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Brochure "La Mennulara" - Guida Sicilia

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Stagione 2011/2012<br />

Donne. L’altra metà del cielo<br />

novità assoLuta<br />

<strong>La</strong> Mennu<strong>La</strong>ra<br />

di Simonetta Agnello Hornby<br />

inaugurazione stagione<br />

© foto: Antonio Parrinello


Donne. L’altra metà del cielo<br />

Teatro Verga<br />

dal 2 dicembre 2011 - turno prime<br />

<strong>La</strong> Mennu<strong>La</strong>ra<br />

di Simonetta Agnello Hornby<br />

riduzione e adattamento Simonetta Agnello Hornby e Gaetano Savatteri<br />

regia WaLter PagLiaro<br />

scene giovanni CarLuCCio<br />

costumi eLena Mannini<br />

musiche MarCo Betta<br />

movimenti scenici Danie<strong>La</strong> sChiavone<br />

luci FranCo BuzzanCa


<strong>La</strong> Mennu<strong>La</strong>ra<br />

Personaggi e interPreti<br />

Maria Rosalia Inzerillo, detta la Mennulara guia JeLo<br />

Orazio Alfallipe PiPPo Pattavina<br />

Adriana Alfallipe iLeana rigano<br />

Don Paolino Annunziata MiMMo MigneMi<br />

Pietro Fatta angeLo tosto<br />

Padre Arena FuLvio D’angeLo<br />

Elvira, moglie di Gaspare Risico / contadina che canta / paesana raFFaeL<strong>La</strong> BeL<strong>La</strong><br />

Impiegata delle Poste / attacchino / contadina / paesana giorgia BosCarino<br />

Gianni Alfallipe / dottor Mendicò FiLiPPo Brazzaventre<br />

Carmela Alfallipe vaLeria ContaDino<br />

<strong>La</strong> Mennulara bambina / attacchino / paesana Yvonne gugLieLMino<br />

Gaspare Risico / don Vito / secondo bandito / contadino aLessanDro iDonea<br />

Don Vincenzo Ancona CaMiLLo MasCoLino<br />

Massimo Leone eManueLe PugLia<br />

Margherita Fatta / donna Enza / attacchino / paesana ranie<strong>La</strong> ragonese<br />

Angelo Masculo / contadino / paesano / primo bandito sergio seMinara<br />

aiuto regia PaoLo MerLini - assistente costumista ange<strong>La</strong> guarnaCCia<br />

direttore di palcoscenico enzo Di steFano - suggeritore CarMeLo MarChese<br />

attrezzista aLessanDro Mangano - capo macchinista costruttore santo FLoresta<br />

primi macchinisti orazio gerMenà, seBastiano grigoLi - macchinista angeLo Cosentino<br />

capo sarta tania <strong>La</strong>uDani - sarti MeLina <strong>La</strong>uDani, riCCarDo CaPPeLLo<br />

capo elettricista saLvo or<strong>La</strong>nDo - elettricista saLvo Costa<br />

capo fonico giusePPe aLì - fonico Luigi Leone - assistente di scenografia eLio Di FranCo<br />

ufficio stampa Caterina rita anDò - direttore degli allestimenti FranCo BuzzanCa<br />

scene realizzate dallo stuDio Di sCenograFia DeL teatro staBiLe<br />

costumi e calzature realizzati dalla sartoria DeL teatro staBiLe - parrucche gagLiano, Catania<br />

foto di scena antonio ParrineLLo, Catania


© foto: Antonio Parrinello


Da tanti, troppi anni, in Italia, recensori e critici<br />

proclamano su quotidiani e gazzette la morte del<br />

romanzo e della poesia. è un lamento che ormai<br />

ha raggiunto cadenze semestrali. è di questi<br />

giorni la notizia che uno studioso è riuscito a stabilire<br />

con esattezza l’anno della morte della<br />

poesia in Italia: il 1971, se ci tenete a saperlo. E<br />

per quanto riguarda il romanzo, sul maggiore<br />

quotidiano italiano, un critico-poeta ha recentemente<br />

fatto un cospicuo elenco di scrittori<br />

scomparsi per dimostrare come narratori di<br />

quella razza adesso non se ne fabbricano più. Il<br />

bello, in quell’articolo, era che vi erano compresi<br />

nomi di autori che, in vita o post mortem, erano<br />

stati stroncati dallo stesso poeta-critico. E a<br />

niente vale che Ammanniti, Baricco, Cerami,<br />

Consolo, Fois, Lucarelli, Maraini, Pariani, Pontiggia,<br />

Ravera, Remondino, Rosso, Tabucchi,<br />

per citare, in rigoroso ordine alfabetico, i primi<br />

nomi che mi passano per la testa, continuino a<br />

pubblicare romanzi. Per ognuno di loro si potrebbe<br />

parafrasare: “il poveruom, che non se<br />

n’era accorto / andava romanzando ed era morto”.<br />

Sicché, a forza di annunzi funebri, quando<br />

vieni invitato alla presentazione di un nuovo<br />

romanzo non sai se stai partecipando a un battesimo<br />

oppure a una veglia funebre. Con buona<br />

pace delle prefiche, dico che qui non c’è dubbio<br />

che stiamo partecipando a un doppio battesi-<br />

<strong>La</strong> Mennu<strong>La</strong>ra<br />

Un finissimo gioco a nascondere<br />

di Andrea Camilleri<br />

“<strong>La</strong> Mennulara”<br />

è un delizioso, raro<br />

esercizio del gusto e<br />

della intelligenza.<br />

mo, di un romanzo e della sua autrice. Simonetta<br />

Agnello Hornby, siciliana di nascita, da<br />

trent’anni esercita la professione d’avvocato a<br />

Londra e tiene a sottolineare come questo suo<br />

romanzo sia il frutto quasi casuale del ritardo<br />

di un aereo. Il romanzo, dice, l’ho visto formarsi<br />

e scorrere come un film in quelle ore d’attesa.<br />

Dopo, non mi restava che trascriverlo. Allora,<br />

la domanda che sorge spontanea è: se le British<br />

Airways fossero state più puntuali, questo romanzo<br />

non sarebbe mai stato scritto? Permettetemi<br />

di dubitarne. All’autrice forse mancava<br />

una qualsiasi pezza giustificativa per se stessa<br />

di un parto che in qualche modo riteneva tardivo<br />

e azzardato. Ha colto a volo (è proprio il caso<br />

di dirlo) il primo pretesto. Perché questo romanzo<br />

evidentemente ubbidisce a una tale forza,<br />

a una tale urgenza, a una tale necessità di<br />

racconto da far pensare che sarebbe comunque<br />

venuto fuori. E dimostra, il romanzo, una così<br />

inconsueta, per un esordiente, solidità narrativa<br />

da far facilmente supporre che non resterà a lungo<br />

unico e solo. Bellissimo titolo, “<strong>La</strong> Mennulara”,


© foto: Antonio Parrinello


vale a dire la raccoglitrice di mennuli, mandorle.<br />

Il lavoro delle mennulare era duro. Una mezza<br />

dozzina di donne di tutte le età, anche adolescenti,<br />

disposte a semicerchio sotto a ogni albero a<br />

spezzarsi la schiena stando calate a raccogliere le<br />

mandorle, che venivano fatte cadere dai rami<br />

con magistrali colpi di canna, e a metterle dentro<br />

a una coffa di saggina. Stavano chinate così tutto<br />

il giorno, dall’alba al tramonto, sotto un sole<br />

che spaccava le pietre, con solo un’ora d’intervallo<br />

per un misero pasto all’ombra degli alberi. Me<br />

le ricordo tutte magre, cotte di pelle, arse; solo<br />

di prima mattina scattanti, vocianti, rissose, di<br />

lingua salace, spesso viperina perché poi lentamente<br />

la fatica le rendeva mute. E alla fine della<br />

giornata, con i pugni premuti con forza dietro la<br />

schiena, stentavano a riprendere la posizione<br />

eretta, tutte avevano sulla faccia una smorfia di<br />

dolore. Dato che non sono qui per recensire il<br />

libro, non ho il dovere di raccontare il fatto, la<br />

trama. Dirò solo che nel primo capitolo, datato<br />

23 settembre 1963, e intitolato “Il dottor Mendicò<br />

assiste alla morte di una paziente”, la paziente<br />

è appunto la protagonista, la cinquantacinquenne<br />

Maria Rosaria Inzerillo, meglio nota come “la<br />

mennulara”, prima ex mennulara appunto, poi<br />

serva a quindici anni in casa Alfallipe, poi occulta<br />

amministratrice del patrimonio sempre<br />

più in rovina della famiglia, poi ancora nume<br />

tutelare dell’ex padrona Adriana che addirittura<br />

accoglie in casa sua, sempre rispettandola e<br />

servendola. Quindi il romanzo, con consumata<br />

abilità, si svolge contemporaneamente su due<br />

<strong>La</strong> Mennu<strong>La</strong>ra<br />

piani temporali. Il primo è quello presente, dove<br />

vengono narrati i fatti, assolutamente singolari,<br />

che accadono dopo la morte della mennulara;<br />

il secondo è quello passato, cioè il tentativo<br />

di ricostruzione della vera vita della mennulara,<br />

chiamata familiarmente Mennù dagli Alfallipe.<br />

Perché gli interrogativi su di lei sono molti.<br />

Ad esempio: dove prendeva i soldi per dare un<br />

futuro ai figli della signora Adriana? Quali sono<br />

stati i suoi veri rapporti con Orazio Alfallipe,<br />

marito di Adriana e suo padrone? E poi: che tipo<br />

di donna era? Arrogante e scostante, come la<br />

ricordano alcuni, oppure pronta e aperta alle<br />

necessità di chi si rivolgeva a lei, come sostengono<br />

altri? E perché un temuto capomafia la cui<br />

sola presenza fa letteralmente pisciare addosso<br />

uno dei personaggi, si reca al suo funerale? è<br />

chiaro che la mennulara nasconde un segreto e<br />

questo segreto tutto il paese di Roccacolomba,<br />

dai borghesi benestanti ai portinai, è intrigato<br />

a scoprire. Un romanzo anche corale, dunque.<br />

Ma va detto subito a scanso d’equivoco che i<br />

componenti del coro non sono solo voci anonime<br />

come spesso avviene, ma personaggi disegnati a<br />

tutto tondo, ognuno dei quali apporta un pezzetto<br />

di verità, della sua verità. Dirò ancora, a<br />

proposito della trama, che l’ultimo capitolo è<br />

datato 23 ottobre 1963. Vale a dire che la vicenda<br />

del romanzo ha una durata, riferendoci al<br />

tempo presente del racconto, di appena un mese.<br />

Inizia con una morte, si conclude col trigesimo<br />

di quella morte. In questi ultimi giorni m’è<br />

capitato di leggere qualche recensione del ro-


© foto: Antonio Parrinello


manzo e tutte mi sembrano finire coll’assomigliare,<br />

nel loro affannoso tentativo di definirlo,<br />

di circoscriverlo, di palettarlo in qualche modo,<br />

alla situazione degli abitanti di Roccacolomba<br />

che cercano l’identità della mennulara. Qualcuno<br />

ha scritto che si tratta di un “godibile romanzo<br />

popolare”. Davvero? Popolare come Mastriani<br />

o come Liala? I più inclinano a<br />

considerarlo un romanzo di “fedele struttura<br />

ottocentesca”. Domenico Cacopardo, nella sua<br />

recensione, scrive che “siamo di fronte a un romanzo<br />

visitazionista, che riprende e recupera<br />

una poetica desueta, ormai estraniata dalla letteratura<br />

isolana”. Che viene a significare tutto<br />

questo? Che si tratta di un romanzo costruito<br />

come un romanzo che non cerca strade nuove<br />

ma che strettamente si attiene a ottocentesche<br />

regole del narrare? Mi sento perfettamente in<br />

consonanza con lo spirito che alimenta il nostro<br />

parlamento e il nostro governo se avanzo un legittimo<br />

sospetto. A prova di questo sospetto,<br />

permettetemi una citazione, poche righe dal sesto<br />

sottocapitolo intitolato “Il pranzo di mezzogiorno<br />

a casa Fatta” che mi sono parse illuminanti.<br />

A proposito, non sarebbe disdicevole<br />

intitolare, in un romanzo di stretta osservanza<br />

ottocentesca, un sottocapitolo semplicemente<br />

“<strong>La</strong> famiglia Masculo si mangia la pasta scotta”<br />

e un altro: “Il pomeriggio del giorno della<br />

morte la famiglia Alfallipe prende delle decisioni<br />

fatidiche e i fratelli Alfallipe passano la notte<br />

ognuno per i fatti propri anziché fare la veglia”?<br />

Non sentono che qualcosa non quadra? Ma<br />

<strong>La</strong> Mennu<strong>La</strong>ra<br />

sull’uso di questi titoli avrò modo di tornare.<br />

Ecco la citazione. Palazzo Fatta era costruito nella<br />

parte più alta di Roccacolomba, a fianco del monastero<br />

dell’Addolorata e rispettosamente vicino<br />

all’imponente palazzo dei principi di Brogli, ora<br />

disabitato. Ne rimanevano intatte e maestose le<br />

mura esterne, la grandiosa facciata barocca dai<br />

balconi panciuti, le persiane perennemente accostate<br />

e il grande portone di ferro. L’interno era nascosto<br />

agli sguardi dei paesani ma non a quelli dei<br />

Fatta, dalla cui terrazza si scorgevano i cortili rigogliosi<br />

di piante e arbusti selvatici, le finestre delle<br />

corti interne squassate dal vento, le aiuole semidistrutte,<br />

in uno stato d’abbandono che lasciava<br />

presagire la prossima e accelerata metamorfosi del<br />

magnifico palazzo in rudere. Mi pare di capire<br />

che ci sono due tipi di turisti che si recano a<br />

Roccacolomba. Il primo, fino a questo momento<br />

il più folto, è costituito da coloro che, fermi<br />

sulla piazza, osservano estasiati la grandiosa<br />

facciata barocca del palazzo dei principi di Brogli<br />

e, ingannati dalle maestose mura esterne, lo<br />

reputano un palazzo di solida, tradizionale costruzione.<br />

Altri turisti, invece, salgono fin sulla<br />

terrazza del vicino palazzo Fatta e dalla terrazza<br />

hanno la possibilità di constatare a quale<br />

grado di rovina sia arrivato il palazzo dei principi,<br />

ormai prossimo a diventare un rudere. Tra<br />

questi ultimi turisti c’è stato, ad esempio, Aldo<br />

Busi il quale non si è lasciato ingannare dalle<br />

apparenze: “l’impianto del romanzo sembra<br />

classico nel senso retrivo” - scrive, e prosegue<br />

giustamente affermando che invece le cose


© foto: Antonio Parrinello


Donne. L’altra metà del cielo<br />

stanno assai diversamente. Io credo che l’autrice<br />

abbia messo in atto una sua personale strategia<br />

della derisione, non so e non importa fino a<br />

che punto coscientemente, proprio nei riguardi<br />

del romanzo ottocentesco.<br />

Mi limiterò a segnalare almeno tre piste che<br />

portano in questa direzione. <strong>La</strong> meno evidente<br />

è la scrittura. Busi ha notato che l’uso sistematico<br />

del passato remoto sembrerebbe ricondurre<br />

a un narrare di stampo ottocentesco (vale a dire<br />

alla facciata del palazzo dei principi), ma cosa<br />

stanno a significare, all’interno di una scrittura<br />

che appare volersi muovere come il pacato e placato<br />

scorrere di un fiume, quei piccoli gorghi,<br />

quei mulinelli che frequentemente increspano<br />

la superficie dell’acqua? Mi riferisco all’intervento<br />

di costruzioni e parole dialettali che maliziosamente<br />

affiorano di tratto in tratto. Sono<br />

frasi e parole non messe lì come l’uva passa su<br />

un dolce, ma costituiscono parte integrante e<br />

insostituibile di una scrittura che trova la forza,<br />

la capacità di produrre anticorpi a se stessa.<br />

Vale a dire, in metafora, che l’autrice invita il<br />

lettore a salire sulla terrazza di palazzo Fatta<br />

per osservare qual è la realtà del palazzo dei<br />

principi. Un’altra pista, ma questa assai più vistosa,<br />

è l’intitolazione dei capitoli. Il romanzo si<br />

divide, che più tradizionale di così non si può, in<br />

nove giornate tutte debitamente datate e precisamente<br />

il 23, 24, 25, 26, 27, 29, 30 settembre,<br />

1 e 23 ottobre 1963. Ogni giornata è suddivisa<br />

in un certo numero assai variabile di capitoli<br />

o sottocapitoli, se volete: ad esempio, la gior-<br />

nata del 23 ne ha nove, mentre la giornata del<br />

29 ne ha appena uno. Tutti questi capitoli sono<br />

tradizionalmente intitolati. Ora, a cosa serviva<br />

il titolo nei capitoli del romanzo ottocentesco?<br />

Serviva a sottolineare al lettore i punti nodali<br />

contenuti nel capitolo stesso. In altre parole,<br />

l’autore prendeva per mano il lettore e gli faceva<br />

da guida, obbligandolo, in un certo senso, a<br />

un preciso percorso di lettura. Se questo è vero,<br />

come è vero, allora che senso hanno titoli come<br />

questi: “la prova del vestito della nipotina della<br />

signora Fatta”, oppure “il presidente Fatta<br />

medita”, oppure ancora: “don Vincenzo Arena<br />

è scortese con la moglie”? Attenzione però, perché<br />

all’interno di questi capitoli tanto minimalisticamente<br />

connotati, accadono fatti rilevanti<br />

ai fini dello sviluppo del racconto. Allora? Non<br />

c’è una precisa volontà di derisione della forma<br />

narrativa ottocentesca? Ma il culmine vittorioso<br />

di questa sottile e beffarda strategia, ed<br />

è la terza pista, l’autrice lo tocca nelle ultime<br />

pagine. Quando cioè l’ex mennulara, l’ex serva,<br />

l’ex amministratrice si scopre essere stata, per<br />

il dottor Palmeri, archeologo del museo regionale,<br />

addirittura un uomo, il signor <strong>La</strong> Mennulara.<br />

Il soprannome diventa, a tutti gli effetti,<br />

cognome. E non solo: gli eredi di casa Alfallipe<br />

scoprono contestualmente che il signor <strong>La</strong><br />

Mennulara è un esperto della ceramica attica<br />

della Magna Grecia. Ma lo sberleffo non termina<br />

qui. Alla mennulara verrà infatti intitolata<br />

una manifestazione musicale di grande rilievo.<br />

Un’ulteriore, imprevedibile trasformazione. E


ci sono altre piste di questa strategia dell’irrisione,<br />

per esempio quelle nascoste nel capitolo<br />

intitolo “Epilogo”, che è l’accenno a ciò che<br />

capitò qualche anno dopo. Cito il paragrafetto<br />

dedicato a Gianni Alfallipe. Gianni visse una<br />

vita paga e serena con la moglie e il figlio Orazio,<br />

a Catania, e fece una discreta carriera universitaria.<br />

Non sospettò mai che Orazio non fosse figlio<br />

suo, ma di un carissimo amico di famiglia, collega<br />

della moglie. Palazzo Alfallipe è rimasto intatto,<br />

soltanto un poco più malandato. Gianni e la moglie<br />

ne occupano il piano nobile, quando vengono<br />

a Roccacolomba per le vacanze e per le manifestazioni<br />

musicali, invitando spesso qualche amico.<br />

Il piccolo Orazio fu concepito nello studio dell’avvocato<br />

Alfallipe, sul divano di fronte il camino.<br />

Ora, considerato che Gianni è un personaggio<br />

marginale e che di sua moglie viene fatto solo<br />

qualche superficiale accenno, uno potrebbe domandarsi<br />

quale utilità abbia questo paragrafo<br />

con la rivelazione dell’adulterio e della nascita<br />

di un figlio adulterino. A prima vista, verrebbe<br />

da dire nessuna. Ma l’autrice, rivelando il luogo<br />

dell’adulterio, vale a dire lo studio di Orazio<br />

Alfallipe, misterioso spazio deputato di tutti gli<br />

eventi della casa, opera una vera e propria damnatio<br />

loci, o se volete, una sacrilega damnatio<br />

memoriae. E questa volta gioca a carte scoperte.<br />

Il mio vuole in sostanza essere un avvertimento<br />

ai lettori: prendete in mano questo libro<br />

con estrema cautela, non abbandonatevi fiduciosi<br />

al suo apparentemente tranquillo narrare.<br />

A leggere questo romanzo si prova un autentico<br />

<strong>La</strong> Mennu<strong>La</strong>ra<br />

godimento, esperienza certamente inconsueta<br />

con la nostra letteratura. Attenzione però, siate<br />

vigili, perché ci sono imprevedibili trabocchetti,<br />

sornioni depistaggi, improvvisi colpi di coda<br />

ai quali non si è preparati. In effetti, prima<br />

ancora d’essere un romanzo costruito con estrema<br />

abilità e compatta, matura sapienza, “<strong>La</strong> Mennulara”<br />

è un delizioso, raro esercizio del gusto e della<br />

intelligenza, un finissimo gioco a nascondere.<br />

Andrea Camilleri<br />

Presentazione del romanzo.<br />

Libreria Feltrinelli, Roma, 20 ottobre 2002


© foto: Antonio Parrinello


Roccacolomba, 1963. Un mistero accompagna<br />

i funerali di Maria Rosalia<br />

Inzerillo, detta la Mennulara (la raccoglitrice<br />

di mandorle), serva e criata<br />

della famiglia Alfallipe. In rapida successione,<br />

sui muri della città, appaiono due manifesti<br />

funebri, uno più altisonante dell’altro. Cosa si<br />

nasconde dietro questo doppio elogio postumo? E<br />

soprattutto: chi era la Mennulara? Avida o generosa?<br />

Serva o padrona? Ricca o povera? I funerali<br />

della donna accolgono il coro discorde di chi l’ha<br />

conosciuta, di chi l’ha amata e di chi l’ha disprezzata.<br />

Nei frammenti di uno specchio frantumato,<br />

l’immagine della Mennulara si disperde di bocca in<br />

bocca, nel cicaleccio di una città ancorata alle sue<br />

tradizioni antiche, ma già sedotta dalla modernità.<br />

Attorno alla sua morte, nell’ora tragica e solenne<br />

del suo funerale, il teatro di coloro che l’hanno incrociata<br />

compone un affresco carico di pensieri,<br />

risentimenti, desideri. E soprattutto di segreti.<br />

Dietro il profilo apparentemente modesto di questa<br />

donna del popolo si intravede una filigrana di<br />

alleanze oscure, di peccati inconfessabili, di vizi<br />

antichi. Passato e presente tornano a saldarsi nel<br />

momento in cui, celebrando la morte della Mennulara,<br />

si sfalda la cortina di perbenismo di una<br />

società ormai vecchia, incapace di mettersi al passo<br />

coi tempi, ma ancora chiusa nella sua illusione<br />

di potere e ricchezza.<br />

<strong>La</strong> Mennu<strong>La</strong>ra<br />

Il mistero della Mennulara<br />

di Simonetta Agnello Hornby e Gaetano Savatteri<br />

Su questo confine tra vecchio e nuovo, si dispiega<br />

la figura forte e controversa della Mennulara. Una<br />

donna segnata dalle avversità della vita, ma capace<br />

di trasformare in opportunità gli svantaggi<br />

dettati dalla nascita, dal destino, dalla debolezza.<br />

Nume tutelare oscuro e capriccioso della famiglia<br />

Alfallipe, la Mennulara come un maestro puparo<br />

muove con sapienza i fili delle persone che entrano<br />

nella sua sfera di influenza, alternando ricatto e<br />

affetto, perfidia e amore.<br />

Così organizza la sua vendetta postuma, calcolando<br />

passo dopo passo le reazioni degli eredi della<br />

famiglia Alfallipe. Preveggente come una Sibilla<br />

lucida e feroce, la Mennulara predispone il percorso<br />

obbligato al quale costringerà tutti coloro che hanno<br />

intersecato la sua vita. Un progetto complesso,<br />

un marchingegno beffardo e infernale che riscatta<br />

una vita di umiliazioni, rinunce e sofferenze.<br />

<strong>La</strong> Mennulara sfugge ai luoghi comuni sulla donna<br />

siciliana, stagliandosi nella sua essenza di ferro<br />

e di fuoco: donna serva o donna padrona, la Mennulara<br />

legge la realtà della <strong>Sicilia</strong> fino a scarnificarla,<br />

rivelandone le meschinità, i sotterfugi, le<br />

ipocrisie. E finisce per diventare il simbolo di una<br />

femminilità caparbia e decisa: una dea<br />

dei poveri pronta a infliggere perdoni<br />

e castighi, personaggio tragico precipitato<br />

in un teatrino di marionette.


© foto: Antonio Parrinello


Note di regia<br />

Riassumo in maniera schematica i miei appunti<br />

di regia.<br />

1. Attraversare il romanzo senza piegarlo alle<br />

necessità del dramma.<br />

Ho chiesto a Gaetano Savatteri un copione<br />

“aperto” in cui a prevalere fossero le parole<br />

dell’autrice. In scena ho lasciato che gli attori recitassero<br />

con leggerezza i dialoghi, alternandoli a<br />

frammenti narrativi dell’originale.<br />

2. Rispettare l’oscillazione del tempo.<br />

Abbiamo voluto mantenere saldamente i due<br />

piani temporali: il primo è quello presente, in<br />

cui vengono narrati i fatti con la complicità della<br />

conversazione paesana. Il secondo è quello del<br />

passato, in cui si ricostruisce la vera vita della<br />

Mennulara.<br />

3. Il lavoro in palcoscenico.<br />

Ho pregato la costumista Elena Mannini di<br />

mantenere, con l’estro e la fantasia che la distinguono,<br />

una precisa ambientazione anni<br />

sessanta. Allo scenografo Gianni Carluccio invece<br />

ho proposto uno spazio astratto, unico, dove si<br />

potesse svolgere tutto (interni ed esterni) senza<br />

preoccupazioni naturalistiche. Lo scenografo<br />

ha creato un sovrapporsi di strade stimolante<br />

e assai pertinente. Al musicista Marco Betta<br />

ho domandato atmosfere, “paesaggi”, come li<br />

<strong>La</strong> Mennu<strong>La</strong>ra<br />

di Walter Pagliaro<br />

chiama lui, capaci di evocare, alternando<br />

incubi martellanti a spazi<br />

calmi, suggestioni della memoria. Con<br />

Daniela Schiavone, la coreografa, ho<br />

giocato quotidianamente a individuare<br />

un ritmo dello spettacolo, lavorando sui corpi<br />

e sullo spazio. Le ho detto: “Immaginiamo che<br />

tutto sia un incessante fluire di persone attraverso<br />

le strade di un paese: passeggiate pettegole,<br />

lento inerpicarsi di oziosi individui, processioni<br />

religiose, cortei politici, funerali, faticoso incedere<br />

di schiene piegate dalla fatica.”<br />

4. Dalla schiavitù alla libertà del pensiero.<br />

Senza volermi appropriare né di conclusioni né<br />

di messaggi che lascio al romanzo e alla sua fantastica<br />

complessità, io ho voluto semplicemente<br />

sviluppare quello in cui personalmente credo:<br />

qualsiasi essere umano (anche il più reietto) se si<br />

accosta a qualcosa di bello ne subisce un’attrazione,<br />

forse anche una suggestione. Guardare un<br />

quadro, avvicinarsi a un vaso antico o ascoltare<br />

una sinfonia produce, in varia misura, un’emozione,<br />

anche senza capirci niente. Io penso che la<br />

mennulara sia stata toccata da questa emozione,<br />

non sia riuscita a sottrarsi al brivido di questo<br />

contagio.


Donne.<br />

L’altra metà del cielo<br />

teatro staBiLe Di Catania<br />

via Museo Biscari 16, 95131 Catania - tel. 095 7310811 - fax 095 365135<br />

info@teatrostabilecatania.it - www. teatrostabilecatania.it<br />

stagione 2011/2012<br />

<strong>La</strong> governante<br />

<strong>La</strong> commedia<br />

di Orlando<br />

Le allegre comari<br />

di Windsor<br />

Il teatrino<br />

delle meraviglie<br />

Signorina Giulia<br />

<strong>La</strong> nave delle spose<br />

‘A vilanza<br />

Un tram che si chiama<br />

desiderio<br />

I giganti della montagna<br />

Trovarsi<br />

Il tredicesimo punto<br />

<strong>La</strong> casa di Bernarda Alba<br />

Ifigenia in Aulide


assegna di teatro contemporaneo<br />

Scenario Pubblico<br />

Vincenzo Pirrotta<br />

Sacre-Stie - 24 e 25 gennaio 2012<br />

con Filippo Luna<br />

oppure<br />

Malalunanuova - 26 e 27 gennaio 2012<br />

oppure<br />

<strong>La</strong> ballata delle balate - 28 e 29 gennaio 2012<br />

TeaTro MuSco - 24 e 25 marzo 2012<br />

César Brie<br />

Karamazov<br />

Zō cenTro culTure conTeMPoranee - 21 e 22 aprile 2012<br />

Claudio Santamaria, Filippo Nigro,<br />

Nicole Murgia, Massimo De Santis<br />

Occidente solitario di Martin McDonagh<br />

TeaTro MuSco - 12 e 13 maggio 2012<br />

Saverio <strong>La</strong> Ruina<br />

Dissonorata. Un delitto d’onore in Calabria<br />

www.teatrostabilecatania.it


Donne.<br />

L’altra metà del cielo<br />

stagione 2011/2012<br />

ProssiMi sPettaCoLi<br />

<strong>La</strong> governante<br />

di Vitaliano Brancati<br />

regia Maurizio Scaparro<br />

scene e costumi Santuzza Calì<br />

con Pippo Pattavina, Giovanna Di Rauso,<br />

Max Malatesta, Marcello Perracchio, Giovanni Guardiano,<br />

Valeria Contadino, Chiara Seminara<br />

produzione Teatro Stabile di Catania<br />

teatro verga DaL 13 gennaio aL 3 FeBBraio 2012<br />

<strong>La</strong> commedia di Orlando<br />

teatro staBiLe Di Catania<br />

liberamente tratto da Orlando di Virginia Woolf<br />

regia e drammaturgia Emanuela Giordano<br />

con Isabella Ragonese<br />

e con Erika Blanc<br />

produzione Compagnia Enfi Teatro<br />

teatro aMBasCiatori DaL 17 aL 22 gennaio 2012<br />

via Museo Biscari 16, 95131 Catania<br />

tel. 095 7310811 - fax 095 365135<br />

info@teatrostabilecatania.it - www.teatrostabilecatania.it

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