Associazione dei camperisti e
degli amanti del plein air del
Rapporti associativi con
Sede sociale
Via Rosolino Pilo n. 33
90139 Palermo
Tel 091.608.5152
Internet: www.pleinairbds.it
E-mail: info@pleinairbds.it
Facebook:
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pages/Club-Plein-Air-
BdS/167612983261417
Comitato di Coordinamento
Maurizio Karra (Presidente);
Giangiacomo Sideli (Vice Presidente);
Emanuele Amenta,
Pippo Campo, Vittorio Parrino,
Filippo Santonocito e Alfio
Triolo (Consiglieri); Mimma
Ferrante, Enrico Gristina,
Lorenzo Migliore, Mimmo
Romano, Gaetano Russo,
Giuseppe Eduardo Spadoni e
Mario Tomasino (Collaboratori)
Collegio sindacale
Filippo De Luca (Presidente);
Sergio Campagna ed Elio Rea
(Componenti)
Collegio dei Probiviri
Rino Tortorici (Presidente);
Giuseppe Carollo e Luigi
Pastorelli (Componenti)
IL CLUB n. 117 – pag. 2
IL CLUB
Anno XX n. 117 (marzo/aprile 2012)
Bimestrale di informazione per i soci del Club Plein Air BdS
Pubblicazione periodica a circolazione interna
inviata anche ad altre associazioni di campeggio e alla stampa
Responsabile editoriale
Maurizio Karra
Redazione
Mimma Ferrante, Giangiacomo Sideli e Alfio Triolo
Hanno collaborato a questo numero
Emanuele Amenta, Valerio De Luca, Larisa Ponomareva
e Giuseppe Eduardo Spadoni
In questo numero
Editoriale pag. 3
Vita del Club
Suggestioni normanne 4
Dove girano le palle... 8
A tavola con San Giuseppe 10
Una Pasqua da assaporare 13
Tecnica e Mercato
Superbo design 16
Una proposta imbattibile 19
Viaggi e Turismo
Sulle coste del Baltico 21
Suggestioni etrusche 28
Terra di Sicilia
I manieri di Mussomeli e Mazzarino 30
Il sapone di casa 32
Rubriche
Terza pagina 34
Il mio camper 35
Riflessioni 37
Internet, che passione 39
Musica in camper 41
News, notizie in breve 44
L’ultima parola 48
In copertina
“Immagini di Danzica” (Polonia) – foto di Maurizio Karra
Questo numero è anche on-line sul nostro sito Internet www.pleinairbds.it
A
rticolo 18: non si fa che
parlarne dappertutto, in ufficio o al
bar, nelle sedi della politica e alla villa
o dal barbiere anche fra i pensionati;
e non c’è quotidiano o settimanale o
telegiornale che non apra la sua edizione
senza fornire gli ultimi aggiornamenti
sulle norme, sulle interpretazioni,
sulle posizioni di questo o di
quell’altro politico, sindacalista, capitano
d’industria, ma anche attore o
uomo dello spettacolo.
Già, perché anche questo
serissimo argomento della vita sociale
ed economica della nostra povera
e martoriata Italia è entrato prepotentemente
nell’orbita dei talk-show,
della comicità e della satira, alimentato
da una sequela senza fine di aggiornamenti,
di fughe in avanti e di
precisazioni, tali da buttare benzina
su un fuoco che ormai arde senza fine.
Sappiamo tutti – lo abbiamo capito
senza tema di smentita – che è
l’Europa a dettare l’agenda della politica
e delle “riforme” nei vari Paesi, in
Grecia come in Spagna come in Italia,
e noi obbediamo, come gli altri. E
chi paga, qui come altrove, è sempre
l’anello più debole della catena. E ci
ridiamo pure sopra, date le battute
dei nostri comici!
Ma c’è (e ci sarà) ben poco
da riderci sopra quando la bufera annunciata)
si abbatterà su di noi, dopo
l’altro uragano di una riforma delle
pensioni che definire brutale è poco.
E tutto questo in un momento di crisi
economica che ha abbracciato tutto
l’occidente (e non solo) portando come
conseguenza a un aumento delle
Editoriale
tasse e a un forte freno della liquidità
di famiglie, banche e imprese, con la
conseguente contrazione dei consumi
e quindi – cane che si morde la coda
- della produzione; una crisi che non
ha eguali nella storia moderna se non
in collegamento a fatti bellici che al
solo pensiero terrorizzano ognuno di
noi. Altro che 1929! Qui, se va avanti
così, ci troveremo davvero tutti nella...
Non solo i precari e i disoccupati
(come molti dei nostri figli), ma anche
chi come tanti di noi pensava di
trovarsi in una botte di ferro perché
lavoratore dipendente di pubbliche
amministrazioni o di aziende con contratti
(ovviamente) a tempo indeterminato.
Ora tutto viene rimesso in
discussione: noi saremmo dei privilegiati,
e non possiamo continuare a
esserlo! La politica vive pure le sue
bufere, ma politici e amministratori
italiani sembrano divinità non toccate
da queste miserie, se non quando
uno scandalo li travolge. E gli scandali
stanno pian piano travolgendo
tanti...
Tutto questo con il camper
potrebbe non entrarci nulla, se non
fosse che sta aumentando pericolosamente
il ritmo delle richieste di
vendita dei propri mezzi anche da
parte dei nostri soci, appartenenti
almeno in teoria a una nicchia di
persone che dovrebbero sentirsi più
al sicuro dagli effetti di tutti questi
accadimenti. Segno non solo che la
crisi sta colpendo duro, ma che anche
il barometro “psicologico” che
abbiamo all’interno del nostro microcosmo
familiare tende al peggio,
con la conseguenza che alcuni preferiscono,
magari per lo scarso utilizzo,
disfarsi di un veicolo che rischia
di contribuire, per le spese comunque
necessarie al suo mantenimento,
a indebolire ulteriormente le finanze
personali. Anche a malincuore,
talvolta col magone e con le lacrime
addosso, il camper tanto agognato
prima di comprarlo finisce sacrificato
sull’altare delle priorità.
E d’altronde, costa troppo
usarlo nei fine settimana, costa ancor
di più per un viaggio distante,
costa comunque tenerlo anche fermo,
e allora è meglio tenerlo fermo,
muoversi solo ogni tanto e non più
con i ritmi di qualche anno addietro,
o al peggio disfarsene del tutto senza
pensarci più, cercando di recuperare
il più possibile dell’investimento
iniziale.
IL CLUB n. 117 – pag. 3
Che tristezza! Che rabbia!
Già, perché il camper è sempre stato
(e per me sempre sarà) uno strumento
di libertà, un manifesto veicolo
di fuga verso orizzonti lontani,
magari a due passi da casa, ma lontani
in senso anche metafisico. E rinunziare
a questa potenziale libertà
è davvero duro soprattutto per chi
ne ha goduto e ne ha tratto giovamento
fisico e psicologico, per sé,
per la propria famiglia, per gli amici...
Insomma, questa crisi che rischia
di travolgere ancor più le nostre
ataviche certezze e le nostre
ingenue speranze rischia anche di
toglierci questo piccolo sogno che è
il camper.
E rinunziare al camper o usarlo
solo poche volte nel corso
dell’anno per comprimere le spese
anche del solo gasolio, così alle stelle,
equivale a una rinunzia alla libertà e
alla capacità di poter tentare una
personale via di fuga da stress, problemi
e piatta quotidianità. E questo
ci trascina ancor più giù moralmente.
Con tutto ciò che comporta.
Per chi come noi fa parte di
un’associazione il rischio di dover rinunziare
anche alle amicizie createsi
negli anni è forte; e chi come me dirige
un associazione come la nostra,
questi assilli li ha quotidianamente
sentendo anche i discorsi che si fanno,
le preoccupazioni comuni, i
drammi in alcuni casi di licenziamenti
già avvenuti o temuti, a fronte dei
quali tenere il proprio camper in naftalina
o infine anche venderlo possono
diventare davvero soluzioni; e per
questo noi stiamo cercando di organizzare
eventi e manifestazioni a
basso costo e il più possibile vicino
casa. Nessuno ha la bacchetta magica,
ma è davvero difficile programmare
con questi patemi.
L’imminente festa per i
vent’anni del Club Plein Air BdS, che
il direttivo ha fissato a maggio prossimo
(e che vi prometto sarà davvero
una festa per tutti noi), coincide
proprio con questo momento difficile;
ma l’impegno di tutti noi è giungere
con serenità a questo appuntamento,
facendo sì che possa essere
goduto e condiviso da tutti nel
miglior modo possibile, allontanando
magari per un paio di giorni questi
tristi pensieri. Alla faccia delle pensioni
(che non arrivano) e di tutti gli
articoli diciotto di questo mondo!
Maurizio Karra
Suggestioni normanne
Un tuffo nelle atmosfere normanne di Palermo e di Monreale, dal magnifico duomo dei Benedettini
al Palazzo Reale e all’opulenta Cappella Palatina alla fortezza della Zisa
E’
proprio vero che non
bisogna allontanarsi troppo da casa
per scoprire le meraviglie che ci
circondano; affermazione che si è
rivelata più corretta che mai quando,
sabato 3 marzo, ci siamo dati
appuntamento davanti al magnifico
duomo di Monreale per dedicarci a
quello che ormai, secondo una tradizione
consolidata, si rivela come
uno degli appuntamenti più ap-
prezzati dai soci, durante il quale si
va alla scoperta della splendida Palermo,
spesso vilipesa dai nostri
governanti, che però, nonostante il
degrado tangibile, è ancora perfettamente
in grado di emozionarci
con le vestigia artistiche che testimoniano
la sua lunga storia di capitale
del Mediterraneo.
Anche questa volta la voglia
di esplorare la città era prepotente,
resa ancora più coinvolgente dalla
I nostri soci davanti al Duomo di Monreale
IL CLUB n. 117 – pag. 4
prima parte, dedicata a Monreale,
dove ad attenderci c’era una guida
d’eccezione, Monsignor Gaglio, Parroco
del Duomo, che ci ha permesso
di immergerci in modo totale
nella storia e nell’arte del prestigioso
monumento, senza trascurare gli
aspetti teologici per una comprensione
ben più profonda del magnifico
duomo. Così, grazie alle sue sapienti
spiegazioni che ci hanno affascinato
permettendoci di effettuare
una visita completa sotto diversi
punti di vista, ci siamo tuffati nelle
suggestioni normanne dell’insigne
monumento, in grado di togliere il
fiato per la sua bellezza.
Il complesso venne edificato
fra il 1174 e il 1185, per volere
del re normanno Guglielmo II; si
presenta con un prospetto serrato
da due poderose torri quadre, decorato
da una serie di archi intrecciati
e da tarsie in tufo chiaro e
pietra lavica, con un magnifico intreccio
di decori nella parte absidale
e un grandioso portale. Ma è sicuramente
l’interno del tempio a
destare la maggiore meraviglia,
grazie alle tre navate divise da due
file di nove colonne di granito, le
cui pareti sono letteralmente incrostate
da mosaici a fondo dorato
(ben 6.340 mq!) che catturano lo
sguardo, ipnotizzando quasi per la
loro incredibile bellezza; si tratta di
un eccezionale ciclo musivo che
narra il mondo secondo la Bibbia,
cominciando dalle sette giornate
della creazione e terminando con
le attività degli Apostoli, a cui nell'abside
si aggiunge il Cristo Pantocratore
con la corte celeste di angeli,
profeti e santi. Il soffitto, a
capriate lignee policrome fu ricostruito
nel 1816-37 dopo l'incendio
del 1811, su disegno dell'originale,
mentre il pavimento a dischi di
porfido e granito con fasce marmoree
intrecciate è in parte originale,
in parte del 1559.
Ma queste poche righe non
possono certo trasmettere la grande
emozione che si prova trovandosi
al cospetto di uno dei maggiori
cicli musivi del mondo, scandito
dall’oro che simboleggia la luce divina
e che con grande finezza ed
incisività ripercorre la tradizione
eligiosa del cristianesimo dal libro
della Genesi all’Apocalisse di Giovanni.
Si viene attratti dai volti finemente
incisi di santi, profeti e
patriarchi, dall’arca di Noè ricolma
delle creature di Dio, dalla nascita
di Adamo ed Eva che in un baluginio
d’oro provocano una sorta di
febbre emozionale in chi li guarda,
cui fa da contraltare il fregio musivo
con la raffigurazione di Guglielmo
II incoronato da Cristo, unica
in Occidente, che ci ricorda come
questa meraviglia sia nata grazie
alla voglia di potere di un re normanno,
che forse voleva imitare la
teofania immanente con la quale il
coevo Imperatore di Costantinopoli
viveva la sua missione regale.
Una delle scene della Genesi raffigurata
fra i quadri musivi del Duomo di
Monreale. In basso il Duomo visto
dal Chiostro Benedettino
Non meno emozionante si
è rivelata la visita dell’adiacente
chiostro a pianta quadrata che è
addossato al lato meridionale del
duomo. Tutti i nostri soci si sono
intrattenuti ad ammirare gli archi
ogivali poggiati su colonne binate
che si aprono sul giardino dell’ex
convento benedettino, dove con gli
Foto ricordo all’interno del Chiostro dei Benedettini di Monreale
occhi della fantasia sembra di vedere
ancora i monaci passeggiare
in questa sorta di eden terrestre,
cui fanno da contraltare le colonne
portanti arricchite dall'alternarsi
delle colonne binate lisce ed intarsiate
con, agli angoli, gruppi di
quattro colonne a rilievo, e dallo
splendore dei capitelli e degli abachi.
Ad uno degli angoli è visibile la
fontana con una vasca rotonda da
cui si innalza una colonna a forma
di palma, sormontata da una sfera
di marmo con figure in piedi, teste,
foglie a rilievo. Notevoli sono diversi
capitelli decorati con grande
maestria, come quello doppio
chiamato della Dedica, che mostra
Guglielmo II che offre il Duomo al
Bambin Gesù seduto in braccio alla
Madonna, o come quello con Adamo
ed Eva, la cacciata dal Paradiso
terreste, il Sacrificio di Isacco, in
un susseguirsi di religione, arte, e
storia strettamente intrecciate.
Dopo tanta cultura e tante
emozioni le cavallette targate BdS
sentivano il bisogno di rifocillare
anche il corpo, dopo avere nutrito
la mente e lo spirito; così la sosta
seguente presso il vicino ristorante
“La trattoria” sulla circonvallazione
di Monreale è stata raggiunta con
deciso entusiasmo. Qui i presenti si
sono gettati come autentici piraña
dapprima sugli ottimi e abbondanti
antipasti a buffet e quindi sulla pasta
con ragù e funghi, spazzolata a
tempo di record, per concludere
con caffè ed enormi porzioni di
dolce che gli ineffabili soci hanno
gradito al punto da divorarne anche
la più piccola briciola, in un
clima di grande ospitalità da parte
del gentilissimo personale.
IL CLUB n. 117 – pag. 5
Dopo una così gradevole
pausa si sono riprese le esplorazioni
cittadine, spostandosi al Palazzo
dei Normanni di Palermo; è
così, infatti, che viene chiamato il
Palazzo Reale voluto dai Normanni
nell’XI secolo, trasformato da fortezza
in reggia nel secolo seguente;
il complesso, dopo numerose
metamorfosi, che hanno visto sfilare
tra le sue mura la corte di Federico
II e quella dei vicerè spagnoli,
ai giorni nostri ospita la sede
dell’assemblea regionale siciliana.
Il primo piano ospita un’altra chicca
lasciataci dai normanni, la cosiddetta
Cappella Palatina, che è
l’esempio più elevato dal punto di
vista storico-artistico, della convivenza
tra culture, religioni e modi
di pensare apparentemente inconciliabili,
dato che furono coinvolte
dalla sapiente gestione del potere
di Ruggiero II, maestranze bizantine,
musulmane e latine.
La Cappella sorse per sintetizzare
le necessità liturgiche del
rito latino e di quello greco; e
l’immagine di maggiore impatto è
il Pantocratore benedicente, presente
nella cupola, esattamente realizzato
secondo i più classici canoni
bizantini. Immagini di Santi e Padri
della Chiesa sono presenti nei pilastri
e negli intradossi degli archi,
mentre nelle navate laterali, decorate
sotto Guglielmo I, sono narrati
episodi della vita di San Pietro e di
San Paolo ed in quella centrale gli
eventi dell’Antico Testamento. Il
candelabro in marmo per il cero pasquale,
addossato all’ambone, è
un’elegante scultura da attribuire
probabilmente ad artisti legati alla
cultura del nord Italia.
Le maestranze arabe eseguirono
il soffitto a muqarnas che
sovrasta la navata centrale, pregevole
ed unico esempio al mondo
di decorazioni pittoriche islamiche
con rappresentazioni di figure
umane all’interno di un luogo di
culto. Anche qui i mosaici dorati
che si inseguono lungo tutte le
pareti ci hanno letteralmente “fatto
ubriacare” di bellezza, facendoci
sprofondare in una sorta di sogno
ad occhi aperti in cui il misticismo
si riverberava in
un’espressione di altissimo valore
artistico. E pensare che anche
questa meraviglia è a pochi passi
da casa, almeno per i soci palermitani!
La visita è proseguita al secondo
piano con l’esplorazione degli
Appartamenti Reali, che dopo quasi
un millennio di rifacimenti e di adattamenti
ci ha permesso soltanto
di intuire come doveva essere il palazzo
all’epoca dei normanni; infatti
abbiamo attraversato un insieme di
opulenti saloni del ‘700-‘800 tra cui
spicca la fastosa Sala d’Ercole, che
prende il nome dagli affreschi che
mostrano le fatiche di Ercole; al suo
interno si riunisce il parlamento regionale
siciliano, mentre accanto ad
essa è poi visibile la sala con i ritratti
dei governanti che si sono
succeduti nel corso dei secoli a capo
della Regione, oltre a vasti saloni di
rappresentanza come la Sala rossa
e quella gialla.
Ma il momento più emozionante
è stato certamente all’interno
della torre Ioaria, superstite dell’originario
sistema di torri normanne,
dalla quale si accede alla sala più
preziosa del palazzo, quella dedicata
a Ruggiero, che ospita un magnifico
tetto completamente ricoperto
da mosaici dorati che mostrano
scene di caccia, eseguite
dalle stesse maestranze bizantine e
musulmane che decorarono la Cappella
Palatina. E ritrovarsi a guardare
queste scene di grande impatto
ed unicità ci ha davvero permesso
di guardare indietro fino all’epoca
dei normanni, come se per un attimo
una sorta di macchina del tempo
ci avesse proiettati indietro nel
tempo fino a mille anni fa.
Stimolati da questo affascinante
tuffo nel passato ci siamo
quindi diretti verso un’altra importante
tappa delle tracce normanne
a Palermo, la Zisa; il suo nome in
arabo, el aziz, significa la magnifica,
ma non si tratta di un edificio
arabo: è un maestoso palazzo in
In alto i nostri soci davanti al Palazzo dei Normanni
In basso l’interno della Cappella Palatina
stile arabo iniziato dal re normanno
Guglielmo I nel 1160 e concluso
da Guglielmo II. Si tratta di un alto
e compatto edificio rettangolare
merlato e fiancheggiato da torrette
quadrate al centro dei lati minori,
che un tempo doveva essere circondato
da rigogliosi giardini e animali
esotici, secondo il modello
dei palazzi arabi.
Recentemente è stato restaurato
e la sua visita è davvero
interessante, dato che sono visibili
enormi ambienti in pietra dove in
alcuni punti sono state lasciate a
vista, protette da spessi vetri, le
mura più antiche, laddove si sono
conservate, cui fanno da contrappunto
enormi finestre a traforo. Al
suo interno è ospitato il Museo
della Civiltà islamica, che mostra
diversi manufatti in bronzo con
incisioni cufiche, che rimandano al
tempo in cui Palermo era una città
IL CLUB n. 117 – pag. 6
araba, maioliche altomedievali,
lastre in marmo che mostrano le
quattro lingue “ufficiali” al tempo
dei normanni, e cioè il latino, il
greco, l’arabo e l’ebraico, oltre a
manufatti islamici come i bellissimi
musciarabia, i paraventi di legno
a grata finemente intarsiati.
Un decoro musivo del Castello
della Zisa, spesso scambiato per
un edificio del periodo arabo: la
costruzione, invece, fu iniziata dal
re normanno Guglielmo I e conclusa
dal successore Guglielmo II
Il complesso, dopo i lavori
di restauro, è stato nuovamente
circondato da un giardino costituito
da uno spazio verde diviso a
metà da un canale in marmo
bianco che collega un sistema di
vasche d’acqua, che si sviluppa
per circa 130 metri in asse col
portale del palazzo, ricreando così
l'antico canale che in epoca normanna
scorreva sotto i pavimenti,
assicurando frescura anche
nelle torride giornate estive e che
proseguiva fino alla Sala della
Fontana, situata all'interno del
palazzo e autentico nucleo della
costruzione.
Di questa si ammirano
ancora gli stupendi mosaici islamici
con scene di caccia e di pavoni
che si rifanno alla Sala di
Ruggiero del Palazzo Reale, da
Foto ricordo davanti la Sala delle Fontane della Zisa. In basso una lapide
del Museo della Civiltà Islamica che mostra le quattro lingue ufficiali
al tempo dei normanni: latino, greco, arabo ed ebraico
IL CLUB n. 117 – pag. 7
Il castello della Zisa
decorazioni con muqarnas in pietra
agli angoli delle pareti e da affreschi
seicenteschi che, oltre a
mostrare lo stratificarsi storico ed
artistico dei secoli, permettono
anche di ammirare i celebri “diavoli
della Zisa”. Si tratta di una
raffigurazione situata sull’arco che
introduce alla Sala della fontana
in cui sono visibili varie figure
che, a seconda della prospettiva
in cui si guardano, sembrano mutare
di numero e che per questo
nella tradizione palermitana sono
paragonati a qualcosa che non si
può contare: “Quanti sono i diavoli
della Zisa”.
A questo punto non ci è
rimasto che svegliarci da questo
magnifico sogno ad occhi aperti
che ci ha concesso l’immersione
nelle suggestioni normanne della
splendida Palermo, ritornando alla
realtà contemporanea decisamente
meno ammaliante; e così,
immersi nel traffico selvaggio
della città, ci siamo dati appuntamento
al prossimo affascinante
tuffo nel passato che Palermo saprà
riservarci appena ne avremo
l’occasione. D’altronde, la nostra
città merita davvero di essere
conosciuta anche da noi palermitani
che ci viviamo, ma queste
passeggiate a tema sono anche
l’occasione per ospitare nel capoluogo
siciliano i nostri soci residenti
in altre città dell’Isola e che
sono desiderosi di visitare uno
dei luoghi più affascinanti del
Mediterraneo.
Mimma Ferrante
e Maurizio Karra
Dove girano le palle...
Un appuntamento consolidato a ogni inverno è ormai quello presso il bowling “La Favorita”
di Palermo, dove i nostri soci si lanciano in appassionanti tornei, con la partecipazione anche
dei nostri ragazzi che una volta tanto partecipano numerosi
O
rmai è un appuntamento
irrinunciabile, al quale ci si
prepara (psicologicamente) settimane
prima, pregustandolo e organizzandosi,
senza però allenarsi
quasi mai, al punto che dopo un
paio di partite gli “atleti” cominciano
a lamentare dolori alla schiena,
ai polsi, alle braccia... Parliamo del
torneo di bowling che ormai da anni
appassiona i nostri soci con i vari
componenti delle loro famiglie, al
punto che in questa occasione si
rivedono anche i ragazzi che, una
Alcuni momenti delle gare
volta tanto, seguono volentieri i
“matusa” per partecipare al torneo,
al quale assiste poi un vasto
pubblico di ulteriori familiari con un
tifo da stadio, a fronte di una sana
e divertente competizione che è in
grado di alleggerire i pesi della
routine settimanale. Perchè, inutile
negarlo, qui, più che altrove, di
palle ne girano tante, di tutti i colori
e di tutti i pesi, ma almeno ci si
diverte...
Così anche quest’anno la
mattina di domenica 4 marzo, dopo
aver goduto il giorno preceden-
IL CLUB n. 117 – pag. 8
Le classifiche finali
Torneo maschile Punti
Neri Antonino 359
Parrino Vittorio 358
Campo Giuseppe 357
Karra Marcello 347
Pitré Giovanni 338
Bonsangue Francesco 336
Campagna Sergio 335
Rea Elio 329
Pastorelli Luigi 328
Sideli Pietro 322
Scordato Daniele 313
Santonocito Filippo 297
Neri Salvo 290
Luca Maurizio 284
Inzerillo Pietro 280
Messina Pietro 278
Scordato Annibale 275
Karra Maurizio 271
Pastorelli Alfredo 271
Bonura Giuseppe 269
Pastorelli Luca 253
Sideli Giangiacomo 250
Spadoni Eduardo 226
Torneo femminile Punti
Campagna Irene 322
Campagna Chiara 312
Catalano Gabriella 282
Lianzi Alessia 257
Santonocito Radha 243
Piazza Elvira 240
Amari Rita 230
Preiti Lisa 225
Compagno Antonella 221
Tocco Giuseppina 198
Restivo Anna 190
Lo Presti Angela 184
Pluchino Maria Grazia 159
Gioé Rosy ritirata
Neri Valentina ritirata
Torneo juniones Punti
Pastorelli Davide 299
Scordato Simone 252
te delle bellezze architettoniche di
Palermo e Monreale, ci siamo incontrati
presso il Bowling della Favorita
per disputare la settima edizione
del torneo di bowling del
Club, cui hanno partecipato numerosi
soci nella categoria maschile,
femminile e juniores, dando vita a
diverse squadre che hanno visto
fronteggiarsi “adulti”, “anziani” e
“ragazzi” che si sono lanciati uno
strike dopo l’altro per tre gare,
mettendo a dura prova i muscoli,
le ossa e i tendini di persone che
si trasformano spesso una tantum
in giocatori che si sentono professionisti
(ma che figura…). Ma ciononostante
l’entusiasmo è sempre
alle stelle; si provano nuovi tiri, si
cercano di correggere gli errori, si
tentano nuove tattiche, con il risultato
che nel corso degli ultimi
tornei si è assistito ad un generale
miglioramento delle prestazioni di
gioco da parte un po’ di tutti i partecipanti.
Questa volta, mettendo in
pratica quanto già era stato deciso
l’anno scorso, i vincitori della volta
precedente sono stati gravati di un
modesto handicap, con relativa
sottrazione di punteggio alla partenza,
per far sì che i più bravi non
prendessero troppo vantaggio fin
dai primi tiri rispetto agli altri; ma
alla distanza i migliori sono comunque
venuti fuori, rinnovando in
alcuni casi la vittoria ottenuta
l’anno precedente. Anche se è
sempre più difficile incontrare delle
“schiappe”, dato che comunque il
miglioramento di tutti è palese e lo
stimolo a dare il meglio di sé è ben
I vincitori del torneo maschile: Nino Neri, Vittorio Parrino e Pippo Campo.
In basso le vincitrici di quello femminile: Irene Campagna, Chiara
Campagna e Gabriella Catalano. A sinistra, Davide Pastorelli, vincitore
del torneo juniores
visibile nel corso delle agguerritissime
partite.
Dopo la conclusione delle partite, a
fine mattina, poco prima delle
premiazioni, si è dato il via alla
vendita per beneficenza delle gardenie
dell’AISM, il cui presidente
palermitano è il nostro socio Marcello
Oddo, quale concreto contributo
dei soci nella lotta alla sclerosi
multipla; e generosamente i soci
presenti hanno subito comprato
tutti gli esemplari disponibili, dando
volentieri il loro contributo per
una causa così importante.
Infine è giunto il momento
di salire sul podio per i vincitori
dell’edizione 2012, che ha visto il
torneo maschile vinto da Nino Neri,
nonostante l’handicap iniziale,
mentre al secondo e al terzo posto
si sono classificati Vittorio Parrino
e Pippo Campo; il torneo femminile
è stato vinto invece da Irene Cam-
IL CLUB n. 117 – pag. 9
pagna, seguita al secondo posto
dalla sorella Chiara, mentre al terzo
posto si è classificata Gabriella
Catalano; il torneo dei più piccoli è
stato infine vinto da Davide Pastorelli.
E così, dopo le foto di rito
con la consegna dei trofei,
quest’anno più in linea che mai con
il torneo, dato che erano decorati
con i birilli, ci si è dati appuntamento
al torneo 2013, cominciando
a prepararsi psicologicamente
alle prossime gare e raccomandandosi
di tenersi in allenamento,
perchè la prossima volta si deve
essere tutti più in forma che mai,
per fare adeguatamente girare le
palle in modo sempre più organizzato...
Mimma Ferrante
e Maurizio Karra
A tavola con San Giuseppe
A metà marzo siamo andati alla scoperta di Valguarnera Caropepe e delle suggestive tavolate
di San Giuseppe che, insieme a numerose altre manifestazioni, allietano la cittadina
all’arrivo della primavera
P
er fortuna le stagioni si
susseguono una dopo l’altra e così
anche quest’anno, dopo un inverno
decisamente rigido anche alle nostre
latitudini isolane, è arrivata la
bella stagione e la possibilità di
entrare nel vivo dell’utilizzo dei
nostri mezzi. Per festeggiare
l’arrivo del bel tempo ci siamo recati
nel centro della Sicilia, puntando
la rotta verso la cittadina di
Valguarnera Caropepe, situata in
provincia di Enna, per assistere
alle coloratissime tavolate di San
Giuseppe, emblema di religiosità,
ma anche di risveglio della natura
dopo il forzato letargo invernale.
L’appuntamento per i camper
era tra il pomeriggio di venerdì
16 e la mattina di sabato 17 marzo
nel cortile della scuola Mazzini
e nelle strade circostanti, nel cuore
del centro storico del paese. Fin
dall’arrivo i partecipanti si sono
ritrovati immersi in un’atmosfera
di festa, con la sagra della ricotta
e il mercatino artigianale che hanno
richiamato numerosi turisti,
soprattutto in camper, un po’ da
tutta la Sicilia, complice anche la
temperatura decisamente piacevole
che si è protratta per tutto il
week-end, come avevano assicurato
le previsioni meteorologiche.
Le esplorazioni cittadine
sono cominciate fin da subito, alla
scoperta di questo simpatico borgo
agricolo circondato da coltivazioni
di grano, mandorle e nocciole,
il cui nome completo, Valguarnera
Caropepe, deriva dal dialetto
Carrapipi che è l’omonimo colle su
cui sorge l’abitato, affiancato da
Valguarnera nel XIV secolo, in ricordo
del feudatario Tommaso
Valguarnera che ne fu il fondatore.
Tra le sue peculiarità vi è il dialetto
che si rifà alla componente gallo-italica,
con un miscuglio di influenze
fonetiche che fonda le proprie
radici sul greco antico, rivisitato
attraverso il latino, lo spagnolo
e l’arabo, a testimonianza delle
numerose migrazioni avvenute in
zona, come quella proveniente dal
nord dell’Italia. Sia la particolare
cadenza fonetica che il nome del
paese hanno alimentato il folclore
isolano, soprattutto dopo la fortunata
commedia di Nino Martoglio,
“L’aria del continente” che aveva
come protagonista Concetta Cafiso,
alias Milla Milord, una “carrapi-
IL CLUB n. 117 – pag. 10
pana” che voleva farsi passare per
“continentale”.
Le sue origini sono molto
antiche, al punto che il territorio
circostante è costellato da villaggi
preistorici e sepolture funerarie.
I nostri soci davanti alla chiesa di San Giuseppe. In basso la “cena” in
onore della Sacra Famiglia allestita nella canonica della chiesa
Ma anche l’abitato attuale offre diversi
monumenti di pregio, come
le diverse chiese presenti, che si
innalzano tra una pendenza e
l’altra, dato che il paese è costruito
su un insieme di colline e si allarga
su alcune vaste piazze che si contrappongono
a stretti vicoli di im-
Foto ricordo all’interno della Chiesa Madre. Nelle foto in basso
la visita ad altre tavole di San Giuseppe allestite nel paese
IL CLUB n. 117 – pag. 11
pronta medievale. Infatti a ridosso
dell’ariosa piazza Garibaldi, autentico
crocevia cittadino da cui partono
un insieme di strade, si innalza
la chiesa di San Giuseppe, costruita
all’inizio del ‘900 su una
maestosa scalinata che domina il
paese; al suo interno si può ammirare
la bella statua di San Giuseppe,
che viene portata in processione
nel corso della sua festa, mentre
nella sagrestia a fine mattina di
sabato era già imbandita, in occasione
della manifestazione, una
sontuosa Tavolata di San Giuseppe,
arricchita da forme di pane modellato
con immagini sacre e simboli
del falegname, oltre a tante leccornie,
dai dolci alle frittate con verdure,
al piatto tipico locale della festa,
la pasta con la mollica e il miele.
Il parroco della Chiesa ci
ha spiegato che è tradizione che
queste tavolate vengano preparate
dai devoti come ex-voto, anche se
nascono da un rito antico che si rifà
al mito di Persefone e al risveglio
della natura dopo il riposo forzato
dell’inverno. Si tratta di un’offerta ai
poveri, cui partecipano diverse figure
chiave della vita di Gesù, chiamate
i Santi: Giuseppe, la Madonna e il
Bambino che consumano la cena,
offerta in loro onore, e composta da
numerose portate, che alla fine viene
aperta a tutti. E la tavolata, preparata
anche in numerose case cittadine,
si trasforma così in un altare
devozionale composto da diversi
gradoni ricoperti con lini ricamati su
cui sono visibili i pani votivi, i cosiddetti
pupidda, plasmati secondo
precise forme simboliche, su cui
campeggia il quadro di san Giuseppe.
Tutto attorno, come dicevamo,
sono visibili un insieme di sfiziosi
dolci con l’effigie del santo e numerose
leccornie che hanno lasciato
attonite le nostre cavallette, costrette
per una volta a guardare e
non toccare, con un’autentica tortura
di Tantalo. In chiesa vi erano anche
i cosiddetti mbraculi, ceri gialli
infiorati che vengono accesi e portati
al seguito della processione per
implorare grazie o come ex-voto, in
un continuo miscelarsi di religiosità
e tradizione.
La tappa seguente del nostro
giro è stata presso la Chiesa
Madre, dedicata a San Cristofero,
come viene chiamato il patrono della
cittadina nella parlata locale, al
cui interno ci attendeva Matteo, un
simpatico boy scout dodicenne che
con grinta e simpatia ci ha illustrato
la chiesa, eretta all’inizio del ‘600
dai principi di Valguarnera, particolarmente
devoti al santo; il suo interno
è riccamente decorato da
stucchi colorati e ospita la pregevole
statua del patrono e l’opulenta
cappella del SS. Sacramento, con
un altare su cui è visibile l’Ultima
Cena e il tetto affrescato.
Quindi, attraverso le stradine
acciottolate in decisa pendenza
del paese, ci siamo diretti verso
la chiesa di Sant’Anna, situata su
uno dei punti più elevati a ridosso
delle antiche mura cittadine, con
una facciata in pietra arenaria e un
campanile con una cupola ricoperta
di maioliche, che ospita un pregiato
crocifisso del ‘600 in cartapecora
e legno, chiamato “della buona
nuova”.
Ma le esplorazioni della cittadina
non potevano trascurare gli
ottimi dolci locali, guarniti in particolare
con la ricotta, e la salsiccia
e le provole tipiche, che hanno almeno
un po’ consolato le nostre
cavallette del mancato assaggio
alle tavolate di San Giuseppe. La
serata del sabato si è conclusa in
pizzeria dove i presenti hanno divorato
delle pizze non propriamente
...paradisiache, consolandosi
con la reciproca compagnia, prima
di tornare all’”accampamento” nei
pressi della scuola Mazzini.
La Sacra Famiglia in processione
La mattina della domenica,
sorta anch’essa sotto uno splendido
sole, ci siamo recati nuovamente in
piazza Garibaldi, dove abbiamo assistito
alla processione della Sacra
Famiglia, con Giuseppe che portava
in mano un bastone con il giglio,
simbolo di purezza, la Madonna con
Una sala del museo etno-antropologico di Valguarnera
In basso cavalli in libertà fra i numerosissimi camper giunti in paese
un mantello ricamato e una corona
d'argento e Gesù Bambino con in
testa un’aureola, preceduta dalla
banda e seguita dalla folla che in un
turbinio di suoni e di colori porgeva
i ceri ricoperti di fiori di carta, in un
clima di festa paesana condita da
misticismo e religiosità; al termine
della quale la Sacra Famiglia ha
presenziato alla Messa nella chiesa
di San Giuseppe e, al termine, si è
finalmente seduta alla tavola allestita
nella canonica.
Anche di domenica era possibile
visitare le diverse tavolate di
San Giuseppe messe a disposizione
da parte di varie famiglie, nei pressi
di una delle quali vi era un interessante
palazzo nobiliare, Palazzo
Prato, decorato da pregevoli affreschi
di impronta liberty, al cui interno
è ospitato il Museo etnoantropologico,
che conserva gli oggetti
della vita popolare contadina
IL CLUB n. 117 – pag. 12
dell’800, con esposizioni dedicate al
lavoro agricolo, alla produzione del
pane e all’abitazione, oltre ad una
mostra fotografica permanente in
ricordo dei numerosi valguarneresi
emigrati in tutto il mondo in cerca
di lavoro e di una vita migliore.
La mattinata si è conclusa
con la sfilata dei cavalli bardati che
recavano le offerte di grano a San
Giuseppe, montati da cavallerizzi
in costume dell’800, in piena atmosfera
bucolica tutta da godere.
E poi non c’è rimasto che tornare
ai camper e consumare il pranzo
domenicale, prima di riprendere la
rotta verso casa, grati di questo
tuffo nel cuore della Sicilia che ci
ha permesso di toccare con mano
le nostre radici più autentiche.
Mimma Ferrante
e Maurizio Karra
Una Pasqua tutta da assaporare
Tra il 6 e il 9 aprile ci siamo recati al parking Lagani di Giardini Naxos, dove abbiamo fatto
base per il piacevole raduno di Pasqua, alla scoperta della processione del Venerdì Santo
della vicina Taormina e del suggestivo castello di Calatabiano, dove abbiamo anche assaporato
un ottimo pranzo pasquale in una location d’eccezione
L
e previsioni per il raduno
pasquale erano ottime: un
punto base decisamente comodo e
funzionale come il parcheggio Lagani
di Giardini Naxos, la possibilità
di assistere alla toccante processione
del Venerdì Santo di Taormina,
oltre alla visita di Castelmola per
chi era interessato, per concludere
con l’esplorazione del suggestivo
castello di Calatabiano, dove si sarebbe
consumato anche il pranzo
pasquale; e questa sapiente organizzazione
era dovuta al nostro
consigliere Vittorio Parrino che si
era impegnato a cercare per
l’occasione manifestazioni, località
da scoprire e punti base. Peccato
però che alla vigilia della partenza
proprio Vittorio ed Elisabetta siano
dovuti rimanere a casa per un brutto
virus influenzale, lasciando ai soci
partecipanti al raduno il piacere
di godere di una Pasqua davvero
ben concepita.
Già da giovedì 5 aprile i primi
soci si sono presentati all’appuntamento
nell’area camper Lagani,
pronti a coniugare relax, piacevole
Un angolo di Taormina e un momento della Processione del Venerdì
Santo che si svolge lungo Corso Umberto nel più assoluto silenzio, accompagnata
da oltre duecento donne vestite a lutto
IL CLUB n. 117 – pag. 13
compagnia ed esplorazioni del territorio
circostante, in un mix che si è
rivelato perfettamente riuscito, come
ha confermato il numero delle
presenze. La prima tappa “ufficiale”
è stata però nel pomeriggio del Venerdì
Santo, quando i soci presenti,
a bordo di due pullman prenotati per
l’occasione, sono saliti alla vicina Taormina
per una passeggiata nel suo
centro storico e quindi, al calar del
sole, per assistere alla toccante processione
del Cristo Morto.
Se Taormina è una meta
bellissima e conosciuta da tutti i nostri
soci, la sacra manifestazione del
Venerdì Santo, per altro poco conosciuta
ai più, è stata a detta di tutti
una vera scoperta, per l’assoluto
drammatico silenzio in cui si svolge
e per l’utilizzo di fiaccole e ceri che
illuminano tutta la cittadina mentre
le luci moderne vengono spente.
Altre due immagini della processione
del Venerdì Santo
A fine serata il gruppo dei
nostri soci, toccato profondamente
dalla sacralità della processione, è
rientrata all’accampamento, sempre
a bordo dei pullman, commentando
proprio il clima di toccante
spiritualità che ha animato le oltre
due ore del silenzioso percorso.
La Processione dei
Misteri di Taormina
Particolarmente suggestiva
è stata la processione del Venerdì
Santo a Taormina, che segue la
tradizione religiosa della sacra rappresentazione
della Passione di Gesù
Cristo, meglio conosciuta come
la “Processione dei Misteri del Venerdì
Santo”.
Immediatamente dopo il
tramonto la processione interessa
l’intero centro storico della città ed
in particolare il Corso Umberto: la
strada principale di Taormina, per
l’occasione, piomba nel buio e
nell’assoluto silenzio; i personaggi
della processione, le statue e
le “vare” provenienti da tutte le
chiese cittadine, sfilano illuminate
esclusivamente da torce, proprio
come nella tradizione. Una delle
particolarità della cerimonia riguarda
la partecipazione delle donne;
infatti sono tutte vestite di nero in
segno di lutto e seguono il Cristo
lungo tutto il percorso della processione,
con candele accese portate a
mano. Moltissime anche le bambine,
vestite di bianco, che accompagnano
il mesto corteo.
Suggestivo è il solenne incontro
con la Madonna; dopo una
prima sosta in Piazza Duomo, la
processione prosegue lungo il corso
Umberto fermandosi poi in Piazza
Santa Caterina: qui breve sosta e
momento di preghiera. Successivamente
rientro di Gesù alla Colonna
nella chiesa di Sant’Antonio e
delle statue dell’Ecce Homo, del
Crocifisso, del Gesù morto e della
Madonna nelle rispettive chiese.
Emanuele Amenta
Anche il sabato è stato dedicato,
per chi ne era interessato,
alla visita approfondita di Taormina
e di Castelmola, raggiunte questa
volta con i normali bus di linea.
D’altra parte come rinunciare
all’esplorazione di due cittadine tra
le più belle e famose del versante
jonico siciliano? Infatti non è difficile
comprendere come negli ultimi
due secoli migliaia di turisti si siano
avvicendati lungo le strette stradine
del borgo medievale di Taormina,
ammirando le sue chiese e godendo
delle sue magiche atmosfere;
d’altro canto questo è ormai uno
dei luoghi simbolo della Sicilia, qua-
si un’isola di roccia sospesa
nell’orizzonte jonico, intessuta delle
tracce del suo lungo passato intriso
di storia e di arte, e per questo universalmente
nota come “la perla
dello Jonio”.
L’interno della chiesa di Santa Caterina
addobbata con l’Ultima Cena
Oltre al suo consueto pittoresco
impianto medievale, ai suoi
palazzi nobiliari scanditi dagli intarsi
in pietra lavica e arenaria e le ricchissime
botteghe di artigianato e
alle pasticcerie che mettono in mostra
dolci di marzapane, il clima pasquale
di Taormina si avvertiva nei
sepolcri allestiti sia nelle piazze che
all’interno delle chiese; come quello
magnifico della chiesa di Santa Caterina,
accanto a Palazzo Corvaja, il
cui altare mostrava anche una
IL CLUB n. 117 – pag. 14
commovente ricostruzione
dell’Ultima Cena con pani decorati.
Non meno coinvolgente è
Castelmola, raggiunta da alcuni soci
sempre in pullman nel corso del
week-end nonostante il forte vento
che ovviamente si faceva sentire
soprattutto dall’alto della rupe su
cui il paesino è abbarbicato;
d’altronde il borgo fu eretto per difendere
proprio Taormina da possibili
attacchi perpetrati alle sue spalle
e quindi la sua posizione è davvero
preminente. Qui, oltre ai resti
del castello e alla parrocchiale di
San Nicolò di Bari, l’interesse è dato
dal bar Turrisi, famoso perché, oltre
a produrre fantastiche granite e un
ottimo vino alla mandorla, ospita
nei suoi locali una particolarissima
collezione di artigianato siciliano e
di …sculture falliche, in omaggio al
culto dionisiaco di ellenica memoria.
Dopo aver così piacevolmente trascorso
la giornata del sabato i presenti
si sono dedicati alla cena, alla
quale qualcuno ha fatto seguire anche
la messa della mezzanotte.
Il giorno di Pasqua è stato
salutato da un abbassamento della
temperatura con l’ulteriore aumento
del già forte vento, che non ha
scoraggiato i presenti dall’effettuare
una passeggiata sul lungomare
di Giardini Naxos e, per chi
non vi aveva assistito nella notte, a
partecipare alla messa pasquale;
prima di salire a mezzogiorno sui
pullman alla volta del vicino castello
di Calatabiano, che si innalza su
una rocca di grande suggestione, in
un insieme di scenografiche rovine,
resti di cortina muraria e tracce di
torri che raccontano secoli di storia
ed epiche battaglie.
Foto ricordo dei nostri soci al Castello di Calatabiano
Il gruppo dei nostri soci vi
ha potuto accedere a piccoli gruppi
usufruendo del modernissimo ascensore
su rotaia che copre l’irta
salita in una manciata di minuti,
permettendo di ritrovarsi senza fatica
alle pendici di questa sorta di
nido di aquile di pura roccia che si
innalza su uno strapiombo vertiginoso
tra mare e cielo. Prima di esplorare
degnamente questo ennesimo
gioiello della nostra terra i
presenti si sono dedicati al pranzo
pasquale, allestito in un paio di sale
racchiuse tra vetro e acciaio e circondate
dai ruderi del maniero, con
un effetto decisamente inusuale.
Qui le cavallette BdS, trasformate
per l’occasione in piranha,
hanno affilato denti e mandibole
per divorare l’ottimo pranzo che
veniva loro presentato, a base di
carpaccio di carne, bresaola, funghi
e rucola, tortino di lasagnette al pistacchio,
maccheroni freschi ai funghi,
salsiccia, maiale, crocchette e
insalata, il tutto innaffiato da un ottimo
vino rosso e coronato da un
sublime semifreddo alle mandorle e
cioccolato fondente che ha lasciato i
presenti letteralmente estasiati.
In queste eccellenti condizioni
di spirito (e di carne), si è dato
quindi il via all’esplorazione del
castello, grazie alla sapiente visita
guidata effettuata dall’architetto
Daniele Raneri che ha diretto i lavori
del suo recente restauro. Lo scenografico
sito ha una storia ultramillenaria,
dato che fu occupato fin
dati tempi della colonizzazione greca
con funzione di montagna sacra
grazie alla costruzione di alcuni
templi, mantenendo questa funzio-
ne fino all’epoca dell’impero romano.
In seguito venne trasformato in
una roccaforte dai bizantini, che ne
fecero una fortezza inespugnabile
con tanto di cortina muraria, torri,
cisterne, cappella e tutto quanto ne
rendeva possibile l’autonomia anche
in caso di assedio, tanto da essere
stato uno dei castelli che maggiormente
resistette ai successivi
dominatori arabi. In seguito arrivarono
i normanni e gli aragonesi, ma
le battaglie e gli intrighi continuarono
a perpetuarsi tra le sue mura
fino al rovinoso terremoto del 1693,
in seguito al quale cadde in rovina,
fino ai recenti restauri che permettono
di riprendere la sua fruizione.
Ai giorni nostri è ancora in
buono stato la chiesetta eretta ai
piedi del castello, così come la maestosa
scalinata che veniva usata
per salire a cavallo, e la cortina muraria,
mentre restano soltanto brani
di torri, oltre alla cappella palatina
in parte ricostruita e ad un vasto
salone caratterizzato da un arco in
pietra chiara. Del complesso fanno
parte anche un insieme di locali secondari,
di scalinate, di cisterne al
cui interno sono stati trovati ben
300 cadaveri, morti forse in seguito
ad un’epidemia di vaiolo, oltre ai
resti dei templi greci con anfore in
cui è stato trovato un tesoretto di
antiche monete greche; inoltre è
venuto alla luce anche il simbolo di
un pesce, segno della frequentazione
del sito anche durante il periodo
paleocristiano, e altri due scheletri
che al carbonio 14 hanno rivelato di
appartenere all’840, con le sembianze
di un vichingo appartenente
alla guardia del castello, e al 1450,
Alcuni nostri soci durante il pranzo pasquale al castello di Calatabiano
IL CLUB n. 117 – pag. 15
con il corpo di un giovanetto forse
figlio del signorotto locale, Giovanni
Cruillas. Nomi, luoghi, leggende che
ben testimoniano il lungo iter storico
che da migliaia di anni ha impregnato
queste “vecchie pietre”, tirate
su con tecniche arcaiche, ma che
hanno retto bene allo scorrere irresistibile
del tempo.
Ancora un’istantanea della visita
dei nostri soci al castello
Con gli occhi e la mente pieni
di questo scenario di grande fascino,
tornare verso l’ascensore e la costa è
stato come risvegliarsi da un sogno
ad occhi aperti e il ritorno in pullman
all’area camper si è svolto in un silenzio
soddisfatto, cui è seguita una
tranquilla serata casalinga, prima di
tuffarsi tra le amorevoli braccia di
Morfeo per il sonno del giusto.
Peccato che il tempo ha
continuato ad essere sgradevole,
con pioggia, un forte vento ed un
calo della temperatura di circa 10
gradi, tanto da rovinare ai più la
Pasquetta; molti soci infatti hanno
preferito fare rientro la mattina
stessa del lunedì anziché tentare
un’improbabile “arrustuta” open
air; ma sia per i soci che hanno
preferito tornare a casa, sia per
quelli che sono rimasti a godersi gli
ultimi scampoli di vacanza, è stata
comunque un’esperienza davvero
tutta da assaporare fino all’ultimo.
Testo di Mimma Ferrante
Foto di Maurizio Karra
e Larisa Ponomareva
A
nche se il periodo di
crisi indurrebbe a non lanciare sul
mercato nuovi e innovativi prodotti,
in attesa di un’inversione di
tendenza, è spesso proprio questo
il momento in cui i migliori produttori
provano a combattere la crisi
investendo in progetti
all’avanguardia che potranno meglio
imporsi all’attenzione. E’ il caso
di Elnagh, che amplia la sua
gamma di motorhome, ovviamen-
Elnagh Magnum 30
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Larghezza: m. 2,35
Altezza: m. 2,89
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Posti letto: n. 4 (un matrimoniale
basculante e una coppia di
letti gemelli unibili in coda)
Serbatoio acque chiare: l. 100
Serbatoio acque grigie: l. 100
WC: kasset l. 18
Riscaldamento: Webasto Air
Top 3900 a gasolio
Boiler: Truma a gas
Frigorifero: trivalente l. 160
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litri Euro 5 Multijet da 150 cavalli,
come quello che qui vi presentiamo.
Le forme esterne sono
quanto di meglio un design abbia
potuto progettare, sia sul piano estetico
che su quello della resistenza-penetrazione
nell’aria; lo spazio
all’interno è davvero tanto, le rifiniture
eccellenti, le soluzioni adottate
di sicuro interesse (parliamo
IL CLUB n. 117 – pag. 16
d’altronde di un veicolo di fascia
davvero alta): poco meno di sette
metri e mezzo ne fanno forse un
veicolo un po’ impegnativo per alcuni
nella guida, ma basta dare
un’occhiata all’esterno o, entrando
al suo interno, al mobilio, alla
pianta, agli spazi utili, per rendersi
conto che il rapporto qualitàprezzo
è davvero eccezionale: circa
66 mila euro con le dotazioni
descritte nella scheda qui accanto,
chiavi in mano.
Partiamo dalla coibentazione,
di assoluta qualità: la pavimentazione,
da 70 mm., ha la sua
I letti gemelli della parte posteriore del motorhome, unibili fra loro
per formare un unico matrimoniale di 2,20 metri di larghezza. In basso
il matrimoniale basculante aperto
struttura centrale formata da uno
strato di Stiropor da 58 mm.; le
pareti, da 35 mm., sono composte
all’esterno da fibra di vetro, da un
cuore interno di Stiropor e
all’interno da un rivestimento di
compensato.
Passiamo alla pianta: la
parte anteriore è centrata
sull’ampio e funzionale living con
tavolo centrale, comodi per il pranzo
di sei-sette persone; sopra la
dinette un sistema idraulico consente
di abbassare il letto matrimoniale
basculante, protetto
all’esterno con eleganza e dotato
sul tetto di un oblò autonomo di
aerazione (una chicca anche per i
motorhome di alta gamma).
Al centro sono collocati i
servizi: sul lato sinistro il blocco
cucina a elle, con piano cottura,
lavello e cappa aspirante in acciaio
inox, seguito dalla cabina
doccia; dalla parte opposta la colonna
frigo e il vano toilette, con
wc e lavello anch’esso in acciaio
inox, ambienti tutti dotati di oblò
di aerazione.
In coda si trovano due letti
gemelli, unibili fra loro per formare
un unico matrimoniale di enormi
dimensioni o un terzo posto letto
per un bambino, al si sotto dei
quali si aprono due vani armadio
attrezzati anche con vani portaoggetti;
qualche altro vano portascarpe
è situato al centro dei due
letti, nascosto fra gli scalini che
agevolano l’accesso ai due letti;
mentre nella parte finale della coda,
sempre al di sotto dei letti, si
apre il grande vano garage, accessibile
dalle due portiere esterne
sulle fiancate, in grado di contenere
alcune bici o uno scooter.
Il mobilio, sobrio ed elegante,
è vivacizzato soprattutto
IL CLUB n. 117 – pag. 17
nella parte centrale dall’accoppiamento
di compensati color noce
e compensati color panna che alleggeriscono
l’impatto visivo e
rendono ancor più luminosi gli ambienti;
e la tappezzeria, mista in
similpelle e tessuto, offre il meglio
delle due varianti.
L’angolo cucina e il bagnetto
Eccellente è anche
l’impiantistica di bordo, con riscaldamento
Webasto a gasolio e boiler
Truma elettronico a gas, cioé il meglio
dell’attuale produzione sul mercato.
Insomma, davvero un bellissimo
veicolo, per chi vuole coronare le
sue esperienze di camperista di lungo
corso con qualcosa di veramente
eccellente senza spendere una fortuna,
oggi più che mai!
IL CLUB n. 117 – pag. 18
Una proposta imbattibile
Un interessantissimo semintegrale della GiottiLine in superofferta
V GiottiLine Therry T36
i sono occasioni da
prendere al volo, e questa che vi
presentiamo è certamente una di
quelle. Parliamo di un bel semintegrale
di GiottiLine, che
quest’anno ha prediletto per le
sue motorizzazioni la Citroen al
posto della Fiat; esteticamente le
differenze fra il Ducato Fiat e il
Jumpy Citroen sono solo nello
stemmino anteriore sotto al cofano,
e solo qualche dettaglio varia
nell’abitacolo della cabina e nella
meccanica, trattandosi comunque
del collaudato motore 2.3 litri da
130 cavalli.
Questo T36, dell’elegante
serie Therry, si distingue per i tre
letti matrimoniali disponibili in
sette metri di lunghezza (per
l’esattezza i centimetri sono 699):
uno, comodissimo, posto trasversalmente
in coda sopra un ampio
garage accessibile dall’una e
dall’altra fiancata (è largo ben 137
cm.); un altro ottenibile dalla trasformazione
della dinette centrali;
e il terzo, un po’ più stretto, basculante
con comando elettrico,
sopra il living anteriore.
Proprio questo living anteriore,
composto da due divanetti
angolari dietro il sedile di guida e
da un terzo sul lato opposto, con
tavolo centrale semovente, con-
Due immagini del GiottLine
IL CLUB n. 117 – pag. 19
Tipologia: semintegrale
Meccanica: Citroen Jumper 2.3
130 cavalli
Lunghezza: m. 6,99
Larghezza: m. 2,33
Altezza: m. 2,70
Posti omologati: n. 4
Posti letto: n. 6 (tre matrimoniali,
il primo in coda, il secondo
ottenibile dalla trasformazione
delle dinette centrali,
il terzo basculante)
Serbatoio acque chiare: l. 100
Serbatoio acque grigie: l. 100
WC: kasset l. 18
Riscaldamento e boiler: sistema
integrato Truma C-4000 a gas
Frigorifero: trivalente l. 160
Cucina: piano cottura 3 fuochi
con cappa aspirante
Oblò: 2 cm. 50x70 + 1 cm. 40x40
+ cm. 28x28 in bagno
Prezzo: € 55.990 su strada
Prezzo offerta: € 47.990 chiavi
in mano, con scooter in
omaggio
sente di fare accomodare in salotto
e a tavola fino a sette persone
con l’utilizzo anche delle poltrone
girevoli della cabina.
Al centro della cellula abitativa
si trova l’area servizi, con il
blocco cucina a elle da un lato,
con piano cottura, cappa aspirante
e lavello in acciaio inox, oltre
alla colonna frigo e all’armadio; e
il bagnetto dalla parte opposta.
All’interno di quest’ultimo è stata
adottata una soluzione “alla tedesca”,
con il servizio diviso in
pratica a metà, come si eviden-
zia dall’immagine della pagina
successiva: sulla destra si trova il
wc, accanto, a sinistra, c’è la cabina
doccia, richiudibile dalla porta
scorrevole, al cui interno è sistemato,
addossato alla parete, il
lavello; soluzione particolare e
poco comune, almeno nella produzione
“made in Italy”, ma che
fa risparmiare un po’ di spazio e
consente senza dividere il servizio
in due parti opposte (come
per ora è di moda), di ottenere
un veicolo comodo ed elegante,
con tre letti matrimoniali disponibili,
in sette metri appena di lunghezza.
L’angolo cucina e il bagnetto: si
noti la sua particolare configurazione
con il lavandino all’interno
della cabina doccia
E’ chiaro che in questo
momento ogni idea è buona per
provare a smuovere un mercato in
difficoltà. E anche qualcosa di innovativo
o comunque di particolare
è utile per evitare il totale conformismo
di piante e soluzioni che
negli ultimi anni viene proposto
dai più, dato che i vari produttori
hanno preso l’abitudine di uniformarsi
a ogni novità appena emersa
anche presso la concorrenza.
Ma al di là di questo dettaglio,
la valutazione d’insieme di
questo semintegrale è veramente
positiva: concorrono a questa valutazione
la qualità della scocca,
con il guscio esterno in vetroresina,
e l’ottima coibentazione, con
lo spessore di 72 mm. del pavimento
e di 35 mm. di pareti e tet-
IL CLUB n. 117 – pag. 20
La parte posteriore del Therry T36
to; ne sono ulteriore testimonianza
la qualità delle finiture,
l’impiantistica di bordo, l’utilizzo di
due maxi oblò 50x70 oltre agli altri
oblò più piccoli, l’adozione della
porta di ingresso con finestra integrata,
zanzariera e pattumiera,
il letto posteriore ad altezza variabile,
e tante altre cose che potranno
essere apprezzate salendovi
a bordo.
Tuttavia, ciò che è davvero
eccezionale in questo momento
è il prezzo di acquisto di questo
Therry T36: a fronte di un costo
su strada di circa 56 mila euro,
Vemacr lo propone in superofferta
a 47.990 euro, con possibilità anche
di permutare un usato, e anche
con uno scooter in omaggio.
Più allettante di così!
Sulle coste del Baltico
Da Lubecca a Tallin, un itinerario lungo le rotte dei mercanti anseatici fra Germania, Polonia,
Lituania, Lettonia ed Estonia
I
l Baltico, che bagna le
coste di buona parte dei Paesi situati
tra la parte settentrionale del
continente europeo e la penisola
scandinava, è un mare molto diverso
dal Mediterraneo: nelle sue
acque, fredde anche in estate, non
si tuffa molta gente, anche se gli
amanti di surf e canoa, soprattutto
fra Germania e Svezia, non mancano;
ma è un mare solcato, oggi
come in passato, da centinaia di
navi che, in mezzo alle tante guerre
che hanno contrapposto nei secoli
i vari stati di quella parte
d’Europa, hanno invece unito i popoli
delle varie sponde contribuendo
alla libera circolazione di uomini
e merci.
Se qualcuno, infatti, è convinto
che la moderna Unione Europea
sia stata la prima formula per
tenere uniti tanti stati indipendenti
si sbaglia: da queste parti nella seconda
metà del XII secolo iniziò a
prendere corpo un’alleanza fra i
mercanti delle più importanti città
portuali con lo scopo di promuovere
il commercio e con l’obiettivo strategico
di acquisire privilegi e abbattere
dazi doganali. Questa lega
commerciale, che prese il nome di
Hansa, nell’espandersi sempre più,
finì col garantire anche una tranquillità
politica e sociale a tutte le
città che ne entravano a far parte,
promuovendone uno sviluppo straordinario
perché all’originaria rete
di mutua assistenza fra mercanti si
aggiunse, con l’avvenuto arricchimento,
la capacità del ceto borghese
di mantenere una certa indipendenza
nei confronti della nobiltà locale,
tanto che, nella fase in cui il
loro potere giunse all’acme, queste
città riuscirono ad usare la loro forza
finanziaria per influenzare perfino
la politica di re e governi, come
quando nella seconda metà del XIV
secolo le navi della Lega combatterono
contro i danesi, ottenendo dal
re di Danimarca con il trattato di
Stralsund il 15% dei profitti provenienti
dai commerci danesi.
Ma essere mercanti appartenenti
all’Hansa non significava
soltanto avere dei privilegi: infatti
questi ultimi erano spesso confinati
in determinate aree di commercio e
non potevano quasi mai interagire
con gli abitanti del luogo, se non
per motivi legati alle contrattazioni.
L’esistenza stessa della Lega e dei
suoi privilegi creò inoltre tensioni
economiche e sociali che alla fine
del XVI secolo fecero sì che questa
complessa rete di scambi commerciali
implodesse, grazie anche ai
cambiamenti socio-politici che accompagnarono
l’avvento della Riforma,
l’emergere dei mercanti olandesi
e inglesi, le nuove rotte
commerciali verso le Americhe,
l’India e la Cina e le incursioni dei
Turchi sulle rotte commerciali verso
sud.
Ma nonostante la sua
scomparsa, alcune città baltiche si
denominano orgogliosamente ancora
oggi città anseatiche, mantenendo
un legame apparentemente
anacronistico con un glorioso passato:
tra queste vi è senza dubbio
Lubecca, che si definisce tuttora
“Libera città anseatica”, come testimoniano
perfino le sue targhe
automobilistiche (HL, cioè Hanseatic
Lubeck), la città tedesca che
dell’Hansa fu fondatrice e per secoli
in un certo senso anche “capitale”.
E proprio da Lubecca ha inizio
questo nostro itinerario che ci
porterà, costeggiando il Mare Baltico,
fino alla capitale dell’Estonia,
Tallin.
IL CLUB n. 117 – pag. 21
Lubecca e la costa tedesca
Lubecca è chiamata la “città
di mattoni” per la tipologia della
tecnica costruttiva dei suoi edifici
(anche monumentali), tecnica che
poi si diffuse in tutto il nord Europa;
purtroppo, un quinto di questo
patrimonio in pietra è stato distrutto
dai bombardamenti alleati nel
corso della seconda guerra mondiale,
ma nonostante ciò il suo
centro storico, circondato dal fiume
Trave e racchiuso da sette torri, è
dal 1987 sotto tutela dall’UNESCO,
come prototipo di città occidentale
del XII secolo.
Si penetra nel cuore
dell’abitato attraverso la monumentale
porta cittadina, la Holstentor,
risalente al XV secolo come
opera di difesa e oggi autentico
simbolo di Lubecca, e ci si ritrova
immersi in un insieme di architetture
slanciate in laterizio, frontoni
di impronta fiamminga e facciate
traforate in mattoni. Tra i monumenti
più importanti del tessuto
urbano spiccano la chiesa di San
Pietro, il cui interno è stato però
distrutto dai bombardamenti e che
ai giorni nostri funge da sala mostre;
la chiesa di Santa Maria, affiancata
dalle due torri più alte della
città, risalente al XIII secolo e di
chiara impronta gotica, con affreschi
medievali; e il Municipio, uno
Una suggestiva immagine della Porta Holstentor
di Lubecca avvolta dalla nebbia
dei più antichi e pittoreschi di tutta
la Germania, risalente al XIII secolo,
che domina la piazza del Markt
con un alto muro in laterizio rosso
sovrastato da tre torricelle, con
una loggia rinascimentale e un arioso
porticato.
Nelle vicinanze del Municipio
si può approfondire un’altra
delle peculiarità cittadine, entrando
nel Cafè Niederegger, nella centrale
Breite Strasse, un’autentica istituzione
di Lubecca, nelle cui vetrine
si può ammirare l’Holstentor in
miniatura realizzata in marzapane.
Da queste parti i dolci a base di
mandorle hanno una lunga tradizione:
nel 1407, quando erano
terminate le scorte di grano della
città e gli abitanti erano alla fame,
il Senato ordinò ai fornai di usare
le mandorle, che abbondavano nei
magazzini, per fare il pane e così
nacque il marzapane. Un’altra versione
della storia parla invece del
“marci panis”, il cosiddetto pane di
San Marco che da Venezia giunse a
Lubecca grazie alle relazioni commerciali
tra le due città, dove
dall’800 ne iniziò la produzione.
Tutt’attorno si stende
un’animata zona pedonale e commerciale,
in tutto simile ad un moderno
paese di bengodi; mentre
poco più avanti si innalza il campanile
della chiesa di San Giacomo,
un edifico gotico del XIII secolo
dedicato ai marinai, che ospita affreschi
medievali su alcuni pilastri,
un magnifico organo del XVI secolo
e una cappella dedicata alle vittime
del mare, con una scialuppa di salvataggio
di una nave naufragata
nel 1957. Girovagando nel cuore
del centro storico, al numero 4 di
La Piazza del Municipio di Lubecca
Mengstrasse ci si ritrova davanti
alla bianca facciata barocca di casa
Buddenbrook, dietro la quale si
sviluppano le vicende di una delle
più famose famiglie della letteratura
tedesca, quella appunto dei Buddenbrook,
resa celebre dallo scrittore
Thomas Mann. Quasi ai margini
del centro storico si innalza infine il
Duomo, la chiesa più antica della
città, fatta costruire dalla potente
corporazione dei commercianti, risalente
al XII secolo ed eretta
anch’essa in laterizio.
Lasciata Lubecca, poco oltre
quello che un tempo era il confine
fra le due Germanie incontriamo
Rostock, la più popolosa
città del Mecleburgo, da sempre
legata al suo porto, da dove partono
navi merci e traghetti per veicoli
e passeggeri diretti ai porti di
Danimarca, Svezia, Finlandia ed
Estonia. Rispetto al traffico caotico
di Rostock, la vicina e tranquilla
Stralsund appare come una perla
splendente e dal fascino irresistibile.
La cittadina, appartenente alla
Lega Anseatica fin nel 1293, è bagnata
non solo dal mare Baltico
ma anche dalle acque di due laghetti,
il Knieper Teich e il Frankenteich,
che la fanno assomigliare
ad una Venezia in miniatura. Tutto
il centro è caratterizzato da edifici
in mattoni in stile gotico, come
l’altissima Marienkirche, risalente
al XIV secolo, o come il poderoso
Rathaus del ‘400 con rosoni e torricelle
e con gli stemmi delle città
della Lega Anseatica, o ancora come
la pregevole Nikolaikirche, edificata
nel ‘300, che è l’edificio sacro
più antico della città, al cui interno
sono conservati numerosi
IL CLUB n. 117 – pag. 22
capolavori, come gli affreschi del
XIV secolo che decorano le navate,
l’altare barocco del ‘700 e il retrostante
orologio astronomico.
Tutt’attorno si snodano vaste
piazze come l’Alter Markt con
edifici in mattoni sviluppati in altezza
e ornati da fregi, arcate e
pinnacoli che creano l’illusione di
trovarsi ancora in pieno ‘400; di
quella gloriosa epoca restano ancora
due porte cittadine, mentre
riportano al nostro secolo i bei negozi
e le ricchissime gioiellerie dove
risplende l’ambra, non a caso
definita l’oro del Baltico. Ma la
chicca della cittadina è senza dubbio
il Meeresmuseum, il museo oceanografico
sistemato scenograficamente
nella ex chiesa del convento
dei domenicani, con uno
stupendo acquario (uno dei più
grandi d’Europa), le ricostruzioni
degli ambienti dei pinguini e di varie
specie di uccelli marini, vari
modellini di navi, immagini e storia
della flotta peschereccia della
ex DDR che qui aveva uno dei suoi
porti di maggiore importanza.
Da Stralsund si può anche
arrivare in pochi minuti ad un altro
paradiso naturalistico, quello della
vicina isola di Rügen, estrema
punta settentrionale della Germania,
ancorata alla terraferma da un
ponte. Conviene fermarsi subito
nella parte nord dell’isoletta, a
Sassnitz, presso il parcheggio attrezzato
di Hagen, fornito anche di
un’area camper; da qui un bus
navetta consente di raggiungere
l’ingresso del National Park Jasmund
con le sue magiche scogliere
bianche immortalate dal pittore
Casper David Friedrich, la cui
roccia più alta, la Königstuhl, raggiunge
i 117 metri. Dall’ingresso
del parco si può scegliere tra un
itinerario di otto chilometri che
raggiunge anche le spiagge sottostanti,
permettendo di avere una
visione più ampie delle rocce a
strapiombo sul Baltico, e uno di tre
chilometri che si inoltra nel bosco,
garantendo comunque splendidi
scorci panoramici. Lasciando Stralsund,
prima del confine polacco si
incontra Greifswald, cittadina
anch’essa appartenuta alla Lega
Anseatica, sorta nel medioevo attorno
al Monastero di Eldena, di cui
rimangono solo alcune rovine.
Il Baltico polacco e Danzica
Anche se la Polonia è a pochi
chilometri, il confine lungo la
costa baltica è attraversabile solo
dai pedoni; per proseguire il nostro
viaggio su ruote è così necessario
aggirare con oltre trecento chilometri
di strada in più la vasta area
lacustre che si trova a sud di Swinoujscie
(la prima città polacca al
di là della frontiera) e, dopo essere
giunti nell’area metropolitana di
Stettino, risalire verso nord per ritrovare
la costa baltica e proseguire
così il nostro itinerario. Una volta
sul mare, il nostro primo obiettivo
in terra polacca è il Volinski
Park, situato nell’isola di Volin,
con le sue alte falesie bianche a
strapiombo sul Baltico; dal belvedere
del parco si vedono le bianche
rocce che si confondono con la
spuma del mare. Da questo punto
la costa polacca è un susseguirsi di
piccoli centri turistici, tranne Kolozberg
che, per quanto non sia
proprio sul mare, fu una delle più
importanti città polacche della Lega
Anseatica, anche se ben poco
rimane dei suoi monumenti storici
a causa dei bombardamenti della
seconda guerra mondiale.
Solo attorno a Łeba la costa
baltica riappare nella sua magnificenza.
Anche qui la cittadina
vera e propria, che una volta era
un borgo di pescatori, è diventata
una stazione balneare votata al turismo
e superaffollata; ma basta
allontanarsi di pochissimi chilometri
dal centro per ritrovarsi nel paradiso
dello Slowinski Park, famoso
per le sue dune di sabbia erranti
alte fino a cinquanta metri.
Nel parcheggio di Rabka si lasciano
i veicoli e iniziano le escursioni
all’interno del parco a piedi, in bici
o anche con l’ausilio di un trenino
elettrico e di carrozze a cavallo; un
battello infine consente una visione
delle dune dal lago Łebsko, il terzo
per grandezza della Polonia, quasi
a ridosso del mare. Le magnifiche
dune di sabbia del parco si muovono
fino a dieci metri l’anno,
sommergendo la foresta di pini che
le circonda e che, in vicinanza della
sabbia, appare come pietrificata in
pose contorte. Lo scenario è surreale:
sembra di trovarsi in pieno
deserto, circondati da montagne di
sabbia finissima, mentre il lago occhieggia
ad ovest e il mare ad est,
lungo una striscia di terra che si
trova tra i due diversi specchi
d’acqua, lago e mare per
l’appunto. E’ il paradiso dei bambini
che si divertono a scalare le dune
con pendenze quasi impossibili
per poi lasciarsi scivolare sulla
sabbia con grandi risate. In questo
Le famose dune di sabbia dello Slowinski Park
nei pressi di Łeba, sulla costa baltica polacca
ambiente così particolare, chiamato
il Sahara polacco, durante la seconda
guerra mondiale l’esercito
tedesco si ritrovò a fare le esercitazioni,
prima di sbarcare in Africa.
Settanta chilometri ci separano
da questo momento
dall’area metropolitana di Danzica,
formata dall’unione di tre città:
Gdynia, l’area industriale; Sopot, il
sobborgo marittimo; e Danzica vera
e propria, principale porto della
Polonia, allo sbocco sul Baltico del
fiume Motlava, e famosa da sempre
come città cantieristica. Il centro
di Danzica è stato completamente
ricostruito dopo i bombardamenti
degli Alleati, ma la cosa
può forse passare inosservata,
tanto meticolosi sono stati ricostruzione
e restauri di questa che,
IL CLUB n. 117 – pag. 23
dopo Lubecca, fu la più importante
delle città anseatiche. La seconda
guerra mondiale ebbe inizio proprio
dal porto di Danzica, nel settembre
del 1939, quando
l’incrociatore tedesco “Schleswig-
Holstein” fece saltare il deposito di
munizioni della Westerplatte, per
riprendere possesso della città che
nei secoli passati era stata a varie
riprese sotto il dominio prussiano.
Il primo sito ad essere attaccato fu
l’ufficio postale, dato che tutti i postini
erano polacchi: metà degli
impiegati furono fucilati sul posto
ed un’altra parte fu rinchiusa nel
campo di concentramento di Stutthof,
destino che subì anche la
maggioranza della popolazione,
come narra il celebre romanzo “Il
tamburo di latta” di Günter Grass.
Una romantica veduta di Danzica,
che sorge proprio dove il fiume Motlava sbocca sul Mar Baltico
Oggi all’interno dell’ufficio postale
è possibile visitare un piccolo museo
che ricorda quei tragici momenti
con documenti storici e vecchie
foto in bianco e nero.
La Via del Mercato Lungo e l’alta
torre del Palazzo del Municipio di
Danzica. In basso la Fontana di
Nettuno, uno dei simboli della città
All’ingresso del centro storico,
vivissimo oggi come doveva
esserlo anche tanti secoli fa, si innalzano
le slanciate sagome in laterizio
delle chiese di Santa Caterina
e di Santa Brigida, al cui interno
si possono ammirare crocifissi in
ambra e monumenti ai morti di Solidarnosc,
il sindacato degli operai
dei cantieri navali che, tra il 1970
e il 1990, riuscì a scalfire lo strapotere
del socialismo reale, minando
alla base la dittatura e dando il via
alle manifestazioni di piazza che,
come un sasso lanciato in un stagno,
portarono nel novembre del
1989 alla caduta del muro di Berlino
e poi, come in una smisurata
partita a domino, allo smembramento
dell’Unione Sovietica.
Da queste parti sorge il
Municipio della Città Vecchia, del
XVI secolo, nonché l’alta mole di
uno dei più grandi mulini europei,
risalente alla metà del XIV secolo;
poco più avanti si erge il grande
Arsenale in pietra e mattoni, risalente
al XVII secolo, di impronta
barocca olandese, con una facciate
particolarmente ornata, oltre il
quale si svolge tra la fine di luglio
e l’inizio di agosto il festival di San
Domenico, con manifestazioni folcloristiche
e mercatini di artigianato.
La folla aumenta proporzionalmente
mentre ci avviciniamo al
cuore del centro storico, la cosiddetta
Via Reale, costituita dalla
Dluga e dal Dlugi Targ, chiamato il
mercato lungo, lungo la quale sfilano
alte e strette case di impronta
fiamminga dagli alti e ornati frontoni,
decorate e affrescate. Davanti
a uno dei più belli, il gotico Palazzo
di Artù con medaglioni raffiguranti
re e statue di personaggi storici, si
innalza la Fontana di Nettuno, uno
dei simboli di Danzica, che simboleggia
la potenza commerciale e
marittima della città. Poco oltre
sorge l’alta sagoma del Municipio
della Città Principale, fastoso palazzo
di rappresentanza del XVI
secolo in stile fiammingo, sede del
Museo Civico, con una prestigiosa
raccolta di sculture, quadri e scrigni
realizzati interamente in ambra;
quell’ambra che viene lavorata
insieme all’argento in modo magistrale
dagli artigiani polacchi e
che splende nelle vetrine delle
gioiellerie cittadine.
Poco vicino ecco poi la
chiesa di Santa Maria, il più grande
santuario della Polonia (in grado di
contenere 25.000 persone), realizzata
in laterizio in stile gotico nel
XIV secolo, affiancata da una poderosa
torre alta quasi ottanta metri;
al suo interno si può ammirare
un monumentale altare maggiore
intagliato e dipinto del XVI secolo,
un pregevole orologio astronomico,
una moderna statua dell’Ecce Homo,
aggiunta durante i restauri
post-bellici, che ricorda i 2.779 polacchi
di Danzica uccisi dai nazisti,
e la copia dello splendido Giudizio
Finale di Hans Memling, il cui ori-
IL CLUB n. 117 – pag. 24
ginale si trova al Museo Nazionale
della città. La vicina Porta di Santo
Spirito, del XV secolo, si apre sullo
scenario della Vistola su cui si
specchiano coreograficamente le
strette costruzioni di impronta
fiamminga del lungofiume, mentre
le infinite sfumature dell’oro locale,
la bellissima ambra vecchia di millenni,
brillano fra le vetrine di
gioiellerie e bancarelle.
Lituania, Lettonia
ed Estonia
Se non fosse per la presenza
dell’enclave russa di Kalinigrad
(l’antica città anseatica di
Königsberg), zona militare con notevoli
restrizioni di accesso, il passaggio
in Lituania, la più meridionale
delle tre repubbliche baltiche,
sarebbe uno scherzo. Invece, per
evitarla, bisogna attraversare tutta
la zona, per altro bellissima, dei
Laghi Masuri attorno a Mikolaikj (la
cittadina più bella e famosa) e
giungere con la statale 16 fino ad
Augustow per poi salire verso nord
con la E.46 superando Suwalki e
raggiungendo quindi Kaunas, la
prima grande città lituana, famosa
per il palazzo del Municipio, detto
il cigno bianco per il colore candido
e per le linee eleganti e aggraziate.
La piazza centrale di Kaunas con la
Cattedrale e il palazzo del Municipio
(detto “il cigno bianco”)
Da questo momento, anche
se il recente ingresso
nell’Unione Europea ha favorito
l’ammodernamento di strutture e
l’avvicinamento reale agli standard
dell’Occidente, si entra in un mondo
ancora pervaso da grandi contraddizioni,
visibili soprattutto qui
in Lituania: si respira infatti ancora
un’aria di metamorfosi e di evoluzione
sia a livello sociale - è facile
infatti incontrare sia la tipica contadina
di stampo russo che la bella
ragazza vestita all’occidentale -
che nelle architetture, caratterizzate
da squallidi sobborghi di impronta
sovietica lungo i quartieri
esterni delle città cui si contrappongono
i centri storici in continuo
restauro, al punto da rendere le
città più grandi un continuo cantiere
a cielo aperto.
Abbandonando sulla destra
l’autostrada che ci porterebbe verso
l’antica capitale lituana Trakai e
la moderna Vilnius, deviamo a destra
verso la costa in direzione di
Klaipeda, grande porto sul Baltico
e antica città anseatica; da qui
parte la penisola di Neringa, una
lunga striscia di laguna costituita
da una lingua di sabbia alta fino a
70 metri e costeggiata da due
braccia di mare con minuscoli villaggi
di pescatori che porta a Ni-
L’oro del Baltico
da, al confine con l’enclave russa
di Kalinigrad, dove va visitato il
museo etnografico sulla vita dei
pescatori baltici dell’Ottocento e
del primo Novecento. Salendo invece
verso nord, poco prima del
confine fra Lituania e Lettonia, eccoci
a Palanga, stazione balneare
fra le più ambite anche nel periodo
sovietico dalla nomenclatura del regime
e famoso mercato dell’ambra
che è in vendita un po’ ovunque a
prezzi stracciati. La cittadina, per
quarant’anni una sorta di Rimini del
comunismo, è senz’altro una località
aperta con un’atmosfera da paese
di Bengodi; è notevole anche il
museo dell’ambra che custodisce
L’ambra, denominata l’oro del Baltico perché proprio in questa
zona se ne trova in grande quantità, è diventata particolarmente famosa
da quando Michael Crichton, nel suo “Jurassic Park”, ne ha tratto
spunto per iniziare la sua epopea sui dinosauri, resuscitati grazie al
dna estratto da una goccia di sangue contenuta in una zanzara intrappolata
all’interno di un pezzo d’ambra. La sua origine segue un percorso
affascinante: infatti si tratta di un rivolo di resina fuoriuscito dal
tronco degli alberi che, con il passare di milioni e milioni di anni, si indurisce
fino a trasformarsi in quella che molti pensano sia una pietra
dura. E’ facile che la resina intrappoli anche insetti, pezzetti di foglie o
bolle d’aria che rendono il minerale ancora più prezioso.
I giacimenti dell’ambra della costa del Baltico risalgono a circa
50 milioni di anni fa e provengono da un folto manto boschivo di conifere;
ma i lituani preferiscono credere che l’ambra provenga dal palazzo
della regina del mare, mandato in frantumi da Perkunas, il dio del
tuono, come punizione per aver amato un pescatore. Che l’ambra baltica
sia stata apprezzata fin da tempi remoti è confermato dal fatto che
era già conosciuta dai greci che, a causa delle sue magnifiche sfumature
giallo-arancione, l’avevano denominata “Electron”, cioè prodotto del
sole, e che già nel VII secolo a. C. furono realizzati preziosi gioielli in
ambra appartenenti ai principi della Magna Grecia realizzati proprio con
l’ambra proveniente dai litorali lituani.
E, anche ai nostri giorni, è quasi impossibile ritrovarsi sulla “via
dell’ambra” senza portare con sé un ricordo attraverso un gioiello o un
oggetto da collezione.
IL CLUB n. 117 – pag. 25
oltre 25.000 pezzi, tra cui una pietra
dal peso ragguardevole di 3.698
grammi!
Una pittoresca casa di pescatori a
Nida. In basso il palazzo Tiskevicius
di Palanga che ospita il Museo
dell’Ambra
Dopo aver superato il confine
lettone, raggiunta Liepaja,
tendiamo verso la capitale Riga
attraversando un paesaggio scandito
da connotazioni ancora marcatamente
rurali. A Riga, antica città
anseatica che ha avuto il volto rifatto
da un attento maquillage di
restauri, ci ritroviamo in
un’atmosfera particolarmente animata
a causa della presenza di
numerosi giovani che rende ancora
più suggestivo il dedalo di stradine
del centro storico, dominato dalle
torri del Duomo luterano, della
chiesa di San Pietro e della Cattedrale
Cattolica che ne punteggiano
l’orizzonte, e caratterizzato da aggraziate
costruzione in stile liberty
e rinascimentale, come le palazzine
soprannominate “I tre fratelli di
Riga”, sulla Maza Pils Jela, risalenti
al XV secolo. E’ molto interessante
anche visitare il vivace mercato
centrale di Riga, situato alle spalle
della stazione degli autobus (che
ospita accanto a mezzi moderni
anche alcuni vecchissimi autobus
asmatici tuttora in funzione) e sistemato
su un’area di 80.000 mq.
all’interno di cinque vecchi hangar
che facevano da approdo agli Zeppelin
tedeschi; si tratta di un coloratissimo
mercato coperto alimentare
dove si possono trovare a
prezzi molto contenuti pesce, carne,
salumi, frutta, pane, dolci e
specialità locali. Ed un altro tassel-
lo per conoscere la storia recente
della Lettonia, ingabbiata in anni di
forzata sudditanza politica ed ideologica
all’Unione Sovietica, è dato
dalla presenza, nei pressi del ponte
della ferrovia, di enormi statue di
soldati in puro stile sovietico, che
sopravvivono ancora oggi in una
società in continua metamorfosi,
testimoni di un’era passata che
oggi si contrappone alle numerose
banche e agli uffici di grandi compagnie
internazionali che hanno
fatto di Riga il centro operativo
delle tre Repubbliche Baltiche.
La Chiesa di San Pietro a Riga
In basso il fregio di un palazzo della
capitale della Lettonia
Quasi ad ogni angolo si incontrano
notevoli esempi di liberty,
con icone di figure femminili che
ornano le facciate in un suggestivo
intrecciarsi di pose statuarie, di teste
scolpite e di fregi fioriti, e lungo
il nostro girovagare ci imbattiamo
anche in una casa, antica
sede di una gilda mercantile, sovrastata
da diverse sculture che
raffigurano un gatto che sembra
guardare in giù il lento trasformarsi
della società lettone. Nelle ore
centrali della giornata, inoltre, si
apprezza particolarmente uno degli
Il palazzo della Confreternita delle Teste Nere a Riga. In basso un tratto
della cortina muraria di Tallin e la sua Cattedrale ortodossa
angoli più pittoreschi della città,
quello che si stende ai piedi della
chiesa di San Pietro e che ospita
un vivace mercatino dell’arti-
IL CLUB n. 117 – pag. 26
gianato, dove sono in vendita a
prezzi assai convenienti monili in
ambra, icone, matrioske e scatole
di fattura russa.
Soste e pernottamenti
Nell’ambito di tutto il percorso si trovano numerosi campeggi;
non vi sono inoltre particolari restrizioni per il campeggio libero ed è
comunque ammesso pernottare anche nei parcheggi cittadini (ovviamente
evitate quelli più centrali). Le soste da noi consigliate:
• a Lubecca nel parcheggio a pagamento di Willy Brandt Allee, a
250 metri da Porta Holstentor;
• a Stralsund presso il camping Stralsund, Rostochen Chausse n.28/a;
• sull’Isola di Rügen nell’area attrezzata del Parco Jasmud;
• a Kolobzberg presso il camping Kolobrzeg, in Ulica IV Dywizij
Woiska Polskiiego n.1;
• a Łeba, dove si trovano otto campeggi, l’Interkamp n.84 o il Rafael
in Ulica Turysyczna; possibile anche l’utilizzo del parcheggio
custodito all’ingresso dello Slowinski Park;
• a Danzica presso il camping.19 - Kamiemny Potok, a Sopot, a nord
del centro; oppure presso il parcheggio custodito Stoczniowny in Ulica
Walowa ang. Ulica Aksamitna, vicino la chiesa di S. Caterina;
• a Kaunas presso il Camping City Kaunas, in Jonavos Str, 51/a
all’uscita dell’autostrada svincolo Kaunas ovest, oppure nel parcheggio
in Gertriudo Galvè ang. Gimnazios Galvé (rumoroso)
• a Nida nel parcheggio del porticciolo o nel Nidos Kempingas, Neringos
sav., Naglių g. 45; nel resto della penisola di Neringa a
Juodkranté parcheggio sul lungomare alla fine dell’abitato; a
Smyltine parcheggio del Museo della Marina;
• a Palanga presso il Camping, Vytauto str., 8., o nel parcheggio
custodito in Gintaro Gatvé 33/a, a 300 metri dal museo
dell’ambra;
• a Riga presso il Camping Riga, Kipsalas Iela 8;, o presso il Camping
Motel ABC, Sampetera Iela 139°; ottime alternative sono
anche il parcheggio dell’Hotel Riga in Aspazijas Bulvaris 22 e il
parcheggio custodito a 100 metri dalla chiesa di San Pietro in Kunari
Iela ang. Marstatu Iela;
• a Tallin presso il Camping Tallin City, Pirita Tee n.28, al porto turistico;
valida alternativa è il parcheggio a pagamento vicino il
terminal C del porto (vicino la porta nord della città vecchia); ancora
più strategico il parcheggio custodito in Mere puiestee ang,
Viru Vaijak, a 100 metri dall'hotel Viru.
La E.67, costeggiando a
lungo la costa baltica orientale,
consente di superare il confine con
l’Estonia e, dopo Parnu, di giungere
alla capitale Tallin. E anche se
l’impronta russa è pesantemente
visibile negli orribili casermoni grigi
che popolano i sobborghi cittadini,
anche qui è sufficiente giungere
nella piazza centrale, la Viru Valick,
caratterizzata dall’altissima mole di
stampo sovietico dell’albergo Viru,
per ritrovarsi in un altro universo:
infatti da qui si ha già il primo scorcio
della magica città murata che
fece parte dell’Hansa e che ancora
oggi racchiude l’intatto centro storico
di Tallin. Attraverso le porte si
penetra nella cortina muraria e ci si
ritrova all’interno di stradine lastricate
sulle quali si affacciano edifici
gotici e medievali freschi di restauro,
in un insieme di pinnacoli, frontoni
e torri che dà la netta impressione
di ritrovarsi in un’area territoriale
miracolosamente risparmiata
dai danni del tempo. La cittadina
murata è straordinariamente viva,
con le sue numerose bancarelle di
artigianato (maglioni di lana e di
cotone decorati da onde, cigni e fiori,
guanti e berretti realizzati a mano),
con i suoi eleganti negozi di
antiquariato (icone e samovar, matrioske
e scatole di fattura russa) e
con pittoreschi ristorantini.
Il fulcro della Vanalinn, la
città vecchia, è la splendida piazza
del municipio, sulla quale si affaccia
la mole del Raekoda, il municipio
che fungeva anche da tribunale,
sovrastata da un’alta torre ottagonale,
coronata da una banderuola
che raffigura un soldato medievale
chiamato familiarmente
“Vana Toomas”, il vecchio Tommaso,
divenuto il simbolo della città.
Nei pressi si trova la duecentesca
chiesa dello Spirito Santo, un tempo
cappella del municipio, sulla cui
facciata è visibile un orologio del
1684. Poco oltre, attraverso una
scalinata, si giunge alla Toompea,
la rocca di cinquanta metri sulla
quale sorgono la cattedrale luterana
e quella ortodossa, che ospita
IL CLUB n. 117 – pag. 27
un’iconostasi di altissimo livello; la
chiesa non è mai stata accettata
pienamente dagli estoni, perché
incarna il simbolo stesso dello zarismo
e poi del potere sovietico.
Tutt’attorno si innalza la cinta muraria,
lunga circa due chilometri e
risalente ai secoli XIII-XVI, di cui
rimangono venticinque torri dalla
caratteristica copertura che sono il
simbolo stesso di Tallin.
Un negozio di maglioni, tradizionale
prodotto artigianale estone
Un altro luogo di sicuro interesse
si trova in uno dei quartieri
periferici di Tallin, nella zona di Pirita,
dove è possibile visitare i
suggestivi resti del monastero di
Santa Brigida, costruito nel XV secolo
e distrutto nel XVI; rimangono
in piedi le mura perimetrali e la
facciata della chiesa, caratterizzata
da un’alta cuspide triangolare e da
arcate gotiche, testimone di un
tempo passato, mentre tutto attorno,
circondati dagli alberi, sono
ancora riconoscibili i muretti delle
diverse sezioni del monastero, circondato
da un piccolo cimitero.
Un’ultima escursione va fatta nel
quartiere di Rocca al Mare, così
chiamato da un mercante che amava
l'Italia, ed è costituita dall'Esti
Vabaohumuuseum, un museo
all’aperto di vita rurale che comprende
cento edifici dalla tipica copertura
a canneti e paglia provenienti
da tutta l’Estonia e risalenti
al XIX-XX secolo, completi di arredi
e di attrezzi, oltre ad alcuni mulini
a vento e a botteghe artigiane.
Il Baltico è comunque
sempre presente: e se il passato
affiora in questo museo all’aperto,
il futuro è davanti alla prua delle
numerose navi che, oggi come
centinaia di anni fa, solcano il mare,
portando con sé la promessa di
libertà e prosperità, grazie alla pacifica
convivenza fra genti di etnie
e religioni diverse; proprio come ai
tempi della Lega Anseatica.
Mimma Ferrante
e Maurizio Karra
Suggestioni etrusche
Una passeggiata a Tarquinia, cittadina della Tuscia viterbese, permette di ammirare le atmosfere
medievali, ma soprattutto bellissimi reperti etruschi custoditi nel museo archeologico
e nella vicina necropoli, che ben raccontano la lunga storia cittadina
L
e diciotto torri che si
innalzano a bucare il cielo e che si
intravedono al di là della cortina
muraria color ocra segnano e caratterizzano
anche da lontano il
profilo dell’abitato di Tarquinia; la
cittadina della Tuscia viterbese, situata
su un’ampia vallata a sette
chilometri dal Mare Tirreno, è di
origine etrusca ed è incorniciata da
un possente giro di mura e reca
chiare tracce della sua impronta
medievale.
Il suo nome originario era
Corneto. Si hanno notizie di questo
centro dal VI secolo, periodo in cui
si sviluppò contemporaneamente
alla decadenza della città etrusca e
romana di Tarquinia, che era invece
situata a circa 10 chilometri dalla
costa e che si innalzava su un
colle adiacente, denominato Pian di
Civita, a strapiombo sulla valle del
fiume Marta. La felice posizione
geografica di quest’ultima contribuì
alla sua fioritura come abitato etrusco,
al punto che divenne uno
degli insediamenti più importanti
della dodecapoli etrusca, in grado
di dare a Roma la dinastia dei re
etruschi, da Tarquinio Prisco a Servio
Tullio a Tarquinio il Superbo.
Una delle torri di Tarquinia
Il Palazzo Comunale
Di questa importante civiltà
anche oggi restano notevoli testimonianze,
come il basamento
del tempio denominato “Ara della
Regina”, risalente al IV secolo
a.C., e la vasta necropoli che ospita
circa 140 tombe e che rappresenta
un aspetto peculiare della
cultura artistica etrusca, importante
testimonianza della pittura
parietale antica, dato che gli affreschi
presenti all’interno delle
tombe dipinte di Tarquinia sono
l’unico esempio contemporaneo
alla pittura greca giunto fino a
noi.
Anche le origini altomedievali
di Corneto, che prese il
nome di Tarquinia a fine ‘800, sono
facilmente percepibili penetrando
all’interno della sua cerchia
muraria, tra vicoletti acciottolati,
su cui si innalzano chiese romaniche
e gotiche, palazzi rinascimentali
e settecenteschi, ma anche
torri medievali in una sinfonia color
ocra. Una tappa fondamentale
nel corso delle esplorazioni cittadine
è presso il quattrocentesco
palazzo Vitelleschi, di impronta
gotico-rinascimentale, che ospita
il Museo Nazionale, con splendidi
reperti etruschi, come i sarcofagi
IL CLUB n. 117 – pag. 28
appartenenti alle famiglie più in
vista di Tarquinia, come i Partunu,
caratterizzati dalle sagome dei defunti
seduti e scanditi da fattezze
realistiche, o i corredi funerari, di
cui facevano parte vasi di influenza
greca, ma anche etrusca, come
i buccheri neri, ma anche metope
di templi, come quella che raffigura
gli splendidi cavalli alati
dell’Ara della Regina, e ancora
tombe dipinte, trovate nella vicina
necropoli etrusca, quelle denominate
del Triclino, delle Bighe, delle
Olimpiadi e delle Nave, staccate
dalle pareti originarie per rimandarci
un mondo gioioso e sfavillante
di colori che ricreava la vita
quotidiana dei defunti.
Soltanto il due per cento
delle tombe della necropoli di Tarquinia
sono dipinte, e a causa
dell’alto costo sono state tutte
commissionate da famiglie particolarmente
ricche, dato che questa
usanza derivava dalla credenza
secondo cui lo spirito dei defunti,
circondato da dipinti che lo
ricollegavano alla sua vita terrena,
in questo modo rimaneva
all’interno della tomba.
Una tomba etrusca
La nostra passeggiata continua
lungo corso Vittorio Emanuele,
fino a raggiungere Piazza Matteotti,
su cui si affaccia un’elegante
fontana barocca e il Palazzo Comunale,
grandioso edificio romanico
dell’XI secolo, ma con la facciata
di epoca barocca, caratterizzata
da una scalinata esterna, un arco e
una torre; sul retro del Palazzo
Comunale si imbocca la via Antica,
su cui svetta un’alta torre, mentre
procedendo a sinistra si incontra la
sagoma della chiesa di San Pancrazio,
costruzione romanicogotica
del XIII secolo, incorniciata
da due torri medievali mozze e dal
campanile.
Copie di reperti etruschi
in vendita a Tarquinia
Nelle vicinanze vi è poi il
Duomo, dedicato a Santa Margherita,
dalla facciata neoclassica, al
Notizie utili
Come arrivare:
Da sud percorrere la A.12 Roma-Civitavecchia, fino all’uscita di Civitavecchia
nord, quindi proseguire in direzione Grosseto fino al bivio per
Tarquinia. Da nord percorrere la A.1 fino all’uscita di Orte, quindi percorrere
la superstrada Orte - Civitavecchia, fino all’uscita di Vetralla e
poi proseguire in direzione Monteromano – Tarquinia.
Un evento particolare:
Tra la fine di luglio e l’inizio di agosto si svolge il “DiVino etrusco”, manifestazione
enogastronomica nel corso della quale vengono allestiti nel
cuore della cittadina numerosi stand in cui è possibile degustare i vini
prodotti dalle cantine dell’Etruria oltre ai prodotti del territorio. Collateralmente
sono organizzati spettacoli di musica e cabaret, vengono allestite
anche delle mostre e ovviamente vengono montati un po’ dappertutto
stand che mettono in vendita anche prodotti e manufatti artigianali.
Cosa acquistare:
Nella cittadina si trovano botteghe di artigiani che offrono perfette riproduzioni
dei manufatti di stampo etrusco, come il caratteristico bucchero,
tipo di ceramica dal colore nero e dalla superficie lucida e ornata
a rilievo; vi sono anche numerosi orafi che si dedicano alla riproduzione
di antichi gioielli etruschi, quindi per portarsi a casa un pezzo di Etruria
non vi resta che esplorare anche le botteghe cittadine. Senza dimenticare,
ovviamente, i vini...
Dove mangiare:
I piatti tipici della cittadina, come la cosiddetta acquacotta (una zuppa
preparata con erbe campestri, pane raffermo, pomodoro e olio), si possono
gustare presso il ristorante “Re Tarquinio”, in via Dante Alighieri,
mentre per i piatti a base di pesce si consiglia il ristorante “Grandinoro”,
sul Lungomare dei Tirreni n. 69.
Dove sostare:
Si può parcheggiare all'inizio del paese, sulla destra di via IV Novembre,
quasi di fronte all'anfiteatro o nel parcheggio appena al di fuori
della cortina muraria; uno dei campeggi più vicini è il “Riva dei Tarquini”,
sulla S.S. Aurelia, km 102, tel. 0766.814027.
Informazioni:
- Ufficio Turistico: tel. 0766.849282, e-mail: turismo@tarquinia.net
- Comune di Tarquinia: tel. 0766.8491, sito Web: www.comuneditarquinia.it
Il quattrocentesco palazzo Vitelleschi, sede del Museo Nazionale
IL CLUB n. 117 – pag. 29
cui interno sono visibili affreschi
cinquecenteschi, mentre proseguendo
lungo via Porta di Castello
si incontra la chiesa di Santa Maria
in Castello, risalente al 1221,
che è una magnifica costruzione
di impronta romanica, affiancata
da un’altissima torre, ennesima
testimonianza del magnifico
viaggio nel tempo e nell’arte che
le esplorazioni cittadine consentono
di fare, a cavallo tra suggestioni
etrusche e reminiscenze
medievali.
Ai margini dell’abitato, in
direzione di Viterbo, si trova la
necropoli etrusca di Monterozzi
(aperta dalle ore 9 fino ad un’ora
prima del tramonto), che racchiude
un grande numero di
tombe a tumulo con camere scavate
nella roccia, al cui interno si
è conservata una straordinaria
serie di dipinti che rappresentano
il più ampio documento della pittura
antica prima dell’età imperiale
romana. Le camere funerarie,
modellate sullo schema degli
interni delle abitazioni, presentano
pareti decorate con scene di
carattere magico-religioso raffiguranti
banchetti funebri, danzatori,
suonatori, paesaggi intessuti
con colori intensi e vivaci.
Tra i sepolcri più interessanti vi
sono le tombe denominate del
Guerriero, della Caccia e della
Pesca, dei Tori, degli Auguri e del
Barone, accessibili con visite guidate.
Testo di Mimma Ferrante
Foto di Maurizio Karra
I manieri di Mussomeli e Mazzarino
Due gemme nella Sicilia interna che sa di zolfo e di riflessioni culturali e letterarie, che parla
la lingua di Rosso di San Secondo e di Leonardo Sciascia; una Sicilia diversa che si racconta
attraverso due cittadine in cui convivono la tradizione enogastronomica, le preziose vestigia
del passato, la dolcezza del vivere e il legame profondo con la civiltà contadina
R
itrovare il senso delle
cose autentiche, tra vecchie pietre
e sapori perduti, mentre i sensi si
incantano con storie che sanno di
leggenda; storie che ancora trasudano
dagli antichi bagli, dai palazzi,
dai castelli: la provincia nissena
possiede insediamenti che testimoniano
una presenza umana fin
dalle epoche più antiche, una stratificazione
che dal neolitico arriva
alla colonizzazione greca.
Segnata dalla potenza di
Gela, dall'epoca medievale e quindi
dalla fioritura del barocco, la
provincia di Caltanissetta, come
tutta la Sicilia, racconta un po' la
storia del Mediterraneo, attraversando
numerose epoche storiche:
si passa dagli insediamenti dei Rodiocretesi
che hanno fondato Gela,
ai castelli medievali che caratterizzano
il territorio testimoniando il
passaggio di Arabi, Normanni e
Svevi; dalle miniere di zolfo, che
oggi offrono un nuovo modo di intendere
il turismo, alle sette riserve
naturali. C'è un'offerta turistica
di valore culturale molto variegata
e, in particolare, vi sono due cittadine
medievali da non perdere,
Mussomeli e Mazzarino, dove ci
sono tutti i presupposti per trascorrere
belle giornate e dove si
può gustare un’ottima cucina perchè
da queste parti si continua a
cucinare seguendo le ricette “della
nonna"; insomma, due mete adatte
ai viaggiatori che hanno voglia
di scoprire itinerari insoliti e, in
partciolare, per i camperisti, grazie
agli spazi di parcheggio disponibili
e, per quanto riguarda Mussomeli,
la presenza di un’area attrezzata
in Piazzale Mongibello.
Arroccato su un'aspra collina,
Mussomeli sembra controllata
a vista dal suo castello manfredonico.
Edificato nella prima metà del
'300 da Manfredi IV di Chiaramonte,
il maniero fu sede dell'incontro
dei nobili ribelli guidati dal successore
Andrea contro gli Aragonesi.
Condannato a morte Andrea, cominciò
il lento declino dei Chiaramonte.
Subentrarono i Moncada,
Il castello di Mussomeli, che domina l’abitato dall’alto di un’aspra collina
discendenti di una nobile famiglia
catalana, poi i De Prades, discendenti
reali d'Aragona, quindi i Castellar
di Valenza. Nel 1451 la proprietà
passò ai Perapertusa, baroni
di Favara, poi ai Ventimiglia, ai Del
Campo e infine ai Lanza, che rimasero
padroni del castello fino al
1812, quando il parlamento sicilia-
IL CLUB n. 117 – pag. 30
no abolì i feudi. Una leggenda narra
che il conte Cesare Lanza ,dopo
aver ucciso nel castello di Carini la
figlia Laura, si sia ritirato ad espiare
la sua colpa a Mussomeli. La baronessa
di Carini così vaga ancora
per le stanze in cerca del padre.
Il castello presenta una
doppia cinta muraria, ha un corpo
principale che si affaccia sullo
strapiombo, portale e finestre in
stile gotico con archi e merli, una
cappella e stanze adorne di colonne
e fregi. Tra queste, la Sala dei
Baroni, dove nel 1391 il figlio di
Manfredi, Andrea Chiaramonte, si
riunì con i baroni ribelli per congiurare
contro il ritorno degli Aragonesi
in Sicilia, la sala delle volte a
crociera e quella degli archi ogivali,
fino alla "Stanza di li tri donni",
nelle cui mura sembra siano state
murate tre donne, vittime di un
dramma di gelosia.
Oltre alla visita del castello,
c’è tanto altro ancora da vedere
e da fare a Mussomeli; per esempio,
ogni mattina si può gustare
ricotta appena fatta nel caseificio
del pastore Giuseppe Mistretta, realizzata
a norma CE nella sua casa
in pieno centro; così come con pochi
euro si può dormire nell'antico
convento alla Badia dove, lì davanti
nel 1787, il giovanissimo Giacinto
Langela assassinò un paggio ma
poi si fece frate domenicano e costruì
il chiostro di San Domenico
(oggi sede universitaria) e il magnifico
Santuario della Madonna
dei Miracoli, Patrona della città.
Un itinerario di visita tipico
nel cuore del borgo può cominciare
da piazza Umberto I, dove una sosta
si può fare per gustare un corposo
caffé al bar Royal o un croccante
arancino da Sebastiano Genco;
lungo le antiche viuzze in pietra
lavica, via Provvidenza e via
Barcellona, si arriva alla Chiesa
Madrice, capolavoro barocco, dove
si può visitare la cripta della vecchia
chiesa dedicata a San Ludovi-
co e l'adiacente oratorio che conserva
lo stupefacente corredo della
cinquecentesca Arciconfraternita
del SS. Sacramento. Siamo nel
cuore di Terravechia, a metà strada
tra Santa Margherita, la più antica
chiesa che conserva gli stucchi
del Serpotta, e l'antica torre civica
voluta da Don Cesare Lanza, padre
della baronessa di Carini.
In piazza Roma si erge
maestoso il palazzo Trabia, a due
passi palazzo Sgadari e il grandioso
palazzo Minneci. E quindi ecco il
Santuario e le sue cripte, lo splendido
pannello a muro realizzato da
Pino Petruzzello che narra la storia
della città, e poco più sotto la chiesa
di San Giovanni con l'incantevole
statua dell'Addolorata. Vale anche
una capatina l'Antiquarium,
presso il municipio. Chi vuole può
anche effettuare escursioni nei dintorni,
alle città archeologiche di
Rane e Polizello.
Passiamo a Mazzarino: le
sue origini vanno ricercate nell'antica
città di Mactorio, centro indigeno
ellenizzato posto sul monte
Bubbonia, ma la storia moderna
della città si lega dal XIV secolo
alla famiglia Branciforti. Assorbita
la vicino contea di Grassuliato, dove
si ergeva l'inaccessibile fortezza,
la città visse il massimo del suo
splendore nella seconda metà del
'600 sotto Carlo Maria Carafa
Branciforti: politico, erudito, mecenate
celebre in tutte le corti europee,
amava stupire facendo
sfoggio di ricchezza e prestigio.
Grande di Spagna e ambasciatore
di re Carlo II rese magnifica la dimora
dei Branciforti. Richiamò no-
Il castello di Mazzarino, detto “u cannuni”
IL CLUB n. 117 – pag. 31
bili e facoltosi proprietari, mercanti
catalani, umanisti, artisti, artigiani
e la cittadina si adornò di chiese,
monasteri, fontane, strade selciate
e magnifiche dimore che oggi costituiscono
il suo prestigioso patrimonio
architettonico.
La cittadina vanta quindi
un ricco patrimonio architettonico
barocco e innumerevoli chiese che
svettano con i loro campanili a
segnare l'antico borgo feudale.
Basta ricordare il Santuario di Maria
SS. del Mazzaro, la Matrice di
Santa Maria della Neve, la chiesa
Sant'Ignazio e l'ex collegio dei
Gesuiti; da vedere poi la chiesa
del Santissimo Crocefisso dell'Olmo,
dal sobrio stile romanico, ma
rimaneggiata fino alla metà del
'700 quando fu dotata di un bel
campanile rivestito di maioliche
policrome (proprio al Signore dell'Olmo
è dedicata la festa folcloristicamente
più importante della
cittadina). Da non perdere, ai
margini dell'abitato, la chiesa e il
convento dei Cappuccini:
all’interno della chiesa, edificata
intorno al 1120 e poi modificata
nel '500, è da ammirare il preziosissimo
altare in legno di ciliegio e
ulivo intarsiato di madreperla, osso,
tartaruga e avorio. Molto bello,
infine, lungo il Corso, Palazzo
Alberti, un gioiello liberty.
Immancabile anche qui
una visita alle rovine del castello
medievale, dai paesani chiamato
"U cannuni" per via dell' unica torre
cilindrica che si erge impettita
verso il cielo. Il castello, di origine
romano-bizantina, fu acquistato da
Stefano Branciforti tra il 1282 e il
1292 e da quel momento servì da
residenza ai Conti di Mazzarino,
anche se poi il maniero fu abbandonato
al suo destino. In anni recenti
fu utilizzato anche come suggestivo
sfondo per una scena de
"La Piovra".
Da non perdere, nei dintorni
dell’abitato, gli insediamenti
frequentati sin dal VIII secolo a. C.
e scoperti ai primi del '900 da Paolo
Orsi. Forse si tratta dell'antica
Maktorion di cui parla Erodoto.
Mazzarino vanta inoltre nei suoi
dintorni un monte, Monte Formaggio,
ricco di boschi e punto di riferimento
paesaggistico. Tra un'escursione
e l'altra si possono gustare
prodotti genuini, ricotta fresca,
tuma, olive e visitare le antiche
masserie tipiche.
Alfio Triolo
Il sapone di casa
Uossu r'auliva e ppetra cotta, sugni vinutu cca pp'allucintari e-ccapitai m-manu i na bedda
picciotta c'a ppicca a picca mi sta fannu squagghiari
S
econdo Plinio furono i
Galli che per primi prepararono e
usarono il sapone. Il carbonato di
potassio o potassa, indispensabile
per la reazione dei grassi e degli oli
in sali alcalini, poiché ancora non si
sapeva estrarre dal suolo, veniva
ricavato dalle ceneri degli alberi e
dei cespugli bruciati nei boschi e
nelle radure. L'impiego del sapone
col tempo andò aumentando, specie
quando si diffuse l'uso della
biancheria, fino a tal punto che
Marsiglia nel secolo IX divenne famosa
nel mondo anche per la produzione
di quel sapone duro che
ancora oggi porta il suo nome.
Quando si lavava solo a mano,
grande era dunque il consumo di
questo tipo di sapone, preparato
direttamente in casa o prodotto
anche a livello artigianale.
Dalle nostre parti, oltre alle
esperte donne che su richiesta andavano
a prepararlo a domicilio,
erano in funzione anche dei laboratori
artigianali di solito collegati
con i frantoi locali: a Palazzolo, per
esempio, operavano i fratelli Vincenzo
e Rosario Italia, soprannominati
per l'appunto i sapunari, attrezzati
di un piccolo laboratorio a
conduzione familiare in via Roma.
Nel periodo bellico e postbellico
(1940/48), poiché come si
sa anche il sapone, oltre al pane,
alla pasta, allo zucchero, ecc., era
razionato e veniva distribuito tramite
la Carta Annonaria, questa
consuetudine improntata all'autosufficienza
e al risparmio, specialmente
riguardo alla classe contadina
e popolare, si consolidò, anzi
diventò una necessità per sopperire
all'inadeguato quantitativo assegnato
con le tessere. Subito dopo,
invece, a partire dagli anni '50,
con l'avvento delle lavatrici a poco
a poco la pratica del bucato a mano
è andata scomparendo e di
conseguenza anche l'utilizzo del
sapone di "casa" progressivamente
si è ridotto; anche nell'area iblea
questa consuetudine come tante
altre sta per finire, ma sopravvive
ancora seppur in poche famiglie,
quelle più legate alla tradizione.
Il sapone, intanto, non si
fa mai di venerdì, altrimenti se-
Ancora oggi, seppur in poche famiglie, si perpetua
la tradizione del sapone fatto “a mano”, in casa
IL CLUB n. 117 – pag. 32
condo la credenza popolare, non
quaglia. Il metodo di preparazione
del sapone di casa è quello antico
ed è il più semplice nello stesso
tempo, in quanto si basa essenzialmente
sul processo di saponificazione
dei grassi messi a bollire
con l'aggiunta di una soluzione acquosa
di soda caustica. Questi
grassi sono costituiti di solito da oli
guasti irranciditi, da residui di frittura,
da piccoli ritagli di sapone,
dalla murìa o fezza che si trovava
sedimentata nel fondo delle giare e
delle vasche e da tutti quei grassi
che a mano a mano si riescono a
racimolare in famiglia. Quanto alla
murìa, al tempo degli antichi frantoi
questa si otteneva dall'acqua
messa a decantare nella "morte";
dopo qualche giorno saliva in superficie
l’uogghiu ruossu, poco
commestibile ma eccellente per il
sapone di casa.
In un quararu si versava il
grasso miscuglio, si aggiungeva
dell'acqua nella stessa percentuale
e quindi si accendeva un vigoroso
fuoco di legna uniformemente distribuito
su tutto il fondo. Immediatamente
dopo, con il bastone
che serviva per rimescolare la
massa, si tracciava a mo' di rito
propiziatorio il segno della croce
verso la bocca del recipiente. Appena
il contenuto incominciava a
bollire si iniziava a versare pian
piano la patassa (soda caustica, 1
kg per ogni 4 di olio) precedentemente
sciolta in acqua fredda e si
rimescolava di continuo con il bastone.
Questa erogazione, sapientemente
calibrata, doveva avvenire
a intervalli regolari, e proprio
quando il liquido cominciava a rapprendere,
altrimenti la massa per
eccesso di soda si sarebbe sdillacciata,
cioè si sarebbe "ubriacata",
non coagulando più.
Le donne più superstiziose
attribuivano questo fenomeno non
a un’effettiva reazione chimica mal
riuscita, ma piuttosto al fluido negativo
di qualcuno dei presenti
che, mal volendo anche a livello di
subconscio la padrona di casa, trasmetteva
una sorta di malocchio
all'emulsione e il sapone pertanto
non saliva più in superficie.
Antiche lavandaie al fiume
Ancora oggi le ultime saponare
rimaste, quando vengono
incaricate per questa operazione,
in maniera più o meno esplicita
fanno intendere che preferiscono
essere in poche davanti al quararu
per non fare fudda (confusione).
Nel frattempo, di tanto in tanto,
con un cucchiaio prelevano dal
quararu un piccolo campione per
controllare de visu lo stato di addensamento.
Dopo un paio d'ore di
ribollimento avviene l'emulsione e
il sapone incomincia a salire assu-
Il nostro Alfio Triolo mostra alcuni panetti di sapone artigianale, che
solidifica dopo un paio di giorni dalla lavorazione e a quel punto può
essere tagliato nelle forme e nelle misure desiderate
IL CLUB n. 117 – pag. 33
mendo l'aspetto di un bianca pasta
molle: è pronto per essere messo
nelle forme.
Prima però lo si battezza
(oltre al pane che lo è per eccellenza,
anche il sapone di casa, per
via dell'olio d'oliva, è considerato
"grazia di Dio"): si butta un pugno
di sale marino dentro il fusto, si
traccia il segno della croce e si
pronuncia la seguente invocazione:
"Patri, Figghiu e Spiritu Santu;
pozza crisciri n'autru tantu".
Quindi si spegne il fuoco e con
un boccale, o meglio con una
cannata ri crita, si versa nei
canzi ri lanna (nelle forme) in
attesa che si solidifichi.
Trascorsi un paio di giorni,
il sapone è già duro e pronto per
essere tagliato. Si sforma e con un
grosso coltello, oppure con u tagghiaturi,
che altro non è che un filo
di chitarra alle cui estremità si legano
due rocchetti di legno per poterlo
maneggiare, si taglia prima a
strisce a poi a pezzi nelle misure e
nel peso desiderato. Il bucato lavato
con questo sapone profuma veramente
di pulito e di antico e di
certo non teme nessun confronto
con la biancheria lavata con detersivi
o saponi variamente sofisticati.
Un malizioso indovinello
popolare, raccolto a Noto da M.
Di Martino sul finire del secolo
scorso e riproposto con delle varianti
a Palazzolo Acreide da Antonino
Uccello, paragona il sapone
di casa a un’amante che
nelle mani di una bella ragazza
si consuma d'amore: "Uossu
r'auliva e ppetra cotta, sugni vinutu
cca pp'allucintari e-ccapitai
m-manu i na bedda picciotta c'a
ppicca a picca mi sta fannu
squagghiari"(Nocciolo d'uliva e
pietra colla, son venuto qua per
far brillare e son capitato nelle
mani di una bella giovane che a
poco a poco mi fa sciogliere).
Anticamente le scagghie
del sapone di casa servivano ad
ungere le scottature onde impedire
le inevitabili bolle sierose (i
papuli) e per sbiancare le falci
prima di essere intensamente
riscaldate nella forgia per la
tempera. Oggi si conservano per
metterle al tempo opportuno
sopra la bocca della botte onde
evitare che fuoriesca il mosto
durante la delicata fase della
fermentazione. È un sistema
empirico ma efficace.
Alfio Triolo
I
giovani hanno bisogno
della crescita per guardare con fondata
speranza verso il futuro, per
realizzare i loro progetti di vita nella
famiglia, nel lavoro, nella politica e
nel sociale; e la crescita ha bisogno
del coraggio e della spinta ideale dei
giovani per ricostruire il presente del
nostro Paese sulle nuove fondamenta
di un vivere etico e civile, capace
di rinvigorire la fiducia, la solidarietà
e la comprensione reciproca.
La crisi finanziaria e il risanamento
della finanza pubblica rendono
incerte e precarie le prospettive
di reddito e di occupazione delle nuove
generazioni e, quindi, la valorizzazione
delle loro aspirazioni individuali,
il loro contributo effettivo alla crescita
economica e la loro partecipazione
attiva alla vita democratica e alla costruzione
di una società migliore e dal
volto umano. Al di là delle misure
tecniche e settoriali che verranno
approntate dal governo e dalle istituzioni
preposte a sostegno della crescita,
ritengo che la causa principale
del disagio e della frustrazione dei
giovani sia ben più profonda di quella
economica ed affonda le sue radici in
una crisi culturale ed antropologica,
che fiacca lo spirito e indebolisce la
volontà, impedendo così di liberare e
mobilitare le energie più sane per
rilanciare innanzitutto una crescita
etica e civile del Paese.
L’esplosione di individualismo,
l’asservimento agli idoli del denaro
e del successo a tutti i costi,
hanno determinato uno svuotamento
interiore e l’implosione di tutti i valori
in un atmosfera di indifferenza, dove
ogni cosa diventa irrilevante, mescolandosi
con le altre in un cocktail privo
di sapore e significato. Ciò investe
la stessa natura dell’uomo, la fiducia
nella vita e nella possibilità di scorgere
un domani migliore. Il crollo della
natalità è un sintomo evidente del
vuoto di certezze e di speranza. Come
ha affermato Benedetto XVI, in
una società dove prevale il relativismo
ogni persona è prima o poi condannata
“ a dubitare della bontà della
sua stessa vita e dei rapporti che la
costituiscono, della validità del suo
impegno per costruire con gli altri
qualcosa in comune”.
La formazione, come struttura
fondante l’edificazione dell’uomo,
Terza pagina
I giovani e la crescita
per acquisire conoscenze e competenze,
per interiorizzare valori, modelli
e stili di vita è in una crisi dirompente
perché alla radice c’è una crisi
di fiducia nella vita e nell’opera dell’
uomo. Per questo siamo di fronte ad
una crisi di identità e di civiltà che
avviluppa l’intero Occidente. Il
dramma del nostro sistema educativo,
infatti, è quello di non essere in grado
di offrire punti di riferimento stabili,
capaci di ascoltare, formare ed orientare
i giovani a dare “un nuovo senso
e un nuovo valore alla vita”: una vita
innazitutto degna di essere vissuta
per se stessi e per gli altri; una vita
dove la persona come “luogo della
speranza” sia il centro motore di aspirazioni
e inclinazioni che si propongano
obiettivi più alti e al servizio
del bene comune.
Come afferma ancora di recente
il Santo Padre “Per questo
sono più che mai necessari autentici
testimoni, e non meri dispensatori di
regole e di informazioni; testimoni
che sappiano vedere più lontano
degli altri, perché la loro vita abbraccia
spazi più ampi. Il testimone
è colui che vive per primo il cammino
che propone”. Di fronte a questa
“grande emergenza educativa” non
solo i responsabili delle istituzioni
formative ed educative (le famiglie,
le scuole, la chiesa), ma tutte le
componenti del mondo del lavoro,
dell’economia e della cultura sono
chiamate ad un altrettanto grande
sfida culturale alla luce di un nuova
IL CLUB n. 117 – pag. 34
umanesimo, che sia in grado di
promuovere una vera “alleanza per
l’educazione”.
Le nuove generazioni,infatti,
se ben preparate ed educate al buon
uso della libertà, alla solidarietà tra
generazioni, alla giustizia sociale e
alla pace tra i popoli, rappresentano
un “bene pubblico globale” inestimabile,
un driver formidabile di capitale
umano su cui investire ed essere
competitivi nel mercato globale,
quell’esercito di riserva che sarà
sempre più necessario a tutti noi per
fronteggiare le aspre difficoltà e le
urgenti sfide dell’oggi e del domani.
Capisco bene che di fronte alle difficoltà
e alla crisi in atto, di cui tutti noi
siamo testimoni, queste parole possono
sembrare delle pie esortazioni,
che non danno risposte concrete alle
attese e alle inquietudine dei giovani.
Ciononostante vorrei solo
trasmettere ai giovani fiducia, a non
perdersi d’animo di fronte alle avversità,
a non attendere passivamente
da altri la soluzione dei problemi,
perché “sta in voi” la carica di
futuro per costruire il domani, partendo
oggi dalla consapevolezza
della proprie forze. In altri termini e
concludo: “I giovani non devono
preoccuparsi di capire dove va il
mondo, perché il mondo andrà dove
andranno loro”.
Valerio De Luca
Presidente dell’Accademia Internazionale
per lo Sviluppo Economico e Sociale
Il mio camper
Anche i nostri soci parlano di camper, del loro camper: com’è, del perché l’hanno scelto,
dei suoi pro e contro... Ed è come se parlassero di loro stessi!
I
l sorriso ha sempre contraddistinto
Ippolito Ferreri, insieme
alla moglie Rosalba e alla figlia Francesca,
oggi quindicenne, fin da
quando all’inizio del 2005 furono
presentati al nostro Club dagli amici
Elisabetta e Vittorio Parrino, anche
essi di Milazzo, che da poco erano
diventati nostri soci. Un legame forte
che è rimasto intatto, fra le due
coppie, così come intatto è rimasto a
ogni occasione di incontro quel sorriso
che non è mai cambiato né venuto
meno nel contatto con tutti gli altri
soci del nostro Club: una cosa
bellissima che fa ancor più apprezzare
il senso di un’associazione.
Il primo camper Ippolito e
Rosalba lo avevano acquistato nel
2002, quando Francesca aveva 5
anni, ed era stata fin da allora una
scelta vincente per le loro vacanze e
per trascorrere qualche week-end
all’aria aperta; li avevamo conosciuti
proprio a bordo di quel semintegrale
Mc Louis che è stato il loro primo
camper e che è stato poi sostituito,
cinque anni dopo, dall’attuale bel
mansardato CI Mizar, ben più grande
e comodo del precedente, scelto
proprio per assecondare le esigenze
abitative e logistiche di ciascun
componente della famiglia.
E’ un veicolo di poco più di 7
metri di lunghezza, al top della produzione
CI, su motorizzazione Ducato
3 litri da 160 cavalli, con un ampio
living anteriore con tavolo centrale,
una comoda e alta mansarda,
blocco cucina a elle con frigo da 160
litri e forno, elegante wc con doccia
separata e in coda il letto a castello
che la famiglia Ferreri utilizza solo
nella parte superiore, per Francesca,
avendo chiuso il vano del letto inferiore
per dare spazio al gigantesco
garage di coda, accessibile così sia
dalle due pareti esterne che
dall’interno del mezzo.
A distanza di cinque anni
dall’acquisto, tutta la famiglia si trova
d’accordo nel considerare assolutamente
riuscita la scelta di questo
CI, grazie anche a tutti gli optional
montati oltre che alle soluzioni di arredo
e alla componentistica di alto
livello propria del modello del camper
scelto. Ne sono testimonianza le
valutazioni fornite da Ippolito nella
La famiglia Ferreri davanti al proprio camper e al suo interno
scheda della pagina seguente, praticamente
tutte al top.
Ben conosciamo l’amore per
il mare, la natura e la cultura di tutti
e tre i componenti della famiglia Ferreri,
ma quali sono state le mete
prescelte per i viaggi in questi anni?
Rosalba ci parla innanzi tutto dei
viaggi effettuati all’inizio alla scoperta
delle varie regioni d’Italia, dalla
Valle d’Aosta al Veneto, dalla Sardegna
all’Italia centrale, mentre Ippolito
ci descrive le mete estere degli
ultimi anni: la Spagna e il Portogallo,
l’Austria, la Francia e la Grecia, girata
in lungo e in largo, compresa
l’affascinante isola di Creta. Mentre
Francesca ci parla anche delle sue
IL CLUB n. 117 – pag. 35
prime esperienze in camper: «ricordo
che i viaggi erano per me una
grande novità, mi incuriosiva tutto e
trovavo interessanti le spiegazioni
delle guide in giro per chiese, castelli
e monumenti vari. La gita più bella
che io ricordi è stata la prima: sui
monti innevati della Sila».
Approfitto a questo punto di
Francesca anche per avere da una
quindicenne un’impressione sul nostro
Club e le chiedo a bruciapelo se,
proprio perché adolescente, le piace
ancora trascorrere i week-end in
camper con i genitori, effettuare
viaggi… o se si sente “tirata” dal padre
e dalla madre. «Ad essere sincera
– mi risponde - il più delle volte
sono i miei genitori che insistono per
farmi partire, io so che sono delle
belle esperienze e occasioni che
probabilmente non ricapiteranno facilmente,
ma spesso trovo più divertente
restare a Milazzo con tutti i
miei amici». Sappiamo bene che
questo è il vero problema generazionale
del nostro Club, dove la partecipazione
è quasi sempre di coppie
ormai più che cinquantenni. Anche
Francesca, d’altronde, conferma che
«sarebbero belle delle gite mirate
più a noi giovani con una maggiore
partecipazione di miei coetanei e
non in giro per le chiese e musei».
Ma non è sempre facile – lo sappiamo
- coniugare le esigenze di tutti,
grandi e non: Francesca, in pratica,
è cresciuta in camper e ovviamente
le sue esigenze sono simili a quelle
che hanno o hanno avuto la totalità
dei nostri figli, che ormai non si ve-
Carta d’identità
dono più accanto a noi.
Anche Rosalba interviene
sull’argomento, parlandoci di lei e
dei suoi problemi di gestione familiare
e lavorativa. «Le tue domande mi
fanno venire in mente quando, con
Francesca di appena tre mesi, ho
vinto il concorso al Comune di Buccheri;
poi sono stata trasferita al
Comune di Barcellona P.G. ed infine
al Comune di Milazzo dove attualmente
sono in forza presso il Comando
dei Vigili Urbani come responsabile
del servizio contenzioso.
Io cerco di soddisfare, ad incastro, le
esigenze di tutti e di trovare sempre
il tempo per ascoltare ed osservare
mia figlia. E la vita in camper ha
rappresentato per me l’attesa del
viaggio o anche del solo fine settimana
per poter incontrare gli amici,
vedere posti nuovi o semplicemente
rilassarmi». Esigenze quindi talvolta
Socio: Ippolito Ferreri (anni 47)
Residenza: Milazzo
Occupazione: ispettore presso l’Ufficio Provinciale del Lavoro di Messina
Altre persone che compongono l’equipaggio: la moglie Rosalba,
48 anni, funzionario del Comune di Milazzo, e la figlia Francesca di
15 anni, studentessa
Caratteristiche del camper
Veicolo: C.I. Mizar Garage Living
Anno di acquisto: 2007
Anno di prima immatricolazione: 2007
Tipologia: mansardato
Meccanica: Fiat Ducato 3.0 160 cav.
Misure: lunghezza: m. 7,40; larghezza: m. 2,30; altezza: m. 3,10
Posti omologati: n. 6
Posti letto: n. 6: 1 matrimoniale in mansarda, 2 in coda a castello e
1 matrimoniale ottenibile dalla trasformazione del living anteriore
Serbatoi acque chiare: l. 220
Serbatoio acque grigie: l. 110
WC: Thetford a cassetta 17 l.
Riscaldamento e Boiler: Webasto a gasolio
Frigorifero: trivalente l. 160
Cucina: piano cottura 3 fuochi con forno e cappa aspirante
Optional montati: tendalino, antifurto, CB, aria condizionata cabina
e cellula abitativa, generatore 220 v., impianto televisivo con parabola,
sospensioni pneumatiche Al.Ko, ecc..
Valutazione del mezzo da parte del socio
Motorizzazione veicolo (velocità/ripresa) Molto soddisfatto
Impianto freni Molto soddisfatto
Tenuta di strada Molto soddisfatto
Spazio utilizzabile nella cellula abitativa Molto soddisfatto
Impiantistica (capacità serbatoi/stufa...) Molto soddisfatto
Qualità del mobilio ed eleganza arredi Abbastanza soddisfatto
Cuscineria e tappezzeria Molto soddisfatto
Comodità dei letti Molto soddisfatto
Comodità dei divani e dei posti a tavola Molto soddisfatto
Capacità stivaggio (gavoni/armadio/ante) Molto soddisfatto
Servizio WC/doccia Molto soddisfatto
Cucina/piano cottura/frigo Molto soddisfatto
IL CLUB n. 117 – pag. 36
diverse e non sempre combacianti
fra genitori e figli. Lo sappiamo!
Un’altra immagine di Rosalba e
Francesca all’interno del loro camper
E’ Ippolito a questo punto a
intervenire, partendo proprio dalla
sua vita professionale. «Nel 1991 io
e Rosalba ci siamo trasferiti in Valtellina
per dedicarci all'insegnamento;
a novembre ‘92 mi sono dimesso
poiché ho avuto la fortuna di vincere
un concorso presso la Regione Siciliana
in qualità di "Funzionario direttivo".
In tale veste ho lavorato per
circa dieci anni presso il Comitato
Regionale di Controllo di Messina effettuando
i controlli di legittimità sulle
delibere adottate dai Comuni; nel
2002 ho chiesto il trasferimento all'Ispettorato
Provinciale del Lavoro ed
ho acquisito anche la qualifica di Ispettore,
e adesso lavoro per un
50% di giornate nei vari Comuni del
messinese in ispezione a esercizi
commerciali, cantieri e Tribunali.
Come puoi immaginare – continua -
è un lavoro "rognoso" ma lo svolgo
con passione e, soprattutto, non è
noioso e ripetitivo».
E il camper? «Valuto positivamente
la mia esperienza di socio
del Club poiché ho conosciuto tanti
amici con i quali ho condiviso piacevoli
momenti di svago; del mio Club
sono soddisfatto e, pertanto, non lo
vorrei diverso. C'è infatti un buon
mix di momenti ludici e culturali. Unico
neo, per quanto mi riguarda, è
la scarsa presenza di famiglie con
figli adolescenti e ciò mi induce spesso
a dover "tirare" Francesca». E’ un
po’ il cane che si morde la coda...?
Maurizio Karra
S
i sa che guidando si
pensa alla strada; se è lucida e
quindi scivolosa, se è opaca o
con manto drenante; se con asfalto
liscio o ondulato; se con
buche, da scansare per tempo,
come per Samarkand, ma non ne
sono immuni le nostre autostrade;
si ascoltano i rumori che
provengono dal motore, dalla
carrozzeria; si leggono gli strumenti;
si ascolta la voce del Tom
Tom, da verificare sempre; si
ascolta la radio fin quando non
arriva un tunnel, e poi un altro
ed un altro ancora: si consiglia
allora al passeggero, che nel mio
caso è solo mia moglie, di montare
un cd che suona almeno per
un'ora senza alcun fruscio. Ma il
cd, qualunque esso sia, isola
dalla realtà; ci piace la musica
classica, ma a volte è meglio
affidarsi ad un buon audio-libro
letto da attori famosi; però, avendoli
ascoltati innumerevoli
volte, non danno più stimoli; per
cui è meglio ascoltare la radio
con, a volte, la pubblicità o i fruscii,
ma che dà spunto e avvio a
ulteriori molteplici pensieri, che
corrono più veloci della strada o
della musica. Pensieri liberi; anche
non necessariamente coordinati
con la consecutio
temporum applicata in un qualsivoglia
ragionamento.
Ascoltiamo un po' di giornale
radio. Grave incidente all'isola
del Giglio. La nave della Costa
Crociere Concordia di 294
metri va fuori rotta: almeno tre
morti... il comandante.... Ma
Melville, il capitano Achab, il
comandante che scende per ultimo,
quello che si sacrifica,
quello dell'Andrea Doria che non
vuole abbandonare la sua nave,
la sua creatura: che differenza...
Ripensiamo alla nave per Civitavecchia
che prendemmo all'andata,
con pochissimo personale,
anch’essa con i suoi …problemi,
seppur con danni circoscritti; ma
è stata l'unica volta che abbiamo
dovuto dormire vestiti, con l'incubo
di allagamento; che disastro,
che superficialità! Quale
valore si dà alla vita?
Un camper va in fumo
Riflessioni
Viaggiare in camper
con quattro ragazzi che cucinavano
all'interno. Veramente increscioso
che possa essere successo
a distanza di meno di un
mese dal precedente incendio di
un altro camper! Un piccolo trafiletto
lo rintraccerò il giorno dopo
in un giornale.
Nebbia in Val Padana.
Sale per sciogliere il ghiaccio in
Sila. Me ne accorgo; ma si vede
ad almeno 50 metri: speriamo
che non nevichi come nel 2010.
E comunque è inutile andare in
cerca di paesaggi. Lo scarico
questa mattina aveva creato una
stalattite malgrado l'irrorazione
di acqua calda e la porta, esposta
a nord, era bloccata. Meno
male che intorno alle 11 il sole
con l'alta pressione e il cielo azzurro,
fugata la brina, ricarichi la
batteria di servizio, attraverso il
pannello fotovoltaico.
Stornati un miliardo e
mezzo dal Ponte sullo Stretto di
Messina: non si farà più. Almeno
questo governo liberale è stato
chiaro, anche se ha tolto qualsiasi
speranza a chi poteva ancora
crederci. Ha fatto bene, ma
dove sono gli utenti potenziali,
se non c'è nessuno?
L'Inghilterra non firma gli
ultimi accordi faticosamente raggiunti
dagli altri partner sull'euro.
Ma il suo premier, conserva-
IL CLUB n. 117 – pag. 37
tore, perchè non vuole credere
all'euro? Per intanto mi riprometto
di non andare più in Inghilterra...ma
in Galles o in Scozia,
forse dall'Irlanda, vedremo...
Rifletto anche su cosa farà
il Club Pleinair del BDS. Ma ciò
non lo dice la radio! E le tre
bimbe adottate? Ora il capo Riccardo,
che organizza gli incontri
internazionali più disparati con la
sua Comunità di Sant’Egidio, è al
governo: che farà oltre che la
star mediatica? Creerà un nuovo
partito di centro?
Ma perchè le gallerie in
Italia sono al buio e senza ripetitori
radio? Appena il tempo di
uscire e dalla radio esce:
…Testamento biologico... E subito
un'altra galleria... Anche qui
parte la mia mente: come si può
alleviare, malgrado l'empatia, la
sofferenza di qualcuno che non
può esprimersi compiutamente
sul suo stato fisico o mentale,
ma che sicuramente pensa? E
cosa pensa? E' giusto sostituirsi
al suo pensiero? Chi può prendere
una decisione così irreversibile
come l'eutanasia? E' qualcuno
che crede in qualche entità religiosa
diversa ponendosi in modo
automatico a livello superiore
tale da poter prendere la fatale
decisione?
E che diritto può avere la
religione o addirittura qualcuno
di uno Stato laico di decidere
della sua vita, in nome di una
ideologia? L'unica soluzione sarebbe
di scrivere ciò che si vuole
fare della propria vita nel malaugurato
caso…; mentre si è
lucidi e in buona salute con un
testamento biologico, con uso di
libertà in piena responsabilità
cioè con libero arbitrio e decidere
in modo etico, civile, in un
luogo che ne conservi memoria:
è importante sapere che sarebbe
possibile farlo, come un normale
testamento.
Ecco, la galleria è finita.
Ora basta radio. Un po’ di musica
dal CD mi porta però a riflettere
sul viaggiare in camper e mi
sorge subito una domanda: conviene
partire in compagnia o da
soli? Dall'esperienza acquisita
sin dal 1989 in camper, si direbbe
che è meglio… Ma c'è l'esperienza
precedente in caravan…
Ricordi le tavolate multiregionali
e i conoscenti diventati
amici; ma dopo tanti anni quanti
di loro oggi ci sono? Eh, bisogna
ricercarla, l'amicizia, o è pur essa
un falso scopo, dato per scontato
che in effetti non esiste?
Certo anche nel nostro Club c'è
scritto: “insieme per l'amicizia”,
ma dalla semplice enunciazione
all'effettiva attuazione talvolta
ce ne corre!
Positivamente essa si ricerca
e si dà per scontata; ma
come ci si comporta quando
qualche equipaggio dice: per me
un amico si deve annullare completamente!
Soprattutto in un
viaggio importante quale quello
estivo quando si sta assieme per
almeno un mese. Ribaltando il
pensiero, come sarò stato considerato
quando non ho più voluto
un caro equipaggio che mi seguiva
pedissequamente in ogni
dove, senza darmi il minimo fastidio,
al contrario di qualche
altro, ma con poche idee e da
seguire a qualsiasi costo? E cosa
pensare di chi per principio vuole
partire in compagnia solo perchè
pensa di potere avere bisogno
ipotetico da un secondo equipaggio?
Dove sta l'amicizia? Certo,
partire in compagnia può dare
i suoi frutti se gli interessi
sono convergenti, se si collabora
effettivamente per esempio alla
ricerca di un museo, di una piazza
per il pernottamento, di una
trattoria locale o di un ristorante
costoso o meno, se si discute la
sera su quanto visto, o si programma
insieme per il giorno
dopo. E dove mettiamo, con
massima coerenza, il buon senso
o la stima?
Il paesaggio scorre davanti
a noi, adesso senza gallerie.
La musica continua a farmi
riflettere… Ricordo una pubblicità
che dice: da soli si va più veloci,
ma insieme si va più lontano.
Penso nel senso che ci si possa
IL CLUB n. 117 – pag. 38
avventurare di più, con più “lentezza”;
ma mentre la prima parte
è più veritiera, la seconda
parte può generare malumori, se
non suffragata da un sodalizio
collaudato. Bisogna essere consapevoli
ed avere a priori un
buona “visibilità d'insieme”. Inutile
partire se un equipaggio è
veloce e l'altro lento, se uno è
più benestante e l'altro molto
meno; se uno ama i paesaggi e
l'altro solo i musei, se uno ama
dimostrare, e gratuitamente, il
proprio presunto alto valore e un
altro invece è più concreto: un
famoso detto dice: il poveretto,
ora ricco, si guadagna da vivere
perchè compra gli uomini a
quanto valgono effettivamente e
li rivende a quanto gli stessi
pensano di valere. Lucrando sul
plusvalore.
Se non si esaudiscono
tutti questi principi è inutile partire
e poi lamentarsi: se si sceglie
di fare 20.000 Km in 30
giorni, cioè oltre 600 Km al
giorno, bisogna valutare a priori
se si è in grado! Se non si è amici
molto meglio pensare a degli
ottimi compagni di viaggio
magari per un grande viaggio
organizzato in un territorio sconosciuto,
appunto con persone
sconosciute. In fatto di curiosità
o rischio ce n'è ben donde.
Quanti equipaggi a priori amici
si sono ritirati e con l'amicizia
frantumata?
Poi, malgrado tutto, se si
decidesse di inserire una terza
persona, viene naturale dire un
terzo incomodo, pensando che
quest'ultimo possa essere mediatore
di opposte esigenze, c'è
il rischio di rimanere escluso per
l'unione tra il nuovo equipaggio
ed uno dei primi, più che per
interesse, per ideologia qualsivoglia
essa sia: si sa che nelle
maldicenze è facile rimanere impigliati
in ogni caso, sia che si
contestino, sia che si lascino scivolare
per non apparire o essere
additati come permalosi; qualsiasi
risoluzione, al minimo, sarebbe
indicata come cortile dove
non possono comandare due galli!
Comincia a piovere.
Quanta strada abbiamo percorso?
Fortunatamente siamo ormai
vicini a casa. Allora, basta riflessioni…
Giuseppe Eduardo Spadoni
A
prescindere dal motivo
per cui averne uno, chi non ha
mai pensato di farselo da sé? Sfido
chiunque ad ammettere di non
avere pensato di avere un sito
proprio! Un bel
www.cognomeenome.it dove
“esporre” la storia della propria
vita: pensateci, e ditevi con sincerità
se l’idea possa allettarvi o
no! Qualunque sia il motivo, vediamo
comunque cosa occorre
per realizzare un sito web.
Inizierei senz’altro dalla
conoscenza del linguaggio html
che, nonostante tutto, è ancora
alla base delle pagine web su cui
quotidianamente ci capita di navigare.
L’HyperText Markup
Language (letteralmente “linguaggio
a marcatori per ipertesti”)
rimane ancora l’ultimo tassello
indispensabile per qualunque realizzazione
web: è tramite i “tag”
che infatti si concretizzano i collegamenti,
lo stile e i tutti i vari
contenuti di una pagina internet.
Pur essendo tanti i linguaggi
di programmazione preposti
alla creazione di web pages,
è proprio l’html che continua ad
essere il passaggio necessario
per la loro visualizzazione. Conoscere
tale linguaggio aiuta
senz’altro a “pensare” preventivamente
una pagina web, “visionandola”
in anteprima con la propria
mente. E questo è il presupposto
fondamentale per cominciare
a lavorare a un sito internet.
E’ ovvio che chi fa un mestiere
diverso da quello del creativo
avrà certamente ben poche
intenzioni di iniziare ad imparare
un complicato linguaggio di programmazione.
Ma, come sempre,
la tecnologia sopperisce a questa
forma di scarsa “collaborazione”.
Sono tanti infatti i tool disponibili
per la realizzazione del proprio
sito web. Sono da preferire in
questo caso gli strumenti
WYSIAYG, cioè quei tool che
permettono di editare le pagine
di un sito internet senza necessariamente
avere un’elevata conoscenza
dei linguaggi di programmazione.
L’acronimo è riferito alla
frase inglese “What You See Is
Internet che passione
Costruire un sito web
All You Get”, che significa letteralmente
"quello che vedi è tutto
ciò che puoi ottenere". E’ infatti
la peculiarità di questi programmi
il farti vedere immediatamente in
prewiev il risultato grafico di ciò
che si sta scrivendo, in modo assistito,
su un’altra pagina (normalmente
un editor testuale).
Antesignana tra queste
applicazioni fu il Microsoft Front
Page, vera svolta per la creazione
assistita di siti web: la sua
interfaccia permetteva infatti un
discreto e facile “assemblaggio”
dei componenti che si desiderava
inserire nella pagina. Quasi cioè
come realizzare un puzzle, fornendo
alla pagina un aspetto originale
(il cosiddetto template).
Il box di una versione del 1996
del Microsoft FrontPage
IL CLUB n. 117 – pag. 39
Peccato però che il continuo
e progressivo variare degli
standard utilizzati e il proliferare
dei browser – l’applicazione era
infatti “tarata” ad uso e consumo
di Internet Explorer - abbiano
sempre reso problematica nel
tempo la corretta manutenzione
dei siti prodotti con tale strumento,
generando di fatto problemi di
accessibilità e di usabilità. Infatti
FrontPage fu abbandonato nel
2003, forse anche per una mai
troppo celata “ostilità” degli addetti
ai lavori verso lo strumento
(le pagine del sorgente venivano
generate con l’inclusione di smisurate
sezioni di codice non desiderato,
con immaginabili conseguenti
problemi di leggibilità e
manutenibilità del codice).
Di editor HTML visuali
ormai che ne sono a palate (vedi
link) e, solo potenzialmente, tutti
sono in grado di generare delle
pagine web. Per chi non lo sapesse,
anche con il Word di Office è
possibile crearne a profusione e
perfettamente funzionanti. Ma
predisporre una pagina html non
significa automaticamente vederla
su internet. Ogni realizzazione
andrà inserita in un server e andrà
agganciata ad un preciso indirizzo
web e quindi occorrerà un
domain name e un preciso spazio,
per cui prevedere un backup periodico,
assegnato in una webfarm!
E, se pensate che il vostro
sito possa avere un consistente
numero di pagine, allora occorre-
à prevedere un database magari
strutturato col supporto del sql
per velocizzare al massimo
l’accesso alle vostre pagine.
Il logo di Wordpress
Sto parlando in modo
troppo tecnico? Io penso di no,
ma a chi non ha capito, dico che
era solo un modo per spiegare,
con un giro di parole tecniche,
che non è sufficiente saper usare
un editor testuale per ottenere
“semplicemente” il proprio sito,
ma che occorrono anche altri
componenti e azioni indispensabili
per raggiungere il risultato (un
po’ come dire che non è sufficiente
avere la patente per saper
guidare, ma che occorre
l’automobile, le strade…).
C’è comunque il modo di
aggirare questi ostacoli. Esistono
ormai tante piattaforme web che
mettono a disposizione tutti questi
strumenti in modo userfriendy
(cioè di facile usabilità).
Si tratta di gestori di contenuti, o
più correttamente CMS (content
management system), che aiutano
un utente anche non necessariamente
esperto nella progettazione
e nella minutazione del codice
che sta dietro ad un sito web.
Queste applicazioni, sfruttando i
principi basilari del web 2.0, sono
studiate per risiedere su un
Riferimenti in rete
http://www.w3schools.com/html/html_intro.asp
server web remoto che accoglierà
quindi direttamente tutti i contenuti
del nostro sito. Appartengono
a questa categoria di CMS i
software Joomla, Drupal, Blogger,
Jola, Altervista, Xoops, eccetera,
eccetera e ancora eccetera…
Il logo di Joomla
Alcuni sono gratuiti, in
quanto appartenenti alla categoria
degli open-source, altri a pa-
http://it.wikipedia.org/wiki/What_You_See_Is_All_You_Get
http://download.html.it/categorie/start/113/windows/editor-html-visuali/
http://www.8-p.it/archivi/27-Che-cose-un-CMS.html
http://www.joomla.it/
http://it.wordpress.com/
http://drupal.org/
http://www.blogger.com
http://www.xoops.org/
IL CLUB n. 117 – pag. 40
La schermata di un CMS “in azione”!
gamento e probabilmente offriranno
maggiore assistenza e informazioni
sull’utilizzo. Altri sono
specializzati per la creazione di
blog personali, altri ancora sono
perfezionati per la generazione
di siti di e-commerce. La lista
potrebbe ancora continuare, magari
anche solo con gli spazi web
offerti dai gestori di telefonia,
erogatori di servizi internet.
Io comunque consiglierei
di imparare un po’ di stimolante
linguaggio di programmazione:
all’url http://www.w3schools.com/
c’è quanto serve per osservare
da vicino l’argomento. Il sito è in
inglese, ma è sufficiente una conoscenza
scolastica (o il traduttore
di Google…) per addentrarsi
con la giusta curiosità nei meandri
della creatività web.
E se poi proprio non avete
alcuna voglia di cimentarvi, non
rimane che iscriversi a Facebook
dove tutto è gia pronto o quasi.
Sarà sufficiente riempire la timeline
con i fatti vostri per vedere
tutta la vostra vita in piazza. E
che piazza!
Giangiacomo Sideli
P.S.
Di tutti i termini, tecnici e
non, evidenziati in corsivo nel
corso del testo, potrete trovare il
relativo significato e funzione sul
sito di Wikipedia.
Musica in camper
Se ne è andato un amico di tutti noi, Lucio Dalla, testimone con le sue canzoni di cinquant’anni
di italianità, che con la sua musica ha contribuito a tessere la colonna sonora
della nostra vita
Q
uesta volta non vogliamo
proporvi delle novità discografiche
che possano allietare i vostri
viaggi e i soggiorni in camper,
ma dedicare questa rubrica a un
amico che ci ha lasciato dopo averci
fatto sognare con le sue canzoni
per tutta o quasi la nostra vita,
allietandoci – ne sono sicura –
lungo tanta strada percorsa a bordo
del nostro camper. La notizia è
arrivata come un fulmine a ciel sereno
e ha provocato sconcerto e
tristezza veramente in tutta Italia:
se n’è andato davvero uno che tutti
noi conoscevamo e amavamo,
Lucio Dalla, che con la sua musica
dolce e profonda aveva contribuito
a tessere la colonna sonora
della nostra vita, almeno per chi,
come me, appartiene alla generazione
che ha superato la mezza età.
Sì, davvero un amico, anche se
lo avevo visto di persona soltanto
una volta nel corso di un concerto.
Quante volte uno dei suoi
brani ha caratterizzato un periodo
più o meno felice della nostra vita
o ha contribuito a dare un senso a
un momento, a un’occasione, a un
evento, rimanendo inestricabilmente
concatenato ai ricordi e facendoci
gioire della sua musica ogni
volta che ci capitava di riascoltare
quel pezzo? Quante volte
qualcuno dei suoi pezzi più famosi,
divenuti con il trascorrere del tempo
degli autentici caposaldi della
canzone italiana, ci ha tenuto
compagnia tra le confortevoli pareti
del camper o ci ha fatto da leit
motiv magari su un noioso percorso
autostradale?
E pensare che l’inizio della
sua carriera discografica è stato
davvero difficile; infatti Lucio, acclamato
ormai da decenni come
uno dei più importanti cantautori
italiani, alla ricerca costante di
nuovi stimoli e orizzonti e in grado
di addentrarsi nei più svariati generi
musicali, ha subito un notevole
insuccesso ai suoi esordi, anche
se sembra quasi impossibile da
credere. Pochi sanno che nel 1964
incise il suo primo “45 giri” contenente
la canzone “Lei (non è per
Una vecchia foto di un giovanissimo Lucio Dalla, insieme a un altrettanto
giovane Gino Paoli, nel corso del “Cantagiro” del 1964
me)”; ebbene, di lì a poco nel corso
delle serate itineranti del “Cantagiro”
in cui cantava quel pezzo,
venne fatto oggetto di lanci di ortaggi
e derrate alimentari; fu un
fiasco di notevoli dimensioni, a base
di fischi e ...pomodori, una sorta
di spettacolo nello spettacolo,
durante il quale la tempra di Dalla
non si lasciò abbattere, nonostante
tutto. Per nostra fortuna, perché
oggi ci ritroveremmo orfani di una
carrellata di brani splendidi, entrati
a pieno titolo nel nostro panorama
nazionale, portati al successo e
tradotti in varie lingue anche da
artisti di fama internazionale come
Luciano Pavarotti, Olivia Newton-
Jones e Mirelle Mathieu, soltanto
per citarne alcuni.
Bisogna arrivare al 1971
per scoprire uno dei brani più belli
IL CLUB n. 117 – pag. 41
del cantante, “4/3/1943”, con cui
partecipò al Festival di Sanremo,
guadagnandosi il terzo posto e ottenendo
un successo notevole nella
hit parade. Il brano, prima di
essere ammesso alla manifestazione,
fu in parte censurato, con il
cambiamento del titolo, in origine
Gesù Bambino, considerato irrispettoso
per la storia che narrava
di una ragazza madre che aveva
un figlio da un ignoto soldato alleato;
il titolo venne cambiato prendendo
spunto dalla data di nascita
dell’artista, pur non essendo una
canzone autobiografica. Ma da quel
momento era ufficialmente nato il
fenomeno Lucio Dalla, che con il
trascorrere dei decenni ha incasellato
un successo dopo l’altro.
Così si sussegue una serie
di brani di grande spessore, come
il commovente “Piazza Grande”,
dedicato a un senza tetto realmente
vissuto e, nel contempo, a uno dei
grandi amori dell’artista, la “sua”
Bologna, città natale; o “Come è
profondo il mare”, che prende di
mira la società contemporanea e il
concetto di potere, totalmente nato
dall’ispirazione del cantautore, sia
come testi che come musica, così
come accadrà per tutti o quasi i
successi che seguiranno. Successi
come “Anna e Marco”, la favola
d’amore in cui due adolescenti, nonostante
volessero andare lontano,
decidono di stare assieme, o lo
struggente “L’anno che verrà”, che
nel 1979 canta il tramonto delle utopie
e delle illusioni che chiudono
idealmente il decennio degli anni di
piombo, o ancora “Futura”, storia di
un amore in cui il crescendo musicale
imita quello di un amplesso, e
“Ma come fanno i marinai”, frutto di
una stretta collaborazione con
Francesco De Gregori, in seguito
alla quale i due artisti si lanciano in
uno storico tour, “Banana Republic”,
cui seguirà nel 2010 un altro
tour “Work in progress”.
Alcune copertine dei suoi album
Ma il brano per cui il cantautore
è maggiormente noto in
tutto il mondo è senza dubbio “Caruso”,
che racconta gli ultimi giorni
di vita del tenore e gli regala un
successo straordinario da nove milioni
di copie in tutto il mondo, divenendo
un classico della musica
italiana. Dal racconto di Dalla sulla
sua genesi è emerso che si tratta
di una canzone del cuore, nata da
un intenso viaggio a Sorrento, nel
corso del quale, in seguito ad un
IL CLUB n. 117 – pag. 42
guasto della sua barca, il cantautore
fu costretto a sostare nello stesso
hotel e nella stessa camera dove
anni prima era morto il grande
Enrico Caruso; venne così a sapere
della storia d’amore tra il tenore,
ormai affetto da una grave malattia
ai polmoni che gli impediva di
cantare, e una giovane allieva cui
La discografia di Lucio Dalla (album)
• 1966 - 1999
• 1969 - Live Geniale?
• 1970 - Terra di Gaibola
• 1971 - Storie di casa mia
• 1973 - Il giorno aveva cinque teste
• 1975 - Anidride solforosa
• 1975 - Bologna 2 settembre 1974 (dal vivo con Francesco De
Gregori, Antonello Venditti e Maria Monti)
• 1976 - Automobili
• 1977 - Come è profondo il mare
• 1979 - Lucio Dalla
• 1979 - Banana Republic (con Francesco De Gregori)
• 1980 - Dalla
• 1981 - Lucio Dalla
• 1983 - 1983
• 1984 - Viaggi organizzati
• 1985 - Bugie
• 1985 - Lucio Dalla - Marco Di Marco (con Marco Di Marco)
• 1986 - DallAmeriCaruso
• 1988 - Dalla/Morandi (con Gianni Morandi)
• 1988 - In Europa (con Gianni Morandi)
• 1990 - Cambio
• 1991 - Geniale? (registrazioni dal vivo del 1969-1970 con alcuni
inediti)
• 1992 - Amen (dal vivo)
• 1993 - Henna
• 1996 - Canzoni
• 1999 - Ciao
• 2000 - Live @ RTSI (registrazioni dal vivo del 1978)
• 2001 - Luna Matana
• 2002 - Caro amico ti scrivo
• 2003 - Lucio
• 2006 - 12000 lune
• 2007 - Il contrario di me
• 2008 - LucioDallaLive - La neve con la luna
• 2009 - Angoli nel cielo
• 2010 - Work in Progress (con Francesco De Gregori)
• 2011 - Questo è amore
insegnava canto. In questo modo
Lucio venne ispirato per comporre
sia il testo che la musica di questo
capolavoro, che lui inizialmente
non voleva cantare perché essendo
emiliano e non napoletano, non se
ne sentiva all’altezza, ma che poi
cantò per la prima volta proprio
davanti al pubblico napoletano, ricevendone
la consacrazione. E nel
corso degli anni il suggestivo brano
è stato interpretato, oltre che dal
napoletanissimo Roberto Murolo,
anche da artisti internazionali del
calibro di Celine Dion, Luciano Pavarotti,
Andrea Bocelli e Michael
Bolton.
Altre copertine dei suoi dischi
più famosi
Segue una collaborazione
con un altro mostro sacro della
canzone italiana, Gianni Morandi,
con il quale scrive “Vita”, e inizia
un lungo tour nel corso del quale i
due miti canori si scambiano le interpretazioni
dei loro maggiori successi.
Arrivano poi ancora brani di
successo, questa volta più tendenti
al pop, come “Attenti al lupo”,
“Henna” e “Canzone”, cui seguono
riconoscimenti, premi, e spettacoli
televisivi, oltre a numerosi tour in
cui il cantautore si offre all’affetto
dei suoi numerosi fan, in questo
caso senza traccia di pomodori (!).
Inoltre Dalla, grazie alla sua sconfinata
curiosità, si dedica anche al
mondo della lirica, inscenando nel
2003 la sua “Tosca – Amore disperato”,
tratta dall’opera di Giacomo
Puccini, dando vita a una fedele
trasposizione del capolavoro pucciniano,
scritto, musicato e diretto
da lui, che lo attualizza e lo rende
uno spettacolo sia musicale che
cinematografico con un corpo di
ballo di venti danzatori e acrobati.
Il cantautore si è sempre
dichiarato un grande ammiratore
della cultura partenopea, offrendo
varie interpretazioni dei grandi
classici della musica napoletana,
come il celebre brano “Malafemmina”
di Totò; e a questo proposito
l’artista ha dichiarato più volte di
sognare spesso di essere napoletano
e che avrebbe pagato somme
considerevoli per poter parlare e
ragionare come un partenopeo. E il
suo amore per il sud d’Italia comprendeva
anche la Sicilia, dato che
per oltre un decennio ha abitato
anche a Milo, sulle pendici dell’Etna,
dove ha prodotto un vino conosciuto
con il buffo nome ideato da Carmelo
Bene di “Stronzetto dell’Etna”,
a causa della forte gradazione che
aveva procurato all’intellettuale una
sbornia con i fiocchi. E, a proposito
di curiosità, è da ricordare
l’onorificenza che ha condiviso con
Francesco De Gregori relativa alla
denominazione dell’asteroide
6114 Dalla-De Gregori, che lo ha
proiettato nel firmamento siderale,
oltre che in quello musicale.
Un’altra curiosità riguarda il suo
buffo pseudonimo, Domenico Sputo,
con cui Dalla ha partecipato in
veste di corista, tastierista e sassofonista
a diversi album degli
Stadio, dell’amico Ron e di Luca
Carboni e che si legge anche sul
suo campanello di casa in via
D’Azeglio a Bologna.
IL CLUB n. 117 – pag. 43
Anche il cinema gli ha dedicato
la sua attenzione, come in
“Borotalco” di Verdone, in cui Eleonora
Giorgi indossa una canotta
con la copertina di uno dei suoi
album, o come nella pellicola di
Pupi Avati “La mazurka del barone,
della santa e del fico fiorone”,
in cui Dalla recita un cammeo, o
ancora come il film “Quijote”, in
questi giorni al cinema, dove Lucio
recita la parte di Sancho Panza
al seguito di Don Chisciotte; e ci
sembra quasi di riuscire a vederlo
con gli occhi dell’anima combattere
contro i mulini a vento
dell’ignoranza e del perbenismo,
che sempre hanno ostacolato le
sue scelte di vita e quelle professionali,
senza riuscire fortunatamente
a reprimerle.
In alto la copertina di uno dei più
venduti fra i suoi album; in basso
un’immagine di un concerto da vivo
con De Gregori
Ciao Lucio. E buona strada
in quell’immenso territorio inesplorato
dove ti trovi adesso. Che il suono
della tua musica ti accompagni anche
in questo ultimo viaggio...
Mimma Ferrante
La Cacioteca di Ragusa
E’ nata a Ragusa la Cacioteca
Regionale Siciliana. La struttura,
che rappresenta una particolare
attrattiva turistica per il Distretto
degli Iblei, è stata presentata
il 17 febbraio u.sc. alla Bit di
Milano da Giuseppe Licita, presidente
del Consorzio “Corfilac” e ideatore
della stessa Cacioteca.
La Cacioteca Regionale,
nella zona industriale di Ragusa,
ben segnalata ai margini della superstrada
che unisce il capoluogo
ibleo a Marina di Ragusa, nasce
per "non dimenticare" un patrimonio
culturale secolare
ereditato da sapienti uomini e
donne che hanno segnato la storia
dell'universo caseario. Attraverso
l'applicazione delle più avanzate
tecnologie vengono riprodotti i sistemi
storici di stagionatura dei
formaggi siciliani senza trascurare
il contesto caseario internazionale.
L'edificio a forma circolare, inoltre,
conserva al suo interno una vera e
propria "casa abitare", l'abitazione
del contadino di una volta, utile in
questo contesto, per riproporre e
mostrare i momenti della caseificazione
tradizionale.
Oltre alle funzioni sperimentali la
Cacioteca sarà un centro di formazione
ed educazione, un luogo accademico
di ricerca e di studio dei
Formaggi Storici Siciliani. Inoltre, è
stata pensata anche come un "centro
expo", con percorsi guidati di
facile accesso per i semplici consumatori,
i giornalisti, gli opinion
leader, gli operatori del settore e
soprattutto per il mondo della
scuola. E' disponibile infatti nella
Cacioteca una sala multifunzionale
News, notizie in breve
attrezzata con le tecnologie più innovative
per l'organizzazione di lezioni,
convention e manifestazioni
scientifiche nel settore lattiero caseario.
La Cacioteca, infine, offre
al pubblico una sua sezione
denominata "Accademia della
Terra" dove si svolgono degustazioni
culturali guidate, alla scoperta
della biodiversità dei saperi e
dei sapori dei formaggi storici in
abbinamento a grandi prodotti dell'enogastronomia
(pane, vini, birre,
oli, conserve).
La visita della Cacioteca
evidenzia un design esterno ed
interno moderno, funzionale e
sobrio; quello strutturale invece,
grazie alle particolari soluzioni
costruttive adottate, è forse
più riguardoso nei confronti dei
formaggi che dell'uomo, infatti,
tutto è stato pensato in modo da
creare le migliori condizioni ambientali
possibili per gli ospiti in
affinamento.
Accedendo dall'ingresso
principale, posto a piano terra, ci si
ritrova subito all'interno del Teatro
del Gusto, una sala per le conferenze,
ma anche per degustazioni,
con una vista impareggiabile, essa
è attorniata per metà dalle camere
di stagionatura a vista dotate di
vetro trasparente, formando così
un caleidoscopio di riflessi e formaggi
al quale difficilmente ci si
abitua, costituendo una potente
fonte di distrazione situata giusto
alle spalle del relatore di turno!
Al primo piano vengono
replicate di nuovo le stesse camere
di stagionatura con l'aggiunta, nel
loro retro, dell'Accademia della
Terra, un'attrezzatissima sala di
circa 50 posti, con annessa cucina,
dove è possibile svolgere le più disparate
degustazioni, dai formaggi
al vino ed alla birra.
IL CLUB n. 117 – pag. 44
Tutto il patrimonio artistico
italiano a portata di click
Quattro milioni di contenuti
culturali on line entro giugno, migliaia
di articoli, news e informazioni,
una guida ragionata a cinque
mila siti web, motori di ricerca intelligenti
e centinaia di file video: è
la nuova versione di CulturaItalia,
il portale del ministero dei Beni
culturali che rende accessibile a
tutti, studiosi e non, il patrimonio
artistico del Belpaese attraverso i
metadati di 20 partner (a giugno
40) tra musei, biblioteche, archivi,
gallerie, mostre, monumenti.
Il portale rientra nel piano
di digitalizzazione e costruzione di
infrastrutture tecnologiche del Mibac,
il Ministero dei Beni Culturali,
costato dal 2005 9 milioni di euro
e che ha già messo in rete fra loro
i 500 istituti del Ministero. In primavera
debutterà anche MuseiD-
Italia, digital library dedicata ai capolavori
conservati nei 7.500 musei
e luoghi della cultura italiana
aperti al pubblico, condivisa con le
Regioni e l'Istat.
D'ora in poi, dunque, studiosi
e turisti potranno scoprire
tutto il patrimonio artistico italiano
su CulturaItalia.it, aggregatore nazionale
di contenuti in continua
crescita, che già vanta 14 mila tra
articoli e news (il 30% anche in inglese),
720 file multimediali, cinquemila
siti web recensiti, 250
newsletter, 20 mila amici su Facebook
e tre campi di ricerca: banca
dati, articoli e il catalogo del Servizio
Bibliotecario Nazionale. Insomma,
molto più di un Google
della cultura, sia per l'accuratezza
delle ricerche che per la certificazione
dei contenuti.
Per il Sunday Times la Sicilia
migliore regione d'Italia
La Sicilia è la "regione migliore
d'Italia". A dirlo è addirittura
il Sunday Times. E così, dopo The
Times e Die Welt, anche la versione
domenicale del giornale britannico
consiglia agli inglesi di visitare
l'isola, per giunta proprio in prossimità
delle prossime vacanze di
Pasqua. Questa terra - si legge
nell'articolo firmato da Stanley
Stewart - offre le migliori rovine, il
miglior cibo, i migliori festival, il
miglior vulcano e il miglior modo di
ciondolare senza fare nulla. La Sicilia
può vantare numerosi resti
greci, compreso il tempio della
Concordia e lo straordinario teatro
greco di Taormina, località di vacanza
chic nota come la St Tropez
d'Italia. L'interno dell'isola, più delle
affollate coste, regala meravigliosi
percorsi in auto come la vecchia
strada di montagna fra Messina
e Palermo, che passa attraverso
una serie di paesini isolati. Più a
sud una visita a Noto, Ragusa e
Modica ricostruite dopo il grande
terremoto del 1963 in un grandioso
stile barocco e l'isolata spiaggia
sotto Torre Vendicari. Magari dopo
uno spot così, gli inglesi potranno
davvero decidere di trascorrere
qualche giorno in Sicilia.
Il camper ideale... o almeno
il più caro al mondo
Per gli innamorati del
camper e del campeggio, ecco il
veicolo ricreazionale ideale, o almeno
quello più costoso al mondo:
tre milioni di dollari! Si chiama
Elemment Palazzo ed è realizzato
dalla compagnia austriaca
marchi mobile.
Lungo dodici metri, al suo
interno nasconde veri tesori che lo
rendono a tutti gli effetti una casa
su quattro ruote, ma del modello
di lusso: camera matrimoniale con
bagno annesso, interni in pelle,
doccia a cascata come nelle migliori
spa, camino, una tv enorme, cucina
e zona pranzo, oltre a una sala
riunioni. Un vero palazzo mobile
con tanto di bar e riscaldamento a
pavimento che si aziona con un solo
pulsante. Il meglio che il campeggio
possa offrire unito al vero
lusso.
Brutti tempi per chi
ama le crociere
La crociera turistica è un
fenomeno relativamente moderno,
essendo nata nei Caraibi negli anni
’70, quando i transatlantici per il
trasporto passeggeri sono stati su-
perati dall’aereo. Solo allora gli
armatori hanno creato questo nuovo
mercato, caratterizzato sin dagli
esordi da alti livelli di redditività.
Dagli anni ’70 a oggi i crocieristi
nel mondo sono passati da circa
500.000 a quasi 16 milioni. Offerta
e domanda sono cresciute in parallelo,
con una capacità ricettiva che
nel 2010 aveva già superato i
500.000 letti (pari alla metà circa
dell’intera capacità ricettiva del
Sudest Asiatico). Il settore si caratterizza
per il notevole dinamismo,
con una clientela che cresce,
a livello globale, con un ritmo medio
che sfiora il 30% all’anno.
In un recente studio di Alfredo
Somoza, di AITR, il sistema
che coinvolge un ampio ventaglio
di settori economici riconosce all'Italia
un ruolo di primo piano:
tra gli Stati industrializzati il nostro
Paese possiede infatti la principale
flotta di navi da crociera
per stazza, e occupa il quarto posto
assoluto a livello mondiale
dietro Bahamas, Panama e Bermuda.
Le crociere sono tra le fonti
che contribuiscono in modo più
significativo al movimento turistico
nel Mediterraneo, con un impatto
rilevante anche in termini
economici: ogni passeggero spende
in media 100 euro nelle città
d’imbarco e 50 euro in ogni località
visitata durante la crociera, cifre
alle quali va aggiunto il costo
della crociera stessa.
Le navi, comunemente definite
città galleggianti, sono in realtà
villaggi turistici in movimento:
rispetto ai resort "tradizionali"
hanno il vantaggio di potersi spostare,
di variare la propria offerta,
destagionalizzarla inseguendo il
caldo. Peraltro il modello del resort,
struttura che spesso assomiglia
a un'astronave aliena e luccicante
atterrata in un contesto di
degrado e miseria, stava cominciando
a fare i conti pure con l'accusa
di avere un impatto negativo
sul territorio, anziché essere
un’opportunità di sviluppo per il
Paese ospite.
Il resort tropicale, insomma,
nel 2004 ha cominciato a passare
di moda. Il naturale sostituto
era già pronto: la nave da crociera,
che offre gli stessi comfort e in più
garantisce la possibilità di andarsi
a cercare il bel tempo. Per non
parlare del massimo immaginabile
in termini di sicurezza: il passeggero
che teme i luoghi ignoti non è
nemmeno tenuto a scendere a ter-
IL CLUB n. 117 – pag. 45
ra durante le sue vacanze. Anche
la nave da crociera è un paradiso
d'abbondanza alieno. Viaggia troppo
al largo dalle umane miserie dei
tropici per offendere i sentimenti
dei turisti: occhio non vede (la povertà),
cuore non duole. E le ferie
scivolano via più serene.
Il relitto della Costa Concordia,
all’Isola del Giglio: secondo molti
questo naufragio sarà ricordato
come il momento di inizio della crisi
del turismo crocieristico nel mondo
Però... c'è un però.
L’aumento vertiginoso della domanda
sta giocando un brutto
scherzo alle compagnie armatrici.
La maggiore capacità ricettiva porta
all’obbligo di garantire
un’occupazione dei posti letto costante
durante l’anno. Per questo
anche qui, come nei resort, è scattata
l'ora del viaggio low cost, nel
quale l’importante è il numero e
non la qualità. Troppa gente imbarcata,
troppo grandi le navi,
troppa manodopera sottopagata e
demotivata. Non sono questi i motivi
che hanno portato alla tragedia
dell’isola del Giglio, ma l’industria
turistica deve ancora una volta riflettere
sul modello che continua a
riproporre, a terra come sul mare.
Un modello, secondo Somoza, ispirato
al più bieco consumismo, insostenibile
sotto il profilo ambientale,
basato sull’isolamento del turista
dal contesto culturale e sociale
del Paese visitato.
San Vito si riconferma la
spiaggia più bella d'Italia
Per il secondo anno consecutivo
San Vito lo Capo è stato incoronato
dai viaggiatori di
TripAdvisor come vincitore assoluto
nella Top 10 delle migliori
spiagge italiane, seguito dai litorali
di Villasimius (Cagliari) e Otranto
(Lecce). Sapere che San Vito Lo
Capo è stata rieletta spiaggia più
bella d'Italia - sottolinea Matteo
Rizzo, sindaco della cittadina del
trapanese - è una notizia che ci
riempie di orgoglio. È il premio per
il nostro impegno e il lavoro svolto
anno dopo anno, per le scelte di
un'amministrazione che punta ad
uno sviluppo sostenibile del territorio,
dove l'ampia offerta di servizi
va di pari passo con il rispetto dell'ambiente.
San Vito Lo Capo è
considerata la soluzione "vacanza"
che si adatta perfettamente a tutte
le tipologie di viaggiatori e fa da
sfondo anche a numerose iniziative,
dal festival degli aquiloni, a
quello del Cous Cous.
L’ACTITALIA
in convegno a Roma
Si è svolta dal 24 al 26
febbraio, a margine del Salone del
Turismo all’Aria Aperta “Outdoors
Experience” presso la Nuova Fiera
di Roma, l’assemblea annuale dei
presidenti della Federazione ACTI-
TALIA che quest’anno è coincisa
anche con una Conferenza di Organizzazione
interna volta a delineare
le strategie future della
stessa Federazione.
In tale contesto il Presidente
Pasquale Zaffina, dopo aver
ricordato il 72° anniversario della
nascita dell’ACTI (il 10 marzo
1940, per opera del primo presidente
Berbera, che istituì successivamente
varie sezioni ACTI su tutto
il territorio nazionale), ha spiegato
che la scelta di fare
l’assemblea 2012 a Roma ha avuto
origine dalla volontà di incentivare
la ripresa delle iniziative di settore
nel centro-sud d’Italia, dopo i tentativi
svoltisi alcuni anni fa con
“ROMA CITTA’ DEL PLEIN AIR”, esperienza
purtroppo interrotta.
ACTITALIA ha sempre posto molta
attenzione allo sviluppo del turismo
itinerante nazionale e specialmente
a quello del Sud, dove è
esiguo il numero dei camperisti rispetto
al nord, e la manifestazione
di quest’anno a Roma segue quella
del 2009 a Napoli, nell’ambito della
quale fu organizzato un convegno
sullo “Sviluppo del Turismo sostenibile
nel Meridione” tenuto dal
Consigliere Maurizio Karra al Maschio
Angioino, mentre l’anno
scorso fu decisa la partecipazione
della Federazione alle Fiere di Settore
presso la Mostra d’Oltremare
sempre a Napoli e alla Fiera del
Levante di Bari.
Zaffina ha quindi illustrato
un ambizioso progetto, in via di
approfondimento, per valorizzare i
centri minori lungo i percorsi di
raccordo tra i Parchi Nazionali ed
Il direttivo della Federazione e i rappresentanti dei Club davanti al sacello
del Milite Ignoto all’Altare della Patria di Roma
ha affermato che l’ACTITALIA intende
dare ad ogni Club affiliato un
respiro nazionale, puntando sulla
peculiarità tematica dello stesso
Club. Un esempio per tutti è il tema
dei “bambini in camper”, portato
avanti da Club “Vacanze - Aperto
per Ferie” di Venezia, guidato
da una squadra di entusiasti
giovani papà che si fanno in quattro
per i loro bambini usando il
camper.
Nell’ambito della Conferenza
di Organizzazione, sono stati poi
illustrati il nuovo assetto organizzativo
della Federazione, messo a
punto per far fronte ai nuovi e più
ponderosi obiettivi da affrontare, e
gli ulteriori obiettivi per il prossimo
biennio.
Nei giorni della manifestazione
si sono anche svolte visite
del Palazzo Montecitorio, sede del
Parlamento Italiano, e di Palazzo
Madama, sede del Senato della
Repubblica, mentre per la celebrazione
del 72° anno dalla fondazione
di ACTITALIA il Presidente Pasquale
Zaffina ha deposto una corona
di alloro al Sacello del Milite
Ignoto, accompagnato dal Presidente
João Alves Pereira, presidente
della F.I.C.C. - FédérationInternationale
de Camping, Caravanning
et Autocaravanning.
In camper anche
in Sudafrica e Namibia
Per chi non ha confini nella
sua voglia di viaggiare in camper,
IL CLUB n. 117 – pag. 46
arriva una bella novità: grazie alla
“South African Dream”, un nuovo
tour operator specializzato in viaggi
nell’africa del sud (Sud Africa,
Bostwana, Zambia, Zimbabwe, Lesotho
e Namibia) e i cui titolari -
Enrica e Paolo – hanno anche un
vissuto personale sudafricano, sarà
possibile effettuare dei tour in
camper o in 4x4 nell’Africa più vera
con un servizio su misura.
Una parte del catalogo
viaggi di questo nuovo tour
operator è infatti dedicato agli appassionati
di camper: il Sudafrica è
un Paese che offre, oltre alle mille
attrattive di tipo naturalistico, paesaggistico
e storico, uno straordinario
ventaglio di possibilità dedicate
a loro, con itinerari di diversi
livelli in varie località, incluse straordinarie
possibilità per i camper
4x4. Chi avesse voglia di iniziare il
viaggio almeno con la fantasia può
collegarsi al sito internet
www.southafricandream.it dove
troverà le proposte di tour che
comprendono anche eccellenti
quotazioni di noleggio camper.
IL CLUB n. 117 – pag. 47