l'allocco 5
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mancanza di tale qualificazione trasforma il dibattito<br />
in mero ping-pong di opinioni, giudizi e analisi,<br />
senza infine giungere a una sintesi, sempre necessaria<br />
in qualsiasi processo dialettico e apprenditivo.<br />
I nostri scienziati e tecnici, colpevoli di chi sa cosa,<br />
sono l’emblema di quanto nella nostra società siano<br />
venuti a mancare sufficienti riferimenti e punti<br />
fissi. La scienza si è posta da sempre e si pone oggi<br />
autorevolmente a costituire uno di tali riferimenti<br />
assoluti. Il metodo scientifico, sviluppatosi con<br />
successo nel corso di più di cinquecento anni di<br />
storia, ha i suoi meccanismi di auto-valutazione e<br />
auto-regolazione, basati su regole chiare, oggettive<br />
e condivise dalla comunità internazionale degli<br />
scienziati.<br />
I più accesi dibattiti scientifici si concludono<br />
sistematicamente e pacificamente dinnanzi alla<br />
comprensione del dato oggettivo, con quasi totale<br />
consenso da parte degli attori. Un problema<br />
scientifico può certo richiedere tempo per la sua<br />
soluzione, e per giungere a questo sono benvenute<br />
strategie e approcci differenti. Ma quando l’evidenza<br />
si accumula e le varie tessere del mosaico si<br />
compongono, tutti ne riconoscono il disegno e il<br />
successo di questa o quella teoria è placidamente<br />
riconosciuto e accettato. Nessuna teoria sbagliata<br />
può sopravvivere al vaglio spietato dell’evidenza<br />
sperimentale o della richiesta di consistenza interna<br />
e di accordo con quanto già in precedenza acquisito<br />
dalla scienza. La teoria più bella s’inchina al cospetto<br />
del più misero dato sperimentale. Questi sono i<br />
capisaldi che hanno permesso all’uomo di uscire<br />
dalle caverne, di andare sulla luna e di curare le<br />
malattie più gravi.<br />
Nella generalizzazione operata da parte del grande<br />
pubblico e dei media, di cui purtroppo è spesso<br />
vittima la dialettica scientifica, tale processo è<br />
descritto e interpretato secondo i canoni stereotipati<br />
del conflitto politico o sociale, o peggio dello strepitio<br />
di taluni talk-show televisivi. La polemica prende il<br />
posto della dialettica. Gli scienziati sono immaginati<br />
azzuffarsi tra loro, giocare colpi bassi, magari mentire<br />
per perorare la propria idea e urlare per renderla più<br />
convincente. Nell’immaginario collettivo, anche a<br />
cose sistemate, persiste la polemica e si va a cercare<br />
ostinatamente la voce fuori dal coro. Quest’ultima<br />
magari esiste sul serio, ma esaltandone il ruolo, essa<br />
acquista una rilevanza non meritata. Il più delle<br />
volte si tratta semplicemente di addetti ai lavori che<br />
per loro carenze o condizionamenti non riescono ad<br />
afferrare la soluzione al problema, condivisa invece<br />
della stragrande maggioranza dei colleghi.<br />
Scienza ufficiale contro novelli Galileo? Medicine<br />
alternative contro la medicina ufficiale? Un falso<br />
problema, che in vari casi ha prodotto danni<br />
alla società e all’interpretazione del messaggio<br />
scientifico. Diceva qualcuno ironicamente: “Mi<br />
curerò con la medicina alternativa quando avrò una<br />
malattia alternativa…”<br />
Le ragioni di tutto ciò sono complesse e alcune<br />
vanno ricercate da una parte nella mancanza di<br />
una vera e diffusa cultura scientifica, e dall’altra<br />
nel profondo della psiche umana. L’uomo tende<br />
più facilmente a credere a un messaggio positivo<br />
di fantasia che a uno realistico, magari negativo, di<br />
carattere oggettivo o scientifico. La realtà delle cose<br />
è talvolta poco attraente, e risulta più gratificante<br />
rifugiarsi nel sogno, nel mito, nella speranza<br />
ingiustificata. Con l’assunzione che l’uomo ha uno<br />
spirito superiore alla sua realtà biologica, si giustifica<br />
l’approccio irrazionale verso le cose del mondo e il<br />
semplice desiderio che le cose vadano in un certo<br />
modo diventa più forte della realistica possibilità<br />
che invece si andrà nella direzione opposta.<br />
Come spiegare altrimenti il successo d’indovini,<br />
maghi, guaritori, e in generale impostori, che<br />
approfittando dell’umana debolezza si ergono a<br />
oppositori dell’arida visione scientista? Che brutta<br />
parola scientista: ho sempre difficoltà a comprendere<br />
e giustificare quel tono negativo che si nasconde<br />
dietro questo aggettivo apparentemente innocuo.<br />
A dire il vero, anche un’erronea lettura della cultura<br />
umanistica ha prodotto, e continua a generare, seri<br />
problemi alla nostra società. Questa interpretazione<br />
sbagliata fa sì che siano tanti quelli che in un contesto<br />
pubblico dicono con un certo compiacimento: “Ah,<br />
io di matematica non ne capisco nulla!”. Gli stessi,<br />
mai ammetterebbero di non conoscere la Divina<br />
Commedia. Inutile dire, che sia i veri umanisti,<br />
sia i veri scienziati naturali, fanno di tutto per<br />
comprendere appieno, senza preconcetti, gli uni la<br />
natura matematica del mondo e gli altri la bellezza<br />
di una sonata di Mozart.<br />
Benché arido uomo di scienza, io sono convinto<br />
che non esistano le due culture, ma solo la Cultura<br />
con la C maiuscola, che include tutto quanto di<br />
buono e articolato la mente umana ha prodotto fin<br />
dagli albori della sua storia. Del resto, sia la ricerca<br />
fondamentale, sia un’opera d’arte possono essere<br />
tacciate di inutilità al miope vaglio di quelli che<br />
ritengono che tutto debba essere soggetto al metro<br />
di un utile materiale, meglio se immediato.<br />
A questo proposito, mi piace osservare che<br />
molto spesso politici e società nel suo complesso<br />
attribuiscono unilateralmente allo scienziato<br />
il compito di migliorare le condizioni di vita<br />
mediante la cosiddetta ricerca applicata. Quest’idea<br />
è sbagliata, per almeno due motivi. Il primo è che<br />
esiste solo la ricerca fondamentale, quella che oggi<br />
si dice curiosity-driven e non quella applicata. Si può<br />
(e si deve) poi parlare di applicazioni della ricerca<br />
fondamentale. Solo la possibilità di ricercare in<br />
totale libertà e autonomia può produrre risultati<br />
davvero innovativi e di beneficio per la società.<br />
Cito sempre l’esempio della ricerca applicata sulle<br />
candele. Lo scienziato che sotto commissione cerchi<br />
di migliorare l’efficienza e la durata di una candela,<br />
finirà sempre per realizzare una candela, con magri<br />
risultati innovativi. Solo lo scienziato senza briglie,<br />
libero di giocare con filamenti incandescenti<br />
e bulbi di vetro potrà arrivare alla lampadina,<br />
determinando un effettivo progresso scientifico<br />
e sociale. Il secondo motivo è che, soggiacendo al<br />
ricatto dell’utile immediato per la ricerca scientifica,<br />
si taglia totalmente fuori una fetta enorme<br />
dell’attività di ricerca, che comunque contribuisce<br />
all’avanzamento della cultura e ci eleva sempre più<br />
rispetto ai nostri cugini prossimi, gli animali. A cosa<br />
serve lo studio in campo archeologico o storico,<br />
musicologico o letterario? Inutile? A me sembra<br />
ovvio che una società che si definisca avanzata<br />
debba destinare risorse a tutti gli aspetti del libero<br />
ricercare. È solo il complessivo progredire della<br />
conoscenza umana a elevarci e, conseguentemente,<br />
a fornirci maggiori strumenti di progresso, non<br />
solo culturale ma anche economico e sociale. Se<br />
poi consideriamo l’enorme patrimonio artistico e<br />
culturale dell’Italia, ci si rende rapidamente conto<br />
che letteratura, arte, archeologia e musica possono<br />
essere volani per l’economia.<br />
L’erronea percezione della scienza, dei suoi obiettivi<br />
e della sua etica, ci porta spesso a considerare<br />
l’uomo di scienza come un tecnico senza visione<br />
né strategia, al più concentrato a regalarci l’ultima<br />
diavoleria tecnologica che forse ci renderà la vita più<br />
semplice, ma sempre pagando un prezzo altissimo:<br />
inquinamento, bomba atomica, armi di distruzione,<br />
medicine che in fondo ci fanno più male che bene<br />
e via discorrendo. La stessa figura dello scienziato è<br />
spesso oggetto d’ironia e di semplificazioni. Pensate<br />
a gran parte dei film di azione o fantascienza. Lo<br />
scienziato è di solito un ingenuotto disadattato,<br />
chiuso nel suo laboratorio, capace d’incredibili<br />
scoperte delle quali sistematicamente perde il<br />
controllo. Talvolta è perfido e stupidamente cattivo<br />
o mitomane. Alla fine il film finisce bene solo grazie<br />
all’azione dei militari (sic!) o dell’eroe tutto muscoli<br />
e poco cervello, ma molto rassicurante. Permane la<br />
convinzione che lo scienziato capisca solo dei suoi<br />
marchingegni, ma che oltre che alla sua competenza<br />
tecnica non possa aver sviluppato un’umanità, una<br />
sensibilità o, ripeto, un’etica positiva e costruttiva.<br />
Vorrei sviluppare ulteriormente il discorso<br />
sull’etica. Purtroppo la mancanza di una morale<br />
politica e sociale è a mio avviso l’aspetto peggiore<br />
che caratterizza la decadenza dell’attuale società<br />
italiana. Tutto è possibile e giustificabile, secondo<br />
una semplicistica e sbrigativa idea di perdonismo<br />
e garantismo, che invece sottintende incapacità<br />
di arrivare a un giudizio e a prendere decisioni<br />
appropriate.<br />
L’etica della scienza, al contrario, basata sul<br />
significato dei fatti e delle idee, sul valore dell’uomo<br />
in quanto capace di sviluppare nuovi concetti in<br />
libertà e senza ostacoli e sulla assunzione di base<br />
che un uomo (uno scienziato) debba essere solo<br />
valutato per la profondità delle sue idee e del suo<br />
lavoro, e non già per nazionalità, colore della pelle o<br />
stato sociale, potrebbe efficacemente contrapporsi<br />
alla mancanza di etica sociale e occupare i vuoti<br />
lasciati. Sarà semplicistico e potrà sembrare<br />
utopico, ma una sana etica e metodologia scientifica<br />
applicate all’attuale sistema sociale ridurrebbero<br />
di certo conflittualità, disparità, ingiustizie, e<br />
contribuirebbero ad elevare globalmente il livello<br />
del dibattito socio-politico-culturale, passando<br />
da polemica ad analisi, da diatriba a oggettivo<br />
confronto delle idee, da perenne assenza di<br />
conclusioni a sintesi e risultati operativi.<br />
Vorrei finire con un messaggio ai giovani. La crisi ha<br />
ridotto la loro potenzialità a inserirsi nel mondo del<br />
lavoro e ad avere quindi un ruolo attivo nella società.<br />
Dal mio osservatorio estero, confrontando la realtà<br />
italiana a quella di altri paesi europei ed emergenti,<br />
mi convinco che la cultura e la preparazione sono,<br />
non solo uno strumento di libertà diretta ma anche<br />
indiretta, in quanto favoriscono l’inserimento