Primitivo.
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Università degli Studi di Pavia<br />
Facoltà di Ingegneria<br />
Corso di laurea in Ingegneria Edile Architettura<br />
<strong>Primitivo</strong>.<br />
Tesi di Stanislao Spezziga<br />
Relatore Prof. Arch. Tiziano Cattaneo<br />
Anno accademico 2009-2010
<strong>Primitivo</strong>.<br />
Tesi di Stanislao Spezziga<br />
Relatore Prof. Arch. Tiziano Cattaneo
Università degli Studi di Pavia, Facoltà di Ingegneria, Corso di laurea in Ingegneria Edile Architettura, anno<br />
accademico 2009-2010
<strong>Primitivo</strong><br />
Indice<br />
1. Introduzione. (pag 10)<br />
pesci combattenti<br />
Ritornerò allontanandomi. un metodo<br />
Analisi. Teoria. e Tesi. tre movimenti<br />
2. Prologo. (pag 30)<br />
where are we going?<br />
Un manifesto incompleto per la crescita.<br />
dove stiamo andando?<br />
evoluzione. due teorie<br />
3. Analisi. (pag. 42)<br />
Verso il precipizio…<br />
l'Uomo.<br />
il Paesaggio.<br />
Il paesaggio come immagine<br />
Spaesamento, perdita di luogo e rilocalizzazione dell'identità culturale<br />
Scompaginazione dei luoghi e perdita dell'identità<br />
Memoria e conservazione.<br />
l'Architettura<br />
Architettura. Otto definizioni<br />
Liquefazione<br />
Sperimentazione<br />
Codice ovvio<br />
Straniamento<br />
Decontestualizzazione<br />
Sostituzione<br />
Inclusione<br />
Smontaggi/Rimontaggi<br />
Salto di scala<br />
Analogia<br />
Innovazione<br />
Il contesto dell'innovazione<br />
Progettazione digitale<br />
Architettura. la musa depositaria del tempo e della conoscenza<br />
Riproduzione di forme e la teoria di Derrida<br />
Derrida<br />
Architettura normale in un paese normale.<br />
Infinità dei materiali<br />
Periodo di sovrapproduzione<br />
Tamara<br />
Morte della Composizione.<br />
Novecento<br />
esito progettuale. studio di uno spazio aperto<br />
quale futuro?<br />
uomo o macchina?<br />
Devoluzione.
4. Teoria. (pag 154)<br />
la lontananza<br />
l'Uomo<br />
il Desiderio<br />
Zenobia<br />
Prologo<br />
Dominio natura<br />
Dominio altri uomini<br />
Immortalità<br />
Perfezione<br />
Volare<br />
Felicità<br />
gli Dei<br />
i Dialoghi<br />
La nube<br />
Epilogo<br />
evoluzione.<br />
manifestazione di un desiderio<br />
la concezione di Hilberseimer<br />
I Murales di Orgosolo<br />
il Paesaggio<br />
Luoghi<br />
Ethos<br />
l'Architettura<br />
Un'unica strada, architettura, uomo, arte<br />
Un riferimento nell'arte<br />
Continuità dell'esperienza classica<br />
Identità<br />
Identità e composizione<br />
il pensiero di Khan<br />
il pensiero di Le Corbusier<br />
La ricerca della forma<br />
Abitare il paesaggio<br />
Il carattere degli edifici<br />
<strong>Primitivo</strong> vs. Riproduttivo<br />
La ricerca dell'essenziale nell'arte<br />
Frammenti.<br />
segni, tracce, suoli<br />
Tela.<br />
Aldo Rossi, Tessiture Sarde<br />
micro-urbanistica soffice<br />
5. Tesi. (pag. 236)<br />
<strong>Primitivo</strong>. l'Architettura deve tornare alle origini<br />
paesaggio primitivo<br />
Ombre<br />
il Potenziale<br />
desiderio. la terra deve tornare ai contadini<br />
verso un'agricoltura urbana<br />
progetti<br />
le ipotesi tempo libero, ecologia e produzione<br />
un riferimento imprescindibile
desiderio. smilitarizzazione<br />
manifestazione di un desiderio<br />
un'esperienza. i laogai cinesi<br />
un diario<br />
perché parlare dell'inferno<br />
vederla crescere<br />
esito progettuale. Pieve Emanuele<br />
Architettura primitiva<br />
una visione. una città di uomini volanti<br />
la costruzione di un'idea di città<br />
Isaura<br />
scenari futuri<br />
il Pensiero di Aldo Rossi<br />
un pezzo di cielo. il segreto dei Nuraghi<br />
identità dei Nuraghi<br />
un desiderio<br />
manifestazione<br />
Pietra<br />
lo sviluppo di un'idea di città<br />
il sonno della ragione genera mostri<br />
Architettura come costruzione<br />
5+1 abstract<br />
Rifondazione!<br />
esito progettuale. Cagliari<br />
conclusione
Ai miei Genitori.<br />
"sono storie facili.<br />
come quelle che ti raccontavano da piccolo.<br />
e tu credevi vere.<br />
com'è stato facile restare fermo.<br />
immobile.<br />
chiudendo gli occhi.<br />
e rinunciando a vedere.."<br />
tratto da Fantasma.<br />
(Linea 77)
Introduzione.
pesci combattenti.<br />
qualcuno dovrebbe rimetterli nel fiume..<br />
-Perchè stanno separati?-<br />
sono pesci combattenti.<br />
si ucciderebbero tra loro.<br />
è vero sai?<br />
sono pesci combattenti siamesi.<br />
guarda..<br />
se gli metti uno specchio davanti al vetro<br />
cercando di uccidere se stessi<br />
in quell'immagine.<br />
chissà se lo farebbero nel fiume..<br />
appartengono al fiume.<br />
non combatterebbero se fossero nel fiume.<br />
se avessero..<br />
spazio.<br />
12<br />
Monologo tratto dal film Rumble Fish (1983)<br />
diretto da Francis Ford Coppola<br />
e basato sull'omonimo romanzo di Susan E. Hinton
13<br />
a lungo mi son interrogato sul significato di spazio.<br />
tuttavia ancora oggi nè ho solo l'idea.<br />
ed è tutta un casino.<br />
ho sempre rifiutato le cose che mi venivano imposte.<br />
tutte.<br />
comprese quelle che ti porti dentro fin dalla nascita.<br />
e che dipendono dal dove.<br />
nasci.<br />
non solo.<br />
ho sempre reputato anche persone stupide e limitate<br />
tutte quelle che parlavano sempre e solo della propria<br />
cultura tradizionale.<br />
e che asfissiati dai luoghi comuni del "dover esser"<br />
rinunciavano a capire le altre culture.<br />
a priori.
non ho mai avuto un rapporto facile con la mia terra.<br />
con la sua cultura. troppo chiusa in se stessa. troppo<br />
poco capace di rinnovarsi continuamente.<br />
troppo schiava di ignoranza e stagnazione.<br />
e con le sue monumentali architetture. i nuraghi.<br />
così pesanti. e noiosi. da sempre troppo carichi di<br />
superflui significati e pagine di storia.<br />
..eppure nessuno li ha mai capiti.<br />
per questo mi sono allontanato.<br />
e oggi posso dire che niente. davvero niente.<br />
come tornare in un luogo rimasto immutato.<br />
mi fa capire quanto sono cambiato.<br />
anche il rapporto con la scuola pavese è sempre stato<br />
complicato.<br />
l'ho sempre vista come un fabbrica di persone<br />
lobotomizzate. dove viene premiata la costanza.<br />
non la qualità. una sorta di catena di montaggio.<br />
che inizia sempre dalla prima fila.<br />
io son sempre stato in ultima. in tutti i sensi.<br />
avevo più spazio.<br />
14
man mano che il tempo passava gli esami si<br />
susseguivano con ritmo più o meno regolare.<br />
q u e s t o p e r c h è s o p r a t t u t t o n e i p r i m i a n n i<br />
comportavano uno studio molto faticoso.<br />
perchè ero consapevole di sacrificare la mia<br />
libertà.<br />
non so ancora di che tipo di libertà si tratti.<br />
so solo che son sempre riuscito a difenderla. non<br />
sempre con l'impegno.<br />
a volte con la dimenticanza. la distrazione. la<br />
fuga. la malattia.<br />
poi qualcosa è cambiato.<br />
ho finalmente trovato dei Maestri.<br />
dei riferimenti.<br />
che tutt'oggi cerco sempre di celebrare.<br />
conservo nella memoria le prime parole del Prof.<br />
Angelo Bugatti.<br />
p e r i l q u a l e h o s e m p r e n u t r i t o u n a s t i m a<br />
particolare.<br />
parole di lotta.<br />
contro i nemici di sempre.<br />
15<br />
la banalità. i luoghi comuni. il compromesso. la<br />
superficialità.<br />
"togliere i veli che ricoprono l'essenza delle<br />
cose".<br />
"chiamarle con il loro nome".<br />
e "mai prendersi troppo seriamente".<br />
sono lezioni che porto ogni giorno nella mia tasca<br />
più intima.<br />
già. perchè in quegl' anni in realtà sapevo da che<br />
parte schierarmi.<br />
da quale sponda del fiume stare. ma ero ancora<br />
troppo istintivo.<br />
miravo sempre a stupire. a meravigliare. andando a<br />
creare architetture improbabili<br />
e che spesso "somigliavano più a quadri surrealisti<br />
o sculture".<br />
devo molto al Prof. Giacomo De Amicis..<br />
"non siamo animali. non possiamo fare quello che<br />
vogliamo."
17<br />
passavo le giornate tra il profumo delle pagine di<br />
libro nella aule dell'Università<br />
e il puzzo delle magliette sudate nelle palestre di<br />
pugilato.<br />
devo molto anche al pugilato.<br />
e oggi nel formato quadrato di questo scritto cerco di<br />
celebrarlo.<br />
la prima volta che entrai li dentro capii subito non<br />
c'era una logica.<br />
o meglio che ve n'era una meno razionale.<br />
la gente si batteva. ma era sempre uno contro uno. con<br />
delle regole.<br />
se ti batteva significa che era stato più bravo.<br />
e comunque dall'altro non avevi che da imparare.<br />
avevo gambe secche. collo lungo. e polsi fini.<br />
nessuno mi avrebbe mai dato due lire.<br />
eppure non so. mi veniva naturale boxare. sollevavo le<br />
spalle. facevo andare il sinistro.<br />
e mi muovevo cercando l'armonia. una sorta di lentezza.<br />
non mi importava di esser colpito.<br />
non mi è mai importato un caxxo della mia faccia.<br />
e forse era questo che piaceva alla gente. non mi<br />
coprivo. io schivavo.<br />
in realtà non l'ho mai confidato a nessuno ma a me<br />
sembrava di ritornare a suonare il violino.<br />
facevo lunghe arcate. lente. nostalgiche. poi saltavo<br />
la corda. andavo a quella del mi. un suono secco.<br />
violento.
icordo che non avevo nemmeno un match quando<br />
iniziarono a parlarmi di universiadi e cinture.<br />
riuscivo ogni giorno a vedere i miei limiti. imparavo.<br />
ma non solo.<br />
riuscivo anche a capire la città dai racconti degli<br />
extracomunitari. ero a contatto con delle persone<br />
"povere". ma non in senso tradizionale. mi riferisco<br />
al fatto vivevano con l'essenziale. affrontavano ogni<br />
giorno i problemi e le difficoltà del quotidiano.<br />
c'era chi aveva una famiglia. chi faceva il meccanico.<br />
chi il ladro. lo spacciatore. l'avvocato.<br />
e qui trovai una persona che mi seguì sin dal primo<br />
giorno in ogni cosa.<br />
dai passi allo specchio alle lezioni universitarie<br />
alle scelte di vita.<br />
e oggi nonostante molte delusioni che gli ho dato<br />
fabio acerbi è ancora uno dei miei Maestri.<br />
è ancora uno che mi da spazio.<br />
grazie ai suoi insegnamenti avevo il rispetto di<br />
tutti. e qui ho capito che un domani per esser un buon<br />
capitano bisogna conoscere tutte le rotte. le<br />
correnti. tutti i venti. i mulinelli. ma soprattutto i<br />
pirati..<br />
e che questa sensazione di esser rispettato ovunque.<br />
in ogni spazio. gli altri la sentono. lo so perchè<br />
anch'io per primo la sentivo stando vicino al Prof.<br />
Roberto De Lotto. da lui ho appreso uno degli<br />
insegnamenti più importanti di Mau: saltare gli<br />
steccati. attraversare i campi. pentagramma. ring.<br />
mi sento davvero bene dentro questi spazi.<br />
18
ho solo accennato di limiti. e di delusioni. non mi<br />
va di parlarne.<br />
anche perchè non ho ancora ben capito quest' angolo<br />
del mio carattere.<br />
so solo che quando qualcosa diventa troppo<br />
importante o troppo ombrosa vado via.<br />
e non mi importa più. o almeno per un pò.<br />
eppure succede qualcosa ogni volta che scappo.<br />
sembra che impari a conoscermi meglio.<br />
così credo che la volta in cui mollai il pugilato<br />
per gli studi segnò il mio passaggio dalla fase<br />
istintiva a quella collettiva. mi pesavano sulle<br />
spalle i sacrifici dei miei genitori. il fatto che<br />
ormai la gente che avevo intorno mi rispettasse per<br />
i pugni. non per le mani. e che ogni giorno per tre<br />
ore mi rintanavo nello stesso spazio. guardando le<br />
stesse facce. sentendo le stesse storie. pensando<br />
"ho quello che volevo?"<br />
a questa fine è subito seguito un inizio. una nuova<br />
passione. la fotografia.<br />
persi il libretto di istruzioni della macchina<br />
fotografica il giorno stesso in cui me la<br />
regalarono.<br />
tutt'oggi credo sia il mio strumento più bello.<br />
quello che mi permette di arrivare agli altri.<br />
di entrargli sotto la pelle. grazie ad essa mi son<br />
legato a tante e nuove e interessanti persone.<br />
19<br />
le soddisfazioni personali. la fama. i match. sono<br />
ormai un qualcosa di lontano.<br />
voglio altro. voglio vedere lo stupore negli occhi<br />
della gente. ma non solo.<br />
voglio render giustizia a quelle cose che il buon<br />
gusto comune (che forse non è poi così comune..)<br />
giudica invisibili. forse volgari.<br />
gli scoppiati. i pazzi. i fuorilegge. mi interessano<br />
soprattutto loro.<br />
ricordo ancora la prima volta in cui mostrai a due<br />
amici una foto scattata ad un pazzo nel centro di<br />
pavia.<br />
nessuno si era mai posto la domanda di quale fosse<br />
la sua pazzia.<br />
eppure lui aveva nelle sue mani tutto l'equilibrio<br />
dell'universo. metteva il bastone sul naso. e<br />
ballava.<br />
ballava. e ancora ballava..<br />
senza farlo cadere.<br />
trovava la mezzeria perfetta.<br />
e ogni qual volta questo si sbilanciava troppo<br />
riusciva a riprenderlo sbilanciando anche tutto il<br />
corpo.<br />
poi metteva le cose una sopra l'altra. grandi.<br />
piccole. rotonde. quadrate. scavate. lisce.<br />
superfici sferiche sopra cubiche sopra piane sopra<br />
piani inclinati.<br />
io lo chiamavo l'Equilibrista..
21<br />
mi sentivo più maturo. iniziai persino ad odiare gli<br />
esaltati. quelli che volevano sempre attirare<br />
l'attenzione.<br />
quelli che si ritenevano e avevano un'opinione di se<br />
talmente egocentrica da pensar di poter essere al di<br />
sopra della storia dei luoghi. della memoria. che con<br />
le loro architetture fatte di gesti e non di principi<br />
andavano a macchiare o meglio timbrare un luogo. e<br />
capii forse una delle lezioni più belle di loos. la<br />
moda maschile.<br />
un uomo se vuole vestirsi in modo corretto non deve<br />
dare nell'occhio.<br />
ecco l'importanza della presa di coscienza della<br />
collettività.<br />
saper stare in mezzo agli altri. vivere con gli altri.<br />
per gli altri. gli altri.<br />
condividere. contaminare. contaminarsi.<br />
esperienze. gioie. ma soprattutto difficoltà.<br />
c'è una scritta sul gomito di una ragazza.<br />
!"#$<br />
significa Ānanda<br />
beatitudine assoluta.<br />
pura felicità senza oggetti. condizione inerente<br />
all'essere consapevole della pienezza del proprio<br />
Essere.
è una preghiera.<br />
"non chiedo di essere esentato dai pericoli. chiedo<br />
il coraggio per affrontarli. non prego che il mio<br />
dolore sia alleviato. prego di avere il coraggio per<br />
affrontarlo. non cerco alleati sul campo di<br />
battaglia della vita. cerco la mia forza. non prego<br />
con ansiosa paura di essere salvato. ma spero di<br />
avere la pazienza di conquistare la mia libertà.<br />
un indiano nel porto di Doha ne ha riconosciuto il<br />
carattere antico.<br />
eravamo di ritorno da Shanghai. trenta giorni lunghi<br />
una vita.<br />
nè sono sempre più convinto. bisogna partire per<br />
trovare se stessi. lontano. dove la tua vita non<br />
vale niente.<br />
il mestiere del viaggiatore. del vento. ma<br />
soprattutto la sua nostalgia. il fatto di aver quasi<br />
sempre il cuore in un luogo diverso dal quale si<br />
trovano.<br />
non so se tutto questo o solo una parte lo abbia<br />
appreso dal Prof. Carlo Berizzi (anche se lui non lo<br />
sa..)<br />
son stato per certi versi un suo apprendista oscuro.<br />
distaccato. quasi sempre disinteressato.<br />
ricordo che fu lui per la prima volta a mostrarmi il<br />
"sonno della ragione" di Goya.<br />
un dipinto che ancora oggi ha un forte impatto<br />
emotivo in me. una libra.<br />
22
poi succede che un giorno prendi in mano un giornale.<br />
uno speciale di domus. sardegna.<br />
in primo piano un concorso. il nuovo museo dell'arte<br />
nuragica. betile.<br />
vinto da zaha hadid.<br />
[…]<br />
alcune pagine più avanti Aldo Rossi. i suoi ultimi 25<br />
anni trascorsi nell'isola.<br />
i suoi tappeti. i suoi studi sui nuraghi. del quale<br />
afferma di non esserne riuscito a capire il segreto..<br />
seppur tracciandone in maniera chiara l'identità. la<br />
composizione. il rapporto fra cielo e terra.<br />
ricordo che anche aldo mi fu imposto. come studio. e<br />
f o r s e p e r t r o p p a i m m a t u r i t à i m m e d i a t a m e n t e<br />
accantonato..<br />
in un attimo mi riavvicinai alla mia cultura.<br />
sentii di poterla capire. studiai l'architettura dei<br />
nuraghi.<br />
e nel frattempo iniziai a sognare uomini con le<br />
sembianze di dei. con teste animali e ali per volare.<br />
credo fosse l'influenza delle culture primitive che<br />
da sempre mi hanno affascinato a<br />
23<br />
dettarne le forme. eppure mi pareva un futuro sempre<br />
più reale. sempre più prossimo. e realizzabile.<br />
già perchè un'altra cosa alla quale pensavo già da un<br />
pò era "dove stiamo andando?"<br />
quale sarà il prossimo passo dell'evoluzione<br />
dell'uomo. quali sono i suoi desideri. come posso dar<br />
forma ai suoi desideri. come posso ispirarne invece<br />
il comportamento. come posso favorire il nascere di<br />
un'evento. come posso riuscir a far volare quegli<br />
uomini..<br />
iniziai a disegnare città di uomini volanti. skyline<br />
fatti di nuraghi. sin dall'inizio li immaginai in<br />
pietra. e paesaggi agricoli di grande estensione.<br />
davo forma ai desideri degli uomini che ritrovavo nei<br />
murales di Orgosolo.<br />
già perchè è alla voce sottile e silenziosa a volte<br />
impercettibile degli artisti che dobbiamo porgere<br />
l'orecchio. perchè nelle loro opere c'è sempre una<br />
dose di coraggio. un qualcosa di pericoloso. che sa<br />
di idea.<br />
(spero che un giorno questi ritornino nelle strade.<br />
nelle piazze. e allora tornerà anche la gente..)<br />
eppure non riuscivo a dargli un senso. ero ad un<br />
passo dal ricadere nella fase istintiva..
mi serviva una guida.<br />
la trovai in tiziano cattaneo. da subito.<br />
rimase affascinato da quest'idea.<br />
e mi diede spazio.<br />
son passati quasi due anni da quando ne parlammo per la<br />
prima volta..<br />
in tutto questo tempo mi ha sempre lasciato libero.<br />
lui non è mai stato uno di tante parole.<br />
ma di poche e profonde cose.<br />
mi ha buttato nel fiume.<br />
e oggi son tornato.<br />
consapevole di aver attraversato una fase individuale<br />
fondata sui principi di quella collettiva.<br />
e l'ho fatto anche per celebrare il suo insegnamento.<br />
perchè credo che lontano da questa università mi<br />
rimarrà una convinzione a consolazione della vita.<br />
il fatto di appartenere. e quindi di appartenerci.<br />
24
Ritornerò allontanandomi.<br />
un metodo.<br />
26
27<br />
Daniel Egneus, the pelicanthief and other stories.
Analisi. Teoria. e Tesi.<br />
tre movimenti.<br />
vi sono tre movimenti in questo scritto.<br />
analisi. teoria. e tesi.<br />
nel primo movimento ho analizzato la realtà. quello<br />
che guardo.e in funzione del tempo ne ho evidenziato<br />
le criticità.<br />
vi è poi un secondo movimento nel quale mi sono<br />
impegnato nella costruzione logica di una teoria<br />
scientifica e oggettiva che mira ad una rifondazione<br />
generale della disciplina. una via. per affermare<br />
una scelta ben precisa: la teoria si costruisce<br />
partendo dal confronto con una realtà specifica e<br />
complessa. sempre nel secondo movimento ho raccolto<br />
una serie di studi, di analisi e di considerazioni<br />
maturate e approfondite nel periodo della mia<br />
formazione nell'ambito della scuola pavese: con<br />
scritti, saggi e riflessioni dei miei stessi<br />
professori. ne ho rielaborato alcuni in forma<br />
sintetica, altri invece li ho trascritti. di pugno.<br />
come esercizio. perché credo che solo provando a<br />
riscrivere un qualcosa al quale non riusciresti ad<br />
aggiungere o togliere niente che riesci ad<br />
avvicinarti al "senso". alla sua metrica. e poetica.<br />
come ho sempre fatto con gli scritti i bukowski.<br />
e infine un terzo movimento. in cui la necessità di<br />
una teoria diviene in sostanza definizione di una<br />
poetica, in cui alla memoria storica collettiva,<br />
civile e oggettivabile si sovrappone la memoria<br />
individuale, la necessità dell'autodescrizione,<br />
l'inevitabilità della componente soggettiva.<br />
mostrerò quindi dei binomi che non sono in<br />
opposizione fra loro. ma che anzi convivono<br />
semplicemente su piani diversi.<br />
in una lettera Aldo ha scritto:<br />
" per quanto io ritenga l'architettura un fatto<br />
positivo, un argomento concreto, penso che alla fine<br />
ci scontriamo contro qualcosa che non può essere del<br />
tutto razionalizzato: questo qualcosa è in gran<br />
parte l'elemento soggettivo." e più avanti..<br />
"i principi sono pochi e immutabili, ma moltissime<br />
sono le risposte concrete che l'Architettura e la<br />
società danno ai problemi che via via si pongono nel<br />
tempo".<br />
28<br />
Credo che la mia più grande aspirazione fosse la città<br />
analoga di Aldo (foto di fianco a destra).<br />
in cui l'Architettura si incontra con quello che ha<br />
dentro. già perchè Aldo vive.<br />
(e bisogna diffidare da chi afferma che sia morto.<br />
perchè è solo qualcuno che non è riuscito a capirlo..)<br />
come delle meduse i cui tentacoli urticanti si<br />
intrecciano con i gentili capelli di una donna.<br />
ma mi sento ancora così immaturo..<br />
e poi che senso avrebbe?!<br />
Heinrich Tessenow ha scritto che "le opere migliori o<br />
le più importanti oggi dovranno necessariamente<br />
comportare qualcosa di dichiaratamente primitivo, di<br />
primitivo non in senso infantile, ma nel senso di una<br />
maggiore consapevolezza, così per esempio una casa,<br />
nella sua soluzione migliore, avrà la forma di un<br />
parallelepipedo, se ascoltiamo il nostro istinto<br />
infantile, la casa dovrà essere variopinta; […] ma la<br />
nostra coscienza e le nozioni che possediamo del lavoro<br />
artigianale ci insegnano che dobbiamo respingere tutto<br />
ciò che è variopinto come superficiale, dilettantesco e<br />
malfatto."<br />
e ancora continua nella sua introduzione a -<br />
Osservazioni elementari sul costruire- dicendo:<br />
"non vogliamo nè una cosa dritta, nè storta, nè<br />
intelligente, nè stupida, non la vogliamo nè grossolana<br />
nè raffinata, dobbiamo conoscere ogni cosa, cosi<br />
potremo prendere da tutto l'insieme soltanto ciò che è<br />
veramente essenziale e importante. Per poterci<br />
avvicinare il più possibile a ciò che è giusto dovremo<br />
essere sempre molto scrupolosi; nulla ci sarà tanto<br />
nemico quanto la superficialità, dovremo continuamente<br />
ripetere a noi stessi: se questo è necessario, che sia<br />
poco, ma che sia l'essenziale da ogni punto di vista."<br />
oscillerò costantemente fra i movimenti.<br />
universale - arbitrario. collettivo - individuale.<br />
oggettivo - soggettivo. permanente - mutevole.<br />
razionale - visionario. con accostamento e addizione<br />
tra rigore logico e fantasia.<br />
Ritornerò allontanandomi.
Prologo.
where are we going?<br />
32
Bruce Mau.<br />
33
Un manifesto incompleto per la crescita.<br />
testo da Text di Bruce Mau<br />
Nel 1998 Bruce Mau, designer poliedrico, scrittore e<br />
artista “It’s not about the world of design. It’s<br />
about the design of the world..“, scrisse il<br />
“Manifesto (incompleto) per la crescita“, nel quale<br />
espresse i suoi convincementi e le sue idee sulla<br />
vita e su come renderla avvincente e soddisfacente.<br />
Ovvero quarantatre brevi indicazioni per affrontare<br />
il Ventunesimo secolo con animo libero e aperto.<br />
Premessa indispensabile per guardare avanti<br />
migliorandosi, come persone e come progettisti.<br />
E quindi eletto in questa occasione a preambolo per<br />
il dossier sulle possibili vie del prodotto<br />
industriale prossimo venturo.<br />
Ho letto questo testo per la prima volta durante il<br />
terzo anno di Università. Il prof. De Amicis, per il<br />
quale nutrivo e nutro ancora profonda stima , ce lo<br />
donò su carta pece. con scritte bianche. il titolo<br />
era chiaro.<br />
“where are we going?”<br />
una domanda che iniziò a rimbombarmi in testa.<br />
e se devo essere sincero diventò un’ossessione. così<br />
come lo stesso manifesto. del quale conservo in un<br />
angolo di muro quella stessa copia..<br />
più che un manifesto si potrebbe definire una<br />
‘ m a n i f e s t a z i o n e ’ d i i n d i r i z z i , m o d a l i t à ,<br />
suggerimenti per chi ogni giorno utilizza gli<br />
strumenti della creatività per esprimersi e<br />
comprendere il mondo che ci circonda. Una sorta di<br />
maieutica. L’aspetto più interessante di questo<br />
testo, concepito nell’ambito del design, sta nella<br />
sua componente propositiva e al tempo stesso di<br />
f o r t e s t i m o l o a l l ’ a u t o c r i t i c a . U n a v i s i o n e<br />
34<br />
‘economica’ della creatività, dove viene rispettata<br />
l a p r e d i s p o s i z i o n e d e l l ’ a m b i e n t e a l n o s t r o<br />
approccio, prima che avvenga il contrario. Una<br />
promozione della libertà dell’individuo prima ancora<br />
che dell’artista. L’intuizione sta nella ricerca<br />
dello spiazzamento e del paradosso, indotto per<br />
osservare le cose da più angolazioni, considerando i<br />
successi e gli insuccessi, promuovendo la crescita.<br />
Frasi come “una risposta sbagliata è la risposta<br />
giusta per una domanda differente” sono emblematiche<br />
per un condurre ricerca che costruisce i propri<br />
risultati mediante la constatazione degli errori<br />
come elementi del processo.<br />
1 Lascia che gli avvenimenti ti trasformino.<br />
Devi avere la volontà di crescere. La crescita non è<br />
una cosa che ti succede. Sei tu a farla. Sei tu a<br />
produrla. Requisiti preliminari della crescita:<br />
apertura a vivere a fondo gli eventi e disponibilità<br />
a farsi trasformare da essi.<br />
2 Dimenticati del buono.<br />
Il buono è una quantità nota. Il buono è quello su<br />
cui tutti siamo d’accordo. La crescita non è<br />
necessariamente buona. La crescita è un’esplorazione<br />
di recessi oscuri che possono rivelarsi fruttuosi<br />
per la nostra ricerca oppure no. Finché te ne starai<br />
attaccato al buono non crescerai veramente.<br />
3 Il percorso è più importante del risultato.<br />
Quando è il risultato a guidare il percorso<br />
arriviamo sempre e soltanto dove siamo già stati. Se<br />
è il percorso a fare da guida al risultato, magari<br />
non sappiamo dove stiamo andando ma ci renderemo<br />
conto che volevamo arrivare proprio là.
4 Ama i tuoi esperimenti (come ameresti un bambino<br />
cattivo). Il motore della crescita è la gioia.<br />
Sfrutta appieno la libertà organizzando il tuo<br />
lavoro in forma di esperimenti, iterazioni,<br />
tentativi, prove ed errori interessanti. Prendi le<br />
distanze e concediti ogni giorno il gusto di<br />
sbagliare.<br />
5 Vai fino in fondo.<br />
Più a fondo vai, più è probabile che tu scopra<br />
qualcosa di prezioso.<br />
6 Fa’ collezione di incidenti.<br />
Una risposta sbagliata è una risposta giusta in<br />
cerca di una domanda diversa. Raccogli le risposte<br />
sbagliate come parte del percorso. Poni domande<br />
diverse.<br />
7 Studia.<br />
Uno studio è un luogo per studiare. Usa le esigenze<br />
produttive come scusa per studiare. Tutti ne<br />
trarranno beneficio.<br />
8 Vai alla deriva.<br />
Permettiti di vagare senza meta. Esplora i dintorni.<br />
Non giudicare. Rimanda le critiche.<br />
9 Comincia da un punto qualunque.<br />
John Cage ci dice che non sapere da dove cominciare<br />
è una forma comune di paralisi. Il suo consiglio:<br />
cominciare da un punto qualunque.<br />
10 Tutti quanti sono capi.<br />
La crescita arriva. Quando lo fa, lasciala venire a<br />
galla. Quando è sensata impara a seguirla. Lascia<br />
che tutti siano capi.<br />
11 Fa’ tesoro delle idee, elabora le applicazioni.<br />
Per mantenersi in vita, le idee hanno bisogno di un<br />
a m b i e n t e d i n a m i c o , f l u i d o , g e n e r o s o . L e<br />
applicazioni, invece, traggono vantaggio dal rigore<br />
critico. Fa’ in modo che il rapporto tra idee e<br />
applicazioni sia alto.<br />
12 Spostati continuamente.<br />
Il mercato e le sue attività hanno la tendenza a<br />
rafforzare il successo. Opponiti a essi. Lascia che<br />
il fallimento e la migrazione siano parte della tua<br />
pratica professionale.<br />
13 Rallenta.<br />
De-sincronizzati rispetto agli schemi temporali<br />
ordinari: ti si potranno presentare delle occasioni<br />
sorprendenti.<br />
35<br />
14 Non essere freddo.<br />
La freddezza è timidezza conservatrice vestita di<br />
nero. Liberati da limiti di questo genere.<br />
15 Fa’ domande stupide.<br />
Il carburante della crescita è fatto di desiderio e<br />
ingenuità. Valuta la risposta, non la domanda.<br />
Immagina di imparare per tutta la vita al ritmo con<br />
cui impara un bambino.<br />
16 Collabora.<br />
Lo spazio tra le persone che lavorano insieme è<br />
pieno di conflitti, frizioni, lotte, risate,<br />
divertimento e di un immenso potenziale creativo.<br />
17 ..............................<br />
Intenzionalmente lasciato vuoto. Riserviamo spazio<br />
alle idee che non hai ancora avuto, e alle idee<br />
degli altri.<br />
18 Sta’ su fino a tardi.<br />
Strane cose accadono quando sei andato troppo in là,<br />
sei stato su troppo a lungo, hai lavorato troppo e<br />
sei separato dal resto del mondo.<br />
19 Lavora sulla metafora.<br />
Ogni oggetto ha la capacità di rappresentare<br />
qualcos’altro rispetto a ciò che appare. Lavora su<br />
ciò che rappresenta.<br />
20 Il tempo è genetico.<br />
L’oggi è il figlio dello ieri e il padre del domani.<br />
Il lavoro che produci oggi creerà il tuo futuro.<br />
Sta’ attento ai rischi che corri.<br />
21 Ripetiti.<br />
Se ti piace, rifallo. Se non ti piace, rifallo.<br />
22 Costruisciti i tuoi strumenti.<br />
Rendi ibridi i tuoi strumenti per costruire oggetti<br />
unici. Anche strumenti semplici, purché ti<br />
appartengano, possono aprirti direzioni di ricerca<br />
completamente nuove. Ricorda: gli strumenti<br />
moltiplicano le nostre capacità e perciò anche uno<br />
strumento piccolo può fare una differenza grande.<br />
23 Sali sulle spalle di qualcuno.<br />
Se ti fai trasportare dai risultati di chi ti ha<br />
preceduto puoi andare più lontano. E il panorama è<br />
decisamente migliore.<br />
24 Evita il software.<br />
Il problema del software è che ce l’hanno tutti.<br />
25 Non mettere in ordine la scrivania.
Domattina potresti trovare qualcosa che stanotte non<br />
hai visto.<br />
26 Non metterti in competizione.<br />
Non farlo. Non fa per te.<br />
27 Leggi solo le pagine di sinistra.<br />
Lo faceva Marshall McLuhan. Diminuendo la quantità<br />
di informazione lasciamo spazio a ciò che egli<br />
chiamava il nostro “filo conduttore”.<br />
28 Crea parole nuove, allarga il vocabolario.<br />
Le condizioni nuove richiedono un nuovo modo di<br />
p e n s a r e . I l p e n s i e r o r i c h i e d e n u o v e f o r m e<br />
d ’ e s p r e s s i o n e . L ’ e s p r e s s i o n e g e n e r a n u o v e<br />
condizioni.<br />
29 La creatività non dipende dalle apparecchiature.<br />
Dimenticati la tecnologia. Pensa con il tuo<br />
cervello.<br />
30 Organizzazione e libertà.<br />
Nella progettazione, e in qualunque altro campo, la<br />
vera innovazione si verifica nel contesto. Questo<br />
contesto di solito consiste in una forma di impresa<br />
gestita in cooperazione. Frank Gehry, per esempio, è<br />
stato in grado di realizzare il Guggenheim Museum di<br />
Bilbao solo perché il suo studio è stato capace di<br />
realizzarlo rispettando il preventivo. Il mito del<br />
divario tra ‘creativi’ ed ‘esecutivi’ è ciò che<br />
Leonard Cohen chiama “un affascinante artefatto del<br />
passato”.<br />
31 Non chiedere prestiti.<br />
Ancora una volta, il punto di vista di Frank Gehry.<br />
Conservando il controllo finanziario conserviamo il<br />
c o n t r o l l o c r e a t i v o . N o n è u n c o n c e t t o<br />
particolarmente astruso, ma è curioso quanto sia<br />
difficile osservare questo principio e quanti<br />
abbiano fallito.<br />
32 Ascolta con attenzione.<br />
Ogni collaboratore che entra nella nostra orbita<br />
porta con sé un mondo più strano e complesso di<br />
quanto mai avremmo potuto sperare di immaginare.<br />
Prestando ascolto fin nei particolari e nelle<br />
sottigliezze alle sue esigenze, ai suoi desideri e<br />
alle sue ambizioni, inseriamo il suo mondo nel<br />
nostro. Né l’uno né l’altro saranno più gli stessi.<br />
33 Copia.<br />
Non te ne vergognare. Cerca di imitare quanto più<br />
pedissequamente: non ci riuscirai mai fino in fondo<br />
e la differenza sarà veramente interessante. Basta<br />
36<br />
guardare la versione del Grande Vetro di Duchamp<br />
fatta da Richard Hamilton per capire quanto ricca,<br />
screditata e poco utilizzata sia l’imitazione come<br />
tecnica.<br />
34 Sbaglia più in fretta.<br />
Non è un’idea mia, l’ho presa in prestito. Credo che<br />
sia di Andy Grove.<br />
35 Canterella.<br />
Se ti dimentichi le parole, fa’ come faceva Ella<br />
[Fitzgerald]: metti insieme qualcosa d’altro, non<br />
parole.<br />
36 Rompilo, stiralo, curvalo, schiaccialo, spezzalo,<br />
piegalo.<br />
37 Esplora l’altro lato.<br />
Se si evita di affidarsi a scatola chiusa alla<br />
tecnologia si acquista una grande libertà. Non<br />
riusciamo a trovare il bandolo della matassa perché<br />
ce l’abbiamo sotto i piedi. Cerca di usare<br />
tecnologie vecchie, utensili resi obsoleti dai cicli<br />
economici ma ancora ricchi di potenzialità.<br />
38 Pause caffé, corse in taxi, sale d’attesa.<br />
La crescita vera spesso si verifica fuori dei luoghi<br />
in cui la si aspetta. Negli spazi interstiziali<br />
( q u e l l i c h e i l d o t t . S e u s s c h i a m a “ l u o g h i<br />
d’attesa”). Hans Ulrich Obrist, curatore di mostre<br />
parigino, una volta organizzò un convegno di scienza<br />
e arte con tutte le infrastrutture di un convegno<br />
(ricevimenti, colloqui, accoglienza all’aeroporto)<br />
ma senza il convegno vero e proprio. Si rivelò un<br />
grande successo e fruttò l’avvio di parecchie<br />
collaborazioni.<br />
39 Viaggia sul territorio.<br />
La larghezza di banda del mondo è maggiore di quella<br />
del tuo televisore, o di Internet, e perfino di<br />
quella di un ambiente computerizzato di simulazione<br />
grafica in tempo reale, mirata al raggiungimento di<br />
u n o b i e t t i v o , a v i s u a l i z z a z i o n e d i n a m i c a ,<br />
interattivo, a immersione totale.<br />
40 Lascia perdere i campi, salta gli steccati.<br />
I confini tra le discipline e i regolamenti<br />
prescrittivi sono tentativi di tenere sotto<br />
controllo la vita creativa, che è selvatica. Spesso<br />
sono tentativi comprensibili di mettere in ordine<br />
quelli che sono processi molteplici, complessi,<br />
evoluzionistici. Il nostro lavoro è saltare gli<br />
steccati e attraversare i campi.
41 Ridi.<br />
I visitatori del nostro studio spesso osservano che<br />
ridiamo molto. Da quando me ne sono reso conto, uso<br />
questo aspetto come barometro di quanto siamo a<br />
nostro agio nell’esprimerci.<br />
42 Ricorda.<br />
La crescita è possibile solo in quanto prodotto<br />
della storia. Senza memoria l’innovazione è soltanto<br />
ciò che è novità. La storia dà alla crescita una<br />
direzione. Ma la memoria non è mai perfetta. Ogni<br />
ricordo è un’immagine degradata o composita di un<br />
momento o di un evento precedenti. È ciò che ci<br />
rende consci della sua qualità di passato e non di<br />
presente. Ciò significa che ogni ricordo è nuovo, un<br />
costrutto parziale diverso dalla sua fonte e, in<br />
quanto tale, esso stesso è un elemento potenziale di<br />
crescita.<br />
43 Potere al popolo.<br />
Il gioco funziona solo quando si capisce di avere il<br />
controllo della propria vita. Non possiamo essere<br />
agenti di libertà se non siamo liberi.<br />
Bruce Mau Design and the Institute without Boundaries<br />
37
dove stiamo andando?<br />
38<br />
Qual è il prossimo grande passo nell’evoluzione<br />
dell’umanità? Chi siamo? Da dove veniamo? Dove<br />
stiamo andando?<br />
il tema contiene una domanda che dovremmo porci<br />
regolarmente, a vari intervalli della nostra vita,<br />
per acquistare un po più di chiarezza ed obiettività<br />
su quello che stiamo vivendo, su cosa desideriamo,<br />
discutiamo e facciamo, così come su quello che sta<br />
succedendo nel mondo e dove esso stia andando.
icordo che questa non fu l’unica domanda che iniziò<br />
a tormentarmi. ve n’era un altra. molto meno<br />
oggettiva. e alla quale forse in qualche angolo<br />
della mia memoria sapevo rispondere.<br />
(anche se in maniera non del tutto chiara..)<br />
“dove vogliamo andare?”<br />
di seguito trascriverò due teorie.<br />
e ne lascerò libera l’interpretazione.<br />
perchè non è influente nella mia tesi.<br />
e soprattutto perchè le trovo identiche. forse a<br />
causa della mia miopia culturale. non so.<br />
so solo che sono un nostalgico.<br />
e credo che siano ancora gli Uomini a scegliere il<br />
loro destino.<br />
40
41<br />
due teorie.<br />
Due sono le grandi teorie e visioni per quanto<br />
riguarda l’evoluzione umana: la prima, la più<br />
antica (che ha sempre fatto parte della tradizione<br />
spirituale) ma nello stesso tempo, la più moderna<br />
in quanto la troviamo ora in quello che viene<br />
considerato il fior fiore della scienza attuale,<br />
presume che esiste un piano divino, un intelligent<br />
Design, e che la vita e l’universo hanno un fine,<br />
uno scopo e traguardo ben definiti. Questo “scopo”<br />
o fine, che la tradizione cristiana orientale<br />
chiama la theosis, è l’unione cosciente con Dio, il<br />
n o s t r o C r e a t o r e c h e a l l o r a c i m e t t e r à a<br />
d i s p o s i z i o n e t u t t i i m i s t e r i e t e s o r i<br />
dell’universo. Praticamente parlando, veniamo dallo<br />
Spirito per ritornare allo Spirito, ma questa volta<br />
una coscienza individualizzata da un’enorme e lunga<br />
esperienza nel mondo. La seconda, invece, asserisce<br />
che non esiste alcun scopo, destino o meta globale,<br />
sia a livello individuale che collettivo; in<br />
realtà, siamo noi a definire e creare quello che<br />
diventiamo e quello che succederà nel mondo; in<br />
altre parole veniamo dal nulla per tornare al<br />
nulla.
Analisi.
Verso il precipizio...<br />
testo di Bruce Mau<br />
44<br />
Daniel Egneus, cityscapes.
Verso il precipizio. Come sempre.<br />
Verso dove ci porta la controcorrente, verso<br />
sensazioni epidermiche e mercato globale.<br />
Verso miscele sorprendenti, impensabili, esplosive.<br />
Allontanandoci dall'irrimediabile presente,<br />
avvicinandoci dal passato con la pretesa di incidere<br />
sullo sviluppo futuro.<br />
Andiamo verso mille strade diverse e contrapposte,<br />
ma che viste da lontano sono come una scia, sembrano<br />
seguire la stessa direzione.<br />
Andiamo a romperci in mille pezzi, cadendo nel fosso<br />
o aprendo nuove vie. Rimbalzando, barcollando da una<br />
parte all'altra.<br />
Andiamo ad uccidere i padri, con gli omaggi e con<br />
l'oblio.<br />
Ci avviamo ad essere tutti diversi, ogni volta ancor<br />
più diversi perché sappiamo di essere uguali. Come<br />
lo sono tutti gli oggetti nati dall'industria.<br />
Andiamo a confondere la carne con un polimero.<br />
Andiamo verso una cultura immateriale dove la<br />
materia sarà una cosa preziosa.<br />
Andiamo a mescolare i desideri con le ipotesi, senza<br />
alcun tipo di vergogna.<br />
Andiamo verso il numero più impegnativo dello<br />
spettacolo.<br />
Incominciamo a odiare parole come nomadismo,<br />
multidisciplinare e ubiquità.<br />
Ci avviamo a contestare ciò che comincia con trans,<br />
poli, multi e inter e a diffidare di ciò che finisce<br />
con ismo. A essere saturi di ciber e tele, a odiare<br />
digitale e virtuale.<br />
Andiamo a rivendicare discipline pure – ancora una<br />
volta – e discorsi endogamici. Tornano sempre.<br />
Andiamo a cercare pubblici concreti e ristretti,<br />
che risulteranno milioni.<br />
Andiamo verso dove abbiamo sempre scivolato<br />
nell'imperturbabile divenire storico. Verso luoghi<br />
non scelti, non desiderati e nemmeno comprensibili.<br />
Ma convinti di essere gloriosi condottieri, pionieri<br />
ed esploratori.<br />
Andiamo verso l'ecatombe della glorificazione del<br />
dollaro.<br />
45<br />
Andiamo a consolarci raccogliendo bei ciottoli in<br />
riva al mare.<br />
Ci muoviamo seguendo la legge della gravità. Cadendo<br />
ineluttabilmente nelle grinfie della massa. Ma anche<br />
cosÌ pensando di sfuggirle.<br />
Andiamo a rivalorizzare il corpo, a prolungarlo, a<br />
tecnicizzarlo e renderlo eterno. A schiavizzarci per<br />
il suo controllo. Andiamo a essere da molto giovani<br />
ogni volta più vecchi volendo agire come bambini.<br />
Andiamo a vuotare la casa e le tasche degli oggetti.<br />
A n d i a m o v e r s o l a c o n t r o r i v o l u z i o n e<br />
dell'informazione, verso la santificazione del bit<br />
al di sopra di tutto.<br />
Andiamo a dare del tu alle molecole e ai protoni.<br />
Andiamo verso il luogo contrario di quello ove ci<br />
portano. Eternamente insoddisfatti e incazzati.<br />
Mostrando i denti e guardando di traverso.<br />
A dividerci radicalmente in caste apparentemente<br />
omogenee all'interno di tribù elettive.<br />
Andiamo verso dove ci porta l'industria militare nei<br />
prossimi secoli.<br />
O forse non andiamo da nessuna parte, vagando prima<br />
senza la coscienza sporca, convinti dell'inutilità<br />
di qualsiasi gesto.<br />
Andiamo a ridere un momento, a prendere in giro la<br />
materia. Verso oggetti stravaganti, figli di oggetti<br />
bastardi, tutti discendenti sempre dall'ascia.<br />
V e r s o o g g e t t i p e r s o n a l i z z a t i , r o b o t i z z a t i ,<br />
autocostruiti e autonomi.<br />
A trasformarci tutti in designer e demiurghi.<br />
A cercare di abbandonare le parole.<br />
Ci interrompiamo e poi riprendiamo, andiamo e<br />
torniamo, in eterna agitazione, con una illusoria<br />
sensazione di progresso.<br />
Andiamo a creare oggetti ipertecnologici, umili,<br />
miti, versatili, semplici, ibridi, genetici,<br />
naturali, intriganti, minuti, ipercomunicativi,<br />
inventati, sostenibili...<br />
Andiamo a vedere come tutto finisce in polvere.<br />
Andiamo, il che non è poco.
l’Uomo.<br />
46<br />
foto tratta dalla copertina del testo Barbari
47<br />
Arrivano da tutte le parti, i barbari. E un po’<br />
questo ci confonde, perché non riusciamo a tenere<br />
in pugno l’unità della faccenda, un’immagine<br />
coerente dell’invasione nella sua globalità. Ci si<br />
mette a discutere delle grandi librerie, dei fastfood,<br />
dei reality show, della politica in<br />
televisione, dei ragazzini che non leggono, e di un<br />
sacco di cose del genere, ma quello che non<br />
riusciamo a fare è guardare dall’alto, e scorgere<br />
l a f i g u r a c h e g l i i n n u m e r e v o l i v i l l a g g i<br />
saccheggiati disegnano sulla superficie del mondo.<br />
Vediamo i saccheggi, ma non riusciamo a vedere<br />
l’invasione. E quindi a comprenderla.<br />
Credetemi: è dall’alto, che bisognerebbe<br />
guardare.<br />
Barbari, di A.Baricco.
il Paesaggio.<br />
1. Il paesaggio è un’immagine?<br />
Senso e iden<br />
Luis<br />
La figura del Viandante sul mare di neb<br />
per molti versi in un’interrogazione sul paesaggio<br />
Innanzitutto il dipinto presenta gli elemen<br />
Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich (1818)<br />
48
49<br />
è forte in me la convinzione che il Paesaggio. l’idea<br />
di Paesaggio. non sia in realtà in quello che<br />
guardiamo.<br />
ma sia invece in quello che vediamo.<br />
potrebbe sembrare un ossimoro.<br />
vedo in quello che guardo.<br />
e mi hanno spiegato che dal punto di vista clinico in<br />
realtà questa affermazione è illogica.<br />
tuttavia ciò non toglie che molti medici siano<br />
d’accordo con me nel sostenerla.<br />
Falso specchio, di Renè Magritte
il Paesaggio ha avuto origine quando l’Uomo guardando<br />
un orizzonte ne ha visto la sua trasformazione. lo ha<br />
immaginato diverso. ha dato una forma logica al suo<br />
desiderio.<br />
anche se ho notato che a volte questa definizione può<br />
essere troppo rigida. perchè potrebbe esser<br />
fraintesa. l’occhio umano si ferma ad un orizzonte<br />
solo. il Paesaggio no.<br />
ma senza ombra di dubbio si può dire allora che abbia<br />
avuto origine dal pensiero dell’Uomo. dal suo<br />
desiderio.<br />
e nella sua mente.<br />
50
La figura del Viandante sul mare di nebbia di Caspar<br />
David Friedrich (1818) appare esemplare per molti<br />
versi in un’interrogazione sul paesaggio.<br />
Innanzitutto il dipinto presenta gli elementi<br />
costitutivi del paesaggio come costrutto culturale<br />
della modernità: lo sguardo di un soggetto che<br />
contempla, ritratto en abîme, lo spazio che gli sta<br />
di fronte, delimitato dalla chiusura dell’orizzonte;<br />
una natura rappresentata significativamente nel<br />
registro del sublime romantico (montagne, nuvole).<br />
In questa mise en abîme, leggiamo anche l’origine<br />
artistica della parola e dell’idea di paesaggio,<br />
coniata per designare un genere di pittura (la<br />
pittura di paesaggio, o meglio quell’inserzione nel<br />
dipinto, tramite il riquadro di una finestra o di<br />
un’altra apertura, di una porzione di spazio esterno<br />
il “paese”, appunto). Nell’evoluzione dall’accezione<br />
d i r a p p r e s e n t a z i o n e a r t i s t i c a a l l ’ o g g e t t o<br />
rappresentato, il termine “paesaggio” (Landskap, da<br />
cui Landschaft, Landscape, e nelle lingue neolatine,<br />
dal tardolatino pagus e pagensis, paese, paesaggio),<br />
conio linguistico e genere di rappresentazione di<br />
origine fiamminga risalente al XV secolo, non va mai<br />
definitivamente perduta la memoria della condizione<br />
di possibilità che aveva dato luogo a questa<br />
creazione: quella prospettiva artificiale, vera<br />
“forma simbolica” occidentale tramite la quale la<br />
cultura dell’incipiente modernità pone alla giusta<br />
distanza e nelle debite condizioni scientifiche lo<br />
s p a z i o d a r a p p r e s e n t a r e , o r d i n a n d o l o e<br />
razionalizzandolo, fino a mettere in ombra la<br />
definizione locale e singolare di terra abitata che<br />
si esprimeva nel termine. La vediamo ancora<br />
51<br />
Il paesaggio come immagine.<br />
tratto da Senso e identità del paesaggio<br />
di Luisa Bonesio<br />
rappresentata, in citazione, nella posizione del<br />
viandante, che pure ha ormai conquistato un punto di<br />
vista più allargato e panoramatico. Ma quel che<br />
conta sottolineare è la ineliminabile connotazione<br />
artistica ed estetica della parola paesaggio, che si<br />
tende spesso a usare come sinonimo di spazio,<br />
territorio o ambiente, ma di cui, in ogni caso, si<br />
assume la connotazione di valore estetico (che era<br />
i m p l i c i t o n e l f a t t o d i r a p p r e s e n t a r l o<br />
artisticamente).L’intelligenza filosofica di<br />
Friedrich si rivela nella genialità di dare a vedere<br />
il dispositivo dello sguardo paesaggistico così come<br />
è stato messo in atto dalla cultura moderna<br />
occidentale, e soprattutto di svelarne l’intrinseca<br />
connotazione faustiana. Basta osservare la posa<br />
rilassata e signorile del gentiluomo che osserva il<br />
paesaggio: in cima alla rupe da cui domina<br />
l’intorno, il viandante mostra di avere ormai<br />
consuetudine con le escursioni e le altitudini<br />
alpestri, inaugurate in tempi recenti proprio grazie<br />
alle poetiche e alla sensibilità del sublime e del<br />
pittoresco, non meno che – come ha ribadito<br />
Farinelli alla domesticazione delle montagne e<br />
all’inserimento nel mondo culturale di porzioni di<br />
terra selvaggia. Che cosa vede, se dal compatto mare<br />
di nubi emergono solo alcune vette e un sole al<br />
tramonto (o all’alba)? Friedrich esibisce, per così<br />
dire, la verità estrema dello sguardo estetico<br />
portato alla natura (come a qualunque altro<br />
oggetto): non importa che cosa si vede; rilevante,<br />
nel giudizio di gusto, è la disposizione suscitata<br />
nel soggetto contemplante, la sua sensazione<br />
soggettiva, lo stato d’animo.
Semplice occasione o pretesto, anche il paesaggio<br />
non è che la quinta per rispecchiarvi il sentimento<br />
del soggetto. D’altra parte, però, è significativo<br />
che il viandante scruti l’orizzonte: bella<br />
r a p p r e s e n t a z i o n e d e l l ’ a n s i a f a u s t i a n a<br />
d e l l ’ o l t r e p a s s a m e n t o , d e l l a S e h n s u c h t p e r<br />
l’infinito, per il travalicamento di ogni limite.<br />
Qui è possibile riconoscere la verità profonda e il<br />
ruolo, nella mappa della ragione occidentale, dello<br />
sguardo estetico sul paesaggio (ma di ogni<br />
“estetica” in senso moderno e post-cartesiano): in<br />
fondo, uno stesso anelito faustiano si esprime tanto<br />
n e l p r o g e t t o d i d o m i n i o s u l r e a l e ,<br />
nell’assoggettamento, tramite la scienza e la<br />
tecnica, della natura che porterà in breve tempo<br />
alla irreversibile trasformazione del volto della<br />
terra e alla rapida scomparsa dei “paesaggi”, quanto<br />
nel vagheggiamento estetico (e da subito nostalgico)<br />
della natura bella o sublime o pittoresca. Esiste<br />
un’intrinseca e necessaria coappartenenza tra il<br />
gesto conoscitivo e disponente, tramite la certezza<br />
della razionalità metodica e calcolante, del<br />
soggetto (la res cogitans di Cartesio) che si<br />
rapporta a una natura intesa come mera estensione<br />
q u a n t i t a t i v a e i n e r t e ( l a r e s e x t e n s a ) d a<br />
a s s o g g e t t a r e a l l a p r o p r i a v o l o n t à , e l a<br />
marginalizzazione, nella dimensione umbratile e<br />
soggettiva, non passibile di conoscenza oggettiva e<br />
comunicabile, indimostrabile e tendenzialmente<br />
intraducibile, del mondo delle qualità, del sentire<br />
(aisthesis), della sensazione, del non-razionale,<br />
per il quale, non a caso, proprio nel XVIII secolo,<br />
viene “inventata” un’apposita disciplina filosofica:<br />
l’Estetica.<br />
Così la natura sarà al contempo lo spazio del più<br />
disincantato e brutale assoggettamento, e l’oggetto<br />
di un vagheggiamento nostalgico e idealizzante, che<br />
culmina nel “culto” romantico della natura come<br />
p a e s a g g i o . Q u e l l o , a p p u n t o , e s e m p l a r m e n t e<br />
rappresentato nella pittura di Friedrich.<br />
Ma nell’un caso come nell’altro, la “natura”, il<br />
“mondo” sono rimessi come oggetto alla fruizione di<br />
un soggetto che vi si pone di fronte, in una<br />
asimmetrica contrapposizione, e si arroga la libertà<br />
di disporne senza limiti. In un caso come<br />
nell’altro, si verifica una soggettivizzazione, una<br />
riconduzione di tutto alla misura imposta dal<br />
soggetto. E la stessa pulsione al travalicamento di<br />
ogni orizzonte e limite, che porta alla violazione<br />
di tutti i segreti della natura, si manifesta nel<br />
consumo estetico dei paesaggi. “Inventati” in rapida<br />
successione tra XVIII e XIX secolo, scoperti, fruiti<br />
e goduti in misura crescente e intensiva anche<br />
grazie a una progressiva divulgazione letteraria,<br />
pittorica, iconografica, oltre che grazie alla<br />
52<br />
possibilità, tramite il viaggio prima e alle<br />
progressive forme di turismo e all’apertura di<br />
sempre nuove vie di comunicazione poi, i paesaggi si<br />
riducono a icona o cliché, mentre la curiosità<br />
estetica spinge a scoprirne e a valorizzarne sempre<br />
nuovi. Anche in questo modo, il paesaggio finisce<br />
per entrare nella temporalità propria della<br />
modernità, fatta di consumo e accelerazione<br />
crescente, e, in ultima istanza, di distruzione.
Se si pone mente alla rapida trasformazione e<br />
avvicendamento di modelli nell’ambito del gusto,<br />
d e l l e p o e t i c h e e d e l l e f o r m e d i a r t e e d<br />
estetizzazione della vita, dal Settecento a oggi,<br />
secondo un’accelerazione crescente, un’innovazione<br />
molto simile, nei ritmi e nella logica, alla moda,<br />
non si può non notare la straordinaria persistenza<br />
(e certamente banalizzazione) dei modelli di<br />
fruizione e apprezzamento estetico in ambito<br />
paesaggistico. In fondo, almeno fino a poco tempo<br />
fa, si sono apprezzati e ricercati i paesaggi<br />
codificati e “messi in forma” all’epoca della loro<br />
scoperta (le Alpi, la natura selvaggia, le campagne<br />
pittoresche, ecc.). Non solo più o meno gli stessi<br />
luoghi, ma – è possibile dimostrarlo tramite<br />
un’analisi di immagini pittoriche, fotografiche,<br />
commerciali, turistiche, amatoriali, ecc. – gli<br />
stessi modi di inquadratura, di prospettiva, di<br />
selezione dei particolari. In fondo, come si<br />
verificò da subito, si va a cercare, in un<br />
paesaggio, quello che è stato visto all’inizio,<br />
replicando incessantemente e inconsapevolmente la<br />
forma di quella prima valorizzazione. Fenomeno<br />
osservabile, fatte le debite proporzioni, anche<br />
nell’odierna industria turistica, in cui ci si reca<br />
a verificare in loco la congruenza del paesaggio<br />
reale con l’immagine che ci si è fatti a casa<br />
propria, dal dépliant o dalle foto degli amici. È<br />
possibile mostrare come la persistenza di modelli<br />
estetici che grosso modo ricalcano le poetiche del<br />
pittoresco e del sublime oppure la valorizzazione di<br />
un’idea regionale (tipica) del territorio, orienti<br />
ancora oggi il giudizio e la “domanda” (e dunque i<br />
modi della valorizzazione) di paesaggio, spesso<br />
scontrandosi con la percezione e gli usi degli<br />
abitanti locali6. La persistenza del paradigma<br />
estetico “visibilistico” è stata riscontrabile per<br />
lungo tempo nelle disposizioni legislative in<br />
materia di protezione del paesaggio, e la si può<br />
riconoscere, coerentemente, nelle teorie che<br />
identificano il paesaggio con l’identità estetica di<br />
u n t e r r i t o r i o . E s s o , r i s p e c c h i a n d o a p p i e n o<br />
l’ambiguità soggettivistica, è impotente (o comunque<br />
molto debole) di fronte all’obiezione di difendere<br />
una concezione passatista di bellezza (connessa a<br />
stili di abitare e di uso del territorio fatalmente<br />
obsoleti) a discapito delle logiche effettive di uso<br />
dei territori. In positivo, esso non può che<br />
condurre alla fissazione dell’immagine (fino al<br />
cliché) estetica dei luoghi, con effetti che vanno<br />
dalla imbalsamazione museale a scopo di tutela,<br />
all’utilizzazione del valore di icona di un<br />
paesaggio a fini commerciali, produttivi e<br />
turistici, fino alla rappresentazione di identità e<br />
tradizionalità inesistenti.<br />
53<br />
Dal fienile walser restaurato filologicamente per<br />
essere usato come casa di vacanza di prestigio, fino<br />
all’estremo, rivelatore, delle ricostruzioni dei<br />
mondi passati nelle Disneyworld o a Las Vegas e<br />
persino negli ecomusei all’aperto come lo svizzero<br />
Ballenberg vengono prodotti luoghi senza profondità<br />
né sostanza storica, che cercano di corrispondere al<br />
proprio ipersemplificato cliché, fungendo come una<br />
sorta di icona a scala reale. Questa logica di<br />
conservazione di una mera sembianza estetica,<br />
analoga, sotto certi aspetti, a un allestimento<br />
museale, crea la convinzione che le esigenze della<br />
tecnoeconomia moderna siano compatibili con la<br />
salvaguardia di dimensioni residuali della memoria<br />
storica e identitaria sotto forma di icone o riserve<br />
(parchi, aree protette) tutto sommato rassicuranti,<br />
in cui ci si può recare la domenica o in vacanza. Le<br />
complesse conseguenze di questa convinzione,<br />
perfettamente rispondente alla logica dell’industria<br />
turistica come di altre forme di interessi<br />
economici, sono state analizzate sia dalla geografia<br />
del turismo che dalla geofilosofia.
Sono ricadute “pesanti” e spesso devastanti a lungo<br />
termine, anche se spesso non immediatamente<br />
percepibili come tali dalle comunità locali,<br />
mostrandosi spesso sotto le mentite spoglie di una<br />
soluzione ragionevole e forse inevitabile. Anzi,<br />
come ha brillantemente mostrato Bernard Crettaz nel<br />
caso della Svizzera, la celebrazione del passato,<br />
assunto come mito di fondazione identitaria, può<br />
indurre a guardare ancor più fiduciosamente al<br />
presente, al futuro, al “progresso”: in un certo<br />
senso, la distruzione della natura e il disordine<br />
dei paesaggi in nome dell’innovazione possono<br />
trovare compensazione nei simboli della permanenza,<br />
dell’ordine, e dell’immutabilità naturale.<br />
Se in precedenza ci si è richiamati all’etimologia e<br />
alla genealogia del sostantivo fiammingo usato per<br />
designare il paesaggio come genere pittorico e poi,<br />
per traslazione, il paesaggio come realtà della<br />
c o n f i g u r a z i o n e t e r r i t o r i a l e a p p r e z z a b i l e<br />
esteticamente, non è meno importante richiamarsi ad<br />
un’altra ascendenza linguistica. Nelle lingue<br />
neolatine, il termine “paesaggio” deriva da “paese”,<br />
discendente dall’aggettivo tardolatino pagensis, da<br />
pagus = villaggio, ma più originariamente cippo<br />
confinario, recinto, limite. Il paesaggio, secondo<br />
la logica di questo etimo, appare come una regione<br />
rurale definita da confini o comunque chiaramente<br />
r i c o n o s c i b i l e n e i s u o i l i m i t i ; a c c e z i o n e<br />
individuabile anche nel senso antico di Landschaft,<br />
la campagna lavorata, opera della comunità: dunque<br />
una realtà che allude all’insediamento, all’abitare,<br />
coltivare, abbellire e venerare11 da parte di una<br />
comunità sul territorio scelto per viverci.<br />
Quando, per contro, la cultura fiamminga riprende il<br />
termine Landschaft ricontestualizzandolo nell’ambito<br />
artistico, è già in via di consumazione la scissione<br />
tra la dimensione urbana, con la sua specifica<br />
cultura, e la campagna, un “fuori” da allontanare o<br />
da riconquistare attraverso quella messa in forma<br />
regolata della distanza rappresentata esemplarmente<br />
dalla finestra prospettica. Non a caso, nella storia<br />
della pittura, il paesaggio fa le sue prime<br />
apparizioni nel riquadro di una finestra o di<br />
un’altra apertura dell’ambiente domestico o urbano,<br />
da cui si scorge una campagna (il lavoro e il<br />
contesto di vista di altri) godibile come fenomeno<br />
estetico, spettacolo che la cultura urbana<br />
rappresenta nella forma artistica, o come sfondo<br />
delle proprie città.<br />
Per misurare intuitivamente la separazione accaduta<br />
tra le due dimensioni, è sufficiente pensare agli<br />
affreschi di Ambrogio Lorenzetti rappresentanti gli<br />
effetti del buono e del cattivo governo nel Palazzo<br />
comunale di Siena, nei quali un unico paesaggio è<br />
articolato e pensato unitariamente nelle sue varie<br />
54<br />
componenti, la città, le campagne, le strade, le<br />
selve, i terreni incolti, ecc.<br />
Queste considerazioni mostrano la necessità di<br />
risalire, oltre la predominante accezione artistico<br />
estetica del concetto di paesaggio, a un pensiero<br />
dell’identità dei paesaggi come un’incessante<br />
r e a l i z z a z i o n e d i a t t i t e r r i t o r i a l i z z a n t i ,<br />
espressione armonica del peculiare stile di<br />
insediamento (e dunque di interazione con la natura)<br />
da parte di una cultura situata (non necessariamente<br />
autoctona!), in cui la qualità estetica non può<br />
essere scissa, come un’efflorescenza senza radici,<br />
dall’identità culturale del luogo.
Lungi dal risolversi in municipalismo difensivo,<br />
chiusura automonumentalizzante, patetismo museale,<br />
questa ottica è la condizione di riconoscibilità di<br />
u n p r o f i l o d i f f e r e n z i a l e n e l l ’ i n c e s s a n t e<br />
trasformazione del volto del mondo, che a buon<br />
diritto ha potuto esprimersi nell’idea fisiognomica<br />
per alludere alla manifestazione sempre singolare<br />
del genius loci, al modo coerente ma sempre<br />
rinnovato del mantenersi in accordo con il carattere<br />
del luogo che una cultura sceglie di evidenziare. In<br />
questa prospettiva, “tradizione” e “innovazione” non<br />
si collocano in irriducibile antagonismo: la<br />
continuità dello stile di una cultura (e dunque del<br />
suo modo di produrre-conservare paesaggio) si<br />
r e a l i z z a a t t r a v e r s o i n n u m e r e v o l i a t t i d i<br />
trasformazione, adattamento, riassetto.<br />
Il paesaggio come spazio simbolico della comunità<br />
insediata è la questione si è riproposta con forza<br />
ineludibile agli urbanisti in questi anni, in<br />
r e l a z i o n e a l l a p r o g e t t a z i o n e d i f o r m e d i<br />
territorializzazione che non si limitino a una mera<br />
criogenizzazione dell’esistente o, per converso,<br />
alla nichilistica rassegnazione di fronte a<br />
un’omologazione azzerante che si effettua anche<br />
tramite forme costruttive e logiche territoriali<br />
uniformi, informi o palesemente deformi. Se il<br />
paesaggio è creazione di una cultura, la sua<br />
perpetuazione e incremento è correlativa a ciò che è<br />
stata indicata come “la ricostruzione della<br />
comunità”14. Se “la comunità che sostiene se stessa<br />
fa sì che l’ambiente naturale possa sostenerla nella<br />
sua azione”, il primo requisito per mantenere la<br />
peculiarità di un paesaggio è quello di non imporre<br />
sul luogo logiche economiche esogene ed estranee,<br />
modelli e ritmi di sviluppo che non tengano conto<br />
delle peculiarità locali. Questo progetto di<br />
ricostituzione di un paesaggio mira a instaurare<br />
d e l l e a p p a r t e n e n z e s o c i a l i l o c a l i , a<br />
un’identificazione con i luoghi dell’abitare15. Come<br />
ribadisce il documento preparatorio della Conferenza<br />
nazionale per il Paesaggio del 1999, “per evitare<br />
indebiti appiattimenti, occorre far comprendere con<br />
assoluta chiarezza che il paesaggio è specificità, è<br />
differenza, è localismo. Non sono dunque ammissibili<br />
disinvolte operazioni di trasferimento a diversi<br />
contesti di soluzioni che vanno cercate di volta in<br />
volta sulla base delle singolarità delle situazioni<br />
da trattare”16, anche se rimane, ineludibile<br />
orizzonte, la lacerazione – se non probabilmente<br />
irreversibile comunque molto profonda – di quella<br />
relazione tra dimensione urbana e campagna che<br />
costituiva in senso proprio il “paese”, dando luogo<br />
al “paesaggio” come forma rappresentativa e<br />
visibile17 di una cultura.<br />
55<br />
Foto di Gabriele Basilico<br />
Pag. 30, Beirut, 1991<br />
Pag. 31, Milano (ritratti di Fabbriche), 1981<br />
Pag.32, Istanbul 2010 (in alto), Istanbul 2005 (in basso),<br />
Pag 33, Istanbul 2010(in alto), Istanbul 2005 (in basso)
Spaesamento, perdita di luogo e rilocalizzazione<br />
dell’identità culturale.<br />
56<br />
*L'immagine accanto al titolo è lo stemma della città<br />
di Zernez in Bassa Engadina.
Scompaginazione dei luoghi e perdita dell’identità.<br />
La modernità scardina il senso dei luoghi, il loro<br />
orientamento - spaziale e simbolico -, perché il suo<br />
pensiero dispone e misura estensioni, senza<br />
soffermarsi sugli aspetti qualitativi; perché<br />
l’accelerando è il suo "tempo" mentre il territorio<br />
è t e m p o l u n g o , s e d i m e n t a z i o n e , t e n d e n z i a l e<br />
incompatibilità strutturale con il mutamento troppo<br />
rapido; perché l’innovazione è la sua ragion<br />
d’essere mentre niente più di alcuni territori (p.<br />
es. la montagna) è strutturalmente conservatore;<br />
p e r c h é l a m a s s a è l ’ a n o n i m i t à s r a d i c a t a ,<br />
secolarizzata e cosmopolita del denaro mentre la<br />
cultura tradizionale dei luoghi è stata soprattutto<br />
senso comunitario, avvedutezza, pietas, adesione al<br />
genius loci. Retrospettivamente si potrebbe dire che<br />
è stato grazie all’accettazione del limite del<br />
territorio (organico e ciclico naturale) che le<br />
culture hanno realizzato la propria specifica<br />
interpretazione delle possibilità dei luoghi.<br />
Inevitabilmente, quando la strapotenza della<br />
modernità urbana finisce con il cancellare i tratti<br />
millenari delle culture locali, e la progettazione a<br />
tavolino dell’architettura e dell’ingegneria<br />
sostituiscono nel ruolo di costruttori gli abitanti,<br />
che avevano plasmato il territorio in un’accorta<br />
alleanza secolare con la natura, il risultato è<br />
l’aspazialità, ossia lo slegamento, reso possibile<br />
dalla tecnica, della specificità dei caratteri del<br />
luogo dalla funzione cui viene destinato in<br />
un’ottica di sfruttamento economico, che ne accentua<br />
la dipendenza dai centri economici, decisionali o<br />
politici, dall’utilizzazione da parte di logiche<br />
esogene, dotate di simboli, storia, obiettivi e<br />
Spaesamento, perdita di luogo e rilocalizzazione dell’identità culturale<br />
57<br />
di Luisa Bonesio<br />
stili diversi. La "crisi" del tessuto territoriale<br />
altro non è che la "caduta di validità di strutture,<br />
di relative capacità di lettura e inserzione nella<br />
realtà, nei flessi ciclici di trapasso e scala<br />
economica". Quello stadio di nuova consapevolezza<br />
civile, che ormai quarant’anni fa invocava Saverio<br />
Muratori, sembra incontrare ancora molti ostacoli<br />
sul proprio cammino. Eppure solo da una lettura<br />
consapevole del territorio locale, nelle sue<br />
interconnessioni globali, può essere compresa la<br />
s t r a o r d i n a r i a p o r t a t a c u l t u r a l e , c i v i l e e<br />
comunitaria (oltre che ecologica) di un modo nuovo<br />
(in realtà tradizionalissimo) di intendere il<br />
progetto e la realizzazione architettonica: come un<br />
prendersi cura di tutto ciò che concorre alla vita<br />
della irripetibile singolarità dei luoghi, nei loro<br />
tratti paesistici, tradizionali, memoriali,<br />
differenziali, con la spontanea sollecitudine con la<br />
quale si cerca di evitare il degrado, l’abbandono,<br />
l’imbruttimento, il malfunzionamento della propria<br />
d i m o r a . " I l t e r r i t o r i o è u n a s t r u t t u r a<br />
essenzialmente unitaria, concreta, totale e univoca;<br />
che tuttavia, appunto perché è insieme unitaria,<br />
cioè permanente, e concreta, cioè polivalente, non<br />
p u ò c h e e s s e r e s t a b i l e e c r e s c e n t e , c i o è<br />
conservativa e accumulativa; e che appunto per<br />
essere insieme totale, cioè molteplice, e univoca,<br />
cioè individuale, non può che essere ciclica e<br />
asintotica, cioè integrativa e confermativa di se<br />
stessa all’infinito". Se ogni cultura, finché è<br />
vivente e consapevole di sé, opera in accordo con il<br />
nomos dei luoghi per poter fiorire e mantenersi, la<br />
contemporaneità mercantile e speculativa, con una
caratteristica miopia che fa il paio con la sua<br />
intrinseca ignoranza, anche in fatto di gusti,<br />
finisce con l’interrompere in modo tendenzialmente<br />
definitivo il circolo virtuoso territorio-cultura,<br />
anche a partire dal profondo misconoscimento<br />
dell’idea stessa di "conservazione", il cui solo<br />
suono, alle nostre orecchie diveniristiche e<br />
progressistiche, appare blasfemo e impronunciabile.<br />
Eppure, "conservare" significa tenere presso di sé<br />
(cum-serbare), preservare nella cura, trattenendolo<br />
dalla sparizione, ciò che si ha a cuore, dunque con<br />
un’intensità che può concernere solo ciò che davvero<br />
conta per noi: tutto il contrario dell’accezione<br />
freddamente museale, asetticamente imbalsamatoria<br />
con la quale per lo più risuona alle nostre orecchie<br />
questa parola, e che presuppone un automatico<br />
disinteresse e una subitanea dimenticanza per<br />
quanto, essendo stato catalogato, può essere<br />
abbandonato in un virtuale deposito di memorie da<br />
cui sembra poter essere momentaneamente estratto<br />
ogni volta che lo si voglia. Una paradossale forma<br />
d i c o n s e r v a z i o n e , q u e l l a d e l l a m o d e r n i t à ,<br />
l’approntare istituzioni che consentano la buona<br />
coscienza dell’oblio e della distruzione, siano esse<br />
musei o parchi a tema, oppure "riserve" etnografiche<br />
di vario tipo, con tanto di "mediatori culturali".<br />
Un illusorio trattenere dalla scomparsa definitiva<br />
quei mondi che lo stesso Occidente - dentro e fuori<br />
di sé - ha incessantemente sfigurato e cancellato;<br />
non a causa di un generico processo di inevitabile<br />
entropia ("Il mondo è cominciato senza l’uomo e<br />
finirà senza di lui") che dalla perfezione<br />
dell’origine porterebbe ineluttabilmente il mondo<br />
alla sua fine, ad una disintegrazione concepita in<br />
termini meccanici o energetici, bensì in una precisa<br />
destinalità connessa all’affermazione della cultura<br />
dell’illimite faustiano, che ancora oggi, in quasi<br />
ogni atto o scelta le nostre società esprimono. La<br />
modernità che svelle con la potenza tecnica<br />
omologante il nomos dei luoghi, cultura da<br />
cosmopoli, di sradicamento e meticciato, di<br />
livellamento ed elementarizzazione, non può generare<br />
un’architettura abitativa che non sia l’edilizia<br />
anonima, la macchina per abitare, la perdita di un<br />
nesso significativo con il luogo e la natura, o il<br />
titanismo che attira su di sé il fulmine della<br />
distruzione. Ed è la profonda sconnessione rispetto<br />
a l l a f i s i o n o m i a d e i l u o g h i i l t r a t t o c h e<br />
maggiormente caratterizza l’architettura abitativa<br />
r e a l i z z a t a n e g l i u l t i m i d e c e n n i i n z o n e<br />
particolarmente "sensibili" per configurazione<br />
paesaggistica e culturale (montagna, territori a<br />
forte identità estetica e anche turistica):<br />
profondamente impensato - o forse impensabile per il<br />
moderno - è il senso dell’abitare un luogo, ogni<br />
58<br />
volta singolare e inconfondibile, non solo per i<br />
suoi caratteri "naturali" o "fisici", ma ancor prima<br />
per i tratti simbolici, culturali e comunitari che<br />
vi sono impressi. È l’identità dei luoghi a essere<br />
misconosciuta e violata: e come ormai si riconosce<br />
da più parti, questi reiterati attacchi alla<br />
riconoscibilità delle fisionomie locali inferti da<br />
un’edilizia proterva o sciatta, guidata solo dalla<br />
logica del denaro o della sua esibizione, finiscono<br />
col distruggere il senso dell’appartenenza, aprendo<br />
le porte ad ogni sorta di ulteriore degrado. È la<br />
storia di molti centri dotati un nobile passato<br />
s t o r i c o e a r c h i t e t t o n i c o , t r a v o l t i d a u n<br />
apparentemente inarrestabile involgarimento delle<br />
forme, della vita, e dunque da un progressivo<br />
deperimento ambientale, che mostra eloquentemente<br />
come può entrare in possesso del suo patrimonio solo<br />
chi è capace di conservazione e di memoria. Solo<br />
coloro che ereditano consapevolmente potranno<br />
accedere al futuro: come scriveva Nietzsche, l’uomo<br />
dell’avvenire è colui il quale è dotato di più lunga<br />
memoria, chi, si potrebbe dire, ha le radici più<br />
profonde e ramificate, saldamente piantate nel<br />
terreno delle sue tradizioni; a differenza di quanto<br />
ha pensato la cultura faustiana dell’Occidente, non<br />
è andando via, nel nomadismo senza riferimenti né<br />
orizzonti, nella scelta "oceanica" dell’illimitato e<br />
immisurabile che si trova la promessa dell’avvenire,<br />
bensì in una rinnovata consapevolezza del proprio<br />
orizzonte nella sua ineliminabile embricazione con<br />
gli altri orizzonti, accessibili uno alla volta,<br />
nella propria specificità: non quindi nella "grande<br />
discarica" dell’omologazione, dove nel mercato si<br />
trovano i detriti e le caricature di tutte le<br />
culture del mondo, L’orizzonte negativo in cui di<br />
fatto si è mossa la progettazione contemporanea è<br />
quello oscillante tra le ragioni "oggettive" del<br />
mondo tecnoeconomico e l’irrelatezza soggettivistica<br />
di un’idea residenziale a sua volta divisa tra legge<br />
del numero ed enfatizzazione del proprio status<br />
(economico, estetico), producendo luoghi senza<br />
qualità estetica, senza memoria e dunque senza<br />
comunità. È mancata quasi sempre la comprensione del<br />
senso del paesaggio, che invece possedevano le<br />
comunità tradizionali, ossia che ogni luogo, anche<br />
nei suoi aspetti "naturali", nella sua morfologia,<br />
nella sua ricchezza estetica e simbolica, non è un<br />
bene di cui appropriarsi, ma una comunità cui<br />
appartenere, di cui condividere il linguaggio. Al<br />
tentativo dell’assimilazione nei codici di una<br />
pianificazione astratta, e omologante, che azzera le<br />
specificità e le salienze singolari di un luogo<br />
nella mera performatività del rendimento economico o<br />
della realizzazione tecnologica fine a se stessa, le<br />
fisionomie territoriali, immagine visibile di
tradizione e identità culturali, vengono cancellate<br />
fino all’invisibilità, trasformandosi in lembi di<br />
territorio che diventano a tutti gli effetti<br />
estensioni periferiche urbane, non solo nella<br />
concezione costruttiva, ma soprattutto nella<br />
impossibilità di costituirsi in luoghi per una<br />
comunità, essendo soltanto spazi inerti del<br />
transito, del sonno o della vacanza, aggregazioni<br />
morte di edifici che non potranno mai costituire<br />
luogo di un abitare. Se è forse corretto dubitare<br />
dell’ideologia che proietta in un intatto passato<br />
l’ideale della perfezione, nondimeno, come scriveva<br />
un filosofo certo non sospettabile di passatismo,<br />
" f i n t a n t o c h e i l p r o g r e s s o d e f o r m a t o<br />
dall’utilitarismo violenta la superficie della<br />
terra, non si lascia completamente tacitare,<br />
nonostante tutte le dimostrazioni in contrario, la<br />
sensazione che ciò che è al di qua della tendenza di<br />
sviluppo e anteriore ad essa è, nella sua<br />
arretratezza, più umano e migliore": è quel che<br />
Adorno chiama, significativamente, "un momento di<br />
diritto correttivo", che, sospendendo l’adesione al<br />
culto del "progresso", consente di gettare uno<br />
sguardo distaccato e consapevole sulla distruttività<br />
dell’epoca. Liquidare semplicemente il retaggio del<br />
passato perché la sua conservazione sarebbe<br />
reazionaria o patetica di fronte alle adulte ragioni<br />
dell’economico, è nichilistico e autolesionistico.<br />
Non è possibile l’abitare in un mondo accettabile<br />
senza continuità di forme e tradizioni, né,<br />
tantomeno, pensare che esso possa possedere<br />
significati estetici, che non siano cosmetizzazione<br />
commerciale, in assenza di consapevolezza culturale:<br />
"senza memoria storica non ci sarebbe alcuna<br />
bellezza", e al massimo la natura può essere "parco<br />
naturale e alibi". Per farlo, è necessario arrivare<br />
a c o n s i d e r a r e l a " a r c h i t e t t u r a " p r o p r i a<br />
(appropriata) di un luogo, ossia quella di chi,<br />
abitandovi da tempi immemorabili ne ha distillato<br />
u n a s a p i e n z a e s t e t i c a c o n s e q u e n z i a l e e<br />
un’avvedutezza nell’uso e nel mantenimento delle<br />
risorse, anche simboliche e immateriali. Il rischio<br />
è quello di scivolare nella retorica della baita o<br />
della casa colonica e di un’integrità di vita e di<br />
armonia con la natura giocata in una troppo facile<br />
contrapposizione alla disincantata sventatezza<br />
m o d e r n a , o d i f a v o r i r e , p e r l ’ a p p u n t o , l a<br />
museificazione di quanto ancora c’è di vivo delle<br />
tradizioni abitative locali o la loro ulteriore, e<br />
m a g a r i p i ù s o t t i l m e n t e i n s i d i o s a ,<br />
commercializzazione. "Ma se per tale ragione alla<br />
gioia che ci dà ogni vecchio muricciolo, ogni<br />
casamento medievale è mescolata una cattiva<br />
coscienza, nondimeno quella gioia sopravvive alla<br />
scoperta che la rende sospetta": quasi un senso di<br />
59<br />
sollievo per ciò che ancora non è andato distrutto,<br />
ossia lo stile di costruzione proprio del luogo, che<br />
anche in frammenti diruti, ne reca l’inconfondibile<br />
impronta: non tanto in quanto autoctono e originale,<br />
ma in quanto modello che con una relativa stabilità,<br />
con il suo ben definito repertorio di varianti<br />
regionali, è stato il linguaggio condiviso di tutta<br />
una cultura oppure di territori molto vasti<br />
accomunati da medesime caratteristiche geografiche e<br />
culturali (come per esempio è accaduto - caso limite<br />
- nell’ecumene alpina, relativamente insensibile a<br />
scansioni storiche, a divisioni nazionali o<br />
politiche, mondo omogeneo e trasversale nel cuore<br />
dell’Europa). Le costruzioni di questo genere di<br />
a r c h i t e t t u r a a n o n i m a e s p e s s o c o m u n i t a r i a<br />
corrispondevano innanzitutto non a dei "residenti" o<br />
turisti, ma ad abitanti reali, che dal territorio<br />
traevano sostentamento, la cui vita era resa<br />
possibile dall’equilibrio e dalla conservazione del<br />
territorio nei suoi tratti propri e specifici;<br />
dunque per i quali "abitare" e "costruire" era<br />
tutt’uno che "produrre territorio" o "salvaguardare"<br />
il luogo.
memoria e conservazione.<br />
Spaesamento, perdita di luogo e rilocalizzazione dell’identità culturale<br />
di Luisa Bonesio<br />
Concepire lo spazio come una dimensione puramente<br />
geometrica da riempire con volumetrie arbitrarie<br />
significa anche aver lasciato spegnere quella che<br />
Ruskin chiamava la "lampada della memoria". Al<br />
contrario del gesto iconoclasta della modernità, il<br />
compito dell’architettura è anche quello di<br />
tramandare, non per un citazionismo eclettico o una<br />
patinatura kitsch, ma per la scelta di accogliere<br />
consapevolmente un’eredità trasmessaci. "Quante<br />
pagine di incerte ricostruzioni del passato<br />
potremmo spesso risparmiare in cambio di pochi<br />
massi di pietra rimasti in piedi l’uno sull’altro",<br />
scriveva Ruskin, affidando all’architettura il<br />
compito di darsi una dimensione storica e di<br />
"conservare quella delle epoche passate come la più<br />
preziosa delle eredità". È così che essa "congiunge<br />
epoche dimenticate alle epoche che seguono, e quasi<br />
costituisce l’identità delle nazioni", in modo<br />
simile all’operare in conformità al riconoscimento<br />
del fatto che "la terra l’abbiamo ricevuta in<br />
consegna, non è un nostro possesso". Il primo<br />
compito che l’architettura dovrebbe darsi è quello<br />
di liberare molti spazi da molti dei suoi stessi<br />
prodotti recenti, decostruire il proprio orizzonte<br />
progressistico, la propria tecnolatria, demolendo,<br />
letteralmente, quanto costituisce solo sfregio<br />
estetico e sprezzo dei luoghi. Per accedere a<br />
questa determinazione, occorre dotarsi di uno<br />
sguardo capace di leggere e interpretare il<br />
territorio come un processo storico di cui siamo<br />
60<br />
diretti eredi e prosecutori, dunque responsabili.<br />
Con meno paradossalità di quanto appare, l’etica<br />
dell’architettura dovrebbe contemplare una<br />
necessaria opera di pulizia, una preliminare tabula<br />
rasa che restituisca molti luoghi alle loro<br />
p e c u l i a r i p r o p r i e t à f o r m a l i , s i m b o l i c h e e<br />
ambientali, senza aspettare che quest’opera sia<br />
attuata qua e là dalla natura, dal tempo o dalla<br />
intrinseca babelicità che attira la distruzione. Se<br />
fin dai suoi inizi tardo-ottocenteschi, la tecnica<br />
ha ridotto l’orbe a un paesaggio fabbrile e a un<br />
immenso, disarmonico cantiere, facendo del dissesto<br />
perenne la legge strutturale della sua avanzata,<br />
"occorre tener presente che, se vogliamo riferirci<br />
al mondo odierno dell’uomo, cioè a una civiltà per<br />
quanto in crisi estesa a tutto il globo e quindi<br />
non più estensibile materialmente, ma solo<br />
qualitativamente, si tratta di una costruzione a<br />
stadio molto avanzato. L’area assegnata definita,<br />
occupata prima parzialmente da sporadiche e<br />
precarie strutture, poi totalmente da più strutture<br />
separate, ma stabili e intensive, ha finito per<br />
raggiungere i limiti di sfruttamento". Allora in<br />
questo cantiere che ha estensione tendenzialmente<br />
planetaria ma che esercita una devastante incidenza<br />
in luoghi sempre specifici, è giunto il momento di<br />
pensare non più in termini di ulteriore espansione<br />
e intensificazione dello sfruttamento, ma di riuso,<br />
manutenzione, restauro, abbellimento, di periodico<br />
riassetto e di correzione di abusi ed eccessi.
Non si tratta di opzioni di basso profilo,<br />
rinunciatarie, se si pensa che è proprio a causa<br />
della perdita di consapevolezza dei limiti<br />
intrinseci di ogni costruzione umana (e del<br />
contesto che la rende possibile), che la civiltà<br />
corre il rischio di autodistruggersi: "La<br />
trasformazione della terra da parte dell’uomo,<br />
dapprima per lunghissimo tratto irrilevante, è<br />
andata accentuandosi man mano che crescevano forze<br />
o p e r a t i v e d e l l a s o c i e t à u m a n a , g i u n t e a<br />
condizionare la vita biologica spesso in modo<br />
devastatorio autolesivo": ci troviamo su quella<br />
linea (o forse l’abbiamo già oltrepassata) in cui<br />
la Terra richiede uno sguardo unitario, che non sia<br />
solo quello unilaterale e disponente della tecnica<br />
o quello, ancor più miope, dell’economia; ma questa<br />
consapevolezza globale di aver raggiunto il limite<br />
dell’equilibrio deve essere declinata ogni volta<br />
nella specificità delle configurazioni territoriali<br />
e dei loro peculiari punti di equilibrio e di<br />
conservazione. E ogni tessuto territoriale è un<br />
organismo complesso e delicato, non appiattibile a<br />
semplice superficie disponibile per qualsiasi<br />
manomissione; bensì una plurima sedimentazione di<br />
temporalità e intenzionalità funzionali diverse,<br />
scale differenti e orientamenti differenziati che<br />
non si sovrappongono o si elidono meccanicamente,<br />
come strati inerti, ma piuttosto si armonizzano in<br />
una vitale integrazione e collaborazione resa<br />
possibile dalla presenza articolante e vivificante<br />
di una stessa matrice di interpretazione e<br />
configurazione spaziale e simbolica. Così nei<br />
nostri territori "convivono e si integrano la<br />
centuriazione romana e i grandi percorsi naturali,<br />
gli insediamenti locali propri delle età iniziali<br />
ribaditi intatti nel Medio Evo e la città comunale,<br />
ricalcante quasi costantemente la colonia romana e<br />
la polis preromana; il tessuto e la struttura<br />
stessa dei campi è un acquisto sostanzialmente mai<br />
perduto, sempre ritrovato, perché intrinseco alla<br />
natura dei luoghi e all’uso che dei luoghi l’uomo<br />
può farne e seguiterà a farne. Questa è la lezione<br />
che il tessuto ci dà: ed è, per chi la sa leggere,<br />
una alta lezione al tempo stesso di realtà e di<br />
umanità".I rapporti tra aree ad elevata densità e<br />
i m p a t t o a b i t a t i v o o i n d u s t r i a l e d e v o n o<br />
necessariamente essere controbilanciate da aree<br />
vuote o rade, e non è possibile alterare un certo<br />
equilibrio sia all’interno del territorio stesso<br />
che fra territori diversi: "Negarli è solo futile,<br />
velleitario, dispersivo e alla fine destinato<br />
all’insuccesso, al rovesciamento con risultati<br />
opposti, accendendo un processo depressivo tanto<br />
più grave, quanto più grave è la manomissione<br />
compiuta".<br />
61<br />
Foto di Gabriele Basilico<br />
In alto: Valencia, 1998<br />
In basso: San Francisco
l’Architettura.<br />
62<br />
Daniel Egneus, cityscapes.
63<br />
Se le arti hanno, come le altre discipline, una storia<br />
e una mutazione nei territori di ricerca oltre a<br />
teorie e fondamenti, allora anche l'architettura può<br />
essere considerata una disciplina. E il territorio<br />
disciplinare dell'architettura si è modificato nel<br />
tempo, insieme alle condizioni tecniche del suo farsi<br />
e al suo posto nella società.<br />
Da ultimo, il cambiamento nelle condizioni di<br />
produzione e riproduzione delle immagini delle arti<br />
nella vita quotidiana è stato tanto traumatico da<br />
mettere in discussione i confini della disciplina<br />
architettonica. Fino a confonderne i compiti e i<br />
fondamenti, al limite della liquefazione.<br />
Vittorio Gregotti, protagonista dell'architettura<br />
italiana e internazionale, torna a interrogarsi sullo<br />
statuto di un'arte che è anche disciplina dotata di<br />
senso autonomo e di responsabilità sociale.<br />
«L'architettura rischia la liquefazione, sulla spinta<br />
del cambiamento nella produzione e riproduzione delle<br />
immagini. Da qui l'urgenza di ripensarne i confini,<br />
nel contesto dell'interdisciplinarietà, come pratica<br />
artistica dotata di senso proprio».<br />
di Vittorio Gregotti
Architettura.Otto definizioni.<br />
A.Monestiroli,La metopa e il triglifo, nove lezioni di architettura. Editori Laterza, Milano 2002.<br />
Cercare una definizione dell’architettura è di per<br />
sé testimonianza della volontà di definire i<br />
principi di costruzione, di fondare l’architettura<br />
su un sistema teorico razionale trasmissibile e<br />
condivisibile. L’architettura è una scienza,<br />
appartiene in generale al processo di conoscenza e<br />
si costruisce attraverso un insieme di regole<br />
individuate. Per questo motivo è necessario darne<br />
una definizione generale, che comprenda obiettivi e<br />
metodi, che descriva il fine e i mezzi propri di<br />
questa disciplina, che sia una descrizione<br />
abbreviata dei suoi principi costitutivi. Tutti i<br />
maestri dell’architettura nel corso dei secoli ne<br />
hanno dato una loro definizione o si sono<br />
r i c o n o s c i u t i i n u n a d i q u e s t e t r a m a n d a t a<br />
storicamente. La definizione di architettura<br />
manifesta il valore attribuito a essa nel momento in<br />
cui è formulata: non ce n’è una sola, ma tante che<br />
rappresentano sinteticamente diversi modi di<br />
intendere l’architettura nel tempo. Dunque è legata<br />
a un idea di architettura e contiene una teoria<br />
dell’architettura. Le definizioni che analizzeremo<br />
appartengono tutte a una famiglia di architetti che<br />
si sono tramandati una certezza: che l’architettura<br />
si forma razionalmente. Partiamo dalla definizione<br />
fondativa, che costituisce un punto di partenza con<br />
cui tutti, anche noi, dobbiamo misurarci: quella di<br />
Vitruvio. L’architettura è una scienza che è<br />
adornata di molte cognizioni e con le quali si<br />
regolano tutti i lavori che si fanno in ogni arte.<br />
Si compone di Pratica e Teorica. La Pratica è una<br />
continua e consumata riflessione sull’uso e si<br />
esegue con le mani dando una forma propria alla<br />
materia necessaria di qualunque genere essa sia. La<br />
Teorica è quella che si può dimostrare e dare conto<br />
delle opere fatte con il raziocigno. L’architettura<br />
si compone di Ordinazione, Disposizione, Euritmia,<br />
64<br />
Simmetria, Decoro, Distribuzione. Questa definizione<br />
è costituita di tre parti. La prima, perentoria,<br />
colloca l’architettura tre le scienze, tra quelle<br />
attività regolate da principi trasmissibili. La<br />
seconda sottolinea una necessità di una teoria verso<br />
cui orientare la pratica. La terza elenca i principi<br />
d i c u i s i c o m p o n e l a t e o r i a . O r d i n a z i o n e ,<br />
disposizione, distribuzione sono i principi che<br />
regolano i caratteri distributivi degli edifici, i<br />
rapporti tra forma e destinazione. Euritmia,<br />
simmetria, decoro sono principi propriamente formali<br />
che sottintendono un importante obiettivo: che la<br />
forma di ogni edificio sia rappresentativa<br />
dell’identità dell’edificio stesso. L’euritmia<br />
contiene la nozione di equilibrio fra le parti, la<br />
simmetria quella di proporzione fra le parti e il<br />
tutto, il decoro di adeguatezza delle forme alla<br />
destinazione. La proporzione è il principio generale<br />
su cui si fonda l’architettura; è intesa come<br />
sistema di rapporto fra le parti, rivelatrice del<br />
senso dell’edificio. Ho detto prima che la<br />
definizione di Vitruvio può essere considerata<br />
fondativa. E’ la prima che ci viene tramandata, che<br />
contiene l’elaborazione precedente degli architetti<br />
della Grecia antica e su cui si fonda tutto il<br />
pensiero successivo. Leon Battista Alberti,che<br />
inaugura la teoria dell’architettura classica in<br />
epoca moderna, costruisce il suo pensiero sul testo<br />
v i t r u v i a n o a s s u m e n d o n e l a d e f i n i z i o n e d i<br />
architettura e approfondendone il senso. Il valore<br />
del testo albertiniano sta nella riscoperta del<br />
nucleo teorico di Vitruvio, operata attraverso la<br />
cultura del Rinascimento. Abbiamo visto che è il<br />
rapporto con la natura, proprio del pensiero<br />
rinascimentale, che consente ad Alberti di<br />
riscoprire il senso della teoria delle proporzioni<br />
vitruviana.
L’obiettivo generale, proprio di ogni architettura<br />
classica, è quello dell’architettura come sistema di<br />
rappresentazione. Questa affermazione consente la<br />
continuità dei principi, dall’antichità all’<br />
architettura moderna, attraverso un momento<br />
fondamentale per la teoria dell’architettura e del<br />
progetto: l’Illuminismo. In questo periodo,<br />
i m p o r t a n t e p e r c h é r i f o n d a t i v o n o n s o l o<br />
dell’architettura ma della cultura occidentale, si<br />
delineano due posizioni riconoscibili in due diverse<br />
definizioni di architettura. Francesco Milizia<br />
riprende la definizione di Vitruvio: l’architettura<br />
è l’arte di costruire e si fonda sui principi già<br />
elencati da Vitruvio. Etienne Louis Boullèe la<br />
ribalta e apre la discussione su ciò che sta a monte<br />
d e l l e r e g o l e d e l m e s t i e r e , s u i f i n i<br />
dell’architettura, sul suo significato. La questione<br />
del significato non era mai stata posta prima in<br />
modo così esplicito. Non ci si era mai preoccupati<br />
di definire il significato dell’arte di costruire.<br />
Questo è sempre stato inteso con naturalezza, come<br />
cosa ovvia su cui non era necessario interrogarsi.<br />
Porre la questione del significato alla base della<br />
definizione di architettura è una scelta propria di<br />
questo momento storico. Si domanda Boullèe:<br />
Cosa è l’architettura? La definirò io con Vitruvio<br />
l’arte del costruire? Certamente no. Vi è in una<br />
definizione un errore grossolano. Vitruvio prende<br />
l’effetto per la causa. La concessione dell’opera ne<br />
precede l’esecuzione. I nostri antichi padri<br />
costruirono le loro capanne dopo averne creata<br />
l’immagine. E’ questa produzione dello spirito che<br />
costruisce l’architettura e che noi di conseguenza<br />
possiamo definire come l’arte di produrre e di<br />
portare fino alla perfezione qualsiasi edifici[…].<br />
P o r t a r e u n a c o s t r u z i o n e q u a l s i a s i p e r s u a<br />
perfezione. In cosa consiste questa perfezione?<br />
Nell’offrirci una decorazione relativa a quel tipo<br />
di costruzione a cui si trova applicata; ed è<br />
attraverso una distribuzione conveniente alla sua<br />
destinazione che si può presumere di portarla a<br />
perfezione.<br />
La perfezione dell’architettura è definita dal<br />
rapporto tra la forma e la destinazione. Per Boullèe<br />
la forma è forma rappresentativa: ciò che viene<br />
rappresentato in architettura è il carattere degli<br />
edifici. La nozione di carattere, già presente<br />
nell’architettura dell’antichità, diviene per gli<br />
architetti dell’Illuminismo la chiave di volta di<br />
t u t t o i l l o r o s i s t e m a t e o r i c o . L e f o r m e<br />
architettoniche saranno rivelatrici del carattere<br />
degli edifici e degli elementi che li compongono.<br />
Nel momento in cui gli ordini dell’architettura<br />
65<br />
classica vengono progressivamente abbandonati, ci si<br />
trova di fronte al problema di costruire un nuovo<br />
linguaggio e di doverlo fondare teoricamente. In<br />
questo momento la nozione di carattere diventa<br />
risolutiva. Il carattere degli edifici è riferito<br />
alla loro destinazione, al valore attribuito loro<br />
dalla cultura di un certo momento storico: il valore<br />
della Casa, del Tempio,del Sepolcro, ecc. Ma com’è<br />
possibile la rappresentazione del carattere degli<br />
edifici? Boullèe risponde proseguendo la sua<br />
definizione di architettura: Sarà la disposizione<br />
delle masse fra di loro, con la luce e con le ombre<br />
che, come avviene in natura comunicherà le<br />
sensazioni relative al carattere degli edifici.<br />
E’ ribadito il punto di vista dell’architettura<br />
classica: l’architettura come sistema di forme<br />
rappresentative si esplicita attraverso il rapporto<br />
fra le parti e attraverso il loro proporzionamento.<br />
C i ò c h e s i r e n d e e s p l i c i t o n e l l a t e o r i a<br />
dell’architettura e dell’Illuminismo è che questi<br />
rapporti dovranno essere significativi. D’altronde<br />
la teoria del bello come sistema di rapporti è<br />
assunta come punto di riferimento del pensiero<br />
estetico di tutto il periodo ed è enunciata<br />
ufficialmente da Denis Diderot nell’Encyclopèdie.<br />
Gli ordini sono ormai inessenziali, vengono<br />
considerati puro ornamento. Si possono citare, ma<br />
non possono essere assunti come elementi del nuovo<br />
linguaggio architettonico. Tuttavia, liberarsi dagli<br />
ordini non vuol dire negare i principini costruzione<br />
della forma architettonica. Questa è pur sempre il<br />
risultato di rapporti significativi come lo era<br />
stato per Vitruvio e per Alberti. Ma vediamo gli<br />
architetti moderni. Le Corbusier dà una definizione<br />
di architettura molto simile a quella di Boullèe:<br />
L’architettura è il gioco sapiente, corretto,<br />
magnifico dei volumi sotto la luce […]. Mediante<br />
l’uso di materiali grezzi deve stabilire rapporti<br />
emotivi […]. L’architettura è arte nel senso più<br />
elevato, è ordine matematico, armonia compiuta<br />
grazie all’esatta proporzione di tutti i rapporti.<br />
Questa definizione contiene tutti i passi di una<br />
t e o r i a d e l l ’ a r c h i t e t t u r a . F i n e u l t i m o<br />
dell’architettura è commuovere; Le Corbusier ripete<br />
sovente che ciò che distingue gli architetti dagli<br />
ingegneri è proprio il fatto che le forme<br />
a r c h i t e t t o n i c h e s a p r a n n o c o m m u o v e r e p e r c h é<br />
rappresentative di un significato propriamente<br />
umano. E’ il significato dei manufatti legati alla<br />
vita degli uomini, nelle cui forme si riconosce il<br />
valore attribuito loro: la commozione legata a<br />
questo riconoscimento di questo significato.
La forma architettonica si rende esplicita nel gioco<br />
sapiente, corretto, magnifico dei volumi sotto la<br />
luce. E’ il volume la forma elementare attraverso<br />
cui si costruisce l’architettura moderna. I volumi<br />
di cui è composto un edificio, resi evidenti dalla<br />
luce che li distingue, stabiliscono rapporti<br />
significativi; l’esatta proporzione di questi<br />
r a p p o r t i r e n d e i n t e l l i g i b i l e l a f o r m a<br />
architettonica. Per Le Corbusier ciò che conta è il<br />
rapporto fra le parti (il gioco dei volumi) che sarà<br />
rivelatore del significato propriamente umano<br />
dell’edificio. I tre aggettivi con cui egli<br />
definisce il gioco dei volumi sotto la luce sono<br />
indicativi della struttura logica del suo pensiero.<br />
Il gioco del sapiente, si fonda cioè sulla<br />
conoscenza del rapporto fra una forma e la sua<br />
destinazione. Le forme non saranno definite<br />
arbitrariamente, ma rispetto all’appropriatezza alla<br />
loro destinazione (la forma della casa sarà<br />
appropriata alla vita domestica, la forma del tempio<br />
alla sua destinazione collettiva). E’ corretto,<br />
assoggettato a regole che per Le Corbusier sono<br />
sempre quelle dell’architettura classica, della<br />
concinnitas albertiana, della simmetria vitruviana,<br />
le regole che conducono all’armonia dell’opera,<br />
analoga all’armonia dell’universo. E’ l’armonia che<br />
rende il gioco dei volumi sotto la luce magnifico.<br />
Terzo importante aggettivo della definizione,che<br />
testimonia la capacità dell’architettura di far<br />
g r a n d i g l i u o m i n i c h e l ’ a b i t a n o e c h e l a<br />
c o s t r u i s c o n o . L a q u e s t i o n e c h e d o b b i a m o<br />
approfondire, per andare oltre ogni sospetto di<br />
formalismo che la definizione di Le Corbusier ci può<br />
lasciare, riguarda il rapporto fra la forma e la sua<br />
destinazione. Per chiarire definitivamente questo<br />
rapporto ci rivolgiamo alla definizione di<br />
architettura di Adolf Loos, da questo punto di vista<br />
esemplare:<br />
Se in un bosco troviamo un tumulo lungo sei piedi e<br />
largo tre, disposto con la pala a forma di piramide,<br />
ci facciamo seri e qualcosa dice dentro di noi: qui<br />
è sepolto un uomo. Questa è architettura.<br />
Se analizziamo questa definizione parola per parola,<br />
ci rendiamo conto della sua chiarezza e profondità.<br />
Il luogo dell’architettura è un bosco, un luogo<br />
naturale con cui una forma, costruita dall’uomo, si<br />
confronta. Questa forma, il tronco di piramide,<br />
possiede precisi rapporti dimensionali (tre piedi<br />
per sei) e quindi chiare proporzioni; è costruita<br />
dall’uomo attraverso l’uso di uno strumento, la<br />
pala. Le proporzioni della piramide sono chiare e<br />
rappresentano con evidenza la sua destinazione.<br />
Provocano in noi un’emozione. Ci facciamo seri, dice<br />
66<br />
Loos, e qualcosa dice dentro di noi; qui è sepolto<br />
un uomo. La forma è rappresentativa della sua<br />
destinazione: questa è architettura. In questa<br />
definizione è posta con evidenza la questione del<br />
significato, del rapporto che si stabilisce fra<br />
forma e ciò di cui essa è evocativa. Un rapporto<br />
sempre esistito fin dall’infanzia della cultura<br />
o c c i d e n t a l e , m a c h e n o n h a m a i r i c h i e s t o<br />
spiegazioni. La bellezza degli edifici è tutta<br />
comprese nell’armonia dei loro rapporti, rapporti<br />
che contengono un significato: la nostra emozione è<br />
legata al riconoscimento di quel significato. Questo<br />
è ciò che Loos ha reso esplicito con la sua<br />
definizione di architettura.<br />
Tre importanti filosofi, Schelling, Hegel, Lukàcs,<br />
si sono cimentati nella loro Estetica con il<br />
difficile tema dell’Architettura. Dal loro punto di<br />
vista hanno formulato tre importanti definizioni di<br />
architettura.<br />
Hegel:<br />
L’architettura classica sviluppa a bellezza il tipo<br />
fondamentale della casa […]. La casa è una<br />
costruzione assolutamente rispondente, creata<br />
dall’uomo per fini umani. In essa l’uomo si<br />
manifesta.<br />
Lukàcs:<br />
L’architettura è la costruzione di uno spazio reale,<br />
adeguato, che evoca visivamente l’adeguatezza.<br />
Queste due definizioni sono molto simili fra loro.<br />
N o i s a p p i a m o c h e i l p e n s i e r o d i L u k à c s è<br />
strettamente legato a quello di Hegel, da cui<br />
dipende, ed è molto vicino anche a quello degli<br />
architetti moderni che abbiamo citato, soprattutto a<br />
quello di Loos. I due filosofi chiariscono dal punto<br />
di vista il significato profondo del nostro<br />
mestiere: Hegel assume un tipo fondamentale della<br />
c a s a c o m e t e m a p r o p r i o d e l l ’ a r c h i t e t t u r a .<br />
L ’ a r c h i t e t t u r a d e l l a c a s a d e g l i u o m i n i è<br />
innanzitutto costruzione rispondente (adeguata,dice<br />
Lukacs) ai fini umani. Gli uomini costruiscono la<br />
casaper loro stessi, in modo rispondente alla loro<br />
cultura dell’abitare. Nella forma della casa, nella<br />
sua architettura quindi, l’uomo manifesta se stesso.<br />
L o s t e s s o c o n c e t t o è e s p r e s s o d a L u k a c s :<br />
l’architettura è spazio reale, adeguato ai fini per<br />
cui è stato costruito, e il suo vero scopo consiste<br />
nell’evocare la sua adeguatezza. Attraverso tale<br />
evocazione l’architettura compie il proprio ruolo.<br />
L’architettura è spazio costruito in cui si svolge<br />
la vita degli uomini diverso quindi dallo spazio<br />
allegorico della pittura; le sue forme saranno<br />
evocative dei valori propri della loro cultura.
Il tumulo di Loos è costruzione di uno spazio<br />
reale, adeguato (alla sepoltura), che evoca<br />
visivamente la sua adeguatezza. Le definizioni di<br />
Hegel e Lukacs dunque ribadiscono il legame<br />
necessario in architettura, tra forma e significato.<br />
Ribadiscono il valore rappresentativo delle forme<br />
architettoniche, stabilendo che l’architettura non<br />
rappresenta valori estranei all’architettura stessa,<br />
ma quelli profondamente legati ai fini per cui essa<br />
è costruita. La casa rappresenterà il senso più<br />
profondo della vita domestica, il tempio valore<br />
evocativo del culto per cui è costruito, e allo<br />
stesso modo la forma di una porta o di una finestra,<br />
della colonna, ecc. ,rappresenterà il significato<br />
proprio di questi elementi. Così attraverso<br />
l’architettura gli uomini rappresentano se stessi,<br />
la loro cultura, che tramanda e riconoscono nelle<br />
forme in cui l’architettura si costruisce. Prima di<br />
concludere con la definizione di architettura di<br />
Schelling, e perché questa risulti più chiara,<br />
vogliono ricordare quella di un altro grande<br />
architetto, Mies van der Rohe:<br />
Chiarezza costruttiva portata alla sua espressione<br />
esatta. Questo è ciò che io chiamo architettura.<br />
Mies van der Rohe divide la sua definizione in due<br />
parti. Nella prima dice: chiarezza costruttiva.<br />
Dunque l’architettura è costruzione razionale, una<br />
costruzione in cui ogni elemento è al posto che gli<br />
compete e le cui interconnessioni obbediscono alle<br />
leggi della ragione. Questa prima parte della<br />
d e f i n i z i o n e h a u n a s u a l a r g a o g g e t t i v i t à<br />
condivisibile da ogni costruttore, in ogni tempo. La<br />
seconda restringe e individua il campo specifico<br />
dell’architettura, chiarezza costruttiva portata<br />
alla sua espressione esatta. Questo è ciò che<br />
distingue l’architettura da qualsiasi altra<br />
costruzione. L’architettura non può limitarsi<br />
all’atto costruttivo. La costruzione deve essere<br />
rappresentativa del suo proprio valore, e questa<br />
rappresentazione non può essere approssimativa.<br />
Perché il suo valore venga riconosciuto è necessario<br />
che la rappresentazione sia precisa, compiuta con<br />
esattezza. Questa definizione insiste, nel solco di<br />
quelle precedenti, sulla forma dell’architettura<br />
come forma rappresentativa.<br />
E ora concludiamo con la definizione che considero<br />
p i ù i l l u m i n a n t e l a p r o p r i e t à s p e c i f i c a<br />
dell’architettura, quella di Schelling, non molto<br />
distante da questa di Mies van der Rohe. Schelling,<br />
l’idealista tedesco compagno di Hegel, dice che<br />
l’architettura è metafora della sua costruzione. Le<br />
sue parole esatte sono:<br />
67<br />
L’architettura è rappresentazione di se stessa in<br />
quanto costruzione rispondente a uno scopo.<br />
Questa definizione, a prima vista sibillina,<br />
chiarisce quanto detto fin qui. Pensiamo alla<br />
disputa a distanza fra Vitruvio e Boullèe. Vitruvio<br />
dice che l’architettura è l’arte di costruire, è<br />
costruzione; Boullèe che l’architettura non è<br />
costruzione, ma rappresentazione. Schelling compone<br />
questa disputa sostenendo che l’architettura è la<br />
rappresentazione dell’atto costruttivo, appunto<br />
metafora della sua costruzione. Comprende cioè un<br />
momento che la distingue come arte, che consiste nel<br />
voler esaltare – direbbe Boullèe - , rappresentare –<br />
diciamo noi – il senso della costruzioni e dei suoi<br />
elementi. Non è forse questa la bellezza dell’ordine<br />
dorico che fissa in forme stabili la costruzione e<br />
la rappresenta nella sua necessaria generalità? Non<br />
è questo allo stesso modo il pensiero di Mies van<br />
der Rohe che cerca le forme rappresentative della<br />
costruzione? Non è questo ciò che Mies intende<br />
quando parla di chiarezza costruttiva portata alla<br />
sua espressione esatta? Credo che questa definizione<br />
sia di grande importanza per noi e che faccia<br />
chiarezza nei confronti di tutti coloro che si<br />
a f f i d a n o a l l e f o r m e t e c n i c h e , c o l o r o c h e<br />
identificano l’architettura e costruzione. Allo<br />
stesso modo credo che chiarisca l’equivoco di chi,<br />
contrapponendosi ai tecnicisti, considera la<br />
costruzione un momento secondario dell’architettura.<br />
Con Schelling diciamo che l’architettura è<br />
costruzione, e che la sua proprietà estetica<br />
consiste nella rappresentazione in forme stabili del<br />
senso dell’insieme e delle parti. Gli ordini<br />
dell’architettura assolvevano a questo compito,<br />
l’architettura moderna è ancora alla ricerca delle<br />
sue forme rappresentative. Loos, Le Corbusier, Mies<br />
si sono avviati in questa direzione e le loro<br />
definizioni di architettura lo testimoniano. Al di<br />
là della confusione delle ricerche contemporanee sul<br />
linguaggio possiamo riconoscere nel loro lavoro un<br />
solido punto di partenza per il nostro.
69<br />
A t a l e m u t a m e n t o s u c c e d e u n p r o c e s s o d i<br />
globalizzazione diffusa che se anche riflette la<br />
nuova condizione dell'abitare, all'interno nasconde<br />
le contraddizioni più profonde: la un lato la crisi<br />
" d e l l ' i d e n t i t à c o l l e t t i v a d i u n a c u l t u r a<br />
architettonica.. non più fondibile nè su una<br />
continuità di stile e di linguaggio…, ne tantomeno<br />
sull'unità di luogo geografico" (1), d'altro lato la<br />
ricerca di differenze locali come riscatto al<br />
processo di omologazione dilagante, nel tentativo di<br />
ridefinire, proprio attraverso la loro presenza, una<br />
nuova verità dello specifico.<br />
(1) V. Gregotti, L'identità dell'architettura europea e la<br />
sua crisi, Einaudi, Torino 1999.<br />
Guya Bertelli,<br />
Frammenti, scritti di architettura, Milano 2005.
Liquefazione<br />
V.Gregotti, Contro la fine dell’architettura, Einaudi Editore, Milano 2008.<br />
L’argomento preso in esame da Vittorio Gregotti in,<br />
Contro la fine dell’architettura, è quello della<br />
crisi in cui versa l’architettura e dell’urgenza di<br />
recuperare i propri obiettivi disciplinari e le<br />
proprie finalità sociali. Le cause che individua<br />
sono fondamentalmente tre, che analizza nei primi<br />
tre capitoli del libro.La prima, riguarda un uso<br />
dogmatico della teoria e soprattutto l’eccesso della<br />
comunicazione che ha messo in crisi i caratteri<br />
della disciplina. L’impiego esorbitante dei suoi<br />
m e z z i c h e h a c r e a t o u n a s o v r a e s p o s i z i o n e<br />
dell’immagine architettonica, mettendo in secondo<br />
piano la sua identità e il suo fine. Tale processo<br />
di “liquefazione” è stato vissuto, in un primo<br />
tempo, come una sorta di liberazione che ha<br />
i n n e s c a t o u n p r o c e s s o d i e s t e t i z z a z i o n e<br />
generalizzato entro cui è andata smarrendosi la<br />
necessità e il senso del fare architettura. «Il<br />
nuovo diventa novità e abbandona ogni pretesa<br />
fondativa di costituzione di differenze. Tutto è<br />
sostanzialmente fermo pur nell’incessante turbinio<br />
delle proposte, fermo in un tempo che si pretende<br />
senza storia» (p. 9).<br />
L’autore si sofferma sul contributo del pensiero<br />
t e o r i c o i n c a m p o a r c h i t e t t o n i c o , s u l s u o<br />
significato, sulla sua attualità e le sue aporie,<br />
una delle quali è «[...] il sospetto di rigidità e<br />
di astrazione che riduce forzatamente il nostro<br />
agire progettuale ai principi teorici in quanto<br />
modelli», mentre invece l’arte dovrebbe avere il<br />
compito di «[...] sottrarsi alla realtà empirica<br />
criticandola senza negarla, per costruire per mezzo<br />
della forma una metafora della realtà strutturale<br />
70<br />
del presente e delle sue possibili alternative con<br />
cui confrontarsi» (p. 20).<br />
Quello che sembra cruciale, nell’attuale incapacità<br />
a costruire delle distanze critiche da cui estrarre<br />
indicazioni alternative è l’attuale “avanguardismo<br />
consumistico” che ha cancellato buona parte dei<br />
valori critici delle avanguardie dei primi decenni<br />
dello scorso secolo e rovesciato il senso della loro<br />
“faticosa”, quanto “dolorosa rottura delle regole”;<br />
in questo modo, esse ora sono diventate la prima<br />
legge del “mercato dell’arte postsociale”.<br />
L a s e c o n d a c o n c e r n e i p r o b l e m i p o s t i<br />
dall’interdisciplinarietà alla teoria e alla prassi<br />
architettonica. E questo, sulla base delle<br />
convinzioni di molti progettisti di successo dei<br />
nostri anni per i quali la fuoriuscita dal proprio<br />
campo di lavoro è una manifestazione dell’espansione<br />
della “creatività”, anche se questo avviene «nel<br />
vuoto di un nuovo senza necessità» (p. 56). Questa<br />
interpretazione dell’interdisciplinarietà come<br />
superamento della distinzione tra cultura umanistica<br />
e scientifica, in realtà si è manifestata come una<br />
forma di soggezione, da parte delle arti, al<br />
pensiero scientifico. In effetti, il mondo delle<br />
tecnoscienze rappresenta una notevole attrazione per<br />
le arti, pur facendo appello ad obiettivi diversi,<br />
perseguiti con modalità dissimili da quelli della<br />
scienza. La conseguenza, osserva Gregotti, è «[...]<br />
una volontaria dissipazione dell’idea di sostanza<br />
dell’arte stessa, della coscienza della sua<br />
tradizione (coscienza indispensabile al suo stesso<br />
superamento) in cui ogni specificità delle pratiche
artistiche o si trasforma in specializzazione<br />
estrema o diventa tessitrice dell’incessante<br />
trasformazione della superficie delle cose l’una<br />
nell’altra» (p. 57).<br />
Anche l’architettura, nota l’autore, pur avendo<br />
obiettivi più empirici, anche se assolutamente<br />
p r e c i s i n e l l e r e g o l e d e l p r o p r i o f a r e , h a<br />
un’importante cultura di produzione, le cui modalità<br />
realizzative un tempo erano in grado di mettere in<br />
opera «[...] una edilizia corrente, prezioso tessuto<br />
di connessione di ogni sistema urbano, sviluppata<br />
nel rispetto di un comune senso civile.<br />
Ciò che però sembra indispensabile evitare è che,<br />
tutto questo, passi attraverso la liquefazione della<br />
propria specificità disciplinare; evitare, cioé che<br />
si producano processi di affrettata deduzione dalle<br />
s u g g e s t i o n i o f f e r t e d a i c a m p i d i s c i p l i n a r i<br />
altri» (p. 71-72).<br />
La terza, è data dal nuovo assetto del mondo del<br />
lavoro, la cui trasformazione, non senza una certa<br />
forzatura egli vede dipendente dall’assenza di un<br />
terreno metodologico comune tra gli architetti,<br />
dalla loro incapacità ad organizzarsi in gruppi<br />
fondati su base teorica: perseguendo, piuttosto,<br />
q u e l l a d e l l e l o b b i e s o d e l l a s o l i d a r i e t à<br />
telecomunicativa sulla base del fatto che il<br />
successo mediatico ha maggiore ascolto, interesse,<br />
attenzione rispetto ad una manifestazione di senso.<br />
Un ulteriore cambiamento è dato dal rovesciamento<br />
dei valori per cui la cultura dell’architettura è di<br />
coloro che la eseguono e il processo di dispersione<br />
culturale è tale che l’unico valore che prevale è<br />
quello del rapporto costo, moda, efficienza. Le<br />
qualità artigianali si sono fatte ormai rare e ciò<br />
che resta disponibile nell’edilizia sono i<br />
semilavorati che fanno capo a una tradizione di<br />
diversa provenienza. Tutto questo ha a che vedere<br />
con un cambio di ruolo del progetto, nel ciclo della<br />
produzione edilizia. L’architettura, in questo<br />
senso, si sta trasformando in un’organizzazione che<br />
concentra in sé un coacervo di differenti attività e<br />
l’architetto è solo uno specialista della forma<br />
all’interno di un team che produce il manufatto<br />
edilizio. Per altro verso, bisogna registrare,<br />
altresì, il fatto che l’architettura sta diventando<br />
« u n a d i s c i p l i n a e s t e t i c a d e l m e r c a t o d e l<br />
consenso» (p. 79).<br />
Ma il fenomeno più importante e per certi versi più<br />
preoccupante perchè non è semplice misurarne le<br />
conseguenze, nota Gregotti, è quello della<br />
dilatazione del mercato a livello planetario che ha<br />
portato alla «[...] ideologia delle tecnoscienze e<br />
dei mercati finanziari, di produzione e di<br />
consumo» (p. 88); che è «[...] diffusa dal<br />
p o t e n t i s s i m o s t r u m e n t o d e l l e c o m u n i c a z i o n i<br />
71<br />
immateriali di massa nelle diverse forme, aspetti di<br />
un sistema in continuo, apparente mutamento pur<br />
senza trasformazioni strutturali» (p. 88).<br />
Un ultimo aspetto da considerare, in questo quadro<br />
di trasformazioni del fare progettuale è quello<br />
rappresentato dall’azione esercitata dalle grandi<br />
real estate il cui monofunzionalismo immobiliare sta<br />
p o r t a n d o a l l a c r e a z i o n e d i g r a n d i g h e t t i<br />
sorvegliati, per ricchi e per poveri. Tale indirizzo<br />
ha come conseguenza la trasformazione della città e<br />
della sua tradizione di luogo di scambio e di<br />
cultura.<br />
Di fronte a tutto questo, in architettura sono<br />
possibili solo due atteggiamenti: aderire alla<br />
condizione della globalizzazione, accettandone nel<br />
contempo l’aspetto ideologico che si riassume<br />
nell’adesione allo stato delle cose, oppure assumere<br />
una posizione critica nei confronti della realtà<br />
nella forma in cui viene a delinearsi.<br />
Nel quarto capitolo conclusivo, Gregotti porta<br />
avanti una riflessione complessiva sullo stato delle<br />
cose dell’architettura e sulla necessità di<br />
ridefinizione dei suoi margini per un cambiamento<br />
che porti alla riaffermazione di alcuni dei suoi<br />
v a l o r i p e r d u t i . P e r l a s u a s a l v e z z a d a l l a<br />
“liquefazione” indica, dunque, come strada, il<br />
recupero del suo aspetto identitario. Così, dopo<br />
aver preso in esame il quadro delle avvenute<br />
modificazioni dell’assetto sociale, produttivo e<br />
culturale con cui la disciplina progettuale è<br />
impegnata a confrontarsi, l’autore riafferma la<br />
necessità di ripensare tali confini, sia nel<br />
contesto dell’interdisciplinarietà, attraverso una<br />
pratica artistica dotata di senso proprio, che in<br />
q u e l l o d e l l a d e f i n i z i o n e d e l l ’ i m m a g i n e<br />
architettonica che, aldilà della sua essenza<br />
dovrebbe tornare ad essere «[...] sostanza che<br />
produce interpretazione» (p. 121).<br />
Daniel Egneus, cityscapes
Sperimentazione.<br />
72<br />
Daniel Egneus, Milano.
“Non so se vi ho convinti, ma volevo spiegarvi che i<br />
barbari hanno una logica. Non sono una cellula<br />
impazzita. Sono un animale che vuole sopravvivere, e<br />
ha le sue idee su quale sia l’habitat migliore per<br />
riuscirci. Il punto esatto in cui scatta la loro<br />
d i f f e r e n z a è l a v a l u t a z i o n e d i c o s a p o s s a<br />
significare, oggi, “fare esperienza”. So potrebbe<br />
dire: “incontrare il senso”. E’ lì che loro non si<br />
riconoscono più nel galateo della civiltà che li<br />
aspetta: e che, ai loro occhi, riserva solo<br />
cervellotiche non-esperienze. E vuoti di senso. E’<br />
lì che scatta questa loto idea di uomo orizzontale,<br />
di senso distribuito in superficie, di surfing<br />
dell’esperienza, di rete di sistemi passanti: l’idea<br />
che l’intensità del mondo non si dia nel sottosuolo<br />
delle cose, ma nel bagliore di una sequenza<br />
d i s e g n a t a i n v e l o c i t à s u l l a s u p e r f i c i e<br />
dell’esistente.<br />
... Dico spettacolarità, ma è per usare un<br />
eufemismo. In realtà parlo di tutta un’area di cose<br />
fastidiose che ruota intorno a espressioni come<br />
“seduzione, virtuosismo, doping” .<br />
73<br />
... Se volete, il termine totemico di kitsch<br />
d e f i n i s c e a b b a s t a n z a b e n e i l c o n f i n e d i<br />
quell’equilibrio: quando il tratto seduttivo<br />
straborda oltre il lecito, o peggio, di esibisce in<br />
assenza di qualsiasi sostanza degna di nota, scatta<br />
il kitsch.<br />
Dovete ricordarvi di monsieur Bertin e di uno dei<br />
suoi ideali: la fatica. Ciò che spesso dà fastidio,<br />
nella spettacolarità, è il suo nesso con la<br />
facilità, e quindi con l’attenuarsi della fatica.<br />
...quella spettacolarità, e quell’uso dopato del<br />
l i n g u a g g i o c r e a n o d i f f i c o l t à n o n f a c i l i t à :<br />
moltiplicano la fatica e attraverso di essa<br />
conducono nel sottosuolo. In un certo senso sono il<br />
meglio che la civiltà sia portata a desiderare:<br />
tutto il piacere della spettacolarità, del<br />
virtuosismo, della seduzione, legittimato da una<br />
grande fatica, e da un riconoscibile viaggio in<br />
profondità.<br />
Ma la spettacolarità dei barbari non produce<br />
fatica.”<br />
da I barbari, A. Baricco.
Codice ovvio<br />
74<br />
Renè Magritte, Il tradimento delle immagini, 1929
75<br />
Bruno Munari, da "Codice Ovvio
Straniamento<br />
[ Julio Cortàzar, Storie di Cronopios e di Famas,<br />
p. 18-19 ]<br />
Istruzioni per salire le scale<br />
Nessuno può non aver notato che sovente il suolo si<br />
piega in modo che da una parte sale ad angolo retto<br />
rispetto al piano del suolo medesimo mentre la<br />
parte che segue si colloca parallelamente a questo<br />
piano per dar luogo ad un'altra perpendicolare,<br />
comportamento che si ripete a spirali o secondo una<br />
linea spezzata fino ad altezze sommamente<br />
variabili. Chinandoci e mettendo la mano sinistra<br />
su una delle parti verticali e quella destra sulla<br />
corrispondente orizzontale ci troveremo in<br />
momentaneo possesso di un gradino o scalino.<br />
Ciascuno di questi scalini, formati come si vede da<br />
due elementi, si trova ubicato un po' piú in alto e<br />
un po' piú in avanti rispetto al precedente,<br />
principio che dà significato alla scala, dato che<br />
qualsiasi altra combinazione determinerebbe forme<br />
magari piú belle o pittoresche, ma inadatte a<br />
trasportare da un pianterreno a un primo piano.<br />
76<br />
Peter Eisenman, House II, 1969/70
Peter Eisenman, House II, 1969/70<br />
77<br />
Le scale si salgono frontalmente, in quanto<br />
all'indietro o di fianco risultano particolarmente<br />
scomode. La posizione naturale è quella in piedi,<br />
le braccia in giù senza sforzo, la testa eretta ma<br />
non tanto da impedire agli occhi di vedere gli<br />
scalini immediatamente superiori a quello sul quale<br />
ci si trova, e respirando con lentezza e ritmo<br />
regolare. Per salire una scala si cominci con<br />
l'alzare quella parte del corpo posta a destra in<br />
basso, avvolta quasi sempre nel cuoio o nella pelle<br />
scamosciata; e che salvo eccezioni è della misura<br />
dello scalino. Posta sul primo scalino la suddetta<br />
parte, che per brevitá chiameremo piede, si tira su<br />
la parte corrispondente sinistra (anch'essa detta<br />
piede, ma da non confondersi con il piede<br />
menzionato), e portandola all'altezza del piede la<br />
si fa proseguire fino a poggiarla sul secondo<br />
scalino, sul quale grazie a detto movimento<br />
riposerà il piede mentre sul primo riposerà il<br />
piede. (I primi scalini sono sempre i più<br />
difficili, fino a quando non si sarà acquisito il<br />
coordinamento necessario. Il fatto che coincidano<br />
nel nome il piede e il piede rende difficoltosa la<br />
spiegazione. Fare attenzione a non alzare<br />
contemporaneamente il piede e il piede).
Giunti con questo procedimento sul secondo scalino,<br />
basta ripetere a tempi alterni i suddettì movímenti<br />
fino a trovarsi in cima alla scala. Se ne esce<br />
facilmente con un Ieggero colpo di tallone che la<br />
fissa al suo posto, dal quale non si muoverà fino al<br />
momento della discesa.<br />
78<br />
Peter Eisenman, House II, 1969/70
[ Viktor Sklovskij, Una teoria della prosa, p.<br />
16-18 ]<br />
«Con lo straccio della polvere in mano feci il giro<br />
della mia camera; ma quando arrivai al sofà non<br />
sapevo più se lo avessi già spolverato o no. Poiché<br />
nello spolverare i movimenti sono abituali e<br />
inconsci, non riuscivo a ricordarmi se li avevo già<br />
compiuti e sentivo per di più che non sarei mal<br />
riuscito a ricordarmelo. Se ho spolverato e poi ho<br />
dimenticato di averlo fatto, cioè, se ho agito<br />
inconsapevolmente, è proprio come se non fosse<br />
successo niente...<br />
Se la vita di molti uomini, con tutta la sua<br />
complessità, scorre inconsapevolmente, allora è<br />
come se non ci fosse stata» (Diari di Lev Tolstoj,<br />
28 febbraio 1897, Nikolskoe, Letopis, dicembre<br />
1 9 1 5 ) . C o s ì l a v i t a p a s s a , s i a n n u l l a .<br />
L'automatizzazione inghiotte tutto: cose, abiti,<br />
mobili, la moglie e la paura della guerra. «Se la<br />
vita di molti uomini, con tutta la sua complessità,<br />
scorre inconsapevolmente, allora è come se non ci<br />
fosse stata.» Per risuscitare la nostra percezione<br />
della vita. per rendere sensibili le cose, per fare<br />
della pietra una pietra, esiste ciò che noi<br />
chiamiamo arte. Il fine dell'arte è di darci una<br />
sensazione della cosa, una sensazione che deve<br />
essere visione e non solo agnizione. Per ottenere<br />
questo risultato l'arte si serve di due artifici:<br />
lo straniamento delle cose e la complicazione della<br />
forma, con la quale tende a rendere più difficile<br />
la percezione e prolungarne la durata. Nell'arte il<br />
processo di percezione è infatti fine a se stesso e<br />
deve essere protratto. L'arte è un mezzo per<br />
esperire il divenire di una cosa; per essa ciò che<br />
è già stato non ha alcuna importanza. [...] In<br />
Tolstoj l'artificio dello straniamento consiste nel<br />
non nominare per nome le cose ma nel descriverle<br />
come se le vedesse per la prima volta.<br />
79<br />
Renè Magritte, Golconde, 1953
Decontestualizzazione<br />
80<br />
Renè Magritte, La bonne aventure, 1937
81<br />
Leon Battista Alberti, chiesa di S. Andrea a Mantova,<br />
1470
82<br />
Roma, arco di Tito
83<br />
Andrea Palladio, villa Malcontenta, 1560<br />
Paestum, tempio di Era II (Posidone)
Sostituzione<br />
L'omino di vetro<br />
Dato un personaggio, reale (come la Befana o<br />
Pollicino) o uno immaginario (come l'uomo di vetro,<br />
per dire il primo che mi viene in mente) le sue<br />
avventure potranno essere logicamente dedotte dalle<br />
sue caratteristiche. «Logicamente» qui è detto in<br />
rapporto a una logica fantastica o a una logicalogica?<br />
Non saprei. Forse a tutt'e due.<br />
Sia, per l'appunto, un uomo di vetro. Egli dovrà<br />
agire, muoversi, contrarre relazioni, subire<br />
incidenti, provocare eventi solo obbedendo alla<br />
natura della materia di cui lo immaginiamo fatto.<br />
L'analisi di questa materia ci offrirà la regola<br />
del personaggio.Il vetro è trasparente. L'uomo di<br />
vetro è trasparente. Gli si leggono i pensieri in<br />
testa. Non ha bisogno di parlare per comunicare.<br />
N o n p u ò d i r e b u g i e p e r c h é s i v e d r e b b e r o<br />
immediatamente, a meno che egli non porti il<br />
cappello. Brutto giorno, nel paese, degli uomini di<br />
vetro, quello in cui viene lanciata la moda del<br />
cappello, cioè la moda di nascondersi i pensieri.<br />
Il vetro è fragile. La casa dell'uomo di vetro<br />
dovrà dunque essere tutta imbottita. I marciapiedi<br />
saranno tappezzati di materassi. Vietata la stretta<br />
i mano (!). Proibiti i lavori pesanti. Il vero<br />
medico del paese è il vetraio.<br />
Il vetro può essere colorato. E' lavabile.<br />
Eccetera. Nella mia enciclopedia, al vetro sono<br />
dedicate quattro grandi pagine, e quasi ad ogni<br />
riga s'incontra una parola che potrebbe acquistare<br />
il suo significato nella storia degli uomini di<br />
vetro. Sta lí, nero su bianco, accanto a ogni sorta<br />
di notizie chimiche, fisiche, industriali,<br />
storiche, merceologiche, e non lo sa: ma il suo<br />
posto in una fiaba è assicurato. [...]<br />
Gianni Rodari, GRAMMATICA DELLA FANTASIA, Einaudi,<br />
Torino 1973<br />
84<br />
Renè Magritte, La battaglia delle Argonne, 1959
85<br />
Parigi, Hotel particulier, pianta
86<br />
Franco Purini, torri delle Halles, 1979
87<br />
Alessandro Anselmi, cimitero di Parabita, 1967,
Inclusione<br />
88<br />
Renè Magritte, L'importance de merveilles, 1927
89<br />
Oswald Mathias Ungers, progetto per la Solarhaus a<br />
Landstuhl
Smontaggi/<br />
Rimontaggi<br />
90<br />
Renè Magritte, Il pellegrino, 1966
91<br />
Andrea Palladio, Palazzo Chiericati, Vicenza 1550,<br />
particolare di due finestre sul cortile interno
92<br />
Bernardo Buontalenti, Porta delle Suppliche<br />
agli Uffizi, 1574
93<br />
Franco Purini, Museo per piccoli quadri, 1978
Salto di scala<br />
94<br />
Renè Magritte, La legende des siecles, 1950
95<br />
Adolf Loos, progetto per il concorso del Chicago<br />
Tribune, 1922
96<br />
Franco Purini, ampliamento del municipio di<br />
Castelforte, 1983
97<br />
Robert Venturi, progetto per Times Square, 1984
Analogia<br />
98<br />
Renè Magritte, Le passeggiate di Euclide, 1955
99<br />
Claude Nicolas Ledoux, officina del bottaio, 1773
100<br />
Cecil Beaton, ritratto di Aldus Huxley, 1936
101<br />
Fabio Ghersi, Huxley Museum, 1979
102<br />
Piet Mondrian, Victory Boogie Woogie, 1943-44
103<br />
John Hejduk, Diamond House A, 1963 -<br />
tratto dagli studi del Prof. Ghersi
innovazione.<br />
è un’attività di pensiero che perfeziona un<br />
processo migliorando il tenore di vita dell'uomo.<br />
è cambiamento che genera progresso umano e che<br />
porta con sé valori e risultati positivi,<br />
mai negativi.<br />
104<br />
Behind the Expo, Shanghai 2010.
105<br />
trovo che sia imbarazzante. quasi volgare. definire<br />
innovazione la soluzione dei problemi. il risparmio<br />
energetico. la stessa eco-architettura. perchè<br />
trovo che siano semplicemente insite quasi ovvie<br />
nell’appropriatezza dell’odierna Architettura.<br />
trovo davvero ingrato per la disciplina che questi<br />
aspetti vengano erroneamente scambiati per<br />
caratterizzanti. e non per caratteristici.<br />
barbarie. celate dietro il seduttivo paravento di<br />
mode tecnologiche. di materiali sempre più<br />
interattivi. ma che nulla hanno a che fare con il<br />
rigore della memoria del passaggio da materia a<br />
materiale della pietra. è davvero brutto veder le<br />
necessità prendere il sopravvento sui desideri<br />
degli Uomini. basti pensare alla maleducazione con<br />
la quale la facciata a led della Rinascente si<br />
mostra al marmo bianco del Duomo di Milano. è tutto<br />
frutto di questo periodo di pressapochismo in cui<br />
la gente capisce solo quello che è scritto a<br />
caratteri cubitali. il senso della fatica nel<br />
costruire un qualcosa che non passa ma resta e che<br />
ispira ogni giorno l’Uomo capace di udirne quel<br />
silenzioso eco a egregie cose ne rimane soffocato.<br />
asfissiato.<br />
credo di aver anche sempre tenuto in gran<br />
considerazione le persone capaci di raggiungere le<br />
peggiori forme di avvilimento rispetto a quelle a<br />
cui tutto riusciva facile.<br />
per me innovazione significa inevitabilmente<br />
ragionare in funzione del tempo. significa capire<br />
quali potrebbero essere gli scenari futuri. e<br />
cambiarli. in positivo. mai in negativo.<br />
ma allora come può un qualcosa essere innovativo<br />
senza comportare fatica? dietro l’innovazione c’è<br />
l’idea. che in quanto tale deve esser pericolosa.<br />
deve cioè aver una dose di coraggio. ed esso da<br />
sempre comporta sacrificio.<br />
e fatica..
Il contesto dell’innovazione<br />
da Costruire in laterizio, n. 83<br />
di A. Campioli<br />
L’innovazione tecnologica nell’ambito delle<br />
costruzioni si propone con un carattere ambiguo che<br />
spesso ha reso più facile e immediato cogliere i<br />
segni di una continuità con il passato, rispetto a<br />
quelli di una rottura e di un nuovo inizio. Essa<br />
segue modi di affermazione contraddittori,cogliendo<br />
spesso riferimenti da settori“altri”,dai quali è<br />
trasferita,e richiede sempre,comunque,tempi di<br />
affermazione molto lunghi prima di trovare<br />
applicazioni corrette e coerenti. Scrive in tal<br />
senso Marisa Bertoldini:“In quanto concretizzazione<br />
di una cultura materiale, le tecnologie costruttive<br />
sono per definizione testimonianza di conoscenze<br />
solidamente acquisite, sedimentate, diffuse, a<br />
volte originali, ma spesso contaminate e in alcuni<br />
casi persino sopraffatte da estranee pressioni<br />
culturali. Infatti, la storia delle tecnologie<br />
costruttive nel tempo è fatta di una miriade di<br />
esempi di cosiddetta innovazione che, se analizzati<br />
a fondo, rivelano piuttosto radicamento e<br />
tradizione; rivelano la presenza di lacci, di<br />
cronicità che, sia per quanto riguarda i materiali<br />
che le tecniche di approntamento o di assemblaggio,<br />
raramente sono testimonianza di novità assoluta.<br />
Vale a dire:le innovazioni in ambito costruttivo<br />
faticano ad affermarsi in quanto tali, perché<br />
forzatamente rallentate, ai diversi livelli del<br />
loro espletamento, da indugi, vischiosità,<br />
mascheramenti che ne appannano la forza”.(1)<br />
Se si guarda però alla storia più recente, il tema<br />
dell’innovazione tecnologica nell’ambito delle<br />
costruzioni si afferma in modo inequivocabile,<br />
nella sua accezione più estensiva, caratterizzando<br />
ricerche e sperimentazioni e delineando in alcuni<br />
casi anche nuovi orizzonti espressivi. Ciò non<br />
significa che il progetto contemporaneo si sia<br />
affrancato definitivamente dalle “radici antiche”:<br />
106<br />
(2) l’architettura è pur sempre attività fortemente<br />
radicata al patrimonio culturale della società che<br />
la esprime. Piuttosto mette in evidenza come le<br />
radici del progetto contemporaneo traggano sempre<br />
più spesso energia dalle novità insite nei<br />
materiali, nei processi di produzione, nelle<br />
tecnologie organizzative, piuttosto che dal<br />
r i f e r i m e n t o a u n a t r a d i z i o n e c o s t r u t t i v a<br />
plurimillenaria. Pur nel loro lento fluire, gli<br />
aspetti esecutivi hanno infatti conosciuto, negli<br />
ultimi anni, una radicale trasformazione rispetto<br />
al repertorio<br />
tecnologico della tradizione costruttiva e, in<br />
alcune esperienze architettoniche, si è assistito<br />
p e r f i n o a l p a r a d o s s o d e l p e r s e g u i m e n t o<br />
dell’innovazione fine a se stesso. La spiegazione<br />
di questi mutamenti implica un riferimento alla<br />
matrice economica del concetto di innovazione<br />
tecnologica. Nato nell’ambito delle discipline<br />
economiche, il termine è stato coniato per<br />
collegare i cambiamenti avvenuti sul piano delle<br />
tecniche e delle tecnologie di produzione alle<br />
implicazioni di carattere commerciale:innovazione è<br />
u n ’ i n v e n z i o n e c h e h a t r o v a t o p o s t o n e l<br />
mercato.Anche in architettura, quando si parla di<br />
innovazione tecnologica, occorre dunque introdurre<br />
una dimensione economica. Mentre solo fino a<br />
qualche decennio fa l’architettura poteva essere<br />
considerata un ambito produttivo al di fuori delle<br />
logiche del mercato (l’architettura non è mai stata<br />
considerata una merce nella piena accezione del<br />
termine e molto probabilmente non lo sarà mai),<br />
oggi appaiono molti segnali che mostrano un’inedita<br />
attenzione ai risvolti economici del costruire,<br />
allineando il settore delle costruzioni agli altri<br />
settori produttivi.
In altre parole, si può affermare che, oggi, la<br />
visione di un’architettura nella quale gli aspetti<br />
economici rivestivano un ruolo marginale rispetto ai<br />
contenuti culturali, alla rappresentatività, alla<br />
espressività artistica, sta man mano cedendo<br />
posizioni a favore di una visione del costruire che<br />
si confronta sempre più da vicino con le logiche del<br />
profitto. Questa inevitabile “contaminazione” tra<br />
architettura e mercato - come molti esempi<br />
contemporanei dimostrano - implica il rischio di un<br />
appiattimento dei contenuti culturali del progetto<br />
di architettura. Ma, d’altra parte, la centralità<br />
assunta dalle valutazioni economiche all’interno di<br />
un progetto, la sempre più elevata competitività tra<br />
le imprese e tra gli studi di progettazione, il<br />
ruolo sempre più propulsivo delle industrie<br />
produttrici di semilavorati e componenti, il sempre<br />
p i ù v e l o c e c o n s u m o d e l l ’ i m m a g i n e s t e s s a<br />
dell’architettura, impongono un confronto aperto del<br />
progetto con l’innovazione tecnologica e solo in<br />
questa prospettiva è possibile coglierne a pieno i<br />
connotati. Innanzitutto, nel costruire, più che in<br />
ogni altro settore produttivo, si evidenzia il<br />
carattere di molteplicità tipico dell’innovazione.<br />
Molti sono infatti gli elementi che si influenzano<br />
i n m o d o s i n e r g i c o e c h e c o n t r i b u i s c o n o a<br />
caratterizzare un processo innovativo.Alcuni sono<br />
ricorrenti: per esempio, l’“immaginazione” e la<br />
propositività del progettista e del committente, gli<br />
studi condotti nell’ambito dei materiali, delle<br />
tecniche e delle tecnologie di produzione, le<br />
ricerche sviluppate sul versante delle tecnologie<br />
organizzative e gestionali, le strategie politiche,<br />
gli assetti normativi, gli equilibri economici, le<br />
filosofie, la ricerca di riconoscibilità del-<br />
l’immagine del committente. In secondo luogo,<br />
l ’ i n n o v a z i o n e t e c n o l o g i c a n e l c o s t r u i r e è<br />
caratterizzata simultaneamente dai fenomeni che i<br />
teorici dell’innovazione(3) definiscono di need pull<br />
(l’innovazione trainata dalla domanda) e di<br />
technology push (l’innovazione spinta dalla<br />
tecnologia). Da un lato (need pull), si è in<br />
presenza di una forte richiesta di architetture<br />
s e m p r e p i ù e f f i c i e n t i , s i a s u l p i a n o d e l<br />
funzionamento, sia su quello delle prestazioni di<br />
comfort. Dall’altro lato (technology push), si<br />
assiste alla pressione, da parte dell’industria,<br />
affinché le tecnologie a disposizione siano<br />
applicate in modo diffuso e affinché si provveda a<br />
migliorarne le prestazioni attraverso la ricerca e<br />
risultare quindi più competitivi sul mercato. In<br />
questo senso, il ruolo dei progettisti risulta<br />
particolarmente ambiguo: spesso è la necessità di<br />
raggiungere alcuni obiettivi e alcune prestazioni a<br />
indurre sperimentazione e quindi innovazione; in<br />
107<br />
altri casi è la disponibilità delle tecnologie e la<br />
promozione che i produttori ne fanno a indurre i<br />
progettisti a sperimentare nuovi linguaggi (è il<br />
caso questo di molti esponenti della cosiddetta<br />
corrente high-tech).<br />
In terzo luogo, nel costruire quotidiano sono in<br />
realtà poche le innovazioni so- stanziali,<br />
a f f i a n c a t e p e r ò d a u n a g r a n d e q u a n t i t à d i<br />
innovazioni marginali, basate semplicemente<br />
sull’applicazione di una tecnica o di una tecnologia<br />
importata da un campo differente (una innovazione,<br />
cioè, di tipo adattivo), o orientate a migliorare<br />
prodotti e processi di tecnologia tradizionale (una<br />
innovazione, cioè, di tipo funzionale). Questo è il<br />
contesto di riferimento con cui confrontarsi.<br />
Note<br />
1. Bertoldini Marisa, Quale innovazione, quale ambiente, in<br />
Massimo Perriccioli, a cura di, Incontri del- l’Annunziata<br />
Prima edizione. Giornate di studio su innovazione e ambiente,<br />
Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno, Università degli<br />
Studi di Camerino, 16 giugno 1998, Dipartimento di<br />
Progettazione e costruzione dell’ambiente, Atti 1/99, 1999,<br />
pp. 45-64.<br />
2. Guido Nardi, Le nuove radici antiche, Franco Angeli,<br />
Milano, 1986. 3. Patrice Flichy, L’innovation technique,<br />
Éditions La Découverte, Paris, 1995 (tr. it. di Massimiliano<br />
G u a r e s c h i , L ’ i n n o v a z i o n e t e c n o l o g i c a : l e t e o r i e<br />
dell’innovazione di fronte alla rivoluzione digitale,<br />
Feltrinelli, Milano, 1996).
Progettazione digitale<br />
108<br />
nel 2007 alla facoltà di Architettura del Politecnico<br />
di Milano assistetti ad una conferenza a dir poco<br />
sbalorditiva. quasi irreale.<br />
sulla base di premesse quali “diamo delle risposte a<br />
domande che ancora non esistono” e “noi prendiamo degli<br />
organismi preistorici li inseriamo in un programma che<br />
grazie ad un algoritmo ne calcola la forma e poi<br />
tramite una società di ingegneria molto rinnomata ne<br />
studiamo la fattibilità” un ingegnere italiano che<br />
lavorava presso lo studio dell’architetto Zaha Hadid ci<br />
illustrava la sua idea di Architettura. senza tuttavia<br />
proporre alcun modello di città. ho sempre pensato che<br />
la cosa più difficile da fare sia tenersi una risposta<br />
in attesa della domanda giusta. è questa per me<br />
l’appropriatezza. e pur non essendo mai stato un<br />
cultore del fenomeno tuttavia la domanda mi sorgeva<br />
spontanea: “ma la funzione di questi spazi?”<br />
e soprattutto. che fine farà la mano dell’architetto?<br />
mistero della fede.
109<br />
Quando attraverso un incrocio col semaforo so che /<br />
rosso/ significa “non-passaggio” e /verde/ significa<br />
“passaggio”. Ma so anche che l’ordine di /nonpassaggio/<br />
significa “obbligo” mentre il permesso /<br />
passaggio/ significa “libera scelta” (posso anche non<br />
passare). In più so che /obbligo/ significa “pena<br />
pecuniaria” mentre la /libera scelta/ significa,<br />
poniamo, “sbrigarsi a decidere. Questa meccanica<br />
semiotica fa sì che esistano dei significanti luminosi<br />
il cui piano del significato è costituito da<br />
opposizioni di carattere viario. L’insieme del segno<br />
(segnale luminoso più disposizione viaria) diventa però<br />
il significante di una disposizione giuridica, e il<br />
complesso dei precedenti diventa il significante di una<br />
sollecitazione emotiva “sarai multato” o “devi<br />
sbrigarti a decidere” secondo questo schema: [figura al<br />
lato]<br />
I l p r i m o l i v e l l o d i s i g n i f i c a n t i - s i g n i f i c a t i<br />
costituisce una semiotica denotativa. Il secondo<br />
livello è una semiotica connotativa in cui i<br />
significanti sono segni (significanti + significati) di<br />
una semiotica denotativa. Il terzo livello è una<br />
semiotica connotativa alla seconda potenza i cui<br />
significanti sono segni di una semiotica che è<br />
denotativa rispetto al livello più alto ma già<br />
connotativa secondo il livello più basso.
Architettura,<br />
la musa depositaria del tempo e della conoscenza<br />
Di Alessandro Visconti<br />
E’ importante vedere come la gente sceglie i nomi.<br />
M o r i r e e d a r e n o m i “ n o n s i f a a l t r o d i<br />
sincero…” (Alessandro Baricco, Questa storia)<br />
L’unico stato o modo, giusto per accontentare i più<br />
pedanti cultori di grammatica, in cui noi, uomini<br />
mortali, ad eccezione di qualche stregone, possiamo<br />
conoscere il tempo è quello del tempo passato,<br />
dell’imperfetto, del passato remoto, di quello<br />
prossimo, del trapassato prossimo, di quello remoto.<br />
E’ il tempo della storia di lunga durata, quella<br />
illustrata e raccontata nei sussidiari di scuola,<br />
dei grandi avvenimenti, perlomeno secondo i teorici<br />
della scuola degli Annales, quella degli Antiquaria<br />
di Nietzsche, che conserva e venera pedissequamente<br />
il passato, scadendo spesso in repertorio, in<br />
emporio di stili, in enciclopedia, in bazar<br />
d’antiquariato. Ma è anche quella delle storie,<br />
delle cronache, delle saghe e dei miti, delle fiabe,<br />
dei racconti dei nonni, bisavoli, trisavoli, la<br />
petite histoire, quella monumentale di Nietzsche,<br />
che sopravvaluta il passato mescolando sogno e<br />
realtà. E’ il tempo della nostalgia e del rimpianto,<br />
del rimorso e della collera “se io fossi, se io<br />
fossi stato, io sarei, io sarei stato”.<br />
E’ il tempo delle mele, perlomeno per i più<br />
romantici, delle occasioni perdute, in barba al<br />
carpe diem d’Orazio.<br />
Noi, uomini mortali, comuni architetti, critici,<br />
possiamo perorare solo la certezza del tempo<br />
passato, delle sue forme, già del tutto riconosciute<br />
110<br />
e consolidate, non potendo invece ragionare o<br />
scrivere del tempo futuro, di quello presente,<br />
dell’esserci di Heidegger. Persino il tempo reale,<br />
come scrive Ugo Rosa, l’immediatezza di Dietrich<br />
Bonhoefer, è ormai un falso, un trucco da esperti<br />
prestigiatori, una cabala, un’impostura, dal momento<br />
che l’avidità del mostro della rappresentazione<br />
annulla il tempo, la possibilità di confrontarsi con<br />
la magia del reale, e quindi col presente e col<br />
futuro.<br />
L’architettura come sostanza di cose sperate,<br />
Persico<br />
Oggi, i più potenti software di rendering, una<br />
catasta di milioni di pixel, attraverso i più<br />
recenti studi di ingegneria, si vantano di poter<br />
annullare il gap tra l’ideazione e la realizzazione<br />
del progetto, tra i primi indecifrabili schizzi “a<br />
v e r e e p r o p r i e o p e r e d ’ e s p r e s s i o n i s m o e<br />
d’astrattismo, firme d’artista” e l’impilatura,<br />
l’accatastarsi meticolosa dei mattoni, la distanza<br />
tra il tempo presente e quello futuro. Questi<br />
programmi riescono ormai a decifrare ed interpretare<br />
gli schizzi più fantasiosi, psichedelici e<br />
allucinogeni, in centinaia di progetti esecutivi,<br />
che attendono sole le ruspe, le gru, gli escavatori…<br />
E tutto ciò tenendo conto di ogni tipo di<br />
sollecitazioni, sforzo, carico, dalle travi ai<br />
piedritti, dai bulloni ai chiodi, fino alle maniglie<br />
di porte e finestre. Basta un clic del mouse. Una<br />
frazione infinitesima di secondo… ed il gioco è<br />
fatto.
Tuttavia, questi potentissimi software non possono<br />
anche funzionare come macchine del tempo, non<br />
riusciranno mai a ricostruire la realtà e mondi<br />
f u t u r i c o n d e i m a r g i n i d i e r r o r e d a v v e r o<br />
trascurabili. C’è sempre quel dubbio con cui fare i<br />
conti, la fiducia, l’attesa, l’ansia del domani. Il<br />
tempo resta ancora una prerogativa di alcune anime<br />
nobili, degli eroi laici e religiosi. Del resto, si<br />
dice che la punizione più atroce e crudele per<br />
l’uomo non sia la morte, ma l’eterno vagabondaggio,<br />
l’esilio nel tempo, fuori dal tempo. Come il più<br />
popolare poeta fiorentino, anche l’architetto di<br />
t u r n o , q u e l l o c o n t e m p o r a n e o , d o v r à s e m p r e<br />
confrontarsi col demone del tempo. Per alcuni,<br />
addirittura, tutti i mali che affiggono il fare<br />
architettonico dipendono proprio dal rapporto con la<br />
storia. Qual è il giusto rapporto da stabilire col<br />
p a s s a t o , u n a t t e g g i a m e n t o d i t o l l e r a n z a o<br />
insofferenza, di assoluta riverenza o totale<br />
rottura, di soggezione o trasgressione, un<br />
atteggiamento romantico o conflittuale, di difesa o<br />
superamento, alla maniera di Karl Friedrich<br />
Schinkel.<br />
E a proposito, Peter Zumthor, in preda ad<br />
un’inaspettata nevrosi, si chiede se riuscirà mai<br />
col tempo a “progettare anche l’effetto reale di<br />
un’opera architettonica”.<br />
Parlare e ragionare di vera architettura, non di<br />
architettura da intrattenimento, come dice Francesco<br />
Dal Co, significa confrontarsi con le metamorfosi<br />
del tempo, con l’evoluzione della società, costumi<br />
ed abitudini, con l’accumularsi “nel tempo” di nuove<br />
esperienze, nuovi metodi costruttivi e nuovi<br />
materiali.<br />
Del resto, non di rado si afferma che le opere<br />
architettoniche sono soprattutto espressione del<br />
tempo, appartengono al tempo loro proprio.<br />
L’altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore<br />
riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che<br />
non ha avuto e non avrà.<br />
(Calvino, Le città invisibili)<br />
Certo, in qualità d’apprendista stregone, dovrei<br />
sentirmi un disperato a parlare di architettura al<br />
tempo passato, rinunciando così all’aspirazione di<br />
ogni addetto ai lavori, sciamano o architetto, di<br />
prevedere l’immediato futuro, la meta utopistica<br />
degli ultimi pianificatori, di radicare il presente<br />
nel futuro, di plasmare il presente in funzione del<br />
prossimo futuro, a sua immagine e somiglianza. Molti<br />
dei miei colleghi, invece, profeti molto più<br />
111<br />
gloriosi, furbi di tre cotte, avrebbero destato<br />
l’attenzione dell’Oracolo di Delfi mettendo in scena<br />
diversi espedienti. Alcuni, vestiti di un’ampia<br />
tunica bianca, come candele, al ritmo incalzante di<br />
un cimbalo o d’un tamburo, come fossero in cimbali,<br />
roteano su se stessi, veloci, alla cieca, disegnando<br />
n e l l ’ a r i a a m p i c e r c h i , p r o n u n c i a n d o p a r o l e<br />
incomprensibili e cascando a terra come pere cotte.<br />
Per altri, invece, la ricetta per l’esercizio della<br />
pratica e la riuscita dell’incantesimo richiede<br />
sangue di vergini, con qualche altro ingrediente,<br />
non meno indispensabile, zampe di gallina, testicoli<br />
di bue, budella di scrofa, coda di sorcio… Quindi,<br />
eventuali suggerimenti ed ammonimenti, predizioni e<br />
moniti, appaiono immediatamente, più o meno, a<br />
seconda dell’abilità del chiromante, sul fondo del<br />
recipiente, brocca o piatto. Altri, invece, si<br />
dilettano ancora a leggere tarocchi, una sfera di<br />
c r i s t a l l o , u n a p a l l a d i g o m m a , a l a v o r a r e<br />
all’uncinetto i propri capelli, a tostare la pelle,<br />
ad infilzarsi d’aghi e di spilli, a macchiarsi il<br />
volto…<br />
Ci sono sogni, sogni nei quali andando in cerca<br />
della principessa si rimane affondati in delle<br />
pozzanghere sporche, in vicoli sudici e male<br />
odoranti. (Herman Hesse, Demian)<br />
Però, in qualità di futuro architetto, per predire<br />
il domani, per affrancarmi da questo pesante<br />
fardello del tempo, devo inventarmi altri artifici,<br />
farmi forza, confidare nella mia logica, pensare di<br />
plasmare non solo l’oggi, ma anche l’avvenire, il<br />
tempo ,appunto. Un po’ come suggerisce lo stesso<br />
Zumthor. Altro che software, rendering, pixel…<br />
Io amo la foresta. Nelle città è brutto vivere: vi è<br />
troppa gente in fregola.<br />
(Nietzsche)<br />
Questo tempo, quello passato, quello già trascorso,<br />
effettivamente incorruttibile ed inviolabile, certo<br />
irreversibile, è riconoscibile, a noi uomini<br />
mortali, comuni architetti, critici, nella propria<br />
traduzione formale d’architettura e città. La città<br />
e la sua architettura sono i luoghi in cui abita<br />
ancora la storia, il tempo, il passato. E in<br />
effetti, solo l’architettura è capace di restituire<br />
una veste a questo fantasma, al tempo. Tutti noi,<br />
alla fine, dobbiamo fare i conti con il tempo, col<br />
nostro passato, con la memoria ricordi, rimpianti,<br />
frustrazioni, pentimenti, dolori. Una sensazione di<br />
smarrimento, d’ansia, di paura, un tonfo e un tuffo,<br />
a capofitto. Solo così, alla fine, riconosciamo il<br />
volto dell’assassino, diventiamo consapevoli del<br />
fatto che ogni passo, verso il presente o il futuro,<br />
ci riporta indietro, al passato.
“I’m going home”, scrive a proposito Ugo Rosa,<br />
rappresentando bene questo paradosso temporale.<br />
La terra è madre e tomba della natura:<br />
il suo sepolcro è il grembo dal quale ha origine<br />
la sua vita. (Shakespeare, Romeo e Giulietta)<br />
L’architettura e la città, e più in generale il<br />
paesaggio “urbano o naturale a seconda del<br />
contesto”, custodiscono le rovine e le tracce del<br />
nostro passato, quasi come un’anfora etrusca in un<br />
museo, con buona pace dell’ultima fatica di Alberto<br />
Magnaghi, mettendole poi a disposizione di tutti,<br />
esperti ed interessati, in qualsiasi tempo e luogo.<br />
La città è il luogo migliore in cui si consuma il<br />
tempo. “Le nostre città – scrive giustamente Cerdà –<br />
sono l’opera perseverante e continua di molte<br />
generazioni, di molti secoli, di molte civiltà […]<br />
Ogni secolo ed ogni civiltà ha aggiunto al suo<br />
passaggio una nuova pietra.”<br />
[…] l’architettura, documentando i gusti, i costumi<br />
di generazioni, eventi pubblici, tragedie private,<br />
fatti vecchi e nuovi, è il palcoscenico fisso e<br />
immutabile degli eventi umani. (Aldo Rossi)<br />
L’architettura e la città, e più in generale il<br />
paesaggio, inteso come tecnica antica “qualche<br />
cumulo di pietre, ancestrali cerchi, qualche<br />
movimento di terra, qualche traccia, sparsa qua e<br />
là, negli angoli più remoti”, almeno secondo la<br />
t e o r i a d i A n g e l o B u g a t t i , s o n o d e l t u t t o<br />
paragonabili alla scrittura. In entrambi i casi<br />
infatti, architettura e scrittura sono strumenti<br />
prodigiosi, magici, quasi miracolosi, terapeutici,<br />
capaci d’incrementare il dialogo e la comunicazione,<br />
la storia, le relazioni tra le persone, nella spazio<br />
e nel tempo, strumenti progettuali a fortissima<br />
valenza mistica, mitica, spirituale.L’architettura<br />
si presta gratuitamente senza compensi da capogiro<br />
alla diffusione e alla trasmissione della memoria<br />
storica, di quella solida, di cui scrive Filippo<br />
Innocenti. E la massima manifestazione della<br />
sedimentazione di questa memoria è rappresentata<br />
proprio dalle nostre città, un’enciclopedia e un<br />
emporio di stili, di mode del passato, un abaco<br />
d’architetture, bric-à-brac, collezione di spazi e<br />
di tempi sovrapposti, alla maniera di Tadao Ando. La<br />
città come testimone vigile dei cicli della storia<br />
dibe bene Alessandro Busà parlando di Berlino. La<br />
città come parete attrezzata di una libreria o di<br />
una biblioteca di libri, trascritti e tradotti in<br />
una unica lingua. E’ come guardare al MoMa il<br />
112<br />
ciclopico muro della Cattedrale del cielo di Louise<br />
Nevelson. Cornicioni, modanature, fregi, lesene e<br />
capitelli sono sistemati all’interno di una serie di<br />
scatole, un’antologia di spazi e tempi, appunto.<br />
Tutti questi pezzi o tasselli di memoria non vanno<br />
confusi, però, con una ripetizione ossessiva, quasi<br />
maniacale, la convulsione della ripetizione di<br />
Freud.<br />
La città come parete attrezzata di una libreria o di<br />
una biblioteca di libri, trascritti e tradotti in<br />
una unica lingua. E’ come guardare al MoMa il<br />
ciclopico muro della Cattedrale del cielo di Louise<br />
Nevelson. Cornicioni, modanature, fregi, lesene e<br />
capitelli sono sistemati all’interno di una serie di<br />
scatole, un’antologia di spazi e tempi, appunto.<br />
Tutti questi pezzi o tasselli di memoria non vanno<br />
confusi, però, con una ripetizione ossessiva, quasi<br />
maniacale, la convulsione della ripetizione di<br />
Freud.<br />
Con me di donne generose non ce n’è,<br />
rubo l’amore in Piazza Grande,<br />
e meno male che briganti come me qui non ce n’è.<br />
(Lucio Dalla)<br />
Se in architettura la più alta espressione della<br />
sedimentazione della memoria è rappresentata proprio<br />
dalle città, in città la massima rappresentazione di<br />
questa memoria si scopre nella piazza, in centro. E,<br />
non a caso, la piazza corrisponde di solito al luogo<br />
dove si addensano tutti i valori della civiltà,<br />
dalla religiosità (con le chiese), al potere<br />
politico e amministrativo (con il municipio), dal<br />
denaro (con le banche) alle merci (con i grandi<br />
magazzini), fino alla parola (con i luoghi<br />
pubblici).<br />
L’architettura in cui abita il segno è la pagina.<br />
(Juan Navarro Baldeweg)<br />
Fino all’altro ieri fare dell’architettura voleva<br />
dire scrivere nel tessuto urbano, nella città, sulla<br />
città. La città come un romanzo, una fiaba o una<br />
poesia, che mostra la corda, cioè una fitta trama di<br />
segni, icone e simboli. Oggi, invece, la situazione<br />
è piuttosto diversa. Ogni persona, ogni addetto ai<br />
lavori, ogni architetto che opera nella città, sulla<br />
città e per la città, è allo stesso modo narratore e<br />
scrittore, spettatore ed attore. Un compositore, un<br />
artista, un creatore, un dio, un superuomo e l’eroe<br />
tragico di Nietzsche, liberato dai tabù, dalla<br />
routine, dalle consuetudini, dal tempo, né ciclico<br />
n é l i n e a r e , c e r t o n o n c o n s e q u e n z i a l e , n é<br />
progressivo.
I segni, le icone ed i simboli, sedimentati nella<br />
città attraverso l’architettura, prima unicamente<br />
letti, adesso vengono catturati, re incantati ed<br />
interpretati continuamente, attraverso un uso<br />
indiscriminato del computer e di internet.<br />
In ogni caso, architettura, città e scrittura,<br />
restano concetti intimamente legati tra loro.<br />
L’architettura e la scrittura sono strumenti<br />
p o r t e n t o s i p e r b a r a t t a r e e d a c c u m u l a r e<br />
l’informazione, unico farmaco contro il morbo del<br />
tempo.<br />
L’architettura, come la parola, quella scritta o<br />
orale, è simile all’arte della levatrice, alla<br />
maieutica del filosofo ateniese, è uno strumento che<br />
ci aiuta a partorire il nostro genuino punto di<br />
vista sulle cose, sulla storia, sul tempo.<br />
[…] si lasciò trasportare dalla sua convinzione che<br />
gli esseri umani non nascono sempre il giorno in cui<br />
le loro madri li danno alla luce, ma che la vita li<br />
costringe ancora molte volte a partorirsi da sé.<br />
(Gabriel García Márquez, L’amore ai tempi del<br />
colera)<br />
L’altro motivo, altrettanto valido, per cui continuo<br />
sempre ad insistere su questo rapporto tra tempo,<br />
architettura, città e scrittura, è strettamente<br />
legato al desiderio di studiare e osservare<br />
l’architettura a trecentosessanta gradi, senza<br />
requie, senza tabù, spaziando dalla letteratura al<br />
cinema, dalla filosofia, alla scienza, dalla musica<br />
alla fotografia, fino all’arte. Un desiderio mutuato<br />
proprio dal concetto di cultura, inteso come volontà<br />
di conoscenza, disinteressata, spassionata,<br />
aspirazione alla conoscenza, curiosità, interesse,<br />
al di là del bene e del male, parafrasando il titolo<br />
di copertina di un più popolare volume.<br />
Spirito ricercatore, fame e sete di conoscenza,<br />
piuttosto che ricerca sconsiderata della verità o<br />
momento puramente pratico e teorico. Bisogna<br />
imparare ad evitare “come la peste”, avrebbe detto<br />
B o c c a c c i o n e l p r o l o g o d e l l ’ o p e r a , i l<br />
rappresentazionismo e il solipsismo, il momento<br />
puramente applicativo e la conoscenza teorica,<br />
l’azione e il pensiero. Il topo da biblioteca è in<br />
trappola, come d’altronde il padrone del vapore,<br />
rinchiuso tra le quattro mura della sua sontuosa<br />
stanza dei bottoni. Ancora una volta, la risposta<br />
sta nel mezzo, méson te kai ariston, in medio stat<br />
virtus… nel mezzo è la virtù.<br />
113<br />
La conoscenza è scoperta, conquista e avventura,<br />
un’esperienza personale, un po’ come predicava,<br />
qualche tempo fa, il brutto Socrate.<br />
Del resto, è pur vero che qualsiasi evento che<br />
fornisce informazione ci aiuta nel conoscere, allora<br />
l’architettura gioca un ruolo strategico.<br />
Daniel Egneus, cityscapes.<br />
Bibliografia (giusto l’essenziale, lo stretto necessario, il<br />
minimo sindacale...)<br />
S.D’Urso, Tempi storici e tempi architettonici, in Paesaggio<br />
di Angelo Bugatti<br />
A. Magnaghi, Patrimonio territoriale, Statuto dei luoghi e<br />
valorizzazione delle risorse<br />
U. Rosa, Scenografia iperattuale: dalla rappresentazione del<br />
reale al reale come rappresentazione, in Casabella n.733,<br />
maggio 2005<br />
P.Zumthor, La magia del reale, in Casabella n. 747,<br />
settembre 2006<br />
F. Innocenti, La forma del tempo nell’architettura<br />
dell’informazione, in web<br />
A. Saggio, Tempo prima dimensione dello spazione, web<br />
A. Busà, La variabile tempo nella forma della città, Le<br />
vicende del Palasi der Republik a Berlino, web
Riproduzione di forme e<br />
la teoria di Derrida.<br />
114<br />
Anima<br />
Vi ricordate quando si andava in giro per villaggi<br />
saccheggiati?<br />
Adesso abbiamo capito che tutto ciò che registravamo<br />
come distruzione era in realtà una sorta di<br />
ristrutturazione mentale e architettonica: quando il<br />
barbaro arriva lì e tende a ricostruire, col materiale<br />
che ha trovato, l'unico habitat che gli interessa: un<br />
"sistema passante". In pratica svuota, alleggerisce,<br />
velocizza il gesto a cui si sta applicando, fino a<br />
quando non ottiene una struttura autosufficiente aperta<br />
da assicurare il transito di un qualche movimento.<br />
Adesso sappiamo perché lo fa: la sua idea di esperienza<br />
è una traiettoria che tiene insieme tessere differenti<br />
del reale.<br />
Il movimento è il valore supremo. A quello, il barbaro<br />
è capace di sacrificare qualsiasi cosa. "Anche<br />
l'anima". Questo davvero suona sconcertante. Lo<br />
registravano a ogni villaggio: se c'era un luogo, lì,<br />
più alto, nobile, profondo, regolarmente i barbari<br />
finivano per svuotarlo. In questo istinto, la civiltà<br />
barbara, l'uomo si Google, il pesce, il mutante,<br />
sembrano davvero incomprensibili. Possibile che davvero<br />
vogliamo una cosa del genere?<br />
E' possibile. Non solo: ma proprio lì sta il tratto<br />
potenzialmente più affascinante della mutazione.<br />
Sospetto perfino che sia, consciamente o meno, il suo<br />
obiettivo principale. Il barbaro non perde l'anima per<br />
caso, o per leggerezza, o per un errore di calcolo, o<br />
per semplice miseria intellettuale: è che sta cercando<br />
di farne a meno. Vogliamo parlarne?<br />
A. Baricco, I barbari, Feltrinelli, 2006.
Regium waterfront, Reggio Calabria, 2007<br />
Munch Stenersen museum Oslo, Norway 2009<br />
Grand Theatre Rabat, Rabat, Morocco, 2010<br />
Vilnius museum and cultural centre, Vilnius, Lithania, 2007.<br />
115<br />
Chanel Mobile Art Pavilion, Hong Kong , New York, Tokio, Paris,<br />
2008-2010<br />
Nuragic and contemporary art museum, Cagliari, 2006<br />
Abu Dhabi Performing Arts centre, Abu Dhabi, UAE, 2007
Derrida<br />
Di Diego Fusaro, Jacques Derrida, differenza, traccia, e supplemento.<br />
«La decostruzione passa per essere iperconcettuale e certamente lo è, dal momento che<br />
fa un grande consumo di concetti, concetti che genera almeno tanto quanto eredita.<br />
Essa tenta di pensare oltre i confini stessi del concetto»<br />
Nell'analisi genealogica della filosofìa socraticoplatonica,<br />
condotta in "La farmacia di Platone",<br />
D e r r i d a m o s t r a u n ' a t t i t u d i n e t i p i c a m e n t e<br />
nietzscheana. Ma l'emergenza del tema della<br />
scrittura sposta l'attenzione verso un ambito<br />
tematico più propriamente psicoanalitico: la messa<br />
in luce di uno schema familiare, al fondo della<br />
cosiddetta metafisica della presenza - schema in cui<br />
il logos occupa la posizione del padre - si avvale<br />
di tutto un armamentario interpretativo in cui<br />
c o n c e t t i p s i c o a n a l i t i c i c o m e " r i m o z i o n e " ,<br />
"castrazione", "sublimazione", "pulsione di morte",<br />
"coazione" ecc. giocano un ruolo di primo piano.<br />
L'analisi stessa del testo è condotta come un<br />
tentativo di individuazione di atti mancati, lapsus,<br />
mascheramenti, sintomi e brecce che la decostruzione<br />
sfrutta per inserirsi in sistemi che a prima vista -<br />
diremmo, nei loro "meccanismi di difesa" - appaiono<br />
s o l i d i e i n a t t a c c a b i l i . D i q u e s t a d e r i v a<br />
psicoanalitica Derrida aveva dato una chiara<br />
anticipazione già in "La voce e il fenomeno",<br />
scrivendo: " ed è proprio intorno al privilegio<br />
dell'adesso, dall'adesso, che si svolge, in ultima<br />
istanza, questo dibattito, che non può somigliare a<br />
nessun altro, tra la filosofia, che è sempre<br />
filosofia della presenza, e un pensiero della nonpresenza,<br />
che non è forzatamente il suo contrario,<br />
né necessariamente una meditazione dell'assenza<br />
negativa, anzi, una teoria della non-presenza come<br />
inconscio " ("La voce e il fenomeno"). Questa teoria<br />
della non-presenza è riassunta nel concetto di<br />
"traccia". La traccia (e qui Derrida riprende la<br />
definizione di Emmanuel Lévinas) è " un passato che<br />
116<br />
non è mai stato presente ", cioè la dimensione di<br />
un'alterità che non si è mai presentata ne potrà mai<br />
presentarsi, che Derrida non esita ad assimilare<br />
alla nozione psicoanalitica di inconscio: " con<br />
l'alterità dell'"inconscio" abbiamo a che fare non<br />
con degli orizzonti di presenti modificati - passati<br />
o a venire - ma con un "passato" che non è mai stato<br />
presente e che non lo sarà mai, il cui "avvenire"<br />
non sarà mai la produzione o la riproduzione nella<br />
forma della presenza.<br />
Il concetto di traccia è dunque incommensurabile con<br />
quello di ritenzione, di divenir passato di ciò che<br />
è stato presente. Non si può pensare la traccia - e<br />
dunque la différance - a partire dal presente, o<br />
dalla presenza del presente " ("La diffèrance").<br />
Come la nozione freudiana di inconscio, il concetto<br />
di traccia assume una funzione antifenomenologica,<br />
nel senso che costituisce un ordine di alterità per<br />
definizione irrappresentabile, o rappresentabile<br />
soltanto attraverso un insieme di sostituzioni: " e<br />
per descriverle, per leggere le tracce delle tracce<br />
"inconsce" (non c'è traccia "cosciente"), il<br />
linguaggio della presenza o dell'assenza, il<br />
discorso metafisico della fenomenologia è inadeguato<br />
". Ed è infatti proprio questo l'esito principale<br />
consentito dalla nozione di traccia: quello di far<br />
intendere l'ordine del senso - della coscienza,<br />
della presenza, e di tutto il sistema concettuale da<br />
esse regolato, cioè l'insieme stesso della<br />
metafisica - come un ordine supplementare,<br />
radicalizzando con ciò quella che, secondo una tale<br />
metafisica, era una condizione limitata alla<br />
semplice scrittura.
Vale a dire che l'impresentabilità della traccia<br />
t e n d e a f a r l e g g e r e o g n i p r e s e n t a z i o n e o<br />
rappresentazione come ciò che sta al posto della<br />
traccia "originaria", la sostituisce, ne è insomma<br />
la scrittura, così come la coscienza, in un testo<br />
famoso in cui Freud la paragona ad un notes magico e<br />
che Derrida discute in "La scrittura e la<br />
differenza", è la traccia "visibile" dell'inconscio.<br />
Questa "logica del supplemento" è ovviamente<br />
impensabile all'interno della logica ("Della<br />
grammatologia"): il supplemento supplisce una<br />
m a n c a n z a , u n a n o n - p r e s e n z a , n e l s e n s o c h e<br />
rappresenta il momento di una strutturazione non<br />
preceduta da nulla, ma a partire dalla quale<br />
qualcosa "appare". " Il supplemento viene al posto<br />
di un cedimento, di un non-significato o di un nonrappresentato,<br />
di una non-presenza. Non c'è nessun<br />
presente prima di esso, è quindi preceduto solo da<br />
se stesso, cioè da un altro supplemento. Il<br />
s u p p l e m e n t o è s e m p r e i l s u p p l e m e n t o d i u n<br />
supplemento ". Una tale "logica del supplemento" o<br />
della traccia (supplementarità originaria) è quindi<br />
il "concetto fondamentale" di una nuova scienza (se<br />
e s s a f o s s e p o s s i b i l e ) , c h e D e r r i d a c h i a m a<br />
"grammatologia": la grammatologia fa dell'essere<br />
dell'ontologia - di "ciò che c'è" - la traccia di<br />
ciò che "non c'è", che non si presenta ne può mai<br />
presentarsi; la grammatologia costituisce in breve<br />
l'introduzione, all'interno dell'ontologia da sempre<br />
dominata dal principio di identità, di una<br />
differenzialità originaria, di uno scarto, di una<br />
cesura, che Derrida riassume nella nozione di<br />
différance.<br />
La decostruzione della metafisica della presenza non<br />
può essere più radicale: non potendosi esprimere<br />
nella forma del discorso letico e apofantico "S è P"<br />
la decostruzione, attraverso l'indecidibile, si<br />
richiama a forme di discorso tradizione mente non<br />
apofantiche: quelle, come vedremo, dell'invocazione,<br />
del giuramento dell'invito, del ringraziamento, del<br />
perdono e finanche della preghiera Nella sua<br />
medietà, la provenienza terminologica dal participio<br />
del verbo différer allude al doppio significato, a<br />
un tempo sincronico e diacronico, di différance: 1)<br />
sincronico: la différance è da questo punto di vista<br />
u n a r a d i c a l i z z a z i o n e ( e p e r c i ò a n c h e u n a<br />
decostruzione) di quel gioco sincronico delle<br />
differenze in cui lo strutturalismo saussuriano<br />
faceva consistere il significato.<br />
" Nella lingua non ci sono termini positivi, ma solo<br />
differenze ", scriveva Saussure: è dal rapporto<br />
sincronico tra i vari termini, nel loro gioco<br />
differenziale, che si genera l'identità di un<br />
significato (è noto esemplo di Saussure della<br />
lettera "t", che può essere scritta in mille modi<br />
117<br />
diversi ma l'importante è che "non si confonda",<br />
cioè si differenzi dalle altre lettere)- 2)<br />
diacronico-, la différance indica il movimento di<br />
"differimento" temporale (ritardo o anticipazione)<br />
che disloca continuamente l'origine in un altrove,<br />
in un luogo e in un tempo "altri". Anche qui abbiamo<br />
a che fare con una radicalizzazione, quella della<br />
"differenza ontologica" heideggeriana, che si<br />
risolve iperbolicamente, e dunque paradossalmente,<br />
nella sua cancellazione: il senso ultimo (il<br />
significato trascendentale) non è "riappropriabile",<br />
la differenza resta "assoluta", e perciò cancellata<br />
(Derrida si richiama al proposito al concetto<br />
hegeliano di "differenza", nella "Scienza della<br />
Logica"). Questo espacement (semento in sé privo di<br />
significato, ma condizione del significato: Derrida<br />
ricorda la funzione della spaziatura nella<br />
scrittura) indica quindi allo stesso tempo un<br />
differimento temporale e spaziale: ciò che è<br />
percepibile, intelligibile, cosciente ecc. non e che<br />
traccia di questo movimento, traccia della<br />
différance. In tal modo Derrida capovolge il sistema<br />
logocentrico, facendo del logos la traccia di<br />
un'origine perduta e portando m primo piano questo<br />
sistema di tracce in quanto scrittura. La scrittura<br />
è la traccia di un'origine assente, differenzialità<br />
pura, traccia che ha cancellato la sua origine come<br />
la ricerca della verità in Nietzsche, così la<br />
ricerca dell'origine giunge qui a un esito<br />
nichilistico, quello di risolvere o dissolvere il<br />
fondamento nel gioco dei rimandi senza termine<br />
ultimo. E, questa, quella nozione di "testualità<br />
generale" cui il decostruzionismo di Derrida è<br />
approdato e che ha avuto ampi sviluppi soprattutto<br />
in sede di critica letteraria.
118
119<br />
In quanto aderente alla tesi della «liquefazione»<br />
delle arti all' interno della multimedialità ed<br />
alla loro «coincidenza» con l'immagine intesa come<br />
comunicazione riproducibile, le sue illustrazioni<br />
hanno la pretesa di fondare un gusto figurativo la<br />
cui bizzarria è tutt' altro che gratuita. Ma che,<br />
i n v e c e , r a p p r e s e n t a b e n e l e n e c e s s i t à d i<br />
singolarità di forma indispensabile al commercio di<br />
ogni oggetto di consumo e la sua coincidenza con il<br />
conveniente successo del soggetto «creativo», come<br />
oggi si definiscono quasi tutte le attività.<br />
Peraltro, poiché le merci sono anche immateriali,<br />
esse comprendono anche la loro configurazione<br />
immaginaria come merce. Quindi, quando tutto è<br />
immagine e obbligatoriamente «estetico», niente è<br />
più distinguibile, né giudicabile.<br />
Vittorio Gregotti
Architettura normale<br />
in un Paese normale.<br />
da Casabella 764, marzo 2008<br />
120<br />
Foto dell’autore, Cagliari, 2009.
"Impossibile lavorare in Italia!". "Com'è difficile<br />
costruire nel vostro Paese!". "Come fanno i vostri<br />
colleghi italiani a superare vincoli, lentezze,<br />
rinvii che ostacolano la strada ad ogni appalto?".<br />
"Possibile che in Italia i concorsi producano<br />
soltanto ricorsi?".Quante volte parlando con un<br />
architetto straniero abbiamo ascoltato esclamazioni<br />
e domande di questo genere. Eppure…., eppure, come<br />
abbiamo cercato di visualizzare nella pagine che<br />
s e g u e , r i p r e n d e n d o u n a c o s t r u z i o n e g r a f i c a<br />
futurista, sono numerosi gli architetti stranieri<br />
che lavorano in Italia, dove alcuni di loro hanno<br />
trovato anche conveniente attrezzare degli studi.<br />
Questo fenomeno ha attirato l'attenzione non<br />
soltanto della stampa specializzata che ne ha colto<br />
l e i m p l i c a z i o n i ( a v o l t e c o n a r g o m e n t i<br />
fastidiosamente xenofobi) senza spiegarne però le<br />
ragioni. Indubbiamente sono molti gli architetti<br />
stranieri che lavorano in Italia, anche se rimane da<br />
dimostrare che ciò costituisca, anche dal punto di<br />
vista meramente quantitativo, una anomalia rispetto<br />
a quanto accade in altri Paesi. Limitarsi però a<br />
prendere in considerazione l'aspetto quantitativo<br />
della questione è fuorviante. Il fenomeno ha radici<br />
profonde ed è il prodotto di una situazione che non<br />
è semplice descrivere, anche se è necessario farlo a<br />
dispetto dei limiti dello spazio di cui disponiamo.<br />
Rispetto ai Paesi europei più avanzati, in Italia, a<br />
partire dalla fine degli anni Ottanta sono diventate<br />
e v i d e n t i l e c o n s e g u e n z e d e l l a s i s t e m a t i c a<br />
demolizione degli apparati di controllo, di governo,<br />
di progettazione e programmazione dello Stato,<br />
ovvero degli Uffici Tecnici di cui erano dotate le<br />
diverse Amministrazioni pubbliche, centrali e<br />
periferiche, e che in tempi non lontani hanno<br />
consentito di realizzare la spina dorsale delle<br />
infrastrutture e dei servizi nel nostro Paese.<br />
Quest'opera di smantellamento, intrapresa per miopia<br />
p o l i t i c a e i n s i p i e n z a a m m i n i s t r a t i v a , e r a<br />
a p p a r e n t e m e n t e g i u s t i f i c a t a d a l l ' i n t e n t o<br />
s t r u m e n t a l m e n t e c o n d i v i s o d i f a v o r i r e l a<br />
liberalizzazione dei mercati e la crescita delle<br />
capacità imprenditoriali. Con sorprendente ed<br />
eloquente rapidità, a queste dimissioni ha fatto<br />
seguito il diffondersi del malaffare. La capillarità<br />
del malaffare ha indotto la Magistratura, all'inizio<br />
degli anni Novanta, a intraprendere azioni che hanno<br />
decapitato classi di amministratori, professionisti<br />
e tecnici, e determinato la scomparsa di interi<br />
partiti politici.<br />
L ' i n t e r v e n t o d e l l a M a g i s t r a t u r a h a p o r t a t o<br />
all'adozione di nuove norme, leggi e procedure.<br />
Concepite per impedire e riprodursi del malaffare,<br />
queste prescrizioni hanno posto le premesse per il<br />
completamento del processo di annullamento delle<br />
121<br />
c a p a c i t à d e c i s i o n a l i e g e s t i o n a l i<br />
dell'Amministrazione pubblica. Senza peraltro<br />
ottenere gli effetti sperati, i poteri discrezionali<br />
d e g l i a m m i n i s t r a t o r i e l e t t i s o n o s t a t i<br />
ridimensionati, mentre gli apparati burocratici sono<br />
stati costretti a rispettare norme che, lungi<br />
dall'imporre comportamenti volti all'efficienza e a<br />
favorire l'efficacia delle scelte tecniche, hanno<br />
i n c e n t i v a t o q u e l l i d e t t a t i d a l l ' i s t i n t o d i<br />
autoconservazione.<br />
Nell'Amministrazione pubblica italiana si sono così<br />
diffuse procedure che consentono di surrogare<br />
l'assunzione di responsabilità con l'interpretazione<br />
della norma. Questa tendenza, che non ha certo<br />
favorito la selezione e la formazione di un<br />
personale tecnico all'altezza, si è poi consolidata<br />
grazie all'eccesso di produzione legislativa e<br />
normativa verificatasi in seguito al consolidarsi<br />
del decentramento amministrativo e al trasferimento<br />
di poteri e prerogative attuati con l'istituzione<br />
delle Regioni.<br />
Per queste ragioni chi opera oggi in Italia<br />
nell'industria delle costruzioni deve scontare la<br />
mancanza di un quadro unitario di riferimento, di<br />
procedure e di regole generalmente valide (per fare<br />
un cenno a un tema di evidente attualità, basterebbe<br />
mettere a confronto le prescrizioni elaborate dalle<br />
singole Regioni per favorire la sostenibilità della<br />
produzione edilizia per aver una prova di come la<br />
frammentazione, contraddittorietà e incoerenza delle<br />
n o r m e e d e l l e p r e s c r i z i o n i i m p e d i s c a n o<br />
oggettivamente lo sviluppo delle ricerche, il<br />
coordinamento degli sforzi produttivi e la<br />
concentrazione delle risorse in assenza dei quali le<br />
norme in vigore spesso sono soltanto cause di<br />
sprechi populistici).<br />
I fattori e i fenomeni sin qui elencati hanno<br />
c o m p o r t a t o u n a r a d i c a l e t r a s f o r m a z i o n e<br />
dell'industria delle costruzioni. Imprese celebri<br />
per la competenza dei tecnici e la qualità della<br />
mano d'opera impiegati sono scomparse. Non di rado<br />
al loro posto operano società nelle quali la figura<br />
del costruttore è stata sostituita da quella del<br />
legale - società che non hanno alcun interesse a<br />
realizzare le opere loro commissionate e che puntano<br />
unicamente a sfruttare i vantaggi economici che<br />
p o s s o n o g a r a n t i r s i i n t e r p r e t a n d o n o r m e e<br />
prescrizioni tanto farraginose.<br />
Logicamente, date le premesse, a partire dagli anni<br />
Novanta le procedure per l'assegnazione degli<br />
incarichi e degli appalti, limitative anche per la<br />
committenza privata, sono diventate sempre più<br />
complicate.<br />
Le commesse pubbliche e i concorsi banditi da<br />
pubbliche amministrazioni vengono assegnate e
g i u d i c a t i s u l l a b a s e d i p r o t o c o l l i c h e ,<br />
coerentemente con quanto si è notato, hanno come<br />
fine quello di deresponsabilizzare l'apparato<br />
burocratico. Non a caso, in questo campo si è venuto<br />
a f f e r m a n d o i l p r i n c i p i o s e c o n d o i l q u a l e<br />
direttamente è la valutazione di parametri meramente<br />
quantitativi, ritenuti oggettivamente misurabili e<br />
pertanto indiscutibili. Accade così che molto<br />
f r e q u e n t e m e n t e l a p r o v a d e c i s i v a c h e u n<br />
professionista (o uno studio o una società di<br />
progettazione) è chiamato a fornire a sostegno della<br />
propria aspirazione ad aggiudicarsi una commessa<br />
pubblica è la propria solidità economica. "Il<br />
fatturato", come capita di leggere nei bandi di<br />
gara, è ritenuto il parametro più adeguato per<br />
misurare non soltanto il successo ma anche la<br />
professionalità e, infine, la qualità delle<br />
prestazioni che un concorrente può offrire.<br />
All'attribuzione di un simile peso al dato<br />
economico, "il fatturato" appunto, si unisce spesso<br />
la valutazione della "competenza specifica", ovvero<br />
si considera se il concorrente abbia già avuto modo<br />
di realizzare opere analoghe a quella messa in gara.<br />
L'insistenza con cui questo intreccio si ripresenta<br />
obbliga a una digressione. Anche chi condivide il<br />
principio secondo il quale è perfettamente lecito<br />
che un committente si affidi al professionista che<br />
ritiene più affidabile, non può non notare come, nel<br />
c a s o d e l l e g a r e p u b b l i c h e , l a c o n n e s s i o n e<br />
"fatturato-competenza specifica" sia simile a un<br />
nodo di Gordio. Come può un giovane professionista,<br />
per esempio tentare di scioglierlo visto che è<br />
probabile non abbia a disposizione la spada di<br />
A l e s s a n d r o ? P e r f a r e u n e s e m p i o c o n c r e t o :<br />
considerate le loro non brillantissime, all'epoca,<br />
condizioni economiche, fosse stata in vigore questa<br />
regola, Piano e Rogers come avrebbero potuto<br />
partecipare al concorso per il Center Pompidou? E se<br />
un giorno un'Amministrazione comunale decidesse di<br />
bandire un concorso per la costruzione di un asilo<br />
nido, come potrebbe Alvaro Siza parteciparvi visto<br />
che asili nido non ha mai avuto modo di progettarne?<br />
Per fortuna anche il Consiglio Nazionale degli<br />
Architetti italiani ha deciso di denunciare questa<br />
situazione e di porre sotto accusa la prassi diffusa<br />
tra le pubbliche Amministrazioni di favorire<br />
l'assegnazione degli incarichi ai concorrenti dotati<br />
"dei migliori requisiti economici". Questa usanza<br />
non favorisce gli architetti e la crescita di una<br />
evoluta cultura professionale, mentre spiega, almeno<br />
in parte, le ragioni per le quali molti architetti<br />
stranieri vengono chiamati a lavorare in Italia. Ma<br />
soprattutto questa prassi favorisce e ha favorito le<br />
"società di ingegneria", che non a caso nelle<br />
occasioni più impegnative "ingaggiano" noti<br />
122<br />
progettisti stranieri. Le "società di ingegneria"<br />
sono i soggetti che più hanno beneficiato dei<br />
processi fin qui descritti, al punto che viene da<br />
chiedersi se quanto è accaduto nel nostro Paese a<br />
partire degli inizia Novanta non sia anche il<br />
risultato di un disegno concepito per favorirne lo<br />
sviluppo e l'affermazione. Tuttavia neppure questa<br />
condizione privilegiata ha prodotto effetti<br />
apprezzabili, tanto è vero che tra le numerose<br />
società di ingegneria attive in Italia poche sono in<br />
grado di garantire prestazioni paragonabili con<br />
quelle che possono offrire analoghe formazioni<br />
straniere. Inoltre, la neghittosa pigrizia con cui<br />
viene applicata nel nostro Paese la Direttiva<br />
e u r o p e a 1 8 / 2 0 0 4 , c h e s t a b i l i s c e c h e l e<br />
amministrazioni pubbliche devono assegnare gli<br />
incarichi per concorso, non contribuisce a<br />
p r o m u o v e r e l a c r e s c i t a d e l l e c o m p e t e n z a<br />
professionali e il ricambio generazionale, mentre<br />
favorisce ancora una volta le società di ingegneria.<br />
Per porre rimedio a questo stato delle cose non<br />
basta però richiedere il rispetto di quella<br />
Direttiva (nelle diverse nazioni europee il numero<br />
dei concorsi banditi è da 10 a 25 volte superiore a<br />
quello che si registra in Italia); è necessario<br />
affrontare la clausola riguardante i fatturati e di<br />
concerto il problema della verifica delle competenza<br />
e delle capacità progettuali delle società di<br />
ingegneria. I limiti culturali della committenza, la<br />
miopia e la scarsa propensione degli pesatori<br />
economici a valutare le implicazioni etiche delle<br />
proprie decisioni rappresentano un corollario di<br />
questo quadro che ne ingrigisce le tinte. Un quadro,<br />
inoltre, che risulta ancora più inquietante se si<br />
considera come l'opinione pubblica non sia in Italia<br />
attrezzata a fornire informazioni adeguate e a<br />
svolgere un ruolo critico all'altezza. La stampa e<br />
gli altri organi di informazione allorché si<br />
occupano di questioni inerenti l'architettura,<br />
d i m o s t r a n o d i p o s s e d e r e r i f l e s s i t a l m e n t e<br />
condizionati da apparire simili a quelli che Pavlov<br />
descrisse dopo aver osservato i comportamenti di<br />
a l c u n i t o p o l i n i r i n c h i u s i i n u n a g a b b i a .<br />
L'impreparazione degli addetti e l'occasionalità<br />
degli interventi rappresentano la norma. Nei casi in<br />
cui gli organi di informazione si avvalgono di<br />
operatori qualificati non è raro però avvertire il<br />
pericolo dell'insorgere di conflitti di interesse,<br />
come può facilmente accadere allorché ci si affida a<br />
un professionista di successo per informare il<br />
p u b b l i c o d i q u a n t o a c c a d e n e l m o n d o d e l l a<br />
professione da lui frequento (per quanto possa<br />
suonare paradossale viene da chiedersi: che<br />
credibilità potrebbe avere agli occhi di Sergio<br />
Marchionne, amministratore delegato della FIAT, di
Dieter Zetche, presidente del gruppo Daimler-<br />
Mercedes o di Carlos Ghosn amministratore delegato<br />
della Renault, una rivista o un giornale che<br />
affidasse la rubrica dedicata alla valutazione delle<br />
qualità delle automobili prodotte in Europa a<br />
Norbert Reithofer, presidente della BMW?) I limiti<br />
culturali della committenza, la miopia e la scarsa<br />
propensione degli pesatori economici a valutare le<br />
implicazioni etiche delle proprie decisioni<br />
rappresentano un corollario di questo quadro che ne<br />
ingrigisce le tinte. Un quadro, inoltre, che risulta<br />
ancora più inquietante se si considera come<br />
l'opinione pubblica non sia in Italia attrezzata a<br />
fornire informazioni adeguate e a svolgere un ruolo<br />
critico all'altezza. La stampa e gli altri organi di<br />
informazione allorché si occupano di questioni<br />
inerenti l'architettura, dimostrano di possedere<br />
riflessi talmente condizionati da apparire simili a<br />
quelli che Pavlov descrisse dopo aver osservato i<br />
comportamenti di alcuni topolini rinchiusi in una<br />
g a b b i a . L ' i m p r e p a r a z i o n e d e g l i a d d e t t i e<br />
l'occasionalità degli interventi rappresentano la<br />
norma. Nei casi in cui gli organi di informazione si<br />
avvalgono di operatori qualificati non è raro però<br />
avvertire il pericolo dell'insorgere di conflitti di<br />
interesse, come può facilmente accadere allorché ci<br />
si affida a un professionista di successo per<br />
informare il pubblico di quanto accade nel mondo<br />
della professione da lui frequento (per quanto possa<br />
suonare paradossale viene da chiedersi: che<br />
credibilità potrebbe avere agli occhi di Sergio<br />
Marchionne, amministratore delegato della FIAT, di<br />
Dieter Zetche, presidente del gruppo Daimler-<br />
Mercedes o di Carlos Ghosn amministratore delegato<br />
della Renault, una rivista o un giornale che<br />
affidasse la rubrica dedicata alla valutazione delle<br />
qualità delle automobili prodotte in Europa a<br />
Norbert Reithofer, presidente della BMW?)<br />
Inevitabilmente svolgendo la propria funzione in<br />
maniera pavloviana, i media italiani si occupano di<br />
a r c h i t e t t u r a u n i c a m e n t e q u a n d o d a l m o n d o<br />
dell'architettura o da quanto intorno ad esso accade<br />
g i u n g o n o " n o t i z i e " a s s i m i l a b i l i a i g e n e r e<br />
"spettacolo" e "scandalo" di cui sono soliti<br />
occuparsi. Degli architetti ci si interessa quasi<br />
unicamente quando è possibile parlarne alla stregua<br />
di una stella del cinema o di un celebre cantanteuna<br />
assimilazione, questa, resa evidente dal termina<br />
"archiatra" entrato a far parte del linguaggio<br />
comune ma che non ha corrispettivi in altre<br />
professioni: "avvistar", "dottostar", fiscalstar"<br />
non sono espressioni cui si fa abitualmente ricorso<br />
parlando di avvocati, medici o fiscalisti. Gli<br />
architetti invece, sono star. La loro fama è<br />
123<br />
alimentata molto spesso dalle performance offerte su<br />
palcoscenici esotici operabili committenti, oppure<br />
quando vengono sollecitate da triste afflitti da<br />
benessere e complessi di inferiorità eccessivi. Ma<br />
accanto a questo mondo ve ne è un altro, per il<br />
quale l'opinione pubblica non nutre alcune<br />
interesse, dove i progettisti operano in maniera<br />
normale, dando risposte più o meno adeguate a<br />
bisogni e richieste altrettanto normali, pur<br />
scontrandosi con le anormali difficoltà che ciascuno<br />
di loro deve superare per lavorare nel nostro Paese.<br />
In questo mondo normale, come accade nel mondo<br />
moderno, professionisti provenienti da Paesi diversi<br />
competono tra di loro, senza dare spettacolo né<br />
suscitare scandalo, infastidendo soltanto coloro che<br />
vorrebbero la loro mediocrità difesa da qualche<br />
barriera protezionistica.<br />
Gli architetti italiani, per le ragioni cui abbiamo<br />
fatto prima cenno, vivono ed operano in una<br />
condizione professionale arretrata e disagiata. Gli<br />
studi sono piccoli, scarsamente attrezzati, per lo<br />
più inadeguati ad affrontare la competizione con le<br />
formazioni professionali straniere. La pratica<br />
professionale si svolge in gran parte in condizioni<br />
di marginalità e così come è attualmente organizzata<br />
non ha molte possibilità id imporre le necessarie<br />
riforme riguardanti le leggi, norme, funzionamento<br />
degli apparati burocratico-amministrativi in assenza<br />
d e l l e q u a l i è d i f f i c i l e i m m a g i n a r e c h e i<br />
professionisti italiani possano crescere, competere<br />
sul mercato internazionale, rinnovarsi. Ma per<br />
garantire il rinnovamento della professione non è<br />
neppure sufficiente una effettiva riforma del quadro<br />
istituzionale in cui viene esercitata. Ancor prima<br />
che della professione, infatti, bisognerebbe<br />
occuparsi della formazione e dell'educazione<br />
universitaria che nel nostro Paese ha subito un<br />
degrado forse irreversibile. Impietosamente questo<br />
degrado è fotografato dalla crescita esponenziale<br />
del numero delle Facoltà dove viene impartito<br />
l'insegnamento dell'architettura (o affini), cui fa<br />
riscontro il decremento drammatico del numero di<br />
studenti stranieri che le frequentano.
Infinità dei materiali.<br />
124<br />
Fedora, Colleen Corradi Brannigan, 2003.
125<br />
“Al centro di Fedora, metropoli di pietra grigia, sta<br />
un palazzo di metallo con una sfera di vetro in ogni<br />
stanza. Guardando dentro ogni sfera si vede una città<br />
azzurra che è il modello d’un’altra Fedora. Sono le<br />
forme che la città avrebbe potuto prendere se non<br />
fosse, per una ragione o per l’altra, diventata come<br />
oggi la vediamo. In ogni epoca qualcuno, guardando<br />
Fedora qual’era, aveva immaginato il modo di farne la<br />
città ideale, ma mentre costruiva il suo modello in<br />
miniatura già Fedora non era più la stessa di prima, e<br />
quello che fino a ieri era stato un suo possibile<br />
futuro ormai era solo un giocattolo in una sfera di<br />
vetro.<br />
Fedora ha adesso nel palazzo delle sfere il suo museo:<br />
ogni abitante lo visita, sceglie la città che<br />
corrisponde ai suoi desideri, la contempla immaginando<br />
si specchiarsi nella peschiera delle meduse che doveva<br />
raccogliere le acque del canale (se non fosse stato<br />
prosciugato), di percorrere dall’alto del baldacchino<br />
il viale riservato agli elefanti (ora banditi dalla<br />
città), di scivolare lungo la spirale del minareto a<br />
chiocciola (che non trovò più la base su cui sorgere).<br />
Nella mappa del tuo impero, o grande Kan, devono<br />
trovar posto sia la grande Fedora di pietra sia le<br />
piccole Fedore nelle sfere di vetro. Non perchè tutte<br />
ugualmente reali, ma perchè tutte solo presunte. L’una<br />
racchiude ciò che è accettato come necessario mentre<br />
non lo è ancora; le altre ciò che è immaginato come<br />
possibile e un minuto dopo non lo è più.”<br />
Da Le città invisibili di Italo Calvino.
Periodo di sovrapproduzione.<br />
126<br />
Tamara, Colleen Corradi Brannigan, 2005.
L’uomo cammina per giornate tra gli alberi e le<br />
pietre. Raramente l’occhio si ferma su una cosa, ed<br />
è quando l’ha riconosciuta per il segno d’un’altra<br />
cosa: un’impronta sulla sabbia indica il passaggio<br />
della tigre, un pantano annuncia una vena d’acqua,<br />
il fiore dell’ibisco la fine dell’inferno. Tutto il<br />
resto è muto e intercambiabile; alberi e pietre sono<br />
soltanto ciò che sono. Finalmente il viaggio conduce<br />
alla città di Tamara. Ci si addentra per vie fitte<br />
d’insegne che sporgono dai muri. L’occhio non vede<br />
cose ma figure di cose che significano altre cose:<br />
la tenaglia indica la casa del cavadenti, il boccale<br />
la taverna, le alabarde il corpo di guardia, la<br />
stadera l’erbivendola. Statue e scudi rappresentano<br />
leoni delfini torri stelle: segno che qualcosa –<br />
chissà cosa – ha per segno un leone o delfino o<br />
torre o stella. Altri segnali avvertono di ciò che<br />
in un luogo è proibito – entrare nel vicolo con i<br />
carretti, orinare dietro l’edicola, pescare con la<br />
canna dal ponte – e di ciò è lecito – abbeverare le<br />
zebre, giocare a bocce, bruciare i cadaveri dei<br />
parenti. Dalla porta dei templi si vedono le statue<br />
degli dei, raffigurati ognuno coi suoi attributi: la<br />
cornucopia, la clessidra, la medusa, per cui il<br />
fedele può riconoscerli e rivolgere loro le<br />
127<br />
preghiere giuste. Se un edificio non porta nessuna<br />
insegna o figura, la sua stessa forma e il posto che<br />
occupa nell’ordine della città bastano a indicarne<br />
la funzione: la reggia, la prigione, la zecca, la<br />
scuola pitagorica, il bordello. Anche le mercanzie<br />
che i venditori mettono in mostra sui banchi valgono<br />
non per se stesse ma come segni d’altre cose: la<br />
benda ricamata per la fronte vuol dire eleganza, la<br />
portantina dorata potere, i volumi di Averroè<br />
sapienza, il monile per la caviglia voluttà. Lo<br />
sguardo percorre le vie come pagine scritte: la<br />
città dice tutto quello che devi pensare, ti fa<br />
ripetere il suo discorso, e mentre credi di visitare<br />
Tamara non fai che registrare i nomi con cui essa<br />
definisce se stessa e tutte le sue parti.<br />
Come veramente sia la città sotto questo fitto<br />
involucro di segni, cosa contenga o nasconda, l’uomo<br />
esce da Tamara senza averlo saputo. Fuori s’estende<br />
la terra vuota fino all’orizzonte, s’apre il cielo<br />
dove corrono le nuvole. Nella forma che il caso e il<br />
vento dànno alle nuvole l’uomo è già intento a<br />
riconoscere figure: un veliero, una mano, un<br />
elefante…<br />
da Le Città invisibili, Italo Calvino<br />
Tamara
Morte della Composizione.<br />
128<br />
" O r a t u p e n s a : u n p i a n o f o r t e . I t a s t i<br />
iniziano. I tasti finiscono.<br />
Tu sai che sono 88, su questo nessuno può<br />
fregarti. Non sono infiniti, loro.<br />
T u , s e i i n f i n i t o , e d e n t r o q u e i t a s t i ,<br />
infinita è la musica che puoi fare. Loro<br />
sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace.<br />
Questo lo si può vivere. Ma se tu/<br />
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti<br />
a me/<br />
Ma se io salgo su quella scaletta e davanti<br />
a me si srotola una tastiera<br />
di mioni di tasti, milioni e miliardi/<br />
M i l i o n i e m i l i a r d i d i t a s t i , c h e n o n<br />
finiscono mai e questa è la vera verità,<br />
che non finiscono mai e quella tastiera è<br />
infinita/<br />
Se quella tastiera è infinita, allora/<br />
Su quella tastiera non c'è musica che puoi<br />
suonare.<br />
T i s e i s e d u t o s u l s e g g i o l i n o s b a g l i a t o :<br />
quello è il pianoforte su cui suona Dio..."<br />
Da Novecento di Baricco<br />
(in questa pagina, foto Berlino, 2010; nella pagina<br />
accanto Aldo Rossi, Piazza Segrate, 1965
129
Novecento.<br />
di A. Baricco<br />
[...]<br />
Primo gradino. Secondo gradino. Terzo gradino.<br />
Non è quel che vidi che mi fermò, ma quello che non<br />
vidi.<br />
Lo cercai ma non c'era in tutta quella sterminata<br />
città c'era tutto tranne.<br />
C'era tutto.<br />
Ma non c'era una fine. Quel che non vidi era dove<br />
finiva tutto quello. La fine del mondo.<br />
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I<br />
tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo<br />
nessuno può fregarti. Non sono infiniti loro. Tu sei<br />
infinito. Questo a me piace. Questo lo si può<br />
vivere.<br />
Ma se tu.<br />
Ma sei io salgo sulla scaletta e davanti a me si<br />
srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e<br />
miliardi.<br />
Milioni e miliardi di tasti che non finiscono mai e<br />
questa è la verità che non finiscono mai e quella<br />
tastiera è infinita.<br />
Se questa tastiera è infinita allora.<br />
Su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare.<br />
Ti sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il<br />
pianoforte su cui suona Dio.<br />
Cristo ma le vedevi le strade?<br />
Anche solo le strade ce n'era a migliaia come fate<br />
voi laggiù a sceglierne una.<br />
A scegliere una donna.<br />
Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio<br />
da guardare, un modo di morire.<br />
Tutto quel mondo.<br />
Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce.<br />
E quanto ce nè.<br />
130<br />
Non avete mai paura voi di finire in mille pezzi<br />
solo a pensarla, quell'enormità, solo a pensarla? A<br />
viverla...<br />
Io sono nato su quetsa nave. E qui il mondo passava<br />
ma a duemila persone per volta. E di desideri ce<br />
n'erano anche qui ma non più di quelli che ci<br />
potevano stare tra una prua ed una poppa. Suonavi la<br />
tua felicità su una tastiera che non era infinita.<br />
Io ho imparato così. La terra, quella nave è troppo<br />
grande per me. E' un viaggio troppo lungo. E' una<br />
don a troppo bella. E' un profumo troppo forte. E'<br />
una musica che non so suonare. Perdonami ma io non<br />
scenderò. Lasciami tornare indietro.<br />
Per favore.<br />
Adesso cerca di capire fratello, cerca di capire se<br />
puoi.<br />
Tutto quel mondo negli occhi.<br />
Terribile ma bello.<br />
Troppo bello.<br />
E la paura che mi riportava indietro.<br />
La nave di nuovo e per sempre. .<br />
Piccola nave.<br />
Quel mondo negli occhi tutte le notti, di nuovo.<br />
Fantasmi.<br />
Ci puoi morire se li lasci fare.<br />
La voglia di scendere.<br />
La paura di farlo.<br />
Diventi matto così.<br />
Matto.<br />
Qualcosa devi farlo e io l'ho fatto.<br />
Ogni giorno per anni.<br />
Dodici anni.<br />
Miliardi di momenti.<br />
Un gesto invisibile e lentissimo.
Io che non ero stato capace di scendere da questa<br />
nave per salvarmi sono sceso dalla mia vita. Gradino<br />
dopo gradino. E ogni gradino era un desiderio a cui<br />
dicevo addio.<br />
Non sono pazzo.<br />
Non siamo pazzi quando troviamo un sistema per<br />
salvarci. Siamo astuti come animali affamati.<br />
Non c'entra la pazzia.<br />
E' genio, quello. E' geometria. Perfezione. I<br />
desideri stavano strappandomi l'anima. Potevo<br />
viverli ma non ci sono riuscito.<br />
Allora li ho incantati.<br />
E ad uno ad uno li ho lasciati dietro di me.<br />
Geometria, un lavoro perfetto.<br />
Tutte le donne del mondo le ho incantate suonando<br />
una notte intera per una donna, una, la pelle<br />
trasparente, le mani senza un gioiello, le gambe<br />
sottili, ondeggiava la testa al suono della mia<br />
musica, senza un sorriso, senza piegare lo sguardo<br />
mai una notte intera.<br />
Quando si alzò non fu lei che uscì dalla mia vita ma<br />
tutte le donne del mondo.<br />
Il padre che non sarò mai l'ho incantato guardando<br />
un bambino morire per giorni seduto accanto a lui<br />
senza perdere niente di quello spettacolo tremendo e<br />
bellissimo volevo essere l'ultima cosa che guardava<br />
al mondo.<br />
Quando se ne andò guardandomi negli occhi non fu lui<br />
ad andarsene ma tutti i figli che mai ho avuto.<br />
La terra che era la mia terra da qualche parte nel<br />
mondo l'ho incantata sentendo cantare un uomo che<br />
veniva dal nord e tu lo ascoltavi e vedevi la valle,<br />
i monti intorno, il fiume che adagio scendeva e la<br />
neve d'inverno, i lupi nella notte.<br />
Quando quell'uomo finì di cantare finì la mia terra<br />
ovunque essa sia.<br />
Gli amici che ho desiderato li ho incantati suonando<br />
per te e con te quella sera, nella faccia che avevi,<br />
negli occhi, io li ho visti tutti, miei amici amati.<br />
quando te ne sei andato sono venuti via con te.<br />
Ho detto addio alla meraviglia quando ho visto gli<br />
immani iceberg del mare del Nord crollare vinti dal<br />
Gli amici che ho desiderato li ho incantati suonando<br />
per te e con te quella sera, nella faccia che avevi,<br />
negli occhi, io li ho visti tutti, miei amici amati.<br />
quando te ne sei andato sono venuti via con te.<br />
Ho detto addio alla meraviglia quando ho visto gli<br />
immani iceberg del mare del Nord crollare vinti dal<br />
caldo. Gli amici che ho desiderato li ho incantati<br />
suonando per te e con te quella sera, nella faccia<br />
che avevi, negli occhi, io li ho visti tutti, miei<br />
amici amati. quando te ne sei andato sono venuti via<br />
con te. Ho detto addio alla meraviglia quando ho<br />
131<br />
visto gli immani iceberg del mare del Nord crollare<br />
vinti dal caldo.<br />
Ho detto addio ai miracli quando ho visto ridere<br />
degli uomini che la guerra ha fatto a pezzi.<br />
Ho detto addio alla rabbia quando ho visto riempire<br />
questa nave di dinamite.<br />
Ho detto addio alla musica, la mia musica, il giorno<br />
in cui sono riuscita a suonarla tutta in una sola<br />
nota di un istante.<br />
Ho detto addio alla gioia incatenandola quando t ho<br />
visto entrare qui.<br />
Non è pazzia.<br />
Geometria.<br />
E' lavoro di cesello.<br />
Ho disarmato l'infelicità.<br />
Ho sfilato via la mia vita dai desideri.<br />
Se tu potessi risalire il mio cammino li troveresti<br />
uno dopo l'altro, incantati, immobili, fermati lì<br />
per sempre a segnare la rotta di questo viaggio<br />
strano che a nessuno ho mai raccontato se non a te.
esito progettuale.<br />
studio di uno spazio aperto
133
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148
Testo<br />
149
quale futuro?<br />
150<br />
Behind the Expo, Shanghai 2010.
[…] Oggi tanti materialisti scienziati della natura<br />
si sentono soddisfatti della credenza in un mondo<br />
che dovrebbe avere il suo equivalente e la sua<br />
misura nel pensiero umano, in umani concetti di<br />
valore; in un "mondo della verità", a cui si<br />
potrebbe in definitiva accedere con l'aiuto della<br />
nostra quadrata piccola ragione umana. Come?<br />
Vogliamo davvero far sì che l'esistenza si avvilisca<br />
in un esercizio di contabili e in una vita da talpa<br />
per matematici? Innanzitutto non si deve voler<br />
spogliare l'esistenza del suo carattere polimorfo:<br />
lo esige il buon gusto, signori miei, il gusto del<br />
rispetto di fronte a tutto quello che va al di là<br />
del vostro orizzonte! Che abbia ragion d'essere una<br />
sola interpretazione del mondo, quella in cui voi vi<br />
sentite a posto, quella in cui si può investigare e<br />
continuare a lavorare scientificamente nel vostro<br />
senso (per voi, in realtà, meccanicistico?), una<br />
siffatta interpretazione, che altro non ammette se<br />
non numeri, calcoli, uguaglianze, cose visibili e<br />
palpabili, è una balordaggine e una ingenuità, posto<br />
che non sia una infermità dello spirito, un'idiozia!<br />
[... ] Un'interpretazione scientifica del mondo,<br />
come l'intendete voi, potrebbe essere pur sempre una<br />
delle più sciocche, cioè, tra tutte le possibili<br />
interpretazioni del mondo, una delle più povere di<br />
senso: sia detto ciò per gli orecchi e per la<br />
coscienza dei signori meccanicisti che oggi<br />
s'intrufolano volentieri tra i filosofi, e sono<br />
assolutamente dell'opinione che la meccanica sia la<br />
teoria delle leggi prime e ultime, sulle quali ogni<br />
esistenza dovrebbe essere edificata come sopra le<br />
sue fondamenta. Tuttavia un mondo essenzialmente<br />
meccanico sarebbe un mondo essenzialmente privo di<br />
senso. Ammesso che si potesse misurare il valore di<br />
una musica da quanto di essa può essere computato,<br />
calcolato, tradotto in formule, come sarebbe assurda<br />
una tale "scientifica" misurazione della musica! Che<br />
cosa di essa avremmo mai colto, compreso,<br />
conosciuto? Niente, proprio un bel niente di ciò che<br />
propriamente in essa è "musica". (F. Nietzsche :La<br />
gaia scienza, 373)<br />
Si vede che anche la scienza riposa su una fede, che<br />
non esiste affatto una scienza "scevra di<br />
presupposti". La domanda se sia necessaria la<br />
verità, non soltanto deve avere avuto già in<br />
precedenza risposta affermativa, ma deve averla<br />
151<br />
uomo o macchina?<br />
avuta in grado tale da mettere quivi in evidenza il<br />
principio, la fede, la convinzione che "niente è più<br />
necessario della verità e che in rapporto a essa<br />
tutto il resto ha soltanto un valore di secondo<br />
piano". Questa incondizionata volontà di verità, che<br />
cos'è dunque?[ ... ] Ebbene, si sarà compreso dove<br />
voglio arrivare, vale a dire che è pur sempre una<br />
fede metafisica quella su cui riposa la nostra fede<br />
nella scienza; che anche noi, uomini della<br />
conoscenza di oggi, noi atei e antimetafisici,<br />
continuiamo a prendere anche il nostro fuoco<br />
dall'incendio che una fede millenaria ha acceso,<br />
quella fede cristiana che era anche la fede di<br />
Platone, per cui Dio è verità e la verità è<br />
divina... Ma come è possibile, se proprio questo<br />
diventa sempre più incredibile, se niente più si<br />
rivela divino salvo l'errore, la cecità, la<br />
menzogna, se Dio stesso si rivela come la nostra più<br />
lunga menzogna? (F. Nietzsche :La gaia scienza, 344)<br />
Scritta nel 1882, in La gaia scienza, Nietzsche<br />
sostiene che l’uomo ha ucciso Dio. "Dio è morto e<br />
noi l’abbiamo ucciso"( fr. 125). La civiltà<br />
occidentale ha ucciso Dio a poco a poco, ma,<br />
uccidendo, ha perso ogni punto di riferimento.<br />
Dicendo che "Dio è morto!" Nietzsche vuol indicare<br />
insomma che sono morti gli ideali ed i valori del<br />
mondo occidentale. Dio è stato ucciso perché in Lui<br />
era sintetizzato tutto ciò che era contro la vita.<br />
Però, ora che Dio è morto, l’uomo non sa più che<br />
cosa fare: è privo di valori ed è quindi solo,<br />
sperduto "nel gran mare dell’essere", senza punto<br />
d’appoggio. Non c’è che una alternativa : è l’uomo<br />
stesso che deve creare i valori. Ma quali ?<br />
"Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo<br />
ucciso! […]<br />
Vengo troppo presto – proseguì – non è ancora il mio<br />
tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada<br />
e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato<br />
fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono<br />
vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole<br />
tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere<br />
state compiute, perché siano vedute e ascoltate".<br />
[Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, af. 125]
Devoluzione.<br />
152
153
teoria.
la lontananza.<br />
un riferimento imprescindibile.<br />
156<br />
Una delle suggestione che sempre mi ha colpito di<br />
Aldo Rossi è il senso della "lontananza". Ovvero lo<br />
scarto metafisico rispetto alla durezza del mondo<br />
reale e l'evocazione di scenari lontani e immobili,<br />
dove finalmente esistano l'arcadia e la pace. Un<br />
coinvolgimento cioè nelle geometrie e nei colori<br />
delle proto-forme architettoniche, assunte come<br />
garanzie di racconto con la profondità della<br />
storia. Garanzie reperite anche nella poetiche<br />
delle materie e nelle tecniche anch'esse basiche e<br />
lontane, così distanti da risultare incontaminate e<br />
pure, come partecipi della geografia e della crosta<br />
terrestre. Lontananza fuori dalla violenza del<br />
tempo corrente, ma dentro la misura senza mutamento<br />
della grandiosità dello spazio.<br />
Alessandro Mendini, 2007
Cratos. Ma tu sai cosa sono gli uomini? Miserabili<br />
cose che dovranno morire, più miserabili dei vermi o<br />
d e l l e f o g l i e d e l l ' a l t r ' a n n o c h e s o n m o r t i<br />
ignorandolo. [...]<br />
Bia. Ma non ne segue che il suo cenno sia scaduto.<br />
Sono invece scaduti i signori del Caos, quelli che<br />
un tempo hanno regnato senza legge. Prima l'uomo la<br />
belva e anche il sasso era dio. Tutto accadeva senza<br />
nome e senza legge. Ci voleva la fuga del dio, la<br />
grossa empietà del suo confino tra gli uomini quando<br />
ancora era bimbo e poppava alla capra, e poi la<br />
crescita sul monte tra le selve, le parole degli<br />
uomini e le leggi dei popoli, e il dolore la morte e<br />
il rimpianto, per fare del figlio di Crono il buon<br />
Giudice, la Mente immortale e inquieta. [...] Il<br />
bambino rinato divenne signore vivendo tra gli<br />
uomini. [...] La parola dell'uomo, che sa di patire<br />
e si affanna e possiede la terra, rivela a chi<br />
l'ascolta meraviglie. [...] Si conosce la bestia, si<br />
conosce l'iddio, ma nessuno, nemmeno noialtri,<br />
sappiamo il fondo di quei cuori. C'è persino, tra<br />
157<br />
l’Uomo.<br />
loro, chi osa mettersi contro il destino. Soltanto<br />
vivendo con loro e per loro si gusta il sapore del<br />
mondo. (Gli uomini)<br />
Dioniso. Non sarebbero uomini, se non fossero<br />
tristi. La loro vita deve pur morire. Tutta la loro<br />
ricchezza è la morte, che li costringe industriarsi,<br />
a ricordare e prevedere. [...] Ma che vuoi che gli<br />
diamo? Qualunque cosa ne faranno sempre sangue.<br />
Demetra. C'è un solo modo, e tu lo sai. [...] Dare<br />
un senso a quel loro morire. [...] Insegnargli la<br />
vita beata. [...] Insegnargli che ci possono<br />
eguagliare di là dal dolore e dalla morte. Ma<br />
dirglielo noi. Come il grano e la vite discendono<br />
all'Ade per nascere, così insegnargli che la morte<br />
anche per loro è nuova. [...] Moriranno e avran<br />
vinta la morte. Vedranno qualcosa oltre il sangue,<br />
vedranno noi due. Non temeranno più la morte e non<br />
avranno più bisogno di placarla versando altro<br />
sangue. (Il mistero)<br />
C. Pavese, Dialoghi con Leucò, Einaudi, Torino<br />
1999.
il Desiderio.<br />
Il desiderio umano e la sua struttura,<br />
da Etica fondamentale del Prof. Paolo Pagani<br />
Premessa.<br />
Partiamo da una folgorante annotazione che Cesare<br />
Pavese fa nel suo diario: «Qualcuno ci ha mai<br />
promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?»[1].<br />
È la realtà stessa ad essere una promessa di bene; e<br />
noi siamo “simboli”[2] di questa promessa che sta<br />
nelle cose, cioè siamo fatti in modo tale da<br />
recepirla. “Desiderio” è la parola che indica<br />
l’attesa di bene che noi siamo. “Bene” è la parola<br />
che qualifica l’essere, come oggetto del desiderio.<br />
“Bene”, dunque, è l’essere (la realtà) in quanto,<br />
almeno potenzialmente, desiderabile.<br />
L’aggettivo italiano “buono” traduce il greco<br />
agathón, che vuol dire “ciò che merita attenzione e<br />
stima”. Ma traduce anche il latino bonum: bonum<br />
viene dal latino arcaico duonum e, remotamente,<br />
dalla radice indoeuropea DVE, che è la stessa che dà<br />
origine al verbo dveo o beo (“rendo beato”). Ora,<br />
nella duplice indicazione che ci viene, dal termine<br />
greco e da quello latino, è già presente l’interno<br />
dinamismo dell’essere come buono: esso attrae, ma<br />
anche dona se stesso; promette, e mantiene. I due<br />
lati sono tra loro complementari: l’essere è un<br />
invito, seguendo il quale l’uomo si perfeziona.<br />
Non si può parlare del desiderio, senza parlare del<br />
suo termine di tendenza: il bene. Il desiderio è<br />
infatti una realtà “intenzionale”, cioè è una realtà<br />
che consiste nel “tendere-in” qualcosa d’altro da<br />
sé: tanto che un “desiderio di niente” sarebbe un<br />
“niente di desiderio”.<br />
1) Il significato di “desiderio”.<br />
Consideriamo l’etimologia della parola. Nell’antico<br />
latino, de-siderare significa osservare le stelle<br />
158<br />
(sidera) con attenzione (la particella de ha infatti<br />
un valore intensivo). Si allude con ciò alla<br />
tensione ad un qualcosa di non determinato, che però<br />
attrae (determina) lo sguardo, stando al di sopra<br />
delle cose che sono a disposizione nell’esperienza.<br />
Diverso dal desiderio è il “bisogno”. La parola<br />
deriva dall’antico latino bi-somnium e, remotamente,<br />
dal gotico sunia (che dice “necessità” e insieme<br />
“impedimento”). Il bisogno è la tensione ad un<br />
soddisfacimento determinato, tale da colmare una<br />
precisa mancanza.<br />
L’italiano “desiderio” corrisponde nel greco di<br />
Aristotele ad órexis: sostantivo che deriva dal<br />
verbo orégo(“porgo, sporgo, tendo”); e nel latino di<br />
Tommaso d’Aquino corrisponde ad a d p e t i t u s<br />
intellectivus sive rationalis (“appetizione<br />
intellettiva o razionale”): dove adpetitus deriva da<br />
ad-petere (“tendere a”)[3].<br />
NB: Precisiamo che il “desiderio” non coincide<br />
strettamente con la volontà. Si può dire che<br />
“volontà” è il momento pratico del desiderio: cioè<br />
la tendenza attiva al bene che il desiderio ha in<br />
vista.<br />
2) Il desiderio dà forma a ogni umana tendenza.<br />
Il desiderio ha la stessa ampiezza intenzionale (la<br />
stessa ampiezza d’orizzonte) dell’intelligenza; e<br />
l’intelligenza non ha confini. Se provassimo a dare<br />
d e i c o n f i n i a l l ’ i n t e l l i g e n z a , s u b i t o e s s a<br />
sporgerebbe – sia pure problematicamente – al di là<br />
di essi. Il desiderio è la forma di ogni tensione<br />
dell’uomo alla realtà. Gli stessi bisogni umani sono<br />
in-formati (cioè ricevono forma) dal desiderio. E la<br />
volontà, ultimamente, è il movimento verso l’oggetto<br />
proprio del desiderio: un oggetto che non può che
essere infinito, visto che infinito è l’orizzonte<br />
cui il desiderio è rivolto.<br />
3) Desiderio e immaginazione.<br />
L’apertura del desiderio supera dunque ogni realtà<br />
finita. E noi abbiamo appunto esperienza di realtà<br />
finite. Non solo, ma ciò che immaginiamo, è la<br />
riproduzione (modificata, magari dilatata e<br />
perfezionata) di ciò di cui abbiamo esperienza.<br />
Anche il mondo immaginario dell’uomo è dunque un<br />
m o n d o f i n i t o . I l d e s i d e r i o s a r à a l l o r a<br />
s p r o p o r z i o n a t o a n c h e r i s p e t t o a g l i o g g e t t i<br />
dell’immaginazione.<br />
Q u e s t a c o n s i d e r a z i o n e h a c o n s e g u e n z e m o l t o<br />
rilevanti. Si pensi infatti alle utopie, che sono<br />
progetti di una convivenza sociale perfetta per il<br />
futuro: esse nascono dall’immaginazione, e quindi<br />
non possono soddisfare veramente il desiderio. Così,<br />
se anche l’uomo riuscisse a realizzare il più ricco<br />
e armonico dei suoi progetti utopici, il progetto in<br />
questione - nascendo dall’immaginazione - non<br />
potrebbe dargli quella soddisfazione completa che si<br />
chiama “felicità”. Già Aristotele, nel IV secolo<br />
a.C., annotava che l’uomo può essere felice solo per<br />
un dono divino[4] (e non per la sola forza delle<br />
proprie mani). L’uomo è nella vertiginosa condizione<br />
di essere proteso ad un compimento, che non può<br />
venirgli da lui stesso.<br />
Questa semplice annotazione è un giudizio radicale<br />
su tutte le ideologie[5] che promettono il paradiso<br />
in terra; le quali, sperimentando l’impotenza a<br />
raggiungerlo, finiscono per far violenza alla realtà<br />
sociale, generando, al posto del paradiso,<br />
l’inferno.<br />
4) La qualità del desiderio.<br />
È normale che i filosofi delle grandi tradizioni<br />
classiche e moderne convengano nel riconoscere al<br />
desiderio una ampiezza d’orizzonte sconfinata<br />
(ovvero “trascendentale”, cioè tale da abbracciare e<br />
superare ogni realtà determinata). È anche vero,<br />
però, che non sempre i filosofi concordano sulla<br />
qualità (cioè sulla “stoffa”) del desiderio. In che<br />
senso il desiderio desidera? In che modo sta aperto<br />
sulla realtà?<br />
Pensatori come Hobbes, Kant, Freud, Sartre (per fare<br />
qualche nome di rilievo) presentano il desiderio<br />
come una tendenza assimilatrice, divoratrice,<br />
predatoria: da controllare o da conciliare con le<br />
esigenze della realtà. Per loro il desiderio si<br />
esprime usando (dal verbo latino: utor, uteris, usus<br />
sum, uti) la realtà, riconducendola all’uomo<br />
singolo, e al suo immediato bisogno.<br />
Pensatori come Aristotele, Tommaso d’Aquino, ma<br />
anche Hegel (per fare anche qui qualche nome<br />
importante) presentano invece il desiderio come una<br />
tendenza a fruire (dal latino: fruor, frueris,<br />
159<br />
fruitus sum, frui) della realtà, cioè a godere di<br />
e s s a l a s c i a n d o l a e s s e r e c i ò c h e è , e n o n<br />
assimilandola a sé.<br />
Ora, è chiaro che solo la seconda, tra queste due<br />
concezioni, salva il desiderio dalla sua riduzione<br />
al bisogno, cioè dal suo snaturamento. Se l’oggetto<br />
appropriato del desiderio si profila come una realtà<br />
infinita, è chiaro che una tale realtà non potrà<br />
essere usabile o assimilabile. Ciò rivela la<br />
concezione predatoria del desiderio come una<br />
concezione inappropriata, che profila il desiderio<br />
sul modello del semplice bisogno.<br />
[1] Cfr. C. Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino<br />
1952 (annotazione del 27-11-1945).<br />
[2] “Simbolo” deriva dal greco syn+bállein (mettere insieme).<br />
I Greci chiamavano “simbolo” la metà di un oggetto (di un<br />
anello o di un bastone) che due amici spezzavano, prima di<br />
lasciarsi per un lungo periodo. Mettendo insieme le due metà<br />
combacianti, essi infatti avrebbero potuto riconoscersi anche<br />
dopo molti anni.<br />
[3] Nel latino filosofico, la parola desiderium non<br />
corrisponde al nostro “desiderio”, ma piuttosto indica una<br />
delle tante passioni dell’anima: la nostalgia per un<br />
determinato bene, ora assente.<br />
[4] Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, I, 1099 b 11-13.<br />
[5] La parola “ideologia” – non a caso – deriva dalla radice<br />
indoeuropea VID, che allude al vedere. Ideologia è una<br />
visione (immaginaria) dell’assetto sociale che renderebbe<br />
felici gli uomini.
Zenobia.<br />
Ora dirò della città di Zenobia che ha questo di<br />
mirabile: benché posta su terreno asciutto essa<br />
sorge su altissime palafitte, e le case sono di<br />
bambù e di zinco, con molti ballatoi e balconi,<br />
poste a diversa altezza, su trampoli che si<br />
scavalcano l'un l'altro, collegate da scale a pioli<br />
e marciapiedi pensili, sormontate da belvederi<br />
coperti da tettoie a cono, barili di serbatoi<br />
d'acqua, girandole marcavento, e ne sporgono<br />
c a r r u c o l e , l e n z e e g r u . Q u a l e b i s o g n o o<br />
comandamento o desiderio abbia spinto i fondatori<br />
di Zenobia a dare questa forma alla loro città, non<br />
si ricorda, e perciò non si può dire se esso sia<br />
stato soddisfatto dalla città quale noi oggi la<br />
vediamo, cresciuta forse per sovrapposizioni<br />
successive dal primo e ormai indecifrabile disegno.<br />
Ma quel che è certo è che chi abita Zenobia e gli<br />
si chiede di descrivere come lui vedrebbe la vita<br />
felice, è sempre una città come Zenobia che egli<br />
immagina, con le sue palafitte e le sue scale<br />
sospese, una Zenobia forse tutta diversa,<br />
sventolante di stendardi e di nastri, ma ricavata<br />
sempre combinando elementi di quel primo modello.<br />
Detto questo, è inutile stabilire se Zenobia sia da<br />
classificare tra le città felici o tra quelle<br />
infelici. Non è in queste due specie che ha senso<br />
dividere le città, ma in altre due: quelle che<br />
continuano attraverso gli anni e le mutazioni a<br />
dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i<br />
desideri o riescono a cancellare la città o ne sono<br />
cancellati.<br />
da Le città invisibili di Italo Calvino<br />
160<br />
Zenobia, Colleen Corradi Brannigan, 2003.
In principio di questa storia c'è la città. La città<br />
è una città piuttosto piccola che grande, piuttosto<br />
brutta che bella, piuttosto sfortunata che fortunata<br />
e però e nonostante tutto questo che s'è appena<br />
detto, piuttosto felice che infelice. Era – ed è –<br />
collocata in una grande pianura, su una sorta di<br />
dosso formato, qualche milione di anni fa, dal moto<br />
delle maree o dai sedimenti dei fiumi di un mondo<br />
ancora inconsapevole delle nostre vicende, ancora<br />
beato dei suoi dinosauri e delle sue felci grandi<br />
come alberi; e si affaccia su un orizzonte di<br />
montagne cariche di neve come sulle quinte di un<br />
immenso palcoscenico, in un paesaggio che gli Dei<br />
hanno voluto sistemare in questo modo, perché fosse<br />
il loro teatro. Lassù sopra le nostre teste,<br />
infatti, negli spazi senza tempo che noi chiamiamo<br />
universo, di tanto in tanto gli Dei – quelli di<br />
Omero – vengono ad assistere allo spettacolo delle<br />
nostre passioni e delle nostre lotte; e un'eco delle<br />
loro risate è forse percepibile nello scroscio delle<br />
acque che in primavera straripano tutt'attorno alla<br />
città, allagando i terreni coltivati, e nel rumore<br />
del vento che, d' autunno, fa turbinare le foglie<br />
sui viali, spingendo le nuvole verso le montagne<br />
lontane. Gli Dei – già il vecchio Omero ne era<br />
consapevole – non hanno alcuna pietà delle sciagure<br />
161<br />
Prologo.<br />
Sebastiano Vassalli, Cuore di pietra, Einaudi, 1996<br />
degli uomini e hanno un senso dell' umorismo<br />
piuttosto bizzarro, perché conoscono l'esito delle<br />
nostre vicende prima ancora che siano incominciate;<br />
sanno il giorno e l'ora in cui moriremo, e in quali<br />
circostanze; e ridono fino alle lacrime vedendoci<br />
lottare per cose che non ci apparterranno, e che<br />
saranno comunque diverse da come le abbiamo<br />
immaginate. Ciò che soprattutto li diverte, però,<br />
sono i nostri progetti e i nostri sforzi per dare un<br />
senso al futuro; e la storia che si racconta in<br />
queste pagine, di una casa e degli uomini e delle<br />
donne che ci abitarono, e del sogno di un mondo più<br />
libero e più giusto che si sognò nella città di<br />
fronte alle montagne e nella grande pianura, li<br />
avrebbe forse fatti morire dal ridere, se gli Dei<br />
potessero morire. Era dai tempi di Omero, e della<br />
guerra di Troia, che i nostri vicini del piano di<br />
sopra non spalancavano così larghe le loro bocche e<br />
non facevano risuonare così forte le loro voci, da<br />
un capo al!'altro dell'universo. Chi leggerà questa<br />
storia, se tenderà l'orecchio, potrà sentire quasi<br />
in ogni pagina un'eco affievolita di quel lontano<br />
clamore; e, ancora dopo avere chiuso il libro, di<br />
tanto in tanto gli sembrerà di riascoltare le risate<br />
degli Dei, lassù oltre l'azzurro del cielo dove loro<br />
vivono..
Dominio natura.<br />
Daniel Egneus, Milano.<br />
162
163<br />
Dominio altri uomini.<br />
Daniel Egneus, The French CookBook.
Immortalità.<br />
Daniel Egneus, The pelicanthief and other stories<br />
164
165<br />
Perfezione.<br />
Daniel Egneus, Zoo Ballet.
Volare.<br />
Daniel Egneus, cityscapes.<br />
166
167<br />
Felicità.<br />
Daniel Egneus, Zoo Ballet.
gli Dei.<br />
168<br />
Meleagro. Non so. Ma ho sentito narrare di libere<br />
vite di là dai monti e dai fiumi, di traversate,<br />
di arcipelaghi, d'incontri con mostri e con dèi.<br />
Di uomini più forti anche di me, più giovani,<br />
segnàti da strani destini.<br />
Prometeo. Tutti avete una rupe, voi uomini. Per<br />
questo vi amavo. Ma gli dèi sono quelli che non<br />
sanno la rupe. Non sanno ridere né piangere.<br />
Sorridono davanti al destino. [...] Ma ricòrdati<br />
sempre che i mostri non muoiono. Quello che muore<br />
è la paura che t'incutono. Così è degli dèi.<br />
Quando i mortali non ne avranno più paura, gli dèi<br />
spariranno. (La rupe)<br />
C. Pavese, Dialoghi con Leucò, Einaudi, Torino<br />
1999.
169<br />
i Dialoghi.<br />
Meleagro. Non so. Ma ho sentito narrare di<br />
libere vite di là dai monti e dai fiumi, di<br />
traversate, di arcipelaghi, d'incontri con<br />
mostri e con dèi. Di uomini più forti anche<br />
di me, più giovani, segnàti da strani<br />
destini.<br />
Dialoghi con Leucò è il libro che non puoi non aver<br />
letto se vuoi conoscere veramente Cesare Pavese. Non<br />
c'è nessuna introduzione, né prefazione. Niente: sei<br />
direttamente dentro al libro. Ti trovi davanti a un<br />
dialogo. Parlano Nefele (la Nube) e Issione. Non ci<br />
sono spiegazioni, nè antefatti, (se non 6 righe di<br />
Pavese, 6 di numero) che commenta a suo modo il<br />
dialogo (se avete letto il diario sapete come).<br />
Entri nel mondo dei titani, e Nefele ti dice (perché<br />
è a tutti gli uomini che parla): "C'è una legge,<br />
Issione, cui bisogna ubbidire. Una legge che prima<br />
non c'era." E' il passaggio temporale dall'Olimpo<br />
dei titani, in cui le diverse nature convivevano e<br />
si mischiavano liberamente, e quello ordinato del<br />
limite e delle classificazioni, l'ultimo Olimpo in<br />
cui i mortali (si)sono definitivamente rassegnati e<br />
relegati lontano dagli immortali.<br />
Là, invece, gli Dei parlano ancora agli uomini, e<br />
figure mitologiche commentano tra loro eventi e<br />
personaggi, sorti e destini. Eracle, Tiresia, Edipo,<br />
Patroclo e Achille, Leucotea (Leucò), Saffo, Orfeo e<br />
tanti altri. Tutto è ancora possibile.<br />
E' importante conoscere la mitologia greca, e non<br />
solo superficialmente, perché Pavese, al solito, non<br />
spiega niente, (se non quelle 4 righe prima di ogni<br />
dialogo) e si perdono molti significati.<br />
E' del destino dell'uomo, del senso delle cose,<br />
della morte, della vita e del coraggio: è di questo<br />
che si parla. E gli dei non ne escono vincitori.<br />
Pur nei limiti della sua natura, stretto dai lacci<br />
degli eventi e destinato inevitabilmente alla<br />
perdita, qui è l'uomo il titano.
E' il libro eroico di Pavese, e non a caso ce<br />
l'aveva con sé nella stanza d'albergo in cui si<br />
suicidò. Un libro serrato, concentrato in cui le<br />
parole sono pietre, in cui i significati si<br />
intrecciano strettamente come i fili in una corda e<br />
creano una tensione straordinaria.<br />
In realtà, l'uomo è più del dio e anzi gli dei lo<br />
invidiano.<br />
Loro che hanno il controllo della vita tutt'attorno<br />
a loro, dentro, sono vuoti.<br />
L'uomo invece non ha nessun potere eppure, anche se<br />
inconsapevole, ha una cosa che nessun dio possiede.<br />
Bacca: "E che vuol dire che un destino non<br />
tradisce?"<br />
Orfeo: "Vuol dire che è dentro di te, cosa tua; più<br />
profonda del sangue, di là da ogni ebbrezza. Nessun<br />
dio può toccarlo."<br />
"Ho cercato me stesso. Non si cerca che questo."<br />
Calipso "Immortale è chi accetta l'istante."<br />
Odisseo: "Io credevo immortale chi non teme la<br />
morte."<br />
Calipso: "Chi non spera di vivere."<br />
Alcuni déi minori e semidei, si struggono per il<br />
destino degli uomini. Altri capiscono che nascondono<br />
un segreto inviolabile, oscuro a tutti, uomini e<br />
dei:<br />
Bia: "Sono poveri vermi, ma tutto fra loro è<br />
imprevisto e scoperta. Si conosce la bestia, si<br />
conosce il dio, ma nessuno, nemmeno noialtri,<br />
sappiamo il fondo di quei cuori. C'è persino, tra<br />
loro, chi osa mettersi contro il destino."<br />
Dioniso: Noi sappiamo le cose e loro (i mortali) le<br />
fanno. Senza di loro mi chiedo cosa sarebbero i<br />
giorni"<br />
"Sanno darci dei nomi che ci rivelano a noi stessi"<br />
Demetra: "Chi direbbe che nella loro miseria hanno<br />
tanta ricchezza?"<br />
Amadriade: "Loro trattano il destino e l'avvenire,<br />
come fosse un passato."<br />
Satiro: "Questo vuol dire, la speranza. Dare un nome<br />
di ricordo al destino".<br />
Faccio queste citazioni per rendere l'atmosfera che<br />
si respira.<br />
Non leggetelo se siete depressi.<br />
Non leggetelo se siete distratti.<br />
L'ultimo dialogo non ha più nomi, parlano due<br />
uomini. Sono spariti i grandi personaggi, i Nomi. Il<br />
destino è uscito da loro e si è diffuso nel mondo<br />
degli eventi. Il tempo è mutato. Non è più il tempo<br />
degli incontri tra uomini e dei, è il tempo del<br />
tardo Olimpo, quello della netta distinzione tra il<br />
170<br />
mortale e l'immortale:<br />
"Mi domando se è vero che li hanno veduti" (gli dei)<br />
"Videro cose tremende, incredibili, e nemmeno<br />
stupivano. Si sapeva cos'era. Se mentirono quelli,<br />
anche tu allora, quando dici "è mattino" o "vuol<br />
piovere" hai perduto la testa."<br />
Pavese, il titano malinconico, che è in grado di<br />
screditare gli immortali e di rendere credibili i<br />
mortali. In grado di tentare di padroneggiare il<br />
Destino e la Morte.<br />
L'ultimo dialogo non ha più nomi, parlano due<br />
uomini. Sono spariti i grandi personaggi, i Nomi. Il<br />
destino è uscito da loro e si è diffuso nel mondo<br />
degli eventi. Il tempo è mutato. Non è più il tempo<br />
degli incontri tra uomini e dei, è il tempo del<br />
tardo Olimpo, quello della netta distinzione tra il<br />
mortale e l'immortale:<br />
"Mi domando se è vero che li hanno veduti" (gli dei)<br />
"Videro cose tremende, incredibili, e nemmeno<br />
stupivano. Si sapeva cos'era. Se mentirono quelli,<br />
anche tu allora, quando dici "è mattino" o "vuol<br />
piovere" hai perduto la testa."<br />
Pavese, il titano malinconico, che è in grado di<br />
screditare gli immortali e di rendere credibili i<br />
mortali. In grado di tentare di padroneggiare il<br />
Destino e la Morte.<br />
Antonio Canova, Le tre Grezie, marmo, 1813, particolare
171<br />
La Nube.<br />
Ho paura. Ho veduto le cime dei monti.<br />
Ma non per me, Issione. Io non posso patire. Ho<br />
paura per voi che non siete che uomini. Questi<br />
monti che un tempo correvate da padroni, queste<br />
creature nostre e tue generate in libertà, ora<br />
tremano a un cenno. Siamo tutti asserviti a una<br />
mano più forte. I figli dell'acqua e del vento, i<br />
Centauri, si nascondono in fondo alle forre. Sanno<br />
di essere mostri. [...]<br />
La morte, ch'era il vostro coraggio, può esservi<br />
tolta come un bene.<br />
Lo sai questo? [...] Per te la morte è una cosa che<br />
accade, come il giorno e la notte. Tu sei uno di<br />
noi, Issione. Tu sei tutto nel gesto che fai. Ma<br />
per loro, gli immortali, i tuoi gesti hanno un<br />
senso che si prolunga. Essi tastano tutto da<br />
lontano con gli occhi, le narici, le labbra. Sono<br />
immortali e non san vivere da soli. (La nube)<br />
La Nube: C'è una legge, Issione, cui bisogna<br />
ubbidire.<br />
Issione: Quassù la legge non arriva, Nefele. Qui la<br />
legge è il nevaio, la bufera, la tenebra. E quando<br />
viene il giorno chiaro e tu ti accosti leggera alla<br />
rupe, è troppo bello per pensarci ancora.<br />
C. Pavese, Dialoghi con Leucò, Einaudi, Torino 1999.
172
Ogni tanto gli Dei tornano ad affacciarsi sul golfo<br />
della pianura delimitato dalle montagne lontane, e<br />
applaudono e gridano stando sospesi lassù sopra le<br />
nostre teste, mentre assistono alle rappresentazioni<br />
di un autore che sa mescolare come nessun altro la<br />
tragedia e la farsa, e che si esprime con le vicende<br />
degli uomini pur restandone assolutamente estraneo:<br />
il tempo! Se gli uomini non esistessero sulla terra,<br />
lo spettacolo del tempo si ridurrebbe a ben poca<br />
cosa; ed è per questo motivo che gli Dei li hanno<br />
fatti esistere. Gli Dei di Omero – è risaputo – sono<br />
degli eterni bambini, e tutto li diverte: anche<br />
l'aggregarsi e il dissolversi delle nuvole, anche il<br />
cadere delle foglie in autunno e lo sciogliersi<br />
delle nevi in primavera hanno il potere di fargli<br />
schiudere le labbra, e di far scintillare i loro<br />
denti immortali; ma perché l'universo intero<br />
rimbombi delle loro risate bisogna mettere in scena<br />
ciò che il tempo sa fare con gli uomini, dappertutto<br />
e in quella pianura circondata dalle montagne che è,<br />
appunto, il loro teatro. Bisogna mostrargli la<br />
nostra protagonista com' è adesso, vuota e buia e<br />
con i suoi saloni ingombri di calcinacci, di<br />
siringhe, di sterchi, di coperte insanguinate, di<br />
frammenti di vetro... Oppure, bisogna fargli vedere<br />
l'immensa pianura percorsa in ogni direzione da<br />
milioni di quei contenitori di metallo che noi<br />
chiamiamo automobili, e le piazze e le strade della<br />
città di fronte alle montagne, dove passarono<br />
cantando e schiamazzando i cortei delle bandiere<br />
rosse e quelli delle camicie nere, divenute percorsi<br />
obbligati per i nuovi mostri meccanici. Tutto sembra<br />
reale, adesso come allora e come sempre, ma è uno<br />
173<br />
Epilogo<br />
Sebastiano Vassalli, Cuore di pietra, Einaudi, 1996.<br />
spettacolo del tempo: un'illusione, che di qui a<br />
poco svanirà per lasciare il posto a un'altra<br />
illusione. È perciò che le risate degli Dei<br />
rimbombano e rotolano da una parte all'altra del<br />
cielo con i temporali d'aprile, e che le loro grida<br />
d'incitamento spazzano la pianura con i venti<br />
d'ottobre. I personaggi di questa storia che è<br />
finita, e gli altri delle infinite storie che ancora<br />
devono incominciare, le loro futili imprese, le loro<br />
tragicomiche morti non sono altro che alcune<br />
i n v e n z i o n i t r a l e t a n t e d i q u e l l ' e t e r n o ,<br />
meraviglioso, inarrivabile artista che è il tempo. È<br />
lui che ci parla con la nostra voce, che ci guida,<br />
che manipola i nostri desideri e i nostri sogni e<br />
alla fine cancella le nostre vite per sostituirle<br />
con altre vite, di altri uomini che noi non<br />
conosceremo mai. È lui che ci fa credere di essere<br />
il centro e la ragione di tutto, mentre ci ispira<br />
comportamenti e pensieri così stupidi che gli Dei ne<br />
ridono ancora quando ritornano lassù nel loro eterno<br />
presente, abbandonandoci agli sbalzi d'umore e ai<br />
capricci del nostro autore e padrone. Un suo battito<br />
di ciglia, e l'uomo che ha scritto questa storia non<br />
esisterà più; un altro battito di ciglia, e al posto<br />
della grande casa sui bastioni ci sarà un edificio<br />
di cristallo in cui si rifletteranno le nuvole e le<br />
montagne lontane; un terzo battito di ciglia, e i<br />
contenitori chiamati automobili saranno a loro volta<br />
scomparsi... Perché no? Soltanto gli Dei sono<br />
immortali, mentre tutto ciò che esiste nel tempo è<br />
destinato a perire. Homo humus, fama fumus, finis<br />
cinis.
evoluzione.<br />
174
175
176
177<br />
manifestazione di un desiderio.<br />
nel monologo finale di American History X il ragazzo<br />
scrive una lettera al padre. e spiega che nel corso<br />
della storia c’è sempre stato qualcuno che ha detto<br />
ciò che noi vorremmo dire nella maniera più bella<br />
possibile.<br />
e allora direi che il mio pensiero può esser<br />
racchiuso in maniera sublime in queste tre righe.<br />
l’arte oltrepassa i limiti nei quali il<br />
tempo vorrebbe comprimerla, e indica il<br />
contenuto del futuro.<br />
Vasilij Kandinskij, Punto, linea, superficie
la concezione di Hilberseimer.<br />
elementarismo vs espressionismo<br />
F. Bruno, Ludwig Hilberseimer, La costruzione di un’idea di città, il periodo tedesco, Libraccio-<br />
Lampi di stampa, Milano 2008.<br />
Per rendere evidente quali siano le categorie<br />
g e n e r a l i a c u i H i l b e r s e m e r f a r i f e r i m e n t o<br />
nell'esposizione della propria concezione dell'arte,<br />
ritengo importante riproporre una parte del saggio<br />
Kunst und Wissen del maggio 1919. In questo passo<br />
Hilberseimer, rapportandosi alle condizioni storiche<br />
e quindi a quelle che egli ritiene le principali<br />
categorie artistiche, presenta con chiarezza una<br />
distinzione tra Espressionismo ed Impressionismo.<br />
.<br />
Oltre a rivendicare il valore creativo delle culture<br />
primitive, Hilberseime, in questo passo, prendendo<br />
c h i a r a m e n t e p o s i z i o n e n e l d i b a t t i t o t r a<br />
Impressionisti, distinti dall'analiticità del fare,<br />
ed Espressionisti, orientati ad un atteggiamento<br />
sintetico, sottolinea un'importante distinzione dei<br />
processi conoscitivi che differenziano gli empiristi<br />
dai razionalisti.
E' interessante notare inoltre come Hilberseimer, in<br />
questi scritti giovanili, condivida pienamente gli<br />
ideali dell'Espressionismo, non proponendo ancora<br />
apertamente le successive differenziazioni tra<br />
Espressionisti ed Elementaristi introdotte negli<br />
anno '60 in Architettura a Berlino negli anno Venti.<br />
(7)<br />
Anche se dall'esame del solo passo citato potrebbe<br />
risultare un'operazione forzata, ma da non ridurre a<br />
m e r a q u e s t i o n e t e r m i n o l o g i c a , m i i n t e r e s s a<br />
sottolineare come in questo momento Hilberseimer<br />
sembri accennare a una qualche identità tra<br />
Elementarismo (8) ed Espressionismo, probabilmente<br />
inteso come aspetto formale di un atteggiamento più<br />
ampio da contrapporre al processo figurativo<br />
impressionista.<br />
E' una distinzione che diventerà fondamentale e che<br />
comprende, come ben descritto da Fritz Neumayer, (9)<br />
i l p a s s a g g i o d a l l a s p i r i t u a l i t à a s t r a t t a<br />
espressionista, di cui la cattedrale del futuro era<br />
simbolo, alla spiritualità razionalizzata che lo<br />
Zeitgeist impone come adesione all'oggettualità del<br />
mondo concreto di cui la società industriale è<br />
motivo e riflesso.<br />
Questa contrapposizione tra Espressionismo ed<br />
Elementarismo, che corrisponde altresì alla<br />
normalizzazione dei miti comunitari sorti a seguito<br />
delle conseguenze del primo conflitto mondiale, sarà<br />
a s s u n t a d a H i l b e r s e i m e r c o m e d i s c r i m i n a n t e<br />
d e l l ' a g i r e a r t i s t i c o , c o m e s u p e r a m e n t o<br />
dell'astrattezza e della condotta improntata alla<br />
più evidente soggettività di molti esponenti dei<br />
gruppi espressionisti.<br />
note<br />
7 - Cfr. ROBERTO GABETTI, CARLO OLMO, Le Corbusier<br />
e ,,L'Esprit Nouveau" Giulio Einaudi, Torino 1988, pag. 23.<br />
8 - LUDWIG HILBERSEIMER, Konstruktivismus, op. cit., cito:<br />
.<br />
9 - Cfr. LUDWIG MIES VAN DER ROE, Conferenza, in: Fritz<br />
Neumayer, Mies van der Rohe. Das Kunstlose Wort. Gedanken zur<br />
Baukunst, op. cit., pag. 265 cito: "La meccanizzazione non<br />
può mai essere il fine. Deve sempre restare il mezzo. Il<br />
mezzo per un fine spirituale".
I Murales di Orgosolo.<br />
O r g o s o l o , u n a c o m u n i t à p o s t a a l m a r g i n e<br />
settentrionale della Barbagia, raccoglie in sé<br />
immagini e simboli della cultura barbaricina: alcune<br />
di esse si proiettano vistosamente sui muri delle<br />
abitazioni e gli occhi del viaggiatore non possono<br />
fare a meno di notarle.Sono i famosi murales, circa<br />
100 suggestivi ritratti di memoria e vita sociale.<br />
Tinte sui muri che narrano le fatiche, le denunce e<br />
le grandi conquiste di una piccola comunità,<br />
colorati racconti di storia quotidiana che si<br />
intrecciano armonicamente alla raffigurazione di<br />
eventi e di lotte politiche di respiro mondiale.<br />
I "muri che parlano": lo stile e i colori<br />
I tratti, i modi d'espressione e l'accostamento<br />
degli oggetti rappresentati ricordano spesso<br />
Guernica di Picasso e lo stile cubista in generale;<br />
le linee di alcuni ritratti ricordano i dipinti di<br />
Léger.<br />
A volte sembra di ritrovare i codici espressivi dei<br />
muralisti messicani degli anni '20. Le figure sono<br />
squadrate, solide e voluminose, i profili netti e<br />
taglienti, i colori brillano su uno sfondo scuro.<br />
Molte immagini sono di evidente derivazione cubista:<br />
matrone dai fianchi larghi e sovrabbondanti stanno<br />
in fronte a patriarchi dalle mani nodose e<br />
ipertrofiche.insieme.<br />
Benché non manchino i murales estetizzanti (alcuni<br />
tra i più recenti), stile trompe-l'oeil, l'effetto<br />
180<br />
decorativo è in genere funzionale all'effetto<br />
espressivo.<br />
Nell'insieme, i murales esprimono un linguaggio<br />
semplice e quando l'immagine non basta alla<br />
comunicazione, il muralista ricorre alla didascalia,<br />
alla citazione letteraria o politica, alla frase<br />
memorabile, che non passa.Lo stile adottato è<br />
conforme al messaggio che i murales intendono<br />
trasmettere.<br />
La storia dei murales<br />
Le vivaci forme artistiche dei murales sono anche<br />
una testimonianza storica. Come molte altre<br />
e s p r e s s i o n i d i v i t a o r g o l e s e , c o m u n i c a n o<br />
all'osservatore una vasta gamma di impressioni che<br />
forse è impossibile riscontrare altrove: vi si<br />
leggono i malesseri, le speranze, i disagi e gli<br />
aneliti di una comunità che ha vissuto, forse, il<br />
senso di esclusione e di non appartenenza ad un<br />
mondo dai troppi volti contraddittori. Sotto questo<br />
segno, sul finire degli anni '60, comparvero i<br />
murales.<br />
Sin dall'origine i bersagli dei muralisti furono i<br />
governi sopraffattori e i fautori di ingiustizie<br />
sociali, soprattutto lo stato italiano e l'America<br />
imperialista e guerrafondaia.<br />
Il primo murale fu realizzato nel 1969, negli anni<br />
della contestazione giovanile, dal gruppo anarchico<br />
milanese "Dioniso".
Il numero dei muri tinteggiati crebbe a partire dal<br />
1975 quando un insegnante senese, Francesco del<br />
Casino, insieme ai suoi alunni volle commemorare,<br />
raffigurandolo sui muri degli edifici orgolesi, il<br />
trentesimo anniversario della Liberazione d'Italia.<br />
Circa il 90 per cento dei murales di Orgosolo sono<br />
opera di Del Casino: il suo è un singolare e<br />
inconfondibile stile pittorico. Si cita con ironia<br />
Alfredo Niceforo, si motteggia sul presidente Leone,<br />
si riporta il telegramma del partigiano e scrittore<br />
Emilio Lussu solidale con le contestazioni anti-NATO,<br />
si denunciano le ingiuste reclusioni, la condizione<br />
delle carceri, la sofferenza di detenuti e familiari,<br />
la mesta esistenza di latitanti e briganti braccati<br />
dai carabinieri. L'effigie di Gramsci invita alla<br />
riflessione e all'intelligenza e il volto mite di un<br />
capo indiano denuncia i soprusi dei bianchi. Negli<br />
anni '80, con l'attenuarsi della tensione politica,<br />
Del Casino e gli altri dipinsero scene di vita<br />
quotidiana: uomini a cavallo, donne con in grembo i<br />
propri figli, pastori che tagliano il vello alle<br />
pecore e contadini con in mano la falce. E' del 1994<br />
un murale che rappresenta i conflitti della ex<br />
Jugoslavia e la distruzione di Sarajevo: la storia<br />
locale può farsi storia mondiale. Ad Orgosolo, da<br />
trent'anni le mura del municipio e della biblioteca,<br />
dell'ambulatorio e dei bar prestano i loro fianchi<br />
alla creatività di artisti che hanno affidato e<br />
affidano ai murales le immagini e le voci non solo di<br />
una comunità, ma di un'isola intera. I murales<br />
costituiscono un'eccezionale attrattiva e molto<br />
ancora hanno da dire a chi li osserva.<br />
Rivolts di Pratobello, 1969, dove la popolazione di Orgosolo<br />
si oppone ai reparti dell’esercito italiano che avevano<br />
occupata un’area del territorio comunale, fino ad allora<br />
adibita a pascolo libero con l’intenzione di creare un nuovo<br />
poligono di addestramento. L’esercitò si ritirò.<br />
“A Duvilinò, il quindici giugno del millenovecentosessantanove<br />
e i pastori di Orgosolo<br />
e i le donne di Orgosolo<br />
e i figli dei pastori di Orgosolo<br />
erano la lotta dell'uomo.<br />
A Duvilinò ho visto i pastori di Orgosolo<br />
erano grandi<br />
avevano il pugno chiuso<br />
A Duvilinò<br />
ho visto i macigni di granito<br />
guardavano i pastori<br />
A Duvilinò<br />
ho visto i poliziotti dei padroni<br />
Erano piccoli<br />
guardavano il pugno chiuso dei pastori.”<br />
181
182
183
il Paesaggio.<br />
“la definizione del concetto di Paesaggio si basa<br />
sul suo carattere ambiguo e polisemico. Nella storia<br />
è descritto e classificato in conformità a due<br />
fulcri di indagine.<br />
Il primo in cui il Paesaggio è inteso come relazione<br />
percettiva estetica e culturale fra una realtà<br />
naturale e territoriale e l’uomo.<br />
E’ quindi un’immagine del territorio in cui sono<br />
identificati un oggetto -il territorio- e un<br />
s o g g e t t o - l ’ U o m o - c h e n e e l a b o r a l a<br />
rappresentazione.<br />
Il secondo intende il Paesaggio come entità fisica<br />
in cui prevale la sua dimensione fisico-morfologica,<br />
dagli elementi naturali alle strutture insediative,<br />
dagli elementi eterogenei per tipo e funzione che<br />
m e s s i i n r e l a z i o n e c o s t i t u i s c o n o u n ’ e n t i t à<br />
organica.”<br />
forse la cosa più difficile da accettare è che in<br />
questo scritto tratto da “Progettazione del<br />
Paesaggio” di Tiziano Cattaneo non vi è una verità<br />
assoluta.<br />
leggerlo mi fa pensare al -paradosso di Russell- (o<br />
paradosso del barbiere).<br />
184<br />
l’Uomo. la Natura.<br />
nemmeno Paulo Mendes da Rocha sa da che parte<br />
s c h i e r a r s i . è i n f o r t e i n f a t t i i n l u i l a<br />
consapevolezza che se osservassimo la Terra da un<br />
satellite durante la notte questa ci apparirebbe<br />
come una sfera buia del quale riusciamo a percepire<br />
solo alcune luci delle città. qui l’uomo è natura..<br />
se l’uomo fa parte dell’insieme natura allora è<br />
paradossale provare a definire un insieme del quale<br />
lo stesso è sottoinsieme.<br />
perchè se cosi fosse si arriverebbe alla conclusione<br />
del filosofo americano Willard Van Orman Quine che<br />
considera il paradosso un caso classico della<br />
"reductio ad absurdum": non è possibile che il<br />
barbiere esista.<br />
tuttavia non possiamo esentarci dal fatto di dover<br />
prendere una scelta. e allora posso affermare che di<br />
sicuro la mia idea di Paesaggio appertenga al primo<br />
fulcro.<br />
“come luogo ed espressione insopprimibile<br />
dell’identità culturale.”<br />
definizione di paesaggio di Luisa Bonesio
185<br />
una definizione.<br />
una scelta.<br />
liberare il paesaggio dall’ambiguità della<br />
sua stessa denominazione concettuale.<br />
Disegno accanto Escher, Liberation, 1955
Luoghi.<br />
«La responsabilità verso i luoghi è primaria almeno quanto il rispetto dell’alterità umana e<br />
culturale: il riconoscimento dell’identità dei luoghi è basato sull’esperienza dell’altrove e del<br />
diverso.»<br />
di Luisa Bonesio<br />
Da più parti si è iniziato a riscoprire la<br />
centralità del senso del luogo18, di cui il<br />
paesaggio è la manifestazione più visibile (anche se<br />
non tutta immediatamente v i s i b i l e ) , c o m e<br />
coappartenenza di territorio e comunità degli<br />
abitanti, ma anche di tutta una serie insopprimibile<br />
(pena la virtualizzazione del paesaggio) di<br />
dimensioni, dalla memoria e tradizionalità – dunque<br />
il rapporto con gli ascendenti – agli aspetti della<br />
c o n f o r m a z i o n e n a t u r a l e e d e c o l o g i c a , a l l e<br />
simbolizzazioni rituali e sacrali depositate come<br />
segni nel territorio, alla responsabilità verso i<br />
venturi. L’idea che una vera e propria personalità,<br />
uno stile peculiare si esprima nella singolarità di<br />
ciascun paesaggio, è utile a comprendere il<br />
significato e l’importanza della coerenza che ogni<br />
atto territorializzante deve possedere per non<br />
essere aggressivo e potenzialmente dissolutore<br />
dell’unità espressiva del luogo. Quando interventi<br />
inopportuni, disordinati, dissonanti vengono attuati<br />
sul territorio, esso finisce in una progressiva<br />
illeggibilità e disorganizzazione che si ripercuote<br />
come impossibilità di riconoscimento da parte della<br />
comunità, con effetti di ulteriore degrado, incuria,<br />
vandalismo ma anche disgregazione e malessere<br />
sociale. Gran parte della responsabilità del degrado<br />
o della distruzione irreversibile delle identità<br />
t e r r i t o r i a l i r i c a d e s u l l ’ i d e o l o g i a<br />
dell’indiscutibile primato di un’economia incurante<br />
e miope degli effetti a lungo termine, e sulla<br />
convinzione che rispetto alla centralità del suo<br />
valore non sia possibile porre limiti reali, tanto<br />
meno quelli legati a significati apparentemente<br />
immateriali come la bellezza o la conservazione<br />
186<br />
d e l l a m e m o r i a ; m a a l t r e t t a n t o , e f o r s e<br />
inscindibilmente, su forme di amnesia sociale, di<br />
trascuratezza, deresponsabilizzazione come sul<br />
proliferare di non-luoghi.<br />
L’importante contromovimento di consapevolezza e<br />
riflessione di questi anni, invece, riscopre<br />
l’esistenza di un nomos intrinseco nel luogo, ossia<br />
un insieme individuabile di invarianti che<br />
costituiscono quello che gli urbanisti chiamano lo<br />
“statuto del luogo”: una griglia di caratteristiche<br />
che definiscono l’irriducibile singolarità, la<br />
fisionomia propria di un luogo, la sua specificità<br />
differenziale, la sua cifra espressiva.<br />
Sono caratteri non riducibili alla pura sembianza<br />
estetica, che ne è, casomai, la modalità in cui ne<br />
leggiamo l’attuazione culturale e storica. Non va<br />
dimenticato, infatti, che uno stesso “territorio”,<br />
medesimo quanto a morfologia, dati climatici,<br />
vegetazione, struttura geologica, (“ambiente”), può<br />
essere interpretato in modalità diverse da culture<br />
differenti: i “dati oggettivi” dell’ambiente<br />
ecologico e del territorio geografico costituiscono<br />
un insieme di condizioni di possibilità che possono<br />
venire, entro certi limiti, selezionate, realizzate<br />
o sottolineate diversamente a seconda della cultura<br />
che le assume come proprio “paesaggio materno”.<br />
Il che ricorda opportunamente come termini (e<br />
concetti) come “territorio”, “ambiente”, “paesaggio”<br />
non siano affatto sinonimi; in particolare, come<br />
vada evitata la riduzione del “paesaggio”, che è<br />
sempre una costruzione culturale, all’“ambiente”,<br />
che ne è la condizione di possibilità naturale ed<br />
ecologica.
Il che comporta anche la parzialità di ogni<br />
riduzione alla pura dimensione ambientale o<br />
ecologica della conservazione e/o valorizzazione del<br />
paesaggio, anche se, ovviamente, la conoscenza e il<br />
rispetto della struttura e degli aspetti naturali –<br />
che comunque a noi si danno negli aspetti di<br />
ripetute e complesse trasformazioni storiche e<br />
innesti culturali, dunque di una “natura storica” -<br />
costituisce il grado preliminare, fondante e<br />
inaggirabile di ogni azione volta a costruirvi o a<br />
riconoscervi un “paesaggio”22. Se tutti i luoghi<br />
esprimono, in misura e riconoscibilità diverse,<br />
un’identità, per quanto mai fissabile una volta per<br />
tutte, allora il concetto di paesaggio non può che<br />
ampliarsi da un’accezione estetica, ristretta e<br />
alta, calibrata su salienze eccezionali, alla<br />
designazione di ogni realtà territoriale di cui si<br />
riconosce la specificità. Se non tutti i luoghi<br />
posseggono, evidentemente, le stesse qualità<br />
estetiche, tutti, almeno in linea di principio,<br />
esprimono identità culturali locali, meritevoli di<br />
essere conservate e trasmesse, non come morti<br />
reperti, ma come un’eredità ogni volta seleziona e<br />
riattualizza quanto il passato consegna. Paesaggi di<br />
diversa consistenza simbolica, identitaria ed<br />
estetica, ma tutti “teatro” di comunità degne di<br />
potere continuare a riconoscersi nella fisionomia,<br />
impressa lungo il tempo, nel proprio luogo. Quando<br />
si verifica una polarizzazione del valore esteticopaesaggistico<br />
su alcune località eccezionali, si<br />
diffonde l’idea che le altre non siano meritevoli di<br />
cura, attenzione, preservazione o potenziamento<br />
della propria identità paesaggistica, facendole così<br />
degradare progressivamente a “nonluoghi”, a<br />
territori di pura destinazione funzionale. Questa<br />
direzione di estensione del concetto di paesaggio<br />
all’insieme territoriale, che supera l’accezione<br />
vedutistica e visibilistica di certo riduzionismo<br />
estetico verso un concetto di paesaggio come luogo<br />
ed espressione insopprimibile di identità culturale,<br />
si trova espressa a chiare lettere nella Convenzione<br />
sul Paesaggio (2000) del Consiglio d’Europa che,<br />
distinguendo tre categorie di paesaggio (i paesaggi<br />
“eccezionali”, i paesaggi “degradati”, i paesaggi<br />
“del quotidiano”), opera il passaggio da una<br />
concezione puramente vincolistica, adottata<br />
n o r m a l m e n t e p e r l a t u t e l a d e i p a e s a g g i<br />
“eccezionali”, ma problematicamente applicabile ad<br />
altri, ad una progettuale, di miglioramento o di<br />
gestione di tutti i luoghi, compresi quelli della<br />
quotidianità o della produzione. E questo perché<br />
“ogni paesaggio rappresenta un quadro di vita per la<br />
popolazione interessata; esistono complesse<br />
interazioni tra i paesaggi urbani e quelli rurali;<br />
la maggior parte degli europei vive nelle città<br />
187<br />
Foto di Gabriele Basilico
Foto di Gabriele Basilico<br />
188<br />
(grandi o piccole) e la qualità paesistica di queste<br />
ultime incide profondamente sulla loro esistenza;<br />
infine, i paesaggi rurali rivestono un ruolo<br />
importante nella sensibilità europea”25.<br />
Il riconoscimento dell’effettiva differenziazione<br />
delle caratteristiche locali, non riconducibili a un<br />
metro comune, induce a prefigurare “politiche”<br />
flessibili, al di là delle misure vincolistiche per<br />
aree specifiche, che si occupino progettualmente e<br />
responsabilmente del paesaggio espresso in tutti i<br />
luoghi o del suo recupero e miglioramento. Questa<br />
impostazione presuppone l’esplicito e forte<br />
richiamo, nell’art. 5 delle “Misure generali”, a<br />
riconoscere il paesaggio come identità culturale:<br />
“ O g n i p a r t e s i i m p e g n a a : a ) r i c o n o s c e r e<br />
giuridicamente il paesaggio come componente<br />
essenziale del quadro di vita delle popolazioni,<br />
come espressione della diversità del loro patrimonio<br />
comune culturale e naturale e come fondamento della<br />
loro identità; b) definire e mettere in opera<br />
politiche del paesaggio finalizzate alla protezione,<br />
la gestione e la pianificazione dei paesaggi<br />
attraverso l’adozione delle misure particolari<br />
individuate dall’art. 6.; c) elaborare procedure di<br />
partecipazione pubblica, delle autorità locali e<br />
regionali, e di tutti gli attori interessati al<br />
concepimento e alla realizzazione delle politiche<br />
del paesaggio summenzionate; d) integrare il<br />
paesaggio nelle politiche di pianificazione<br />
territoriale e urbanistica e nella politica<br />
culturale, ambientale, agricola, sociale ed<br />
economica, così come in altre politiche dagli<br />
effetti diretti o indiretti sul paesaggio”26.<br />
Questa importante riconcettualizzazione di come vada<br />
i n t e s o i l “ p a e s a g g i o ” c o n s e n t e d i e v a d e r e<br />
dall’alternativa inaccettabile tra congelamento e<br />
museificazione da un lato, e dall’altro libera (il<br />
p i ù d e l l e v o l t e a r b i t r a r i a ) i n i z i a t i v a e<br />
manomissione del territorio, chiamando le parti in<br />
causa a una articolata responsabilità della gestione<br />
e degli interventi e finalmente riconoscendo ai<br />
singoli paesaggi l’unitarietà non scomponibile in<br />
logiche differenziate, ma tale da richiedere una<br />
concezione della necessità della visione e della<br />
gestione unitaria, e non puntiforme e irrelata, per<br />
mantenere il “senso” di un luogo e la fisionomia<br />
paesaggistica.<br />
Il processo di de-culturazione e la progressiva<br />
scomparsa dei tratti peculiari che si esprimono<br />
innanzitutto nella qualità del paesaggio, nella cura<br />
e coerenza delle modalità abitative e costruttive,<br />
nella tutela e valorizzazione della territorialità<br />
agraria storica, non meno che del patrimonio<br />
artistico- monumentale, ma anche di tutti i valori<br />
simbolici, ancestrali e religiosi che caratterizzano
in modo assolutamente singolare un territorio, è un<br />
rischio da cui la legislazione di tutela nazionale e<br />
regionale, come pure i documenti di indirizzo della<br />
Convenzione europea del paesaggio, intendono mettere<br />
in guardia, riconoscendo che “ogni paesaggio<br />
rappresenta un quadro di vita per le popolazioni<br />
interessate” e che “esistono complesse interazioni<br />
tra i paesaggi urbani e quelli rurali”. Ma<br />
soprattutto, come si è già ricordato, fra le misure<br />
della Convenzione viene affermata la necessità di<br />
“ i n t e g r a r e i l p a e s a g g i o n e l l a p o l i t i c a d i<br />
pianificazione territoriale e urbanistica e nella<br />
politica culturale, ambientale, agricola, sociale ed<br />
economica, così come in altre politiche dagli<br />
effetti diretti o indiretti sul paesaggio”.<br />
Dichiarazione che discende da un’affermazione più<br />
forte, che consiste nel “riconoscere giuridicamente<br />
il paesaggio come una componente essenziale del<br />
quadro di vita delle popolazioni, come espressione<br />
della diversità del loro patrimonio comune culturale<br />
e naturale e come fondamento della loro identità”.<br />
Intenti non dissimili si possono trovare espressi,<br />
almeno in linea teorica, in vari Piani di Indirizzo<br />
Territoriale a livello regionale.<br />
Foto di Gabriele Basilico.<br />
189
Ethos<br />
«Il tema dell’abitare, della responsabilità verso la singolarità dei luoghi, si trova così<br />
concretamente declinato in condivisione della gestione, del recupero e del progetto dei territori<br />
tra esperti, amministratori e cittadini.»<br />
L. Bonesio, Senso e identità del paesaggio, da Conoscere il paesaggio, Sondrio 2004.<br />
D’altra parte, se il paesaggio viene definito come<br />
manifestazione e quadro di vita di una cultura e non<br />
m e r a p a t i n a t u r a e s t e t i c a p r o i e t t a t a d a u n<br />
osservatore esterno, trasmissibile nella sua<br />
c o n c r e t e z z a e n e l s u o v a l o r e s i m b o l i c o e<br />
differenziale grazie alla partecipazione a una trama<br />
di memoria, valori e tradizionalità, e negli<br />
abitanti e negli appartenenti alla comunità locale<br />
si identifica la principale e normale figura di<br />
produttori e conservatori della territorialità, in<br />
un’epoca in cui la tradizionalità è stata in tutto o<br />
in parte interrotta, i linguaggi comunitari e le<br />
sapienze locali si sono perduti, impoveriti o sono<br />
diventati inintelligibili e la residenzialità ha<br />
a s s u n t o f o r m e e t e m p o r a l i t à e s t r a n e e a l l a<br />
sostanziale stabilità del mondo rurale, occorre<br />
interrogarsi sulla nuova figura dell’abitante che<br />
esprime la sua appartenenza al luogo.<br />
Per certi aspetti, l’appello heideggeriano alla<br />
considerazione dell’abitare come luogo della<br />
convergenza di terra e cielo, mortali e divini, che<br />
ne identifica il senso ontologico, oggi è più che<br />
mai problematico; né, d’altra parte, è possibile<br />
sempre riconoscere negli abitanti locali i portatori<br />
di consapevolezza identitaria e di responsabilità e<br />
cura del proprio patrimonio paesaggistico e<br />
memoriale. Al contrario, molto spesso avviene che la<br />
richiesta di protezione e conservazione dei beni<br />
paesaggistici provenga da soggetti esterni, e non<br />
solo a scopo di valorizzazione e sfruttamento<br />
turistico. La crescente mobilità lavorativa e<br />
residenziale, d’altra parte, è un potente agente di<br />
d e l o c a l i z z a z i o n e , a s s i e m e a l l a c o m p l e s s a<br />
dislocazione delle attività produttive, che lacera<br />
l’originario tessuto territoriale e ne scompone la<br />
190<br />
percezione e l’uso, facendone smarrire l’unità<br />
profonda a favore di percorsi accentuatamente<br />
funzionali.<br />
In questo contesto epocale, nondimeno, si assiste a<br />
una crescente domanda di “orizzonte”, di luoghi<br />
concreti e riconoscibili in cui l’abitare ritrovi<br />
almeno le sembianze di una domesticità perduta, di<br />
una Heimlichkeit che talora assume il carattere di<br />
una nuova consapevolezza e ricerca di identità.<br />
Dalla “rurbanizzazione” di massa a crescenti<br />
esperienze di riuso e restauro di borghi rurali,<br />
abbandonati a seguito della fase più devastante<br />
dell’industrializzazione, si delinea la tendenza, in<br />
vari gradi di intensità e di consapevolezza, anche<br />
da parte di “cittadini”, a costituire nuove comunità<br />
che trovano nei caratteri locali la loro ragion<br />
d’essere.<br />
È una sorta di progetto di appartenenza elettiva,<br />
c h e p r e s c i n d e d a r a g i o n i a n a g r a f i c h e o<br />
professionali, a un luogo di cui si riconosce il<br />
c a r a t t e r e s i n g o l a r e , v a l o r i z z a n d o l o e<br />
r i c o s t i t u e n d o n e , p e r q u a n t o p o s s i b i l e , l a<br />
significatività, riattivandone la memoria, i saperi,<br />
le pratiche virtuose, gli stili edilizi, le pratiche<br />
agricole, i simboli e i percorsi della ritualità e<br />
d e l l a r e l i g i o s i t à , e c c . Q u e s t a s c o p e r t a e<br />
v a l o r i z z a z i o n e d e i p a e s a g g i l o c a l i c o m e<br />
riattivazione delle comunità e riscoperta di<br />
identità culturali consegue anche da una presa<br />
d’atto della obsolescenza (o comunque insufficienza)<br />
ermeneutica del paradigma produttivo, dovuta anche<br />
allo scollamento progressivo della “base” economica<br />
rispetto ai paesaggi locali.
Non più un “dato”, come nel passato, una provenienza<br />
o una condanna, oggi il luogo diventa, in un mondo<br />
in cui drammaticamente prevale il deserto dei nonluoghi,<br />
una meta cui tendere, uno spazio di senso<br />
che deve essere riconquistato attraverso una cura e<br />
una consapevolezza spesso difficile da ridestare.<br />
“Nella contemporaneità [...] la pratica della cura e<br />
della conoscenza del luogo scardina totalmente<br />
l’alternanza fra insiders e outsiders. [...] Gli<br />
insiders (gli interni, quelli che risiedono da tempo<br />
in un luogo) possono essere delocalizzati, possono<br />
cioè non intessere nessuna relazione conoscitiva e<br />
attiva che rimetta in gioco le valenze di<br />
rappresentatività e di valore simbolico, mentre gli<br />
outsiders (gli esterni, coloro che arrivano da<br />
f u o r i , d a l o n t a n o , r e s i d e n t i d a p o c o , o<br />
semplicemente imprenditori che non vivono nel luogo)<br />
p o s s o n o i n t e r p r e t a r e v a n t a g g i o s a m e n t e l e<br />
p o t e n z i a l i t à l o c a l i ” 3 2 . I l c h e e q u i v a l e a<br />
riconoscere che l’agire secondo una logica<br />
localizzata, prendendosi cura di un territorio, non<br />
coincide più necessariamente con l’essere “locali”<br />
in senso etnico; piuttosto “si tratta di coloro che<br />
riconoscono i molteplici valori di un luogo, e per<br />
questo lo amano (sono disposti a creare con il luogo<br />
stesso una relazione densa di significato), e di<br />
conseguenza se ne prendono cura. Il luogo oggi<br />
esiste solo dove è curato, indipendentemente dal<br />
tipo di proprietà a cui è sottoposto: non sono gli<br />
insiders e gli outsiders che possiedono il luogo, ma<br />
solo chi lo cura, chi lo ri-conosce come proprio,<br />
chi continuamente lo salvaguarda e lo fa rivivere,<br />
interno o esterno alla comunità insediata”33.<br />
Naturalmente non è possibile sottovalutare le<br />
tensioni e i conflitti in queste “riappropriazioni”<br />
dei paesaggi: basti pensare allo scontro di<br />
concezioni, logiche e tempi progettuali tra<br />
industria del turismo e conservazione del patrimonio<br />
culturale ed ecologico, tra agricoltura intensiva e<br />
industrializzata e produzioni locali di qualità; tra<br />
uso “estetico” e di svago della residenzialità in<br />
campagna e logiche economiche ad alto impatto; tra<br />
valorizzazione degli aspetti “rurali” o selvatici e<br />
aspirazione delle comunità locali a entrare nel<br />
circuito allargato della comunicazione e degli<br />
i n t e r s c a m b i ; t r a d e s i d e r i o d i s t a b i l i t à e<br />
ricomposizione dei quadri simbolici, percettivi e<br />
abitativi, da un lato, e dinamizzazione crescente<br />
dei territori dall’altro. Da un certo punto di<br />
vista, è possibile affermare che, ancora una volta,<br />
la richiesta di conservazione dei paesaggi locali<br />
proviene prevalentemente dalla cultura urbana, che<br />
li mette in forma a scopi turistici, di svago, di<br />
stili alternativi di vita, producendo paesaggi<br />
rurali sempre più calibrati sulla propria richiesta<br />
191<br />
di natura, ricreazione e bellezza (addomesticata o<br />
selvaggia).<br />
Questa stilizzazione – che avviene prevalentemente<br />
come restauro o reinvenzione – dei territori nonurbani<br />
si accompagna inevitabilmente all’abbandono<br />
di altri spazi a logiche di sfruttamento o di<br />
produzione più o meno devastanti, che producono<br />
degrado, abbandono, abuso34. Così come non è<br />
p o s s i b i l e n o n s o t t o l i n e a r e i l p a r a d o s s o<br />
contemporaneo, in base al quale si cerca la<br />
“campagna” per trovare i modi e le forme di una<br />
residenzialità gratificante, salubre e non alienata,<br />
mentre sempre minore è il numero di coloro che<br />
dovrebbero mantenere la campagna (o la montagna) nei<br />
caratteri che la rendono appetibile ai “cittadini”.<br />
Quella che ho chiamato “la comunità di paesaggio”35<br />
appare allora come il prodotto di una complessa<br />
interazione di fattori: il “prendersi cura”, la<br />
r i a t t i v a z i o n e d e l l a m e m o r i a e d e l l a s u a<br />
trasmissione, in cui un aspetto centrale è quello<br />
della riscoperta di modalità accorte e rispettose di<br />
usare le risorse, l’individuazione e l’assunzione<br />
delle “invarianti” che costituiscono lo “statuto”<br />
del luogo, e dunque l’attuazione o il ripristino di<br />
uno stile di territorializzazione coerente con la<br />
fisionomia del luogo e la sua sostenibilità<br />
ambientale e culturale. È evidente che, soprattutto<br />
in società che hanno perduto i riferimenti e gli<br />
orientamenti tradizionali e le simboliche in grado<br />
di costituire un tessuto condiviso di significati,<br />
all’individualità (identità) di un luogo si accede<br />
ormai, per lo più, attraverso un cammino di<br />
ricostruzione della “biografia territoriale”36,<br />
della sua perduranza, e dunque delle ragioni<br />
intrinseche della sua stabilità dinamica lungo archi<br />
temporali molto lunghi, di contro alla rapidissima<br />
trasformazione e caoticizzazione contemporanea del<br />
t e r r i t o r i o c h e n e d i s s o l v e o g n i m e m o r i a e<br />
consapevolezza del limite costitutivo. Questa<br />
attività di ricostituzione dei fili interrotti della<br />
memoria locale e territoriale37 non può non passare<br />
attraverso l’educazione, la trasmissione di<br />
consapevolezza e di saperi, la condivisione del<br />
valore fondativo dell’identità paesaggistica<br />
rispetto alla possibilità di una comunità stabile,<br />
esperta delle possibilità e dei limiti consentiti<br />
dal luogo, in grado di costruire sempre più<br />
finemente la sua identità culturale a partire dalla<br />
sua appartenenza al luogo condiviso che la ospita.<br />
Nella pagina successiva foto di Gabriele Basilico.
192
tutti i luoghi esprimono identità culturali locali<br />
meritevoli di essere trasmesse.<br />
paesaggi di diversa consistenza simbolica<br />
identitaria ed estetica, ma tutti “teatro” di<br />
comunità degne di poter continuare a riconoscersi<br />
nella fisionomia, impressa lungo il tempo, nel<br />
proprio luogo.<br />
nel tema dell’appartenenza e dell’identità dei<br />
luoghi, è da leggersi anche un riannodare di fili<br />
interrotti della memoria in racconti identitari e<br />
fondativi, con un ritrovato accesso alla dimensione<br />
cognitiva e simbolica del paesaggio. oltre che<br />
l’identificazione “estetica” del paesaggio come mera<br />
immagine.<br />
L. Bonesia, Peasaggio, identità e comunità tra locale e<br />
globale. Diabasis, 2009 Reggio Emilia<br />
193<br />
Escher, Three worlds, 1955
l’Architettura.<br />
Espressione della vita di una società, manifestata<br />
nelle opere della costruzione. E' lo specchio di una<br />
civiltà. Ciò che una civiltà può, l'architettura lo<br />
mostrerà; e la sua opera costituirà un insieme di<br />
elementi materiali e di suggerimenti spirituali.<br />
Le Corbusier<br />
194<br />
penso che se si riconosce qualche significato alla mia<br />
opera di architetto è a questa segreta fatica che se ne<br />
deve attribuire il valore profondo
Cimitero di San Cataldo, Modena, foto di Gabriele Basilico.<br />
195<br />
dietro un’azione reale un pensiero di<br />
filosofia d’azione.
Un’unica strada, architettura, uomo, arte<br />
di Angelo Bugatti<br />
Le mostre di architettura oggi tendono a evidenziare<br />
l’attenzione dell’azienda “sistema edilizio” alla<br />
qualità urbana e al vivere bene e addirittura alla<br />
sostenibilità, come il lancio pubblicitario di<br />
un’automobile nuova o restaurata che si può ammirare<br />
anche di sabato e domenica, facendo conoscere<br />
l’impegno dell’azienda alla comodità con i disegni<br />
di nuove tecnologie. Intanto le automobili sono<br />
sempre più raffinate all’interno, con sensori che<br />
proiettano dati su vetri scuri, in strade più<br />
intasate e più brutte, e stupefacenti palazzi<br />
terziari e collettivi fanno bella mostra di sé in<br />
territori devastati dall’ignoranza e dalla<br />
t r a s a n d a t e z z a . D a q u e s t e m e r a v i g l i o s e<br />
rappresentazioni rimane fuori l’uomo che si rifugia<br />
nell’intimità dei suoi spazi interni, visto che la<br />
sua casa non può competere con le meraviglie dei<br />
manufatti-moda.<br />
“Io sostengo soltanto che l’espansione scientifica<br />
non ha nulla di umano. Forse il nostro cervello non<br />
è che il portatore provvisorio di un processo di<br />
complessificazione. L’informatica, la genetica, la<br />
fisica e l’astrofisica, l’astronautica, la robotica,<br />
… non vedo in che cosa sia umano, se per umano si<br />
intendono la collettività con le loro tradizioni<br />
culturali, stabilitesi da questa o da quell’epoca in<br />
regioni precise di questo pianeta. Che questo<br />
processo – a umano – possa avere, accanto ai suoi<br />
196<br />
effetti distruttivi, qualche ricaduta positiva per<br />
l’umanità, è una cosa di cui non dubito affatto. Ma<br />
q u e s t o n o n h a n i e n t e a c h e v e d e r e c o n<br />
l’emancipazione dell’uomo.”<br />
Questa riflessione, fatta 25 anni fa, sembra più<br />
attuale che mai.<br />
Con i nuovi modi delle relazioni, si è smarrita la<br />
capacità dell’architettura di offrire risposte<br />
adeguate, e su questo, appunto, bisogna fare ricerca<br />
all’interno delle Università, che è il luogo<br />
d e p u t a t o a i m p o s t a r e u n p r o g r a m m a c o n u n a<br />
ripartizione invertita, cioè invece dell’unità della<br />
natura e la molteplicità delle culture, la<br />
molteplicità degli ambienti e l’unità della cultura.<br />
Che sia un bene o un male non spetta a me dirlo, ma<br />
è mio compito, come quello dell’Università, prendere<br />
consapevolezza di questo, per elaborare nuovi<br />
progetti, nuove forme, nuovi spazi.<br />
Bisogna invertire le tre strategie descritte da<br />
Latour : “in primo luogo la separazione sempre più<br />
decisa tra il polo della natura (le cose in sé) e<br />
quello della società o del soggetto (gli umani tra<br />
loro); in secondo luogo l’autonomizzazione del<br />
linguaggio o del senso; e infine la decostruzione<br />
della metafisica occidentale”.<br />
Oppure bisogna umilmente ripercorrere altre strade,<br />
ascoltare quello che ci dicono oggi gli unici<br />
rappresentanti di un mondo cultura/natura senza
cesure, gli artisti, perché questi sopperiscono alla<br />
mancanza di libertà: “Come ognuno può constatare non<br />
siamo più liberi non abbiamo più chance. Non<br />
disponiamo più del nostro tempo per pensare le<br />
nostre risposte, poiché dobbiamo darle subito e di<br />
corsa…” . Soprattutto siamo obbligati a essere in<br />
rete, in nuovi apparecchi subito comprati e<br />
conosciuti, ed avere il cellulare più sofisticato.<br />
“Non esistono apparecchi singoli. La totalità è il<br />
vero apparecchio. Ogni singolo apparecchio è, dal<br />
canto suo, solo una parte di apparecchio, solo una<br />
vite, un pezzo del sistema di apparecchi. Non<br />
avrebbe senso affermare che questo sistema di<br />
apparecchi, questo macroapparecchio è un mezzo che è<br />
a nostra disposizione per la libera scelta dei fini.<br />
Il sistema di apparecchi è il nostro mondo. E mondo<br />
è qualcosa di diverso da mezzo. Appartiene a una<br />
categoria diversa”.<br />
Infatti Galimberti pone lucidamente la questione che<br />
la nuova tecnologia sia una merce d’obbligo, la<br />
mancanza della quale mette a repentaglio la<br />
relazione con il mondo e cita una bella pagina di M.<br />
McLuhan: “Archimede disse una volta: . Oggi ci<br />
avrebbe indicato i nostri mezzi di comunicazione<br />
elettronici dicendo: . Ma una volta che<br />
abbiamo consegnato i nostri sensi e i nostri sistemi<br />
nervosi alle manipolazioni di coloro che cercano di<br />
trarre profitti prendendo in affitto i nostri occhi,<br />
le orecchie, i nervi e il cervello, il risultato<br />
sarà che non avremo più diritti” .<br />
Allora non abbiamo che prendere coscienza delle<br />
condizioni in cui operiamo e difendere il nostro<br />
lavoro, che può risultare utile solo se risponde<br />
alle esigenze dell’uomo.<br />
Per fare questo è bene sviluppare la ricerca<br />
all’interno dell’università con le culture più<br />
lontane come quella cinese, e dobbiamo allearci con<br />
i rappresentanti della nuova molteplicità della<br />
natura, del pluriverso: gli artisti.<br />
Questo cammino insieme può consentire a loro e a noi<br />
p r o g e t t i s t i n u o v e s u g g e s t i o n i ; e n o i a l l a<br />
composizione architettonica rivendichiamo il ruolo<br />
principale di una enorme, seducente e doverosa<br />
innovazione disciplinare.<br />
Foto del cretto di Gibellina, Burri<br />
197
Un riferimento nell’arte.<br />
198<br />
[…]<br />
Credo che per fare arte sia importante avere un<br />
forte senso del proprio tempo e della propria<br />
cultura. Un forte senso del passato. E un forte<br />
senso della propria individualità.<br />
[…]<br />
Io provengo dalla tradizione italiana dell’arte. Per<br />
fare un esempio: Young British Artist discendono da<br />
Francis Bacon, io discendo da Burri e Fontana. Ecco,<br />
devo dire questo perché nel processo quotidiano di<br />
affrontare il mio lavoro sia da un punto di vista<br />
intellettuale che pratico, devo fare i conti con ciò<br />
che mi ha preceduto, e devo fare delle scelte<br />
precise. Devo prendere una posizione sia sociale che<br />
morale verso ciò che faccio. Mi appartengono certe<br />
cose, e non altre. Mi sento più medievale che Pop.<br />
[…]<br />
Il mio non è un elogio al cemento. Mi interessa la<br />
sua lavorabilità e la sua valenza sociale. Inoltre<br />
non riesco a sfuggire dal fare qualcosa di<br />
fisicamente pesante.<br />
[…]<br />
L’azione di colare un materiale così sprecabile e<br />
informe in modo irriverente su di un nylon steso per<br />
terra è intimamente e fisicamente catartica. (In sé<br />
è una performance, ma è solo il primo degli aspetti<br />
del lavoro).<br />
[…]<br />
Il risultato deve condensare complicazioni nuove<br />
relative alla forma.<br />
[…]<br />
Poi attacco questi lavori sul muro.<br />
Non è virtuosismo. Questa azione rivendica la mia<br />
identità.<br />
E’ necessario che siano lì.<br />
Il loro peso silenzioso non si annulla, ma tiene in<br />
continua tensione statica il supporto, una sorta di<br />
espiazione per la materia.<br />
[…]<br />
Mi piace pensare all’idea di un crocefisso laico.<br />
[…]<br />
Per me fare arte è un tentativo di riconciliare la<br />
coscienza di esistere con il resto della realtà.<br />
Della realtà ho una visione piuttosto scabrosa.<br />
Arcangelo Sassolino
199
Continuità dell’esperienza classica.<br />
la Ricerca dell’Identità come unica via per la salvezza<br />
A. Monestiroli, La metopa e il triglifo, Editori Laterza, Milano 2002.<br />
V o g l i o p a r t i r e d a u n a c o n s i d e r a z i o n e :<br />
l’architettura non ha mai definito una teoria per la<br />
sua costruzione al di fuori dell’esperienza<br />
classica. Non c’è stata una teoria dell’architettura<br />
barocca come non c’è una teoria dell’architettura<br />
dell’espressionismo. Vi sono architetture in cui è<br />
possibile leggere intenzioni comuni che però non<br />
definiscono un corpo di regole cui attenersi. Ogni<br />
qualvolta si è cercato di costruire una teoria è<br />
stato con l’esperienza classica. L’architettura<br />
classica si pone in positivo, come unica tendenza<br />
progressiva, fondata su principi e regole che<br />
consentono ai costruttori di operare senza affidarsi<br />
ogni volta a un punto di vista personale, ma<br />
esercitando il proprio giudizio su un corpo teorico,<br />
costruito collettivamente. Il trattato di Leon<br />
Battista Alberti è alla base di tale corpo teorico,<br />
ne inaugura la tradizione moderna. E’ all’origine di<br />
una costruzione nel tempo che si attua come<br />
riflessione continua sui temi enunciati. La teoria<br />
dell’architettura classica è caratterizzata da<br />
alcuni punti fermi che la unificano nel tempo. Fra<br />
questi i principali sono due. Il primo riguarda il<br />
rapporto fra architettura e realtà. L’architettura<br />
classica è sempre realista; questa sua peculiarità<br />
lega saldamente architettura e conoscenza e consente<br />
di intendere l’architettura come conoscenza e<br />
rappresentazione del reale. A questo segue il<br />
secondo carattere dell’architettura classica,<br />
l’intelligibilità delle forme, assunto come<br />
obiettivo proprio e insostituibile, come carattere<br />
200<br />
distintivo. Obiettivo generale è la bellezza e il<br />
bello è ciò che si accorda con la realtà e la<br />
ragione. Il sistema di norme razionali su cui si<br />
basa l’apparato teorico della classicità riguarda i<br />
tre grandi capitoli dell’architettura: il rapporto<br />
architettura-città e la questione della tipologia<br />
edilizia, la questione della costruzione, le regole<br />
del linguaggio. Possiamo dire che la teoria<br />
dell’architettura classica concerne i passaggi dalla<br />
città tipo alla costruzione, dalla costruzione alla<br />
forma. L’aspirazione al tipo è il primo carattere<br />
distintivo della teoria; significa riconoscere a<br />
ogni genere di edificio una propria identità<br />
rappresentata con elementi fissi e ripetuti, appunto<br />
con elementi tipizzati. Questo è il primo momento in<br />
cui si manifesta la volontà di definire un ordine<br />
razionale per costruire e rendere riconoscibile un<br />
aspetto del reale, un’istituzione. Pensiamo alla<br />
casa, alla sua tipizzazione nella storia: si<br />
stabilisce una corrispondenza fra una forma e una<br />
c u l t u r a d e l l ’ a b i t a r e , l ’ u n a s i g i u s t i f i c a<br />
nell’altra, l’una si rende palese attraverso<br />
l’altra. Se la cultura dell’abitare è un aspetto<br />
della nostra cultura civile, la forma della casa, il<br />
tipo in cui questa si fissa, la rende concreta ed<br />
e v i d e n t e . T u t t a l a t r a t t a t i s t i c a , f i n<br />
dall’antichità, si cimenta con la questione del<br />
tipo: Leon Battista Alberti, il Filarete, Francesco<br />
di Giorgio Martini, Andrea Palladio, fino agli<br />
architetti moderni come Adolf Loos, Le Corbusier,<br />
Ludwig Mies van der Rohe, Ludwig Hilberseimer.
Il processo di tipizzazione riguarda sia la<br />
città sia gli edifici che la compongono e giunge<br />
a d e f i n i r e g l i e l e m e n t i s t e s s i d e l l a<br />
costruzione. Su tale questione si è discusso<br />
molto in questi ultimi anni e si è compreso che<br />
il tipo non è mai un a priori, ma è sempre<br />
relativo alla realtà di ciò che si costruisce.<br />
Il tipo non costituisce un modello da ripetere<br />
acriticamente, ma è la definizione progressiva<br />
dei caratteri che corrispondono più o meno<br />
stabilmente, in modo più o meno duraturo, a ciò<br />
che si costruisce. Così è certo che il tipo,<br />
come insieme di caratteri generali e stabili,<br />
non si dà una volta per tutte, ma viene ogni<br />
volta verificato attraverso l’analisi delle<br />
corrispondenze. Ciò significa affermare che il<br />
processo di tipizzazione coincide con il<br />
processo di conoscenza e definizione di ciò che<br />
si costruisce. La questione della costruzione,<br />
cioè la questione delle regole del buon<br />
costruire, è un capitolo tecnico sempre presente<br />
nella trattatistica. Possiamo affermare che i<br />
vincoli tecnici della costruzione costituiscono<br />
gran parte dell’architettura, che si adegua alle<br />
leggi della natura disvelandole e riconoscendole<br />
come leggi da non contraddire. La logica<br />
contenuta nel sistema trilitico, evocata dal<br />
sistema colonna-architrave, è un dato costante<br />
che caratterizza tutta l’architettura della<br />
classicità. E’ il ripetersi di un atto nel quale<br />
si rinnova perennemente un modo di porsi nei<br />
confronti della natura. Ma contro ogni riduzione<br />
t e c n i c i s t i c a v a d e t t o l a q u e s t i o n e<br />
costruttiva,nella tendenza classica, riguarda<br />
sempre la corrispondenza fra sistema costruttivo<br />
ed elementi architettonici. Siamo di fronte al<br />
p r o b l e m a d e l l a r i d u z i o n e d i u n a r e a l t à<br />
complessa, com’è quella del mondo tecnico della<br />
costruzione, a un numero discreto di elementi<br />
architettonici che consentano di rappresentarne<br />
stabilmente la logica. Attraverso questo<br />
processo di riduzione troveremo gli elementi<br />
semplici con cui intraprendere la costruzione<br />
dei nostri edifici. Dunque l’impegno maggiore<br />
della teoria dell’architettura classica sta<br />
nella definizione delle forme della costruzione<br />
e dei suoi elementi. Per far ciò vengono messe<br />
in campo alcune regole con l’obiettivo di<br />
definire le forme appropriate a ciò che si<br />
costruisce. Queste regole sono riferite a due<br />
scelte generali che mantengono le forme<br />
all’interno di una famiglia con caratteri<br />
riconoscibili (le forme classiche si rendono<br />
riconoscibili in quanto tali e in questo senso<br />
si distinguono da tutte le altre): la prima è<br />
201<br />
quella per cui le forme si definiscono sempre in<br />
funzione dell’identità di ciò che si costruisce,<br />
che attraverso di esse si rende intelligibile;<br />
la seconda che sulle forme adottate viene<br />
stabilita una convenzione. Nella teoria per la<br />
costruzione dell<br />
Vitruvio, De Architectura
Leon Battista Alberti, Firenze, Palazzo Rucellai, 1456<br />
202<br />
concetto: quello della definizione delle forme come<br />
processo di conoscenza e quello della necessità di un<br />
linguaggio comune, fondato, come ogni linguaggio, su<br />
elementi convenzionali; due punti saldi che unificano<br />
nel tempo l’esperienza classica e ne stabiliscono la<br />
continuità. Alla base della teoria dell’architettura<br />
del Rinascimento sta la nozione di individualità,<br />
nozione che risulta dalla mimesi con la natura. La<br />
natura è un insieme di individualità, la città e<br />
l’architettura saranno un insieme di elementi<br />
individuati. Tutta la versione antropomorfica<br />
dell’architettura rinascimentale può essere riportata<br />
alla nozione di individualità: individualità urbana<br />
(la città avrà una sua forma chiusa, corrispondente al<br />
suo statuto, una forma che lo rappresenta; così, una<br />
volta determinata, la forma urbana si tipizza);<br />
individualità degli edifici (allo stesso modo un<br />
edifico assume una forma propria che lo distingue<br />
all’interno della varietà delle istituzioni della<br />
città del Rinascimento); individualità degli elementi<br />
architettonici (si pensi agli studi sulla colonna;<br />
essa è intesa come corpo vivente e in quanto tale la<br />
sua forma deve rappresentare la vita che contiene;<br />
l’entasis è la rappresentazione dello sforzo cui<br />
questo elemento è sottoposto). Insomma, la nozione di<br />
individualità risulta dall’analogia con la natura. La<br />
nozione di individualità consente agli architetti di<br />
stabilire con la natura un’analogia non direttamente<br />
formale, tra forme naturali e architettoniche, ma più<br />
evoluta. La nozione di individualità è tratta dalla<br />
natura; attraverso di essa si crea una seconda natura<br />
analoga alla prima nelle sue leggi costitutive, ma<br />
costruita con forme proprie e distinte. Così si spiega<br />
l’orgoglio con cui Raffaello considera ingenue le<br />
forme gotiche perché troppo simili alle forme<br />
naturali. Così si spiegano i principi fondamentali<br />
della teoria delle forme classiche: la concinnitas e<br />
la regola del nihil addi, la mediocritas e la regola<br />
del giusto mezzo. Le forme architettoniche devono<br />
contenere i caratteri delle forme naturali, il<br />
rapporto fra le parti e la loro disposizione<br />
definiscono e rappresentano un’individualità. Si<br />
tratta di trovare le forme appropriate a questa<br />
rappresentazione, senza che si possa aggiungere o<br />
togliere nulla. E’ la generale filosofia della natura<br />
che consente ad Alberti di comprendere e interpretare<br />
il testo di Vitruvio. Per Alberti il trattato di<br />
Vitruvio è uno spunto iniziale per la costruzione del<br />
suo trattato che, altrimenti, si fonda nel pensiero<br />
rinascimentale. La seconda grande scelta che sta alla<br />
base della teoria dell’architettura classica è quella<br />
di operare attraverso l’uso di forme convenzionali.<br />
Questa scelta conduce Alberti e la cultura del<br />
Rinascimento alla seconda grande analogia, quella con<br />
le forme storiche dell’architettura.
La ricerca della corrispondenza tra forme e vita nel<br />
Rinascimento, infatti, non produce nuove forme<br />
costruite sulla mimesi della natura direttamente, come<br />
è s t a t o p e r i l G o t i c o , m a r i c o n o s c e q u e s t a<br />
corrispondenza nell’antichità classica. E’ questo<br />
riconoscimento delle forme classiche in quanto forme<br />
vitali che consente ad Alberti, come agli altri<br />
trattatisti, di non assumere gli ordini come modelli<br />
da copiare, ma di disegnarli ogni volta di nuovo,<br />
interpretando originalmente il rapporto tra forme e<br />
vita teorizzato al momento della loro assunzione.<br />
Bisogna riconoscere che rispetto alla questione del<br />
rapporto con le forme storiche il classicismo mantiene<br />
a p e r t a l a c o n t r a d d i z i o n e f r a d u e d i v e r s i<br />
atteggiamenti: il primo, di coloro che le assumono<br />
come modelli cui assoggettarsi in nome di una presunta<br />
supremazia del momento storico cui si riferiscono; il<br />
secondo, più avanzato, che riconosce in esse contenuti<br />
che si definiscono via via nel tempo e che si<br />
costruiscono nelle forme più appropriate nella loro<br />
rappresentazione. In ogni caso, riprendendo gli ordini<br />
dell’antichità, il Rinascimento si assicura un<br />
repertorio di forme convenzionali con cui costruire il<br />
suo nuovo linguaggio, antigotico appunto, in nome di<br />
una più avanzata analogia con la natura. L’analogia<br />
con la storia mette a disposizione un sistema di forme<br />
riconoscibili dalla collettività e proprio questo<br />
r i c o n o s c i m e n t o d à s i c u r e z z a a g l i a r c h i t e t t i<br />
rinascimentali nella consapevolezza che l’analogia con<br />
la storia di per sé non consente alcun avanzamento. Il<br />
progresso è possibile solo misurandosi con la natura.<br />
Una progressiva modificazione delle forme è legata a<br />
una sempre più approfondita conoscenza del mondo e a<br />
una sempre più larga coscienza di sé. L’architettura<br />
classica, nel suo arco di svolgimento, stabilisce<br />
dunque nel rapporto fra due sistemi di riferimento i<br />
termini del suo progredire: la natura che offre il<br />
movente, la storia che indica la direzione. Qui si<br />
stabilisce la nozione di continuità della ricerca<br />
dell’architettura classica. Il riferimento a questi<br />
due sistemi è talmente radicato e forte nel pensiero<br />
di tutti gli architetti della classicità che rimane la<br />
guida concettuale anche nel momento di maggior<br />
difficoltà della tendenza quando, con la prima<br />
rivoluzione industriale, vengono abbandonati gli<br />
ordini architettonici. Nella teoria dell’architettura<br />
dell’Illuminismo la nozione di individualità rimane<br />
forte, addirittura si introduce quella di carattere.<br />
Il progressivo abbandono degli ordini(che quando<br />
permangono assumono il significato del tutto nuovo di<br />
citazione, diventando forme simboliche è il risultato<br />
di un diverso rapporto con la natura. Della natura si<br />
cercano i caratteri<br />
203
Adolf Loos, Villa Muller, Praga 1930<br />
204<br />
originari, al pari degli uomini; analogamente le forme<br />
dell’architettura dovranno essere ricondotte ai loro<br />
caratteri originali. Questo è il senso della . Il programma generale è quello della<br />
riduzione delle forme alla loro essenza. A fronte di<br />
questo generale programma scientifico gli ordini<br />
dell’antichità non possono resistere. Questa nuova<br />
direzione di ricerca, su una progressiva dialettica<br />
fra essenza e apparenza, anche se genera quella che<br />
dopo il Gotico è certamente la più grande rottura nei<br />
confronti del passato, non impedisce di ricercare<br />
ancora nella storia dell’architettura un saldo<br />
riferimento. Gli architetti dell’Illuminismo non<br />
rinunciano alla generale direzione indicata nella<br />
precedente esperienza attraverso i suoi due capisaldi:<br />
la nozione di individualità degli edifici e dei loro<br />
elementi e la definizione di forme convenzionali con<br />
cui rappresentarla. L’architettura dell’Illuminismo<br />
non rinuncia dunque al primo grande assunto della<br />
tendenza classica che è quello dell’architettura come<br />
conoscenza e rappresentazione della realtà. Questo è<br />
il motivo per cui i principi della trattatistica<br />
dell’antichità permangono (basta leggere il trattato<br />
di Francesco Milizia per rendersene conto), perché<br />
appartengono a una generale teoria della conoscenza.<br />
I l p e r m a n e r e d i q u e s t a t e o r i a o b b l i g a u n a<br />
modificazione delle forme nel tempo. Per mantenersi<br />
fedeli ai principi è necessaria una continua verifica<br />
delle forme, una sempre più approfondita conoscenza<br />
del loro senso e una sempre più perfetta aderenza a<br />
esso. Per realizzare questo programma l’architettura<br />
classica si costruisce sull’intreccio dei riferimenti<br />
con la natura e con la storia fino al Movimento<br />
m o d e r n o . C o s ì A d o l f L o o s , i l g r a n d e e r e d e<br />
dell’esperienza classica, si batte contro ogni<br />
cedimento alle nuove forme di naturalismo dello<br />
Jugendstil e riprende con forza la direzione della<br />
conoscenza della verità delle cose e della costruzione<br />
come rappresentazione di tale identità. Ricerca<br />
dell’identità come ricerca del rapporto fra forme e<br />
vita in una rinnovata analogia con la natura. Pensiamo<br />
al concetto ricorrente negli scritti di Mies van der<br />
Rohe: . Ma questa analogia, se abbandonata a se<br />
stessa, può generare le forme più disparate. E’ il<br />
rapporto con la storia, il riferimento alla grande<br />
strada maestra dell’esperienza classica che consente a<br />
Loos, Le Corbusier, Mies van der Rohe il dominio della<br />
fantasia. Ripercorrendo tale esperienza questi nostri
maestri hanno compreso che l’obiettivo è sempre<br />
quello dell’intelligibilità delle forme, un obiettivo<br />
antico, che li conduce a riflettere sui tre momenti<br />
fondamentali della costruzione del progetto propri di<br />
tutta l’esperienza classica: la tipizzazione degli<br />
edifici come definizione dei caratteri fissi e<br />
ripetibili, la costruzione come definizione degli<br />
elementi necessari, la forma come sistema di<br />
identificazione degli elementi e della costruzione<br />
s t e s s a . R i a f f e r m a n d o c h e o g n i t e o r i a<br />
dell’architettura riguarda il passaggio dalla città<br />
al tipo, dal tipo della costruzione, dalla<br />
costruzione alla forma. Ma la ricerca dei maestri<br />
dell’architettura moderna non si è compiuta. Come<br />
vedremo, la tensione allo stile, per quanto forte in<br />
ogni singolo architetto, non ha condotto a un<br />
risultato unitario. Dal tempo in cui sono stati<br />
abbandonati gli ordini si è intrapresa una ricerca<br />
che è ancora in corso. Oggi dobbiamo ridiscuterne le<br />
premesse, ritrovare il senso dei riferimenti.<br />
Ludwig Mies Van Der Rohe, IIT campus, Chicago<br />
205
Identità.<br />
206<br />
La piccola capanna primitiva che ho appena descritto<br />
costituisce il modello a partire dal quale ogni<br />
magnificenza architettonica è stata concepita; e solo<br />
approssimandosi alla semplicità di questo primo<br />
modello, nella pratica dell'arte, sarà possibile<br />
evitare i difetti più radicali e raggiungere<br />
l'autentica perfezione.<br />
I tronchi eretti verticalmente ci hanno fornito l’idea<br />
della colonna; quelli orizzontali, quella della<br />
trabeazione; e quelli inclinati, che formano il tetto,<br />
quella del frontone.<br />
[…]<br />
Ormai è facile distinguere gli elementi essenziali<br />
nella composizione di un ordine architettonico, da<br />
quelli dettati dalla necessità, o che vi si sono<br />
aggiunti per puro capriccio. Ma ogni bellezza risiede<br />
soltanto nelle parti essenziali, mentre quelle dettate<br />
dal bisogno rappresentano tutte licenze ed in quelle<br />
aggiunte per capriccio consistono tutti i difetti.<br />
[…]<br />
Non perdiamo di vista la nostra piccola capanna<br />
primitiva: io non vedo altro che le colonne, la<br />
trabeazione ed un tetto a due falde, le cui estremità<br />
costituiscono ciò che oggi chiamiamo frontone. Fin<br />
q u i , n i e n t e v o l t a . a n c o r m e n o a r c h i , n e s s u n<br />
piedistallo, né attico, e neppure porte e finestre.<br />
N e c o n c l u d o a f f e r m a n d o c h e i n o g n i o r d i n e<br />
architettonico non vi sono che la colonna, la<br />
trabeazione ed il frontone, che possano intervenire in<br />
modo essenziale nella composizione; e se ciascuno di<br />
questi elementi è al posto giusto ed ha la forma che<br />
gli compete, non vi sarà più nulla da aggiungere<br />
perché l’opera sia completa.<br />
Marc Antoine Laugier, SAGGIO SULL’ARCHITETTURA, capitolo I,<br />
Principi generali dell’Architettura
207<br />
La colonna del Filarete, Venezia<br />
Fontivegge, Perugia, Aldo Rossi
identità e composizione.<br />
A. Bugatti, Composizione architettonica e identità, Preogetti di riqualificazione urbana a Pavia, Edizioni<br />
Cusl, Pavia 2001<br />
La progettazione ha due riferimenti principali, la<br />
tradizione ed il contesto, con esiti molto<br />
differenti tra loro ma con quei denominatori comuni<br />
che conducono all'identità dei luoghi. L'identità di<br />
un'architettura si basa sulla qualità e sula<br />
compitezza del progetto, non è il risultato di una<br />
ricerca conservativa o di un'espressione "locale, è<br />
uno sforzo continuo di evitare indifferenza e<br />
omologazione e al contrario di proporre relazioni di<br />
qualsiasi tipo con il contesto"."La costruzione di<br />
identità - scrive il filosofo Sergio De La Pierre -<br />
è una dimensione irrinunciabile dell'essere umano,<br />
una riposta al bisogno di punti di riferimento che<br />
diano un senso all'inevitabile carattere della<br />
socializzazione in tutte le comunità umane<br />
attraverso una cultura".<br />
E' necessario capire cosa è oggi la città,<br />
testimonianza monumentale e forza propulsiva, campo<br />
di innovazione e di opportunità, diversa dal passato<br />
nell'organizzazione del lavoro e del tempo, nel<br />
sistema di occupazione del suolo e di comunicazione<br />
interpersonale.<br />
Sono cambiate le scene e i protagonisti, sono nati i<br />
centri commerciali, le stazioni, le attrezzature<br />
208<br />
infrastrutturali, i grandi insediamenti direzionali:<br />
davanti a questi cambiamenti bisogna disegnare una<br />
nuova qualità urbana senza perdita di identità,<br />
bisogna coniugare due principi apparentemente<br />
contrastanti, nel periodo della globalizzazione,<br />
radicamento al luogo e punti singolari di un sistema<br />
a rete.<br />
La città non ha più confini di fronte alla<br />
interconnessioni telematiche, fa parte di un sistema<br />
globale: ma i progettisti devono adeguare i loro<br />
strumenti alla scala e al carattere dei problemi,<br />
rispondere con progetti di qualità, anziché<br />
esasperare le forme personali, verso atteggiamenti<br />
coerenti che la cultura del progetto non ha mancato<br />
d i e s p r i m e r e a t t r a v e r s o g r a n d i i n t e r p r e t i<br />
contemporanei.<br />
Un grande architetto italiano, interprete di tale<br />
atteggiamento è stato Aldo Rossi, attraverso la cui<br />
opera meglio possiamo esemplificare i contenuti<br />
prima evocati. In Rossi riconosciamo capacità di<br />
realizzare progetti in grado di reinterpretare il<br />
luogo verso anche nuove configurazioni, ad un tempo,<br />
capaci di esprimere l'appartenenza all'architettura<br />
contemporanea e rispettose del contesto.
" La città è qualcosa che permane attraverso le sue<br />
trasformazioni e le funzioni cui essa via via<br />
assolve, sono momenti nella realtà della sua<br />
struttura" scriveva Aldo Rossi per ricordare di come<br />
attraverso movimento incessante delle città, sono<br />
riconoscibili i monumenti e gli elementi che meglio<br />
degli altri interpretano il tema dell'identità.<br />
Si può rispettare l'identità anche attraverso il solo<br />
uso dei materiali come nell'albergo Duca di Milano<br />
dove Rossi prevede l'uso della pietra e del mattone,<br />
e nell'aeroporto di Linate dove utilizza lo stesso<br />
marmo con cui è stato costruito il Duomo 800 anni fa,<br />
materiale -il marmo- impiegato in una piccola fontana<br />
( m o n u m e n t o a P e r t i n i ) a l t e r m i n e d i V i a<br />
Montenapoleone a Milano, accompagnata da lampioni e<br />
alberi tipici della Lombardia.<br />
Anche le case milanesi di Rossi propongono aspetti di<br />
profonda identità senza rinunciare ad elementi<br />
innovativi: il loggiato riproduce i ripidi ballatoi<br />
di distribuzione; non sono riproposti a ringhiera, ma<br />
con aperture regolari continue, i portici sono<br />
elementi di definizione architettonica, il mattone<br />
i d e n t i f i c a c o n l a g r a n d e c o l o n n a d ' a n g o l o<br />
dell'isolato.<br />
(…)<br />
valenza della ricerca di identità anche per la nuova<br />
architettura, attraverso l'individuazione dei<br />
caratteri costitutivi di ogni realtà e degli<br />
interventi che questa realtà chiede. Identità<br />
perseguibile attraverso gli elementi tipologici, i<br />
materiali, gli assetti funzionali. il carattere,<br />
riuscendo ad esprimere quella sintesi tra innovazione<br />
e tradizione, tra composizione e struttura,<br />
indispensabile in ogni progetto di architettura.<br />
Aldo Rossi,<br />
In alto: Duca di Milano Hotel, 1988<br />
In basso: Monumento a Pertini, Milano 1988<br />
209
il pensiero di Khan.<br />
“L’architettura ha poco a che fare con la soluzione di<br />
problemi. I problemi sono ordinari. Risolvere problemi è<br />
quasi un compito ingrato per l’architettura” Quando si<br />
entra nel mondo dell’architettura ci si rende conto che<br />
si è a contatto con le sensazioni fondamentali<br />
dell’uomo”.<br />
(...) Nella mente esiste il tempio, non ancora<br />
realizzato. Una manifestazione del DESIDERIO e non della<br />
necessità. La necessità è un panino al prosciutto”<br />
210
L o u i s K a h n e i l s e n s o d e l l ’ a r c h i t e t t u r a<br />
“l'architetto deve, in qualche modo, ritornare alle<br />
origini”<br />
Louis Kahn è uno dei personaggi che più ha<br />
contribuito all’evoluzione dell’architettura, forse<br />
perchè egli sembra rifondarla, sembra sempre voler<br />
partire dalle fondamenta, tant’è che affermava:<br />
” L’architetto deve, in qualche modo, ritornare alle<br />
origini”.<br />
In questi ultimi anni ho molto meditato sulle opere<br />
e sulle parole del maestro “americano” ed ho<br />
raccolto alcune sue frasi che, a mio modo di vedere,<br />
sono fondamentali e stimolanti, sono “pietre<br />
miliari” che, di tanto in tanto, mi piace<br />
rispolverare, ed in quest’ottica vorrei fare alcune<br />
considerazioni. Innanzitutto occorre sottolineare il<br />
grande senso etico dell’architetto, l’etica del<br />
mestiere: “In quanto individuo responsabile è dovere<br />
dell’architetto cercare di creare un mondo migliore,<br />
sapendo che non è restando fermi stesi al sole che<br />
si costruisce l’avvenire ma attraverso un faticoso<br />
lavoro mantenendo stretti contatti con la realtà<br />
attuale”. Premesso questo possiamo introdurre quelli<br />
ci appaiono come i principi fondamentali della<br />
poetica di Kahn: la costruzione della forma a<br />
p a r t i r e d a l l a “ n a t u r a d e i m a t e r i a l i ” ;<br />
l’architettura concepita come organismo; il rispetto<br />
del processo costruttivo in sè; il “luogo”; le<br />
“connessioni”.<br />
211<br />
“Qual è il parassita più resistente?<br />
Un’idea.<br />
Una singola idea della mente umana<br />
può costruire città.<br />
Un’idea può trasformare il mondo e<br />
riscrivere tutte le idee.<br />
Ed è per questo che devo rubarla.”<br />
(Dom Cobb)<br />
La natura dei materiali viene espressa benissimo con<br />
questa citazione: “Una rosa vuol’essere una rosa e<br />
un’ampia apertura nel muro di mattoni vuol’essere un<br />
arco” (possiamo ad esempio citare l’ Indian<br />
Institute of Management ad Ahmedabad in India,<br />
1962-74 o il muro in blocchetti della First<br />
Unitarian Church a Rochester 1959-69)<br />
L’architettura concepita come organismo è resa con<br />
la frase: “Non funziona niente finchè non funziona<br />
tutto” ed è testimonianza di quella ricerca profonda<br />
di coerenza e di verità che non può che portare a<br />
considerare la progettazione di ogni singolo<br />
edificio come la realizzazione di un “tema”<br />
costituito da parti che dialogano tra loro in modo<br />
organico e naturale, senza forzature o costrizioni.<br />
L’amore per il rispetto del processo costruttivo<br />
viene ben definito attraverso queste due frasi: “Io<br />
credo che ogni artista, istintivamente, rispetti le<br />
tracce che rivelano come una cosa è stata fatta” ed<br />
ancora: “Se ci fossimo abituati a disegnare come<br />
costruiamo, dal basso verso l’alto, fermando la<br />
nostra matita in modo tale da lasciare una traccia<br />
ai punti di giuntura,di colata o di montaggio,<br />
l’ornamento risulterebbe dal nostro amore per<br />
l’espressione di un metodo(...) il desiderio di<br />
esprimere come avvengono le cose” (un esempio<br />
illuminante è il Parlamento di Dacca in Bangladesh<br />
1962-83, ove i punti di ripresa del getto in cemento<br />
armato non sono nascosti ma addirittura evidenziati<br />
ed impreziositi da inserti in marmo)
Il “luogo” è inteso da Kahn come un “sito” al quale<br />
si applica un “programma” capace di dotarlo di un<br />
senso profondo attraverso una forma architettonica.<br />
In tal senso i Laboratori Salk sono emblematici:<br />
freddi e seri laboratori, luoghi di ricerca e di<br />
produzione, divengono un luogo di incontro e<br />
discussione serena tra esseri umani. Ecco il senso di<br />
“luogo” e la forza dello “spazio”: “Lo spazio ha una<br />
grande forza e determina i comportamenti.” Ogni<br />
spazio deve essere definito dalla sua struttura e dal<br />
carattere della luce naturale”: non è quindi<br />
invenzione di forme ma equilibrio sapiente degli<br />
elementi primari della “disciplina” Architettura.<br />
Abbiamo infine le connessioni: date diverse parti<br />
occorre metterle in relazione tra loro; ci sono molti<br />
m o d i d i f a r l o ( a d e s e m p i o l ’ a s s i a l i t à , l a<br />
prospettiva, l’articolazione complessa,..): Kahn<br />
identifica la “connessione” con la “struttura”.<br />
La struttura (intesa nel suo senso elementare di<br />
struttura portante) crea una regola, un ritmo,<br />
un’ordine e questo ordine è assoluto perchè proviene<br />
non da leggi esterne ma dalla natura stessa<br />
dell’architettura: la costruzione corretta. Abbiamo<br />
a c c e n n a t o a l l a “ l u c e ” c o m e a d u n e l e m e n t o<br />
fondamentale, tanto da affermare: “L’architettura ha<br />
avuto luogo quando i muri si divisero e divennero<br />
colonne” ed ancora “la struttura è artefice della<br />
luce. Una colonna e una colonna: in mezzo c’è la<br />
luce. Si ha quindi oscurità-luce-oscurità-luce...”<br />
Posiamo inoltre osservare, quasi come corollari dei<br />
cinque principi fondamentali, quanto segue: recupero<br />
della storia (in particolare viene rivalutato il<br />
senso di “pesantezza”, lo spessore delle murature, il<br />
senso della monumentalità) con un fermo rifiuto del<br />
“revival” utilizzo delle forme platoniche (cerchio,<br />
quadrato, triangolo,...) investite dalla luce;<br />
creazione di spazi quasi “mistici” in cui regna il<br />
silenzio necessario alla riflessione ed alla<br />
introspezione: non solo una architettura che si fa<br />
oggetto delle nostre attenzioni ma che diventa anche<br />
strumento per la comprensione del mondo e di noi<br />
stessi. La divisione dello spazio in “spazi<br />
serventi” (ad esempio per collegamenti verticali o<br />
impianti) e “spazi serviti” (che sono quelli in cui<br />
si vive o lavora): una distinzione che evidenzia la<br />
presenza di un “ordine superiore” e della complessità<br />
dell’organismo edilizio (si veda, ad esempio, i<br />
Laboratori Richards di Philadephia 1957-65). Assieme<br />
a l s e n s o e t i c o c i t a t o i n a p e r t u r a o c c o r r e<br />
sottolineare anche il grande “senso dell’umano” di<br />
Kahn: “l’uomo non è natura, l’uomo è originato della<br />
natura” distinguendo così l’animale dall’essere<br />
evoluto che ha coscienza di sè e che si esprime<br />
attraverso un linguaggio evoluto: l’arte: l’unico<br />
linguaggio in grado di esprimere i significati più<br />
212
profondi dell’uomo.<br />
E’ proprio partendo dal’uomo, dalle sue esigenze,<br />
dalle sue necessità, dai suoi desideri più profondi<br />
che Kahn ha saputo regalarci la sua grande<br />
architettura. Straordinaria è la sua definzione:<br />
“L’architettura ha poco a che fare con la soluzione<br />
di problemi. I problemi sono ordinari. Risolvere<br />
p r o b l e m i è q u a s i u n c o m p i t o i n g r a t o p e r<br />
l’architettura” Quando si entra nel mondo<br />
dell’architettura ci si rende conto che si è a<br />
contatto con le sensazioni fondamentali dell’uomo”.<br />
(...) Nella mente esiste il tempio, non ancora<br />
realizzato. Una manifestazione del DESIDERIO e non<br />
della necessità. La necessità è un panino al<br />
prosciutto” Kahn parte dunque da queste “sensazioni<br />
fondamentali” e “desideri” per chiedersi: “Cosa<br />
vuol’essere questo edificio?” E, nel caso di una<br />
scuola, risponde: “L’insegnamento ha avuto inizio<br />
quando un uomo seduto ai piedi di un albero si mise<br />
a discutere, senza sapere cosa fosse un maestro,<br />
con persone che ignoravano a loro volta di essere<br />
scolari(...) e si auguravano per i propri figli un<br />
incontro con un uomo così.”<br />
Emergono quindi due elementi: il complesso<br />
desiderio di discutere, apprendere, raccontare ed<br />
un luogo che sia in grado di permette tutto questo<br />
(...ai piedi di un albero). Questo mi ricorda le<br />
parole di Aldo Rossi nella sua “Autobiografia<br />
scientifica”:“...ho riguardato l’architettura come<br />
lo strumento che permette lo svolgersi di una cosa<br />
(...) e nei miei ultimi progetti cerco solo di<br />
porre delle costruzioni che, per così dire,<br />
favoriscano un evento”.Si trata quindi di scegliere<br />
un sito adeguato a cui applicare un programma<br />
a d e g u a t o . E c c o a l l o r a c h e K a h n r o m p e c o l<br />
funzionalismo (almeno quello più ingenuo legato<br />
allo slogan “la forma segue la funzione”)<br />
dichiarando esplicitamente: “ la forma evoca la<br />
funzione” ed ancora: “l’uomo aspira a trascendere<br />
la funzione” citando espressamente le Terme di<br />
Caracalla : “ In questo edificio c’era la volontà<br />
di costruire una struttura voltata alta cento piedi<br />
(...). Sarebbero stati sufficienti otto piedi”<br />
sottolineando quindi la differenza tra “necessità”<br />
e “desiderio” che fa sì che un edificio possa<br />
diventare Architettura.<br />
Nel concludere, invitando a osservare con molta<br />
attenzione quattro opere di Kahn che ritengo<br />
esemplari dei punti visti sin’ora (ovvero: First<br />
Unitarian Church a Rochester, la sede del<br />
Parlamento di Dacca in Bangladesh, i laboratori<br />
Richards a Philadelphia e l’Istituto Salk di La<br />
Jolla) desidero citare una frase di Vittorio<br />
Gregotti: “Kahn è simile a Brunelleschi: con i<br />
sistemi e perfino il linguaggio del gotico inaugura<br />
213<br />
il Rinascimento” : infatti Kahn inaugura una nuova<br />
era ricca di relazioni con la storia, abolisce il<br />
pregiudizio nei confronti di forme o materiali e<br />
influenza architettidel calibro di Rossi, Stirling,<br />
Ungers, Gregotti e Moneo.<br />
Bibliografia essenziale:<br />
L.I. Kahn, di D.B. Brownlee e D.G. De Long ed<br />
Rizzoli L.I. Kahn, a cura di R. Giurgola e J. Metha<br />
ed Zanichelli L.I.Kahn: l’uomo e il maestro, a cura<br />
di A. Latour ed Kappa
il pensiero di Le Corbusier<br />
L ' a r c h i t e t t u r a è u n f a t t o d ' a r t e , u n<br />
fenomeno che suscita emozione, al di fuori<br />
dei problemi di costruzione, al di là di<br />
e s s i . L a c o s t r u z i o n e è p e r t e n e r e s u ,<br />
l ' a r c h i t e t t u r a è p e r c o m m u o v e r e . C ' è<br />
emozione architettonica quando l'opera suona<br />
dentro al diapason di un universo di cui<br />
o s s e r v i a m o , r i c o n o s c i a m o e a m m i r i a m o l e<br />
leggi. Quando certi rapporti sono raggiunti,<br />
s i a m o p r e s i d a l l ' o p e r a . A r c h i t e t t u r a è<br />
" r a p p o r t o " , è " p u r a c r e a z i o n e d e l l o<br />
s p i r i t o " . L ' a r c h i t e t t u r a è i l g i o c o<br />
sapiente, rigoroso e magnifico dei volumi<br />
assemblati nella luce. I nostri occhi sono<br />
fatti per vedere le forme nella luce: le<br />
ombre e le luci rivelano le forme; i cubi, i<br />
coni, le sfere, i cilindri o le piramidi<br />
sono le grandi forme primarie che la luce<br />
e s a l t a ; l ' i m m a g i n e c i a p p a r e n e t t a e<br />
tangibile, senza ambiguità. E' per questo<br />
che sono belle forme, le più belle forme.<br />
L ' o c c h i o o s s e r v a n e l l a s a l a l e s u p e r f i c i<br />
multiple dei muri e delle volte; le cupole<br />
d e t e r m i n a n o s p a z i ; l e v o l t e d i s p i e g a n o<br />
superfici; le colonne, i muri si allineano<br />
seguendo un ordine razionale comprensibile.<br />
Tutta la struttura s'innalza dalla base e si<br />
sviluppa secondo una regola impressa nella<br />
pianta: belle forme, varietà di forme, unità<br />
d i p r i n c i p i o g e o m e t r i c o . T r a s m i s s i o n e<br />
p r o f o n d a d i a r m o n i a : q u e s t a è<br />
architettura. L ' a r c h i t e t t u r a è p e r<br />
eccellenza l'arte che raggiunge uno stato di<br />
g r a n d e z z a p l a t o n i c a , o r d i n e m a t e m a t i c o ,<br />
s p e c u l a z i o n e , p e r c e z i o n e d e l l ' a r m o n i a ,<br />
m e d i a n t e r a p p o r t i c h e s o l l e c i t a n o<br />
l'emozione. Ecco il fine dell'architettura.<br />
214<br />
L'architettura opera su degli standard. Gli<br />
standard sono fatti di logica, di analisi,<br />
d i s t u d i o s c r u p o l o s o . G l i s t a n d a r d s i<br />
stabiliscono a partire da un problema ben<br />
posto. L'architettura è invenzione plastica,<br />
è speculazione intellettuale, è matematica<br />
s u p e r i o r e . L ' a r c h i t e t t u r a è u n ' a r t e<br />
nobilissima. L ' a r c h i t e t t u r a è a l d i l à<br />
dell'utile. L ' a r c h i t e t t u r a è f a t t o<br />
plastico. Si impiega pietra, legno, cemento;<br />
s e n e f a n n o c a s e , p a l a z z i : q u e s t o è<br />
c o s t r u i r e . L ' i n g e g n o s i t à l a v o r a . M a , d i<br />
colpo, il mio cuore è commosso, sono felice,<br />
dico: è bello. Ecco l'architettura. L'arte è<br />
qui. La mia casa è pratica. Grazie, come<br />
grazie agli ingegneri delle Ferrovie e alla<br />
Compagnia dei Telefoni. Non mi avete toccato<br />
il cuore. Ma i muri si alzano verso il cielo<br />
secondo un ordine che mi commuove. Capisco<br />
le vostre intenzioni. Siete dolci, brutali,<br />
incantevoli o dignitosi. Me lo dicono le<br />
vostre pietre. Mi incollate a questo posto e<br />
i miei occhi guardano. I miei occhi guardano<br />
qualche cosa che esprime un pensiero. Un<br />
pensiero che si rende manifesto senza parole<br />
e s e n z a s u o n i , m a u n i c a m e n t e a t t r a v e r s o<br />
prismi in rapporto tra loro. Questi prismi<br />
s o n o t a l i c h e l a l u c e l i r i v e l a n e i<br />
p a r t i c o l a r i . Q u e s t i r a p p o r t i n o n h a n n o<br />
n i e n t e d i n e c e s s a r i a m e n t e p r a t i c o o<br />
d e s c r i t t i v o . S o n o l a c r e a z i o n e m a t e m a t i c a<br />
d e l l o s p i r i t o . S o n o i l l i n g u a g g i o<br />
dell'architettura. Con materiali grezzi, su<br />
un programma più o meno utilitario, che voi<br />
superate, avete stabilito rapporti che mi<br />
hanno commosso.
E' l'architettura. A t t e n z i o n e ,<br />
l'architettura non è che ordine. L'ordine è<br />
u n a d e l l e p r e r o g a t i v e f o n d a m e n t a l i<br />
dell'architettura. L'architettura c'è quando<br />
interviene emozione poetica. L'architettura<br />
è fatto plastico. La dimensione plastica è<br />
c i ò c h e s i v e d e e s i m i s u r a c o n g l i<br />
occhi. L'architettura è il gioco sapiente,<br />
rigoroso e magnifico dei volumi nella luce;<br />
la modanatura è ancora ed esclusivamente il<br />
g i o c o s a p i e n t e , c o r r e t t o e m a g n i f i c o d e i<br />
volumi nella luce. La modanatura abbandona<br />
l'uomo pratico, ardito, ingegnoso; essa si<br />
appella alle doti plastiche. L ' a r t e è<br />
poesia: l'emozione dei sensi, la gioia dello<br />
s p i r i t o c h e v a l u t a e a p p r e z z a , i l<br />
riconoscimento di un principio assiale che<br />
colpisce il fondo del nostro essere. L'arte<br />
è questa pura creazione dello spirito che ci<br />
m o s t r a , a c e r t e v e t t e , l a v e t t a d e l l e<br />
creazioni cui l'uomo è capace di arrivare. E<br />
l'uomo prova una grande felicità a sentirsi<br />
creatore. L'arte è una cosa austera che ha<br />
le sue ore sacre. L'arte della nostra epoca<br />
è a l s u o p o s t o q u a n d o s i r i v o l g e a l l e<br />
élites. L'arte non è cosa popolare, ancora<br />
meno una "cortigiana di lusso". L'arte è un<br />
alimento necessario solo alle élites che si<br />
devono concentrare per poter guidare. L'arte<br />
è s u p e r b a p e r e c c e l l e n z a . La decorazione è<br />
i l s u p e r f l u o n e c e s s a r i o , i l q u a n t u m d e l<br />
contadino, e la proporzione è il necessario<br />
superfluo, il quantum dell'uomo colto. In<br />
a r c h i t e t t u r a i l q u a n t u m d i i n t e r e s s e è<br />
raggiunto mediante il raggruppamento e la<br />
proporzione dei vani e dei mobili, compito<br />
dell'architetto. La bellezza? E' una cosa<br />
i m p o n d e r a b i l e , n o n p o t e n d o a g i r e c h e<br />
attraverso la presenza formale delle basi<br />
primordiali: soddisfazione razionale dello<br />
s p i r i t o ( u t i l i t à , e c o n o m i a ) ; p o i , c u b i ,<br />
s f e r e , c i l i n d r i , c o n i , e c c e t e r a<br />
( s e n s o r i a l i ) . D o p o . . . l ' i m p o n d e r a b i l e , i<br />
rapporti che creano l'imponderabile: è il<br />
g e n i o , i l g e n i o i n v e n t i v o , i l g e n i o<br />
p l a s t i c o , i l g e n i o m a t e m a t i c o , q u e s t a<br />
capacità di misurare l'ordine, l'unità, di<br />
o r g a n i z z a r e s e c o n d o l e g g i c h i a r e t u t t e<br />
q u e s t e c o s e c h e e c c i t a n o e s o d d i s f a n o<br />
pienamente i nostri sensi visivi.<br />
estratti dai testi di Le Corbusier; Vers une<br />
architecture, Parigi, Cres, 1923; Urbanisme, Parigi, Cres,<br />
1925<br />
215
La ricerca della forma<br />
F. Bruno, Ludwig Hilberseimer, La costruzione di un0idea di città, il periodo tedesco, Libraccio-<br />
Lampi di stampa, Milano 2008.<br />
La ricerca del reale in architettura, secondo<br />
Hilberseimer, ha una strada obligata in cui la forma<br />
è regolata da leggi proprie: (18). Nella<br />
216<br />
direzione di una scrupolosa risolutezza formale,<br />
come fa notare Marco De Michelis in Ritratto di un<br />
architetto come giovane artista (19), Giorgio<br />
Grassi sembra rivedere la sua posizione iniziale sul<br />
valore esclusivamente archetipico delle architetture<br />
di Hilberseimer. Egli, infatti, nell'introduzione a<br />
Architettura a Berlino negli anni Venti individua in<br />
esse un valore non riconducibile al puro schema o al<br />
modello solamente abbozzato riconoscendo quindi la<br />
loro importanza in quanto figure di una precisa idea<br />
architettonica ed urbana (20).<br />
Si potrebbe aggiungere che la loro importanza<br />
risiede nell'essere espressione di una precisa idea<br />
architettonica e urbana resa attraverso il ricorso a<br />
strumenti compositivi corrispondenti ad una rigorosa<br />
idea figurativa lontana dalla volontà di lusingare<br />
con la propria esteriorità.<br />
NOTE<br />
18 - Cfr. LUDWIG HILBERSEIMER, Der Wille zur Architektur,<br />
op. cit.<br />
19 – Cfr. MARCO DE MICHELIS, Ritratto di un architetto come<br />
giovane artista, op. cit.<br />
20 – Cfr. GIORGIO GRASSI, L’architettura di Hilberseimer,<br />
prefazione all’edizione italiana di Architettura a Berlino<br />
negli anni venti, op. cit., pag. 18
La libertà di espressione è progetto per opere<br />
collettive, pur tenendo conto che l’autore ha la<br />
responsabilità sociale di disegnare la scena fissa<br />
delle vicende dell’uomo e che un manufatto senza<br />
relazioni può essere bello come una locomotiva, un<br />
carro armato fermo, rientrando quindi nelle<br />
categorie delle opere artistiche autoreferenziate;<br />
quella lbertà di espressione e progetto, che deve<br />
essere mantenuta, può per esempio riferirsi a<br />
“l’essere è differenze ed è irriducibile a qualsiasi<br />
forma d’identità perchè già in se stesso è dfferente<br />
da sè” o direttamente al decostruttivismo, dove “si<br />
produce una semplice inversione della nozione postmodernista<br />
dei concetti di luogo, identità,<br />
significato (considerando) la funzionalità ed ogni<br />
aspetto pratico, elemento di intralcio” (Jacques<br />
Derrida). In questo caso il giudizio del rapporto<br />
del progetto/contesto può essere vagliato attraverso<br />
il controllo della misura: “altezza e luoghi non<br />
misurabili non appartengono solo ad un modo onirico<br />
od etico: il problema della misura è uno dei<br />
problemi fondamentali dell’architettura. Ho sempre<br />
associato alla misura lineare un senso più<br />
complesso, essendo il più preciso apparecchio<br />
dell’architettura e determinando il senso delle<br />
217<br />
Abitare il paesaggio<br />
di A. Bugatti, R. Dell’Osso, R. De Lotto<br />
distanze”. Solo le relazioni e la misura sono i veri<br />
parametri condivisibili, che posso opporsi alle<br />
banalità o all’iperformalismo e alle molteplici<br />
teorie e interpretazioni che li giustificano e che<br />
ogni giorno vengono scritte sulla città e il<br />
territorio.<br />
In qualunque modo si consideri la città, letta da<br />
Sprengler “come un mondo, il mondo.solo se<br />
considerata come un tutto essa ha un significato di<br />
umana abitazione. Le case sono gli atomi di cui si<br />
compone”: dunqqu in qualunque modo la si interpreti<br />
si pone il problema della tutela dell’esistente<br />
attraverso la corretta lettura del contesto,<br />
morfologico, strutturale, simbolico, vedutistico, e<br />
attraverso un’analisi che deve saper mettere in<br />
rilievo gli elementi della storia, affinchè non ne<br />
siano danneggiati.<br />
Afferma Ruskin: “in vero la più grande gloria di un<br />
edificio non risiede ne nelle pietre ne nell’oro di<br />
cui è fatto. La sua gloria risiede nella sua età, e<br />
in quel senso di larga risonanza, di severa<br />
vigilanza, di misteriosa partecipazione, persino di<br />
approvazione e di condanna che noi sentiamo presenti<br />
nei muri che a lungo sono stati lambiti dagli<br />
effimeri flutti della storia degli uomini”.
Il carattere degli edifici<br />
di Giorgio Grassi<br />
(da Casabella 722)<br />
In "Il carattere degli edifici" Giorgio Grassi<br />
affronta, sviscerandola, la questione del<br />
carattere, inteso come problema tecnico/<br />
pratico. "…cosa succede in un progetto (in<br />
s e n s o t e c n i c o / p r a t i c o ) n e l p a s s a g g i o<br />
dall'oggetto necessario alla cosiddetta forma<br />
eloquente,… eloquente, cioè espressione del<br />
suo proprio carattere." Grassi analizza, due<br />
esempi, il museo romano di Merida di Rafael<br />
Moneo, e il teatro romano di Sagunto, suo<br />
personale progetto. Ciò che interessa è<br />
l'approccio progettuale, "l'origine.. quello<br />
che ha determinato appunto il carattere di un<br />
edificio e dell'altro."<br />
" Infatti nel caso di Merida (ma questo,<br />
secondo me, si verifica sempre nel caso di<br />
Moneo) l'oggetto del progetto e l'oggetto<br />
dell'evocazione (ciò che viene evocato dalla<br />
forma finale del progetto) sono chiaramente<br />
distinti, divergono, anzi, nel museo di Merida<br />
sono in aperta contraddizione fra loro e,<br />
malgrado ciò, coesistono entrambi nella figura<br />
finale, cioè di sovrappongono pur restando<br />
chiaramente distinti (probabilmente per Moneo<br />
il carattere di questo progetto vien fuori<br />
proprio da questa sovrapposizione lasciata<br />
218<br />
aperta, irrisolta). Nel secondo caso, invece,<br />
nel caso di Sagunto (ma questo si verifica<br />
sempre nel mio caso) l'oggetto del progetto e<br />
l'oggetto dell'evocazione coincidono, anzi,<br />
sono proprio la stessa cosa (o almeno questo è<br />
l'obiettivo del progetto, la sua ambizione)."<br />
Nascono da qui tutte le differenze.<br />
A Merida, l'oggetto del progetto è un museo,<br />
di tipo ottocentesco, come ottocentesca è<br />
l ' i d e a d i c r e a r e u n a s c e n o g r a f i a c h e<br />
riproduca, alluda al suo suo contenuto. Manca,<br />
secondo Grassi, la relazione con la città<br />
romana, benché accolga l'edificio.<br />
" I n q u e s t o m o d o , e s o l o a l l ' i n t e r n o<br />
dell'edificio, viene messo in opera non la<br />
r e a l t à d e l l ' a r c h i t e t t u r a , m a i l s u o<br />
spettacolo. Non una messa in opera quindi, ma<br />
una messa in scena all'interno dell'edificio."<br />
Questa scelta è resa chiara dall'approccio<br />
operativo, che esprime la preoccupazione del<br />
progettista di interpretare il legame con<br />
l'architettura romana soprattutto sul piano<br />
visivo: uso di murature ad "archi-diaframma"<br />
tipicamente gotici, lo spessore esiguo delle<br />
murature in contrasto con l'impiego di mattoni<br />
"alla romana".
"Qui l'architettura romana è un "surplus" e diventa<br />
"ornamento" nel senso più loosiano del termine.."<br />
tanto che Moneo, a Merida, sembra affermare che "il<br />
carattere di un edificio consiste prevalentemente<br />
nel suo spettacolo (afferma cioè che il carattere<br />
di un edificio non può prescindere dal ruolo che<br />
gli viene imposto dal suo autore)", mentre Grassi a<br />
Sagunto vuole "affermare che il carattere di un<br />
edificio consiste esclusivamente nella sua realtà e<br />
c h e i l s u o s p e t t a c o l o n e è s o l t a n t o u n a<br />
conseguenza, cioè a dire, un derivato un suo<br />
sottoprodotto."<br />
Nel progetto di Sagunto "l'oggetto del progetto e<br />
quello dell'evocazione sono lo stesso oggetto"<br />
d i c h i a r a G r a s s i . N o n c ' è n i e n t ' a l t r o c h e<br />
l'architettura romana, l'architetto si cura<br />
esclusivamente dell'autenticità, a costo di far<br />
risultare il progetto un teatro incompleto.<br />
"Dato per scontato che il carattere di un edificio<br />
deriva da ciò che questo esprime o evoca attraverso<br />
la sua forma, per me questa qualità espressiva è<br />
una qualità implicita di un'architettura, cioè<br />
appartiene alla sua forma già prima della sua<br />
apparizione ed è inscindibile da quella forma". "La<br />
scelta di questa linea operativa, che a prima vista<br />
pio anche sembrare una scelta di liberà e<br />
rinnovamento, in realtà è la conseguenza di una<br />
rinuncia, consapevole e definitiva, a misurarsi con<br />
l'architettura com'è sempre stata, una rinuncia a<br />
suo modo tragica, viste le conseguenze" e ancora<br />
"pretendere di agire sul carattere di un edificio,<br />
cioè che un edificio debba darsi, quasi per forza,<br />
un carattere, per poter apparire quello che è o che<br />
vogliamo appaia, è già di per sè una dichiarazione<br />
di resa e fallimento."<br />
219<br />
"Angemessenheit versus Zweckmabigkeit. Cioè<br />
conformità versus convenienza/opportunità"<br />
Grassi spiega "il termine "conforme" presuppone una<br />
relazione lineare e diretta fra l'oggetto e ciò ciò<br />
questo si conforma, significa che per essere se<br />
stesso, per rappresentare se stesso con spirito di<br />
v e r i t à , l ' o g g e t t o d e v e i n c l u d e r e , c i o è<br />
rappresentare anche ciò a cui si conforma, qualcosa<br />
che viene prima di lui e da cui lui stesso<br />
proviene" e ancora "il termine "conforme" afferma<br />
la continuità, significa il riconoscimento di<br />
principi validi e di cingoli qualificanti proprio<br />
in quanto tali, implica la reiterazione, significa<br />
in sostanza. per quanto riguarda la questione<br />
dell'evocazione, l'autoreferenzialità del suo<br />
oggetto".<br />
"il termine "conveniente/opportuno" presuppone<br />
invece un giudizio e rimanda piuttosto a un'idea, a<br />
un programma, a un mondo più ampio, cioè a qualcosa<br />
che in ogni caso sta anche fuori dall'oggetto<br />
stesso."<br />
"In realtà per prima cosa presuppone un soggetto<br />
che osserva e giudica, un soggetto che è quindi<br />
portato ad agire con maggior libertà sull'oggetto e<br />
sul suo carattere, fino a trasformare e perfino<br />
sostituire l'oggetto stesso dell'evocazione.<br />
E' il soggetto che stabilisce il grado di<br />
"convenienza" e di "opportunità" dell'oggetto,<br />
rispetto all'idea a cui deve uniformarsi. Il che<br />
s i g n i f i c a i n q u e s t o c a s o u n a s o s t a n z i a l e<br />
predisposizione a rappresentare altro da sè del suo<br />
oggetto."<br />
Nel primo caso quindi è l'oggetto del progetto<br />
l'unico riferimento per definire il carattere di<br />
un'architettura, carattere che si esprime<br />
soprattutto in ciò che si ripete. Nel secondo caso<br />
il riferimento può essere anche esterno all'oggetto<br />
considerato, e definisce il carattere in ciò che si<br />
modifica, ovvero in ciò che si oppone al suo<br />
ripetersi.<br />
" O l t r e a e d i f i c i c h e m i m a n o a p e r t a m e n t e<br />
l'annientamento dell'architettura, contorti o<br />
pericolosamente ripiegati, …vediamo sempre di più<br />
edifici che assomigliano a osé completamente<br />
diverse da quello che è il loro oggetto."<br />
Grassi ribadisce infatti come tutto questo derivi<br />
dal fatto che si voglia intervenire sul carattere<br />
come se fosse qualcosa di isolato e isolabile.<br />
Disegni del teatro di Sagunto, Giorgio Grassi.
<strong>Primitivo</strong> vs Riproduttivo.<br />
220
La ricerca dell’essenziale<br />
nell’arte.<br />
F . B r u n o , L u d w i g H i l b e r s e i m e r , L a<br />
costruzione di un’idea di città, il<br />
periodo tedesco, Libraccio-Lampi di<br />
stampa, Milano 2008.<br />
Progetto per l’università a Berlino, 1937<br />
Città verticale, 1926<br />
221<br />
Le gravi difficoltà dovute alle conseguenze della<br />
sconfitta nel primo conflitto mondiale e la critica al<br />
capitalismo, inteso come fine e non come strumento di<br />
rinnovamento della società, sono elementi che<br />
concorrono alla volontà di ridiscussione e di<br />
ricostruzione di un’epoca che nella Germania post<br />
bellica sembra essere giunta ormai al tramonto.<br />
Hilberseimer, come i principali esponenti delle<br />
avanguardie artistiche, ritiene l’arte e, quindi,<br />
l’architettura uno degli strumenti in grado di<br />
determinare e indirizzare il processo di rinnovamento.<br />
L’arte è intesa come strumento di conoscenza, ma anche<br />
come quadro sintetico con cui definire i caratteri<br />
f o n d a m e n t a l i d e l l a s o c i e t à e d e l l a c u l t u r a .<br />
Hilberseimer scrive: (1). Con questo richiamo alla<br />
Kunstwollen, la teoria Riegeliana che afferma il<br />
p r i m a t o d e l l ’ i n t e n z i o n e a r t i s t i c a e q u i n d i<br />
l’equiparazione dell’autorevolezza di tutte le culture<br />
che abbiano prodotto risultati caratterizzati<br />
dall’espressione di valori autentici e collettivi,<br />
Hilberseimer si contrappone al concetto di sviluppo<br />
d e l l ’ a r t e i n t e s o c o m e a b i l i t à o e s p r e s s i o n e<br />
individuale. L’opera d’arte per divenire espressione<br />
dei contenuti spirituali di un’epoca non può<br />
risolversi nell’evoluzione personale di quanto già<br />
creato o nell’interpretazione soggettiva della realtà.<br />
In conseguenza di ciò e con l’intento di ritrovare il<br />
grado zero di ogni agire, solo nell’intenzione<br />
originaria, primigenia e collettiva si possono<br />
rivelare i caratteri di autenticità e rinnovamento. Il<br />
ricorso alla teoria di Nietzsche sulla distinzione tra<br />
aspetto Apollineo e Dionisiaco aiuta Hilberseimer a<br />
precisare il proprio pensiero sul concetto di<br />
primitivo. Egli interpreta il passo de La nascita<br />
d e l l a t r a g e d i a i n c u i N i e t z s c h e r i c o n o s c e<br />
nell’evoluzione del ruolo de dio Dioniso la differente<br />
struttura teatrale della tragedia. Dionisio, l’eroe<br />
centrale della rappresentazione tragica, nelle forme<br />
arcaiche della tragedia è evocato esclusivamente<br />
attraverso il Coro, mentre in quelle classiche subisce<br />
una caratterizzazione e quindi ad una rappresentazione<br />
sensibile. In questa evoluzione Hilberseimer individua<br />
un fattore di perdita della carica trascendente del<br />
mito che e’ neutralizzato e privato della forza<br />
primigenia a causa della volontà di imitazione e<br />
riproduzione naturalistica.(2)
A l c o n t r a r i o , i n o r i g i n e l a t r a g e d i a e r a<br />
esclusivamente un’opera concettuale nella quale<br />
sopravviveva l’elemento magico-spirituale.<br />
Hilberseimer riconosce nell’identità tra concettuali<br />
originaria e la nozione di primitivo (3) una sorta<br />
di grado zero da cui procedere nella definizione dei<br />
caratteri ideali del processo artistico. Nel proprio<br />
r a g i o n a m e n t o e g l i r e i n t r o d u c e l a t e m a t i c a<br />
espressionista del ritorno alle origini ed alla<br />
fanciullezza. E’ importante rilevare come nel tema<br />
dell’originarietà sia contenuto il concetto di<br />
insofferenza per la funzione civilizzatrice della<br />
cultura e, quindi, per la nozione di accademia con<br />
due obbiettivi sottointesi.<br />
Da un lato si pone in aperto confronto con il<br />
processo di definizione formale della cultura<br />
ottocentesca le cui espressioni artistiche, ottenute<br />
t r a m i t e l a c o n t i n u a r i v i s i t a z i o n e e i l<br />
perfezionamento di figure e stilemi ormai “aridi”,<br />
originano una sorta di accademismo figurativo. La<br />
forma divenuta fine è ostacolo al reale processo<br />
creativo, occorre far ritorno alla forma come<br />
t e r m i n e s u b o r d i n a t o , c o m e e s c l u s i v o m e z z o<br />
espressivo, per ribadire la centralità dell’elemento<br />
ideale. La forma è il tramite tra idea e materia, se<br />
la forma diventa il fine, il bello, il lato ideale<br />
si svuota di contenuti e subentra esclusivamente un<br />
atteggiamento rinunciatario o individualista nei<br />
confronti della realtà. L’altro punto di vista<br />
sottolineato da Hilberseimer e’ connesso con il<br />
ruolo che l’arte riveste nei confronti della<br />
società; il tema dei contenuti ideali, il tema degli<br />
aspetti spirituali della cultura, il tema della<br />
contrapposizione al materialismo individualista<br />
della società borghese e del capitalismo.<br />
I valori spirituali, valori collettivi, su cui<br />
impostare ogni esperienza conoscitiva sono gli unici<br />
in grado di riscattare l’indolenza di una cultura<br />
formalista ed individualista. Le culture in declino<br />
non hanno forza creativa, si accontentano di<br />
ricercare l’aspetto formale attraverso l’ideale del<br />
b e l l o a s s o l u t o t r a s f o r m a n d o s i i n c u l t u r e<br />
riproduttive. Nel concetto primitivo, al contrario,<br />
si racchiude l’essenza delle culture “creative”.<br />
Solo loro possiedono unità tra volontà e azione, tra<br />
materia e forma, la rappresentazione rivela la<br />
natura collettiva del sapere attraverso l’opera del<br />
singolo; l’arte, e quindi l’estetica, diventa<br />
esclusivamente un riflesso delle condizioni etiche e<br />
collettivamente condivise di una determinata<br />
cultura.<br />
Secondo Hilberseimer, Nietzsche, istituendo il<br />
principio della distinzione tra Dionisiaco ed<br />
Apollineo, ha quindi restituito dignità alle<br />
manifestazioni artistiche cosiddette primitive,<br />
222<br />
quelle ostracizzate dall’esclusivo ritorno ai canoni<br />
estetici della classicità. In un periodo di evidenti<br />
trasformazioni, Hilberseimer riconosce in questo<br />
principio una possibilità di superamento delle<br />
culture eclettiche e dottrinarie. Solo le culture<br />
primitive, attraverso le loro forme essenziali<br />
d’espressione, possono essere assunte a modello di<br />
comportamento.<br />
La determinazione di Hilberseimer di ricorrere a<br />
forme elementari contrapposte alle immagini<br />
apparentemente raffinate delle cosiddette culture<br />
progredite deve essere ulteriormente messa in<br />
relazione al pensiero di Goethe per il quale la<br />
forma, nel processo di separazione dall’idea per<br />
d i v e n i r e m a t e r i a , s u b i s c e u n p r o c e s s o d i<br />
amplificazione che determina un’alterazione e un<br />
indebolimento rispetto al concetto ideale. L’idea, o<br />
intenzione, aspetto sostanziale di ogni processo<br />
creativo, deve, secondo Hilberseimer(4), essere<br />
formalizzata nella maniera più semplice ed<br />
elementare per ridurre al minimo le distorsioni<br />
dovute al processo creativo. In questa capacità di<br />
contenimento formale, dovuta principalmente alla<br />
resistenza del materiale ad accettare la forma,<br />
forma intesa come foggia apparente di un aspetto<br />
ideale, si rivela la spontaneità e l’autenticità del<br />
risultato artistico e, conseguentemente, l’efficacia<br />
degli strumenti in possesso alla cultura di<br />
un’epoca.<br />
Nell’ambito delle creazioni artistiche, Hilberseimer<br />
assimila la possibilità di sviluppo, concetto<br />
direttamente riferito alla nozione di stile, ad un<br />
aspetto illusorio delle forme espressive, poiché<br />
l’intenzione e la carica primigenia, condizioni<br />
indispensabili per la creazione del nuovo, tendono<br />
ad offuscarsi con il processo soggettivo di<br />
perfezionamento stilistico (5).<br />
L'idea estetica di Hilberseimer, recupera allora il<br />
concetto di caos come forza generatrice del nuovo.<br />
Il Caos conferisce all'agire artistico la tensione<br />
necessaria perchè si generino forze realmente<br />
creative.<br />
Lafayette Park, Detroit, 1955-56
NOTE<br />
1 - LUDWIG HILBERSEIMER, Form und Individuum, in: Der<br />
Einzige, n 3, 1919<br />
2 - LUDWIG HILBERSEIMER, Der Naturalismus und das Primitive<br />
in der Kunst, in: Der Einzige, n. 8, 1919, cito >.<br />
5 - Ibidem, cito: . E ancora continuando il<br />
ragionamento aggiunge: .<br />
223<br />
Progetto per Berlino, 1930<br />
Vorschlag zur Citybebauung, 1923
Frammenti.<br />
224
(…) Come un testo ripetutamente scritto, la città<br />
rivela livelli interferenti, rispondenti a differenti<br />
forme di “paesaggi e di immagini; di antropizzazioni<br />
e di luoghi; di memorie e di segni…..”(1), testimoni<br />
delle molteplici fasi del suo sviluppo. Non semplice<br />
‘superficie’ abitata dunque, ma ‘suolo’ costruito nel<br />
tempo secondo complesse stratificazioni, essa è “….il<br />
risultato di un processo di assimilazione nella<br />
trasformazione e di sedimentazione nel mutamento (2).<br />
Lo stesso termine ‘suolo’, di origine molto antica,<br />
appare legato a un doppio significato, se letto<br />
etimologicamente: da un lato la radice ‘sol’ lo lega<br />
al concetto di ‘soglia’ in quanto tramite, passaggio,<br />
frontiera, di cui rappresenta una determinazione<br />
specifica; d’altro lato la stessa particella lo<br />
conette direttamente al termine ‘solea’, ovvero<br />
suola, impronta, orma del viandante che dis-pone il<br />
passo sui suoli della storia, ogni volta segnandoli,<br />
trasformandoli e costruendoli razionalmente lungo il<br />
cammino. In questo senso il suolo può essere<br />
interpretato come luogo-limite, punto neutro, area<br />
intermedia tra la terra e il cielo, tra il sotto e il<br />
sopra, tra la natura e l’artificio. Un luogo-limite<br />
che segna il passaggio traumatico tra physis (natura)<br />
e techne (cultura), dove in ogni artificio si rivela<br />
il ‘dramma’ stesso della costruzione, che si rinnova<br />
ogni volta nel segno di fondazione dei luoghi. Dunque<br />
s u o l o c o m e ‘ p a l i n s e s t o ’ c o s t r u i t o , m a t e r i a<br />
stratificata, deposito sedimentato di elementi<br />
inerferenti come diagrammi materializzati nel tempo<br />
dai differenti processi di trasformazione. Ma suolo<br />
anche come territorio profondamente scritto, segnato<br />
dalle molteplici vicende che lo hanno de-formato,<br />
Guya Bertelli, FRAMMENTI, scritti di architettura, Milano 2005.<br />
225<br />
segni, tracce, suoli*<br />
solcato,attraversato. Come tale viene letto oggi in<br />
quanto ‘testo’ complesso, segnato da un numero<br />
infinito di ‘segni’, che per essere tradotto ha<br />
b i s o g n o d i u n c o d i c e n u o v o , u n c o d i c e d i<br />
‘traduzione’, capace di interpretare, ogni volta, i<br />
profondi ‘crinali’ che lo hanno definito, le diverse<br />
trame che lo hanno segnato, le molteplici ‘pieghe’<br />
che lo hanno solcato, poiché ogni volta si è trattato<br />
di una-formazione del precedente assetto. Un testo<br />
‘spesso’ dunque, composto da più suoli, sovrapposti,<br />
stratificati, interferenti, per i quali lo ‘scavo’<br />
diviene operazione preliminare di conoscenza,<br />
procedimento selettivo privilegiato che opera per<br />
sezioni, per tagli, per attraversamenti. Proprio lo<br />
‘scavare’ porta infatti alla luce la complessità dei<br />
suoli scoperti, suoli naturali e suoli artificiali,<br />
suoli tecnici e suoli virtuali, i cui segni tuttavia<br />
nascondono una complessità la cui trascrizione<br />
diviene operazione difficile ma necessaria. La stessa<br />
architettura è inscritta, secondo Simmel (3), nella<br />
eterna lotta tra forma creativa e forma distruttiva,<br />
rappresentata dal movimento perenne tra forza<br />
gravitazionale della natura, che spinge verso il<br />
basso e lo “spirito vitale” dell’uomo, che tende<br />
verso l’alto. Un movimento rapresentato in modo<br />
esplicito dall’immagine della ‘rovina’ in quanto<br />
‘materia sospesa’, residuo incompiuto di un’unità<br />
definitivamente perduta: proprio la rovina infatti<br />
“mostra l’equilibrio di questo movimento (…)<br />
equilibrio che manca sia quando l’opera è completa,<br />
poiché piena espressione dello spirito creativo, sia<br />
quando non resta più nulla ed è tornata elemento<br />
naturale” (4).
"Sezione longitudinale della piramide di Cheope", Ghizeh<br />
(Egitto).<br />
"Struttura d’accesso alla grotta di Niaux", Massimiliano<br />
Fuksas, Niaux, (Francia), ,1988.<br />
"Cappella sul monte Rokko", Tadao Ando, Kobe, (Giappone),<br />
1986.<br />
226<br />
Un movimento rapresentato in modo esplicito<br />
dall’immagine della ‘rovina’ in quanto ‘materia<br />
s o s p e s a ’ , r e s i d u o i n c o m p i u t o d i u n ’ u n i t à<br />
definitivamente perduta: proprio la rovina infatti<br />
“mostra l’equilibrio di questo movimento (…)<br />
equilibrio che manca sia quando l’opera è<br />
completa, poiché piena espressione dello spirito<br />
creativo, sia quando non resta più nulla ed è<br />
t o r n a t a e l e m e n t o n a t u r a l e ” ( 4 ) . P r o p r i o<br />
nell’immagine della rovina sembra così riflesso il<br />
s e n s o p r o f o n d o d e l l ’ a r c h i t e t t u r a , p o i c h é<br />
“l’architettura adopera e ripartisce la gravità e<br />
il senso della materia”(5) nella eterna lotta tra<br />
artificio e natura.<br />
(….) Tra distruzione creativa e creazione<br />
distruttiva sembra essersi retto il dramma stesso<br />
dell’umanità, continuamente sospeso tra la volontà<br />
di recidere il legame con il passato rinnovando il<br />
gesto di ‘fondazione del nuovo ’ e la necessità di<br />
trasformarsi attraverso un recupero attivo delle<br />
’ r o v i n e ’ , c a p a c e d i l e g g e r e n e l l e o r m e<br />
profondamente impresse nei suoli della storia le<br />
matrici della sua modificazione futura. Nonostante<br />
una vasta letteratura abbia letto pertanto la<br />
’rovina’ nella sua accezione negativa, in quanto<br />
senso della perdita e dunque della distruzione,<br />
della lacerazione, della dissoluzione, come lo<br />
stesso etimo ricorda (6), la rivisitazione del<br />
termine in senso trasformativo lo interpreta<br />
nuovamente in quanto parte integrante del processo<br />
di trasformazione stesso. Al limite si potrebbe<br />
dire che una vasta parte dell’architettura di<br />
questo periodo appartenga ad un ’immaginario’<br />
figurativo in gran parte ’distruttivo’, legato<br />
cioè ad immagini rispondenti a “figure della<br />
demolizione” (7); un paesaggio “originario”,<br />
s e c o n d o F r a n c o P u r i n i , “ l u o g o i n i z i a l e e<br />
iniziatico di ogni processo trasformativo di un<br />
intorno del mondo fisico” (8).<br />
Le ’rovine’ della storia<br />
Tale asserzione “consente di riconnettersi alle<br />
sorgenti della vicenda evolutiva relativa ad un<br />
determinato contesto permettendo di ricostituire<br />
l’avvio tramite la potenziale ‘riscrittura’ del<br />
‘principio insediativo (…). Essa richiede un<br />
progetto complesso come quello che serve per<br />
costruire (..) perché il suo effetto principale è<br />
quello di provocare una trasformazione semantica<br />
d i t u t t o i l c a m p o e d i l i z i o i n t e r e s s a t o<br />
dall’operazione di ‘sottrazione’ (9). Se il culto<br />
della rovina può apparire un gesto
Se il culto della rovina può apparire un gesto<br />
regressivo dunque, conservativo e passivo, il suo<br />
recupero in quanto principio attraverso cui fondare<br />
il ‘nuovo’ e non solo in quanto testimonianza<br />
d e l l ’ ’ a n t i c o ’ , a s s u m e l a v a l e n z a d i u n<br />
atteggiamento trasformativo, modificativo e<br />
proiettivo: “nella rovina passato e futuro<br />
coincidono”, poiché “la rovina introduce in una<br />
dimensione diversa del tempo, dove s’annulla ogni<br />
gerarchia…” (10). Essendo dunque il progetto<br />
proiezione del futuro, esso non può che nascere dal<br />
“rudere antico che è in noi” (11); non in quanto<br />
‘oggetto’ dimenticato, ma in quanto processo<br />
ritrovato di un “archeologia del futuro” (12), come<br />
recupero dei principi strutturanti. Tra Viollet Le<br />
Duc e Piranesi sembra dunque aprirsi una terza<br />
possibilità, che rilege le tracce della storia non<br />
come restauro o ricomposizione dei suoi frammenti,<br />
né come ‘fascino’ del rudere legittimante la sua<br />
riproduzione; bensì come impronta ancora attiva<br />
capace di rinnovare ogni volta il gestp della<br />
‘costruzione’; proprio attraverso la tra-scrizione<br />
dei segni, profondamente inscritti nelle tracce del<br />
suolo, è possibile rendere nuovamente comprensibile<br />
la ‘foresta pietrificata’ del paesaggio odierno.<br />
Le ‘tracce’ della forma<br />
Traccia come “principio di decifrazione dei<br />
luoghi”, ma anche “traccia come filo di Arianna<br />
nel labirinto urbano”(13), inscrizione profonda<br />
capace di restituire significato e identità alle<br />
singole parti, in quanto geneticamente impressa<br />
nella loro ragione correlativa. In questo senso<br />
torna ad essere “indizio, o insieme di indizi che,<br />
connessi sapientemente da un principio di<br />
‘ragione’, rivelano la struttura profonda di uno<br />
spazio che ad uno sguardo disattento sembrerebbe<br />
frammentario” (14).<br />
Traccia come ‘logos’ della forma, “paradigma<br />
indiziario che si confronta con il carattere<br />
qualitativo degli eventi”(15), facendosi tramite<br />
necessario per il loro riconoscimento. In questo<br />
senso diviene concetto significativo in quanto<br />
operabile progettualmente, poiché la sua capacità<br />
cognitiva si trasforma nel processo in principio<br />
attivo di trasformazione dei luoghi, ora assumendo<br />
il valore di “tracciato”, in quanto “fissazione<br />
della traccia che ne è all’origine”, ora<br />
definendosi come “tracciamento”, in quanto<br />
prefigurazione di una regola di cui esprime il<br />
principio di generalità.<br />
In questo senso diviene matrice generativa dei<br />
nuovi insediamenti” (16), di cui anticipa la<br />
d i s p o s i z i o n e f u t u r a d i v e n e n e d o p r i n c i p i o<br />
insediativo della loro formazione. "Città Proibita", Pechino (Cina).<br />
227
" Santuario di Kompira", Giappone.<br />
"Museo della memoria", Andrea Bruno,<br />
penisola di Maà, (Cipro) 1987.<br />
228<br />
Se la traccia indica ciò che permane nel processo di<br />
costruzione dei luoghi, essa appartiene dunque al<br />
movimento epigenetico della forma, alla sua logica<br />
profonda, di cui eprime fisicamente il segno.<br />
N o n p i ù r i f e r i m e n t o i n a t t i v o , c o m e s o l o<br />
l’atteggametno romantico era in grado di evocare,<br />
richiamando al ‘modello’ in quanto archetipo, ne<br />
‘residualità’ della forma, come nel caso del<br />
frammento, elemento intermedio tra l’univocità della<br />
rovina e la molteplicità del segno.<br />
Traccia invece come elemento ‘formativo’, che supera<br />
l’indeterminazione polisemica del palinsesto urbano<br />
permanendo come inscrizione profonda nel sostrato<br />
generativo dei luoghi, di cui fissa la logica formale<br />
e la complessa sostanza culturale.<br />
Memoria, misura, materiale<br />
Poiché imprime le profonde ragioni del mutamento nei<br />
suoli della storia, l’immagine della ’traccia’ è<br />
legata da un lato ad un principio di ’misura’, in<br />
quanto materiale necessario alla costruzione dello<br />
spazio, d’altro lato ad un principio di ’memoria’ che<br />
ne garantisce la resistenza nel tempo.<br />
Non memoria passiva però, ricordo nostalgico di tempi<br />
perduti e ormai archiviat negli strati profondi della<br />
storia, ma memoria ’viva’, attiva, dinamica, come già<br />
aveva introdotto la filosofia platonica, ponendo una<br />
netta distinzione tra mnemè, ’memoria naturale’ e<br />
hypomnesis, ’memoria artificiale’, coincidente con il<br />
concetto ’scrittura’ (17). Proprio questa distinzione<br />
consente oggi di poter interpretare la ’memoria’ non<br />
in modo univoco, ma in senso lato come processo di<br />
rinnovamento della forma riconoscibile ai differenti<br />
livelli:<br />
- della ’memoria fisica’, in quanto materiale di<br />
conoscenza che procede per confronto tra riferimenti<br />
formali, assetti fisici, elementi spaziali che, anche<br />
se distanti, vengono nuovamente messi in relazione<br />
p r o p r i o g r a z i e a l l ’ a t t o m n e m o n i c o , p o i c h é<br />
simultaneamente appartenenti ad un medesimo tempo<br />
storico;<br />
- della ‘memoria culturale’, in quanto riconoscimento<br />
di eventi sociali accaduti nello spazio e memorizzati<br />
nel tempo, e dunque resi universalmente noti proprio<br />
attraverso il processo di memorizzazione dell’evento<br />
stesso; processo estremamente evidente nei rituali di<br />
passaggio, che rinnovano il riconoscimento del luogo<br />
nella ’ripetizione’ temporale del gesto;<br />
- della ’memoria genetica’ infine, impressa nelle<br />
tracce profonde che segnano i suoli della storia,<br />
ogni volta richiamate nell’atto progettuale, unico in<br />
grado di riattivarne la contemporaneità attuando e<br />
rendendo ’viva’ la potenzialità trasformativa
latente (….). Oggi il significato della memoria<br />
viene messo in crisi dalla crescente accelerazione<br />
degli eventi, prodotta dai noti processi di<br />
informatizzazione e tecnologizzazione. Riassorbita<br />
nelle memorie artificiali dei media e dei computer,<br />
“l’identità sociale memorizzata dalla società<br />
tradizionale sembra aver cessato di esistere” (18),<br />
e con essa il significato di memoria corporea,<br />
regolata e normalizzata dal flusso del tempo. Mentre<br />
il concetto di città si indebolisce dunque<br />
nell’immagine globale della ’città universale’,<br />
torna ad essere importante rivelare le specificità<br />
dei segni impressi nella storia, unica a poter<br />
resistere a questo processo di annullamento<br />
generalizzato. Solo in questo modo le tracce<br />
geneticamente impresse nella memoria dei luoghi<br />
possono diventare, se riportate alla luce, la chiave<br />
di decifrazione del labirinto urbano e dunque<br />
l’inizio della sua trasformazione futura. Poiché<br />
proprio la memoria dei luoghi, resa nuovamente<br />
attiva dell’evento progettuale, agisce sulle<br />
variazioni di forma, rinnovando quel passaggio che<br />
lega l’assetto precedente a quello futuro, in virtù<br />
di una nuova configurazione riconoscibile come<br />
variazione strutturale.<br />
NOTE<br />
1 - Mario G. Cusmano, Misura misurabile, Franco Angeli,<br />
Milano 1997, p. 31<br />
2 - Mario G. Cusmano, ibidem, p. 35<br />
3 - G. Simmel, Cultura filosofica, 1911<br />
4-5 - P. Panza, G. Simmel, Die Ruine, Estetica ed<br />
architettura, Milano 1998<br />
6 - Ruinam da ruere: precipitare, cadere giù crollare<br />
7 - A. Criconia (a cura di) “Figure della demolizione”, Costa<br />
& Nolan, Genova-Milano 1998<br />
8 - F. Purini, “Costruire la demolizione”, in: “Figure della<br />
demolizione”, cit, pag. 77<br />
9 - F. Purini, cit<br />
10 - A. Anselmi, in: C. Conforti (a cura di), Alessandro<br />
Anselmi, 1995<br />
11 - A. Anselmi, cit<br />
12 - S. Crotti, Verso un’archeologia del futuro urbano, in<br />
Urbanistica n. 88, aprile 1987<br />
1 3 - S . C r o t t i , S t r a d e , f r o n t i e r e i n t e r n e d e l l a<br />
trasformazione urbana, im Urbanistica n. 83, Maggio 1986<br />
14 - F. Zanni, Scritti d architettura (a cura di M. Tadi),<br />
Milano 1998<br />
15 - F. Zanni, ibidem<br />
1 6 - S . C r o t t i , S t r a d e , f r o n t i e r e i n t e r n e d e l l a<br />
trasformazione urbana, cit.<br />
17 - F. Choay, “L’orizzonte del posturbano” (a cura di E.<br />
D’Alfonso), Officina Edizioni, Roma 1992<br />
18 - F. Choay, “L’orizzonte del posturbano”, cit.<br />
229<br />
Le Corbusier, Piano per Algeri
Tela.<br />
230
231<br />
Aldo Rossi, Tessiture Sarde<br />
Per 25 anni, fino alla sua morte e senza nessun<br />
clamore, Aldo Rossi ha frequentato la Sardegna. Qui,<br />
spesso incredulo, accompagnato dall'amico Bimbia<br />
F r e s u , h a i n c o n t r a t o o p e r e m i l l e n a r i e c h e<br />
risuonavano negli archetipi della sua architettura;<br />
ha scoperto luoghi e costruzioni antichissime che<br />
sembravano conferme esemplari dei suoi studi di<br />
analisi urbana. Seguendo un filo mai interrotto con<br />
l'isola, Rossi ha dato forma con il linguaggio della<br />
tessitura alla ricerca di una geometria "disfatta".<br />
Nella composizione dei suoi tappeti si può infatti<br />
cogliere l'espressione di quell'ordine "meno<br />
astratto e definitivo" che andava indagando nei suoi<br />
ultimi lavori.<br />
“Un mondo vivente e nel contempo scomparso, di una<br />
bellezza che no possiamo misurare con il metro<br />
classico… come i cocci e i vetri che si trovano<br />
nella sabbia collegati tra loro solo dalla<br />
d i s t r u z i o n e , i n c a p a c i d i f o r n i c i i l s e n s o<br />
dell'ordine perduto. Così la mia geometria si<br />
sgretolava. Oppure cresceva in modo singolare come<br />
capita al corpo dei ragazzi dopo una lunga febbre. I<br />
miei primi disegni erano esaltati da questo stato<br />
febbrile e si rivelava come l'ordine di queste<br />
composizioni non cercasse certo disordine, come<br />
possono credere gli stolti, ma un ordine meno strato<br />
e definitivo. Il tutto si ricompone soltanto nel<br />
monumento di Santa Cristina dove la discesa<br />
nell'acqua avviene in forme geometriche assolute che<br />
riscattano il disegno osteologico dell'intorno<br />
nuragico. In questo tempo immobile la genesi e la<br />
storia sono solo disagio. Cerco di capire le cose<br />
come gli gnostici, privilegiando il fenomeno in sè,<br />
piuttosto che la sua genesi e la sua estensione. Non<br />
so come e se da tutto questo e altro ancora siano<br />
nati i disegni dei tappeti nuragici.”<br />
(Aldo Rossi, la cifra del tappeto, in Aldo Rossi<br />
Tessiture Sarde, 1988)
Tappeto, Aldo Rossi
Tappeto, Aldo Rossi
micro-urbanistica soffice<br />
234<br />
Una delle suggestione che sempre mi ha colpito di<br />
Aldo Rossi è il senso della "lontananza". Ovvero lo<br />
scarto metafisico rispetto alla durezza del mondo<br />
reale e l'evocazione di scenari lontani e immobili,<br />
dove finalmente esistano l'arcadia e la pace. Un<br />
coinvolgimento cioè nelle geometrie e nei colori<br />
delle proto-forme architettoniche, assunte come<br />
garanzie di racconto con<br />
la profondità della storia. Garanzie reperite anche<br />
nella poetiche delle materie e nelle tecniche<br />
anch'esse basiche e lontane, così distanti da<br />
risultare incontaminate e pure, come partecipi<br />
della geografia e della crosta terrestre.<br />
Lontananza fuori dalla violenza del tempo corrente,<br />
ma dentro la misura senza mutamento della<br />
grandiosità dello spazio. Leggo in quest'ottica<br />
l'eccezionale sequenza dei "tappeti sardi" di<br />
Rossi, espressi come un infinito viaggio disegnando<br />
con la lana a volo d'uccello sopra le sue più amate<br />
forme architettoniche, sopra i nuraghi e la<br />
Sardegna. Mi ricorda qualcosa di diminuente<br />
intenso, quando chiedemmo ad Aldo di disegnare una<br />
caffettiera: anche quella occasione innescò in lui<br />
un forte innamoramento, che diede luogo ad infiniti<br />
disegni con skyline di città lontane, protette da<br />
enorme caffettiere fatte come cupole. L'artigianato<br />
del tappeto sardo è basico, profondo e schematico,<br />
e queste virtù bene le ha capite Aldo nel collegare<br />
il proprio stile allo stile sardo, un rapporto<br />
misterioso che raramente riesce fra il genius lochi<br />
e il progettista distante. Il piacere, forse<br />
irraggiungibile nel reale, di vedere calpestata e<br />
vissuta la propria "micro-urbanistica soffice",<br />
penso abbia ispirato questi tappeti finora quasi<br />
sconosciuti. Indubbiamente questa serie è un<br />
capolavoro che mostra pure un aspetto nascosto<br />
della sua opera, quello della tenerezza. Che alla<br />
fine però si trasforma e si ribalta in una<br />
rappresentazione tragica nell'ultimo trittico<br />
chiamato Prima della storia, dove una calligrafia<br />
ipnotica, quasi da grafitista, rappresenta agitati<br />
cumuli di ossa compressi in abitacoli strettissimi:<br />
il tappeto sotto il tappeto.<br />
di A. Mendini da Domus, Speciale Sardegna, marzo<br />
2006
Tappeto “I Nuraghi”, Aldo Rossi<br />
235
Tesi.
<strong>Primitivo</strong>.<br />
l’Architettura deve tornare alle origini.<br />
238
239<br />
Autenticità<br />
Una splendida espressione che di coltivava con<br />
fervore ai tempo della civiltà era: "l'autentico".<br />
Spesso lo mettevano in connessione strettissima con<br />
in altro termine che ci era caro: "l'origine".<br />
Avevamo questa idea che in profondità, all'origine<br />
delle cose e dei gesti, dimorasse il luogo aurorale<br />
del loro affacciarsi alla creazione: lì, dove essi<br />
iniziavano, si porgeva scorgere il loro profilo<br />
"autentico". Lo immaginavamo, ovviamente, alto e<br />
nobile: e si misurava la tensione morale di un gesto<br />
o di un'idea o di un comportamento proprio misurando<br />
la sua prossimità all'autenticità originaria. Era un<br />
modo modo di impostare le cose piuttosto fragile, ma<br />
era chiaro, e felicemente normativo. Faceva<br />
intravedere una regola: ed era una regola "bella".<br />
Esteticamente apprezzabile, e dunque in qualche modo,<br />
fondata.<br />
Ma adesso? Se c'è una cosa che i barbari tendono a<br />
polverizzare sono proprio le nozioni di autentico e<br />
di origine. Sono convinti che il senso si sviluppi<br />
solo dove le cose si mettono in movimento, entrando<br />
in sequenza le une con le altre, per cui la categoria<br />
di "origine" suona loro piuttosto insignificante. E'<br />
quasi un luogo di immobile solitudine in cui il senso<br />
delle cose è ancora tutto da venire. Dove noi<br />
v e d e v a m o i l n i d o s a c r o d e l l ' a u t e n t i c o ,<br />
dell'originario, loro vedono l'antro di una<br />
preistoria in cui il mondo è poco più che una<br />
promessa. Dove noi collocavamo l'esistere per<br />
l'eccellenza, autentico e puro, loro leggono soltanto<br />
un iniziale momento di pericolosa fragilità: la forza<br />
del senso, per loro, è altrove. E' dopo.<br />
A. Baricco, I barbari, Feltrinelli, 2006.
Paesaggio primitivo.<br />
240
241<br />
Metamorphose<br />
il quadrato deve tornare quadrato
Ombre.<br />
Paesaggi con ombra e paesaggi senza ombra.<br />
Escher, Day and Night, 1938.<br />
242
Le ombre diventano uno strumento di analisi<br />
morfologica e insediativa in un suolo composto da<br />
impronte del viandante e paesaggi senza ombra in<br />
cui la physis (natura) incontra la techne<br />
(cultura).<br />
i paesaggi con ombra quali case. edifici. salite. e<br />
costruzioni deli uomini si intrecciano con quelli<br />
senza ombra dei campi. delle strade. del movimento.<br />
e dalla loro unione nascono altri paesaggi. dove<br />
hanno luogo incontri chiacchere giochi litigi<br />
invidie corteggiamenti e orgoglio. luoghi. che in<br />
quanto tali avranno una loro riconoscibilità.<br />
memoria. e identità.<br />
243
il Potenziale.<br />
carattere individuale di un paesaggio.<br />
244
245<br />
ogni paesaggio dev’essere trasformato.<br />
continuamente.<br />
l’idea di potenziale espressivo del paesaggio è<br />
ciò che permette di pensare che la radice della<br />
bellezza r della disarmonia di un luogo sia da<br />
rintracciarsi appunto nel riconoscimento o nel<br />
m i s c o n o s c i m e n t o d e l “ c a r a t t e r e<br />
individuale” (genius) del luogo: nell’accordarsi o<br />
generare cacofonie.<br />
il progetto potrebbe esser la realizzazione di un<br />
dialogo con il luogo, di una relazione con”ciò che<br />
vuole” il luogo e suggerisca la memoria inserita<br />
in esso.<br />
ma il termine “potenziale” sottolinea come la<br />
relazione non sia affatto da pensarsi in termine<br />
di determinismo, e come, almeno entro certi<br />
limiti, l’interpretazione possa essere rinnovata e<br />
approfondita, con sempre nuovi (ma consonanti)<br />
arricchimenti.
desiderio.<br />
la terra deve ritornare ai contadini.<br />
246<br />
Murales di Orgosolo, Sardegna
247<br />
Murales di Orgosolo, Sardegna.
verso un’agricoltura urbana.<br />
progetti città-campagna.<br />
248<br />
Escher, Puddle, 1952
249<br />
Oggi l’agricoltura urbana torna ad essere oggetto<br />
d i s t u d i o p e r i r i c e r c a t o r i , s t u d i o s i ,<br />
pianificatori e architetti. “Utilizzato nei paesi<br />
in via di sviluppo, il concetto di urban<br />
agricolture designa tutte le attività agricole<br />
intra- e peri urbane con finalità precipuamente<br />
alimentari” scrive Pierre Donadieu sottolineando<br />
la volontà di valorizzazione dell’agricolo in<br />
rapporto alla “domanda economica, ecologica,<br />
sociale e culturale del mercato cittadino vicino<br />
ai luoghi di produzione”. Partendo da analisi<br />
svolte a scala globale atte a definire i caratteri<br />
e i connotati dell’agricoltura urbana emergono<br />
alcune pratiche volte a creare un interazione<br />
città-campagna. Si possono distinguere tre filoni<br />
di ricerca e sperimentazione volte al ripensamento<br />
del rapporto città-campagna che si concretizzano<br />
in forma di diversi interventi e progetti.<br />
Appendice della città, la campagna doveva essere<br />
addomesticata, colonizzata, annessa alla vita<br />
urbana” per cui il legame città campagna è<br />
strettissimo e risale alle prime definizioni del<br />
concetto di campagna, termine introdotto in<br />
rapporto alla città.
progetti.<br />
Esempi di progetti integrati città- campagna<br />
La sezione “esempi di progetti integrati città-<br />
campagna” del sito è rivolta all’identificazione di<br />
piu’ declinazioni dell’agricoltura urbana: l’<br />
interpretazione e la lettura del territorio rurale,<br />
l’utilizzo della risorsa tempo libero e la<br />
produzione, intesa come domanda di prodotti<br />
alimentari che si concretizzano nell’offerta di<br />
circuiti brevi di commercializzazione o attività di<br />
raccolta diretta nei campi (modello pick your own di<br />
alcune tipologie di intervento in forma di progetti<br />
ipotizzati e realizzati, alle diverse scale e in<br />
diversi ambiti europei). Questa analisi intende<br />
evidenziare i caratteri comuni ai diversi interventi<br />
alle diverse scale del progetto, nella definizione di<br />
un nuovo scenario progettuale legato allo spazio<br />
rurale ripensato in funzione dei cambiamenti di tale<br />
aree nel terzo millennio “La pianificazione di<br />
campagne urbane attorno alle città presuppone il<br />
ricorso a forme di agricoltura urbana ma anche<br />
periurbana e rurale, e soprattutto la capacità di<br />
costruire relazioni sensibili con lo spazio rurale,<br />
tali da consentire la definizione di una nuova<br />
ruralità non piu’ limitata alle mere attività<br />
agricola e forestale.”<br />
Da un analisi di diversi approcci disciplinari si<br />
delineano alcune linee di pensiero che rimettono in<br />
discussione il rapporto tra città e campagna e<br />
introducono un nuovo modo di avvicinarsi al progetto<br />
dell’agricoltura urbana. Analizzando i diversi<br />
progetti a livello europeo e nello specifico anche<br />
alcuni progetti relativi all’area metropolitana<br />
250<br />
Milanese si cerca di definire quali sono gli approcci<br />
oggi utilizzati.<br />
Interpretazione e lettura del territorio rurale<br />
Il primo approccio riguarda l’ interpretazione e la<br />
lettura del territorio rurale, a questo proposito<br />
emergono alcuni interventi significativi a livello di<br />
analisi territoriale come la Barcelona Land Grid<br />
(1996-1999) di Actar Architectura, presentato in<br />
occasione della mostra: “1856-1999 : Barcelona<br />
Contemporania” tenuta al Contemporary Cultural Centre<br />
in Barcelona, nel 1995. Appare una mappatura del<br />
territorio agricolo che rivela la presenza di una<br />
griglia basata su infrastrutture ed orientata al<br />
paesaggio, fortemente legata alla geografia e<br />
articolante il territorio. Un altro progetto di<br />
questa sezione è il parco Unimetal, Caen Francia, di<br />
Dominque Perrault. Il progetto si colloca in unarea<br />
di 700 ettari che dopo la dimissione di un’industria<br />
metallurgica è rimasta libera. La proposta di<br />
progetto introduce una griglia geometrica con un<br />
orditura di 100metri per 100 metri, che organizza il<br />
disegno del parco e definisce un “pre-paesaggio” Il<br />
parco è disegnato da pochi elementi, la grigia, un<br />
vuoto centrale ed un viale alberato. Nella griglia<br />
vengono ipotizzate colture e orditure differenti. Il<br />
disegno del rurale in questo caso è dato “a priori”.<br />
Si evidenzia da questi esempi progettuali la<br />
necessità di ridare un valore figurativo alla<br />
rappresentazione del rurale che permetta di far<br />
emergere le relazioni con il contesto relazionale e<br />
circostante. condizione di possibilità di ogni<br />
pratica e percezione paesistiche.”
Altre tendenze emergono nella progettazione del<br />
paesaggio rurale, nelle pratiche di progetto<br />
applicate, e si concretizzano nell’utilizzo della<br />
risorsa tempo libero e produzione. Il tempo libero<br />
comprende sia servizi di natura pedagogica, come<br />
visite alle fattorie, turistico ricettiva, come<br />
agriturismi e industria alberghiera e ricreativa<br />
nella tutela e valorizzazione dei paesaggi rurali<br />
(caccia pesca, paesaggi minimi, frequentazione per<br />
svago). Per incentivare la frequentazione vengono<br />
proposte iniziative legate alla land-art, come<br />
l’installazione di Marta Swartz a Mechtenberg,<br />
nell’Emscher Park. L’intervento fa parte di un piu’<br />
ampio progetto di riqualificazione legato alla<br />
creazione di parchi a livello regionale e copre un<br />
area di 290 ettari dove viene sperimentato<br />
l’utilizzo di installazioni che uniscano all’uso<br />
agricolo la risorsa tempo libero: l’arte opera<br />
direttamente sulla base naturale “ in situ”. In<br />
tempi piu’ recenti le pratiche di progetto di<br />
paesaggio rurale prevedono la valorizzazione del<br />
prodotto, inteso sia come prodotto alimentare che<br />
nell’agricoltura peri urbana è tradizionalmente<br />
focalizzato sui prodotti freschi e fragili<br />
(agricoltura, orticoltura), sia come prodotti legati<br />
all’ecologia come il bio- diesel e bio-carburanti.<br />
Una suggestione arriva dagli Flk, presentata alla<br />
b i e n n a l e d i A r c h i t e t t u r a 2 0 0 7 , “ C i t t à e<br />
trasformazioni” Il progetto riguarda gli spazi<br />
rurali in Irlanda e prevede una rete stradale, con<br />
corsie per mezzi pubblici ed aree agro-energetiche<br />
necessarie al servizio pubblico.<br />
Infine l’agricoltura urbana si presta all’offerta di<br />
servizi legati all’ecologia, come il riciclo dei<br />
rifiuti e la fito depurazione. Esemplari sono i<br />
p r o g e t t i d i V i e t N g o e L e m n a C o r p o r a t i o n<br />
rispettivamente a Boulder City, Nevada e a<br />
Gorgonzola, Italia. I progetti con tecnologia Lemna<br />
System sono disegnati come “corridoi verdi”e segni<br />
riconoscibili nel paesaggio ed allo stesso tempo<br />
permettono il processo di depurazione delle acque.”<br />
L a s f i d a è t r a s f o r m a r e q u e s t i p r o g e t t i i n<br />
significative e interessanti parti del nostro<br />
paesaggio” scrive Viet Ngo.<br />
251<br />
le ipotesi tempo libero,<br />
ecologia e produzione.<br />
Intervento di Martha Swartz<br />
Progetto di Viet Ngo
un riferimento imprescindibile<br />
Réaménagement du site UNIMETAL,<br />
Caen<br />
di Dominique Perrault<br />
Il progetto si colloca in un’area di 700 ettari che<br />
dopo la dimissione di un’industria metallurgica è<br />
rimasta libera. La proposta di progetto introduce<br />
una griglia geometrica con un orditura di 100metri<br />
per 100 metri, che organizza il disegno del parco e<br />
definisce un “pre-paesaggio” Il parco è disegnato<br />
da pochi elementi, la grigia, un vuoto centrale ed<br />
un viale alberato. Nella griglia vengono ipotizzate<br />
colture e orditure differenti. Il disegno del<br />
rurale in questo caso è dato “a priori”. Si<br />
evidenzia da questi esempi progettuali la necessità<br />
d i r i d a r e u n v a l o r e f i g u r a t i v o a l l a<br />
rappresentazione del rurale che permetta di far<br />
emergere le relazioni con il contesto relazionale e<br />
circostante. Nasce una nuova estetica del rurale<br />
volta a elaborare dei modelli rappresentativi<br />
autonomi attraverso cui lo sguardo, intriso di tali<br />
modelli, agisce indirettamente sul paesaggio (in<br />
visu) e restituisce la nozione di “nature<br />
artialisèe”, artificiata. “L’ artificiazione è<br />
dunque la condizione di possibilità di ogni pratica<br />
e percezione paesistiche.”<br />
252<br />
Modello e planimetria Reamenagement du site Unimetal, Caen
253<br />
dettagli.<br />
Réaménagement du site UNIMETAL,Caen<br />
di Dominique Perrault
desiderio.<br />
smilitarizzazione.<br />
254<br />
Murales di Orgosolo, Sardegna
Murales di Orgosolo, Sardegna<br />
255
manifestazione di un desiderio.<br />
So elli<br />
Figlioli di stu sole chì piccia le cuscenze<br />
E scrivenu a storia contr'a le preputenze<br />
Fratelli di stu ventu chi porta le sperenze<br />
Di populu Corsu elli so le sustenze<br />
Anu fattu a scelta di campà per dumane<br />
Acelli di a notte ch'un temenu L'arcane<br />
A l'orlu di a machja Quandu s'arriza a mane<br />
Stendenu lu volu versu d'altre montagne<br />
Sò elli<br />
E si tù è so eiu à porghjelli la manu<br />
E simu centu milla è un populu sanu<br />
Quandu fiurisce a machja à l'entre di lu branu<br />
A custruì l'avvene è suminà lu granu<br />
Sò elli è simu noi machjaghjolu è cappiaghju<br />
Fiaccule mai spente da sparghje lu messaghju<br />
In lettere di focu à lu mese di maghju<br />
Quandu a la turchina cumminciò lu viaghju<br />
Sò elli<br />
Senza mai stancià nè mai rifiatà<br />
Cumbattenti d'onore di Santa Lihertà<br />
Parechji sò spariti à o fior' di l'età<br />
Surghjent'è acque linde di lu fium'unità<br />
Parechji sò spariti à o fior' di l'età<br />
Surghjent'è acque linde di lu fium'unità.<br />
256
la prima volta in cui proposi quest’idea al Prof.<br />
Stevan mi sentii rispondere che “ormai non ci sono più<br />
i contadini..”<br />
è vero. ma solo in parte.<br />
non vi sono più i contadini. di un tempo.<br />
e soprattutto questo non significa che anche<br />
l’agricoltura sia morta. tutt’altro.<br />
oggi. come mai. se ne avverte il bisogno.<br />
la necessità di un ritorno.<br />
ma se ci affidassimo solo ed esclusivamente ad un<br />
nostalgica speranza ricadremmo nella visione opposta<br />
della tesi.<br />
l’idea di ricercare altrove “le mani” pare invece<br />
essere tutt’oggi l’unico appiglio a cui aggrapparsi.<br />
e forse rappresenta anche un gran passo nell’evoluzione<br />
della civiltà.<br />
il sistema delle carceri italiani è un fallimento<br />
culturale ancor prima che economico.<br />
va rivisto.<br />
257
Oggi in Cina vi sono almeno 1045 LAOGAI, dove<br />
milioni di uomini donne e bambini sono condannati ai<br />
lavori forzati a vantaggio economico del regime<br />
comunista cinese e di numerose multinazionali che<br />
investono o producono in Cina.<br />
Mao Zedong inaugurò i LAOGAI nel 1950, seguendo il<br />
modello staliniano dei GU-LAG. Mentre i LAGER<br />
nazisti furono chiusi nel 1945 ed i GU-LAG sovietici<br />
sono in disuso dagli anni ’90, i LAOGAI cinesi sono<br />
tuttora operanti. La parola LAOGAI è in realtà una<br />
sigla ricavata da “LAODONG GAIZAO DUI” e significa<br />
“riforma attraverso il lavoro”.<br />
I LAOGAI sono tuttora strettamente funzionali allo<br />
stato totalitario cinese per un doppio scopo: a.<br />
perpetuare la macchina dell’intimidazione e del<br />
terrore, con il lavaggio del cervello per gli<br />
oppositori politici; b. fornire un’inesauribile<br />
forza lavoro a costo zero. Le condizioni di vita nei<br />
LAOGAI sono orribili. L’orario di lavoro arriva fino<br />
a 16 ore al giorno, secondo il tipo di attività<br />
praticata (industria, campi o miniere). Sicurezza ed<br />
igiene non esistono. Il giaciglio è sulla nuda<br />
pietra. Il cibo è inadeguato e sempre somministrato<br />
in proporzione al lavoro eseguito. La fame è la<br />
fedele compagna del detenuto. Fortunato chi lavora<br />
nei campi perché può trovare serpenti, rane e tane<br />
di ratti con chic¬chi di soia o grano per sfamarsi.<br />
Sfortunato il detenuto che lavora nell’industria in<br />
città. I pestaggi e le torture sono all’ordine del<br />
giorno. Frequenti le scariche elettriche e la<br />
sospensione per le braccia. Manfred Nowak, inviato<br />
delle Nazioni Unite che ispezionò nel dicembre 2005<br />
alcune prigioni in Cina, ha denunciato il continuo<br />
abuso della tortura e chiesto al Governo di Pechino<br />
di eliminare le esecuzioni capitali per crimini non<br />
violenti o per ragioni economiche. Nel suo rapporto<br />
del 10 marzo 2006 ha denunciato anche le confessioni<br />
estorte con la tortura. Le punizioni nei LAOGAI<br />
includono pure l’isolamento forzato per numerosi<br />
258<br />
un’esperienza. i laogai cinesi.<br />
giorni, quasi sempre senza cibo, in cellette di<br />
circa due-tre metri cubi, in compagnia dei propri<br />
escrementi. Non è sorprendente che tale clima di<br />
abusi, fame, continui maltrattamenti e vessazioni<br />
induca i detenuti persino al suicidio.<br />
La peculiarità del sistema LAOGAI, rispetto ai<br />
precedenti modelli sovietici e nazisti, è il<br />
sistematico lavaggio del cervello del detenuto.<br />
Questo si attua mediante l’indottrinamento politico<br />
quotidiano sulle verità infallibili del comunismo e<br />
mediante l’autocritica. L’indottrinamento politico<br />
si effettua con “sessioni di studio” giornaliere,<br />
che hanno luogo dopo le lunghe e dure ore di lavoro<br />
forzato. L’autocritica ha, invece, luogo davanti ai<br />
sorveglianti ed agli altri detenuti ed è finalizzata<br />
a “riformare” la personalità di chi si auto-accusa.<br />
Innanzitutto si devono elencare e analizzare le<br />
proprie colpe. Successivamente ci si deve accusare<br />
pubblicamente di averle commesse, procedendo alla<br />
riforma della propria personalità, per diventare una<br />
“nuova persona socialista”. E’ necessario infine<br />
mostrare - con i fatti - la propria lealtà al<br />
Partito, spesso denunciando i propri amici e<br />
parenti, i quali a loro volta sono costretti ad<br />
accusare e condannare il detenuto.<br />
Tutto ciò continua ancora oggi, nel terzo millennio.<br />
Lu Decheng, uno dei tre famosi giovani che<br />
lanciarono gusci d’uova pieni di vernice sul<br />
ritratto di Mao Zedong in Piazza Tian An Men il 23<br />
maggio del 1989, detenuto nei LAOGAI per 9 anni,<br />
durante la sua intervista con l’agenzia di stampa<br />
Asianews, il 4 giugno 2007, illustra la sua<br />
esperienza nei LAOGAI. Ha detto Lu Decheng “Ho<br />
passato 9 anni in un laogai (campo di lavoro<br />
forzato, di “riforma attraverso il lavoro”). Era in<br />
realtà una fabbrica che produceva autoveicoli.<br />
Eravamo costretti al lavoro forzato per 15-16 ore al<br />
giorno.. Dopo il lavoro dovevamo seguire le<br />
‘sessioni di studio’, di indottrinamento forzato,
dovevano trasformarci in persone fiduciose nel<br />
socialismo. La situazione oggi in molte fabbriche<br />
della Cina è come ai lavori forzati.<br />
Tuttora gli arresti e le uccisioni nei LAOGAI<br />
continuano.<br />
Una parte della grande struttura dei LAOGAI si<br />
chiama LAOJIAO (Laojiaosuo o rieducazione attraverso<br />
il lavoro). Il LAOJIAO è un sistema di “detenzione<br />
amministrativa” per cui si può essere imprigionati<br />
direttamente dalla polizia senza nessuna sentenza,<br />
fino a 3 anni. Il LAOJIAO è infatti, principalmente,<br />
usato per le persecuzioni contro dissidenti,<br />
religiosi e credenti di tutte le religioni.<br />
Il Governo Cinese ha recentemente comunicato una<br />
proposta di legge che riformera’ il sistema dei<br />
campi di lavoro forzato, LAOJIAO. Secondo Amnesty<br />
International, però, il tema della riforma della<br />
“rieducazione attraverso il lavoro” (LAOJIAO) è<br />
nell’agenda legislativa cinese da oltre due anni.<br />
Nel suo comunicato del 18 ottobre 2007, la stessa<br />
organizzazione ha chiesto al Comitato Permanente del<br />
Congresso Nazionale del Popolo di garantire che<br />
qualsiasi normativa sostituisca quella oggi in<br />
vigore sia perfettamente in linea con gli standard<br />
internazionali sui diritti umani, compresi il<br />
diritto a un giusto processo e la libertà dagli<br />
arresti arbitrari.<br />
Purtroppo spesso le “riforme” proposte all’interno<br />
del regime cinese sono solo modifiche cosmetiche<br />
dirette alla “ricostruzione di immagine” del paese,<br />
che deve apparire “armonioso” in ogni suo aspetto.<br />
Infatti, secondo un articolo di Voice of Asia del 1°<br />
marzo 2007. Luo Gan, capo della Commissione<br />
Giustizia, ha confermato l’importanza di mantenere<br />
il sistema del LAOJIAO.<br />
Il LAOJIAO è lo strumento prioritario di repressione<br />
contro il Falun Gong, una pratica religiosa cinese<br />
con elementi di confucianesimo, buddismo, taoismo ed<br />
esercizi fisici. Infatti, dal 1999 è in corso una<br />
durissima persecuzione contro i Falun Gong, che<br />
vengono arrestati e uccisi e i cui organi,<br />
principalmente il fegato, i reni e la cornea,<br />
vengono venduti a clienti cinesi, asiatici e<br />
o c c i d e n t a l i p e r a l t i p r o f i t t i . L a s t a m p a<br />
internazionale, il Congresso USA e numerosi politici<br />
hanno denunciato questo crimine.<br />
David Kilgour, ex segretario di stato canadese, e<br />
David Matas, avvocato, hanno pubblicato un rapporto<br />
sulla “Conferma di espianti di organi a praticanti<br />
del Falun Gong”. Questo rapporto è stato rivisto ed<br />
aggiornato nel gennaio 2007.<br />
Come abbiamo detto, il secondo scopo dei LAOGAI è<br />
quello di fornire un’enorme forza lavoro a costo<br />
zero. L’importanza economica dei LAOGAI per il<br />
regime cinese è anche fondamentale per conquistare i<br />
259<br />
mercati stranieri. Mentre, inizialmente, la<br />
produzione nei LAOGAI riguardava articoli e prodotti<br />
di facile esecuzione, destinati soprattutto al<br />
mercato interno, oggi, nei LAOGAI si produce di<br />
tutto: giocattoli, scarpe, articoli per la casa,<br />
mobili, macchinari di ogni genere, prodotti tessili<br />
ed agricoli, computer, componenti elettronici,<br />
autobus, etc., coprendo ogni settore merceologico.<br />
La produzione ora non è più solo per il mercato<br />
interno, ma soprattutto per l’esportazione.<br />
Poiché nasce da una forza lavoro a costo zero, la<br />
produzione dei LAOGAI è in continua crescita. In<br />
Cina vige ancora la dittatura del Partito Comunista<br />
che controlla i tre poteri, legislativo, esecutivo e<br />
giudiziario. Il sindacato, di proporzioni minime con<br />
centoquarantamila membri su una popolazione di oltre<br />
un miliardo e trecento milioni di persone, è anche<br />
sottoposto al regime. Il lavoratore senza diritti è,<br />
quindi, anche senza difesa.<br />
Escher, Relativity, 1953
un diario.<br />
di Federico Nicolaci<br />
mi ha profondamente commosso questo diario.<br />
scritto durante il periodo di permanenza nell’ospedale<br />
psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere<br />
in provincia di Mantova.<br />
vivere in un stanza. misurare ogni singola parola.<br />
restare. venir legati. drogati. non mollare. neppure<br />
quando tutti intorno a te cercano di convincerti che<br />
sei pazzo. mi ha ricordato un passo de -Il silenzio<br />
delle allodole-.<br />
“una volta mia nonna mi disse che imprigionare<br />
un'allodola è una delle cose più crudeli che si<br />
possano fare. me ne parlava spesso. mi raccontò la<br />
storia di un uomo che ne aveva rinchiuso una in una<br />
gabbia miniscola. l'allodola soffriva perchè non era<br />
più libera. e non cantava più perchè non era più<br />
felice. ci provò in tutti i modi..<br />
eppure lei si rifiutò ancora di cantare. non le diede<br />
più nulla da mangiare. non pulì più la gabbia. lasciò<br />
che lei marcisse nello sporco.<br />
nonostante tutto l'allodola restò muta.”<br />
e nel silenzio Federico trovò sfogo nella scrittura.<br />
nel disegno. sublime. di chi ha visto “qualcosa”..<br />
le sue parole. i suoi schizzi. mi hanno fatto aprire<br />
gli occhi su tanti temi. tra cui il ruolo di grande<br />
responsabilità che l’architetto ha all’interno della<br />
società. delegato a ben altri disegni più grandi.<br />
già. ne son sempre più convinto.<br />
l’architetto deve tornare a dar forma ai desideri<br />
della gente come Federico. e oggi in questo scritto io<br />
cerco di dargli giustizia..<br />
260
261
262
263
perchè parlare dell’inferno.<br />
il passo dell’allodola citato prima racconta la<br />
storia di Bobby Sands. pubblicata interamente in -Un<br />
giorno della mia vita- sottotitolato -L'inferno del<br />
carcere e la tragedia dell'Irlanda in lotta.-<br />
(Feltrinelli, Milano marzo 1996).<br />
Nell’introduzione Sean MacBride scrive:<br />
"Risolvete, o saggi uomini, quest'enigma:<br />
Che accadrà se il sogno si avvera?<br />
Che accadrà se il sogno si avvera?<br />
E se milioni di non nati dimorassero<br />
Nella casa cui ho dato forma nel mio cuore,<br />
La nobile casa dei miei pensieri?<br />
Fu follia o grazia?<br />
Non saranno gli uomini a giudicarmi:<br />
Sarà Dio”.<br />
[...]<br />
“Risolvete, o saggi uomini”..<br />
264<br />
Escher, The Hell
Escher, Butterfly<br />
265<br />
vederla crescere.<br />
e darle spazio.<br />
in un cella in cui tutto resta uguale.<br />
nella quale passi la maggior parte del tempo a<br />
dormire. a fissare il muro.<br />
in cui ti son concesse poche ore d’aria.<br />
avere una pianta.<br />
qualcosa che cresce.<br />
è forse l’unico segnale che ti fa accorgere del<br />
passare del tempo.<br />
ma non solo.<br />
è forse l’unica cosa che ti fa sentire ancora<br />
importante. necessario.<br />
l’Agricoltura è la strada che può portare davvero<br />
a l l a r i e d u c a z i o n e a t t r a v e r s o i l l a v o r o .<br />
all’autosufficienza delle carceri.<br />
e a condizioni di vita più umane.<br />
più dignitose.
esito progettuale.<br />
Pieve Emanuele
268
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281
Architettura primitiva.
L’architettura deve ritornare a ispirare il comportamento degli Uomini
una visione.<br />
una città di uomini volanti.<br />
284
Prometeo e Orfeo<br />
"La salita in ascensore", secondo Michel de<br />
Certeau, "trasforma il mondo stregato da cui era<br />
posseduto in un testo che giace sotto i suoi<br />
occhi; permette di leggerlo, di essere un Occhio<br />
solare, di guardare giù come un Dio".(1) Lo<br />
sguardo, estraniato dal contesto, cancella i<br />
confini del reale proiettandoli in un orizzonte<br />
altro dove "… ogni cosa ha un alone di alterità,<br />
ondeggia nel suo stato fluido, è attraversata<br />
dalla sola corrente del tempo". Successivamente<br />
"l'esperienza della vita di strada non potrà che<br />
acquistare un nuovo significato", alla cui<br />
comprensione sarà necessario accedere attraverso<br />
la costruzione di nuove mappe cognitive, capaci di<br />
fissare una rete di coordinate che restituiscano<br />
il principio di riconoscimento dei luoghi, i cui<br />
contorni, seppure fluttuanti, divengono i meriggi<br />
i n d i s p e n s a b i l i d i u n n u o v o p r o c e s s o d i<br />
individuazione, il cui paradigma torna ad essere<br />
quello dell'apparenza al sito.<br />
Prefigurazione inquietante, il paesaggio descritto<br />
da M. de Corteau rimanda al tema del luogo e alla<br />
sua riconoscibilità, nel momento in cui la<br />
"terribile corsa al movimento" conduce alla<br />
"dissoluzione di qualsiasi senso tradizionale di<br />
c o m u n i t à " , n e g a n d o q u a l s i v o g l i a f o r m a d i<br />
appartenenza o stanzialità, sino alla definizione<br />
estrema di una nuova "comunità senza luogo", già<br />
riflessa nelle note immagini di Melvin Webber di<br />
inizio secolo.<br />
Guya Bertelli, FRAMMENTI, scritti di architettura,<br />
Milano 2005.<br />
(1) La citazione di M. de Certeau (1984) è riportata da D.<br />
Harvey nell'introduzione a "L'esperienza urbana, metropoli<br />
e trasformazioni sociali", Il Saggiatore, Milano 1998.<br />
la costruzione di un’idea di città.<br />
285<br />
Daniel Egneus, cityscapes
Isaura.<br />
Isaura, città dai mille pozzi, si presume sorga sopra<br />
un profondo lago sotterraneo. Dappertutto dove gli<br />
abitanti scavando nella terra lunghi buchi verticali<br />
sono riusciti a tirar su dell’acqua, fin là e non<br />
oltre si è estesa la città: il suo perimetro<br />
verdeggiante ripete quello delle rive buie del lago<br />
sepolto, un paesaggio invisibile condiziona quello<br />
visibile, tutto ciò che si muove al sole è spinto<br />
dall’onda che batte chiusa sotto il cielo calcareo<br />
della roccia. Di conseguenza religioni di due specie<br />
si danno a Isaura. Gli dei della città, secondo<br />
alcuni, abitano nella profondità, nel lago nero che<br />
nutre le vene sotterranee. Secondo altri gli dei<br />
abitano nei secchi che risalgono appesi alla fune<br />
quando appaiono fuori della vera dei pozzi, nelle<br />
carrucole che girano, negli argani delle norie, nelle<br />
leve delle pompe, nelle pale dei mulini a vento che<br />
tirano su l’acqua delle trivellazioni, nei castelli<br />
di traliccio che reggono l’avvitarsi delle sonde, nei<br />
serbatoi pensili sopra i tetti in cima a trampoli,<br />
negli archi sottili degli acquedotti, in tutte le<br />
colonne d’acqua, i tubi verticali, i saliscendi, i<br />
troppopieni, su fino alle girandole che sormontano le<br />
aeree impalcature d’Isaura, città che si muove tutta<br />
verso l’alto.<br />
da Le città invisibili di Italo Calvino Isaura, Colleen Corradi Brannigan, 2003.<br />
286
287<br />
scenari futuri.<br />
Uomini alati
il Pensiero di Aldo Rossi.<br />
lo spazio ha una grande forza,<br />
e determina i cambiamenti.<br />
288<br />
Escher, Sky and water II, 1938
Nuraghe, Sardegna<br />
289<br />
un pezzo di cielo.<br />
il segreto dei Nuraghi.
identità dei Nuraghi.<br />
290<br />
" A volte vedo il tempo come una costruzione plastica<br />
dove si depositano rottami di cui abbiamo perso la<br />
conoscenza originaria e insieme ad essi frammenti di<br />
una costruzione meravigliosa. Ma sempre non possiamo<br />
ricomporre ciò che è stato rotto, non ci interessa di<br />
comprendere ciò che è perduto. E l'architettura? Vi è<br />
un monumento in Sardegna della civiltà nuragica che<br />
sempre cerco di capire e nel contempo di copiare. Esso<br />
scende nella terra, è solo una scala verso un fronte<br />
che è illuminata dall'alto. Come ingegneri possiamo<br />
capirlo in qualche modo nella sua sezione se accettiamo<br />
una geometria non euclidea dove il confluire<br />
dell'ordine è un'opera oscura. E sempre mi sembra<br />
incredibile che quest'opera sublime di architettura sia<br />
estranea all'architettura e vedo come un disastro che<br />
l'antico significato se mai sia esistito sia solo<br />
un'opera oscura. "<br />
Aldo Rossi
“Non negatemi quel pezzo di cielo<br />
uomini maniaci del cemento.<br />
Non negatemi la volta delle stelle<br />
uomini incapaci di pensare<br />
... e triste aspettare la notte<br />
senza avere un sogno nel cuore”<br />
un desiderio.<br />
G.M. Cannas Murales Orgosolo, Sardegna<br />
291
manifestazione.<br />
292<br />
BOGHES DE PEDRA<br />
Boghes de pedra nos amèntan gherra, boghes de<br />
gherra nos amèntan terra,<br />
terra ifusta<br />
Sambene chi su tempus no at mai firmadu<br />
pedras amuntonadas no l'amèntan.<br />
Terra ifusta de sambene, terra ifusta.<br />
Trumas de isperàntzia e libertade disizos de<br />
bramare cun boghe 'e tronu<br />
disizos chi sùlcan s'istoria de custa terra sempre<br />
aversada.<br />
Boghes de pedra nàran est ora de bìvere in paghe.<br />
Imponente massicciu e amiradu fisti unu tempus o<br />
Nuraghe antigu.<br />
Dae Fieros e Fortes Sardos abitadu,<br />
semper prontos a cumbàter s'inimigu, a gualdia, a<br />
difesa 'e s'amigu.<br />
Oje ses dae totus abandonadu, in mesu a frascas<br />
totu in intrigu<br />
isfidendhe su tempus inclemente.<br />
Arrea solenne ciclopicu Nuraghe<br />
incompresu, impoltante e gloriosu.
VOCI DI PIETRA<br />
Voci di pietra ci ricordano la guerra,<br />
voci di pietra ci ricordano la terra<br />
terra intrisa di sangue, terra intrisa.<br />
Sangue che il tempo non ha mai fermato,<br />
pietre ammucchiate ce lo ricordano<br />
terra intrisa di sangue, terra intrisa.<br />
Branchi di cavalli* di speranza e libertà,<br />
desideri di [ ] con voce di tuono<br />
desideri solcano la storia<br />
di questa terra sempre avversata.<br />
Voci di pietra dicono:<br />
"è ora di vivere in pace".<br />
Imponente massiccio e ammirato<br />
fosti un tempo, nuraghe antico.<br />
Dai fieri e forti sardi abitato,<br />
sempre pronti a combattere il nemico<br />
a guardia, a difesa dell'amico,<br />
in mezzo all'intrico della vegetazione<br />
ti sta disfacendo il tempo inclemente.<br />
Fermo**, solenne, ciclopico Nuraghe<br />
incompreso, importante e glorioso.<br />
*Così per truma dal dizionario del Martelli; ma<br />
potrebbe essere una variante di trumba "tromba"?<br />
**Arre' "fèrmati!", arreare "fermarsi"?<br />
293
Pietra.<br />
Bisogna capire fino in fondo il fascino del<br />
materiale che per eccellenza rappresenta lo<br />
strumento dell'architettura: la pietra.<br />
Quale architetto non vorrebbe affidare alla pietra<br />
la testimonianza del proprio lavoro?<br />
Questo materiale naturale è riuscito nel tempo a<br />
mantenere la sua attualità rinnovandosi ogni volta<br />
nei tagli e negli accostamenti, mettendo in luce di<br />
volta in volta le caratteristiche di durabilità,<br />
stabilità, bellezza e naturalezza.<br />
I e r i v e n i v a s c e l t o p e r l a s u a s o l i d i t à e<br />
durevolezza, oggi che dilagano le discipline<br />
orientali per la sua bellezza suggestiva ma anche<br />
per l'energia che trasmette. I nove capitoli che<br />
compongono il volume ripercorrono la storia<br />
dell'architettura di pietra e analizzano tecniche di<br />
realizzazione e applicazione in progetti del passato<br />
e contemporanei. Il volume si apre con la storia<br />
delle prime pietre d'Egitto: "Risulta sbalorditivo<br />
pensare come dal nulla sia stato concepito e<br />
raggiunto un livello tecnologico così evoluto". Il<br />
capitolo dedicato ai muri è introdotto dalla<br />
spiegazione dei vari metodi: "opus incertum",<br />
"quadratum" e altre utilizzate dai romani fino ai<br />
giorni nostri, con la presentazione, tra gli altri,<br />
del Cimitero di guerra tedesco al passo della Futa<br />
di Dieter Oesterlen: monumentale il suo sperone<br />
294<br />
murario culmine di un unico muro che con la sua<br />
spirale "rimodella le pendici di un rilevo naturale,<br />
dando vita a terrazzamenti". Capolavoro linguistico<br />
e compositivo è la Casa Alessi sul lago Maggiore<br />
disegnata da Aldo Rossi, con una singolare copertura<br />
ad arco ribassato contenuta da due setti in pietra<br />
del luogo e il fonte sul lago in cotto. Ma gli<br />
esempi di architettura sono molti: per le superfici,<br />
i l p a d i g l i o n e d e l l a f a c o l t à d i M e d i c i n a<br />
dell'ospedale di Arrixaca a Murcia, di Sancho-<br />
Madridejios architecture office, in cui il<br />
rivestimento in pietra rende incisiva "l'eleganza<br />
compositiva di questo edificio" che "traspare dalla<br />
sua apparente elementarità"; oppure gli uffici del<br />
presidente progettati da Gruber e Kleine Kraneburg a<br />
Berlino con la sua superficie esterna di granito<br />
sudafricano Nero Impala di 4 cm di spessore, "sobria<br />
e preziosa, allo stesso tempo". La piazza di<br />
Palmanova è invece un esempio completo e ben<br />
equilibrato di composizione di superfici per il<br />
capitolo intitolato Suolo, con particolari sia<br />
disegnati, sia fotografati. Una pubblicazione ricca<br />
di fotografie e disegni, ma anche di descrizioni per<br />
fornire un panorama completo sull'architettura di<br />
pietra che vanta meraviglie storiche ben descritte,<br />
come il Pantheon e il Partenone.<br />
a cura di Angelo Bugatti
295<br />
Nuraghe, Sardegna
lo sviluppo di un’idea di città.<br />
tratto da F. Scotti, Ludwig Hilberseimer, Lo sviluppo di un’idea di città, il periodo americano, Libraccio-<br />
Lampi di stampa, Milano 2008.<br />
Sempre, nella storia, gli insediamenti umani sono<br />
stati espressione della società che li ha creati,<br />
risultato più o meno diretto di aspirazioni<br />
spirituali e di esigenze materiali di una società.<br />
nella ricerca paziente di un modello per la città<br />
contemporanea, non si può che considerare questi<br />
presupposti secondo un atteggiamento razionale e<br />
trovare nella realtà le ragioni e i caratteri della<br />
sua idea di città futura.<br />
"L'architettura razionale non è una visione estetica<br />
o morale, un modo di vivere, ma l'unica risposta<br />
sistematica ai problemi posti dalla realtà"<br />
sosteneva Aldo Rossi nell’introduzione a Hans<br />
Schimidt (Contributo all'architettura 1924-1964,<br />
Franco Angeli).<br />
E per Le Corbusier l'urbanistica è "espressione<br />
della vita di una società, manifestata nelle opere<br />
della costruzione. E' lo specchio di una civiltà.<br />
Ciò che una civiltà può, l'urbanistica lo mostrerà;<br />
296<br />
e la sua opera costituirà un insieme di elementi<br />
materiali e di suggerimenti spirituali".<br />
I l l a v o r o d i H i l b e r s e i m e r i n v e c e i n i z i a<br />
sostanzialmente mettendo in luce una prima<br />
contraddizione delle città contemporanee: " Ho<br />
s e m p r e c a p i t o b e n e l ' e s s e n z a d i t u t t i g l i<br />
insediamenti primitivi delle città greche e romane,<br />
delle città del Medioevo, del Rinascimento e del<br />
Barocco, e tutto in esse era intelligente e sensato.<br />
Quando ho confrontato quei piani con quelli attuali,<br />
ho scoperto che questi nuovi piani non erano<br />
l ' e s p r e s s i o n e d i p r i n c i p i - g u i d a , m a e r a n o<br />
sostanzialmente caotici". Il dato di contraddizione<br />
sta nella impossibilità di comprendere la città<br />
contemporanea, nella sua non corrispondenza ad<br />
alcuna idea di città; soprattutto la città<br />
c o n t e m p o r a n e a , p e r H i l b e r s e i m e r , n o n è<br />
rappresentativa della società che la vive, dello<br />
sviluppo culturale e tecnologico dell'epoca.
« La fantasía abandonada de la razón<br />
produce monstruos imposibles: unida con<br />
ella es madre de las artes y origen de<br />
las maravillas. »<br />
« La fantasia priva della ragione<br />
produce impossibili mostri: assieme a<br />
lei è madre delle arti e origine di<br />
meraviglie. »<br />
(Goya, manoscritto conservato al museo del Prado. Testo<br />
originale in Helman)<br />
« Portada para esta obra: cuando los<br />
hombres no oyen el grito de la razón,<br />
todo se vuelve visiones. »<br />
« Frontespizio di quest'opera: quando<br />
gli uomini non ascoltano il pianto della<br />
ragione, tutto muta in visione. »<br />
(Anonimo, manoscritto conservato alla Biblioteca Nacional.<br />
Testo originale in Helman)<br />
il sonno della ragione genera mostri.<br />
297
“la progettazione di un edificio deve<br />
iniziare con l’incommensurabile<br />
(forma), quindi passare attraverso il<br />
m i s u r a b i l e , p e r f i n i r e a n c o r a<br />
nell’incommensurabile: come un nuovo<br />
contributo all’architettura e alla<br />
s t o r i a , p e r c h é , a l l a f i n e ,<br />
l’architettura esiste solo nelle sue<br />
opere”.<br />
Louis Kahn<br />
298
Architettura come costruzione<br />
Architettura senza costruzione (1) è il titolo<br />
della Biennale di Venezia del 2008(2). Se ancora<br />
qualcuno avesse avuto dubbi, l’undicesima mostra<br />
internazionale di architettura di Venezia conferma<br />
la direzione che anche l’architettura, in quanto<br />
arte, sta prendendo, spostandosi verso il mondo<br />
dell’ideazione, della concettualizzazione, della<br />
c o m u n i c a z i o n e . L ’ a r c h i t e t t u r a c o m e f a t t o<br />
c o s t r u t t i v o è i n v i a d i e s t i n z i o n e ( 3 ) .<br />
L’architettura oggi vive nelle mostre, sulle<br />
riviste, sui media. La costruzione di edifici delle<br />
nostre città –almeno in Italia- non è affidata<br />
nella maggior parte dei casi agli architetti, che,<br />
dunque, si ritrovano altri spazi di lavoro e potere<br />
in cui operare. L’architetto non può più essere<br />
l’artigiano che “fa, plasma” in cantiere (si pensi<br />
a Carlo Scarpa), ma –quando riesce a fare, e spesso<br />
fa solo quando è star, firma- è diventato un<br />
regista di progetti di grande dimensione, e come<br />
tale progetta l’assemblaggio di pezzi fatti da<br />
altri. O fa concorsi e progetti utopici che poi non<br />
si realizzano. E pensa a comunicarli. Così come ha<br />
già fatto l’arte, anche l’architettura sta<br />
procedendo verso l’astrazione, e opponendosi alla<br />
sua natura fisica, materica, costruttiva. Quello<br />
che conta è il concept, la strategia comunicabile.<br />
Ma la vera architettura non è dunque più l’opera,<br />
quello che rimane, come diceva Kahn, risposta<br />
concreta, intelligenza applicata a vincoli e<br />
problemi, piuttosto che libero pensiero? Ma non<br />
sono allora puri formalismi, il contrario di quanto<br />
la mostra dichiara, queste libere scenografie (4)<br />
p r e s e n t a t e a l l e C o r d e r i e d e l l a B i e n n a l e ?<br />
Addirittura Betsky arriva a volere “un’architettura<br />
che non risolva i problemi, ma li ponga…”. Dunque<br />
l’architetto si arrende alle logiche del nuovo<br />
mondo e depone le armi?<br />
1
Sembra che oggi tutte le arti (cinema, pubblicità,<br />
grafica, architettura, design, moda,…), stiano<br />
convergendo verso la comunicazione. L’unicità del<br />
fatto artistico è stata relegata alla sola idea (con<br />
tutti i problemi e i paradossi portati da copyright<br />
connessi). Ma cosa fa di un messaggio concettuale<br />
un’opera d’arte (5)? (Di chi è un’idea finchè<br />
rimane tale?).<br />
Il mondo contemporaneo investe la maggior parte<br />
delle proprie energie su simulazioni piuttosto che<br />
sulle opere reali (7). Tutto ciò delinea un più<br />
ampio processo di teorizzazione della nostra<br />
cultura, nel quale si avverte il pericolo della<br />
perdita del rapporto con la realtà come unica nostra<br />
vera esperienza possibile, e, per questo, fonte<br />
inesauribile di “ispirazione” (realtà intesa dunque<br />
come Natura, come già sosteneva Gillo Dorfles (8);<br />
realtà che sempre dimostra una complessità superiore<br />
a quello che di essa si è capito; infatti la<br />
realizzazione è sempre differenza; la costruzione,<br />
i l p a s s a g g i o a l l a c o n c r e t e z z a p o r t a a l l a<br />
diversificazione, alla crescita, alla complessità,<br />
all’autenticazione, mentre nell’idea astratta la<br />
copia vale tanto quanto l’originale, così come<br />
accade nella realtà virtuale dei computer. “…La<br />
m a c c h i n a d e l l ' a s s i m i l a z i o n e , d e l l ' a n a l o g i a ,<br />
dell'identità (la macchina dei concetti isolati<br />
dalle cose) continuerà a trascinarci e a soffocarci<br />
in un mondo, questo sì davvero fittizio e illusorio,<br />
di automatismi e semplici ripetizioni, in un mondo<br />
che alla fine è morto…” (9) .<br />
Oggi non siamo più interessati, sembra, né in arte,<br />
né in architettura ad ottenere un “prodotto finale”,<br />
una realtà ultima, che rimanga e possa anche essere<br />
u t i l e , a c r e a r e d e g l i o g g e t t i “ f i n i t i ” e<br />
“ b e l l i ” ( b e l l o n o n c o m e f o r m a i m p o s t a ,<br />
precostituita, ma derivata dalla intelligenza<br />
applicata che fa corrispondere a una forma, una<br />
funzione ed una ricerca di equilibri,…). Troppa<br />
fatica e tempo (sottratto alla veloce generazione di<br />
nuove idee) per arrivarci, incapacità di fermarsi<br />
poi ad apprezzarlo in una fase contemplativa, molta<br />
critica all’oggetto “finito”; ma il progresso non è<br />
mai stato fatto da idee eclatanti (percentualmente<br />
poche, in quanto tali); come si capisce che un’idea<br />
è migliore di un’altra se non proprio per<br />
corrispondenza alla realtà?<br />
il “bello” non è solo forma riproducibile (o in arte<br />
le copie varrebbero quanto l’originale); come<br />
distinguere, infatti, il valore di un’architettura<br />
se questo non è più nel fatto oggettivo del dat<br />
300
finale (la costruzione), né in quello tecnico,<br />
costruttivo, funzionale? Se non lo si deve cercare<br />
più in se stessa (rinunciando anche alla valenza<br />
estetica? perché?…), se l’architettura contemporanea<br />
si rifiuta di essere oggetto, imposizione, durata,<br />
memoria? La difficoltà che molti trovano ad<br />
accettare e ad apprezzare gran parte dell’arte (e<br />
dell’architettura) contemporanea sta proprio qui,<br />
nel fatto che, essendo queste concettuali, dunque<br />
riproducibili senza gravi perdite (la qualità di<br />
queste sta nell’idea, nel significato più che nella<br />
matericità dell’opera), non ne è più misurabile il<br />
valore con il valore dell’oggetto, il parametro<br />
della capacità tecnica, del virtuosismo, del gesto<br />
(dunque dell’unicità), dell’espressività, della<br />
piacevolezza/emozione estetica (della bellezza?).<br />
Dall’arte non si deve stare distanti, spaventati da<br />
un timore reverenziale. La si deve invece vivere,<br />
sentire. Ma l’arte non è neanche solo l’idea. L’arte<br />
c’è solo nella vita, nell’unica forma in cui ci è<br />
dato di conoscerla, fatta di fisicità, di spazio, di<br />
tempo. Non è solo l’oggetto; non è solo l’idea.<br />
L’arte esiste nell’uomo, nel suo pensiero e nella<br />
sua fisicità. Solo se un uomo la riconosce l’arte<br />
esiste. Per questo non la si può possedere o<br />
comprare. E’ di chi la sa vedere, riconoscere,<br />
esiste negli attimi in cui questo succede. E’ il<br />
valore che l’uomo dà alle cose. L’arte è l’incontro<br />
invisibile di pensiero e materia. E’ l’idea che<br />
dall’uomo si trasferisce alle cose, perchè le fa<br />
secondo il suo pensiero; è il suo lavoro, materia<br />
plasmata, con valore aggiunto. E’ l’oggetto fatto,<br />
che ispira il pensiero di ritorno, il riconoscimento<br />
della stessa o di altre e più idee, da parte dello<br />
stesso o di altri uomini. Un museo senza visitatori<br />
non è arte, sono oggetti. Mi sembra che oggi,<br />
nonostante i fenomeni di turismo artistico, l'arte<br />
non sia mai stata tanto lontana dalla vita delle<br />
persone, che la guardano ma non la vedono e non<br />
sanno più cosa essa sia; e spesso questo distacco<br />
avviene, nonostante i proclami, anche per l’arte e<br />
l’architettura contemporanea, che a volte perdono di<br />
vista l’unico obiettivo che ha il fare dell’uomo,<br />
che è l’uomo e la sua vita. L’idea della merda<br />
d’artista è geniale e dissacrante. Ma l’opera rimane<br />
merda. Neanche l’arte contemporanea è tale se rimane<br />
d i s t a n t e d a l l a v i t a d e l l ’ u o m o , d a l l a s u a<br />
sensibilità, dai suoi desideri. Se non crea gli<br />
oggetti, la bellezza, l’architettura dove vivere.<br />
note<br />
(1) Out there: Architecture Beyond Building, di Aaron Betsky<br />
(2) 14 settembre-23 novembre 2008<br />
301<br />
(3) “…quello che dovrebbe essere un fatto ovvio:<br />
l’architettura non è il costruire…Gli edifici sono oggetti e<br />
l ’ a t t o d e l c o s t r u i r e p r o d u c e o g g e t t i - e d i f i c i , m a<br />
l’architettura è qualcosa d’altro. E’ il modo di pensare e<br />
parlare sugli edifici. E’ il modo di rappresentarli…allo<br />
stesso tempo possiamo godere di spazi ideali nei film e<br />
nell’arte, che spiegano ai nostri occhi mondi immaginari…”,<br />
Aaron Betsky<br />
(4) Installations e Manifestos di: Asymptote, Atelier Bow<br />
Wow, Barkow Leibinger Architects, Nigel Coats, Coop<br />
Himmemblau, Diller Scofidio+Renfro, Droog Design<br />
+Kesselkramer, Vincent Guallart, Frank O. Ghery, Zaha Hadid,<br />
Ante Liu, Greg Lynn, M-A-D, Massimiliano Fuksas, MVRDV,<br />
Penezic e Rogina, Philippe Rahm, Matthew Ritchie con Aranda<br />
Lasch e Daniel Bosia, ARUP AGU, Kramervanderveer, Thonic e Un<br />
Studio. Interessanti e pieni di accadimenti vari non<br />
riferibili a questo unico discorso, invece, le opere dei<br />
Padiglioni dei Giardini.<br />
(5) L’arte rappresentativa è stata, da sempre, artificio, ma<br />
non falsità, bensì ricerca. La rappresentazione, quando è<br />
arte, è “cosa vista tramite”, non copia.<br />
(6) Oltre che la realtà sembra viaggiare più lenta dell’idea,<br />
e d è a p p a r e n t e m e n t e , r i s p e t t o a q u e s t a , s e m p r e<br />
insoddisfacente.<br />
(7) Si può forse dire che la conoscenza moderna si attui<br />
attraverso la simulazione, non essendoci più il tempo per<br />
l’esperienza.<br />
(8) “…dal ristabilimento dell’equilibrio uomo-natura dipende<br />
buona parte delle possibilità di recupero di molte condizioni<br />
esistintive e creative (…) si dovrebbe riscattare<br />
l’innaturale, trasformare eventi artificiali in eventi<br />
naturali, attraverso un’azione di volontà e conoscenza…”<br />
Gillo Dorfles, Artificio e Natura, 1968, riedizione Skira,<br />
Milano 2008<br />
(9) Gilles Deleuze, differenza e ripetizione. L a<br />
riproducibilità è la strada che l’architettura contemporanea<br />
utilizza per sopravvivere nel tempo e che sostituisce la<br />
durata.
5+1 abstract<br />
Costruendo nel tempo, intorno alla centralità del<br />
progetto, un importante team interdisciplinare,<br />
affrontano la città, il suo superamento e la sua<br />
riaffermazione, confrontandosi con la trasformazione<br />
e la descrizione della realtà, perseguendo azioni<br />
quali il dialogo con la realtà del banale e del<br />
”brutto”, l’estetica della “povertà”, l’etica della<br />
percezione. L’attenzione per il pubblico e il<br />
sociale, i suoi linguaggi contemporanei e la<br />
relativa contaminazione, unita al conforto della<br />
memoria, creano gli elementi di riferimento per<br />
un’architettura che si esprime come un gioco<br />
d’incontro tra azioni e reazioni, verso una<br />
sperimentazione del reale e sul reale. La ricerca<br />
progettuale si svolge sulla sottile linea di confine<br />
che separa e unisce il pubblico con il privato, il<br />
dialogo ed il contrasto, tra il territorio che<br />
diviene città e la città che vi si perde. Un<br />
pragmatismo visionario, un realismo magico, un nuovo<br />
contestualismo.<br />
Praticare la realtà è la sola modalità con cui<br />
riteniamo sia possibile affrontare l’architettura.<br />
Proponendo dubbi attraverso la riflessione che lo<br />
strumento del progetto ci offre abbiamo sempre preso<br />
p o s i z i o n i c r i t i c h e n e i c o n f r o n t i d e l<br />
“ g a l l e g g i a m e n t o ” i n c u i o g g i s i t r o v a<br />
l’architettura. Ormai non solo quella italiana,<br />
purtroppo.<br />
E' difficile per noi pensare l'architettura senza<br />
avere una coscienza del territorio, dello spazio che<br />
diventa città attraverso il territorio, della città.<br />
302<br />
E' ancora più difficile in Italia dove un luogo e il<br />
suo contesto cambia rapidamente kilometro dopo<br />
kilometro.<br />
Riteniamo l’architettura non una questione di<br />
esclusiva forma o linguaggio. La nostra visione<br />
dell’architettura come trasformazione della realtà,<br />
gli delega un ruolo di forte responsabilità, nel suo<br />
massimo significato etico, poetico e professionale.<br />
L'architettura dovrebbe essere pensata con un’idea<br />
di responsabile piacere. Ricercare la meraviglia e<br />
l o s t u p o r e a t t r a v e r s o i d i s p o s i t i v i<br />
dell'architettura.<br />
L’architettura come “luogo” e riflessione di<br />
incontro tra territori e città si traduce per noi<br />
come una risposta specifica ad un contesto<br />
specifico.<br />
Ciò che troviamo ormai dilagante, e a cui ci<br />
rifiutiamo categoricamente di aderire, è l’imperante<br />
cinismo e superficialità con cui l’architettura<br />
recentemente, nella sua condizioni di strumento di<br />
consenso e comunicazione, affronti la maggior parte<br />
delle occasioni importanti non occupandosi così<br />
della realtà.<br />
Si rivelano così tutti i limiti umani dell’essere<br />
architetto, dove alla realtà, alla responsabilità,<br />
all’eticità, alla consapevolezza degli effetti di un<br />
progetto, fa prevalere il narcisismo e la ricerca<br />
vacua di una propria posizione all’interno del museo<br />
delle cere della contemporaneità. Quale futuro?
Il progetto di architettura non è la ricerca della<br />
perfezione e non è il luogo dove devono prevalere<br />
personalismi e autoreferenzialità. E’ il luogo del<br />
tempo, del futuro, è il luogo di tutti e comunque<br />
degli uomini che abitano e abiteranno il mondo.<br />
Noi, sbagliando, essendo imperfetti, provando ad<br />
essere coraggiosi, con sano e corretto “eroismo”<br />
affrontiamo il difficile mestiere dell’architetto<br />
oggi, consci di essere pochi in mezzo ad una<br />
moltitudine di saggi e capaci, ma quei pochi a noi<br />
sono sufficienti per continuare a credere e per far<br />
persistere la coscienza di una sincera e consapevole<br />
responsabilità.<br />
I sentimenti umani sono rari. Più raro è trovare<br />
qualcuno con cui condividerli. L’architettura non<br />
può non essere un sentimento. Oggi può essere la sua<br />
sola salvezza. Nel sentimento c’è il desiderio della<br />
l o t t a e l a l o t t a è l ’ u n i c a r i s o r s a a c u i<br />
aggrapparsi. La lotta risiede nell’atto del<br />
progetto.<br />
Conformismo, prevaricazione formale e distacco dalla<br />
realtà sono le caratteristiche più proprie<br />
dell’architettura contemporanea. Insieme al senso di<br />
colpa nei confronti della forma e della bellezza.<br />
La meraviglia, lo stupore sono gli elementi propri<br />
della poetica italiana e del suo territorio.<br />
La creazione di meraviglia e di stupore da parte<br />
dell’architettura, non ha niente a che fare con la<br />
r i c e r c a d i c o n s e n s o e d i s p e t t a c o l a r i t à<br />
contemporanea. Più esattamente la creazione di<br />
meraviglia è lo strumento per raggiungere la<br />
conoscenza del reale. Ecco lo scopo. Ritornare a<br />
vedere la realtà.<br />
E, per quanto la realtà del territorio, delle città,<br />
degli uomini sia difficile e dolorosa, il dovere<br />
dell’architettura è di non rinunciare a immaginare<br />
un futuro. Migliore. Anche romanticamente.<br />
La negazione del reale, l’atteggiamento che da blasè<br />
d i v i e n e c i n i c o , p r o p r i o d e l l ’ a r c h i t e t t u r a<br />
contemporanea, dev’essere sconfitto. Questa<br />
battaglia, etica e culturale, sarà combattuta<br />
attraverso un’architettura che sia invenzione<br />
specifica, che nasca con libertà dal Contesto e<br />
dalla Storia. Il suo linguaggio è libero. Il suo<br />
linguaggio è contemporaneo.<br />
C’è una cosa che dobbiamo ammettere: non si può<br />
avere un’altra infanzia oltre a quella che si è<br />
vissuta.<br />
La nostra generazione di architetti ha negli occhi<br />
il dolore della violenza sul territorio e del suo<br />
oblio. Non può credere che lo Sviluppo coincida con<br />
il Progresso.<br />
Può però credere che l’unica identità possibile sia<br />
quella plurale che caratterizza il nostro paese,<br />
303
dove non è mai stata immaginabile un’uniformità di<br />
linguaggio. (Oggi meno ancora).<br />
Può credere che questo sia il ruolo del nostro Paese<br />
nella Modernità e nella Contemporaneità: il lavoro<br />
sull’identità plurima e specifica, usando la<br />
possibilità dell’architettura italiana contemporanea<br />
di essere realista nelle modalità del cinema di<br />
Fellini, Antonioni e Ferreri o della fotografia di<br />
Luigi Ghirri.<br />
Capace d’invenzione nello specifico attraverso<br />
edifici che siano macchine della percezione, che<br />
usino lo Stupore e la Meraviglia come strumenti di<br />
conoscenza.<br />
L’architettura è un fatto collettivo, che vive di<br />
regole.<br />
Il progetto vive di regole.<br />
Sfidarle, violarle, contravvenirle, portarle fino al<br />
limite di rottura è la nostra missione romantica.<br />
Il mondo occidentale, il nostro perfetto e superiore<br />
mondo occidentale fatto di regole, sta crollando.<br />
Incontriamo ogni giorno, su ogni marciapiede, maree<br />
di morti viventi.<br />
Come indiani americani, capitati chissà come<br />
sull’asfalto o su un binario della nostra provincia,<br />
appoggiamo l’orecchio a terra e sentiamo uno strano<br />
suono. Incomprensibile.<br />
E’ l’eco.<br />
L’eco di quelle regole, di quei valori, di quei<br />
sentimenti: la democrazia, la laicità, la giustizia,<br />
la solidarietà. La libertà.<br />
La storia.<br />
L’Italia è (stato) spesso un Paese di mascalzoni.<br />
Furbastri, buffoni. Conformisti.<br />
L a f u r b i z i a è l a p r e s u n z i o n e d i v i r t ù<br />
dell’individualismo. Che non sopporta le regole.<br />
Oppure ne è servo per conformismo e comodità.<br />
Ma l’altra faccia della medaglia dell’individualismo<br />
è l’umanità.<br />
Ecco a che cosa possiamo ancora servire: vogliamo<br />
essere architetti portatori sani di romanticismo e<br />
di umanità.<br />
Decifratori di quest’eco, pratichiamo l’umanità del<br />
nostro Paese, combattendone l’individualismo, il<br />
cinismo ed il conformismo.<br />
Apparteniamo a quest’eco, a questo fiume familiare.<br />
Quest’eco che ascoltiamo attraversando il<br />
nostro Paese, è deformato, sporco, non<br />
facilmente comprensibile.<br />
Talvolta è poco più di niente.<br />
E’ la bellezza.<br />
La bellezza salverà il mondo. Daniel Egneus, Beautyshow<br />
304
305<br />
E’ stato questo il messaggio di Cesare Stevan<br />
all’ultima conferenza tenuta nella mia Università.<br />
“Rifondazione!”<br />
un messaggio chiaro.<br />
tra pathos e realtà.<br />
ho avuto un rapporto complicato con lui. ma d’altro<br />
canto mi ha profondamente fatto maturare.<br />
fu lui infatti ad impormi di confrontarmi con il<br />
reale. di costruire l’esistente.<br />
“quando disegni una strada, una casa, un grattacielo<br />
pensa alla città.”<br />
una sintesi che ben conosce chi condivide l’idea di<br />
totalità contenuta in l’Architettura della città.<br />
“la prima cosa da fare è prendere uno sgabello e<br />
sederti al centro del tuo lotto. guardare fuori..”<br />
e ancora<br />
Rifondazione!<br />
“il progetto della tua area deve servire come parte di<br />
un progetto più ampio di trasformazione del<br />
territorio. bisogna aver quindi un’idea di città ben<br />
chiara in testa. altrimenti ognuno continuerà sempre a<br />
far ciò che vuole..”
esito progettuale.<br />
Cagliari
308
309
310
311
314
315
316
317
318
319
320
321
322
323
324
325
330
331
336
337
338
339
341
342
343
344
345
Tesi.<br />
Pavia
La teoria si costruisce partendo dal confronto con<br />
una realtà specifica e complessa. Questa realtà non è<br />
una dimensione fisica e oggettiva ma è il mondo<br />
i n t e r i o r e d e l s o g g e t t o c h e d e v e r i c e r c a r e ,<br />
riscoprire, ritrovare nella propria memoria quelle<br />
“immagini primitive” senza le quali l’uomo non<br />
avrebbe mai costruito. La teoria, dunque, non come<br />
semplice postulato universale e oggettivabile, ma<br />
come modo di vedere e interpretare il mondo. dal<br />
greco theorèin “vedere”. la teoria come presupposto<br />
necessario e fondamentale per comprendere e<br />
descrivere i processi dell’invenzione alla luce<br />
dell’esperienza del progetto e delle contaminazioni<br />
tra soggetto e realtà.<br />
348
Identità e Composizione.<br />
Pavia, 2010<br />
349
Perchè?<br />
perchè bisogna allontanarsi.<br />
per poi tornare.<br />
[...]<br />
perchè la mia gente vuole<br />
Rinascita!<br />
350
351<br />
ai miei Maestri<br />
credo di esser stato uno dei<br />
peggiori studenti<br />
della Nave di Pavia..<br />
Scuse
352