Le misure delle gallerie capitali, magistrali e dei cunicoli di mina sono simili in tutta Europa, per quanto ne siano realizzati anche di più piccoli, come presso la fortezza di Verrua Savoia, in Piemonte (Padovan D., Padovan G. Bordignon, Ottino 1997, pp. 187-208). Tale uniformità è da ricercare nella circolazione di esperienze belliche e dalla fruizione di trattati sulla guerra sotterranea negli ambienti militari (Amoretti 1965, pp. 39-52; Duffy 1996, pp. 82-83). Gli impianti sono ricavati a una profondità di circa 3-4 m, ma in taluni casi possono scendere anche a 10-15 m, e avere uno sviluppo di svariati chilometri. Sono generalmente dotati di pozzi di ventilazione o di tubature per assicurare la ventilazione. Qualora i sistemi non garantiscano un sufficiente ricambio d’aria si ricorre al metodo di insufflare aria tramite tubi di latta o di legno azionando mantici da fucina. I pozzi possono servire anche per il rifornimento dei presidi in superficie e come collegamento verbale per coordinare l’azione delle mine con quanto avviene nel campo dell’assediante. All’interno dei cunicoli esistono anche pozzi di drenaggio per la raccolta delle possibili infiltrazioni d’acqua. (Amoretti 1965, pp. 57-102). <strong>La</strong> mina sotterranea è chiamata nel gergo dei minatori “camouflet”. Il fornello di mina è utilizzato per molteplici scopi: - eliminare la mina avversaria provocando il crollo della stessa tramite l’esplosione di una carica sotterranea; - distruggere le opere d’assedio avversarie provocando una deflagrazione che, fatta sfogare verso l’alto grazie all’intasamento del cunicolo di accesso con masse di terra, apre un cratere sulla superficie; - distruggere le opere della propria fortezza assediata, oramai definitivamente occupate dall’avversario (cunicolo o galleria di demolizione). Per individuare l’obiettivo da raggiungere si ascoltano le vibrazioni create dalle detonazioni delle artiglierie assedianti oppure i rumori di scavo prodotti dai colpi degli strumenti di coloro che scavano la mina. Un sistema empirico, ma efficace, per collocare esattamente sotto una batteria di cannoni un fornello di mina, consiste nel sistemare nelle gallerie un tamburo con sopra legumi secchi. I colpi d’artiglieria in partenza fanno sobbalzare i legumi a destra o a sinistra a seconda della posizione dei pezzi. Quando infine si riesce a collocare il tamburo in una posizione dove i legumi schizzano verticalmente verso l’alto, questo indica ai minatori che l’obiettivo è esattamente sopra di loro (Gariglio 1997, p. 290, nota 20). Una volta approntato il cunicolo sotto alla batteria da ridurre al silenzio, si riempie il fornello di mina con la polvere nera contenuta in sacchi di tela o cuoio oppure in scatole o barilotti di legno. Si predispone la salsiccia (lungo cilindro di stoffa riempito di polvere nera e protetto da una scatola lignea detta “trogolo”), si occlude (intasa) il ramo di mina con sacchi di terra o altro materiale di riporto, e si accende la miccia che, tramite la salsiccia ad essa collegata, innesca le polveri provocando la deflagrazione. Per compiere con efficacia queste operazioni è necessario disporre di personale specializzato, reclutato spesso tra minatori, o sterratori impiegati in cave. Talvolta, come già accennato, si preferisce penetrare direttamente all’interno dei cunicoli dell’assediante: il conseguente combattimento ha come scopo l’occupazione delle postazioni avversarie, l’eliminazione dei minatori e la distruzione delle opere sotterranee d’assedio. Anche gli assedianti, spesso per ragioni tattiche, scelgono di penetrare all’interno della rete di gallerie di <strong>contromina</strong> per neutralizzarle e avanzare più facilmente al di sotto delle difese di superficie. Nel corso dell’assedio francese del 1706 il sistema di <strong>contromina</strong> della cittadella di Torino è articolato in “gallerie basse” poste a circa 14 m di profondità e “gallerie alte”, a circa 6 m di profondità: - dall’interno della Cittadella e più precisamente dal centro dei tre bastioni rivolti verso l’esterno della città e dalle due cortine - tra questi comprese - si staccano per ognuna, verso l’esterno, le
“gallerie capitali basse”, le quali si spingono fin’oltre le difese più esterne e sono dotate di vari rami di mina; - a ridosso del primo spalto che segue il profilo del muro di controscarpa si sviluppa la “galleria magistrale”, da cui si staccano numerosissimi rami di mina; - all’incontro dei due sistemi vi sono cinque scale di comunicazione, una di queste fatta saltare dal minatore Pietro Micca (chiamato “Passapertutt”) per bloccare un’irruzione di soldati francesi, introdottisi nell’accesso della capitale alta della Mezzaluna (Amoretti 1996).