopatia<br />
sintomatica, considerato che solo pazienti con un danno epatico severo<br />
legato alla MW hanno un test da carico positivo (Nicastro et al.,<br />
2010). Nell’ambito dello scoring system di Ferenci si considerano<br />
diagnostici di MW livelli di cupruria dopo carico superiori a cinque<br />
volte il limite superiore della norma della cupruria basale. Tale limite<br />
è fissato da alcuni a 100 mg/24 h da altri a 40 mg/24 h (Ferenci,<br />
2003). È stato recentemente dimostrato che riducendo il cut-off diagnostico<br />
della cupruria dopo carico di penicillamina a valori di 500 o<br />
200 mg/24h, rispetto al valore classico di 1600 mg/24h, l’accuratezza<br />
del test non migliora (Nicastro et al., 2010).<br />
La determinazione quantitativa del rame epatico rimane il gold<br />
standard per la diagnosi di MW. Il frustolo epatico per la determinazione<br />
del rame deve essere conservato in provetta senza<br />
additivi (per evitare la contaminazione con rame esogeno). Una<br />
concentrazione di rame a livello epatico superiore a 250 µg/g di<br />
peso secco (v. n.
Tabella IV.<br />
Le mutazioni più frequenti identificate nella popolazione italiana*<br />
Mutazione N° Cr. Esone Dominio %<br />
p.H1069Q 85 14 SEHPL 14.8<br />
c.2532delA 28 10 Tm4 4.9<br />
p.R1319X 24 19 Tm8 4.2<br />
p. G591D 24 5 Cu5 4.2<br />
p.R969Q 22 13 Tm6 3.8<br />
c.2304-2305insC 20 8 Tm4 3.5<br />
p.G626A 11 6 Cu6 1.9<br />
c.3648-3653del 11 17 Tm6 1.9<br />
c.-441/-<strong>42</strong>7del 11 Promoter Promoter 1.9<br />
p.T977M 11 13 Tm5 1.9<br />
*Sono esclusi i pazienti Sardi, vedi tabella VI.<br />
Tabella V.<br />
Mutazioni identificate in 25 famiglie di origine pugliese<br />
Puglia<br />
Mutazione N° Cr. Esone Dominio %<br />
p.G591D 19 5 Cu5 38<br />
p.H1069Q 10 14 SEHPL 20<br />
p.S1310R 4 19 ATPloop 8<br />
c.2304-2305insC 3 8 Tm4 6<br />
p.T977M 3 13 Ch/Tm6 6<br />
p.I306T 2 2 Cu3 4<br />
c.2121+3A>G 2 7 Tm2 4<br />
p.710S 1 8 Tm2 2<br />
p.R969D 1 13 Ch/Tm6 2<br />
p.A1003T 1 13 Ch/Tm6 2<br />
p.Q1095P 1 15 ATPloop 2<br />
p.T1288M 1 18 ATPloop 2<br />
di origine sarda. Lo studio molecolare ha permesso l’identificazione<br />
di 124 mutazioni appartenenti a tutte le categorie, missenso,<br />
nonsenso, delezioni, inserzioni e sito di splicing. Se consideriamo<br />
la sola popolazione italiana con l’esclusione di quella sarda, nelle<br />
285 famiglie analizzate sono state identificate 115 mutazioni,<br />
dato che suggerisce la presenza di un’alta eterogeneità allelica.<br />
Non esistono mutazioni frequenti nell’intera popolazione in quanto<br />
la somma delle dieci mutazioni più frequenti costituisce appena<br />
il 43% del totale (Tab. IV). Esiste una certa distribuzione<br />
regionale in quanto certe mutazioni prevalgono e caratterizzano<br />
determinate aree geografiche. Gli esempi più tipici sono costituiti<br />
dalle popolazioni pugliese e sarda. Nella popolazione pugliese lo<br />
studio delle mutazioni in 25 famiglie ha evidenziato la presenza<br />
di 5 mutazioni più frequenti che costituiscono l’80% degli alleli<br />
(Tab. V). Di queste la più frequente, la p.G591D, è presente nel<br />
38% degli alleli. In Sardegna lo studio delle basi molecolari della<br />
MW ha evidenziato la presenza di 25 diverse mutazioni (Tab. VI).<br />
La mutazione più comune -441_<strong>42</strong>7del costituisce circa il 65%<br />
degli alleli. Le 6 mutazioni più comuni costituiscono circa l’85%<br />
del totale. Questi dati suggeriscono una certa omogeneità alleli-<br />
18<br />
G. Ranucci et al.<br />
Tabella VI.<br />
Mutazioni identificate in 152 famiglie di origine sarda<br />
Sardegna<br />
Mutazione N° Cr. Esone Dominio %<br />
-441/-<strong>42</strong>7del 196 5’UTR Promoter 64.9<br />
p.V1146M 24 16 ATPloop 7.94<br />
c.2463delC 22 10 Td 7.28<br />
c.213-214delAT 7 2 Cu1 2.37<br />
p.A1018V 6 13 ATPloop 1.98<br />
p.R778W 6 8 Tm4 1.98<br />
c.1512-1513insT 4 3 Cu5 1.32<br />
p.G1000R 4 13 Ch/Tm6 1.32<br />
p.H1069Q 4 14 SEHPL 1.32<br />
c.2304-2305insC 3 8 Tm4 0.99<br />
c.2035delC 2 7 Tm1-Tm2 0.66<br />
p.G869R 2 11 Td 0.66<br />
p.S921Q 2 12 Tm5 0.66<br />
p.T993M 2 13 Ch/Tm6 0.66<br />
c.1285+5G->T 1 2VI Cu4 0.33<br />
c.2122-8 T->G 1 8 Tm3 0.33<br />
p.I747F 1 8 Tm3 0.33<br />
p.V890M 1 11 A-domain 0.33<br />
p.R919W 1 12 Tm5 0.33<br />
p.G943S 1 12 Tm5 0.33<br />
p.L1043P 1 14 ATPloop 0.33<br />
p.G1089V 1 15 ATPloop 0.33<br />
p.R1151C 1 16 ATPloop 0.33<br />
p.N1270S 1 18 ATPhinge 0.33<br />
c.3852-3875del24 1 18 ATPhinge 0.33<br />
Unknown 8 2.64<br />
ca e permettono una strategia efficace per lo studio genetico. In<br />
particolare nella popolazione sarda, dove l’incidenza della MW è<br />
di 1:3000 nati vivi, quindi una delle più alte nel mondo, lo studio<br />
genetico potrebbe essere utilizzato con efficacia non solo nella<br />
diagnosi di singoli casi ma anche in uno screening di massa per<br />
la diagnosi ed il trattamento precoce della malattia (Zappu et al.,<br />
2008).<br />
La localizzazione delle mutazioni all’interno del gene ATP7B è un<br />
altro aspetto importante ai fini dello studio genetico. Lo studio genetico<br />
di circa 700 famiglie di origine mediterranea ha evidenziato<br />
che l’80% delle mutazioni identificate risiedono in 12 esoni (5, 6, 8,<br />
10, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19), considerati hotspot, dei 21 esoni<br />
del gene (Lepori et al., 2006). Esiste quindi una clusterizzazione delle<br />
mutazioni nel gene ATP7B indipendentemente dall’origine etnogeografica<br />
dei pazienti. Tale dato è molto importante in quanto rende<br />
efficiente il test genetico indicando lo studio delle regioni hotspot<br />
come primo bersaglio.<br />
Lo studio genetico negli ultimi anni ha dato un grande contributo e<br />
ormai è parte integrante dell’iter diagnostico della MW. La sua efficienza<br />
e utilità nella diagnosi della malattia dipende non solo dallo<br />
sviluppo di nuove tecniche raffinate ma anche dalla appropriatezza<br />
nella sua richiesta. Infatti, come in qualsiasi malattia genetica, an-
Malattia di Wilson: ancora una sfida diagnostica<br />
che nella MW devono esistere indicazioni precise per la richiesta<br />
dello studio del gene ATP7B.<br />
Conclusioni<br />
In Italia la maggior parte dei pazienti con MW è identificata in seguito<br />
al riscontro occasionale di ipertransaminasemia, pertanto è intercettata<br />
in una fase abbastanza precoce della malattia. Questo scenario,<br />
che in parte dipende dalla consuetudine vigente nel nostro Paese di<br />
valutare i livelli sierici delle transaminasi nel contesto di check-up, in<br />
assenza di indicazioni precise, ci offre l’opportunità di diagnosticare<br />
Box di orientamento<br />
e trattare farmacologicamente i pazienti con MW prima che si instaurino<br />
gravi danni epatici e neurologici. Come sopra discusso, una<br />
corretta diagnosi di MW in un bambino con ipertransaminasemia<br />
non sempre è agevole perché non sempre in età pediatrica sono<br />
applicabili i criteri convenzionali stabiliti per l’età adulta. Pertanto è<br />
importante che il pediatra mantenga un alto indice di sospetto nei<br />
confronti della MW e sia consapevole che la diagnosi non si può<br />
basare su singoli parametri clinici o laboratoristici. Negli ultimi anni<br />
lo studio genetico costituisce parte integrante dell’iter diagnostico<br />
potendo dare un significativo contributo nella diagnosi e gestione<br />
della malattia.<br />
Che cosa si sapeva prima:<br />
- La MW é dovuta ad un difetto nella funzione della proteina trasportatore del rame “ATP7B”.<br />
- La proteina ATP7B svolge due principali funzioni: in condizioni basali, trasporta il rame nella via secretoria degli epatociti e lo incorpora nella apoceruloplasmina<br />
formando la ceruloplasmina; in condizioni di eccesso, elimina il rame dagli epatociti nei canalicoli biliari.<br />
- La MW si caratterizza per un progressivo accumulo di rame prima nel fegato e secondariamente in altri organi, in particolare sistema nervoso centrale<br />
e occhio.<br />
- Livelli sierici di ceruloplasmina e livelli urinari di rame (basale e dopo carico orale di penicillamina) sono parametri utili per la diagnosi di MW.<br />
- Il dosaggio del rame epatico costituisce il gold standard per la diagnosi di MW.<br />
- La MW è un’epatopatia metabolica curabile farmacologicamente.<br />
Cosa sappiamo adesso:<br />
- La diminuzione dei livelli sierici di ceruloplasmina è un fenomeno secondario al difetto di funzione della ATP7B.<br />
- Il difetto di sintesi della ceruloplasmina non è alla base dell’accumulo di rame.<br />
- La cupruria basale è direttamente correlata all’età del paziente con MW, pertanto i pazienti pediatrici presentano valori più bassi rispetto a quelli<br />
adulti.<br />
- La cupruria dopo test da carico di penicillamina non è un test utile per la diagnosi della MW nel bambino con malattia di fegato lieve.<br />
- Esistono circa 520 mutazioni del gene ATP7B responsabili della MW.<br />
Cosa ci aspettiamo in futuro:<br />
- Una migliore definizione dei meccanismi patogenetici che sottendono la MW.<br />
- Una maggiore sensibilizzazione dei pediatri al problema della diagnosi precoce della MW<br />
- Un maggiore ruolo dell’analisi molecolare nella diagnosi di MW.<br />
- L’introduzione di nuove terapie farmacologiche che abbiano come target la correzione del difetto di trasporto della proteina ATP7B.<br />
Bibliografia<br />
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* Studio multicentrico retrospettivo che ha dimostrato che un sottogruppo di<br />
pazienti con la MW presenta un’ipertransaminasemia persistente nonostante<br />
una terapia adeguata.<br />
19
Iorio R, Porzio S, Mazzarella G, et al. Wilson disease:diagnostic dilemma? J Pediatr<br />
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32.<br />
** Suggerisce la strategia del test genetico a partire dalle regioni hotspot.<br />
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pazienti con la Malattia di Wilson.<br />
20<br />
G. Ranucci et al.<br />
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** Viene riportata in modo dettagliato la caratterizzazione della struttura genomica<br />
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** Suggerisce il test genetico per lo screening di massa per la diagnosi ed il<br />
trattamento precoce della malattia.<br />
Metodologia della ricerca bibliografica<br />
Sono stati ricercati tramite PubMed, studi pubblicati, utilizzando come principali parole chiave le seguenti: Wilson disease, pathogenesis,<br />
diagnostic criteria, liver transplantation, molecular analysis, guidelines. Alla ricerca sono stati posti i seguenti limiti: studi in lingua inglese,<br />
Meta-Analysis, Practice Guidelines, Randomized Controlled Trias, Reviews.<br />
Corrispondenza<br />
Georgios Loudianos, Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologie, Università di Cagliari, Ospedale Regionale Microcitemie, via Jenner s/n,<br />
09121, Cagliari. Tel. +39 070 6095504. Fax. +39 070 503696. E-mail: gloudian@mcweb.unica.it
<strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> <strong>2012</strong> <strong>•</strong> <strong>Vol</strong>. <strong>42</strong> <strong>•</strong> N. <strong>165</strong> <strong>•</strong> pp. 21-27<br />
Epatite autoimmune:<br />
una terapia non sempre facile<br />
Introduzione<br />
Le malattie autoimmuni del fegato sono malattie infiammatorie di<br />
causa sconosciuta che, di norma, evolvono spontaneamente, attraverso<br />
la necrosi del parenchima epatico, verso la cirrosi (Maggiore<br />
et al., 2009). Sono caratterizzate istologicamente dalla presenza di<br />
un infiltrato infiammatorio che varia qualitativamente in funzione<br />
delle fasi di malattia e che interessa il lobulo nelle sue fasi più precoci<br />
e lo spazio portale in quelle più tardive. Tipico e quasi costante<br />
è il riscontro di autoanticorpi organo e non-organo specifici (Alvarez,<br />
2006). Ci sono almeno tre principali malattie epatiche nell’uomo in<br />
cui il danno epatico è ritenuto essere causato da un meccanismo<br />
autoimmune: l’epatite autoimmune (EAI) in cui il bersaglio dell’attacco<br />
è l’epatocita e due altre condizioni, la colangite autoimmune<br />
e la cirrosi biliare primitiva (eccezionale in età pediatrica) in cui il<br />
bersaglio è invece il colangiocita (Maggiore et al., 2009).<br />
Obiettivo della revisione e metodologia della ricerca<br />
bibliografica<br />
L’articolo fa seguito ad una revisione sulle malattie autoimmuni del<br />
fegato pubblicata su Prospettive in Pediatria (Maggiore, 1997) e ha<br />
l’obiettivo di approfondire e rivalutare le novità sulla patogenesi, la<br />
diagnosi e il trattamento delle epatiti autoimmuni. La ricerca bibliografica<br />
su PubMed è stata effettuata utilizzando come principali parole<br />
chiave: autoimmune liver disease, autoimmune hepatitis.<br />
Epidemiologia<br />
L’EAI è una malattia rara, presente in ogni razza e in ogni regione<br />
geografica, ma con ampia variabilità di prevalenza. I dati disponibili<br />
riguardano l’adulto europeo (1:10.000) (Boberg et al., 2002), tuttavia<br />
il carattere insidioso della malattia suggerisce una prevalenza assai<br />
maggiore. Entrambi i sessi possono essere affetti ad ogni età della<br />
vita con una netta predilezione per il sesso femminile (rapporto F/M<br />
che da 3: 1 arriva fino a 9: 1 in alcune casistiche) e con un picco di<br />
incidenza di esordio in età prepuberale. Anche se l’EAI può esordire<br />
ad ogni età, più della metà dei casi sono diagnosticati durante l’infanzia<br />
e l’adolescenza.<br />
Patogenesi<br />
EPAtoLoGIA<br />
Marco Sciveresa , Francesco Cirilloa , Silvia Nastasiob , Giuseppe Maggioreb aEpatologia Pediatrica e Trapianto di fegato Pediatrico, ISMETT, UPMC, Palermo<br />
bDivisione di Pediatria, Dipartimento di Medicina della Procreazione dell’Università di Pisa, Azienda Ospedaliera-<br />
Universitaria Pisana, Pisa<br />
Riassunto<br />
In età pediatrica l’epatite autoimmune (EAI) si caratterizza per una flogosi epatica cronica che interessa soprattutto l’epatocita. La fibrosi epatica che ne<br />
consegue è progressiva e giunge rapidamente, senza trattamento, alla cirrosi. EAI viene suddivisa in due sottotipi che presentano peculiarità specifiche.<br />
L’EAI tipo 1 interessa in egual misura tutte le età e si presenta prevalentemente con un quadro di epatopatia cronica, frequentemente già evoluta in cirrosi.<br />
Gli autoanticorpi caratterizzanti sono l’antinucleo (ANA) e l’anti muscolo liscio (SMA), usualmente ad alto titolo (> 1:100). L’EAI tipo 2 predilige il bambino più<br />
piccolo, tende a manifestare un andamento altamente fluttuante e ha il suo esordio con un quadro di insufficienza epatica acuta senza segni di cronicità.<br />
Questa forma è caratterizzata dalla presenza dell’anticorpo anti microsomi di fegato e di rene tipo 1 (LKM-1) e dall’anti citosol epatico (LC1). La diagnosi si<br />
fonda su un insieme di elementi clinici e sul riscontro del tipico quadro istologico di epatite d’interfaccia con massiccia infiltrazione portale di elementi mononucleati<br />
e plasmacelule. Il trattamento convenzionale con steroidi ed azatioprina è altamente efficace ma deve essere protratto a lungo prima di tentare<br />
una sospensione. La ciclosporina come farmaco alternativo è parimenti efficace ed ormai sufficientemente radicato nella pratica clinica.<br />
Summary<br />
Autoimmune Hepatitis (AIH) in children is characterized by a chronic, immuno-mediated liver inflammation involving mainly the hepatocyte. If untreated<br />
finally leads to liver cirrhosis. Common features of AIH are hypergammaglobulinemia and presence of seric autoantibodies against a limited number of<br />
autoantigens. AIH could be classified into two subtypes carrying peculiar features. AIH type 1 affects any age and presents often as a chronic liver disease<br />
with recurrent spikes of activity. Liver cirrhosis is frequently present at onset. Characterizing autoantibodies are anti-nuclear (ANA) and anti-smooth muscle<br />
(SMA), usually at high titers (>1:100). AIH type 2 shows a peak of incidence in younger children and its natural history has a fluctuating course. Acute liver<br />
failure is frequent in AIH type 2 at onset. Anti-liver kidney microsome autoantibodies type 1 (LKM1) and anti liver cytosol (LC1) are typically found in AIH<br />
type 2. Diagnosis of AIH results from all these peculiar features and by the histological finding of interface hepatitis with massive portal infiltration of mononuclear<br />
cells and plasmocytes. Conventional treatment with steroids and azathioprine is the milestone of therapy and proved very effective. Unfortunately,<br />
it is a chronic therapy and a trial of treatment withdrawal may be attempted after several years. Cyclosporin A is the alternative drug most currently used<br />
for AIH and this treatment is safe and as effective as steroids.<br />
L’EAI è una malattia multifattoriale. Si postula che fattori ambientali<br />
inneschino, in individui geneticamente predisposti, una rispo-<br />
21
sta inappropriata e duratura verso uno o più autoantigeni. Molta<br />
attenzione è stata posta su meccanismi di mimetismo molecolare<br />
tra porzioni proteiche di virus quali HBV, HCV, CMV e HSV e proteine<br />
presenti nell’epatocita. L’autoantigene è in generale un piccolo peptide<br />
di 13-23 residui aminoacidici, prodotto finale di un processo di<br />
internalizzazione e parziale digestione di proteine extracellulari che<br />
avviene in cellule specificamente incaricate del ruolo (antigen presenting<br />
cell). Queste cellule presentano il peptide ai linfociti T CD4+<br />
tramite molecole di HLA di classe II esposte alla loro superficie. La<br />
molecola DR, appartenente alla famiglia di recettori HLA-II è formata<br />
da due catene polipeptidiche DR alfa e DR beta, che compongono<br />
l’eterodimero DR. Gli alleli del locus DR sono altamente polimorfi e<br />
questo fa sì che ogni individuo esprima molecole DR con differenti<br />
affinità di legame. Da ciò consegue come la capacità di alcuni<br />
auto antigeni di innescare la risposta immune sia geneticamente<br />
determinata e dipenda strettamente dall’assetto genetico dell’HLA<br />
di classe II (Vergani et al., 2007).<br />
Substrato genetico. Gli alleli HLA associati ad un aumentato rischio<br />
di malattia variano secondo le differenti zone geografiche. Nella<br />
popolazione Caucasica la presenza dell’aplotipo HLA A1-B8-DR3 è<br />
strettamente associata all’EAI -1. Gli alleli DRB1*0301 e DRB1*0401<br />
sono specifici fattori di rischio; entrambi condividono una lisina in<br />
posizione 71 e la sequenza LLEQKR in posizione 67-72. In Sud America<br />
e in Giappone, analoghi studi di associazione hanno sottolineato<br />
il ruolo, rispettivamente, del dimorfismo valina/glicina in posizione<br />
86, e dell’istidina nella posizione 13 del polipeptide DRB1. Questi<br />
cluster di associazione possono essere condizionati dai differenti<br />
fattori ambientali presenti nelle diverse aree geografiche.<br />
Nel bambino i dati sono scarsi: in Europa è riconosciuto uno specifico<br />
ruolo di suscettibilità all’allele DR3 (DRB1*0301) e al DR52a<br />
(DRB3*0101), mentre in Argentina è piuttosto il DR6 (DRB1*1301) a<br />
rappresentare il principale allele di suscettibilità, con un ruolo più<br />
limitato per il DR3 (DRB1*0301), mentre il HLA DRB1*1302, che differisce<br />
per un solo residuo aminoacidico, esercita al contrario, un<br />
debole ruolo protettivo.<br />
Autoantigeni. L’autoantigene maggiormente accredidato di un ruolo<br />
patogenetico sembra essere il recettore della asialoglicoproteina<br />
(ASGP-R) per l’EAI-1 e il citocromo P450 2D6 (CYP2D6) per l’EAI- 2.<br />
ASGP-R è una molecola organo-specifica con sede nella membrana<br />
dell’epatocita e con prevalente espressione periportale. Linfociti T di<br />
pazienti con EAI hanno una risposta proliferativa se posti in coltura con<br />
ASGP-R umano purificato e inducono linfociti B autologhi a produrre<br />
autoanticorpi anti-ASGP-R. Numerose isoforme del citocromo (CYP)<br />
P450 sono espresse nel tessuto epatico: il bersaglio della risposta<br />
autoimmune nell’EAI-2 è il CYP2D6, un enzima intracellulare attivo<br />
nella detossificazione di numerosi farmaci (Guegen et al., 1988). Tramite<br />
stimolazione con specifiche citochine è possibile far esprimere il<br />
CYP2D6 sulla membrane dell’epatocita rendendolo quindi un bersaglio<br />
accessibile per i linfociti T autoreattivi (Muratori et al., 2000). Inoltre vi<br />
è la dimostrazione che l’immunizzazione nel topo con CYP2D6 umano<br />
possa indurre danno epatico (Lapierre et al., 2004).<br />
La risposta autoimmune come difetto della regolazione della risposta<br />
immune. Elevati titoli anticorpali nei confronti di antigeni microbici<br />
sono presenti in pazienti con EAI. Questo difetto non-antigene-specifico,<br />
egualmente presente nei parenti di primo grado, è correggibile<br />
in vivo e in vitro, da dosi farmacologiche di corticosteroidi. Una<br />
specifica popolazione di linfociti T CD4+ che esprimono il recettore<br />
per l’interleuchina 2 noti come cellule T regolatorie CD25+ appaiono<br />
22<br />
M. Sciveres et al.<br />
difettivi nei pazienti con EAI, sia dal punto di vista numerico che<br />
funzionale. La capacità di inibire la proliferazione di linfociti T tramite<br />
la secrezione di citochine immunoregolatori quali l’interleuchina<br />
10 e la proprietà di regolare l’attivazione dei monociti appare infatti<br />
ridotta (Longhi et al., 2010).<br />
Manifestazioni cliniche<br />
L’EAI-1 è caratterizzata dalla presenza di autoanticorpi anti-muscolo<br />
liscio (SMA) e/o anti-nucleari (ANA) (Odièvre et al., 1983, Maggiore<br />
et al., 1993), l’EAI-2 dalla presenza di anticorpi anti-microsoma di<br />
fegato e di rene (LKM-1) (Maggiore et al., 1986) e/o anti-citosol epatico<br />
(LC1) (Bridoux-Henno et al., 2004).<br />
Le due forme differiscono per alcuni elementi specifici (Tab. I):<br />
<strong>•</strong> L’EAI-2 è una malattia che ha come bersaglio esclusivo l’epatocita<br />
(è la vera epatite autoimmune!). Nell’EAI-1 può essere presente<br />
una reattività tissutale, di grado variabile, nei confronti del<br />
colangiocita.<br />
<strong>•</strong> L’EAI-1 è presente sia in età adulta che in quella pediatrica,<br />
mentre l’EAI-2 è quasi esclusivamente una malattia pediatrica;<br />
<strong>•</strong> I pazienti con EAI-2 hanno un esordio ad una età significativamente<br />
inferiore rispetto all’EAI-1;<br />
<strong>•</strong> L’ipergammaglobulinemia è tipica e talora marcata nella EAI-1,<br />
mentre è assai moderata e occasionalmente assente nella EAI-2;<br />
<strong>•</strong> L’EAI-1 ha una attività di malattia generalmente costante mentre<br />
il tipo 2 progredisce piuttosto per “ondate” di necrosi, che di<br />
solito hanno fasi anche prolungate di remissione spontanea.<br />
Nonostante queste differenze la risposta al trattamento immunosoppressivo<br />
non differisce nei due tipi di EAI. Nel 10% circa delle epatiti<br />
croniche criptogeniche, tuttavia, nonostante le caratteristiche cliniche<br />
ed istologiche e la risposta al trattamento immunosoppressivo<br />
siano sovrapponibili ad una EAI, nessun autoanticorpo organo o non<br />
organo specifico è identificabile. Questa entità denominata “Epatite<br />
autoimmune sieronegativa” rappresenta un ulteriore fenotipo di EIA<br />
il cui riconoscimento è di fondamentale importanza per le implicazioni<br />
terapeutiche.<br />
Le più comuni modalità di esordio della EAI sono:<br />
<strong>•</strong> Epatite acuta. È la tipologia di esordio più comune, apparentemente<br />
indistinguibile da una epatite acuta virale con malessere,<br />
nausea, anoressia, vomito, dolore addominale seguito dalla<br />
comparsa di ittero generalizzato, urine scure e feci decolorate.<br />
Alcuni pazienti, in particolare con EAI-2 possono esordire con un<br />
quadro di insufficienza epatica acuta con encefalopatia (Maggiore<br />
et al., 1990);<br />
<strong>•</strong> Esordio insidioso con malessere ed ittero ingravescente. È una<br />
modalità di esordio che concerne circa un terzo dei pazienti; è<br />
caratterizzata da astenia, perdita di peso ed ittero, ora ingravescente,<br />
ora a carattere recidivante con fasi di miglioramento<br />
spontaneo, su un quadro di epatite cronica di fondo testimoniato<br />
dalla presenza di un’epato e/o splenomegalia di consistenza aumentata/dura;<br />
<strong>•</strong> Esordio fortuito. Dal 10 al 15% dei pazienti può essere completamente<br />
asintomatico. La malattia epatica può essere evidenziata<br />
dal riscontro occasionale di un’epatomegalia dura eventualmente<br />
associata ad una splenomegalia, di una splenomegalia isolata<br />
o di un aumento delle aminotransferasi;<br />
<strong>•</strong> Esordio con sintomi correlati ad una complicanza della malattia<br />
epatica. Raramente l’EAI può decorrere in maniera talmente insidiosa<br />
da esordire con una complicanza di una malattia epatica<br />
già evoluta in cirrosi quale un’ascite o una emorragia digestiva<br />
da varici esofagee secondarie ad una ipertensione portale;
Epatite autoimmune: una terapia non sempre facile<br />
Tabella I.<br />
Aspetti clinici delle principali forme di epatite autoimmune.<br />
EIA-1 EIA-2 EIA<br />
sieronegativa<br />
Età di esordio Ad ogni età, ma<br />
prevalentemente<br />
nell’adolescenza<br />
<strong>•</strong> Esordio con sintomi di una patologia autoimmune associata. Una patologia<br />
extraepatica di natura autoimmune o comunque immunomediata<br />
è presente in circa un terzo dei pazienti con EAI (Tab. II). Studi<br />
recenti hanno inoltre sottolineato la strette interazione con la malattia<br />
celiaca nel bambino, con una prevalenza di malattia celiaca intorno<br />
al 15% dei casi delle epatopatie autoimmuni (Caprai et al., 2008).<br />
Aspetti bioumorali<br />
Eccetto la presenza di specifici autoanticorpi caratterizzanti le due<br />
forme di EAI, le anomalie di laboratorio che si riscontrano nell’EAI<br />
sono aspecifiche. Le aminotransferasi nel siero sono quasi costantemente<br />
elevate in assenza di trattamento, le gammaglutamil traspeptidasi<br />
(GGT) invece, sono quasi costantemente normali nella EIA-2 e<br />
nella EIA-1 con lesioni biliari minime (Gregorio et al., 1997). È pre-<br />
Infanzia e comunque in età<br />
prepuberale<br />
Sindrome da overlap<br />
EAI- Colangite<br />
autoimmune<br />
Ad ogni età Prevalentemente in corso<br />
della adolescenza<br />
Sintomi all’esordio Generalmente modesti Epatite acuta sintomatica Epatite acuta sintomatica Spesso correlate alla<br />
malattia infiammatoria<br />
cronica intestinale associata<br />
Cirrosi all’esordio Frequente Rara Rara Possibile<br />
Ipergammaglobulinemia Frequente Rara Possibile Possibile<br />
Lesion biliari Di modesta entità Assenti Possibili Costanti<br />
Autoanticorpi caratterizzanti ANA, SMA, pANCA, SLA LKM1, LC1 Assenti ANA, SMA, p/cANCA, SLA<br />
Malattie extraepatiche con<br />
l’eccezione delle malattie<br />
infiammatorie croniche<br />
intestinali<br />
Frequenti Frequenti Possibili Possibili<br />
MICI associata Possibile Rara Rara Quasi costante<br />
Risposta al trattamento<br />
immunosoppressivo<br />
Generalmente buona Buona con rare eccezioni Generalmente buona Incerta<br />
Tabella II.<br />
Malattie autoimmuni associate alla epatite autoimmune.<br />
EAI-1 EAI2<br />
Emopatie<br />
Trombocitopenia<br />
Anemia emolitica<br />
Presenti Presenti<br />
Endocrinopatie<br />
Malattia di Graves<br />
Tiroidite autoimmune<br />
Diabete tipo 1<br />
Presenti Frequenti le tiroiditi<br />
Altre<br />
Vitiligo<br />
Vasculiti<br />
Glomerulonefriti<br />
Connettiviti<br />
Presenti Presenti<br />
APECED (poliendocrinopatia<br />
autoimmune)<br />
Non presente Presente (associata<br />
a mutazioni del gene<br />
AIRE)<br />
sente inoltre ipergammaglobulinemia, talora marcata, prevalentemente<br />
di classe IgG, in oltre l’80% dei pazienti. Questo aumento può<br />
non ritrovarsi nelle EAI-2 e comunque negli esordi acuti. È frequente<br />
un difetto parziale o completo di IgA seriche così come una riduzione<br />
geneticamente determinata dei livelli di C4, più spesso nelle EAI-2.<br />
Autoanticorpi. La presenza di autoanticorpi è un rilevante aiuto nella<br />
diagnosi di EAI. La metodica di scelta per la loro identificazione<br />
è l’immunofluorescenza (IF), metodica sfortunatamente trascurata<br />
perché richiede la disponibilità di medici e tecnici di laboratorio<br />
esperti e competenti e comporta quindi costi più elevati dei metodi<br />
immunoenzimatici.<br />
La presenza di ANA e/o di SMA identificano la EAI-1, specialmente<br />
se presenti ad titolo elevato (≥ 1:100). Gli SMA riconoscono antigeni<br />
strutturali del citoscheletro quali actina, desmina e troponina. La<br />
reattività SMA dell’EAI è tipicamente diretta nei confronti della actina<br />
filamentosa (F-actina). La reattività ANA ha svariati aspetti in IF:<br />
omogenea, (60%), punteggiata (speckled) (15-25%) e mista. In ragione<br />
della bassa specificità riteniamo che nella pratica clinica debbano<br />
essere considerate significative diluizioni di almeno 1:100.<br />
Gli anti-LKM1 fanno parte di un eterogeneo gruppo di reattività<br />
antimicrosomiali e caratterizzano l’EAI-2 (Maggiore et al., 1986). Il<br />
quadro caratteristico in IF è la colorazione diffusa degli epatociti e<br />
dei tubuli prossimali (nella porzione più distale) di tessuto di ratto.<br />
Il bersaglio è un antigene di 50 kDa successivamente identificato<br />
come CYP2D6 (Guegen et al., 1988).<br />
L’anticorpo anti citosol epatico (LC1) è un autoanticorpo organo-specifico<br />
la cui presenza caratterizza egualmente l’EIA-2 ma può essere<br />
anche presente in maniera isolata (Bridoux-Henno et al., 2004). L’LC1<br />
riconosce un antigene epatico di 58-62 kDa successivamente identificato<br />
nella formiminotransferasi ciclodeaminasi (Lapierre et al., 2009).<br />
In entrambe le forme si possono ritrovare altri autoanticorpi meno<br />
specifici quali gli anticorpi anti-recettore della asialoglicoproteina<br />
(ASGP-R), gli anti-SLA (antigene epatico solubile) o gli ANCA (anticitoplasma<br />
dei neutrofili) (Vitozzi et al., 2002, Hajoui et al., 2000).<br />
23
La reattività autoanticorpale tende in generale a fluttuare nel corso<br />
del trattamento, riducendosi fino a scomparire in corso di remissione<br />
e ricomparendo in caso di recidiva. Tuttavia lo stato autoanticorpale<br />
e il suo titolo non coincide necessariamente con lo stato di remissione<br />
bioumorale o istologica, né è predittiva di ricaduta o di remissione<br />
sostenuta, né infine elevati titoli all’esordio identificano pazienti a<br />
rischio prognostico elevato o con peculiari necessità terapeutiche.<br />
Aspetti istologici<br />
La biopsia epatica ha un ruolo rilevante nella diagnosi di EAI specialmente<br />
in caso di esordio acuto e nella forma sieronegativa. Il<br />
quadro istologico che identifica l’EAI è l’“epatite di interfaccia” definita<br />
dalla presenza di un denso infiltrato infiammatorio nello spazio<br />
portale costituito da linfociti T e NK, da plasmacellule e da macrofagi<br />
attivati che, erodendo la lamina limitante, tendono ad invadere il parenchima<br />
circostante (piecemeal necrosis) e circondano epatociti in<br />
apoptosi. La presenza di plasmacellule è ritenuta indispensabile per<br />
la diagnosi di EAI. Un numero non trascurabile di polimorfonucleati<br />
eosinofili può talora essere presente nell’infiltrato portale particolarmente<br />
nei casi di EAI associati a celiachia (Caprai et al., 2008).<br />
Nella forma acuta di EAI la lesione centrolobulare è predominante,<br />
talora associata ad un collasso della trama reticolare. In queste circostanze<br />
gli elementi eventualmente suggestivi di una patogenesi<br />
autoimmune sono: la presenza di una necrosi epatica massiva/sub<br />
massiva (Fig. 1); la presenza di follicoli linfoidi negli spazi portale;<br />
un infiltrato prevalentemente plasma cellulare associato ad una perivenulite<br />
centrale. La reazione proliferativa duttulare è considerata<br />
una risposta proliferativa reattiva al danno necrotico quindi di tipo<br />
rigenerativo a partire da cellule epatiche progenitrici.<br />
La presenza di un danno infiammatorio biliare non è tipica dell’EAI<br />
ma può essere osservata in forma limitata in circa il 25% dei casi.<br />
Diagnosi<br />
La diagnosi di EAI in età pediatrica può essere semplice se tutti i<br />
principali elementi che la caratterizzano sono presenti. In caso contrario<br />
la diagnosi può essere difficile e risulta da una combinazione<br />
di criteri clinici, sierologici ed istologici e dall’esclusione di epatopa-<br />
Figura 1.<br />
Necrosi panlobulare con infiltrato infiammatorio polimorfo caratterizzato<br />
dalla presenza di linfociti CD3 + e CD20+plasmacellule, polimorfonucleati<br />
eosinofili e neutrofili, in una paziente con EAI-1 con esordio acuto<br />
e marcata ipergammaglobulinemia.<br />
24<br />
M. Sciveres et al.<br />
Tabella III.<br />
Punteggio (score) diagnostico per la diagnosi di Epatite Autoimmune<br />
(da Alvarez et al., J Hepatol 1999).<br />
Parametri Punteggio<br />
Sesso femminile 2+<br />
Rapporto Fosfatasi alcalina /AST (o ALT)<br />
< 1.5<br />
1.5-3.0<br />
> 3.0<br />
Livelli di immunoglobuline IgG<br />
> 2.0 gm/dl<br />
1.5-2.0 gm/dl<br />
1.0-1.5 gm/dl<br />
< 1.0 gm/dl<br />
Autoanticorpi ANA, SMA o LKM1<br />
titolo > 1:80<br />
1:80<br />
1:40<br />
< 1:40<br />
Autoanticorpi AMA<br />
Marcatori sierici di epatite virale<br />
Presenti<br />
Assenti<br />
Anamnesi di assunzione di farmaci<br />
Presente<br />
Assente<br />
Assunzione media giornaliera di alcool<br />
< 25 gm/giorno<br />
> 60 gm/giorno<br />
Istologia epatica<br />
Epatite di interfaccia<br />
Infiltrato infiammatorio prevalentemente linfomonocitario<br />
Formazione di “rosette” degli epatociti<br />
Nessuna delle precedenti<br />
Presenza di lesioni biliari<br />
Altre lesioni<br />
Presenza di altre malattie autoimmuni<br />
Elementi addizionali<br />
Positività per altri autoanticorpi correlati<br />
Presenza di HLA DR3 o DR4<br />
Risposta alla terapia<br />
Completa<br />
Presenza di ricadute<br />
Interpretazione del punteggio<br />
Pre-trattamento<br />
Epatite Autoimmune certa<br />
Epatite Autoimmune probabile<br />
Post-trattamento<br />
Epatite Autoimmune certa<br />
Epatite Autoimmune probabile<br />
tie ad etiologia nota eventualmente compatibili con il quadro clinico,<br />
come una infezione da virus epatotropi o una malattia di Wilson.<br />
Anche se non esistono aspetti istologici patognomonici, una valutazione<br />
dell’istologia epatica è obbligatoria se l’emostasi lo permette.<br />
La risposta al trattamento immunosoppressivo specialmente in caso<br />
di forme sieronegative, rappresenta un ulteriore e rilevante elemento<br />
suggestivo per la diagnosi.<br />
A supporto del clinico, un gruppo di esperti internazionali ha validato,<br />
nell’adulto, uno score diagnostico (Alvarez et al., 1999) (Tab. III),<br />
2+<br />
0<br />
2-<br />
3+<br />
2+<br />
1+<br />
0<br />
3+<br />
2+<br />
1+<br />
0<br />
4-<br />
3-<br />
3+<br />
4-<br />
1+<br />
2+<br />
2-<br />
3+<br />
1+<br />
1+<br />
5-<br />
3-<br />
3-<br />
2+<br />
2+<br />
1+<br />
2+<br />
3+<br />
> 15<br />
10-15<br />
> 17<br />
12-17
Epatite autoimmune: una terapia non sempre facile<br />
successivamente semplificato (Hennes et al., 2008), che si è dimostrato<br />
sufficentemente sensibile (88%) e specifico (97%). Questo<br />
punteggio diagnostico è applicabile anche in pediatria avendo cura,<br />
però, di utilizzare l’attività delle GGT al posto della fosfatasi alcalina<br />
per identificare con maggiore specificità i pazienti da sottoporre ad<br />
un imaging biliare (Ebbeson et al., 2004). La presenza infatti alla<br />
colangio-RM o alla colangiografia endoscopica per via retrograda<br />
di quadri di colangiopatia potrebbe suggerire la diagnosi alternativa<br />
di sindrome da overlap epatite autoimmune/ colangite sclerosante<br />
autoimmune (Gregorio et al., 2001).<br />
Trattamento<br />
Il trattamento medico delle EAI è di tipo immunosoppressivo. La risposta<br />
al trattamento dipende dalla gravità della malattia all’esordio. Il trattamento<br />
definito “convenzionale” utilizza il prednisone o il prednisolone,<br />
inizialmente in monoterapia o in associazione con l’azatioprina. Il corticosteroide<br />
è utilizzato alla dose di 1-2 mg/kg/die con un massimo di<br />
60 mg/die nell’adolescente e l’azatioprina alla dose iniziale di 1 mg/kg/<br />
die fino ad una dose massima di 2.5 mg/kg/die. Preferiamo comunque<br />
il trattamento combinato dei due farmaci fin dall’esordio per l’effetto<br />
“risparmiatore di steroidi” della azatioprina (Maggiore et al., 1984).<br />
Remissione iniziale. L’obiettivo del trattamento è di indurre una rapida<br />
e completa remissione dei sintomi e dei segni clinici di epatopatia e<br />
della attività biochimica di malattia. Il trattamento produce una “misurabile”<br />
risposta clinica e bioumorale in 6-10 settimane (Maggiore<br />
et al., 1984). Ottenuta una risposta sostanziale, si comincia a ridurre<br />
la dose del prednisone anche se una completa normalizzazione dei<br />
parametri bioumorali può completarsi anche in alcuni mesi. Esistono<br />
differenti schemi e modalità di riduzione delle dosi di steroide che dovrebbero<br />
essere il più possibile personalizzati in relazione alle caratteristiche<br />
del paziente. Il passaggio della corticoterapia a giorni alterni<br />
è possibile nella quasi totalità dei pazienti e auspicabile per la minore<br />
incidenza di effetti collaterali della corticoterapia in particolare per<br />
quanto attiene ai problemi di crescita (Maggiore et al., 1984).<br />
Anche i pazienti che esordiscono con una grave insufficienza epatocellulare,<br />
rispondono in oltre il 90% dei casi ed in egual modo, sia<br />
ad una monoterapia a 2 mg/kg di prednisone che all’associazione<br />
di prednisone 1 mg/kg, fino a 40 mg/die, e ciclosporina con una ciclosporinemia<br />
bersaglio di 200 ± 50 ng/mL (Cuarterolo et al., 2011).<br />
Nel 10% dei casi che rispondono scarsamente al trattamento, può<br />
essere tentata come trattamento di salvataggio una associazione di<br />
prednisone, ciclosporina ed eventualmente di micofenolato mofetile<br />
(MMF) anche se va considerato con attenzione il rischio di infezioni<br />
gravi. Una mancata risposta al trattamento deve far immediatamente<br />
considerare l’opzione di un trapianto di fegato in urgenza.<br />
Risposta sostenuta. Una volta indotta la remissione, che comporta la<br />
rigorosa normalità delle amino transferasi e dei livelli di immunoglobuline<br />
IgG, l’obiettivo della terapia diventa quello di mantenere una<br />
remissione persistente e di prevenire eventuali ricadute. Il prednisone<br />
sarà progressivamente ridotto fino a raggiungere la più bassa<br />
dose compatibile con una completa remissione clinica e bioumorale.<br />
Se una remissione debba necessariamente essere documentata<br />
istologicamente è un argomento dibattuto. La remissione istologica<br />
non è infatti predittiva di assenza di recidive. La valutazione quantitativa<br />
della fibrosi può essere effettuata in maniera meno invasiva<br />
con una misurazione dell’elastometria epatica. La fibrosi epatica<br />
progredisce solo in una minoranza di pazienti che sono aderenti al<br />
trattamento e che mantengono una remissione persistente.<br />
Durata del trattamento. Non esistono dati certi sulla durata ottimale<br />
del trattamento immunosoppressivo nei pazienti con EAI. Una recidiva<br />
può insorgere, anche in assenza di fattori scatenanti, in ogni momento.<br />
Il rischio è molto elevato in caso di una durata di trattamento<br />
inferiore ai 2 anni. La principale causa di recidiva nell’adolescente<br />
è una inadeguata aderenza al trattamento. Se poi anche la recidiva<br />
meriti una valutazione bioptica è egualmente dibattuto.<br />
L’esperienza attuale suggerisce che un trattamento immunosoppressivo<br />
debba produrre almeno cinque anni di remissione completa prima<br />
di tentarne la sospensione. In caso di trattamento convenzionale combinato<br />
si provvederà a sospendere completamente il prednisone nel<br />
corso del terzo-quarto anno di remissione per mantenere il paziente in<br />
monoterapia con azatioprina almeno per un altro anno. Il trattamento<br />
non andrà sospeso durante la fase di spurt puberale. Una assenza di<br />
autoanticorpi non è predittiva di assenza di recidiva, tuttavia un significativo<br />
incremento del titolo autoanticorpale deve essere considerato<br />
con cautela in ogni fase di riduzione della terapia.<br />
Effetti collaterali. Sono frequenti e prevalentemente dovuti ai corticosteroidi<br />
che producono iperfagia ed aumento di peso e rallentamento<br />
della crescita staturale. Complicanze più gravi, legate all’uso di dosi<br />
elevate e per periodi protratti, includono: obesità, grave ritardo di crescita,<br />
cataratta responsabile di riduzione del visus, collasso vertebrale,<br />
iperglicemia, psicosi e gravi conseguenze estetiche legati al prodursi<br />
di strie cutanee cicatriziali. Queste complicanze sono più rare nei<br />
centri con maggiore esperienza nel trattamento delle epatopatie autoimmuni.<br />
L’azatioprina è raramente responsabile di effetti secondari<br />
gravi, ma lo sviluppo di una linfopenia necessita una riduzione della<br />
dose del farmaco. Nell’uomo, una teratogenicità della azatioprina non<br />
è dimostrata con sicurezza, tuttavia, in caso di inizio di un trattamento<br />
nell’adolescente fertile dovrebbe essere esclusa una condizione di<br />
gravidanza. Più di 200 gravidanze sono riportate in pazienti con EAI<br />
e un progetto di gravidanza sembra realistico in pazienti con EAI in<br />
remissione farmacologica. L’utilizzo di basse dose di steroidi è preferibile,<br />
anche se l’azatioprina sembra non essere di nocumento né alla<br />
madre né al bambino (Aggarwal et al., 2011).<br />
Terapie farmacologiche alternative. Una parziale o incompleta<br />
risposta al trattamento convenzionale, il rifiuto o la comparsa di<br />
gravi effetti collaterali dei corticosteroidi costituiscono una chiara<br />
indicazione all’uso di trattamenti alternativi ed in particolare della<br />
Ciclosporina (CSA). La CSA in monoterapia è stata dimostrata<br />
efficace nell’indurre in remissione pazienti con entrambi i tipi di<br />
EAI (Alvarez et al., 1999) (Debray et al., 1999). Gli effetti collaterali<br />
del trattamento con CSA, almeno nel breve-medio termine,<br />
sono pochi e ben tollerati e scompaiono con la riduzione delle dosi<br />
(Sciveres et al., 2004). Una volta ottenuta la remissione il paziente<br />
può essere orientato verso un trattamento convenzionale a dosi di<br />
mantenimento di corticosteroidi (Alvarez et al., 1999) o continuare<br />
il trattamento con la CSA con ciclosporinemie inferiori ai 100 ng/<br />
ml (Sciveres et al., 2004). Il Micofenolato Mofetile (MFM) alla dose<br />
di 20-40 mg/kg è stato utilizzato con successo in aggiunta ai corticosteroidi<br />
nei pazienti intolleranti alla azatioprina o resistenti alla<br />
terapia convenzionale. I principali effetti collaterali del MFM sono<br />
rappresentati da cefalea, diarrea, perdita di capelli e sopratutto la<br />
leucopenia (Aw et al., 2009).<br />
Trapianto di fegato. Il trapianto di fegato può diventare una opzione<br />
terapeutica nell’EAI in particolare in due circostanze:<br />
1) nei pazienti, prevalentemente maschi, con esordio acuto grave o<br />
fulminante che non rispondano alla terapia di “salvataggio”;<br />
25
2) nei pazienti, per lo più di sesso femminile, con cirrosi ed insufficienza<br />
epatica terminale con scarsa o assente attività di malattia.<br />
I pazienti con EAI che beneficiano di un trapianto di fegato, rappresentano<br />
meno del 5% dei trapianti epatici pediatrici, hanno una<br />
sopravvivenza a 5 anni dell’86% e non differiscono dal gruppo non-<br />
EAI per sopravvivenza, numero, tipologia di complicanze infettive e<br />
metaboliche e frequenza di ritrapianto. (Martin et al., 2011).<br />
Prognosi a lungo termine. La prognosi a lungo termine dei pazienti<br />
con EAI ad esordio in età pediatrica rimane incerta. Una remissione<br />
completa e di lunga durata può essere mantenuta nella maggioranza<br />
dei pazienti senza significativi effetti collaterali e con basse dosi di<br />
farmaci immunosoppressori. Una percentuale minoritaria di pazienti<br />
mantiene una remissione persistente, anche a lungo termine, anche<br />
una volta sospesa definitivamente la terapia immunosoppressiva,<br />
con evidenza di una bassa elastanza epatica. Alcuni pazienti una<br />
volta sospesa la terapia immunosoppressiva possono sviluppare<br />
patologie immunomediate anche severe (LES) anche senza recidiva<br />
della malattia epatica.<br />
Terapie innovative. In seguito al riconoscimento del difetto di regolazione<br />
dei linfociti regolatori CD25+ la ricerca si è concentrata<br />
Box di orientamento<br />
26<br />
M. Sciveres et al.<br />
nel tentativo di selezione e produzione di linee cellulari autologhe di<br />
cellule regolatrici CD 25+ nei confronti dei verosimili antigeni trigger.<br />
La speranza è che tali cellule siano capaci di indurre tolleranza<br />
e di spegnere alla radice la risposta autoimmune senza la necessità<br />
di farmaci. Per il momento è stata suggerita l’efficacia in vitro di<br />
celllule regolatrici specifiche per l’antigene CYP2D6 della EAI tipo 2<br />
(Longhi et al., 2011)<br />
Conclusioni<br />
La diagnosi di EAI deve essere sempre ipotizzata in ogni paziente<br />
con segni e/o sintomi di epatopatia acuta o cronica di causa non definita,<br />
specialmente in presenza di una patologia extraepatica di natura<br />
immunomediata. La presenza di ipergammaglobulinemia e/o di<br />
autoanticorpi circolanti è di rilevante aiuto diagnostico ed identifica<br />
almeno due forme di EAI che presentano specifiche peculiarità, anche<br />
se va considerata la possibilità di EAI sieronegative.Una rapida<br />
e completa remissione indotta con una appropriata terapia migliora<br />
la prognosi a breve e lungo termine, controllando l’evoluzione della<br />
fibrosi e anche potendo determinare una sua regressione. Questa<br />
certezza giustifica un approccio che compreda anche accertamenti<br />
diagnostici invasivi (biopsia epatica).<br />
Cosa si sapeva prima:<br />
L’epatite autoimmune è una malattia non spontaneamente risolutiva con tendenza alla recidiva ad ogni tentativo di riduzione o sospensione del trattamento.<br />
Il pilastro del trattamento è il prednisone che inevitabilmente porta con sé numerosi effetti indesiderati anche gravi.<br />
Cosa sappiamo adesso:<br />
Nel tempo si è definito il ruolo di numerosi altri farmaci quali, storicamente, l’azatioprina, ma anche, in seguito, la ciclosporina ed il micofenolato mofetile.<br />
L’obiettivo futuro è quello di poter disporre di trattamenti personalizzati capaci di indurre immunotolleranza.<br />
Quali ricadute sulla pratica clinica:<br />
Oggi, nei centri con maggiore esperienza, sono proponibili numerosi schemi terapeutici con diverse combinazioni di farmaci da adattare al singolo<br />
paziente e strategie atte a minimizazre l’impatto e la durata della terapia steroidea.<br />
Bibliografia<br />
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celiac disease in childhood: a multicenter study. Clin Gastroenterol Hepatol<br />
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** Studio multicentrico che dimostra la forte associazione tra EAI e malattia celiaca.<br />
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*** Uno studio prospettico che definisce l’entità nosografica in pediatria della<br />
coesistenza di delle due principali malattie autoimmuni del fegato: l’epatire autoimmune<br />
e la colangite sclerosante autoimmune.
Epatite autoimmune: una terapia non sempre facile<br />
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Longhi MS, Ma Y, Mieli-Vergani G, et al. Aetiopathogenesis of autoimmune hepatitis.<br />
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* Una recente review sui meccanismi della patogenesi immunomediata.<br />
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**Articolo che per primo descrive l’epatite autoimmune di tipo 2.<br />
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active hepatitis in childhood. J Pediatr 1984;104:839-44.<br />
** Il primo lavoro che descrive i risultati del trattamento immunosoppressivo in<br />
pediatria.<br />
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** Articolo che definisce per primo una classificazione sierologica delle epatiti<br />
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Vitozzi S, Djilali-Saiah I, Lapierre P, et al. Anti-soluble liver antigen/liver-pancreas<br />
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Pharmacol Ther 2004;19:209-17.<br />
Vergani D, Mieli Vergani G. The impact of autoimmunity on hepatocytes. Sem Liv<br />
Dis 2007;2:140-51.<br />
Giuseppe Maggiore, Divisione di Pediatria 2, Dipartimento di Medicina della Procreazione dell’Università di Pisa, Azienda Ospedaliera-Universitaria<br />
Pisana, via Roma 67, 56123, Pisa. Tel. +39 050 992639. E-mail: giuseppe.maggiore@med.unipi.it<br />
27
oculistica<br />
La scelta della Redazione di “Prospettive in Pediatria” di dedicare un fascicolo all’oftalmologia pediatrica è certamente finalizzata a divulgare<br />
e approfondire tra i colleghi pediatri alcuni argomenti di interesse oftalmologico che abbiano, da un lato, un forte impatto epidemiologico<br />
in età pediatrica e, dall’altro, un fondamentale riscontro nell’inquadramento sistemico della patologia oculare stessa.<br />
Pertanto, come responsabile della scelta degli argomenti da trattare ho ritenuto prediligerne alcuni, tenendo conto della nostra esperienza<br />
clinica universitaria.<br />
Nell’articolo inerente la revisione della Letteratura scientifica oftalmologica vengono proposti argomenti di interesse diagnostico e terapeutico<br />
che in qualche caso potrebbero risultare non recentissimi perché subordinati ai tempi di pubblicazione.<br />
Dal punto di vista diagnostico viene confermata l’importanza della diagnosi precoce delle uveiti anteriori in corso di artrite idiopatica giovanile;<br />
viene inoltre ribadita l’importanza dell’interazione tra oftalmologo e pediatra nel proporre terapie combinate che possano alleviare<br />
sia i sintomi oculari che quelli sistemici.<br />
Come esempio di moderne tecniche chirurgiche nel trattamento del cheratocono in età pediatrica viene proposto il Cross-Linking<br />
Corneale.<br />
Per finire, in campo di terapia genica, viene proposto un modello di malattia oculare genetica, l’amaurosi di Leber e le promettenti ricerche<br />
sull’uso di vettori adenovirali.<br />
Il secondo articolo propone di approfondire le tappe fondamentali del percorso diagnostico e terapeutico della cataratta congenita, focalizzando<br />
l’attenzione sulla collaborazione tra pediatra ed oculista. Dal punto di vista diagnostico, screening e diagnosi precoce sono essenziali<br />
ai fini dell’efficacia della terapia, così come difficile appare la scelta del tipo e del timing dell’intervento prescelto. Il raggiungimento di un<br />
outcome visivo soddisfacente viene assicurato grazie ad un attento follow-up e ad un trattamento antiambliopigeno aggressivo. Infatti, se<br />
non adeguatamente trattata, la cataratta congenita compromette in maniera permanente lo sviluppo visivo del bambino, determinando un<br />
grave deficit visivo irreversibile. Allo stesso modo, l’ambliopia è curabile solo se diagnosticata e trattata precocemente; per tale motivo la<br />
collaborazione pediatra-oculista risulta cruciale nella gestione di tale patologia.<br />
Infine, alla luce di alcune nostre recenti ricerche, abbiamo scelto di approfondire un argomento ultraspecialistico: la chirurgia refrattiva.<br />
Questo potrà risultare un po’ meno interessante per alcuni, ma lo scopo è di rendere nota l’eventualità di proporre un trattamento alternativo<br />
per i vizi di refrazione in pazienti pediatrici che presentano ametropie gravi, per i quali risulterebbe poco vantaggiosa la correzione ottica<br />
tradizionale. Attuare tali procedure chirurgiche in età pediatrica, risulta, pertanto, diversamente dal paziente adulto, una tappa importante<br />
nel percorso ottico riabilitativo.<br />
Concludendo, mi auguro che la scelta dei temi trattati possa risultare interessante a voi colleghi pediatri e che la conoscenza reciproca di<br />
temi ultraspecialistici possa essere costruttiva per il lavoro quotidiano di collaborazione tra specialisti, sempre nell’interesse del paziente.<br />
Adriano Magli<br />
Dipartimento di Scienze Oftalmologiche, Università degli Studi di Napoli Federico II<br />
29
<strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> <strong>2012</strong> <strong>•</strong> <strong>Vol</strong>. <strong>42</strong> <strong>•</strong> N. <strong>165</strong> <strong>•</strong> pp. 31-36<br />
attualità in oftalmologia pediatrica<br />
Lucia Ambrosio, Francesco Matarazzo, Patrizio Magliozzi, Luca Rombetto,<br />
Roberta Carelli, Adriano Magli<br />
Dipartimento di Scienze Oftalmologiche, Università degli Studi di Napoli Federico II<br />
Obiettivi e metodologia della revisione<br />
È stata revisionata la letteratura scientifica oftalmologica dal gennaio<br />
2007 al gennaio 2011 utilizzando la banca bibliografica Medline<br />
attraverso il motore di ricerca PubMed. La ricerca è stata affinata<br />
con la funzione di ricerca avanzata per il periodo in esame e per<br />
età (compresa tra 0 e 18 anni) senza alcun limite per tipologia di<br />
pubblicazione.<br />
Si è operata una scelta degli argomenti identificando i temi più importanti,<br />
in primo luogo, sulla base della valenza clinica e del valore<br />
scientifico, successivamente quelli che su base numerica risultavano<br />
i più approfonditi, cercando inoltre di mettere in luce anche le<br />
novità di tipo diagnostico e terapeutico.<br />
L’accento è stato posto pertanto su temi per i quali sono state riconosciute<br />
dagli autori una continuità nel tempo di risultati e pubblicazioni,<br />
ed una valenza clinica per la pratica del pediatra. Sono stati tralasciati<br />
temi importanti ad alto impatto nella popolazione pediatrica come la<br />
cataratta congenita (approfondita in un altro articolo di questo numero),<br />
ed una nuova frontiera nella terapia dei difetti refrattivi pediatrici:<br />
la chirurgia refrattiva (tema di pertinenza superspecialistica, ma<br />
anch’esso trattato in un articolo di questa sezione).<br />
Le uveiti associate ad artrite idiopatica giovanile<br />
Con il termine uveite si intende un processo di tipo infiammatorio a<br />
carico dell’uvea.<br />
oCULIStICA<br />
Riassunto<br />
Nella revisione vengono proposti argomenti di interesse diagnostico e terapeutico.<br />
Dal punto di vista diagnostico viene confermata l’importanza della diagnosi precoce delle uveiti anteriori in corso di artrite idiopatica giovanile; viene inoltre<br />
ribadita l’importanza dell’interazione tra oftalmologo e pediatra nel proporre terapie combinate che possano alleviare sia i sintomi oculari che quelli sistemici<br />
avvalendosi di farmaci steroidei, agenti anti-TNFα, metotrexate e farmaci biologici (infliximab e etanercept).<br />
Dal punto di vista terapeutico viene inoltre proposto l’uso di ciclosporina A in collirio nelle forme di cheratocongiuntivite allergica refrattarie alle terapie<br />
convenzionali.<br />
Come esempio di moderne tecniche chirurgiche nel trattamento del cheratocono in età pediatrica, viene proposto il Cross-Linking Corneale in alternativa<br />
sia alla cheratoplastica perforante che alla lamellare profonda.<br />
Per concludere, in campo di terapia genica, viene proposto un modello di malattia oculare genetica, l’amaurosi di Leber, e le promettenti ricerche sull’uso<br />
di vettori adenovirali che avrebbero lo scopo di ripristinare la funzionalità del gene RPE 65 deputato all’espressione di un pathway biochimico per la rigenerazione<br />
del pigmento visivo.<br />
Summary<br />
We reviewed the latest evidences about diagnosis and therapy in paediatric ophthalmology. We underline the importance of early diagnosis for anterior<br />
uveitis in children with Juvenile Idiopathic Arthritis and the role of pharmacological treatment to cure both systemic and ocular symptoms. Moreover our<br />
review deals with the introduction of topical Cyclosporine A in the treatment of allergic conjunctivitis and corneal collagen cross-linking as a treatment<br />
strategy for keratoconus in paediatric patients. In conclusion we review the recent Leber congenital amaurosis type 2 clinical trials demonstrating restoration<br />
of vision by RPE65 gene transfer into RPE cells.<br />
In corso di artrite idiopatica giovanile (AIG) è questa la complicanza<br />
oculare più frequente.<br />
E allora perché approfondire proprio tale argomento in questa<br />
sede?<br />
Per due motivi fondamentali: il primo è costituito dalla frequenza<br />
con la quale tale patologia obbliga i due specialisti, il pediatra e<br />
l’oculista, ad interagire tra loro; il secondo dalla constatazione che la<br />
letteratura degli ultimi quattro anni ha prodotto molti articoli interessanti<br />
focalizzati su questo argomento.<br />
L’uveite in corso di AIG è quasi sempre asintomatica e frequentemente<br />
diagnosticata durante un esame di routine alla lampada a<br />
fessura (Tab. I). Pertanto è di fondamentale importanza effettuare<br />
screening regolari sui bambini a rischio per almeno 7 anni dall’esordio<br />
dell’artrite. Nei casi di AIG pauciarticolare è consigliabile effettuare<br />
il controllo ogni 4 mesi, ogni 3 mesi in caso di positività agli<br />
ANA (Heiligenhaus et al., 2007).<br />
La forma più frequente di uveite in corso di AIG è l’uveite anteriore<br />
di tipo cronico-recidivante, non granulomatosa (Sabri et al., 2008;<br />
Parikh et al., 2008), tale manifestazione oculare è più frequente nelle<br />
forme di AIG ad esordio pauciarticolare ANA+ e HLA-DR5 correlate.<br />
Nel 70% dei casi la presentazione è bilaterale e simmetrica.<br />
L’infiammazione dell’uvea anteriore può interessare esclusivamente l’iride<br />
(irite), oppure anche la parte anteriore del corpo ciliare (iridociclite).<br />
I segni più comuni all’esame clinico sono: iniezione ciliare, precipitati<br />
cheratici (depositi cellulari sull’endotelio corneale), presenza di<br />
corpuscoli nell’umor acqueo (Tyndall).<br />
31
Dall’esame istologico di occhi enucleati si è dimostrato che la proliferazione<br />
epiteliale, mista a linfociti di tipo B, è costituita in massima<br />
parte da Ig G (Parikh et al., 2008).<br />
Le complicanze oculari si verificano in più del 35% dei casi di uveite, e<br />
sono più comuni nelle uveiti di lunga durata non diagnosticate; è accertato<br />
che più l’intervallo di tempo tra diagnosi di AIG e di uveite è breve,<br />
più sono frequenti e nefaste le complicanze (Sabri et al., 2008).<br />
In altri studi i casi con complicanze all’esordio erano il 67% del totale,<br />
ed i fattori di rischio erano costituiti dalla presenza di corpuscoli<br />
nell’umor acqueo (Tyndall), dalla positività agli ANA e da un intervallo<br />
breve di tempo tra la diagnosi di artrite e quella di uveite (Thorne<br />
et al., 2007; Woreta et al., 2007).<br />
Le complicanze più frequenti sono le sinechie posteriori (adesioni tra<br />
l’iride e la superficie anteriore del cristallino) che estendendosi per<br />
360° intorno alla pupilla possono causare una seclusione pupillare<br />
con blocco dell’umore acqueo ed ipertono oculare (Fig. 1).<br />
Altre complicanze sono costituite da: cheratopatia a bandelletta,<br />
cataratta, glaucoma, edema maculare e formazione di membrane<br />
ciclitiche fino alla tisi bulbare (Parikh et al., 2008).<br />
Recenti studi hanno dimostrato l’utilità della tomografia a coerenza<br />
ottica (OCT) per lo studio della regione maculare in casi di edema<br />
maculare in corso di uveite intermedia posteriore (Ducos de Lahitte<br />
et al., 2008; Paroli et al., 2010).<br />
La terapia è costituita da steroidi topici in formulazione di colliri, steroidi<br />
somministrati sistemicamente, agenti anti-TNFα e metotrexate;<br />
quest’ultimo farmaco è stato valutato in monosomministrazione<br />
o associato a terapia con immunosoppressori sistemici (ciclosporina,<br />
azatioprina), ed a farmaci biologici quali infliximab (anticorpo<br />
monoclonale) ed etanercept (proteina di fusione ottenuta tramite<br />
tecniche del DNA ricombinante che funziona da recettore per il<br />
TNFα) (Heiligenhaus et al., 2007; Thorne et al., 2007; Simonini et al.,<br />
32<br />
L. Ambrosio et al.<br />
Tabella I.<br />
Uveiti: classificazione clinica.<br />
Uveite acuta Uveite cronica<br />
Esordio Improvviso Insidioso<br />
Durata Meno di 3 mesi Più di 3 mesi<br />
Sintomatologia Fotofobia, dolore, arrossamento oculare, calo del Arrossamento oculare lieve, miodesopsie.<br />
visus, lacrimazione<br />
N.B. talvolta può essere anche asintomatica<br />
Figura 1.<br />
Sinechie irido-lenticolari in corso di uveite cronica recidivante.<br />
2010) ed ha dimostrato risultati molto promettenti per la terapia a<br />
lungo termine (Kalinina Ayuso et al., 2011) e per la gestione delle<br />
complicanze. L’uso del MTX determina un allungamento notevole<br />
del tempo che intercorre tra la diagnosi di cataratta e la necessità<br />
del trattamento chirurgico (estrazione extracapsulare della stessa<br />
associata a vitrectomia anteriore ampia) (Sijssens et al., 2007).<br />
Tra gli agenti anti-TNFα l’adalimumab è in grado di risolvere sia<br />
la sintomatologia artritica che quella oculare uveitica, al contrario<br />
dell’etanercept che non risulta essere molto attivo contro l’uveite<br />
(Biester et al., 2007).<br />
Studi recenti (Guellac et al., 2008; Angeles-Han et al., 2010) hanno<br />
dimostrato come un opportuno trattamento sia capace di determinare<br />
un consistente miglioramento della sintomatologia in corso di<br />
AIG e di determinare miglioramento anche della qualità della vita dei<br />
bambini e degli adolescenti affetti da questa patologia.<br />
Le congiuntiviti allergiche<br />
Le allergie oculari, problema in costante crescita, interessano il 15-<br />
25% della popolazione europea, e fino al 30% dei bambini atopici.<br />
L’incidenza delle rinocongiuntiviti è aumentata negli ultimi 15-20<br />
anni in relazione sia alla maggiore attenzione di medico e paziente<br />
che ai cambiamenti climatici (Leonardi et al., 2008).<br />
Il termine congiuntiviti allergiche si riferisce ad un insieme di malattie<br />
da ipersensibilità che colpiscono palpebra, congiuntiva e cornea.<br />
La classificazione comprende varie forme cliniche suddivise<br />
in due gruppi: il primo include le più frequenti, le congiuntiviti allergiche<br />
stagionali (SAC) e perenni (PAC), causate da una reazione di<br />
degranulazione mastocitaria IgE-mediata determinata dall’esposizione<br />
ad allergeni ambientali, come graminacee, acari, muffe e<br />
peli di animali; il secondo le forme croniche severe meno frequenti,<br />
la cheratocongiuntivite vernal (VKC) e la cheratocongiuntivite<br />
atopica (AKC), a patogenesi complessa e complicate spesso dal<br />
coinvolgimento corneale (Leonardi et al., 2008).<br />
La severità dei sintomi nella SAC o PAC è estremamente variabile. La<br />
SAC è una manifestazione acuta o subacuta autolimitantesi caratte-<br />
Tabella II.<br />
Considerazioni per un corretto iter diagnostico delle congiuntiviti allergiche.<br />
<strong>•</strong> Raccogliere un’attenta anamnesi<br />
<strong>•</strong> Valutare i segni e i sintomi del paziente<br />
<strong>•</strong> Effettuare un approfondito esame clinico<br />
<strong>•</strong> Determinare se il sintomo “prurito” è presente<br />
<strong>•</strong> Avvalersi di Schirmer test, prick test o test di provocazione<br />
<strong>•</strong> Praticare citologia lacrimale o congiuntivale<br />
<strong>•</strong> Testare le IgE nelle lacrime e il break-up time<br />
<strong>•</strong> Collaborare con gli allergologi
Attualità in oftalmologia pediatrica. Una revisione della letteratura 2007- 2010<br />
A B<br />
C D<br />
Figura 2.<br />
Congiuntivite allergica: A. Iperemia congiuntivale e diffusa ipertrofia papillare. B e C: Papille giganti. D: Interessamento corneale in corso di VKC.<br />
rizzata da prurito, arrossamento e gonfiore palpebrale, lacrimazione<br />
e bruciore. Nella PAC segni e sintomi persistono con vario grado<br />
di severità per mesi e si associano a riniti stagionali o perenni. I<br />
bambini affetti da VKC presentano prurito, lacrimazione, fotofobia,<br />
sensazione di corpo estraneo, bruciore, spesse secrezioni mucoidi<br />
e frequentemente coinvolgimento corneale. Nell’AKC i sintomi sono<br />
simili ma associati ad una malattia atopica più grave e non remittente<br />
(Fig. 2).<br />
La diagnosi è principalmente clinica ma può essere corredata da<br />
test oggettivi.<br />
Nella tabella II vengono riassunti gli aspetti fondamentali da considerare<br />
per una corretta diagnosi.<br />
Talvolta possono coesistere congiuntiviti virali, sindrome dell’occhio<br />
secco, meibomiti croniche (infiammazione delle ghiandole palpebrali<br />
del Meibomio) e blefariti.<br />
Inoltre risulta fondamentale la prevenzione e l’educazione comportamentale<br />
del paziente e della famiglia, tra le misure da adottare:<br />
utilizzare occhiali da sole, cambiare frequentemente abiti, curare<br />
l’igiene personale, evitare di stropicciarsi gli occhi e di portare<br />
spesso le mani al viso. Inoltre si raccomanda di evitare l’utilizzo di<br />
colliri a base di estratti naturali. I sostituti lacrimali risultano altresì<br />
una precoce opzione terapeutica avendo lo scopo di allontanare gli<br />
allergeni dal film lacrimale.<br />
Nei casi di SAC e PAC la prima linea di trattamento prevede colliri<br />
a duplice meccanismo d’azione, antistaminico e stabilizzatore della<br />
membrana mastocitaria (olopatadina, ketotifene, azelastina, epinastina).<br />
Nelle forme severe quali la VKC e l’AKC la terapia va iniziata<br />
prima dell’arrivo del caldo tra febbraio e marzo con la combinazione<br />
di un farmaco a duplice meccanismo d’azione (farmaci citati precedentemente)<br />
e la lodoxamide. Tale protocollo terapeutico riduce la<br />
necessità degli steroidi per uso topico per periodi lunghi di trattamento.<br />
Nonostante ciò in alcuni casi acuti e refrattari, i corticosteroidi<br />
topici risultano risolutivi e andranno somministrati a dosaggio<br />
alto di attacco per la prima settimana di trattamento, scalati nella<br />
settimana successiva. Nei casi refrattari alle terapie convenzionali<br />
la ciclosporina A in collirio sembra essere efficace e sicura (Ozcan<br />
et al., 2007; Ebihara et al., 2009; Pucci et al., 2010; Cornish et al.,<br />
2010; Tesse et al., 2010).<br />
In un futuro prossimo si spera siano disponibili anticorpi monoclonali<br />
o frammenti di anticorpo contro molecole coinvolte nel processo patogenetico<br />
accanto a dispositivi quali impianti congiuntivali, liposomi<br />
o nanoparticelle che riescano a migliorare biodisponibilità, compliance<br />
ed efficacia del farmaco minimizzando gli effetti collaterali.<br />
Nuovi approcci terapeutici alla terapia del<br />
cheratocono in età pediatrica<br />
Il cheratocono è una patologia degenerativa della cornea ad esordio<br />
puberale, generalmente bilaterale e ad evoluzione asimmetrica,<br />
33
progressiva e sporadica con componente genetica nel 10% dei casi.<br />
L’incidenza, sottostimata alla luce delle attuali capacità diagnostiche,<br />
è 1/2.000 casi. In corso di cheratocono il collagene corneale è caratterizzato<br />
da una struttura terziaria e quaternaria alterata che lo rende<br />
meno rigido, con diminuita presenza di legami intrafibrillari e interfibrillari,<br />
progressivo assottigliamento e modifica del profilo corneale<br />
con decadimento delle proprietà e delle qualità ottiche e conseguente<br />
astigmatismo irregolare tendenzialmente miopico progressivo.<br />
All’esame oculistico di routine si riscontra una deformazione delle<br />
mire cheratometriche. L’esame strumentale necessario per confermare<br />
il sospetto diagnostico è la topografia corneale.<br />
Allo stadio iniziale, le lenti a tempiale e le lenti a contatto (LAC)<br />
morbide o rigide sono sufficienti a correggere il difetto refrattivo.<br />
Successivamente, con il progredire della patologia, la correzione<br />
mediante LAC potrebbe risultare insufficiente o potrebbe verificarsi<br />
una ridotta tollerabilità alla LAC, in questi casi si deve ricorrere a<br />
terapie alternative. Gli anelli intrastromali Intacs o di Ferrara sono<br />
stati proposti nel trattamento chirurgico del cheratocono non evoluto<br />
intollerante alla LAC. Questi dispositivi si compongono di due semianelli<br />
ultrasottili e trasparenti in polimetilmetacrilato (PMMA) che<br />
vengono posizionati nello stroma corneale periferico con l’obiettivo<br />
di appiattire e centrare l’apice del cheratocono migliorando l’acuità<br />
visiva naturale o corretta (Coskunseven et al., 2009).<br />
La tecnica chirurgica classica è certamente la cheratoplastica perforante,<br />
che è raccomandata nelle forme evolute (Caporossi et al.,<br />
2008). La cheratoplastica lamellare profonda consente di rimuovere<br />
solo lo stroma ectasico risparmiando l’endotelio sano, riducendo<br />
così il rischio di rigetto.<br />
Negli ultimi anni è stato proposto un trattamento meno invasivo: il<br />
Cross-Linking Corneale. Consiste nella fotopolimerizzazione delle<br />
fibre stromali del collagene corneale mediante l’azione combinata<br />
di una sostanza fotosensibilizzante in collirio (Riboflavina o Vitamina<br />
B12) e di una irradiazione a basso dosaggio con raggi ultravioletti<br />
di tipo A (UV-A). Il processo comporta l’attivazione di radicali liberi<br />
– dell’ossigeno (O ) che inducono una desaminazione ossidativa del<br />
2<br />
collagene ed una conseguente formazione di nuovi ponti molecolari<br />
intraelicoidali ed interfibrillari con intreccio e rinforzo della cornea<br />
nel tentativo di bloccarne lo sfiancamento (Seiler et al., 2007).<br />
Studi recenti mostrano come il Cross-Linking possa effettuarsi su<br />
pazienti pediatrici di età compresa tra i 10 e i 16 anni affetti da che-<br />
Figura 3.<br />
Topografia corneale: cheratocono.<br />
34<br />
L. Ambrosio et al.<br />
ratocono. In questa fascia d’età la patologia presenta una progressione<br />
estremamente rapida ed è necessario praticare esami topografici<br />
e pachimetrici ad intervalli regolari di un mese. Un serrato monitoraggio<br />
permette di identificare immediatamente i segni di progressione:<br />
modifiche della mappa topografica, riduzione dell’acuità visiva<br />
e intolleranza alle LAC. Alla loro comparsa andrebbe proposto il trattamento<br />
purché lo spessore corneale non sia inferiore ai 400 mm. I<br />
risultati appaiono incoraggianti: la progressione è stata arrestata in<br />
tutti i casi; si è ottenuta una riduzione dell’ectasia ed una notevole regolarizzazione<br />
della superficie corneale di non comune riscontro negli<br />
adulti. Le fibre collagene delle cornee giovani sono così elastiche<br />
da rispondere molto bene allo stimolo dei raggi UV. Si è riscontrato<br />
anche un significativo guadagno in linee di acuità visiva che sembra<br />
stabile nel tempo. Benché il follow-up non sia ancora molto lungo,<br />
nel corso di 2 anni non sono stati notati cambiamenti e ciò è molto<br />
promettente considerando la rapida evoluzione della malattia in età<br />
pediatrica (Caporossi et al., 2010).<br />
Nuove frontiere: la terapia genica<br />
La pubblicazione della mappa del genoma umano ha indicato un<br />
nuovo corso della medicina. Una copia non ancora definitiva fu rilasciata<br />
nel 2000, il codice quasi completo nel 2003. Sebbene le<br />
potenzialità dei test e della ricerca genetica siano state ampiamente<br />
rese note, successi nell’applicazione di questa tecnologia al fine di<br />
migliorare la diagnosi e sviluppare nuovi trattamenti, come la terapia<br />
genica, sono ancora lontani. Le proprietà naturali dell’occhio, unitamente<br />
al fatto che esistono numerose malattie oculari ereditarie, lo<br />
rendono un terreno fertile per l’applicazione dei principi della terapia<br />
genica. L’anatomia e l’architettura di questo organo, insieme al fatto<br />
che è totalmente isolato dal resto del corpo per quanto concerne la<br />
risposta immunologica, lo pongono in una posizione privilegiata ed<br />
unica per la terapia genica: è piccolo, in modo che consenta l’uso di<br />
piccoli volumi di vettori, costosi da produrre; è altamente compartimentalizzato,<br />
il che significa poter raggiungere parti specifiche con<br />
le tecniche chirurgiche mininvasive; le cellule sono relativamente<br />
stabili, tanto che infettandole con il vettore virale potrebbero esprimere<br />
il gene terapeutico per la vita dell’individuo a seguito di una<br />
singola somministrazione di vettore. Inoltre, quando iniettati all’interno<br />
dell’occhio i vettori si diffondono poco ai tessuti extraoculari e
Attualità in oftalmologia pediatrica. Una revisione della letteratura 2007- 2010<br />
la trasparenza dei mezzi diottrici migliora la possibilità di monitoraggio<br />
sia degli effetti terapeutici che della reazione locale.<br />
Prima della pubblicazione degli studi sull’uso di un vettore adenoassociato<br />
che contiene sequenze codificanti per il gene umano<br />
RPE65 in pazienti con amaurosi congenita di Leber (LCA), il trasferimento<br />
genico, considerata un’opportunità terapeutica di straordinaria<br />
importanza in tale patologia, era stato tentato solo due volte<br />
nell’oftalmologia umana. I trial terapeutici sulla terapia genica<br />
nell’LCA, condotti anche in Italia, riportano le scoperte iniziali fatte<br />
su diciotto pazienti coinvolti in studi separati di fase I di sicurezza e<br />
dosaggio (Bainbridge et al., 2008; Hauswirth et al., 2008; Maguire<br />
et al., 2008; Maguire et al., 2009). L’LCA è stata scelta in modo<br />
specifico come target della ricerca poiché, sebbene caratterizzata<br />
da una grave ipovisione fin dai primi anni di vita, in questa forma<br />
la retina non va incontro a degenerazione fino alla terza decade<br />
di vita: i pazienti tra i 13 e i 19 anni hanno una struttura retinica<br />
relativamente conservata, cosicché un intervento precoce offre<br />
l’opportunità di un miglioramento della funzione visiva. Lo scopo<br />
è di ripristinare la funzionalità della ben nota catena molecolare<br />
di eventi che conduce all’espressione fenotipica dell’LCA. Mutazioni<br />
del gene RPE65 infatti portano ad un blocco del ciclo visivo<br />
cioè del pathway biochimico che aiuta a rigenerare il pigmento<br />
visivo dopo l’esposizione alla luce. Il malfunzionamento di questo<br />
processo ha come esito una severa ipovisione e, con il tempo, la<br />
Box di orientamento<br />
degenerazione dei bastoncelli. I coni, pur possedendo un pathway<br />
alternativo di rigenerazione dei cromofori vanno anch’essi incontro<br />
a degenerazione e ciò determina una grave compromissione della<br />
funzione visiva. L’intervento è stato eseguito con l’iniezione nello<br />
spazio sottoretinico di un vettore virale adeno-associato contenente<br />
una copia corretta del gene RPE 65 che causa la malattia. Il<br />
gene si è inserito stabilmente nella retina ed ha prodotto la proteina<br />
mancante negli individui malati. Sebbene non specificatamente<br />
disegnati per determinare la funzione visiva, ogni studio ha rivelato<br />
una qualche attività biologica negli occhi trattati: sono migliorate<br />
la risposta della retina alla luce, la capacità di eseguire alcuni test<br />
di mobilità e la percezione del campo visivo. Di profondo significato<br />
è che nessuno dei tre trial abbia riportato la comparsa di seri<br />
effetti avversi o di complicazioni sistemiche. I tre studi si pongono<br />
le medesime domande in gruppi di pazienti simili utilizzando vettori<br />
simili, ma con qualche lieve differenza in termini di sequenza<br />
del promotore e di approccio chirurgico. Le informazioni ricavate<br />
da questi trial saranno per molti aspetti complementari.<br />
Lo studio LCA dimostra che la terapia genica mediata da virus adeno-associati<br />
permette il recupero parziale del visus in una particolare<br />
condizione prima considerata intrattabile e nonostante sia uno<br />
studio di fase I ci auguriamo che questo possa anche essere un<br />
trampolino di lancio per la comprensione dei meccanismi di cura di<br />
tante altre patologie retiniche ereditarie.<br />
<strong>•</strong> Le uveiti anteriori croniche in corso di artrite idiopatica giovanile vanno trattate con terapie combinate per via topica e sistemica allo scopo di ridurre<br />
nello stesso tempo sia i sintomi oculari che quelli artritici. Il metotrexate ha dimostrato risultati molto promettenti per la terapia a lungo termine<br />
dell’uveite anteriore cronica e per la gestione delle complicanze oculari. Tra gli agenti anti-TNFα è stato dimostrato che l’adalimumab è in grado di<br />
risolvere sia la sintomatologia artritica che quella oculare uveitica.<br />
<strong>•</strong> L’incidenza delle rinocongiuntiviti di natura allergica risulta aumentata negli ultimi 20 anni. L’oftalmologo dispone di una vasta gamma di farmaci<br />
topici rispetto alla gravità dei sintomi. Per le congiuntiviti allergiche refrattarie alle terapie convenzionali la ciclosporina A è risultata essere molto<br />
efficace.<br />
<strong>•</strong> Studi recenti dimostrano che il Cross-Linking Corneale può essere proposto come terapia per il cheratocono in età pediatrica, essendo una tecnica<br />
molto efficace per bloccarne l’evoluzione.<br />
<strong>•</strong> Un modello di terapia genica: le caratteristiche anatomiche dell’occhio, unitamente al fatto che esistono numerose malattie oculari a componente<br />
genetica, rendono tale organo terreno fertile per l’applicazione dei principi di terapia genica. Passi molto promettenti sono stati compiuti attraverso<br />
l’uso di un vettore adenovirale in pazienti con amaurosi congenita di Leber (LCA).<br />
Per LCA si intende un gruppo di distrofie retiniche ereditarie caratterizzate da una grave compromissione della funzione visiva alla nascita o nella<br />
prima decade di vita. Si trasmette secondo un modello autosomico recessivo, anche se sono stati descritti casi con trasmissione autosomica dominante.<br />
L’LCA rappresenta il 10-18% dei casi di cecità congenita. Fino ad oggi sono state descritte numerose mutazioni a carico di diversi geni<br />
che fenotipicamente determinano l’LCA. Gli studi di terapia genica si sono concentrati su modelli ove era presente la mutazione del gene RPE65,<br />
questa forma rappresenta il 10% dei casi di amaurosi congenita di Leber. L’aspetto clinico è molto simile alle forme di retinite pigmentosa ad insorgenza<br />
precoce: grave compromissione della funzione visiva, nistagmo, quadro oftalmoscopico eterogeneo: da una apparente normalità a quadri<br />
più caratteristici come distrofia “sale e pepe”, alterazione dell’epitelio pigmentato retinico o accumuli pigmentari retinici, pallore della papilla ottica.<br />
L’elettroretinogramma risulta fortemente ridotto o estinto.<br />
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** Studio molto importante per gli approcci futuri della terapia genica alle patologie<br />
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** Utile studio che conferma l’utilità di intraprendere terapie addizionali antinfiammatorie<br />
con metotrexate in corso di artrite idiopatica giovanile.<br />
Heiligenhaus A, Niewerth M, Ganser G, et al.; German Uveitis in Childhood Study<br />
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** Studio molto importante per l’ampia casistica analizzata.<br />
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** Lavoro molto interessante: è una analisi immunoistochimica su di un occhio<br />
Corrispondenza<br />
36<br />
L. Ambrosio et al.<br />
enucleato per panuveite da artrite cronica giovanile, utile per comprendere i<br />
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** Articolo pubblicato su di una rivista prestigiosa, con una casistica molto ampia,<br />
utile per comprendere le caratteristiche cliniche ed epidemiologiche delle uveiti<br />
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Dott. Lucia Ambrosio, Dipartimento di Scienze Oftalmologiche, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Napoli Federico II, via Sergio<br />
Pansini 5, 80131 Napoli. Tel. +39 081 7462293. E-mail: lucyambro@yahoo.it
<strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> <strong>2012</strong> <strong>•</strong> <strong>Vol</strong>. <strong>42</strong> <strong>•</strong> N. <strong>165</strong> <strong>•</strong> pp. 37-<strong>42</strong><br />
la cataratta congenita:<br />
iter diagnostico-terapeutico<br />
Introduzione<br />
La cataratta congenita, definita come opacità del cristallino che si<br />
manifesta in un tempo compreso tra la nascita e il 12° mese di<br />
vita, ha un’incidenza di 1-6 casi su 10.000 nati vivi, e rappresenta<br />
un’importante causa di cecità nel mondo (Foster et al., 1992; Abrahamsson<br />
et al., 1999).<br />
Essa, se non adeguatamente trattata, compromette in maniera permanente<br />
lo sviluppo visivo del bambino, determinando un deficit che<br />
va dall’ambliopia fino alla cecità. L’ambliopia è infatti curabile ma<br />
solo se diagnosticata e trattata precocemente. Per questo motivo, la<br />
collaborazione pediatra-oculista per l’individuazione precoce e per<br />
la pianificazione di un corretto iter diagnostico-terapeutico è cruciale<br />
nella gestione della cataratta congenita. (You et al., 2011)<br />
Metodologia<br />
Per la revisione della letteratura è stato utilizzato il motore di ricerca<br />
Pubmed (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed). L’argomento<br />
oggetto di questa revisione è stato selezionato tra gli articoli delle<br />
riviste specializzate in Oftalmologia Pediatrica, in particolare dal<br />
gennaio 2007 al marzo 2011.<br />
Eziologia<br />
L’eziologia della cataratta congenita è molteplice (Tab. I): per circa<br />
un terzo è ereditaria, per un terzo associata ad altre malattie o sindromi,<br />
e per il rimanente terzo è idiopatica (Haargaard et al., 2004).<br />
La cataratta ereditaria isolata rappresenta circa il 25% dei casi e<br />
la modalità di trasmissione più frequente è quella autosomica dominante;<br />
26 dei 39 loci mappati sono stati associati a mutazioni<br />
in specifici geni, che codificano nel 50% dei casi per α-crystallin,<br />
β-crystallin, γ-crystallin (proteine “chaperone-like” importanti per<br />
il mantenimento della trasparenza del cristallino), nell’altro 25%<br />
per connessine (proteine costituenti delle gap-junction), nel restante<br />
25% per altre proteine quali “heat shock transcription factor-4”<br />
(HSF4), “aquaporin-0” (AQP0), “beaded filament structural protein-2”<br />
(BFSP2).<br />
Tra le altre cause più frequenti di cataratta congenita vi sono poi<br />
le anomalie cromosomiche (in particolare la sindrome di Down), i<br />
disturbi del metabolismo e l’infezione da rosolia (Kanski, 2007).<br />
La cataratta può presentarsi mono- o bilateralmente. Le cataratte<br />
congenite monolaterali, a differenza di quelle bilaterali, sono più<br />
spesso legate a disgenesie locali oculari e non a patologie sistemiche/ereditarie.<br />
Tuttavia la cataratta congenita si manifesta nei 2/3<br />
dei casi bilateralmente. (Hejtmancik, 2008).<br />
Lo screening<br />
oCULIStICA<br />
Adriano Magli * , Elena Piozzi ** , Eduardo Maselli *** , Giovanni Marsico * ** ,<br />
Francesco Matarazzo * , Luca Rombetto *<br />
* Dipartimento di Scienze Oftalmologiche, Area Funzionale di Oftalmologia Pediatrica, Università degli Studi di Napoli Federico<br />
II; ** SC Oculistica Pediatrica Ospedale “Niguarda Ca’ Granda”, Milano; *** AO Sondrio, Primario Emerito Oftalmologia<br />
Riassunto<br />
L’articolo si propone di approfondire le tappe fondamentali del percorso diagnostico e terapeutico della cataratta congenita, focalizzando l’attenzione sulla<br />
collaborazione tra pediatra ed oculista. Dal punto di vista diagnostico, screening e diagnosi precoce sono essenziali ai fini dell’efficacia della terapia, così<br />
come critica appare la scelta del tipo e del timing dell’intervento prescelto. Il raggiungimento di un outcome visivo soddisfacente viene assicurato grazie<br />
ad un attento follow-up e ad un trattamento antiambliopico aggressivo.<br />
Summary<br />
The article deals with the main stages of the congenital cataract management, focusing on diagnosis and therapy. We underline the importance of screening<br />
process and early diagnosis for a successful visual outcome. We also discuss the surgical options and the timing of surgery and the relevance of visual<br />
rehabilitation, patching and spectacles correction as an essential part of therapy.<br />
Selezionare i bambini che hanno bisogno di una visita oftalmologica<br />
approfondita è il primo passo nell’iter diagnostico della cataratta<br />
congenita. Questo deve essere realizzato il più precocemente possibile,<br />
già dai primi giorni di vita.<br />
I fattori da prendere in considerazione nello screening sono:<br />
1) un’anamnesi familiare positiva per cataratta congenita o per altre<br />
malattie che si associano a cataratta congenita (Tab. I);<br />
2) basso peso alla nascita (Haargaard, 2005);<br />
3) anomalie del riflesso rosso.<br />
Quest’ultimo è usato per valutare la trasparenza dei mezzi diottrici.<br />
Viene eseguito puntando una mira luminosa in ciascun occhio,<br />
oppure con un oftalmoscopio diretto che illumina simultaneamente<br />
le due pupille (Bruckner test). L’esaminatore deve rispondere alle<br />
seguenti domande:<br />
- il riflesso rosso è presente in entrambi gli occhi?<br />
- i riflessi sono simmetrici nei due occhi?<br />
- la qualità del riflesso è da considerarsi normale nel bambino<br />
37
Tabella I.<br />
Cataratta congenita – classificazione eziologica (Wilson, 2005).<br />
Isolata Ereditaria Autosomica dominante<br />
Autosomica recessiva<br />
X- linked<br />
Sporadica<br />
Parte di una sindrome o di una<br />
patologia sistemica<br />
38<br />
(1p36, 2p12, 15q21-q22, 20p12-q12)<br />
(3p22-p24.2, 19q13.4, 9q13-q22)<br />
(Xp22.13)<br />
Ereditaria Associata a patologie renali Sindrome di Alport<br />
Sindr. oculocerebrorenale di Lowe<br />
Non<br />
ereditaria<br />
Associata a patologie del sistema nervoso<br />
centrale<br />
esaminato (tenendo conto della sua etnia e colore della pelle)?<br />
Se la risposta ad una delle domande è “no” il riflesso rosso è da considerarsi<br />
anormale ed il bambino dovrà essere visitato da un oculista<br />
esperto in oftalmologia pediatrica.<br />
La visita oculistica e la morfologia della cataratta<br />
La visita oculistica, durante l’esame di un bambino con sospetta cataratta<br />
congenita, ha due obiettivi principali: accertare la diagnosi e<br />
valutare il grado di compromissione che la cataratta determina.<br />
Sindrome di Smith-Lemli-Opitz<br />
Sindrome di Laurence-Moon-Bardet-Biedel<br />
Associata a patologie scheletriche Sindrome di Marfan<br />
Sindrome di Conradi<br />
Sindrome epifisi punteggiate<br />
Associata ad anomalie cranio-facciali Sindrome di Hallermann-Streiff<br />
Sindrome di Pierre Robin<br />
Malattia di Crouzon<br />
Sindrome di Apert<br />
Oxicefalia<br />
Associata alla polidattilia Sindrome di Rubinstein-Taybi<br />
Associata a patologie della cute Sindrome di Siemen<br />
Dermatite atopica<br />
Sindrome di Marshall<br />
Sindrome di Cockayne<br />
Associata a cromosomopatie Trisomia 13<br />
Trisomia 18<br />
Trisomia 21<br />
Sindrome di Turner<br />
Associata a patologie metaboliche Galattosemia<br />
Deficit di galattochinasi<br />
Malattia di Fabry<br />
Mannosidosi<br />
Cause pre-natali Rosolia<br />
Toxoplasmosi<br />
Varicella<br />
CMV<br />
HSV<br />
Ipossia intrauterina<br />
Cause post-natali Retinopatia del prematuro<br />
Ipoglicemia<br />
Ipocalcemia<br />
Radiazioni<br />
Traumi<br />
Uveiti croniche<br />
Diabete mellito<br />
Insufficienza renale<br />
Associata ad altre anomalie oculari Microftalmo<br />
Aniridia<br />
Retinite pigmentosa<br />
Coloboma<br />
Lenticono<br />
A. Magli et al.<br />
Gli esami necessari per confermare la diagnosi sono l’esame alla<br />
lampada a fessura e l’oftalmoscopia binoculare indiretta (Lloyd et<br />
al., 2007).<br />
Una volta riscontrata la presenza di cataratta, è importante distinguerne<br />
la morfologia. Difatti per i chirurghi la classificazione morfologica<br />
è dirimente, poiché la decisione di intervenire dipende largamente<br />
dalla densità della cataratta (Taylor et al., 2005). I diversi<br />
pattern di presentazione sono:<br />
– Cataratta congenita polare: l’estensione è molto variabile; consiste<br />
in una opacità coinvolgente la zona polare anteriore o po-
La cataratta congenita: iter diagnostico-terapeutico<br />
Figura 1.<br />
Cataratta congenita lenticolare (zonulare).<br />
La cataratta congenita di tipo lenticolare è spesso bilaterale e non si<br />
associa frequentemente ad altre anomalie oculari congenite.<br />
steriore del cristallino. Alcune forme di cataratta polare anteriore<br />
possono assumere un aspetto protrudente in camera anteriore<br />
e presentare connessioni filamentose con la cornea (associate<br />
a glaucoma). Le forme polari posteriori, invece, possono essere<br />
suddivise in due tipologie, stabile e progressiva: la prima non<br />
tende a progredire nel tempo ed è un residuo dell’arteria ialoidea,<br />
la seconda tende ad aumentare nel tempo estendendosi<br />
verso l’equatore senza mai coinvolgere il nucleo.<br />
– Cataratta congenita lenticolare: coinvolgono lo stroma del cristallino.<br />
Ne esistono forme differenti: suturale, assiale, zonulare<br />
(o lamellare, Fig. 1), nucleare, corticale.<br />
– Opacità congenita capsulare: possono coinvolgere la capsula<br />
anteriore o posteriore (Fig. 2). Nel primo caso non superano<br />
il millimetro di diametro, sono disposte ad anello alla media<br />
periferia del cristallino, sono di aspetto biancastro, spesso<br />
pigmentate. Nel secondo caso, invece, sono difficili da identificare<br />
sia per la localizzazione sulla faccia posteriore del<br />
cristallino, sia per le piccoli dimensioni e per l’assenza di<br />
pigmento.<br />
Figura 2.<br />
Cataratta congenita polare posteriore.<br />
La cataratta congenita polare posteriore è di solito unilaterale, può<br />
associarsi a persistenza della vascolarizzazione fetale, microftalmo ed<br />
anomalie della capsula. A causa di queste alterazioni associate, la rimozione<br />
chirurgica può risultare più difficoltosa.<br />
– Cataratta congenita subtotale/totale: sono opacità che coinvolgono<br />
tutto il cristallino, e possono essere bilaterali. Talvolta da<br />
subtotali alla nascita possono evolvere rapidamente in totali<br />
dopo pochi mesi e sono spesso associate a sublussazione della<br />
lente. Sono associate a gravi sofferenze fetali e altre patologie<br />
oculari come il microftalmo. (Wilson et al., 2005).<br />
È importante sottolineare come la maggior parte dei tipi di cataratte,<br />
se non trattate, diventeranno in maniera graduale cataratte totali.<br />
Un passaggio decisivo, inoltre, è la valutazione dell’impegno visivo. Nei<br />
bambini in età preverbale la misurazione dell’acuità visiva si limita alla<br />
valutazione qualitativa della fissazione, dei movimenti di inseguimento<br />
e dalla fissazione preferenziale, attirando l’attenzione del bambino<br />
verso il viso dell’esaminatore o di un genitore. Dato che i bambini con<br />
un deficit visivo monolaterale si oppongono all’occlusione dell’occhio<br />
sano, l’occlusione alternata degli occhi è una tecnica utilizzata per<br />
giudicare il grado di resistenza opposto, valutando la qualità visiva<br />
relativa in entrambi gli occhi. Una valutazione attendibile è però molto<br />
difficile da ottenere nei bambini al di sotto dei 3 mesi di vita e nella<br />
maggior parte dei pazienti le informazioni più importanti derivano<br />
dall’esame obiettivo e dalla valutazione morfologica della cataratta. La<br />
scarsa visualizzazione del fundus fornisce importanti dati sulla significatività<br />
clinica, in termini di riduzione della capacità visiva. Inoltre alterazioni<br />
oculari quali strabismo e nistagmo suggeriscono una scarsa<br />
capacità visiva (Fan et al., 2006).<br />
Il trattamento chirurgico<br />
Selezionati i pazienti da operare chirurgicamente, la problematica<br />
verte intorno alla tempistica ed alla tecnica chirurgica da adoperare.<br />
Quali pazienti operare?<br />
I pazienti a rischio di sviluppare ambliopia da deprivazione e conseguente<br />
perdita della visione necessitano di intervento chirurgico. Le<br />
opacità presenti sull’asse visivo maggiori di 3 mm, visibili con pupilla<br />
non dilatata (Fig. 3), le cataratte posteriori e le cataratte omogeneamente<br />
dense sono associate a riduzione visiva maggiore. Per questi<br />
pazienti è sicuramente indicato il trattamento chirurgico. Bambini<br />
Figura 3.<br />
Cataratta nucleare densa in neonato con pupilla miotica.<br />
La cataratta congenita nucleare è spesso evidente sin dai primi giorni<br />
di vita, è densa, coinvolge l’asse visivo, ed i neonati che ne sono affetti<br />
sono ad alto rischio di sviluppare ambliopia. Pertanto la terapia chirurgica<br />
va attuata precocemente.<br />
39
con opacità disomogenee e subcliniche, invece, non sempre richiedono<br />
un approccio chirurgico precoce, ma necessitano comunque di<br />
uno stretto follow-up (Zetterström et al., 2007).<br />
Qual è la tempistica operatoria?<br />
Attualmente il timing dell’intervento chirurgico è oggetto di un intenso<br />
dibattito scientifico. Sebbene non vi sia ancora una scelta univoca,<br />
è largamente condivisa l’opinione che la cataratta bilaterale<br />
densa va operata entro i 2-3 mesi di vita nella stessa seduta simultaneamente<br />
(Totan et al., 2009; Magli et al., 2009; Dave et al., 2010),<br />
che la cataratta monolaterale densa deve essere operata entro 1-2<br />
mesi di vita (Fan et al., 2006) e che le cataratte unilaterali e bilaterali<br />
possono essere operate verso i 2-3 anni d’età (Chak et al., 2006).<br />
L’attenzione deve essere rivolta al raggiungimento del giusto equilibrio<br />
tra un approccio chirurgico precoce, che permette un migliore<br />
outcome visivo (Kim et al., 2010) e le complicanze che invece sono<br />
annesse alla precocità stessa dell’intervento chirurgico (Zetterström<br />
et al., 2007).<br />
Quali sono le tecniche chirurgiche e quando impiantare la<br />
Lente Intraoculare?<br />
Le tecniche chirurgiche adoperate sono varie e dipendono dall’età<br />
del bambino e dall’esperienza del chirurgo. La chirurgia standard<br />
della cataratta congenita in bambini con meno di sei mesi comprende<br />
aspirazione del cristallino, capsulectomia posteriore primaria e<br />
vitrectomia anteriore (Lambert et al., 2006).<br />
Il paziente, operato di cataratta, è reso a questo punto afachico<br />
dall’intervento primario; il cristallino rimosso deve quindi essere<br />
sostituito artificialmente tramite Lente Intraoculare (IOL). L’impianto<br />
della IOL rimane ancora controverso e materia attuale di studi e discussioni.<br />
Questo può essere primario, nella stessa seduta dell’aspirazione<br />
della cataratta, oppure secondario, dopo un periodo di correzione<br />
con lenti a contatto (LAC).<br />
Nei piccoli operati di cataratta congenita monolaterale, è da preferire<br />
l’impianto primario. Nei casi operati bilateralmente e simultaneamente,<br />
si preferisce l’impianto secondario (Magli et al., 2008).<br />
Perché è importante la scelta della IOL?<br />
È ben documentato che i bambini alla nascita sono ipermetropi, e<br />
raggiungono gradualmente l’emmetropia durante i primi anni di vita.<br />
Questo processo, chiamato emmetropizzazione, riflette cambiamenti<br />
della crescita oculare finemente regolati, in cui all’aumento della<br />
lunghezza assiale (dai 16,8 mm alla nascita ai 23,6 mm nell’adulto)<br />
corrisponde una diminuzione del potere refrattivo del cristallino (dai<br />
34,4 D a 18,8 D) (Gordon et al., 1985).<br />
Per garantire un adeguato stato refrattivo, bisogna tener conto<br />
di questi cambiamenti e dell’effetto che la IOL stessa ha nel<br />
processo dell’emmetropizzazione quando si sceglie il potere del<br />
cristallino artificiale. La IOL, a differenza del cristallino, ha un<br />
potere refrattivo che non varia nel tempo e quindi con l’aumentare<br />
fisiologico della lunghezza dell’asse visivo determinerà una<br />
miopia di entità tanto maggiore quanto più precocemente è stato<br />
eseguito l’impianto, con il risultato di uno stato refrattivo inadeguato<br />
e la necessità di sostituire la IOL con una di minor potere<br />
(Hoevenaars et al., 2010; Lloyd et al., 2007). Per questo motivo,<br />
in base all’età del bambino, si preferisce impiantare una IOL che<br />
lascia l’occhio inizialmente ipermetrope ma che nel tempo risulterà<br />
emmetrope.<br />
Altri Autori, invece, preferiscono garantire un adeguato stato refrattivo<br />
con l’uso di LAC di alto potere diottrico ed impiantare secondariamente<br />
la IOL verso i tre anni d’età. Questa strategia terapeutica<br />
40<br />
A. Magli et al.<br />
Tabella II.<br />
Complicanze post-operatorie.<br />
Precoci Tardive<br />
<strong>•</strong> Infiammazione intraoculare <strong>•</strong> Opacizzazione della capsula<br />
posteriore<br />
<strong>•</strong> Edema corneale <strong>•</strong> Formazione di membrane fibrose<br />
<strong>•</strong> Endoftalmite <strong>•</strong> Pigmentazione della IOL<br />
<strong>•</strong> Decontrazione della IOL<br />
<strong>•</strong> Glaucoma<br />
<strong>•</strong> Distacco di retina<br />
permette di adattare più facilmente la correzione ottica ai cambiamenti<br />
della refrazione, ma espone ad importanti effetti collaterali e<br />
spesso il risultato è compromesso da una scarsa compliance (Magli<br />
et al., 2008).<br />
Per evitare il rischio di ambliopia è, inoltre, importante correggere<br />
l’errore refrattivo residuo con l’uso di occhiali o lenti a contatto progressivamente<br />
adeguati nel corso del follow-up alle esigenze imposte<br />
dallo sviluppo refrattivo.<br />
Il trattamento antiambliopico e il follow-up postoperatorio<br />
Un attento follow-up dei bambini operati è essenziale per il raggiungimento<br />
di un buon risultato, rendendo possibile riconoscere<br />
rapidamente eventuali complicanze post-operatorie (Tab. II). Poiché<br />
il primo mese, e la prima settimana in particolare, sono periodi<br />
ad alto rischio si raccomanda il seguente schema di controllo:<br />
dopo 1 giorno, dopo 1 settimana, dopo 1 mese, dopo 3 mesi, infine<br />
ogni 6 mesi. Tali scadenze possono essere aumentate laddove<br />
si riscontri la presenza di complicanze. Qualora il bambino, data<br />
l’età, risulti non essere collaborante, si può effettuare una osservazione<br />
in narcosi.<br />
La gestione della cura dell’ambliopia prevede un bendaggio occlusivo<br />
dell’occhio sano in caso di cataratta monolaterale e un bendaggio<br />
alternato nei due occhi in caso di cataratta bilaterale. Il bendaggio<br />
viene effettuato per stimolare l’uso dell’occhio ambliope (Li et al.,<br />
2009; Suttle, 2010).<br />
Nel caso di scarsa compliance, come terapia di seconda scelta si<br />
prende in considerazione la terapia farmacologica con atropina. (Li<br />
et al., 2009)<br />
Il controllo dello stato rifrattivo è anch’esso di primaria importanza<br />
nel bambino operato di cataratta congenita, poiché un difetto<br />
rifrattivo non adeguatamente corretto potrebbe essere un fattore<br />
contribuente allo sviluppo dell’ambliopia, specie se tale situazione<br />
si verifica nell’ambito di una cataratta congenita monolaterale (Fan<br />
et al. 2006).<br />
La rimozione del cristallino, inoltre, determina la perdita della capacità<br />
di accomodazione. Nei primi tre anni di vita, questa assenza<br />
non necessita di correzione, successivamente, si effettua invece la<br />
correzione tramite l’uso di lenti bifocali.<br />
Prognosi<br />
La diagnosi precoce, l’adeguato trattamento chirurgico e antiambliopico,<br />
il perfezionarsi di tecniche di microchirurgia e lo sviluppo di<br />
nuove IOL ha contribuito in maniera determinante al miglioramento<br />
della prognosi dei bambini con cataratta congenita (Lundvall et al.,
La cataratta congenita: iter diagnostico-terapeutico<br />
2002). Tuttavia l’outcome visivo non supera i 5/10 di acuità visiva<br />
con scarsa stereopsi in più della metà dei pazienti (Hussin et al.,<br />
2009). I fattori che si associano ad un outcome visivo peggiore sono:<br />
una diagnosi tardiva, nistagmo e strabismo pre-operatori, lo sviluppo<br />
di complicanze post-operatorie (Kim et al., 2008).<br />
Conclusioni<br />
La cataratta congenita è una patologia che necessita di una stretta<br />
collaborazione tra pediatra ed oculista, soprattutto nella fase di scre-<br />
Box di orientamento<br />
ening e diagnosi, nonché nei casi di bambini affetti da altre malattie<br />
associate. È inoltre ampiamente documentato il ruolo centrale della<br />
diagnosi precoce per il raggiungimento di migliori outcome visivi.<br />
I numerosi avanzamenti in ambito chirurgico e nello sviluppo di<br />
nuove IOL hanno permesso migliori risultati terapeutici ed una diminuzione<br />
delle complicanze. Nonostante la chirurgia sia in primo<br />
piano per il trattamento della cataratta congenita, il follow-up postoperatorio<br />
riveste un ruolo altrettanto fondamentale, richiedendo la<br />
compartecipazione costante del pediatra e dell’oftalmologo pediatra<br />
nel seguire l’evoluzione clinica del paziente.<br />
<strong>•</strong> Negli ultimi anni la classificazione eziologica della cataratta congenita si è presentata come alternativa alla classificazione morfologica.<br />
<strong>•</strong> Una diagnosi tardiva ed un intervento tardivo possono compromettere irreversibilmente lo sviluppo visivo del bambino.<br />
<strong>•</strong> Per ottenere buoni outcome visivi l’intervento chirurgico da solo non è sufficiente ma bisogna effettuare un trattamento antiambliopico ed un<br />
follow-up a lungo termine.<br />
<strong>•</strong> Nonostante i progressi nel management della cataratta congenita l’outcome visivo non supera i 5/10 di acuità visiva con scarsa stereopsi in più<br />
della metà dei pazienti.<br />
<strong>•</strong> Lo sviluppo di nuove lenti intraoculari che si adattano alle esigenze refrattive del bambino in crescita è uno dei più promettenti campi di ricerca.<br />
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Eur J Ophthalmol 2008;18:903-9.<br />
Magli A, Fimiani F, Passaro V, et al. Simultaneous surgery in bilateral congenital<br />
cataract. Eur J Ophthalmol 2009;19:24-7.<br />
Muen W, Hindocha M, Reddy M. The role of education in the promotion of red<br />
reflex assessments. JRSM Short Rep 2010;1:46.<br />
Suttle CM. Active treatments for amblyopia: a review of the methods and evidence<br />
base. Clin Exp Optom 2010;93:287-99.<br />
Taylor D, Hoyt CS. Pediatric Ophthalmology and Strabismus. 3 rd ed. London: Elsevier<br />
Saunders 2005.<br />
Totan Y, Bayramlar H, Yilmaz H. Bilateral paediatric cataract surgery in the same<br />
session. Eye (Lond) 2009;23:1199-2009.<br />
* Studio dettagliato che amplia i dati di un precedente lavoro dello stesso gruppo<br />
di studio; dimostra la validità dell’approccio chirurgico simultaneo.<br />
Wilson ME, Trivedi RH., Pandey SK. Pediatric Cataract Surgery. Philadelphia, PA:<br />
Lippincott Williams & Wilkins 2005.<br />
You C, Wu X, Zhang Y, et al. Visual impairment and delay in presentation for surgery<br />
in chinese pediatric patients with cataract. Ophthalmology 2011;118:17-23.<br />
** Studio retrospettivo su un campione di 196 bambini con cataratta congenita che<br />
dimostra l’importanza della diagnosi precoce per una migliore funzionalità visiva.<br />
Zetterström C, Kugelberg M. Paediatric cataract surgery. Acta Ophthalmol Scand<br />
2007;85:698-710.<br />
* Review che affronta le tematiche chirurgiche principali, le complicanze ed i<br />
fattori associati ad un miglior risultato terapeutico.<br />
41
Glossario<br />
Afachico: occhio privo di cristallino, privato di conseguenza sia della sua capacità<br />
rifrattiva che accomodativa.<br />
Ambliopia: riduzione unilaterale o raramente bilaterale dall’acuità visiva, dopo<br />
la correzione ottica migliore, in cui non sia evidenziabile un’alterazione patologica<br />
organica dell’occhio o delle vie ottiche. Può essere infatti determinata da<br />
una interazione binoculare anomala e/o da una deprivazione visiva (ad esempio<br />
cataratta congenita). Il termine deriva dal greco, “ops” (“visione”) e “amblyos”<br />
(“ottusa, pigra”): il suo nome comune è occhio pigro.<br />
Aniridia: assenza dell’iride.<br />
Immagini da: Zetterström C, Kugelberg M. Paediatric cataract surgery. Acta Ophthalmol Scand 2007 Nov; 85(7):698-710<br />
Corrispondenza<br />
<strong>42</strong><br />
A. Magli et al.<br />
Coloboma: assenza di parte di una struttura oculare come risultato di<br />
un’incompleta chiusura della fessura embrionale, che può coinvolgere l’intera<br />
lunghezza della fessura (coloboma completo) o solo parte di essa (per esempio<br />
l’iride, corpo ciliare, retina e coroide, o disco ottico).<br />
Emmetropia: condizione normale dell’occhio in stato di riposo per cui i raggi paralleli<br />
provenienti da un oggetto posto a grande distanza (teoricamente all’infinito)<br />
hanno il loro fuoco esattamente sulla retina e formano immagini nitide.<br />
IOL: Lente Intraoculare.<br />
Stereopsi: percezione della profondità. Ciascun occhio coglie immagini lievemente<br />
differenti di un oggetto, e la fusione di queste immagini diverse dà come<br />
risultato una percezione visiva singola dell’oggetto in profondità.<br />
Prof. Adriano Magli, Dipartimento di Scienze Oftalmologiche, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Napoli Federico II, via Sergio<br />
Pansini 5, 80100 Napoli. Tel. +39 081 7462467. Fax: +39 081 7462467. E-mail: magli@unina.it
<strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> <strong>2012</strong> <strong>•</strong> <strong>Vol</strong>. <strong>42</strong> <strong>•</strong> N. <strong>165</strong> <strong>•</strong> pp. 43-48<br />
Obiettivi e metodologia della revisione<br />
Abbiamo revisionato la letteratura scientifica oftalmologica da gennaio<br />
2000 a settembre 2010 nella banca bibliografica Medline utilizzando<br />
il motore di ricerca PubMed. La ricerca è stata affinata con<br />
la funzione di ricerca avanzata per il periodo circoscritto di nostro<br />
interesse e per età (0-18 anni).<br />
Le parole chiave inserite sono state: “refractive surgery”, “photorefractive<br />
keratectomy (PRK)” “laser in situ keratomileusis (LASIK)”,<br />
“laser epithelial keratomileusis (LASEK)”, “refractive intraocular lens<br />
(IOL)”.<br />
Gli articoli sono stati selezionati in base alla valenza clinico-chirurgica<br />
ed al valore scientifico al fine di offrire al medico non oftalmologo,<br />
e soprattutto al pediatra, una panoramica sulla chirurgia refrattiva<br />
in età pediatrica: indicazioni, età in cui intervenire, principali problematiche<br />
e prospettive future. Pertanto è stato scelto di includere<br />
anche pubblicazioni meno recenti, soprattutto in considerazione del<br />
fatto che il numero di studi effettuati su queste nuove opportunità<br />
terapeutiche nei bambini è limitato.<br />
Indicazioni alla chirurgia refrattiva nei bambini<br />
La chirurgia refrattiva in età pediatrica è iniziata con l’impianto di<br />
lenti intraoculari (IOL) in piccoli pazienti affetti da cataratta congenita<br />
o traumatica, ma ha fatto un notevole passo avanti con l’introdu-<br />
oCULIStICA<br />
Stato della chirurgia refrattiva in età pediatrica<br />
Adriano Magli * , Antonello Iovine * , Giovanni Marsico * ** , Lucia Ambrosio * , Luca Rombetto * ,<br />
Paolo Nucci ***<br />
* Dipartimento di Scienze Oftalmologiche, Area Funzionale di Oftalmologia Pediatrica, Università degli Studi di Napoli<br />
Federico II; ** SC Oculistica Pediatrica, Ospedale “Niguarda Ca’ Granda”, Milano; *** Direttore dell’UO Oculistica,<br />
Clinica Oculistica Universitaria dell’Ospedale “San Giuseppe”, Milano<br />
Riassunto<br />
La chirurgia refrattiva è l’insieme delle tecniche chirurgiche usate per correggere, intervenendo sulla cornea o sul cristallino, i vizi refrattivi dovuti ad un<br />
difetto di focalizzazione delle immagini sulla retina. Tali difetti sono la miopia, l’ipermetropia e l’astigmatismo, e vengono complessivamente definiti ametropie.<br />
I trattamenti effettuati sulla cornea prevedono l’utilizzo di un laser che modifica la curvatura corneale affinché i raggi luminosi provenienti dall’esterno<br />
vengano focalizzati sulla retina e non in punti localizzati più avanti o più indietro come avviene nella miopia e nell’ipermetropia. La possibilità di correggere<br />
le ametropie intervenendo sul cristallino prevede la sostituzione della lente naturale con una lente la cui gradazione tiene conto del difetto refrattivo. Esiste<br />
inoltre una tecnica chirurgica di correzione delle ametropie che prevede l’inserimento di una lente graduata in camera anteriore. Le ultime due tecniche,<br />
prevedendo un atto chirurgico invasivo e non scevro da complicanze, vengono quasi sempre riservate ai casi in cui vi sia l’impossibilità di effettuare la<br />
chirurgia refrattiva con laser ad eccimeri (difetti refrattivi molto elevati, basso spessore corneale, distrofie corneali ereditarie che non consentano il trattamento<br />
foto ablativo).<br />
Il trattamento chirurgico delle ametropie dell’adulto è ormai una realtà consolidata; sempre più spesso agli oftalmologi, ma anche ai pediatri, viene chiesto<br />
se la chirurgia refrattiva possa essere consigliata su pazienti in età pediatrica e adolescenziale. L’obiettivo della presente revisione bibliografica è evidenziare<br />
i traguardi raggiunti dalla chirurgia refrattiva in età pediatrica.<br />
Summary<br />
Refractive eye surgery is performed to improve the refractive state of the eye and decrease or eliminate dependency on glasses or contact lenses. This<br />
can include various methods of surgical remodeling of the cornea or corneal surgery. Successful refractive eye surgery can reduce or cure common vision<br />
disorders (ametropia) such as myopia, hypermetropia and astigmatism.<br />
Corneal treatment avails laser which modifies corneal curvature. It is also possible to implant artificial crystal lens to adjust refractive aberration.<br />
The surgical treatment of ametropia of the adult is already well-established.<br />
The aim of this bibliographic review is to highlight the achievements of refractive surgery in childhood.<br />
zione del laser, negli anni ’90. Un laser ad eccimeri è un dispositivo<br />
che produce luce laser nella regione dell’ultravioletto; il termine eccimero<br />
è la contrazione di dimero eccitato e si riferisce al materiale<br />
con cui la luce laser viene prodotta. Le procedure laser attualmente<br />
più in uso sono: PRK, LASIK, LASEK (laser assisted sub-epithelial<br />
keratectomy).<br />
Nella PRK il trattamento fotoablativo viene praticato sulla superficie<br />
stromale dopo aver asportato il sottile strato di cellule epiteliali<br />
che lo riveste, previa applicazione di collirio anestetico. Dopo la fase<br />
di disepitelizzazione mediante spatola, spazzolino rotante, alcool o<br />
meno frequentemente laser-scrape, si procede alla fotoablazione<br />
laser, la cui durata dipende dall’entità del difetto visivo che si deve<br />
correggere. Alla fine del trattamento si somministra un antibiotico,<br />
un antinfiammatorio non steroideo ed uno steroide topico, e viene<br />
quindi posizionata una lente a contatto morbida, che verrà rimossa<br />
a riepitelizzazione avvenuta. L’impiego delle lenti a contatto nell’immediato<br />
post-operatorio ha contribuito alla riduzione del dolore e a<br />
velocizzare la riepitelizzazione.<br />
La LASEK è un trattamento simile alla PRK, che prevede la conservazione<br />
dell’epitelio anziché la sua rimozione. L’epitelio viene preservato<br />
con una soluzione alcolica, sollevato ma non completamente<br />
asportato. Si effettua quindi il trattamento con il laser ad eccimeri<br />
come nella PRK, e infine si riporta l’epitelio nella sua posizione originaria.<br />
43
Nella LASIK il trattamento fotoablativo viene praticato all’interno dello<br />
stroma corneale. Allo scopo di rendere accessibile tale struttura, è<br />
necessario praticare l’incisione di una sottile lamella circolare denominata<br />
flap, che rimane legata ad un’estremità, mediante uno strumento<br />
meccanico automatico, il microcheratomo, oppure mediante<br />
un laser a femtosecondi. Il flap viene poi ribaltato per consentire al<br />
laser di esercitare la sua azione sullo stroma; alla fine il flap viene riposizionato<br />
nella sua sede e fatto aderire al letto grazie alla naturale<br />
disidratazione tissutale.<br />
Il primo utilizzo della chirurgia refrattiva con laser ad eccimeri su<br />
pazienti non adulti è stato riportato nel 1995 (Singh, 1995). Da allora<br />
essa è stata utilizzata in prima istanza nel trattamento delle<br />
anisometropie, condizioni in cui i due occhi hanno una refrazione<br />
diversa, in particolare nelle miopie unilaterali elevate (anisomiopie):<br />
queste ultime, se non corrette precocemente, causano ambliopia. Il<br />
termine ambliopia significa letteralmente “debolezza visiva” e deriva<br />
dalla lingua greca (αmβλυωπια). Si definisce ambliopia la ridotta<br />
capacità visiva mono- o bilaterale, non immediatamente migliorabile<br />
con correzione ottica, dovuta ad anomale condizioni di stimolazione<br />
visiva verificatesi durante l’età plastica del bambino (Von Noorden,<br />
1985; Campos 1995; Von Noorden & Campos, 2002). Le anisomiopie<br />
possono talvolta essere refrattarie ai comuni metodi di trattamento<br />
quali occhiali, lenti a contatto, terapia occlusiva; ciò giustifica i primi<br />
tentativi di utilizzo del laser ad eccimeri, in particolare della PRK, in<br />
tali pazienti. Inizialmente il trattamento veniva riservato agli adolescenti<br />
(Singh, 1995); gli studi successivi hanno coinvolto bambini<br />
in più tenera età, nei quali l’ambliopia può essere prevenuta se la<br />
correzione del difetto refrattivo è precoce (Alio et al., 1998).<br />
La chirurgia refrattiva è stata altresì utilizzata nella correzione<br />
dell’anisometropia ipermetropica (Singh, 1995; Paysse et al., 2004),<br />
nonché in quella delle miopie bilaterali elevate (Astle et al., 2002) e<br />
delle ipermetropie bilaterali (Davidorf, 2000).<br />
Altra indicazione all’utilizzo della PRK e della LASIK è rappresentata<br />
dall’esotropia accomodativa refrattiva, condizione in cui l’ipermetropia<br />
non corretta determina un incremento dello sforzo accomodativo,<br />
con conseguente convergenza accomodativa. Se le divergenze<br />
funzionali sono insufficienti risulta un’esotropia; nei pazienti con<br />
esotropia accomodativa la correzione del difetto rifrattivo, rilassando<br />
l’accomodazione, elimina l’angolo di deviazione. La maggior parte<br />
dei pazienti è rappresentata da adolescenti e giovani adulti (Stidham<br />
et al., 2002; Nucci et al., 2003; Magli et al., 2009).<br />
Accanto alle tecniche chirurgiche di correzione delle ametropie mediante<br />
modifiche apportate all’architettura corneale, si sono sviluppate<br />
negli anni delle tecniche che modificano il potere del diottro<br />
oculare agendo internamente all’occhio. La prima lente intraoculare<br />
(IOL) fu ideata e impiantata da Sir Harold Ridley nel 1949 per il trattamento<br />
dell’afachia dopo l’intervento di cataratta. In seguito allo<br />
sviluppo dei materiali e delle tecnologie, questa tecnica fu proposta<br />
anche nei pazienti fachici, con posizionamento sia anteriore che posteriore<br />
all’iride. Altra modalità di correzione di difetti refrattivi elevati<br />
è la lensectomia, ovvero l’asportazione del cristallino trasparente,<br />
con o senza impianto di una IOL a basso potere diottrico o neutra<br />
(Lee & Lee, 1996). La comprensione delle possibilità terapeutiche e<br />
dei limiti di ogni tecnica ha portato anche alla possibilità di combinare<br />
tra loro l’impianto di IOL e l’intervento sulla superficie corneale<br />
mediante laser ad eccimeri (Leccisotti, 2006).<br />
Entità dei difetti refrattivi<br />
Per quanto soddisfacenti appaiano i risultati della chirurgia refrattiva<br />
corneale mediante laser ad eccimeri, essa presenta un limite di<br />
44<br />
Tabella I.<br />
A. Magli et al.<br />
Indicazioni all’intervento di chirurgia refrattiva in età pediatrica<br />
<strong>•</strong> Ambliopia da anisometropia (in particolare anisomiopia) in cui le<br />
terapie convenzionali (occhiali e lenti a contatto) hanno avuto scarso<br />
successo o risultano impraticabili<br />
<strong>•</strong> Esotropia accomodativa rifrattiva<br />
<strong>•</strong> Miopie bilaterali elevate<br />
<strong>•</strong> Ipermetropie bilaterali elevate<br />
correzione di circa 12 D di miopia, al fine di scongiurare il rischio<br />
dell’ectasia del letto stromale residuo e dell’haze postoperatorio,<br />
ovvero una eccessiva cicatrizzazione corneale che ne compromette<br />
la trasparenza. Per la correzione di difetti refrattivi più ampi la<br />
lensectomia con o senza impianto di IOL, e le IOL fachiche hanno<br />
dato buoni risultati negli adulti; nei bambini l’esperienza inerente le<br />
suddette tecniche è esigua.<br />
La chirurgia refrattiva corneale ed intraoculare è stata utilizzata nel<br />
trattamento della miopia di entità tra -0,75 e -26 D, anche se il target<br />
della correzione mediante laser ad eccimeri è spesso inferiore<br />
all’entità totale della miopia. Infatti il range delle correzioni tentate<br />
mediante l’utilizzo di PRK varia tra -0,75 e -17 D (Singh, 1995; Astle<br />
et al., 2002), mentre la LASIK è stata utilizzata per correggere miopie<br />
tra le -2,5 e -23 D, le IOL fachiche in miopie tra -8 e -18 D (Chipont<br />
et al., 2001) e la lensectomia con o senza impianto di IOL fino a<br />
-26 D (Tychsen et al., 2006).<br />
Problematiche, rischi, complicanze<br />
Quando si parla di chirurgia refrattiva, come in tanti altri campi medici,<br />
i bambini non possono essere considerati alla stregua di “piccoli<br />
adulti”. Numerose sono infatti le problematiche da affrontare<br />
nella chirurgia refrattiva pediatrica, prima tra tutte la collaborazione<br />
dei pazienti.<br />
La PRK è stata praticata su bambini a partire dall’età di 1-2 anni di<br />
vita (Astle et al., 2002; Paysse et al., 2003), la LASIK a partire dai<br />
5 anni (Astle et al., 2002). Anche la LASEK è stata utilizzata in pazienti<br />
molto giovani. Le IOL fachiche sono state utilizzate in bambini<br />
di età compresa tra 3 e 16 anni. Le indicazioni per una chirurgia<br />
particolarmente precoce (età inferiore a 6 anni), sono rappresentate<br />
dalle anisometropie elevate e dalla miopia elevata bilaterale. (Astle<br />
et al., 2002; Magli et al., 2008; Agarwal et al., 2000). Alcuni di questi<br />
bambini in età particolarmente tenera erano affetti da patologie<br />
concomitanti, quali sindrome di Down, paralisi cerebrale, autismo o<br />
altri disordini dello sviluppo, e pertanto intolleranti a occhiali e lenti<br />
a contatto (Astle et al., 2002). In questa fascia di età le procedure<br />
chirurgiche vengono svolte in anestesia generale, per assicurare<br />
un corretto svolgimento delle stesse in sicurezza. Numerosi farmaci<br />
sono stati utilizzati, tra cui ossido nitrico, sevoflurano, alotano,<br />
propofol e chetamina. La necessità di anestesia generale fa sì che<br />
l’intervento, data la necessità di un costante monitoraggio delle<br />
funzioni vitali e le difficoltà di trasporto di apparecchiature pesanti,<br />
delicate e costose quali i laser ad eccimeri, debba essere eseguito in<br />
centri ospedalieri attrezzati, laddove è possibile disporre di un laser<br />
ad eccimeri in sala operatoria.<br />
L’anestesia topica, quando possibile, viene preferita alla generale in<br />
quanto in grado di ridurre, oltre al rischio anestesiologico, la probabilità<br />
di ablazioni decentrate (Terrell et al., 1995). Un errore in tale<br />
caso può portare enormi conseguenze negative al paziente, che non<br />
solo perderà una decente capacità visiva, ma anche e soprattutto la
Stato della chirurgia refrattiva in età pediatrica<br />
Tabella II.<br />
Tecniche di chirurgia refrattiva a confronto<br />
PRK Pro:<br />
<strong>•</strong> Tecnica chirurgica indicata per correggere miopia,<br />
ipermetropia e astigmatismo<br />
<strong>•</strong> Precisa ed affidabile<br />
<strong>•</strong> Eccellenti risultati nel trattamento di miopie ed astigmatismi<br />
di grado lieve e moderato<br />
Contro:<br />
<strong>•</strong> Possibili alcune imprecisioni nella correzione del difetto<br />
refrattivo dovute al processo di cicatrizzazione corneale<br />
<strong>•</strong> In un modesto numero di casi non si ottiene la completa<br />
correzione del difetto, ma solo una notevole riduzione di esso<br />
<strong>•</strong> Perdita di entità variabile della trasparenza corneale, che<br />
nei casi più gravi potrà essere accompagnata da irregolarità<br />
della superficie corneale che si manifestano al paziente come<br />
“aloni intorno alle fonti luminose”<br />
<strong>•</strong> Lieve difficoltà nella visione crepuscolare<br />
LASEK Pro:<br />
<strong>•</strong> Ideale nei pazienti con un difetto refrattivo lieve-moderato<br />
<strong>•</strong> Ideale per i pazienti in cui la LASIK è controindicata<br />
<strong>•</strong> Recupero visivo in 4-7 giorni<br />
<strong>•</strong> Meno dolorosa della PRK<br />
<strong>•</strong> Aloni corneali molto più rari che nella PRK<br />
Contro:<br />
<strong>•</strong> Imprevedibilità del dolore postoperatorio<br />
<strong>•</strong> Imprevedibilità della riepitelizzazione<br />
LASIK Pro:<br />
<strong>•</strong> Più versatile della PRK e del LASEK<br />
<strong>•</strong> Disagio del paziente ridotto al minimo<br />
<strong>•</strong> Rapida riabilitazione visiva<br />
<strong>•</strong> Rapida stabilizzazione della refrazione<br />
Contro:<br />
<strong>•</strong> Maggiore invasività sulla cornea<br />
<strong>•</strong> Secchezza oculare<br />
<strong>•</strong> Difetti epiteliali<br />
<strong>•</strong> Cheratite lamellare diffusa<br />
qualità della visione con disturbi soprattutto serali e notturni proporzionali<br />
al decentramento. Queste complicanze si sono notevolmente<br />
ridotte grazie al progresso dei sistemi di eye-tracking. L’eye-tracker<br />
è un dispositivo di sicurezza molto sofisticato, che rileva i più piccoli<br />
movimenti dell’occhio e consente al laser di bloccare la sua azione<br />
fino a quando l’occhio è ritornato nella giusta posizione. L’anestesia<br />
topica, ovvero mediante collirio, è ben tollerata in piccoli pazienti a<br />
partire dall’età di 6-7 anni (Terrell et al., 1995; Paysse et al., 2003;<br />
Phillips et al., 2004). In letteratura i dati inerenti la frequenza e l’entità<br />
delle ablazioni decentrate sono pochi (Alio et al., 1998; Agarwa<br />
et al., 2000; Magli et al., 2008). Strategie utili al fine di aumentare<br />
la capacità di concentrazione e fissazione nei bambini consistono<br />
nell’illustrare preventivamente ed integralmente tutte le fasi<br />
dell’intervento chirurgico, evidenziando l’importanza di mantenere<br />
la fissazione anche attraverso simulazioni con videogiochi, e nello<br />
stimolare costantemente il piccolo paziente durante l’intera durata<br />
dell’intervento, parlando e descrivendo le procedure operatorie in<br />
atto (Magli et al., 2008).<br />
La collaborazione dei bambini non è soltanto necessaria intra-operatoriamente,<br />
ma anche nelle fasi successive all’intervento di chirurgia<br />
refrattiva: i bambini, soprattutto in più tenera età, possono<br />
manipolare gli occhi trattati mediante LASIK, provocando danni al<br />
flap corneale che richiedono ulteriori procedure chirurgiche. Dopo<br />
PRK invece la manipolazione può intaccare il processo di riepitelizzazione,<br />
con conseguente aumento del rischio di haze.<br />
Vari studi confermano che la riparazione dell’epitelio corneale nei<br />
bambini avviene in maniera più veloce rispetto ai pazienti adulti,<br />
con una completa riepitelizzazione entro le 72 ore (Nucci & Drack,<br />
2001; Paysse et al., 2003; Magli et al., 2008). Nonostante ciò la<br />
complicanza più frequentemente riportata dopo la PRK, nei bambini<br />
come negli adulti, è l’haze corneale. Tuttavia non è semplice fare un<br />
confronto tra le varie casistiche riportate, in quanto vengono usate<br />
diverse scale per descrivere l’haze, e quest’ultimo è spesso riportato<br />
a tempi di follow-up diverso. Complessivamente sono pochi i<br />
lavori che riportano l’haze corneale dopo PRK, e solo in una piccola<br />
percentuale di casi questo è in grado di determinare una riduzione<br />
dell’acuità visiva. La comparsa di haze severo è correlata ad una<br />
miopia elevata e non sembrano esserci differenze tra adulti e bambini<br />
(Astle et al., 2002). Gli ultimi studi confermano la sicurezza della<br />
PRK nei bambini di età compresa tra 6 e 17 anni, con ridotta incidenza<br />
di complicanze intra-operatorie o post-operatorie, tra cui un<br />
corneal-haze importante. L’haze può complicare anche interventi di<br />
LASIK; non è tuttavia possibile paragonare i risultati nella popolazione<br />
adulta e in quella pediatrica. Non è riportato altresì un aumento<br />
statisticamente significativo dell’incidenza di complicanze a carico<br />
del flap nei bambini rispetto agli adulti anche se il follow-up riportato<br />
in letteratura è limitato nel tempo.<br />
Altra difficoltà nel trattamento dei bambini è il target della correzione.<br />
Nell’adulto esso è rappresentato dall’emmetropia, tenendo<br />
conto dell’età e delle attività svolte dal paziente. Nei bambini più<br />
piccoli che si sottopongono alla chirurgia per prevenire o trattare<br />
l’ambliopia, la maggior parte dei chirurghi mira al raggiungimento<br />
dell’emmetropia; nei casi di anisometropia il target da raggiungere<br />
deve essere la refrazione dell’occhio adelfo. Per i bambini più grandi<br />
la refrazione ideale post-operatoria non è stata stabilita con uguale<br />
certezza: poiché la maggior parte dei bambini tollera una leggera<br />
ipermetropia, un target leggermente tendente ad essa sembrerebbe<br />
auspicabile data la naturale progressione verso la miopia durante la<br />
crescita. Nonostante siano stati condotti diversi studi di popolazione,<br />
allo stato attuale la crescita dell’occhio ed i cambiamenti della<br />
refrazione non possono essere calcolati individualmente (Hyman<br />
et al., 2005). Il chirurgo, nonché il pediatra, devono dunque partire<br />
dal presupposto che la refrazione del bambino può cambiare durante<br />
la crescita, rendendo necessari ulteriori interventi di chirurgia<br />
refrattiva.<br />
Tecnica ideale nei bambini. Predittività e stabilità<br />
dei risultati.<br />
La chirurgia refrattiva ideale per un bambino dovrebbe essere quella<br />
con cui possa essere attuata una precisa e immediata correzione<br />
di un vasto range di errori refrattivi, sia miopici che ipermetropici,<br />
complicata da lieve haze post-operatorio e i cui risultati possano<br />
essere migliorati nel tempo al variare dell’accomodazione durante<br />
la crescita. Allo stato attuale non esiste nessuna procedura con tali<br />
requisiti. La LASIK ha il vantaggio di una rapida riabilitazione visiva,<br />
una capacità superiore di correzione nei difetti refrattivi più ampi e<br />
la possibilità potenziale di reintervenire per apportare miglioramenti,<br />
ma ha come principale svantaggio la vulnerabilità del flap nei bambini<br />
attivi. La PRK è meno suscettibile ai traumi dell’infanzia, ma ha<br />
un maggior tempo di recupero visivo dopo l’intervento e può essere<br />
45
Tabella III.<br />
Indicazioni per l’invio del bimbo all’oftalmologo<br />
<strong>•</strong> Familiarità per anisometropia<br />
<strong>•</strong> Sospetto deficit visivo<br />
<strong>•</strong> Acuità Visiva (AV) < 6/10 a 3-4 anni<br />
<strong>•</strong> AV < 9/10 a 6 anni<br />
<strong>•</strong> Differenza AV > 1/10 tra i due occhi<br />
<strong>•</strong> Alterazioni della motilità oculoestrinseca anche non costante<br />
Indicazioni per l’intervento<br />
I casi che si sottopongono ad intervento laser sono pazienti già seguiti<br />
c/o centri di oftalmologia pediatrica, quindi fatta la diagnosi sarà<br />
l’oculista ad indicare la possibilità di eseguire questo trattamento.<br />
utilizzata nella correzione dei difetti visivi meno ampi. Le IOL fachiche<br />
e la lensectomia con o senza impianto di IOL possono essere<br />
prese in considerazione nelle miopie di grado molto elevato, dove<br />
l’haze e l’ectasia corneale possono limitare rispettivamente PRK e<br />
LASIK. Anche se ci sarebbe necessità di analisi statistiche accurate<br />
per valutare la predittività dei risultati della chirurgia refrattiva<br />
nei bambini, Hutchinson (2003) in una review afferma che i risultati<br />
della chirurgia refrattiva nei bambini sono meno prevedibili e meno<br />
stabili che negli adulti. Astle et al. (2002) riportano che di 40 occhi<br />
trattati per la miopia con PRK, a distanza di due mesi dall’intervento<br />
solo il 55% rientrava nel range di ± 1,0 D della refrazione desiderata;<br />
a 6 e 12 mesi dopo l’intervento solo il 40% degli occhi era<br />
incluso nel target ± 1,0 D. Paysse et al. (2006) riscontravano che la<br />
refrazione target ± 1,5 D veniva ottenuta 9 mesi dopo l’intervento<br />
nel 66,8% dei pazienti. Nucci & Drak (2001) hanno ottenuto l’emmetropia<br />
nell’82% dei pazienti con miopia trattati con PRK. Nella nostra<br />
esperienza inerente il trattamento delle miopie unilaterali elevate<br />
trattate con PRK 14 dei 18 pazienti raggiungono la correzione desiderata<br />
± 1,0 D. I risultati sono stabili in un follow-up medio di 39<br />
mesi (Magli et al., 2008).<br />
Per quanto concerne la LASIK nel trattamento dell’esotropia accomodativa<br />
refrattiva, essa viene praticata maggiormente in pazienti<br />
in età giovanile. La scelta di alcuni Autori (Magli et al., 2009) di trattare<br />
anche pazienti adolescenti (range di età 14-24 anni) è basata<br />
su diverse esperienze (Paysse et al., 2006) che sostengono la<br />
relativa stabilità dell’ipermetropia nel passaggio dalla adolescenza<br />
all’età adulta. Raab (1984) conferma che fino a 7 anni l’ipermetropia<br />
aumenta, dai 7 ai 13 diminuisce rapidamente, decresce più lentamente<br />
fino ai 20 anni, dopo di che resta invariata. Alcuni chirurghi<br />
infatti fanno indossare a tutti i pazienti le lenti a contatto per 30 giorni<br />
prima dell’intervento, per simulare la condizione refrattiva postchirurgica;<br />
viene successivamente valutato l’angolo di deviazione e<br />
solo i pazienti che hanno manifestato una riduzione di quest’ultimo<br />
vengono sottoposti a chirurgia refrattiva (Sabetti et al., 2005; Magli<br />
et al., 2009).<br />
La letteratura pediatrica inerente le procedure chirurgiche di correzione<br />
dei difetti refrattivi mediante un approccio intraoculare appare limitata.<br />
Tychsen et al. (2005) riportano la loro esperienza su 26 occhi di<br />
13 bambini (età compresa tra 1 e 18 anni) con miopia elevata, trattati<br />
mediante la sola lensectomia o mediante lensectomia con simultaneo<br />
impianto di lente intraoculare. I risultati in termini di acuità visiva appaiono<br />
soddisfacenti e abbastanza stabili nel tempo: a distanza di 4,5<br />
anni dall’intervento, l’81% degli occhi rientrava nelle 2 D del target<br />
programmato. La lensectomia ha il vantaggio di una rapida riabilitazione<br />
visiva e della stabilità dei risultati. In caso di regressione del<br />
46<br />
A. Magli et al.<br />
difetto refrattivo si può optare tra un reimpianto di IOL e un trattamento<br />
corneale mediante laser ad eccimeri. L’estrazione di cristallino<br />
trasparente raddoppia il rischio di distacco di retina ed incrementa del<br />
30% il rischio di glaucoma negli occhi con miopia elevata (Chrousos<br />
et al., 1984; Colin et al., 1999).<br />
Un altro approccio è rappresentato dalle IOL fachiche, che possono<br />
essere impiantate in camera anteriore con supporto angolare o supporto<br />
irideo, oppure in camera posteriore nel solco ciliare. I vantaggi<br />
principali offerti dalle IOL fachiche sono la prevedibilità dei risultati,<br />
la reversibilità e la conservazione della capacità di accomodazione<br />
del paziente. Tra le complicanze più frequentemente descritte negli<br />
adulti si annovera il glaucoma, la perdita di cellule endoteliali,<br />
infiammazione cronica e astigmatismo, nonché un aumento del rischio<br />
di sviluppare cataratta qualora l’impianto venga fatto in camera<br />
posteriore.<br />
Lesueur et al. (1999) hanno trattato la miopia elevata di 5 occhi di 4<br />
bambini di età compresa tra 3 e 16 anni, mediante impianto di IOL<br />
fachiche da camera posteriore (STAAR Surgical AG, Nidau, Switzerland),<br />
con buoni risultati refrattivi. Non sono state riportate reazioni<br />
infiammatorie alle lenti, incrementi della pressione intraoculare o<br />
cataratta durante il breve follow-up di 11 mesi. Analoghi risultati<br />
sono stati ottenuti anche mediante impianto di IOL fachiche a fissazione<br />
iridea o a supporto angolare (Chipont et al., 2001; Saxena<br />
et al., 2004). Data la scarsa letteratura in merito, non esistono allo<br />
stato attuale, raccomandazioni all’uso delle IOL fachiche in pazienti<br />
pediatrici.<br />
Conclusioni<br />
La selezione del paziente rappresenta un momento fondamentale per<br />
la riuscita dell’intervento di chirurgia refrattiva. Sono candidati alla chirurgia<br />
refrattiva i bambini con un’anisometropia di almeno 3-4 diottrie,<br />
ametropie elevate o esotropia accomodativa refrattiva, in cui la scarsa<br />
compliance o l’intolleranza verso i metodi tradizionali di correzione<br />
(occhiali, lenti a contatto, bendaggio o penalizzazione farmacologica<br />
dell’occhio fissante) non permetta un adeguato recupero visivo. L’entità<br />
del trattamento dovrebbe idealmente essere inferiore alle 12 D di<br />
miopia, alle 5 D di ipermetropia e alle 4 D di astigmatismo.<br />
Il pediatra, essendo il primo punto di riferimento dei bambini e delle<br />
loro famiglie, deve riconoscere precocemente le patologie che interferiscono<br />
con il processo di acquisizione dell’immagine attraverso<br />
una minuziosa anamnesi familiare, pre-, peri- e post-natale, l’ispezione<br />
della facies e degli atteggiamenti del bambino, la ricerca di<br />
anomalie dei movimenti oculari (strabismo, nistagmo) e di atteggiamenti<br />
anomali del capo (torcicollo oculare). Il pediatra dovrebbe effettuare<br />
anche un test dell’acuità visiva, mediante tabelle ottotipiche<br />
con le lettere dell’alfabeto nel bambino in età scolare, con le E di<br />
Albini nel bambino illetterato. Si consiglia l’esecuzione di una prima<br />
prova con ambedue gli occhi per la comprensione e la familiarizzazione<br />
con il test, che successivamente andrà eseguito un occhio per<br />
volta. Può essere utile consegnare nei giorni antecedenti l’esame<br />
una E di cartone per preparare il bambino alla prova.<br />
Il piccolo paziente dovrebbe essere inviato all’oftalmologo qualora<br />
presenti un’acuità visiva inferiore a 6 decimi a 3-4 anni o a 9 decimi a<br />
6 anni e oltre, quando ci sia una differenza di più di 1/10 tra i due occhi,<br />
oppure quando ci siano anomalie della motilità oculoestrinseca.<br />
I dati finora pubblicati in letteratura dimostrano che la chirurgia refrattiva<br />
nei bambini può essere una valida alternativa ai tradizionali<br />
metodi di correzione dei difetti refrattivi (occhiali, lenti a contatto).<br />
Le tecniche utilizzate si sono dimostrate sicure ed efficaci già dai<br />
primi anni di età.
Stato della chirurgia refrattiva in età pediatrica<br />
Tuttavia, data la complessità e la facile evoluzione dei difetti refrattivi<br />
nei bambini, occorre prudenza estrema e soprattutto una<br />
particolare attenzione nella selezione dei pazienti da sottoporre<br />
all’intervento da parte del chirurgo oftalmologo. In attesa di studi<br />
prospettici e randomizzati che valutino i risultati e la stabilità di<br />
essi in un follow-up lungo e in attesa di una standardizzazione<br />
della scala di valutazione delle complicanze, occorre una capacità<br />
di comunicazione volta a dissuadere richieste sempre più frequenti<br />
dei genitori di trattare i loro bambini per fini puramente estetici.<br />
Occorre ribadire che la chirurgia refrattiva mira a fini funzionali e,<br />
Box di orientamento<br />
laddove possibili, tutte le vie meno invasive vanno tentate prima<br />
di ricorrere ad un intervento chirurgico, che come tale presenta<br />
le sue complicanze. I genitori devono inoltre essere pienamente<br />
consapevoli che la refrazione del bambino può essere soggetta<br />
durante la crescita a modifiche, che potrebbero necessitare di ulteriori<br />
correzioni mediante re-intervento.<br />
Allo stato attuale la chirurgia refrattiva in età pediatrica rappresenta un<br />
campo in pieno sviluppo che in un futuro più o meno prossimo potrà<br />
riservare grandi sorprese: merita pertanto l’attenzione e l’approfondimento<br />
non solo da parte degli oftalmologi, ma anche dei pediatri.<br />
<strong>•</strong> Il primo utilizzo della chirurgia refrattiva con laser ad eccimeri su pazienti non adulti è stato riportato nel 1995. Da allora essa è stata utilizzata in<br />
prima istanza nel trattamento delle anisometropie (condizioni in cui i due occhi hanno una refrazione diversa) in particolare nelle miopie unilaterali<br />
elevate (anisomiopie): queste ultime, se non corrette precocemente, causano ambliopia.<br />
<strong>•</strong> Le anisomiopie possono talvolta essere refrattarie ai comuni metodi di trattamento quali occhiali, lenti a contatto, terapia occlusiva.<br />
<strong>•</strong> Altra indicazione all’utilizzo della PRK e della LASIK è rappresentata dall’esotropia accomodativa refrattiva, condizione in cui l’ipermetropia non<br />
corretta determina un incremento dello sforzo accomodativo, con conseguente convergenza accomodativa.<br />
<strong>•</strong> Sono candidati alla chirurgia refrattiva i bambini con un’anisometropia di almeno 3-4 diottrie, ametropie elevate o esotropia accomodativa refrattiva,<br />
in cui la scarsa compliance o l’intolleranza verso i metodi tradizionali di correzione (occhiali, lenti a contatto, bendaggio o penalizzazione<br />
farmacologica dell’occhio fissante) non permetta un adeguato recupero visivo.<br />
<strong>•</strong> Le tecniche utilizzate si sono dimostrate sicure ed efficaci già dai primi anni di età. Tuttavia, data la complessità e la facile evoluzione dei difetti<br />
refrattivi nei bambini, occorre prudenza estrema e soprattutto una particolare attenzione nella selezione dei pazienti da sottoporre all’intervento da<br />
parte del chirurgo oftalmologo.<br />
<strong>•</strong> La chirurgia refrattiva mira a fini funzionali e, laddove possibile, tutte le vie meno invasive vanno tentate prima di ricorrere ad un intervento chirurgico,<br />
che come tale presenta le sue complicanze.<br />
Bibliografia<br />
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82.<br />
** Review dei principali studi pubblicati sull’argomento. Non esistono trial clinici<br />
controllati, a lungo termine e multicentrici. Tecnica promettente soprattutto in<br />
bambini con anisometropia ambliopigena e ametropie bilaterali elevate.<br />
Davidorf JM. Pediatric refractive surgery. J Cataract Refract Surg<br />
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Chipont EM, Garcia-Hermosa P, Alio JL. Reversal of myopic anisometropic amblyopia<br />
with phakic intraocular lens implantation. J Refract Surg 2001;17:460-2.<br />
Drack AV, Nucci P. Refractive surgery in children. Ophthalmol Clin North Am<br />
2001;14:457-66.<br />
** La chirurgia refrattiva in età pediatrica è una tecnica promettente anche se<br />
non ancora standardizzata. Gli adolescenti, soprattutto miopi, possono essere<br />
un target ottimale di tali tecniche per le similitudini anatomiche delle strutture<br />
oculari rispetto a quelle dell’adulto in cui le tecniche laser sono largamente più<br />
utilizzate.<br />
Hutchinson AK. Pediatric refractive surgery. Curr Opin Ophtalmol 2003,14:267-<br />
75.<br />
** Revisione della letteratura sulla chirurgia refrattiva. Valutazione dei risultati e<br />
delle complicanze sovrapponibili a quelle dell’adulto. Valutazione delle chirurgia<br />
refrattiva come metodica da prendere in considerazione nei casi in cui i comuni<br />
trattamenti antiambliopigeni non abbiano avuto successo.<br />
Hyman L, Gwiazda J, Hussein M, et al. Relationship of age, sex and ethnicity with<br />
myopia progression and axial elongation in the correction of myopia evaluation<br />
trial. Arch Ophthalmol 2005;123:977-87.<br />
Lee KH, Lee JH. Long-term results of clear lens extraction for severe myopia. J<br />
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Leccisotti A. Bioptics: where do things stand? Curr Opin Ophthalmol 2006;17:399-<br />
405.<br />
Lesueur L, Arne JL. Phakic posterior chamber lens implantation in children with<br />
high myopia. J Cataract Refract Surg 1999;25:1571-5.<br />
Magli A, Iovine A, Gagliardi V, et al. Photorefractive keratectomy for myopic anisometropia:<br />
a retrospective study on 18 children. Eur J Ophthalmol 2008;18:716-<br />
22.<br />
** Studio retrospettivo su pazienti sottoposti a PRK per difetto miopico medioelevato.<br />
Follow-up di 39 mesi. Risultati promettenti sia sull’acuità visiva che<br />
sulla stereopsi e sullo strabismo.<br />
Magli A, Iovine A, Gagliardi V, et al. LASIK and PRK in refractive accommodative<br />
esotropia: a retrospective study on 20 adolescent and adult patients. Eur J<br />
Ophthalmol 2009;19:188-95.<br />
** 17 pazienti sottoposti a trattamento laser per esotropia accomodativa. Le<br />
tecniche laser sono promettenti sia per la correzione del difetto refrattivo con<br />
ottimi risultati sull’acuità visiva, sia per la correzione dello strabismo con miglioramento<br />
dell’angolo di strabismo nel post-operatorio e in alcuni casi correzione<br />
totale di tale difetto.<br />
Nucci P, Drack AV. Refractive surgery for unilateral high myopia in children. J<br />
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Nucci P, Serafino M, Hutchinson AK. Photorefractive keratectomy for the treatment<br />
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anisometropia: safety and impact on refractive error, visual acuity, and stereopsis.<br />
Am J Ophthalmol 2004;138:70-8.<br />
47
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keratectomy for anisometropic amblyopia in children. Ophthalmology<br />
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Surg 1995;21:630-2.<br />
Glossario<br />
PRK (Cheratectomia foto refrattiva): tecnica di correzione dei difetti di refrazione<br />
con laser che prevede l’asportazione dell’epitelio corneale e il successivo trattamento<br />
sullo stroma. L’epitelio corneale si riformerà nelle 72-96 ore successive.<br />
Tecnica ripetibile che non prevede incisioni chirurgiche.<br />
LASIK (Cheratomileusi Laser in situ): tecnica di correzione dei difetti di refrazione<br />
con laser che prevede il sollevamento dell’epitelio corneale (flap), il successivo<br />
trattamento laser sullo stroma e il riposizionamento dell’epitelio. La cicatrizzazione<br />
è più rapida che nella PRK. Il sollevamento del flap prevede un taglio chirurgico<br />
tecnicamente più complesso rispetto alla rimozione dell’epitelio (PRK). Il<br />
recupero funzionale è più rapido e il dolore post-operatorio è inferiore rispetto<br />
alla PRK.<br />
LASEK (Cheratomileusi laser epiteliale): tecnica di correzione dei difetti di refrazione<br />
con laser che prevede lo scollamento dell’epitelio corneale dal sottostante<br />
stroma con una soluzione alcolica e il successivo trattamento laser sullo<br />
Corrispondenza<br />
48<br />
A. Magli et al.<br />
Stahl ED. Current thoughts in pediatric refractive surgery. J Pediatr Ophthalmol<br />
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myopia in children with eurobehavioral disorders: 1. Clear lens extraction and<br />
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Von Noorden GK, Campos E. Binocular Vision and Ocular Motility. 6 th ed. St Louis,<br />
MO: Mosby 2002.<br />
stroma. Il recupero funzionale è più rapido e il dolore post-operatorio è inferiore<br />
rispetto alla PRK.<br />
IOL (Intra Ocular Lens): Tecnica di chirurgia refrattiva che prevede il posizionamento<br />
di una lente graduata intraoculare, o a livello della camera anteriore (davanti<br />
all’iride), o al posto del cristallino naturale che viene sostituito. Si utilizza<br />
nelle ametropie elevate. Presuppone un intervento chirurgico tradizionale con<br />
tutti i rischi operatori del caso.<br />
IOL fachica: Impianto di lente intraoculare che non prevede l’asportazione del<br />
cristallino.<br />
Lensectomia: Asportazione chirurgica del cristallino.<br />
Haze: Opacità corneale stromale che può conseguire a un trattamento Laser.<br />
Afachia: Assenza del cristallino.<br />
Esotropia accomodativa: Strabismo convergente conseguente al processo di accomodazione.<br />
Si corregge con occhiali, lenti a contatto o chirurgia refrattiva.<br />
Prof. Adriano Magli, Dipartimento di Scienze Oftalmologiche, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Napoli Federico II, via Sergio<br />
Pansini 5, 80100 Napoli. Tel. +39 081 7462467. Fax: +39 081 7462467. E-mail: magli@unina.it
<strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> <strong>2012</strong> <strong>•</strong> <strong>Vol</strong>. <strong>42</strong> <strong>•</strong> N. <strong>165</strong> <strong>•</strong> pp. 49-54<br />
traffico intracellulare di proteine Cop<br />
dipendente: rilevanza nella patologia umana<br />
Roberta Russo*, Maria Rosaria Esposito*, Achille Iolascon* **<br />
Introduzione<br />
L’omeostasi delle proteine negli eucarioti, definita proteostasi, è l’insieme<br />
di processi biologici che preservano l’integrità del proteoma<br />
mediante il controllo della sintesi proteica, del folding e dell’esporto/<br />
trasporto delle proteine. Quest’ultimo rappresenta un argomento di<br />
notevole interesse per il suo potenziale ruolo in un certo numero di<br />
patologie.<br />
Le nostre attuali conoscenze circa la via di secrezione delle proteine<br />
originano dal lavoro di Palade, in cui venne descritta l’ipotesi del<br />
trasporto vescicolare, secondo la quale il trasferimento di molecole<br />
cargo tra organelli intracellulari è mediato da vescicole di trasporto<br />
(Palade, 1975) (Fig. 1). In tal modo, le proteine di nuova sintesi passano<br />
attraverso una serie di organelli, tra cui il reticolo endoplasmatico<br />
(ER), il complesso del Golgi e i granuli secretori, dirette verso lo<br />
spazio extracellulare.<br />
La caratterizzazione dei meccanismi molecolari e dei singoli componenti<br />
coinvolti nel trasporto vescicolare origina dai lavori di<br />
Schekman e Rothman. Il primo ha avuto la lungimiranza di scegliere<br />
come organismo modello Saccharomyces cerevisiae, quando non<br />
era ancora chiaro che il lievito avesse un apparato secretorio molto<br />
simile a quello degli eucarioti superiori. La facilità di manipolare<br />
geneticamente il lievito ha permesso di isolare mutanti sensibili alla<br />
temperatura (Sec) e difettivi nella secrezione proteica (Novick et al.,<br />
1980). Ancora oggi, S. cerevisiae è il sistema migliore nell’ambito<br />
dello studio del trasporto vescicolare. D’altro canto, gli studi condotti<br />
dal gruppo di Rothman hanno permesso la caratterizzazione<br />
del complesso vescicolare nelle cellule eucariotiche di mammifero:<br />
si è così scoperto che le proteine Sec del lievito sono filogeneticamente<br />
ortologhe a quelle di mammifero, rivelando che gli elementi<br />
principali del macchinario di trasporto sono conservati in eucarioti<br />
evolutivamente lontani (Balch et al., 1984).<br />
Le proteine nascenti contengono nella loro sequenza primaria elementi<br />
di localizzazione che vengono decifrati dal macchinario di trasporto,<br />
che provvede così al loro corretto indirizzamento (Fig. 1). I complessi<br />
proteici di rivestimento vescicolare sono i componenti principali di<br />
questa macchina organizzativa. Tre sono quelli ben caratterizzati: rivestimento<br />
di tipo I e II (COPI e COPII), e la clatrina (Fig. 2).<br />
Un numero cospicuo di patologie genetiche sono imputabili a difetti<br />
del macchinario di trasporto. Questa review si propone di descrivere<br />
le patologie genetiche umane associate ad alterazioni nelle funzioni<br />
della via secretoria. I dati discussi sono stati reperiti sul database<br />
PubMed-NCBI e coprono un lasso di tempo che va dal 1975 al 2011.<br />
Pathway di trasporto ER-Golgi<br />
FRoNtIERE<br />
* CEINGE Biotecnologie Avanzate, Napoli, Italia; ** Dipartimento di Biochimica e Biotecnologie Mediche, Università<br />
di Napoli “Federico II”, Napoli, Italia<br />
Riassunto<br />
L’interazione dinamica tra il folding e l’esporto/trasporto delle proteine, definita proteostasi, è un argomento di notevole interesse per il suo potenziale<br />
ruolo in un elevato numero di patologie. Molte malattie, attribuite a difetti del traffico vescicolare, sono disturbi primari del ripiegamento delle proteine e<br />
del loro assemblaggio. Tuttavia, un numero crescente di patologie sono direttamente imputabili a difetti del macchinario di trasporto. In questo contesto,<br />
il complesso proteico di rivestimento vescicolare di tipo II (COPII) svolge un ruolo fondamentale: esso, infatti, media il trasporto anterogrado dal reticolo<br />
endoplasmatico verso l’apparato di Golgi di una vasta gamma di proteine (cargo).<br />
Questa review si propone di descrivere i disordini genetici associati a difetti nelle funzioni della via secretoria. In particolare, ci concentreremo sulle patologie<br />
dovute ad alterazioni di I) componenti del complesso COPII, II) recettori-cargo del compartimento intermedio reticolo endoplasmatico-Golgi, III) proteine<br />
residenti nel reticolo endoplasmatico, IV) proteine coinvolte nel traffico vescicolare ciliare.<br />
Summary<br />
The dynamic interplay between folding and export of proteins, termed proteostasis, is a very exciting topic receiving considerable interest for its potential<br />
to intervene in a number of disease states. Many diseases that are attributed to trafficking defects are primary disorders of protein folding and assembly.<br />
However, an increasing number of disease states are now directly attributable to defects in trafficking machinery. In this context, cytoplasmic coat protein<br />
(COP)II complex plays a pivotal role. It is a multi-subunit complex which mediates the accumulation of secretory cargo, the deformation of the membrane<br />
and generation of subsequent anterograde transport of correctly folded secretory cargo that bud from the ER towards the Golgi apparatus. This review<br />
attempts to describe human genetic disorders associated to defects in secretory pathway functions. In particular, we will focus on diseases due to alterations<br />
of I) COPII components, II) cargo-receptor proteins of the ERGIC compartment, III) ER-resident proteins, IV) proteins involved into vesicular trafficking<br />
to the cilium.<br />
Le proteine neosintetizzate acquisiscono la loro conformazione<br />
nativa all’interno del reticolo, dove un robusto sistema di controllo<br />
di qualità opera per assicurare che la nascente proteina non ven-<br />
49
Figura 1.<br />
Diagramma esemplificativo del trasporto vescicolare.<br />
Il trasporto vescicolare può essere suddiviso in quattro fasi: 1) selezione<br />
delle proteine da trasportare, 2) gemmazione della vescicola, 3) indirizzamento<br />
della vescicola e 4) fusione con la membrana bersaglio. La<br />
vescicola gemma da una membrana definita donatrice, che permette<br />
l’incorporazione selettiva del cargo al suo interno e trattiene le proteine<br />
residenti nel compartimento donatore. La vescicola è poi indirizzata<br />
verso specifici compartimenti, dove può riversare il cargo in seguito alla<br />
fusione con la membrana bersaglio<br />
ga riconosciuta dal macchinario di esporto fin quando non risulti<br />
completamente conformata. Tale sistema agisce mediante proteine<br />
residenti nell’ER che identificano ed eventualmente indirizzano<br />
50<br />
R. Russo et al.<br />
i polipetidi non correttamente conformati alla degradazione. Il conseguimento<br />
della corretta conformazione è mediato da chaperoni<br />
molecolari, il principale tra i quali è la proteina BiP/GRP78 (Schröder<br />
et al., 2005).<br />
L’export di proteine dall’ER è stato ben caratterizzato sia in lievito (S.<br />
cerevisiae e Pichia pastoris) che in cellule di mammifero. In S. Cerevisiae<br />
la gemmazione delle vescicole COPII dalla membrana del reticolo<br />
sembra avvenire in maniera casuale; al contrario, in P. pastoris<br />
e in cellule di mammifero gli eventi di vescicolazione avvengono in<br />
specifici siti del reticolo, chiamati siti di uscita dall’ER (ERES). Gli<br />
ERES si affacciano su strutture vescicolo-tubulari (VTC) note come<br />
cluster ERGIC, compartimenti membranosi intermedi ER-Golgi ricchi<br />
di proteine cargo, che mediano il trasporto proteico tra ER e Golgi. Il<br />
traffico anterogrado COPII-mediato è bilanciato da quello retrogrado,<br />
mediato da COPI, che svolge il ruolo di riciclare i componenti di<br />
rivestimento vescicolare e di recuperare le proteine residenti dell’ER<br />
(Lee et al., 2004) (Fig. 2).<br />
Assemblaggio del complesso COPII<br />
Nel lievito, le vescicole COPII originano dal legame sequenziale di<br />
Sar1-GTP, delle proteine del rivestimento interno Sec23-Sec24 e di<br />
quelle del rivestimento esterno Sec13-Sec31 sul reticolo endoplasmatico<br />
(Fromme et al., 2008) (Fig. 3).<br />
A differenza del lievito, la complessità del macchinario di trasporto<br />
nelle cellule di mammifero è di gran lunga maggiore; si assiste, infatti,<br />
ad un aumento del numero e dei tipi di proteine di rivestimento,<br />
GTPasi regolatorie, segnali di indirizzamento. Come vedremo nel<br />
Figura 2.<br />
Pathway di trasporto intracellulare.<br />
Le vescicole COPII, in rosso, gemmano dal reticolo endoplasmatico in specifici siti, chiamati ERES (ER exit sites), che si affacciano su strutture<br />
vescicolo-tubulari, note come VTC (vescicular-tubular structures) o cluster ERGIC (ER-Golgi intermediates compartment), ovvero compartimenti<br />
membranosi intermedi ER-Golgi. Il compartimento ERGIC/VTC è ricco di proteine cargo, indirizzate al Golgi, e di proteine residenti dell’ER, che<br />
vengono recuperate dal traffico retrogrado COPI (in blu), che svolge anche il ruolo di riciclare i componenti dei complessi proteici di rivestimento<br />
vescicolare. Inizialmente si riteneva che le vescicole di clatrina partecipassero alla maggior parte, se non a tutte, le fasi di trasporto vescicolare<br />
all’interno della cellula. Tuttavia, studi successivi hanno dimostrato che la funzione di queste vescicole è limitata a percorsi post-Golgi, tra cui la<br />
membrana plasmatica e il network trans-Golgi (TGN).
traffico intracellulare di proteine CoP dipendente: rilevanza nella patologia umana<br />
Figura 3.<br />
Assemblaggio del complesso COPII.<br />
La formazione delle vescicole COPII sulla membrana dell’ER inizia con<br />
l’attivazione della piccola proteina GTPasi Sar1 ad opera del suo fattore<br />
di scambio nucleotidico GDP a GTP (guanine exchange factor, GEF),<br />
Sec12. Segue il reclutamento del complesso eterodimerico Sec23/24.<br />
Sec23 è una proteina GAP, ovvero attivante la funzione GTPasica di<br />
Sar1, laddove Sec24 è la proteina adattatrice adibita al reclutamento<br />
del cargo specifico nella vescicola nascente. Il complesso di pre-gemmazione,<br />
composto da Sar1-GTP/Sec23/Sec24, recluta a sua volta il<br />
complesso eterotetramerico Sec13/Sec31, il rivestimento esterno, che<br />
funziona da collegamento trasversale tra i complessi pre-gemmazione<br />
adiacenti e garantisce la completa biogenesi della vescicola.<br />
prossimo paragrafo, uno dei modi in cui l’evoluzione modifica una<br />
funzione biologica è quello di sviluppare proteine ortologhe (proteine<br />
omologhe in specie diverse) e paraloghe (proteine omologhe nella<br />
stessa specie) e isoforme, mediante, ad esempio, duplicazione genica<br />
e/o splicing alternativo dell’RNA messaggero.<br />
Disordini associati a difetti del complesso COPII<br />
Nei mammiferi sono stati identificati geni ortologhi per ciascuna<br />
delle cinque proteine fondamentali del complesso COPII e, in alcuni<br />
casi, paraloghi di queste proteine esistono, ciascuno codificato da<br />
un gene diverso. Essi sono indicati con un suffisso alfabetico. Sono<br />
stati descritti due paraloghi delle proteine Sar1, Sec23 e Sec31, indicati<br />
con A e B, e quattro di Sec24, da A a D. Ad oggi, mutazioni<br />
in tre componenti COPII sono state associate a patologie genetiche<br />
umane (Tab. I), come verrà descritto di seguito nel paragrafo.<br />
Alterazioni del gene SEC23A. La displasia cranio-lenticolo-suturale<br />
(CLSD) (MIM 607812) o sindrome di Boyadjiev-Jabs è una condizione<br />
autosomica recessiva caratterizzata da ritardo nella chiusura delle<br />
fontanelle, cataratta suturale, dismorfismi facciali e difetti scheletrici.<br />
È stata originariamente descritta in cinque maschi e una femmina<br />
appartenenti ad una grande famiglia saudita di origine beduina e<br />
nati da genitori consanguinei. Questa malattia dello sviluppo deriva<br />
da una mutazione missenso (F382L) nel gene SEC23A, mappato sul<br />
cromosoma 14q13-q21, che determina una perdita di funzione del<br />
suo prodotto proteico (Boyadjiev et al., 2006). Studi su embrioni di<br />
zebrafish in cui è stato iniettato il morfolino antisenso di sec23, una<br />
molecola oligomerica che ne modifica l’espressione genica, hanno<br />
suggerito che l’alterato esporto dall’ER delle proteine secretorie essenziali<br />
per la corretta morfogenesi sia la causa alla base della patologia<br />
(Lang et al., 2006). L’analisi mediante microscopia elettronica e<br />
saggi di localizzazione intracellulare hanno evidenziato la presenza<br />
di una dilatazione dell’ER nei fibroblasti di individui affetti. Inoltre,<br />
tali cellule mostrano anche un’anomalia nella localizzazione citoplasmatica<br />
della proteina Sec31. Infatti, saggi in vitro hanno rivelato<br />
che la forma mutata di SEC23A recluta erroneamente il complesso<br />
Sec13-Sec31, inibendo la formazione delle vescicole. Le cellule dei<br />
pazienti affetti accumulano numerosi ERES tubulari ricchi di proteine<br />
cargo ma privi del rivestimento vescicolare; questa osservazione<br />
suggerisce che il complesso di pre-gemmazione Sec23-24 è<br />
sufficiente a formare tubuli contenenti cargo, mentre il complesso<br />
Sec13-31 è fondamentale per la fissazione della membrana.<br />
Alterazioni del gene SEC23B. Il gene SEC23B, localizzato sul cromosoma<br />
20p11.23, codifica per la seconda proteina paraloga di<br />
Sec23. Mutazioni a suo carico causano l’anemia congenita diseritropoietica<br />
di tipo II (CDA II, MIM 224100), un disordine autosomico<br />
recessivo caratterizzato da anemia da moderata a grave, ittero<br />
cronico o intermittente, splenomegalia, eritropoiesi inefficace, reticolocitosi<br />
non adeguata al grado di anemia (Iolascon et al., 2001).<br />
Il midollo osseo presenta iperplasia eritroide, con più del 10% di<br />
bi- o multi-nuclearità degli eritroblasti, che mostrano al microscopio<br />
elettronico un peculiare aspetto di doppia membrana plasmatica:<br />
l’effetto è, in realtà, generato dalla presenza di vescicole dell’ER<br />
che si localizzano parallelamente al di sotto della membrana stessa,<br />
suggerendo un difetto nel traffico vescicolare. Ulteriore caratteristica<br />
è l’alterazione del processo di glicosilazione a carico di diverse<br />
proteine eritrocitarie: patognomonica della condizione è, infatti, la<br />
ridotta glicosilazione della proteina di membrana Banda 3 (Iolascon<br />
et al., 2011). La distribuzione geografica dei pazienti suggerisce una<br />
elevata prevalenza in Italia (2.49 casi/milione) rispetto all’Europa<br />
centro-nord (0.04 casi/milione) (Heimpel et al., 2010). Ad oggi, 53<br />
differenti mutazioni patogenetiche sono state descritte, localizzate<br />
Tabella I.<br />
Patologie umane associate a difetti di proteine del complesso COP II.<br />
Patologia Gene Localizzazione<br />
cromosomica<br />
Funzione proteica Trasmissione Caratteristiche cliniche Prevalenza<br />
Displasia cranio-lenticolosuturale<br />
(CLSD)<br />
Anemia diseritropoietica<br />
congenita di tipo II (CDA II)<br />
Malattia da ritenzione di<br />
chilomicroni (CMRD)<br />
* Prevalenza relativa alla popolazione italiana.<br />
SEC23A 14q21.1 GAP AR Ritardo nella chiusura delle<br />
fontanelle, cataratta suturale,<br />
dismorfismi facciali, difetti<br />
scheletrici<br />
SEC23B 20p11.2 GAP AR Anemia, ittero, ridotto numero<br />
di reticolociti, splenomegalia,<br />
emocromatosi<br />
SAR1B 5q31.1 GTPase AR Malassorbimento dei grassi,<br />
ipobetalipoproteinemia<br />
< 1/1000000<br />
2.49/1000000*<br />
Non nota<br />
51
lungo l’intera regione codificante del gene (Schwarz et al., 2009; Iolascon<br />
et al., 2011). Pazienti omozigoti per mutazioni nonsenso non<br />
sono stati identificati; ciò suggerisce che tale genotipo possa essere<br />
letale. Nonostante l’elevata eterogeneità allelica, esiste una correlazione<br />
genotipo-fenotipo nei pazienti affetti: infatti, l’associazione<br />
di una mutazione missenso e una nonsenso tende a produrre una<br />
presentazione clinica più grave del genotipo composto da due mutazioni<br />
missenso. Sebbene la maggior parte delle mutazioni siano il<br />
risultato di eventi sporadici e indipendenti, quattro rappresentano<br />
più del 50% degli alleli mutati, il che costituisce una guida per una<br />
diagnosi molecolare mirata (Iolascon et al., 2010). Un clusterizzazione<br />
di queste mutazioni sembra essere rilevante nel Sud Italia, dove<br />
è stato osservato un effetto fondatore per una delle mutazioni più<br />
frequenti (R14W) (Russo et al., 2011).<br />
Alterazioni del gene SAR1B. Malattia di Anderson (ANDD) o malattia<br />
da ritenzione di chilomicroni (CMRD) (MIM 246700) sono termini<br />
utilizzati per descrivere un disordine da malassorbimento dei lipidi,<br />
causato da un difetto intestinale nel trasporto degli stessi e dal fallimento<br />
della formazione di chilomicroni; la malattia è caratterizzata<br />
da ipobetalipoproteinemia con assenza selettiva di apoB48 (Peretti<br />
et al., 2010). I primi casi di neonati con steatorrea grave sono stati<br />
descritti circa 30 anni fa (Anderson et al., 1961). La condizione viene<br />
di solito diagnosticata nei bambini che presentano deficit di crescita,<br />
diarrea cronica e ipocolesterolemia. Il difetto molecolare che sottende<br />
la patologia è stato descritto nel 2003 e consiste in mutazioni a<br />
carico del gene SAR1B, codificante per una delle due proteine paraloghe<br />
di Sar1 (Jones et al., 2003). Analogamente a quanto osservato<br />
nella CDA II, è stato ipotizzato un carenza nella formazione e nella<br />
secrezione dei chilomicroni derivante da un difetto di glicosilazione;<br />
infatti, studi in vitro condotti su espianti intestinali da pazienti CMRD<br />
hanno evidenziato una normale sintesi di apoB48, con una glicosilazione<br />
aberrante (Levy et al., 1987). Gli enterociti dei pazienti non<br />
riescono a secernere chilomicroni nella linfa e di conseguenza sono<br />
sovraccarichi di piccole gocce lipidiche, che si accumulano nel citoplasma<br />
e formano strutture delle dimensioni di lipoproteine legate<br />
alla membrana, come è possibile osservare alla biopsia intestinale<br />
(Boldrini et al., 2001). La CMRD è una malattia molto rara ad ereditarietà<br />
recessiva con meno di 50 casi riportati in letteratura. I livelli<br />
ridotti sia di lipidi plasmatici che di vitamine liposolubili causano<br />
danni neurologici. In pazienti giovani sono state spesso riscontrate<br />
manifestazioni neuro-retiniche. I segni neurologici si possono sviluppare<br />
più frequentemente in fase tardiva in soggetti non trattati e,<br />
in genere, consistono nella perdita di riflessi tendinei profondi (Peretti<br />
et al., 2009).<br />
Patologie umane associate a difetti del<br />
compartimento ERGIC<br />
Nell’ambito del trasporto tra ER e Golgi, fondamentali sono i recettori-cargo<br />
(Fig. 1), proteine transmembrana che legano specifici cargo<br />
nel lume dell’ER. Ad oggi, sono stati identificati diversi recettori-cargo<br />
nel lievito. L’unico ad essere stato ben caratterizzato nelle cellule<br />
di mammifero è il complesso LMAN1-MCFD2 (Zheng et al. 2010).<br />
Alterazioni a carico di tale complesso sono alla base del deficit<br />
combinato di fattore V e fattore VIII (F5F8D), un disturbo autosomico<br />
recessivo della coagulazione, ben distinto dalla co-eredità della carenza<br />
dei due fattori. La condizione è caratterizzata da una tendenza<br />
al sanguinamento che si manifesta durante o dopo traumi, interventi<br />
chirurgici, e aborti. Comune è la menorragia, mentre risultano piut-<br />
52<br />
R. Russo et al.<br />
tosto rare ematuria, sanguinamento gastrointestinale e intramuscolare.<br />
Si tratta di una malattia molto rara, con meno di 150 casi riportati<br />
(Mohanty et al., 2005). La più alta frequenza è stata riscontrata<br />
in ebrei orientali e sefarditi in Israele, dove consueti sono i matrimoni<br />
tra consanguinei. La maggioranza (70%) dei pazienti ha mutazioni<br />
nel gene LMAN1 (MIM 227300) (Nichols et al., 1998), il restante in<br />
MCFD2 (MIM 607788) (Zhang et al., 2003). Il gene LMAN1 codifica<br />
per la proteina omonima (nota anche come ERGIC-53), una lectina<br />
che fa la spola tra l’ER e l’ERGIC. Il fattore MCFD2 è una piccola<br />
proteina solubile, che interagisce con LMAN1 e forma un complesso<br />
che funge da recettore-cargo specifico per il trasporto di FV e FVIII<br />
(Zhang et al., 2005). Oltre ai due fattori della coagulazione, anche gli<br />
enzimi lisosomiali catepsina C, catepsina Z e α1-antitripsina sono<br />
stati segnalati come potenziali cargo del recettore. Il modello murino<br />
Lman1 -/- riproduce il fenotipo umano seppur in maniera lieve; il<br />
topo deficitario, infatti, mostra livelli plasmatici di FV e FVIII del 50%<br />
rispetto ai livelli dei topi wild type, laddove nei pazienti affetti essi<br />
oscillano tra 5% e 30%. Inoltre, contrariamente a quanto osservato<br />
nei pazienti, non sono state riportate differenze nei livelli di enzimi<br />
lisosomiali (Zhang et al., 2011).<br />
Patologie umane associate a difetti di proteine<br />
residenti dell’ER o di loro interattori<br />
La sindrome di Marinesco-Sjögren (MSS) (MIM 248800) è una malattia<br />
autosomica recessiva multisistemica, le cui caratteristiche<br />
principali sono atassia cerebellare, cataratta, debolezza muscolare<br />
progressiva, bassa statura, ritardo dello sviluppo mentale; possono,<br />
inoltre, manifestarsi ipogonadismo ipergonadotropo, anomalie scheletriche,<br />
dismorfismi, epilessia, miopatia progressiva, neuropatia<br />
(Slavotinek et al., 2005). Mutazioni a carico del gene SIL1, mappato<br />
sul cromosoma 5q31, sono responsabili della maggior parte dei casi<br />
di MSS. Tuttavia, sono stati riportati anche alcuni casi tipici senza alterazioni<br />
in SIL1. SIL1 è una proteina reticolare, associata a GRP78,<br />
fondamentale per la traslocazione delle proteine al reticolo, agendo<br />
da fattore di scambio nucleotidico per lo chaperone. La riduzione<br />
dei suoi livelli influenza la traslocazione, con conseguente riduzione<br />
della sintesi proteica. L’identificazione di modelli di espressione<br />
tissutale, spaziale e temporale, simili tra i due geni SIL1 e GRP78,<br />
ha suggerito che l’alterata interazione SIL1-GRP78 costituisca l’elemento<br />
determinante per la manifestazione della sindrome. Le mutazioni<br />
in SIL1 determinano una perdita di funzione della proteina, con<br />
conseguente scorretto ripiegamento di proteine neosintetizzate (van<br />
Raamsdonk, 2006), come si evince da biopsie di muscolo scheletrico<br />
di pazienti affetti, in cui la proteina mutata non risulta visibile<br />
(Anttonen et al., 2005). SIL1 è espressa anche nei neuroni corticali e<br />
nelle cellule di Purkinje del cervelletto determinando manifestazioni<br />
cliniche quali le anomalie cerebrali, l’atrofia e il coinvolgimento della<br />
sostanza bianca (Reinhold et al., 2003). Il modello murino (topo woozy),<br />
originato da una mutazione omozigote in SIL1, presenta atassia<br />
progressiva con perdita delle cellule di Purkinje del cervelletto, in cui<br />
si accumulano proteine ubiquitinate, con conseguente neurodegenerazione<br />
da apoptosi o da autofagia (Zhao et al., 2005).<br />
Patologie umane associate a difetti di proteine<br />
coinvolte nel traffico vescicolare verso il ciglio<br />
La sindrome di Bardet-Biedl (BBS, MIM 209900) è un disordine autosomico<br />
recessivo caratterizzato da degenerazione retinica, polidattilia<br />
e ipogonadismo. Il rene policistico è la più comune causa di
traffico intracellulare di proteine CoP dipendente: rilevanza nella patologia umana<br />
morte prematura nei bambini affetti, in associazione con le complicanze<br />
causate dall’obesità, incluso il diabete di tipo II, l’ipertensione<br />
e l’ipercolesterolemia (Tobin et al., 2007). La prevalenza stimata<br />
oscilla tra 1/160000 nel Nord Europa fino a 1/13500 in Kuwait e<br />
Terranova. La condizione è caratterizzata da un elevato livello di<br />
eterogeneità genetica: ad oggi, 14 sono i geni causativi ad essa associati.<br />
Dal momento che una correlazione genotipo-fenotipo non è<br />
stata riscontrata, è stato ipotizzato che le diverse proteine BBS agiscano<br />
tutte all’interno di un comune processo cellulare: in particolare,<br />
l’eziologia della sindrome è relazionata alla disfunzione ciliare. Il<br />
ciglio primario è un organello antico degli eucarioti che proietta dalla<br />
superficie cellulare, adibito alla trasduzione del segnale di numerosi<br />
pathway coinvolti nei processi di differenziamento e omeostasi cellulare<br />
(Tobin et al., 2007).<br />
Recentemente è stato identificato il BBSoma, un complesso ottamerico<br />
composto da 7 proteine altamente conservate (BBS1, BBS2,<br />
BBS4, BBS5, BBS7, BBS8, BBS9) e dalla nuova BBIP10, tutte alla<br />
base del meccanismo patogenetico della BBS. Sembra che tale<br />
complesso agisca nell’ambito del traffico vescicolare verso il ciglio,<br />
formando un rivestimento e leggendo segnali di smistamento<br />
di proteine cargo. Il BBSoma, infatti, condivide elementi strutturali<br />
comuni alle vescicole COPI, COPII e clatrina; il suo meccanismo di<br />
assemblaggio in vitro si avvicina strettamente a quello delle vescicole<br />
rivestite di clatrina (Jin et al., 2010). A sostegno dell’ipotesi di<br />
un suo ruolo nel traffico vescicolare ciliare, è stato dimostrato che<br />
il recettore 3 della somatostatina fallisce nel raggiungere il ciglio<br />
primario dei neuroni ippocampali nei topi knockout per le proteine<br />
bbs2 e bbs4.<br />
Conclusioni<br />
Sebbene il traffico vescicolare sia stato ormai ben caratterizzato, e<br />
un numero elevato di disordini umani risulti associato a sue alterazioni,<br />
restano ancora da chiarire diversi aspetti patogenetici.<br />
Se da un lato le alterazioni a carico delle proteine residenti del reti-<br />
Box di orientamento<br />
colo, coinvolte nel controllo di qualità del folding proteico, esitano in<br />
condizioni multisistemiche, ad esempio la MSS, dall’altro alterazioni<br />
di singoli componenti del complesso COPII sono alla base dell’insorgenza<br />
di fenotipi clinici altamente specifici e tessuto-confinati.<br />
Ciò è sicuramente dovuto alla ridondanza funzionale del complesso<br />
COPII, osservata nelle cellule di mammifero. L’esempio migliore<br />
di tale situazione ci viene offerto dai difetti a carico dei due geni<br />
paraloghi SEC23A e SEC23B che causano condizioni patologiche<br />
molto differenti tra loro, la CLSD e la CDA II. Eppure, le sequenze di<br />
queste due proteine esibiscono una similarità del 99%. Dunque, perché<br />
la loro compromissione porta a fenotipi così specifici? L’ipotesi<br />
principale è quella di un fenotipo determinato da una espressione<br />
tessuto-specifica di entrambe. In accordo a tale ipotesi, durante il<br />
differenziamento eritroide in vitro di cellule CD34+, si assiste ad<br />
un aumento di espressione di SEC23B 5-7 volte maggiore rispetto<br />
a quello di SEC23A, laddove nelle cellule progenitrici CD34+ i livelli<br />
di espressione di entrambi i paraloghi sono sostanzialmente uguali<br />
(Schwarz et al., 2009). Un discorso analogo sussiste per le alterazioni<br />
a carico del gene SAR1B, alla base della malattia di Anderson,<br />
in cui risultano colpite primariamente le cellule intestinali, pur esprimendo<br />
entrambe le isoforme di Sar1. Un’altra possibilità è quella di<br />
una distribuzione del cargo differente tra i vari paraloghi. Ulteriori<br />
studi sono indispensabili per comprendere il ruolo della ridondanza<br />
funzionale del macchinario di trasporto, definendone i cargo selettivi,<br />
al fine di riuscire ad approntare una terapia sostitutiva mirata.<br />
Dichiarazioni finali<br />
Gli autori non hanno alcun conflitto d’interesse da dichiarare.<br />
RR e MRE hanno reperito le informazioni in letteratura. RR ha realizzato<br />
le figure. RR, MRE e AI hanno provveduto alla stesura del testo.<br />
Siamo grati al Ministero italiano dell’Università e della Ricerca, al<br />
MUR (contributi MUR-PS 35-126/Ind), alla Regione Campania (sovvenzioni<br />
DGRC2362/07), alla Fondazione italiana Telethon (Grant<br />
GGP09044 ad AI).<br />
Cosa si sapeva prima:<br />
Le nostre attuali conoscenze circa la via di secrezione delle proteine originano dal lavoro di Palade che, nel 1975, descrive per la prima volta l’ipotesi<br />
del trasporto vescicolare<br />
Negli anni ’80 Schekman e Rothman iniziarono la caratterizzazione delle reazioni e dei componenti proteici coinvolti nel trasporto vescicolare<br />
Il gruppo di Schekman ha caratterizzato nell’organismo modello S. Cerevisiae gli elementi principali del macchinario di trasporto vescicolare<br />
Cosa sappiamo adesso:<br />
Il processo evolutivo ha comportato, nelle cellule eucariotiche superiori, una maggiore specializzazione dei meccanismi di trasporto e indirizzamento<br />
delle proteine nei corretti compartimenti subcellulari<br />
Ad ogni ortologo di lievito corrisponde, per un fenomeno di speciazione, un set di paraloghi nei mammiferi, la cui funzione in taluni casi è ancora da<br />
definire<br />
Esiste un numero sempre crescente di patologie ereditarie direttamente imputabili a difetti del macchinario di trasporto<br />
Quali ricadute sulla pratica clinica:<br />
Per alcune patologie (ad esempio la CDA II) la correlazione genotipo/fenotipo ha dimostrato la rilevanza della diagnosi molecolare per la gestione clinica<br />
dei pazienti<br />
Chaperoni molecolari potrebbero essere utilizzati come farmaci per mediare il corretto folding in patologie da alterato controllo di qualità delle proteine<br />
neosintetizzate (ad esempio, la MSS da deficit del gene SIL1)<br />
La comprensione della ridondanza funzionale degli elementi COP, nonché la definizione del ruolo nella selezione del cargo specifico, potrebbe essere il<br />
punto di partenza per lo sviluppo di terapie future<br />
53
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** In questo lavoro è descritto il ruolo del complesso BBSoma nell’ambito del<br />
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** In questo lavoro è descritta l’identificazione del gene causativo SAR1B della<br />
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Corrispondenza<br />
54<br />
R. Russo et al.<br />
Mohanty D, Ghosh K, Shetty S, et al. Mutations in the MCFD2 gene and a novel<br />
mutation in the LMAN1 gene in Indian families with combined deficiency of factor<br />
V and VIII. Am J Hematol. 2005;79:262-6.<br />
Nichols WC, Seligsohn U, Zivelin A, et al. Mutations in the ER-Golgi intermediate<br />
compartment protein ERGIC-53 cause combined deficiency of coagulation factors<br />
V and VIII. Cell 1998;93:61-70.<br />
** Questo lavoro descrive l’identificazione di mutazioni causative a carico del<br />
gene LMAN1, alla base della patogenesi del deficit combinato di fattore V e fattore<br />
VIII.<br />
Novick P, Field C, Schekman R. Identification of 23 complementation groups<br />
required for post-translational events in the yeast secretory pathway. Cell<br />
1980;21:205-15.<br />
Palade G. Intracellular aspects of the process of protein synthesis. Science<br />
1975;189:347-58.<br />
** In questo lavoro si descrive per la prima volta l’ipotesi del trasporto vescicolare.<br />
Peretti N, Roy CC, Sassolas A, et al. Chylomicron retention disease: a long term<br />
study of two cohorts. Mol Genet Metab 2009;97:136-<strong>42</strong>.<br />
Reinhold A, Scheer I, Lehmann R, et al. MR imaging features in Marinesco–<br />
Sjögren syndrome: severe cerebellar atrophy is not an obligatory finding. Am J<br />
Neuroradiol 2003;24:825-8.<br />
Russo R, Gambale A, Esposito MR, et al. Two founder mutations in the SEC23B<br />
gene account for the relatively high frequency of CDA II in the Italian population.<br />
Am J Hematol. 2011;86:727-32.<br />
Schröder M, Kaufman RJ. The mammalian unfolded protein response. Annu Rev<br />
Biochem. 2005;74:739-89.<br />
Schwarz K, Iolascon A, Delaunay J, et al. Mutation affecting the secretory COPII<br />
coat component SEC23B cause congenital dyserythropoietic anemia type II. Nat<br />
Genet 2009;41:936-40.<br />
** In questo lavoro è descritta l’identificazione del gene causativo SEC23B<br />
dell’anemia congenita diseritropoietica di tipo II.<br />
Slavotinek A, Goldman J, Weisiger K, et al. Marinesco–Sjögren syndrome in a<br />
male with mild dysmorphism. Am J Med Genet 2005;133A:197-201.<br />
Tobin JL, Beales PL. Bardet–Biedl syndrome: beyond the cilium. Pediatr Nephrol<br />
2007;22:926-36.<br />
van Raamsdonk JM. Loss of function mutations in SIL1 cause Marinesco–<br />
Sjögren syndrome. Clin Genet 2006;69:399-403.<br />
Zhang B, Cunningham MA, Nichols WC et al. Bleeding due to disruption of a<br />
cargo-specific ER-to-Golgi transport complex. Nat Genet 2003;34:220-225.<br />
** Questo lavoro descrive l’identificazione di mutazioni causative a carico del<br />
secondo locus, MCFD2, del deficit combinato di fattore V e fattore VIII<br />
Zhang B, Kaufman RJ, Ginsburg D. LMAN1 and MCFD2 form a cargo receptor<br />
complex and interact with coagulation factor VIII in the early secretory pathway.<br />
J Biol Chem 2005;280:25881-6.<br />
Zhang B, Zheng C, Zhu M, et al. Mice deficient in LMAN1 exhibit FV and FVIII deficiencies<br />
and liver accumulation of α1-antitrypsin. Blood 2011;118:3384-91.<br />
Zhao L, Longo-Guess C, Harris BS, et al. Protein accumulation and neurodegeneration<br />
in the woozymutantmouse is caused by disruption of SIL1, a cochaperone<br />
of BiP. Nat Genet 2005;37:974-9.<br />
Zheng C, Liu H, Yuan S, et al. Molecular basis of LMAN1 in coordinating LMAN1-<br />
MCFD2 cargo receptor formation and ER-to-Golgi transport of FV/FVIII. Blood<br />
2010;116:5698-706.<br />
Achille Iolascon, CEINGE - Biotecnologie Avanzate, via Gaetano Salvatore 486, 80145 Napoli, Italia. Tel. +39 081 3737898. Fax +39 081 3737804.<br />
E-mail: achille.iolascon@unina.it
<strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> <strong>2012</strong> <strong>•</strong> <strong>Vol</strong>. <strong>42</strong> <strong>•</strong> N. <strong>165</strong> <strong>•</strong> pp. 55-61<br />
la Normativa Europea sui farmaci in età pediatrica<br />
tavola rotonda<br />
a cura di Andrea Biondi<br />
Box 1<br />
tAVoLA RotoNdA<br />
Durante il 67° Congresso della Società Italiana di Pediatria (Milano, 8 giugno 2011), si è svolta una Tavola Rotonda sulla Normativa Europea<br />
sui Farmaci in Età Pediatrica (Box 1), a cui hanno partecipato i Proff. Paolo Paolucci, il Prof. Paolo Rossi e il Dr. Nicolino Ruperto (Box 2).<br />
Nel dicembre del 2000, il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione che impegnava la Commissione Europea a definire una normativa per favorire<br />
un uso più appropriato dei farmaci nell’età evolutiva, definita da 0 a 18 anni di età e suddivisa in sottoclassi (neonato pre-termine e a termine,<br />
lattante, bambino, adolescente). Tutti gli Stati Membri hanno condiviso la rilevanza di tale necessità in termini di salute pubblica, rispondendo ad una<br />
motivazione essenzialmente etica e di pari opportunità per i cittadini europei. È infatti noto che il 50-75% dei farmaci utilizzati in età pediatrica non<br />
sono stati oggetto di studi nei bambini e negli adolescenti e di conseguenza vengono usati off-label ovvero senza disporre di dati scientifici specifici<br />
in grado di fornire un’adeguata informazione sulla loro efficacia e sui possibili effetti collaterali (1).<br />
Nel gennaio 2007, dopo un lungo percorso legislativo, viene pubblicata la Normativa Europea sui farmaci in età pediatrica (2). Trattandosi di una legge,<br />
il testo diviene applicativo in tutti gli Stati Membri, senza la necessità di un’approvazione da parte dei singoli Governi, a differenza della Direttiva EU<br />
relativa agli Studi Clinici che, al contrario, è stata recepita ed interpretata dalle diverse normative nazionali (European Union Directive 2001/20/EC).<br />
L’obiettivo generale della Normativa Europea è quello di migliorare la salute in età infantile, promuovendo:<br />
– la ricerca su farmaci in età pediatrica;<br />
– lo sviluppo e la registrazione di farmaci per l’età pediatrica;<br />
– l’approvazione di farmaci in età pediatrica, evitando sia studi non necessari in età pediatrica e ogni eventuale ritardo nell’approvazione degli stessi<br />
farmaci in età adulta;<br />
1. Roberts R, Rodriguez W, Murphy D, et al. Pediatric drug labeling: improving the safety and efficacy of pediatric theapies. JAMA. 2003;290(7):905-<br />
11.<br />
2. Regulation (EC) No 1901/2006 of the European Parliament and of the Council of 12 December 2006 on medicinal products for paediatric use and<br />
amending Regulation (EEC) No 1768/92, Directive 2001/20/EC, Directive 2001/83/EC and Regulation (EC) No 726/2004 (Text with EEA relevance)<br />
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2006:378:0001:0019:EN:PDF (accessed March 1st 2009).<br />
Andrea Biondi (A.B.): La Normativa Europea nasce dalla necessità di garantire l’utilizzo dei farmaci in modo appropriato in età<br />
pediatrica e di favorire l’accesso a nuovi farmaci. Potresti dare qualche dato sulla situazione prima della sua introduzione?<br />
paolo paolucci (p.p.): Il 20% della popolazione dell’Unione Europea ha meno di 18 anni. L’uso di farmaci off-label nei bambini e negli<br />
adolescenti è estremamente diffuso in quanto il 50-90% dei farmaci non hanno indicazione pediatrica, perché non sono stati eseguiti studi<br />
in questa fascia di età, ma soltanto in soggetti adulti e, a volte, neanche per le stesse indicazioni.<br />
La mancanza di specifiche informazioni, oltre che di appropriate formulazioni farmaceutiche, espone i bambini alla possibilità di una non<br />
adeguata e ottimale efficacia terapeutica per sottodosaggio come pure, per sovradosaggio, a possibili effetti avversi anche gravi, a breve e<br />
soprattutto a lungo termine.<br />
Inoltre, la mancanza di studi in età pediatrica ha costituito un oggettivo e rilevante fattore limitante l’accesso dei bambini a terapie innovative.<br />
Pertanto, la necessità di promuovere specifici studi per conseguire l’obiettivo dell’innovazione terapeutica e di una adeguata informazione<br />
sui farmaci da impiegare in età pediatrica, muovendo da un principio essenzialmente etico, ha trovato un consenso globale, dapprima<br />
con il regolamento della Food and Drug Administration (FDA-USA) e successivamente con l’entrata in vigore della regolamentazione Europea<br />
(gennaio 2007).<br />
A.B.: Il contesto dell’Oncologia Pediatrica è particolarmente emblematico come successo, utilizzo di farmaci off-label e accesso<br />
a nuovi farmaci: potresti descrivere perché?<br />
p.p.: I decisivi progressi in termini di cura conseguiti negli ultimi decenni dall’Oncologia Pediatrica sono dovuti all’approccio multidisciplinare<br />
e alla collaborazione tra gruppi di lavoro prima nazionali e poi a livello delle società scientifiche internazionali. Tale collaborazione, pure in<br />
assenza di farmaci oncologici specificamente sviluppati e approvati per uso pediatrico, ha consentito lo sviluppo di trials clinici, di ricerca<br />
e cura, non sponsorizzati da case farmaceutiche, basati, di necessità, sull’uso di farmaci off-label ovvero sviluppati per i tumori dell’adulto,<br />
55
56<br />
a cura di Andrea Biondi<br />
con formulazioni per l’adulto e, spesso, con indicazioni diverse stante la differenza esistente tra i tumori pediatrici (embrionali) e quelli<br />
dell’adulto (somatici).<br />
Tali trials collaborativi, sviluppati in modo appropriato per quanto attiene al monitoraggio della tossicità e alla misura dell’effetto terapeutico,<br />
hanno consentito in tempi relativamente rapidi di raccogliere molte informazioni sui farmaci impiegati per quello che riguarda la loro efficacia<br />
e la sicurezza di impiego e a breve termine. D’altro lato, sempre grazie a questo tipo di studi, è stato possibile allargare progressivamente<br />
la rosa dei farmaci off-label potenzialmente utili nella terapia delle malattie oncologiche del bambino fino alla introduzione dei primi nuovi<br />
farmaci dei tempi più recenti. Va comunque detto che, in relazione agli ottimali risultati terapeutici conseguiti fino ad oggi, l’introduzione di<br />
nuovi farmaci non potrà che avvenire in modo integrato con gli attuali protocolli di polichemioterapia e, soprattutto, in pazienti appartenenti<br />
a specifici gruppi di rischio definiti a livello internazionale.<br />
A.B.: Quali sono gli obiettivi principali della Normativa?<br />
p.p.: L’obiettivo della Nuova Regolamentazione è migliorare la salute dei bambini attraverso l’incremento della ricerca, etica e di alta qualità,<br />
per lo sviluppo e la maggiore disponibilità di nuovi medicinali specificamente destinati e autorizzati all’uso pediatrico (forme farmaceutiche,<br />
vie di somministrazione), fornendo una maggiore informazione sull’uso degli stessi per quanto concerne le modalità di impiego e gli aspetti<br />
inerenti gli effetti avversi a breve e a lungo termine, da monitorare in specifici data base. Tutto questo deve essere realizzato sia senza<br />
indurre studi non indispensabili nei bambini sia senza ritardare l’autorizzazione di nuovi farmaci per altre fasce di età.<br />
A.B.: Si è dunque adottato, analogamente a quanto già in atto in USA, la politica del “ bastone e della carota” rispetto all’obbligo<br />
di un’azienda di svolgere studi in età pediatrica. È corretto ?<br />
p.p.: Le principali innovazioni della nuova regolamentazione concernono l’istituzione di un Comitato Pediatrico (Paediatric Committee<br />
– PDCO), in seno all’European Medicines Agency (EMA), del Paediatric Investigation Plan (PIP) per la valutazione dei nuovi farmaci<br />
ai fini della loro autorizzazione di mercato, di una lista di priorità per la ricerca di nuovi agenti (Paediatric needs), di un database<br />
europeo, della Post Marketing evaluation ovvero Farmacovigilanza specifica (follow up a lungo termine), dell’inventario dei prodotti<br />
medicinali autorizzati per uso pediatrico, di un network europeo per promuovere la ricerca pediatrica, di obbligazioni e adeguati incentivi<br />
e fondi per la ricerca forniti dalla Commissione Europea e dagli Stati Membri al fine di incoraggiare lo sviluppo di farmaci per<br />
uso pediatrico coperti o meno da brevetto (patent). Pertanto, anche la regolamentazione europea prevede incentivi per le industrie<br />
farmaceutiche che propongono studi in età pediatrica. Questi incentivi (estensione di esclusività di mercato, specifici finanziamenti)<br />
possono riguardare farmaci nuovi o modificazioni (nuova indicazione, nuova via di somministrazione, nuova forma farmaceutica)<br />
di prodotti già coperti da patent in relazione all’approvazione del relativo PIP (procedura obbligatoria), oppure farmaci “vecchi”<br />
(off-patent) per i quali si intenda sviluppare e/o garantire uno specifico impiego pediatrico (Paediatric Use Marketing Authorization<br />
– PUMA) (procedura facoltativa).<br />
A.B.: Puoi descriverci la procedura di registrazione di un nuovo farmaco? Che cosa deve contenere il “Pediatric Investigation<br />
Plan”?<br />
p.p.: Dal gennaio 2007 le industrie farmaceutiche devono presentare un PIP (Pediatric Investigation Plan) al momento della richiesta di<br />
autorizzazione all’immissione in commercio di ogni nuovo nuovo farmaco (Fig. 1).<br />
Il PIP, oltre a tutte le informazioni disponibili sul prodotto (nome, indicazioni pediatriche, dati pre-clinici, dati clinici noti in adulti e<br />
bambini, dose, formulazione, vie di somministrazione, trial clinico proposto, endpoints, durata e tipo di follow up, etc.) deve contenere il<br />
programma di sviluppo nei bambini con l’elenco e la descrizione degli studi proposti e il timeline per la loro realizzazione. Inoltre, deve<br />
essere specificato se viene richiesta una deroga (waiver) per alcune condizioni o per fasce di età, e un differimento (deferral) ovvero un<br />
definito tempo di ritardato inizio del trial clinico pediatrico in attesa che dati pre-clinici (studi negli animali) e/o clinici (dati di efficacia<br />
e/o sicurezza) siano disponibili e resi noti al PDCO. L’azienda sia prima di sottomettere il PIP e dare inizio alla procedura di valutazione,<br />
sia in relazione ai pareri preliminari del PDCO espressi al giorno 30 e 60 dalla presentazione del PIP, può avvalersi dello Scientific<br />
Advice, fornito dai diversi comitati interni dell’EMA, come percorso informativo idoneo ad incrementare la sua compliance in seno ai<br />
diversi aspetti previsti dalla regolamentazione e dare cogenza alle richieste di modifica del PIP stesso (Fig. 2). A tale processo possono<br />
Fig. 1. Fig. 2.
tavola rotonda<br />
anche contribuire le discussioni per teleconferenza che l’azienda può richiedere durante tutto il percorso valutativo su specifici quesiti,<br />
interagendo direttamente con il Rapporteur, il Peer Reviewer e l’EMA Co-ordinator ai quali è stato assegnato di valutare quello specifico<br />
PIP. In relazione al risultato di questi percorsi, il PDCO esprime un giudizio, orientato alla possibile approvazione o meno del PIP, che<br />
viene sottoposto al Committee for Human Medicinal Products (CHMP), organismo che conferisce o meno la Autorizzazione di Mercato<br />
(Marketing Authorization). Segue poi nel tempo il compliance check per verificare la coerenza dei comportamenti dell’azienda nella<br />
conduzione dei trials clinici.<br />
A.B.: Qual è il compito del PDCO di cui fai parte?<br />
p.p.: Il PDCO è un comitato di esperti costituito da un rappresentante designato<br />
da ogni Stato Membro (Agenzia Nazionale del Farmaco), da membri<br />
del CHMP, da rappresentanti delle associazioni di pazienti e da health professionals<br />
per un totale di 65 membri (Fig. 3), ove sono espresse competenze<br />
in ambito regolatorio, professionale specifico nelle diverse aree della<br />
patologia pediatrica, che valutano il contenuto dei PIP presentati esprimendo<br />
una opinione favorevole o sfavorevole circa il suo valore complessivo,<br />
la sua compliance, il waiver, il deferral, stabilendo nelle diverse fasi della<br />
valutazione le modifiche da apportare. Esprime, infine, una opinione sulla<br />
qualità, sicurezza e efficacia del PIP su richiesta del CHMP.<br />
Fig. 3.<br />
A.B.: E per i farmaci non più coperti da brevetto, quale può essere<br />
l’interesse di un’azienda a fare studi in età pediatrica?<br />
p.p.: La decadenza di un brevetto può mettere a rischio la futura disponibilità del farmaco nel mercato, in quanto l’azienda che ne deteneva<br />
il diritto di commercializzazione potrebbe decidere di interromperne la produzione. Al contrario, la decadenza di un brevetto,<br />
per ovvie ragioni commerciali (basso prezzo di mercato) spesso non corrisponde all’entrata in campo di un’altra azienda produttrice<br />
anche di piccole dimensioni. Che ciò avvenga poi in campo oncologico è particolarmente difficile dati gli alti costi per la struttura<br />
aziendale di produzione, a meno che non si tratti di una grande azienda, che è piuttosto concentrata sullo sviluppo di nuove e più<br />
costose molecole.<br />
Per superare questo possibile empasse la nuova regolamentazione ha previsto un’altra procedura incentivante a favore dell’azienda che<br />
intenda assumere l’onere di mantenere in produzione un farmaco off-patent di interesse ed uso pediatrico. Infatti, attraverso l’approvazione<br />
del PUMA (Pediatric Use Marketing Authorization), l’azienda acquisisce il diritto di utilizzare tutta la pregressa documentazione esistente<br />
circa lo sviluppo di quel dato brevetto, nonché la possibilità di accedere a specifici fondi di ricerca europei per l’ulteriore sviluppo di quel<br />
farmaco (nuove formulazioni, nuove modalità d’uso). Sul piano pratico, però, fino ad oggi l’interesse delle aziende farmaceutiche a presentare<br />
dei PUMA è stato molto, molto limitato.<br />
A.B.: Potresti dare un’indicazione di numeri di PIP che sono stati presentati ed in quali ambiti di patologie?<br />
p.p.: Dall’entrata in vigore della Nuova Regolamentazione alla fine del 2010<br />
sono stati validati 912 PIP riguardanti tutte le specialità pediatriche. Di questi,<br />
660 PIP (72%) hanno riguardato nuovi farmaci, 229 (25%) farmaci già<br />
autorizzati, che hanno presentato il PIP per nuova indicazione pediatrica.<br />
Al contrario, per lo sviluppo di nuove formulazioni per farmaci off-patent i<br />
PUMA sono stati solo 23 (3%) (Fig. 4).<br />
A.B.: In questo scenario sembra delinearsi che la ricerca sui farmaci<br />
in campo pediatrico verrà svolta solo dalle aziende se ne avranno<br />
qualche vantaggio. Esiste ancora lo spazio per studi no profit?<br />
p.p.: Fino ad oggi le aziende hanno tendenzialmente vissuto la Nuova<br />
Regolamentazione come un inatteso intralcio alle loro abituali scelte e<br />
politiche di mercato, vivendo il PDCO come un organismo burocratico<br />
piuttosto che scientifico. In realtà, la scarsa, talora scarsissima consistenza<br />
scientifica dei PIP presentati, soprattutto all’inizio, ha determinato Fig. 4.<br />
la loro inevitabile bocciatura o necessaria ripresentazione. Pur essendo<br />
tuttora nella fase di crescita della curva di apprendimento, nonostante<br />
la dimensione di alcune multinazionali del farmaco, le cose stanno migliorando grazie al progressivo riconoscimento del ruolo scientifico<br />
del PDCO e dell’EMA nel suo complesso, ma anche grazie alla continua apertura della istituzione verso l’accademia, gli esperti<br />
e le società scientifiche ove la ricerca no profit ha da sempre avuto sede e sviluppo. Certamente, dunque, rimane un largo spazio per<br />
gli studi non profit, perché nello sviluppo di nuove terapie nessuno potrà rinunciare alle competenze dei professionisti esperti nelle<br />
malattie pediatriche e nell’uso dei farmaci pediatrici. È opportuno che tutto ciò avvenga all’interno di networks, per identificare le<br />
priorità e favorire lo svolgimento dei trials clinici. Tale prospettiva è stata esplicitamente indicata nella Nuova Regolamentazione e per<br />
essa si sta attivamente operando, in considerazione del fatto che lo sviluppo di nuovi farmaci pediatrici non può che rappresentare un<br />
obiettivo comune per gli organismi regolatori nazionali e europei, l’accademia, la Commissione Europea e gli Stati Membri, le aziende<br />
del farmaco, le associazioni di genitori nel contesto di un partenariato indispensabile per migliorare le cure in età pediatrica.<br />
57
58<br />
a cura di Andrea Biondi<br />
Andrea Biondi (A.B.): Le ultime considerazioni di Paolucci mi permettono di introdurre il Dr. Nicolino Ruperto. Come indicato nel<br />
Box 2, N. Ruperto è tra i fondatori di un network di ricerca indipendente in campo reumatologico, denominato PRINTO: potresti<br />
spiegare di che cosa si tratta?<br />
Nicolino ruperto (N.r.): La rete di ricerca denominata Paediatric Rheumatology International Trials Organisation (PRINTO) è stata fondata<br />
nel 1996 dal Prof. Alberto Martini e dal sottoscritto con l’obiettivo di facilitare la ricerca collaborativa nell’ambito della reumatologia pediatrica.<br />
La rete, inizialmente formata da 14 paesi, raggruppa ora oltre 60 paesi in tutti il mondo.<br />
A.B.: Quali sono i principali obiettivi?<br />
N.r.: PRINTO si è occupa sia di studi accademici che di studi in collaborazione con le case farmaceutiche.<br />
Nell’ambito degli studi accademici PRINTO ha standardizzato i criteri di risposta al farmaco nelle principali malattie reumatiche quali l’artrite<br />
idiopatica giovanile (AIG), il lupus eritematoso sistemico giovanile (LESG) e la dermatomiosite giovanile (DMG). In particolare i criteri di<br />
risposta nell’AIG sono stati accettati sia dalla FDA che dall’EMA per tutti gli studi da parte di case farmaceutiche che intendono registrare il<br />
loro farmaco per l’uso nel bambino come previsto dalla normativa europea del 2006.<br />
PRINTO si è poi occupato di aiutare diverse case farmaceutiche produttrici dei cosiddetti farmaci biologici ad implementare i relativi trial<br />
di fase II o III. L’aiuto si è esplicato a livello di progettazione della sperimentazione, del protocollo e delle schede raccolta dati, attraverso<br />
l’identificazione dei possibili centri partecipanti, in fase di analisi e di pubblicazione dei relativi risultati.<br />
A.B.: Quali sono stati i principali risultati del network in termini sperimentazione clinica dei farmaci?<br />
N.r.: Praticamente tutti i farmaci biologici attualmente registrati e/o utilizzati<br />
nel bambino con AIG sono stati studiati tramite PRINTO (adalimumab,<br />
abatacept, infliximab, tocilizumab, canakinumab) e altri studi sono attualmente<br />
in corso. Nella Figura 5 sono indicati gli studi no profit condotti dal<br />
network PRINTO attraverso la collaborazione con diversi Paesi nel mondo<br />
(Fig. 5).<br />
A.B.: La Normativa sulle Sperimentazioni Cliniche (European Union<br />
Directive 2001/20/EC) ha di fatto equiparato in termini di “ Good<br />
Clinical Practice” gli studi clinici registrativi con quelli no profit.<br />
Il risultato è senza dubbio un miglioramento della loro qualità, ma<br />
anche un significativo incremento dei costi, organizzazione etc, che<br />
Fig. 5.<br />
di fatto finisce per scoraggiare la ricerca indipendente. Qual è stata<br />
l’esperienza di PRINTO?<br />
N.r.: La ricerca indipendente è diventata più onerosa dal punto di vista burocratico. A tale riguardo risulta illuminante l’esempio di un<br />
recente studio finanziato dall’Agenzia Italiana del farmaco (AIFA) con l’obiettivo di valutare l’efficacia e la tollerabilità di 3 diversi protocolli<br />
terapeutici nella DMG, comunemente utilizzati nella pratica clinica corrente. Per questo studio specifico ci sono voluti più di due anni per<br />
ottenere l’approvazione da parte di 102 comitati etici di oltre 20 paesi e circa due anni per arruolare 135 pazienti da 24 paesi diversi. In<br />
effetti solo 4 comitati etici hanno rifiutato l’approvazione del protocollo mentre gli altri hanno sollevato solo minime obiezioni. Una possibile<br />
soluzione sarebbe una semplificazione delle procedure di approvazione ad esempio tramite un unico portale europeo con approvazione<br />
valida in tutti paesi della comunità.<br />
A.B.: Chi sostiene economicamente i vostri studi clinici?<br />
N.r.: Le fonti di finanziamento di PRINTO sono essenzialmente due. La maggior parte dei fondi sono pubblici provenienti dall’Unione Europea<br />
o da altri enti pubblici italiani o internazionali. I rimanenti fondi derivano dall’attività di aiuto alle case farmaceutiche svolta da PRINTO:<br />
i fondi relativi vengono poi reinvestiti per la ricerca no profit.<br />
A.B.: L’entrata in vigore del decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali (D.M. 14.07.2009 su G.U.<br />
14.09.2009 S.G. 231) dal titolo “Requisiti minimi per le polizze assicurative a tutela dei soggetti partecipanti alle sperimentazioni<br />
cliniche dei medicinali” ha ulteriormente aumentato i costi a carico dello sponsor, quindi di PRINTO: come avete affrontato<br />
questo ulteriore problema? PRINTO è un’entità con personalità giuridica, è in grado di firmare contratti anche a nome delle<br />
Istituzioni che fanno parte del network?<br />
N.r.: Il problema della copertura assicurativa è non solo economico ma anche organizzativo/logistico poiché non è semplice trovare assicurazioni<br />
che, con costi competitivi, siano in grado di coprire i rischi relativi a studi multicentrici. In generale per gli studi no profit l’approccio<br />
è di basare la sperimentazione sulla pratica clinica corrente in modo che i costi possano essere coperti dall’ospedale partecipante. Quando<br />
questo approccio non è sufficiente l’unica possibilità è di utilizzare i limitati fondi del budget a scapito di altre spese.<br />
A.B.: Con l’entrata in vigore della Normativa sui Farmaci in età Pediatrica, immagino sarete diventati un soggetto di grande<br />
interesse per le aziende che devono presentare un PIP e attivare studi clinici. È così? La nuova Normativa ha rappresentato<br />
un’opportunità?<br />
N.r.: Non c’è dubbio che la normativa pediatrica ha rappresentato una grossa fonte di opportunità per la pediatria e per la reumatologia<br />
pediatrica. In effetti prima del 2000 non esistevano farmaci autorizzati per l’uso nel bambino con AIG mentre ora i farmaci biologici sono<br />
autorizzati o in corso di autorizzazione. Come dicevo prima, PRINTO offre supporto alle case farmaceutiche sia in fase di definizione del
tavola rotonda<br />
Pediatric Investigation Plan (PIP) che in fase di stesura del protocollo, scelta dei centri partecipanti, valutazione indipendente della risposta<br />
al farmaco, analisi e divulgazione dei risultati scientifici.<br />
A.B.: Come vedi un rapporto virtuoso con le aziende? È possibile definire le condizioni che possono garantire gli interessi di un<br />
network indipendente come PRINTO e quelli di un’azienda?<br />
N.r.: Nei rapporti con le aziende forse la più importante caratteristica è relativa alle pubblicazioni scientifiche. PRINTO ha sempre ottenuto<br />
di poter scegliere sia i co-autori di un lavoro (in base al contributo di ciascun centro come previsto dallo statuto di PRINTO) sia l’ultima parola<br />
in fase di sottomissione del contributo.<br />
In aggiunta in questi anni PRINTO ha svolto un ruolo di mediatore contrattuale etico fra la casa farmaceutica e i centri partecipanti allo<br />
studio. Una richiesta non negoziabile, che abbiamo sempre ottenuto, è stata quella di continuare a fornire il farmaco sperimentale, se utile<br />
al paziente, oltre la fine della durata della sperimentazione; quello che si vuole evitare è la sospensione di un farmaco utile a bambini con<br />
una malattia cronica come l’AIG per i quali l’unica possibilità di ottenere farmaci spesso costosi è tramite la partecipazione ad una sperimentazione.<br />
In aggiunta abbiamo spesso ottenuto che i fondi versati ai centri partecipanti siano gli stessi per tutti indipendentemente<br />
dal livello socio-economico del paese partecipante al fine di favorire indirettamente, tramite i fondi delle case farmaceutiche, la ricerca<br />
indipendente.<br />
Andrea Biondi (A.B): Un ruolo centrale di governo della politica del farmaco e quindi anche della nuova Normativa viene svolto<br />
dalle Agenzie Regolatorie (FDA per USA ed EMA per EU). Il Prof. Paolo Rossi ha svolto e svolge ruoli importanti a livello dell’EMA<br />
e quindi è la persona più adatta per darci il punto di vista del legislatore. In che cosa la Normativa Europea si differenzia da<br />
quella già applicata in USA?<br />
paolo rossi (p.r.): La normativa Europea ha ripreso molte delle caratteristiche della normativa USA, ma si differenzia principalmente su<br />
due aspetti principali (oltre a moltissime differenze di minor rilevanza): 1. la tempistica in cui si inserisce il PIP in Europa rispetto a USA:<br />
mentre negli USA Uniti questo è molto spesso completamente succedaneo al piano di sviluppo per gli adulti, in Europa il PIP si inserisce tra<br />
la fase 2 e la fase 3 (in realtà nella legislazione addirittura tra la fase 1 e la fase 2, ma in pratica nella fase 2 dello sviluppo del farmaco), e<br />
quindi molto più precocemente rispetto alla legislazione americana; 2. l’altro elemento che lo contraddistingue è che l’approvazione del PIP,<br />
con gli elementi in esso contenuti, costituisce un elemento binding a cui le aziende sono tenute a far fede: in altre parole quello che viene<br />
deciso nell’accordo tra il PDCO dell’EMA e l’azienda, per il PIP, è un elemento ineluttabile e ineludibile per quanto riguarda l’approvazione<br />
finale di quel farmaco (la sua registrazione d’uso e quindi il suo marketing).<br />
A.B: Qual è la tua esperienza come membro del PDCO?<br />
p.r.: Sono membro del Comitato Pediatrico dalla sua costituzione ed ero anche membro del Comitato che lo ha in qualche modo preceduto<br />
e realizzato, il cosiddetto Pediatric Extern Group dell’EMA. La mia esperienza all’interno di questo comitato è quella del membro che valuta i<br />
PIP ed in particolare, insieme con la mia alternate Dr.ssa Rocchi, ci siamo molto dedicati alla valutazione, all’esame di PIP proposti nell’ambito<br />
della infettivologia, delle malattie immunologiche, delle malattie allergiche, delle malattie reumatologiche, dell’AIDS e, in qualche caso,<br />
anche di malattie del metabolismo come il Diabete di tipo I.<br />
In realtà l’esperienza che ho accumulato in questo periodo è un’esperienza di intensa attività se si considera che ad oggi, nel 2011, sono<br />
oltre 2000 i PIP presentati all’agenzia regolatoria.<br />
A.B: L’opinione pubblica è sensibile al problema di un uso corretto dei farmaci nei bambini, ma non è altrettanto condivisa<br />
l’importanza che i dati si possono ottenere solo con una sperimentazione adeguata.<br />
In che modo l’EMA intende promuovere la sensibilizzazione sulla sperimentazione clinica in età pediatrica?<br />
p.r.: Questo è un problema estremamente sentito dalla società. Fino a poco tempo fa si riteneva completamente non etico sperimentare un<br />
farmaco in un bambino. In realtà quello che succede nella vita quotidiana è che, dal momento che la maggior parte dei farmaci non sono<br />
stati licenziati nell’età pediatrica, ogni volta che noi diamo un farmaco ad un bambino, e questo farmaco non ha delle prove di evidenza,<br />
di efficacia, di sicurezza o di giusta dose in quell’età, facciamo in quel momento una sperimentazione non controllata. Quindi il concetto di<br />
eticità e di importanza della sperimentazione in Pediatria nasce proprio da questa esigenza: mettere in regola, controllare la sperimentazione<br />
secondo processi ben strutturati, che ne garantiscano la sicurezza. Certamente l’EMA per poter far sì che nella società questa percezione<br />
diventi sempre più condivisa, deve agire sul livello dei Medici (attraverso l’informazione e la formazione) ma anche direttamente con la<br />
società. Per questo, ad esempio, in Italia, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) sta per lanciare una campagna mediatica per favorire la sperimentazione<br />
clinica dei farmaci in Pediatria ed una maggiore sensibilizzazione in questo settore nell’ambito delle scuole e delle Associazioni<br />
che si occupano delle diverse specializzazioni pediatriche.<br />
A.B: In che modo l’EMA intende favorire l’incontro tra i network di patologie esistenti a livello europeo e il mondo della aziende?<br />
p.r.: L’EMA, grazie anche ad un dettame del Regolamento Europeo, ha istituito al suo interno un organismo che si chiama EnprEMA (European<br />
Network for Pediatric Research at EMA), che è una struttura di coordinamento, di facilitazione dell’azione che i network terapeutici<br />
in Pediatria stanno già svolgendo in questo settore. Questo strumento, l’EnprEMA, dovrà avere il compito di facilitare i contatti tra network<br />
terapeutici, quindi i soggetti direttamente coinvolti nella sperimentazione, e le aziende farmaceutiche. L’obiettivo è quello di indirizzare l’industria<br />
a sviluppare farmaci che siano utili al bambino, sia in senso di quale farmaco, ma anche di come somministrarlo e di come inserirlo<br />
nel piano terapeutico della malattia a cui si riferisce. In secondo luogo dovrà facilitare la sperimentazione, valutando quale tipo studio è<br />
realisticamente fattibile anche in relazione all’incidenza della malattia e quindi alla possibilità di reclutare i pazienti. Quindi il network è un<br />
elemento di facilitazione allo svolgimento della sperimentazione e quindi al compimento pieno della missione di EMA stessa.<br />
59
60<br />
a cura di Andrea Biondi<br />
A.B: Uno degli aspetti che rende faticosa l’approvazione di uno studio in età pediatrico, specie se in una malattia rara, è quello<br />
relativo all’iter approvativo da parte dei CE. Come vedi si potrebbe migliorare l’attuale normativa almeno per quanto riguarda gli<br />
studi pediatrici?<br />
p.r.: Quello dei Comitati Etici è un problema enorme, non soltanto in Italia, ma anche in Europa. Certo in Italia la proliferazione di Comitati<br />
Etici rende un percorso a ostacoli l’approvazione spesso della sperimentazione. Quello che potrebbe essere fatto sicuramente è una riduzione<br />
dei Comitati Etici, magari creando Comitati Etici regionali (ed è una proposta di Legge che è già in discussione nella nostra normativa).<br />
In attesa di riforme strutturali delle modalità con cui i Comitati Etici sono organizzati, è importante sensibilizzare i componenti pediatrici<br />
dei Comitati Etici alle aspettative, alle esigenze della sperimentazione pediatrica, magari attraverso un’azione formativa: corsi di aggiornamento,<br />
iniziative di formazione, in modo tale che ci sia più uniformità di giudizio tra un Comitato Etico ed un altro. La risoluzione verrà dalla<br />
riduzione dei Comitati Etici e dalla strutturazione di questi Comitati Etici in una forte componente pediatrica.<br />
A.B: Una domanda di conclusione a Paolucci e Rossi per la vostra posizione nel PDCO. Sono trascorsi ormai 5 anni dall’entrata in<br />
vigore della Normativa sui Farmaci in Età Pediatrica. Pur non disponendo di dati, ho l’impressione che al numero di PIP presentati<br />
non corrisponde necessariamente un numero adeguato di studi clinici, che poi di fatto significa accesso ai nuovi farmaci. È cosi?<br />
Qual è il vostro punto di vista? Quali possono essere i miglioramenti che vedete necessari in un prossimo futuro?<br />
p.r.: Questo è un dato di fatto, ma che è anche relativo alle procedure abbastanza lente con cui tutta la fase regolatoria di sperimentazione<br />
si attiene. Dal momento in cui una ditta farmaceutica presenta un PIP al momento in cui viene inserito il primo paziente in quella sperimentazione<br />
passano almeno dai 2 ai 3 anni. Anche se il regolamento pediatrico ha 5 anni di vita, in realtà i primi risultati si vedranno proprio nei<br />
prossimi 2-3 anni. Per facilitare questo, come ho già detto, esiste questo organismo che è l’EnprEMA che dovrebbe mettere in contatto ditte<br />
farmaceutiche con in network specialistici, ma chiaramente per quanto riguarda il nostro paese sarà importante organizzare reti nazionali<br />
terapeutiche per la Pediatria per evitare che l’Italia, proprio per le caratteristiche della sua organizzazione sanitaria, possa rimanere a margine<br />
di questo processo di cambiamento.<br />
p.p.: Confermo quanto detto da Paolo Rossi, ma bisogna essere ragionevoli e pazienti. L’avvento di una nuova normativa volta a cambiare<br />
radicalmente l’esistente, specie se fondata su basi eminentemente etiche, richiede fisiologicamente del tempo per essere compresa a fondo<br />
e per potersi adeguare ad essa, superando alcune barriere e pregiudizi. Ci sono poi numerosi interessi di vario tipo che solo un consapevole<br />
e universale ricorso al partenariato tra i diversi stakeholders potrà consentire di superare. Senza entrare nel merito di questioni piuttosto delicate,<br />
basti pensare a quanti anni sono richiesti alle aziende del farmaco per portare lo sviluppo di una molecola sulla “pipe line”, fase finale<br />
che precede la sua immissione nel mercato. Orbene, molte di queste molecole già situate in tale posizione nel gennaio 2007 non potevano<br />
certo essere misconosciute, donde la necessità di tempo per potere mutare l’approccio aziendale e lo sviluppo di nuove strategie e capacità<br />
relazionali. Io sono personalmente ottimista perché vedo le cose cambiare lentamente in meglio, soprattutto per quanto concerne un nuovo<br />
atteggiamento tendenzialmente proattivo da parte delle aziende. Ma credo che il raggiungimento dell’obiettivo non potrà che discendere<br />
dalla capacità di tutti gli interlocutori in campo, prima menzionati, a definire e condividere le priorità nella scelta di quali nuovi farmaci abbiamo<br />
necessità di sviluppare nella più ampia dimensione di partenariato. L’EMA e i suoi organismi, a partire dal PDCO, potrebbero costituire<br />
l’Hub di questo nuovo sistema di relazioni scientifiche e sociali al quale fare afferire e convergere i numerosi Spoke esistenti portatori di<br />
diritti, di quesiti e aspettative, di specifiche conoscenze scientifiche, di capacità professionali e organizzative, nonché di capacità e risorse<br />
aziendali senza dimenticare la Commissione Europea e gli Stati Membri quali espressioni non solo di contenuti regolatori, ma anche come<br />
soggetti finanziatori a tutela di una componente non trascurabile di cittadini europei: neonati, lattanti, bambini e adolescenti.<br />
Conclusioni<br />
Non è facile concludere una Tavola Rotonda complessa per la novità degli argomenti.<br />
Vorrei solo sottolineare alcuni aspetti che mi sembrano rilevanti.<br />
La Normativa Europea si propone di colmare un vuoto importante relativo all’uso appropriato dei farmaci in età pediatrica. Si stima infatti che circa<br />
¾ di tutti i medicinali in commercio oggi non sono supportati da indicazioni approvate da FDA/EMA per l’uso nei neonati, lattanti, bambini e adolescenti.<br />
La strategia del “bastone e carota”, ovvero l’obbligo della sperimentazione in età pediatrica per ottenere la registrazione con il benefico dell’estensione<br />
del brevetto, è stata già sperimentata con successo in USA.<br />
Il tempo di attuazione è ancora breve per dare un giudizio di efficacia della Normativa Europea, che di fatto sarà primariamente basata sul numero<br />
di studi clinici realizzati e non solo presentati.<br />
Il mondo farmaceutico avrà bisogno di interlocutori che siano in grado di svolgere studi clinici secondo gli standard GCP. Ciò potrà essere realizzato<br />
attraverso le reti di patologia (nell’ambito delle Pediatria Ospedaliera e di Famiglia) esistenti oggi anche in Italia.<br />
Le Agenzie Regolatorie e gli organi di competenza regionali e nazionali dovranno contemporaneamente sostenere una ricerca indipendente onde<br />
evitare che l’unica ricerca clinica sia solo quella sostenuta dalle Aziende Farmaceutiche.<br />
In conclusione ritengo che la strada intrapresa certamente contribuirà al diritto del bambino di ricevere farmaci migliori, efficaci e sicuri come risultato<br />
di una pediatria sempre più basata sui risultati della sperimentazione e della ricerca.
tavola rotonda<br />
Box 2<br />
MODERATORE<br />
Prof. Andrea Biondi<br />
RELATORI<br />
Prof. Paolo Paolucci<br />
Dr. Nicolino Ruperto<br />
Prof. Paolo Rossi<br />
Direttore Clinica Pediatrica, Università Milano-Bicocca, Fondazione MBBM-Ospedale San Gerardo, Monza<br />
andrea.biondi@unimib.it<br />
Direttore Dipartimento ad Attività Integrata Materno Infantile (DAI 3) Direttore U.O. Complessa di Pediatria, Direttore<br />
U.O.Complessa di Ematologia, Oncologia e Trapianto di CSE – Azienda Ospedaliero-Universitaria, Policlinico di Modena.<br />
Dal 2008 è membro del PDCO in qualità di “Health Professional” ovvero “esperto di pediatria”: nel PDCO gli HP sono 4. La<br />
candidatura viene proposta alla Commissione Europea dall’European Paediatric Association (EPA-UNEPSA) e la scelta viene<br />
fatta su una rosa di candidati (circa 150) sulla base del CV.<br />
Il Dott. Nicolino Ruperto lavora attualmente come Dirigente Medico presso la Pediatria II dell’IRCCS G. Gaslini di Genova. Con<br />
il Prof. Alberto Martini ha fondato nel 1996 il Pediatric Rheumatology International Trials Organisation (PRINTO, www.printo.<br />
it) dove riveste la carica di Senior Scientist. Si occupa principalmente di sperimentazioni cliniche nell’ambito delle patologie<br />
reumatiche pediatriche.<br />
Direttore della Cattedra di Clinica Pediatrica – Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Direttore del Dipartimento Pediatrico<br />
Universitario Ospedaliero-Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma. Membro del Comitato Pediatrico presso l’EMA e<br />
dell’EnPrema.<br />
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