numero completo download pdf 256Kb - L'Asino vola
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esemplificazione, riportata più sopra, nel gesto del<br />
bonzo che si dà fuoco in segno di protesta contro la<br />
guerra del Vietnam. Quell’evento -argomenta<br />
Grotowski- è propriamente un “atto”, poiché non è<br />
pensato in funzione di un pubblico: avviene<br />
“veramente” e non è “finto”. L’analogia è in realtà poco<br />
convincente. Dato infatti l’incontestabile intento di<br />
denuncia che quell’azione vuole esplicitamente<br />
assumere, risulta piuttosto evidente la sua agghiacciante<br />
e contraddittoria dimensione spettacolare (che è poi<br />
proprio quella che determina il forte shock che è in<br />
grado di trasmettere e sul quale d’altra parte si sofferma<br />
lo stesso Grotowski): quell’evento, per assurdo, è<br />
pensato proprio in funzione di un pubblico, o comunque<br />
è precisamente dall’avvenire di fronte a qualcuno che<br />
trae la sua reale efficacia (anche l’efficacia del suo<br />
essere “atto”). Ma non si tratta semplicemente, e per<br />
così dire, di una leggerezza da parte di Grotowski nella<br />
scelta dell’esempio. È piuttosto una spia di qualcosa di<br />
più significativo e profondo.<br />
Per l’attore vale infatti qualcosa di molto simile. L’atto<br />
scenico, lo abbiamo, visto, è propriamente quello di chi<br />
si esibisce di fronte a un pubblico; di chi cioè non può<br />
eludere il carattere spettacolare assunto ineluttabilmente<br />
dal proprio gesto. L’attore, a ben vedere, e<br />
contrariamente a quanto sostiene Grotowski, non può<br />
che fare di questa consapevolezza la contraddizione su<br />
cui basare l’intera “arte sua”; un’arte che, proprio per<br />
questo -e a differenza ora di ciò che avviene per il<br />
bonzo- non gli può permettere di morire in scena: la<br />
sofferenza, lo strazio è qui nel non poter far altro che<br />
fingere di soffrire, nella consapevolezza che in questa