Israele e Palestina - Lega Missionaria Studenti
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cessaria operazione di denuncia delle molteplici<br />
forme di illegalità e violazione dei<br />
diritti umani che, soprattutto in seguito allo<br />
scoppio della seconda intifada nel settembre<br />
2000 e all’escalation militare decisa<br />
dal governo israeliano grazie al cappello<br />
protettivo offerto dal pretesto della globale<br />
“guerra al terrorismo” del post 11/9, condizionano<br />
pesantemente e in alcuni casi rendono<br />
davvero insopportabile la vita nei<br />
Territori palestinesi occupati.<br />
Muro, blocchi e coprifuoco: una ragnatela di<br />
oppressione sul diritto al movimento, al lavoro<br />
e all’educazione dei palestinesi<br />
L’impatto provocato dalla militarizzazione<br />
della vita quotidiana imposta negli ultimi<br />
sei anni dai governi israeliani ha prodotto<br />
effetti fortemente restrittivi sulla libertà di<br />
movimento e sul diritto al lavoro, alla salute<br />
e all’educazione di circa tre milioni e<br />
mezzo di persone. Se, fin dalla guerra dei<br />
“sei giorni” del 1967 e dalla conseguente<br />
occupazione di Gaza e della Cisgiordania,<br />
i palestinesi erano stati costretti a subire<br />
una notevole limitazione nei suddetti diritti,<br />
è stato a partire dal 2000 e dalla reazione<br />
alla seconda intifada<br />
che le misure adottate da<br />
<strong>Israele</strong> hanno assunto un<br />
carattere non più solo discriminatorio,<br />
ma sproporzionato<br />
al punto di indurre<br />
Amnesty International a<br />
parlare di “punizioni collettive”.<br />
Già pregiudicata a<br />
causa dell’articolato sistema<br />
di chiusure (posti di blocco,<br />
deviazioni obbligate, coprifuoco)<br />
architettato da parte<br />
dell’esercito israeliano, che<br />
di fatto ha costretto i palestinesi<br />
sprovvisti di “permessi<br />
speciali” a vivere in<br />
158<br />
una sorta di prigione a cielo aperto, la libertà<br />
di movimento della popolazione dei<br />
Territori è stata ulteriormente limitata dalla<br />
costruzione del muro o “barriera di sicurezza”,<br />
avviata nel 2002 e proseguita fino<br />
ad oggi in spregio non solo del parere<br />
contrario di molti Paesi amici di <strong>Israele</strong> e<br />
di gran parte dell’opinione pubblica mondiale,<br />
ma anche di un’Opinione consultiva<br />
espressa nel luglio 2004 dalla Corte Internazionale<br />
di Giustizia. Ideato con l’obiettivo<br />
dichiarato di ostacolare l’ingresso in<br />
<strong>Israele</strong> dei kamikaze palestinesi, il muro è<br />
stato in realtà realizzato secondo un tracciato<br />
che, come nota Amnesty International<br />
“sottrarrà il 15% del territorio della Cisgiordania,<br />
intrappolando circa 270.000<br />
palestinesi nelle aree tra la Linea Verde e il<br />
muro o all’interno di enclavi da esso circondate.<br />
Più di 200.000 palestinesi residenti<br />
a Gerusalemme Est saranno scollegati<br />
dalla Cisgiordania”. La drammatica<br />
gravità degli effetti provocati dalla costruzione<br />
del muro assume contorni ancor più<br />
chiari, se si considera che più della metà<br />
della popolazione della Cisgiordania già<br />
vive al di sotto della soglia di povertà.<br />
BIL’IN<br />
La costruzione del muro o barriera di sicurezza – denuncia Amnesty International<br />
– avrà effetti disastrosi nel villaggio di Bil’in. Lo isolerà dai due terzi dei terreni<br />
agricoli, la fonte principale di sostentamento per l’intera comunità. In questa zona,<br />
il percorso del muro pare disegnato appositamente per confiscare aree coltivabili<br />
ed espandere gli insediamenti israeliani. Dal 2004 gli abitanti svolgono ogni settimana<br />
una manifestazione pacifica per protestare contro la costruzione che avanza<br />
e a loro si uniscono sistematicamente cittadini israeliani e stranieri. La manifestazione<br />
settimanale di Bil’in è diventata il simbolo nazionale della protesta non violenta<br />
e della solidarietà tra israeliani e palestinesi, che nella stazione propizia lavorano<br />
insieme alla raccolta delle olive. L’esercito israeliano ha più volte reagito con<br />
una forza del tutto immotivata. I soldati hanno lanciato gas lacrimogeni e granate<br />
stordenti, sparato proiettili rivestiti di gomma, picchiato e arrestato dimostranti.<br />
(…) Ultimamente anche a Bil’in è stato imposto il coprifuoco e la zona è stata dichiarata<br />
“area militare chiusa”. Così, sono sempre meno gli osservatori che possono<br />
verificare gli abusi che gli abitanti del villaggio subiscono ogni giorno. (Amnesty<br />
International, Sopravvivere sotto assedio. Violazioni dei diritti umani dei palestinesi<br />
nei Territori Occupati, EGA Editore, Torino, 2006, p. 12)<br />
GENTES 5/2006