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Sui 'brevi' italiani altomedievali - Istituto storico italiano per il Medioevo

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<strong>Sui</strong> ‘brevi’ <strong>italiani</strong> <strong>altomedievali</strong><br />

Il Codice diplomatico longobardo di Luigi Schiaparelli si chiude<br />

con un testo pisano non datato né sottoscritto, che l’editore, in<br />

difficoltà col nome di un vescovo menzionato all’inizio, colloca tra<br />

<strong>il</strong> 768 e <strong>il</strong> fatidico giugno 774 (1) . In quel torno di tempo, dunque,<br />

tale Teus<strong>per</strong>t consegnò alla monaca Ghittia e alle sue figlie un<br />

cospicuo numero di documenti, facenti parte di un « tesoro » che<br />

evidentemente egli aveva in deposito temporaneo: alla fine infatti<br />

si elencano alcune monete, « duo anula aurie, uno petio de aurio,<br />

uno baltio cum banda et fib<strong>il</strong>a de argento inaurato », dei « collari<br />

» e « sporuni » d’argento. Il documento, chiaramente di mano<br />

notar<strong>il</strong>e, è così presentato e impostato:<br />

Breve de moniminas quem reddidet Teus<strong>per</strong>t Ghittie Dei anc<strong>il</strong>le et<br />

ad f<strong>il</strong>ie eius Ali<strong>per</strong>ghe et W<strong>il</strong>lerade, idest, inter monimina et brevi, octuaginta<br />

et octo. Cartula quem Guntelmi et Arnitruda fecerat in Alahis de<br />

mundio accepto. Cartula venditioni da Rop<strong>per</strong>t et Geni<strong>per</strong>t in Alahis – e<br />

così di seguito, fino a Et su<strong>per</strong> ipse octuaginta et octo sunt tris precepta<br />

et una cartula.<br />

In tutto sono elencati un centinaio di documenti (98 + 3 + 1),<br />

qualcosa in più dei 92 contati dall’estensore. Non ne è arrivato<br />

nemmeno uno: di qui lo sconsolato commento di Schiaparelli, « lavoriamo<br />

su frammenti ». Oltre la metà di essi erano stati posseduti<br />

(1) Codice diplomatico longobardo (sec. VIII), I-II, a cura di L. Schiaparelli,<br />

Roma 1929-1933 (Fonti <strong>per</strong> la storia d’Italia, 62-63), n. 295: vol. II, pp. 439-444.<br />

Edizione più recente: Chartae Latinae antiquiores, voll. XX-XL (Italy I-XXI), Lausanne-Zürich<br />

1982-1993, n. 808: vol. XXXI (Italy VII), a cura di J.-O. Tjäder,<br />

1987, pp. 54-59 (dove si accetta la datazione proposta da Schiaparelli). D’ora in<br />

poi citerò queste e altre edizioni in sigla, col solo numero d’ordine del documento:<br />

qui, dunque, CDL 295 = ChLA 808. Sul breve de moniminas pisano è annunciato<br />

un saggio di Antonella Ghignoli, che ho letto dopo la chiusura di questo<br />

testo (ho soltanto introdotto la nota 4): la ringrazio <strong>per</strong> avermelo sottoposto, e<br />

<strong>per</strong> altri preziosi consigli.


2<br />

ATTILIO BARTOLI LANGELI<br />

da Alahis, un gastaldo probab<strong>il</strong>mente lucchese vissuto al tempo<br />

del re Liutprando (testimonianza di un cospicuo archivio laico,<br />

<strong>per</strong>sonale e insieme pubblico, poiché Alahis aveva svolto funzioni<br />

politiche e giurisdizionali e quei documenti li aveva tenuti in tale<br />

veste) (2) ; altri riguardano la chiesa pisana di S. Pietro ai Sette Pini.<br />

Nel breve pisano ogni pezzo documentario è definito con precisione.<br />

I cento documenti inventariati appartengono alle seguenti<br />

categorie:<br />

cartule 64<br />

precetti 20<br />

brevi 11 (breve disponsatione quem Guntelmi fice in Asconda sponsa<br />

sua; brevi decem)<br />

epistole 3 (epistule tris)<br />

giudicati 2 (iudicato facto a Banso gastaldio curti domne regine; iudicati<br />

dispensationis in eclesia Sancti Petri)<br />

Tali documenti si distribuiscono, giusta la dichiarazione iniziale,<br />

« inter monimina et brevi ». Cammarosano definirebbe documenti<br />

“pesanti” gli uni, documenti “leggeri” gli altri (3) . I monimina,<br />

munimina in latino corretto, ossia quei documenti che avevano<br />

piena validità giuridica, che conferivano indiscutib<strong>il</strong>e titolarità<br />

di diritti, sono le cartulae (4) e i praecepta (i diplomi sovrani);<br />

mentre i brevia e le epistule dell’archivio di Ghittia, autorizzati<br />

dallo stesso dettato dell’inventario, possiamo definirli in negativo,<br />

come scritture che non sono munimina. Cosicché l’elenco pisano<br />

esemplifica efficacemente <strong>il</strong> sistema documentario che funzionò in<br />

Italia nel secolo VIII (e oltre) (5) . Un sistema piramidale: al vertice<br />

è <strong>il</strong> re, che emana <strong>per</strong>sonalmente i diplomi ovvero praecepta; <strong>il</strong><br />

traffico giuridico che si svolge nella società dei proprietari, privati<br />

(2) Cfr. S. Gasparri, Il regno longobardo in Italia. Struttura e funzionamento<br />

di uno stato altomedievale, in Langobardia, a cura di P. Cammarosano e S. Gasparri,<br />

Udine 1990, pp. 237-305: 285-287.<br />

(3) P. Cammarosano, Italia medievale. Struttura e geografia delle fonti scritte,<br />

Roma 1991, p. 65.<br />

(4) Compresi probab<strong>il</strong>mente i due iudicati, se intesi come donazioni o comunque<br />

cessioni <strong>per</strong> l’anima; pensavo trattarsi di placiti, ma Antonella Ghignoli<br />

mi convince del contrario.<br />

(5) Nello stesso senso ut<strong>il</strong>izzava <strong>il</strong> breve de moniminas pisano G. Costamagna,<br />

L’alto medioevo, in M. Amelotti - G. Costamagna, Alle origini del notariato<br />

<strong>italiano</strong>, Roma 1975, pp. 147-314: 214.


SUI ‘BREVI’ ITALIANI ALTOMEDIEVALI 3<br />

e istituzionali, laici ed ecclesiastici (la sempiterna protagonista di<br />

tutte le documentazioni) si realizza attraverso le chartae notar<strong>il</strong>i. Il<br />

livello inferiore è costituito da una serie di scritture che possono<br />

definirsi “pratiche” e “di memoria”, delle quali i brevia costituivano<br />

evidentemente la componente più riconoscib<strong>il</strong>e. A quest’ultima<br />

sono dedicate le considerazioni che seguono.<br />

L’elenco stesso dei documenti resi da Teus<strong>per</strong>t a Ghittia è<br />

detto « breve de moniminas »; in esso poi figurano una voce « brevi<br />

decem » e un’altra « breve disponsatione [o forse di sponsatione]<br />

quem Guntelmi fice in Asconda sponsa sua ». Così, fra l’altro,<br />

siamo già sicuri di dodici “brevi” prodotti in quel minimo spaccato<br />

di società tardolongobarda. Vi intravediamo una distinzione: <strong>il</strong><br />

« breve disponsatione » sarà stato un documento, con una data, un<br />

attore e un destinatario, dei testimoni, un estensore; invece <strong>il</strong> « breve<br />

de moniminas », che abbiamo sotto gli occhi, è un puro elenco<br />

di unità omologhe, senza data né sottoscrizione. La parola breve<br />

indicava dunque due fattispecie diverse. Cominciamo dal secondo<br />

tipo, quello dei brevi in forma di lista.<br />

1. Attestazioni occasionali<br />

I<br />

I BREVI COME SCRITTURE SERIALI<br />

Di brevi nell’accezione di elenchi, liste come <strong>il</strong> « breve de<br />

moniminas » non mancano altre occorrenze coeve, indicative di una<br />

certa normalità e frequenza d’uso.<br />

Nel 772, con proprio praeceptum, Desiderio e Adelchi concessero<br />

a S. Salvatore (poi S. Giulia) di Brescia 4.000 iugeri di « terra,<br />

s<strong>il</strong>va, runcora et prata » del patrimonio regio; li aveva esattamente<br />

delimitati Abono waldeman, che ne aveva scritto di propria<br />

mano un breve: « sicut ... breve <strong>per</strong> ipsius Abonis manus rescriptum<br />

legere probatur in integrum » (6) . Nel 787 o 788, furono con-<br />

(6) Codice diplomatico longobardo, III/1 (diplomi regi), a cura di C. Brühl,<br />

Roma 1973 (Fonti <strong>per</strong> la storia d’Italia, 64), n. 41, p. 242.


4<br />

ATTILIO BARTOLI LANGELI<br />

segnati dei beni alla regina Ildegarda (così pare di capire); re Pipino<br />

ordinò di elencarli « <strong>per</strong> breves » da consegnare a lui: « ut<br />

(res) fiant descriptae <strong>per</strong> breves, et ipsae breves ad nos fiant adductae<br />

» (7) . Un capitulare missorum emanato da Carlo Magno nel<br />

786 o 792 ordinava ai sudditi <strong>il</strong> giuramento di fedeltà, e incaricava<br />

i messi di redigere e di portargli un brebe coi nomi dei giuranti<br />

(« et nomina vel numerum de ipsis qui iuraverunt ipsi missi in<br />

brebem secum adportent »); se ne conserva almeno uno relativo<br />

all’Italia, che dovrebbe risalire al tempo di Ludovico <strong>il</strong> Pio (anni<br />

828-829), consistente in un puro elenco di 174 nomi, senza alcun<br />

titolo (8) .<br />

Tra i precedenti bizantini possono essere segnalati un paio di<br />

brevia del VI secolo, uno conservato e l’altro citato in un placito<br />

dell’anno 804. A Ravenna fu redatto nel 564 un elenco di cose<br />

vendute, intitolato « breve de diversas species que vindite sunt » (9) .<br />

Litigando col patriarca di Grado nell’804, i rappresentanti delle<br />

città dell’Istria addussero in placito i « breves <strong>per</strong> singulas civitates<br />

vel castella quos tempore Constantini seu Bas<strong>il</strong>ii magistri m<strong>il</strong>itum<br />

fecerant », che dovrebbero risalire appunto al VI secolo e, parrebbe,<br />

avere forma di elenco (10) .<br />

Da questi esempi risulta evidente una cosa molto banale, cioè<br />

che la parola breve aveva mantenuto primariamente <strong>il</strong> significato<br />

di indice, lista, sommario che aveva nella latinità classica. I brevia<br />

seriali continuavano la tradizione antica delle scritture in forma di<br />

lista ad uso dell’amministrazione pubblica (ruolini m<strong>il</strong>itari e fiscali,<br />

elenchi di dignitates, documenti contab<strong>il</strong>i). Venuto a mancare un<br />

(7) Capitularia regum francorum, I, ed. A. Boretius, in M.G.H., Leges, II,<br />

Hannoverae 1883, n. 95, § 14 (cfr. I capitolari italici. Storia e diritto della dominazione<br />

carolingia in Italia, a cura di C. Azzara - P. Moro, Roma 1998, p. 70). Si<br />

noti <strong>il</strong> genere femmin<strong>il</strong>e della parola brevis: così almeno nel testo, poiché <strong>il</strong> titolo,<br />

non so se del manoscritto o dell’editore, ha <strong>il</strong> neutro breve: « breve de rebus<br />

quae H<strong>il</strong>degardae reginae traditae fuerunt ».<br />

(8) Capitularia regum francorum cit., pp. 67 (capitolare di Carlo Magno) e<br />

377-378 (indiculus di coloro che giurarono fedeltà a Ludovico <strong>il</strong> Pio, identificato<br />

tramite P. Cammarosano, Nob<strong>il</strong>i e re. L’Italia politica dell’alto medioevo, Roma-<br />

Bari 1998, p. 155).<br />

(9) J. O. Tjäder, Die nichtliterarischen Papyri Italiens aus der Zeit 445-700,<br />

Lund 1954-1955 - Stockholm 1982, n. 8.<br />

(10) I placiti del « Regnum Italiae », a cura di C. Manaresi, Roma 1955-1960<br />

(Fonti <strong>per</strong> la storia d’Italia, 92, 96, 97), n. 17.


SUI ‘BREVI’ ITALIANI ALTOMEDIEVALI 5<br />

apparato amministrativo, la pratica <strong>per</strong>se in regolarità e pubblicità,<br />

restò subordinata a circostanze occasionali, non diede luogo a definite<br />

strutture redazionali e formali. I brevia-elenchi <strong>altomedievali</strong><br />

erano scritture ad uso interno e pratico, non costitutive di diritti;<br />

anonime; scritte da chiunque fosse in grado di farlo (un waldeman,<br />

un missus, naturalmente un notaio) nella maniera che voleva;<br />

particolarmente soggette alla dis<strong>per</strong>sione, <strong>per</strong>ché « cestinab<strong>il</strong>i » senza<br />

danno una volta esaurita la loro funzione.<br />

2. I « polittici » <strong>italiani</strong><br />

C’è una categoria di brevia-elenchi che sembra abbastanza caratterizzata,<br />

se non altro <strong>per</strong>ché è stata oggetto di una pubblicazione<br />

organica: gli « inventari <strong>altomedievali</strong> di terre, coloni e redditi<br />

», correntemente detti “polittici” <strong>per</strong> adeguamento alla terminologia<br />

francese. L’edizione che ne fu fatta nel 1979 (11) raccoglie<br />

sedici testi, tre dei quali <strong>per</strong>ò (quelli relativi a Limonta, Tortona e<br />

Tivoli) sono molto differenti dagli altri; i restanti tredici sono relativamente<br />

coerenti <strong>per</strong> contenuti, e comune ne è la funzione e<br />

l’occasione. Quei polittici infatti furono prodotti <strong>per</strong> avere <strong>il</strong> quadro<br />

preciso di un complesso patrimoniale articolato in più unità,<br />

specie se distanti fra loro; o di un complesso di diritti (censi e<br />

redditi); o di un insieme di homines. Sempre c’è, implicito o esplicito,<br />

uno scopo <strong>per</strong> così dire difensivo, cioè di sventare eventuali<br />

usurpazioni; ma c’è anche, in positivo, l’esigenza di conoscere nei<br />

dettagli le risorse disponib<strong>il</strong>i a un’istituzione.<br />

Istituzione che è, nella maggior parte dei casi, un monastero o<br />

altro ente ecclesiastico, di grande o medio calibro: Bobbio (che ne<br />

ha quattro) (12) , S. Giulia di Brescia (al quale dovrebbe risalire, ol-<br />

(11) Inventari <strong>altomedievali</strong> di terre, coloni e redditi, a cura di A. Castagnetti<br />

- M. Luzzati - G. Pasquali - A. Vasina, Roma 1979 (Fonti <strong>per</strong> la storia d’Italia,<br />

104). Non risulta che queste fonti, molto ut<strong>il</strong>izzate dagli storici del territorio e<br />

dell’economia, siano state studiate negli aspetti formali.<br />

(12) Alla quale abbazia risale forse un’altra lista, che non sappiamo dove<br />

collocare in questo abbozzo di classificazione: ChLA 863. Si tratta di un elenco<br />

di pagamenti in denaro, designato all’inizio come « notitia de pretium », scritto<br />

verso la fine dell’VIII secolo da quattro mani diverse (una soltanto di genere<br />

notar<strong>il</strong>e), non sottoscritto né datato; <strong>il</strong> pezzo è conservato presso la Biblioteca


6<br />

ATTILIO BARTOLI LANGELI<br />

tre al proprio, <strong>il</strong> polittico della corte di Migliarina, da esso dipendente),<br />

Monte Velate presso M<strong>il</strong>ano, S. Tommaso di Reggio,<br />

S. Cristina di Corteolona presso Pavia, S. Lorenzo di Oulx; ma<br />

polittici hanno prodotto due fra i maggiori episcopati dell’epoca,<br />

Lucca e Verona. I più antichi sono quelli di Bobbio, due polittici<br />

datati 862 e 883; tra la fine del IX e l’inizio del X secolo si<br />

collocano i due polittici lucchesi, quello di S. Giulia e <strong>il</strong> terzo di<br />

Bobbio; gli altri vanno dalla metà del X alla metà dell’XI, <strong>il</strong> più<br />

recente essendo <strong>il</strong> polittico di Oulx, del 1042 circa.<br />

La prevalente attenzione ai beni rustici, agli edifici e ai coloni<br />

non impedisce di allargarsi ad altri tipi di patrimonio e di risorse:<br />

<strong>il</strong> polittico di S. Giulia di Brescia elenca gli arredi, oggetti e libri<br />

delle chiese dipendenti (essendo <strong>il</strong> documento acefalo, è <strong>per</strong>duta<br />

la parte relativa a S. Giulia); uno dei due lucchesi inizia con la<br />

lista dei libri esistenti nell’episcopato. Ricordiamo di passaggio che<br />

Bobbio aveva fin dal VII secolo una lista separata dei libri.<br />

Un’analisi formale può giovarsi soltanto degli originali, che sono<br />

nove. L’edizione che si sta esaminando manca purtroppo di riproduzioni.<br />

I polittici sono costituiti, secondo la lunghezza, o da fogli<br />

singoli o da rotoli di <strong>per</strong>gamena. Il rotolo più lungo è quello di S.<br />

Giulia, 12 fogli <strong>per</strong> 5 metri e mezzo; ma molti, compreso quest’ultimo,<br />

sono mut<strong>il</strong>i. Le scritture dovrebbero essere delle corsive di<br />

tipo notar<strong>il</strong>e: fanno <strong>per</strong>ciò spicco i due polittici di Lucca, con scritture<br />

di tipo librario, disposte su rigatura, e quindi realizzati presumib<strong>il</strong>mente<br />

da chierici amanuensi, non da notai o da “pratici”.<br />

Con questi polittici la nostra immagine istintiva di elenco, come<br />

una sequenza di capoversi-voci, non funziona o funziona solo in<br />

parte: molti di essi sono scritti in continuo; non più di quattro o<br />

cinque introducono partizioni mediante capoversi o titoletti in lettere<br />

maiuscole. La distinzione delle unità è ottenuta piuttosto dal<br />

ritmico ripetersi di incipit uguali: « Habemus in ... », « Sunt (tot)<br />

curtes in ... », « De beneficio ... »; è poco usata l’articolazione, poi<br />

dominante, In primis ... Item ... Item. Alcuni polittici tra quelli integri<br />

portano, alla fine, la somma delle terre, rendite, censi: così <strong>il</strong><br />

primo e <strong>il</strong> secondo di Bobbio (« Est summa de hoc quod fratres<br />

videntur habere ad suos usus ... »), <strong>il</strong> primo di Lucca (somme par-<br />

Ambrosiana. Ringrazio Franco Magistrale, editore del documento, <strong>per</strong> le informazioni<br />

che mi ha cortesemente fornito.


SUI ‘BREVI’ ITALIANI ALTOMEDIEVALI 7<br />

ziali e somma totale), quelli di Monte Velate e di S. Tommaso di<br />

Reggio (somme al termine di ciascuna sezione). Nessuno, si ripete,<br />

è sottoscritto dall’estensore o da chi <strong>per</strong> lui.<br />

(Era scritto in continuo anche <strong>il</strong> « breve de moniminas » pisano:<br />

come non scusare l’anonimo scrivente, che sbagliò a contare<br />

gli item? – sempre che <strong>per</strong> contarli si sia basato su quella compatta<br />

massa di parole).<br />

Se alcuni polittici non portano intestazione, vediamo quelli che<br />

invece introducono l’elenco con qualche formula, ricordando che<br />

alcuni sono acefali. Hanno la datazione soltanto i polittici di Bobbio<br />

dell’862 e dell’883, col m<strong>il</strong>lesimo di Cristo: che <strong>il</strong> primo sia <strong>il</strong><br />

più arretrato “documento” <strong>italiano</strong> in cui si conteggiano gli anni<br />

secondo l’era cristiana? – se così fosse, notiamo non trattarsi di<br />

una charta. Hanno un “titolo” i polittici, in ordine cronologico, di<br />

Bobbio (<strong>il</strong> secondo: invocazione, « Incipit abbreviatio de rebus omnibus<br />

... », datazione), S. Maria di Monte Velate (« breve memorationis<br />

»), S. Tommaso di Reggio (« breve recordacionis », con una<br />

sezione intitolata « breve de cuntis que ... »), Migliarina (« Item breve<br />

quod invenimus ... »: la prima parola indica trattarsi della sezione<br />

di un polittico più ampio), <strong>il</strong> quarto di Bobbio (« Hoc est breviarium<br />

... », con all’interno un capitolo « breve de terra que in<br />

Maritima esse videntur »), Oulx (« carta de racione facienda »). Non<br />

all’inizio del testo ma sul verso della <strong>per</strong>gamena, da due mani<br />

coeve, <strong>il</strong> secondo polittico di Lucca è definito « breve de feora »<br />

(che starà <strong>per</strong> feoda) e « breve de beneficio fidelium ». Ignoro se<br />

<strong>il</strong> titolo di S. Cristina di Corteolona (« Incipit breviarium ... », preceduto<br />

da invocazione) sia del copista o dell’originale.<br />

Interessante tuttavia quest’ultimo termine, breviarium, che abbiamo<br />

visto usato a Bobbio e vedremo usato <strong>per</strong> un prodotto<br />

ravennate. Esso significa alla lettera “insieme di brevi”, una sorta<br />

di ‘breve brevium’. Lo si trova ut<strong>il</strong>izzato, ad esempio, in un placito<br />

veronese del 1021, dove l’abate di S. Zeno rivendicò la titolarità<br />

di sei cappelle e relative <strong>per</strong>tinenze « in comitatu Tervisino »<br />

dimostrata, a suo dire, da un « breviarium antiquum »: « sicut in<br />

breviario antiquo [Sancti] Zenonis legitur » (13) . Ecco un riferimento<br />

sicuro a un polittico <strong>per</strong>duto.<br />

(13) Manaresi, I Placiti cit., n. 309.


8<br />

ATTILIO BARTOLI LANGELI<br />

Diverso dagli altri e <strong>per</strong> contenuto e <strong>per</strong> cronologia è <strong>il</strong> “polittico”<br />

di Tortona. Si tratta infatti dell’elenco (acefalo), scritto da<br />

un monaco, dei beni donati da una Teberga alla cattedrale di Tortona,<br />

risalente non al IX secolo come si credeva, ma al terzo quarto<br />

dell’XI, come ha dimostrato Ettore Cau (14) .<br />

Fin qui, gli “inventari” fatti oggetto della pubblicazione di cui<br />

si diceva. Le ricerche ulteriori ne hanno fatto emergere non pochi<br />

altri, dello stesso torno di tempo, in specie lombardi. Tra questi è<br />

particolarmente, forse eccezionalmente ricca e compatta la serie<br />

dei polittici dell’abbazia di Morimondo (sul Ticino, tra M<strong>il</strong>ano e<br />

Pavia), che coprono all’incirca <strong>il</strong> secolo tra <strong>il</strong> 1070 e <strong>il</strong> 1170: trentuno<br />

testi in forma di puro elenco, di misure variab<strong>il</strong>i, sortiti da<br />

occasioni determinate (una <strong>per</strong>muta, una divisione, una donazione)<br />

e dunque con funzione di “allegati” a un documento; se un<br />

paio sono intitolati « carta », quasi tutti gli altri portano l’intestazione<br />

« breve », in nove casi con la specificazione « breve recordacionis<br />

» (15) .<br />

3. Documenti in libro<br />

Non abbiamo dimenticato <strong>il</strong> cosiddetto inventario di Tivoli (di<br />

quello di Limonta parleremo dopo). Esso è datato 945, riguarda i<br />

beni immob<strong>il</strong>i della chiesa cittadina ed è intitolato « Breve recordationis<br />

de casalibus et rebus Tyburtine ... ecclesie »; avrebbe <strong>per</strong>ciò,<br />

all’apparenza, i requisiti <strong>per</strong> essere assim<strong>il</strong>ato agli altri « inventari<br />

<strong>altomedievali</strong> » longobardi. Invece appartiene, a nostro avviso,<br />

a un altro genere di scrittura, che conta due, se non tre altri<br />

rappresentanti; e di questi sarebbe <strong>il</strong> più antico.<br />

Esso infatti non è propriamente un polittico, ma piuttosto un<br />

censuario, consistendo nella registrazione abbreviata di 257 contratti<br />

di concessione dietro versamento di un censo. Un censuario<br />

che, altro ma ipotetico elemento, è probab<strong>il</strong>e avesse forma di libro,<br />

non di foglio o rotolo membranaceo – non si può affermarlo<br />

(14) E. Cau, Una nuova lettura del ritrovato polittico dell’Archivio Capitolare<br />

di Tortona, « Studi medievali », ser. III, 29 (1988), pp. 745-753.<br />

(15) Sono pubblicati da M. Ansani in appendice alla sua edizione Le carte<br />

del monastero di S. Maria di Morimondo, I: 1010-1170, Spoleto 1992, pp. 441-492.


SUI ‘BREVI’ ITALIANI ALTOMEDIEVALI 9<br />

con sicurezza <strong>per</strong>ché a tramandarlo è, in copia di copia incompleta,<br />

<strong>il</strong> Regestum Tiburtinum, posteriore di un secolo e mezzo (16) –.<br />

Queste caratteristiche sono di altri prodotti ravennati (e noteremo<br />

che Tivoli era città del Patrimonium romano), <strong>il</strong> più importante<br />

dei quali è <strong>il</strong> breviarium dei possedimenti meridionali della chiesa<br />

di Ravenna della fine del X secolo, altrimenti noto come « Codice<br />

Bavaro » (<strong>per</strong>ché conservato a Monaco di Baviera) (17) .<br />

Il Breviarium territorii Arimini, Senogalie et aliorum locorum<br />

(questo <strong>il</strong> titolo duecentesco che figura sulla co<strong>per</strong>ta di <strong>per</strong>gamena,<br />

tratta da un documento del 952) è un libro papiraceo redatto<br />

alla fine del secolo X, composto di sei fascicoli, <strong>per</strong> un totale di<br />

46 carte, alcune delle quali palinseste; è probab<strong>il</strong>e che la consistenza<br />

originaria fosse maggiore. In esso furono registrati, in forma<br />

di estratti, i documenti attestanti le proprietà e i proventi della<br />

chiesa di Ravenna nei territori dipendenti, in particolare quelli<br />

a sud della città (Pentapoli marittima e Pentapoli annonaria) fino<br />

a Perugia. In tutto si hanno 187 registrazioni, relative a documenti<br />

dalla fine del VII a tutto <strong>il</strong> X secolo (donazioni, enfiteusi, livelli),<br />

disposte secondo un criterio topografico. Gli estensori, tutti<br />

notarii arcivescov<strong>il</strong>i, sono sette o otto: una volta impostate le sezioni<br />

di ciascun territorio, essi aggiunsero progressivamente <strong>il</strong> regesto<br />

degli originali via via re<strong>per</strong>iti nell’archivio.<br />

La sezione ferrarese del libro ravennate, <strong>per</strong>duta nell’originale,<br />

ovvero – secondo un’opinione diversa – un originario liber autonomo<br />

dei possedimenti di Ravenna nell’area di Ferrara (dunque<br />

qualcosa di analogo al “Codice Bavaro”), fu trascritto un secolo<br />

dopo in un registro di <strong>per</strong>gamena del quale si conservano soltanto<br />

tre fogli (18) . I documenti datati o datab<strong>il</strong>i risalgono al X secolo.<br />

(16) Ed. L. Bruzza, Regesto della Chiesa di Tivoli, Roma 1880 (Biblioteca<br />

dell’Accademia <strong>storico</strong>-giuridica, 6).<br />

(17) Del cosiddetto Codice Bavaro esistono due buone edizioni, uscite quasi<br />

contemporaneamente: Codice Bavaro. Codex traditionum Ecclesiae Ravennatis, a<br />

cura di E. Baldetti e A. Polverari, Ancona 1983; Breviarium Ecclesiae Ravennatis<br />

(Codice Bavaro). Secoli VII-X, a cura di G. Rabotti, Roma 1985 (Fonti <strong>per</strong> la<br />

storia d’Italia, 110). Si veda la raccolta di saggi di A. Vasina ed altri, Ricerche e<br />

studi sul « Breviarium Ecclesiae Ravennatis » (Codice Bavaro), Roma 1985 (Studi<br />

storici, 148-149).<br />

(18) Si veda lo studio di T. Bacchi nel volume appena citato, pp. 179-191.<br />

Il frammento del libro ferrarese era stato pubblicato da A. Vasina nel 1958 e da


10<br />

ATTILIO BARTOLI LANGELI<br />

Lo scrivente dovrebbe essere anche lui un notaio della cancelleria<br />

arcivescov<strong>il</strong>e di Ravenna (<strong>il</strong> frammento sta in quell’archivio). Inidoneo<br />

definirlo un “protocollo notar<strong>il</strong>e”, sono di tradizione archivistica<br />

tarda i titoli di Regestum o Register traditionum coi quali <strong>il</strong><br />

frammento è citato.<br />

A questi due (se erano due) prodotti “librari” ravennati si può<br />

avvicinare un quaterno di S. Apollinare Nuovo, ma di tutt’altro<br />

contenuto (19) . Si tratta della copia di un documento dell’11 maggio<br />

973, eseguita dal tabellione Severus nel 1043: data la lunghezza<br />

del testo, egli usò un quaterno membranaceo.<br />

I tre manoscritti ravennati e, se era di forma libraria, quello<br />

tiburtino rappresentano ai nostri occhi una specifica soluzione documentaria<br />

che si ebbe, tra X e XI secolo, nelle cancellerie episcopali<br />

di tradizione romano-bizantina. La tipicità sta appunto nella<br />

forma libraria del contenitore, da intendersi nel senso strettamente<br />

materiale, mancando ogni allusione al modello del libro di<br />

cultura. Nel caso dei breviaria (<strong>il</strong> tiburtino, <strong>il</strong> ravennate e <strong>il</strong> ferrarese)<br />

la forma libraria fac<strong>il</strong>itava la registrazione delle unità testuali<br />

pagina <strong>per</strong> pagina e rendeva ben distinguib<strong>il</strong>e la loro successione,<br />

in tal modo avvicinandosi alla natura e alla funzione proprie di<br />

un re<strong>per</strong>torio, di uno strumento di consultazione, che invece <strong>il</strong><br />

breve longobardo-franco, si è visto, attingeva con fatica. Quanto al<br />

quaterno con la copia del documento del 973, è verosim<strong>il</strong>e trattarsi<br />

del « riversamento » in libro e su <strong>per</strong>gamena di una stesura tabellionale<br />

su rotolo di papiro.<br />

In entrambi i casi non si rischia di sopravvalutare <strong>il</strong> dato materiale,<br />

<strong>per</strong>ché quei prodotti “librari”, assenti nella cultura documentaria<br />

longobarda, si devono a notai o comunque a specialisti della<br />

documentazione. Per la prima volta vediamo degli scriventi di tal<br />

genere, che non appartengono al mondo dei libri, tagliare dei fogli<br />

della stessa misura, metterli uno sull’altro, piegarli a metà, cucirli,<br />

scriverli su tutte le facce, insomma realizzare fascicoli e libri; e<br />

lui riproposto in La chiesa Ravennate e <strong>il</strong> Ferrarese attorno al M<strong>il</strong>le, in Vasina,<br />

Romagna medievale, Ravenna 1970, pp. 49-71 (la trascrizione alle pp. 65-68).<br />

(19) Il quaterno, conservato nell’archivio di S. Paolo fuori le mura, è riprodotto<br />

in Archivio Paleografico Italiano, III, tavv. 74-81: fasc. 22, Roma 1905; cfr.<br />

V. Federici, Regesto di S. Apollinare Nuovo, Roma 1907 (Regesta chartarum Italiae,<br />

3), pp. 5-14, n. 2.


SUI ‘BREVI’ ITALIANI ALTOMEDIEVALI 11<br />

ut<strong>il</strong>izzarli <strong>per</strong> registrazioni di natura schiettamente documentaria o<br />

addirittura <strong>per</strong> trascrivervi documenti. La novità, si badi, è ancora<br />

più evidente nel breviarium ravennate, che è di papiro, mentre i<br />

due dell’XI secolo sono membranacei (nulla si può dire del breve<br />

recordationis tiburtino): nell’uso del papiro è forse da vedere una<br />

originaria obbedienza al carattere “all’antica” così identificante e<br />

peculiare, della documentazione ravennate, presto abbandonata <strong>per</strong><br />

assumere la materia di uso comune in quell’epoca – in effetti un<br />

codice papiraceo, tanto più nel X secolo, è quasi una contraddizione<br />

in termini, essendo quello un materiale pressoché scomparso<br />

dall’uso e comunque inadatto a esser legato in codice.<br />

Inizia di qui la storia italiana dei documenti in libro (20) . Una<br />

storia che avrà notevoli sv<strong>il</strong>uppi, secondo due direttrici che già si<br />

vedono in nuce in queste s<strong>per</strong>imentazioni: i breviaria inaugurano <strong>il</strong><br />

genere dei “libri di censi”, nei quali sono registrati gli estremi degli<br />

atti di concessione a tempo di beni fondiari; mentre <strong>il</strong> quaterno<br />

di S. Paolo è <strong>il</strong> modesto, casuale antecedente della tipologia dei<br />

“libri di documenti”. Tipologia che parte dai formidab<strong>il</strong>i cartulari<br />

benedettini dell’Italia mediana prodotti tra XI e XII secolo (Farfa,<br />

Montecassino, S. Clemente a Casauria, S. Vincenzo al Volturno,<br />

S. Bartolomeo di Carpineto; ma non si dimentichi <strong>il</strong> Chronicon<br />

Novalicense, ossia dell’abbazia di Novalesa in Val di Susa, che potrebbe<br />

tuttavia apparentarsi alla produzione d’oltralpe) e proseguirà<br />

nel Duecento sia con la (non abbondantissima) serie di cartulari<br />

ecclesiastici e religiosi, sia soprattutto con i prestigiosi libri iurium<br />

delle città comunali (21) . Una storia che non possiamo approfondire<br />

(22) ; conviene riprendere <strong>il</strong> ragionamento sui brevia.<br />

(20) La definizione di “documenti in libro” riecheggia, senza alcun rapporto<br />

di merito, <strong>il</strong> titolo del libro di C. Carbonetti Vendittelli, Documenti su libro.<br />

L’attività documentaria del Comune di Viterbo nel Duecento, Roma 1996 (Fonti<br />

<strong>per</strong> la storia dell’Italia medievale. Subsidia, 4).<br />

(21) Se la letteratura sui cartulari comunali è solida e conosciuta, è opportuno<br />

almeno citare <strong>il</strong> migliore saggio d’insieme, recente, sui cartulari <strong>italiani</strong> di<br />

istituzioni religiose: D. Puncuh, Cartulari monastici e conventuali. Confronti e osservazioni<br />

<strong>per</strong> un censimento, in Libro, scrittura, documento della civ<strong>il</strong>tà monastica<br />

e conventuale nel basso medioevo (secoli XIII-XV). Atti del convegno di studio<br />

(Fermo, 17-19 settembre 1997), a cura di G. Avarucci - R. M. Borraccini Verducci<br />

- G. Borri, Spoleto 1999, pp. 341-380.<br />

(22) Come non possiamo approfondire un altro tema, che tuttavia va segnalato<br />

se non altro <strong>per</strong> evitare equivoci: l’uso inoltrato del termine breve in una


12<br />

1. Brevi giudiziari<br />

ATTILIO BARTOLI LANGELI<br />

II<br />

I BREVI COME DOCUMENTI<br />

I brevia non erano solo elenchi, ma anche documenti: scritture,<br />

cioè, attestanti un’azione giuridica svoltasi un certo giorno<br />

ad o<strong>per</strong>a di certe <strong>per</strong>sone. Tale sarà stato, si diceva, quel « breve<br />

disponsatione » citato nell’elenco dei documenti resi da Teus<strong>per</strong>t<br />

a Ghittia, anche se <strong>per</strong> ipotesi vi fossero elencati i beni oggetto<br />

della donazione nuziale. In effetti molti brevia-documenti presentano<br />

un elemento di serialità: ad esempio quelli che attestano<br />

inquisitiones, le ricognizioni o<strong>per</strong>ate da ufficiali pubblici (specialmente<br />

missi del re) sulla consistenza e <strong>per</strong>tinenza di certe terre,<br />

attraverso l’escussione di testimoni o indagini dirette. Eccone alcuni.<br />

Avevamo lasciato da parte un “polittico”, l’elenco dei beni<br />

costituenti la curtis regia di Limonta, presso Como, dell’835 o<br />

poco prima: esso non è un elenco come gli altri, ma è compreso<br />

nel « breve inquisitionis quod fecerunt » due missi e un gastaldus<br />

<strong>per</strong> stab<strong>il</strong>ire i diritti di quella corte su un casale appartenente a<br />

una chiesa vicina. Prima sono riportate le dichiarazioni giurate di<br />

otto uomini di Bellagio: « Besolo dixit et recordavit “certe scio et<br />

bene memoro ...” »; « Grigoaldus homo senex dixit ... »; « Andro<br />

homo senex dixit ... » e così via; segue l’elenco, stab<strong>il</strong>ito dai tre,<br />

dei beni in discussione, introdotto dalle parole « breve de curte<br />

Lemunta » (23) .<br />

accezione che non ha niente a che fare con la prassi documentaria corrente ma<br />

concerne l’ambito istituzionale del Comune. Infatti breve è chiamata la formula<br />

sulla quale i magistrati prestavano annualmente <strong>il</strong> giuramento dell’ufficio. I più<br />

antichi Brevi dei consoli si hanno, intorno alla metà del XII secolo, a Genova,<br />

Pisa, Pistoia; e <strong>il</strong> termine, <strong>per</strong> estensione, venne a designare in alcuni Comuni le<br />

prime redazioni statutarie, anche duecentesche. È plausib<strong>il</strong>e che in questo caso<br />

l’adozione del nome riecheggi l’antico concetto di “scrittura seriale”: infatti i Brevi<br />

comunali sono costituiti da una successione di capitoli distinti.<br />

(23) Manaresi, I Placiti cit., I, pp. 568-574; Castagnetti, in Inventari <strong>altomedievali</strong><br />

cit., pp. 21-23.


SUI ‘BREVI’ ITALIANI ALTOMEDIEVALI 13<br />

Risalendo all’indietro, breve è designato un documento senese<br />

del 715, uno dei più antichi di epoca longobarda (24) . L’inizio, con<br />

segno di croce, datazione cronica e invocazione, ne chiarisce la<br />

natura propriamente documentaria, benché la successione dei tre<br />

elementi sia anomala. Poi c’è la dichiarazione « breve de singulos<br />

presbiteros quos... ego Guntheram notarius in curte regia Senense<br />

inquisibi »; i testimoni chiamati a deporre sono 77. Non c’è sottoscrizione,<br />

benché sia assolutamente probab<strong>il</strong>e che l’estensore sia lo<br />

stesso notarius autore dell’inquisitio.<br />

Ha forma identica a un placito (protocollo, inizio con Dum,<br />

sedici sottoscrizioni) una inquisitio giudiziaria del 787 tràdita dal<br />

Chronicon Vulturnense (25) . Essa è condotta da tre missi di re Carlo<br />

su alcune terre rivendicate dall’abate di S. Vincenzo al Volturno.<br />

Nell’impossib<strong>il</strong>ità di definire la causa, essi fanno redigere « duos<br />

breves », uno <strong>per</strong> i monaci e uno <strong>per</strong> un gastaldo locale: due esemplari<br />

cioè di uno stesso breve, che viene trascritto nel corpo del<br />

documento. Ecco dunque nove elenchi (alcuni dei quali a loro<br />

volta intitolati breve), <strong>per</strong> un totale di 325 voci, tra uomini e terre<br />

e case. I partecipanti dichiarano « in hunc brevem interfui », e la<br />

sottoscrizione del redattore è « Unde hunc brevem ego Tagi<strong>per</strong>tus<br />

notarius scripsi »: è l’intero documento, redatto con tutte le formalità,<br />

ad assumere <strong>il</strong> nome di “breve”.<br />

Però vi sono documenti giudiziari – non solo inquisizioni, ma<br />

le stesse sentenze – che ricevono <strong>il</strong> titolo di breve senza avere<br />

contenuto in alcun modo seriale; <strong>per</strong> essi quel titolo si accompagna<br />

spesso a notitia. Si possono citare le inquisitiones designate<br />

come « noticia brevis commemoracionis » (838, Lucca), « notitia<br />

brevis » (841, Cremona), « notitia pro causa memorationis » (880,<br />

Como), che sono documenti di struttura complessa, con ricche<br />

sottoscrizioni al modo placitario (26) . Quanto ai placiti, detto che<br />

quelli con tutti i crismi erano detti notitia iudicati, alcuni di essi<br />

sono documentati in una forma che possiamo definire “abbreviata”:<br />

si tratta di esposizioni succinte, a struttura testuale variab<strong>il</strong>e,<br />

non sottoscritte dai partecipanti e nemmeno, talvolta, dall’estensore.<br />

Non risultano differenze di merito (che so, quanto al collegio<br />

(24) CDL 19; non presente in ChLA, in quanto copia del IX-X secolo.<br />

(25) Manaresi, I Placiti cit., I, pp. 559-566.<br />

(26) Ibid., pp. 574-585.


14<br />

ATTILIO BARTOLI LANGELI<br />

giudicante o al tipo di controversia) tra questi placiti “brevi” e le<br />

notitiae iudicati consuete; evidentemente in qualche caso mancarono<br />

le condizioni <strong>per</strong> realizzare <strong>il</strong> documento <strong>per</strong>fetto e si dovette<br />

ripiegare su una semplice scrittura di memoria. Tra queste stesure<br />

(almeno una ventina tra IX e X secolo) si hanno testi denominati<br />

« notitia brevis memoratorii », « notitia brevis recordacionis », « noticia<br />

breve memoracionis ad memoriam retinenda », fino a « notitia<br />

brevis pro modernis et fucturis temporibus sechuritatis hac firmitatis<br />

ad memoriam abendam vel retinendam » (1020, Lucca) (27) ; altri<br />

sono detti scriptum (« scriptum brevis », « brevis scriptum »,<br />

« breve scriptum »); altri, i più, sono qualificati semplicemente breve,<br />

con le varianti « breve memoriale » o « memoratorium », « breve<br />

commemorationis » o « recordationis ».<br />

2. Brevi negoziali<br />

Lo stesso dislivello si verifica nella documentazione delle transazioni<br />

tra <strong>per</strong>sone. Nel Codice diplomatico di Schiaparelli, dove<br />

<strong>per</strong> <strong>il</strong> resto domina la charta, sono dieci i testi da considerare<br />

(l’undicesimo e ultimo, <strong>il</strong> n. 295, è <strong>il</strong> breve de moniminas del quale<br />

si è detto a sufficienza, che non va considerato qui in quanto<br />

breve “seriale”). Sette sono lucchesi, tre riguardano località della<br />

Lombardia. Sono <strong>per</strong> l’esattezza i seguenti:<br />

1) 739, Lucca CDL 70 ChLA 916 b<br />

2) 758, Lucca 128 947 b<br />

3) 761, Lucca 154 965<br />

4) 761, Brescia 158 – (copia)<br />

5) 762, Lucca 161 969<br />

6) ante 769, Campione 233 851<br />

7) 770, Lucca 237 1010<br />

8) 770, Lucca 247 1019 b<br />

9) 771, Lucca 251 1020 b<br />

10) 771, Campione 252 853<br />

Solamente due testi contengono elenchi. Sono le scritture attestanti<br />

due divisioni di beni tra <strong>il</strong> vescovo Peredeo e suoi fam<strong>il</strong>iari<br />

fatte nel 761 e 762, nn. 3 e 5: la prima riporta tre « brevia de<br />

(27) Ibid., n. 305.


SUI ‘BREVI’ ITALIANI ALTOMEDIEVALI 15<br />

homenis » (70 nomi in tutto), la seconda è articolata in tre liste<br />

introdotte da « Noticia facio ego ... ». Gli altri non hanno carattere<br />

seriale: ci sono testi che riguardano donazioni nuziali, convenientiae<br />

cioè accordi tra due parti, mundia cioè emancipazioni.<br />

Sono denominati « breve », o in intestazione o in sottoscrizione,<br />

tre testi (nn. 2, 3, 7, lucchesi), altrettanti « notitia » o « noticia<br />

» o « noditia » (nn. 2 e 5, lucchesi; n. 6, lombardo) (28) , uno<br />

« memoraturium » (n. 1, lucchese), uno « cartula » (n. 4, bresciano).<br />

I termini breve e notitia sono combinati nei nn. 3, lucchese<br />

(« notitia brevis »), e 10, campionese (« notitia brevis memoratorio<br />

pro foturis temporibus », alla fine « brevis memoratorio »).<br />

In due casi (entrambi lucchesi) la scritta non ha autonomia,<br />

ma è unita a una cartula offersionis: la n. 8 ha un “poscritto” che<br />

documenta una convenientia <strong>per</strong> la sua realizzazione; la n. 9 porta<br />

sul verso un’annotazione interessante. Il chierico F<strong>il</strong>ippo aveva redatto,<br />

<strong>il</strong> 18 marzo, una cartula offersionis di un Perforeo alla chiesa<br />

di S. Pietro, scrivendo che costui offriva non solo i suoi beni<br />

ma anche se stesso; sbagliato, disse <strong>il</strong> vescovo Peredeo su richiesta<br />

del soggetto; e <strong>il</strong> 5 apr<strong>il</strong>e F<strong>il</strong>ippo rase, nella cartula già scritta,<br />

quelle parole (c’è in effetti a quell’altezza una rasura di mezza<br />

riga) (29) . Evidentemente <strong>per</strong> non ingenerare sospetti su quell’intervento,<br />

si premurò di dichiararlo sul verso dello stesso foglio: « ego<br />

F<strong>il</strong>ippus clericus iscriptor huius cartule abstuli de hanc cartulam ...<br />

[le parole incriminate] et iterum ividem rescripsi », “ci ho riscritto<br />

sopra”.<br />

Varie sono le modalità redazionali e le strutture compositive.<br />

Emergono, senza <strong>per</strong>altro imporsi come tipiche, soluzioni che marcano<br />

una differenza acuta con la charta: essenzialmente la forma<br />

narrativa, dimostrata non solo dal formulario del dispositivo (terza<br />

<strong>per</strong>sona e verbo al passato, benché in compresenza con brani in<br />

prima <strong>per</strong>sona) ma da altri fatti connessi: l’indicazione immediata<br />

del tipo di documento, legata con « qualiter » o altra espressione<br />

(28) Si cita allora, <strong>per</strong> restare entro <strong>il</strong> limite dell’VIII secolo, <strong>il</strong> documento<br />

ChLA 836 (Asti, 792: <strong>per</strong>ciò assente da CLA): esso ha tutta la struttura e <strong>il</strong><br />

formulario di una charta ma è definito noticia: all’inizio, dopo la datazione, « noticia<br />

commudacionis qualiter vigario fecerunt ... »; alla fine, prima delle sottoscrizioni,<br />

« unde duas noticias pari tinore conscriptas ... ».<br />

(29) Ma Schiaparelli valuta diversamente, seguìto dall’editore di ChLA 1020.


16<br />

ATTILIO BARTOLI LANGELI<br />

al dispositivo (ad esempio « noditia qualiter Arichis tradidit nepta<br />

sua ... », n. 6); la datazione in fine, introdotta da « actum » o « factum<br />

» e legata alla menzione dei testimoni con la formula « in presentia<br />

». Ma l’escatocollo, come sempre in diplomatica, va osservato<br />

con qualche attenzione.<br />

Due soli brevi presentano un escatocollo da charta, i nn. 3,<br />

lucchese, e 10, campionese. Strettamente fedele al modello è <strong>il</strong><br />

n. 10, poiché dopo la datazione « facta notitia brevis memoratorio<br />

... » con datazione e feliciter si hanno la sottoscrizione del richiedente,<br />

l’intervento dei testimoni (tre signa manus e una sottoscrizione)<br />

e la sottoscrizione del redattore. Adattato alla fattispecie<br />

è invece l’escatocollo del n. 3: « Facta suprascripta notitia<br />

... (datazione cronica) et scripsi ego Osprandus diaconus »; sottoscrizioni<br />

dei due attori; signa manus di tre testimoni; sottoscrizione<br />

dell’estensore. In entrambi i casi quest’ultima, la sottoscrizione<br />

dell’estensore, è al modo della charta: n. 3 « Ego Osprandus<br />

diaconus scriptor post breve tradita ... complevi et dedi »; n.<br />

10 « Ego qui supra Wal<strong>per</strong>t indignus presbiter scriptur huius<br />

brevis memoratorio quam postradita conplevi et dedit ». Due<br />

scritte, entrambe lucchesi, portano una sottoscrizione notar<strong>il</strong>e ben<br />

diversa dalla completio (nn. 2: « scripsi » e 7: « scribsi et interfui<br />

»). I restanti non sono sottoscritti da notaio; paradossale <strong>il</strong> n.<br />

158, bresciano, che è denominato « cartula » ma non ha nulla di<br />

essa (30) .<br />

Segnalo infine che alcuni testi lucchesi sono in latino comune,<br />

grammaticale (specialmente le convenientiae nn. 7 e 8; lo sono<br />

anche alcune delle inquisitiones sopra menzionate). Se è vero che<br />

nella charta, riflesso documentario della legge, si doveva ut<strong>il</strong>izzare<br />

<strong>il</strong> latino del diritto – quel latino ‘langobardico’ che è costruzione<br />

giuridica e niente affatto frutto d’ignoranza –, forse fuori<br />

della charta era possib<strong>il</strong>e ut<strong>il</strong>izzare una lingua grammaticata, se<br />

alla portata del redattore. Valga almeno, quest’annotazione, come<br />

suggerimento a osservare ed eventualmente distinguere i comportamenti<br />

linguistici dei notai, che rappresentano un dato costitutivo<br />

della cultura documentaria del medioevo centrale.<br />

(30) Esattamente contrario è <strong>il</strong> caso astense di cui alla nota 28: una cartula<br />

intitolata « noticia ».


3. Brevia, chartae, notitiae<br />

SUI ‘BREVI’ ITALIANI ALTOMEDIEVALI 17<br />

Fuori della charta: non c’è altro modo di giudicare queste scritture,<br />

nelle quali <strong>il</strong> carattere sicuramente documentario è altrettanto<br />

evidente dell’assenza di ogni modello comune. Di fatto avveniva<br />

questo: si sentiva <strong>il</strong> bisogno di documentare un atto che, <strong>per</strong> la<br />

sua natura, non consentiva o non rendeva necessario <strong>il</strong> ricorso alle<br />

formalità della charta; e allora l’estensore procedeva empiricamente,<br />

in piena libertà, a un’attestazione scritta che otteneva comunque<br />

lo scopo di attestare, provare, “dar notizia”.<br />

A ben vedere queste disparate attestazioni dell’VIII secolo confermano<br />

la primarietà della charta, unica scrittura notar<strong>il</strong>e degna del<br />

nome di munimen, garante della costruzione giuridica e patrimoniale<br />

della società, pienamente valida <strong>per</strong>ché risultante da una procedura<br />

e da una scrittura regolate, “a norma di legge”. Il dato più significativo<br />

è fornito da quei redattori lucchesi che conosciamo come autori<br />

sia di chartae che di brevia, i quali nelle due evenienze adottano<br />

comportamenti differenti. Il loro stesso o<strong>per</strong>are dimostra che in quella<br />

fase la charta non aveva alternative dello stesso livello e della stessa<br />

forza: brevia, notitiae, memoratoria non pretendevano affatto di surrogarla<br />

o soppiantarla; si muovevano in un ambito non occupato né<br />

occupab<strong>il</strong>e da essa. Proprio <strong>per</strong> la sua rigidità procedurale e redazionale<br />

la charta lasciava a<strong>per</strong>ta una zona franca in cui certe esigenze<br />

di documentazione potevano realizzarsi in maniera libera ed elastica.<br />

Qui infatti subentrava l’uso del modo narrativo, capace di aderire<br />

senza condizionamenti al fatto e ai suoi precedenti: già Mab<strong>il</strong>lon avvertiva<br />

che <strong>il</strong> breve è « velut historica rei gestae narratio » (31) .<br />

È <strong>per</strong> quest’ultimo motivo che la notitia fu la forma espositiva<br />

adottata <strong>per</strong> i placiti, anche i più solenni. Solo al modo narrativo<br />

si poteva dar conto agevolmente delle motivazioni addotte dalle<br />

parti, dello svolgersi del dibattimento, della successione delle fasi<br />

processuali. E <strong>per</strong>ò la notitia iudicati, fatta ad memoriam retinendam,<br />

era un documento formato e strutturato, che ribadiva e anzi<br />

esaltava le modalità di roboratio della charta (le sottoscrizioni), tut-<br />

(31) Cfr. S. P. P. Scalfati, “Forma chartarum”. Sulla metodologia della ricerca<br />

diplomatistica, in Scalfati, La Forma e <strong>il</strong> Contenuto. Studi di scienza del documento,<br />

Pisa 1993, pp. 51-85: 61-62.


18<br />

ATTILIO BARTOLI LANGELI<br />

t’altra cosa dalle stesure di cui stiamo discorrendo. È chiaro a<br />

questo punto <strong>il</strong> senso distinto delle due parole, notitia e breve.<br />

Un documento era chiamato notitia non in riferimento alle modalità<br />

di autenticazione, ma <strong>per</strong> essere costruito al modo narrativo;<br />

era chiamato breve, invece, <strong>per</strong> essere scritto senza le formalità<br />

proprie del documento valido a tutti gli effetti. La dizione congiunta,<br />

notitia brevis, significava la fusione dei due elementi.<br />

4. Brevi e notai: uno spunto dalla Langobardia minor<br />

La più evidente delle differenze tra la charta e <strong>il</strong> breve-documento<br />

sta nella sottoscrizione del redattore, che può esserci e può non<br />

esserci. Per quanto ridotto, <strong>il</strong> campione dei dieci brevia riscontrati<br />

nel Codice diplomatico longobardo presenta incidenze significative: sei<br />

brevi non sono sottoscritti; nei quattro che lo sono, due redattori si<br />

accomodano sulla soluzione notar<strong>il</strong>e consueta e forte, « post traditam<br />

complevi et dedi »; due invece dichiarano l’autografia, « scripsi », <strong>il</strong><br />

che non configura, dati i tempi e le leggi, alcuna roboratio. La cosa<br />

induce <strong>il</strong> problema dei redattori: notai o no? (senza nemmeno toccare<br />

<strong>il</strong> tema, assai spinoso, del notariato longobardo).<br />

Che <strong>il</strong> problema fosse reale è dimostrato da una legge di un<br />

principe di Benevento, Adelchi, dell’anno 866:<br />

Inconveniens usque modo consuetudo extitit, ut quisquis voluisset, si<br />

nosset, scribere brevem, undecumque oportunitas exegisset. Amodo autem<br />

decernimus, ut soli notarii brevem scribant, sicut et cetera munimina.<br />

Et quiscumque deinceps brebis fuerint absque notarii subscriptionem<br />

ostensus, nullam retineat firmitatem; quoniam multos ex <strong>il</strong>lis deprehendimus<br />

fuisse falsos, quod deo opitulante cupimus, ut ulterius non fiat (32) .<br />

Nulla di sim<strong>il</strong>e nelle leggi dei re longobardi, pur così abbondanti<br />

di prescrizioni circa gli scrivae e i loro documenti, e nemmeno<br />

(32) Capitula domni Adelchis principis, 8: ed. G. H. Pertz, in MGH, Leges, IV,<br />

IV (Edictus Langobardorum), Hannoverae 1868, p. 212. Cfr. P. Bertolini, “Actum<br />

Beneventi”. Documentazione e notariato nell’Italia meridionale langobarda (secoli VIII-<br />

IX), M<strong>il</strong>ano 2002 (Fonti e strumenti <strong>per</strong> la storia del notariato <strong>italiano</strong>, 11), p. 162.<br />

Qui, nota 69, si rinvia a un’esposizione che non ho trovato; a meno che si tratti<br />

della nota 270 a p. 224, dove si dice che i « breves (documenti costitutivi) » risultano,<br />

a partire dalla fine dell’VIII secolo, « tutti rogati da un notaro » (corsivo<br />

dell’autore), <strong>per</strong>ò indicando documenti che sembrano cartulae della più bell’acqua.


SUI ‘BREVI’ ITALIANI ALTOMEDIEVALI 19<br />

nei capitolari italici dei Carolingi: ma indubbiamente la situazione<br />

denunciata e risolta dal principe Adelchi nel pieno IX secolo doveva<br />

verificarsi, o essersi verificata, nel Regno. Quella stessa alterità<br />

dei brevia-documenti rispetto ai munimina sulla quale verte la legge<br />

beneventana era dichiarata nell’elenco pisano dal quale siamo partiti,<br />

con le stesse parole (« inter monimina et brevi »). Dal canto loro, i<br />

brevia dell’VIII secolo fin qui considerati depongono appunto nel<br />

senso di scritture non necessariamente delegate a notai e che, quand’anche<br />

gli estensori lo fossero, non abbisognavano di completio.<br />

In effetti, anche nella Langobardia minor (“minore” ma ben<br />

più duratura della “maggiore”) si ripete l’opposizione tra le forme<br />

documentali della chartula e del breve, detto più spesso, qui, memoratorium<br />

(33) . Opposizione formalizzata in termini precisi: la chartula<br />

è <strong>il</strong> documento costitutivo del negozio giuridico, <strong>il</strong> memoratorium<br />

è una scrittura accessoria e complementare di quella, eseguita<br />

dallo stesso notaio con la stessa data, che serve a garantire<br />

l’acquirente circa <strong>il</strong> possesso pacifico del bene acquisito; entrambe,<br />

poi, presentano un dettato in forma soggettiva e col tempo al presente<br />

(nell’una: « Ego declaro quod », nell’altra: « Memoratorium<br />

factum a me »). Analoghe sono le formalità convalidatorie, ossia le<br />

sottoscrizioni dei testimoni; poiché, come è noto, nei documenti<br />

dell’area longobarda meridionale è assente quella del notaio, indicato<br />

nella chartula dalla formula di rogatio espressa dall’attore (« Et te<br />

N. notarium scribere rogavi »), nel memoratorium da una dichiarazione<br />

dello stesso notaio, che afferma in prima <strong>per</strong>sona di aver<br />

scritto « eo quod interfui ». Le differenze col dualismo centro-settentrionale<br />

sono evidenti. Tanto più che a partire dal X secolo i<br />

due modelli tendono a confondersi fino a dar luogo a una struttura<br />

documentaria comune, denominata scriptum. Cosicché si potrebbe<br />

ricamare sull’inciso « sicut et cetera munimina » nel testo<br />

della legge dell’866: inciso che parrebbe riferito a « soli notarii »<br />

(“solo i notai scrivano i brevi, come avviene <strong>per</strong> gli altri munimina”),<br />

ma potrebbe coinvolgere anche la parola « scribant » (“solo i<br />

notai scrivano i brevi, alla stessa maniera in cui scrivono gli altri<br />

(33) Ut<strong>il</strong>izzo la sintesi, molto limpida, di A. Pratesi, Il notariato latino nel<br />

mezzogiorno medievale d’Italia, in Scuole diritto e società nel mezzogiorno medievale<br />

d’Italia (Università di Catania, Seminario giuridico), II, Catania [1987], pp. 137-<br />

168, specialmente 151-159: a p. 152 un cenno alla legge di Adelchi.


20<br />

ATTILIO BARTOLI LANGELI<br />

munimina”). Se non altro, si è autorizzati a pensare che la disposizione<br />

del principe Adelchi abbia influito sull’esito unitario.<br />

5. Qualche appunto di prospettiva<br />

Nel Regno italico, invece, <strong>il</strong> breve continuò ad essere ut<strong>il</strong>izzato<br />

in parallelo alla charta, uscendo a poco a poco da quegli inizi<br />

indistinti e multiformi fino a consolidarsi come vero e proprio<br />

modello documentario, ormai di esclusiva spettanza notar<strong>il</strong>e: <strong>il</strong> che<br />

avvenne durante l’XI secolo. I nomi che più di frequente si riscontrano<br />

in testa ai documenti di questa fatta sono « breve recordationis<br />

», « breve ad memoriam retinendam » e sim<strong>il</strong>i, con riduzione<br />

della ricca casistica nomenclatoria precedente. Ma nella storiografia<br />

è invalsa la formula del “dualismo charta-notitia”, un fenomeno<br />

riconosciuto e battezzato da Heinrich Brunner più di un<br />

secolo fa e successivamente precisato da Oswald Redlich (34) .<br />

Il breve lombardo e toscano del secolo XI ha caratteri davvero<br />

alternativi alla charta, che è naturale definire <strong>per</strong> comparazione<br />

– sia pure, qui, <strong>per</strong> tratti sommari. Da un lato un documento (la<br />

charta) che, <strong>per</strong> quanto ormai prosciugato dal suo formalismo originario,<br />

è direttamente efficace <strong>per</strong>ché le sue roborazioni (interventi<br />

testimoniali, traditio e completio notar<strong>il</strong>i) coincidono con <strong>il</strong><br />

compimento del negozio, dall’altro un documento di aus<strong>il</strong>io alla<br />

memoria degli intervenuti. Da un lato <strong>il</strong> nesso, dall’altro <strong>il</strong> distacco<br />

tra l’azione e la documentazione. Da un lato “attori” che esprimono<br />

le loro volontà in prima <strong>per</strong>sona, dall’altro semplici committenti.<br />

Di qui i riflessi testuali: nella charta forma soggettiva (comunque<br />

sia strutturata), nel breve forma narrativa (« noticia qualiter<br />

... »); la posizione della datazione, iniziale nella charta e bassa<br />

(con factum, actum, factum est hoc) nel breve; diversa dichiarazione<br />

dei testimoni <strong>per</strong>ché diverso era <strong>il</strong> loro ruolo, di garanti di<br />

(34) Sulla fondazione tardo-ottocentesca di tale dualismo si legga S. P. P. Scalfati,<br />

Alle origini della “Privaturkundenlehre”, in Libri e documenti d’Italia dai Longobardi<br />

alla rinascita delle città. Atti del convegno nazionale dell’Associazione italiana<br />

dei paleografi e diplomatisti (Cividale, 5-7 ottobre 1994), a cura di C. Scalon,<br />

Udine 1996, pp. 129-151, specialmente pp. 142-145 (su Brunner) e 145-149 (su<br />

Redlich). Allo stesso autore si deve la più chiara descrizione dei due modelli, nel<br />

saggio “Forma chartarum” già citato.


SUI ‘BREVI’ ITALIANI ALTOMEDIEVALI 21<br />

fronte alla collettività dell’atto-documento (signum manus) e invece<br />

di presenti all’atto (in presentia o interfuerunt testes); diversa la<br />

sottoscrizione dell’estensore <strong>per</strong>ché diverso era <strong>il</strong> suo ruolo, di « regista<br />

» dell’intera o<strong>per</strong>azione (« post traditam complevi et dedi ») e<br />

invece di testimone priv<strong>il</strong>egiato e “voce narrante” (« interfui [o ibi<br />

fui] et scripsi »). Rispetto alla necessaria unitarietà, alla compattezza<br />

formale e sostanziale della charta, infine, stava la dutt<strong>il</strong>ità (« plasticità<br />

» è la parola usata da Scalfati) del breve, la cui forma narrativa<br />

ammetteva qualsiasi variazione. Insomma: formalismo della<br />

charta, realismo del breve.<br />

Perché, in quali occasioni <strong>il</strong> notaio adottasse l’una o l’altra<br />

forma, sembra abbastanza chiaro. Mentre la charta serviva agli atti<br />

di alienazione (donazioni, vendite, <strong>per</strong>mute, testamenti), <strong>il</strong> breve<br />

occupò stab<strong>il</strong>mente l’ambito delle concessioni a tempo (livelli, enfiteusi),<br />

delle investiture, delle refute. Inoltre esso ebbe largo uso<br />

nei Comuni incipienti <strong>per</strong> gli atti di giurisdizione, soppiantando la<br />

vecchia notitia iudicati così come i tribunali consolari avevano soppiantato<br />

i vecchi collegi placitari. E infine invase lo stesso settore<br />

riservato da sempre alla charta, appropriandosi delle alienazioni. Il<br />

fatto è che <strong>il</strong> breve aveva imposto un nuovo modo di documentare,<br />

pratico e flessib<strong>il</strong>e, che erose a poco a poco <strong>il</strong> vecchio primato<br />

della charta. I valori della memoria e della veritas sostituirono l’efficacia<br />

costitutiva come ragione del fatto documentario. L’allargamento<br />

notevole dell’ambito della documentazione, degli atti documentab<strong>il</strong>i<br />

(“narrando” si poteva documentare tutto), si risolveva<br />

nella moltiplicazione delle tipologie negoziali e delle corrispondenti<br />

forme documentali, in piena adesione ai dinamismi sociali, civ<strong>il</strong>i,<br />

istituzionali. La pienezza della responsab<strong>il</strong>ità dei notai ne precisava<br />

<strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o culturale e tecnico e, insieme, ne consacrava l’autorevolezza<br />

di fronte al corpo sociale. Si aggiunga <strong>il</strong> grande sv<strong>il</strong>uppo<br />

della cultura giuridica e la rinascita del diritto romano classico,<br />

che giustificava e razionalizzava le innovazioni della pratica. Stanno<br />

tutti qui, nella libera documentazione ad memoriam retinendam,<br />

i fattori del cambiamento.<br />

Questo è <strong>il</strong> quadro generale, tratteggiato un po’ scolasticamente,<br />

di ciò che si usa definire <strong>il</strong> “passaggio dalla charta all’instrumentum”:<br />

formula non precisissima ma efficace. Le situazioni locali,<br />

tuttavia, presentano differenze r<strong>il</strong>evanti quanto ai tempi e alle<br />

modalità del processo. Un dato che sembra accomunare molte si-


22<br />

ATTILIO BARTOLI LANGELI<br />

tuazioni è la costituzione di un tipo “misto” di documento, che<br />

eredita alcuni elementi della charta tradizionale pur dichiarandone,<br />

di fatto, <strong>il</strong> su<strong>per</strong>amento. Ma in alcune zone resistette a lungo l’indipendenza<br />

“parallela” dei due modelli, fino al prevalere dell’uno<br />

sull’altro. Particolarissimo <strong>per</strong> la primarietà del fattore politico è <strong>il</strong><br />

caso di Genova, dove l’abbandono delle formalità della charta e<br />

l’elaborazione immediata di un nuovo modo di documentare (testimoniato<br />

br<strong>il</strong>lantemente, a distanza di una generazione, dal cartolare<br />

di Giovanni Scriba) si ha negli anni 1120-1130, in concomitanza<br />

con l’istituzione del consolato annuale e della cancelleria (35) .<br />

Altrove sembrano determinanti logiche intrinseche, di cultura notar<strong>il</strong>e,<br />

che lasciano soltanto intravedere la pressione delle dinamiche<br />

istituzionali. A Pavia (oggetto di una delle migliori monografie<br />

in tema) lo « svuotamento di significato della dicotomia charta-breve<br />

» e <strong>il</strong> definitivo successo della forma narrativa si collocano nel<br />

terzo quarto del secolo XII (36) . In area subalpina ancora negli anni<br />

1190 vige la polarità tra i due modelli: valga l’esempio del notaio<br />

Boso o Bosone, attivo prima nella Val di Susa, poi a Torino tra<br />

1165 e 1195, che <strong>per</strong> le vendite, donazioni e <strong>per</strong>mute usa – come<br />

altri suoi pari torinesi – sia la forma del breve sia la forma della<br />

charta. Perfettamente equivalenti sul piano giuridico, le due soluzioni<br />

rispondevano a logiche formali e quasi retoriche: in particolare<br />

<strong>il</strong> modello antico serviva a Boso <strong>per</strong> connotare nel senso del<br />

prestigio e della solennità gli atti di riferimento ecclesiastico e forte<br />

r<strong>il</strong>ievo sociale (37) .<br />

Il passaggio dell’XI-XII secolo è uno dei problemi forti della<br />

storiografia diplomatica, e non bastano questi pochi cenni <strong>per</strong> risolverlo<br />

o esaurirlo. La quantità delle informazioni è sempre più<br />

ampia. Occorre procedere <strong>per</strong> indagini analitiche di quadro locale,<br />

che leggano le fonti empiricamente, osservando le singole forme<br />

(35) Rinvio al mio Il notariato, in Genova, Venezia, <strong>il</strong> Levante nei secoli XII-<br />

XIV. Atti del convegno internazionale di studi (Genova-Venezia, 10-14 marzo<br />

2000), a cura di G. Ortalli - D. Puncuh, Genova-Venezia 2001, pp. 73-101.<br />

(36) Cfr. E. Barbieri, Notariato e documento notar<strong>il</strong>e a Pavia (secoli XI-XIV),<br />

Firenze 1990; le parole riportate a p. 62.<br />

(37) Cfr. A. Olivieri, Tecniche notar<strong>il</strong>i e condizionamenti sociali: Boso notarius<br />

dalla valle di Susa a Torino nella seconda metà del secolo XII, « Bollettino <strong>storico</strong>bibliografico<br />

subalpino », 96 (1998), pp. 65-123, specialmente pp. 90-111.


SUI ‘BREVI’ ITALIANI ALTOMEDIEVALI 23<br />

documentali e i comportamenti dei singoli notai (38) . Perciò ben<br />

vengano le edizioni, che non si finirà mai di desiderare. Aver citato<br />

a esordio di questo articolo <strong>il</strong> Codice diplomatico longobardo di<br />

Luigi Schiaparelli vale come dichiarazione di metodo.<br />

(Univ. Padova) ATTILIO BARTOLI LANGELI<br />

(38) Così si leggerà con attenzione l’annunciato saggio di Luisa Zagni su<br />

Carta, breve, libello nella documentazione m<strong>il</strong>anese dei secoli XI e XII, che comparirà<br />

tra breve nella raccolta di studi in memoria di Giorgio Costamagna e, in<br />

anteprima, nel sito Scrineum. Saggi e materiali on-line di scienze del documento e<br />

del libro medievali, presso l’Università di Pavia.

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