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Focus<br />

Studi di settore e indicatori<br />

di compilance, al via<br />

l’era <strong>del</strong>la collaborazione<br />

L’amministrazione punta su un nuovo strumento per allontanarsi dalla logica<br />

<strong>del</strong>l’accertamento presuntivo <strong>del</strong> reddito<br />

Da anni ormai si parla di una possibile abolizione degli studi<br />

di settore, ma, anche se al tavolo <strong>del</strong> governo Renzi per il<br />

momento è soltanto un’ipotesi, la vita degli studi di settore<br />

sembra andare verso il tramonto. L’amministrazione finanziaria<br />

sta, infatti, abbandonando il vecchio mo<strong>del</strong>lo conflittuale nel<br />

rapporto fisco-contribuente, che vede i due attori nelle vesti<br />

di controllore e controllato, in una vera e propria lotta senza<br />

quartiere agli evasori. Oggi ci si trova probabilmente a un punto<br />

di svolta di un percorso intrapreso ormai più di vent’anni fa.<br />

Tutto iniziò con la minimum tax, quando nel 1992 il governo<br />

Amato introdusse un principio abbastanza semplice: chiunque<br />

decida di esercitare un’attività di lavoro autonomo, imprenditore<br />

o libero professionista, non potrà avere un reddito inferiore<br />

a quello che percepisce un dipendente <strong>del</strong>lo stesso settore.<br />

L’arma utilizzata come deterrente era una cartella esattoriale<br />

pari alla differenza tra il reddito minimo e quello dichiarato.<br />

La diretta evoluzione di quel principio è avvenuta nel 1993<br />

sotto il governo Ciampi, con l’introduzione degli studi di<br />

settore, uno strumento di controllo “intelligente”, nato per<br />

ricostruire, tramite un insieme di dati, il reddito presunto <strong>del</strong><br />

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