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Rivistadifilosofia<strong>Vita</strong><strong>pensata</strong> Anno II N.15 - Ottobre 2012<br />
appare soltanto una volta nei Sonette ma vi<br />
è pronunciato con una densità totale: «Sei<br />
immer tot in Eurydike», “Sii sempre morto<br />
in Euridice” (II, XIII, 3). La morte della quale<br />
parla Rilke è anche questa rinuncia al sogno<br />
del possesso, al sogno di una cosa, di fare<br />
dell’altro una cosa.<br />
Finitudine significa quindi non il morire<br />
(Sterben) ma la morte (Tod): «La divergenza<br />
tra queste due espressioni indica l’abisso tra<br />
quello che da tempo avanza<br />
verso di noi -il morire (come ciò<br />
che comunque esperiscono gli<br />
altri e non noi direttamente) e<br />
quello che da sempre si sottrae<br />
a noi -la morte (come ciò che<br />
non possiamo conoscere<br />
esaustivamente senza doverla<br />
esperire)» (260). Del morire<br />
sperimentiamo soltanto «il<br />
gelido inanimato di un essere<br />
umano» o «l’irrecuperabile<br />
estinzione di una forma<br />
vivente» ma la morte non<br />
è questo: essa è «una<br />
possibilità sempre presente<br />
nella vita dell’uomo, da cui,<br />
paradossalmente, essa parte<br />
e non in cui essa termina» (258-259).<br />
L’impossibilità -di cui Orfeo è metaforadi<br />
un ritorno da questo luogotempo che<br />
chiamiamo morte, che ci attraversa da<br />
quando siamo, segna una delle differenze<br />
radicali tra i Greci e i cristiani:<br />
Nella promessa della fine del tempo, il Cristianesimo<br />
promette la redenzione del tempo e la redenzione dal<br />
tempo, come redenzione della perdita e dalla perdita.<br />
Nel momento in cui il tempo cesserà, si concluderà<br />
anche la finitudine degli uomini, forse termineranno<br />
anche i loro timori, i loro tormenti. E finalmente diverrà<br />
possibile quello che nel mito di Orfeo viene attestato<br />
come assolutamente irraggiungibile, l’incontro con<br />
ciò che è morto, l’incontro con chi è morto (365).<br />
Nel corpo a corpo con il pensare poetico<br />
di Rilke, Heidegger ha maturato -questo<br />
un altro degli elementi chiave della lettura<br />
di Simona Venezia- il distacco da Husserl e<br />
dalla fenomenologia, privilegiando non più<br />
lo sguardo ma l’ascolto, non il dominio di<br />
una soggettività rappresentatrice del mondo<br />
ma la disposizione di una Gelassenheit -che<br />
Venezia traduce con accondiscendenzache<br />
fa essere il mondo. Questo anche il<br />
senso della Gegend (contrada) come «il<br />
luogo in cui l’uomo può avere un contatto<br />
con le cose senza che esse siano ridotte a<br />
meri oggetti o elevate a sostanze eterne»<br />
(320).<br />
In questo distacco dalla fenomenologia,<br />
l’Autrice fa rientrare anche<br />
la divergenza sulla struttura<br />
temporale del mondo e<br />
dell’esserci, che Heidegger<br />
riconoscerebbe pienamente<br />
mentre Husserl rimarrebbe<br />
ancorato a una soggettività<br />
eidetica che pensa il tempo<br />
solo rappresentandolo.<br />
Non mi sembra tuttavia<br />
che le Lezioni husserliane<br />
sul tempo giustifichino tale<br />
lettura. In realtà, lo sguardo<br />
fenomenologico è di per<br />
sé e sin dall’inizio del tutto<br />
temporale in quanto «la<br />
coscienza desta, la vita desta,<br />
è un vivere andando incontro,<br />
un vivere che dall’“ora”, va incontro al nuovo<br />
“ora” […]. Il tempo è la forma ineliminabile<br />
delle realtà individuali» 2 . E pertanto se è vero<br />
che in Husserl la coscienza trascendentale<br />
fonda la rappresentazione, tale coscienza<br />
non è radicata nella staticità dell’eterno ma<br />
è anch’essa del tutto involta e coinvolta<br />
nella finitudine del divenire e solo in quanto<br />
tale può andare alla cosa stessa che è la<br />
natura temporale degli enti, degli eventi e<br />
dei processi. Anche per Husserl insomma,<br />
come per Rilke e per Heidegger, «l’esserci<br />
non possiede né vive il tempo, ma lo è»<br />
(314).<br />
Simona Venezia coglie benissimo il travaglio<br />
e lo snodo heideggeriani sul tema cardine<br />
dell’essere tempo, lo coglie, lo segue e lo<br />
attraversa nella sua contraddizione primaria<br />
e fondamentale, nel rapporto tra il Sein, il<br />
Dasein, la Zeit e l’Aletheia. Heidegger pensa<br />
l’essere sempre meno a partire dal tempo<br />
e sempre più a partire dalla verità, poiché<br />
non è soltanto impossibile dire il tempo<br />
senza l’esserci ma non è neppure possibile<br />
pensarlo. Un’ontologia temporale che<br />
faccia a meno dell’umano risulta pertanto<br />
impossibile. Ma, sin dal ‘27, è l’ontologia<br />
l’obiettivo di Heidegger: «La messa in chiaro<br />
della costituzione d’essere dell’esserci resta<br />
però solo una via. La meta è l’elaborazione<br />
del problema dell’essere in assoluto» 3 . Da<br />
qui l’inevitabile naufragio -bene navigavi,<br />
naufragium feci- di Sein und Zeit:<br />
Pensare il tempo nell’orizzonte dell’essere significa<br />
pensare il tempo senza l’uomo, senza nessun<br />
riferimento all’unico luogo in cui è possibile realmente<br />
esperire il rapporto tra essere e tempo, che è proprio<br />
l’uomo. L’opera del ‘27 rimane incompiuta proprio<br />
perché risulta impossibile pensare autenticamente il<br />
tempo senza l’uomo, perché l’uomo è il tempo. [...]<br />
Per non disperdersi in una deriva esistenzialistica<br />
Heidegger tenta di annullare l’unico punto in cui il<br />
tempo incontra veramente l’essere, in cui il tempo è<br />
l’essere, l’uomo. Tenta di annullarlo, eppure non può<br />
rinunciarvi del tutto (333-334).<br />
È questa contraddizione la perdita teoretica<br />
di Heidegger, emblema e metafora della<br />
perdita che è l’umano stesso, della perdita<br />
che è la filosofia, della perdita che è il tempo.<br />
Il Verlust è infatti un’esperienza prima che<br />
un concetto. Verlust è tutto ciò che siamo<br />
da quando siamo: «È un compito terribile<br />
per gli uomini quello di pensare la perdita,<br />
perché la perdita non è un’astrazione, una<br />
configurazione teoretica, ma ciò che essi<br />
sono costretti a vivere. È un compito terribile<br />
se non riescono a scorgere nell’immensa<br />
disproprazione di questo Verlust la possibile<br />
contraddizione di una Lust» (23). Verlust è<br />
l’instabile identità umana, il cui stare consiste<br />
proprio in questo non poter rimanere<br />
immobile nello spazio e nel tempo. Qui il<br />
magistero di Eugenio Mazzarella -l’identità<br />
umana come «invariante dinamica»,<br />
come «contingenza avveduta», come un<br />
«trascendere restando» e un «mantenersi<br />
divenendo in ciò che si è» 4 - perviene in<br />
Simona Venezia a un esito denso e rigoroso.<br />
La Sprache der Zeit, il linguaggio del tempo,<br />
è «l’apertura estrema al tentativo di dire la<br />
temporalità in quanto senso dell’esistenza<br />
umana» (373).<br />
È talmente difficile per tutti noi accettare<br />
che la cifra dell’esistenza sia questa perdita<br />
da indurci a preferire -afferma Veneziache<br />
qualcosa termini per sempre piuttosto<br />
che la si debba continuare a perdere. C’è<br />
una ragione anche mentalistica di questa<br />
preferenza poiché la fine di un progetto, di<br />
un amore, di un’azione consente di dare<br />
inizio all’indispensabile lavoro dell’oblio,<br />
che non può cominciare sino a che la<br />
perdita continua a darsi. E tuttavia quanto<br />
osserva in queste lucide pagine la studiosa<br />
va al di là delle ragioni neuropsicologiche e<br />
affonda nel plesso poetico-filosofico di cui i<br />
nomi di Rilke e di Heidegger costituiscono<br />
un profondo emblema: «Noi abbiamo un<br />
contatto autentico con il tempo solo se<br />
abbiamo un contatto con la perdita: questo è<br />
lo scopo del colloquio tra poetare e pensare,<br />
questo è lo scopo del linguaggio del tempo»<br />
(372). Trasformare tale perdita in un dono,<br />
in un presente, è una delle ragioni per le<br />
quali esiste la poesia, esiste la filosofia.<br />
Note<br />
1 S. Venezia, Il linguaggio del tempo. Su<br />
Heidegger e Rilke, Guida, Napoli 2007, p. 373.<br />
I numeri di pagina delle successive citazioni<br />
saranno indicati nel testo tra parentesi.<br />
2 E. Husserl, Lezioni per la fenomenologia della<br />
coscienza interna del tempo, a cura di A. Marini,<br />
FrancoAngeli, Milano 1998, pp. 131 e 279; il<br />
corsivo è di Husserl.<br />
3 M. Heidegger, Essere e tempo, trad. di<br />
A. Marini, Mondadori, Milano 2006, § 83, p.<br />
1223. Come afferma con chiarezza Eugenio<br />
Mazzarella, «l’analitica esistenziale come via<br />
regia al senso dell’essere non è da Heidegger<br />
mai abbandonata, ma percorsa» (Tecnica e<br />
metafisica. Saggio su Heidegger, Guida, Napoli<br />
1981, p. 125).<br />
4 E. Mazzarella, Vie d’uscita. L’identità umana<br />
come programma stazionario metafisico, il<br />
melangolo, Genova 2004, pp. 109, 9, 119, 19. I<br />
corsivi sono di Mazzarella.<br />
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