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Ouroboros n 3 - 2016

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di riuscire a sentire i suoni del cuore<br />

assai meglio del consueto. Successivamente<br />

perfezionò egli stesso il modello,<br />

facendolo costruire in legno.<br />

Dunque, sebbene l’esame obiettivo<br />

sia straordinariamente ricco di valenze<br />

rituali, la cosa non è affatto intenzionale.<br />

Possiamo invece dire che su<br />

questo momento così critico nella vita<br />

di ciascuno di noi si proietta, e si rivela,<br />

il profondo bisogno inconscio di<br />

ritualità insito nell’uomo. Insomma,<br />

durante la visita inconsciamente si<br />

mette in scena un rituale archetipo in<br />

cui il medico e il suo paziente rivestono<br />

dei ruoli ben precisi. E su questo<br />

gli antropologi non hanno alcun<br />

dubbio: la visita medica ha davvero in<br />

sé tutte le caratteristiche canoniche di<br />

un rituale. E soprattutto, come ogni<br />

rituale importante, ha la funzione di<br />

marcare un cambiamento.<br />

Ogni rito è l’attraversamento di una<br />

soglia, è il passaggio tra un prima e un<br />

dopo. Lo sono i riti socialmente più<br />

diffusi che scandiscono le nostre vite:<br />

battesimi, matrimoni, funerali, transizioni<br />

di poteri. E lo è anche l’esame<br />

obiettivo a cui il medico sottopone<br />

il paziente. Come ogni rito, anche la<br />

visita consacra una trasformazione,<br />

un passaggio da uno stato all’altro. E<br />

questo vale per entrambi i protagonisti:<br />

tanto il paziente quanto il medico<br />

oltrepasseranno la soglia tra un prima<br />

e un dopo. Ma quale cambiamento si<br />

attende il malato, sia pur inconsciamente,<br />

dalla visita? Quale soglia sta<br />

attraversando, insieme al suo medico,<br />

nel momento in cui questi percorre<br />

con le mani il suo corpo?<br />

Il paziente, offrendo il suo corpo<br />

all’esame del medico, passa da uno<br />

stato di solitaria sofferenza ad uno<br />

stato di condivisone del suo male.<br />

Il suo dolore, la sua malattia, il suo<br />

stesso corpo, fuoriescono dalla sfera<br />

individuale e vengono validati dal<br />

suo medico. Il medico, a sua volta,<br />

nel momento in cui il malato si offre<br />

alla sua osservazione, viene validato<br />

nel suo ruolo: egli ha ora il pieno<br />

consenso per poter esplorare quel<br />

corpo, quel dolore, quella malattia e<br />

si assume ritualmente il difficile compito<br />

di prendersene cura. Formula un<br />

impegnativo, implicito giuramento:<br />

“D’ora in poi tu non sarai più solo nella<br />

tua sofferenza. E io, come medico, sarò<br />

presente nella tua vita”.<br />

Questo rito, peraltro, non è un<br />

evento unico ed irripetibile anzi, per<br />

sua stessa natura, è ciclico e deve<br />

essere rinnovato, per poter confermare<br />

ogni volta il patto e l’alleanza tra<br />

medico e paziente, che saranno,<br />

da esso, reciprocamente<br />

consacrati.<br />

Se qualcuno ha<br />

pensato che i<br />

rapporti tra<br />

esame obiettivo<br />

del<br />

medico e<br />

ritualità<br />

siano<br />

solo<br />

un<br />

futile<br />

argomento<br />

di<br />

discussione<br />

tra<br />

appassionati<br />

di<br />

esoterismo si<br />

è sbagliato di<br />

grosso: la tematica<br />

sta interessando<br />

studiosi di prestigiose<br />

scuole di medicina statunitensi,<br />

come Abraham Verghese,<br />

medico e professore di Teoria e pratica<br />

della medicina alla Stanford University.<br />

Egli è anche uno dei protagonisti di<br />

un programma educativo facilmente<br />

reperibile in rete, Stanford Medicine 25,

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