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Vol. 42 • N. 165 Gennaio-Marzo 2012 - Sip

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Direttore Responsabile: Patrizia Alma Pacini<br />

Rivista stampata su carta TCF (Total Chlorine Free)<br />

e verniciata idro.<br />

<strong>Vol</strong>. <strong>42</strong> <strong>•</strong> N. <strong>165</strong><br />

<strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> <strong>2012</strong><br />

Pacini<br />

EditorE<br />

MEdicina


INDICE numero <strong>165</strong> <strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> <strong>2012</strong><br />

EpatoloGIa (a cura di Pietro Vajro)<br />

Presentazione<br />

terapia delle epatiti virali croniche <strong>2012</strong>: presente e futuro<br />

Claudio Veropalumbo, Pietro Vajro ............................................................................................................................................................ 3<br />

Malattia di Wilson: ancora una sfida diagnostica<br />

Giusy Ranucci, Antonietta Zappu, Maria Barbara Lepori, Raffaele Iorio e Georgios Loudianos .............................................................. 12<br />

Epatite autoimmune: una terapia non sempre facile<br />

Marco Sciveres, Francesco Cirillo, Silvia Nastasio, Giuseppe Maggiore ................................................................................................. 21<br />

oCUlIStICa (a cura di Adriano Magli)<br />

Presentazione<br />

attualità in oftalmologia pediatrica<br />

Lucia Ambrosio, Francesco Matarazzo, Patrizio Magliozzi, Luca Rombetto, Roberta Carelli, Adriano Magli .......................................... 31<br />

la cataratta congenita: iter diagnostico-terapeutico<br />

Adriano Magli, Elena Piozzi, Eduardo Maselli, Giovanni Marsico, Francesco Matarazzo, Luca Rombetto .............................................. 37<br />

Stato della chirurgia refrattiva in età pediatrica<br />

Adriano Magli, Antonello Iovine, Giovanni Marsico, Lucia Ambrosio, Luca Rombetto, Paolo Nucci ......................................................... 43<br />

FroNtIErE (a cura di Antonio Cao, Luigi D. Notarangelo, Achille Iolascon, Andrea Biondi)<br />

traffico intracellulare di proteine Cop dipendente: rilevanza nella patologia umana<br />

Roberta Russo, Maria Rosaria Esposito, Achille Iolascon ....................................................................................................................... 49<br />

tavola rotoNDa (a cura di Andrea Biondi)<br />

la Normativa Europea sui farmaci in età pediatrica<br />

Andrea Biondi ......................................................................................................................................................................................... 55


Epatologia<br />

Le malattie del fegato e delle vie biliari sono cause comuni di malattia cronica in età pediatrica, colpendo circa uno ogni 8.000 bambini.<br />

Molte forme sono congenite e possono essere causate da una varietà di anomalie genetiche, malformazioni strutturali e infezioni prenatali.<br />

Altre – comuni a quelle dell’adulto, come ad esempio le epatopatie croniche virali e autoimmuni o il coinvolgimento epatico di condizioni<br />

sistemiche quali la celiachia e l’obesità – presentano comunque diverse caratteristiche peculiari dell’età pediatrica. Molte, se non trattate<br />

adeguatamente e tempestivamente, evolvono verso la fibrocirrosi epatica fino alla necessità di epatotrapianto.<br />

Le epatopatie esercitano molti effetti negativi non solo sulla funzione epatica del bambino ma anche su crescita, sviluppo e realizzazione<br />

intellettuale, sviluppo psico-sociale e interazioni familiari. La gestione ottimale richiede spesso un approccio globale e multidisciplinare<br />

guidato da specialisti che abbiano specifiche competenze epatologiche pediatriche. L’epatologo pediatra svolge un ruolo critico nel fornire<br />

piani terapeutici completi, consulenze e secondi pareri, su basi di breve o di lungo termine. La diagnosi e la gestione della vasta gamma<br />

di disturbi epatobiliari del bambino può richiedere una varietà di esami sierologici, metabolici, molecolari, istologici, radiografici ed endoscopici.<br />

Gli epatologi pediatri devono pertanto saper interagire con anatomopatologi, genetisti e specialisti metabolici, radiologi, chirurghi<br />

pediatri, chirurghi, radiologi interventisti e altri ancora. Il coordinamento del piano di cura del paziente deve essere spesso sviluppato su<br />

base individuale, non esistendo due pazienti uguali.<br />

Ricerca e buona assistenza clinica vanno di pari passo. Un attivo programma di ricerca epatologica pediatrica è indispensabile per ottenere<br />

avanzamenti nella comprensione della patogenesi e nel trattamento dei problemi epatici del bambino, incluso lo sviluppo di nuove terapie<br />

più sicure e più efficaci. Spesso le esperienze mutuate dalla ricerca clinica nell’adulto debbono essere sfruttate come apripista per velocizzare<br />

i processi di dose finding ed effectiveness.<br />

Questo numero di Prospettive in Pediatria contiene tre lavori di Epatologia Pediatrica che bene illustrano quanto detto sopra.<br />

Il primo contributo focalizza la gestione dell’epatite virale cronica e fornisce al pediatra lo stato dell’arte utile per il trattamento dei pazienti.<br />

Non trascurando tuttavia di presentare dati recentissimi su farmaci di nuova generazione che stanno già ora modificando radicalmente<br />

l’armamentario terapeutico a disposizione nell’adulto.<br />

Il secondo contributo è un Focus che discute in particolare i principali ostacoli legati alla corretta diagnosi clinica e di laboratorio della<br />

malattia di Wilson, indispensabile per evitare l’inesorabile progressione del danno epatico e neurologico se non adeguatamente trattata. Le<br />

principali opzioni terapeutiche agiscono con diversi meccanismi e nessuna di esse è scevra da effetti collaterali che debbono essere ben<br />

noti al paziente per assicurasi una buona compliance.<br />

Il terzo contributo verte sull’epatite autoimmune e tratta in particolare problemi ancora aperti quali il tipo di associazione iniziale dei farmaci<br />

standard, nonché i criteri per la loro discontinuazione. Gli Autori ci mostrano come il trattamento convenzionale con steroidi e azatioprina<br />

sia altamente efficace ma debbano essere protratto a lungo prima di tentare una sospensione. La ciclosporina come farmaco alternativo è<br />

parimenti efficace e ormai sufficientemente radicato nella pratica clinica.<br />

Pietro Vajro<br />

Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Salerno<br />

1


<strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> <strong>2012</strong> <strong>•</strong> <strong>Vol</strong>. <strong>42</strong> <strong>•</strong> N. <strong>165</strong> <strong>•</strong> pp. 3-11<br />

terapia delle epatiti virali croniche <strong>2012</strong>:<br />

presente e futuro<br />

Claudio Veropalumbo 1 , Pietro Vajro 2<br />

1 Dipartimento di Pediatria, Università degli Studi Federico II, Napoli<br />

2 Cattedra di Pediatria, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Salerno<br />

Introduzione<br />

Le epatiti virali (epatite virale B [HBV] e C [HCV]) continuano a costituire<br />

un problema di rilievo per la sanità mondiale nonostante<br />

l’introduzione del vaccino contro il virus HBV. Il rischio di contagio<br />

per entrambe le condizioni nella popolazione italiana è ulteriormente<br />

aumentato anche in ragione delle adozioni internazionali e della crescente<br />

immigrazione da Paesi con elevata prevalenza (Giacchino et<br />

al., 2010). La nostra revisione descrive novità circa aspetti generali<br />

delle epatiti croniche da HBV e HCV, evidenziando le peculiarità che<br />

tali patologie assumono quando interessano l’età pediatrica. Aspetto<br />

centrale è però quello relativo alla gestione terapeutica, e pertanto<br />

saranno approfonditi i principali approcci farmacologici a disposizione<br />

e gli aspetti ancora controversi ad essi correlati. Accanto ai<br />

farmaci “tradizionali”, in epoca più recente si stanno sviluppando<br />

nuove terapie che trovano il loro razionale nel blocco delle varie fasi<br />

del ciclo replicativo dei virus epatitici, alcuni dei quali già utilizzabili<br />

nella popolazione adulta, altri in attiva fase di sperimentazione clinica.<br />

Obiettivo<br />

All’interno della revisione sarà fornita una rassegna delle nuove<br />

strategie terapeutiche basate sul miglioramento delle conoscenze<br />

relative al ciclo replicativo virale, con un aggiornamento sullo stato<br />

di evidenza disponibile.<br />

Metodologia della ricerca bibliografica<br />

È stata svolta una ricerca attraverso PubMed utilizzando termini<br />

chiave come: “viral hepatitis treatment; interferon; PEG-interferon;<br />

ribavirin; lamivudine; new antiviral drugs; viral hepatitis, children”,<br />

anche tra loro incrociati. Sono stati selezionati articoli originali, revisioni,<br />

revisioni sistematiche e linee guida più recenti.<br />

Epatite B (HBV)<br />

EPAtoLoGIA<br />

Riassunto<br />

Le criticità relative all’attuale gestione dell’epatite virale sono molteplici. L’alto numero di soggetti infetti nel mondo dimostra la persistente necessità di<br />

introdurre programmi di prevenzione efficaci. La scelta dei soggetti da trattare non è univoca, specialmente per quanto concerne l’età pediatrica, per il<br />

decorso spesso indolente della patologia e gli alti tassi di sieroconversione spontanea. La nostra revisione della letteratura analizza i pro e i contro da tenere<br />

in considerazione nel momento in cui si decide di intraprendere la terapia farmacologica. Vengono riportate le più recenti evidenze relative ai farmaci attualmente<br />

disponibili per il trattamento. Infine sono elencati i dati su agenti terapeutici emergenti nell’adulto, il loro meccanismo d’azione nonché le evidenze<br />

disponibili sui vaccini preventivi e “terapeutici”.<br />

Summary<br />

Several emerging issues related to management of viral hepatitis have recently been discussed in the literature. The high number of infected individuals in<br />

the world demonstrates the persisting need for effective prevention programs. Selection of subjects to be treated is not univocal, especially for the pediatric<br />

age group where the disease course is often considered “mild” and spontaneous seroconversion rates are reported. Our review examines pros and cons to<br />

take into account when one considers to begin pharmacological therapy. We list the most recent evidences related to currently available drugs for treatment.<br />

Finally, data on novel possible therapeutic agents, with their mechanisms of action and available evidence on preventive and “therapeutic” vaccines,<br />

are presented and discussed.<br />

L’epatite cronica da HBV (CHB) costituisce una delle principali<br />

cause di epatopatia nel mondo. Si stima che oltre 400 milioni<br />

di individui siano oggi ancora cronicamente infetti. Fino al 40%<br />

degli individui infetti svilupperà complicanze, inclusa l’insufficienza<br />

epatica, la cirrosi scompensata e il carcinoma epatocellulare.<br />

L’incidenza di quest’ultimo è drammaticamente crollata nei<br />

Paesi endemici dove è stato introdotto il programma vaccinale<br />

(Chang, 2011).<br />

La modalità di trasmissione ha importanti implicazioni poiché c’è<br />

più alto rischio di sviluppare CHB se l’infezione è contratta in epoca<br />

perinatale o prescolare, in relazione ad una maggiore immaturità<br />

delle difese immunitarie che risultano meno capaci di eliminare il<br />

virus. Il rischio di sviluppare CHB dopo esposizione al contagio varia<br />

dal 90% nei nati da madri positive per l’Hepatitis B e Antigen (HBe-<br />

Ag), al 25-30% nei lattanti e nei bambini infettatisi prima dei 5 anni,<br />

fino a meno del 5% nei bambini più grandi e negli adulti. Una volta<br />

infetto, l’individuo può eliminare il virus oppure andare incontro alle<br />

4 fasi della CHB, le cui principali caratteristiche sono riassunte in<br />

tabella I.<br />

Attualmente sono identificati 8 diversi genotipi di HBV (da A a H): i<br />

genotipi B e C sono più comuni in Asia, l’A e il D sono più comuni in<br />

Europa e in India, l’ A e il C predominano negli Stati Uniti. Il genotipo<br />

dell’HBV ha influenza sulla progressione della CHB: individui con<br />

genotipo A, B, D o F in genere sieroconvertono ad anti-HBe entro<br />

3


l’età di 20 anni, mentre individui con genotipo C sieroconvertono ad<br />

un’età media di 47.8 anni (Jonas et al., 2010).<br />

Chi trattare in età pediatrica<br />

La maggior parte dei bambini con CHB sono in fase di immunotolleranza.<br />

La decisione circa il quando e come l’intraprendere<br />

la terapia farmacologica rappresenta pertanto un aspetto ancora<br />

controverso, anche tenendo presente che la sieroconversione<br />

spontanea HBeAg - HBeAb su base annua si verifica nel 7-16%<br />

dei soggetti affetti. Le linee guida presenti in letteratura non<br />

fanno chiaro riferimento all’età pediatrica (Alberti et al., 2011,<br />

Carosi et al., 2007, EASLD, 2009, Lok et al., 2009). Il razionale<br />

della terapia è quello di bloccare la replicazione virale, riducendo<br />

quindi anche l’infettività, e prevenire le complicanze a lungo termine.<br />

Come nell’adulto, anche in età pediatrica fattori predittivi<br />

di buona risposta al trattamento farmacologico sono la bassa<br />

attività replicativa, la bassa carica virale, l’elevata attività citolitica<br />

ed istologica. Obiettivo terapeutico è quello di ottenere la<br />

negativizzazione dell’HBeAg con livelli non rilevabili di HBV-DNA<br />

(EASLD, 2009, Lok et al., 2009).<br />

Incertezze circa l’opportunità di iniziare la terapia derivano dalla osservazione<br />

che la maggior parte dei pazienti non trattati presenta<br />

malattia di grado lieve e che molti di quelli con patologia attiva vanno<br />

incontro a negativizzazione spontanea dell’HBeAg entro i primi<br />

20 anni di vita (Jonas et al., 2010, EASLD, 2009, Lok et al., 2009,<br />

Iorio et al., 2007). La terapia standard fino ad alcuni anni fa con<br />

interferone (IFN) ± priming con steroidi mostrava differenze poco significative<br />

del tasso di sieroconversione e negativizzazione dell’HBV<br />

DNA rispetto ai controlli non trattati, determinando tuttavia una significativa<br />

accelerazione della stessa sieroconversione e negativizzazione<br />

dell’HBV DNA (Vajro et al., 1996, Sokal et al., 1998, Bortolotti<br />

et al., 2000). Pur in assenza di linee guida formali, diversi esperti<br />

suggeriscono dei criteri in base ai quali scegliere se intervenire farmacologicamente<br />

o limitarsi alla sola sorveglianza clinico-laboratoristica<br />

e strumentale. È stato proposto che i bambini selezionati per il<br />

trattamento debbano essere quelli con i seguenti fattori predittivi di<br />

risposta: evidenza di CHB biochimicamente attiva (ALT >2 x v.n.), positività<br />

dell’Hepatitis B surface Antigen (HBsAg) per almeno 6 mesi e<br />

HBeAg+ e/o HBV DNA > 2.000 IU/ml, e con infiammazione epatica<br />

severa all’istologia (Shah et al., 2009, Giacchino et al., 2010, Jonas<br />

et al., 2010).<br />

I pazienti HBeAg+ con transaminasi ALT elevate devono essere osservati<br />

per almeno 12 mesi per valutare l’evenienza di sieroconversione<br />

spontanea. In mancanza di tale evenienza, i pazienti possono<br />

essere considerati candidati alla terapia, preceduta da biopsia epatica<br />

che, in caso di riscontro di fibrosi e/o cirrosi, costituisce una<br />

ulteriore indicazione al trattamento immediato (Jonas et al., 2010).<br />

La Figura 1 riassume le suddette informazioni in una flow-chart di<br />

gestione semplificata.<br />

4<br />

C. Veropalumbo, P. Vajro<br />

Tabella I.<br />

Fasi principali della epatite cronica B (CHB) (modificato da Hoofnagle et al. 2007).<br />

Fase ALT Istologia HBV-DNA HBeAg HBsAg<br />

Immuno-tolleranza Normale o poco aumentata Minima attività. Scarsa fibrosi Livelli elevati (108-1011 copie/ml) Presente Presente<br />

HBeAg+ CHB Costantemente Aumentata Attiva con variabile fibrosi Livelli elevati (106 – 10 10 copie/ml) Presente Presente<br />

HBeAg- CHB Aumentata, spesso fluttuante Attiva con variabile fibrosi Moderato, fluttuante (103 -108 copie/ml) Assente Presente<br />

Portatore inattivo Normale Inattiva con minima fibrosi Basso, indosabile (


terapia delle epatiti virali croniche <strong>2012</strong>: presente e futuro<br />

Tabella II.<br />

Trattamenti disponibili per l’epatite cronica B in età pediatrica negli Stati Uniti (modificato da Ayoub et al. 2011).<br />

Farmaco Età Vantaggi Svantaggi Effetti collaterali Dosaggio Risposta (%)<br />

IFNα ≥2 aa No resistenza. Breve durata<br />

terapia (16-24 settimane)<br />

Lamivudina ≥ 2 aa Buona tolleranza.<br />

Somministrazione orale<br />

Adefovir ≥ 12 aa Buona tolleranza.<br />

Somministrazione orale.<br />

Efficace vs HBV resistente a<br />

lamivudina<br />

di essere somministrata per via orale, anche se necessariamente in<br />

maniera ininterrotta.<br />

Uno studio multicentrico di 24 mesi nel bambino ha evidenziato<br />

che la lamivudina porta ad una sieroconversione in un terzo e in<br />

un quarto rispettivamente di 213 pazienti con CHB mai trattati<br />

precedentemente o precedentemente trattati con lo stesso farmaco.<br />

Il problema principale della terapia con lamivudina è tuttavia<br />

rappresentato dal rischio significativo di farmaco-resistenza<br />

(principalmente legata a mutazioni del locus YMDD del gene della<br />

trascrittasi inversa dell’HBV): in questo studio mutazioni YMDD si<br />

sviluppavano in circa il 50% e nel 64% dei casi, rispettivamente<br />

(Sokal et al., 2006).<br />

Altri analoghi nucleotidici e nucleosidici<br />

Somministrazione<br />

parenterale. Effetti<br />

collaterali<br />

Farmaco-resistenza<br />

comune<br />

Farmaco-resistenza<br />

meno comune della<br />

Lamivudina<br />

Ad eccezione dell’Adefovir, utilizzabile negli USA già in età pediatrica,<br />

diversi analoghi sono stati approvati dall’FDA solo per la terapia<br />

della CHB dell’adulto. Rispetto alla Lamivudina, questi farmaci appaiono<br />

di enorme interesse per il vantaggio di poter essere somministrati<br />

per via orale e per lunghi periodi inducendo una minore<br />

farmaco resistenza.<br />

Adefovir. Nel gruppo di età tra 2 e 19 anni, in uno studio pilota di<br />

sicurezza, efficacia e farmacocinetica, il farmaco non ha purtroppo<br />

mostrato effetto superiore al placebo nell’indurre sieroconversione<br />

dell’HBsAg: un anno di terapia con Adefovir determina sieroconversione<br />

dell’HBeAg nel 12% dei pazienti trattati. Una volta raggiunta,<br />

la sieroconversione è duratura nella quasi totalità dei casi. Come per<br />

la Lamivudina, i pazienti HBeAg negativizzati richiedono trattamento<br />

per tutta la vita (Jonas et al., 2008). Sia nell’adulto che nel bambino,<br />

i tassi di resistenza osservati sono tuttavia nettamente inferiori a<br />

quelli determinati dalla Lamivudina (0%- 29% a 1-5 anni di terapia)<br />

(Jonas et al., 2008, Akman et al., 2010).<br />

Entecavir. È un interessante analogo nucleotidico inibitore della polimerasi<br />

dell’HBV superiore alla Lamivudina nell’indurre soppressione<br />

di HBV DNA, nel miglioramento dell’istologia epatica e nella normalizzazione<br />

delle transaminasi. L’incidenza di resistenza appare<br />

particolarmente bassa, con un tasso del solo 1.2% dopo 5 anni. In<br />

USA è possibile utilizzare il farmaco a partire già dai 16 anni. Recentemente<br />

ne è stata valutata l’efficacia e la sicurezza anche in<br />

età pediatrica, in bambini con CHB precedentemente trattati senza<br />

successo con IFN o Lamivudina o Adefovir da soli o in combinazione.<br />

Dopo 24 settimane di trattamento si otteneva una riduzione signifi-<br />

Sintomi influenzali, aplasia<br />

midollare, alopecia,<br />

ipotiroidismo.<br />

Rallentamento crescita<br />

cativa dei livelli di HBV-DNA con scomparsa in circa il 90% dei bambini<br />

HBeAg negativi e nel 23% di quelli HBeAg positivi (Pawlowska<br />

et al., 2011). Il Tenofovir è un analogo nucleotidico strutturalmente<br />

correlato ma meno potente dell’Adefovir.<br />

Emtricitabina. Analogo nucleotidico strutturalmente simile alla Lamivudina<br />

con rischio elevato di resistenza (13% dopo 2 anni di terapia).<br />

Le prospettive principali sono date dalla potente associazione con<br />

il Tenofovir nella forma di TRUVADA (Tenofovir 300 mg/emtricitabina<br />

200 mg). È stato dimostrato che la resistenza alla Lamivudina o<br />

all’Adefovir non influenzava l’azione di TRUVADA.<br />

Telbivudina. Ultimo analogo nucleotidico approvato dalla FDA per il<br />

trattamento della CHB, la Telbivudina determina un tasso di sieroconversione<br />

dell’HBeAg del 22% e 33% rispettivamente a 1 e 2 anni di<br />

terapia. Come l’Emcitrabina, nella popolazione adulta è un farmaco<br />

efficace specie nel trattamento dell’epatopatia scompensata da HBV.<br />

Futuri campi di ricerca<br />

Vaccino “terapeutico”<br />

Il razionale di un vaccino terapeutico, da utilizzare da solo o in associazione<br />

alla terapia farmacologica convenzionale dell’HBV, è quello<br />

di stimolare la risposta immune in soggetti cronicamente infetti. Recenti<br />

studi hanno valutato la somministrazione di vettori contenenti<br />

la sequenza genica della regione preS (altamente immunogena) in<br />

pazienti di età superiore ai 15 anni, mostrando buona tollerabilità<br />

del vaccino ma incapacità, rispetto alla terapia farmacologica classica,<br />

di indurre sieroconversione (Cavenaugh et al., 2011). Una delle<br />

principali problematiche sembra essere legata all’esaurimento della<br />

risposta T-mediata nei soggetti cronicamente infetti, che quindi hanno<br />

minore capacità di rispondere allo stimolo immunologico di un<br />

vaccino terapeutico. Recentemente il tentativo di incrementare l’immunogenicità<br />

del vaccino terapeutico si è concretizzato mediante la<br />

somministrazione contemporanea di HBsAg e HBeAg ricombinanti<br />

(vaccino noto col nome di NASVAC), in corso di attuale sperimentazione<br />

di fase I su popolazione adulta (Michel et al., 2011).<br />

Epatite C (HCV)<br />

5-10 MU/m2 3<br />

volte/settimana per<br />

24 settimane<br />

Monitorare funzionalità renale 3mg/kg/die fino<br />

a 100 mg/die per<br />

≥52 settimane<br />

Monitorare funzione renale 10 mg/die per 48<br />

settimane<br />

2-58<br />

25-35<br />

16-23<br />

L’infezione da HCV è una problematica di rilevo mondiale che coinvolge<br />

circa 180 milioni di persone. L’infezione è in grado di determinare<br />

epatiti acute e croniche con possibile evoluzione cirrotica<br />

e sviluppo di cancro epatico. Esistono 6 genotipi maggiori e più di<br />

5


80 sottotipi con diversa prevalenza nelle aree mondiali. I genotipi 1a<br />

e 1b sono i più comuni in Europa e negli Stati Uniti e, insieme al 2,<br />

sono i più comuni in assoluto. Alcuni di essi, come il 2 ed il 3, sono<br />

caratterizzati da minore aggressività, migliore risposta alle terapie<br />

antivirali e maggiore possibilità di clearance spontanea (Bortolotti<br />

et al., 2008). La principale modalità di infezione in età pediatrica<br />

è oggi rappresentata dalla trasmissione verticale che rende conto<br />

del 60% dei casi di epatite C nel bambino (Resti et al., 2003). I fattori<br />

associati alla trasmissione verticale sono rappresentati da alto<br />

numero di copie di HCV-RNA materno (>10 6 copie/mm 3 ), coinfezione<br />

con HIV, travaglio prolungato (Mohan et al., 2010, Ruiz-Extremera<br />

et al., 2011). I polimorfismi del locus rs1297986, accanto al gene<br />

dell’interleuchina IL28B (recentemente studiati in relazione alla clearance<br />

virale post-terapia nei pazienti adulti) non sembrano essere<br />

implicati nella trasmissione verticale dell’HCV. Il polimorfismo CC è<br />

tuttavia indipendentemente associato con la clearance spontanea<br />

sia dei bambini con genotipo-1 (Ruiz-Extremera et al., 2011) sia di<br />

quelli con genotipo 2 e 3 (Indolfi et al., Hepatology 2011).<br />

Indicazioni al trattamento<br />

Come per l’epatite cronica B, anche nel caso dell’infezione da HCV<br />

non c’è unanime consenso su quali siano le categorie di pazienti<br />

pediatrici da trattare.<br />

I punti a favore del trattamento sono quelli di prevenire la possibile<br />

progressione della patologia, evitando le gravi sequele epatiche e<br />

riducendo il rischio di contagio nei confronti degli altri e la spesa<br />

sanitaria (Ward et al., 2011). D’altra parte, l’asintomaticità clinica e<br />

laboratoristico/ strumentale nella maggioranza dei pazienti, il costo<br />

e i potenziali effetti collaterali dei farmaci, la lentezza della progressione<br />

e la risposta non sempre favorevole dei pazienti con genotipo<br />

1, inducono perplessità riguardo all’inizio della terapia antivirale<br />

(Wirth et al., 2011).<br />

Considerando comunque che il 5% dei pazienti affetti in età pediatrica<br />

svilupperà epatopatia severa, esistono pressioni nel raccomandare<br />

l’inizio del trattamento antivirale già in età pediatrica, almeno<br />

per i genotipi più favorevoli (Munir et al., 2010).<br />

Terapia standard: Interferone + Ribavirina.<br />

L’Interferone α pegilato (Peg-IFN α), in combinazione con la Ribavirina<br />

(RBV), è attualmente raccomandato come terapia di prima linea<br />

(standard of care, SOC) dell’epatite cronica C (Mohan et al., 2010).<br />

Il Peg-IFN α è in grado di potenziare la risposta immunitaria nei<br />

confronti dell’HCV stimolando l’attività fagocitaria dei macrofagi e<br />

l’attività citotossica dei linfociti nei confronti delle cellule bersaglio<br />

infettate dal virus.<br />

La Ribavirina – somministrata in associazione con l’IFN – è un analogo<br />

della guanosina in grado di inibire la sintesi dell’HCV RNA mediante<br />

inibizione della RNA polimerasi dell’HCV determinando, nella<br />

popolazione adulta, un tasso medio di “sustained virological respon-<br />

6<br />

C. Veropalumbo, P. Vajro<br />

se” (SVR), definita dalla scomparsa di HCV RNA a 24 settimane dalla<br />

sospensione della terapia di circa il 50% nei pazienti con genotipo 1<br />

e di circa l’80% nei pazienti con genotipo 2 e 3 (Munir et al., 2010).<br />

In un ampio studio pediatrico l’azione della terapia con Peg-IFN α +<br />

ribavirina ha determinato un tasso di SVR in oltre la metà dei pazienti<br />

con genotipi 1, 4, 5 e 6, ed in oltre il 90% dei genotipi 2 e 3 (Sokal<br />

et al., 2010). Le caratteristiche dei due farmaci sono riassunte nella<br />

tabella III.<br />

“Terapia individualizzata”<br />

Una recente acquisizione nella terapia dell’epatite C nell’adulto è<br />

quella dell’ “individualizzazione” della stessa (tailored therapy), modulabile<br />

in base a parametri predittivi di SVR (Tsubota et al., 2011).<br />

La SVR è definita dalla scomparsa di HCV RNA (ricercato mediante<br />

PCR qualitativa) a 24 settimane dalla sospensione della terapia. I<br />

parametri predittivi vengono convenzionalmente distinti in: fattori<br />

legati all’ospite e fattori legati all’HCV.<br />

Fattori legati all’ospite. Come la clearance spontanea, anche la risposta<br />

al trattamento dei pazienti con genotipo 1 è stata recentemente<br />

associata al polimorfismo di un singolo nucleotide (SNP) accanto al<br />

gene dell’interleukina 28-B sul cromosoma 19, che codifica per IFNλ-3.<br />

Il locus di interesse è rs 12979860 dove il polimorfismo di un<br />

singolo nucleotide determina diversità allelica (allele C o allele T). Il<br />

tasso di risposta alla terapia standard nei pazienti con HCV di genotipo<br />

1 è superiore nei polimorfismi CC, rispetto ai CT e ai TT (Ghany et<br />

al., 2011). Non sono disponibili dati pediatrici; tuttavia l’importanza<br />

di questo polimorfismo sembra essere plausibile anche nel bambino<br />

(Ruiz-Extremera A et al., 2011).<br />

Fattori correlati all’HCV. Genotipo dell’HCV, carica virale pretrattamento<br />

e risposta virologica iniziale sono importanti fattori predittivi<br />

di SVR. Come già accennato, i pazienti con genotipi 2 e 3 rispondono<br />

alla terapia meglio di quelli con genotipi 1 e 4. Inoltre, basse cariche<br />

virali basali sono elementi predittivi di successo terapeutico, così<br />

come la rapida negativizzazione dell’ HCV-RNA.<br />

Terapia guidata dalla risposta. Il concetto della correlazione tra la<br />

rapidità di scomparsa dell’HCV RNA e il raggiungimento della SVR<br />

ha permesso di introdurre il concetto della terapia guidata dalla risposta.<br />

L’“early viral response” (EVR) è la riduzione di HCV RNA > 2<br />

log rispetto ai livelli pre-terapia (EVR parziale) e la scomparsa (EVR<br />

10<br />

completa) alla 12° settimana di terapia.<br />

In base a queste considerazioni (sinora validate solo nell’adulto) pazienti<br />

con genotipo 1 e 4 con EVR completa possono vantaggiosamente<br />

ridurre la durata del trattamento già a 24 settimane rispetto alle<br />

48 convenzionali. Viceversa, in soggetti che non raggiungono la EVR,<br />

la terapia dovrebbe essere prolungata fino a 72 settimane. Pazienti<br />

con genotipo favorevole (2 e 3) sono anch’essi indirizzati al trattamento<br />

per una durata di 24 settimane. Quest’approccio modulabile costituisce<br />

una prospettiva interessante per l’età pediatrica, anche se non<br />

sono attualmente disponibili evidenze preliminari (Hu et al., 2010).<br />

Tabella III.<br />

Principali caratteristiche dei farmaci utilizzati nel trattamento della epatite C in età pediatrica (modificato da Wirth et al. 2011).<br />

SVR Genotipo 1 Genotipi 2-3 Dosi<br />

IFN α 0-76%<br />

IFN α + ribavirina 27-64% 36-53% >80% IFN 3 milioni U 3volte/settimana<br />

RBV 15mg/kg/die<br />

PEG IFNα-2b/a +ribavirina 44-59% >90% Peg IFN - 60 mg/mq/1volta/settimana<br />

RBV 15 mg/Kg/die<br />

SVR = Sustained virological response; IFN Interferone; RBV= Ribavirina


terapia delle epatiti virali croniche <strong>2012</strong>: presente e futuro<br />

Future prospettive terapeutiche<br />

Nell’adulto vi sono interessanti studi sul ruolo di diversi nuovi farmaci<br />

che agiscono sulle varie fasi replicative dell’HCV, attualmente in<br />

diversi stadi di sperimentazione clinica (Fig. 2).<br />

Albinterferon. Si tratta di una proteina costituita da IFN α 2b geneticamente<br />

fuso ad albumina umana. Un trial nell’adulto ha mostrato<br />

un’efficacia dell’Albinterferon paragonabile a quella del PegIFN<br />

α nell’indurre SVR in soggetti affetti da epatite C. Grazie alla possibilità<br />

di essere somministrato ogni 2 settimane, l’Albinterferon<br />

costituisce un’alternativa interessante nel trattamento dell’epatite<br />

C (Nelson et al., 2009), ed è particolarmente attraente per l’età<br />

pediatrica.<br />

Nuovi antivirali anti HCV. Diversi farmaci, utilizzabili per via orale<br />

in associazione (triplice) con la terapia standard IFN+ribavirina,<br />

provvisti di meccanismo d’azione diverso dall’Interferone, si trovano<br />

attualmente in diverse fasi di sperimentazione clinica nell’adulto,<br />

aumentando significativamente i tassi di negativizzazione dell’HCV-<br />

RNA nel genotipo 1, e portando alla guarigione la quasi totalità dei<br />

pazienti con genotipo 2 e 3. La loro possibile applicazione anche in<br />

età pediatrica è pertanto fortemente auspicabile. La figura 3 illustra<br />

i loro possibili siti di attacco.<br />

Inibitori di proteasi NS3/4. La HCV NS3 serin proteasi e il cofattore<br />

NS4a favoriscono il clivaggio della poliproteina virale in 4 protei-<br />

ne non strutturali. L’inibizione di questo sistema non solo inibisce<br />

la replicazione virale, ma favorisce l’immunità innata impedendo<br />

il clivaggio del Toll-IL1- receptor domain (TRIF) e IFN-β promoter<br />

simulator (IPS-1). Due di questi inibitori (Telaprevir e Boceprevir)<br />

sono stati approvati per l’immissione sul mercato nel maggio 2011<br />

negli USA per il trattamento della popolazione adulta infetta da HCV.<br />

Il primo, somministrato in aggiunta alla SOC therapy incrementa la<br />

SVR di circa il 20% in pazienti mai trattati precedentemente (SVR<br />

fino al 75-80%) e di circa il 30% nei non responders con genotipo<br />

1. Il secondo incrementa la SVR nei pazienti non trattati con<br />

genotipo 1 solamente per somministrazioni prolungate (Kwong et<br />

al., 2011). Entrambi i farmaci permetterebbero di ridurre considerevolmente<br />

anche la durata del trattamento. Tuttavia vanno segnalati<br />

effetti collaterali specifici, quali rash, anemia (talora necessitante<br />

l’uso di eritropoietina e/o riduzione del dosaggio), prurito, nausea<br />

e diarrea per il primo, e anemia e disgeusia per il secondo. Inibitori<br />

di proteasi di 2 a e 3 a generazione sono attualmente in attiva fase di<br />

sperimentazione.<br />

Inibitori dell’HCV polimerasi. La RNA polimerasi RNA-dipendente<br />

NS5B è responsabile della sintesi dell’RNA virale. Gli inibitori di<br />

tale enzima sembrerebbero essere meno efficaci degli inibitori di<br />

NS3/4a, ma agiscono su un numero maggiore di genotipi inducendo<br />

pertanto un vantaggioso minore tasso di resistenza.<br />

Inibitori dell’ingresso cellulare e dell’assemblaggio virale. Una serie<br />

di molecole sembrano costituire nuove prospettive terapeutiche per<br />

Figura 2.<br />

Rappresentazione schematica delle varie fasi di sperimentazione clinica delle opzioni terapeutiche per l’epatite C.<br />

7


il prossimo futuro. Qui di seguito citiamo quelle la cui sperimentazione<br />

è in fase più avanzata (Fusco et al., 2011), rimandando inoltre<br />

alla figura 3 la visualizzazione dei loro siti di attacco.<br />

Civacir: pool di immunoglobuline derivate dal plasma di soggetti anti<br />

HCV positivi teso ad inibire l’ingresso cellulare del virus, al pari degli<br />

inibitori della sintesi delle lipoproteine.<br />

Inibitori delle proteine NS5A e NS4B: la proteina NS5A è implicata<br />

nell’assemblaggio delle componenti capsidiche virali, mentre NS4B,<br />

favorisce la formazione di vescicole dalla membrana della cellula<br />

infetta essenziali per costituire il complesso di assemblaggio virale.<br />

Analoga funzione inibitoria sembra essere svolta da Inibitori di HMG<br />

CoA reduttasi, della ciclofillina, e dell’α-glucosidasi.<br />

Infine, gli Agonisti dei Toll like receptors potrebbero avere un ruolo<br />

nel potenziare la risposta immune nei confronti dell’HCV.<br />

Taribavirina (TBV). È un analogo della guanosina che è selettivamente<br />

captato dal fegato ed è rapidamente convertito a Ribavirina<br />

da una adenosina deaminasi. La presenza di un gruppo carbossamidico<br />

ne ostacola l’accumulo nei globuli rossi riducendo l’incidenza<br />

dell’anemia tipica invece della Ribavirina. Lo studio ViSER<br />

8<br />

C. Veropalumbo, P. Vajro<br />

Figura 3.<br />

Fasi replicative del virus dell’epatite C e possibili siti d’azione dei nuovi farmaci antivirali (modificato da Wyless et al. 2010).<br />

a. L’ingresso nella cellula può essere bloccato da anticorpi neutralizzanti.<br />

b. Il rilascio dell’RNA virale attiva pathways endogeni dell’interferone.<br />

c. L’RNA all’interno del ribosoma attiva l’immunità innata. L’ingresso è mediato dal sito di ingresso interno del ribosoma.<br />

d. Traduzione e processamento delle poliproteine richiedono proteasi NS3/NS4a e possono essere bloccati da inibitori delle proteasi (Boceprevir<br />

e Telaprevir, già in commercio negli USA).<br />

e. La trascrizione può essere inibita dal blocco della traduzione (inibitori delle proteasi), dall’inibizione del legame tra RNA e polimerasi e complesso<br />

replicativo (inibitori ciclofillina) inibitori di NS5A/B (inibitori polimerasi) e inibendo l’elicasi.(Taribavirina in avanzata sperimentazione clinica in<br />

USA).<br />

f. L’assemblaggio virale e la glicosilazione dell’envelope possono essere inibiti da celgosivir e inibitori di NS5A.<br />

appena concluso ha confrontato l’azione del Peg IFNα associato<br />

a RBV o TBV mostrando una minore capacità di indurre la SVR<br />

della terapia comprendente TBV, ma con il vantaggio di un numero<br />

nettamente inferiore di eventi emolitici propri della Ribavirina<br />

(Marcellin et al., 2010).<br />

Vaccino<br />

È un campo di ampio interesse. Il razionale è stimolare la risposta<br />

immune verso l’HCV. Ad oggi le difficoltà sono dettate principalmente<br />

ancora dalle regioni ipervariabili del genoma virale codificanti per<br />

componenti dell’involucro pericapsidico virale in grado di favorire la<br />

continua evasione del virus dalla risposta immune dell’ospite. Attualmente<br />

sono oggetto di studio:<br />

1. Vaccini preventivi in soggetti non infetti. Basano il loro razionale<br />

sulla stimolazione di una produzione anticorpale in grado di inibire<br />

l’ingresso cellulare e favorire l’eliminazione dell’HCV dopo il primo<br />

contatto (Torresi et al., 2011).<br />

2. Vaccini “terapeutici” in soggetti infetti, da soli o in associazione<br />

alla terapia antivirale, stimolerebbero una risposta immune al fine<br />

di accelerare il processo di siero conversione. Tra questi il GlobeIm-


terapia delle epatiti virali croniche <strong>2012</strong>: presente e futuro<br />

mune GI-5005 (costituito da Saccaromyces cerevisiae inattivato ed<br />

esprimente proteine virali verso cui viene stimolata la risposta anticorpale<br />

e cellulo mediata) e l’IC41 (vaccino peptidico sintetico che<br />

risulta in grado di indurre risposta specifica mediante secrezione di<br />

IFN gamma da parte di cellule T CD4+ e CD8+). Vaccini basati su<br />

Epitopi di NS3 ristretti per HLA-A2 utilizzano NS3 modificata per stimolare<br />

una risposta specifica T mediata.<br />

Infine, Vaccini costituiti dal gene NS 3/4a, la cui espressione viene<br />

posta sotto il controllo di un promotore di CMV, hanno mostrato<br />

risultati promettenti in associazione a IFN e ribavirina nell’indurre<br />

sieroconversione (Lapierre et al., 2011; Torresi et al., 2011).<br />

Conclusioni e prospettive per il futuro<br />

La gestione delle epatiti virali si presenta ancora ricca di problematiche<br />

sia per la scelta di se e quando intraprendere un trattamento<br />

farmacologico, sia per la scelta del farmaco da utilizzare, principalmente<br />

legate all’ancora incerta definizione dei fattori predittivi di<br />

risposta a terapie talora inefficaci.<br />

I nuovi farmaci antivirali utilizzati nell’epatite B, costituiti da analoghi<br />

nucleosidici e nucleotidici, sono caratterizzati da una minore<br />

farmaco-resistenza. Al momento l’Adefovir è adoperato in età<br />

pediatrica a partire dai 12 anni negli Stati Uniti, mentre in Italia<br />

può essere utilizzato solo dopo la transizione all’età adulta. Vaccini<br />

terapeutici continuano ad essere testati come possibile trattamen-<br />

Box di orientamento<br />

Figura 4.<br />

Previsione dei progressi terapeutici dell’Epatite<br />

Virale Cronica da HCV.<br />

to nei pazienti infetti da HBV, senza tuttavia mostrarsi fino ad ora<br />

efficaci.<br />

Nella terapia dell’epatite C nel bambino, la SOC therapy rimane ancora<br />

l’associazione duplice Peg IFN+Ribavirina. Le nuove prospettive<br />

terapeutiche – necessarie specie per i genotipi sfavorevoli 1<br />

e 4 – sinora disponibili nell’adulto, sono costituite da nuove forme<br />

coniugate di Interferone e dalla Taribavirina. L’utilizzo di algoritmi<br />

guidati dai polimorfismi dell’IL28B premetterà di modulare appropriatamente<br />

dosi e durata di SOC therapy nei soggetti con fattori<br />

predittivi sfavorevoli. Altre nuove stimolanti strategie terapeutiche<br />

– spesso da utilizzare in associazione con la SOC therapy – sono<br />

costituite dai farmaci attivi contro l’ingresso cellulare dell’HCV e<br />

contro le diverse fasi del ciclo replicativo virale. I risultati degli<br />

studi preliminari rendono fiduciosi che almeno alcuni di questi<br />

– dotati di maggiore efficacia e/o minori effetti collaterali – entrino<br />

rapidamente nell’uso comune. Cocktail di questi moderni farmaci<br />

orali di nuova generazione, che potranno forse funzionare<br />

senza l’associazione dell’IFN, ed eventualmente anche della RBV,<br />

con maggiore efficacia, minori effetti collaterali, minore durata del<br />

trattamento, minore farmaco resistenza, sono attesi nel prossimo<br />

futuro (Fig. 4).<br />

Il ruolo di vaccini contro l’HCV, sia in ambito preventivo che come<br />

strategia terapeutica in soggetti infetti, è uno dei campi di maggiore<br />

interesse. I risultati preliminari sulla popolazione adulta non forniscono<br />

ancora, tuttavia, prove concrete di efficacia.<br />

Cosa si sapeva prima:<br />

Le epatiti virali costituiscono una problematica di rilievo in considerazione della crescita delle adozioni internazionali e della popolazione immigrata non<br />

vaccinata contro l’epatite B o infetta, e dell’assenza di un vaccino efficace per l’epatite C. La scelta di intraprendere il trattamento in età pediatrica è<br />

ancora discussa, in considerazione dell’evoluzione spesso non severa dei pazienti affetti da epatite C, e della elevata percentuale di pazienti affetti da<br />

epatite B che sieroconvertono spontaneamente. I farmaci attualmente utilizzati nel bambino sono pochi, non privi di effetti collaterali e responsabili di<br />

farmaco resistenza in un numero non trascurabile di pazienti.<br />

Cosa sappiamo adesso:<br />

La scelta della terapia farmacologica potrà essere determinata – specie per l’epatite C – non solo dal genotipo virale e dalle caratteristiche laboratoristico/cliniche/<br />

istologiche del paziente. Nuovi polimorfismi genici recentemente associati alla risposta alla terapia dei pazienti affetti da epatite C possono<br />

infatti guidare nell’adulto una scelta terapeutica individualizzata. Inoltre nuovi farmaci, il cui meccanismo d’azione è basato sulla inibizione delle diverse<br />

fasi replicative virali, sono attualmente studiati su popolazione adulta e auspicabilmente potranno essere testati anche nel bambino.<br />

9


Box di orientamento (segue)<br />

Bibliografia<br />

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* Linee guida di gestione dell’infezione da HBV nella popolazione generale. Non<br />

viene fatto esplicito riferimento alla gestione dell’infezione pediatrica.<br />

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**Fornisce i dati più importanti relativi ai farmaci adoperati per il trattamento<br />

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* Linee guida di gestione dell’infezione da HBV nella popolazione generale. Non<br />

viene fatto esplicito riferimento alla gestione dell’infezione pediatrica.<br />

Cavenaugh JS, Awi D, Mendy M, et al. Partially randomized, non-blinded trial of<br />

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chronic HBV infection. PLoS One 2011 Feb 15;6:e14626.<br />

Chang MH. Hepatitis B virus and cancer prevention. Recent Results Cancer Res.<br />

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guidelines: management of chronic hepatits B. J Hepatol 2009;50:227-<strong>42</strong>*.<br />

Fusco DN, Chung RT. Novel Therapies for Hepatitis C: Insights from the Structure<br />

of the Virus. Annu Rev Med <strong>2012</strong>;63:373-87.<br />

**Review sui più recenti farmaci approvati ed in sperimentazione clinica per il<br />

trattamento dell’epatite C.<br />

Ge D, Fellay J, Thompson AJ, et al. Genetic variation in IL28B predicts hepatitis C<br />

treatment-induced viral clearance. Nature 2009;461:399-401.<br />

**Fornisce evidenze sul ruolo predittivo di risposta alla terapia del polimorfismo<br />

del gene della IL28B nell’adulto.<br />

Ghany MG, Nelson DR, Strader DB, et al. An Update on Treatment of Genotype<br />

1 Chronic Hepatitis C Virus Infection: 2011 Practice Guideline by the American<br />

Association for the Study of Liver Diseases. Hepatology 2011;54:1433-44.<br />

Giacchino R, Cappelli B. Treatment of viral hepatitis B in children. Expert Opin<br />

Pharmacother 2010;11:889-903.<br />

**Fornisce una rivisitazione sistematica della letteratura disponibile sul trattamento<br />

dell’epatite B in età pediatrica con un commento pratico finale.<br />

Hoofnagle JH, Doo E, Liang TJ, et al. Management of hepatitis B: summary of a<br />

clinical research workshop. Hepatology 2007;45:1056-75.<br />

Hu J, Doucette K, Hartling L, et al. Treatment of hepatitis C in children: a systematic<br />

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Indolfi G, Sambrotta M, Moriondo M, et al. Genetic variation in interleukin-28B<br />

locus is associated with spontaneous clearance of HCV in children with non-1<br />

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hepatitis B: a 24 year observation period. Clin Infect Dis 2007;45:943-9.<br />

Jonas MM, Block JM, Haber BA. Treatment of children with chronic Hepatits B<br />

Virus Infection in United States: patient selection and therapeutic options. Hepatology.<br />

2010;52:2192-205.<br />

**Fornisce uno schema pratico per la selezione dei pazienti pediatrici da trattare<br />

riassumendo le principali evenienze delle pratica clinica.<br />

Jonas MM, Kelly D, Pollack H, et al. Safety, efficacy, and pharmacokinetics of<br />

10<br />

C. Veropalumbo, P. Vajro<br />

Quali ricadute sulla pratica clinica:<br />

Le problematiche di resistenza e di efficacia potrebbero essere superate da nuove strategie terapeutiche, attualmente sperimentate nella popolazione<br />

adulta, sia per l’epatite B che per l’epatite C. Resta ancora controverso e comunque privo di evidenze un vantaggio da parte dei vaccini terapeutici nei<br />

confronti delle terapie tradizionali.<br />

adefovir dipivoxil in children and adolescents (age 2 to


terapia delle epatiti virali croniche <strong>2012</strong>: presente e futuro<br />

of active viral replication in children with chronic hepatitis B infection. Pediatr<br />

Infect Dis J 1996;15:223-31.<br />

* Definisce il ruolo del priming con prednisone in pazienti affetti da epatite cronica<br />

B, risultato non più efficace del solo interferone alpha 2b nell’indurre siero<br />

conversione. Accelerazione della siero conversione e-anti e.<br />

Ward JW, Lok AS, Thomas DL, et al. Report on a single topic conference on<br />

“chronic viral hepatitis – strategies to improve effectiveness of screening and<br />

treatment”. Hepatology <strong>2012</strong>;55:307-15.<br />

Corrispondenza<br />

Wirth S, Kelly D, Sokal E, et al. Guidance for clinical trials for children and adolescents<br />

with chronic hepatitis C. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2011;52:233-7.<br />

** Fornisce informazioni relative alla selezione dei pazienti pediatrici da trattare e alla<br />

tipologia dei farmaci attualmente adottati, proponendo nuove frontiere di ricerca.<br />

Wyles DL. Moving beyond interferon alfa: investigational drugs for hepatitis C<br />

virus infection. Top HIV Med 2010;18:132-6.<br />

** Mette in relazione il meccanismo d’azione dei nuovi potenziali farmaci per il<br />

trattamento dell’epatite C con le fasi replicative dell’HCV.<br />

Pietro Vajro, Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Salerno, via Allende, 84081 Baronissi (SA). Tel. *39 089 672409. E-mail: pvajro@unisa.it<br />

11


Aprile-Giugno <strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> 2011 <strong>2012</strong> <strong>•</strong> <strong>•</strong> <strong>Vol</strong>. <strong>Vol</strong>. 41 <strong>42</strong> <strong>•</strong> <strong>•</strong> N. N. 162 <strong>165</strong> <strong>•</strong> <strong>•</strong> Pp. pp. xx-xx 12-20<br />

NEFRoLoGIA EPAtoLoGIA<br />

Malattia di Wilson:<br />

ancora una sfida diagnostica<br />

Giusy Ranucci * , Antonietta Zappu ** , Maria Barbara Lepori ** , Raffaele Iorio * e Georgios<br />

Loudianos **<br />

*Dipartimento di Pediatria, Università di Napoli Federico II; ** Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologie,<br />

Università di Cagliari<br />

Riassunto<br />

La malattia di Wilson (MW) è un disordine autosomico recessivo, caratterizzato da una difettosa escrezione del rame a livello epatico, dovuta alla presenza<br />

di mutazioni, in omozigosi o eterozigosi composta, del gene ATP7B, localizzato sul cromosoma 13. In conseguenza dell’accumulo di rame, la sintomatologia<br />

clinica si evidenzia principalmente a carico di fegato, sistema nervoso centrale e occhio. La maggior parte dei pazienti in età pediatrica presenta<br />

un’epatopatia all’esordio, mentre i sintomi neurologici e psichiatrici predominano nell’età adolescenziale ed adulta. Le manifestazioni epatiche variano<br />

da forme pauci/asintomatiche con ipertransaminasemia e/o epatomegalia esclusive, a quadri di epatopatia cronica cirrogena o di epatite fulminante. Le<br />

manifestazioni neuropsichiatriche sono molteplici e talora, per la loro aspecificità, possono essere erroneamente interpretate. Esse includono alterazioni<br />

dell’umore, deterioramento delle prestazioni scolastiche, deficit di coordinazione dei movimenti, disturbi della scrittura. Se la MW non viene riconosciuta e<br />

adeguatamente trattata, la progressione del danno può essere rapida ed inesorabile. Sfortunatamente la diagnosi di MW è molto impegnativa, nonostante<br />

i progressi in ambito biochimico e molecolare. Tutti i pazienti con MW, anche quelli in fase pre-sintomatica, devono essere avviati al trattamento farmacologico.<br />

Le principali opzioni terapeutiche sono la D- penicillamina, la trientina e lo zinco che agiscono con diversi meccanismi. Nessuno di tali farmaci è<br />

scevro da effetti collaterali. L’educazione del paziente, l’aderenza alla terapia e la diagnosi precoce dei possibili effetti collaterali dei farmaci sono i punti<br />

cardine per ottenere un successo terapeutico. Nell’articolo saranno discussi i principali problemi dell’approccio diagnostico.<br />

Summary<br />

Wilson disease (WD) is an autosomal recessive inherited disorder of copper excretion, caused by two disease-causing mutations or homozygosity for a single<br />

disease-causing mutation of the ATP7B gene, located on chromosome 13. The accumulation of copper results in symptoms involving particularly liver,<br />

brain and eye. Most of pediatric WD patients present with liver disease, whereas neuropsychiatric symptoms are more common in young adults. The hepatic<br />

clinical presentation ranges widely from asymptomatic hypertransaminasemia and/or hepatomegaly to cirrhosis and acute liver failure (ALF). The clinical<br />

neuropsychiatric symptoms are multiple and for their aspecificity sometimes misinterpreted. They include sudden behavioral changes, worsening in school<br />

performances, inability to carry out activities that need hand-eye coordination and modification in handwriting. If WD is not recognized and adequately<br />

treated, the progression of hepatic and neurologic damage can be very rapid. Therefore the prompt detection of this condition is vital. Unfortunately, the<br />

diagnosis of WD is an especially challenging task in spite of advances in biochemical and molecular knowledges. The first essential step in making the<br />

diagnosis is to think of it. All WD patients, also pre-symptomatic ones, need treatment. The currently available drugs are D-penicillamine, trientine and zinc,<br />

that act with different mechanisms. None of the available drugs is side-effect-free. The patient education, adherence to therapy and early detection of possible<br />

side effects of drugs are the cornerstones for a successful treatment. The critical issues related to the diagnostic approach of WD will be discussed.<br />

Introduzione<br />

La Malattia di Wilson (MW), descritta per la prima volta nel 1912<br />

dal neurologo Americano Kinnear Wilson come “degenerazione<br />

progressiva epatolenticolare”, è un disordine genetico, trasmesso<br />

con modalità autosomica recessiva (Wilson S.A.K, 1912). La<br />

MW colpisce da 1 su 30.000 a 1 su 100.000 individui (Ala et al.,<br />

2007).<br />

Il gene responsabile della malattia codifica per una proteina di<br />

membrana (ATP7B), espressa primariamente nel fegato, il cui ruolo<br />

è quello di regolare il trasporto del rame (Tanzi et al., 1993).<br />

Mutazioni di questo gene causano un deficit di escrezione di rame<br />

nella bile e una sua difettosa incorporazione nella ceruloplasmina.<br />

La compromissione della normale escrezione del rame epatico dà<br />

luogo ad un accumulo di tale metallo primariamente nel fegato,<br />

dove può causare epatite e cirrosi. Successivamente, il rame viene<br />

rilasciato nel sangue e si deposita in altri organi, in particolare nel<br />

cervello, nella cornea e nei tubuli renali.<br />

12<br />

Il fenotipo della MW è molto variabile, dipendendo da molteplici fattori<br />

tra cui l’età e il genotipo. In età pediatrica la MW si manifesta<br />

spesso con un quadro di epatopatia. A prescindere dall’età i segni<br />

clinici sono frequentemente non specifici, con l’eccezione dell’anello<br />

di Kayser-Fleischer che peraltro è di rara osservazione in età pediatrica.<br />

L’eterogeneità dell’espressività clinica e laboratoristica della MW<br />

spiegano perché la diagnosi sia molto impegnativa in età pediatrica<br />

se non si mantiene alto l’indice di sospetto. Qualora non riconosciuta<br />

e opportunamente trattata, la MW può essere una potenziale causa<br />

di insufficienza epatica acuta con necessità di epatotrapianto in taluni<br />

casi (Roberts et al., 2008).<br />

Il successo terapeutico ottenuto utilizzando chelanti orali del rame e<br />

sali di zinco rende la MW una delle epatopatie metaboliche curabili.<br />

Quando adeguatamente trattata la MW ha una prognosi eccellente,<br />

con una curva di sopravvivenza che coincide con quella della popolazione<br />

generale (Bruha et al., 2010). Il trattamento della MW deve


Malattia di Wilson: ancora una sfida diagnostica<br />

Figura 1.<br />

Meccanismi che regolano il metabolismo del rame nell’epatocita e ruolo dell’ATP7B. Il rame viene transportato all’interno dell’epatocita dalla<br />

proteina di membrana CTR1. In seguito viene legato dal metallochaperone ATOX1 e viene transportato nella via secretoria mediante la proteina<br />

ATP7B.<br />

In condizione di normale concentrazione del rame intracellulare, l’ATP7B è localizzata nella regione trans-Golgi e determina il trasporto del rame<br />

all’interno delle cisterne dove viene incorporato nell’apoceruloplasmina, che diventa ceruloplasmina (Sezione A).<br />

In condizioni di eccesso del rame intracellulare, l’ATP7B viene trasferita in forma vescicolare al polo canalicolare dell’epatocita, dove determina<br />

l’eliminazione del rame in eccesso (Sezione B). Quando la concentrazione del rame all’interno della cellula si abbassa la proteina ATP7B ritorna<br />

nella regione trans-Golgi.<br />

Nella Malattia di Wilson a seconda del tipo di mutazione si può avere: difettosa sintesi dell’ATP7B, difettosa modifica post-trascrizionale dell’ATP7B,<br />

difettosa localizzazione dell’ATP7B nell’epatocita, difettosa funzione dell’ATP7B nel trasporto del rame, difettosa interazione proteina-proteina<br />

(ATP7B ed ATOX1).<br />

CTR1: Copper Transporter 1, ATOX1: ATX1 antioxidant protein 1 homolog (yeast), TGN: Trans-Golgi network, Cu:rame<br />

però essere proseguito per tutta la vita; infatti alla sospensione prolungata<br />

della terapia farmacologica segue inevitabilmente la morte<br />

per insufficienza epatica acuta.<br />

Patogenesi<br />

In condizioni fisiologiche il rame alimentare viene assorbito attraverso<br />

lo stomaco ed il duodeno ed arriva al fegato attraverso la vena porta,<br />

qui viene utilizzato per la sintesi di vari enzimi come costituente della<br />

molecola, mentre l’eccesso viene eliminato attraverso le vie biliari (Tapiero<br />

et al., 2003). Il fegato ha un ruolo fondamentale nel metabolismo<br />

del rame perché costituisce il sito di conservazione di questo metallo<br />

e, in condizioni di eccesso, la via principale per la sua eliminazione<br />

attraverso le vie biliari. Ogni giorno viene eliminata con la bile una<br />

quantità di rame equivalente a quella assorbita, che ammonta a circa<br />

2-4 g al giorno (Tapiero et al., 2003). Il ruolo essenziale del fegato<br />

nell’omeostasi del rame é dimostrato dalla normalizzazione della sua<br />

omeostasi in pazienti con MW sottoposti ad epatotrapianto.<br />

L’ingresso del rame negli epatociti avviene attraverso la membrana<br />

basolaterale ad opera di una proteina di membrana chiamata Ctr1.<br />

Dopo l’ingresso, il rame viene immediatamente legato da diverse<br />

proteine, i metallochaperoni, e viene trasportato in diversi siti per<br />

il suo utilizzo (Tapiero et al., 2003). Quindi in condizioni fisiologiche<br />

la quantità di rame libero nel fegato é molto esigua. Tra i chaperoni,<br />

l’Atox1 attraverso l’interazione con la proteina ATP7B é essenziale<br />

per il trasporto del rame nella via secretoria (Fig. 1).<br />

Il gene che codifica per la proteina ATP7B é localizzato sul cromosoma<br />

13q14-21, è costituito da 21 esoni e si estende in una regione<br />

genomica di circa 100kb. Esprime un RNA di 7.5 Kb soprattutto nel<br />

fegato, placenta, rene, ma anche nel cervello dove svolge un ruolo<br />

chiave nella regolazione della omeostasi del rame. La proteina che<br />

codifica, l’ATP7B, appartiene alla famiglia dei trasportatori di metalli<br />

pesanti attraverso le membrane che utilizzano l’energia liberata<br />

dall’idrolisi del fosfato terminale dell’ATP, e quindi vengono nominate<br />

P-type ATPasi (Bull et al., 1993; Tanzi et al., 1993; Petrukhin et al.,<br />

1994; Fig. 2).<br />

La proteina ATP7B è localizzata nella regione trans-Golgi dove agisce<br />

portando il rame nella via secretoria per la sua incorporazione nell’apoceruloplasmina<br />

che così diventa la forma matura e funzionante della<br />

ceruloplasmina (Lutsenko et al., 2002). In condizioni di aumento della<br />

concentrazione del rame intracellulare avviene una migrazione della<br />

proteina di Wilson in una regione citoplasmatica vicina alla membrana<br />

canalicolare, che poi ricicla di nuovo nella regione trans-Golgi quando<br />

la concentrazione intracellulare del rame torna ad essere normale<br />

13


Figura 2.<br />

Modello topologico proposto per la localizzazione della proteina ATP7B<br />

nella regione trans-Golgi. Si distinguono 8 regione transmembra e diversi<br />

domini funzionali: MTCQSC: domini di legame del rame, ITGEA:<br />

dominio di transduzione, CPC: sito di legame del rame prima del ingresso<br />

nel canale degli ioni, TGTKD: dominio di fosforilazione, SEHPL: dominio<br />

altamente conservato sede della mutazione più comune p.H1069Q,<br />

(l’asterisco indica la posizione della mutazione). GDGVND: regione cerniera<br />

che connette jl dominio di legame dell’ATP con la regione transamembrana<br />

7.<br />

(Lutsenko et al., 2002). Nonostante sia ancora poco chiaro, si pensa<br />

che la migrazione della ATP7B costituisca il meccanismo per l’eliminazione<br />

del rame in condizioni di eccesso. Quindi tutte quelle condizioni<br />

che portano ad un difetto di sintesi della proteina di Wilson, della sua<br />

corretta localizzazione nella regione trans-Golgi e della sua capacità di<br />

trafficare in condizione di eccesso intracellulare di rame, si traducono<br />

da una parte in una diminuzione della sintesi della ceruloplasmina,<br />

dall’altra parte in un accumulo di rame nella cellula con danno cellulare<br />

e conseguente rilascio del rame nel circolo che va a depositarsi e<br />

a danneggiare altri organi soprattutto il cervello.<br />

14<br />

Aspetti clinici della MW<br />

Tabella I.<br />

Modalità di presentazione della MW (da Ala et al., 2007; Roberts et al., 2008, modificato).<br />

Epatica Ipertransaminasemia<br />

Epatomegalia<br />

Fegato brillante all’esame ecografico<br />

Epatite acuta<br />

Epatite cronica<br />

Insufficienza epatica con o senza encefalopatia, con o<br />

senza emolisi associata<br />

Cirrosi<br />

Ipertensione portale e sue complicanze<br />

Neurologica Incoordinazione<br />

Disartria, salivazione eccessiva<br />

Facies amimica<br />

Tremore a riposo e intenzionale<br />

Paralisi pseudobulbare<br />

Sincope<br />

Emicrania<br />

Disautonomia<br />

Rigidità distonica<br />

Disfagia<br />

Deterioramento della scrittura: microscrittura<br />

G. Ranucci et al.<br />

Sebbene l’alterata escrezione biliare del rame sia presente sin dalla<br />

nascita, i sintomi generalmente non si manifestano sino ai 3 anni, e<br />

raramente diventano evidenti prima dei 5 anni (Roberts et al., 2008).<br />

I possibili segni e sintomi associati alla MW sono mostrati nella<br />

Tab. I. Le principali presentazioni cliniche sono quella epatica e quella<br />

neuropsichiatrica. Analizzando i dati scaturiti dalla combinazione<br />

delle più ampie casistiche di pazienti con MW descritte in letteratura<br />

(O’ Connor et al., 2007), risulta che la maggior parte dei pazienti in<br />

età pediatrica si presenta con un quadro di malattia epatica, mentre<br />

i sintomi neuropsichiatrici sono più comuni nella tarda adolescenza<br />

e nel giovane adulto e ricorrono solo nel 4-6% dei pazienti pediatrici<br />

con esordio epatico (Iorio et al., 2004; Muller et al., 2007). Paragonando<br />

la percentuale dei pazienti con MW con esordio epatico rispetto<br />

a quelli con esordio neurologico, essa risulta rispettivamente<br />

dell’83% vs 17% prima dei 10 anni, 52% vs 48% tra i 10 e i 18 anni,<br />

24% vs 75% dopo i 18 anni (O’ Connor et al., 2007).<br />

Nel bambino l’epatopatia può manifestarsi con molteplici quadri:<br />

ipertransaminasemia asintomatica, epatomegalia isolata con<br />

eventuale presenza di steatosi all’esame ecografico, epatite acuta<br />

itterica tipo epatite virale acuta, epatite fulminante, epatopatia<br />

cronica cirrogena con variabile grado di insufficienza epatocellulare<br />

ed eventuali segni di ipertensione portale e sue complicanze. In età<br />

pediatrica, la percentuale dei bambini con MW diagnosticata in seguito<br />

al riscontro occasionale di ipertransaminasemia varia dal 14%<br />

all’88%, a seconda delle aree geografiche (Nicastro et al., 2010;<br />

Dhawan et al., 2005; Iorio et al., 2004; Sanchez et al., 1999). In Italia<br />

è particolarmente alta la percentuale dei casi di MW riferiti per ipertransaminasemia<br />

isolata in conseguenza dell’estensiva valutazione<br />

delle transaminasi nel contesto di check-up anche in assenza di<br />

specifiche indicazioni (Iorio et al., 2004).<br />

Le manifestazioni neurologiche si presentano tipicamente durante<br />

l’adolescenza o nella terza decade di vita (Ala et al., 2008). I quadri<br />

di presentazione neurologici sono stati classificati in tre sottogruppi:<br />

sindrome acinetica-rigida simile alla malattia di Parkinson, caratterizzata<br />

da bradicinesia, alterazioni cognitive, disturbi dell’umore;<br />

pseudosclerosi caratterizzata da atassia e tremori con lesioni focali<br />

Psichiatrica Disturbi della personalità<br />

Disturbi del linguaggio<br />

Disturbi dell’umore (depressione e psicosi)<br />

Riduzione delle prestazioni scolastiche<br />

Ematologica Anemia emolitica Coombs-negativa<br />

Renale Nefrolitiasi<br />

Tubulopatia<br />

Oculare Anello di Kayser-Fleischer<br />

Cataratta “sunflower”<br />

Perdita dell’accomodazione<br />

Scheletrica Osteoporosi precoce<br />

Artropatia<br />

Miscellanea Pancreatite<br />

Ipoparatiroidismo<br />

Cardiomiopatia, disaritmie<br />

Cutaneo: lunulae ceruleae<br />

Oligomenorrea; infertilità; aborti ricorrenti


Malattia di Wilson: ancora una sfida diagnostica<br />

del talamo; sindrome distonica presente in pazienti con discinesia,<br />

disartria, e disturbi della personalità che correla con lesioni focali nel<br />

putamen e nel globo pallido. Nei pazienti pediatrici generalmente le<br />

manifestazioni neurologiche e/o psichiatriche precoci sono subdole:<br />

cambiamenti di personalità, alterazioni dell’umore (depressione,<br />

psicosi), deterioramento del rendimento scolastico, incapacità di<br />

compiere attività che richiedono buona coordinazione mano-occhio<br />

ed alterazioni della scrittura come la micrografia.<br />

Le manifestazioni oculari della MW includono la presenza dell’anello<br />

di Kayser-Fleischer (KF), dovuto alla deposizione di rame in corrispondenza<br />

della membrana di Descemet alla periferia della super-<br />

ficie posteriore della cornea. L’anello di Kayser-Fleischer è frequentemente<br />

osservato in caso di esordio neurologico. La sua presenza<br />

anche se ritenuta suggestiva, non è completamente specifica della<br />

MW, poiché può esser presente anche in pazienti con epatopatia<br />

colestatica cronica. Inoltre nei bambini con MW ad esordio epatico,<br />

l’anello di Kayser-Fleischer è generalmente assente (Nicastro et al.,<br />

2010). D’altra parte, l’assenza dell’anello di Kayser-Fleischer non<br />

esclude la diagnosi di MW, anche in pazienti con malattia prevalentemente<br />

neurologica (Roberts et al., 2008).<br />

I pazienti con MW possono presentarsi con importanti manifestazioni<br />

extraepatiche diverse da quelle neurologiche o psichiatriche. Tra<br />

Tabella II.<br />

Score diagnostico per la malattia di Wilson (da Ferenci et al., 2003 modificato).<br />

Sistema a punti per la diagnosi della Malattia di Wilson<br />

Punti<br />

SINTOMI<br />

Anelli di Kayser-Fleischer<br />

Presenti 2<br />

Assenti 0<br />

Coinvolgimento neurologico (o pattern tipico alla RMN dell’encefalo)<br />

Severo 2<br />

Moderato 1<br />

Assente 0<br />

Anemia emolitica Coombs-negativa<br />

Presente 1<br />

Assente 0<br />

ESAMI DI LABORATORIO<br />

Cupruria (in assenza di epatite acuta)<br />

Normale (< 40 μg/24 h) 0<br />

1-2xULN* 1<br />

> 2xULN 2<br />

Normale, ma > 5xULN dopo carico di penicillamina 2<br />

Determinazione quantitativa del rame epatico (in assenza di colestasi)<br />

Normale (< 50 μg/g t.s.) -1<br />

< 5xULN (50-250 μg/g t.s.) 1<br />

> 5xULN (> 250 μg/g t.s.) 2<br />

Determinazione del rame epatico con rodanina<br />

Epatociti positivi alla rodanina presenti 1<br />

Epatociti positivi alla rodanina assenti 0<br />

Ceruloplasmina sierica<br />

Normale 0<br />

10-20 mg/dl 1<br />


queste ricordiamo le manifestazioni ematologiche che vanno dall’<br />

anemia emolitica acuta Coombs-negativa all’emolisi di basso grado<br />

che può associarsi con la MW quando l’epatopatia non è clinicamente<br />

evidente. Altre manifestazioni comprendono alterazioni della funzione<br />

tubulare renale (aminoaciduria, proteinuria, uricosuria, ipercalciuria,<br />

iperfosfaturia, glicosuria, difettosa acidificazione urinaria,<br />

sindrome di Fanconi); alterazioni scheletriche (artrite, rachitismo,<br />

osteoporosi); alterazioni dermatologiche (iperpigmentazione della<br />

cute, acanthosis nigricans); disturbi endocrini (ipoparatiroidismo,<br />

infertilità, aborti spontanei ripetuti); cardiomiopatia; pancreatite.<br />

Aspetti diagnostici della MW<br />

La diagnosi precoce della MW è di fondamentale importanza ai fini<br />

della prognosi. Infatti, il trattamento, se iniziato precocemente, impedisce<br />

l’insorgenza di lesioni gravi ed irreversibili legate all’accumulo<br />

di rame.<br />

Una corretta diagnosi è impegnativa in età pediatrica, considerato<br />

che i criteri convenzionali validi per l’età adulta non sempre sono<br />

applicabili ai bambini (Nicastro et al., 2010; Iorio et al., 2000). L’eterogeneità<br />

dell’espressività clinica e laboratoristica della MW spiega<br />

perché per formulare la diagnosi di MW in età pediatrica sia importante<br />

mantenere alto l’indice di sospetto.<br />

Infatti non esistono singoli elementi clinici e/o laboratoristici che<br />

consentono una diagnosi certa di MW. Nel 2003 è stato proposto uno<br />

score diagnostico per la MW, che include criteri clinici, biochimici,<br />

istologici e molecolari (Ferenci et al., 2003). In tabella II è illustrato<br />

lo scoring system con il corrispondente cut-off diagnostico per ogni<br />

criterio validato nella popolazione pediatrica. Il suo punteggio totale<br />

indica la possibilità che il paziente sia affetto dalla MW: la diagnosi è<br />

altamente probabile quando lo score è maggiore o uguale a 4, probabile<br />

quando compreso tra 2 e 3, improbabile quando inferiore a 2.<br />

Questo score è stato validato nella popolazione pediatrica (Dhawan<br />

et al., 2005; Nicastro et al., 2010). In tabella III sono illustrati i test<br />

diagnostici utilizzati per la MW con i valori ritenuti orientativi per la<br />

diagnosi ed i principali motivi di falsa positività e negatività.<br />

Un test di primo livello è rappresentato dal dosaggio della ceruloplasmina<br />

sierica. Essa è ridotta nei pazienti con MW a causa dell’altera-<br />

16<br />

G. Ranucci et al.<br />

ta biosintesi e della breve emivita dell’apoceruloplasmina (De Bie et<br />

al., 2005). Sono considerati diagnostici di MW valori di ceruloplasmina<br />

inferiori a 20 mg/dL (Ala et al., 2007). Poiché la ceruloplasmina è<br />

una proteina della fase acuta, essa si eleva in situazioni flogistiche<br />

epatiche e non; per cui nei casi di MW con epatite cronica istologicamente<br />

attiva, la ceruloplasmina può essere inizialmente nel range<br />

della norma. In tali casi la ceruloplasminemia può scendere sotto i<br />

20 mg/dl solo dopo l’opportuno trattamento farmacologico della MW.<br />

Inoltre è ben noto che esiste un sottogruppo di pazienti con MW (fino<br />

al 20%) che presenta valori di ceruloplasmina normali (Roberts et<br />

al., 2008; Iorio et al., 2004). Questo in parte può esser spiegato dalla<br />

presenza di mutazioni che non alterano la biosintesi della ceruloplasmina<br />

(Gromadzka et al., 2005). Al contrario, l’ipoceruloplasminemia<br />

non sempre è indicativa di MW, potendosi riscontrare sia in pazienti<br />

eterozigoti per MW che in pazienti con altri disordini (Nicastro et<br />

al., 2009; Ala et al., 2007). In particolare, bassi livelli di ceruloplasmina<br />

sono stati osservati in pazienti con insufficienza epatica di<br />

diversa origine, nella malattia di Menkes, nella malnutrizione, nella<br />

sindrome nefrosica, nell’enteropatia protido-disperdente, nell’apoceruloplasminemia<br />

ereditaria (Hellman et al., 2002). Recentemente<br />

è stato riportato che anche pazienti con il deficit congenito della<br />

glicosilazione (CDG) possono presentare bassi livelli sierici di ceruloplasmina<br />

(Nicastro et al., 2009; Calvo et al., 2008; Mandato et al.,<br />

2006). Mak et al. hanno proposto come cut-off diagnostico per la<br />

ceruloplasmina quello di 14 mg/dl (Mak et al., 2008). Tuttavia è stato<br />

recentemente documentato che in età pediatrica la migliore soglia<br />

diagnostica della ceruloplasmina resta quella di 20 mg/dl (Nicastro<br />

et al., 2010).<br />

La cupruria basale delle 24 ore è un altro parametro utile per la<br />

diagnosi di MW. È importante che la raccolta delle 24 ore venga<br />

effettuata in maniera accurata, in un contenitore di plastica non<br />

contaminato e con l’aggiunta di 2-3 ml di acido cloridrico al 5%. Il<br />

rame urinario riflette la quota del rame libero (non legato alla ceruloplasmina)<br />

circolante nel siero. Secondo Brewer, nei pazienti adulti<br />

sintomatici la cupruria delle 24 ore è sistematicamente superiore a<br />

100 µg/die, valore considerato il limite convenzionale diagnostico<br />

(Brewer et al., 1992). Comunque, è da notare che in molte casistiche<br />

pediatriche una percentuale variabile dei bambini presenta livelli di<br />

Tabella III.<br />

Criteri diagnostici per la diagnosi di Malattia di Wilson in età pediatrica (da O’Connor and Sokol, 2007, modificato)<br />

Test diagnostico Valori diagnostici Cause di falsa positività Cause di falsa negatività<br />

Ceruloplasmina sierica < 20 mg/dl Deficit congenito della glicosilazione, epatite<br />

fulminante, deficit nutrizionale di rame,<br />

protidodispersione, ipoceruloplasminemia<br />

ereditaria, eterozigote per la MW, malattia di<br />

Menkes<br />

Rame epatico > 250 μg/g tessuto secco Epatopatie croniche colestatiche, deficit<br />

congenito della glicosilazione, tumori epatici,<br />

sindrome nefrosica<br />

Cupruria basale delle 24 h > 40 μg/24 h Terapia con chelante del rame, epatite cronica<br />

attiva, epatopatie colestatiche croniche,<br />

insufficienza epatica, epatite autoimmune,<br />

inadeguato campionamento delle urine<br />

Cupruria dopo carico di<br />

penicillamina delle 24 h<br />

Presenza dell’anello di Kayser-<br />

Fleischer<br />

> 1600 μg/24 h Epatopatia cronica colestatica, iperplasia<br />

nodulare rigenerativa, epatite autoimmune,<br />

inadeguato campionamento delle urine<br />

Epatite acuta (infiammazione),<br />

terapia estrogenica, gravidanza<br />

Errore di campionamento<br />

Pazienti con MW presintomatici,<br />

inadeguato campionamento<br />

Pazienti con MW presintomatici,<br />

inadeguato campionamento<br />

Presente Epatopatia cronica colestatica MW in stadio precoce


Malattia di Wilson: ancora una sfida diagnostica<br />

cupruria inferiori a tale cut-off (Muller et al., 2007; Nicastro et al.,<br />

2010). Nei bambini con MW, la cupruria basale sembra essere direttamente<br />

correlata con l’età alla diagnosi, suggerendo un accumulo<br />

progressivo del metallo con il tempo (Nicastro et al., 2009). In accordo<br />

con tale dato, è stato recentemente dimostrato che la diagnosi<br />

di MW in età pediatrica deve esser presa in considerazione quando<br />

i livelli di cupruria sono maggiori di 40 mg/24h. Questa è la soglia<br />

ottimale sia per il test singolo che per il test utilizzato nel contesto<br />

dello scoring system (Nicastro et al., 2010, Roberts et al., 2008).<br />

La determinazione della cupruria delle 24 ore dopo carico di penicillamina,<br />

somministrata alla dose di 500 mg due volte al dì (all’inizio<br />

della raccolta e dopo 12 ore), è stata suggerita nei soggetti con livelli<br />

di cupruria basale inferiori a 100 mg/24h (Roberts et al., 2008). Livelli<br />

superiori a 1600 µg/die sono ritenuti orientativi di MW (Roberts<br />

et al., 2008). Tuttavia una recente rivalutazione del test da carico di<br />

penicillamina in età pediatrica ha documentato con forte evidenza<br />

che il test non andrebbe praticato in bambini senza un’epatopatia<br />

sintomatica, considerato che solo pazienti con un danno epatico severo<br />

legato alla MW hanno un test da carico positivo (Nicastro et al.,<br />

2010). Nell’ambito dello scoring system di Ferenci si considerano<br />

diagnostici di MW livelli di cupruria dopo carico superiori a cinque<br />

volte il limite superiore della norma della cupruria basale. Tale limite<br />

è fissato da alcuni a 100 mg/24 h da altri a 40 mg/24 h (Ferenci,<br />

2003). È stato recentemente dimostrato che riducendo il cut-off diagnostico<br />

della cupruria dopo carico di penicillamina a valori di 500 o<br />

200 mg/24h, rispetto al valore classico di 1600 mg/24h, l’accuratezza<br />

del test non migliora (Nicastro et al., 2010).<br />

La determinazione quantitativa del rame epatico rimane il gold<br />

standard per la diagnosi di MW. Il frustolo epatico per la determinazione<br />

del rame deve essere conservato in provetta senza<br />

additivi (per evitare la contaminazione con rame esogeno). Una<br />

concentrazione di rame a livello epatico superiore a 250 µg/g di<br />

peso secco (v. n.


Tabella IV.<br />

Le mutazioni più frequenti identificate nella popolazione italiana*<br />

Mutazione N° Cr. Esone Dominio %<br />

p.H1069Q 85 14 SEHPL 14.8<br />

c.2532delA 28 10 Tm4 4.9<br />

p.R1319X 24 19 Tm8 4.2<br />

p. G591D 24 5 Cu5 4.2<br />

p.R969Q 22 13 Tm6 3.8<br />

c.2304-2305insC 20 8 Tm4 3.5<br />

p.G626A 11 6 Cu6 1.9<br />

c.3648-3653del 11 17 Tm6 1.9<br />

c.-441/-<strong>42</strong>7del 11 Promoter Promoter 1.9<br />

p.T977M 11 13 Tm5 1.9<br />

*Sono esclusi i pazienti Sardi, vedi tabella VI.<br />

Tabella V.<br />

Mutazioni identificate in 25 famiglie di origine pugliese<br />

Puglia<br />

Mutazione N° Cr. Esone Dominio %<br />

p.G591D 19 5 Cu5 38<br />

p.H1069Q 10 14 SEHPL 20<br />

p.S1310R 4 19 ATPloop 8<br />

c.2304-2305insC 3 8 Tm4 6<br />

p.T977M 3 13 Ch/Tm6 6<br />

p.I306T 2 2 Cu3 4<br />

c.2121+3A>G 2 7 Tm2 4<br />

p.710S 1 8 Tm2 2<br />

p.R969D 1 13 Ch/Tm6 2<br />

p.A1003T 1 13 Ch/Tm6 2<br />

p.Q1095P 1 15 ATPloop 2<br />

p.T1288M 1 18 ATPloop 2<br />

di origine sarda. Lo studio molecolare ha permesso l’identificazione<br />

di 124 mutazioni appartenenti a tutte le categorie, missenso,<br />

nonsenso, delezioni, inserzioni e sito di splicing. Se consideriamo<br />

la sola popolazione italiana con l’esclusione di quella sarda, nelle<br />

285 famiglie analizzate sono state identificate 115 mutazioni,<br />

dato che suggerisce la presenza di un’alta eterogeneità allelica.<br />

Non esistono mutazioni frequenti nell’intera popolazione in quanto<br />

la somma delle dieci mutazioni più frequenti costituisce appena<br />

il 43% del totale (Tab. IV). Esiste una certa distribuzione<br />

regionale in quanto certe mutazioni prevalgono e caratterizzano<br />

determinate aree geografiche. Gli esempi più tipici sono costituiti<br />

dalle popolazioni pugliese e sarda. Nella popolazione pugliese lo<br />

studio delle mutazioni in 25 famiglie ha evidenziato la presenza<br />

di 5 mutazioni più frequenti che costituiscono l’80% degli alleli<br />

(Tab. V). Di queste la più frequente, la p.G591D, è presente nel<br />

38% degli alleli. In Sardegna lo studio delle basi molecolari della<br />

MW ha evidenziato la presenza di 25 diverse mutazioni (Tab. VI).<br />

La mutazione più comune -441_<strong>42</strong>7del costituisce circa il 65%<br />

degli alleli. Le 6 mutazioni più comuni costituiscono circa l’85%<br />

del totale. Questi dati suggeriscono una certa omogeneità alleli-<br />

18<br />

G. Ranucci et al.<br />

Tabella VI.<br />

Mutazioni identificate in 152 famiglie di origine sarda<br />

Sardegna<br />

Mutazione N° Cr. Esone Dominio %<br />

-441/-<strong>42</strong>7del 196 5’UTR Promoter 64.9<br />

p.V1146M 24 16 ATPloop 7.94<br />

c.2463delC 22 10 Td 7.28<br />

c.213-214delAT 7 2 Cu1 2.37<br />

p.A1018V 6 13 ATPloop 1.98<br />

p.R778W 6 8 Tm4 1.98<br />

c.1512-1513insT 4 3 Cu5 1.32<br />

p.G1000R 4 13 Ch/Tm6 1.32<br />

p.H1069Q 4 14 SEHPL 1.32<br />

c.2304-2305insC 3 8 Tm4 0.99<br />

c.2035delC 2 7 Tm1-Tm2 0.66<br />

p.G869R 2 11 Td 0.66<br />

p.S921Q 2 12 Tm5 0.66<br />

p.T993M 2 13 Ch/Tm6 0.66<br />

c.1285+5G->T 1 2VI Cu4 0.33<br />

c.2122-8 T->G 1 8 Tm3 0.33<br />

p.I747F 1 8 Tm3 0.33<br />

p.V890M 1 11 A-domain 0.33<br />

p.R919W 1 12 Tm5 0.33<br />

p.G943S 1 12 Tm5 0.33<br />

p.L1043P 1 14 ATPloop 0.33<br />

p.G1089V 1 15 ATPloop 0.33<br />

p.R1151C 1 16 ATPloop 0.33<br />

p.N1270S 1 18 ATPhinge 0.33<br />

c.3852-3875del24 1 18 ATPhinge 0.33<br />

Unknown 8 2.64<br />

ca e permettono una strategia efficace per lo studio genetico. In<br />

particolare nella popolazione sarda, dove l’incidenza della MW è<br />

di 1:3000 nati vivi, quindi una delle più alte nel mondo, lo studio<br />

genetico potrebbe essere utilizzato con efficacia non solo nella<br />

diagnosi di singoli casi ma anche in uno screening di massa per<br />

la diagnosi ed il trattamento precoce della malattia (Zappu et al.,<br />

2008).<br />

La localizzazione delle mutazioni all’interno del gene ATP7B è un<br />

altro aspetto importante ai fini dello studio genetico. Lo studio genetico<br />

di circa 700 famiglie di origine mediterranea ha evidenziato<br />

che l’80% delle mutazioni identificate risiedono in 12 esoni (5, 6, 8,<br />

10, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19), considerati hotspot, dei 21 esoni<br />

del gene (Lepori et al., 2006). Esiste quindi una clusterizzazione delle<br />

mutazioni nel gene ATP7B indipendentemente dall’origine etnogeografica<br />

dei pazienti. Tale dato è molto importante in quanto rende<br />

efficiente il test genetico indicando lo studio delle regioni hotspot<br />

come primo bersaglio.<br />

Lo studio genetico negli ultimi anni ha dato un grande contributo e<br />

ormai è parte integrante dell’iter diagnostico della MW. La sua efficienza<br />

e utilità nella diagnosi della malattia dipende non solo dallo<br />

sviluppo di nuove tecniche raffinate ma anche dalla appropriatezza<br />

nella sua richiesta. Infatti, come in qualsiasi malattia genetica, an-


Malattia di Wilson: ancora una sfida diagnostica<br />

che nella MW devono esistere indicazioni precise per la richiesta<br />

dello studio del gene ATP7B.<br />

Conclusioni<br />

In Italia la maggior parte dei pazienti con MW è identificata in seguito<br />

al riscontro occasionale di ipertransaminasemia, pertanto è intercettata<br />

in una fase abbastanza precoce della malattia. Questo scenario,<br />

che in parte dipende dalla consuetudine vigente nel nostro Paese di<br />

valutare i livelli sierici delle transaminasi nel contesto di check-up, in<br />

assenza di indicazioni precise, ci offre l’opportunità di diagnosticare<br />

Box di orientamento<br />

e trattare farmacologicamente i pazienti con MW prima che si instaurino<br />

gravi danni epatici e neurologici. Come sopra discusso, una<br />

corretta diagnosi di MW in un bambino con ipertransaminasemia<br />

non sempre è agevole perché non sempre in età pediatrica sono<br />

applicabili i criteri convenzionali stabiliti per l’età adulta. Pertanto è<br />

importante che il pediatra mantenga un alto indice di sospetto nei<br />

confronti della MW e sia consapevole che la diagnosi non si può<br />

basare su singoli parametri clinici o laboratoristici. Negli ultimi anni<br />

lo studio genetico costituisce parte integrante dell’iter diagnostico<br />

potendo dare un significativo contributo nella diagnosi e gestione<br />

della malattia.<br />

Che cosa si sapeva prima:<br />

- La MW é dovuta ad un difetto nella funzione della proteina trasportatore del rame “ATP7B”.<br />

- La proteina ATP7B svolge due principali funzioni: in condizioni basali, trasporta il rame nella via secretoria degli epatociti e lo incorpora nella apoceruloplasmina<br />

formando la ceruloplasmina; in condizioni di eccesso, elimina il rame dagli epatociti nei canalicoli biliari.<br />

- La MW si caratterizza per un progressivo accumulo di rame prima nel fegato e secondariamente in altri organi, in particolare sistema nervoso centrale<br />

e occhio.<br />

- Livelli sierici di ceruloplasmina e livelli urinari di rame (basale e dopo carico orale di penicillamina) sono parametri utili per la diagnosi di MW.<br />

- Il dosaggio del rame epatico costituisce il gold standard per la diagnosi di MW.<br />

- La MW è un’epatopatia metabolica curabile farmacologicamente.<br />

Cosa sappiamo adesso:<br />

- La diminuzione dei livelli sierici di ceruloplasmina è un fenomeno secondario al difetto di funzione della ATP7B.<br />

- Il difetto di sintesi della ceruloplasmina non è alla base dell’accumulo di rame.<br />

- La cupruria basale è direttamente correlata all’età del paziente con MW, pertanto i pazienti pediatrici presentano valori più bassi rispetto a quelli<br />

adulti.<br />

- La cupruria dopo test da carico di penicillamina non è un test utile per la diagnosi della MW nel bambino con malattia di fegato lieve.<br />

- Esistono circa 520 mutazioni del gene ATP7B responsabili della MW.<br />

Cosa ci aspettiamo in futuro:<br />

- Una migliore definizione dei meccanismi patogenetici che sottendono la MW.<br />

- Una maggiore sensibilizzazione dei pediatri al problema della diagnosi precoce della MW<br />

- Un maggiore ruolo dell’analisi molecolare nella diagnosi di MW.<br />

- L’introduzione di nuove terapie farmacologiche che abbiano come target la correzione del difetto di trasporto della proteina ATP7B.<br />

Bibliografia<br />

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* Rassegna sintetica sugli aspetti patogenetici, clinici e terapeutici della Malattia<br />

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* Studio a lungo termine sulla prognosi dei pazienti con la Malattia di Wilson.<br />

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** Riporta lo studio del clonaggio del gene ATP7B.<br />

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*Rassegna sintetica dei meccanismi che sottendono il metabolismo del rame.<br />

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**Revisione sistematica della distribuzione delle mutazioni del gene ATP7B nelle<br />

varie popolazioni.<br />

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in the gene for ATPase7B are associated with severe impairment of copper<br />

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Wilson’s disease. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2004;39:331-6.<br />

* Studio multicentrico retrospettivo che ha dimostrato che un sottogruppo di<br />

pazienti con la MW presenta un’ipertransaminasemia persistente nonostante<br />

una terapia adeguata.<br />

19


Iorio R, Porzio S, Mazzarella G, et al. Wilson disease:diagnostic dilemma? J Pediatr<br />

Gastroenterol Nutr 2000;31:93.<br />

Lepori MB, Lovicu M, Dessì V, et al. Twenty-Four Novel mutations in Wilson<br />

disease patients of predominantly Italian origin. Genet testing 2007;11:328-<br />

32.<br />

** Suggerisce la strategia del test genetico a partire dalle regioni hotspot.<br />

Loudianos G, Dessi V, Lovicu M, et al. Further delineation of the molecular pathology<br />

of Wilson disease in the mediterranean population. Hum Mut 1998; 12:89-94.<br />

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**Analisi della correlazione genotipo-fenotipico nella popolazione italiana dei<br />

pazienti con la Malattia di Wilson.<br />

20<br />

G. Ranucci et al.<br />

Nicastro E, Ranucci G, Vajro P, et al. Re-evaluation of the diagnostic criteria for<br />

Wilson disease in children with mild liver disease. Hepatology 2010;6:1948-56.<br />

**Analisi dell’accuratezza dei criteri diagnostici della Malattia di Wilson in bambini<br />

con epatopatia moderata all’esordio.<br />

O’Connor JA, Sokol RJ. Copper metabolism and copper storage disorders. In:<br />

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** Viene riportata in modo dettagliato la caratterizzazione della struttura genomica<br />

del gene ATP7B.<br />

Roberts E, Schilsky ML. Diagnosis and treatment of Wilson disease: an update.<br />

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** Linee guida dell’AASLD per la diagnosi e la terapia della Malattia di Wilson.<br />

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** Riporta lo studio del clonaggio del gene ATP7B.<br />

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programs. JPGN 2008;47:334-8.<br />

** Suggerisce il test genetico per lo screening di massa per la diagnosi ed il<br />

trattamento precoce della malattia.<br />

Metodologia della ricerca bibliografica<br />

Sono stati ricercati tramite PubMed, studi pubblicati, utilizzando come principali parole chiave le seguenti: Wilson disease, pathogenesis,<br />

diagnostic criteria, liver transplantation, molecular analysis, guidelines. Alla ricerca sono stati posti i seguenti limiti: studi in lingua inglese,<br />

Meta-Analysis, Practice Guidelines, Randomized Controlled Trias, Reviews.<br />

Corrispondenza<br />

Georgios Loudianos, Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologie, Università di Cagliari, Ospedale Regionale Microcitemie, via Jenner s/n,<br />

09121, Cagliari. Tel. +39 070 6095504. Fax. +39 070 503696. E-mail: gloudian@mcweb.unica.it


<strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> <strong>2012</strong> <strong>•</strong> <strong>Vol</strong>. <strong>42</strong> <strong>•</strong> N. <strong>165</strong> <strong>•</strong> pp. 21-27<br />

Epatite autoimmune:<br />

una terapia non sempre facile<br />

Introduzione<br />

Le malattie autoimmuni del fegato sono malattie infiammatorie di<br />

causa sconosciuta che, di norma, evolvono spontaneamente, attraverso<br />

la necrosi del parenchima epatico, verso la cirrosi (Maggiore<br />

et al., 2009). Sono caratterizzate istologicamente dalla presenza di<br />

un infiltrato infiammatorio che varia qualitativamente in funzione<br />

delle fasi di malattia e che interessa il lobulo nelle sue fasi più precoci<br />

e lo spazio portale in quelle più tardive. Tipico e quasi costante<br />

è il riscontro di autoanticorpi organo e non-organo specifici (Alvarez,<br />

2006). Ci sono almeno tre principali malattie epatiche nell’uomo in<br />

cui il danno epatico è ritenuto essere causato da un meccanismo<br />

autoimmune: l’epatite autoimmune (EAI) in cui il bersaglio dell’attacco<br />

è l’epatocita e due altre condizioni, la colangite autoimmune<br />

e la cirrosi biliare primitiva (eccezionale in età pediatrica) in cui il<br />

bersaglio è invece il colangiocita (Maggiore et al., 2009).<br />

Obiettivo della revisione e metodologia della ricerca<br />

bibliografica<br />

L’articolo fa seguito ad una revisione sulle malattie autoimmuni del<br />

fegato pubblicata su Prospettive in Pediatria (Maggiore, 1997) e ha<br />

l’obiettivo di approfondire e rivalutare le novità sulla patogenesi, la<br />

diagnosi e il trattamento delle epatiti autoimmuni. La ricerca bibliografica<br />

su PubMed è stata effettuata utilizzando come principali parole<br />

chiave: autoimmune liver disease, autoimmune hepatitis.<br />

Epidemiologia<br />

L’EAI è una malattia rara, presente in ogni razza e in ogni regione<br />

geografica, ma con ampia variabilità di prevalenza. I dati disponibili<br />

riguardano l’adulto europeo (1:10.000) (Boberg et al., 2002), tuttavia<br />

il carattere insidioso della malattia suggerisce una prevalenza assai<br />

maggiore. Entrambi i sessi possono essere affetti ad ogni età della<br />

vita con una netta predilezione per il sesso femminile (rapporto F/M<br />

che da 3: 1 arriva fino a 9: 1 in alcune casistiche) e con un picco di<br />

incidenza di esordio in età prepuberale. Anche se l’EAI può esordire<br />

ad ogni età, più della metà dei casi sono diagnosticati durante l’infanzia<br />

e l’adolescenza.<br />

Patogenesi<br />

EPAtoLoGIA<br />

Marco Sciveresa , Francesco Cirilloa , Silvia Nastasiob , Giuseppe Maggioreb aEpatologia Pediatrica e Trapianto di fegato Pediatrico, ISMETT, UPMC, Palermo<br />

bDivisione di Pediatria, Dipartimento di Medicina della Procreazione dell’Università di Pisa, Azienda Ospedaliera-<br />

Universitaria Pisana, Pisa<br />

Riassunto<br />

In età pediatrica l’epatite autoimmune (EAI) si caratterizza per una flogosi epatica cronica che interessa soprattutto l’epatocita. La fibrosi epatica che ne<br />

consegue è progressiva e giunge rapidamente, senza trattamento, alla cirrosi. EAI viene suddivisa in due sottotipi che presentano peculiarità specifiche.<br />

L’EAI tipo 1 interessa in egual misura tutte le età e si presenta prevalentemente con un quadro di epatopatia cronica, frequentemente già evoluta in cirrosi.<br />

Gli autoanticorpi caratterizzanti sono l’antinucleo (ANA) e l’anti muscolo liscio (SMA), usualmente ad alto titolo (> 1:100). L’EAI tipo 2 predilige il bambino più<br />

piccolo, tende a manifestare un andamento altamente fluttuante e ha il suo esordio con un quadro di insufficienza epatica acuta senza segni di cronicità.<br />

Questa forma è caratterizzata dalla presenza dell’anticorpo anti microsomi di fegato e di rene tipo 1 (LKM-1) e dall’anti citosol epatico (LC1). La diagnosi si<br />

fonda su un insieme di elementi clinici e sul riscontro del tipico quadro istologico di epatite d’interfaccia con massiccia infiltrazione portale di elementi mononucleati<br />

e plasmacelule. Il trattamento convenzionale con steroidi ed azatioprina è altamente efficace ma deve essere protratto a lungo prima di tentare<br />

una sospensione. La ciclosporina come farmaco alternativo è parimenti efficace ed ormai sufficientemente radicato nella pratica clinica.<br />

Summary<br />

Autoimmune Hepatitis (AIH) in children is characterized by a chronic, immuno-mediated liver inflammation involving mainly the hepatocyte. If untreated<br />

finally leads to liver cirrhosis. Common features of AIH are hypergammaglobulinemia and presence of seric autoantibodies against a limited number of<br />

autoantigens. AIH could be classified into two subtypes carrying peculiar features. AIH type 1 affects any age and presents often as a chronic liver disease<br />

with recurrent spikes of activity. Liver cirrhosis is frequently present at onset. Characterizing autoantibodies are anti-nuclear (ANA) and anti-smooth muscle<br />

(SMA), usually at high titers (>1:100). AIH type 2 shows a peak of incidence in younger children and its natural history has a fluctuating course. Acute liver<br />

failure is frequent in AIH type 2 at onset. Anti-liver kidney microsome autoantibodies type 1 (LKM1) and anti liver cytosol (LC1) are typically found in AIH<br />

type 2. Diagnosis of AIH results from all these peculiar features and by the histological finding of interface hepatitis with massive portal infiltration of mononuclear<br />

cells and plasmocytes. Conventional treatment with steroids and azathioprine is the milestone of therapy and proved very effective. Unfortunately,<br />

it is a chronic therapy and a trial of treatment withdrawal may be attempted after several years. Cyclosporin A is the alternative drug most currently used<br />

for AIH and this treatment is safe and as effective as steroids.<br />

L’EAI è una malattia multifattoriale. Si postula che fattori ambientali<br />

inneschino, in individui geneticamente predisposti, una rispo-<br />

21


sta inappropriata e duratura verso uno o più autoantigeni. Molta<br />

attenzione è stata posta su meccanismi di mimetismo molecolare<br />

tra porzioni proteiche di virus quali HBV, HCV, CMV e HSV e proteine<br />

presenti nell’epatocita. L’autoantigene è in generale un piccolo peptide<br />

di 13-23 residui aminoacidici, prodotto finale di un processo di<br />

internalizzazione e parziale digestione di proteine extracellulari che<br />

avviene in cellule specificamente incaricate del ruolo (antigen presenting<br />

cell). Queste cellule presentano il peptide ai linfociti T CD4+<br />

tramite molecole di HLA di classe II esposte alla loro superficie. La<br />

molecola DR, appartenente alla famiglia di recettori HLA-II è formata<br />

da due catene polipeptidiche DR alfa e DR beta, che compongono<br />

l’eterodimero DR. Gli alleli del locus DR sono altamente polimorfi e<br />

questo fa sì che ogni individuo esprima molecole DR con differenti<br />

affinità di legame. Da ciò consegue come la capacità di alcuni<br />

auto antigeni di innescare la risposta immune sia geneticamente<br />

determinata e dipenda strettamente dall’assetto genetico dell’HLA<br />

di classe II (Vergani et al., 2007).<br />

Substrato genetico. Gli alleli HLA associati ad un aumentato rischio<br />

di malattia variano secondo le differenti zone geografiche. Nella<br />

popolazione Caucasica la presenza dell’aplotipo HLA A1-B8-DR3 è<br />

strettamente associata all’EAI -1. Gli alleli DRB1*0301 e DRB1*0401<br />

sono specifici fattori di rischio; entrambi condividono una lisina in<br />

posizione 71 e la sequenza LLEQKR in posizione 67-72. In Sud America<br />

e in Giappone, analoghi studi di associazione hanno sottolineato<br />

il ruolo, rispettivamente, del dimorfismo valina/glicina in posizione<br />

86, e dell’istidina nella posizione 13 del polipeptide DRB1. Questi<br />

cluster di associazione possono essere condizionati dai differenti<br />

fattori ambientali presenti nelle diverse aree geografiche.<br />

Nel bambino i dati sono scarsi: in Europa è riconosciuto uno specifico<br />

ruolo di suscettibilità all’allele DR3 (DRB1*0301) e al DR52a<br />

(DRB3*0101), mentre in Argentina è piuttosto il DR6 (DRB1*1301) a<br />

rappresentare il principale allele di suscettibilità, con un ruolo più<br />

limitato per il DR3 (DRB1*0301), mentre il HLA DRB1*1302, che differisce<br />

per un solo residuo aminoacidico, esercita al contrario, un<br />

debole ruolo protettivo.<br />

Autoantigeni. L’autoantigene maggiormente accredidato di un ruolo<br />

patogenetico sembra essere il recettore della asialoglicoproteina<br />

(ASGP-R) per l’EAI-1 e il citocromo P450 2D6 (CYP2D6) per l’EAI- 2.<br />

ASGP-R è una molecola organo-specifica con sede nella membrana<br />

dell’epatocita e con prevalente espressione periportale. Linfociti T di<br />

pazienti con EAI hanno una risposta proliferativa se posti in coltura con<br />

ASGP-R umano purificato e inducono linfociti B autologhi a produrre<br />

autoanticorpi anti-ASGP-R. Numerose isoforme del citocromo (CYP)<br />

P450 sono espresse nel tessuto epatico: il bersaglio della risposta<br />

autoimmune nell’EAI-2 è il CYP2D6, un enzima intracellulare attivo<br />

nella detossificazione di numerosi farmaci (Guegen et al., 1988). Tramite<br />

stimolazione con specifiche citochine è possibile far esprimere il<br />

CYP2D6 sulla membrane dell’epatocita rendendolo quindi un bersaglio<br />

accessibile per i linfociti T autoreattivi (Muratori et al., 2000). Inoltre vi<br />

è la dimostrazione che l’immunizzazione nel topo con CYP2D6 umano<br />

possa indurre danno epatico (Lapierre et al., 2004).<br />

La risposta autoimmune come difetto della regolazione della risposta<br />

immune. Elevati titoli anticorpali nei confronti di antigeni microbici<br />

sono presenti in pazienti con EAI. Questo difetto non-antigene-specifico,<br />

egualmente presente nei parenti di primo grado, è correggibile<br />

in vivo e in vitro, da dosi farmacologiche di corticosteroidi. Una<br />

specifica popolazione di linfociti T CD4+ che esprimono il recettore<br />

per l’interleuchina 2 noti come cellule T regolatorie CD25+ appaiono<br />

22<br />

M. Sciveres et al.<br />

difettivi nei pazienti con EAI, sia dal punto di vista numerico che<br />

funzionale. La capacità di inibire la proliferazione di linfociti T tramite<br />

la secrezione di citochine immunoregolatori quali l’interleuchina<br />

10 e la proprietà di regolare l’attivazione dei monociti appare infatti<br />

ridotta (Longhi et al., 2010).<br />

Manifestazioni cliniche<br />

L’EAI-1 è caratterizzata dalla presenza di autoanticorpi anti-muscolo<br />

liscio (SMA) e/o anti-nucleari (ANA) (Odièvre et al., 1983, Maggiore<br />

et al., 1993), l’EAI-2 dalla presenza di anticorpi anti-microsoma di<br />

fegato e di rene (LKM-1) (Maggiore et al., 1986) e/o anti-citosol epatico<br />

(LC1) (Bridoux-Henno et al., 2004).<br />

Le due forme differiscono per alcuni elementi specifici (Tab. I):<br />

<strong>•</strong> L’EAI-2 è una malattia che ha come bersaglio esclusivo l’epatocita<br />

(è la vera epatite autoimmune!). Nell’EAI-1 può essere presente<br />

una reattività tissutale, di grado variabile, nei confronti del<br />

colangiocita.<br />

<strong>•</strong> L’EAI-1 è presente sia in età adulta che in quella pediatrica,<br />

mentre l’EAI-2 è quasi esclusivamente una malattia pediatrica;<br />

<strong>•</strong> I pazienti con EAI-2 hanno un esordio ad una età significativamente<br />

inferiore rispetto all’EAI-1;<br />

<strong>•</strong> L’ipergammaglobulinemia è tipica e talora marcata nella EAI-1,<br />

mentre è assai moderata e occasionalmente assente nella EAI-2;<br />

<strong>•</strong> L’EAI-1 ha una attività di malattia generalmente costante mentre<br />

il tipo 2 progredisce piuttosto per “ondate” di necrosi, che di<br />

solito hanno fasi anche prolungate di remissione spontanea.<br />

Nonostante queste differenze la risposta al trattamento immunosoppressivo<br />

non differisce nei due tipi di EAI. Nel 10% circa delle epatiti<br />

croniche criptogeniche, tuttavia, nonostante le caratteristiche cliniche<br />

ed istologiche e la risposta al trattamento immunosoppressivo<br />

siano sovrapponibili ad una EAI, nessun autoanticorpo organo o non<br />

organo specifico è identificabile. Questa entità denominata “Epatite<br />

autoimmune sieronegativa” rappresenta un ulteriore fenotipo di EIA<br />

il cui riconoscimento è di fondamentale importanza per le implicazioni<br />

terapeutiche.<br />

Le più comuni modalità di esordio della EAI sono:<br />

<strong>•</strong> Epatite acuta. È la tipologia di esordio più comune, apparentemente<br />

indistinguibile da una epatite acuta virale con malessere,<br />

nausea, anoressia, vomito, dolore addominale seguito dalla<br />

comparsa di ittero generalizzato, urine scure e feci decolorate.<br />

Alcuni pazienti, in particolare con EAI-2 possono esordire con un<br />

quadro di insufficienza epatica acuta con encefalopatia (Maggiore<br />

et al., 1990);<br />

<strong>•</strong> Esordio insidioso con malessere ed ittero ingravescente. È una<br />

modalità di esordio che concerne circa un terzo dei pazienti; è<br />

caratterizzata da astenia, perdita di peso ed ittero, ora ingravescente,<br />

ora a carattere recidivante con fasi di miglioramento<br />

spontaneo, su un quadro di epatite cronica di fondo testimoniato<br />

dalla presenza di un’epato e/o splenomegalia di consistenza aumentata/dura;<br />

<strong>•</strong> Esordio fortuito. Dal 10 al 15% dei pazienti può essere completamente<br />

asintomatico. La malattia epatica può essere evidenziata<br />

dal riscontro occasionale di un’epatomegalia dura eventualmente<br />

associata ad una splenomegalia, di una splenomegalia isolata<br />

o di un aumento delle aminotransferasi;<br />

<strong>•</strong> Esordio con sintomi correlati ad una complicanza della malattia<br />

epatica. Raramente l’EAI può decorrere in maniera talmente insidiosa<br />

da esordire con una complicanza di una malattia epatica<br />

già evoluta in cirrosi quale un’ascite o una emorragia digestiva<br />

da varici esofagee secondarie ad una ipertensione portale;


Epatite autoimmune: una terapia non sempre facile<br />

Tabella I.<br />

Aspetti clinici delle principali forme di epatite autoimmune.<br />

EIA-1 EIA-2 EIA<br />

sieronegativa<br />

Età di esordio Ad ogni età, ma<br />

prevalentemente<br />

nell’adolescenza<br />

<strong>•</strong> Esordio con sintomi di una patologia autoimmune associata. Una patologia<br />

extraepatica di natura autoimmune o comunque immunomediata<br />

è presente in circa un terzo dei pazienti con EAI (Tab. II). Studi<br />

recenti hanno inoltre sottolineato la strette interazione con la malattia<br />

celiaca nel bambino, con una prevalenza di malattia celiaca intorno<br />

al 15% dei casi delle epatopatie autoimmuni (Caprai et al., 2008).<br />

Aspetti bioumorali<br />

Eccetto la presenza di specifici autoanticorpi caratterizzanti le due<br />

forme di EAI, le anomalie di laboratorio che si riscontrano nell’EAI<br />

sono aspecifiche. Le aminotransferasi nel siero sono quasi costantemente<br />

elevate in assenza di trattamento, le gammaglutamil traspeptidasi<br />

(GGT) invece, sono quasi costantemente normali nella EIA-2 e<br />

nella EIA-1 con lesioni biliari minime (Gregorio et al., 1997). È pre-<br />

Infanzia e comunque in età<br />

prepuberale<br />

Sindrome da overlap<br />

EAI- Colangite<br />

autoimmune<br />

Ad ogni età Prevalentemente in corso<br />

della adolescenza<br />

Sintomi all’esordio Generalmente modesti Epatite acuta sintomatica Epatite acuta sintomatica Spesso correlate alla<br />

malattia infiammatoria<br />

cronica intestinale associata<br />

Cirrosi all’esordio Frequente Rara Rara Possibile<br />

Ipergammaglobulinemia Frequente Rara Possibile Possibile<br />

Lesion biliari Di modesta entità Assenti Possibili Costanti<br />

Autoanticorpi caratterizzanti ANA, SMA, pANCA, SLA LKM1, LC1 Assenti ANA, SMA, p/cANCA, SLA<br />

Malattie extraepatiche con<br />

l’eccezione delle malattie<br />

infiammatorie croniche<br />

intestinali<br />

Frequenti Frequenti Possibili Possibili<br />

MICI associata Possibile Rara Rara Quasi costante<br />

Risposta al trattamento<br />

immunosoppressivo<br />

Generalmente buona Buona con rare eccezioni Generalmente buona Incerta<br />

Tabella II.<br />

Malattie autoimmuni associate alla epatite autoimmune.<br />

EAI-1 EAI2<br />

Emopatie<br />

Trombocitopenia<br />

Anemia emolitica<br />

Presenti Presenti<br />

Endocrinopatie<br />

Malattia di Graves<br />

Tiroidite autoimmune<br />

Diabete tipo 1<br />

Presenti Frequenti le tiroiditi<br />

Altre<br />

Vitiligo<br />

Vasculiti<br />

Glomerulonefriti<br />

Connettiviti<br />

Presenti Presenti<br />

APECED (poliendocrinopatia<br />

autoimmune)<br />

Non presente Presente (associata<br />

a mutazioni del gene<br />

AIRE)<br />

sente inoltre ipergammaglobulinemia, talora marcata, prevalentemente<br />

di classe IgG, in oltre l’80% dei pazienti. Questo aumento può<br />

non ritrovarsi nelle EAI-2 e comunque negli esordi acuti. È frequente<br />

un difetto parziale o completo di IgA seriche così come una riduzione<br />

geneticamente determinata dei livelli di C4, più spesso nelle EAI-2.<br />

Autoanticorpi. La presenza di autoanticorpi è un rilevante aiuto nella<br />

diagnosi di EAI. La metodica di scelta per la loro identificazione<br />

è l’immunofluorescenza (IF), metodica sfortunatamente trascurata<br />

perché richiede la disponibilità di medici e tecnici di laboratorio<br />

esperti e competenti e comporta quindi costi più elevati dei metodi<br />

immunoenzimatici.<br />

La presenza di ANA e/o di SMA identificano la EAI-1, specialmente<br />

se presenti ad titolo elevato (≥ 1:100). Gli SMA riconoscono antigeni<br />

strutturali del citoscheletro quali actina, desmina e troponina. La<br />

reattività SMA dell’EAI è tipicamente diretta nei confronti della actina<br />

filamentosa (F-actina). La reattività ANA ha svariati aspetti in IF:<br />

omogenea, (60%), punteggiata (speckled) (15-25%) e mista. In ragione<br />

della bassa specificità riteniamo che nella pratica clinica debbano<br />

essere considerate significative diluizioni di almeno 1:100.<br />

Gli anti-LKM1 fanno parte di un eterogeneo gruppo di reattività<br />

antimicrosomiali e caratterizzano l’EAI-2 (Maggiore et al., 1986). Il<br />

quadro caratteristico in IF è la colorazione diffusa degli epatociti e<br />

dei tubuli prossimali (nella porzione più distale) di tessuto di ratto.<br />

Il bersaglio è un antigene di 50 kDa successivamente identificato<br />

come CYP2D6 (Guegen et al., 1988).<br />

L’anticorpo anti citosol epatico (LC1) è un autoanticorpo organo-specifico<br />

la cui presenza caratterizza egualmente l’EIA-2 ma può essere<br />

anche presente in maniera isolata (Bridoux-Henno et al., 2004). L’LC1<br />

riconosce un antigene epatico di 58-62 kDa successivamente identificato<br />

nella formiminotransferasi ciclodeaminasi (Lapierre et al., 2009).<br />

In entrambe le forme si possono ritrovare altri autoanticorpi meno<br />

specifici quali gli anticorpi anti-recettore della asialoglicoproteina<br />

(ASGP-R), gli anti-SLA (antigene epatico solubile) o gli ANCA (anticitoplasma<br />

dei neutrofili) (Vitozzi et al., 2002, Hajoui et al., 2000).<br />

23


La reattività autoanticorpale tende in generale a fluttuare nel corso<br />

del trattamento, riducendosi fino a scomparire in corso di remissione<br />

e ricomparendo in caso di recidiva. Tuttavia lo stato autoanticorpale<br />

e il suo titolo non coincide necessariamente con lo stato di remissione<br />

bioumorale o istologica, né è predittiva di ricaduta o di remissione<br />

sostenuta, né infine elevati titoli all’esordio identificano pazienti a<br />

rischio prognostico elevato o con peculiari necessità terapeutiche.<br />

Aspetti istologici<br />

La biopsia epatica ha un ruolo rilevante nella diagnosi di EAI specialmente<br />

in caso di esordio acuto e nella forma sieronegativa. Il<br />

quadro istologico che identifica l’EAI è l’“epatite di interfaccia” definita<br />

dalla presenza di un denso infiltrato infiammatorio nello spazio<br />

portale costituito da linfociti T e NK, da plasmacellule e da macrofagi<br />

attivati che, erodendo la lamina limitante, tendono ad invadere il parenchima<br />

circostante (piecemeal necrosis) e circondano epatociti in<br />

apoptosi. La presenza di plasmacellule è ritenuta indispensabile per<br />

la diagnosi di EAI. Un numero non trascurabile di polimorfonucleati<br />

eosinofili può talora essere presente nell’infiltrato portale particolarmente<br />

nei casi di EAI associati a celiachia (Caprai et al., 2008).<br />

Nella forma acuta di EAI la lesione centrolobulare è predominante,<br />

talora associata ad un collasso della trama reticolare. In queste circostanze<br />

gli elementi eventualmente suggestivi di una patogenesi<br />

autoimmune sono: la presenza di una necrosi epatica massiva/sub<br />

massiva (Fig. 1); la presenza di follicoli linfoidi negli spazi portale;<br />

un infiltrato prevalentemente plasma cellulare associato ad una perivenulite<br />

centrale. La reazione proliferativa duttulare è considerata<br />

una risposta proliferativa reattiva al danno necrotico quindi di tipo<br />

rigenerativo a partire da cellule epatiche progenitrici.<br />

La presenza di un danno infiammatorio biliare non è tipica dell’EAI<br />

ma può essere osservata in forma limitata in circa il 25% dei casi.<br />

Diagnosi<br />

La diagnosi di EAI in età pediatrica può essere semplice se tutti i<br />

principali elementi che la caratterizzano sono presenti. In caso contrario<br />

la diagnosi può essere difficile e risulta da una combinazione<br />

di criteri clinici, sierologici ed istologici e dall’esclusione di epatopa-<br />

Figura 1.<br />

Necrosi panlobulare con infiltrato infiammatorio polimorfo caratterizzato<br />

dalla presenza di linfociti CD3 + e CD20+plasmacellule, polimorfonucleati<br />

eosinofili e neutrofili, in una paziente con EAI-1 con esordio acuto<br />

e marcata ipergammaglobulinemia.<br />

24<br />

M. Sciveres et al.<br />

Tabella III.<br />

Punteggio (score) diagnostico per la diagnosi di Epatite Autoimmune<br />

(da Alvarez et al., J Hepatol 1999).<br />

Parametri Punteggio<br />

Sesso femminile 2+<br />

Rapporto Fosfatasi alcalina /AST (o ALT)<br />

< 1.5<br />

1.5-3.0<br />

> 3.0<br />

Livelli di immunoglobuline IgG<br />

> 2.0 gm/dl<br />

1.5-2.0 gm/dl<br />

1.0-1.5 gm/dl<br />

< 1.0 gm/dl<br />

Autoanticorpi ANA, SMA o LKM1<br />

titolo > 1:80<br />

1:80<br />

1:40<br />

< 1:40<br />

Autoanticorpi AMA<br />

Marcatori sierici di epatite virale<br />

Presenti<br />

Assenti<br />

Anamnesi di assunzione di farmaci<br />

Presente<br />

Assente<br />

Assunzione media giornaliera di alcool<br />

< 25 gm/giorno<br />

> 60 gm/giorno<br />

Istologia epatica<br />

Epatite di interfaccia<br />

Infiltrato infiammatorio prevalentemente linfomonocitario<br />

Formazione di “rosette” degli epatociti<br />

Nessuna delle precedenti<br />

Presenza di lesioni biliari<br />

Altre lesioni<br />

Presenza di altre malattie autoimmuni<br />

Elementi addizionali<br />

Positività per altri autoanticorpi correlati<br />

Presenza di HLA DR3 o DR4<br />

Risposta alla terapia<br />

Completa<br />

Presenza di ricadute<br />

Interpretazione del punteggio<br />

Pre-trattamento<br />

Epatite Autoimmune certa<br />

Epatite Autoimmune probabile<br />

Post-trattamento<br />

Epatite Autoimmune certa<br />

Epatite Autoimmune probabile<br />

tie ad etiologia nota eventualmente compatibili con il quadro clinico,<br />

come una infezione da virus epatotropi o una malattia di Wilson.<br />

Anche se non esistono aspetti istologici patognomonici, una valutazione<br />

dell’istologia epatica è obbligatoria se l’emostasi lo permette.<br />

La risposta al trattamento immunosoppressivo specialmente in caso<br />

di forme sieronegative, rappresenta un ulteriore e rilevante elemento<br />

suggestivo per la diagnosi.<br />

A supporto del clinico, un gruppo di esperti internazionali ha validato,<br />

nell’adulto, uno score diagnostico (Alvarez et al., 1999) (Tab. III),<br />

2+<br />

0<br />

2-<br />

3+<br />

2+<br />

1+<br />

0<br />

3+<br />

2+<br />

1+<br />

0<br />

4-<br />

3-<br />

3+<br />

4-<br />

1+<br />

2+<br />

2-<br />

3+<br />

1+<br />

1+<br />

5-<br />

3-<br />

3-<br />

2+<br />

2+<br />

1+<br />

2+<br />

3+<br />

> 15<br />

10-15<br />

> 17<br />

12-17


Epatite autoimmune: una terapia non sempre facile<br />

successivamente semplificato (Hennes et al., 2008), che si è dimostrato<br />

sufficentemente sensibile (88%) e specifico (97%). Questo<br />

punteggio diagnostico è applicabile anche in pediatria avendo cura,<br />

però, di utilizzare l’attività delle GGT al posto della fosfatasi alcalina<br />

per identificare con maggiore specificità i pazienti da sottoporre ad<br />

un imaging biliare (Ebbeson et al., 2004). La presenza infatti alla<br />

colangio-RM o alla colangiografia endoscopica per via retrograda<br />

di quadri di colangiopatia potrebbe suggerire la diagnosi alternativa<br />

di sindrome da overlap epatite autoimmune/ colangite sclerosante<br />

autoimmune (Gregorio et al., 2001).<br />

Trattamento<br />

Il trattamento medico delle EAI è di tipo immunosoppressivo. La risposta<br />

al trattamento dipende dalla gravità della malattia all’esordio. Il trattamento<br />

definito “convenzionale” utilizza il prednisone o il prednisolone,<br />

inizialmente in monoterapia o in associazione con l’azatioprina. Il corticosteroide<br />

è utilizzato alla dose di 1-2 mg/kg/die con un massimo di<br />

60 mg/die nell’adolescente e l’azatioprina alla dose iniziale di 1 mg/kg/<br />

die fino ad una dose massima di 2.5 mg/kg/die. Preferiamo comunque<br />

il trattamento combinato dei due farmaci fin dall’esordio per l’effetto<br />

“risparmiatore di steroidi” della azatioprina (Maggiore et al., 1984).<br />

Remissione iniziale. L’obiettivo del trattamento è di indurre una rapida<br />

e completa remissione dei sintomi e dei segni clinici di epatopatia e<br />

della attività biochimica di malattia. Il trattamento produce una “misurabile”<br />

risposta clinica e bioumorale in 6-10 settimane (Maggiore<br />

et al., 1984). Ottenuta una risposta sostanziale, si comincia a ridurre<br />

la dose del prednisone anche se una completa normalizzazione dei<br />

parametri bioumorali può completarsi anche in alcuni mesi. Esistono<br />

differenti schemi e modalità di riduzione delle dosi di steroide che dovrebbero<br />

essere il più possibile personalizzati in relazione alle caratteristiche<br />

del paziente. Il passaggio della corticoterapia a giorni alterni<br />

è possibile nella quasi totalità dei pazienti e auspicabile per la minore<br />

incidenza di effetti collaterali della corticoterapia in particolare per<br />

quanto attiene ai problemi di crescita (Maggiore et al., 1984).<br />

Anche i pazienti che esordiscono con una grave insufficienza epatocellulare,<br />

rispondono in oltre il 90% dei casi ed in egual modo, sia<br />

ad una monoterapia a 2 mg/kg di prednisone che all’associazione<br />

di prednisone 1 mg/kg, fino a 40 mg/die, e ciclosporina con una ciclosporinemia<br />

bersaglio di 200 ± 50 ng/mL (Cuarterolo et al., 2011).<br />

Nel 10% dei casi che rispondono scarsamente al trattamento, può<br />

essere tentata come trattamento di salvataggio una associazione di<br />

prednisone, ciclosporina ed eventualmente di micofenolato mofetile<br />

(MMF) anche se va considerato con attenzione il rischio di infezioni<br />

gravi. Una mancata risposta al trattamento deve far immediatamente<br />

considerare l’opzione di un trapianto di fegato in urgenza.<br />

Risposta sostenuta. Una volta indotta la remissione, che comporta la<br />

rigorosa normalità delle amino transferasi e dei livelli di immunoglobuline<br />

IgG, l’obiettivo della terapia diventa quello di mantenere una<br />

remissione persistente e di prevenire eventuali ricadute. Il prednisone<br />

sarà progressivamente ridotto fino a raggiungere la più bassa<br />

dose compatibile con una completa remissione clinica e bioumorale.<br />

Se una remissione debba necessariamente essere documentata<br />

istologicamente è un argomento dibattuto. La remissione istologica<br />

non è infatti predittiva di assenza di recidive. La valutazione quantitativa<br />

della fibrosi può essere effettuata in maniera meno invasiva<br />

con una misurazione dell’elastometria epatica. La fibrosi epatica<br />

progredisce solo in una minoranza di pazienti che sono aderenti al<br />

trattamento e che mantengono una remissione persistente.<br />

Durata del trattamento. Non esistono dati certi sulla durata ottimale<br />

del trattamento immunosoppressivo nei pazienti con EAI. Una recidiva<br />

può insorgere, anche in assenza di fattori scatenanti, in ogni momento.<br />

Il rischio è molto elevato in caso di una durata di trattamento<br />

inferiore ai 2 anni. La principale causa di recidiva nell’adolescente<br />

è una inadeguata aderenza al trattamento. Se poi anche la recidiva<br />

meriti una valutazione bioptica è egualmente dibattuto.<br />

L’esperienza attuale suggerisce che un trattamento immunosoppressivo<br />

debba produrre almeno cinque anni di remissione completa prima<br />

di tentarne la sospensione. In caso di trattamento convenzionale combinato<br />

si provvederà a sospendere completamente il prednisone nel<br />

corso del terzo-quarto anno di remissione per mantenere il paziente in<br />

monoterapia con azatioprina almeno per un altro anno. Il trattamento<br />

non andrà sospeso durante la fase di spurt puberale. Una assenza di<br />

autoanticorpi non è predittiva di assenza di recidiva, tuttavia un significativo<br />

incremento del titolo autoanticorpale deve essere considerato<br />

con cautela in ogni fase di riduzione della terapia.<br />

Effetti collaterali. Sono frequenti e prevalentemente dovuti ai corticosteroidi<br />

che producono iperfagia ed aumento di peso e rallentamento<br />

della crescita staturale. Complicanze più gravi, legate all’uso di dosi<br />

elevate e per periodi protratti, includono: obesità, grave ritardo di crescita,<br />

cataratta responsabile di riduzione del visus, collasso vertebrale,<br />

iperglicemia, psicosi e gravi conseguenze estetiche legati al prodursi<br />

di strie cutanee cicatriziali. Queste complicanze sono più rare nei<br />

centri con maggiore esperienza nel trattamento delle epatopatie autoimmuni.<br />

L’azatioprina è raramente responsabile di effetti secondari<br />

gravi, ma lo sviluppo di una linfopenia necessita una riduzione della<br />

dose del farmaco. Nell’uomo, una teratogenicità della azatioprina non<br />

è dimostrata con sicurezza, tuttavia, in caso di inizio di un trattamento<br />

nell’adolescente fertile dovrebbe essere esclusa una condizione di<br />

gravidanza. Più di 200 gravidanze sono riportate in pazienti con EAI<br />

e un progetto di gravidanza sembra realistico in pazienti con EAI in<br />

remissione farmacologica. L’utilizzo di basse dose di steroidi è preferibile,<br />

anche se l’azatioprina sembra non essere di nocumento né alla<br />

madre né al bambino (Aggarwal et al., 2011).<br />

Terapie farmacologiche alternative. Una parziale o incompleta<br />

risposta al trattamento convenzionale, il rifiuto o la comparsa di<br />

gravi effetti collaterali dei corticosteroidi costituiscono una chiara<br />

indicazione all’uso di trattamenti alternativi ed in particolare della<br />

Ciclosporina (CSA). La CSA in monoterapia è stata dimostrata<br />

efficace nell’indurre in remissione pazienti con entrambi i tipi di<br />

EAI (Alvarez et al., 1999) (Debray et al., 1999). Gli effetti collaterali<br />

del trattamento con CSA, almeno nel breve-medio termine,<br />

sono pochi e ben tollerati e scompaiono con la riduzione delle dosi<br />

(Sciveres et al., 2004). Una volta ottenuta la remissione il paziente<br />

può essere orientato verso un trattamento convenzionale a dosi di<br />

mantenimento di corticosteroidi (Alvarez et al., 1999) o continuare<br />

il trattamento con la CSA con ciclosporinemie inferiori ai 100 ng/<br />

ml (Sciveres et al., 2004). Il Micofenolato Mofetile (MFM) alla dose<br />

di 20-40 mg/kg è stato utilizzato con successo in aggiunta ai corticosteroidi<br />

nei pazienti intolleranti alla azatioprina o resistenti alla<br />

terapia convenzionale. I principali effetti collaterali del MFM sono<br />

rappresentati da cefalea, diarrea, perdita di capelli e sopratutto la<br />

leucopenia (Aw et al., 2009).<br />

Trapianto di fegato. Il trapianto di fegato può diventare una opzione<br />

terapeutica nell’EAI in particolare in due circostanze:<br />

1) nei pazienti, prevalentemente maschi, con esordio acuto grave o<br />

fulminante che non rispondano alla terapia di “salvataggio”;<br />

25


2) nei pazienti, per lo più di sesso femminile, con cirrosi ed insufficienza<br />

epatica terminale con scarsa o assente attività di malattia.<br />

I pazienti con EAI che beneficiano di un trapianto di fegato, rappresentano<br />

meno del 5% dei trapianti epatici pediatrici, hanno una<br />

sopravvivenza a 5 anni dell’86% e non differiscono dal gruppo non-<br />

EAI per sopravvivenza, numero, tipologia di complicanze infettive e<br />

metaboliche e frequenza di ritrapianto. (Martin et al., 2011).<br />

Prognosi a lungo termine. La prognosi a lungo termine dei pazienti<br />

con EAI ad esordio in età pediatrica rimane incerta. Una remissione<br />

completa e di lunga durata può essere mantenuta nella maggioranza<br />

dei pazienti senza significativi effetti collaterali e con basse dosi di<br />

farmaci immunosoppressori. Una percentuale minoritaria di pazienti<br />

mantiene una remissione persistente, anche a lungo termine, anche<br />

una volta sospesa definitivamente la terapia immunosoppressiva,<br />

con evidenza di una bassa elastanza epatica. Alcuni pazienti una<br />

volta sospesa la terapia immunosoppressiva possono sviluppare<br />

patologie immunomediate anche severe (LES) anche senza recidiva<br />

della malattia epatica.<br />

Terapie innovative. In seguito al riconoscimento del difetto di regolazione<br />

dei linfociti regolatori CD25+ la ricerca si è concentrata<br />

Box di orientamento<br />

26<br />

M. Sciveres et al.<br />

nel tentativo di selezione e produzione di linee cellulari autologhe di<br />

cellule regolatrici CD 25+ nei confronti dei verosimili antigeni trigger.<br />

La speranza è che tali cellule siano capaci di indurre tolleranza<br />

e di spegnere alla radice la risposta autoimmune senza la necessità<br />

di farmaci. Per il momento è stata suggerita l’efficacia in vitro di<br />

celllule regolatrici specifiche per l’antigene CYP2D6 della EAI tipo 2<br />

(Longhi et al., 2011)<br />

Conclusioni<br />

La diagnosi di EAI deve essere sempre ipotizzata in ogni paziente<br />

con segni e/o sintomi di epatopatia acuta o cronica di causa non definita,<br />

specialmente in presenza di una patologia extraepatica di natura<br />

immunomediata. La presenza di ipergammaglobulinemia e/o di<br />

autoanticorpi circolanti è di rilevante aiuto diagnostico ed identifica<br />

almeno due forme di EAI che presentano specifiche peculiarità, anche<br />

se va considerata la possibilità di EAI sieronegative.Una rapida<br />

e completa remissione indotta con una appropriata terapia migliora<br />

la prognosi a breve e lungo termine, controllando l’evoluzione della<br />

fibrosi e anche potendo determinare una sua regressione. Questa<br />

certezza giustifica un approccio che compreda anche accertamenti<br />

diagnostici invasivi (biopsia epatica).<br />

Cosa si sapeva prima:<br />

L’epatite autoimmune è una malattia non spontaneamente risolutiva con tendenza alla recidiva ad ogni tentativo di riduzione o sospensione del trattamento.<br />

Il pilastro del trattamento è il prednisone che inevitabilmente porta con sé numerosi effetti indesiderati anche gravi.<br />

Cosa sappiamo adesso:<br />

Nel tempo si è definito il ruolo di numerosi altri farmaci quali, storicamente, l’azatioprina, ma anche, in seguito, la ciclosporina ed il micofenolato mofetile.<br />

L’obiettivo futuro è quello di poter disporre di trattamenti personalizzati capaci di indurre immunotolleranza.<br />

Quali ricadute sulla pratica clinica:<br />

Oggi, nei centri con maggiore esperienza, sono proponibili numerosi schemi terapeutici con diverse combinazioni di farmaci da adattare al singolo<br />

paziente e strategie atte a minimizazre l’impatto e la durata della terapia steroidea.<br />

Bibliografia<br />

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hepatitis. Arch Gynecol Obstet 2011;284:19-23.<br />

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** Articolo che per primo descrive l’esperienza di trattamento con la ciclosporina.<br />

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* Una valida review sull’intero spettro delle malattie autoimmuni del bambino.<br />

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* La prima decrizione della EAI con LC1 isolati.<br />

Caprai S, Vajro P, Ventura A, et al. Autoimmune Liver disease associated with<br />

celiac disease in childhood: a multicenter study. Clin Gastroenterol Hepatol<br />

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** Studio multicentrico che dimostra la forte associazione tra EAI e malattia celiaca.<br />

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recovery from liver failure in children with autoimmune hepatitis. Clin Gastroenterol<br />

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** La più numerosa casistica di EAI in pediatria.<br />

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overlap syndrome in childhood: a 16 year prospective study. Hepatology<br />

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*** Uno studio prospettico che definisce l’entità nosografica in pediatria della<br />

coesistenza di delle due principali malattie autoimmuni del fegato: l’epatire autoimmune<br />

e la colangite sclerosante autoimmune.


Epatite autoimmune: una terapia non sempre facile<br />

Guegen M, Meunier-Rotival M, Bernard O, et al. Anti-liver kidney microsome<br />

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** Lo studio che dimostra l’efficacia della terapia di mantenimento con azatioprina.<br />

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an organ-specific autoantigen recognized by sera of patients with autoimmune<br />

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Longhi MS, Ma Y, Mieli-Vergani G, et al. Aetiopathogenesis of autoimmune hepatitis.<br />

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* Una recente review sui meccanismi della patogenesi immunomediata.<br />

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**Articolo che per primo descrive l’epatite autoimmune di tipo 2.<br />

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active hepatitis in childhood. J Pediatr 1984;104:839-44.<br />

** Il primo lavoro che descrive i risultati del trattamento immunosoppressivo in<br />

pediatria.<br />

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Martini E, Abuaf N, Cavalli F, et al. Antibody to liver cytosol (anti-LC1) in patients<br />

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targets CYP2D6 on hepatocyte plasma membrane. Gut 2000;46:553-61.<br />

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chronic hepatitis in 57 children. Hepatology 1983;3:407-9.<br />

** Articolo che definisce per primo una classificazione sierologica delle epatiti<br />

croniche.<br />

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Vergani D, Mieli Vergani G. The impact of autoimmunity on hepatocytes. Sem Liv<br />

Dis 2007;2:140-51.<br />

Giuseppe Maggiore, Divisione di Pediatria 2, Dipartimento di Medicina della Procreazione dell’Università di Pisa, Azienda Ospedaliera-Universitaria<br />

Pisana, via Roma 67, 56123, Pisa. Tel. +39 050 992639. E-mail: giuseppe.maggiore@med.unipi.it<br />

27


oculistica<br />

La scelta della Redazione di “Prospettive in Pediatria” di dedicare un fascicolo all’oftalmologia pediatrica è certamente finalizzata a divulgare<br />

e approfondire tra i colleghi pediatri alcuni argomenti di interesse oftalmologico che abbiano, da un lato, un forte impatto epidemiologico<br />

in età pediatrica e, dall’altro, un fondamentale riscontro nell’inquadramento sistemico della patologia oculare stessa.<br />

Pertanto, come responsabile della scelta degli argomenti da trattare ho ritenuto prediligerne alcuni, tenendo conto della nostra esperienza<br />

clinica universitaria.<br />

Nell’articolo inerente la revisione della Letteratura scientifica oftalmologica vengono proposti argomenti di interesse diagnostico e terapeutico<br />

che in qualche caso potrebbero risultare non recentissimi perché subordinati ai tempi di pubblicazione.<br />

Dal punto di vista diagnostico viene confermata l’importanza della diagnosi precoce delle uveiti anteriori in corso di artrite idiopatica giovanile;<br />

viene inoltre ribadita l’importanza dell’interazione tra oftalmologo e pediatra nel proporre terapie combinate che possano alleviare<br />

sia i sintomi oculari che quelli sistemici.<br />

Come esempio di moderne tecniche chirurgiche nel trattamento del cheratocono in età pediatrica viene proposto il Cross-Linking<br />

Corneale.<br />

Per finire, in campo di terapia genica, viene proposto un modello di malattia oculare genetica, l’amaurosi di Leber e le promettenti ricerche<br />

sull’uso di vettori adenovirali.<br />

Il secondo articolo propone di approfondire le tappe fondamentali del percorso diagnostico e terapeutico della cataratta congenita, focalizzando<br />

l’attenzione sulla collaborazione tra pediatra ed oculista. Dal punto di vista diagnostico, screening e diagnosi precoce sono essenziali<br />

ai fini dell’efficacia della terapia, così come difficile appare la scelta del tipo e del timing dell’intervento prescelto. Il raggiungimento di un<br />

outcome visivo soddisfacente viene assicurato grazie ad un attento follow-up e ad un trattamento antiambliopigeno aggressivo. Infatti, se<br />

non adeguatamente trattata, la cataratta congenita compromette in maniera permanente lo sviluppo visivo del bambino, determinando un<br />

grave deficit visivo irreversibile. Allo stesso modo, l’ambliopia è curabile solo se diagnosticata e trattata precocemente; per tale motivo la<br />

collaborazione pediatra-oculista risulta cruciale nella gestione di tale patologia.<br />

Infine, alla luce di alcune nostre recenti ricerche, abbiamo scelto di approfondire un argomento ultraspecialistico: la chirurgia refrattiva.<br />

Questo potrà risultare un po’ meno interessante per alcuni, ma lo scopo è di rendere nota l’eventualità di proporre un trattamento alternativo<br />

per i vizi di refrazione in pazienti pediatrici che presentano ametropie gravi, per i quali risulterebbe poco vantaggiosa la correzione ottica<br />

tradizionale. Attuare tali procedure chirurgiche in età pediatrica, risulta, pertanto, diversamente dal paziente adulto, una tappa importante<br />

nel percorso ottico riabilitativo.<br />

Concludendo, mi auguro che la scelta dei temi trattati possa risultare interessante a voi colleghi pediatri e che la conoscenza reciproca di<br />

temi ultraspecialistici possa essere costruttiva per il lavoro quotidiano di collaborazione tra specialisti, sempre nell’interesse del paziente.<br />

Adriano Magli<br />

Dipartimento di Scienze Oftalmologiche, Università degli Studi di Napoli Federico II<br />

29


<strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> <strong>2012</strong> <strong>•</strong> <strong>Vol</strong>. <strong>42</strong> <strong>•</strong> N. <strong>165</strong> <strong>•</strong> pp. 31-36<br />

attualità in oftalmologia pediatrica<br />

Lucia Ambrosio, Francesco Matarazzo, Patrizio Magliozzi, Luca Rombetto,<br />

Roberta Carelli, Adriano Magli<br />

Dipartimento di Scienze Oftalmologiche, Università degli Studi di Napoli Federico II<br />

Obiettivi e metodologia della revisione<br />

È stata revisionata la letteratura scientifica oftalmologica dal gennaio<br />

2007 al gennaio 2011 utilizzando la banca bibliografica Medline<br />

attraverso il motore di ricerca PubMed. La ricerca è stata affinata<br />

con la funzione di ricerca avanzata per il periodo in esame e per<br />

età (compresa tra 0 e 18 anni) senza alcun limite per tipologia di<br />

pubblicazione.<br />

Si è operata una scelta degli argomenti identificando i temi più importanti,<br />

in primo luogo, sulla base della valenza clinica e del valore<br />

scientifico, successivamente quelli che su base numerica risultavano<br />

i più approfonditi, cercando inoltre di mettere in luce anche le<br />

novità di tipo diagnostico e terapeutico.<br />

L’accento è stato posto pertanto su temi per i quali sono state riconosciute<br />

dagli autori una continuità nel tempo di risultati e pubblicazioni,<br />

ed una valenza clinica per la pratica del pediatra. Sono stati tralasciati<br />

temi importanti ad alto impatto nella popolazione pediatrica come la<br />

cataratta congenita (approfondita in un altro articolo di questo numero),<br />

ed una nuova frontiera nella terapia dei difetti refrattivi pediatrici:<br />

la chirurgia refrattiva (tema di pertinenza superspecialistica, ma<br />

anch’esso trattato in un articolo di questa sezione).<br />

Le uveiti associate ad artrite idiopatica giovanile<br />

Con il termine uveite si intende un processo di tipo infiammatorio a<br />

carico dell’uvea.<br />

oCULIStICA<br />

Riassunto<br />

Nella revisione vengono proposti argomenti di interesse diagnostico e terapeutico.<br />

Dal punto di vista diagnostico viene confermata l’importanza della diagnosi precoce delle uveiti anteriori in corso di artrite idiopatica giovanile; viene inoltre<br />

ribadita l’importanza dell’interazione tra oftalmologo e pediatra nel proporre terapie combinate che possano alleviare sia i sintomi oculari che quelli sistemici<br />

avvalendosi di farmaci steroidei, agenti anti-TNFα, metotrexate e farmaci biologici (infliximab e etanercept).<br />

Dal punto di vista terapeutico viene inoltre proposto l’uso di ciclosporina A in collirio nelle forme di cheratocongiuntivite allergica refrattarie alle terapie<br />

convenzionali.<br />

Come esempio di moderne tecniche chirurgiche nel trattamento del cheratocono in età pediatrica, viene proposto il Cross-Linking Corneale in alternativa<br />

sia alla cheratoplastica perforante che alla lamellare profonda.<br />

Per concludere, in campo di terapia genica, viene proposto un modello di malattia oculare genetica, l’amaurosi di Leber, e le promettenti ricerche sull’uso<br />

di vettori adenovirali che avrebbero lo scopo di ripristinare la funzionalità del gene RPE 65 deputato all’espressione di un pathway biochimico per la rigenerazione<br />

del pigmento visivo.<br />

Summary<br />

We reviewed the latest evidences about diagnosis and therapy in paediatric ophthalmology. We underline the importance of early diagnosis for anterior<br />

uveitis in children with Juvenile Idiopathic Arthritis and the role of pharmacological treatment to cure both systemic and ocular symptoms. Moreover our<br />

review deals with the introduction of topical Cyclosporine A in the treatment of allergic conjunctivitis and corneal collagen cross-linking as a treatment<br />

strategy for keratoconus in paediatric patients. In conclusion we review the recent Leber congenital amaurosis type 2 clinical trials demonstrating restoration<br />

of vision by RPE65 gene transfer into RPE cells.<br />

In corso di artrite idiopatica giovanile (AIG) è questa la complicanza<br />

oculare più frequente.<br />

E allora perché approfondire proprio tale argomento in questa<br />

sede?<br />

Per due motivi fondamentali: il primo è costituito dalla frequenza<br />

con la quale tale patologia obbliga i due specialisti, il pediatra e<br />

l’oculista, ad interagire tra loro; il secondo dalla constatazione che la<br />

letteratura degli ultimi quattro anni ha prodotto molti articoli interessanti<br />

focalizzati su questo argomento.<br />

L’uveite in corso di AIG è quasi sempre asintomatica e frequentemente<br />

diagnosticata durante un esame di routine alla lampada a<br />

fessura (Tab. I). Pertanto è di fondamentale importanza effettuare<br />

screening regolari sui bambini a rischio per almeno 7 anni dall’esordio<br />

dell’artrite. Nei casi di AIG pauciarticolare è consigliabile effettuare<br />

il controllo ogni 4 mesi, ogni 3 mesi in caso di positività agli<br />

ANA (Heiligenhaus et al., 2007).<br />

La forma più frequente di uveite in corso di AIG è l’uveite anteriore<br />

di tipo cronico-recidivante, non granulomatosa (Sabri et al., 2008;<br />

Parikh et al., 2008), tale manifestazione oculare è più frequente nelle<br />

forme di AIG ad esordio pauciarticolare ANA+ e HLA-DR5 correlate.<br />

Nel 70% dei casi la presentazione è bilaterale e simmetrica.<br />

L’infiammazione dell’uvea anteriore può interessare esclusivamente l’iride<br />

(irite), oppure anche la parte anteriore del corpo ciliare (iridociclite).<br />

I segni più comuni all’esame clinico sono: iniezione ciliare, precipitati<br />

cheratici (depositi cellulari sull’endotelio corneale), presenza di<br />

corpuscoli nell’umor acqueo (Tyndall).<br />

31


Dall’esame istologico di occhi enucleati si è dimostrato che la proliferazione<br />

epiteliale, mista a linfociti di tipo B, è costituita in massima<br />

parte da Ig G (Parikh et al., 2008).<br />

Le complicanze oculari si verificano in più del 35% dei casi di uveite, e<br />

sono più comuni nelle uveiti di lunga durata non diagnosticate; è accertato<br />

che più l’intervallo di tempo tra diagnosi di AIG e di uveite è breve,<br />

più sono frequenti e nefaste le complicanze (Sabri et al., 2008).<br />

In altri studi i casi con complicanze all’esordio erano il 67% del totale,<br />

ed i fattori di rischio erano costituiti dalla presenza di corpuscoli<br />

nell’umor acqueo (Tyndall), dalla positività agli ANA e da un intervallo<br />

breve di tempo tra la diagnosi di artrite e quella di uveite (Thorne<br />

et al., 2007; Woreta et al., 2007).<br />

Le complicanze più frequenti sono le sinechie posteriori (adesioni tra<br />

l’iride e la superficie anteriore del cristallino) che estendendosi per<br />

360° intorno alla pupilla possono causare una seclusione pupillare<br />

con blocco dell’umore acqueo ed ipertono oculare (Fig. 1).<br />

Altre complicanze sono costituite da: cheratopatia a bandelletta,<br />

cataratta, glaucoma, edema maculare e formazione di membrane<br />

ciclitiche fino alla tisi bulbare (Parikh et al., 2008).<br />

Recenti studi hanno dimostrato l’utilità della tomografia a coerenza<br />

ottica (OCT) per lo studio della regione maculare in casi di edema<br />

maculare in corso di uveite intermedia posteriore (Ducos de Lahitte<br />

et al., 2008; Paroli et al., 2010).<br />

La terapia è costituita da steroidi topici in formulazione di colliri, steroidi<br />

somministrati sistemicamente, agenti anti-TNFα e metotrexate;<br />

quest’ultimo farmaco è stato valutato in monosomministrazione<br />

o associato a terapia con immunosoppressori sistemici (ciclosporina,<br />

azatioprina), ed a farmaci biologici quali infliximab (anticorpo<br />

monoclonale) ed etanercept (proteina di fusione ottenuta tramite<br />

tecniche del DNA ricombinante che funziona da recettore per il<br />

TNFα) (Heiligenhaus et al., 2007; Thorne et al., 2007; Simonini et al.,<br />

32<br />

L. Ambrosio et al.<br />

Tabella I.<br />

Uveiti: classificazione clinica.<br />

Uveite acuta Uveite cronica<br />

Esordio Improvviso Insidioso<br />

Durata Meno di 3 mesi Più di 3 mesi<br />

Sintomatologia Fotofobia, dolore, arrossamento oculare, calo del Arrossamento oculare lieve, miodesopsie.<br />

visus, lacrimazione<br />

N.B. talvolta può essere anche asintomatica<br />

Figura 1.<br />

Sinechie irido-lenticolari in corso di uveite cronica recidivante.<br />

2010) ed ha dimostrato risultati molto promettenti per la terapia a<br />

lungo termine (Kalinina Ayuso et al., 2011) e per la gestione delle<br />

complicanze. L’uso del MTX determina un allungamento notevole<br />

del tempo che intercorre tra la diagnosi di cataratta e la necessità<br />

del trattamento chirurgico (estrazione extracapsulare della stessa<br />

associata a vitrectomia anteriore ampia) (Sijssens et al., 2007).<br />

Tra gli agenti anti-TNFα l’adalimumab è in grado di risolvere sia<br />

la sintomatologia artritica che quella oculare uveitica, al contrario<br />

dell’etanercept che non risulta essere molto attivo contro l’uveite<br />

(Biester et al., 2007).<br />

Studi recenti (Guellac et al., 2008; Angeles-Han et al., 2010) hanno<br />

dimostrato come un opportuno trattamento sia capace di determinare<br />

un consistente miglioramento della sintomatologia in corso di<br />

AIG e di determinare miglioramento anche della qualità della vita dei<br />

bambini e degli adolescenti affetti da questa patologia.<br />

Le congiuntiviti allergiche<br />

Le allergie oculari, problema in costante crescita, interessano il 15-<br />

25% della popolazione europea, e fino al 30% dei bambini atopici.<br />

L’incidenza delle rinocongiuntiviti è aumentata negli ultimi 15-20<br />

anni in relazione sia alla maggiore attenzione di medico e paziente<br />

che ai cambiamenti climatici (Leonardi et al., 2008).<br />

Il termine congiuntiviti allergiche si riferisce ad un insieme di malattie<br />

da ipersensibilità che colpiscono palpebra, congiuntiva e cornea.<br />

La classificazione comprende varie forme cliniche suddivise<br />

in due gruppi: il primo include le più frequenti, le congiuntiviti allergiche<br />

stagionali (SAC) e perenni (PAC), causate da una reazione di<br />

degranulazione mastocitaria IgE-mediata determinata dall’esposizione<br />

ad allergeni ambientali, come graminacee, acari, muffe e<br />

peli di animali; il secondo le forme croniche severe meno frequenti,<br />

la cheratocongiuntivite vernal (VKC) e la cheratocongiuntivite<br />

atopica (AKC), a patogenesi complessa e complicate spesso dal<br />

coinvolgimento corneale (Leonardi et al., 2008).<br />

La severità dei sintomi nella SAC o PAC è estremamente variabile. La<br />

SAC è una manifestazione acuta o subacuta autolimitantesi caratte-<br />

Tabella II.<br />

Considerazioni per un corretto iter diagnostico delle congiuntiviti allergiche.<br />

<strong>•</strong> Raccogliere un’attenta anamnesi<br />

<strong>•</strong> Valutare i segni e i sintomi del paziente<br />

<strong>•</strong> Effettuare un approfondito esame clinico<br />

<strong>•</strong> Determinare se il sintomo “prurito” è presente<br />

<strong>•</strong> Avvalersi di Schirmer test, prick test o test di provocazione<br />

<strong>•</strong> Praticare citologia lacrimale o congiuntivale<br />

<strong>•</strong> Testare le IgE nelle lacrime e il break-up time<br />

<strong>•</strong> Collaborare con gli allergologi


Attualità in oftalmologia pediatrica. Una revisione della letteratura 2007- 2010<br />

A B<br />

C D<br />

Figura 2.<br />

Congiuntivite allergica: A. Iperemia congiuntivale e diffusa ipertrofia papillare. B e C: Papille giganti. D: Interessamento corneale in corso di VKC.<br />

rizzata da prurito, arrossamento e gonfiore palpebrale, lacrimazione<br />

e bruciore. Nella PAC segni e sintomi persistono con vario grado<br />

di severità per mesi e si associano a riniti stagionali o perenni. I<br />

bambini affetti da VKC presentano prurito, lacrimazione, fotofobia,<br />

sensazione di corpo estraneo, bruciore, spesse secrezioni mucoidi<br />

e frequentemente coinvolgimento corneale. Nell’AKC i sintomi sono<br />

simili ma associati ad una malattia atopica più grave e non remittente<br />

(Fig. 2).<br />

La diagnosi è principalmente clinica ma può essere corredata da<br />

test oggettivi.<br />

Nella tabella II vengono riassunti gli aspetti fondamentali da considerare<br />

per una corretta diagnosi.<br />

Talvolta possono coesistere congiuntiviti virali, sindrome dell’occhio<br />

secco, meibomiti croniche (infiammazione delle ghiandole palpebrali<br />

del Meibomio) e blefariti.<br />

Inoltre risulta fondamentale la prevenzione e l’educazione comportamentale<br />

del paziente e della famiglia, tra le misure da adottare:<br />

utilizzare occhiali da sole, cambiare frequentemente abiti, curare<br />

l’igiene personale, evitare di stropicciarsi gli occhi e di portare<br />

spesso le mani al viso. Inoltre si raccomanda di evitare l’utilizzo di<br />

colliri a base di estratti naturali. I sostituti lacrimali risultano altresì<br />

una precoce opzione terapeutica avendo lo scopo di allontanare gli<br />

allergeni dal film lacrimale.<br />

Nei casi di SAC e PAC la prima linea di trattamento prevede colliri<br />

a duplice meccanismo d’azione, antistaminico e stabilizzatore della<br />

membrana mastocitaria (olopatadina, ketotifene, azelastina, epinastina).<br />

Nelle forme severe quali la VKC e l’AKC la terapia va iniziata<br />

prima dell’arrivo del caldo tra febbraio e marzo con la combinazione<br />

di un farmaco a duplice meccanismo d’azione (farmaci citati precedentemente)<br />

e la lodoxamide. Tale protocollo terapeutico riduce la<br />

necessità degli steroidi per uso topico per periodi lunghi di trattamento.<br />

Nonostante ciò in alcuni casi acuti e refrattari, i corticosteroidi<br />

topici risultano risolutivi e andranno somministrati a dosaggio<br />

alto di attacco per la prima settimana di trattamento, scalati nella<br />

settimana successiva. Nei casi refrattari alle terapie convenzionali<br />

la ciclosporina A in collirio sembra essere efficace e sicura (Ozcan<br />

et al., 2007; Ebihara et al., 2009; Pucci et al., 2010; Cornish et al.,<br />

2010; Tesse et al., 2010).<br />

In un futuro prossimo si spera siano disponibili anticorpi monoclonali<br />

o frammenti di anticorpo contro molecole coinvolte nel processo patogenetico<br />

accanto a dispositivi quali impianti congiuntivali, liposomi<br />

o nanoparticelle che riescano a migliorare biodisponibilità, compliance<br />

ed efficacia del farmaco minimizzando gli effetti collaterali.<br />

Nuovi approcci terapeutici alla terapia del<br />

cheratocono in età pediatrica<br />

Il cheratocono è una patologia degenerativa della cornea ad esordio<br />

puberale, generalmente bilaterale e ad evoluzione asimmetrica,<br />

33


progressiva e sporadica con componente genetica nel 10% dei casi.<br />

L’incidenza, sottostimata alla luce delle attuali capacità diagnostiche,<br />

è 1/2.000 casi. In corso di cheratocono il collagene corneale è caratterizzato<br />

da una struttura terziaria e quaternaria alterata che lo rende<br />

meno rigido, con diminuita presenza di legami intrafibrillari e interfibrillari,<br />

progressivo assottigliamento e modifica del profilo corneale<br />

con decadimento delle proprietà e delle qualità ottiche e conseguente<br />

astigmatismo irregolare tendenzialmente miopico progressivo.<br />

All’esame oculistico di routine si riscontra una deformazione delle<br />

mire cheratometriche. L’esame strumentale necessario per confermare<br />

il sospetto diagnostico è la topografia corneale.<br />

Allo stadio iniziale, le lenti a tempiale e le lenti a contatto (LAC)<br />

morbide o rigide sono sufficienti a correggere il difetto refrattivo.<br />

Successivamente, con il progredire della patologia, la correzione<br />

mediante LAC potrebbe risultare insufficiente o potrebbe verificarsi<br />

una ridotta tollerabilità alla LAC, in questi casi si deve ricorrere a<br />

terapie alternative. Gli anelli intrastromali Intacs o di Ferrara sono<br />

stati proposti nel trattamento chirurgico del cheratocono non evoluto<br />

intollerante alla LAC. Questi dispositivi si compongono di due semianelli<br />

ultrasottili e trasparenti in polimetilmetacrilato (PMMA) che<br />

vengono posizionati nello stroma corneale periferico con l’obiettivo<br />

di appiattire e centrare l’apice del cheratocono migliorando l’acuità<br />

visiva naturale o corretta (Coskunseven et al., 2009).<br />

La tecnica chirurgica classica è certamente la cheratoplastica perforante,<br />

che è raccomandata nelle forme evolute (Caporossi et al.,<br />

2008). La cheratoplastica lamellare profonda consente di rimuovere<br />

solo lo stroma ectasico risparmiando l’endotelio sano, riducendo<br />

così il rischio di rigetto.<br />

Negli ultimi anni è stato proposto un trattamento meno invasivo: il<br />

Cross-Linking Corneale. Consiste nella fotopolimerizzazione delle<br />

fibre stromali del collagene corneale mediante l’azione combinata<br />

di una sostanza fotosensibilizzante in collirio (Riboflavina o Vitamina<br />

B12) e di una irradiazione a basso dosaggio con raggi ultravioletti<br />

di tipo A (UV-A). Il processo comporta l’attivazione di radicali liberi<br />

– dell’ossigeno (O ) che inducono una desaminazione ossidativa del<br />

2<br />

collagene ed una conseguente formazione di nuovi ponti molecolari<br />

intraelicoidali ed interfibrillari con intreccio e rinforzo della cornea<br />

nel tentativo di bloccarne lo sfiancamento (Seiler et al., 2007).<br />

Studi recenti mostrano come il Cross-Linking possa effettuarsi su<br />

pazienti pediatrici di età compresa tra i 10 e i 16 anni affetti da che-<br />

Figura 3.<br />

Topografia corneale: cheratocono.<br />

34<br />

L. Ambrosio et al.<br />

ratocono. In questa fascia d’età la patologia presenta una progressione<br />

estremamente rapida ed è necessario praticare esami topografici<br />

e pachimetrici ad intervalli regolari di un mese. Un serrato monitoraggio<br />

permette di identificare immediatamente i segni di progressione:<br />

modifiche della mappa topografica, riduzione dell’acuità visiva<br />

e intolleranza alle LAC. Alla loro comparsa andrebbe proposto il trattamento<br />

purché lo spessore corneale non sia inferiore ai 400 mm. I<br />

risultati appaiono incoraggianti: la progressione è stata arrestata in<br />

tutti i casi; si è ottenuta una riduzione dell’ectasia ed una notevole regolarizzazione<br />

della superficie corneale di non comune riscontro negli<br />

adulti. Le fibre collagene delle cornee giovani sono così elastiche<br />

da rispondere molto bene allo stimolo dei raggi UV. Si è riscontrato<br />

anche un significativo guadagno in linee di acuità visiva che sembra<br />

stabile nel tempo. Benché il follow-up non sia ancora molto lungo,<br />

nel corso di 2 anni non sono stati notati cambiamenti e ciò è molto<br />

promettente considerando la rapida evoluzione della malattia in età<br />

pediatrica (Caporossi et al., 2010).<br />

Nuove frontiere: la terapia genica<br />

La pubblicazione della mappa del genoma umano ha indicato un<br />

nuovo corso della medicina. Una copia non ancora definitiva fu rilasciata<br />

nel 2000, il codice quasi completo nel 2003. Sebbene le<br />

potenzialità dei test e della ricerca genetica siano state ampiamente<br />

rese note, successi nell’applicazione di questa tecnologia al fine di<br />

migliorare la diagnosi e sviluppare nuovi trattamenti, come la terapia<br />

genica, sono ancora lontani. Le proprietà naturali dell’occhio, unitamente<br />

al fatto che esistono numerose malattie oculari ereditarie, lo<br />

rendono un terreno fertile per l’applicazione dei principi della terapia<br />

genica. L’anatomia e l’architettura di questo organo, insieme al fatto<br />

che è totalmente isolato dal resto del corpo per quanto concerne la<br />

risposta immunologica, lo pongono in una posizione privilegiata ed<br />

unica per la terapia genica: è piccolo, in modo che consenta l’uso di<br />

piccoli volumi di vettori, costosi da produrre; è altamente compartimentalizzato,<br />

il che significa poter raggiungere parti specifiche con<br />

le tecniche chirurgiche mininvasive; le cellule sono relativamente<br />

stabili, tanto che infettandole con il vettore virale potrebbero esprimere<br />

il gene terapeutico per la vita dell’individuo a seguito di una<br />

singola somministrazione di vettore. Inoltre, quando iniettati all’interno<br />

dell’occhio i vettori si diffondono poco ai tessuti extraoculari e


Attualità in oftalmologia pediatrica. Una revisione della letteratura 2007- 2010<br />

la trasparenza dei mezzi diottrici migliora la possibilità di monitoraggio<br />

sia degli effetti terapeutici che della reazione locale.<br />

Prima della pubblicazione degli studi sull’uso di un vettore adenoassociato<br />

che contiene sequenze codificanti per il gene umano<br />

RPE65 in pazienti con amaurosi congenita di Leber (LCA), il trasferimento<br />

genico, considerata un’opportunità terapeutica di straordinaria<br />

importanza in tale patologia, era stato tentato solo due volte<br />

nell’oftalmologia umana. I trial terapeutici sulla terapia genica<br />

nell’LCA, condotti anche in Italia, riportano le scoperte iniziali fatte<br />

su diciotto pazienti coinvolti in studi separati di fase I di sicurezza e<br />

dosaggio (Bainbridge et al., 2008; Hauswirth et al., 2008; Maguire<br />

et al., 2008; Maguire et al., 2009). L’LCA è stata scelta in modo<br />

specifico come target della ricerca poiché, sebbene caratterizzata<br />

da una grave ipovisione fin dai primi anni di vita, in questa forma<br />

la retina non va incontro a degenerazione fino alla terza decade<br />

di vita: i pazienti tra i 13 e i 19 anni hanno una struttura retinica<br />

relativamente conservata, cosicché un intervento precoce offre<br />

l’opportunità di un miglioramento della funzione visiva. Lo scopo<br />

è di ripristinare la funzionalità della ben nota catena molecolare<br />

di eventi che conduce all’espressione fenotipica dell’LCA. Mutazioni<br />

del gene RPE65 infatti portano ad un blocco del ciclo visivo<br />

cioè del pathway biochimico che aiuta a rigenerare il pigmento<br />

visivo dopo l’esposizione alla luce. Il malfunzionamento di questo<br />

processo ha come esito una severa ipovisione e, con il tempo, la<br />

Box di orientamento<br />

degenerazione dei bastoncelli. I coni, pur possedendo un pathway<br />

alternativo di rigenerazione dei cromofori vanno anch’essi incontro<br />

a degenerazione e ciò determina una grave compromissione della<br />

funzione visiva. L’intervento è stato eseguito con l’iniezione nello<br />

spazio sottoretinico di un vettore virale adeno-associato contenente<br />

una copia corretta del gene RPE 65 che causa la malattia. Il<br />

gene si è inserito stabilmente nella retina ed ha prodotto la proteina<br />

mancante negli individui malati. Sebbene non specificatamente<br />

disegnati per determinare la funzione visiva, ogni studio ha rivelato<br />

una qualche attività biologica negli occhi trattati: sono migliorate<br />

la risposta della retina alla luce, la capacità di eseguire alcuni test<br />

di mobilità e la percezione del campo visivo. Di profondo significato<br />

è che nessuno dei tre trial abbia riportato la comparsa di seri<br />

effetti avversi o di complicazioni sistemiche. I tre studi si pongono<br />

le medesime domande in gruppi di pazienti simili utilizzando vettori<br />

simili, ma con qualche lieve differenza in termini di sequenza<br />

del promotore e di approccio chirurgico. Le informazioni ricavate<br />

da questi trial saranno per molti aspetti complementari.<br />

Lo studio LCA dimostra che la terapia genica mediata da virus adeno-associati<br />

permette il recupero parziale del visus in una particolare<br />

condizione prima considerata intrattabile e nonostante sia uno<br />

studio di fase I ci auguriamo che questo possa anche essere un<br />

trampolino di lancio per la comprensione dei meccanismi di cura di<br />

tante altre patologie retiniche ereditarie.<br />

<strong>•</strong> Le uveiti anteriori croniche in corso di artrite idiopatica giovanile vanno trattate con terapie combinate per via topica e sistemica allo scopo di ridurre<br />

nello stesso tempo sia i sintomi oculari che quelli artritici. Il metotrexate ha dimostrato risultati molto promettenti per la terapia a lungo termine<br />

dell’uveite anteriore cronica e per la gestione delle complicanze oculari. Tra gli agenti anti-TNFα è stato dimostrato che l’adalimumab è in grado di<br />

risolvere sia la sintomatologia artritica che quella oculare uveitica.<br />

<strong>•</strong> L’incidenza delle rinocongiuntiviti di natura allergica risulta aumentata negli ultimi 20 anni. L’oftalmologo dispone di una vasta gamma di farmaci<br />

topici rispetto alla gravità dei sintomi. Per le congiuntiviti allergiche refrattarie alle terapie convenzionali la ciclosporina A è risultata essere molto<br />

efficace.<br />

<strong>•</strong> Studi recenti dimostrano che il Cross-Linking Corneale può essere proposto come terapia per il cheratocono in età pediatrica, essendo una tecnica<br />

molto efficace per bloccarne l’evoluzione.<br />

<strong>•</strong> Un modello di terapia genica: le caratteristiche anatomiche dell’occhio, unitamente al fatto che esistono numerose malattie oculari a componente<br />

genetica, rendono tale organo terreno fertile per l’applicazione dei principi di terapia genica. Passi molto promettenti sono stati compiuti attraverso<br />

l’uso di un vettore adenovirale in pazienti con amaurosi congenita di Leber (LCA).<br />

Per LCA si intende un gruppo di distrofie retiniche ereditarie caratterizzate da una grave compromissione della funzione visiva alla nascita o nella<br />

prima decade di vita. Si trasmette secondo un modello autosomico recessivo, anche se sono stati descritti casi con trasmissione autosomica dominante.<br />

L’LCA rappresenta il 10-18% dei casi di cecità congenita. Fino ad oggi sono state descritte numerose mutazioni a carico di diversi geni<br />

che fenotipicamente determinano l’LCA. Gli studi di terapia genica si sono concentrati su modelli ove era presente la mutazione del gene RPE65,<br />

questa forma rappresenta il 10% dei casi di amaurosi congenita di Leber. L’aspetto clinico è molto simile alle forme di retinite pigmentosa ad insorgenza<br />

precoce: grave compromissione della funzione visiva, nistagmo, quadro oftalmoscopico eterogeneo: da una apparente normalità a quadri<br />

più caratteristici come distrofia “sale e pepe”, alterazione dell’epitelio pigmentato retinico o accumuli pigmentari retinici, pallore della papilla ottica.<br />

L’elettroretinogramma risulta fortemente ridotto o estinto.<br />

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una delle più numerose d’Italia.<br />

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35


** Applicazione clinica dell’OCT3 come metodica non invasiva per la diagnosi di<br />

complicanze maculari in corso di uveite cronica.<br />

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** Studio molto importante per gli approcci futuri della terapia genica alle patologie<br />

oculari geneticamente trasmesse.<br />

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with juvenile idiopathic arthritis: value and requirement for additional anti-inflammatory<br />

medication. Eur J Ophthalmol 2007;17:743-8.<br />

** Utile studio che conferma l’utilità di intraprendere terapie addizionali antinfiammatorie<br />

con metotrexate in corso di artrite idiopatica giovanile.<br />

Heiligenhaus A, Niewerth M, Ganser G, et al.; German Uveitis in Childhood Study<br />

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population-based nation-wide study in Germany: suggested modification of the<br />

current screening guidelines. Rheumatology (Oxford) 2007;46:1015-9.<br />

** Studio molto importante per l’ampia casistica analizzata.<br />

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** Lavoro molto interessante: è una analisi immunoistochimica su di un occhio<br />

Corrispondenza<br />

36<br />

L. Ambrosio et al.<br />

enucleato per panuveite da artrite cronica giovanile, utile per comprendere i<br />

meccanismi fisiopatologici.<br />

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** Articolo pubblicato su di una rivista prestigiosa, con una casistica molto ampia,<br />

utile per comprendere le caratteristiche cliniche ed epidemiologiche delle uveiti<br />

in corso di artrite cronica giovanile.<br />

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* Confronta due gruppi di pazienti con uveite cronica in corso di artrite idiopatica<br />

giovanile e l’utilità di assumere metotrexate per una minore frequenza di complicanze<br />

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Dott. Lucia Ambrosio, Dipartimento di Scienze Oftalmologiche, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Napoli Federico II, via Sergio<br />

Pansini 5, 80131 Napoli. Tel. +39 081 7462293. E-mail: lucyambro@yahoo.it


<strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> <strong>2012</strong> <strong>•</strong> <strong>Vol</strong>. <strong>42</strong> <strong>•</strong> N. <strong>165</strong> <strong>•</strong> pp. 37-<strong>42</strong><br />

la cataratta congenita:<br />

iter diagnostico-terapeutico<br />

Introduzione<br />

La cataratta congenita, definita come opacità del cristallino che si<br />

manifesta in un tempo compreso tra la nascita e il 12° mese di<br />

vita, ha un’incidenza di 1-6 casi su 10.000 nati vivi, e rappresenta<br />

un’importante causa di cecità nel mondo (Foster et al., 1992; Abrahamsson<br />

et al., 1999).<br />

Essa, se non adeguatamente trattata, compromette in maniera permanente<br />

lo sviluppo visivo del bambino, determinando un deficit che<br />

va dall’ambliopia fino alla cecità. L’ambliopia è infatti curabile ma<br />

solo se diagnosticata e trattata precocemente. Per questo motivo, la<br />

collaborazione pediatra-oculista per l’individuazione precoce e per<br />

la pianificazione di un corretto iter diagnostico-terapeutico è cruciale<br />

nella gestione della cataratta congenita. (You et al., 2011)<br />

Metodologia<br />

Per la revisione della letteratura è stato utilizzato il motore di ricerca<br />

Pubmed (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed). L’argomento<br />

oggetto di questa revisione è stato selezionato tra gli articoli delle<br />

riviste specializzate in Oftalmologia Pediatrica, in particolare dal<br />

gennaio 2007 al marzo 2011.<br />

Eziologia<br />

L’eziologia della cataratta congenita è molteplice (Tab. I): per circa<br />

un terzo è ereditaria, per un terzo associata ad altre malattie o sindromi,<br />

e per il rimanente terzo è idiopatica (Haargaard et al., 2004).<br />

La cataratta ereditaria isolata rappresenta circa il 25% dei casi e<br />

la modalità di trasmissione più frequente è quella autosomica dominante;<br />

26 dei 39 loci mappati sono stati associati a mutazioni<br />

in specifici geni, che codificano nel 50% dei casi per α-crystallin,<br />

β-crystallin, γ-crystallin (proteine “chaperone-like” importanti per<br />

il mantenimento della trasparenza del cristallino), nell’altro 25%<br />

per connessine (proteine costituenti delle gap-junction), nel restante<br />

25% per altre proteine quali “heat shock transcription factor-4”<br />

(HSF4), “aquaporin-0” (AQP0), “beaded filament structural protein-2”<br />

(BFSP2).<br />

Tra le altre cause più frequenti di cataratta congenita vi sono poi<br />

le anomalie cromosomiche (in particolare la sindrome di Down), i<br />

disturbi del metabolismo e l’infezione da rosolia (Kanski, 2007).<br />

La cataratta può presentarsi mono- o bilateralmente. Le cataratte<br />

congenite monolaterali, a differenza di quelle bilaterali, sono più<br />

spesso legate a disgenesie locali oculari e non a patologie sistemiche/ereditarie.<br />

Tuttavia la cataratta congenita si manifesta nei 2/3<br />

dei casi bilateralmente. (Hejtmancik, 2008).<br />

Lo screening<br />

oCULIStICA<br />

Adriano Magli * , Elena Piozzi ** , Eduardo Maselli *** , Giovanni Marsico * ** ,<br />

Francesco Matarazzo * , Luca Rombetto *<br />

* Dipartimento di Scienze Oftalmologiche, Area Funzionale di Oftalmologia Pediatrica, Università degli Studi di Napoli Federico<br />

II; ** SC Oculistica Pediatrica Ospedale “Niguarda Ca’ Granda”, Milano; *** AO Sondrio, Primario Emerito Oftalmologia<br />

Riassunto<br />

L’articolo si propone di approfondire le tappe fondamentali del percorso diagnostico e terapeutico della cataratta congenita, focalizzando l’attenzione sulla<br />

collaborazione tra pediatra ed oculista. Dal punto di vista diagnostico, screening e diagnosi precoce sono essenziali ai fini dell’efficacia della terapia, così<br />

come critica appare la scelta del tipo e del timing dell’intervento prescelto. Il raggiungimento di un outcome visivo soddisfacente viene assicurato grazie<br />

ad un attento follow-up e ad un trattamento antiambliopico aggressivo.<br />

Summary<br />

The article deals with the main stages of the congenital cataract management, focusing on diagnosis and therapy. We underline the importance of screening<br />

process and early diagnosis for a successful visual outcome. We also discuss the surgical options and the timing of surgery and the relevance of visual<br />

rehabilitation, patching and spectacles correction as an essential part of therapy.<br />

Selezionare i bambini che hanno bisogno di una visita oftalmologica<br />

approfondita è il primo passo nell’iter diagnostico della cataratta<br />

congenita. Questo deve essere realizzato il più precocemente possibile,<br />

già dai primi giorni di vita.<br />

I fattori da prendere in considerazione nello screening sono:<br />

1) un’anamnesi familiare positiva per cataratta congenita o per altre<br />

malattie che si associano a cataratta congenita (Tab. I);<br />

2) basso peso alla nascita (Haargaard, 2005);<br />

3) anomalie del riflesso rosso.<br />

Quest’ultimo è usato per valutare la trasparenza dei mezzi diottrici.<br />

Viene eseguito puntando una mira luminosa in ciascun occhio,<br />

oppure con un oftalmoscopio diretto che illumina simultaneamente<br />

le due pupille (Bruckner test). L’esaminatore deve rispondere alle<br />

seguenti domande:<br />

- il riflesso rosso è presente in entrambi gli occhi?<br />

- i riflessi sono simmetrici nei due occhi?<br />

- la qualità del riflesso è da considerarsi normale nel bambino<br />

37


Tabella I.<br />

Cataratta congenita – classificazione eziologica (Wilson, 2005).<br />

Isolata Ereditaria Autosomica dominante<br />

Autosomica recessiva<br />

X- linked<br />

Sporadica<br />

Parte di una sindrome o di una<br />

patologia sistemica<br />

38<br />

(1p36, 2p12, 15q21-q22, 20p12-q12)<br />

(3p22-p24.2, 19q13.4, 9q13-q22)<br />

(Xp22.13)<br />

Ereditaria Associata a patologie renali Sindrome di Alport<br />

Sindr. oculocerebrorenale di Lowe<br />

Non<br />

ereditaria<br />

Associata a patologie del sistema nervoso<br />

centrale<br />

esaminato (tenendo conto della sua etnia e colore della pelle)?<br />

Se la risposta ad una delle domande è “no” il riflesso rosso è da considerarsi<br />

anormale ed il bambino dovrà essere visitato da un oculista<br />

esperto in oftalmologia pediatrica.<br />

La visita oculistica e la morfologia della cataratta<br />

La visita oculistica, durante l’esame di un bambino con sospetta cataratta<br />

congenita, ha due obiettivi principali: accertare la diagnosi e<br />

valutare il grado di compromissione che la cataratta determina.<br />

Sindrome di Smith-Lemli-Opitz<br />

Sindrome di Laurence-Moon-Bardet-Biedel<br />

Associata a patologie scheletriche Sindrome di Marfan<br />

Sindrome di Conradi<br />

Sindrome epifisi punteggiate<br />

Associata ad anomalie cranio-facciali Sindrome di Hallermann-Streiff<br />

Sindrome di Pierre Robin<br />

Malattia di Crouzon<br />

Sindrome di Apert<br />

Oxicefalia<br />

Associata alla polidattilia Sindrome di Rubinstein-Taybi<br />

Associata a patologie della cute Sindrome di Siemen<br />

Dermatite atopica<br />

Sindrome di Marshall<br />

Sindrome di Cockayne<br />

Associata a cromosomopatie Trisomia 13<br />

Trisomia 18<br />

Trisomia 21<br />

Sindrome di Turner<br />

Associata a patologie metaboliche Galattosemia<br />

Deficit di galattochinasi<br />

Malattia di Fabry<br />

Mannosidosi<br />

Cause pre-natali Rosolia<br />

Toxoplasmosi<br />

Varicella<br />

CMV<br />

HSV<br />

Ipossia intrauterina<br />

Cause post-natali Retinopatia del prematuro<br />

Ipoglicemia<br />

Ipocalcemia<br />

Radiazioni<br />

Traumi<br />

Uveiti croniche<br />

Diabete mellito<br />

Insufficienza renale<br />

Associata ad altre anomalie oculari Microftalmo<br />

Aniridia<br />

Retinite pigmentosa<br />

Coloboma<br />

Lenticono<br />

A. Magli et al.<br />

Gli esami necessari per confermare la diagnosi sono l’esame alla<br />

lampada a fessura e l’oftalmoscopia binoculare indiretta (Lloyd et<br />

al., 2007).<br />

Una volta riscontrata la presenza di cataratta, è importante distinguerne<br />

la morfologia. Difatti per i chirurghi la classificazione morfologica<br />

è dirimente, poiché la decisione di intervenire dipende largamente<br />

dalla densità della cataratta (Taylor et al., 2005). I diversi<br />

pattern di presentazione sono:<br />

– Cataratta congenita polare: l’estensione è molto variabile; consiste<br />

in una opacità coinvolgente la zona polare anteriore o po-


La cataratta congenita: iter diagnostico-terapeutico<br />

Figura 1.<br />

Cataratta congenita lenticolare (zonulare).<br />

La cataratta congenita di tipo lenticolare è spesso bilaterale e non si<br />

associa frequentemente ad altre anomalie oculari congenite.<br />

steriore del cristallino. Alcune forme di cataratta polare anteriore<br />

possono assumere un aspetto protrudente in camera anteriore<br />

e presentare connessioni filamentose con la cornea (associate<br />

a glaucoma). Le forme polari posteriori, invece, possono essere<br />

suddivise in due tipologie, stabile e progressiva: la prima non<br />

tende a progredire nel tempo ed è un residuo dell’arteria ialoidea,<br />

la seconda tende ad aumentare nel tempo estendendosi<br />

verso l’equatore senza mai coinvolgere il nucleo.<br />

– Cataratta congenita lenticolare: coinvolgono lo stroma del cristallino.<br />

Ne esistono forme differenti: suturale, assiale, zonulare<br />

(o lamellare, Fig. 1), nucleare, corticale.<br />

– Opacità congenita capsulare: possono coinvolgere la capsula<br />

anteriore o posteriore (Fig. 2). Nel primo caso non superano<br />

il millimetro di diametro, sono disposte ad anello alla media<br />

periferia del cristallino, sono di aspetto biancastro, spesso<br />

pigmentate. Nel secondo caso, invece, sono difficili da identificare<br />

sia per la localizzazione sulla faccia posteriore del<br />

cristallino, sia per le piccoli dimensioni e per l’assenza di<br />

pigmento.<br />

Figura 2.<br />

Cataratta congenita polare posteriore.<br />

La cataratta congenita polare posteriore è di solito unilaterale, può<br />

associarsi a persistenza della vascolarizzazione fetale, microftalmo ed<br />

anomalie della capsula. A causa di queste alterazioni associate, la rimozione<br />

chirurgica può risultare più difficoltosa.<br />

– Cataratta congenita subtotale/totale: sono opacità che coinvolgono<br />

tutto il cristallino, e possono essere bilaterali. Talvolta da<br />

subtotali alla nascita possono evolvere rapidamente in totali<br />

dopo pochi mesi e sono spesso associate a sublussazione della<br />

lente. Sono associate a gravi sofferenze fetali e altre patologie<br />

oculari come il microftalmo. (Wilson et al., 2005).<br />

È importante sottolineare come la maggior parte dei tipi di cataratte,<br />

se non trattate, diventeranno in maniera graduale cataratte totali.<br />

Un passaggio decisivo, inoltre, è la valutazione dell’impegno visivo. Nei<br />

bambini in età preverbale la misurazione dell’acuità visiva si limita alla<br />

valutazione qualitativa della fissazione, dei movimenti di inseguimento<br />

e dalla fissazione preferenziale, attirando l’attenzione del bambino<br />

verso il viso dell’esaminatore o di un genitore. Dato che i bambini con<br />

un deficit visivo monolaterale si oppongono all’occlusione dell’occhio<br />

sano, l’occlusione alternata degli occhi è una tecnica utilizzata per<br />

giudicare il grado di resistenza opposto, valutando la qualità visiva<br />

relativa in entrambi gli occhi. Una valutazione attendibile è però molto<br />

difficile da ottenere nei bambini al di sotto dei 3 mesi di vita e nella<br />

maggior parte dei pazienti le informazioni più importanti derivano<br />

dall’esame obiettivo e dalla valutazione morfologica della cataratta. La<br />

scarsa visualizzazione del fundus fornisce importanti dati sulla significatività<br />

clinica, in termini di riduzione della capacità visiva. Inoltre alterazioni<br />

oculari quali strabismo e nistagmo suggeriscono una scarsa<br />

capacità visiva (Fan et al., 2006).<br />

Il trattamento chirurgico<br />

Selezionati i pazienti da operare chirurgicamente, la problematica<br />

verte intorno alla tempistica ed alla tecnica chirurgica da adoperare.<br />

Quali pazienti operare?<br />

I pazienti a rischio di sviluppare ambliopia da deprivazione e conseguente<br />

perdita della visione necessitano di intervento chirurgico. Le<br />

opacità presenti sull’asse visivo maggiori di 3 mm, visibili con pupilla<br />

non dilatata (Fig. 3), le cataratte posteriori e le cataratte omogeneamente<br />

dense sono associate a riduzione visiva maggiore. Per questi<br />

pazienti è sicuramente indicato il trattamento chirurgico. Bambini<br />

Figura 3.<br />

Cataratta nucleare densa in neonato con pupilla miotica.<br />

La cataratta congenita nucleare è spesso evidente sin dai primi giorni<br />

di vita, è densa, coinvolge l’asse visivo, ed i neonati che ne sono affetti<br />

sono ad alto rischio di sviluppare ambliopia. Pertanto la terapia chirurgica<br />

va attuata precocemente.<br />

39


con opacità disomogenee e subcliniche, invece, non sempre richiedono<br />

un approccio chirurgico precoce, ma necessitano comunque di<br />

uno stretto follow-up (Zetterström et al., 2007).<br />

Qual è la tempistica operatoria?<br />

Attualmente il timing dell’intervento chirurgico è oggetto di un intenso<br />

dibattito scientifico. Sebbene non vi sia ancora una scelta univoca,<br />

è largamente condivisa l’opinione che la cataratta bilaterale<br />

densa va operata entro i 2-3 mesi di vita nella stessa seduta simultaneamente<br />

(Totan et al., 2009; Magli et al., 2009; Dave et al., 2010),<br />

che la cataratta monolaterale densa deve essere operata entro 1-2<br />

mesi di vita (Fan et al., 2006) e che le cataratte unilaterali e bilaterali<br />

possono essere operate verso i 2-3 anni d’età (Chak et al., 2006).<br />

L’attenzione deve essere rivolta al raggiungimento del giusto equilibrio<br />

tra un approccio chirurgico precoce, che permette un migliore<br />

outcome visivo (Kim et al., 2010) e le complicanze che invece sono<br />

annesse alla precocità stessa dell’intervento chirurgico (Zetterström<br />

et al., 2007).<br />

Quali sono le tecniche chirurgiche e quando impiantare la<br />

Lente Intraoculare?<br />

Le tecniche chirurgiche adoperate sono varie e dipendono dall’età<br />

del bambino e dall’esperienza del chirurgo. La chirurgia standard<br />

della cataratta congenita in bambini con meno di sei mesi comprende<br />

aspirazione del cristallino, capsulectomia posteriore primaria e<br />

vitrectomia anteriore (Lambert et al., 2006).<br />

Il paziente, operato di cataratta, è reso a questo punto afachico<br />

dall’intervento primario; il cristallino rimosso deve quindi essere<br />

sostituito artificialmente tramite Lente Intraoculare (IOL). L’impianto<br />

della IOL rimane ancora controverso e materia attuale di studi e discussioni.<br />

Questo può essere primario, nella stessa seduta dell’aspirazione<br />

della cataratta, oppure secondario, dopo un periodo di correzione<br />

con lenti a contatto (LAC).<br />

Nei piccoli operati di cataratta congenita monolaterale, è da preferire<br />

l’impianto primario. Nei casi operati bilateralmente e simultaneamente,<br />

si preferisce l’impianto secondario (Magli et al., 2008).<br />

Perché è importante la scelta della IOL?<br />

È ben documentato che i bambini alla nascita sono ipermetropi, e<br />

raggiungono gradualmente l’emmetropia durante i primi anni di vita.<br />

Questo processo, chiamato emmetropizzazione, riflette cambiamenti<br />

della crescita oculare finemente regolati, in cui all’aumento della<br />

lunghezza assiale (dai 16,8 mm alla nascita ai 23,6 mm nell’adulto)<br />

corrisponde una diminuzione del potere refrattivo del cristallino (dai<br />

34,4 D a 18,8 D) (Gordon et al., 1985).<br />

Per garantire un adeguato stato refrattivo, bisogna tener conto<br />

di questi cambiamenti e dell’effetto che la IOL stessa ha nel<br />

processo dell’emmetropizzazione quando si sceglie il potere del<br />

cristallino artificiale. La IOL, a differenza del cristallino, ha un<br />

potere refrattivo che non varia nel tempo e quindi con l’aumentare<br />

fisiologico della lunghezza dell’asse visivo determinerà una<br />

miopia di entità tanto maggiore quanto più precocemente è stato<br />

eseguito l’impianto, con il risultato di uno stato refrattivo inadeguato<br />

e la necessità di sostituire la IOL con una di minor potere<br />

(Hoevenaars et al., 2010; Lloyd et al., 2007). Per questo motivo,<br />

in base all’età del bambino, si preferisce impiantare una IOL che<br />

lascia l’occhio inizialmente ipermetrope ma che nel tempo risulterà<br />

emmetrope.<br />

Altri Autori, invece, preferiscono garantire un adeguato stato refrattivo<br />

con l’uso di LAC di alto potere diottrico ed impiantare secondariamente<br />

la IOL verso i tre anni d’età. Questa strategia terapeutica<br />

40<br />

A. Magli et al.<br />

Tabella II.<br />

Complicanze post-operatorie.<br />

Precoci Tardive<br />

<strong>•</strong> Infiammazione intraoculare <strong>•</strong> Opacizzazione della capsula<br />

posteriore<br />

<strong>•</strong> Edema corneale <strong>•</strong> Formazione di membrane fibrose<br />

<strong>•</strong> Endoftalmite <strong>•</strong> Pigmentazione della IOL<br />

<strong>•</strong> Decontrazione della IOL<br />

<strong>•</strong> Glaucoma<br />

<strong>•</strong> Distacco di retina<br />

permette di adattare più facilmente la correzione ottica ai cambiamenti<br />

della refrazione, ma espone ad importanti effetti collaterali e<br />

spesso il risultato è compromesso da una scarsa compliance (Magli<br />

et al., 2008).<br />

Per evitare il rischio di ambliopia è, inoltre, importante correggere<br />

l’errore refrattivo residuo con l’uso di occhiali o lenti a contatto progressivamente<br />

adeguati nel corso del follow-up alle esigenze imposte<br />

dallo sviluppo refrattivo.<br />

Il trattamento antiambliopico e il follow-up postoperatorio<br />

Un attento follow-up dei bambini operati è essenziale per il raggiungimento<br />

di un buon risultato, rendendo possibile riconoscere<br />

rapidamente eventuali complicanze post-operatorie (Tab. II). Poiché<br />

il primo mese, e la prima settimana in particolare, sono periodi<br />

ad alto rischio si raccomanda il seguente schema di controllo:<br />

dopo 1 giorno, dopo 1 settimana, dopo 1 mese, dopo 3 mesi, infine<br />

ogni 6 mesi. Tali scadenze possono essere aumentate laddove<br />

si riscontri la presenza di complicanze. Qualora il bambino, data<br />

l’età, risulti non essere collaborante, si può effettuare una osservazione<br />

in narcosi.<br />

La gestione della cura dell’ambliopia prevede un bendaggio occlusivo<br />

dell’occhio sano in caso di cataratta monolaterale e un bendaggio<br />

alternato nei due occhi in caso di cataratta bilaterale. Il bendaggio<br />

viene effettuato per stimolare l’uso dell’occhio ambliope (Li et al.,<br />

2009; Suttle, 2010).<br />

Nel caso di scarsa compliance, come terapia di seconda scelta si<br />

prende in considerazione la terapia farmacologica con atropina. (Li<br />

et al., 2009)<br />

Il controllo dello stato rifrattivo è anch’esso di primaria importanza<br />

nel bambino operato di cataratta congenita, poiché un difetto<br />

rifrattivo non adeguatamente corretto potrebbe essere un fattore<br />

contribuente allo sviluppo dell’ambliopia, specie se tale situazione<br />

si verifica nell’ambito di una cataratta congenita monolaterale (Fan<br />

et al. 2006).<br />

La rimozione del cristallino, inoltre, determina la perdita della capacità<br />

di accomodazione. Nei primi tre anni di vita, questa assenza<br />

non necessita di correzione, successivamente, si effettua invece la<br />

correzione tramite l’uso di lenti bifocali.<br />

Prognosi<br />

La diagnosi precoce, l’adeguato trattamento chirurgico e antiambliopico,<br />

il perfezionarsi di tecniche di microchirurgia e lo sviluppo di<br />

nuove IOL ha contribuito in maniera determinante al miglioramento<br />

della prognosi dei bambini con cataratta congenita (Lundvall et al.,


La cataratta congenita: iter diagnostico-terapeutico<br />

2002). Tuttavia l’outcome visivo non supera i 5/10 di acuità visiva<br />

con scarsa stereopsi in più della metà dei pazienti (Hussin et al.,<br />

2009). I fattori che si associano ad un outcome visivo peggiore sono:<br />

una diagnosi tardiva, nistagmo e strabismo pre-operatori, lo sviluppo<br />

di complicanze post-operatorie (Kim et al., 2008).<br />

Conclusioni<br />

La cataratta congenita è una patologia che necessita di una stretta<br />

collaborazione tra pediatra ed oculista, soprattutto nella fase di scre-<br />

Box di orientamento<br />

ening e diagnosi, nonché nei casi di bambini affetti da altre malattie<br />

associate. È inoltre ampiamente documentato il ruolo centrale della<br />

diagnosi precoce per il raggiungimento di migliori outcome visivi.<br />

I numerosi avanzamenti in ambito chirurgico e nello sviluppo di<br />

nuove IOL hanno permesso migliori risultati terapeutici ed una diminuzione<br />

delle complicanze. Nonostante la chirurgia sia in primo<br />

piano per il trattamento della cataratta congenita, il follow-up postoperatorio<br />

riveste un ruolo altrettanto fondamentale, richiedendo la<br />

compartecipazione costante del pediatra e dell’oftalmologo pediatra<br />

nel seguire l’evoluzione clinica del paziente.<br />

<strong>•</strong> Negli ultimi anni la classificazione eziologica della cataratta congenita si è presentata come alternativa alla classificazione morfologica.<br />

<strong>•</strong> Una diagnosi tardiva ed un intervento tardivo possono compromettere irreversibilmente lo sviluppo visivo del bambino.<br />

<strong>•</strong> Per ottenere buoni outcome visivi l’intervento chirurgico da solo non è sufficiente ma bisogna effettuare un trattamento antiambliopico ed un<br />

follow-up a lungo termine.<br />

<strong>•</strong> Nonostante i progressi nel management della cataratta congenita l’outcome visivo non supera i 5/10 di acuità visiva con scarsa stereopsi in più<br />

della metà dei pazienti.<br />

<strong>•</strong> Lo sviluppo di nuove lenti intraoculari che si adattano alle esigenze refrattive del bambino in crescita è uno dei più promettenti campi di ricerca.<br />

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Eur J Ophthalmol 2008;18:903-9.<br />

Magli A, Fimiani F, Passaro V, et al. Simultaneous surgery in bilateral congenital<br />

cataract. Eur J Ophthalmol 2009;19:24-7.<br />

Muen W, Hindocha M, Reddy M. The role of education in the promotion of red<br />

reflex assessments. JRSM Short Rep 2010;1:46.<br />

Suttle CM. Active treatments for amblyopia: a review of the methods and evidence<br />

base. Clin Exp Optom 2010;93:287-99.<br />

Taylor D, Hoyt CS. Pediatric Ophthalmology and Strabismus. 3 rd ed. London: Elsevier<br />

Saunders 2005.<br />

Totan Y, Bayramlar H, Yilmaz H. Bilateral paediatric cataract surgery in the same<br />

session. Eye (Lond) 2009;23:1199-2009.<br />

* Studio dettagliato che amplia i dati di un precedente lavoro dello stesso gruppo<br />

di studio; dimostra la validità dell’approccio chirurgico simultaneo.<br />

Wilson ME, Trivedi RH., Pandey SK. Pediatric Cataract Surgery. Philadelphia, PA:<br />

Lippincott Williams & Wilkins 2005.<br />

You C, Wu X, Zhang Y, et al. Visual impairment and delay in presentation for surgery<br />

in chinese pediatric patients with cataract. Ophthalmology 2011;118:17-23.<br />

** Studio retrospettivo su un campione di 196 bambini con cataratta congenita che<br />

dimostra l’importanza della diagnosi precoce per una migliore funzionalità visiva.<br />

Zetterström C, Kugelberg M. Paediatric cataract surgery. Acta Ophthalmol Scand<br />

2007;85:698-710.<br />

* Review che affronta le tematiche chirurgiche principali, le complicanze ed i<br />

fattori associati ad un miglior risultato terapeutico.<br />

41


Glossario<br />

Afachico: occhio privo di cristallino, privato di conseguenza sia della sua capacità<br />

rifrattiva che accomodativa.<br />

Ambliopia: riduzione unilaterale o raramente bilaterale dall’acuità visiva, dopo<br />

la correzione ottica migliore, in cui non sia evidenziabile un’alterazione patologica<br />

organica dell’occhio o delle vie ottiche. Può essere infatti determinata da<br />

una interazione binoculare anomala e/o da una deprivazione visiva (ad esempio<br />

cataratta congenita). Il termine deriva dal greco, “ops” (“visione”) e “amblyos”<br />

(“ottusa, pigra”): il suo nome comune è occhio pigro.<br />

Aniridia: assenza dell’iride.<br />

Immagini da: Zetterström C, Kugelberg M. Paediatric cataract surgery. Acta Ophthalmol Scand 2007 Nov; 85(7):698-710<br />

Corrispondenza<br />

<strong>42</strong><br />

A. Magli et al.<br />

Coloboma: assenza di parte di una struttura oculare come risultato di<br />

un’incompleta chiusura della fessura embrionale, che può coinvolgere l’intera<br />

lunghezza della fessura (coloboma completo) o solo parte di essa (per esempio<br />

l’iride, corpo ciliare, retina e coroide, o disco ottico).<br />

Emmetropia: condizione normale dell’occhio in stato di riposo per cui i raggi paralleli<br />

provenienti da un oggetto posto a grande distanza (teoricamente all’infinito)<br />

hanno il loro fuoco esattamente sulla retina e formano immagini nitide.<br />

IOL: Lente Intraoculare.<br />

Stereopsi: percezione della profondità. Ciascun occhio coglie immagini lievemente<br />

differenti di un oggetto, e la fusione di queste immagini diverse dà come<br />

risultato una percezione visiva singola dell’oggetto in profondità.<br />

Prof. Adriano Magli, Dipartimento di Scienze Oftalmologiche, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Napoli Federico II, via Sergio<br />

Pansini 5, 80100 Napoli. Tel. +39 081 7462467. Fax: +39 081 7462467. E-mail: magli@unina.it


<strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> <strong>2012</strong> <strong>•</strong> <strong>Vol</strong>. <strong>42</strong> <strong>•</strong> N. <strong>165</strong> <strong>•</strong> pp. 43-48<br />

Obiettivi e metodologia della revisione<br />

Abbiamo revisionato la letteratura scientifica oftalmologica da gennaio<br />

2000 a settembre 2010 nella banca bibliografica Medline utilizzando<br />

il motore di ricerca PubMed. La ricerca è stata affinata con<br />

la funzione di ricerca avanzata per il periodo circoscritto di nostro<br />

interesse e per età (0-18 anni).<br />

Le parole chiave inserite sono state: “refractive surgery”, “photorefractive<br />

keratectomy (PRK)” “laser in situ keratomileusis (LASIK)”,<br />

“laser epithelial keratomileusis (LASEK)”, “refractive intraocular lens<br />

(IOL)”.<br />

Gli articoli sono stati selezionati in base alla valenza clinico-chirurgica<br />

ed al valore scientifico al fine di offrire al medico non oftalmologo,<br />

e soprattutto al pediatra, una panoramica sulla chirurgia refrattiva<br />

in età pediatrica: indicazioni, età in cui intervenire, principali problematiche<br />

e prospettive future. Pertanto è stato scelto di includere<br />

anche pubblicazioni meno recenti, soprattutto in considerazione del<br />

fatto che il numero di studi effettuati su queste nuove opportunità<br />

terapeutiche nei bambini è limitato.<br />

Indicazioni alla chirurgia refrattiva nei bambini<br />

La chirurgia refrattiva in età pediatrica è iniziata con l’impianto di<br />

lenti intraoculari (IOL) in piccoli pazienti affetti da cataratta congenita<br />

o traumatica, ma ha fatto un notevole passo avanti con l’introdu-<br />

oCULIStICA<br />

Stato della chirurgia refrattiva in età pediatrica<br />

Adriano Magli * , Antonello Iovine * , Giovanni Marsico * ** , Lucia Ambrosio * , Luca Rombetto * ,<br />

Paolo Nucci ***<br />

* Dipartimento di Scienze Oftalmologiche, Area Funzionale di Oftalmologia Pediatrica, Università degli Studi di Napoli<br />

Federico II; ** SC Oculistica Pediatrica, Ospedale “Niguarda Ca’ Granda”, Milano; *** Direttore dell’UO Oculistica,<br />

Clinica Oculistica Universitaria dell’Ospedale “San Giuseppe”, Milano<br />

Riassunto<br />

La chirurgia refrattiva è l’insieme delle tecniche chirurgiche usate per correggere, intervenendo sulla cornea o sul cristallino, i vizi refrattivi dovuti ad un<br />

difetto di focalizzazione delle immagini sulla retina. Tali difetti sono la miopia, l’ipermetropia e l’astigmatismo, e vengono complessivamente definiti ametropie.<br />

I trattamenti effettuati sulla cornea prevedono l’utilizzo di un laser che modifica la curvatura corneale affinché i raggi luminosi provenienti dall’esterno<br />

vengano focalizzati sulla retina e non in punti localizzati più avanti o più indietro come avviene nella miopia e nell’ipermetropia. La possibilità di correggere<br />

le ametropie intervenendo sul cristallino prevede la sostituzione della lente naturale con una lente la cui gradazione tiene conto del difetto refrattivo. Esiste<br />

inoltre una tecnica chirurgica di correzione delle ametropie che prevede l’inserimento di una lente graduata in camera anteriore. Le ultime due tecniche,<br />

prevedendo un atto chirurgico invasivo e non scevro da complicanze, vengono quasi sempre riservate ai casi in cui vi sia l’impossibilità di effettuare la<br />

chirurgia refrattiva con laser ad eccimeri (difetti refrattivi molto elevati, basso spessore corneale, distrofie corneali ereditarie che non consentano il trattamento<br />

foto ablativo).<br />

Il trattamento chirurgico delle ametropie dell’adulto è ormai una realtà consolidata; sempre più spesso agli oftalmologi, ma anche ai pediatri, viene chiesto<br />

se la chirurgia refrattiva possa essere consigliata su pazienti in età pediatrica e adolescenziale. L’obiettivo della presente revisione bibliografica è evidenziare<br />

i traguardi raggiunti dalla chirurgia refrattiva in età pediatrica.<br />

Summary<br />

Refractive eye surgery is performed to improve the refractive state of the eye and decrease or eliminate dependency on glasses or contact lenses. This<br />

can include various methods of surgical remodeling of the cornea or corneal surgery. Successful refractive eye surgery can reduce or cure common vision<br />

disorders (ametropia) such as myopia, hypermetropia and astigmatism.<br />

Corneal treatment avails laser which modifies corneal curvature. It is also possible to implant artificial crystal lens to adjust refractive aberration.<br />

The surgical treatment of ametropia of the adult is already well-established.<br />

The aim of this bibliographic review is to highlight the achievements of refractive surgery in childhood.<br />

zione del laser, negli anni ’90. Un laser ad eccimeri è un dispositivo<br />

che produce luce laser nella regione dell’ultravioletto; il termine eccimero<br />

è la contrazione di dimero eccitato e si riferisce al materiale<br />

con cui la luce laser viene prodotta. Le procedure laser attualmente<br />

più in uso sono: PRK, LASIK, LASEK (laser assisted sub-epithelial<br />

keratectomy).<br />

Nella PRK il trattamento fotoablativo viene praticato sulla superficie<br />

stromale dopo aver asportato il sottile strato di cellule epiteliali<br />

che lo riveste, previa applicazione di collirio anestetico. Dopo la fase<br />

di disepitelizzazione mediante spatola, spazzolino rotante, alcool o<br />

meno frequentemente laser-scrape, si procede alla fotoablazione<br />

laser, la cui durata dipende dall’entità del difetto visivo che si deve<br />

correggere. Alla fine del trattamento si somministra un antibiotico,<br />

un antinfiammatorio non steroideo ed uno steroide topico, e viene<br />

quindi posizionata una lente a contatto morbida, che verrà rimossa<br />

a riepitelizzazione avvenuta. L’impiego delle lenti a contatto nell’immediato<br />

post-operatorio ha contribuito alla riduzione del dolore e a<br />

velocizzare la riepitelizzazione.<br />

La LASEK è un trattamento simile alla PRK, che prevede la conservazione<br />

dell’epitelio anziché la sua rimozione. L’epitelio viene preservato<br />

con una soluzione alcolica, sollevato ma non completamente<br />

asportato. Si effettua quindi il trattamento con il laser ad eccimeri<br />

come nella PRK, e infine si riporta l’epitelio nella sua posizione originaria.<br />

43


Nella LASIK il trattamento fotoablativo viene praticato all’interno dello<br />

stroma corneale. Allo scopo di rendere accessibile tale struttura, è<br />

necessario praticare l’incisione di una sottile lamella circolare denominata<br />

flap, che rimane legata ad un’estremità, mediante uno strumento<br />

meccanico automatico, il microcheratomo, oppure mediante<br />

un laser a femtosecondi. Il flap viene poi ribaltato per consentire al<br />

laser di esercitare la sua azione sullo stroma; alla fine il flap viene riposizionato<br />

nella sua sede e fatto aderire al letto grazie alla naturale<br />

disidratazione tissutale.<br />

Il primo utilizzo della chirurgia refrattiva con laser ad eccimeri su<br />

pazienti non adulti è stato riportato nel 1995 (Singh, 1995). Da allora<br />

essa è stata utilizzata in prima istanza nel trattamento delle<br />

anisometropie, condizioni in cui i due occhi hanno una refrazione<br />

diversa, in particolare nelle miopie unilaterali elevate (anisomiopie):<br />

queste ultime, se non corrette precocemente, causano ambliopia. Il<br />

termine ambliopia significa letteralmente “debolezza visiva” e deriva<br />

dalla lingua greca (αmβλυωπια). Si definisce ambliopia la ridotta<br />

capacità visiva mono- o bilaterale, non immediatamente migliorabile<br />

con correzione ottica, dovuta ad anomale condizioni di stimolazione<br />

visiva verificatesi durante l’età plastica del bambino (Von Noorden,<br />

1985; Campos 1995; Von Noorden & Campos, 2002). Le anisomiopie<br />

possono talvolta essere refrattarie ai comuni metodi di trattamento<br />

quali occhiali, lenti a contatto, terapia occlusiva; ciò giustifica i primi<br />

tentativi di utilizzo del laser ad eccimeri, in particolare della PRK, in<br />

tali pazienti. Inizialmente il trattamento veniva riservato agli adolescenti<br />

(Singh, 1995); gli studi successivi hanno coinvolto bambini<br />

in più tenera età, nei quali l’ambliopia può essere prevenuta se la<br />

correzione del difetto refrattivo è precoce (Alio et al., 1998).<br />

La chirurgia refrattiva è stata altresì utilizzata nella correzione<br />

dell’anisometropia ipermetropica (Singh, 1995; Paysse et al., 2004),<br />

nonché in quella delle miopie bilaterali elevate (Astle et al., 2002) e<br />

delle ipermetropie bilaterali (Davidorf, 2000).<br />

Altra indicazione all’utilizzo della PRK e della LASIK è rappresentata<br />

dall’esotropia accomodativa refrattiva, condizione in cui l’ipermetropia<br />

non corretta determina un incremento dello sforzo accomodativo,<br />

con conseguente convergenza accomodativa. Se le divergenze<br />

funzionali sono insufficienti risulta un’esotropia; nei pazienti con<br />

esotropia accomodativa la correzione del difetto rifrattivo, rilassando<br />

l’accomodazione, elimina l’angolo di deviazione. La maggior parte<br />

dei pazienti è rappresentata da adolescenti e giovani adulti (Stidham<br />

et al., 2002; Nucci et al., 2003; Magli et al., 2009).<br />

Accanto alle tecniche chirurgiche di correzione delle ametropie mediante<br />

modifiche apportate all’architettura corneale, si sono sviluppate<br />

negli anni delle tecniche che modificano il potere del diottro<br />

oculare agendo internamente all’occhio. La prima lente intraoculare<br />

(IOL) fu ideata e impiantata da Sir Harold Ridley nel 1949 per il trattamento<br />

dell’afachia dopo l’intervento di cataratta. In seguito allo<br />

sviluppo dei materiali e delle tecnologie, questa tecnica fu proposta<br />

anche nei pazienti fachici, con posizionamento sia anteriore che posteriore<br />

all’iride. Altra modalità di correzione di difetti refrattivi elevati<br />

è la lensectomia, ovvero l’asportazione del cristallino trasparente,<br />

con o senza impianto di una IOL a basso potere diottrico o neutra<br />

(Lee & Lee, 1996). La comprensione delle possibilità terapeutiche e<br />

dei limiti di ogni tecnica ha portato anche alla possibilità di combinare<br />

tra loro l’impianto di IOL e l’intervento sulla superficie corneale<br />

mediante laser ad eccimeri (Leccisotti, 2006).<br />

Entità dei difetti refrattivi<br />

Per quanto soddisfacenti appaiano i risultati della chirurgia refrattiva<br />

corneale mediante laser ad eccimeri, essa presenta un limite di<br />

44<br />

Tabella I.<br />

A. Magli et al.<br />

Indicazioni all’intervento di chirurgia refrattiva in età pediatrica<br />

<strong>•</strong> Ambliopia da anisometropia (in particolare anisomiopia) in cui le<br />

terapie convenzionali (occhiali e lenti a contatto) hanno avuto scarso<br />

successo o risultano impraticabili<br />

<strong>•</strong> Esotropia accomodativa rifrattiva<br />

<strong>•</strong> Miopie bilaterali elevate<br />

<strong>•</strong> Ipermetropie bilaterali elevate<br />

correzione di circa 12 D di miopia, al fine di scongiurare il rischio<br />

dell’ectasia del letto stromale residuo e dell’haze postoperatorio,<br />

ovvero una eccessiva cicatrizzazione corneale che ne compromette<br />

la trasparenza. Per la correzione di difetti refrattivi più ampi la<br />

lensectomia con o senza impianto di IOL, e le IOL fachiche hanno<br />

dato buoni risultati negli adulti; nei bambini l’esperienza inerente le<br />

suddette tecniche è esigua.<br />

La chirurgia refrattiva corneale ed intraoculare è stata utilizzata nel<br />

trattamento della miopia di entità tra -0,75 e -26 D, anche se il target<br />

della correzione mediante laser ad eccimeri è spesso inferiore<br />

all’entità totale della miopia. Infatti il range delle correzioni tentate<br />

mediante l’utilizzo di PRK varia tra -0,75 e -17 D (Singh, 1995; Astle<br />

et al., 2002), mentre la LASIK è stata utilizzata per correggere miopie<br />

tra le -2,5 e -23 D, le IOL fachiche in miopie tra -8 e -18 D (Chipont<br />

et al., 2001) e la lensectomia con o senza impianto di IOL fino a<br />

-26 D (Tychsen et al., 2006).<br />

Problematiche, rischi, complicanze<br />

Quando si parla di chirurgia refrattiva, come in tanti altri campi medici,<br />

i bambini non possono essere considerati alla stregua di “piccoli<br />

adulti”. Numerose sono infatti le problematiche da affrontare<br />

nella chirurgia refrattiva pediatrica, prima tra tutte la collaborazione<br />

dei pazienti.<br />

La PRK è stata praticata su bambini a partire dall’età di 1-2 anni di<br />

vita (Astle et al., 2002; Paysse et al., 2003), la LASIK a partire dai<br />

5 anni (Astle et al., 2002). Anche la LASEK è stata utilizzata in pazienti<br />

molto giovani. Le IOL fachiche sono state utilizzate in bambini<br />

di età compresa tra 3 e 16 anni. Le indicazioni per una chirurgia<br />

particolarmente precoce (età inferiore a 6 anni), sono rappresentate<br />

dalle anisometropie elevate e dalla miopia elevata bilaterale. (Astle<br />

et al., 2002; Magli et al., 2008; Agarwal et al., 2000). Alcuni di questi<br />

bambini in età particolarmente tenera erano affetti da patologie<br />

concomitanti, quali sindrome di Down, paralisi cerebrale, autismo o<br />

altri disordini dello sviluppo, e pertanto intolleranti a occhiali e lenti<br />

a contatto (Astle et al., 2002). In questa fascia di età le procedure<br />

chirurgiche vengono svolte in anestesia generale, per assicurare<br />

un corretto svolgimento delle stesse in sicurezza. Numerosi farmaci<br />

sono stati utilizzati, tra cui ossido nitrico, sevoflurano, alotano,<br />

propofol e chetamina. La necessità di anestesia generale fa sì che<br />

l’intervento, data la necessità di un costante monitoraggio delle<br />

funzioni vitali e le difficoltà di trasporto di apparecchiature pesanti,<br />

delicate e costose quali i laser ad eccimeri, debba essere eseguito in<br />

centri ospedalieri attrezzati, laddove è possibile disporre di un laser<br />

ad eccimeri in sala operatoria.<br />

L’anestesia topica, quando possibile, viene preferita alla generale in<br />

quanto in grado di ridurre, oltre al rischio anestesiologico, la probabilità<br />

di ablazioni decentrate (Terrell et al., 1995). Un errore in tale<br />

caso può portare enormi conseguenze negative al paziente, che non<br />

solo perderà una decente capacità visiva, ma anche e soprattutto la


Stato della chirurgia refrattiva in età pediatrica<br />

Tabella II.<br />

Tecniche di chirurgia refrattiva a confronto<br />

PRK Pro:<br />

<strong>•</strong> Tecnica chirurgica indicata per correggere miopia,<br />

ipermetropia e astigmatismo<br />

<strong>•</strong> Precisa ed affidabile<br />

<strong>•</strong> Eccellenti risultati nel trattamento di miopie ed astigmatismi<br />

di grado lieve e moderato<br />

Contro:<br />

<strong>•</strong> Possibili alcune imprecisioni nella correzione del difetto<br />

refrattivo dovute al processo di cicatrizzazione corneale<br />

<strong>•</strong> In un modesto numero di casi non si ottiene la completa<br />

correzione del difetto, ma solo una notevole riduzione di esso<br />

<strong>•</strong> Perdita di entità variabile della trasparenza corneale, che<br />

nei casi più gravi potrà essere accompagnata da irregolarità<br />

della superficie corneale che si manifestano al paziente come<br />

“aloni intorno alle fonti luminose”<br />

<strong>•</strong> Lieve difficoltà nella visione crepuscolare<br />

LASEK Pro:<br />

<strong>•</strong> Ideale nei pazienti con un difetto refrattivo lieve-moderato<br />

<strong>•</strong> Ideale per i pazienti in cui la LASIK è controindicata<br />

<strong>•</strong> Recupero visivo in 4-7 giorni<br />

<strong>•</strong> Meno dolorosa della PRK<br />

<strong>•</strong> Aloni corneali molto più rari che nella PRK<br />

Contro:<br />

<strong>•</strong> Imprevedibilità del dolore postoperatorio<br />

<strong>•</strong> Imprevedibilità della riepitelizzazione<br />

LASIK Pro:<br />

<strong>•</strong> Più versatile della PRK e del LASEK<br />

<strong>•</strong> Disagio del paziente ridotto al minimo<br />

<strong>•</strong> Rapida riabilitazione visiva<br />

<strong>•</strong> Rapida stabilizzazione della refrazione<br />

Contro:<br />

<strong>•</strong> Maggiore invasività sulla cornea<br />

<strong>•</strong> Secchezza oculare<br />

<strong>•</strong> Difetti epiteliali<br />

<strong>•</strong> Cheratite lamellare diffusa<br />

qualità della visione con disturbi soprattutto serali e notturni proporzionali<br />

al decentramento. Queste complicanze si sono notevolmente<br />

ridotte grazie al progresso dei sistemi di eye-tracking. L’eye-tracker<br />

è un dispositivo di sicurezza molto sofisticato, che rileva i più piccoli<br />

movimenti dell’occhio e consente al laser di bloccare la sua azione<br />

fino a quando l’occhio è ritornato nella giusta posizione. L’anestesia<br />

topica, ovvero mediante collirio, è ben tollerata in piccoli pazienti a<br />

partire dall’età di 6-7 anni (Terrell et al., 1995; Paysse et al., 2003;<br />

Phillips et al., 2004). In letteratura i dati inerenti la frequenza e l’entità<br />

delle ablazioni decentrate sono pochi (Alio et al., 1998; Agarwa<br />

et al., 2000; Magli et al., 2008). Strategie utili al fine di aumentare<br />

la capacità di concentrazione e fissazione nei bambini consistono<br />

nell’illustrare preventivamente ed integralmente tutte le fasi<br />

dell’intervento chirurgico, evidenziando l’importanza di mantenere<br />

la fissazione anche attraverso simulazioni con videogiochi, e nello<br />

stimolare costantemente il piccolo paziente durante l’intera durata<br />

dell’intervento, parlando e descrivendo le procedure operatorie in<br />

atto (Magli et al., 2008).<br />

La collaborazione dei bambini non è soltanto necessaria intra-operatoriamente,<br />

ma anche nelle fasi successive all’intervento di chirurgia<br />

refrattiva: i bambini, soprattutto in più tenera età, possono<br />

manipolare gli occhi trattati mediante LASIK, provocando danni al<br />

flap corneale che richiedono ulteriori procedure chirurgiche. Dopo<br />

PRK invece la manipolazione può intaccare il processo di riepitelizzazione,<br />

con conseguente aumento del rischio di haze.<br />

Vari studi confermano che la riparazione dell’epitelio corneale nei<br />

bambini avviene in maniera più veloce rispetto ai pazienti adulti,<br />

con una completa riepitelizzazione entro le 72 ore (Nucci & Drack,<br />

2001; Paysse et al., 2003; Magli et al., 2008). Nonostante ciò la<br />

complicanza più frequentemente riportata dopo la PRK, nei bambini<br />

come negli adulti, è l’haze corneale. Tuttavia non è semplice fare un<br />

confronto tra le varie casistiche riportate, in quanto vengono usate<br />

diverse scale per descrivere l’haze, e quest’ultimo è spesso riportato<br />

a tempi di follow-up diverso. Complessivamente sono pochi i<br />

lavori che riportano l’haze corneale dopo PRK, e solo in una piccola<br />

percentuale di casi questo è in grado di determinare una riduzione<br />

dell’acuità visiva. La comparsa di haze severo è correlata ad una<br />

miopia elevata e non sembrano esserci differenze tra adulti e bambini<br />

(Astle et al., 2002). Gli ultimi studi confermano la sicurezza della<br />

PRK nei bambini di età compresa tra 6 e 17 anni, con ridotta incidenza<br />

di complicanze intra-operatorie o post-operatorie, tra cui un<br />

corneal-haze importante. L’haze può complicare anche interventi di<br />

LASIK; non è tuttavia possibile paragonare i risultati nella popolazione<br />

adulta e in quella pediatrica. Non è riportato altresì un aumento<br />

statisticamente significativo dell’incidenza di complicanze a carico<br />

del flap nei bambini rispetto agli adulti anche se il follow-up riportato<br />

in letteratura è limitato nel tempo.<br />

Altra difficoltà nel trattamento dei bambini è il target della correzione.<br />

Nell’adulto esso è rappresentato dall’emmetropia, tenendo<br />

conto dell’età e delle attività svolte dal paziente. Nei bambini più<br />

piccoli che si sottopongono alla chirurgia per prevenire o trattare<br />

l’ambliopia, la maggior parte dei chirurghi mira al raggiungimento<br />

dell’emmetropia; nei casi di anisometropia il target da raggiungere<br />

deve essere la refrazione dell’occhio adelfo. Per i bambini più grandi<br />

la refrazione ideale post-operatoria non è stata stabilita con uguale<br />

certezza: poiché la maggior parte dei bambini tollera una leggera<br />

ipermetropia, un target leggermente tendente ad essa sembrerebbe<br />

auspicabile data la naturale progressione verso la miopia durante la<br />

crescita. Nonostante siano stati condotti diversi studi di popolazione,<br />

allo stato attuale la crescita dell’occhio ed i cambiamenti della<br />

refrazione non possono essere calcolati individualmente (Hyman<br />

et al., 2005). Il chirurgo, nonché il pediatra, devono dunque partire<br />

dal presupposto che la refrazione del bambino può cambiare durante<br />

la crescita, rendendo necessari ulteriori interventi di chirurgia<br />

refrattiva.<br />

Tecnica ideale nei bambini. Predittività e stabilità<br />

dei risultati.<br />

La chirurgia refrattiva ideale per un bambino dovrebbe essere quella<br />

con cui possa essere attuata una precisa e immediata correzione<br />

di un vasto range di errori refrattivi, sia miopici che ipermetropici,<br />

complicata da lieve haze post-operatorio e i cui risultati possano<br />

essere migliorati nel tempo al variare dell’accomodazione durante<br />

la crescita. Allo stato attuale non esiste nessuna procedura con tali<br />

requisiti. La LASIK ha il vantaggio di una rapida riabilitazione visiva,<br />

una capacità superiore di correzione nei difetti refrattivi più ampi e<br />

la possibilità potenziale di reintervenire per apportare miglioramenti,<br />

ma ha come principale svantaggio la vulnerabilità del flap nei bambini<br />

attivi. La PRK è meno suscettibile ai traumi dell’infanzia, ma ha<br />

un maggior tempo di recupero visivo dopo l’intervento e può essere<br />

45


Tabella III.<br />

Indicazioni per l’invio del bimbo all’oftalmologo<br />

<strong>•</strong> Familiarità per anisometropia<br />

<strong>•</strong> Sospetto deficit visivo<br />

<strong>•</strong> Acuità Visiva (AV) < 6/10 a 3-4 anni<br />

<strong>•</strong> AV < 9/10 a 6 anni<br />

<strong>•</strong> Differenza AV > 1/10 tra i due occhi<br />

<strong>•</strong> Alterazioni della motilità oculoestrinseca anche non costante<br />

Indicazioni per l’intervento<br />

I casi che si sottopongono ad intervento laser sono pazienti già seguiti<br />

c/o centri di oftalmologia pediatrica, quindi fatta la diagnosi sarà<br />

l’oculista ad indicare la possibilità di eseguire questo trattamento.<br />

utilizzata nella correzione dei difetti visivi meno ampi. Le IOL fachiche<br />

e la lensectomia con o senza impianto di IOL possono essere<br />

prese in considerazione nelle miopie di grado molto elevato, dove<br />

l’haze e l’ectasia corneale possono limitare rispettivamente PRK e<br />

LASIK. Anche se ci sarebbe necessità di analisi statistiche accurate<br />

per valutare la predittività dei risultati della chirurgia refrattiva<br />

nei bambini, Hutchinson (2003) in una review afferma che i risultati<br />

della chirurgia refrattiva nei bambini sono meno prevedibili e meno<br />

stabili che negli adulti. Astle et al. (2002) riportano che di 40 occhi<br />

trattati per la miopia con PRK, a distanza di due mesi dall’intervento<br />

solo il 55% rientrava nel range di ± 1,0 D della refrazione desiderata;<br />

a 6 e 12 mesi dopo l’intervento solo il 40% degli occhi era<br />

incluso nel target ± 1,0 D. Paysse et al. (2006) riscontravano che la<br />

refrazione target ± 1,5 D veniva ottenuta 9 mesi dopo l’intervento<br />

nel 66,8% dei pazienti. Nucci & Drak (2001) hanno ottenuto l’emmetropia<br />

nell’82% dei pazienti con miopia trattati con PRK. Nella nostra<br />

esperienza inerente il trattamento delle miopie unilaterali elevate<br />

trattate con PRK 14 dei 18 pazienti raggiungono la correzione desiderata<br />

± 1,0 D. I risultati sono stabili in un follow-up medio di 39<br />

mesi (Magli et al., 2008).<br />

Per quanto concerne la LASIK nel trattamento dell’esotropia accomodativa<br />

refrattiva, essa viene praticata maggiormente in pazienti<br />

in età giovanile. La scelta di alcuni Autori (Magli et al., 2009) di trattare<br />

anche pazienti adolescenti (range di età 14-24 anni) è basata<br />

su diverse esperienze (Paysse et al., 2006) che sostengono la<br />

relativa stabilità dell’ipermetropia nel passaggio dalla adolescenza<br />

all’età adulta. Raab (1984) conferma che fino a 7 anni l’ipermetropia<br />

aumenta, dai 7 ai 13 diminuisce rapidamente, decresce più lentamente<br />

fino ai 20 anni, dopo di che resta invariata. Alcuni chirurghi<br />

infatti fanno indossare a tutti i pazienti le lenti a contatto per 30 giorni<br />

prima dell’intervento, per simulare la condizione refrattiva postchirurgica;<br />

viene successivamente valutato l’angolo di deviazione e<br />

solo i pazienti che hanno manifestato una riduzione di quest’ultimo<br />

vengono sottoposti a chirurgia refrattiva (Sabetti et al., 2005; Magli<br />

et al., 2009).<br />

La letteratura pediatrica inerente le procedure chirurgiche di correzione<br />

dei difetti refrattivi mediante un approccio intraoculare appare limitata.<br />

Tychsen et al. (2005) riportano la loro esperienza su 26 occhi di<br />

13 bambini (età compresa tra 1 e 18 anni) con miopia elevata, trattati<br />

mediante la sola lensectomia o mediante lensectomia con simultaneo<br />

impianto di lente intraoculare. I risultati in termini di acuità visiva appaiono<br />

soddisfacenti e abbastanza stabili nel tempo: a distanza di 4,5<br />

anni dall’intervento, l’81% degli occhi rientrava nelle 2 D del target<br />

programmato. La lensectomia ha il vantaggio di una rapida riabilitazione<br />

visiva e della stabilità dei risultati. In caso di regressione del<br />

46<br />

A. Magli et al.<br />

difetto refrattivo si può optare tra un reimpianto di IOL e un trattamento<br />

corneale mediante laser ad eccimeri. L’estrazione di cristallino<br />

trasparente raddoppia il rischio di distacco di retina ed incrementa del<br />

30% il rischio di glaucoma negli occhi con miopia elevata (Chrousos<br />

et al., 1984; Colin et al., 1999).<br />

Un altro approccio è rappresentato dalle IOL fachiche, che possono<br />

essere impiantate in camera anteriore con supporto angolare o supporto<br />

irideo, oppure in camera posteriore nel solco ciliare. I vantaggi<br />

principali offerti dalle IOL fachiche sono la prevedibilità dei risultati,<br />

la reversibilità e la conservazione della capacità di accomodazione<br />

del paziente. Tra le complicanze più frequentemente descritte negli<br />

adulti si annovera il glaucoma, la perdita di cellule endoteliali,<br />

infiammazione cronica e astigmatismo, nonché un aumento del rischio<br />

di sviluppare cataratta qualora l’impianto venga fatto in camera<br />

posteriore.<br />

Lesueur et al. (1999) hanno trattato la miopia elevata di 5 occhi di 4<br />

bambini di età compresa tra 3 e 16 anni, mediante impianto di IOL<br />

fachiche da camera posteriore (STAAR Surgical AG, Nidau, Switzerland),<br />

con buoni risultati refrattivi. Non sono state riportate reazioni<br />

infiammatorie alle lenti, incrementi della pressione intraoculare o<br />

cataratta durante il breve follow-up di 11 mesi. Analoghi risultati<br />

sono stati ottenuti anche mediante impianto di IOL fachiche a fissazione<br />

iridea o a supporto angolare (Chipont et al., 2001; Saxena<br />

et al., 2004). Data la scarsa letteratura in merito, non esistono allo<br />

stato attuale, raccomandazioni all’uso delle IOL fachiche in pazienti<br />

pediatrici.<br />

Conclusioni<br />

La selezione del paziente rappresenta un momento fondamentale per<br />

la riuscita dell’intervento di chirurgia refrattiva. Sono candidati alla chirurgia<br />

refrattiva i bambini con un’anisometropia di almeno 3-4 diottrie,<br />

ametropie elevate o esotropia accomodativa refrattiva, in cui la scarsa<br />

compliance o l’intolleranza verso i metodi tradizionali di correzione<br />

(occhiali, lenti a contatto, bendaggio o penalizzazione farmacologica<br />

dell’occhio fissante) non permetta un adeguato recupero visivo. L’entità<br />

del trattamento dovrebbe idealmente essere inferiore alle 12 D di<br />

miopia, alle 5 D di ipermetropia e alle 4 D di astigmatismo.<br />

Il pediatra, essendo il primo punto di riferimento dei bambini e delle<br />

loro famiglie, deve riconoscere precocemente le patologie che interferiscono<br />

con il processo di acquisizione dell’immagine attraverso<br />

una minuziosa anamnesi familiare, pre-, peri- e post-natale, l’ispezione<br />

della facies e degli atteggiamenti del bambino, la ricerca di<br />

anomalie dei movimenti oculari (strabismo, nistagmo) e di atteggiamenti<br />

anomali del capo (torcicollo oculare). Il pediatra dovrebbe effettuare<br />

anche un test dell’acuità visiva, mediante tabelle ottotipiche<br />

con le lettere dell’alfabeto nel bambino in età scolare, con le E di<br />

Albini nel bambino illetterato. Si consiglia l’esecuzione di una prima<br />

prova con ambedue gli occhi per la comprensione e la familiarizzazione<br />

con il test, che successivamente andrà eseguito un occhio per<br />

volta. Può essere utile consegnare nei giorni antecedenti l’esame<br />

una E di cartone per preparare il bambino alla prova.<br />

Il piccolo paziente dovrebbe essere inviato all’oftalmologo qualora<br />

presenti un’acuità visiva inferiore a 6 decimi a 3-4 anni o a 9 decimi a<br />

6 anni e oltre, quando ci sia una differenza di più di 1/10 tra i due occhi,<br />

oppure quando ci siano anomalie della motilità oculoestrinseca.<br />

I dati finora pubblicati in letteratura dimostrano che la chirurgia refrattiva<br />

nei bambini può essere una valida alternativa ai tradizionali<br />

metodi di correzione dei difetti refrattivi (occhiali, lenti a contatto).<br />

Le tecniche utilizzate si sono dimostrate sicure ed efficaci già dai<br />

primi anni di età.


Stato della chirurgia refrattiva in età pediatrica<br />

Tuttavia, data la complessità e la facile evoluzione dei difetti refrattivi<br />

nei bambini, occorre prudenza estrema e soprattutto una<br />

particolare attenzione nella selezione dei pazienti da sottoporre<br />

all’intervento da parte del chirurgo oftalmologo. In attesa di studi<br />

prospettici e randomizzati che valutino i risultati e la stabilità di<br />

essi in un follow-up lungo e in attesa di una standardizzazione<br />

della scala di valutazione delle complicanze, occorre una capacità<br />

di comunicazione volta a dissuadere richieste sempre più frequenti<br />

dei genitori di trattare i loro bambini per fini puramente estetici.<br />

Occorre ribadire che la chirurgia refrattiva mira a fini funzionali e,<br />

Box di orientamento<br />

laddove possibili, tutte le vie meno invasive vanno tentate prima<br />

di ricorrere ad un intervento chirurgico, che come tale presenta<br />

le sue complicanze. I genitori devono inoltre essere pienamente<br />

consapevoli che la refrazione del bambino può essere soggetta<br />

durante la crescita a modifiche, che potrebbero necessitare di ulteriori<br />

correzioni mediante re-intervento.<br />

Allo stato attuale la chirurgia refrattiva in età pediatrica rappresenta un<br />

campo in pieno sviluppo che in un futuro più o meno prossimo potrà<br />

riservare grandi sorprese: merita pertanto l’attenzione e l’approfondimento<br />

non solo da parte degli oftalmologi, ma anche dei pediatri.<br />

<strong>•</strong> Il primo utilizzo della chirurgia refrattiva con laser ad eccimeri su pazienti non adulti è stato riportato nel 1995. Da allora essa è stata utilizzata in<br />

prima istanza nel trattamento delle anisometropie (condizioni in cui i due occhi hanno una refrazione diversa) in particolare nelle miopie unilaterali<br />

elevate (anisomiopie): queste ultime, se non corrette precocemente, causano ambliopia.<br />

<strong>•</strong> Le anisomiopie possono talvolta essere refrattarie ai comuni metodi di trattamento quali occhiali, lenti a contatto, terapia occlusiva.<br />

<strong>•</strong> Altra indicazione all’utilizzo della PRK e della LASIK è rappresentata dall’esotropia accomodativa refrattiva, condizione in cui l’ipermetropia non<br />

corretta determina un incremento dello sforzo accomodativo, con conseguente convergenza accomodativa.<br />

<strong>•</strong> Sono candidati alla chirurgia refrattiva i bambini con un’anisometropia di almeno 3-4 diottrie, ametropie elevate o esotropia accomodativa refrattiva,<br />

in cui la scarsa compliance o l’intolleranza verso i metodi tradizionali di correzione (occhiali, lenti a contatto, bendaggio o penalizzazione<br />

farmacologica dell’occhio fissante) non permetta un adeguato recupero visivo.<br />

<strong>•</strong> Le tecniche utilizzate si sono dimostrate sicure ed efficaci già dai primi anni di età. Tuttavia, data la complessità e la facile evoluzione dei difetti<br />

refrattivi nei bambini, occorre prudenza estrema e soprattutto una particolare attenzione nella selezione dei pazienti da sottoporre all’intervento da<br />

parte del chirurgo oftalmologo.<br />

<strong>•</strong> La chirurgia refrattiva mira a fini funzionali e, laddove possibile, tutte le vie meno invasive vanno tentate prima di ricorrere ad un intervento chirurgico,<br />

che come tale presenta le sue complicanze.<br />

Bibliografia<br />

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82.<br />

** Review dei principali studi pubblicati sull’argomento. Non esistono trial clinici<br />

controllati, a lungo termine e multicentrici. Tecnica promettente soprattutto in<br />

bambini con anisometropia ambliopigena e ametropie bilaterali elevate.<br />

Davidorf JM. Pediatric refractive surgery. J Cataract Refract Surg<br />

2000,26:1567-8.<br />

Chipont EM, Garcia-Hermosa P, Alio JL. Reversal of myopic anisometropic amblyopia<br />

with phakic intraocular lens implantation. J Refract Surg 2001;17:460-2.<br />

Drack AV, Nucci P. Refractive surgery in children. Ophthalmol Clin North Am<br />

2001;14:457-66.<br />

** La chirurgia refrattiva in età pediatrica è una tecnica promettente anche se<br />

non ancora standardizzata. Gli adolescenti, soprattutto miopi, possono essere<br />

un target ottimale di tali tecniche per le similitudini anatomiche delle strutture<br />

oculari rispetto a quelle dell’adulto in cui le tecniche laser sono largamente più<br />

utilizzate.<br />

Hutchinson AK. Pediatric refractive surgery. Curr Opin Ophtalmol 2003,14:267-<br />

75.<br />

** Revisione della letteratura sulla chirurgia refrattiva. Valutazione dei risultati e<br />

delle complicanze sovrapponibili a quelle dell’adulto. Valutazione delle chirurgia<br />

refrattiva come metodica da prendere in considerazione nei casi in cui i comuni<br />

trattamenti antiambliopigeni non abbiano avuto successo.<br />

Hyman L, Gwiazda J, Hussein M, et al. Relationship of age, sex and ethnicity with<br />

myopia progression and axial elongation in the correction of myopia evaluation<br />

trial. Arch Ophthalmol 2005;123:977-87.<br />

Lee KH, Lee JH. Long-term results of clear lens extraction for severe myopia. J<br />

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Leccisotti A. Bioptics: where do things stand? Curr Opin Ophthalmol 2006;17:399-<br />

405.<br />

Lesueur L, Arne JL. Phakic posterior chamber lens implantation in children with<br />

high myopia. J Cataract Refract Surg 1999;25:1571-5.<br />

Magli A, Iovine A, Gagliardi V, et al. Photorefractive keratectomy for myopic anisometropia:<br />

a retrospective study on 18 children. Eur J Ophthalmol 2008;18:716-<br />

22.<br />

** Studio retrospettivo su pazienti sottoposti a PRK per difetto miopico medioelevato.<br />

Follow-up di 39 mesi. Risultati promettenti sia sull’acuità visiva che<br />

sulla stereopsi e sullo strabismo.<br />

Magli A, Iovine A, Gagliardi V, et al. LASIK and PRK in refractive accommodative<br />

esotropia: a retrospective study on 20 adolescent and adult patients. Eur J<br />

Ophthalmol 2009;19:188-95.<br />

** 17 pazienti sottoposti a trattamento laser per esotropia accomodativa. Le<br />

tecniche laser sono promettenti sia per la correzione del difetto refrattivo con<br />

ottimi risultati sull’acuità visiva, sia per la correzione dello strabismo con miglioramento<br />

dell’angolo di strabismo nel post-operatorio e in alcuni casi correzione<br />

totale di tale difetto.<br />

Nucci P, Drack AV. Refractive surgery for unilateral high myopia in children. J<br />

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Nucci P, Serafino M, Hutchinson AK. Photorefractive keratectomy for the treatment<br />

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Paysse EA, Hamill MB, Hussein MA, et al. Photorefractive keratectomy for pediatric<br />

anisometropia: safety and impact on refractive error, visual acuity, and stereopsis.<br />

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47


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Surg 1995;21:630-2.<br />

Glossario<br />

PRK (Cheratectomia foto refrattiva): tecnica di correzione dei difetti di refrazione<br />

con laser che prevede l’asportazione dell’epitelio corneale e il successivo trattamento<br />

sullo stroma. L’epitelio corneale si riformerà nelle 72-96 ore successive.<br />

Tecnica ripetibile che non prevede incisioni chirurgiche.<br />

LASIK (Cheratomileusi Laser in situ): tecnica di correzione dei difetti di refrazione<br />

con laser che prevede il sollevamento dell’epitelio corneale (flap), il successivo<br />

trattamento laser sullo stroma e il riposizionamento dell’epitelio. La cicatrizzazione<br />

è più rapida che nella PRK. Il sollevamento del flap prevede un taglio chirurgico<br />

tecnicamente più complesso rispetto alla rimozione dell’epitelio (PRK). Il<br />

recupero funzionale è più rapido e il dolore post-operatorio è inferiore rispetto<br />

alla PRK.<br />

LASEK (Cheratomileusi laser epiteliale): tecnica di correzione dei difetti di refrazione<br />

con laser che prevede lo scollamento dell’epitelio corneale dal sottostante<br />

stroma con una soluzione alcolica e il successivo trattamento laser sullo<br />

Corrispondenza<br />

48<br />

A. Magli et al.<br />

Stahl ED. Current thoughts in pediatric refractive surgery. J Pediatr Ophthalmol<br />

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Von Noorden GK, Campos E. Binocular Vision and Ocular Motility. 6 th ed. St Louis,<br />

MO: Mosby 2002.<br />

stroma. Il recupero funzionale è più rapido e il dolore post-operatorio è inferiore<br />

rispetto alla PRK.<br />

IOL (Intra Ocular Lens): Tecnica di chirurgia refrattiva che prevede il posizionamento<br />

di una lente graduata intraoculare, o a livello della camera anteriore (davanti<br />

all’iride), o al posto del cristallino naturale che viene sostituito. Si utilizza<br />

nelle ametropie elevate. Presuppone un intervento chirurgico tradizionale con<br />

tutti i rischi operatori del caso.<br />

IOL fachica: Impianto di lente intraoculare che non prevede l’asportazione del<br />

cristallino.<br />

Lensectomia: Asportazione chirurgica del cristallino.<br />

Haze: Opacità corneale stromale che può conseguire a un trattamento Laser.<br />

Afachia: Assenza del cristallino.<br />

Esotropia accomodativa: Strabismo convergente conseguente al processo di accomodazione.<br />

Si corregge con occhiali, lenti a contatto o chirurgia refrattiva.<br />

Prof. Adriano Magli, Dipartimento di Scienze Oftalmologiche, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Napoli Federico II, via Sergio<br />

Pansini 5, 80100 Napoli. Tel. +39 081 7462467. Fax: +39 081 7462467. E-mail: magli@unina.it


<strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> <strong>2012</strong> <strong>•</strong> <strong>Vol</strong>. <strong>42</strong> <strong>•</strong> N. <strong>165</strong> <strong>•</strong> pp. 49-54<br />

traffico intracellulare di proteine Cop<br />

dipendente: rilevanza nella patologia umana<br />

Roberta Russo*, Maria Rosaria Esposito*, Achille Iolascon* **<br />

Introduzione<br />

L’omeostasi delle proteine negli eucarioti, definita proteostasi, è l’insieme<br />

di processi biologici che preservano l’integrità del proteoma<br />

mediante il controllo della sintesi proteica, del folding e dell’esporto/<br />

trasporto delle proteine. Quest’ultimo rappresenta un argomento di<br />

notevole interesse per il suo potenziale ruolo in un certo numero di<br />

patologie.<br />

Le nostre attuali conoscenze circa la via di secrezione delle proteine<br />

originano dal lavoro di Palade, in cui venne descritta l’ipotesi del<br />

trasporto vescicolare, secondo la quale il trasferimento di molecole<br />

cargo tra organelli intracellulari è mediato da vescicole di trasporto<br />

(Palade, 1975) (Fig. 1). In tal modo, le proteine di nuova sintesi passano<br />

attraverso una serie di organelli, tra cui il reticolo endoplasmatico<br />

(ER), il complesso del Golgi e i granuli secretori, dirette verso lo<br />

spazio extracellulare.<br />

La caratterizzazione dei meccanismi molecolari e dei singoli componenti<br />

coinvolti nel trasporto vescicolare origina dai lavori di<br />

Schekman e Rothman. Il primo ha avuto la lungimiranza di scegliere<br />

come organismo modello Saccharomyces cerevisiae, quando non<br />

era ancora chiaro che il lievito avesse un apparato secretorio molto<br />

simile a quello degli eucarioti superiori. La facilità di manipolare<br />

geneticamente il lievito ha permesso di isolare mutanti sensibili alla<br />

temperatura (Sec) e difettivi nella secrezione proteica (Novick et al.,<br />

1980). Ancora oggi, S. cerevisiae è il sistema migliore nell’ambito<br />

dello studio del trasporto vescicolare. D’altro canto, gli studi condotti<br />

dal gruppo di Rothman hanno permesso la caratterizzazione<br />

del complesso vescicolare nelle cellule eucariotiche di mammifero:<br />

si è così scoperto che le proteine Sec del lievito sono filogeneticamente<br />

ortologhe a quelle di mammifero, rivelando che gli elementi<br />

principali del macchinario di trasporto sono conservati in eucarioti<br />

evolutivamente lontani (Balch et al., 1984).<br />

Le proteine nascenti contengono nella loro sequenza primaria elementi<br />

di localizzazione che vengono decifrati dal macchinario di trasporto,<br />

che provvede così al loro corretto indirizzamento (Fig. 1). I complessi<br />

proteici di rivestimento vescicolare sono i componenti principali di<br />

questa macchina organizzativa. Tre sono quelli ben caratterizzati: rivestimento<br />

di tipo I e II (COPI e COPII), e la clatrina (Fig. 2).<br />

Un numero cospicuo di patologie genetiche sono imputabili a difetti<br />

del macchinario di trasporto. Questa review si propone di descrivere<br />

le patologie genetiche umane associate ad alterazioni nelle funzioni<br />

della via secretoria. I dati discussi sono stati reperiti sul database<br />

PubMed-NCBI e coprono un lasso di tempo che va dal 1975 al 2011.<br />

Pathway di trasporto ER-Golgi<br />

FRoNtIERE<br />

* CEINGE Biotecnologie Avanzate, Napoli, Italia; ** Dipartimento di Biochimica e Biotecnologie Mediche, Università<br />

di Napoli “Federico II”, Napoli, Italia<br />

Riassunto<br />

L’interazione dinamica tra il folding e l’esporto/trasporto delle proteine, definita proteostasi, è un argomento di notevole interesse per il suo potenziale<br />

ruolo in un elevato numero di patologie. Molte malattie, attribuite a difetti del traffico vescicolare, sono disturbi primari del ripiegamento delle proteine e<br />

del loro assemblaggio. Tuttavia, un numero crescente di patologie sono direttamente imputabili a difetti del macchinario di trasporto. In questo contesto,<br />

il complesso proteico di rivestimento vescicolare di tipo II (COPII) svolge un ruolo fondamentale: esso, infatti, media il trasporto anterogrado dal reticolo<br />

endoplasmatico verso l’apparato di Golgi di una vasta gamma di proteine (cargo).<br />

Questa review si propone di descrivere i disordini genetici associati a difetti nelle funzioni della via secretoria. In particolare, ci concentreremo sulle patologie<br />

dovute ad alterazioni di I) componenti del complesso COPII, II) recettori-cargo del compartimento intermedio reticolo endoplasmatico-Golgi, III) proteine<br />

residenti nel reticolo endoplasmatico, IV) proteine coinvolte nel traffico vescicolare ciliare.<br />

Summary<br />

The dynamic interplay between folding and export of proteins, termed proteostasis, is a very exciting topic receiving considerable interest for its potential<br />

to intervene in a number of disease states. Many diseases that are attributed to trafficking defects are primary disorders of protein folding and assembly.<br />

However, an increasing number of disease states are now directly attributable to defects in trafficking machinery. In this context, cytoplasmic coat protein<br />

(COP)II complex plays a pivotal role. It is a multi-subunit complex which mediates the accumulation of secretory cargo, the deformation of the membrane<br />

and generation of subsequent anterograde transport of correctly folded secretory cargo that bud from the ER towards the Golgi apparatus. This review<br />

attempts to describe human genetic disorders associated to defects in secretory pathway functions. In particular, we will focus on diseases due to alterations<br />

of I) COPII components, II) cargo-receptor proteins of the ERGIC compartment, III) ER-resident proteins, IV) proteins involved into vesicular trafficking<br />

to the cilium.<br />

Le proteine neosintetizzate acquisiscono la loro conformazione<br />

nativa all’interno del reticolo, dove un robusto sistema di controllo<br />

di qualità opera per assicurare che la nascente proteina non ven-<br />

49


Figura 1.<br />

Diagramma esemplificativo del trasporto vescicolare.<br />

Il trasporto vescicolare può essere suddiviso in quattro fasi: 1) selezione<br />

delle proteine da trasportare, 2) gemmazione della vescicola, 3) indirizzamento<br />

della vescicola e 4) fusione con la membrana bersaglio. La<br />

vescicola gemma da una membrana definita donatrice, che permette<br />

l’incorporazione selettiva del cargo al suo interno e trattiene le proteine<br />

residenti nel compartimento donatore. La vescicola è poi indirizzata<br />

verso specifici compartimenti, dove può riversare il cargo in seguito alla<br />

fusione con la membrana bersaglio<br />

ga riconosciuta dal macchinario di esporto fin quando non risulti<br />

completamente conformata. Tale sistema agisce mediante proteine<br />

residenti nell’ER che identificano ed eventualmente indirizzano<br />

50<br />

R. Russo et al.<br />

i polipetidi non correttamente conformati alla degradazione. Il conseguimento<br />

della corretta conformazione è mediato da chaperoni<br />

molecolari, il principale tra i quali è la proteina BiP/GRP78 (Schröder<br />

et al., 2005).<br />

L’export di proteine dall’ER è stato ben caratterizzato sia in lievito (S.<br />

cerevisiae e Pichia pastoris) che in cellule di mammifero. In S. Cerevisiae<br />

la gemmazione delle vescicole COPII dalla membrana del reticolo<br />

sembra avvenire in maniera casuale; al contrario, in P. pastoris<br />

e in cellule di mammifero gli eventi di vescicolazione avvengono in<br />

specifici siti del reticolo, chiamati siti di uscita dall’ER (ERES). Gli<br />

ERES si affacciano su strutture vescicolo-tubulari (VTC) note come<br />

cluster ERGIC, compartimenti membranosi intermedi ER-Golgi ricchi<br />

di proteine cargo, che mediano il trasporto proteico tra ER e Golgi. Il<br />

traffico anterogrado COPII-mediato è bilanciato da quello retrogrado,<br />

mediato da COPI, che svolge il ruolo di riciclare i componenti di<br />

rivestimento vescicolare e di recuperare le proteine residenti dell’ER<br />

(Lee et al., 2004) (Fig. 2).<br />

Assemblaggio del complesso COPII<br />

Nel lievito, le vescicole COPII originano dal legame sequenziale di<br />

Sar1-GTP, delle proteine del rivestimento interno Sec23-Sec24 e di<br />

quelle del rivestimento esterno Sec13-Sec31 sul reticolo endoplasmatico<br />

(Fromme et al., 2008) (Fig. 3).<br />

A differenza del lievito, la complessità del macchinario di trasporto<br />

nelle cellule di mammifero è di gran lunga maggiore; si assiste, infatti,<br />

ad un aumento del numero e dei tipi di proteine di rivestimento,<br />

GTPasi regolatorie, segnali di indirizzamento. Come vedremo nel<br />

Figura 2.<br />

Pathway di trasporto intracellulare.<br />

Le vescicole COPII, in rosso, gemmano dal reticolo endoplasmatico in specifici siti, chiamati ERES (ER exit sites), che si affacciano su strutture<br />

vescicolo-tubulari, note come VTC (vescicular-tubular structures) o cluster ERGIC (ER-Golgi intermediates compartment), ovvero compartimenti<br />

membranosi intermedi ER-Golgi. Il compartimento ERGIC/VTC è ricco di proteine cargo, indirizzate al Golgi, e di proteine residenti dell’ER, che<br />

vengono recuperate dal traffico retrogrado COPI (in blu), che svolge anche il ruolo di riciclare i componenti dei complessi proteici di rivestimento<br />

vescicolare. Inizialmente si riteneva che le vescicole di clatrina partecipassero alla maggior parte, se non a tutte, le fasi di trasporto vescicolare<br />

all’interno della cellula. Tuttavia, studi successivi hanno dimostrato che la funzione di queste vescicole è limitata a percorsi post-Golgi, tra cui la<br />

membrana plasmatica e il network trans-Golgi (TGN).


traffico intracellulare di proteine CoP dipendente: rilevanza nella patologia umana<br />

Figura 3.<br />

Assemblaggio del complesso COPII.<br />

La formazione delle vescicole COPII sulla membrana dell’ER inizia con<br />

l’attivazione della piccola proteina GTPasi Sar1 ad opera del suo fattore<br />

di scambio nucleotidico GDP a GTP (guanine exchange factor, GEF),<br />

Sec12. Segue il reclutamento del complesso eterodimerico Sec23/24.<br />

Sec23 è una proteina GAP, ovvero attivante la funzione GTPasica di<br />

Sar1, laddove Sec24 è la proteina adattatrice adibita al reclutamento<br />

del cargo specifico nella vescicola nascente. Il complesso di pre-gemmazione,<br />

composto da Sar1-GTP/Sec23/Sec24, recluta a sua volta il<br />

complesso eterotetramerico Sec13/Sec31, il rivestimento esterno, che<br />

funziona da collegamento trasversale tra i complessi pre-gemmazione<br />

adiacenti e garantisce la completa biogenesi della vescicola.<br />

prossimo paragrafo, uno dei modi in cui l’evoluzione modifica una<br />

funzione biologica è quello di sviluppare proteine ortologhe (proteine<br />

omologhe in specie diverse) e paraloghe (proteine omologhe nella<br />

stessa specie) e isoforme, mediante, ad esempio, duplicazione genica<br />

e/o splicing alternativo dell’RNA messaggero.<br />

Disordini associati a difetti del complesso COPII<br />

Nei mammiferi sono stati identificati geni ortologhi per ciascuna<br />

delle cinque proteine fondamentali del complesso COPII e, in alcuni<br />

casi, paraloghi di queste proteine esistono, ciascuno codificato da<br />

un gene diverso. Essi sono indicati con un suffisso alfabetico. Sono<br />

stati descritti due paraloghi delle proteine Sar1, Sec23 e Sec31, indicati<br />

con A e B, e quattro di Sec24, da A a D. Ad oggi, mutazioni<br />

in tre componenti COPII sono state associate a patologie genetiche<br />

umane (Tab. I), come verrà descritto di seguito nel paragrafo.<br />

Alterazioni del gene SEC23A. La displasia cranio-lenticolo-suturale<br />

(CLSD) (MIM 607812) o sindrome di Boyadjiev-Jabs è una condizione<br />

autosomica recessiva caratterizzata da ritardo nella chiusura delle<br />

fontanelle, cataratta suturale, dismorfismi facciali e difetti scheletrici.<br />

È stata originariamente descritta in cinque maschi e una femmina<br />

appartenenti ad una grande famiglia saudita di origine beduina e<br />

nati da genitori consanguinei. Questa malattia dello sviluppo deriva<br />

da una mutazione missenso (F382L) nel gene SEC23A, mappato sul<br />

cromosoma 14q13-q21, che determina una perdita di funzione del<br />

suo prodotto proteico (Boyadjiev et al., 2006). Studi su embrioni di<br />

zebrafish in cui è stato iniettato il morfolino antisenso di sec23, una<br />

molecola oligomerica che ne modifica l’espressione genica, hanno<br />

suggerito che l’alterato esporto dall’ER delle proteine secretorie essenziali<br />

per la corretta morfogenesi sia la causa alla base della patologia<br />

(Lang et al., 2006). L’analisi mediante microscopia elettronica e<br />

saggi di localizzazione intracellulare hanno evidenziato la presenza<br />

di una dilatazione dell’ER nei fibroblasti di individui affetti. Inoltre,<br />

tali cellule mostrano anche un’anomalia nella localizzazione citoplasmatica<br />

della proteina Sec31. Infatti, saggi in vitro hanno rivelato<br />

che la forma mutata di SEC23A recluta erroneamente il complesso<br />

Sec13-Sec31, inibendo la formazione delle vescicole. Le cellule dei<br />

pazienti affetti accumulano numerosi ERES tubulari ricchi di proteine<br />

cargo ma privi del rivestimento vescicolare; questa osservazione<br />

suggerisce che il complesso di pre-gemmazione Sec23-24 è<br />

sufficiente a formare tubuli contenenti cargo, mentre il complesso<br />

Sec13-31 è fondamentale per la fissazione della membrana.<br />

Alterazioni del gene SEC23B. Il gene SEC23B, localizzato sul cromosoma<br />

20p11.23, codifica per la seconda proteina paraloga di<br />

Sec23. Mutazioni a suo carico causano l’anemia congenita diseritropoietica<br />

di tipo II (CDA II, MIM 224100), un disordine autosomico<br />

recessivo caratterizzato da anemia da moderata a grave, ittero<br />

cronico o intermittente, splenomegalia, eritropoiesi inefficace, reticolocitosi<br />

non adeguata al grado di anemia (Iolascon et al., 2001).<br />

Il midollo osseo presenta iperplasia eritroide, con più del 10% di<br />

bi- o multi-nuclearità degli eritroblasti, che mostrano al microscopio<br />

elettronico un peculiare aspetto di doppia membrana plasmatica:<br />

l’effetto è, in realtà, generato dalla presenza di vescicole dell’ER<br />

che si localizzano parallelamente al di sotto della membrana stessa,<br />

suggerendo un difetto nel traffico vescicolare. Ulteriore caratteristica<br />

è l’alterazione del processo di glicosilazione a carico di diverse<br />

proteine eritrocitarie: patognomonica della condizione è, infatti, la<br />

ridotta glicosilazione della proteina di membrana Banda 3 (Iolascon<br />

et al., 2011). La distribuzione geografica dei pazienti suggerisce una<br />

elevata prevalenza in Italia (2.49 casi/milione) rispetto all’Europa<br />

centro-nord (0.04 casi/milione) (Heimpel et al., 2010). Ad oggi, 53<br />

differenti mutazioni patogenetiche sono state descritte, localizzate<br />

Tabella I.<br />

Patologie umane associate a difetti di proteine del complesso COP II.<br />

Patologia Gene Localizzazione<br />

cromosomica<br />

Funzione proteica Trasmissione Caratteristiche cliniche Prevalenza<br />

Displasia cranio-lenticolosuturale<br />

(CLSD)<br />

Anemia diseritropoietica<br />

congenita di tipo II (CDA II)<br />

Malattia da ritenzione di<br />

chilomicroni (CMRD)<br />

* Prevalenza relativa alla popolazione italiana.<br />

SEC23A 14q21.1 GAP AR Ritardo nella chiusura delle<br />

fontanelle, cataratta suturale,<br />

dismorfismi facciali, difetti<br />

scheletrici<br />

SEC23B 20p11.2 GAP AR Anemia, ittero, ridotto numero<br />

di reticolociti, splenomegalia,<br />

emocromatosi<br />

SAR1B 5q31.1 GTPase AR Malassorbimento dei grassi,<br />

ipobetalipoproteinemia<br />

< 1/1000000<br />

2.49/1000000*<br />

Non nota<br />

51


lungo l’intera regione codificante del gene (Schwarz et al., 2009; Iolascon<br />

et al., 2011). Pazienti omozigoti per mutazioni nonsenso non<br />

sono stati identificati; ciò suggerisce che tale genotipo possa essere<br />

letale. Nonostante l’elevata eterogeneità allelica, esiste una correlazione<br />

genotipo-fenotipo nei pazienti affetti: infatti, l’associazione<br />

di una mutazione missenso e una nonsenso tende a produrre una<br />

presentazione clinica più grave del genotipo composto da due mutazioni<br />

missenso. Sebbene la maggior parte delle mutazioni siano il<br />

risultato di eventi sporadici e indipendenti, quattro rappresentano<br />

più del 50% degli alleli mutati, il che costituisce una guida per una<br />

diagnosi molecolare mirata (Iolascon et al., 2010). Un clusterizzazione<br />

di queste mutazioni sembra essere rilevante nel Sud Italia, dove<br />

è stato osservato un effetto fondatore per una delle mutazioni più<br />

frequenti (R14W) (Russo et al., 2011).<br />

Alterazioni del gene SAR1B. Malattia di Anderson (ANDD) o malattia<br />

da ritenzione di chilomicroni (CMRD) (MIM 246700) sono termini<br />

utilizzati per descrivere un disordine da malassorbimento dei lipidi,<br />

causato da un difetto intestinale nel trasporto degli stessi e dal fallimento<br />

della formazione di chilomicroni; la malattia è caratterizzata<br />

da ipobetalipoproteinemia con assenza selettiva di apoB48 (Peretti<br />

et al., 2010). I primi casi di neonati con steatorrea grave sono stati<br />

descritti circa 30 anni fa (Anderson et al., 1961). La condizione viene<br />

di solito diagnosticata nei bambini che presentano deficit di crescita,<br />

diarrea cronica e ipocolesterolemia. Il difetto molecolare che sottende<br />

la patologia è stato descritto nel 2003 e consiste in mutazioni a<br />

carico del gene SAR1B, codificante per una delle due proteine paraloghe<br />

di Sar1 (Jones et al., 2003). Analogamente a quanto osservato<br />

nella CDA II, è stato ipotizzato un carenza nella formazione e nella<br />

secrezione dei chilomicroni derivante da un difetto di glicosilazione;<br />

infatti, studi in vitro condotti su espianti intestinali da pazienti CMRD<br />

hanno evidenziato una normale sintesi di apoB48, con una glicosilazione<br />

aberrante (Levy et al., 1987). Gli enterociti dei pazienti non<br />

riescono a secernere chilomicroni nella linfa e di conseguenza sono<br />

sovraccarichi di piccole gocce lipidiche, che si accumulano nel citoplasma<br />

e formano strutture delle dimensioni di lipoproteine legate<br />

alla membrana, come è possibile osservare alla biopsia intestinale<br />

(Boldrini et al., 2001). La CMRD è una malattia molto rara ad ereditarietà<br />

recessiva con meno di 50 casi riportati in letteratura. I livelli<br />

ridotti sia di lipidi plasmatici che di vitamine liposolubili causano<br />

danni neurologici. In pazienti giovani sono state spesso riscontrate<br />

manifestazioni neuro-retiniche. I segni neurologici si possono sviluppare<br />

più frequentemente in fase tardiva in soggetti non trattati e,<br />

in genere, consistono nella perdita di riflessi tendinei profondi (Peretti<br />

et al., 2009).<br />

Patologie umane associate a difetti del<br />

compartimento ERGIC<br />

Nell’ambito del trasporto tra ER e Golgi, fondamentali sono i recettori-cargo<br />

(Fig. 1), proteine transmembrana che legano specifici cargo<br />

nel lume dell’ER. Ad oggi, sono stati identificati diversi recettori-cargo<br />

nel lievito. L’unico ad essere stato ben caratterizzato nelle cellule<br />

di mammifero è il complesso LMAN1-MCFD2 (Zheng et al. 2010).<br />

Alterazioni a carico di tale complesso sono alla base del deficit<br />

combinato di fattore V e fattore VIII (F5F8D), un disturbo autosomico<br />

recessivo della coagulazione, ben distinto dalla co-eredità della carenza<br />

dei due fattori. La condizione è caratterizzata da una tendenza<br />

al sanguinamento che si manifesta durante o dopo traumi, interventi<br />

chirurgici, e aborti. Comune è la menorragia, mentre risultano piut-<br />

52<br />

R. Russo et al.<br />

tosto rare ematuria, sanguinamento gastrointestinale e intramuscolare.<br />

Si tratta di una malattia molto rara, con meno di 150 casi riportati<br />

(Mohanty et al., 2005). La più alta frequenza è stata riscontrata<br />

in ebrei orientali e sefarditi in Israele, dove consueti sono i matrimoni<br />

tra consanguinei. La maggioranza (70%) dei pazienti ha mutazioni<br />

nel gene LMAN1 (MIM 227300) (Nichols et al., 1998), il restante in<br />

MCFD2 (MIM 607788) (Zhang et al., 2003). Il gene LMAN1 codifica<br />

per la proteina omonima (nota anche come ERGIC-53), una lectina<br />

che fa la spola tra l’ER e l’ERGIC. Il fattore MCFD2 è una piccola<br />

proteina solubile, che interagisce con LMAN1 e forma un complesso<br />

che funge da recettore-cargo specifico per il trasporto di FV e FVIII<br />

(Zhang et al., 2005). Oltre ai due fattori della coagulazione, anche gli<br />

enzimi lisosomiali catepsina C, catepsina Z e α1-antitripsina sono<br />

stati segnalati come potenziali cargo del recettore. Il modello murino<br />

Lman1 -/- riproduce il fenotipo umano seppur in maniera lieve; il<br />

topo deficitario, infatti, mostra livelli plasmatici di FV e FVIII del 50%<br />

rispetto ai livelli dei topi wild type, laddove nei pazienti affetti essi<br />

oscillano tra 5% e 30%. Inoltre, contrariamente a quanto osservato<br />

nei pazienti, non sono state riportate differenze nei livelli di enzimi<br />

lisosomiali (Zhang et al., 2011).<br />

Patologie umane associate a difetti di proteine<br />

residenti dell’ER o di loro interattori<br />

La sindrome di Marinesco-Sjögren (MSS) (MIM 248800) è una malattia<br />

autosomica recessiva multisistemica, le cui caratteristiche<br />

principali sono atassia cerebellare, cataratta, debolezza muscolare<br />

progressiva, bassa statura, ritardo dello sviluppo mentale; possono,<br />

inoltre, manifestarsi ipogonadismo ipergonadotropo, anomalie scheletriche,<br />

dismorfismi, epilessia, miopatia progressiva, neuropatia<br />

(Slavotinek et al., 2005). Mutazioni a carico del gene SIL1, mappato<br />

sul cromosoma 5q31, sono responsabili della maggior parte dei casi<br />

di MSS. Tuttavia, sono stati riportati anche alcuni casi tipici senza alterazioni<br />

in SIL1. SIL1 è una proteina reticolare, associata a GRP78,<br />

fondamentale per la traslocazione delle proteine al reticolo, agendo<br />

da fattore di scambio nucleotidico per lo chaperone. La riduzione<br />

dei suoi livelli influenza la traslocazione, con conseguente riduzione<br />

della sintesi proteica. L’identificazione di modelli di espressione<br />

tissutale, spaziale e temporale, simili tra i due geni SIL1 e GRP78,<br />

ha suggerito che l’alterata interazione SIL1-GRP78 costituisca l’elemento<br />

determinante per la manifestazione della sindrome. Le mutazioni<br />

in SIL1 determinano una perdita di funzione della proteina, con<br />

conseguente scorretto ripiegamento di proteine neosintetizzate (van<br />

Raamsdonk, 2006), come si evince da biopsie di muscolo scheletrico<br />

di pazienti affetti, in cui la proteina mutata non risulta visibile<br />

(Anttonen et al., 2005). SIL1 è espressa anche nei neuroni corticali e<br />

nelle cellule di Purkinje del cervelletto determinando manifestazioni<br />

cliniche quali le anomalie cerebrali, l’atrofia e il coinvolgimento della<br />

sostanza bianca (Reinhold et al., 2003). Il modello murino (topo woozy),<br />

originato da una mutazione omozigote in SIL1, presenta atassia<br />

progressiva con perdita delle cellule di Purkinje del cervelletto, in cui<br />

si accumulano proteine ubiquitinate, con conseguente neurodegenerazione<br />

da apoptosi o da autofagia (Zhao et al., 2005).<br />

Patologie umane associate a difetti di proteine<br />

coinvolte nel traffico vescicolare verso il ciglio<br />

La sindrome di Bardet-Biedl (BBS, MIM 209900) è un disordine autosomico<br />

recessivo caratterizzato da degenerazione retinica, polidattilia<br />

e ipogonadismo. Il rene policistico è la più comune causa di


traffico intracellulare di proteine CoP dipendente: rilevanza nella patologia umana<br />

morte prematura nei bambini affetti, in associazione con le complicanze<br />

causate dall’obesità, incluso il diabete di tipo II, l’ipertensione<br />

e l’ipercolesterolemia (Tobin et al., 2007). La prevalenza stimata<br />

oscilla tra 1/160000 nel Nord Europa fino a 1/13500 in Kuwait e<br />

Terranova. La condizione è caratterizzata da un elevato livello di<br />

eterogeneità genetica: ad oggi, 14 sono i geni causativi ad essa associati.<br />

Dal momento che una correlazione genotipo-fenotipo non è<br />

stata riscontrata, è stato ipotizzato che le diverse proteine BBS agiscano<br />

tutte all’interno di un comune processo cellulare: in particolare,<br />

l’eziologia della sindrome è relazionata alla disfunzione ciliare. Il<br />

ciglio primario è un organello antico degli eucarioti che proietta dalla<br />

superficie cellulare, adibito alla trasduzione del segnale di numerosi<br />

pathway coinvolti nei processi di differenziamento e omeostasi cellulare<br />

(Tobin et al., 2007).<br />

Recentemente è stato identificato il BBSoma, un complesso ottamerico<br />

composto da 7 proteine altamente conservate (BBS1, BBS2,<br />

BBS4, BBS5, BBS7, BBS8, BBS9) e dalla nuova BBIP10, tutte alla<br />

base del meccanismo patogenetico della BBS. Sembra che tale<br />

complesso agisca nell’ambito del traffico vescicolare verso il ciglio,<br />

formando un rivestimento e leggendo segnali di smistamento<br />

di proteine cargo. Il BBSoma, infatti, condivide elementi strutturali<br />

comuni alle vescicole COPI, COPII e clatrina; il suo meccanismo di<br />

assemblaggio in vitro si avvicina strettamente a quello delle vescicole<br />

rivestite di clatrina (Jin et al., 2010). A sostegno dell’ipotesi di<br />

un suo ruolo nel traffico vescicolare ciliare, è stato dimostrato che<br />

il recettore 3 della somatostatina fallisce nel raggiungere il ciglio<br />

primario dei neuroni ippocampali nei topi knockout per le proteine<br />

bbs2 e bbs4.<br />

Conclusioni<br />

Sebbene il traffico vescicolare sia stato ormai ben caratterizzato, e<br />

un numero elevato di disordini umani risulti associato a sue alterazioni,<br />

restano ancora da chiarire diversi aspetti patogenetici.<br />

Se da un lato le alterazioni a carico delle proteine residenti del reti-<br />

Box di orientamento<br />

colo, coinvolte nel controllo di qualità del folding proteico, esitano in<br />

condizioni multisistemiche, ad esempio la MSS, dall’altro alterazioni<br />

di singoli componenti del complesso COPII sono alla base dell’insorgenza<br />

di fenotipi clinici altamente specifici e tessuto-confinati.<br />

Ciò è sicuramente dovuto alla ridondanza funzionale del complesso<br />

COPII, osservata nelle cellule di mammifero. L’esempio migliore<br />

di tale situazione ci viene offerto dai difetti a carico dei due geni<br />

paraloghi SEC23A e SEC23B che causano condizioni patologiche<br />

molto differenti tra loro, la CLSD e la CDA II. Eppure, le sequenze di<br />

queste due proteine esibiscono una similarità del 99%. Dunque, perché<br />

la loro compromissione porta a fenotipi così specifici? L’ipotesi<br />

principale è quella di un fenotipo determinato da una espressione<br />

tessuto-specifica di entrambe. In accordo a tale ipotesi, durante il<br />

differenziamento eritroide in vitro di cellule CD34+, si assiste ad<br />

un aumento di espressione di SEC23B 5-7 volte maggiore rispetto<br />

a quello di SEC23A, laddove nelle cellule progenitrici CD34+ i livelli<br />

di espressione di entrambi i paraloghi sono sostanzialmente uguali<br />

(Schwarz et al., 2009). Un discorso analogo sussiste per le alterazioni<br />

a carico del gene SAR1B, alla base della malattia di Anderson,<br />

in cui risultano colpite primariamente le cellule intestinali, pur esprimendo<br />

entrambe le isoforme di Sar1. Un’altra possibilità è quella di<br />

una distribuzione del cargo differente tra i vari paraloghi. Ulteriori<br />

studi sono indispensabili per comprendere il ruolo della ridondanza<br />

funzionale del macchinario di trasporto, definendone i cargo selettivi,<br />

al fine di riuscire ad approntare una terapia sostitutiva mirata.<br />

Dichiarazioni finali<br />

Gli autori non hanno alcun conflitto d’interesse da dichiarare.<br />

RR e MRE hanno reperito le informazioni in letteratura. RR ha realizzato<br />

le figure. RR, MRE e AI hanno provveduto alla stesura del testo.<br />

Siamo grati al Ministero italiano dell’Università e della Ricerca, al<br />

MUR (contributi MUR-PS 35-126/Ind), alla Regione Campania (sovvenzioni<br />

DGRC2362/07), alla Fondazione italiana Telethon (Grant<br />

GGP09044 ad AI).<br />

Cosa si sapeva prima:<br />

Le nostre attuali conoscenze circa la via di secrezione delle proteine originano dal lavoro di Palade che, nel 1975, descrive per la prima volta l’ipotesi<br />

del trasporto vescicolare<br />

Negli anni ’80 Schekman e Rothman iniziarono la caratterizzazione delle reazioni e dei componenti proteici coinvolti nel trasporto vescicolare<br />

Il gruppo di Schekman ha caratterizzato nell’organismo modello S. Cerevisiae gli elementi principali del macchinario di trasporto vescicolare<br />

Cosa sappiamo adesso:<br />

Il processo evolutivo ha comportato, nelle cellule eucariotiche superiori, una maggiore specializzazione dei meccanismi di trasporto e indirizzamento<br />

delle proteine nei corretti compartimenti subcellulari<br />

Ad ogni ortologo di lievito corrisponde, per un fenomeno di speciazione, un set di paraloghi nei mammiferi, la cui funzione in taluni casi è ancora da<br />

definire<br />

Esiste un numero sempre crescente di patologie ereditarie direttamente imputabili a difetti del macchinario di trasporto<br />

Quali ricadute sulla pratica clinica:<br />

Per alcune patologie (ad esempio la CDA II) la correlazione genotipo/fenotipo ha dimostrato la rilevanza della diagnosi molecolare per la gestione clinica<br />

dei pazienti<br />

Chaperoni molecolari potrebbero essere utilizzati come farmaci per mediare il corretto folding in patologie da alterato controllo di qualità delle proteine<br />

neosintetizzate (ad esempio, la MSS da deficit del gene SIL1)<br />

La comprensione della ridondanza funzionale degli elementi COP, nonché la definizione del ruolo nella selezione del cargo specifico, potrebbe essere il<br />

punto di partenza per lo sviluppo di terapie future<br />

53


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** In questo lavoro è descritta l’identificazione del gene causativo SIL1 della<br />

sindrome di Marinesco- Sjögren.<br />

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between successive compartments of the Golgi measured by the coupled incorporation<br />

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* Questo lavoro ha il merito di aver approntato un ingegnoso saggio, chiamato<br />

cell free, che è risultato essere essenziale per la caratterizzazione del complesso<br />

vescicolare nelle cellule eucariotiche di mammifero.<br />

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** In questo lavoro è descritta l’identificazione del gene causativo SEC23A della<br />

displasia cranio-lenticolo-suturale.<br />

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* In questo studio è descritta l’esistenza di una correlazione genotipo-fenotipo<br />

nei pazienti affetti da CDA II.<br />

Jin H, Roehl WS, Shida T, et al. The conserved Bardet-Biedl Syndrome proteins<br />

assemble a coat that traffics membrane proteins to cilia. Cell 2010;141:1208-<br />

19.<br />

** In questo lavoro è descritto il ruolo del complesso BBSoma nell’ambito del<br />

traffico vescicolare verso il ciglio.<br />

Jones B, Jones EL, Bonney SA, et al. Mutations in a Sar1 GTPase of COPII vesicles<br />

are associated with lipid absorption disorders. Nat Genet 2003;34:29-31.<br />

** In questo lavoro è descritta l’identificazione del gene causativo SAR1B della<br />

malattia di Anderson.<br />

Lang MR, Lapierre LA, Frotscher M, et al. Secretory COPII coat component Sec23a<br />

is essential for craniofacial chondrocyte maturation. Nat Genet. 2006;38:1198-<br />

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Corrispondenza<br />

54<br />

R. Russo et al.<br />

Mohanty D, Ghosh K, Shetty S, et al. Mutations in the MCFD2 gene and a novel<br />

mutation in the LMAN1 gene in Indian families with combined deficiency of factor<br />

V and VIII. Am J Hematol. 2005;79:262-6.<br />

Nichols WC, Seligsohn U, Zivelin A, et al. Mutations in the ER-Golgi intermediate<br />

compartment protein ERGIC-53 cause combined deficiency of coagulation factors<br />

V and VIII. Cell 1998;93:61-70.<br />

** Questo lavoro descrive l’identificazione di mutazioni causative a carico del<br />

gene LMAN1, alla base della patogenesi del deficit combinato di fattore V e fattore<br />

VIII.<br />

Novick P, Field C, Schekman R. Identification of 23 complementation groups<br />

required for post-translational events in the yeast secretory pathway. Cell<br />

1980;21:205-15.<br />

Palade G. Intracellular aspects of the process of protein synthesis. Science<br />

1975;189:347-58.<br />

** In questo lavoro si descrive per la prima volta l’ipotesi del trasporto vescicolare.<br />

Peretti N, Roy CC, Sassolas A, et al. Chylomicron retention disease: a long term<br />

study of two cohorts. Mol Genet Metab 2009;97:136-<strong>42</strong>.<br />

Reinhold A, Scheer I, Lehmann R, et al. MR imaging features in Marinesco–<br />

Sjögren syndrome: severe cerebellar atrophy is not an obligatory finding. Am J<br />

Neuroradiol 2003;24:825-8.<br />

Russo R, Gambale A, Esposito MR, et al. Two founder mutations in the SEC23B<br />

gene account for the relatively high frequency of CDA II in the Italian population.<br />

Am J Hematol. 2011;86:727-32.<br />

Schröder M, Kaufman RJ. The mammalian unfolded protein response. Annu Rev<br />

Biochem. 2005;74:739-89.<br />

Schwarz K, Iolascon A, Delaunay J, et al. Mutation affecting the secretory COPII<br />

coat component SEC23B cause congenital dyserythropoietic anemia type II. Nat<br />

Genet 2009;41:936-40.<br />

** In questo lavoro è descritta l’identificazione del gene causativo SEC23B<br />

dell’anemia congenita diseritropoietica di tipo II.<br />

Slavotinek A, Goldman J, Weisiger K, et al. Marinesco–Sjögren syndrome in a<br />

male with mild dysmorphism. Am J Med Genet 2005;133A:197-201.<br />

Tobin JL, Beales PL. Bardet–Biedl syndrome: beyond the cilium. Pediatr Nephrol<br />

2007;22:926-36.<br />

van Raamsdonk JM. Loss of function mutations in SIL1 cause Marinesco–<br />

Sjögren syndrome. Clin Genet 2006;69:399-403.<br />

Zhang B, Cunningham MA, Nichols WC et al. Bleeding due to disruption of a<br />

cargo-specific ER-to-Golgi transport complex. Nat Genet 2003;34:220-225.<br />

** Questo lavoro descrive l’identificazione di mutazioni causative a carico del<br />

secondo locus, MCFD2, del deficit combinato di fattore V e fattore VIII<br />

Zhang B, Kaufman RJ, Ginsburg D. LMAN1 and MCFD2 form a cargo receptor<br />

complex and interact with coagulation factor VIII in the early secretory pathway.<br />

J Biol Chem 2005;280:25881-6.<br />

Zhang B, Zheng C, Zhu M, et al. Mice deficient in LMAN1 exhibit FV and FVIII deficiencies<br />

and liver accumulation of α1-antitrypsin. Blood 2011;118:3384-91.<br />

Zhao L, Longo-Guess C, Harris BS, et al. Protein accumulation and neurodegeneration<br />

in the woozymutantmouse is caused by disruption of SIL1, a cochaperone<br />

of BiP. Nat Genet 2005;37:974-9.<br />

Zheng C, Liu H, Yuan S, et al. Molecular basis of LMAN1 in coordinating LMAN1-<br />

MCFD2 cargo receptor formation and ER-to-Golgi transport of FV/FVIII. Blood<br />

2010;116:5698-706.<br />

Achille Iolascon, CEINGE - Biotecnologie Avanzate, via Gaetano Salvatore 486, 80145 Napoli, Italia. Tel. +39 081 3737898. Fax +39 081 3737804.<br />

E-mail: achille.iolascon@unina.it


<strong>Gennaio</strong>-<strong>Marzo</strong> <strong>2012</strong> <strong>•</strong> <strong>Vol</strong>. <strong>42</strong> <strong>•</strong> N. <strong>165</strong> <strong>•</strong> pp. 55-61<br />

la Normativa Europea sui farmaci in età pediatrica<br />

tavola rotonda<br />

a cura di Andrea Biondi<br />

Box 1<br />

tAVoLA RotoNdA<br />

Durante il 67° Congresso della Società Italiana di Pediatria (Milano, 8 giugno 2011), si è svolta una Tavola Rotonda sulla Normativa Europea<br />

sui Farmaci in Età Pediatrica (Box 1), a cui hanno partecipato i Proff. Paolo Paolucci, il Prof. Paolo Rossi e il Dr. Nicolino Ruperto (Box 2).<br />

Nel dicembre del 2000, il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione che impegnava la Commissione Europea a definire una normativa per favorire<br />

un uso più appropriato dei farmaci nell’età evolutiva, definita da 0 a 18 anni di età e suddivisa in sottoclassi (neonato pre-termine e a termine,<br />

lattante, bambino, adolescente). Tutti gli Stati Membri hanno condiviso la rilevanza di tale necessità in termini di salute pubblica, rispondendo ad una<br />

motivazione essenzialmente etica e di pari opportunità per i cittadini europei. È infatti noto che il 50-75% dei farmaci utilizzati in età pediatrica non<br />

sono stati oggetto di studi nei bambini e negli adolescenti e di conseguenza vengono usati off-label ovvero senza disporre di dati scientifici specifici<br />

in grado di fornire un’adeguata informazione sulla loro efficacia e sui possibili effetti collaterali (1).<br />

Nel gennaio 2007, dopo un lungo percorso legislativo, viene pubblicata la Normativa Europea sui farmaci in età pediatrica (2). Trattandosi di una legge,<br />

il testo diviene applicativo in tutti gli Stati Membri, senza la necessità di un’approvazione da parte dei singoli Governi, a differenza della Direttiva EU<br />

relativa agli Studi Clinici che, al contrario, è stata recepita ed interpretata dalle diverse normative nazionali (European Union Directive 2001/20/EC).<br />

L’obiettivo generale della Normativa Europea è quello di migliorare la salute in età infantile, promuovendo:<br />

– la ricerca su farmaci in età pediatrica;<br />

– lo sviluppo e la registrazione di farmaci per l’età pediatrica;<br />

– l’approvazione di farmaci in età pediatrica, evitando sia studi non necessari in età pediatrica e ogni eventuale ritardo nell’approvazione degli stessi<br />

farmaci in età adulta;<br />

1. Roberts R, Rodriguez W, Murphy D, et al. Pediatric drug labeling: improving the safety and efficacy of pediatric theapies. JAMA. 2003;290(7):905-<br />

11.<br />

2. Regulation (EC) No 1901/2006 of the European Parliament and of the Council of 12 December 2006 on medicinal products for paediatric use and<br />

amending Regulation (EEC) No 1768/92, Directive 2001/20/EC, Directive 2001/83/EC and Regulation (EC) No 726/2004 (Text with EEA relevance)<br />

http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2006:378:0001:0019:EN:PDF (accessed March 1st 2009).<br />

Andrea Biondi (A.B.): La Normativa Europea nasce dalla necessità di garantire l’utilizzo dei farmaci in modo appropriato in età<br />

pediatrica e di favorire l’accesso a nuovi farmaci. Potresti dare qualche dato sulla situazione prima della sua introduzione?<br />

paolo paolucci (p.p.): Il 20% della popolazione dell’Unione Europea ha meno di 18 anni. L’uso di farmaci off-label nei bambini e negli<br />

adolescenti è estremamente diffuso in quanto il 50-90% dei farmaci non hanno indicazione pediatrica, perché non sono stati eseguiti studi<br />

in questa fascia di età, ma soltanto in soggetti adulti e, a volte, neanche per le stesse indicazioni.<br />

La mancanza di specifiche informazioni, oltre che di appropriate formulazioni farmaceutiche, espone i bambini alla possibilità di una non<br />

adeguata e ottimale efficacia terapeutica per sottodosaggio come pure, per sovradosaggio, a possibili effetti avversi anche gravi, a breve e<br />

soprattutto a lungo termine.<br />

Inoltre, la mancanza di studi in età pediatrica ha costituito un oggettivo e rilevante fattore limitante l’accesso dei bambini a terapie innovative.<br />

Pertanto, la necessità di promuovere specifici studi per conseguire l’obiettivo dell’innovazione terapeutica e di una adeguata informazione<br />

sui farmaci da impiegare in età pediatrica, muovendo da un principio essenzialmente etico, ha trovato un consenso globale, dapprima<br />

con il regolamento della Food and Drug Administration (FDA-USA) e successivamente con l’entrata in vigore della regolamentazione Europea<br />

(gennaio 2007).<br />

A.B.: Il contesto dell’Oncologia Pediatrica è particolarmente emblematico come successo, utilizzo di farmaci off-label e accesso<br />

a nuovi farmaci: potresti descrivere perché?<br />

p.p.: I decisivi progressi in termini di cura conseguiti negli ultimi decenni dall’Oncologia Pediatrica sono dovuti all’approccio multidisciplinare<br />

e alla collaborazione tra gruppi di lavoro prima nazionali e poi a livello delle società scientifiche internazionali. Tale collaborazione, pure in<br />

assenza di farmaci oncologici specificamente sviluppati e approvati per uso pediatrico, ha consentito lo sviluppo di trials clinici, di ricerca<br />

e cura, non sponsorizzati da case farmaceutiche, basati, di necessità, sull’uso di farmaci off-label ovvero sviluppati per i tumori dell’adulto,<br />

55


56<br />

a cura di Andrea Biondi<br />

con formulazioni per l’adulto e, spesso, con indicazioni diverse stante la differenza esistente tra i tumori pediatrici (embrionali) e quelli<br />

dell’adulto (somatici).<br />

Tali trials collaborativi, sviluppati in modo appropriato per quanto attiene al monitoraggio della tossicità e alla misura dell’effetto terapeutico,<br />

hanno consentito in tempi relativamente rapidi di raccogliere molte informazioni sui farmaci impiegati per quello che riguarda la loro efficacia<br />

e la sicurezza di impiego e a breve termine. D’altro lato, sempre grazie a questo tipo di studi, è stato possibile allargare progressivamente<br />

la rosa dei farmaci off-label potenzialmente utili nella terapia delle malattie oncologiche del bambino fino alla introduzione dei primi nuovi<br />

farmaci dei tempi più recenti. Va comunque detto che, in relazione agli ottimali risultati terapeutici conseguiti fino ad oggi, l’introduzione di<br />

nuovi farmaci non potrà che avvenire in modo integrato con gli attuali protocolli di polichemioterapia e, soprattutto, in pazienti appartenenti<br />

a specifici gruppi di rischio definiti a livello internazionale.<br />

A.B.: Quali sono gli obiettivi principali della Normativa?<br />

p.p.: L’obiettivo della Nuova Regolamentazione è migliorare la salute dei bambini attraverso l’incremento della ricerca, etica e di alta qualità,<br />

per lo sviluppo e la maggiore disponibilità di nuovi medicinali specificamente destinati e autorizzati all’uso pediatrico (forme farmaceutiche,<br />

vie di somministrazione), fornendo una maggiore informazione sull’uso degli stessi per quanto concerne le modalità di impiego e gli aspetti<br />

inerenti gli effetti avversi a breve e a lungo termine, da monitorare in specifici data base. Tutto questo deve essere realizzato sia senza<br />

indurre studi non indispensabili nei bambini sia senza ritardare l’autorizzazione di nuovi farmaci per altre fasce di età.<br />

A.B.: Si è dunque adottato, analogamente a quanto già in atto in USA, la politica del “ bastone e della carota” rispetto all’obbligo<br />

di un’azienda di svolgere studi in età pediatrica. È corretto ?<br />

p.p.: Le principali innovazioni della nuova regolamentazione concernono l’istituzione di un Comitato Pediatrico (Paediatric Committee<br />

– PDCO), in seno all’European Medicines Agency (EMA), del Paediatric Investigation Plan (PIP) per la valutazione dei nuovi farmaci<br />

ai fini della loro autorizzazione di mercato, di una lista di priorità per la ricerca di nuovi agenti (Paediatric needs), di un database<br />

europeo, della Post Marketing evaluation ovvero Farmacovigilanza specifica (follow up a lungo termine), dell’inventario dei prodotti<br />

medicinali autorizzati per uso pediatrico, di un network europeo per promuovere la ricerca pediatrica, di obbligazioni e adeguati incentivi<br />

e fondi per la ricerca forniti dalla Commissione Europea e dagli Stati Membri al fine di incoraggiare lo sviluppo di farmaci per<br />

uso pediatrico coperti o meno da brevetto (patent). Pertanto, anche la regolamentazione europea prevede incentivi per le industrie<br />

farmaceutiche che propongono studi in età pediatrica. Questi incentivi (estensione di esclusività di mercato, specifici finanziamenti)<br />

possono riguardare farmaci nuovi o modificazioni (nuova indicazione, nuova via di somministrazione, nuova forma farmaceutica)<br />

di prodotti già coperti da patent in relazione all’approvazione del relativo PIP (procedura obbligatoria), oppure farmaci “vecchi”<br />

(off-patent) per i quali si intenda sviluppare e/o garantire uno specifico impiego pediatrico (Paediatric Use Marketing Authorization<br />

– PUMA) (procedura facoltativa).<br />

A.B.: Puoi descriverci la procedura di registrazione di un nuovo farmaco? Che cosa deve contenere il “Pediatric Investigation<br />

Plan”?<br />

p.p.: Dal gennaio 2007 le industrie farmaceutiche devono presentare un PIP (Pediatric Investigation Plan) al momento della richiesta di<br />

autorizzazione all’immissione in commercio di ogni nuovo nuovo farmaco (Fig. 1).<br />

Il PIP, oltre a tutte le informazioni disponibili sul prodotto (nome, indicazioni pediatriche, dati pre-clinici, dati clinici noti in adulti e<br />

bambini, dose, formulazione, vie di somministrazione, trial clinico proposto, endpoints, durata e tipo di follow up, etc.) deve contenere il<br />

programma di sviluppo nei bambini con l’elenco e la descrizione degli studi proposti e il timeline per la loro realizzazione. Inoltre, deve<br />

essere specificato se viene richiesta una deroga (waiver) per alcune condizioni o per fasce di età, e un differimento (deferral) ovvero un<br />

definito tempo di ritardato inizio del trial clinico pediatrico in attesa che dati pre-clinici (studi negli animali) e/o clinici (dati di efficacia<br />

e/o sicurezza) siano disponibili e resi noti al PDCO. L’azienda sia prima di sottomettere il PIP e dare inizio alla procedura di valutazione,<br />

sia in relazione ai pareri preliminari del PDCO espressi al giorno 30 e 60 dalla presentazione del PIP, può avvalersi dello Scientific<br />

Advice, fornito dai diversi comitati interni dell’EMA, come percorso informativo idoneo ad incrementare la sua compliance in seno ai<br />

diversi aspetti previsti dalla regolamentazione e dare cogenza alle richieste di modifica del PIP stesso (Fig. 2). A tale processo possono<br />

Fig. 1. Fig. 2.


tavola rotonda<br />

anche contribuire le discussioni per teleconferenza che l’azienda può richiedere durante tutto il percorso valutativo su specifici quesiti,<br />

interagendo direttamente con il Rapporteur, il Peer Reviewer e l’EMA Co-ordinator ai quali è stato assegnato di valutare quello specifico<br />

PIP. In relazione al risultato di questi percorsi, il PDCO esprime un giudizio, orientato alla possibile approvazione o meno del PIP, che<br />

viene sottoposto al Committee for Human Medicinal Products (CHMP), organismo che conferisce o meno la Autorizzazione di Mercato<br />

(Marketing Authorization). Segue poi nel tempo il compliance check per verificare la coerenza dei comportamenti dell’azienda nella<br />

conduzione dei trials clinici.<br />

A.B.: Qual è il compito del PDCO di cui fai parte?<br />

p.p.: Il PDCO è un comitato di esperti costituito da un rappresentante designato<br />

da ogni Stato Membro (Agenzia Nazionale del Farmaco), da membri<br />

del CHMP, da rappresentanti delle associazioni di pazienti e da health professionals<br />

per un totale di 65 membri (Fig. 3), ove sono espresse competenze<br />

in ambito regolatorio, professionale specifico nelle diverse aree della<br />

patologia pediatrica, che valutano il contenuto dei PIP presentati esprimendo<br />

una opinione favorevole o sfavorevole circa il suo valore complessivo,<br />

la sua compliance, il waiver, il deferral, stabilendo nelle diverse fasi della<br />

valutazione le modifiche da apportare. Esprime, infine, una opinione sulla<br />

qualità, sicurezza e efficacia del PIP su richiesta del CHMP.<br />

Fig. 3.<br />

A.B.: E per i farmaci non più coperti da brevetto, quale può essere<br />

l’interesse di un’azienda a fare studi in età pediatrica?<br />

p.p.: La decadenza di un brevetto può mettere a rischio la futura disponibilità del farmaco nel mercato, in quanto l’azienda che ne deteneva<br />

il diritto di commercializzazione potrebbe decidere di interromperne la produzione. Al contrario, la decadenza di un brevetto,<br />

per ovvie ragioni commerciali (basso prezzo di mercato) spesso non corrisponde all’entrata in campo di un’altra azienda produttrice<br />

anche di piccole dimensioni. Che ciò avvenga poi in campo oncologico è particolarmente difficile dati gli alti costi per la struttura<br />

aziendale di produzione, a meno che non si tratti di una grande azienda, che è piuttosto concentrata sullo sviluppo di nuove e più<br />

costose molecole.<br />

Per superare questo possibile empasse la nuova regolamentazione ha previsto un’altra procedura incentivante a favore dell’azienda che<br />

intenda assumere l’onere di mantenere in produzione un farmaco off-patent di interesse ed uso pediatrico. Infatti, attraverso l’approvazione<br />

del PUMA (Pediatric Use Marketing Authorization), l’azienda acquisisce il diritto di utilizzare tutta la pregressa documentazione esistente<br />

circa lo sviluppo di quel dato brevetto, nonché la possibilità di accedere a specifici fondi di ricerca europei per l’ulteriore sviluppo di quel<br />

farmaco (nuove formulazioni, nuove modalità d’uso). Sul piano pratico, però, fino ad oggi l’interesse delle aziende farmaceutiche a presentare<br />

dei PUMA è stato molto, molto limitato.<br />

A.B.: Potresti dare un’indicazione di numeri di PIP che sono stati presentati ed in quali ambiti di patologie?<br />

p.p.: Dall’entrata in vigore della Nuova Regolamentazione alla fine del 2010<br />

sono stati validati 912 PIP riguardanti tutte le specialità pediatriche. Di questi,<br />

660 PIP (72%) hanno riguardato nuovi farmaci, 229 (25%) farmaci già<br />

autorizzati, che hanno presentato il PIP per nuova indicazione pediatrica.<br />

Al contrario, per lo sviluppo di nuove formulazioni per farmaci off-patent i<br />

PUMA sono stati solo 23 (3%) (Fig. 4).<br />

A.B.: In questo scenario sembra delinearsi che la ricerca sui farmaci<br />

in campo pediatrico verrà svolta solo dalle aziende se ne avranno<br />

qualche vantaggio. Esiste ancora lo spazio per studi no profit?<br />

p.p.: Fino ad oggi le aziende hanno tendenzialmente vissuto la Nuova<br />

Regolamentazione come un inatteso intralcio alle loro abituali scelte e<br />

politiche di mercato, vivendo il PDCO come un organismo burocratico<br />

piuttosto che scientifico. In realtà, la scarsa, talora scarsissima consistenza<br />

scientifica dei PIP presentati, soprattutto all’inizio, ha determinato Fig. 4.<br />

la loro inevitabile bocciatura o necessaria ripresentazione. Pur essendo<br />

tuttora nella fase di crescita della curva di apprendimento, nonostante<br />

la dimensione di alcune multinazionali del farmaco, le cose stanno migliorando grazie al progressivo riconoscimento del ruolo scientifico<br />

del PDCO e dell’EMA nel suo complesso, ma anche grazie alla continua apertura della istituzione verso l’accademia, gli esperti<br />

e le società scientifiche ove la ricerca no profit ha da sempre avuto sede e sviluppo. Certamente, dunque, rimane un largo spazio per<br />

gli studi non profit, perché nello sviluppo di nuove terapie nessuno potrà rinunciare alle competenze dei professionisti esperti nelle<br />

malattie pediatriche e nell’uso dei farmaci pediatrici. È opportuno che tutto ciò avvenga all’interno di networks, per identificare le<br />

priorità e favorire lo svolgimento dei trials clinici. Tale prospettiva è stata esplicitamente indicata nella Nuova Regolamentazione e per<br />

essa si sta attivamente operando, in considerazione del fatto che lo sviluppo di nuovi farmaci pediatrici non può che rappresentare un<br />

obiettivo comune per gli organismi regolatori nazionali e europei, l’accademia, la Commissione Europea e gli Stati Membri, le aziende<br />

del farmaco, le associazioni di genitori nel contesto di un partenariato indispensabile per migliorare le cure in età pediatrica.<br />

57


58<br />

a cura di Andrea Biondi<br />

Andrea Biondi (A.B.): Le ultime considerazioni di Paolucci mi permettono di introdurre il Dr. Nicolino Ruperto. Come indicato nel<br />

Box 2, N. Ruperto è tra i fondatori di un network di ricerca indipendente in campo reumatologico, denominato PRINTO: potresti<br />

spiegare di che cosa si tratta?<br />

Nicolino ruperto (N.r.): La rete di ricerca denominata Paediatric Rheumatology International Trials Organisation (PRINTO) è stata fondata<br />

nel 1996 dal Prof. Alberto Martini e dal sottoscritto con l’obiettivo di facilitare la ricerca collaborativa nell’ambito della reumatologia pediatrica.<br />

La rete, inizialmente formata da 14 paesi, raggruppa ora oltre 60 paesi in tutti il mondo.<br />

A.B.: Quali sono i principali obiettivi?<br />

N.r.: PRINTO si è occupa sia di studi accademici che di studi in collaborazione con le case farmaceutiche.<br />

Nell’ambito degli studi accademici PRINTO ha standardizzato i criteri di risposta al farmaco nelle principali malattie reumatiche quali l’artrite<br />

idiopatica giovanile (AIG), il lupus eritematoso sistemico giovanile (LESG) e la dermatomiosite giovanile (DMG). In particolare i criteri di<br />

risposta nell’AIG sono stati accettati sia dalla FDA che dall’EMA per tutti gli studi da parte di case farmaceutiche che intendono registrare il<br />

loro farmaco per l’uso nel bambino come previsto dalla normativa europea del 2006.<br />

PRINTO si è poi occupato di aiutare diverse case farmaceutiche produttrici dei cosiddetti farmaci biologici ad implementare i relativi trial<br />

di fase II o III. L’aiuto si è esplicato a livello di progettazione della sperimentazione, del protocollo e delle schede raccolta dati, attraverso<br />

l’identificazione dei possibili centri partecipanti, in fase di analisi e di pubblicazione dei relativi risultati.<br />

A.B.: Quali sono stati i principali risultati del network in termini sperimentazione clinica dei farmaci?<br />

N.r.: Praticamente tutti i farmaci biologici attualmente registrati e/o utilizzati<br />

nel bambino con AIG sono stati studiati tramite PRINTO (adalimumab,<br />

abatacept, infliximab, tocilizumab, canakinumab) e altri studi sono attualmente<br />

in corso. Nella Figura 5 sono indicati gli studi no profit condotti dal<br />

network PRINTO attraverso la collaborazione con diversi Paesi nel mondo<br />

(Fig. 5).<br />

A.B.: La Normativa sulle Sperimentazioni Cliniche (European Union<br />

Directive 2001/20/EC) ha di fatto equiparato in termini di “ Good<br />

Clinical Practice” gli studi clinici registrativi con quelli no profit.<br />

Il risultato è senza dubbio un miglioramento della loro qualità, ma<br />

anche un significativo incremento dei costi, organizzazione etc, che<br />

Fig. 5.<br />

di fatto finisce per scoraggiare la ricerca indipendente. Qual è stata<br />

l’esperienza di PRINTO?<br />

N.r.: La ricerca indipendente è diventata più onerosa dal punto di vista burocratico. A tale riguardo risulta illuminante l’esempio di un<br />

recente studio finanziato dall’Agenzia Italiana del farmaco (AIFA) con l’obiettivo di valutare l’efficacia e la tollerabilità di 3 diversi protocolli<br />

terapeutici nella DMG, comunemente utilizzati nella pratica clinica corrente. Per questo studio specifico ci sono voluti più di due anni per<br />

ottenere l’approvazione da parte di 102 comitati etici di oltre 20 paesi e circa due anni per arruolare 135 pazienti da 24 paesi diversi. In<br />

effetti solo 4 comitati etici hanno rifiutato l’approvazione del protocollo mentre gli altri hanno sollevato solo minime obiezioni. Una possibile<br />

soluzione sarebbe una semplificazione delle procedure di approvazione ad esempio tramite un unico portale europeo con approvazione<br />

valida in tutti paesi della comunità.<br />

A.B.: Chi sostiene economicamente i vostri studi clinici?<br />

N.r.: Le fonti di finanziamento di PRINTO sono essenzialmente due. La maggior parte dei fondi sono pubblici provenienti dall’Unione Europea<br />

o da altri enti pubblici italiani o internazionali. I rimanenti fondi derivano dall’attività di aiuto alle case farmaceutiche svolta da PRINTO:<br />

i fondi relativi vengono poi reinvestiti per la ricerca no profit.<br />

A.B.: L’entrata in vigore del decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali (D.M. 14.07.2009 su G.U.<br />

14.09.2009 S.G. 231) dal titolo “Requisiti minimi per le polizze assicurative a tutela dei soggetti partecipanti alle sperimentazioni<br />

cliniche dei medicinali” ha ulteriormente aumentato i costi a carico dello sponsor, quindi di PRINTO: come avete affrontato<br />

questo ulteriore problema? PRINTO è un’entità con personalità giuridica, è in grado di firmare contratti anche a nome delle<br />

Istituzioni che fanno parte del network?<br />

N.r.: Il problema della copertura assicurativa è non solo economico ma anche organizzativo/logistico poiché non è semplice trovare assicurazioni<br />

che, con costi competitivi, siano in grado di coprire i rischi relativi a studi multicentrici. In generale per gli studi no profit l’approccio<br />

è di basare la sperimentazione sulla pratica clinica corrente in modo che i costi possano essere coperti dall’ospedale partecipante. Quando<br />

questo approccio non è sufficiente l’unica possibilità è di utilizzare i limitati fondi del budget a scapito di altre spese.<br />

A.B.: Con l’entrata in vigore della Normativa sui Farmaci in età Pediatrica, immagino sarete diventati un soggetto di grande<br />

interesse per le aziende che devono presentare un PIP e attivare studi clinici. È così? La nuova Normativa ha rappresentato<br />

un’opportunità?<br />

N.r.: Non c’è dubbio che la normativa pediatrica ha rappresentato una grossa fonte di opportunità per la pediatria e per la reumatologia<br />

pediatrica. In effetti prima del 2000 non esistevano farmaci autorizzati per l’uso nel bambino con AIG mentre ora i farmaci biologici sono<br />

autorizzati o in corso di autorizzazione. Come dicevo prima, PRINTO offre supporto alle case farmaceutiche sia in fase di definizione del


tavola rotonda<br />

Pediatric Investigation Plan (PIP) che in fase di stesura del protocollo, scelta dei centri partecipanti, valutazione indipendente della risposta<br />

al farmaco, analisi e divulgazione dei risultati scientifici.<br />

A.B.: Come vedi un rapporto virtuoso con le aziende? È possibile definire le condizioni che possono garantire gli interessi di un<br />

network indipendente come PRINTO e quelli di un’azienda?<br />

N.r.: Nei rapporti con le aziende forse la più importante caratteristica è relativa alle pubblicazioni scientifiche. PRINTO ha sempre ottenuto<br />

di poter scegliere sia i co-autori di un lavoro (in base al contributo di ciascun centro come previsto dallo statuto di PRINTO) sia l’ultima parola<br />

in fase di sottomissione del contributo.<br />

In aggiunta in questi anni PRINTO ha svolto un ruolo di mediatore contrattuale etico fra la casa farmaceutica e i centri partecipanti allo<br />

studio. Una richiesta non negoziabile, che abbiamo sempre ottenuto, è stata quella di continuare a fornire il farmaco sperimentale, se utile<br />

al paziente, oltre la fine della durata della sperimentazione; quello che si vuole evitare è la sospensione di un farmaco utile a bambini con<br />

una malattia cronica come l’AIG per i quali l’unica possibilità di ottenere farmaci spesso costosi è tramite la partecipazione ad una sperimentazione.<br />

In aggiunta abbiamo spesso ottenuto che i fondi versati ai centri partecipanti siano gli stessi per tutti indipendentemente<br />

dal livello socio-economico del paese partecipante al fine di favorire indirettamente, tramite i fondi delle case farmaceutiche, la ricerca<br />

indipendente.<br />

Andrea Biondi (A.B): Un ruolo centrale di governo della politica del farmaco e quindi anche della nuova Normativa viene svolto<br />

dalle Agenzie Regolatorie (FDA per USA ed EMA per EU). Il Prof. Paolo Rossi ha svolto e svolge ruoli importanti a livello dell’EMA<br />

e quindi è la persona più adatta per darci il punto di vista del legislatore. In che cosa la Normativa Europea si differenzia da<br />

quella già applicata in USA?<br />

paolo rossi (p.r.): La normativa Europea ha ripreso molte delle caratteristiche della normativa USA, ma si differenzia principalmente su<br />

due aspetti principali (oltre a moltissime differenze di minor rilevanza): 1. la tempistica in cui si inserisce il PIP in Europa rispetto a USA:<br />

mentre negli USA Uniti questo è molto spesso completamente succedaneo al piano di sviluppo per gli adulti, in Europa il PIP si inserisce tra<br />

la fase 2 e la fase 3 (in realtà nella legislazione addirittura tra la fase 1 e la fase 2, ma in pratica nella fase 2 dello sviluppo del farmaco), e<br />

quindi molto più precocemente rispetto alla legislazione americana; 2. l’altro elemento che lo contraddistingue è che l’approvazione del PIP,<br />

con gli elementi in esso contenuti, costituisce un elemento binding a cui le aziende sono tenute a far fede: in altre parole quello che viene<br />

deciso nell’accordo tra il PDCO dell’EMA e l’azienda, per il PIP, è un elemento ineluttabile e ineludibile per quanto riguarda l’approvazione<br />

finale di quel farmaco (la sua registrazione d’uso e quindi il suo marketing).<br />

A.B: Qual è la tua esperienza come membro del PDCO?<br />

p.r.: Sono membro del Comitato Pediatrico dalla sua costituzione ed ero anche membro del Comitato che lo ha in qualche modo preceduto<br />

e realizzato, il cosiddetto Pediatric Extern Group dell’EMA. La mia esperienza all’interno di questo comitato è quella del membro che valuta i<br />

PIP ed in particolare, insieme con la mia alternate Dr.ssa Rocchi, ci siamo molto dedicati alla valutazione, all’esame di PIP proposti nell’ambito<br />

della infettivologia, delle malattie immunologiche, delle malattie allergiche, delle malattie reumatologiche, dell’AIDS e, in qualche caso,<br />

anche di malattie del metabolismo come il Diabete di tipo I.<br />

In realtà l’esperienza che ho accumulato in questo periodo è un’esperienza di intensa attività se si considera che ad oggi, nel 2011, sono<br />

oltre 2000 i PIP presentati all’agenzia regolatoria.<br />

A.B: L’opinione pubblica è sensibile al problema di un uso corretto dei farmaci nei bambini, ma non è altrettanto condivisa<br />

l’importanza che i dati si possono ottenere solo con una sperimentazione adeguata.<br />

In che modo l’EMA intende promuovere la sensibilizzazione sulla sperimentazione clinica in età pediatrica?<br />

p.r.: Questo è un problema estremamente sentito dalla società. Fino a poco tempo fa si riteneva completamente non etico sperimentare un<br />

farmaco in un bambino. In realtà quello che succede nella vita quotidiana è che, dal momento che la maggior parte dei farmaci non sono<br />

stati licenziati nell’età pediatrica, ogni volta che noi diamo un farmaco ad un bambino, e questo farmaco non ha delle prove di evidenza,<br />

di efficacia, di sicurezza o di giusta dose in quell’età, facciamo in quel momento una sperimentazione non controllata. Quindi il concetto di<br />

eticità e di importanza della sperimentazione in Pediatria nasce proprio da questa esigenza: mettere in regola, controllare la sperimentazione<br />

secondo processi ben strutturati, che ne garantiscano la sicurezza. Certamente l’EMA per poter far sì che nella società questa percezione<br />

diventi sempre più condivisa, deve agire sul livello dei Medici (attraverso l’informazione e la formazione) ma anche direttamente con la<br />

società. Per questo, ad esempio, in Italia, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) sta per lanciare una campagna mediatica per favorire la sperimentazione<br />

clinica dei farmaci in Pediatria ed una maggiore sensibilizzazione in questo settore nell’ambito delle scuole e delle Associazioni<br />

che si occupano delle diverse specializzazioni pediatriche.<br />

A.B: In che modo l’EMA intende favorire l’incontro tra i network di patologie esistenti a livello europeo e il mondo della aziende?<br />

p.r.: L’EMA, grazie anche ad un dettame del Regolamento Europeo, ha istituito al suo interno un organismo che si chiama EnprEMA (European<br />

Network for Pediatric Research at EMA), che è una struttura di coordinamento, di facilitazione dell’azione che i network terapeutici<br />

in Pediatria stanno già svolgendo in questo settore. Questo strumento, l’EnprEMA, dovrà avere il compito di facilitare i contatti tra network<br />

terapeutici, quindi i soggetti direttamente coinvolti nella sperimentazione, e le aziende farmaceutiche. L’obiettivo è quello di indirizzare l’industria<br />

a sviluppare farmaci che siano utili al bambino, sia in senso di quale farmaco, ma anche di come somministrarlo e di come inserirlo<br />

nel piano terapeutico della malattia a cui si riferisce. In secondo luogo dovrà facilitare la sperimentazione, valutando quale tipo studio è<br />

realisticamente fattibile anche in relazione all’incidenza della malattia e quindi alla possibilità di reclutare i pazienti. Quindi il network è un<br />

elemento di facilitazione allo svolgimento della sperimentazione e quindi al compimento pieno della missione di EMA stessa.<br />

59


60<br />

a cura di Andrea Biondi<br />

A.B: Uno degli aspetti che rende faticosa l’approvazione di uno studio in età pediatrico, specie se in una malattia rara, è quello<br />

relativo all’iter approvativo da parte dei CE. Come vedi si potrebbe migliorare l’attuale normativa almeno per quanto riguarda gli<br />

studi pediatrici?<br />

p.r.: Quello dei Comitati Etici è un problema enorme, non soltanto in Italia, ma anche in Europa. Certo in Italia la proliferazione di Comitati<br />

Etici rende un percorso a ostacoli l’approvazione spesso della sperimentazione. Quello che potrebbe essere fatto sicuramente è una riduzione<br />

dei Comitati Etici, magari creando Comitati Etici regionali (ed è una proposta di Legge che è già in discussione nella nostra normativa).<br />

In attesa di riforme strutturali delle modalità con cui i Comitati Etici sono organizzati, è importante sensibilizzare i componenti pediatrici<br />

dei Comitati Etici alle aspettative, alle esigenze della sperimentazione pediatrica, magari attraverso un’azione formativa: corsi di aggiornamento,<br />

iniziative di formazione, in modo tale che ci sia più uniformità di giudizio tra un Comitato Etico ed un altro. La risoluzione verrà dalla<br />

riduzione dei Comitati Etici e dalla strutturazione di questi Comitati Etici in una forte componente pediatrica.<br />

A.B: Una domanda di conclusione a Paolucci e Rossi per la vostra posizione nel PDCO. Sono trascorsi ormai 5 anni dall’entrata in<br />

vigore della Normativa sui Farmaci in Età Pediatrica. Pur non disponendo di dati, ho l’impressione che al numero di PIP presentati<br />

non corrisponde necessariamente un numero adeguato di studi clinici, che poi di fatto significa accesso ai nuovi farmaci. È cosi?<br />

Qual è il vostro punto di vista? Quali possono essere i miglioramenti che vedete necessari in un prossimo futuro?<br />

p.r.: Questo è un dato di fatto, ma che è anche relativo alle procedure abbastanza lente con cui tutta la fase regolatoria di sperimentazione<br />

si attiene. Dal momento in cui una ditta farmaceutica presenta un PIP al momento in cui viene inserito il primo paziente in quella sperimentazione<br />

passano almeno dai 2 ai 3 anni. Anche se il regolamento pediatrico ha 5 anni di vita, in realtà i primi risultati si vedranno proprio nei<br />

prossimi 2-3 anni. Per facilitare questo, come ho già detto, esiste questo organismo che è l’EnprEMA che dovrebbe mettere in contatto ditte<br />

farmaceutiche con in network specialistici, ma chiaramente per quanto riguarda il nostro paese sarà importante organizzare reti nazionali<br />

terapeutiche per la Pediatria per evitare che l’Italia, proprio per le caratteristiche della sua organizzazione sanitaria, possa rimanere a margine<br />

di questo processo di cambiamento.<br />

p.p.: Confermo quanto detto da Paolo Rossi, ma bisogna essere ragionevoli e pazienti. L’avvento di una nuova normativa volta a cambiare<br />

radicalmente l’esistente, specie se fondata su basi eminentemente etiche, richiede fisiologicamente del tempo per essere compresa a fondo<br />

e per potersi adeguare ad essa, superando alcune barriere e pregiudizi. Ci sono poi numerosi interessi di vario tipo che solo un consapevole<br />

e universale ricorso al partenariato tra i diversi stakeholders potrà consentire di superare. Senza entrare nel merito di questioni piuttosto delicate,<br />

basti pensare a quanti anni sono richiesti alle aziende del farmaco per portare lo sviluppo di una molecola sulla “pipe line”, fase finale<br />

che precede la sua immissione nel mercato. Orbene, molte di queste molecole già situate in tale posizione nel gennaio 2007 non potevano<br />

certo essere misconosciute, donde la necessità di tempo per potere mutare l’approccio aziendale e lo sviluppo di nuove strategie e capacità<br />

relazionali. Io sono personalmente ottimista perché vedo le cose cambiare lentamente in meglio, soprattutto per quanto concerne un nuovo<br />

atteggiamento tendenzialmente proattivo da parte delle aziende. Ma credo che il raggiungimento dell’obiettivo non potrà che discendere<br />

dalla capacità di tutti gli interlocutori in campo, prima menzionati, a definire e condividere le priorità nella scelta di quali nuovi farmaci abbiamo<br />

necessità di sviluppare nella più ampia dimensione di partenariato. L’EMA e i suoi organismi, a partire dal PDCO, potrebbero costituire<br />

l’Hub di questo nuovo sistema di relazioni scientifiche e sociali al quale fare afferire e convergere i numerosi Spoke esistenti portatori di<br />

diritti, di quesiti e aspettative, di specifiche conoscenze scientifiche, di capacità professionali e organizzative, nonché di capacità e risorse<br />

aziendali senza dimenticare la Commissione Europea e gli Stati Membri quali espressioni non solo di contenuti regolatori, ma anche come<br />

soggetti finanziatori a tutela di una componente non trascurabile di cittadini europei: neonati, lattanti, bambini e adolescenti.<br />

Conclusioni<br />

Non è facile concludere una Tavola Rotonda complessa per la novità degli argomenti.<br />

Vorrei solo sottolineare alcuni aspetti che mi sembrano rilevanti.<br />

La Normativa Europea si propone di colmare un vuoto importante relativo all’uso appropriato dei farmaci in età pediatrica. Si stima infatti che circa<br />

¾ di tutti i medicinali in commercio oggi non sono supportati da indicazioni approvate da FDA/EMA per l’uso nei neonati, lattanti, bambini e adolescenti.<br />

La strategia del “bastone e carota”, ovvero l’obbligo della sperimentazione in età pediatrica per ottenere la registrazione con il benefico dell’estensione<br />

del brevetto, è stata già sperimentata con successo in USA.<br />

Il tempo di attuazione è ancora breve per dare un giudizio di efficacia della Normativa Europea, che di fatto sarà primariamente basata sul numero<br />

di studi clinici realizzati e non solo presentati.<br />

Il mondo farmaceutico avrà bisogno di interlocutori che siano in grado di svolgere studi clinici secondo gli standard GCP. Ciò potrà essere realizzato<br />

attraverso le reti di patologia (nell’ambito delle Pediatria Ospedaliera e di Famiglia) esistenti oggi anche in Italia.<br />

Le Agenzie Regolatorie e gli organi di competenza regionali e nazionali dovranno contemporaneamente sostenere una ricerca indipendente onde<br />

evitare che l’unica ricerca clinica sia solo quella sostenuta dalle Aziende Farmaceutiche.<br />

In conclusione ritengo che la strada intrapresa certamente contribuirà al diritto del bambino di ricevere farmaci migliori, efficaci e sicuri come risultato<br />

di una pediatria sempre più basata sui risultati della sperimentazione e della ricerca.


tavola rotonda<br />

Box 2<br />

MODERATORE<br />

Prof. Andrea Biondi<br />

RELATORI<br />

Prof. Paolo Paolucci<br />

Dr. Nicolino Ruperto<br />

Prof. Paolo Rossi<br />

Direttore Clinica Pediatrica, Università Milano-Bicocca, Fondazione MBBM-Ospedale San Gerardo, Monza<br />

andrea.biondi@unimib.it<br />

Direttore Dipartimento ad Attività Integrata Materno Infantile (DAI 3) Direttore U.O. Complessa di Pediatria, Direttore<br />

U.O.Complessa di Ematologia, Oncologia e Trapianto di CSE – Azienda Ospedaliero-Universitaria, Policlinico di Modena.<br />

Dal 2008 è membro del PDCO in qualità di “Health Professional” ovvero “esperto di pediatria”: nel PDCO gli HP sono 4. La<br />

candidatura viene proposta alla Commissione Europea dall’European Paediatric Association (EPA-UNEPSA) e la scelta viene<br />

fatta su una rosa di candidati (circa 150) sulla base del CV.<br />

Il Dott. Nicolino Ruperto lavora attualmente come Dirigente Medico presso la Pediatria II dell’IRCCS G. Gaslini di Genova. Con<br />

il Prof. Alberto Martini ha fondato nel 1996 il Pediatric Rheumatology International Trials Organisation (PRINTO, www.printo.<br />

it) dove riveste la carica di Senior Scientist. Si occupa principalmente di sperimentazioni cliniche nell’ambito delle patologie<br />

reumatiche pediatriche.<br />

Direttore della Cattedra di Clinica Pediatrica – Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Direttore del Dipartimento Pediatrico<br />

Universitario Ospedaliero-Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma. Membro del Comitato Pediatrico presso l’EMA e<br />

dell’EnPrema.<br />

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