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Dialoghi n. 2001/1 (gennaio-marzo 2001)

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CEDA<br />

del DIRITTO<br />

dell’AVVOCATURA<br />

della GIURISDIZIONE<br />

RIVISTA TRIMESTRALE<br />

N. 1 GENNAIO-MARZO <strong>2001</strong>


RIVISTA TRIMESTRALE<br />

N. 1 GENNAIO-MARZO <strong>2001</strong>


PROPRIETAÓ LETTERARIA RISERVATA<br />

© Copyright 2000 by Cedam - Padova<br />

ISBN 88-13-23146-6<br />

A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la<br />

riproduzione di questo libro o di parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico,<br />

meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro.<br />

Stampato in Italia - Printed in Italy<br />

Centrofotocomposizione Dorigo - Padova<br />

Stampa: Grafiche TPM s.r.l. (Pd)


INDICE<br />

Presentazione di Giorgio Orsoni ......................... Pag. VII<br />

Parte I<br />

OPINIONI A CONFRONTO<br />

Il processo amministrativo: un giusto processo? di Giorgio Orsoni .... Pag. 3<br />

Il giusto processo fra realtà e mito di Antonio Franchini .......... » 6<br />

Un processo ... ragionevolmente lungo di Gianni Cesari ........... » 10<br />

Parte II<br />

GIURISPRUDENZA<br />

Diritto penale<br />

La costituzionalizzazione del giusto processo: una riforma da attuare di<br />

Matteo Garbisi e Federica Bertocco ................... Pag. 15<br />

Rassegna di giurisprudenza di merito:<br />

Tribunale di Venezia – Seconda Sezione Penale – Ord. 15/03/2000 – Ord.<br />

02/05/2000: Il diritto al silenzio è giunto al banco degli imputati: nessuno<br />

è tenuto ad accusare se stesso, ma ognuno è... tenuto a farsi accusare?<br />

(con nota di Alessandro Rampinelli) .................... » 21<br />

Tribunale Ordinario di Padova – Sezione Collegiale – Ord. 01/06/2000 . . » 27<br />

Corte di Appello di Venezia – Prima Sezione Penale – Ord. 05/07/2000 . . » 28<br />

Tribunale di Venezia – Ufficio del Giudice Monocratico Penale – Ord. 03/<br />

05/2000 ........................................ » 29<br />

Tribunale Ordinario di Venezia – Sezione Collegiale (Prima) – Ord. 30/05/<br />

2000 .......................................... » 30<br />

Diritto civile<br />

L’art. 111 costituzione nel processo civile: principi generali ed incidenza<br />

nel processo fallimentare di Alessandra Toffolutti e Gualtiero<br />

Pizzigati ....................................... » 31


VI INDICE<br />

Diritto amministrativo<br />

Il nuovo processo amministrativo: una prima lettura di Alfredo Biagini . Pag. 41<br />

Giudice amministrativo e risarcimento del danno: Tribunale Amministrativo<br />

Regionale per il Veneto – Sez. I – 9 febbraio 1999, n. 119 (con nota<br />

di Cristina De Benetti) ............................. » 51<br />

Sull’ammissibilità nel processo amministrativo dell’accertamento tecnico<br />

preventivo: Tribunale Amministrativo per il Veneto – Sez. II – ord. 14<br />

giugno 2000, n. 113 (con nota di Mariagrazia Romeo) ......... » 54<br />

Parte III<br />

QUESTIONI DI DEONTOLOGIA<br />

Pubblicità professionale: un nodo irrisolto di Daniele Grasso ....... Pag. 59


PRESENTAZIONE<br />

Nel ricevere questa rivista molti penseranno che non ve ne fosse proprio bisogno.<br />

Sono infatti già molte le pubblicazioni giuridiche che si occupano dei vari settori<br />

del diritto; così come non mancano le pubblicazioni patrocinate da Ordini che<br />

non si limitino alla mera cronaca della vita forense.<br />

La risposta ad una tale legittima domanda sta nello stesso titolo; ma anche nel<br />

fatto che essa proviene dall’Ordine degli Avvocati di Venezia.<br />

Nel titolo, che rende palese la fondamentale necessità di continuo confronto<br />

fra le varie componenti della giurisdizione, in particolare nel momento in cui l’introduzione<br />

del principio del «giusto processo» nella nostra Costituzione ha aperto<br />

un intenso dibattito su come tale principio vada applicato. Ma soprattutto ha reso<br />

palese ciò che da tempo gli strati più sensibili dell’avvocatura e della magistratura<br />

andavano con forza propugnando: la corresponsabilità nell’esercizio della giurisdizione<br />

sia del magistrato sia dell’avvocato.<br />

È questo il significato più profondo dell’aver introdotto in Costituzione il principio<br />

del giusto processo: è un’affermazione di civiltà e di democrazia. Non può,<br />

infatti, oggi concepirsi la giurisdizione come esercizio solitario del potere da parte<br />

di un organo dello Stato a ciò deputato, quando anche nell’amministrazione tale<br />

visione è stata da tempo superata.<br />

Il «dialogo» dunque per dibattere di questi problemi fra le componenti della<br />

giurisdizione ma anche al loro interno perché emerga il nuovo ruolo che ciascuna<br />

di esse deve essere capace di assumere nel rinnovato processo.<br />

Non a caso un’iniziativa di questo genere viene dall’Ordine di Venezia fucina<br />

di idee innovatrici nell’Avvocatura; promotore nell’ambito dell’Unione Triveneta<br />

dei Consigli dell’Ordine di quel movimento che ha portato alla costituzione dell’Organismo<br />

unitario dell’Avvocatura, ed a numerosi confronti con la Magistratura<br />

sul ruolo delle varie componenti della giurisdizione.<br />

Con l’auspicio che il confronto sia sempre più intenso e fecondo Vi affidiamo<br />

questa richiesta.<br />

Giorgio Orsoni<br />

Presidente del Consiglio<br />

dell’Ordine degli Avvocati<br />

di Venezia


IL PROCESSO AMMINISTRATIVO: UN GIUSTO PROCESSO?<br />

La riforma costituzionale, con cui è stato modificato l’art. 111 Cost., introducendo<br />

il principio del giusto processo è stata percepita prevalentemente come indirizzata<br />

a fissare nuove regole nel processo penale.<br />

Non è dubitabile che la riforma sia stata realizzata sulla spinta delle istanze degli<br />

avvocati penalisti, a seguito dei numerosi problemi insorti in tema di diritto alla<br />

difesa, anche in relazione alle sentenze della Corte costituzionale che avevano alterato<br />

i principi del processo accusatorio, introdotto alla fine degli anni ottanta.<br />

Tuttavia, gli effetti di tale riforma non si sono esplicati solo nei confronti del<br />

processo penale, giacché i principi enunciati sono certamente applicabili a tutte le<br />

forme di processo, ivi compresi quindi quelli civile, amministrativo e tributario.<br />

Anzi, una più meditata riflessione sui precetti dell’art. 111 Cost., evidenzia come<br />

essi finiscano per svolgere una funzione più radicalmente rivoluzionaria laddove<br />

forse non si pensava che ciò potesse accadere, e cioè nel campo del processo<br />

amministrativo.<br />

Tali effetti sono dipesi certamente anche dalla contemporanea evoluzione che<br />

si è avuta nel diritto amministrativo in ordine alla qualificazione delle posizioni<br />

soggettive, nonché alla loro tutelabilità derivante da un lato dal riconoscimento<br />

della risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi (sent. n. 500/99 Cass.),<br />

dall’altro dal mutato riparto delle giurisdizioni per effetto del D.Lgs. n. 80/98<br />

nonché della l. n. 205/00.<br />

Infatti, l’affermazione contenuta nella norma costituzionale circa la «terzietà»<br />

del giudice come corollario dell’imparzialità ed elemento essenziale per un giusto<br />

processo non può, nel diritto amministrativo, non richiamare alla memoria la genesi<br />

stessa della giurisdizione amministrativa, con la sua «non terzietà», almeno sul<br />

piano formale.<br />

È noto, infatti, come la creazione della IV Sez. del Consiglio di Stato con poteri<br />

giurisdizionali sia stata accettata in quanto in tal modo si dotava l’ordinamento di un<br />

giudice sugli atti dell’amministrazione, ma pur sempre all’interno dell’amministrazione<br />

stessa.


4 OPINIONI A CONFRONTO<br />

Quindi giudice per l’amministrazione e nell’amministrazione, al quale non può<br />

riconoscersi, proprio per tali caratteristiche, il possesso del requisito della terzietà,<br />

ritenuto essenziale dalla norma costituzionale.<br />

Ciò non ha certamente impedito di riconoscere nel tempo a questo giudice<br />

non solo i caratteri della giurisdizionalità, ma anche l’imparzialità ed una sostanziale<br />

indipendenza dal potere politico.<br />

Senonché, oggi tutto ciò forse non è più sufficiente a garantire la corrispondenza<br />

con la definizione della giurisdizione che deriva dalla costituzione, nella formulazione<br />

più articolata che fa riferimento alla terzietà come caratteristica del giudice.<br />

Non lo è, non solo per un fatto formale dipendente dalla nuova definizione costituzionale<br />

della giurisdizione, ma per un mutato rapporto tra amministrazione e<br />

cittadino, tra esercizio del potere e destinatario di tale esercizio: per la mutata considerazione<br />

delle posizioni soggettive nel diritto amministrativo sostanziale e nel<br />

processo.<br />

La tutela piena anche delle posizioni di interesse quando in esse sia riconducibile<br />

un «bene della vita» non può non esigere un giudice staccato anche formalmente<br />

dall’amministrazione, che possa qualificarsi non solo «imparziale» ma anche<br />

«terzo» perché non più proposto a giudicare sull’esercizio del potere amministrativo<br />

ma su una posizione giuridica direttamente tutelata dall’ordinamento anche<br />

in conflitto con tale potere.<br />

Ed allora perché offrire al cittadino una tutela differenziata ai suoi beni primari<br />

solo perché la lesione ad essi può venire dall’amministrazione?<br />

Perché non ricondurre ad un unico giudice anche tali posizioni giuridiche, sia<br />

pure prevedendo delle sezioni specializzate?<br />

Il legislatore sinora ha risposto in altro modo ampliando la giurisdizione amministrativa<br />

anche al giudizio sui diritti a numerose materie, trasformando in modo<br />

radicale il riporto delle giurisdizioni, da quello sulla base delle posizioni giuridiche<br />

soggettive, così come recepito dalla Costituzione, in un semplice riparto per materie,<br />

ampliandone i poteri sia istruttori sia riguardo ai mezzi di decisione.<br />

Tale scelta, sulla cui conformità alla Costituzione può avanzarsi qualche dubbio,<br />

sta mostrando la corda nelle sue prime applicazioni soprattutto per una certa<br />

timidezza del giudice amministrativo nel prendere consapevolezza dei nuovi poteri<br />

che gli sono stati attribuiti come conseguenza dell’attribuzione delle nuove materie,<br />

ed in tal modo si verifica una sostanziale mancanza di tutela del cittadino che<br />

si trova ad azionare le sue pretese avanti un giudice che spesso si considera inadeguato<br />

a soddisfare a tale richiesta (pensiamo alle richieste di provvedimenti cautelari<br />

tipici del processo civile come i sequestri, negati dal giudice amministrativo<br />

perché ritenutosi non dotato di tali poteri).


IL PROCESSO AMMINISTRATIVO: UN GIUSTO PROCESSO? 5<br />

È possibile che medesime posizioni giuridiche abbiano diversi mezzi di tutela<br />

solo perché in modo abbastanza casuale sono attribuite a giudici diversi?<br />

Terzietà quindi, ma anche omogeneità di poteri fra giudice amministrativo e<br />

giudice ordinario sono due fra i molti interrogativi che oggi si pongono all’operatore<br />

del diritto non poco sconcertato dall’improvviso anche se a lungo preannunciato<br />

irrompere di radicali rivolgimenti nel rapporto amministrazione-cittadino,<br />

favorita certamente dalla necessità di adeguamento del nostro ordinamento a<br />

quello comunitario e degli altri paesi europei.<br />

Giorgio Orsoni


IL GIUSTO PROCESSO FRA REALTÀ E MITO<br />

Un’intera generazione di giuristi, quella del secondo dopoguerra, giunta a maturazione<br />

negli anni ottanta, ha inseguito con passione ed ostinazione il «mito» del<br />

«giusto processo» come trasfigurazione all’italiana del modello processuale accusatorio<br />

profondamente radicato nella cultura anglosassone, anche se i valori irrinunciabili<br />

a cui ogni sistema processuale «giusto» avrebbe dovuto ispirarsi erano<br />

già delineati nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.<br />

Con l’ardita operazione culturale presupposta dal codice di procedura penale<br />

del 1988, che vedeva la nascita in Italia di un sistema processuale ispirato ai principi<br />

del rito accusatorio, sembrava che il «mito» a lungo inseguito divenisse realtà,<br />

tanto da scatenare una sorta di euforia culturale che aveva, peraltro, breve durata a<br />

causa di due fattori concomitanti.<br />

Da un lato, la Costituzione del 1948 non ha inciso sul modello del processo inquisitorio<br />

del 1930, modello, quest’ultimo che costituisce la più diretta espressione<br />

di ogni Stato autoritario, in cui la ragione di Stato predomina sui diritti della<br />

persona, e nel quale la giurisdizione non può essere del tutto separata dagli altri<br />

poteri proprio perché quel tipo di Stato richiede un controllo unitario e penetrante<br />

di tutte le istituzioni.<br />

I Costituenti del 1948, infatti, si sono limitati a garantire taluni diritti dell’accusato<br />

all’interno del processo inquisitorio che, per tale motivo, venne definito «inquisitorio<br />

garantito». Nella Costituzione del 1948, dunque, convivono, in modo<br />

contraddittorio, la tipica concezione della società cattolico-liberale con la persona<br />

umana quale valore fondante dell’intero sistema politico-sociale ed una concezione<br />

del processo penale che era il retaggio della visione autoritaria del rapporto Stato-individuo,<br />

tanto che la Costituzione Repubblicana non prevedeva una netta separazione<br />

tra le funzioni requirenti e giudicanti.<br />

In questo contesto, la riforma processuale del 1988 non ha potuto reggere l’impatto<br />

con un modello costituzionale di segno del tutto diverso, tanto che la Corte<br />

Costituzionale, con una pioggia di decisioni, che è inutile qui ricordare, ha riaffermato<br />

la natura sostanzialmente inquisitoria del processo, attraverso, soprattutto,


IL GIUSTO PROCESSO FRA REALTÀ E MITO 7<br />

l’individuazione di un principio del tutto «artificiale», in quanto non se ne trova<br />

traccia nella Costituzione, e cioè quello della «non dispersione dei mezzi di prova».<br />

Dall’altro lato, il secondo fattore di crisi della riforma processuale del 1988 era<br />

costituito da una profonda frattura culturale nel corpo dei giuristi, che, pressoché<br />

unitariamente, aveva inseguito negli anni ottanta il mito del «giusto processo». Infatti,<br />

innanzi ad una società in fase di vorticosa crescita, ma tormentata da fenomeni<br />

endemici di criminalità organizzata e da un esteso e radicato sistema di corruzione<br />

politico-amministrativa, la magistratura associata tendeva a privilegiare una<br />

concezione del processo quale strumento di lotta e di garanzia dell’ordine pubblico<br />

a scapito dei diritti individuali, finendo con il ritenere il rito processuale del<br />

1988 come un inutile orpello, se non un impaccio, al perseguimento dei fini di sicurezza<br />

dello Stato e di pulizia di una classe politica corrotta.<br />

Tale atteggiamento ideologico costituiva un grave freno al dispiegarsi di una<br />

consapevolezza matura sull’importanza per la crescita civile e democratica del<br />

paese di un processo accusatorio che identificasse con la realtà applicativa il mito<br />

del «giusto processo».<br />

La bandiera ed il mito del giusto proceso rimanevano così patrimonio pressoché<br />

esclusivo dell’avvocatura e di alcuni ambienti universitari.<br />

Nel corso dell’ultimo decennio l’avvocatura associata è rimasta sola a propugnare<br />

l’idea del «giusto processo» come approdo culturale necessario per la crescita<br />

del sistema in un contesto di tutela dei diritti individuali, tipica dei regimi autenticamente<br />

liberali.<br />

Solo negli ultimi anni, passata la temperie di tangentopoli, una riflessione più<br />

serena e distaccata sugli errori di prospettiva, consentiva, pur fra resistenze provenienti<br />

dalla magistratura associata e da alcune forze politiche, anche sull’onda delle<br />

vicende relative alla discussa norma di cui all’art. 513 c.p.p., di pervenire all’approvazione<br />

di una norma costituzionale, l’art. 111, che sembra incarnare il mito<br />

del giusto processo in quanto rappresenta una vera rivoluzione copernicana per il<br />

processo penale avendo ottenuto l’effetto di costituzionalizzare il rito accusatorio<br />

ed i relativi principi con lo spostamento del centro del processo dalle indagini al<br />

dibattimento, dalla prova risultante dall’attività della autorità giudiziaria, alla prova<br />

come risultato del contraddittorio tra le parti.<br />

Prima di passare ad esaminare, sia pure brevemente, alcuni aspetti particolarmente<br />

salienti della riforma costituzionale, credo sia importante sottolinearne il significato<br />

culturale ed ideologico: ogni norma secondaria, vigente od emananda,<br />

dovrà d’ora innanzi essere interpretata secondo i principi del rito accusatorio, che,<br />

a propria volta, mutua la propria ragion d’essere nella concezione liberal-democratica,<br />

che vuole la parità fra persona umana e Stato Amministrazione. Ne conse-


8 OPINIONI A CONFRONTO<br />

gue che la persona non dovrà mai essere sacrificata alla ragion di Stato, e cioè per<br />

soddisfare esigenze di carattere politico-amministrativo, come tipicamente quella<br />

di utilizzare il processo per fini di ordine pubblico o di prevenzione generale.<br />

La lunga battaglia contro posizioni culturali di retroguardia conservatrici e stataliste<br />

può dirsi conclusa con la promulgazione dell’art. 111 della Costituzione.<br />

Mi piace, a questo punto, porre l’accento su alcuni punti della riforma, soprattutto<br />

per evidenziarne gli sviluppi potenziali, onde tessere una tela di leggi ordinarie<br />

le quali potranno costituire i fili di un tessuto compiuto, coerente ed organico,<br />

sulla cui trama si possa leggere negli anni che ci attendono le parole «giusto processo»,<br />

non più mito, ma realtà fattuale.<br />

In primo luogo, il principio, affermato dall’art. 111 della Costituzione, della<br />

imparzialità del giudice postula che chi è chiamato a selezionare le prove, decidendo<br />

sulla loro acquisizione e poi assumendole, deve essere diverso da colui che, sulla<br />

base di quelle prove, dovrà emettere la decisione: solo così infatti il giudice potrà<br />

dirsi veramente imparziale.<br />

Il sistema della separazione fra il giudice della prova ed il giudice della decisione<br />

è quello dei processi con giuria vigente in tutti i paesi che hanno scelto il rito<br />

accusatorio.<br />

Risulta dunque che la giuria, peraltro presente in Italia sino ai primi anni del<br />

secolo scorso, non può che essere una delle proiezioni della riforma costituzionale<br />

operata dall’art. 111.<br />

Il Giudice, secondo i principi dell’art. 111 della Costituzione, non deve solo<br />

essere imparziale, ma anche terzo, il che significa che deve essere diverso, come<br />

collocazione istituzionale, rispetto alle parti del processo, segnando la propria<br />

equidistanza dal pubblico ministero e dal difensore.<br />

Si può dunque affermare che la nostra Costituzione, affermando il principio<br />

della parità delle parti, ma, in forma più diretta ed esplicita, con il requisito della<br />

terzietà, ha elevato a principio di rango costituzionale la separazione delle carriere.<br />

L’art. 111 della Costituzione con il requisito della terzietà del Giudice, ha colto<br />

la vera essenza della separazione delle carriere, che non è tanto quella di riequilibrare<br />

le figure dell’accusa e della difesa, ma quella di togliere al Giudice ogni possibile<br />

forma di contiguità con il Pubblico Ministero.<br />

Possiamo affermare che la separazione delle carriere costituisce una doverosa e<br />

irrinunciabile attuazione della riforma costituzionale, senza la quale attuazione il<br />

«giusto processo» rimarrebbe una mera esercitazione culturale.<br />

La scelta costituzionale, infatti, non lascia spazio per opzioni diverse da quella<br />

della separazione delle carriere, la cui attuazione, nonostante la sorda resistenza<br />

che continua a porre la magistratura associata, costituisce una precisa e grave responsabilitàdelle<br />

forze politiche rappresentate in Parlamento.


IL GIUSTO PROCESSO FRA REALTÀ E MITO 9<br />

Un altro aspetto di rilevante importanza contenuto nell’art. 111 della Costituzione<br />

è costituito dallo sviluppo analitico del diritto di difesa, già consacrato nell’art.<br />

24 della Costituzione.<br />

L’analisi, forse discutibile sul piano della tecnica costituzionale, si è resa necessaria<br />

per una riaffermazione, di livello costituzionale, dell’art. 6 della Convenzione<br />

Europea dei Diritti dell’Uomo e per far riemergere il principio cardine del sistema<br />

processuale penale, oscurato da numerosi interventi del legislatore e della Corte<br />

Costituzionale nel corso degli anni novanta, per cui «il processo penale è regolato<br />

dal principio del contraddittorio nella formazione della prova», vera regola di<br />

esclusione assoluta (salvo le eccezioni di cui al 5 o comma), nel senso che il giudice<br />

non potrà utilizzare, per le sue decisioni e, ancor prima, non sarà acquisibile al fascicolo<br />

per il dibattimento, qualsivoglia elemento che non sia nato davanti a lui nel<br />

confronto di tutte le parti. Le eccezioni al principio generale di cui al 5 o comma,<br />

che scontano, ad avviso di chi scrive, qualche aspetto di genericità, hanno comportato<br />

la paradossale conseguenza che il principio di non dispersione dei mezzi di<br />

prova, di creazione meramente giurisprudenziale, è stato assunto, sia pure in via di<br />

eccezione, come principio di rango costituzionale.<br />

In questo contesto di carattere generale, si ritrova, infine, nell’art. 111 della<br />

Costituzione una forte sottolineatura del dirito alla prova in stretto collegamento<br />

causale con la effettività della difesa.<br />

È il tema, caro agli avvocati penalisti, che è finalmente approdato ad un rilievo<br />

costituzionale, delle c.d. indagini difensive e della loro utilizzabilità processuale.<br />

La compiuta regolamentazione da parte del legislatore ordinario, più volte invocata,<br />

attua un punto qualificante del «giusto processo»: manca ora solo la relativa<br />

«cultura» da parte degli avvocati penalisti.<br />

Il compito storico che attende l’avvocatura associata nei prossimi anni è proprio<br />

quello di una intensa opera di stimolazione e vigilanza affinché il giusto processo,<br />

disancorato dal mito, si traduca nella realtà, il cui trampolino di lancio è<br />

l’art. 111 della Costituzione.<br />

Antonio Franchini


UN PROCESSO ... RAGIONEVOLMENTE LUNGO<br />

La promessa viene fatta dal legislatore costituzionale con la novella dell’art.<br />

111 cost. che indica le condizioni necessarie del giusto processo e tra queste la durata<br />

che deve essere ragionevole.<br />

Occorre quindi stabilire dopo quanto tempo la durata diviene irragionevole ed<br />

il processo ingiusto.<br />

Il tema non è nuovo – sono gli stessi interrogativi che noi avvocati ci rivolgiamo<br />

nella pratica quotidiana e che, soprattutto, ci rivolgono i clienti – e le risposte<br />

giuste non sono facili.<br />

Innanzitutto perché se è vero che l’aggettivo «ragionevole» èprobabilmente il<br />

più idoneo ad indicare l’obbiettivo che il legislatore s’è posto, è vero anche che le<br />

sue possibili accezioni di «conveniente, non eccessivo, giusto» (cfr. Zingarelli), consentono<br />

parametri di giudizio assai vaghi ed opinabili che nel nostro caso si risolvono<br />

in un corto circuito lessicale (la durata ragionevole è quella giusta) e fanno<br />

naufragio nella deriva della discrezionalità.<br />

Una deriva del resto già reale e concreta nelle decisioni in cui la Corte Europea<br />

afferma che la durata di un processo «va apprezzata alla luce delle circostanze di<br />

causa e con riferimento ai criteri fissati dalla Corte ed in particolare alla complessità<br />

del caso», senza accorgersi – o magari proprio accorgendosi – che in tal modo i parametri<br />

di riferimento si mantengono tutti nell’area delle valutazioni meramente<br />

discrezionali che costituiscono un non senso giuridico quando si tratti di dare attuazione<br />

ai principi costituzionali di uno Stato di diritto.<br />

Fortunatamente, quanto opportunamente la novella dell’art. 111 cost. affida<br />

alla legge il compito di «assicurare» la ragionevole durata del processo.<br />

Ed è importante notare che, dopo aver sancito al primo comma il canone del<br />

giusto processo «regolato dalla legge», il legislatore subito dopo torna a disporre<br />

che sia una legge a garantirne la durata, quasi a voler sottolineare l’esistenza di un<br />

preminente interesse costituzionale al rispetto del fattore tempo.<br />

Va pure notato che così facendo la novella compie un decisivo passo avanti rispetto<br />

alla Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo che all’articolo 6


UN PROCESSO ... RAGIONEVOLMENTE LUNGO 11<br />

prevede «tempi ragionevoli» per l’esame della causa, ma non aggiunge altro che<br />

valga a definire il come ed il quando della ragionevolezza.<br />

Del tutto evidente che assicurare per legge i tempi del processo come vuole oggi<br />

l’art. 111 cost. significa bandire ogni discrezionalità.<br />

Questa facile constatazione tuttavia non risolve il problema ed anzi pone ulteriori<br />

domande trattandosi pur sempre di sapere dopo quanto tempo il processo diviene<br />

ingiusto; cosa succede di un processo divenuto tale e quali leggi dobbiamo<br />

attendere.<br />

Dunque la legge, o meglio le leggi, perché certamente qualcosa si dovrà fare<br />

per dotare la Giustizia di maggiori risorse in personale e mezzi, per modificare<br />

carriere e procedure, depenalizzare reati, ovvero ancora alzare il livello di quei minimi<br />

di cui... il Pretore non deve occuparsi.<br />

Certamente si potranno introdurre termini endo-processuali perentori (ve ne<br />

sono già molti, peraltro quasi tutti «unidirezionali») estendendoli e sanzionandoli<br />

per tutti i soggetti del processo.<br />

Certamente interventi legislativi di questo tipo saranno ancora utili, altrimenti<br />

mancheranno addirittura le condizioni minime perché il processo ...proceda, ma<br />

l’esperienza ha sin qui dimostrato che tutto questo non basta ad evitare che Giustizia<br />

continui il suo corso secondo scansioni temporali che non corrispondono alle<br />

attese del popolo nel cui nome si pronunzia.<br />

Ed allora, in tesi, la soluzione è probabilmente quella di stabilire per legge un<br />

termine trascorso il quale il giudice perde il potere di giudicare, l’azione giudiziale<br />

si estingue e qualcuno ne sopporta le conseguenze. Qui a Venezia Lanfranco Caniato<br />

suggeriva qualcosa di simile tanti anni fa quando il IX Congresso Forense<br />

ebbe per tema «Tempo e Giustizia».<br />

Senza nasconderci le impervie difficoltà di natura culturale e concretamente<br />

operativa di siffatta soluzione – e senza trascurare che nella fissazione di questo<br />

termine (doverosamente perentorio) ritorna il tema della discrezionalità, peraltro<br />

questa volta legislativa e non giudiziale – va pur detto che la soluzione non è per<br />

nulla scandalosa posto che da sempre con l’istituto della prescrizione gli ordinamenti<br />

riconoscono il significato del trascorrere del tempo e fanno propri i motivi<br />

etici e politici che giustificano la resa sul campo della giurisdizione.<br />

In questo senso già oggi si potrebbe dire che la prescrizione del reato fa sì che<br />

il processo penale abbia una durata massima garantita dalla legge.<br />

Probabilmente ciò non basta a soddisfare il precetto costituzionale perché il<br />

processo continua anche se il reato è prescritto (se non altro per gli adempimenti<br />

conseguenti all’applicazione degli artt. 129 e 469 c.p.p.), ma è senz’altro vero che si<br />

tratta di un non - processo oramai privo di contenuto e certamente meno afflittivo.<br />

In quest’ordine di considerazioni non sembra dunque improprio ipotizzare


12 OPINIONI A CONFRONTO<br />

una legge, appunto quella promessa dalla costituzione (purché non faccia il bis di<br />

quelle sul diritto di sciopero), che determini in positivo quanto può durare un<br />

processo se deve essere giusto, e quale deve essere la durata delle sue varie fasi.<br />

Vero è che, venendo dal processo penale agli altri processi civile, tributario ed<br />

amministrativo, le cose si complicano grandemente.<br />

Perché se è vero che nel campo penale lo Stato, ponendosi come interprete e<br />

mediatore di interessi contrastanti, può rinunziare alla sua pretesa punitiva, è arduo<br />

ammettere che lo stesso Stato possa sacrificare il diritto di una parte, con il<br />

corrispondente vantaggio dell’altra, solo perché i suoi giudici per qualsiasi motivo<br />

non sono riusciti ad esaminare la causa in tempi ragionevoli.<br />

Trattandosi tuttavia di garantire la durata anche di questi processi non è facile<br />

ipotizzare soluzioni diverse da quella di pre-determinarla per legge.<br />

Ciò che in definitiva comporta un sacrificio dei diritti di cui si chiede l’accertamento<br />

giudiziale e fa intravvedere il rimedio in una prospettiva di responsabilità<br />

per tutti coloro che hanno contribuito a far durare il processo un tempo irragionevolmente<br />

lungo.<br />

L’acume e la fantasia dei tecnici sapranno individuare i modi di questa soluzione<br />

e le sue necessarie implicazioni.<br />

Ma anche qui nulla di nuovo o di scandaloso, se è vero che già la Corte di Giustizia<br />

Europea si muove su di un piano sostanzialmente risarcitorio quando condanna<br />

l’ irragionevole...compressione dei diritti soggettivi dei cittadini durante il<br />

tempo in cui hanno atteso giustizia.<br />

Ed allora, è così impensabile proseguire sulla stessa linea?<br />

Sì èvero, ci sono diritti soggettivi – quelli della persona – che per loro natura<br />

tendono all’accertamento e mal sopportano un risultato processuale ...per equivalente,<br />

ma per questi diritti, che del resto sono imprescrittibili, si potranno dare eccezioni.<br />

Mi fermo qui. Ma prima di farlo ho una domanda che però non attiene al tema<br />

della ragionevole durata.<br />

Ed allora, se è vero che nel comune sentire la terzietà del giudice è condizione<br />

della sua imparzialità, mi piacerebbe sapere se, quando dice che il giusto processo<br />

deve avere un giudice «terzo ed imparziale» (cfr. art. 111 cost. secondo comma), il<br />

legislatore ricorre ad un’endiadi rafforzativa ovvero distingue il significato dei due<br />

termini per accennare a qualcosa d’altro.<br />

Non so rispondermi e mi fermo davvero.<br />

Gianni Cesari


LA COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL GIUSTO PROCESSO:<br />

UNA RIFORMA DA ATTUARE<br />

La novella dell’art. 111 della Costituzione, nota come riforma del «Giusto processo»,<br />

assume un valore emblematico soprattutto per il processo penale, essendo<br />

stata voluta per realizzare un rito idoneo ad assicurare una effettiva dialettica tra le<br />

parti come mezzo per giungere alla formazione della prova.<br />

Se analizzata in termini sintetici, la riforma costituzionale appare ispirata, oltre<br />

che al principio del contraddittorio, anche ai principi della terzietà e imparzialità<br />

del giudice e della ragionevole durata del processo.<br />

Anche se le innovazioni apportate dall’art. 111 della Costituzione sono troppo<br />

recenti, per poter consentire una valutazione che sia frutto di un reale approfondimento,<br />

si è forse già in grado di dire che la novella imporrà la necessità di interventi<br />

del legislatore ordinario volti a dare attuazione a siffatti principi. Per il momento,<br />

come è noto, il legislatore è intervenuto solo con la l. 35/2000 che ha dato parziale<br />

e limitata attuazione al principio del contraddittorio.<br />

Per la verità l’entrata in vigore di tale ultima normativa ha già provocato numerosissime<br />

richieste di intervento da parte della Corte Costituzionale: ne pubblichiamo<br />

una rassegna incentrata sui provvedimenti emessi dalle Autorità Giudiziarie<br />

di Venezia e Padova; il contenuto delle ordinanze – con cui sono state in alcuni<br />

casi accolte, in altri respinte delle questioni di legittimità costituzionale prospettate<br />

con riferimento ai parametri dell’art. 111 della Costituzione – rende evidente<br />

come il problema di fondo che la novella costituzionale pone, attenga alla compatibilità<br />

tra diritto al silenzio dell’accusatore, quale garanzia del principio «nemo tenetur<br />

...», e diritto al contraddittorio, come manifestazione del diritto di difesa<br />

dell’accusato.<br />

Il tema del contraddittorio e dell’eventuale soppressione del diritto al silenzio<br />

è certamente importante (tanto che si è ritenuto opportuno dedicarvi un approfondimento<br />

contenuto nella nota pubblicata all’interno della rassegna giurisprudenziale);<br />

la sua centralità e la sua rilevanza, tuttavia, non possono far dimenticare<br />

che la riforma del «giusto processo» sembra imporre la necessità di ulteriori inter-


16 GIURISPRUDENZA<br />

venti del legislatore su altri, non meno importanti, aspetti toccati dalla novella<br />

quali:<br />

a) Il tema dell’informazione alla persona accusata dell’esistenza del processo<br />

a suo carico.<br />

b) Il tema del tempo e delle condizioni necessarie per la predisposizione<br />

della difesa da parte dell’accusato.<br />

c) Il tema della ragionevole durata del processo.<br />

d) Il tema della terzietà ed imparzialità del giudice.<br />

Sub a) Nella sua nuova formulazione l’art. 111 della Costituzione prevede che la<br />

«persona accusata di un reato sia nel più breve tempo possibile informata riservatamente<br />

della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico»; il contesto letterale<br />

della norma già pone un aspetto problematico circa la portata della nozione di persona<br />

accusata di un reato: tecnicamente persona accusata di un reato è colui contro<br />

il quale è levata una imputazione; inutile dire, tuttavia, che le garanzie difensive possono<br />

considerarsi tanto più effettive quanto maggiormente anticipato risulti il momento<br />

in cui la persona assoggettata a procedimento penale (e quindi anche solo indagata)<br />

sia posta nelle condizioni di conoscere la portata delle accuse mossegli.<br />

Indubbiamente poiché l’art. 111 della Costituzione fa riferimento ad una informazione<br />

che deve raggiungere l’accusato «nel più breve tempo possibile», sideve<br />

ritenere che sia coerente con l’impianto costituzionale l’esistenza di una fase segreta<br />

delle indagini preliminari, sempre che, ovviamente, la sua durata non risulti<br />

eccessivamente lunga e, quindi, irragionevole.<br />

La circostanza che l’informazione all’accusato debba avere i caratteri della riservatezza<br />

induce ad auspicare un ripensamento dell’istituto dell’informazione di<br />

garanzia la cui applicazione, nell’esperienza del nuovo codice di procedura penale,<br />

è stata caratterizzata proprio dal mancato rispetto del principio di riservatezza.<br />

Tutte queste problematiche saranno oggetto di approfondimenti da parte degli<br />

esegeti; per il momento già si segnalano alcune pronunce della Autorità Giudiziaria<br />

veneziana, pubblicate nella rassegna di giurisprudenza.<br />

Sub b)L’art. 111 della Costituzione prevede che l’accusato possa disporre «del<br />

tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa».<br />

Inutile sottolineare che sembrano porsi in contrasto con siffatto principio costituzionale<br />

prospettive di abbreviazione di termini e di semplificazione delle fasi<br />

processuali, finalizzate magari al raggiungimento di una maggiore efficienza complessiva<br />

del sistema.<br />

Tuttavia non è, forse, inutile sottolineare che, sul tema specifico del diritto di<br />

difesa, il punto nodale sembra essere un altro: se si vuole davvero una concreta applicazione<br />

del citato principio costituzionale, va perseguito l’obbiettivo di rendere<br />

effettiva l’operatività degli istituti del gratuito patrocinio e della difesa d’ufficio, i


LA COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL GIUSTO PROCESSO 17<br />

cui meccanismi vanno ripensati anche alla luce della riforma costituzionale; d’altro<br />

canto, l’effettività del diritto di difesa non sembra possa prescindere da un intervento<br />

del legislatore che detti, finalmente, una completa ed esaustiva disciplina<br />

dell’istituto delle indagini difensive (*).<br />

Sub c) ed) L’imparzialità e terzietà del giudice e la ragionevole durata del processo<br />

appaiono principi più che costituzionalizzati, codificati: nessuno può, infatti,<br />

dubitare che, anche prima della novella, potesse considerarsi conforme alla nostra<br />

Carta Fondamentale un processo di durata irragionevole governato da un giudice<br />

parziale; del resto con riferimento alla terzietà del giudice, sono testimonianza della<br />

immanenza di questo principio nella nostra Costituzione le numerosissime pronunce<br />

della Corte delle Leggi sugli istituti della astensione, della ricusazione, della<br />

incompatibilità.<br />

Le istanze di cui gli studiosi si fanno portatori su questi temi sono volte non solo<br />

ad introdurre delle modifiche alla normativa strettamente processuale ma, anche<br />

e soprattutto, a promuovere una rivisitazione dell’ordinamento giudiziario e<br />

della regolamentazione della attività degli uffici giudiziari; e le recenti modificazioni<br />

introdotte con la cosiddetta Legge Carotti costituiscono una riprova che l’attenzione<br />

del legislatore è rivolta anche in queste direzioni.<br />

Matteo Garbisi<br />

Federica Bertocco<br />

(*) È recente la notizia che le camere hanno definitivamente approvato il disegno di legge recante «Disposizioni<br />

in materia di indagini difensive» di cui è imminente la pubblicazione.<br />

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA DI MERITO<br />

Tribunale di Venezia – Seconda Sezione Penale – Ord. 15/03/2000 – Pres. Izzo –<br />

Imp. XY<br />

Dibattimento - Esame di persone indicate all’art. 210 c.p.p. - Omessa risposta su<br />

fatti concernenti la responsabilità di altri già oggetto di precedenti dichiarazioni -<br />

Applicabilità dell’art. 500 comma 2 bis e 4 c.p.p. secondo le indicazioni fornite<br />

dalla sentenza 361/98 Corte Costituzionale - Violazione del principio del contraddittorio<br />

di cui all’art. 111 della Costituzione - Non manifesta infondatezza.<br />

(Cost. art. 111, c.p.p. art. 513, 500, L. n. 35/2000)


18 GIURISPRUDENZA<br />

Dibattimento - Esame di imputato di reato connesso su fatti concernenti la responsabilità<br />

di altri già oggetto di precedenti dichiarazioni - Facoltà di non rispondere<br />

riconosciutagli dall’art. 210, IV o comma, c.p.p. - Violazione del principio del contraddittorio<br />

ex art. 111 della Costituzione - Non manifesta infondatezza.<br />

(Cost. art. 111, c.p.p. artt. 210, 513, L. n. 35/2000)<br />

«L’art. 513 c.p.p., così come modificato dalla sentenza della Corte Costituzionale<br />

n. 361/98, consentendo l’acquisizione delle dichiarazioni, rese, durante le indagini<br />

preliminari, da soggetto che si avvale della facoltà di non rispondere in sede dibattimentale,<br />

dà luogo alla formazione di prova non in contraddittorio delle parti, in evidente<br />

contrasto con il principio di cui al quarto comma dell’art. 111 della Cost. nella<br />

sua attuale formulazione, in quanto le dichiarazioni medesime non hanno costituito<br />

oggetto di contraddittorio né nel momento della loro originaria enunciazione avanti<br />

al P.M., né in dibattimento per via del silenzio del dichiarante.<br />

Sotto alternativo profilo altra normativa processuale potrebbe prestare il fianco a<br />

censure di incostituzionalità in quanto ad impedire il principio costituzionale della<br />

formazione della prova in contraddittorio sembrerebbe stare la norma di cui all’art.<br />

210, quarto comma c.p.p., che facoltizza l’imputato di reato connesso a non rispondere,<br />

essendo proprio l’esercizio di tale facoltà a dare avvio – in principio e per via dei<br />

meccanismi di cui all’art. 513 c.p.p. – in ipotesi ritenuto costituzionale – ad un iter<br />

procedimentale che culmina con l’acquisizione delle dichiarazioni in assenza di contraddittorio».<br />

L’ordinanza così motiva:<br />

«Il Tribunale, sulle eccezioni sollevate dai difensori in ordine alle modalità con cui il P.M. ha proceduto<br />

alle contestazioni ai sensi dell’art. 513 c.p.p., così come modificato dalla sentenza n. 361/98<br />

della Corte Costituzionale e sui rilievi di incostituzionalità delle norme di cui agli artt. 513 e 210 c.p.p.;<br />

Rilevato:<br />

– che la lettura delle dichiarazioni di XY ha fatto seguito alla mancata risposta da parte dello<br />

stesso ad una serie di specifiche domande postegli dal Pubblico Ministero e che per tale motivo la<br />

lettura stessa si è sostanziata in una rituale contestazione, ai sensi dell’art. 500, commi 2 bis e4,<br />

c.p.p.;<br />

– che pertanto si pone, a questo punto, la questione della acquisibilità delle dichiarazioni medesime<br />

alla luce del nuovo dettato costituzionale di cui all’art. 111 Cost.;<br />

– che vertendosi in ipotesi di procedimento in corso, nel quale le dichiarazioni non sono ancora<br />

state acquisite, deve trovare applicazione non già il disposto di cui al secondo comma dell’art. 1<br />

del D.L. 07/01/2000 n. 2 (convertito in L. 25/02/2000 n. 35) che fa espresso riferimento alla valutazione<br />

delle dichiarazioni già acquisite al fascicolo per il dibattimento, bensì quello di cui al primo<br />

comma del medesimo art. 1, in base al quale i principi di cui all’art. 111 Cost. si applicano ai procedimenti<br />

in corso;<br />

– che l’art. 111 Cost. prevede al quarto comma che “il processo penale è regolato dal principio<br />

del contraddittorio nella formazione della prova” salva l’eccezione di cui al comma quinto;<br />

– che, essendosi l’imputato di reato connesso, XY, avvalso della facoltà di non rispondere,


LA COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL GIUSTO PROCESSO 19<br />

dovrebbe trovare applicazione l’art. 513 c.p.p., così come modificato dalla citata sentenza della Corte<br />

Costituzionale, in base al quale anche in mancanza di accordo delle parti, come nel caso di specie,<br />

le dichiarazioni in precedenza rese da XY andrebbero acquisite al fascicolo del dibattimento;<br />

– che tale norma, consentendo l’acquisizione di siffatte dichiarazioni, darebbe luogo alla formazione<br />

di prova non in contraddittorio delle parti, in evidente contrasto con l’indicato principio di<br />

cui al quarto comma dell’art. 111 della Cost. nella sua attuale formulazione, in quanto le dichiarazioni<br />

medesime non hanno costituito oggetto di contraddittorio né nel momento della loro originaria<br />

enunciazione avanti al P.M., né in dibattimento per via del silenzio del XY;<br />

Rilevato ancora:<br />

– che, ove la Corte non ritenesse la incostituzionalità del citato art. 513 c.p.p. sotto il profilo<br />

testé denunziato, sotto alternativo profilo altra normativa processuale potrebbe prestare il fianco a<br />

censure di incostituzionalità in quanto ad impedire il principio costituzionale della formazione della<br />

prova in contraddittorio sembrerebbe allora stare la norma di cui all’art. 210, quarto comma c.p.p.,<br />

che facoltizza l’imputato di reato connesso a non rispondere;<br />

– che, invero, è l’esercizio di tale facoltà a dare avvio – in principio e per via dei meccanismi<br />

di cui all’art. 513 c.p.p., in ipotesi ritenuto costituzionale – ad un iter procedimentale che culmina<br />

con l’acquisizione delle dichiarazioni;<br />

– ritenuto, pertanto ed infine, che sotto tale alternativa angolazione sarebbe allora il disposto<br />

dell’art. 210, quarto comma c.p.p., ad essere in sospetto di incostituzionalità, siccome presupposto<br />

dell’iter procedimentale di cui sopra;<br />

– ritenuta la rilevanza della proposta questione, dovendo il Tribunale fare applicazione della<br />

normativa processuale sopra indicata per provvedere sulla istanza del P.M. di acquisizione delle dichiarazioni<br />

di XY, imputato di reato connesso, ed altresì la non manifesta infondatezza della questione<br />

stessa. (Omissis)»<br />

* * *<br />

Tribunale di Venezia – Sezione Collegiale (Prima) – Ord. 02/05/2000 – Pres. Risi<br />

– Imp. XY<br />

Dibattimento - Esame di persone indicate all’art. 210 c.p.p. - Omessa risposta sui<br />

fatti concernenti la responsabilità di altri già oggetto di precedenti dichiarazioni -<br />

Applicabilità dell’art. 111 della Cost. - Sussistenza<br />

Dibattimento - Esame di persone indicate all’art. 210 c.p.p. - Omessa risposta sui<br />

fatti concernenti la responsabilità di altri già oggetto di precedenti dichiarazioni -<br />

Applicabilità dell’art. 513 c.p.p. secondo l’interpretazione datane dalla sentenza<br />

n. 361/98 della Corte Costituzionale - Questione di legittimità costituzionale per<br />

violazione del principio del contraddittorio di cui all’art. 111 della Costituzione -<br />

Manifesta infondatezza - Ragioni<br />

(Art. 111 Cost. – artt. 210, 500, 513 c.p.p. – L. 35/2000)<br />

«Poiché la L. 35/2000 non disciplina l’ipotesi di dichiarazioni rese dall’imputato<br />

di reato connesso che si avvalga della facoltà di non rispondere non ancora acquisite


20 GIURISPRUDENZA<br />

al fascicolo del dibattimento, si impone l’applicazione immediata dei principi previsti<br />

dall’art. 111 della Costituzione.<br />

Circa il consequenziale problema del rispetto del principio del contraddittorio,<br />

l’art. 513 c.p.p. – come corretto ed interpretato dalla Corte Costituzionale con la sentenza<br />

n. 361 del 1998 – attraverso il meccanismo delle contestazioni e delle conseguenti<br />

acquisizioni al fascicolo del dibattimento, attua una forma di contraddittorio<br />

sui generis certamente insoddisfacente ancorché temperato da un severo divieto legale<br />

di valutazione a carico; tuttavia, va rigettata la questione di legittimità costituzionale<br />

dell’art. 513 c.p.p., perché l’art. 1 comma I L. 35/2000, nell’autorizzare una valutazione<br />

a discarico, vietando unicamente una valutazione a carico, dimostra di consentire,<br />

quanto meno in questa fase cosiddetta transitoria, l’acquisizione di dichiarazioni<br />

rese in sede pre-processuale da chi per libera scelta si è comunque sottratto all’esame<br />

dell’imputato e del suo difensore.<br />

Sebbene il suddetto problema debba ritenersi in realtà originato dall’applicazione<br />

del disposto dell’art. 210, co. 4 o c.p.p., che riconosce la facoltà di non rispondere in<br />

dibattimento al soggetto imputato in un procedimento connesso ex art. 12 c.p.p., il<br />

quale abbia reso in precedenza dichiarazioni eteroaccusatorie, non si ritiene, peraltro,<br />

opportuno sollevare la relativa questione dell’illegittimità costituzionale dell’art.<br />

210, co. 4 o cit. nell’imminenza dell’approvazione del disegno di legge che prevede la<br />

riduzione delle incompatibilità a testimoniare».<br />

L’ordinanza così motiva:<br />

(Omissis) «Va preliminarmente tenuto ben distinto il piano della formazione della prova e, quindi,<br />

delle modalità della sua assunzione, da quello riguardante la sua valutazione ai fini del giudizio,<br />

pacifico che trattasi di procedimento in corso e che le disposizioni transitorie introdotte con legge 25<br />

febbraio 2000, numero 35, non prevedendo l’ipotesi di dichiarazioni non già acquisite al fascicolo<br />

del dibattimento, implicano l’applicazione immediata dei principi previsti dall’articolo 111 della Costituzione<br />

come attualmente vigente; si pone il problema quindi del rispetto del principio del contraddittorio<br />

nel caso in cui oggi trovasse applicazione l’articolo 513 Codice di Procedura Penale, come<br />

corretto ed interpretato dalla Corte Costituzionale con sentenza numero 361 del 1998. È opinione<br />

del Collegio che, pienamente vigente l’articolo 513 Codice di Procedura Penale, attraverso il meccanismo<br />

delle contestazioni e delle conseguenti acquisizioni al fascicolo del dibattimento, si attui una<br />

forma di contraddittorio sui generis certamente insoddisfacente, ancorché temperata da un severo<br />

divieto legale di valutazione a carico. Del resto la norma costituzionale richiamata dalla legge numero<br />

25 febbraio 2000, numero 35, articolo 1 comma primo, nell’autorizzare una valutazione a discarico<br />

vietando unicamente una valutazione a carico dimostra di consentire, quanto meno in questa fase<br />

cosiddetta transitoria, l’acquisizione di dichiarazioni rese in sede pre-processuale da chi per libera<br />

scelta si è comunque sottratto all’esame dell’imputato e del suo difensore. In realtà ritiene il Collegio<br />

che il vero nodo del problema sia costituito dal principio contenuto al quarto comma dell’articolo<br />

210 Codice di Procedura Penale che consente anche a chi ha reso dichiarazioni etero accusatorie di<br />

avvalersi della facoltà di non rispondere nel corso del dibattimento. Su tale questione questo Tribunale<br />

ebbe già a sollevare questione di costituzionalità con ordinanza 17 dicembre 1997, questione<br />

non esaminata dalla Corte nella sentenza 361/98 e che qui pare opportuno non sollevare nella imminenza<br />

della riduzione della incompatibilità a testimoniare di cui al progetto di legge».(Omissis)


LA COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL GIUSTO PROCESSO 21<br />

IL DIRITTO AL SILENZIO È GIUNTO AL BANCO DEGLI IMPUTATI:<br />

NESSUNO È TENUTO AD ACCUSARE SE STESSO,<br />

MA OGNUNO È... TENUTO A FARSI ACCUSARE?<br />

Le due ordinanze in epigrafe affrontano con esiti opposti la questione della legittimità<br />

costituzionale dell’art. 513 cod. proc. pen. sollevata dalla recente introduzione<br />

nell’art. 111 Cost. dei principi del c.d. «giusto processo».<br />

Per vero, traspare chiaramente dal tenore dei provvedimenti in esame come a<br />

finire sul banco degli imputati non sia tanto l’art. 513, co. 2 o cod. proc. pen., così<br />

come modificato dalla nota sentenza n. 361 del 1998 della Corte Costituzionale,<br />

quanto l’art. 210, co. 4 o cod. proc. pen. e, più in generale, la stessa legittimità del<br />

diritto al silenzio in capo al soggetto che abbia reso prima del dibattimento dichiarazioni<br />

eteroaccusatorie.<br />

Sotto questo profilo, la contrapposizione tra le conclusioni assunte nelle due<br />

ordinanze sembra, allora, solo apparente, poiché in entrambe la soluzione del contrasto<br />

sorto tra la pronuncia del Giudice delle Leggi ed il nuovo dettato costituzionale<br />

viene individuata, in definitiva, proprio nella necessità di un drastico ridimensionamento<br />

(rectius, della vera e propria eliminazione) della facoltà di non rispondere<br />

attribuita ai soggetti indicati nel rammentato art. 210, co. 4 o cod. proc. pen.<br />

Invero, la problematica in esame è divenuta a tal punto il terreno di scontro tra<br />

diverse concezioni del processo penale ed è a tal punto densa di implicazioni anche<br />

– e, forse, soprattutto – socio-politiche, che in questa breve nota non possiamo<br />

certo nutrire la presunzione di operarne una compiuta ricostruzione.<br />

Peraltro, un succinto esame delle ordinanze annotate varrà, almeno in parte,<br />

ad evidenziare come la stessa introduzione del «nuovo» articolo 111 nella Costituzione<br />

abbia forse complicato ancor di più tale dibattito, poiché in questa norma<br />

costituzionale sembrano agitarsi due diverse anime, tant’è che la «reazione» del<br />

Legislatore costituzionale alla rammentata decisione del Giudice delle leggi finisce<br />

paradossalmente per consentire proprio a questo Giudice di dire, ancora una volta,<br />

l’ultima parola.<br />

Pare, in altri termini, che l’art. 111 Cost. sia perfettamente adattabile a quella<br />

riflessione, talora sconsolata, che il giurista nordamericano è solito fare sulla propria<br />

Carta costituzionale: la Costituzione dice quello che la Corte Suprema le fa<br />

dire...riflessione forse ancor più sconsolata per il giurista italiano che, temiamo,<br />

potrebbe finanche concludere che la Corte Costituzionale potrà addirittura scegliere<br />

cosa far dire al nuovo articolo 111 della Costituzione.<br />

Ma, a questo punto, dobbiamo almeno fornire una giustificazione a simili affermazioni.<br />

Nessuno dubitava che l’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 111 Cost.


22 GIURISPRUDENZA<br />

avrebbe immediatamente offerto l’occasione per riportare l’art. 513 cod. proc.<br />

pen. all’attenzione della Corte Costituzionale, poiché era subito apparso fin troppo<br />

chiaro quanto lontano fosse dal concetto di contraddittorio il meccanismo della<br />

c.d. «contestazione acquisitiva» delineato dall’art. 500, co. 2-bis e4 o ed innestato<br />

sull’art. 513, co. 2 o cod. proc. pen.<br />

Ed era risultato altrettanto chiaro che occorreva ormai intervenire proprio su<br />

quella legalità costituzionale che la Corte aveva ritenuto di dover ripristinare con<br />

l’intervento manipolativo sull’art. 513 cod. proc. pen., divenendo, dunque, giocoforza<br />

che il «conflitto» tra Parlamento e Giudice delle leggi non potesse che essere<br />

vittoriosamente risolto dal primo attraverso una revisione del dettato costituzionale.<br />

Dunque, e prima di tutto, un’esplicita ed inequivocabile affermazione, a livello<br />

formalmente costituzionale, del contraddittorio come principio fondamentale non<br />

solo del processo penale, ma di ogni tipo di processo: «ogni processo si svolge nel<br />

“contraddittorio tra le parti” (...)» (art. 111, co. 2 o Cost.).<br />

Ma la risposta del Legislatore alla sentenza costituzionale del 1998 è ancora, si<br />

vorrebbe dire, più «reattiva»: il contraddittorio opera come canone fondamentale<br />

del processo penale non solo in termini generali, ma, più specificamente, nell’essenziale<br />

momento della formazione della prova: «il processo penale è regolato dal<br />

“principio del contraddittorio nella formazione della prova”» (art. 111, co. 4 Cost.).<br />

Di qui la censura di incostituzionalità, seppur succintamente motivata, mossa<br />

dalla seconda sezione penale del Tribunale di Venezia all’art. 513 cod. proc. pen.,<br />

la cui formulazione risultante dall’«emendamento» operato dalla Corte costituzionale<br />

rivela, appunto, la propria contrarietà al principio della formazione della prova<br />

mediante il contraddittorio.<br />

Del resto, non è forse azzardato affermare che il Legislatore costituzionale<br />

sembra aver avuto ben chiara la distinzione tra la fase del dibattimento, quale unico<br />

momento processuale destinato (di regola) alla formazione in senso proprio<br />

della prova, e la fase delle indagini preliminari, volta piuttosto alla raccolta (non di<br />

prove, ma) degli elementi di prova.<br />

Il concetto di prova assunta nel contraddittorio richiede, allora, che il contra<br />

dicere si possa svolgere nella sua interezza nella fase dibattimentale; implica, in altre<br />

parole, che debba poter compiutamente operare all’interno di tale fase processuale<br />

quel metodo dialettico che costituisce il nucleo essenziale della nozione stessa<br />

di contraddittorio, inteso come metodo di ricerca della verità mediante il confronto.<br />

I rilievi fin qui svolti, peraltro, non sembrano esser stati ritenuti del tutto convincenti<br />

dalla prima sezione penale del Tribunale di Venezia, che ha espresso un<br />

orientamento opposto in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art.


LA COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL GIUSTO PROCESSO 23<br />

513 cod. proc. pen., così come integrato dalla più volte citata sentenza costituzionale<br />

del 1988.<br />

Sebbene nessuna adeguata argomentazione sia stata poi addotta a fondamento<br />

della ritenuta manifesta infondatezza della quaestio legitimitatis dell’art. 513, co. 2<br />

cod. proc. pen., va qui soprattutto rilevato come l’ordinanza in esame abbia creduto<br />

di poter mitigare il giudizio pur parzialmente negativo espresso sulla forma di<br />

contraddittorio offerto dal meccanismo delle contestazioni acquisitive (espressamente<br />

definito «insoddisfacente»), richiamandosi a quel severo divieto «legale di<br />

valutazione a carico» che ne costituirebbe il temperamento e riferendosi dunque –<br />

per quanto si possa comprendere dalla lettura della laconica motivazione del provvedimento<br />

– alla previsione dell’art. 500, co. 4 o cod. proc. pen.<br />

Tale disposizione processuale, invero, «garantisce» che la dichiarazione assunta<br />

mediante il meccanismo della contestazione acquisitiva potrà essere valutata come<br />

prova dei fatti in essa affermati solo se sussistono altri elementi di prova che ne<br />

confermano l’attendibilità.<br />

In realtà, la norma in esame pone soltanto un criterio di valutazione della prova,<br />

del tutto analogo a quello stabilito dall’art. 192, co. 3 o cod. proc. pen.<br />

Ed allora, va fermamente ribadito come non sia consentito neppure ipotizzare<br />

la validità concettuale di un meccanismo che utilizza un criterio di valutazione per<br />

condizionare la legittimità dell’acquisizione di una prova, quando, in realtà, la prova<br />

stessa non può ritenersi legittimamente assunta ( 1 ): nessun criterio legale di valutazione<br />

del mezzo di prova, per quanto «severo» o restrittivo, può costituire un<br />

«commodus discessus» rispetto all’ineludibile constatazione che una prova illegittimamente<br />

acquisita (e tale è, oggi, la prova non assunta in contraddittorio) è una<br />

prova non utilizzabile ai fini della decisione, qualunque ne sia il grado di persuasività.<br />

Tuttavia, come si osservava all’inizio, l’attenzione dei due diversi collegi del<br />

Tribunale veneziano non appare rivolta tanto all’art. 513, co. 2 o cod. proc. pen.,<br />

quanto all’art. 210, co. 4 o cod. proc. pen., ossia al diritto al silenzio riconosciuto<br />

all’imputato in un procedimento connesso che abbia precedentemente reso la dichiarazione<br />

contra alios.<br />

Occorre ammetterlo: eliminando questo diritto, si elimina o, comunque, si<br />

semplifica enormemente il problema.<br />

E una simile «semplificazione» appariva, almeno prima dell’entrata in vigore<br />

dell’art. 111 Cost., non incompatibile con il dettato costituzionale, poiché la facoltà<br />

di non rispondere attribuita al dichiarante sul fatto altrui, se e fino a quando la<br />

( 1 ) Cfr., per analoghi rilievi, A. Nappi, Il contraddittorio dimenticato. L’attuazione del «111» sembra limitarsi<br />

a un corollario, inDiritto & Giustizia, 2000, fasc. n. 26, pag. 5.


24 GIURISPRUDENZA<br />

dichiarazione stessa non involga una responsabilità anche sul fatto proprio, rimane<br />

al di fuori dell’alveo del «nemo tenetur se detegere» e, pertanto, non risulta necessariamente<br />

coperta dalla garanzia costituzionale prevista dall’art. 24 Cost. ( 2 ).<br />

Del resto, il ridimensionamento del diritto al silenzio sembra oggi incontrare il<br />

consenso sia di una parte rilevante della categoria forense sia della magistratura<br />

( 3 ).<br />

Per quanto paradossale possa sembrare, però, sono proprio le recenti disposizioni<br />

introdotte nell’art. 111 Cost. a creare un nuovo e rilevante fattore di complicazione<br />

nell’ambito della problematica in esame, dovuto alla cennata (com)presenza<br />

di due diverse «anime» all’interno dell’art. 111 Cost.<br />

Invero, l’eliminazione del diritto al silenzio è stato inteso da certa giurisprudenza<br />

di merito non già come una (senz’altro agognata, ma soltanto) possibile<br />

scelta discrezionale del Legislatore, bensì come un’opzione addirittura imposta<br />

dalle nuove norme costituzionali.<br />

Chiaramente orientata in tal senso è l’ordinanza della prima sezione penale del<br />

Tribunale di Venezia, secondo la quale proprio la previsione legislativa del ius tacendi<br />

impedirebbe la formazione della prova in contraddittorio, ponendosi così in<br />

contrasto con l’art. 111, co. 4 o Cost. ( 4 ).<br />

Néèsuperfluo rammentare che altri giudici a quibus hanno ulteriormente precisato<br />

come il diritto al silenzio impedisca, altresì, l’esercizio della facoltà ora riconosciuta<br />

all’accusato di «interrogare o di far interrogare le persone che rendono<br />

dichiarazioni a suo carico», ravvisando, pertanto, nell’art. 210, co. 4 o cod. proc.<br />

pen. anche un profilo di incompatibilità con il disposto del terzo comma dell’art.<br />

111 Cost. ( 5 ).<br />

Verrebbe da dire, allora, che al «nemo tenetur se detegere» si affianca un nuovo<br />

brocardo: «ognuno è...tenuto a farsi accusare» (!), perché solo così può controinterrogare<br />

il suo accusatore e, quindi, consentire che la prova (anche quella a suo<br />

carico) si formi, sempre e comunque, in contraddittorio.<br />

Sembra, dunque, che le argomentazioni addotte dai giudici a quibus rendano<br />

( 2 ) Cfr., amplius, O.Dominioni, Un nuovo idolum theatri: il principio di non dispersione probatoria,<br />

in Riv. trim. dir. proc. pen., 1997, pagg. 753 e segg.<br />

( 3 ) Cfr. P. Corso, Diritto al silenzio: garanzia da difendere o ingombro processuale da rimuovere?, in<br />

Ind. Pen., 1999, pag. 1089, il quale, peraltro, registra con un certo stupore il consenso che alla riforma del<br />

diritto al silenzio sarebbe stato prestato dall’avvocatura, nonostante la drastica reazione a suo tempo manifestata,<br />

mediante l’astensione dalle udienze, alla sentenza n. 361 del 1998 della Corte costituzionale, che<br />

pur aveva evitato di introdurre tale riforma.<br />

( 4 ) Nel medesimo senso, cfr., tra le altre, Trib. Milano, comp. coll., sez. IV, ord. 20/03/2000, in Guida<br />

dir., 2000, n. 13, pag. 75 e segg.<br />

( 5 ) Cfr., ad es., Trib. Padova, comp. coll., ord. 1/06/2000, pubblicata infra, nella presente rassegna<br />

giurisprudenziale.


LA COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL GIUSTO PROCESSO 25<br />

visibile, paradossalmente, una sorta di «faccia nascosta» del nuovo diritto costituzionale<br />

di «interrogare o far interrogare» il proprio accusatore, quale facoltà processuale<br />

direttamente funzionale alla necessità che la prova si formi mediante il<br />

contraddittorio.<br />

Ma questa lettura dell’art. 111 Cost, risulta, almeno a prima vista, «sorprendente»,<br />

poiché finisce quasi col relegare in secondo piano il contenuto dinamico<br />

delle nuove garanzie costituzionali, sforzandosi, invece, di ricavarne implicitamente<br />

un’indicazione normopositiva in ordine ad un istituto processuale del quale lo<br />

stesso art. 111 Cost. non sembra voler per nulla occuparsi, pur contenendo disposizioni<br />

talora fin troppo dettagliate.<br />

Appare, invero, assai strano dover concludere che l’obbligatorietà (e non già la<br />

mera possibilità) costituzionale della soppressione del diritto al silenzio – ossia di<br />

quella riforma della disciplina processuale attualmente vigente, nella quale si tende<br />

ormai ad individuare l’unica effettiva soluzione della complessa problematica –<br />

non trovi alcun fondamento testuale nell’art. 111 Cost., ma debba, piuttosto, essere<br />

ricavata da un’operazione ermeneutica che, quantomeno, non può certo definirsi<br />

del tutto agevole.<br />

È facile comprendere, peraltro, che, così opinando, non s’intende semplicemente<br />

«spianare la strada» al recente disegno di legge in materia di formazione e<br />

valutazione della prova, che ha previsto all’art. 7 l’introduzione di un articolo 197bis<br />

nel codice di procedura penale, il cui primo comma recita: «l’imputato in un<br />

procedimento connesso ai sensi dell’articolo 12 può essere sentito come testimone<br />

quando nei suoi confronti stata pronunziata sentenza, divenuta irrevocabile, di proscioglimento,<br />

di condanna o di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo<br />

444» ( 6 ).<br />

Piuttosto, si intende chiamare nuovamente la Corte Costituzionale a dire l’ultima<br />

parola o, quantomeno, una parola vincolante per l’attività futura del Legislatore<br />

ordinario, offrendole un’argomentazione per cancellare il diritto al silenzio.<br />

Per vero, se la presunta illegittimità costituzionale dell’art. 210, co. 4 o cod.<br />

proc. pen. trovasse realmente un solido ed inequivoco fondamento sull’art. 111,<br />

co. 3 o e4 o Cost., le perplessità suscitate da un simile atteggiamento della giurisprudenza<br />

di merito sarebbero, tutto sommato, superabili.<br />

Certamente, una sentenza di accoglimento della Corte Costituzionale non<br />

mancherebbe di produrre esiti applicativi piuttosto problematici, qualora il Parlamento<br />

tardasse ad approvare il rammentato disegno di legge o, peggio ancora, se<br />

( 6 ) Si tratta del d.d.l. n. 6590, il cui testo base è stato adottato dalla Commissione Giustizia della Camera<br />

dei Deputati in data 29 giugno 2000.


26 GIURISPRUDENZA<br />

sull’approvazione di esso non si formasse il necessario consenso almeno dei gruppi<br />

parlamentari di maggioranza.<br />

Ma se veramente la soppressione del diritto al silenzio dovesse ritenersi costituzionalmente<br />

imposta dall’art. 111 Cost., non ci si potrebbe di certo lamentare<br />

qualora il Giudice delle leggi assolvesse a nulla più che il proprio dovere istituzionale,<br />

ossia quello di espungere dall’ordinamento una disposizione contraria alla<br />

Costituzione.<br />

Il fatto è, tuttavia, che proprio dall’art. 111 Cost. sembra derivare al Legislatore<br />

ordinario un’indicazione esattamente opposta a quella che le rammentate ordinanze<br />

dei giudici a quibus ritengono desumibile, seppur in via implicita, dal medesimo<br />

testo costituzionale.<br />

E questa volta l’indicazione non è neppure tanto implicita.<br />

La seconda parte dell’art. 111, co. 4 o Cost., infatti, stabilisce che «la colpevolezza<br />

dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera<br />

scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato<br />

o del suo difensore».<br />

La norma, dunque, presuppone proprio la legittimità di una condotta di sottrazione<br />

«volontaria» e «per libera scelta» all’interrogatorio, attuabile da parte del<br />

soggetto che ha reso dichiarazioni contra alios ( 7 ).<br />

In altri termini, anche se da tale norma non si volesse ricavare addirittural’indicazione<br />

positiva della necessità di una tutela costituzionale del diritto al silenzio,<br />

quantomeno, se ne dovrebbe ragionevolmente desumere la compatibilità di una siffatta<br />

condotta con gli altri valori tutelati nella Corta Costituzionale ed, innanzitutto,<br />

con quelle ulteriori disposizioni dell’art. 111 Cost. che offrirebbero, invece, l’argomento<br />

esegetico per postulare la doverosa eliminazione proprio del ius tacendi.<br />

Peraltro, non si può omettere di sottolineare come soltanto la «volontarietà»<br />

della sottrazione all’interrogatorio potrebbe pur sempre ritenersi logicamente<br />

compatibile con l’esistenza di un obbligo di testimonianza a carico del dichiarante<br />

erga alios, poiché il Legislatore costituzionale sembra aver voluto soltanto ribadire,<br />

attraverso l’uso dell’avverbio «volontariamente», la necessità che la scelta di tale<br />

comportamento processuale, da parte del dichiarante, non sia il frutto di condizionamenti<br />

esterni; necessità, invero, già di per sé desumibile dall’art. 111, co. 5 o<br />

Cost., che ammette tra le possibili deroghe al principio della formazione della prova<br />

in contraddittorio l’ipotesi della «provata condotta illecita».<br />

Invece, il riferimento ulteriore ad una «libera scelta» del dichiarante erga alios<br />

( 7 ) Cfr. V. Grevi, Dichiarazioni dell’imputato sul fatto altrui, diritto al silenzio e garanzia del contraddittorio<br />

(dagli insegnamenti della Corte Costituzionale al progettato nuovo modello di «giusto processo»), in<br />

Riv. it. dir. proc. pen., 1999, pag. 851.


LA COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL GIUSTO PROCESSO 27<br />

costituisce un argomento testuale assai più problematico, poiché sembra necessariamente<br />

presupporre che la sottoposizione del dichiarante stesso al confronto con<br />

l’accusato possa e debba rimanere il frutto di un atto di autentica autodeterminazione<br />

della volontà del primo.<br />

Ciò che, ben lungi dal corroborare la presunta esistenza di un obbligo costituzionale<br />

di soppressione del diritto al silenzio, varrebbe, al contrario, a dimostrare che è<br />

proprio il diritto al silenzio ad essere positivamente tutelato dal nuovo art. 111 Cost.<br />

Dunque, la strada al ridimensionamento della facoltà prevista dall’art. 210, co.<br />

4 o cod. proc. pen., che il citato disegno di legge ha inteso intraprendere, è tutt’altro<br />

che spianata; soprattutto, la ritenuta incostituzionalità dell’art. 210, co. 4 o cit.<br />

sulla base dei nuovi principi costituzionali del c.d. «giusto processo» ètutt’altro<br />

che pacifica.<br />

C’è il serio rischio, anzi, che appaia quantomeno dotata di eguale validità logica<br />

un’interpretazione incline a far ritenere non conforme al disposto di cui all’art.<br />

111, co. 4 o Cost. proprio l’emanando art. 197-bis cod. proc. pen., quantomeno<br />

perché la previsione dell’obbligo di testimonianza a carico dell’imputato in un<br />

procedimento connesso, che abbia precedentemente reso dichiarazioni sul fatto<br />

altrui, risulta incompatibile con quel modello di condotta processuale chiaramente<br />

presupposto dalla seconda parte dell’art. 111, co. 4 o Cost. e configurato, in particolare,<br />

in termini di «libera scelta» del soggetto di sottoporsi o meno al confronto<br />

dibattimentale con l’accusato.<br />

Qualunque sia, allora, la strada che intenderà percorrere il Legislatore ordinario,<br />

sembra che l’ultima parola rimarrà ancora alla Corte Costituzionale.<br />

E questa volta non perché manchi nella Costituzione una normativa che consacri<br />

i principi fondamentali del processo penale voluti dall’organo legislativo, ma,<br />

paradossalmente, perché si è, forse, messo il Giudice delle Leggi in grado di «scegliere»<br />

cosa far dire alla Costituzione....<br />

* * *<br />

Alessandro Rampinelli<br />

Tribunale Ordinario di Padova – Sezione Collegiale – Ord. 01/06/2000 – Pres.<br />

Apostoli Cappello – Imp. XY<br />

Dibattimento - Esame di imputato di reato connesso - Dichiarazioni rese nel corso<br />

delle indagini preliminari sui fatti concernenti la responsabilità d’altri - Attribuzione<br />

al dichiarante della facoltà di non rispondere - Irragionevolezza della di-


28 GIURISPRUDENZA<br />

sciplina se confrontata con quella prevista per i testimoni - Lesione del diritto al<br />

contraddittorio dell’accusato - Compromissione del principio dell’obbligatorietà<br />

dell’azione penale - Questione di legittimità costituzionale - Non manifesta infondatezza<br />

(Artt. 3, 111, 112 Cost.; artt. 197, 210, 513 c.p.p.)<br />

Dibattimento - Esame di imputato di reato connesso - Omessa risposta su fatti<br />

concernenti la responsabilità di altri già oggetto di precedenti dichiarazioni - L.<br />

35/2000 - Abrogazione dell’art. 513, comma 2 c.p.p. come letto dalla sentenza<br />

della Corte Costituzionale n. 361/98 - Sussistenza - Ragioni<br />

(Art. 111 Cost.; artt. 210, 513 c.p.p.; L. 25/02/2000 n. 35; art. 15 preleggi)<br />

«Le nuove regole fissate dall’art. 111 Cost. paiono portare alla conclusione che<br />

non risulta conforme al principio di ragionevolezza la disciplina prevista dal combinato<br />

disposto degli artt. 210 IV comma e 197 lett. d) c.p.p. in virtù dei quali sono<br />

precluse, in ogni caso, dal novero delle possibili testimonianze, situazioni quali quelle<br />

concernenti le persone nei confronti delle quali si è già proceduto, che si trovano in<br />

condizioni analoghe a quelle del testimone, stante la natura definitiva e irrevocabile<br />

della sentenza emessa a loro carico. Il riconoscimento del diritto al silenzio per queste<br />

persone oltre a porsi in contrasto con il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), appare<br />

violativo del principio del contraddittorio in quanto è preclusa alla persona accusata<br />

la possibilità di interrogare o far interrogare il propalante (art. 111 Cost.) e del<br />

principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, il cui esercizio rimane esposto ad una<br />

variabile irragionevole ed idonea ad incidere significativamente sul predetto valore<br />

costituzionale (art. 112 Cost.)».<br />

«La L. 35/2000 – limitando l’utilizzazione dei verbali di dichiarazioni rese in indagini<br />

preliminari all’ipotesi in cui essi siano già acquisiti al fascicolo del dibattimento<br />

– introduce un regime del tutto incompatibile con quello venutosi a creare dopo la<br />

sentenza n. 361/98 della Corte Costituzionale; tale incompatibilità, riguardando normative<br />

di pari rango succedutesi nel tempo, implica, ex art. 15 preleggi, l’abrogazione<br />

dell’art. 513, II o comma, c.p.p. come riletto dalla sentenza 361/98 della Corte Costituzionale».<br />

* * *<br />

Corte di Appello di Venezia – Prima Sezione Penale – Ord. 05/07/2000 – Pres.<br />

Gatto – Imp. XY<br />

Appello - Dibattimento - Rinnovazione dell’istruzione - Esame di persone indica-


LA COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL GIUSTO PROCESSO 29<br />

te nell’art. 210 c.p.p. - Omessa risposta su fatti concernenti la responsabilità di altri<br />

già oggetto di precedenti dichiarazioni - Applicabilità dell’art. 500, comma<br />

2-bis e 4 c.p.p. secondo le indicazioni fornite dalla sentenza n. 361/1998 Corte<br />

Costituzionale - Violazione del principio del contraddittorio di cui all’art. 111<br />

Cost. - Questione di legittimità costituzionale dell’art. 513 c.p.p. - Rilevanza e<br />

non manifesta infondatezza<br />

(Art. 111 Cost.; artt. 210, 500, 513, 603 c.p.p.)<br />

«L’acquisizione delle dichiarazioni di persone indicate nell’art. 210 c.p.p. per il<br />

caso in cui il dichiarante si avvalga della facoltà di non rispondere, secondo il meccanismo<br />

delineato dall’art. 513, 2 o co. c.p.p., così come interpretato dalla Corte Costituzionale<br />

con sent. n. 361/1998, dando luogo alla formazione di una prova in assenza<br />

di reale contraddittorio, costituisce violazione della norma di cui all’art. 111, 4 o<br />

co. Costituzione, che ha introdotto a livello costituzionale il principio che la formazione<br />

della prova debba avvenire nel pieno contraddittorio delle parti; non pare, infatti<br />

potersi contestare che il comportamento di colui che, nel corso del dibattimento,<br />

dopo essersi avvalso della facoltà di non rispondere, si limiti a subire le contestazioni<br />

sulla base di quanto in precedenza dichiarato senza nulla rispondere, si risolva di fatto<br />

in una volontaria sottrazione all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore,<br />

con la conseguenza che, non realizzandosi un effettivo contraddittorio, le dichiarazioni<br />

precedentemente rese non possono concorrere a formare la prova».<br />

* * *<br />

Tribunale di Venezia – Ufficio del Giudice Monocratico Penale – Ord. 03/05/<br />

2000 – Est. Spaccasassi – Imp. XY<br />

Indagini preliminari - Informazione di garanzia - Richiamo all’art. 111 Costituzione<br />

nuova formulazione - Applicabilità ai procedimenti penali in corso - Violazione<br />

del principio che impone l’informazione di garanzia nel più breve tempo<br />

possibile - Questione di legittimità costituzionale - Manifesta infondatezza<br />

(Art. 111 Cost., art. 369 c.p.p.)<br />

«L’art. 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che la “persona accusata di un reato<br />

sia nel più breve tempo possibile, informata” in merito all’accusa, essendo norma a<br />

carattere precettivo e non programmatico, si applica ai procedimenti penali in corso.<br />

Peraltro dovendosi escludere che l’informazione di garanzia debba essere immediatamente<br />

ed automaticamente inviata all’indagato, l’eventuale incostituzionalità della


30 GIURISPRUDENZA<br />

norma di cui all’art. 369 c.p.p., così come formulata attualmente, non è nella sua interezza<br />

ma nella parte in cui obbliga il P.M. ad inviare l’informazione di garanzia solo<br />

al momento in cui il difensore ha diritto di assistere all’atto anziché facoltizzarlo<br />

ad inviarla anche in precedenza, esattamente com’era nella vecchia formulazione dell’art.<br />

369 c.p.p.».<br />

* * *<br />

Tribunale Ordinario di Venezia – Sezione Collegiale (Prima) – Ord. 30/05/2000 –<br />

Pres. Risi – Imp. XY<br />

Indagini preliminari - Informazione di garanzia - Richiamo all’art. 111 Costituzione<br />

nuova formulazione - Applicabilità ai procedimenti penali in corso - Violazione<br />

del principio che impone l’informazione di garanzia nel più breve tempo<br />

possibile - Questione di legittimità costituzionale - Manifesta infondatezza<br />

(Art. 111 Cost.; art. 369 c.p.p.)<br />

«L’art. 111 Cost., così come modificato, essendo norma programmatica, non è in<br />

contrasto con la norma di cui all’art. 369 c.p.p., perché l’espressione “nel più breve<br />

tempo possibile”, può e deve essere interpretata anche con riferimento alla necessità<br />

di tutela di altri beni che assurgono a rango costituzionale, come ad esempio l’esercizio<br />

obbligatorio dell’azione penale. Non si può, pertanto, sostenere che a seguito della<br />

modifica dell’art. 111 Cost., l’indagato abbia un diritto assoluto all’immediata e<br />

incondizionata conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale a suo carico».


L’ART. 111 COSTITUZIONE NEL PROCESSO CIVILE: PRINCIPI<br />

GENERALI E INCIDENZA NEL PROCESSO FALLIMENTARE<br />

Dei tre punti cardine del nuovo testo riformato dell’art. 111 della Costituzione<br />

(contraddittorio, imparzialità e terzietà del giudice, ragionevole durata del processo)<br />

la problematica relativa alla terzietà ed imparzialità del Giudice, dopo una serie<br />

di pronunce a cascata tra il 1995 e il 1998 ( 1 ), è stata nuovamente affrontata<br />

dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 387 del 15 ottobre 1999 proprio poche<br />

settimane prima del varo della legge costituzionale che ha inserito nell’art. 111<br />

Cost. i principi del giusto processo.<br />

In un momento in cui si ritiene che il nuovo dettato dell’art. 111 Costituzione<br />

consegni al mondo giudiziario «la parola che mondi possa aprirci» il novellato testo<br />

dell’articolo 111 potrebbe forse porre delle nuove questioni di costituzionalità nel<br />

processo civile rispetto a quelle già prospettate in punto da dottrina e giurisprudenza<br />

prima dell’introduzione della modifica ( 2 ).<br />

La vicinanza di date tra il varo della legge e la pronuncia della Corte può essere<br />

uno spunto per valutare se i principi del giusto processo incidano davvero einmaniera<br />

così determinante ( 3 ) anche nel processo civile laddove proprio nella motivazione<br />

della sentenza 387/1999 la Consulta ribadisce la netta distinzione fra proces-<br />

( 1 ) Corte Cost. n. 432/1995; Corte Cost. n. 15/1996; Corte Cost. n. 131/1996; Corte Cost. 326/1997;<br />

Corte Cost. n. 51/1998.<br />

( 2 ) Sui vari istituti di diritto processuale civile in materia di incompatibilità del giudice v. Fratini,<br />

L’imparzialità del Giudice nel procedimento di adozione, Giur. It., 1999, 1428; Scarselli, La Consulta detta<br />

nuove regole sull’incompatibilità del giudice nel processo civile, Foro it., 1999, I, 3441 e ss.; Consolo, Il<br />

Giudice civile cautelare non diviene in via generale incompatibile a statuire sul merito secondo la Consulta,<br />

Giur. It.. 1998 p. 410 e ss.; Tarzia, Il processo di fallimento e l’imparzialità del giudice, inRiv. Proc. Civ.,<br />

1997, p. 13; Caputo, La partecipazione del giudice delegato alla decisione delle cause da lui autorizzate, Dir.<br />

Fall., 1996, II, 99; Moretti, L’imparzialità del giudice fra la cautela ed il merito, inRiv. Proc. Civ., 1996,<br />

1104 e ss.; Scarselli, Terzietà del giudice e processo civile, Foro It., 1996 I, 3616 e ss.<br />

( 3 ) In tal senso vedasi Di Muro, La riforma dell’art. 111 della Costituzione e i procedimenti speciali in<br />

materia civile (sito internet).


32 GIURISPRUDENZA<br />

so civile e processo penale per la diversa posizione e i differenti poteri di impulso<br />

delle parti.<br />

E proprio la diversa posizione delle parti nel processo civile rispetto al processo<br />

penale nonché la considerazione del fatto che il processo civile non conosce la<br />

divisione in due fasi diverse, quella della preparazione e quella di celebrazione del<br />

giudizio di merito, hanno portato fino ad oggi la Corte Costituzionale a dichiarare<br />

sistematicamente non fondate le questioni di legittimità sottoposte al suo esame<br />

con l’unica apertura rappresentata dalla pronuncia più recente poco sopra richiamata.<br />

Rispetto a quella parte della dottrina che ritiene ipergarantista la «contaminazione<br />

penalista» nel processo civile – eciò per la profonda diversità dei due processi<br />

e per la diversità della posta in gioco ( 4 ) che è indubbia ed innegabile –èaltrettanto<br />

indubbio e innegabile che la questione «terzietà del giudice» nel processo<br />

civile non è meno pregnante solo perché non si discute di libertà personale ( 5 ).<br />

In netto contrasto con la dottrina salvo qualche posizione minoritaria, l’orientamento<br />

della Consulta è stato il seguente:<br />

a) non è ravvisabile l’incompatibilità del giudice il quale abbia emesso un<br />

provvedimento decisorio ante causam a decidere nel merito ove il rapporto tra la<br />

decisione sommaria e quella di merito e/o a cognizione piena non abbia carattere<br />

di autonomia e contenuto impugnatorio (ad esempio il medesimo giudice che abbia<br />

concesso o negato un sequestro ante causam può decidere del giudizio di merito)<br />

( 6 );<br />

b) non è incompatibile il giudice che abbia emanato misure provvisorie in<br />

corso di causa (ad esempio il Giudice che ha emesso ordinanza ex art 665 c.p.c.<br />

può decidere il giudizio di opposizione);<br />

c) è incompatibile il giudice che abbia emanato provvedimenti decisori ante<br />

causam (ad esempio il giudice che pronuncia decreto di repressione della condotta<br />

antisindacale ex art. 28 Stat. Lav. non può decidere dell’opposizione a tale decreto).<br />

Restano, quindi, solo a titolo di esempio, ancora scoperti dalla pronuncia interpretativa<br />

della Consulta tutti i provvedimenti in cui il Giudice, come sovente<br />

accade nella procedura fallimentare, autorizza una controversia e poi è chiamato a<br />

decidere sulla stessa. Restano escluse, altresì, sempre a titolo meramente esemplifi-<br />

( 4 ) Siracusano, Osservazioni sulla pretesa incompatibilità del giudice della «cautela» rispetto al «merito»,<br />

Giust. Civ., 1997, 1999; Chiarloni, Intrasferibili al civile le declaratorie di illegittimità in tema di misure<br />

cautelari, inCorr. Giur., 1996, 849; contra Scarselli, Terzietà del giudice e Corte Costituzionale, Foro<br />

It., 1998, I, 1007 nota 8.<br />

( 5 ) Scarselli, Terzietà del giudice e processo civile, Foro It., 1996 I, 3624 nota 20.<br />

( 6 ) Corte Cost. n. 326 del 7 novembre 1997; v. anche Ord. Trib. Catania 14 novembre 1996.


L’ART. 111 COSTITUZIONE NEL PROCESSO CIVILE 33<br />

cativo, le ordinanze emesse dal giudice in corso di causa ex art. 177, 186 bis, ter,<br />

quater c.p.c. avverso le quali per le cause di competenza del giudice unico è ammessa<br />

la sola revoca avanti il medesimo giudice che ha emesso il provvedimento.<br />

Con la modifica dell’art. 111 della Costituzione, intervenuta a seguito dell’entrata<br />

in vigore della Legge Costituzionale 23/11/1999, n. 2 e con l’avvento del c.d.<br />

«giusto processo», ci si deve chiedere quali potranno ora essere gli effetti che questa<br />

riforma potrà produrre sulla disciplina fallimentare.<br />

Se è vero, infatti, che il «giusto processo» sta incidendo in modo rilevante, come<br />

continuerà ad essere in futuro, soprattutto sul processo penale, tuttavia, non<br />

può essere escluso che taluni rilevanti effetti possano prodursi anche nell’ambito<br />

civilistico ed in seno al processo fallimentare.<br />

D’altro canto, le implicazioni del «giusto processo» investono, in linea generale,<br />

i principi dell’imparzialità-terzietà del giudice, della durata ragionevole dei processi,<br />

del rispetto del contraddittorio tra le parti: profili questi che debbono necessariamente<br />

riguardare anche il processo civile e quello di un concorso.<br />

Di questi, il profilo che continua a creare incertezze applicative è quello relativo<br />

all’imparzialità-terzietà del giudice, ossia alla necessità, oltreché all’esigenza,<br />

che il soggetto che deve giudicare si trovi in una posizione che si colloca al disopra<br />

delle parti contendenti e, contemporaneamente, sia «distaccato», per così dire,<br />

dall’oggetto del contendere.<br />

Ed è proprio questo principio che deve costituire il punto di partenza, al fine<br />

di verificare se nell’attuale impianto del processo civile-fallimentare non vi siano<br />

alcune disposizioni che siano suscettibili di «revisione» alla luce delle modifiche<br />

costituzionali introdotte.<br />

Del resto, che il principio dell’imparzialità-terzietà del giudice sia fondamentale<br />

ed imprescindibile nell’ambito di qualsiasi giudizio (soprattutto, nell’ottica di<br />

un «giusto processo») è stato sostenuto dalla stessa Corte Costituzionale, laddove<br />

essa ha affermato che «detto principio ha pieno valore costituzionale con riferimento<br />

a qualunque tipo di processo» ( 7 ).<br />

Ed invero, il Giudice delle leggi, nella decisione in esame, volendo evitare situazioni<br />

di sostanziale incompatibilità, ha esteso l’ambito di applicazione dell’art.<br />

51, comma 1, n. 4, c.p.c., secondo cui il giudice ha l’obbligo di astenersi quando si<br />

sia occupato del processo, come magistrato, in altro grado dello stesso, precisando<br />

che l’espressione «altro grado» non può avere un ambito ristretto al solo diverso<br />

grado del processo, secondo l’ordine degli uffici giudiziari [...], ma deve comprendere<br />

– con un’interpretazione conforme alla Costituzione – anche la fase che, in<br />

( 7 ) Corte Cost. 15 ottobre 1999, n. 387, in Foro It., 1999, I, 3441 ss., che sostanzialmente anticipa l’entrata<br />

in vigore della legge 23/11/1999, n. 2.


34 GIURISPRUDENZA<br />

un processo civile, si succede con carattere di autonomia, avente contenuto impugnatorio,<br />

caratterizzata da pronuncia che attiene al medesimo oggetto ed alle stesse<br />

valutazioni decisorie sul merito dell’azione proposta nella prima fase, ancorché<br />

avanti allo stesso organo giudiziario ( 8 ).<br />

Orbene, di ipotesi d’ incompatibilità sono pervase, oltre che alcune disposizioni<br />

del codice di rito, anche diverse norme di carattere processuale, contenute nel<br />

R.D. 16/3/1942 n. 267, «c.d. legge fallimentare».<br />

Si è, in proposito, già osservato che se con la sentenza testè ricordata possono<br />

dirsi risolti i problemi dell’incompatibilità del giudice dovuti alla c.d. «forza della<br />

prevenzione» ( 9 ), restano tuttavia ancora aperti i problemi relativi alla «terzietà del<br />

giudice» dovuti al principio della domanda ( 10 ).<br />

Da questo punto di vista, sarebbe conforme ai principi costituzionali evitare<br />

che il giudice possa provvedere d’ufficio su diritti controversi o che, comunque,<br />

possa assumere iniziative relativamente alle quali abbia, poi, il potere di provvedere.<br />

Sulla base di siffatte premesse, potrebbe essere posto al vaglio di un’eventuale<br />

incostituzionalità l’art. 6 della legge fallimentare, nella parte in cui questa norma<br />

legittima il giudice a provvedere d’ufficio alla dichiarazione di fallimento.<br />

Identica censura potrebbe essere sollevata anche con riferimento all’art. 162 l.<br />

fall, nella parte in cui esso prevede che, dichiarata l’inammissibilità della domanda<br />

di concordato preventivo, il tribunale può dichiarare d’ufficio il fallimento del debitore.<br />

E lo stesso si potrebbe sostenere con riferimento all’art. 146 l. fall., nella parte<br />

in cui si ritenesse il giudice delegato legittimato a concedere misure cautelari senza<br />

istanza di parte (quindi, ex officio) a danno di amministratori e sindaci di società di<br />

capitali.<br />

Nello specifico, per ciò che riguarda quest’ultima disposizione, occorre per la<br />

verità ricordare che la Corte Costituzionale è già intervenuta ritenendo infondata<br />

la questione di legittimità costituzionale dell’art. 146 l. fall., nella parte in cui attribuisce<br />

al giudice delegato al fallimento il potere ex officio di disporre, ante causam,<br />

misure cautelari strumentali rispetto all’azione di responsabilità contro ammini-<br />

( 8 )Viè chi, in dottrina (cfr. Scarselli, La Consulta detta le nuove regole sull’incompatibilità del giudice<br />

nel processo civile,inForo It., 1999, I, 3442), ha posto in luce che questa sentenza, dopo una serie di pronunzie<br />

in senso contrario, non può che essere accolta con soddisfazione da quanti avevano sottolineato<br />

l’esigenza di ampliare le ipotesi di incompatibilità del giudice nel processo.<br />

( 9 ) Concetto, questo, espresso dalla Consulta già nella sentenza 15 settembre 1995, n. 432 (in Foro It.,<br />

1996, I, 411 ss.), e da intendersi come la naturale tendenza del giudice a mantenere un atteggiamento già<br />

assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento e, pertanto, suscettibile di minare la successiva<br />

imparzialità del giudice.<br />

( 10 ) Così Scarselli, op. e loc. cit.


L’ART. 111 COSTITUZIONE NEL PROCESSO CIVILE 35<br />

stratori e sindaci, rilevando sostanzialmente che il procedimento fallimentare (così<br />

come concepito dal legislatore del 1942) ha caratteristiche peculiari rispetto agli<br />

altri procedimenti, essendo contraddistinto da aspetti pubblicistici e dalla tendenziale<br />

esigenza di maggiore speditezza del processo, di cui il giudice delegato, che il<br />

Legislatore ha fornito di un potere direttivo e dispositivo, è garante ( 11 ).<br />

Ciò nondimeno val bene osservare che la sentenza della Consulta all’esame è<br />

stata resa in un’epoca in cui l’esigenza del «giusto processo» e delle problematiche<br />

ad esso connesse non erano ancora fortemente sentite.<br />

Il secondo rilievo (che costituisce l’elemento più importante) è che la questione<br />

di legittimità costituzionale dell’art. 146 l. fall. era stata allora sottoposta al vaglio<br />

della Corte Costituzionale, con riferimento agli artt. 3, 24 e 101, II comma,<br />

Cost. (e non, quindi, con riferimento all’art. 111 Cost.).<br />

Inoltre non si può non condividere la preoccupazione di chi ( 12 ) in dottrina, ha<br />

evidenziato che ci si deve qui soffermare, soprattutto, sul rapporto sussistente tra<br />

l’art. 146 l. fall. ed il principio della domanda e di terzietà del giudice.<br />

E «il rispetto del principio della domanda e della terzietà del giudice significa<br />

non solo che il giudice non può provvedere senza l’iniziativa di un terzo, che ne<br />

faccia richiesta, ma pure che deve provvedere nei limiti di tale richiesta» ( 13 ).<br />

Diversamente si correrebbe il rischio, come già èstato sottolineato, di ridurre<br />

il nucleo fondamentale dei principi del processo costituzionalizzati, espungendo<br />

dagli stessi il principio della domanda, il cui rispetto si ritenga magari salvaguardato<br />

attraverso l’instaurazione di un contraddittorio successivo ( 14 ).<br />

Per quanto riguarda, poi, più in particolare, il principio di terzietà del giudice,<br />

va del pari sottolineato che il diverso approccio di maggior sensibilità alla terzietà<br />

del giudice, dimostrato dalla Corte Costituzionale in materia di misure cautelari<br />

penali ( 15 ), rischia in sostanza di «sdoppiare» la figura del giudice, che in sede penale<br />

dev’essere incontaminato da qualsivoglia pregiudizio derivante dall’aver adottato<br />

un provvedimento cautelare nei confronti dell’imputato, prima del giudizio di<br />

merito e che in sede civile può, invece, assumere iniziative d’ufficio, oltre ad adot-<br />

( 11 ) Cfr. Corte Cost. 8 maggio 1996, n. 148, in Foro It., I, 1908, ove richiami.<br />

( 12 ) Cfr. Fabiani, L’art. 146 l. fall.: problemi di costituzionalità e di compatibilità con il procedimento<br />

cautelare uniforme ex art. 669 bis e ss. c.p.c., inForo It., 1996, I, 2648 ss. Preoccupazioni che pare non tocchino<br />

il Tribunale di Venezia il quale, con provvedimento reso in data 5/7/2000, inedito, ha ritenuto non<br />

manifestamente fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 146 L.F.<br />

( 13 ) In questo senso Verde, Domanda, voce «Enciclopedia giuridica Treccani», Roma 1989, 2.<br />

( 14 ) Così Fabiani, op. cit., 2656 ss.<br />

( 15 ) Cfr. Corte Cost. 15 settembre 1995, n. 432, in Foro It., 1996, I, 411 ss., con la quale è stata dichiarata<br />

l’incostituzionalità dell’art. 34, comma 2, c.p.p., nella parte in cui non prevede il divieto di partecipazione<br />

al giudizio dibattimentale a carico del giudice per le indagini preliminari che abbia applicato una misura<br />

cautelare personale nei confronti dell’imputato.


36 GIURISPRUDENZA<br />

tare i provvedimenti ritenuti necessari, purché vi sia un contraddittorio successivo<br />

( 16 ).<br />

La preoccupazione di uno sdoppiamento della figura del giudice pare del resto<br />

legittimata dal principio più volte espresso, in altre occasioni, dalla Corte Costituzionale,<br />

là ove la stessa ha affermato che l’imparzialità-terzietà della giurisdizione<br />

ha pieno valore costituzionale con riferimento a qualsiasi tipo di processo, in relazione<br />

al quale può e deve trovare attuazione, distinguendo, però, tra i diversi procedimenti<br />

in funzione delle peculiarità di ciascuno e, soprattutto, ribadendo la netta distinzione<br />

tra processo civile e processo penale, per la diversa posizione ed i differenti<br />

poteri d’impulso delle parti ( 17 ).<br />

Tant’è che, sempre secondo la Consulta, le insopprimibili esigenze d’imparzialità<br />

nel processo civile sono risolvibili attraverso gli istituti dell’astensione e della<br />

ricusazione, previsti dal codice di procedura civile ( 18 ).<br />

Alla luce di quanto sin qui espresso, questi assunti suscitano, invero, non poche<br />

perplessità, per ciò che riguarda la molteplicità di poteri che vengono riconosciuti<br />

dalla legge fallimentare al giudice delegato.<br />

È noto, infatti, che a quest’ultimo vengono attribuiti sia poteri di carattere amministrativo,<br />

sia poteri di controllo e di giudizio sull’attività esercitata dal curatore<br />

( 19 ).<br />

Nell’ambito dei poteri propriamente giurisdizionali sono poi attribuiti al giudice<br />

delegato vari poteri d’ufficio.<br />

Al riguardo, è opportuno richiamare quanto autorevolmente affermato da chi<br />

ha inteso porre in luce che la procedura fallimentare pare violare alcune regole<br />

fondamentali poste a tutela del principio di terzietà del giudice ( 20 ): in sostanza,<br />

non si può non censurare il fatto che il giudice delegato abbia, concentrate su di<br />

sé, sia funzioni di carattere amministrativo che funzioni giurisdizionali, tanto da<br />

porsi, per un verso, «quale giudice che dirige le operazioni della procedura» e, per<br />

altro verso, quale giudice che giudica della procedura ( 21 ).<br />

Orbene, «né il principio della concentrazione della procedura fallimentare, né<br />

quello dell’interesse della massa, né quello della rapidità e continuità delle fasi<br />

processuali, sembrano poter superare un criterio di sicura ovvietà e per il quale è<br />

inammissibile che, a giudicare della fondatezza di un atto di amministrazione, sia<br />

la stessa persona fisica che ha posto in essere l’atto contestato.<br />

( 16 ) Cfr., con questa posizione, Fabiani, op. cit., 2650.<br />

( 17 ) Cfr. Corte Cost. 15 ottobre 1999, n. 387, in Foro It., 1999, I, 3446.<br />

( 18 ) Cfr. Corte Cost. 15 ottobre 1999, n. 387, cit.<br />

( 19 ) Si veda, in particolare, quanto disposto dagli artt. 6 e 146 l. fall.<br />

( 20 ) Scarselli, Terzietà del giudice e procedure fallimentari,inForo It., 1997, I, 2002 ss.<br />

( 21 ) Scarselli, Terzietà del giudice e procedure fallimentari, cit.


L’ART. 111 COSTITUZIONE NEL PROCESSO CIVILE 37<br />

La prima fondamentale costituzionalizzazione del processo fallimentare non<br />

può pertanto che passare, secondo l’esaminata impostazione, del tutto condivisibile,<br />

attraverso una separazione, in capo al giudice delegato, delle funzioni amministrative<br />

da quelle giurisdizionali» ( 22 ).<br />

Un ulteriore non meno rilevante aspetto che deve essere affrontato è quello relativo<br />

alla necessità che la procedura fallimentare rispetti il principio della domanda,<br />

che costituisce un elemento imprescindibile, a garanzia della terzietà del giudice.<br />

Se, quindi, il processo fallimentare deve rispettare detto principio, è necessario<br />

che non solo si provveda all’abolizione della dichiarazione d’ufficio del fallimento,<br />

a prescindere cioè da una domanda di parte, ma anche l’abolizione del potere<br />

d’ufficio del giudice delegato di disporre le misure cautelari, ex art. 146, comma 3,<br />

l. fall.<br />

Proprio con riferimento a quest’ultima disposizione, non può non essere criticato,<br />

sulla base di quanto già osservato in dottrina, l’iter logico-giuridico utilizzato<br />

dalla Consulta nella citata sentenza 8/5/1996, n. 148, in quanto lo stesso pare «del<br />

tutto incongruo, poiché alla domanda se sia costituzionale o meno l’esistenza di un<br />

potere d’ufficio, la Corte ha risposto che esso sarebbe costituzionale, perché comunque<br />

è garantito il rispetto del principio del contraddittorio.<br />

Il fatto è che il principio della domanda ed il principio del contraddittorio rappresentano<br />

due principi assolutamente differenti, che non possono essere confusi e<br />

sovrapposti, cosicché una norma deve ritenersi costituzionalmente legittima solo<br />

se rispetta entrambi i detti principi ( 23 ).<br />

Giunti a questo punto, non si può che ritornare al quesito iniziale che era stato<br />

posto circa i possibili effetti della riforma del «giusto processo» sul processo civile-fallimentare.<br />

Le problematiche proposte (ante-riforma) dalla dottrina in ordine alla legittimità<br />

costituzionale di talune disposizioni della legge fallimentare, che attribuiscono<br />

particolari poteri d’ufficio al giudice delegato, oltre alle riflessioni e considerazioni<br />

dalla stessa svolte, fanno pensare che gli effetti sul processo civile-fallimentare<br />

potrebbero essere di notevole importanza.<br />

Non vi è dubbio che le suddette problematiche assumono, con l’avvento del<br />

«giusto processo», una rilevanza maggiore rispetto al passato, soprattutto in considerazione<br />

della valenza costituzionale che questo profilo oggi assume.<br />

Vero è che la Consulta ha già affrontato, come si è evidenziato, la questione re-<br />

( 22 )L’impostazione accolta nel testo è di Scarselli, Terzietà del giudice e procedure concorsuali, loc.<br />

cit., 2005.<br />

( 23 ) Così G. Scarselli, op. e loc. cit.


38 GIURISPRUDENZA<br />

lativa all’ammissibilità o meno, sotto il profilo costituzionale, dei poteri officiosi<br />

attribuiti al giudice fallimentare, in deroga al principio della domanda, stabilendo<br />

che non vi è nulla d’incostituzionale, in quanto verrebbe comunque garantito il<br />

principio del contraddittorio.<br />

Tale approccio, però –lo s’è visto – lascia non poco perplessi, ove si prendano<br />

in esame taluni contenuti della decisione.<br />

In particolare la Consulta ha evidenziato che:<br />

– la disciplina fallimentare è caratterizzata da aspetti pubblicistici e dalla<br />

tendenziale esigenza di maggiore speditezza del processo;<br />

– i poteri affidati al giudice delegato non comportano alcuna violazione del<br />

precetto costituzionale dell’imparzialità del giudice quando ciò risponda all’esigenza<br />

di garantire il rapido svolgimento ed il migliore rendimento dell’attività giurisdizionale,<br />

senza pregiudicare le decisioni del tribunale e quando il giudice sia in<br />

grado di operare in assoluta obiettività;<br />

– nell’esercizio del potere riconosciutogli dall’art. 146, comma 3, l. fall., il<br />

giudice delegato, pur tenendo conto degli elementi risultanti dall’istanza del curatore<br />

(che non costituisce domanda giudiziale in senso proprio) e sulla base delle<br />

sommarie informazioni assunte, non agisce come attore, quanto invece nella sua<br />

veste giurisdizionale e, quindi, super partes;<br />

– pertanto, i soggetti passivi delle misure cautelari vengono a trovarsi in<br />

contraddittorio non con il mero convincimento di un giudice - attore, ma con gli<br />

interessi e le ragioni sostenute dalla controparte e con strumenti processuali pur<br />

sempre sufficienti a garantire il diritto di difesa, sia sotto il profilo della terzietà del<br />

giudice che per l’essenziale dialettica processuale.<br />

Ciò posto, il quesito che sorge spontaneo è se in conseguenza della modifica<br />

dell’art. 111 Cost. e dell’entrata in vigore del «giusto processo», la medesima questione<br />

avrebbe oggi uguale risposta da parte della Corte Costituzionale.<br />

Non vi è dubbio che il nostro processo civile si fonda sul sistema dispositivo,<br />

ispirato al principio dell’impulso di parte e, cioè, alpiù volte citato principio della<br />

domanda e, se questa è la configurazione del nostro sistema processuale civile, è di<br />

tutta evidenza che, riconoscendo al giudice delegato ampi poteri ex officio, nell’ambito<br />

del processo fallimentare, si rischia di «annullare» il principio della domanda,<br />

ispiratore di detto sistema, nell’ambito del quale non vi è dubbio che debba<br />

ricomprendersi anche il processo fallimentare.<br />

Non è infatti concepibile che, seppur con le sue peculiarità procedurali, il processo<br />

fallimentare venga sottratto alla disciplina e ai principi fondamentali propri<br />

del processo civile, così come delineato dal codice di rito.<br />

Una deroga di questo tipo, peraltro, non sembra affatto essere stata concepita<br />

dal legislatore: se, come sembra di desumere dalla motivazione della sentenza 8


maggio 1996 n. 148, le peculiarità del processo fallimentare vanno ricondotte principalmente<br />

all’esigenza di tutela di un interesse pubblicistico, non si può tuttavia<br />

ammettere che, ai fini di tale tutela, si possano intaccare principi cardine del nostro<br />

ordinamento, quali, appunto, il principio della domanda e del contraddittorio,<br />

che costituiscono il fondamento del diritto di difesa.<br />

Pur ritenendo opportuno che si provveda quanto prima ad una modifica sostanziale<br />

ed organica della legge fallimentare attraverso l’ordinario strumento legislativo<br />

(esigenza questa sentita da molti), è in ogni caso auspicabile che il sistema<br />

tuttora vigente nel processo fallimentare sia sottoposto ad un’accurata revisione,<br />

soprattutto ad opera della Corte Costituzionale, la quale, però, dovrà rivedere, almeno<br />

così ci sembra, alcuni suoi precedenti orientamenti.<br />

Essa, invero, dovrebbe esaminare le questioni qui sollevate, tenendo conto del<br />

prezioso contributo fornito dalla dottrina che si è occupata di questa tematica e<br />

che, sino ad oggi, sembra tuttavia essere stata troppo trascurata.<br />

Sarebbe, viceversa, auspicabile che sulla scorta della modifica dell’art. 111<br />

Cost. la Consulta venisse chiamata a «rimeditare» la decisione nella parte in cui<br />

esclude l’incompatibilità del giudice a decidere in materia di provvedimenti anticipatori<br />

di condanna o sulle ordinanze emesse in corso di causa e anche della loro<br />

revoca (ipotesi sub b).<br />

In tali casi infatti è assai difficile che il giudice, seguìto un determinato iter logico,<br />

di fronte ad una istanza di revoca, arrivi ad una soluzione opposta rispetto a<br />

quella che lo ha determinato ad emettere il provvedimento revocando.<br />

Eseè ben vero che tali provvedimenti, per lo stesso dettato normativo - codicistico,<br />

non sono destinati a pregiudicare la decisione, è anche vero che una volta<br />

che sia stata emessa ad esempio una ordinanza ex art. 186 ter o 186 quater o una<br />

ordinanza che ammetta o rigetti mezzi istruttori, la controversia ha già preso una<br />

sua piega difficilmente sovvertibile per tutto il primo grado del giudizio.<br />

Conoscendo i tempi medi di una causa civile la questione è tutt’altro che trascurabile.<br />

In conclusione se la pronuncia interpretativa dell’art. 51 n. 4 c.p.c. volta ad intendere<br />

«primo grado di giudizio» in «prima fase del giudizio» costituisce una<br />

«apertura», benché limitata alle fasi avanti il medesimo organo giudiziario che<br />

presentino tra loro carattere di autonomia, riguardino il medesimo oggetto e comportino<br />

le stesse valutazioni decisorie nel merito, sarebbe auspicabile che la Consulta<br />

rivedesse il suo pensiero in punto «forza della prevenzione» ( 24 ), estendendone<br />

la portata ad ogni ipotesi in cui il giudice sia chiamato a rimettere in discussio-<br />

( 24 ) Corte Cost. n. 432/1995.<br />

L’ART. 111 COSTITUZIONE NEL PROCESSO CIVILE 39


40 GIURISPRUDENZA<br />

ne un proprio giudizio già espresso in altre fasi decisionali del giudizio medesimo.<br />

Di fronte all’inserimento nell’art. 111 dei principi del giusto processo forse oggi<br />

la Consulta potrebbe rivedere il proprio orientamento in materia di astensione<br />

obbligatoria del giudice nel processo civile.<br />

Il giusto processo, infatti, non dovrebbe conoscere gerarchia di diritti.<br />

Alessandra Toffolutti<br />

Gualtiero Pizzigati


IL NUOVO PROCESSO AMMINISTRATIVO: UNA PRIMA LETTURA<br />

Nel corso degli ultimi anni il tradizionale riparto di giurisdizione tra l’Autorità<br />

Giudiziaria Ordinaria ed il Giudice Amministrativo, fondata sulla distinzione tra<br />

diritti soggettivi ed interessi legittimi, è andato sempre più perdendo il proprio valore<br />

a favore di altri e diversi criteri in virtù dei quali molte controversie sono state<br />

attratte nell’alveo del sindacato del Giudice degli interessi.<br />

Si è andata via via affermando la ripartizione in base alla specialità ed alla natura<br />

della materia, piuttosto che alla posizione soggettiva del privato.<br />

L’ampliamento del sindacato dell’A.G.A. trova la propria fonte legittimante<br />

nei principi costituzionali. Infatti, l’art. 103 della Costituzione espressamente stabilisce<br />

che «il Consiglio di Stato e gli altri Organi di giustizia amministrativa hanno<br />

giurisdizione per la tutela nei confronti della P.A. degli interessi legittimi, in particolari<br />

materie indicate dalla legge anche dei diritti soggettivi».<br />

Proprio in base al richiamato precetto costituzionale il Consiglio di Stato ha recentemente<br />

osservato che «la Costituzione ha riservato alla esclusiva giurisdizione del Giudice<br />

Amministrativo le controversie in cui si chiede la tutela di interessi legittimi, nelle<br />

quali va definita la legittimità degli atti costituenti espressione di un potere pubblico e<br />

vanno verificate quali siano le conseguenze del suo illegittimo esercizio ...; ha ammesso<br />

l’interpositio legislatoris circa la determinazione dei casi in cui il Giudice Amministrativo<br />

conosce anche dei diritti» colché «ha ammesso che la figura dell’interesse legittimo<br />

(in contrapposizione al diritto soggettivo) non sia il criterio generale su cui si basi il riparto<br />

delle giurisdizioni, bensì operi quale garanzia costituzionale dell’ambito minimo della<br />

piena giurisdizione amministrativa e quale insopprimibile posizione che consenta al<br />

destinatario di un atto illegittimo ... di ottenerne l’annullamento» ( 1 ).<br />

Secondo il Consiglio di Stato, dunque, ferma restando sempre e comunque la<br />

generalità della cognizione di legittimità, compete alla libera scelta del legislatore<br />

attribuire al Giudice Amministrativo più o meno vasti ambiti di giurisdizione<br />

( 1 ) Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., Ordinanza 30/3/2000 n. 1, in Guida al Diritto 15/2000, pag. 92.


42 GIURISPRUDENZA<br />

esclusiva, senza particolari vincoli derivanti da un qualche principio del sistema<br />

costituzionale della giustizia ( 2 ).<br />

Tale interpretazione non è stata condivisa dalla Corte di Cassazione, per la<br />

quale la norma costituzionale andrebbe sempre e comunque interpretata in senso<br />

restrittivo in quanto manifesterebbe il principio per cui la giurisdizione di legittimità<br />

rispetto a quella esclusiva sta in un rapporto di regola ad eccezione, di talché<br />

delle norme introduttive della seconda dovrebbe fornirsi un’interpretazione rigorosa<br />

e mai in senso ampliativo (pena l’incostituzionalità delle stesse).<br />

Al di là della diversa ricostruzione dogmatica del principio costituzionale richiamato,<br />

è noto che il processo evolutivo del tradizionale principio della ripartizione<br />

di giurisdizione è culminato nella norma dell’art. 11, comma 4 della L. 59/<br />

1997 con la quale il Parlamento ha delegato al Governo il compito di estendere il<br />

sindacato dell’Autorità Giudiziaria Amministrativa alle controversie aventi ad oggetto<br />

diritti patrimoniali consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento<br />

del danno, in materia di edilizia urbanistica e di servizi pubblici, prevedendo,<br />

altresì un regime transitorio per i procedimenti pendenti.<br />

Ebbene, la cennata disposizione di legge «ha segnato un cambiamento di rilievo<br />

storico dell’ordinamento» ( 3 ) poiché ha notevolmente ampliato le ipotesi di giurisdizione<br />

esclusiva del Giudice Amministrativo rendendo residuale il tradizionale<br />

criterio di riparto in quanto sono stati rimessi alla sola cognizione del Giudice<br />

Amministrativo i diritti e gli interessi nelle vaste materie considerate.<br />

La attuazione della delega<br />

Come è noto la menzionata delega ha avuto attuazione con le norme degli artt.<br />

33, 34 e 35 del D.Lvo 80/1998 a mezzo delle quali il Legislatore delegato ha definito<br />

l’ambito della giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo (artt. 33 e<br />

34) ed ha altresì stabilito la risarcibilità del danno ingiusto eventualmente patito<br />

dal privato in dipendenza dell’attività della P.A. (art. 35, 1 o comma) statuendo, altresì,<br />

che nelle materie deferite alla propria giurisdizione esclusiva i Tribunali Amministrativi<br />

Regionali (e perciò il complesso TT.AA.RR.-Consiglio di Stato) estendono<br />

la propria cognizione alle «questioni relative a diritti».<br />

Tale sostanziale modifica del criterio distintivo tra l’azione del Giudice Ordinario<br />

e quella del Giudice Amministrativo (per cui al primo era riservata l’indagine<br />

relative ai diritti, mentre al secondo la valutazione degli interessi eventualmente<br />

( 2 ) Cfr. Per una attenta disamina della questione: A. Zuccolo, nota a Sentenza Corte di Cassazione,<br />

Sez. Un. 30/3/2000 n. 72, in I Contratti dello Stato e degli Enti Pubblici 3/2000, pagg. 476 e ss.<br />

( 3 ) Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., Parere 12/3/1998 n. 30, cit., in Guida al Diritto 15/2000, pag. 96.


IL NUOVO PROCESSO AMMINISTRATIVO 43<br />

lesi dall’azione della P.A.) ha sollevato non secondarie questioni interpretative all’indomani<br />

dell’entrata in vigore del menzionato D.Lvo 80/1998.<br />

È fin troppo noto come alcune correnti di pensiero, anche giurisprudenziali,<br />

tendevano ad estendere la portata delle norme attraendo quante più questioni<br />

possibili nella sfera di giudizio dell’Autorità Giudiziaria Amministrativa.<br />

L’interpretazione estensiva (addirittura è stato affermato che «vanno ricondotte<br />

alla giurisdizione esclusiva le controversie attinenti alla risoluzione unilaterale dei contratti<br />

di appalto disposta dalla Amministrazione ai sensi dell’art. 345 della L. 2248/1865<br />

all. F giacché la relativa procedura rientra, sia pure in negativo, tra quelle di affidamento<br />

di appalti pubblici di cui all’art. 33, comma 2 lett. e del D.Lvo 80/9982» ( 4 ), e che «ogni<br />

controversia riguardante la materia degli appalti pubblici doveva intendersi rimessa alla<br />

giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, a prescindere da qualsiasi collegamento<br />

strumentale con la gestione di servizi pubblici» ( 5 )), peraltro non condivisibile, è<br />

stata censurata dal Consiglio di Stato che è prontamente intervenuto stabilendo che<br />

«l’art. 33 del D.Lvo 80/1998 trova applicazione solo nelle controversie in materia di<br />

pubblici servizi e, per ciò che riguarda la predetta lett. e nelle procedure di affidamento di<br />

appalti espletate da un soggetto che interviene nell’erogazione di un servizio pubblico.<br />

L’opposta interpretazione, che estende la giurisdizione esclusiva anche al di fuori di questa<br />

tipologia, oltre che in contrasto col tenore letterale della norma aprirebbe il dubbio<br />

non manifestamente infondato della sua incostituzionalità per eccesso di delega considerati<br />

i limiti stabiliti dall’art. 11 lett. g) della L. 59/1997» ( 6 ).<br />

Anche la Suprema Corte si è pronunciata al riguardo affermando che «non<br />

rientrano nella nuova giurisdizione del G.A. ... in materia di pubblici servizi le controversie<br />

attinenti al momento esecutivo di contratti di appalto e di fornitura stipulati<br />

dal gestore del servizio pubblico per l’acquisizione di beni e/o prestazioni strumentali<br />

all’espletamento del servizio stesso» ( 7 ).<br />

In sostanza, le problematiche sottese alla corretta individuazione dell’ambito<br />

della giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo nelle materie indicate dagli<br />

artt. 33 e 34 del D.Lgs. 80/1998 sono state risolte nel senso di limitare l’estensione<br />

del sindacato di detto Giudice nel rispetto del tenore letterale delle norme.<br />

Le norme del D.Lgs. 80/1998 ed il vaglio della Corte Costituzionale<br />

Ma non appena la questione è sembrata superata se ne è aperta una ancora più<br />

( 4 ) Cfr. T.A.R. Calabria - Reggio Calabria, 27/1/2000 n. 71, in Guida al Diritto 7/2000, pag. 729.<br />

( 5 ) Cfr. T.A.R. Puglia - Bari, Sez. I, 4/4/2000 n. 1401, in Guida al Diritto 6/2000, pag. 679.<br />

( 6 ) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 1/4/2000 n. 2078, in Guida al Diritto 5/2000, pag. 528.<br />

( 7 ) Cfr. Cass., Sez. Un., 30/3/2000 n. 72, in Guida al Diritto 7/2000, pag. 729.


44 GIURISPRUDENZA<br />

significativa e rilevante. Infatti, la disposizione dell’art. 33 è stata sottoposta al vaglio<br />

costituzionale che si è concluso, come è noto, con la Sentenza n. 292 del 17/7/<br />

2000, con la quale il Giudice delle Leggi ha censurato la disposizione normativa per<br />

eccesso di delega. Secondo l’Alta Corte, infatti, il Governo non ha rispettato i limiti,<br />

e dunque l’oggetto della delega, atteso che avrebbe dovuto solo provvedere ad<br />

estendere la giurisdizione amministrativa esistente, tanto di legittimità che esclusiva,<br />

ai diritti patrimoniali consequenziali, compreso il risarcimento del danno, nelle<br />

materie dell’edilizia, dell’urbanistica e dei servizi pubblici, che costituivano il perimetro<br />

all’interno del quale collocare il sindacato del Giudice Amministrativo.<br />

Da qui la conclusione che con l’art. 33 il Governo, devolvendo alla giurisdizione<br />

esclusiva del G.A. tutte le controversie in materia di servizi pubblici, «ivi compresi<br />

quelli afferenti al credito, alla vigilanza sulle assicurazioni, al mercato mobiliare,<br />

al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni ed ai servizi di cui alla<br />

L. 481/1995» ha irrimediabilmente ecceduto la delega ricevuta.<br />

Così non appena una fondamentale questione esegetica è sembrata risolversi<br />

(cioè quella afferente all’ambito entro il quale collocare la giurisdizione del Giudice<br />

Amministrativo) se n’è aperta un’altra, di più ampio rilievo e portata, che si è<br />

conclusa con il richiamato giudizio di incostituzionalità della norma.<br />

Il rimedio legislativo: la L. 21/7/2000 n. 205 di riforma del processo amministrativo<br />

Le problematiche sottese alla abrogazione ex tunc della menzionata disposizione<br />

dell’art. 33 del D.Lgs. 80/1998 sono state prontamente risolte dal legislatore<br />

che, di fronte alla (pienamente condivisibile) censura della Corte Costituzionale,<br />

ha accelerato l’iter parlamentare di approvazione del progetto di riforma del processo<br />

amministrativo, che è stato licenziato dalla Commissione Affari Costituzionali<br />

del Senato il 19/7/2000 (due giorni dopo la menzionata pronuncia dell’Alta<br />

Corte) il cui testo (legge 21/7/2000 n. 205) è stato poi pubblicato sulla G.U.R.I. n.<br />

173 del 26/7/2000 ed è entrato in vigore lo scorso 10/8/2000.<br />

Ebbene, la menzionata L. 205/2000 (cfr. art. 7) ha riprodotto la norma dell’art.<br />

33 nella sua forma originaria.<br />

Il legislatore ha, dunque, posto rimedio alla dichiarazione di incostituzionalità<br />

per eccesso di delega riproponendo integralmente la disposizione abrogata.<br />

Dalla lettura comparata del vecchio e del nuovo testo degli artt. 33, 34 e 35<br />

emerge, però, che il legislatore ha apportato talune modifiche alle norme originarie,<br />

che costituiscono un elemento di novità cui è opportuno dedicare attenzione.<br />

In particolare, con riguardo a quanto a suo tempo disciplinato nell’art. 33, deve<br />

segnalarsi che la nuova versione del 1 o comma (nella parte dedicata alle contro-


IL NUOVO PROCESSO AMMINISTRATIVO 45<br />

versie «... afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare»)<br />

dispone che in materia di credito e mercati mobiliari confluiscono nella<br />

giurisdizione esclusiva del G.A. (in quanto ricomprese fra i servizi pubblici) solo le<br />

questioni relative alla vigilanza sui medesimi settori.<br />

Inoltre, è stata apportata una significativa modifica della norma laddove sono<br />

state escluse, dalla elencazione delle questioni sottoposte al sindacato del Giudice<br />

Amministrativo, le controversie (in materia di pubblici servizi) fra la P.A. ed i soci<br />

di società miste. Ciò seguendo quella linea dottrinale che aveva valutato con disfavore<br />

l’attrazione, nella sfera della giurisdizione dell’A.G.A., di controversie che<br />

avrebbero comportato questioni di carattere civilistico e societario tradizionalmente<br />

estranee alle competenze del Giudice degli interessi.<br />

Ulteriore modifica apportata con il testo della L. 205/2000 attiene alla sottrazione<br />

delle controversie risarcitorie conseguenti «al danno alla persona o a cose» alla<br />

giurisdizione amministrativa.<br />

Con lo stesso provvedimento di legge (cfr. art. 4) la giurisdizione del Giudice<br />

Amministrativo è stata confermata per una serie di materie di fondamentale rilievo<br />

socio-economico (in particolare, per le controversie relative alle procedure di gara<br />

per l’affidamento di progettazione e di lavori, procedure di occupazione e di<br />

esproprio, procedure di affidamento di servizi pubblici e forniture, provvedimenti<br />

delle Autorità indipendenti, fasi di scelta del socio da parte della P.A. per società<br />

costituite ex art. 22 L. 142/1990, provvedimenti di nomina e provvedimenti di<br />

scioglimento degli Enti Locali) in ordine alle quali i termini processuali, eccetto<br />

che quello per proporre il ricorso, sono stati dimidiati.<br />

Inoltre, la stessa L. 205/2000 (cfr. art. 6), recependo un consolidato orientamento<br />

giurisprudenziale ( 8 ) affermatosi nell’ultimo periodo, ha esteso, superando<br />

ogni possibile incertezza sul punto, la giurisdizione esclusiva dei TT.AA.RR.-Consiglio<br />

di Stato alle controversie nelle quali sia parte un soggetto comunque obbligato<br />

all’adozione di procedure concorrenziali pubbliche (per la scelta del proprio<br />

contraente o di un proprio socio) e ciò indipendentemente dalla circostanza che<br />

esso sia, o meno, sussumibile nella categoria delle Pubbliche Amministrazioni, ovvero<br />

degli Organismi di diritto pubblico.<br />

Orbene, la menzionata legge di riforma (in ordine alla quale deve essere avanzato<br />

qualche dubbio per la tecnica utilizzata, atteso che meglio avrebbe fatto il<br />

Parlamento a varare un Testo Unico coordinato delle leggi sul contenzioso amministrativo),<br />

da un lato ha superato a piè pari le questioni aperte dalla pronuncia n.<br />

292/2000 della Corte Costituzionale e dall’altro è pesantemente intervenuta sulla<br />

( 8 ) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 4/4/2000, in Urbanistica e Appalti n. 5/2000, pag. 533.


46 GIURISPRUDENZA<br />

struttura stessa del processo amministrativo introducendo numerose novità sia<br />

nella fase probatoria che in quella cautelare.<br />

Le limitate finalità del presente scritto non consentono di affrontare in dettaglio<br />

la nuova struttura del processo, anche se corre l’obbligo di ricordare che sul<br />

piano probatorio è ammesso il ricorso alla C.T.U., mentre su quello cautelare è<br />

consentita l’adozione di provvedimenti, inaudita altera parte, finalizzati ad evitare<br />

che l’atto impugnato produca effetti nelle more della discussione dell’istanza per<br />

la sospensione del provvedimento.<br />

Il risarcimento del danno - La giurisdizione del Giudice Amministrativo e la Sentenza<br />

n. 500/2000 della Suprema Corte<br />

L’estensione del sindacato del Giudice Amministrativo al risarcimento dei danni<br />

acquista un ulteriore rilievo ove tale competenza sia valutata alla stregua del principio<br />

introdotto dalla Suprema Corte di Cassazione, secondo cui sussiste il diritto<br />

del privato ad ottenere il ristoro dei danni patiti in dipendenza di atti illegittimi, ancorché<br />

questi non siano stati previamente caducati dal Giudice Amministrativo ( 9 ).<br />

Dalla relazione tra il precetto normativo di cui agli artt. 6, 7e8della L. 205/<br />

2000 (che individua le materie sottoposte alla giurisdizione esclusiva del Giudice<br />

Amministrativo, nonché la giurisdizione della medesima Autorità a decidere in ordine<br />

ai diritti soggettivi di natura patrimoniale) e la menzionata conclusione cui è<br />

pervenuta la Suprema Corte, appare evidente come il Giudice Amministrativo ben<br />

potrà essere chiamato a decidere in merito a controversie relative a richieste di risarcimento<br />

dei danni determinate da atti illegittimi adottati dalla P.A. ormai inoppugnabili<br />

(ovvero da comportamenti tenuti dall’Amministrazione), senza peraltro<br />

doversi pronunciare in ordine alla legittimità dei provvedimenti (ovvero dei comportamenti)<br />

ai fini della loro rimozione (e dunque valutandone la conformità alle<br />

norme ed ai principi solo ed ai limitati fini risarcitori).<br />

Non v’è dubbio che la pronuncia n. 500/1999 della Suprema Corte ha, in primis,<br />

rimosso il dogma che aveva caratterizzato il nostro ordinamento per cui, di<br />

fronte ai provvedimenti amministrativi (o comportamenti della P.A.) illegittimi,<br />

direttamente incidenti sulla propria sfera giuridica, il privato era inibito a far valere<br />

alcuna istanza (potendo solo richiederne l’annullamento), attesa l’irrisarcibilità<br />

delle lesioni degli interessi legittimi ed, in secundis, ha costituito il tentativo di una<br />

sorta di recupero di giurisdizione dell’A.G.O. rispetto al Giudice Amministrativo,<br />

( 9 ) Cfr. Cass., Sez. Un., 22/7/1999 n. 500, in Urbanistica e Appalti n. 10/1999, pag. 1067 con nota di<br />

M. Protto.


IL NUOVO PROCESSO AMMINISTRATIVO 47<br />

che aveva ampliato la propria «attività» in virtù delle disposizioni del D.Lgs. 80/<br />

1998 (ciò proprio perché la pronuncia in commento ha fissato il principio che il<br />

Giudice Ordinario può procedere a valutare le richieste di risarcimento per lesione<br />

di interessi legittimi anche indipendentemente dalla caducazione dell’atto).<br />

Non è il caso di estendere la trattazione alle problematiche che la Sentenza n.<br />

500/1999 ha posto, attesa la limitata finalità del presente scritto. Vale solo ricordare<br />

che la nuova giurisprudenza della Suprema Corte fonda la risarcibilità della lesione<br />

degli interessi legittimi sulla norma dell’art. 2043 c.c., considerata quale unica<br />

disposizione sostanziale idonea a dare ingresso all’istituto del risarcimento del<br />

danno. Conseguentemente, per potersi azionare (e dunque anche di fronte al Giudice<br />

Amministrativo nelle materie oggi rimesse alla sua giurisdizione esclusiva in<br />

virtù della L. 205/2000) l’azione risarcitoria, dovrebbe essere evocata e comprovata<br />

la sussistenza di un dolo o di una colpa proprio perché, ai sensi della menzionata<br />

norma civilistica, l’obbligo del risarcimento si ricollega, sempre e comunque, ad<br />

una condotta antigiuridica che, solo se posta in essere con colpa e con dolo, rende<br />

il danno eventualmente provocato ingiusto, e quindi risarcibile.<br />

In base alla prefata ricostruzione dogmatica, la Suprema Corte ha individuato<br />

la colpa produttiva del danno ingiusto determinato da provvedimenti amministrativi,<br />

non tanto nel comportamento del funzionario-agente, quanto «della P.A. intesa<br />

come apparato». Tale conclusione, avversata da parte di taluni autori ( 10 ), e viceversa<br />

perfettamente corrispondente alla posizione di altra autorevole dottrina ( 11 ),<br />

pone il dubbio se le disposizioni della L. 205/2000 (e prima ancora del D.Lgs. 80/<br />

1998) in materia di giurisdizione esclusiva possano condurre a conseguenze diverse<br />

da quelle indicate dalla Suprema Corte.<br />

In altri termini, il problema che il Giudice Amministrativo dovrà affrontare allorquando<br />

sarà chiamato, in virtù dell’accorpamento giurisdizionale intervenuto con le<br />

norme in commento, a valutare fattispecie concrete, caratterizzate da lesione di interessi<br />

legittimi in dipendenza di provvedimenti amministrativi antigiuridici, è quello<br />

della individuazione dei limiti della risarcibilità delle posizioni soggettive dei privati.<br />

Il Giudice dovrà, cioè, chiarire se il comportamento o il provvedimento illegittimo<br />

sarà lesivo della sfera giuridica dei privati, se, ed in quanto, collocabile nel-<br />

( 10 ) Cfr. M. Steccanella: D.Lgs. 80/1998 e Sentenza 22/7/1999 n. 500, della Corte di Cassazione,<br />

SS.UU. Civ., in I contratti dello Stato e degli Enti Pubblici n. 4/1999, pag. 505, secondo cui «configurare<br />

una responsabilità della P.A., intesa come apparato, ma negare che la responsabilità, con obbligo del risarcimento,<br />

sia in re ipsa, e cioè nell’illegittimità dell’azione Amministrativa, rappresenta un compromesso sicuramente<br />

inaccettabile conseguente alla premessa di voler, a tutti i costi, ricondurre l’obbligo del risarcimento entro<br />

i limiti di cui all’art. 2043 c.c., per di più persistendo nel volerlo leggere secondo l’assioma che l’ingiustizia<br />

del danno sussiste in ragione di un comportamento, cioè del fatto doloso o colposo».<br />

( 11 ) Cfr. L.V. Moscarini, Risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi e nuovo riparto di giurisdizione,inDiritto<br />

Processuale Amministrativo n. 4/1998.


48 GIURISPRUDENZA<br />

l’ambito dell’art. 2043 c.c., ovvero sarà lesivo della posizione dei terzi indipendentemente<br />

dalla sussistenza del dolo o della colpa; se, cioè, le norme della L. 205/<br />

2000 hanno natura sostanziale, e non solo di spostamento della giurisdizione, nel<br />

senso che identificano nell’illegittimità dell’atto il presupposto dell’obbligo al risarcimento,<br />

con ciò superando lo schema dell’art. 2043 c.c., ovvero se il precetto<br />

civilistico costituisce sempre e comunque il riferimento dell’indagine per l’accertamento<br />

delle responsabilità.<br />

È chiaro che nella prima ipotesi il Giudice dovrà, di volta in volta, accertare,<br />

oltre alla illegittimità dei provvedimenti e al danno sofferto dai terzi in dipendenza<br />

di essi, la sussistenza degli elementi richiesti dalla norma dell’art. 2043 c.c., mentre<br />

nel secondo caso potrà limitarsi a vagliare la corrispondenza o meno ai principi e<br />

alle leggi dell’atto amministrativo ritenuto lesivo di posizioni giuridiche di terzi e<br />

la sussistenza effettiva del danno.<br />

Ad avviso di chi scrive, non sembra ipotizzabile un accertamento della responsabilità<br />

per la lesione di posizioni soggettive che prescinda dalla analisi dei comportamenti<br />

alla stregua dell’art. 2043 c.c.<br />

In diversa ipotesi verrebbe sovvertito il principio cardine del nostro ordinamento,<br />

che impone di non arrecare danni a terzi e la risarcibilità di tali danni qualora<br />

sussista un nesso eziologico tra comportamento ed evento lesivo ascrivibile al<br />

dolo o alla colpa dell’agente.<br />

In altri termini, non sembra che le disposizioni della L. 205/2000 in materia di<br />

giurisdizione esclusiva possano assumere natura sostanziale in guisa da scindere la<br />

risarcibilità del danno dal dolo o dalla colpa, con la conseguenza che la lesione si<br />

consumerebbe con la sola adozione del comportamento o del provvedimento illegittimo<br />

senza che rivesta alcun valore l’elemento soggettivo.<br />

Tralasciando ogni valutazione in merito alla reale e concreta possibilità di provvedimenti<br />

(o comportamenti) illegittimi cui sia estraneo almeno l’elemento della<br />

colpevolezza (qualificabile alla stregua della negligenza) della P.A. genericamente<br />

considerata, non sembra che possa pervenirsi alla soluzione per cui, anche indipendentemente<br />

dall’elemento soggettivo, l’interesse legittimo leso andrebbe risarcito.<br />

Così opinando si perverrebbe ad una conclusione aberrante (oltreché contraria<br />

alle argomentazioni della Suprema Corte) per cui mentre nei rapporti tra privati<br />

la reintegrazione per la lesione dei diritti soggettivi troverebbe il proprio presupposto<br />

giuridico nel comportamento doloso o colposo e, perciò, nel danno ingiusto<br />

provocato, nella relazione tra Pubblica Amministrazione e privato tale presupposto<br />

non assumerebbe alcun rilievo in quanto la risarcibilità dell’interesse legittimo<br />

sarebbe fondata sull’illegittimità del provvedimento astrattamente considerata.<br />

Accanto alla responsabilità extracontrattuale disciplinata dall’art. 2043 c.c. (ed<br />

evidentemente a quella contrattuale) andrebbe collocata una ulteriore categoria di re-


IL NUOVO PROCESSO AMMINISTRATIVO 49<br />

sponsabilità: quella propria della P.A. che troverebbe ragione in una sorta di principio<br />

generale (o di clausola generale valida nei rapporti tra Amministrazione e privati)<br />

per cui gli Enti sarebbero tenuti a porre in essere atti legittimi, con conseguente dovere<br />

di ristorare le lesioni provocate dai provvedimenti adottati in violazione dei principi<br />

generali dell’ordinamento e delle leggi, senza alcuna necessità che sussista un colpevole<br />

comportamento, accertato dal Giudice, sotteso all’adozione dell’atto.<br />

Un’ultima considerazione deve essere spesa in ordine al rapporto tra giurisdizione<br />

esclusiva ed i principi introdotti dalla menzionata Sentenza n. 500/1999. Infatti,<br />

la Suprema Corte, nell’affermare che il Giudice Ordinario può risarcire i<br />

danni patiti in dipendenza di lesioni di interessi legittimi conseguenti a provvedimenti<br />

amministrativi senza il pregiudiziale giudizio di annullamento, dovrebbe far<br />

concludere che per le materie nelle quali è esclusivo il sindacato del Giudice Amministrativo,<br />

le domande possono essere rivolte anche solo all’ottenimento della<br />

reintegrazione per equivalente, indipendentemente dalla rimozione dell’atto.<br />

A tale conclusione conseguirebbe che, a fronte della limitata impugnabilità degli<br />

atti (60 giorni dalla conoscenza del provvedimento), la domanda risarcitoria<br />

potrebbe essere azionata per un periodo ben più ampio e pari a quello che delimita<br />

lo spirare del termine prescrizionale.<br />

Conseguentemente, proprio in dipendenza della conclusione cui è pervenuta la Suprema<br />

Corte, secondo cui non è necessario il pregiudiziale giudizio di annullamento (e<br />

perciò la caducazione dell’atto) ben potrebbe il privato, anche nelle materie sottoposte<br />

alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, omettere di impugnare il provvedimento<br />

nei termini di legge per attivare la domanda risarcitoria volta ad ottenere il<br />

ristoro della lesione sofferta, osservando l’unico limite della prescrizione.<br />

Pervero, secondo una prima interpretazione della L. 205/2000, la nuova disciplina<br />

avrebbe irrimediabilmente superato i principi introdotti dalla Sentenza della<br />

Suprema Corte. Parte della dottrina, infatti, ha affermato che non può essere condivisa<br />

la tesi secondo la quale non sarebbe necessaria la pregiudiziale caducazione<br />

del provvedimento amministrativo per poter avanzare pretese risarcitorie conseguenti<br />

all’illegittimità dell’atto.<br />

In altri termini, è stato affermato che, con la L. 205/2000, sarebbe ormai delineato<br />

il generale principio per cui il privato che intenda ottenere il ristoro dei danni<br />

patiti in dipendenza dell’adozione di un atto amministrativo deve inderogabilmente<br />

attivare il giudizio volto all’annullamento, potendo formulare l’istanza risarcitoria<br />

solo ove ne abbia ottenuto la pregiudiziale caducazione.<br />

La richiamata tesi troverebbe il proprio presupposto nel 5 o comma dell’art. 7,<br />

con il quale è stato abrogato l’art. 13 della L. 142/1992 e «ogni altra disposizione<br />

che preveda la devoluzione al Giudice Ordinario delle controversie sul risarcimento<br />

del danno conseguente all’annullamento di atti amministrativi». In sostanza, il ri-


50 GIURISPRUDENZA<br />

chiamo all’annullamento dei provvedimenti, ancorché a fini abrogativi, avrebbe<br />

introdotto il principio per cui il risarcimento dei danni sarebbe subordinato all’annullamento<br />

degli atti lesivi.<br />

Di fronte a tale interpretazione potrebbe immediatamente affermarsi che proprio<br />

l’abrogazione di tutte le norme che pretendevano la pregiudiziale attivazione<br />

del procedimento volto alla caducazione dell’atto lesivo dovrebbe far propendere<br />

per la diversa tesi per cui, eliminate tutte le norme che ponevano a base della reintegrazione<br />

per equivalente la proposizione del gravame volto alla cancellazione degli<br />

atti dal mondo giuridico, i soggetti lesi dall’azione amministrativa, portatori indifferentemente<br />

di un interesse legittimo o di un diritto soggettivo, sono facultizzate ad<br />

avanzare la richiesta di risarcimento danni senza dover preliminarmente ottenere la<br />

caducazione degli atti, ovvero proporre il ricorso nei termini decadenziali.<br />

Ma, ad avviso di chi scrive, ciò che più rileva e fa propendere per l’opposta<br />

conclusione, è che l’argomentazione volta a sostenere la necessità del pregiudiziale<br />

annullamento dell’atto, da un lato non distingue tra la situazione nella quale il soggetto<br />

leso è portatore di un interesse legittimo, ovvero di un diritto soggettivo, né<br />

tiene conto che la Suprema Corte, con la Sentenza n. 500/1999, ha stabilito il principio<br />

generale della risarcibilità degli interessi legittimi lesi, che verrebbe meno<br />

proprio affermando la necessaria pregiudiziale caducazione dell’atto.<br />

Ed infatti, ove si affermi che una volta spirati i termini per la proposizione del<br />

ricorso, non potendo più ottenere l’annullamento dell’atto, sia inibita la possibilità<br />

di avanzare la pretesa risarcitoria verrebbe a sovvertirsi la ricostruzione della Corte<br />

di Cassazione senza, peraltro, che nessuna norma della L. 205/2000 abbia<br />

espressamente subordinato il risarcimento alla caducazione dell’atto.<br />

La disposizione dell’art. 7, comma 5, non può aver introdotto una sorta di decadenza<br />

dell’azione risarcitoria connessa al dovere di impugnare l’atto amministrativo<br />

lesivo nel termine entro cui possono essere proposti i ricorsi volti a far valere<br />

l’illegittimità dei provvedimenti.<br />

Sembra piuttosto doversi concludere per la diversa tesi secondo cui la norma<br />

richiamata ha abrogato tutte le disposizioni che subordinavano il risarcimento all’annullamento<br />

degli atti proprio perché nel regime attuale la parte può ottenere il<br />

ristoro patrimoniale indipendentemente dalla caducazione dell’atto.<br />

Il privato potrà, dunque, o richiedere l’annullamento del provvedimento al fine<br />

di ottenere la reintegrazione in forma specifica, ovvero, qualora tale forma di<br />

reintegrazione non sia più perseguibile, ovvero non intenda perseguirla, ben potrà<br />

limitarsi ad avanzare l’istanza di risarcimento dei danni per equivalente con l’unico<br />

limite della prescrizione quinquennale.<br />

Alfredo Biagini


GIUDICE AMMINISTRATIVO E RISARCIMENTO DEL DANNO<br />

Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto – Sez. I – 9 febbraio 1999, n.<br />

119 – Pres. Trotta – Est. Depiero.<br />

1. Giustizia amministrativa - Giurisdizione esclusiva - D. lgs. 80/98, artt. 33, 34 e<br />

35 - Contratti della P.A. - Gara - Offerte - Esclusione per non conformità alle prescrizioni<br />

del capitolato - Legittimità<br />

2. Giustizia amministrativa - Giurisdizione esclusiva - D. lgs. 80/98, artt. 33, 34 e<br />

35 - Contratti della P.A. - Gara - Offerte - Esclusione per modifica della proposta<br />

contrattuale - Legittimità<br />

3. Giustizia amministrativa - Giurisdizione esclusiva - D. lgs. 80/98, artt. 33, 34 e<br />

35 - Risarcimento del danno - Reintegrazione in forma specifica - Ammissibilità -<br />

Attribuzione al ricorrente dell’appalto per l’intera durata prevista dal bando.<br />

1. Va annullato il provvedimento del Direttore della Azienda sanitaria locale n. 3<br />

Veneto di definitiva aggiudicazione alla controinteressata della licitazione privata per<br />

la fornitura di farmaci diversi per un periodo di ventiquattro mesi prorogabile, in<br />

quanto è invalida l’offerta dell’impresa concorrente a gara per l’aggiudicazione di<br />

contratti con la Pubblica Amministrazione redatta in modo difforme dalle prescrizioni<br />

del capitolato.<br />

Infatti, ex capitolato, l’offerta doveva indicare solo la percentuale di sconto applicata<br />

al prezzo di vendita al pubblico scorporato dell’i.v.a., mentre l’impresa aggiudicataria<br />

ha offerto anche un ulteriore sconto in merce.<br />

2. Va annullato il provvedimento del Direttore della Azienda sanitaria locale n. 3<br />

Veneto di definitiva aggiudicazione alla controinteressata della licitazione privata per<br />

la fornitura di farmaci diversi per un periodo di ventiquattro mesi prorogabile, in<br />

quanto è invalida l’offerta dell’impresa concorrente a gara per l’aggiudicazione di<br />

contratti con la Pubblica Amministrazione che, per come è stata presentata, costituisce<br />

modifica della proposta contrattuale ossia costituisce una controproposta, in palese<br />

violazione delle regole generali in tema di gare ad evidenza pubblica e della par<br />

condicio dei partecipanti.<br />

3. Ai sensi degli artt. 33, 34 e 35 del d. lgs. 80/98 il giudice amministrativo, nelle<br />

controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la<br />

reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto.<br />

Pertanto, al ricorrente vincitore deve essere attribuita dal giudice l’utilità che lo


52 GIURISPRUDENZA<br />

stesso avrebbe tratto se l’Amministrazione si fosse correttamente determinata, e ciò<br />

può avvenire in due modi: in forma specifica o per equivalente.<br />

Nel caso di specie, il ristoro della posizione della ricorrente può avvenire sicuramente<br />

in forma specifica.<br />

Invero, in corretta esecuzione della sentenza e onde riportare a riequilibrio la posizione<br />

dell’istante, la A.s.l. n. 3 Veneto provvederà ad attribuire l’appalto di cui trattasi<br />

alla ricorrente per l’intera durata prevista dal bando, con l’onere di sopportare gli<br />

eventuali maggiori costi del prodotto fornito che siano oggettivamente riscontrabili a<br />

causa del tempo intercorso tra la mancata aggiudicazione e l’effettivo inizio della fornitura.<br />

La sentenza in commento si connota per la peculiare ed innovativa interpretazione fornita dal d.<br />

lgs. 80/98 ( 1 ) in materia di risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi pretensivi, venendo<br />

a disporre il ristoro di tale posizione giuridica in forma specifica ossia a mezzo dell’attribuzione in<br />

favore della ricorrente di un appalto (in relazione al quale la medesima ricorrente ha, altresì, proposto<br />

impugnazione per l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione).<br />

Tralasciando l’analisi della motivazione inerente l’annullamento dell’aggiudicazione, trattandosi<br />

di indirizzi consolidati in materia di gare pubbliche, è d’uopo sottolineare la valenza della pronuncia<br />

in materia di risarcimento del danno.<br />

Innanzitutto, deve rammentarsi come, in materia di risarcimento del danno per lesione di interessi<br />

legittimi, dottrina ( 2 ) e giurisprudenza ( 3 ), unanimi, abbiano specificato che deve distinguersi<br />

tra tutela degli interessi pretensivi e tutela degli interessi oppositivi.<br />

( 1 ) Con sentenza 17 luglio 2000, n. 292, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi<br />

i comma 1, 2e3dell’art. 33 del d. lgs. 80/98 nella parte in cui hanno devoluto alla giurisdizione<br />

esclusiva del G.A. tutta la materia dei pubblici servizi, dell’edilizia e dell’urbanistica, eccedendo la delega<br />

conferita ex art. 11 legge 59/97, che avrebbe consentito soltanto di estendere la giurisdizione del G.A. nelle<br />

suddette materie – per quanto alla giurisdizione di tale giudice già appartenenti – alle controversie concernenti<br />

i diritti patrimoniali consequenziali. A tale sentenza ha, però, fatto seguito la legge 19 luglio 2000,<br />

n. 205 recante «Disposizioni in materia di giustizia amministrativa», il cui art. 7 riscrive integralmente gli<br />

art. 33, 34 e 35 del d. lgs. 80/98, superando così la suddetta censura di incostituzionalità.<br />

( 2 ) In giurisprudenza, in relazione all’art. 35 del d. lgs. 80/98, cfr. altresì: T.A.R. Liguria, sez. II, 30/<br />

09/1999, ord. n. 345; T.A.R. Lombardia, sez. I, Milano, 10/07/1999, n. 2585; T.A.R. Calabria, sez. Reggio<br />

Calabria, 27/05/1999, n. 705; T.A.R. Sardegna, 27/05/1999, n. 695; T.A.R. Calabria, sez. Reggio Calabria,<br />

12/05/1999, n. 617; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, 27/04/1999, n. 537; T.A.R. Campania, sez. IV, Napoli,<br />

19/04/1999, n. 537; T.A.R. Puglia, sez. I, Lecce, 16/04/1999, n. 418; T.A.R. Abruzzo, sez. Pescara, 15/04/<br />

1999, ord. n. 157; T.A.R. Veneto, 19/03/1999, ord. n. 356; Cons. Stato, sez. IV, 12/03/1999, n. 567; T.A.R.<br />

Calabria, sez. Reggio Calabria, 10/03/1999, n. 307; T.A.R. Campania, sez. I, Napoli, 18/02/1999, ord. n.<br />

445; T.A.R. Sardegna, 17/02/1999, n. 169; T.A.R. Campania, sez. I, Napoli, 12/02/1999, decr. n. 372;<br />

T.A.R. Puglia, sez. I, Lecce, 04/01/1999, n. 5; Cons. Stato, sez. IV, 11/12/1998, n. 1627; Cons. Stato, sez.<br />

IV, 08/10/1998, ord. n. 1647. Cfr. altresì, in materia di risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi,<br />

Cass. civ., S.U., 500/1999.<br />

( 3 ) In dottrina, in materia di risarcimento del danno e d. lgs. 80/98 cfr., tra gli altri, Apicella E.A.,<br />

Giurisdizione esclusiva su concessioni di beni pubblici e risarcimento del danno tra orientamenti giurisprudenziali<br />

ed innovazioni del d. lgs. 31 <strong>marzo</strong> 1998, n. 80, inForo amm., 1998, 2644 ss.; Barbieri E.M., Interessi<br />

legittimi e risarcimento del danno: l’art. 35, comma 1, del d. lgs. 31 <strong>marzo</strong> 1998, n. 80, inRiv. trim. appalti,<br />

1999, 2, 175 ss.; Caianiello V., Il giudice amministrativo ed i nuovi criteri di riparto delle giurisdizioni,<br />

inForo amm., 1998, 2, 1954 ss.; Cassarino S., Novità legislative in tema di giurisdizione esclusiva del<br />

giudice amministrativo,inI TAR, 1998, 4, II, 173 ss.; Moscarini L.V., Risarcibilità del danno da lesione di


GIUDICE AMMINISTRATIVO E RISARCIMENTO DEL DANNO 53<br />

In particolare, dottrina e giurisprudenza sono venute specificando che, in relazione al risarcimento<br />

del danno patito, solo qualora risulti violata una posizione soggettiva di interesse legittimo di<br />

natura oppositiva, è necessario e sufficiente acquisire certezza in merito alla appartenenza del bene<br />

della vita di cui il soggetto lamenta la perdita, potendosi in tal caso risarcire la medesima perdita anche<br />

in forma specifica.<br />

Non così, invece, deve ritenersi qualora risulti violata una posizione soggettiva di interesse legittimo<br />

di natura pretensiva, essendo in tal caso necessario e sufficiente acquisire certezza in merito alla<br />

appartenenza della semplice possibilità o probabilità di conseguire il bene della vita, potendo lamentare<br />

il soggetto esclusivamente la perdita di tale mera possibilità, perdita che, pertanto, potrà venir risarcita<br />

solo per equivalente.<br />

Ulteriormente specificando, qualora il soggetto vanti una posizione di interesse legittimo di natura<br />

pretensiva, il medesimo sarà titolare esclusivamente di una pretesa a che la p. a. esplichi il potere<br />

amministrativo necessario per soddisfarla, potere che, quindi, al momento della lesione, la p.a. non<br />

ha ancora esercitato. Per tale ragione, il giudice amministrativo, secondo l’unanime dottrina e giurisprudenza,<br />

potrà risarcire solo ed esclusivamente la perdita della suddetta pretesa (cd. perdita di<br />

chance), e ciò non potrà che concretizzarsi in un risarcimento per equivalente, non potendo il giudice<br />

esercitare quel potere amministrativo che la p.a. non ha ancora esercitato.<br />

Tale considerazione, nel caso di specie, dovrebbe condurre al riconoscimento, in favore della ricorrente,<br />

del corrispondente economico pari alla perdita della possibilità o probabilità di risultare<br />

aggiudicataria dell’appalto.<br />

Il T.A.R. Veneto, invece, con la sentenza in commento dispone il ristoro della ricorrente in forma<br />

specifica, imponendo alla p.a., in esecuzione della sentenza, di provvedere alla aggiudicazione<br />

dell’appalto in favore della ricorrente ossia imponendo alla p.a. di esplicare in maniera corretta quel<br />

potere necessario non tanto, e non solo, per soddisfare una pretesa del soggetto, quanto piuttosto<br />

per conseguire uno specifico risultato, come avviene nella fattispecie di interesse oppositivo.<br />

Ancora, la sentenza in oggetto si connota per subordinare il risarcimento del danno all’ottemperanza<br />

da parte della p.a. della sentenza, non potendo, certo e quindi, prescindere dal passaggio in<br />

giudicato della medesima.<br />

Concludendo, la pronuncia in esame pare porre in essere una esecuzione in forma specifica (distinguendosi<br />

quest’ultima dalla reintegrazione in forma specifica), in relazione alla quale pare doveroso<br />

interrogarsi sul rispetto della par condicio di quei partecipanti alla gara che non hanno promosso<br />

ricorso avverso l’annullata aggiudicazione.<br />

Cristina De Benetti<br />

interessi legittimi e nuovo riparto di giurisdizione, inDir. proc. amm., 1998, 809 ss.; Romano Tassone A.,<br />

La nuova giurisdizione esclusiva, inGiustizia civ., 1998, II, 435 ss.; Stevanato L., D. lgs. 80/98 e giurisdizione<br />

esclusiva del giudice amministrativo, in particolare nella materia edilizia, inRiv. giur. edil., 1998, III,<br />

606 ss.; Varrone C., Le nuove frontiere del processo amministrativo: minirivoluzione o razionalizzazione<br />

dell’esistente in tema di risarcibilità delle posizioni soggettive nei confronti della p.a.?,inGiustizia civ., 1997,<br />

2, 3373; Villata R., Prime considerazioni sull’art. 33 d. lgs. n. 80 del 1998,inDir. proc. amm., 1999, 287 ss.


SULL’AMMISSIBILITÀ NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO<br />

DELL’ACCERTAMENTO TECNICO PREVENTIVO<br />

Tribunale Amministrativo per il Veneto – Sez. II – ord. 14 giugno 2000 n. 113 –<br />

Pres. Trivellato – Rel. Rovis<br />

1. Giustizia amministrativa - Giurisdizione esclusiva - D.Lgs. 80/98, artt. 33, 34<br />

e 35 - Ricorso per accertamento tecnico preventivo - Ammissibilità<br />

Il Tribunale Amministrativo per il Veneto, sez. II, ordina che sia espletato l’accertamento<br />

tecnico.<br />

Nomina consulente tecnico d’ufficio ... il quale dovrà rispondere al seguente quesito:<br />

«Dica il CTU, esaminati gli atti, i documenti e i luoghi di causa e quanto altro<br />

fosse ritenuto utile ed opportuno, quali sono e che valore commer ciale hanno le opere<br />

realizzate dalla società ricorrente e di cui il Comune ha ordinato la demolizione».<br />

L’ordinanza della II Sezione del TAR Veneto ripropone il problema dell’utilizzazione, nel processo<br />

amministrativo, dei mezzi di prova tipizzati in sede processuale civile.<br />

Il problema cioè dell’estensione ad un sistema processuale quale è quello amministrativo, caratterizzato<br />

dalla storica sussistenza di una posizione di sovraordinazione di una parte, della disciplina<br />

probatoria di un processo (quello civile) che, invece, presuppone un rapporto di equiordinazione tra<br />

le rispettive parti processuali.<br />

Al Collegio, nella fattispecie in esame, è stato proposto un ricorso per accertamento tecnico preventivo<br />

(ex art. 696 c.p.c.) ( 1 ) al fine di determinare, sul piano quantitativo, il valore commerciale<br />

delle opere già interessate da un’ordinanza comunale di demolizione.<br />

A seguito dell’instaurazione di un giudizio impugnatorio, per l’annullamento del provvedimento<br />

di demolizione, la società ricorrente ha proposto, avanti al medesimo giudice, un ricorso ex art. 696<br />

c.p.c., quale istanza probatoria ante causam.<br />

Un mezzo istruttorio preordinato e funzionalizzato all’eventuale successiva proposizione di un<br />

giudizio di risarcimento del danno, alla stregua degli artt. 33 e seg. D.Lgs. 80/98.<br />

L’ordinanza di demolizione aveva, infatti, ad oggetto talune opere edilizie ritenute abusive dall’Amministrazione<br />

Comunale.<br />

E la materia dell’edilizia è stata, appunto, recentemente devoluta alla giurisdizione esclusiva del<br />

Giudice Amministrativo.<br />

Invero, prima che entrasse in vigore il D. 80 il problema dell’ammissibilità del ricorso ex art.<br />

( 1 ) Il ricorso ex art. 696 c.p.c. non gode, a tutt’oggi, di espressa disciplina nel processo amministrativo.<br />

L’art. 44 del T.U. 1054/24, pur a seguito della novella introdotta dalla L. 205/2000, circoscrive i mezzi<br />

istruttori alle verificazioni, alle richieste di chiarimenti e documenti e limita l’uso della consulenza tecnica<br />

ai giudizi di merito.<br />

L’art. 16 della L. 10/77 prevede la possibilità di disporre perizie nei giudizi amministrativi in materia di<br />

concessione edilizia, nonché di relativi contributi e sanzioni.


SULL’AMMISSIBILITÀ NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO 55<br />

696, nel processo amministrativo era stato affrontato dal TAR Toscana ( 2 ), (che lo aveva risolto in<br />

senso positivo) in una controversia concernente una concessione di beni pubblici. Materia, anch’essa<br />

soggetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, alla stregua della previsione dell’art.<br />

5 della Legge istitutiva del TAR.<br />

La continuità apparentemente rintracciabile nelle linee evolutive delle due pronunce cautelari<br />

dei Giudici Amministrativi è, invero, fuorviante.<br />

L’iter argomentativo rintracciabile nell’ordinanza collegiale dei Giudici toscani muoveva dal<br />

presupposto della necessità di assicurare alle posizioni giuridiche di diritto soggettivo, nelle materie<br />

devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, una tutela pari a quella accordabile<br />

avanti il Giudice ordinario.<br />

La dottrina ( 3 ) ha, infatti, a proposito evidenziato come «Il bandolo della decisione è costituito<br />

dal trattarsi di giurisdizione esclusiva, con conseguente difetto della giurisdizione ordinaria, consegue<br />

l’improponibilità della domanda di accertamento preventivo innanzi a tale giurisdizione, che<br />

non può conoscere dell’azione di risoluzione per inadempimento del concedente».<br />

Nel caso di specie, la proposizione del ricorso ex art. 696 c.p.c. era propedeutica ad un giudizio<br />

tendente a far dichiarare la risoluzione del contratto, relativo ad una concessione di gestione di due<br />

piscine coperte, per inadempimento del Comune ed il conseguente risarcimento del danno.<br />

Ed in tal senso, nelle articolate motivazioni dell’ordinanza, il Collegio ha rilevato come «ai sensi<br />

dell’art. 5 al terzo comma della L. 1034/71, restano attribuite alla competenza dell’AGO soltanto le<br />

questioni attinenti a diritti patrimoniali».<br />

Il rapporto di strumentalità intercorrente tra il giudizio ex art. 696 c.p.c. ed il successivo giudizio<br />

di merito era, ad avviso dei giudici toscani, invero funzionale a garantire una tendenziale pienezza di<br />

tutela di qualsivoglia posizione giuridica di diritto soggettivo ( 4 ).<br />

Eciò sulla scia delle pronunce dei giudici costituzionali ( 5 ) che avevano già esteso l’utilizzabilità<br />

nelle controversie in materia di pubblico impiego, riservate alla giurisdizione amministrativa, dei medesimi<br />

mezzi istruttori esperibili avanti all’allora giudice del lavoro.<br />

La questione di legittimità costituzionale era posta, invero, quando entravano in discussione posizioni<br />

di diritto soggettivo, ciò nonostante, sul piano formale, nelle motivazioni della sentenza n.<br />

146/87, mancava ogni riferimento al diritto soggettivo o all’interesse legittimo, quali posizioni sostanziali,<br />

e si parlava invece esclusivamente di «tutela dell’azione» edi«garanzia del diritto di difesa»<br />

( 6 ).<br />

A tutt’oggi l’ordinanza del TAR Veneto, pur priva di adeguata motivazione, interviene in un<br />

mutato contesto normativo. La giurisdizione esclusiva «rationae materiae» devoluta al Giudice Amministrativo<br />

impone un sostanziale ripensamento della fase istruttoria nel processo amministrativo.<br />

Non si tratta più di superare le limitazioni probatorie della giurisdizione amministrativa in materia<br />

di diritti soggettivi, quanto piuttosto di assicurare anche attraverso i rimedi risarcitori l’integrale<br />

tutela del diritto d’azione.<br />

Eciò a prescindere da qualsivoglia differenziazione della posizione giuridica azionata.<br />

D’altronde le stesse materie devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo<br />

( 2 ) TAR Toscana, I Sez., ord. n. 783 del 20 dicembre 1996.<br />

( 3 )E.Cannada Bartoli, Accertamento preventivo nel processo amministrativo, nota all’ordinanza del<br />

TAR Toscana n. 783/96, in Foro Amministrativo, 1998, 497 ss.<br />

( 4 ) Corte Costituzionale, 190/85, 146/87.<br />

( 5 ) Si tratta, ad avviso di Cannada Bartoli,inop. cit., 497, di «Interpretazione evolutiva analogica rigorosamente<br />

argomentata dall’unità dell’ordinamento giuridico con perspicua applicazione del principio<br />

di imparzialità».<br />

( 6 ) In tal senso A. Travi, Garanzia del diritto d’azione e mezzi istruttori nel giudizio amministrativo nota<br />

a Corte Costituzionale 146/87 in Dir. proc. amm., 1987, 558.


56 GIURISPRUDENZA<br />

storicamente non consentivano una distinzione così netta tra le posizioni giuridiche sottostanti di diritto<br />

e di interesse.<br />

E tale labilità di confine, a tutt’oggi induce ad una riflessione prospettica del problema, circa il<br />

tendenziale superamento della dicotomia storica.<br />

Ove il «potere», quale elemento di raffronto della posizione giuridica di interesse legittimo, degradi<br />

progressivamente ed in chiave sostanziale ad interesse pubblico, quale proiezioni della summa<br />

degli interessi dei singoli, allora, evidentemente, la pretesa alla legittimità dell’azione amministrativa<br />

si risolve nella pretesa all’integrale e pieno esercizio delle facoltà inerenti la propria sfera giuridica. E<br />

la distinzione classica tra diritto ed interesse diverrebbe ormai sopita.<br />

Peraltro, accanto all’evoluzione legislativa è da considerare il mutato contesto giurisprudenziale<br />

nel quale si colloca l’ordinanza in commento; quest’ultima è ben lontana da quelle pronunce del giudice<br />

amministrativo ( 7 ) che escludevano perfino l’ammissibilità della CTU nel processo, in quanto<br />

apprezzamento tecnico «che in quanto tale è anche esercizio di discrezionalità».<br />

L’insindacabilità nel merito delle scelte direzionali della Pubblica Amministrazione, aveva, infatti,<br />

quale corollario la sussistenza di una precipua riserva in capo all’Amministrazione di porre in essere<br />

ogni apprezzamento discrezionale.<br />

Ed infatti alla previsione legislativa di un mezzo istruttorio quale la consulenza tecnica, faceva da<br />

contraltare la previsione all’art. 31 del regolamento che limitava la nomina dei CTU ai funzionari tecnici<br />

della Pubblica Amministrazione.<br />

Orbene, la pronuncia del TAR Veneto, rappresenta il portato di un tale molteplice mutamento<br />

contestuale ( 8 ).<br />

L’ordinanza, invero, interviene in una fase storica di tendenziale superamento del problema relativo<br />

alla tassatività dei mezzi istruttori nel processo amministrativo: quest’ultimo, infatti, a tutt’oggi<br />

risente degli effetti della sua classica configurazione quale processo d’impugnazione e della concezione<br />

della giurisdizione amministrativa, quale giurisdizione di mero annullamento, ma non può prescindere<br />

dal prendere atto dell’intervenuta evoluzione della nozione di interesse legittimo.<br />

Una posizione giuridica idonea ad apprestare adeguata tutela di «beni della vita».<br />

Già Benvenuti ( 9 ) rilevava, d’altronde, come il sistema dispositivo, tipico dell’istruzione processuale<br />

amministrativa «consiste nella necessità che il giudice si attenga nella ricerca della verità ai fatti<br />

secondari introdotti dalle parti nel processo e così nell’esclusione di ogni potere del Giudice di agire<br />

nella realtà extraprocessuale per disporne ai fini del controllo dell’affermazione».<br />

Mariagrazia Romeo<br />

( 7 ) Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 luglio 1985, n. 422.<br />

( 8 ) Riflette, invece, la titubanza del Giudice Amministrativo nell’utilizzazione dei provvedimenti cautelari<br />

tipici del processo civile, la successiva ordinanza (1520/2000) della medesima Sezione del TAR, ove il<br />

Collegio ha respinto la richiesta di sequestro conservativo formulata nell’ambito di un rapporto pubblicistico<br />

(subconcessione amministrativa) «non essendo rinvenibile nel contesto dell’ordinamento processuale<br />

amministrativo una norma che consenta espressamente l’applicabilità di tale istituto civilistico, anche mediante<br />

rinvio agli artt. 670 e segg. c.p.c. Attesa la specificità del processo amministrativo, infatti, il giudice<br />

amministrativo non può avvalersi dei mezzi istruttori e cautelari espressamente individuati per il processo<br />

civile, il cui giudizio risponde a principi, esigenze e criteri diversi (cfr. art. 35, D.L.vo n. 80/98, come sostituito<br />

dall’art. 7 della L. 205/00)».<br />

( 9 )F.Benvenuti, L’istruzione nel processo amministrativo, Padova, 1950, 184 e ss.


PUBBLICITÀ PROFESSIONALE: UN NODO IRRISOLTO<br />

Certe cose vanno dette.<br />

Anche noi avvocati siamo portatori sani di quella patologia endemica a tutte le<br />

categoriea professionisti; il virus dell’ansia da acquisizione del cliente.<br />

Chi si adonterà di essere indicato come un potenziale trasgressore della norma<br />

deontologica enunciata nell’articolo 19 del nostro codice di comportamento, prima<br />

di reagire mediti e pensi a quante occasioni ognuno di noi abbia avuto per promuovere<br />

od esaltare la propria posizione professionale, e magari ne abbia anche<br />

approfittato.<br />

È vero che i tempi cambiano e la collocazione sociale dell’avvocato si è radicalmente<br />

evoluta, in particolare negli ultimi decenni.<br />

Lo dimostrano dati statistici: il numero degli iscritti negli albi professionali è<br />

almeno quadruplicato.<br />

Lo dimostra l’esperienza: in questo periodo si è passati dalla macchina da scrivere<br />

al computer, dalle prime fotocopiatrici ai testi trasmessi via e-mail, dalla biblioteca<br />

ai compact disc.<br />

L’effetto concreto è stato un radicale cambiamento della figura dell’avvocato:<br />

non più un romantico cultore del diritto, sereno organizzatore del proprio rapporto<br />

con la ricerca, severo gestore del proprio stile e di quello dello studio, ove sedeva<br />

aspettando il cliente; ora professionista, concentrato sull’esigenza di emulare i<br />

colleghi e di vincere il confronto con gli stessi; personaggio che indossa la toga per<br />

esibire uno status e non per legittimare sul palcoscenico del processo il suo ruolo<br />

di interprete tecnico degli interessi dell’assistito.<br />

In realtà più manager di se stesso che apostolo di giustizia.<br />

Ma, se vero è che l’imparzialità del giudice è tanto necessaria nel sistema giustizia<br />

quanto l’indipendenza del difensore, allora è giunto il momento di fermarsi e<br />

meditare.<br />

Una figura di avvocato che riconosce ed accetta il condizionamento del confronto<br />

di mercato come la situazione tipica di professionista proiettato nel nuovo<br />

millennio è veramente indipendente? Può ritenersi slegato dalla necessità divenuta


60 QUESTIONI DI DEONTOLOGIA<br />

non rinunciabile di subordinare le proprie scelte a comportamenti che abbiano effetti<br />

promozionali o pubblicitari?<br />

La modifica dell’art. 17 del codice deontologico forense ha scatenato il morbo<br />

nei fisici più deboli.<br />

Non è stata sufficiente la promessa di emanazione di un rapido regolamento di<br />

esecuzione della norma da parte del C.N.F. per frenare l’effetto epidemico.<br />

Ad aggravare la situazione si è ingenerata la diffusa convinzione che piuttosto<br />

che fosse proibito tutto ciò che non era chiaramente autorizzato, fosse invece consentito<br />

tutto ciò che non era espressamente vietato.<br />

Peraltro una diversa formulazione del principio non avrebbe avuto miglior effetto.<br />

Lo dimostra una sola considerazione.<br />

Esiste nel nostro ordinamento la norma che definisce il concetto di pubblicità<br />

(art. 2, d.l. 28/1/92, n. 74): «È pubblicità qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso,<br />

in qualsiasi modo, nell’esercizio di una attività commerciale, industriale, artigianale<br />

o professionale, allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili o immobili,<br />

la costituzione o il trasferimento di diritti e obblighi su di essi, oppure la<br />

prestazione di opere o di servizi».<br />

Perché dunque affermare da più parti che il divieto di pubblicità sia stato definitivamente<br />

espunto dal nostro codice forense, se in realtàèsolo stato introdotto il diversoepiù<br />

contenitivo concetto di diritto all’informazione, o meglio «ad informare»?<br />

Dall’enunciazione di un divieto si è passati alla introduzione e regolamentazione<br />

di un diritto, è stato giustamente affermato.<br />

Può bastare?<br />

Molti dicono è già troppo, e forse è vero perché l’ansia di far coincidere la posizione<br />

del professionista nel contesto economico con quella di una piccola impresa<br />

è ormai latente.<br />

Ma è una convinzione determinatasi in chi non ricorda, o forse non ha mai accettato,<br />

che non esiste miglior pubblicità per l’avvocato della stima diffusa nei suoi<br />

confronti da chi ha avuto modo di apprezzarne i meriti in base ai risultati.<br />

Di qui il ricorso ad espedienti privi di compatibilità con quel livello minimo di<br />

dignità e decoro che il nostro codice deontologico, ma anche quello di ogni altro<br />

stato europeo, ritiene debba essere osservato nel valorizzare o promuovere se stessi.<br />

L’avvocato non può, non deve, né potrà mai avvalersi dei metodi tipici della<br />

pubblicità commerciale per conquistare clientela, perché dovrà comunque e sempre<br />

essere garantito al potenziale cliente il diritto ad essere informato sulle qualità<br />

del professionista, ma dovrà comunque e sempre essere evitato allo stesso il pericolo<br />

di essere «conquistato» od accaparrato con iniziative simili ad operazioni di<br />

marketing.


QUESTIONI DI DEONTOLOGIA 61<br />

Immaginare un futuro in cui si distribuiranno all’uscita dei cinema o delle<br />

scuole i depliants promozionali di un’avvocato contemporaneamente alle offerte<br />

tre per due del locale ipermercato, purtroppo non è poi così inverosimile.<br />

Che fare? La tentazione di calcolare il numero di anni che dividono dal pensionamento<br />

per poi lasciare vivere il problema a chi verrà èpurtroppo il più immediato<br />

dei propositi.<br />

Ma rassegnarsi ad un atteggiamento passivo sarebbe quasi proditorio, e non tipico<br />

di una generazione di avvocati che ha vissuto in prima battuta le più importanti<br />

e radicali evoluzioni dello stato repubblicano.<br />

In che direzione andare?<br />

I cambiamenti vanno vissuti e non subiti.<br />

L’attuale mancanza di direttive da parte del C.N.F. non deve permettere la rovina<br />

degli argini del buon senso e della dignità. Lo dimostra lo spirito di cui sono<br />

permeate le indicazioni che il Triveneto ha deliberato e fatto pervenire all’organismo<br />

centrale (*).<br />

Fornire tutte le opportune indicazioni sulle proprie caratteristiche professionali<br />

con i mezzi consentiti è lecito in quanto ciò significa mettere a disposizione di<br />

chi può divenire cliente tutte quelle informazioni di cui è necessario disporre per<br />

una scelta oculata e mirata.<br />

Proporsi ad un pubblico indiscriminato con metodi di tipo commerciale al fine<br />

di attingere nel mucchio, utilizzando espedienti suggestivi, confligge invece con lo<br />

spirito stesso della riforma e contribuisce a diminuire drasticamente l’apprezzamento<br />

diffuso dell’opinione pubblica nei confronti della categoria, ottenendo così<br />

un effetto sicuramente pregiudizievole per tutti.<br />

Daniele Grasso<br />

(*) «La prima considerazione da fare sul nuovo testo dell’art. 17 è che esso, nell’eliminare il divieto<br />

della pubblicità, non l’ha espressamente ammessa e si è limitato, invece, a consentire le informazioni sull’attività<br />

professionale, nel rispetto di determinati criteri...omissis...<br />

Sappiamo quale è la differenza tra pubblicità ed informazione: la prima, come si ricava anche dall’art. 2<br />

del D.Lgs. n. 74/1992, è rappresentata da messaggi volti allo scopo di promuovere la vendita di beni o servizi,<br />

mentre la seconda, cui è estraneo ogni fine promozionale, costituisce l’oggetto di un obbligo posto<br />

nell’interesse generale dei consumatori che debbono appunto essere informati, nel loro interesse, intorno<br />

alle caratteristiche dei beni e servizi offerti. ... È da pensare che l’accento posto dall’art. 17 sulle “informazioni”<br />

consentite significhi che la pubblicità, seppure non più vietata, è ammessa soltanto se costituisce al<br />

tempo stesso un’attività informativa corrispondente ad un apprezzabile interesse dei potenziali clienti: è<br />

giusto che sia così, perché altrimenti la pubblicità, avente un mero fine promozionale, senza alcun riferimento<br />

ad informazioni sull’attività professionale utili nell’interesse dei terzi, non risulterebbe conforme alla<br />

dignità e al decoro della professione». (Commissione dell’Unione Triveneta)

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