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Milicos y Madres<br />

tivano. 126 In comune avevano certamente il<br />

rifiuto della politica, una cieca aspirazione<br />

metafisica all’annullamento del conflitto. Il<br />

campo di concentramento – scrive la stessa<br />

Pilar Calveiro – combinò i diversi modi<br />

in cui il conflitto può essere rimosso: la<br />

negazione (la desaparición), l’eliminazione<br />

(l’assassinio), la separazione e compartimentazione<br />

(il carcere), per evitare che contamini.<br />

Ma se è vero che di fatto il campo<br />

di concentramento costituì una propria rete,<br />

«questa rete si intrecciò perfettamente con il<br />

tessuto sociale»: 127 al di là delle recinzioni,<br />

il progetto della definitiva repressione del<br />

dissenso e del conflitto prolungò il campo<br />

di concentramento nella latitanza della<br />

coscienza popolare e nella fuga di massa<br />

nel privato. Qualcuno ha parlato di desciudadanización,<br />

128 di civismo disertato, e c’è<br />

chi se ne dà una indignata ragione riconoscendo<br />

nel radicalismo della contestazione<br />

politica e sociale, nella «fuerza del imaginario<br />

de la revolución», il primo devastante<br />

motore della debilitazione civica, dissolta<br />

ogni ragionevolezza politica nella visione<br />

messianica degli obiettivi ultimi, richiamata<br />

di conseguenza la controrivoluzione ad una<br />

simmetrica combinazione letale di ideali<br />

assoluti e mezzi violenti, ad una «scalata<br />

illegale che infirmava le istituzioni». Sicché<br />

«bisogna vedere in quella visione una<br />

condizione fondamentale del tracollo della<br />

legge e dello Stato di diritto» 129 e relativa,<br />

inevitabile desciudadanización. Ora, questa<br />

è la non innocente versione dei fatti<br />

resa dalla restaurata democrazia argentina<br />

che, se è lecito parafrasare von Clausewitz,<br />

fu la continuazione del proceso con altri<br />

mezzi. 130 Gli Alfonsín e i Menem avevano<br />

ottime ragioni di plasmare la storia a propria<br />

immagine e somiglianza, di ribadire<br />

il diritto dello Stato al monopolio della<br />

violenza e di offrire senza vergogna un<br />

indulto paritetico ai carnefici e alle vittime.<br />

Dovrebbe invece essere vietato alla storiografia<br />

evocare commossa lo Stato di diritto,<br />

parlare di legge violata, di istituzioni infirmate,<br />

a proposito di una situazione in cui<br />

da decenni si susseguivano i colpi di Stato,<br />

si praticavano senza eccessivo scandalo la<br />

tortura e gli omicidi politici, l’esercito sparava<br />

su dimostranti e scioperanti, i partiti<br />

colludevano a turno con i militari golpisti<br />

e i sindacati erano corrotti per vocazione. 131<br />

Dove avrebbero potuto attingere il loro<br />

civismo i cittadini argentini? E per quanto<br />

riguarda il loro giudizio sulla dittatura militare<br />

e sul genocidio, chi li avrebbe confortati<br />

a una qualche resistenza morale, se i partiti<br />

tacevano, i vertici sindacali collaboravano,<br />

la stampa plaudiva e il loro parroco spiegava<br />

quanto fosse necessaria in nome di Dio la<br />

punizione? Quest’ultimo forse è il punto<br />

essenziale per comprendere il comportamento<br />

collettivo rispetto alla tragedia dei<br />

desaparecidos. Troppo spesso, alla constatazione<br />

che qualcuno è stato misteriosamente<br />

arrestato e non se ne sa più nulla, si ripete<br />

sordido e tranquillante il commento Por<br />

algo será, qualcosa avrà fatto, ed è una frase<br />

carica di senso confessionale, lontana da laiche<br />

ipotesi di innocenza, decenti in linea di<br />

principio; al contrario – come si conviene ad<br />

una religiosità strutturalmente inquisitoria e<br />

assiduamente inclusiva di braccio secolare –<br />

sospettosa della peccaminosa natura umana<br />

e mai delle istituzioni, sicuramente provvidenziali<br />

e giustamente punitive. 132<br />

In due circostanze l’esercizio collettivo<br />

di questa abietta elusione del genocidio,<br />

culturalmente radicata e quotidianamente<br />

alimentata da creencias e alienación, ebbe<br />

la sua apoteosi: il campionato mondiale di<br />

calcio e la guerra delle Malvinas, occasioni<br />

di esplicita solidarietà collettiva con i generali<br />

assassini, episodi già di per sé sufficienti<br />

a smentire ogni alibi di passività da terrore<br />

o di equidistanza dai dos demonios. E la<br />

connivenza ebbe il suo epilogo coerente a<br />

democrazia restaurata, con il consenso di<br />

fatto all’impunità del genocidio.<br />

Lo sport ha saldamente acquisito nel XX<br />

secolo la rilevante funzione di esprimere<br />

la solidarietà della comunità internazionale<br />

con gli Stati criminali, scoraggiando<br />

il dubbio sulla loro legittimità e l’attesa di<br />

intervento esterno in difesa delle vittime.<br />

Tra gli eventi di particolare significato in<br />

questo senso il campionato mondiale di<br />

calcio a Roma nel 1934, a beneficio dell’Italia<br />

fascista; le olimpiadi di Berlino<br />

del 1936, a glorificazione del nazismo che<br />

aveva appena promulgato le leggi razziste<br />

di Norimberga; le olimpiadi di Città<br />

del Messico nel 1968, quando i militari al<br />

potere inclusero nello spettacolo la strage<br />

di studenti nella Piazza delle Tre Culture;<br />

Dossier Argentina<br />

nel 1978 il campionato mondiale di calcio<br />

in Argentina. Il fatto che nel 1980 molti<br />

Stati si rifiutarono di partecipare alle olimpiadi<br />

di Mosca – inclusa l’Argentina dei<br />

generali – sottolinea il positivo apprezzamento<br />

umanitario della comunità nei casi<br />

precedenti, come in quello imminente<br />

di Pechino olimpica. 133 Questa funzione<br />

opportunamente si coniuga con il carattere<br />

di plebiscito sul regime, che il grande<br />

appuntamento sportivo assume all’interno<br />

dello Stato criminale e sinora – con l’eccezione<br />

degli studenti messicani – non si è<br />

mai dato il caso che la popolazione interessata<br />

accogliesse la storica circostanza come<br />

occasione per esprimere dissenso, quali che<br />

fossero le condizioni di sofferenza sociale e<br />

politica o i genocidi promessi o in atto. Di<br />

fatto tra i movimenti di emancipazione del<br />

XX secolo lo sport ha rivelato la migliore<br />

tenuta, la maggiore incisività, e lascia ben<br />

sperare il XXI: dispensando un’eterna puerilità,<br />

emancipa le moltitudini da incongrue<br />

pretese di dignità e responsabilità, le<br />

mette al riparo da tentazioni critiche e da<br />

cedimenti solidaristici, all’occasione riaccreditando<br />

di senso l’esausta nozione di<br />

patria. Si potrebbe anche dire che lo sport<br />

surroga laicamente, con il suo protettivo<br />

nirvana di piccole gioie e labili dolori<br />

infantili, vetuste fedi ormai in visibile<br />

debito di trascendenza. Ma nell’Argentina<br />

dei generali no: l’antico «sistema de creencias»<br />

ha piena vigenza, è protagonista del<br />

proceso, e nel raptus collettivo del Mundial,<br />

impenetrabile ai drammi che si consumano<br />

nelle camere di tortura, il «país futbolero»<br />

aggiunge la sua turpe indifferenza alla<br />

condanna devota. Por algo será. Stretti<br />

intorno agli assassini di Stato, negli stadi<br />

e davanti ai televisori, gli argentini celebrano<br />

il trionfo dell’Argentinidad. 134 Non<br />

a torto un giornale tedesco, che sapeva quel<br />

N° 20 OTTOBRE-DICEMBRE 2004 HORTUS MUSICUS 11

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