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i delicati nella cisalpina - Università di Verona - Università degli ...

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I DELICATI NELLA CISALPINA<br />

Valeria La Monaca<br />

Siamo profondamente grati al Prof. Ezio Buchi per i suoi stu<strong>di</strong> sulla X<br />

Regio: egli ha infatti magistralmente delineato la compagine sociale ed<br />

economica <strong>di</strong> questa parte della penisola italica così articolata e <strong>di</strong>namica. In<br />

questa sede, dunque, mi permetto <strong>di</strong> aggiungere un piccolo tassello alla<br />

ricostruzione storica <strong>di</strong> questo territorio partendo da un’indagine preliminare<br />

sulla documentazione epigrafica relativa ai <strong>delicati</strong> 1 . Equiparati ai<br />

delicia/deliciae 2 , essi vengono presentati <strong>nella</strong> tra<strong>di</strong>zione letteraria latina come<br />

giovani <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zione servile, o al massimo libertina, oggetto <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>lezione<br />

da parte dei padroni e pertanto designati a tenere loro compagnia in tutte le<br />

occasioni della giornata 3 . Tuttavia, le connotazioni erotiche che talvolta hanno<br />

caratterizzato il legame tra il dominus e il delicatus/delicium/deliciae,<br />

soprattutto nelle fonti letterarie 4 , sembrerebbero essere smentite dalla<br />

documentazione epigrafica che restituisce l’immagine <strong>di</strong> uno schiavo partecipe<br />

della vita affettiva della famiglia <strong>di</strong> appartenenza.<br />

Ciò appare confermato anche dai dati forniti dalle Regiones X e XI, da cui<br />

provengono 32 iscrizioni che restituiscono la commemorazione <strong>di</strong> 36 <strong>delicati</strong>:<br />

questa documentazione, quin<strong>di</strong>, parrebbe confermare l’ipotesi che in questa zona<br />

italica, nelle Galliae, nelle Germaniae e <strong>nella</strong> Dalmazia l’aggettivo delicatus, -a,<br />

-um fosse preferito ai termini deliciae, -arum (a volte usato anche al singolare,<br />

delicia, -ae) e a delicium, -i (talvolta anche al maschile delicius, -i), invece più<br />

ricorrenti a Roma, nel Lazio e nell’Italia meri<strong>di</strong>onale 5 . Diversamente dalle<br />

1<br />

Il presente lavoro intende essere un’indagine preliminare e circoscritta all’Italia settentrionale: questo<br />

argomento è tuttora oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o da parte mia e costituisce la materia <strong>di</strong> ricerca della mia tesi <strong>di</strong><br />

Dottorato in Scienze Storiche e Antropologiche, presso l’<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>. Sui<br />

<strong>delicati</strong>/delicia: AURIGEMMA 1910, pp. 1594-1603 con bibliografia precedente; SLATER 1974, pp. 133-<br />

140; NIELSEN 1990, pp. 79-88; LAES 2003, pp. 298-324; LA MONACA 2007, pp. 175-180. Inoltre,<br />

contributi occasionali sono in VAN DAM 1984, pp. 72-73 e passim; HERRMANN-OTTO 1994, pp. 310-<br />

312 e passim; ZAMPIERI 2000, pp. 39-42.<br />

2<br />

Per quanto riguarda le questioni etimologiche, ancora aperte, relative all’aggettivo delicatus, -a, -um e<br />

alla sua associazione semantica con i termini delicia, -ae (deliciae, -arum) e delicium, -i (delicius, -i) si<br />

veda ERNOUT, MEILLET, ANDRÉ 1985, pp. 168-169; 346-348.<br />

3<br />

Cfr. TLL, V, 1909-1943, cc. 443-450 ma anche l’antologia <strong>di</strong> passi riportata in AURIGEMMA 1910, pp.<br />

1594-1595 e passim.<br />

4<br />

AURIGEMMA 1910, pp. 1594-1603; si veda in particolare WATSON 1992, pp. 253-268.<br />

5<br />

AURIGEMMA 1910, pp. 1597-1598 fa riferimento all’uso <strong>di</strong> delicatus solo in Italia settentrionale, <strong>nella</strong><br />

Gallia Narbonensis e <strong>nella</strong> Dalmazia ma una ricerca più attenta della documentazione epigrafica,


212 VALERIA LA MONACA<br />

fonti letterarie, in epigrafia tutti questi termini, insieme all'appellativo<br />

delicatus, -a, -um, sembrano usati in<strong>di</strong>fferentemente 6 : che ciò sia dovuto a un<br />

chiaro riferimento anagrafico, in base al quale venivano denominati <strong>delicati</strong><br />

tutti coloro che avessero superato il periodo della pubertà e deliciae coloro che<br />

non avessero ancora raggiunto la maturazione 7 , è smentito dalle iscrizioni che<br />

riportano l'età dei <strong>delicati</strong> commemorati 8 come, ad esempio, quella proveniente<br />

da Pola, in cui il delicatus <strong>di</strong> Tito Terenzio Basso morì alla tenerà età <strong>di</strong> 2<br />

anni 9 . Come si evince dal primo grafico (fig. 1), l’età dei <strong>delicati</strong> ricordati <strong>nella</strong><br />

Cisalpina va dai 2 ai 26 anni sebbene <strong>nella</strong> casistica, nota al <strong>di</strong> fuori dell’Italia<br />

Settentrionale, non manchino esempi <strong>di</strong> <strong>delicati</strong> con un limite <strong>di</strong> età <strong>di</strong> gran<br />

lunga superiore: ciò è ben palese in CIL, X, 1875, dove il delicatus<br />

commemorato ha l'età <strong>di</strong> 45 anni 10 . Inoltre, non pare essere verosimile l'ipotesi,<br />

avanzata da numerosi stu<strong>di</strong>osi moderni 11 e basata sull'analisi delle fonti<br />

letterarie, che pueri <strong>delicati</strong> e deliciae fossero usati solo in riferimento a<br />

schiavi <strong>di</strong> tenera età e <strong>di</strong> sesso maschile: infatti, dal secondo grafico (fig. 2) è<br />

manifesto che l'appellativo veniva generalmente utilizzato sia in riferimento a<br />

donne sia in riferimento a uomini.<br />

Non sempre è possibile ricostruire, con certezza, la con<strong>di</strong>zione giuri<strong>di</strong>ca dei<br />

<strong>delicati</strong> cisalpini ma essa appare determinabile dalle poche informazioni riportate<br />

sulle iscrizioni 12 . Come riassunto nel terzo grafico (fig. 3), i <strong>delicati</strong> erano per la<br />

maggioranza schiavi. Più complessa appare l’identificazione dello status sociale dei<br />

detentori dei tria nomina anche se l'omissione <strong>di</strong> alcuni elementi rimane, comunque,<br />

in<strong>di</strong>cativa <strong>di</strong> una con<strong>di</strong>zione libertina 13 : la forma e l'etimologia del cognomen,<br />

unitamente alla mancanza del patronimico costituirebbero in<strong>di</strong>zi sicuri <strong>di</strong> un passato<br />

servile 14 .<br />

arricchita anche da recenti rinvenimenti, fornisce un quadro più dettagliato e <strong>di</strong>namico della sua<br />

<strong>di</strong>ffusione con una chiara <strong>di</strong>fferenza tra le zone settentrionali dell’impero, dove è più usato l’aggettivo<br />

delicatus e quelle meri<strong>di</strong>onali, dove sono più <strong>di</strong>ffusi i termini deliciae e delicium. Questa<br />

documentazione è attualmente oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o per la mia tesi <strong>di</strong> dottorato. Si veda anche NIELSEN<br />

1990, pp. 82-85 e LAES 2003, pp. 306-307 che, a tal proposito, parla <strong>di</strong> «local fashion».<br />

6<br />

AURIGEMMA 1910, pp. 1594-1603; VAN DAM 1984, p. 73; NIELSEN 1990, pp. 82-85.<br />

7<br />

MAU 1901, p. 2437 e AURIGEMMA 1910, p. 1598.<br />

8<br />

AURIGEMMA 1910, p. 1598 e SLATER 1974, p. 135.<br />

9<br />

SI, 1101 = InscrIt, X, 1, 263. Sulla questione si veda LAES 2003, pp. 308-309.<br />

10<br />

AURIGEMMA, 1910, pp. 1598-1599 dà all’appellativo l’accezione <strong>di</strong> “carissimo”, a <strong>di</strong>mostrazione del<br />

fatto che esso veniva usato per manifestare affetto e tenerezza. In realtà, mi sembra, in sintonia con<br />

altre iscrizioni, che con delicatus si intendesse fare riferimento ad una precisa categoria <strong>di</strong> persone.<br />

L’iscrizione infatti ricorda Cn. Cornelius che fu verna, delicatus, augustalis, dupliciarius:<br />

l’inserimento dell’aggettivo fra termini che qualificano la figura, le mansioni e lo status del<br />

personaggio in questione farebbero ritenere che il delicatus assolvesse a dei compiti ben precisi<br />

all’interno della familia domestica.<br />

11<br />

MAU 1901, pp. 2437-2438; KROLL 1921; SLATER 1974; VAN DAM 1984, p. 72.<br />

12<br />

AURIGEMMA 1910, p. 1600.<br />

13<br />

In alcuni casi determinare lo stato giuri<strong>di</strong>co dei <strong>delicati</strong> è reso complicato dalla frammentarietà del<br />

testo; a tal proposito si veda CIL, V, 8409 = InscrAq, 1612 che restituisce il ricordo <strong>di</strong> una [- - -]<br />

M(arci) f(ilia), Licaeae del[- - -]: questa iscrizione, pertanto, potrebbe rappresentare l’unico caso <strong>di</strong><br />

delicata (?) <strong>di</strong> nascita libera <strong>nella</strong> Cisalpina.<br />

14<br />

Cfr. CIL, V, 647 = InscrIt. X, 4, 171; CIL, V, 1137 = InscrAq, 943; CIL, V, 3474; AE 1935, 105 =<br />

REALI 1998, p. 109, n. 128c.


3,0<br />

2,5<br />

2,0<br />

1,5<br />

1,0<br />

0,5<br />

0,0<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

I DELICATI NELLA CISALPINA 213<br />

1-5 anni 6-10 anni 11-15 anni<br />

16-20 anni 21-25 anni<br />

Fig 1. Età dei <strong>delicati</strong> cisalpini.<br />

Uomini Donne Incerto<br />

Fig. 2. Sesso dei <strong>delicati</strong> cisalpini.<br />

Inoltre, non mancano casi in cui la con<strong>di</strong>zione libertina è resa esplicita, come<br />

in CIL, V, 7014 = AE 1998, 646: Publius Aebutius, / P(ublius) l(ibertus), / Memno, /<br />

aug(ustalis) / sibi et / Aebutia Mile, / libert(ae) et / delicatae / suae, / t(estamento)<br />

f(ieri) i(ussit). / H(oc) m(onumentum) h(eredes) n(on) s(equetur) 15 .<br />

15 Si vedano, a titolo esemplificativo, le seguenti iscrizioni: CIL, V, 8346 = InscrAq, 919 = REALI 1998,<br />

pp. 45-46, n. 27c; CIL, V, 8409 = InscrAq, 1612; CIL, V, 1405 = InscrAq, 3305; SCARFÌ 1969-1970, p.<br />

244, n. 29 = AE 1981, 427 = ZAMPIERI 2000, p. 140, n. 9; CIL, V, 7023 = CRESCI MARRONE 2003, pp.<br />

218-223.


214 VALERIA LA MONACA<br />

30<br />

25<br />

20<br />

15<br />

10<br />

14<br />

12<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

5<br />

0<br />

Grafico 3<br />

schiavi liberti incerti<br />

Fig. 3. Con<strong>di</strong>zione giuri<strong>di</strong>ca dei <strong>delicati</strong> cisalpini.<br />

Familiare A dest. multipla A dest. singola<br />

Fig. 4. Monumenti funerari dei <strong>delicati</strong> cisalpini.<br />

Dai dati fin qui emersi pare probabile l'ipotesi che, ad un certo punto della<br />

loro vita, questi schiavi venissero affrancati dai padroni, forse, come segno <strong>di</strong><br />

riconoscimento e <strong>di</strong> affetto nei loro confronti: in alcune iscrizioni, infatti, la<br />

con<strong>di</strong>zione libertina, certa o desumibile, insieme all’appartenenza del delicatus<br />

alla stessa gens del patrono fanno propendere alla possibilità <strong>di</strong> una


I DELICATI NELLA CISALPINA 215<br />

manomissione anziché ad un legame <strong>di</strong> parentela 16 ; solo in due casi (CIL, V,<br />

1460: L(ucius) Vinisius, T(iti) (et) L(uci) l(ibertus), / Alexander / v(ivus) f(ecit)<br />

sibi et suis, / Vinisiae, T(iti) (et) L(uci) l(ibertae), / Primae et / Iuliae, C(ai)<br />

l(ibertae), Methe, delicatae suae et / Inacho, filio, / L(ucio) Vinusio Floro,<br />

l(iberto), / Vinusiai Corinnai, l(ibertae). / L(ocus) m(onumenti) q(uoque)<br />

v(ersus) p(edes) q(uadratos) XX e CIL, V, 1137=InscrAq, 943: Caesilia, Q(uinti)<br />

l(iberta), / Cinnamis / Din<strong>di</strong>ae Lauri<strong>di</strong>, / delicatae suae, ann(os) / natai XXIV. /<br />

Hic con<strong>di</strong><strong>di</strong>t ossa) le delicatae ricordate non portano gli stessi nomi del<br />

committente, fenomeno questo che, sebbene poco frequente, merita certamente<br />

una più approfon<strong>di</strong>ta riflessione. Ma, estremamente importante, in tal senso,<br />

sembra essere l'iscrizione proveniente da Ferrara intitolata a Festio, Papiri Prisci<br />

delic(ato)... qui si vixisset domini / iam nomina ferret 17 . Non è possibile stabilire<br />

se si trattasse, semplicemente, <strong>di</strong> una consuetu<strong>di</strong>ne, né in quale preciso periodo<br />

della vita avvenisse l'affrancamento: delle otto testimonianze epigrafiche in<br />

possesso, relative ai <strong>delicati</strong> cisalpini <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zione libertina (non sempre<br />

<strong>di</strong>chiarata) 18 , solo due <strong>di</strong> queste riportano l'età dei <strong>delicati</strong> commemorati 19 , ossia,<br />

rispettivamente, <strong>di</strong> 24 e 26 anni, mentre si hanno notizie <strong>di</strong> <strong>delicati</strong> <strong>di</strong> 15, 19 e 22<br />

anni, ancora in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> schiavitù 20 . La manomissione <strong>di</strong>veniva, in qualche<br />

modo, una sorta <strong>di</strong> «adozione» che permetteva ai padroni <strong>di</strong> estendere il loro<br />

nome agli schiavi preferiti, oltre ad aprire loro l'appartenenza alla familia e la<br />

concessione <strong>di</strong> altri privilegi.<br />

È significativo il fatto che, nel maggior numero dei casi, erano proprio i<br />

domini e i patroni ad occuparsi della commemorazione dei <strong>delicati</strong> cisalpini,<br />

associando alla loro sepoltura quella <strong>degli</strong> schiavi pre<strong>di</strong>letti, mossi<br />

probabilmente più dall’affetto che dal dovere 21 : dal grafico (fig. 4) si evince<br />

infatti che oltre la metà dei sepolcri era stata approntata per uso familiare. La<br />

sepoltura nel sepolcro <strong>di</strong> famiglia era, <strong>di</strong> frequente, riconosciuta dal fondatore ai<br />

liberti, purché ciò non impe<strong>di</strong>sse la destinazione primaria a favore della famiglia<br />

medesima 22 . Albertario giustifica questa tendenza col fatto che il patronato, in<br />

qualche modo, trascinava i liberti <strong>nella</strong> sfera familiare del manomissore,<br />

istituendo una vera e propria «dolce consuetu<strong>di</strong>ne che aveva <strong>di</strong>latato l'ambito<br />

della famiglia» 23 . È possibile che ciò avvenisse anche per i <strong>delicati</strong> che, essendo<br />

profondamente amati dai padroni, venivano considerati alla pari <strong>di</strong> un famigliare,<br />

se non ad<strong>di</strong>rittura alla pari <strong>di</strong> un figlio. Il ius mortuum inferen<strong>di</strong>, ossia la facoltà<br />

16 Si vedano, a titolo esemplificativo, le seguenti iscrizioni in cui vengono commemorati <strong>delicati</strong> la cui<br />

con<strong>di</strong>zione libertina è accertata o desumibile: CIL, V, 647 = InscrIt, X, 4, 171; CIL, V, 1460; CIL, V,<br />

1137 = InscrAq, 943; CIL, V, 2180 = REALI 1998, p. 62, n. 51c = ZAMPIERI 2000, pp. 139-140, n. 8;<br />

CIL, V, 3474; AE 1935 = REALI 1998, p. 10, n. 128c; CIL, V, 7014 = AE 1998, 646.<br />

17 CIL, V, 2417 = CLE, 1157 = MANSUELLI 1967, pp. 128-129, n. 15, fig. 24 = UGGERI 1975, p. 90, tav.<br />

14 = PFLUG 1989, p. 160, n. 21; si veda da ultima LA MONACA 2007, pp. 175-180.<br />

18 Cfr. supra, nt. 13.<br />

19 Cfr. CIL, V, 1137 = InscrAq, 943; CIL, V, 3474.<br />

20 A titolo esemplificativo si vedano le seguenti iscrizioni: CIL, V, 1013 = SI, 1121 = InscrAq, 622;<br />

CIL, V, 1928 = BROILO 1984, pp. 36-37, n. 83.<br />

21 AURIGEMMA 1910, p. 1602.<br />

22 LAZZARINI 1997, pp. 83-97.<br />

23 ALBERTARIO 1910, p. 23.


216 VALERIA LA MONACA<br />

<strong>di</strong> accogliere le spoglie <strong>di</strong> chiunque nel sepolcro famigliare non era "esclusivo",<br />

ma "naturale" dei familiares: l'ammissione <strong>di</strong> estranei avveniva dopo averne<br />

appurato la loro <strong>di</strong>gnitas 24 che <strong>di</strong>pendeva, principalmente, da tre fattori, ossia<br />

l'origine familiare e geografica, la ricchezza e i meriti personali 25 . Di fatto, a<br />

motivo della con<strong>di</strong>zione servile che non riconosceva loro alcuna personalità<br />

giuri<strong>di</strong>ca, ai <strong>delicati</strong> non era consentito, a priori, un simile privilegio. L'evidente<br />

contrad<strong>di</strong>zione potrebbe, perciò, essere sanata con l'ipotesi che l'associazione<br />

alla propria sepoltura dei <strong>delicati</strong>, per opera dei padroni, avveniva,<br />

probabilmente, in virtù <strong>di</strong> una futura manomissione. È interessante sottolineare<br />

che le famiglie interessate ad associare alla propria sepoltura quella <strong>di</strong> uno o più<br />

<strong>delicati</strong> erano, <strong>nella</strong> maggioranza dei casi, <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zione libertina. Gran parte <strong>di</strong><br />

queste famiglie <strong>di</strong> affrancati aveva raggiunto un posto <strong>di</strong> prestigio sociale come<br />

testimoniano le cariche ricoperte in vita dai promotori <strong>di</strong> queste sepolture: non<br />

mancano, infatti sexvir, sexvir augustalis, augustalis e clau<strong>di</strong>alis. Al riguardo<br />

Giovan<strong>nella</strong> Cresci Marrone parla <strong>di</strong> una imitazione delle mode citta<strong>di</strong>ne,<br />

<strong>di</strong>ffusasi fra i ceti meno bassi della società, che prevedeva l'associazione alla<br />

sepoltura <strong>di</strong> un delicatus/a 26 : si confronti, come esempio, l'iscrizione CIL, V,<br />

7023 in cui la menzione della delicata Murone fu aggiunta a posteriori. A volte,<br />

chi riserva per sé la cura della commemorazione sono gli stessi parenti dello<br />

schiavo defunto; per quanto riguarda l'Italia settentrionale, è stato rinvenuto solo<br />

un caso in cui ipse pater tributa l'ultimo saluto al figlio, prematuramente morto:<br />

si tratta, ancora una volta, dell'iscrizione ferrarese, già <strong>di</strong>scussa in precedenza 27 .<br />

La con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> questi schiavi, intimamente unita alla sfera familiare, si<br />

desume maggiormente dalle correlazioni che si istituiscono fra i <strong>delicati</strong> e la<br />

famiglia <strong>di</strong> appartenenza: le iscrizioni riportano, <strong>di</strong> frequente, il ricordo <strong>degli</strong><br />

schiavi unito a quello della coniux, della concubina, del/la filius/a, del pater,<br />

della mater, della soror, del frater, del libertus, del gener, dell'amicus e altri<br />

ancora 28 . Alla pari <strong>di</strong> un parente, anche per i <strong>delicati</strong> si ricorre a epiteti o a intere<br />

espressioni <strong>di</strong> tenerezza, dai quali trapela un vivo sentimento <strong>di</strong> affetto nei loro<br />

confronti: nell'Italia settentrionale solo tre <strong>delicati</strong> riportano il pre<strong>di</strong>cato sua 29 ,<br />

che potrebbe essere inteso sia come possessivo <strong>di</strong> affetto sia come semplice<br />

qualitativo <strong>di</strong> pertinenza, e solo per una schiava quello <strong>di</strong> benemerens 30 : a questo<br />

proposito, non sarebbe audace congetturare che, in realtà, l’aggettivo delicatus,<br />

portando già in sé un’accezione <strong>di</strong> affetto, rendeva superflua l’aggiunta <strong>di</strong><br />

ulteriori attributi. Del resto, non va <strong>di</strong>menticato che ogni monumento, compresa<br />

la lapide sepolcrale, aveva una sorta <strong>di</strong> vali<strong>di</strong>tà ufficiale, per cui il suo<br />

approntamento veniva curato nei minimi particolari: nessun termine <strong>di</strong> relazione,<br />

in<strong>di</strong>cazione d'età, epiteti o altro, veniva scelto in maniera casuale. Spesso, per<br />

ragioni economiche o per questioni tecniche, i committenti erano obbligati a<br />

24 LAZZARINI 1997, p. 91.<br />

25 OS 1995, pp. 1011-1012.<br />

26 CRESCI MARRONE 2003, pp. 217-223.<br />

27 AURIGEMMA 1910, p. 1602.<br />

28 Sulla questione della presenza <strong>di</strong> <strong>delicati</strong>/delicia nelle famiglie libertine si veda LAES 2003, pp. 311-314.<br />

29 Si vedano CIL, V, 1460; CIL, V, 1437 = InscrAq, 943 e CIL, V, 1928 = BROILO, 1984, pp. 36-37, n. 83.<br />

30 AURIGEMMA 1910, pp. 1602-1603. Da ultimo LAES 2003, pp. 310-311 per una ricerca più ampia.


I DELICATI NELLA CISALPINA 217<br />

scegliere se in<strong>di</strong>care la tipologia <strong>di</strong> relazione con i commemorati o se riportare<br />

altre notizie e, gran parte delle volte, essi optavano per la prima soluzione, a<br />

<strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> quanto fosse importante dare un'immagine, che fosse il più<br />

chiara possibile, della composizione del nucleo familiare 31 .<br />

In definitiva, da uno stu<strong>di</strong>o preliminare sulla documentazione epigrafica<br />

relativa ai <strong>delicati</strong> cisalpini, in contrapposizione a quanto si ricava dalle fonti<br />

letterarie, emerge la figura <strong>di</strong> uno schiavo, non sempre <strong>di</strong> giovane età,<br />

particolarmente caro al padrone da essere considerato alla pari <strong>di</strong> un famigliare:<br />

la concessione della libertà nonchè la sepoltura nel sepolcro <strong>di</strong> famiglia possono<br />

essere considerati come <strong>di</strong>mostrazioni <strong>di</strong> affetto dei domini verso i loro servi<br />

pre<strong>di</strong>letti. Che si trattasse <strong>di</strong> un legame pseudoparentale sarebbe confermato<br />

dall’analisi <strong>di</strong> alcune consuetu<strong>di</strong>ni: non mancano infatti casi in cui la<br />

commemorazione del delicatus precede ad<strong>di</strong>rittura quella del figlio <strong>degli</strong> stessi<br />

committenti del sepolcro o casi in cui la morte del delicatus costituisce la<br />

circostanza per l’approntamento del monumento familiare 32 . Queste<br />

considerazioni permettono quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> escludere, almeno per la maggior parte dei<br />

casi cisalpini esaminati, quella connotazione amorosa che ha deformato per<br />

lungo tempo il rapporto dominus/delicatus.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

ALBERTARIO 1910 = E. ALBERTARIO, Sepulcra familiaria e sepulcra here<strong>di</strong>taria,<br />

«Il Filangieri», 35, 1910 (rist. in Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto romano, II, Milano-<br />

Pavia 1941, pp. 1-78).<br />

AURIGEMMA 1910 = S. AURIGEMMA, s.v. Delicium, DE, II/2, pp. 1594-1603.<br />

BROILO 1984 = F. BROILO, Iscrizioni lapidarie latine del Museo Nazionale<br />

Concor<strong>di</strong>ese <strong>di</strong> Portogruaro (I sec. a.C. – III d.C.), II, Roma.<br />

CRESCI MARRONE 2003 = G. CRESCI MARRONE, Una clavaria nell’agro <strong>di</strong><br />

Augusta Taurinorum, in Donna e lavoro <strong>nella</strong> documentazione<br />

epigrafica (Atti del I Seminario sulla con<strong>di</strong>zione femminile <strong>nella</strong><br />

documentazione epigrafica, Bologna 21 novembre 2002), a cura <strong>di</strong> A.<br />

BUONOPANE, F. CENERINI, Faenza, pp. 217-223.<br />

ERNOUT, MEILLET, ANDRÉ 1985 = A. ERNOUT, A. MEILLET, J. ANDRÉ,<br />

Dictionnaire, étymologique de la langue latine. Histoire du mots, Paris.<br />

HERRMANN-OTTO 1994 = E. HERRMANN-OTTO, Ex ancilla natus.<br />

Untersuchungen zu den ‘hausgeborenen’ Sklaven und Sklavinnen im<br />

Westen des römischen Kaiserreiches, Stuttgart.<br />

31 NIELSEN 1990, pp. 169-204.<br />

32 A titolo esemplificativo cfr. CIL, V, 1013 = SI, 1121 = InscrAq, 622; CIL, V, 1460; CIL, V, 1410 =<br />

SI, 101; TIRELLI 1982, pp. 139-142, n. 3 = ZAMPIERI 2000, pp. 138-139, n. 7.


218 VALERIA LA MONACA<br />

KROLL 1921 = W. KROLL, Knabenliebe, RE, XI 1 , pp. 897-906.<br />

LAES 2003 = C. LAES, Desperately <strong>di</strong>fferent? Delicia children in the Roman<br />

Household, in Early Christian Families in Context. An Inter<strong>di</strong>sciplinary<br />

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REALI 1998 = M. REALI, Il contributo dell’epigrafia latina allo stu<strong>di</strong>o<br />

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ZAMPIERI 2000 = E. ZAMPIERI, Presenza servile e mobilità sociale in area<br />

altinate: problemi e prospettive, Gruaro (Venezia).


UN PATAVINO VERACE:<br />

NOTA ONOMASTICA A CIL, V, 6899<br />

Giovanni Men<strong>nella</strong><br />

L’onomastica preromana epigraficamente documentata nell’Italia settentrionale<br />

continua a registrare novità, ma a esservi rappresentati con maggiore frequenza<br />

sono soprattutto quegli ibri<strong>di</strong>smi antroponimici, generati dal contatto con la<br />

romanizzazione, che per l’area nord occidentale conoscono il loro fondamentale<br />

punto <strong>di</strong> confronto fra la fine dell’età repubblicana e gli inizi dell’epoca imperiale. A<br />

questa particolare temperie e a un ulteriore esempio fin qui rimasto inosservato<br />

rimanda adesso la cosiddetta “iscrizione del Pondel”, che stando alla descrizione del<br />

Mommsen in CIL, V, 6899 deve il nome al fatto <strong>di</strong> intitolare il “pons antiquus, quo<br />

transitur torrens Cogne a dextra influens in flumen Doriam, ad vicum prope<br />

Villeneuve", cioè il ponte che si trova alla confluenza fra il Cogne e la Dora Baltea,<br />

presso lo stesso abitato oggi compreso <strong>nella</strong> provincia <strong>di</strong> Aosta e anche in età<br />

romana inglobato nel territorio <strong>di</strong> Augusta Praetoria. L’epigrafe, che “legitur ab ea<br />

pontis parte, quae orientem respicit et Augustam urbem” ed è stata ripresa al numero<br />

113 nel fascicolo XI, 1 delle Inscriptiones Italiae, cui si fa sovente riferimento anche<br />

per l’accurato fac-simile che correda la trascrizione (fig. 1), <strong>di</strong>ce testualmente:<br />

Imp(eratore) Caesare Augusto (tertium decimum) co(n)s(ule) desig(nato) /<br />

C(aius) Avillius C(ai) f(ilius), C(aius) Aimus Patavinus. / Privatum.<br />

Fig. 1. CIL, V, 6899: facsimile dell’iscrizione sul Pondel.<br />

Ad aver costruito il ponte nel tre<strong>di</strong>cesimo anno del consolato <strong>di</strong> Augusto (3<br />

a.C.), sarebbero stati dunque un C. Avillius C. f. e un C. Aimus, due in<strong>di</strong>vidui ancora


220 GIOVANNI MENNELLA<br />

privi <strong>di</strong> cognome ed entrambi originari da Patavium in<strong>di</strong>cata quale comune “origo”<br />

dopo l’onomastica del secondo. Data la loro comune estrazione patavina e poiché la<br />

“gens Avillia” è ben documentata <strong>nella</strong> Cisalpina nord-occidentale, è stato supposto<br />

con valide argomentazioni che entrambi, contitolari <strong>di</strong> un’impresa appaltatrice <strong>di</strong> un<br />

ampio <strong>di</strong>stretto minerario <strong>nella</strong> regione, si servissero del manufatto per trasportare a<br />

valle il minerale ferroso grezzo che veniva poi semilavorato in località che non a<br />

caso hanno restituito <strong>di</strong>verse iscrizioni funerarie relative a liberti della stessa “gens”,<br />

e in particolare Industria, capoluogo e centro metallurgico <strong>di</strong> prim’or<strong>di</strong>ne <strong>nella</strong><br />

Liguria padana. Dichiaratamente destinato a loro uso privato, infatti, il ponte “per la<br />

sua particolarissima struttura a due piani <strong>di</strong> calpestìo, uno superiore all’aperto e uno<br />

inferiore in galleria ... è stato catalogato come ponte minerario, perché pre<strong>di</strong>sposto<br />

per un ciclo produttivo ininterrotto che richiedeva agili trasporti e ricco afflusso<br />

d’acqua per le fonderie” 1 .<br />

Se queste sono le convincenti conclusioni su cui, a livello generale, si è giunti<br />

e si concorda per giustificare una presenza patavina in territorio aostano, è stato però<br />

merito recente <strong>di</strong> Heikki Solin <strong>di</strong> aver <strong>di</strong>mostrato, con inoppugnabili argomenti<br />

linguistico-onomastici, che le due persone contitolari del ponte erano in realtà un<br />

unico in<strong>di</strong>viduo, dovendosi leggere non già C. Avillius C. f. e C. Aimus, bensì C.<br />

Avillius C. f. Caimus, col cognome privo <strong>di</strong> ulteriori riscontri ma non inverosimile<br />

<strong>nella</strong> sua analogia con una possibile forma Caemus 2 . Tuttavia adesso si può fare<br />

ancora un passo avanti grazie a una ciotola verniciata trovata nel corso <strong>di</strong> scavi<br />

condotti nell’area dell’abitato <strong>di</strong> Spina nel 1971 e pubblicata oltre trent’anni or sono<br />

da Giovanni Uggeri: graffita all’interno, lungo la parte frammentaria dell’orlo e con<br />

andamento aderente alla conformazione del vaso, reca a chiare lettere la scritta K. A.<br />

I. M. O. I. dell’alfabeto venetico (fig. 2) 3 , che secondo la tempestiva analisi<br />

linguistica del Prosdocimi rimanda al dativo <strong>di</strong> un nome in<strong>di</strong>viduale maschile<br />

accostabile a un Caemianus, attestato a Concor<strong>di</strong>a da CIL, V, 1926, che “si inserisce<br />

in una serie <strong>di</strong> nomi in -(i)anus, presupponendo così un locale Kaimo-” 4 .<br />

Fig. 2. Il graffito KAIMOI <strong>nella</strong> ciotola <strong>di</strong> Spina.<br />

1 CRESCI MARRONE 1994, pp. 41-51 e specie 50; cfr. EAD. 1993, pp. 33-37.<br />

2 SOLIN 1990, pp. 127-128 = 1998, p. 338.<br />

3 UGGERI 1974, pp. 348-349, con commento linguistico <strong>di</strong> Prosdocimi, poi riproposto da ID. 1978, p.<br />

380 (cfr. Lingue e <strong>di</strong>aletti dell’Italia antica 1982, p. 147).<br />

4 PROSDOCIMI 1974, p. 349; ID. 1978, p. 380.


UN PATAVINO VERACE: NOTA ONOMASTICA A CIL, V, 6899 221<br />

Fondendo, a questo punto, la rilettura dell’epigrafe del Pondel data dal Solin,<br />

la scritta della ciotola e le considerazioni del Prosdocimi, le conclusioni giungono da<br />

sole: Kaimoi è, appunto, il dativo <strong>di</strong> un antroponimo venetico che al nominativo non<br />

può essere stato che Kaimos e al quale, per la comune alternanza grafica C/K <strong>nella</strong><br />

lettera iniziale e l’altrettanto usuale esito consonantico -os > -us <strong>nella</strong> desinenza,<br />

corrisponde il latino Caimus in piena coincidenza col cognome del personaggio del<br />

Pondel. Se quin<strong>di</strong> da una parte non meraviglia che l’antroponimo venetico Kaimos<br />

sia <strong>di</strong>ventato il cognome latino Caimus e quin<strong>di</strong> esima dal presumere l’analogia <strong>di</strong><br />

incidenze assonanti ma non così identiche, risalta d’altro lato la coesistenza <strong>di</strong> un<br />

gentilizio latino accanto a un cognome <strong>di</strong> matrice etnica e alla <strong>di</strong>chiarazione<br />

dell’“origo”, quasi a voler affermare, davanti a chi leggeva, i “bina corda” <strong>di</strong> C.<br />

Avillius C. f. Caimus, <strong>di</strong> fatto ormai pienamente acquisito alla romanità, ma <strong>di</strong> nome<br />

ancora patavino “verace”.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

CRESCI MARRONE 1993 = G. CRESCI MARRONE, Gens Avil(l)ia e commercio dei<br />

metalli in Val <strong>di</strong> Cogne, «MEFRA», 105, pp. 33-37.<br />

CRESCI MARRONE 1994 = G. CRESCI MARRONE, Famiglie isiache ad Industria, in<br />

Culti pagani nell’Italia settentrionale, a cura <strong>di</strong> A. MASTROCINQUE,<br />

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Aggiornamenti e in<strong>di</strong>ci, a cura <strong>di</strong> A. MARINETTI, Padova.<br />

PROSDOCIMI 1978 = A.L. PROSDOCIMI, Il venetico, in Popoli e Civiltà dell’Italia<br />

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SOLIN 1990 = H. SOLIN, Analecta epigraphica CXXXV. Drei falsche und zwei<br />

verkannte Namen, «Arctos», 24, pp. 127-129.<br />

SOLIN 1998 = H. SOLIN, Analecta epigraphica 1970-1997, a cura <strong>di</strong> M. KAJAVA,<br />

Roma.<br />

UGGERI 1974 = G. UGGERI, Spina, in Rivista <strong>di</strong> epigrafia italica: venetico, a cura <strong>di</strong><br />

A. L. PROSDOCIMI, 2 («Stu<strong>di</strong> Etruschi», 42), pp. 348-349.


LA DEVOZIONE AGLI DEI A SENTINUM*<br />

Maria Federica Petraccia<br />

All’illustre collega e al caro amico Ezio Buchi desidero offrire un modesto<br />

contributo a <strong>di</strong>mostrazione della stima e dell’affetto che nutro per lui, proponendo in<br />

questa sede alcune riflessioni su un tema a lui caro, quello religioso: si tratta <strong>di</strong><br />

osservazioni su una ipotetica <strong>di</strong>vinità sentinate magari <strong>di</strong> secondo piano, ma che una<br />

volta <strong>di</strong> più testimonia, secondo una felice definizione <strong>di</strong> Antonio Sartori, “la vitalità<br />

perenne del nostro mondo delle pietre, sempre pronto a rinnovarsi con novità ora<br />

nuove … ora vecchie” 1 .<br />

L’epigrafe che si intende qui esaminare, probabilmente incisa su una tabella<br />

votiva rinvenuta a Sentinum in epoca imprecisata, era già irreperibile nel XVII<br />

secolo ed è nota, quin<strong>di</strong>, solo da tra<strong>di</strong>zione manoscritta. Il suo contenuto,<br />

apparentemente <strong>di</strong> imme<strong>di</strong>ata comprensione, da sempre presenta non pochi problemi<br />

interpretativi e <strong>di</strong> lettura 2 . È questo il motivo per cui si è ritenuto <strong>di</strong> dover ricostruire<br />

la storia della sua trasmissione a partire dal Doni, suo primo e<strong>di</strong>tore ufficiale.<br />

Il Doni <strong>nella</strong> sezione della sua opera riservata “Diis de<strong>di</strong>catorum et<br />

sacrificorum”, forniva la seguente trascrizione del documento, affermando <strong>di</strong> averlo<br />

ricevuto da Torquatus Perottus episc. Amerinus 3 (fig. 1):<br />

Deo Fron<strong>di</strong>siae / ex voto feliciter<br />

Nella nota esplicativa egli così scriveva: “Forsitan in marmore scriptum<br />

FRONDISIA F fecit, vel P posuit. In aliquibus votivis saxis post de<strong>di</strong>cationem ad<strong>di</strong>tur<br />

FELICITER. Ita in votivo marmore nuper reperto in Anglia, quod in Transactionibus<br />

Philosophicis Anglicanis exhibetur, legitur GENIO LOCI FELICITER. Ex quibus colligi<br />

potest in votis quoque solven<strong>di</strong>s eadem hominis formula, FELICITER, veteres<br />

acclamasse”.<br />

Il Muratori, pur affermando <strong>di</strong> aver preso l’epigrafe dal Doni, ne dava una<br />

<strong>di</strong>versa lettura:<br />

Deo Frondosiae / ex voto feliciter 4 (fig. 2).<br />

* Desidero ringraziare Barbara Zenobi della Biblioteca Comunale <strong>di</strong> Fabriano, la Biblioteca d’Arte e la<br />

Biblioteca Nazionale Braidense <strong>di</strong> Milano, la Biblioteca Marucelliana <strong>di</strong> Firenze per la collaborazione<br />

fornita nel corso della presente ricerca.<br />

1<br />

SARTORI 2005, p. 333.<br />

2<br />

CIL, XI, 5734.<br />

3<br />

DONI 1731, p. 44, n. 125. Giovan Battista Doni (1594 – 1647) curò una raccolta <strong>di</strong> circa 6000 epigrafi<br />

che poté vedere la luce solo nel 1731 ad opera <strong>di</strong> Anton Francesco Gori (1691 – 1757).<br />

4<br />

MURATORI 1739, p. 107, n. 5.


224 MARIA FEDERICA PETRACCIA<br />

Il Colucci e il Bran<strong>di</strong>marte seguivano il Muratori ed erano inclini a vedere un<br />

errore <strong>nella</strong> trascrizione del testo da parte <strong>di</strong> un inesperto copista.<br />

Il Colucci così scriveva: “Il Donio ci conservò fortunatamente un’altra lapida<br />

<strong>di</strong> Sentino, che ci presenta un nume, il quale nell’Etnica mitologia era ignoto del<br />

tutto. Riferisce questa iscrizione il Muratori che <strong>di</strong>ce averla presa dal comendator<br />

Donio ed è la seguente<br />

DEO FRONDOSIAE / EX VOTO FELICITER.<br />

Chi fosse questo frondoso Nume non è<br />

facile a indovinarlo. Sappiamo peraltro<br />

che gli antichi Gentili idolatrarono in<br />

modo particolare i boschi, le selve, e gli<br />

alberi, che questi consacravano al culto<br />

dei Numi, e che a ciascuno <strong>di</strong> loro n’era<br />

de<strong>di</strong>cato uno particolare. Diana era una<br />

delle dee venerata nei boschi, e perciò<br />

venne detta Dea montana, e<br />

Nemorensis, espressione poco <strong>di</strong>versa<br />

dal Frondosiae. Bacco similmente<br />

venerato nei boschi veniva detto per<br />

Fig. 1. DONI 1731, p. 44.<br />

antonomasia umbrosorum amator<br />

montium, ed anche montium<br />

perambulator. Alla stessa guisa, se non<br />

i Numi suddetti, alcuno dei tanti altri<br />

compresi <strong>nella</strong> lunga categoria della<br />

Gentilità si sarà chiamato per<br />

antonomasia Frondosio, e questo<br />

appunto sarà stato quel nume, che in<br />

qualche luco sacro si venerava dai<br />

Sentinati, e che meritò il voto<br />

dell’erezione <strong>di</strong> un’ara, quale io reputo<br />

che fosse quella in cui fu incisa la<br />

riferita iscrizione. Mi resta <strong>di</strong> avvertire<br />

che o nel DEO o nel FRONDOSIAE<br />

debb’essere probabilmente un qualche<br />

errore. Al DEO dovrebbe corrisponder<br />

Fig. 2. MURATORI 1739, p. 107.<br />

FRONDOSIO, o al FRONDOSIAE il DEAE. Quest’errore, che forse sarà provenuto<br />

dall’inesperto copista ci lascia nel dubbio ancor <strong>di</strong> sapere se fosse questo un Dio,<br />

oppure una Dea” 5 .<br />

Il Bran<strong>di</strong>marte forniva la seguente trascrizione:<br />

Deo Frondosiae / ex voto feliciter.<br />

Egli commentava che il Muratori aveva ripreso dal Doni quest’iscrizione, “la<br />

quale ci ricorda un Nume, che è ignoto <strong>nella</strong> Mitologia de’ Gentili, e siccome fu<br />

5 COLUCCI 1793, cap. II, p. 13.


LA DEVOZIONE AGLI DEI A SENTINUM 225<br />

copiata malamente, così non sappiamo, se parli <strong>di</strong> un Dio, o <strong>di</strong> una Dea, perché al<br />

Deo deve corrispondere Frondosio” 6 .<br />

Sia per il Colucci sia per il Bran<strong>di</strong>marte, va tuttavia rilevato che attribuiscono<br />

entrambi al Doni Frondosiae e non Fron<strong>di</strong>siae.<br />

Il Ramelli (1804-1855) riporta così l’epigrafe:<br />

Deo Frondosiae / ex voto feliciter.<br />

“Non sappiamo, se più esista; la dette il Doni, da cui il Muratori pag.<br />

CVII.n.5; ed il Bran<strong>di</strong>marte p. 24; Colucci T. 7 p. 13. Gori Clas. in (?) 125, il quale<br />

lesse Fron<strong>di</strong>siae, e notò doversi forse leggere Frondosia P (posuit) ovvero F (fecit),<br />

Raffaelli p. 357” 7 . “Non trovo io poi inesplicabile come altri la tabella votiva, che<br />

felicemente eresse una tal Frondosia ad un Nume (Iscr. XI), del quale non volle<br />

tramandato il nome, essendo piaciuto alla de<strong>di</strong>cante colla frase DEO FRONDOSIAE<br />

(al <strong>di</strong>o <strong>di</strong> Frondosia) <strong>di</strong>stinguere questa sua tutelare <strong>di</strong>vinità con appellazione<br />

dedotta dalla sua propria famiglia” 8 (fig. 3).<br />

Fig. 3. RAMELLI s.d. 2, n. 11.<br />

Il Ramelli pertanto attribuisce al Gori, che pure curò la pubblicazione della<br />

sua silloge epigrafica, la lettura dell’iscrizione fornita dal Doni. Va inoltre notato<br />

che mentre il Doni, sia <strong>nella</strong> trascrizione del testo sia <strong>nella</strong> nota esplicativa ad esso,<br />

parla sempre <strong>di</strong> Fron<strong>di</strong>sia, a parere dello stu<strong>di</strong>oso fabrianese il Gori (e quin<strong>di</strong><br />

probabilmente il Doni) riporta la lettura Fron<strong>di</strong>sia <strong>nella</strong> trascrizione, Frondosia<br />

<strong>nella</strong> nota esplicativa 9 .<br />

Il Bormann riferisce che la lapide era collocata nel pulpito del sepolcro<br />

onorario eretto nel palazzo del vescovo Nicola Perotti, in Sassoferrato. Egli, pur<br />

6 BRANDIMARTE 1825, p. 24.<br />

7 RAMELLI s.d. 1, n. 11.<br />

8 RAMELLI s.d. 2, IV § 67.<br />

9 Tuttavia v. infra nt. 17.


226 MARIA FEDERICA PETRACCIA<br />

sostenendo <strong>di</strong> rifarsi ai vari Doni, Muratori, Colucci, Bran<strong>di</strong>marte e Ramelli stu<strong>di</strong>osi<br />

i quali, eccettuato il Doni, fornivano tutti la trascrizione Frondosiae, riporta:<br />

Deo Fron<strong>di</strong>siae / ex voto feliciter.<br />

Nel commento al testo egli afferma: “Ex genuinis excludere non ausus sum;<br />

fortasse fracta erat a sinistra et praecessit Invicto” 10 .<br />

Il Pagnani, pur sostenendo <strong>di</strong> richiamarsi al Colucci e al Bran<strong>di</strong>marte i quali<br />

riportano Deo Frondosiae, trascrive Fron<strong>di</strong>siae 11 .<br />

Deo Fron<strong>di</strong>siae / ex voto feliciter.<br />

A suo parere non si comprende come una parola così comune ed importante<br />

come Deus possa essere stata sbagliata né perché Fron<strong>di</strong>sia debba essere femminile,<br />

“mentre <strong>di</strong> nomi maschili in -a è piena la lingua latina. Il <strong>di</strong>o Fron<strong>di</strong>sia non è<br />

conosciuto da altre fonti, ma questo non fa meraviglia. Tra i Romani e i Greci ogni<br />

forza della natura poteva essere immaginata come una <strong>di</strong>vinità. Se Fron<strong>di</strong>sia viene<br />

da frondes, sarebbe il <strong>di</strong>o, che dà i germogli e le foglie agli alberi” 12 .<br />

La trascrizione del testo fornita dal Lopes Pegna è la seguente:<br />

Deo Fron<strong>di</strong>siae / ex voto feliciter.<br />

“Questa iscrizione era, a quanto riferisce il Bormann, nel pulpito del sepolcro<br />

onorario eretto nel palazzo del vescovo Nicola Perotti, in Sassoferrato 13 . La formula<br />

de<strong>di</strong>catoria è singolare ed inusitata, ma si spiega col fatto che essa è in<strong>di</strong>retta: l’ha<br />

rivolta, cioè, al “<strong>di</strong>o” (forse Mitra, la <strong>di</strong>vinità preferita) della propria ragazza,<br />

Fron<strong>di</strong>sia, l’innamorato per averne protezione”. La traduzione proposta dal Lopes<br />

Pegna sarebbe: al <strong>di</strong>o <strong>di</strong> Fron<strong>di</strong>sia, per voto assunto, felicemente 14 .<br />

La Santoni, infine, riporta anch’ella la trascrizione del documento epigrafico<br />

così com’era fornita dal Bormann:<br />

Deo Fron<strong>di</strong>siae / ex voto feliciter.<br />

Riferisce che è testimoniato a Sentino il culto <strong>di</strong> una <strong>di</strong>vinità, Fron<strong>di</strong>sia, del<br />

tutto ignota alla mitologia greca e romana e che non figura in nessuna altra<br />

iscrizione conosciuta. Accoglie l’ipotesi del Bormann e del Lopes Pegna, secondo i<br />

quali la <strong>di</strong>vinità ricordata nell’iscrizione si collegava in qualche modo al culto <strong>di</strong><br />

Mitra in cui tanta parte avevano gli elementi naturalistici, e ipotizza che Fron<strong>di</strong>sia si<br />

accosti etimologicamente a frondes 15 . A suo parere, infatti, come non è raro trovare<br />

il nome <strong>di</strong> una <strong>di</strong>vinità maschile con terminazione in –a (ve<strong>di</strong> Mitra), non è tuttavia<br />

da escludere che Fron<strong>di</strong>siae possa essere un genitivo 16 .<br />

Il Pagnani, il Lopes Pegna e la Santoni, quin<strong>di</strong>, si riallacciano alla trascrizione<br />

Fron<strong>di</strong>siae fornita dal Doni e dal Bormann.<br />

Partendo dal presupposto che l’iscrizione non è falsa e che quasi certamente<br />

sulla pietra era inciso Fron<strong>di</strong>sia 17 , le ipotesi formulabili al riguardo sono quattro:<br />

10<br />

BORMANN 1901, p. 839.<br />

11 3<br />

PAGNANI 1994 , p. 121.<br />

12 3<br />

PAGNANI 1994 , p. 19.<br />

13<br />

Si ricor<strong>di</strong> quanto sostenuto dal Doni, il quale <strong>di</strong>chiara <strong>di</strong> aver ricevuto il testo da Torquatus Perottus<br />

episcopus Amerinus: v. supra nt. 2.<br />

14<br />

LOPES PEGNA 1971, p. 61, n. 7.<br />

15<br />

SANTONI 1972, pp. 69-70.<br />

16<br />

A tale proposito riferisce del Fons Bandusiae ricorrente in HOR. carm. 3,13.<br />

17<br />

Non vi fu alcuna interpolazione da parte del Gori che curò nel 1731 la pubblicazione postuma<br />

dell’opera del Doni. Infatti quest’ultimo, anche <strong>nella</strong> copia manoscritta della raccolta <strong>di</strong> iscrizioni da lui


LA DEVOZIONE AGLI DEI A SENTINUM 227<br />

due intendono il termine al caso genitivo, come specificazione <strong>di</strong> Deo, due<br />

intendono il termine al caso dativo, in concordanza con Deo.<br />

1. Al <strong>di</strong>o <strong>di</strong> Fron<strong>di</strong>sia inteso come antroponimo.<br />

Il Ramelli riteneva che il testo fosse inciso su <strong>di</strong> una tabella votiva: essendo<br />

forse superfluo in<strong>di</strong>care il nome della <strong>di</strong>vinità dato che la tabella si trovava in<br />

prossimità del luogo sacro ad essa de<strong>di</strong>cato; Fron<strong>di</strong>sia potrebbe essere, come<br />

supposto dal Lopes Pegna, il nome del/della de<strong>di</strong>cante.<br />

Se si eccettua, tuttavia, un tale Fron<strong>di</strong>(us) Fron<strong>di</strong>an(us) presente in<br />

un’iscrizione da Iulium Carnicum <strong>nella</strong> X regio 18 , non risultano attestati nomi che in<br />

qualche modo abbiano la medesima ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Fron<strong>di</strong>sia.<br />

2. Al <strong>di</strong>o <strong>di</strong> Fron<strong>di</strong>sia inteso come toponimo.<br />

Le indagini toponomastiche condotte non hanno dato alcun frutto. Tuttavia, il<br />

glottologo Whatmough prende spunto da una frase <strong>di</strong> Quintiliano 19 , che riferisce<br />

dell’accusa <strong>di</strong> Patavinitas fatta da Asinio Pollione al Transpadano Livio 20 . A suo<br />

parere, Livio usa a volte termini che sarebbero riconducibili ad alcuni gergalismi<br />

“provinciali” venetici; ecco perché Asinio Pollione li censura. Il Whatmough <strong>di</strong>ce<br />

tuttavia che dovremmo essere vissuti al tempo <strong>di</strong> Livio ed averlo sentito parlare per<br />

<strong>di</strong>re se Pollione <strong>di</strong>ceva il vero o no. Il glottologo si propone <strong>di</strong> presentare nel<br />

dettaglio “the evidence avaible to in<strong>di</strong>cate the several features of Cisalpine Latin, as<br />

revealed in the proper names of the Latin inscriptions of North Italy and in some<br />

other sources, and to attempt to show which of these features may be explained as<br />

due to the influence of older local non latin <strong>di</strong>alects” 21 .<br />

Egli <strong>di</strong>vide quin<strong>di</strong> il suo articolo in due parti: la prima è de<strong>di</strong>cata alla<br />

mo<strong>di</strong>ficazione delle vocali o <strong>di</strong>ttonghi (ad esempio parla della permanenza nell’Italia<br />

del nord per lungo tempo del <strong>di</strong>ttongo eu o ou mentre a Roma si era già contratto in<br />

u); la seconda parte si occupa delle consonanti.<br />

A proposito della consonante b, egli riferisce <strong>di</strong> vari toponimi e/o antroponimi<br />

latini e della loro probabile derivazione dal Venetico o dall’Italico.<br />

Il toponimo Brundulum, ad esempio, in<strong>di</strong>cherebbe un portus orae Venetiae e<br />

sarebbe ricordato da Plinio <strong>nella</strong> sua Naturalis Historia: pars eorum et proximum<br />

portum facit Brundulum, sicut Aedronem Meduaci duo ac fossa Clo<strong>di</strong>a 22 .<br />

Brundulum, oggi porto <strong>di</strong> Brondolo 23 , sarebbe un toponimo <strong>di</strong> origine venetica<br />

e a parere del Whatmough, corrisponderebbe, cosa non sorprendente dal punto <strong>di</strong><br />

vista linguistico, all’italico (o meglio umbro) Fron<strong>di</strong>sia, frontesia 24 . L’autore, per<br />

redatta e conservata presso la Biblioteca Marucelliana <strong>di</strong> Firenze (DONI s.d.: Fondo Doni, Ms. A 188, p.<br />

XXVII, n. 61), antecedente a quella a stampa posseduta dalla Biblioteca d’Arte <strong>di</strong> Milano, scrive<br />

Fron<strong>di</strong>siae. Rimane tuttora inesplicabile come il Muratori potesse leggere Frondosiae, pur affermando<br />

<strong>di</strong> aver preso l’epigrafe dal Doni. Bisognerà attendere il Bormann per ritrovare la lettura Fron<strong>di</strong>siae sul<br />

testo sentinate (BORMANN 1901, p. 839).<br />

18<br />

CIL, V, 1811.<br />

19<br />

WHATMOUGH 1933, pp. 95-130.<br />

20<br />

QUINT. inst. 1,5.<br />

21<br />

WHATMOUGH 1933, p. 103.<br />

22<br />

PLIN. nat. 3,121.<br />

23<br />

TLL, II, p. 2211. Potremmo anche citare il porto <strong>di</strong> Brun<strong>di</strong>sium in Apulia, corrispondente all’o<strong>di</strong>erna<br />

Brin<strong>di</strong>si.<br />

24 WHATMOUGH 1933, p. 116.


228 MARIA FEDERICA PETRACCIA<br />

Fron<strong>di</strong>sia non fornisce alcun riferimento bibliografico, non richiama quin<strong>di</strong><br />

l’iscrizione sentinate; si limita a <strong>di</strong>re: “Brundulum (V.), but Italic Fron<strong>di</strong>sia<br />

frontesia.<br />

3. Al <strong>di</strong>o Fron<strong>di</strong>sia inteso come teonimo.<br />

Data la natura collinare e l’economia silvo-pastorale del territorio sentinate,<br />

<strong>di</strong>etro il termine Fron<strong>di</strong>siae si poteva celare invece un <strong>di</strong>o dei boschi, un <strong>di</strong>o<br />

Fron<strong>di</strong>fer 25 .<br />

A favore <strong>di</strong> questa terza ipotesi c’è il fatto che la trascrizione in alfabeto<br />

corsivo attuario latino <strong>di</strong> Fron<strong>di</strong>siae e Fron<strong>di</strong>fero è pressoché identica 26 .<br />

Un altro esempio <strong>di</strong> frainten<strong>di</strong>mento sempre originato dalla trascrizione <strong>di</strong> un<br />

documento epigrafico in alfabeto corsivo attuario latino è fornito da un’iscrizione <strong>di</strong><br />

Narona, città della Dalmazia 27 , anch’essa purtroppo perduta, <strong>di</strong> cui il corpus dava la<br />

seguente trascrizione:<br />

Fromboni / Valenini/s Gemelus / SVSLM / pro FI restit.<br />

È ormai appurato che il documento ricorda L(ucius) Pomponius Valentinus<br />

Gemelus e va interpretato nel modo seguente:<br />

[L(ucius)] Pomponi(us) / Valentinu/s Gemelus / v(otum) s(olvit) l(ibens)<br />

m(erito) / pro fi(lio) restitu(it).<br />

4. Al <strong>di</strong>o Fron<strong>di</strong>sia inteso come frontac - fulguriator /fulgurator.<br />

Si è già avuto modo <strong>di</strong> ricordare che, a parere del Whatmough, Brundulum<br />

sarebbe un toponimo <strong>di</strong> origine venetica e corrisponderebbe all’italico Fron<strong>di</strong>sia,<br />

frontesia 28 . Nel Thesaurus Linguae Latinae non compaiono né fron<strong>di</strong>sia né<br />

fron<strong>di</strong>sius; compare invece la voce frontesia 29 , e <strong>nella</strong> sua nota esplicativa si fa<br />

riferimento ad un’iscrizione bilingue rinvenuta a Pesaro 30 (fig. 4).<br />

(A) [C(aius) Ca]fatius L(uci) f(ilius) Ste(llatina) haruspe[x] / fulguriator /<br />

(B) cafates. lr. lr. netšvis . trutnvt. frontac.<br />

Il termine frontac compare su un frammento <strong>di</strong> lastra <strong>di</strong> marmo rinvenuto a<br />

Pesaro e ascrivibile al I sec. a.C., su cui è incisa un’iscrizione votiva in latino e in<br />

nord-piceno. Il testo in latino è destrorso, quello in nord-piceno è sinistrorso.<br />

Secondo il Pisani 31 , sia l’identificazione <strong>di</strong> caf(at)ius con cafates, sia quella <strong>di</strong><br />

25<br />

Cfr. una delle epistole metriche <strong>di</strong> Francesco Petrarca, la XV, che si intitola Ad Raynaldum de libero<br />

pago veronensem poetam s., vv. 136-139: Sed Padus estivis solito nunc mitior un<strong>di</strong>s / Fron<strong>di</strong>fer inde<br />

iugis sacer Apenninus apricis / Transvehet et campo incolumem te reddet etrusco / Sexta <strong>di</strong>es,<br />

postquam patrio <strong>di</strong>scesseris arvo. Lucrezio e Seneca utilizzano l’aggettivo fron<strong>di</strong>fero riferendolo a<br />

nemus: LUCR. 2,352: fron<strong>di</strong>ferum nemus adsistens et crebra revisit; SEN. Oed. 274-276: fron<strong>di</strong>fera<br />

sanctae nemora castaliae petens / calcavit artis obsitum dumis iter, / trigemina qua se spargit in<br />

campos via.<br />

26<br />

Ringrazio i colleghi Giulia Baratta e Marc Mayer, per l’aiuto fornitomi a tale proposito. Basta infatti<br />

riprodurre con i caratteri del corsivo attuario latino i due termini e risulterà evidente quanto sopra<br />

osservato. Cfr. a tale proposito: THOMPSON 1966, tabella denominata Latin Cursive Alphabets (manca<br />

n. <strong>di</strong> pagina).<br />

27<br />

CIL, III, suppl. 1, 8429.<br />

28<br />

V. supra nt. 24.<br />

29<br />

TLL, V, p. 1365.<br />

30 2<br />

TLE 697; CIL, I , 2127; CIL, XI, 2127.<br />

31<br />

PISANI 1986. Cfr. DURANTE 1978; MALLORY 1989.


LA DEVOZIONE AGLI DEI A SENTINUM 229<br />

netšvis . trutnvt con haruspex, sia infine quella <strong>di</strong> frontac con fulguriator sono<br />

evidenti. L'“arte fulguratoria” e l'aruspicina, le due forme tipiche della <strong>di</strong>vinazione<br />

etrusca, sono <strong>di</strong> solito strettamente collegate, quin<strong>di</strong> non fa meraviglia che esse<br />

possano essere state esercitate da un medesimo personaggio, il L(ucius) Cafatius<br />

dell’iscrizione pisaurense, il quale fu appunto haruspex (in etrusco netšvis . trutnvt )<br />

e fulguriator (cioè interprete dei fulmini: in etrusco frontac ). Il termine fulguriator /<br />

fulgurator ha non solo il significato <strong>di</strong> interprete dei fulmini, ma anche quello <strong>di</strong><br />

colui che scaglia i fulmini, vale a <strong>di</strong>re Giove, ed è come appellativo del padre <strong>degli</strong><br />

dei che è utilizzato da Apuleio nel De mundo 32 ; pertanto l’iscrizione sentinate<br />

potrebbe essere così interpretata: “Al Dio (Giove) che scaglia i fulmini, come ex<br />

voto felicemente”.<br />

Fig. 4. L’iscrizione bilingue <strong>di</strong> Pesaro (TLE, 697; CIL, I 2 , 2127; CIL, XI, 2127).<br />

Le quattro ipotesi sopra formulate relativamente al contenuto del documento<br />

Deo Fron<strong>di</strong>siae / ex voto feliciter, allo stato attuale delle nostre conoscenze<br />

sembrano tutte ragionevoli, sebbene nessuna abbia un contenuto fattuale così elevato<br />

da farla prevalere sulle altre tre; non si può tuttavia escludere che ulteriori<br />

ritrovamenti o stu<strong>di</strong> possano originare nuove proposte interpretative oppure<br />

rinforzare una delle quattro soluzioni qui <strong>di</strong>scusse.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

BORMANN 1901 = E. BORMANN, CIL XI 5734, Berolini.<br />

BRANDIMARTE 1825 = F.A. BRANDIMARTE, Piceno annonario ossia Gallia Senonia<br />

illustrata, Roma.<br />

COLUCCI 1793 = G. COLUCCI, Antichità Picene, VII, Fermo.<br />

32 APUL. mund. 37,8: Fulgurator et tonitrualis et fulminator, etiam imbricitor, et item <strong>di</strong>citur serenator.


230 MARIA FEDERICA PETRACCIA<br />

DONI s.d. = Inscriptiones selectae e Collectaneis clariss. viri Iohannis Baptistae<br />

Donii Patricii Florentini, Florentiae.<br />

DONI 1731 = IO. BAPTISTAE DONII, Inscriptiones Antiquae nunc primum e<strong>di</strong>tae,<br />

notisque illustratae et XXVI. In<strong>di</strong>cibus auctae ab Antonio Francisco Gorio<br />

publico historiarum professore. Accedunt deorum arae tabulis aereis<br />

incisae cum observationibus, Florentiae.<br />

DURANTE 1978 = M. DURANTE, Nord piceno: la lingua delle iscrizioni <strong>di</strong> Novilara,<br />

in Popoli e civiltà dell'Italia antica, VI, Roma.<br />

LOPES PEGNA 1971 = M. LOPES PEGNA, Le due battaglie <strong>di</strong> ‘Sentinum’ che<br />

segnarono i fati d’Italia, Firenze.<br />

MALLORY 1989 = J.P. MALLORY, In Search of the Indo-Europeans, Language,<br />

Archaelogy and Myth, London.<br />

MURATORI 1739 = L.A. MURATORI, Novus Thesaurus Veterum Inscriptionum in<br />

praecipuis earumdem collectionibus, hactenus praetermissarum, tomus<br />

primus, Me<strong>di</strong>olani.<br />

PAGNANI 1994 3 = A. PAGNANI, Sentinum. Storia e monumenti, Sassoferrato 3 .<br />

PISANI 1986 2 = V. PISANI, Le lingue dell'Italia antica oltre il latino, Torino 2 .<br />

RAMELLI s.d. 1 = C. RAMELLI, Appen<strong>di</strong>ce iscrizioni <strong>di</strong> Sentinum a RAMELLI s.d. 2.<br />

RAMELLI s.d. 2 = C. RAMELLI, Stu<strong>di</strong> Istorici su Fabriano (ine<strong>di</strong>to).<br />

RAMELLI 2007 = C. RAMELLI, Stu<strong>di</strong> Storici, in M. F. PETRACCIA (a cura <strong>di</strong>), Gli<br />

“Stu<strong>di</strong> Storici” <strong>di</strong> Camillo Ramelli e il Lapidario del Palazzo Comunale <strong>di</strong><br />

Fabriano, Fabriano.<br />

SANTONI 1972 = S.M. SANTONI, I ricor<strong>di</strong> storici dell’agro sentinate in età romana,<br />

Fabriano.<br />

SARTORI 2005 = A. SARTORI, Vecchie novità <strong>di</strong> Me<strong>di</strong>olanum, in “Eine ganz<br />

normale Inschrift” ... und Ähnliches zum Geburstag von Ekkehard Weber<br />

(Österreichische Gesellschaft für Archäologie, a cura <strong>di</strong> F. BEUTLER, W.<br />

HAMETER, Wien, pp. 333–342.<br />

THOMPSON 1966 = E.M. THOMPSON, A Handbook of Greek and Latin<br />

Palaeography, Chicago.<br />

WHATMOUGH 1933 = J. WHATMOUGH, Quemadmodum Pollio reprehen<strong>di</strong>t in Livio<br />

Patavinitatem?, «Harvard Stu<strong>di</strong>es in Classical Philology», 44, pp. 95-130.


SCHIAVI E LIBERTI IMPERIALI NELLA CISALPINA<br />

E NELLE AREE LIMITROFE<br />

Daniela Pupillo<br />

Nel ringraziare gli organizzatori <strong>di</strong> questo incontro per l’opportunità datami <strong>di</strong><br />

rendere omaggio a Ezio Buchi, devo premettere che la relazione che sto per<br />

presentare non risulterà così completa e rifinita come sarebbe stato doveroso. Potrei<br />

<strong>di</strong>re che è una ricerca ‘in progress’ ma sarebbe solo un eufemismo: <strong>di</strong> questo, e del<br />

fatto che la presenterò in maniera molto schematica, mi scuso anticipatamente con<br />

tutti voi.<br />

La mia intenzione è quella <strong>di</strong> delineare il quadro della <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> schiavi e<br />

liberti imperiali <strong>nella</strong> Cisalpina come fase preliminare <strong>di</strong> una possibile ricerca volta<br />

a considerare se la <strong>di</strong>stribuzione territoriale <strong>di</strong> questi personaggi possa suggerire una<br />

qualche sorta <strong>di</strong> influenza o <strong>di</strong> nesso fra la loro presenza e le maggiori correnti <strong>di</strong><br />

traffici commerciali. L’idea <strong>di</strong> questa possibile correlazione è scaturita dalla<br />

constatazione che in <strong>di</strong>versi casi le proprietà imperiali, o almeno quelle<br />

maggiormente note e gestite dal personale della familia Caesaris, si trovano nelle<br />

vicinanze <strong>di</strong> importanti città portuali o <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> vie <strong>di</strong> comunicazione, luoghi quin<strong>di</strong><br />

che si prestavano particolarmente anche a fornire informazioni circa le domande e le<br />

offerte dei mercati 1 . Di qui l’ipotesi che pure in altri casi gli schiavi e i liberti<br />

imperiali si trovassero in situazione privilegiata per osservare e influire sui flussi<br />

commerciali, e quin<strong>di</strong> intervenire in qualche modo sull’economia <strong>di</strong> ampi territori.<br />

Per delineare la carta <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione <strong>degli</strong> schiavi e liberti imperiali ho tenuto<br />

conto delle attestazioni su iscrizioni lapidarie reperibili sul CIL, sull’Annèe<br />

Epigraphique, sui Supplementa Italica, e inoltre sul ‘Repertorium Weaver’ che il<br />

compianto stu<strong>di</strong>oso ha voluto generosamente lasciare al mondo scientifico e che<br />

Werner Eck ha <strong>di</strong> fatto provveduto a mettere in rete 2 , cosa per cui ringrazio<br />

particolarmente.<br />

I dati raccolti riguardano dal punto <strong>di</strong> vista geografico l’Italia settentrionale,<br />

con uno sguardo anche sulle aree vicine qualora questo potesse sembrare<br />

significativo, ma con l’esclusione dell’Istria che conta numerose evidenze ed è stata<br />

oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> recentissimi 3 . Sono state considerate solamente le attestazioni <strong>di</strong><br />

schiavi e liberti imperiali sicure, o abbastanza sicure, e relative al princeps, ma non<br />

1 PUPILLO 2007.<br />

2 P. WEAVER, Repertorium familiae Caesarum et libertorum Augustorum, nel sito internet all’in<strong>di</strong>rizzo<br />

del prof. W. Eck: http://www.uni-koeln.de/phil-fak/ifa/altg/eck/weaver.htm.<br />

3 MATIJAŠI 1999.


232 DANIELA PUPILLO<br />

esplicitamente ad altri membri della domus imperiale. Si tratta per la maggior parte<br />

<strong>di</strong> iscrizioni funerarie, ma <strong>di</strong>verse sono a carattere votivo.<br />

Tenendo in considerazione tutte le attestazioni rintracciate, senza <strong>di</strong>stinzione<br />

cronologica o <strong>di</strong> funzione <strong>degli</strong> in<strong>di</strong>vidui ricordati, risulta la carta <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione che<br />

potete vedere <strong>nella</strong> cartina (fig. 1).<br />

Nel complesso le attestazioni si situano soprattutto lungo la costa e<br />

l’entroterra dell’alto Adriatico e nelle aree alpine, in particolare sul versante<br />

occidentale, mentre sono meno numerose <strong>nella</strong> parte centrale della Valle Padana.<br />

Ovviamente la carta risente sia <strong>di</strong> mie eventuali <strong>di</strong>menticanze, sia, è bene<br />

sottolinearlo, della casualità dei rinvenimenti e del fatto che certe aree sono state<br />

maggiormente indagate rispetto ad altre. Ulteriori problemi derivano dalla incertezza<br />

sulla cronologia <strong>di</strong> alcune attestazioni, dalla non sicura conoscenza della<br />

provenienza <strong>di</strong> altre, e infine dalla mancata in<strong>di</strong>cazione in molti casi della funzione<br />

rivestita da schiavi e liberti imperiali.<br />

Fig. 1. Dislocazione in<strong>di</strong>cativa delle attestazioni <strong>di</strong> schiavi e liberti imperiali in Cisalpina.<br />

Ma guar<strong>di</strong>amo le attestazioni più in dettaglio.<br />

Nella regio X, (escluse Tergeste e Histria) Aquileia è il centro che conta <strong>di</strong><br />

gran lunga il maggior numero <strong>di</strong> attestazioni, risultando al momento ben 21 le<br />

epigrafi che nominano schiavi o liberti imperiali, secondo il recentissimo<br />

censimento effettuato da Clau<strong>di</strong>o Zaccaria 4 ; anche dal punto <strong>di</strong> vista cronologico la<br />

documentazione risulta eccezionale dal momento che le iscrizioni si datano con<br />

continuità dall’età augustea alle soglie del III secolo d.C.<br />

4 ZACCARIA 2007, a cui si rimanda per un’analisi più dettagliata delle iscrizioni e per la relativa<br />

bibliografia.


SCHIAVI E LIBERTI IMPERIALI NELLA CISALPINA E NELLE AREE LIMITROFE 233<br />

All’inizio del Principato sono ascrivibili le epigrafi <strong>di</strong> tre liberti <strong>di</strong> Augusto: la<br />

grande ara funeraria eretta da C. Iulius Aug(usti) l(ibertus) Linus, il pregevole<br />

monumento innalzato da C. Iulius Agathopus liberto <strong>di</strong> Nedymus <strong>di</strong>vi Aug(usti)<br />

lib(ertus), la stele perduta che menziona Plocamus <strong>di</strong>vi Aug(usti) l(ibertus) con il<br />

suo schiavo Nymphodotus 5 ; inoltre due iscrizioni ricordano gli schiavi Amphion Ti.<br />

Caesaris Augusti Drusianus e Princeps Ti. Caesaris (servus) 6 .<br />

All’età clau<strong>di</strong>a sono datate le iscrizioni che menzionano lo schiavo imperiale<br />

Secundus Ti Clau<strong>di</strong> Caesaris… con tre vicari, la liberta Clau<strong>di</strong>a Secunda (per<br />

integrazione) e un anonimo liberto <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o o <strong>di</strong> Nerone 7 ; inoltre lo schiavo<br />

imperiale Ursio, che compare su una de<strong>di</strong>ca a Belinus, e Bassus Caesaris August(i)<br />

ser(vus) Tropianus insieme col suo vicarius Gratus 8 .<br />

Ascrivibili dall’età flavia agli inizi del II secolo d.C. risultano le epigrafi<br />

rispettivamente <strong>di</strong> T. F[l]a[v]ius Aug(usti) liber(tus) Crescens, che <strong>di</strong>venne seviro<br />

ad Aquileia, e <strong>di</strong> Celer Aug(usti) l(ibertus) Merypianus, tabular(ius) a rationib(us) 9 ;<br />

inoltre le iscrizioni <strong>di</strong> due servi imperiali, uno chiamato Firmus, e un altro <strong>di</strong> cui si è<br />

perduto il nome 10 .<br />

Nel II e nel III secolo sono databili: l’ara funeraria decorata su cui compaiono<br />

i nomi <strong>di</strong> Phoebus Caesaris Augusti arcarius, cioè addetto alla cassa del<br />

patrimonium, e del suo vicarius Callistus 11 ; la de<strong>di</strong>ca sacra a Phoebus eretta da<br />

Hilarus, schiavo del liberto imperiale Syriacus, in<strong>di</strong>cato come tabularius 12 ; l’ara<br />

sepolcrale de<strong>di</strong>cata a Philagrypnus, addetto al pedagogium imperiale <strong>di</strong> Roma, dal<br />

collega Heliodorus 13 ; l’iscrizione <strong>di</strong> Hermeros Caesarum servus, forse schiavo <strong>di</strong><br />

Marco Aurelio e Lucio Vero 14 ; l’epigrafe che menziona Saturninus Aug(usti)<br />

n(ostri) a<strong>di</strong>ut(or) tabul(ariorum) r(ationis) p(atrimoni) 15 ; infine la de<strong>di</strong>ca votiva alle<br />

Vires da parte <strong>di</strong> Festus, servo del liberto imperiale Ursio 16 , e quella a Beleno eretta<br />

da L. Aur(elius) Pisinnus, anch’egli liberto imperiale 17 .<br />

A nord del territorio <strong>di</strong> Aquileia, a Cividale del Friuli, è attestata<br />

epigraficamente la presenza <strong>di</strong> tre fratelli schiavi dell’imperatore Tiberio 18 , mentre a<br />

5 SI, 185; CIL, V, 1251; CIL, V, 1319.<br />

6 CIL, V, 1067 e 1304. Cfr. BUCHI 2003, p. 184.<br />

7 InscrAq, 474 ma cfr. BUCHI 2003, p. 182, dove Symphorian(us) è considerato come vicario <strong>di</strong><br />

Secundus; CIL, V, 1167 e BUCHI 2003, p. 182; InscrAq, 2301.<br />

8 InscrAq, 106, 466.<br />

9 CIL, V, 987 (provenienza dai pressi <strong>di</strong> Mortegliano); InscrAq, 465.<br />

10 CIL, V, 8386 cfr. BUCHI 2003 p. 184.<br />

11 CIL, V, 1801; l’ara, un tempo considerata proveniente da Iulium Carnicum, è ora attribuita ad<br />

Aquileia, cfr. ZACCARIA 2007, p. 71.<br />

12 InscrAq, 104.<br />

13 CIL, V, 1039; cfr. HERRMANN-OTTO 1994, p. 320 ss. e ZACCARIA 2007, pp. 66-67.<br />

14 InscrAq, 469.<br />

15 InscrAq, 463.<br />

16 CIL, V, 8247.<br />

17 InscrAq, 108. Infine per l’iscrizione <strong>di</strong> incerta attribuzione del liberto T. Aelius (InscrAq, 464) cfr.<br />

BUCHI 2003, p. 205.<br />

18 GIAVITTO 1998, pp. 265-266 n. 12: Faustus et Communis Primo fratri et sibi vivi fecerunt servi Ti.<br />

Caesaris.


234 DANIELA PUPILLO<br />

Iulium Carnicum (Zuglio) una de<strong>di</strong>ca, su un’ara parallelepipeda, alla Fortuna da<br />

parte <strong>di</strong> Felix Aug(ustorum duorum servus), è datata al III sec. d.C. 19 .<br />

Sempre sulle Alpi orientali, ma al confine col Norico, dalla zona <strong>di</strong> Sublavio<br />

presso Ponte Gardena, viene una de<strong>di</strong>ca a Marte da parte <strong>di</strong> Mercurialis Aug(usti)<br />

n(ostri) vil(icus) impiegato presso la stazione doganale con mansioni <strong>di</strong><br />

amministratore 20 ; dalle vicinanze <strong>di</strong> Merano l’attestazione (su una base o ara a<br />

Diana) <strong>di</strong> Aetetus Aug(ustorum) n(ostrorum) lib(ertus) praepositus stationis<br />

Maiensis o Miensis della quadragesima Galliarum con ipotesi <strong>di</strong> datazione al 217 o<br />

al 246 d.C. 21 .<br />

Scendendo a sud lungo la costa adriatica, alla città portuale <strong>di</strong> Altino sono<br />

riferibili: l’iscrizione mutila e perduta <strong>di</strong> un liberto <strong>di</strong> Nerva, M. Cocceius Aug(usti)<br />

lib(ertus) Hospes, databile alla fine del I - inizi II secolo d.C. 22 ; l’epigrafe <strong>di</strong> un<br />

[Aug(usti)?] ser(vus) Phartenianus <strong>di</strong>spensator Illirici che prestò servizio <strong>nella</strong><br />

circoscrizione fiscale dell’Illiricum per la riscossione del publicum portorium 23 ;<br />

l’iscrizione, incisa sulla parte superiore <strong>di</strong> un cippo o ara funeraria, <strong>di</strong> Chaeron<br />

Aug(usti) n(ostri) <strong>di</strong>sp(ensator) rat(ionibus) cop(iarum), che prestò servizio ‘presso<br />

la III legio Augusta <strong>nella</strong> cura delle spese e <strong>degli</strong> acquisti necessari alla vita e<br />

all’attività della milizia’ 24 .<br />

Nell’entroterra la città <strong>di</strong> Padova conta due attestazioni: il particolare<br />

monumento funerario della liberta <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o, Clau<strong>di</strong>a Toreuma, giocoliera e<br />

mima 25 , e l’epigrafe funeraria de<strong>di</strong>cata a Aristius Caesaris n(ostri) ser(vus)<br />

ark(arius) et vilic(us) XX here<strong>di</strong>t(ium) 26 .<br />

Infine <strong>Verona</strong> conta tre attestazioni, <strong>di</strong> cui una <strong>di</strong> età augustea, quella <strong>di</strong> C.<br />

Iulius Caesaris Augusti Dosa sexvir 27 ; le altre due menzionano rispettivamente il<br />

liberto imperiale M. Aurelius Euporus Aug(usti) n(ostri) lib(ertus) e Eros ser(vus)<br />

duo(rum) Aug(ustorum) n(ostrorum), e si collocano cronologicamente fra la seconda<br />

metà del II e l’inizio del III secolo d.C. 28 .<br />

Nell’area deltizia del Po, fra X e VIII regio, dal vicus presso Voghenza<br />

provengono:<br />

il sarcofago <strong>di</strong> Ianuaria, liberta <strong>di</strong> un imperatore Clau<strong>di</strong>o, il cui marito<br />

Artemon si <strong>di</strong>chiara servo imperiale, e la stele <strong>di</strong> Atilia Primitiva, de<strong>di</strong>cata dal marito<br />

Herma verna <strong>di</strong>sp(ensator) Aug(ustorum duorum), quella che attesta più<br />

esplicitamente la presenza <strong>di</strong> posse<strong>di</strong>menti imperiali <strong>nella</strong> zona 29 ; dalla necropoli<br />

voghentina sono emerse poi due epigrafi, il piccolo segnacolo <strong>di</strong> Panther, schiava<br />

19<br />

MAINARDIS 1994 , p. 112 n. 1. Cfr. i contributi <strong>di</strong> C. Zaccaria, F. Mainar<strong>di</strong>s, e G. L. Gregori in Iulium<br />

Carnicum 2001.<br />

20<br />

CIL, V, 5081; BUCHI 2000, pp. 91-92; BUONOPANE 2000, p. 139.<br />

21<br />

CIL, V, 5090, cfr. FRANCE 2001, pp. 153-56, 440; DI STEFANO, IANESELLI 2005, p. 121.<br />

22<br />

CIL, V, 2217; ZAMPIERI 2000, pp. 64, 142 n. 12.<br />

23<br />

CIL, V, 2156; ZAMPIERI 2000, pp. 53, 141-142 n. 11, 128; TIRELLI 2001, p. 296. Si riba<strong>di</strong>sce<br />

cre<strong>di</strong>bile l’ipotesi <strong>di</strong> Altino come stazione doganale in CRESCI MARRONE, TIRELLI 2003, p. 17.<br />

24<br />

CIL, V, 2155; ZAMPIERI 2000, pp. 49-51, 141 n. 10, 128.<br />

25<br />

CIL, V, 2931; AE 2000, 616, datata al 45-50 d.C., cfr. ZAMPIERI 2000a.<br />

26<br />

AE 1959, 261; cfr. ECK 1999, p. 143, e in generale per la vigesima here<strong>di</strong>tatium da p. 130 ss.<br />

27<br />

CIL, V, 3404. Un accenno al gran<strong>di</strong>oso monumento in CAVALIERI MANASSE 1994, pp. 327-328.<br />

28<br />

CIL, V, 3510 e 8856. Una sintesi su <strong>Verona</strong> anche come centro <strong>di</strong> riscossione della vigesima<br />

libertatis vd. CAVALIERI MANASSE 1998, p. 453.<br />

29<br />

CIL, V, 2411 e 2385.


SCHIAVI E LIBERTI IMPERIALI NELLA CISALPINA E NELLE AREE LIMITROFE 235<br />

della familia Caesaris, e la stele <strong>di</strong> Ulpia Athenais, moglie <strong>di</strong> Clemens schiavo<br />

imperiale con funzione <strong>di</strong> librarius 30 . Più all’interno, da Vigarano Mainarda, sito<br />

pochi chilometri ad ovest <strong>di</strong> Ferrara, fu rinvenuto il cippo <strong>di</strong> Fronto, schiavo con<br />

funzioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>spensator, dell’imperatore Clau<strong>di</strong>o 31 .<br />

Nella regio VIII le attestazioni provengono da due città portuali, Ravenna e<br />

Rimini, e due da centri ubicati lungo la via Aemilia, Claterna e Placentia.<br />

A Ravenna è attestato Rogatus Aug(usti) lib(ertus) tabularius cl(assis)<br />

pr(aetoriae) Rav(ennatis) insieme con Severinus suo colliberto in una iscrizione<br />

datata al tempo <strong>di</strong> Vespasiano 32 ; un frammento <strong>di</strong> tavola marmorea, <strong>di</strong> provenienza<br />

incerta, tramanda il nome <strong>di</strong> Aristo Aug(usti) lib(ertus) probabilmente procurator <strong>di</strong><br />

un ufficio che non è dato conoscere per la frattura della pietra 33 ; infine all’anno 196<br />

d.C. si data la de<strong>di</strong>ca che Rufinus, lib(ertus) procurator provinciae Mauretaniae<br />

Tingitanae innalza a Settimio Severo pro victoria et re<strong>di</strong>tu 34 .<br />

Da Ariminum provengono tre testimonianze riferibili cronologicamente al<br />

periodo compreso fra II e III secolo d.C.: un frammento <strong>di</strong> tavola marmorea da cui si<br />

deduce per integrazione il nome <strong>di</strong> un (Pate)rculus [Au]g(usti) lib[ertus] che de<strong>di</strong>ca<br />

il segnacolo a un verna <strong>di</strong> due imperatori coregnanti 35 ; un altro liberto imperiale,<br />

Felicissimus, figura come padre della piccola Irene sul sarcofago a lei de<strong>di</strong>cato 36 ;<br />

infine una iscrizione in greco ricorda M. Aurelius liberto imperiale 37 .<br />

Nell’entroterra, nel territorio <strong>di</strong> Claterna, è testimoniato Agathemer Aug(usti)<br />

n(ostri) in un segnacolo funerario forse <strong>di</strong> età flavia 38 , mentre dal cuore della Valle<br />

Padana, dai pressi <strong>di</strong> Piacenza, proviene l’epigrafe <strong>di</strong> P. Aelius Prothymus, liberto<br />

imperiale, tabul(arius) XX her(e<strong>di</strong>tatium) Aemil(iae) Liguria(e) Transpadanae,<br />

datata ai tempi <strong>di</strong> Antonino Pio 39 .<br />

Nella regio IX, Liguria, sono riferibili a Genova l’iscrizione perduta de<strong>di</strong>cata<br />

alla moglie Aurelia Lau<strong>di</strong>ce dal marito Lupercus <strong>di</strong>sp(ensator) rationis privatae, e il<br />

sarcofago <strong>di</strong> Hilarus Aug(usti) lib(ertus) praepositus puerorum pe<strong>di</strong>sequorum<br />

de<strong>di</strong>cato da tre suoi liberti 40 . Incerta invece la provenienza dalla città sia<br />

dell’iscrizione <strong>di</strong> Dionysius Aug(usti) lib(ertus) incisa ‘in operculo sarcophagi’ 41 ,<br />

sia dell’epigrafe che ricorda il pantomimo P. Aelius Aug. lib. Pylades e il suo<br />

<strong>di</strong>scepolo L. Aurelius Augg. lib. Pylades 42 .<br />

30<br />

PUPILLO, 1999, pp. 168-169 n. 4, 169-170 n. 5.<br />

31<br />

CIL, V, 2386.<br />

32<br />

CIL, XI, 17; cfr. BOULVERT 1970, p. 141.<br />

33<br />

CIL, XI, 221.<br />

34<br />

CIL, XI, 8; in WEAVER, Repertorium cit., n. 2611 Rufinus è considerato “assistant procurator<br />

provinciae”, ma non così in GIACOMINI 1990, p. 198, n. 919.<br />

35<br />

CIL, XI, 534.<br />

36 CIL, XI, 466.<br />

37 CIL, XI, 553 = IGR, 1, 476.<br />

38 CIL, XI, 688.<br />

39 CIL, XI, 1222; AE 1988, 569. Vd. anche MARINI CALVANI 2000, p. 385.<br />

40 CIL, V, 7752 e 7751.<br />

41 CIL, V, 7759.<br />

42 CIL, V, 7753; dubbi sulla provenienza da Genua in MENNELLA 1987, p. 238 (= AE 1987, 403) e in<br />

ANGELI BERTINELLI 2002, p. 122. Per l’identificazione dei due pantomimi e la cronologia vd. CALDELLI<br />

2005, pp. 66-68, con bibliografia precedente.


236 DANIELA PUPILLO<br />

Da Piasco (a ovest <strong>di</strong> Cuneo) proviene una de<strong>di</strong>ca all’imperatore, da parte <strong>di</strong><br />

Eulalius liberto imperiale, la cui funzione rimane incerta ma probabilmente preposto<br />

alla stazione doganale della quadragesima Galliarum 43 ; cronologicamente dovrebbe<br />

riferirsi all’inizio del III secolo.<br />

Nella regio XI, a Me<strong>di</strong>olanum sono attestati Karus liberto <strong>di</strong> due imperatori<br />

coreggenti e il pantomimo Theocritus Augg. lib Pylades 44 .<br />

Più a nord, sulla riva occidentale del lago Maggiore, presso Pallanza, un cippo<br />

Matronis sacrum fu eretto pro salute C. Caesaris Augusti Germanici da Narcissus<br />

C. Caesaris 45 , e a Baveno una iscrizione ricorda Trophimus Ti. Clau<strong>di</strong> Caes(aris)<br />

Augusti Germanic(i) ser(vus) Daphni<strong>di</strong>anus 46 .<br />

Da Augusta Praetoria proviene una de<strong>di</strong>ca frammentaria a Mitra fatta erigere<br />

da Bassus Ca[esaris n(ostri) s(ervus)] circ(itor) (quadragesimae) G(alliarum) datata<br />

al III sec. d.C. 47 .<br />

Sulle Alpes Poeninae, in summo monte, due tavolette votive in bronzo<br />

ricordano l’una Phoebus Fusci Ti. Caesaris (servus), l’altra Puteolanus Sabini<br />

Caes(aris) n(ostri) (servus), databile al II secolo d.C. 48 .<br />

Infine nelle Alpes Cottiae, a Susa, si annoverano una de<strong>di</strong>ca a Giove posta da<br />

Callistus probabilmente vicario (è una integrazione) dello schiavo imperiale<br />

Alexander, datata al 73 d. C., e l’iscrizione eretta da Aurelius Aphro<strong>di</strong>sius Augg. lib.<br />

tabularius Alpium Cottiarum 49 .<br />

Ad Avigliana (Fines Cotti) una base frammentaria con de<strong>di</strong>ca a Giove ricorda<br />

[T. Fl]avius Alypus Aug. l. con funzioni <strong>nella</strong> XL Galic (sic) insieme con la liberta<br />

imperiale [Clau]<strong>di</strong>a 50 ; inoltre un’altra iscrizione mutila, forse una de<strong>di</strong>ca alle<br />

Matronae, menziona un anonimo …Caes. ser. v[ilicus] 51 .<br />

Da questo quadro, seppur schematico, emerge che la maggioranza delle<br />

attestazioni <strong>di</strong> schiavi e liberti imperiali proviene o da ambiti urbani, sia che si tratti<br />

<strong>di</strong> città portuali sia che si tratti <strong>di</strong> grossi centri <strong>di</strong> snodo viario, oppure da zone<br />

attraversate da gran<strong>di</strong> vie <strong>di</strong> comunicazione.<br />

Che questa <strong>di</strong>slocazione fosse particolarmente favorevole per osservare e<br />

trarre informazione sull’economia e sui flussi commerciali risulta del tutto evidente<br />

nel caso <strong>degli</strong> schiavi e liberti imperiali impiegati a vari livelli <strong>nella</strong> riscossione della<br />

quadragesima Galliarum e del portorium Illyricum, ma è solo ipotizzabile per il<br />

personale addetto ad altri rami dell’amministrazione, compresa la gestione dei<br />

posse<strong>di</strong>menti dell’imperatore. Se per questi personaggi è da considerarsi probabile<br />

un lungo soggiorno nelle aree in cui hanno svolto le loro mansioni, per altri risulta<br />

più <strong>di</strong>fficile trarre dalla documentazione delle in<strong>di</strong>cazioni circa la durata della loro<br />

43<br />

CIL, V, 7643 = InscrIt, IX, 1, 173, cfr. MENNELLA 1992, p. 217 n. 4; FRANCE 2001, pp. 149-150;<br />

GIORCELLI BERSANI 2002, p. 62 nt. 33; ANGELI BERTINELLI 2002, p. 123.<br />

44<br />

CIL, V, 5921 e 5889; per il pantomimo vd. CALDELLI 2005, pp. 66-68.<br />

45<br />

CIL, V, 6641.<br />

46<br />

CIL, V, 6638.<br />

47<br />

AE 1989, 334; FRANCE 2001, pp. 156-157 n. 32, 440 e 443.<br />

48<br />

CIL, V, 6884 = InscrIt, XI, 1, 83; InscrIt, XI, 1, 85; cfr. WALSER 1984, pp. 112 n. 29, 114 n. 31.<br />

49<br />

CIL, V, 7239 e 7253; GIORCELLI BERSANI 2002, p. 62 nt. 33.<br />

50<br />

CIL, V, 7209; FRANCE 2001, pp. 81-85 n. 16 con <strong>di</strong>scussione delle integrazioni e della funzione del<br />

personaggio.<br />

51<br />

CIL, V, 7211; cfr. FRANCE 2001, pp. 85-86 n. 17, 440.


SCHIAVI E LIBERTI IMPERIALI NELLA CISALPINA E NELLE AREE LIMITROFE 237<br />

permanenza e il loro ra<strong>di</strong>camento nelle zone in cui hanno lasciato memoria <strong>di</strong> sé:<br />

solamente in<strong>di</strong>zi possono essere considerati la ricchezza dei monumenti funerari, la<br />

menzione <strong>di</strong> parenti e amici negli epitaffi, la devozione a <strong>di</strong>vinità in<strong>di</strong>gene. In altri<br />

casi al contrario si tratta <strong>di</strong> attestazioni lasciate presumibilmente da schiavi e liberti<br />

imperiali nel corso <strong>di</strong> viaggi effettuati per motivi <strong>di</strong> ufficio, o al seguito<br />

dell’imperatore durante i suoi spostamenti per imprese belliche. Per alcune evidenze<br />

poi, a causa o della stringatezza del testo epigrafico o per l’irreperibilità della pietra<br />

oppure per la non sicura in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> provenienza, non è possibile formulare<br />

alcuna ipotesi.<br />

Come accennato all’inizio, questa visione d’insieme sulla <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> schiavi<br />

e liberti imperiali è da considerarsi preliminare per avanzare l’ipotesi <strong>di</strong> una<br />

possibile influenza <strong>di</strong> questi personaggi sull’economia e sui commerci che<br />

interessavano la Cisalpina. La fase successiva potrebbe essere quella <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare<br />

dei manufatti o delle merci particolari, che possano fungere da ‘in<strong>di</strong>catori’ <strong>di</strong><br />

specifici flussi commerciali, come ad esempio le anfore o i balsamari vitrei <strong>di</strong><br />

produzione imperiale, la cui carta <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione, confrontata con quella della<br />

presenza <strong>di</strong> schiavi e liberti imperiali, potrebbe fornire in<strong>di</strong>zi per suffragare più<br />

concretamente l’ipotesi proposta.<br />

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ISCRIZIONI SU OPERE PUBBLICHE IN TRANSPADANA<br />

Rita Scuderi<br />

L’XI regio non possiede la ricca documentazione epigrafica propria della X,<br />

dove i Veneti spontaneamente aderirono a una precoce romanizzazione e la colonia<br />

<strong>di</strong> Aquileia già dal II sec. a.C. ricordava sulla pietra personaggi e monumenti della<br />

sua storia 1 . Così le testimonianze <strong>di</strong> evergesie per opere pubbliche <strong>nella</strong> Venetia<br />

sono state calcolate circa il doppio rispetto alla Transpadana 2 . L’evergetismo<br />

nell’e<strong>di</strong>lizia pubblica in queste regiones ha trovato interessanti confronti nei due<br />

fondamentali stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Zaccaria e <strong>di</strong> Frézouls negli Atti del Convegno <strong>di</strong> Trieste<br />

dell’’87 sulle città nell’Italia settentrionale 3 . Più recentemente il libro della Goffin<br />

ha presentato un quadro sistematico su tutta la Cisalpina 4 . Ora concentriamo<br />

l’attenzione sull’XI regio come significativa <strong>di</strong> una varia campionatura nelle<br />

costruzioni a favore delle comunità, più <strong>di</strong> una sessantina <strong>di</strong> iscrizioni, soprattutto<br />

negli un<strong>di</strong>ci centri urbani 5 , ma anche nei vici. La frammentarietà delle<br />

testimonianze epigrafiche e i casi fortuiti della loro conservazione impe<strong>di</strong>scono un<br />

atten<strong>di</strong>bile approccio statistico, ma danno un’idea della vita associata, intorno a<br />

in<strong>di</strong>spensabili e<strong>di</strong>fici, offerti da chi aveva già o stava conquistandosi un peso<br />

sociale 6 .<br />

Rispetto ai numerosi evergeti locali, è logicamente minore la frequenza<br />

d’interventi da parte del potere centrale: a Laus Pompeia Tiberio e suo figlio Druso<br />

1<br />

Per esempio ancor prima della metà del II sec. a.C. si può datare l’iscrizione del triumviro T. Annio<br />

Lusco, che costruì un tempio, emanò leggi e integrò tre volte il senato della colonia: egli era stato<br />

incaricato <strong>di</strong> condurre ad Aquileia 1.500 famiglie <strong>di</strong> nuovi coloni nel 169 a.C. (LIV. 43,17,1).<br />

Un’alternativa <strong>di</strong> datazione, in un momento significativo per la colonia, adatto a commemorare la<br />

fondazione, rimane comunque entro il II sec. a.C.: ZACCARIA 1996, cc. 179-184; ZACCARIA 1998, pp.<br />

130-143. In Italia settentrionale Aquileia è il centro che ha il maggior numero <strong>di</strong> attestazioni<br />

d’interventi e<strong>di</strong>lizi anche in epoca imperiale: BONZANO 2004, p. 78.<br />

2<br />

FRÉZOULS 1990, p. 183.<br />

3<br />

ZACCARIA 1990, pp. 129-162; FRÉZOULS 1990, pp. 179-209.<br />

4<br />

GOFFIN 2002.<br />

5<br />

Bergomum, Me<strong>di</strong>olanum, Laus Pompeia, Ticinum, Laumellum (sulla sua autonomia municipale:<br />

GABBA 1990a, pp. 157-159 = GABBA 2000, pp. 109-110), Comum, Vercellae, Novaria, Epore<strong>di</strong>a,<br />

Augusta Taurinorum, Augusta Praetoria: cfr. CHILVER 1941, p. 45.<br />

6<br />

Iscrivere il proprio nome sulla costruzione offerta era un <strong>di</strong>ritto co<strong>di</strong>ficato (DIG. 50,10,2-3). Era<br />

peraltro <strong>di</strong>ffusa la coscienza <strong>di</strong> dover partecipare allo sviluppo della comunità anche attraverso i<br />

monumenti: JOUFFROY 1986, p. 5. Cfr. JOUFFROY 1977, pp. 329-337. All’evergetismo è de<strong>di</strong>cata<br />

un’ampia sezione <strong>degli</strong> Actes du X e Congrès International d’Épigraphie grecque et latine (Nîmes 4-9<br />

octobre 1992), Paris 1997, pp. 157-396.


242 RITA SCUDERI<br />

fecero costruire una porta della cinta muraria 7 . L’imperatore non solo a Roma, ma<br />

anche in Italia e in provincia, si poneva come esempio per i notabili, perché<br />

collaborassero all’e<strong>di</strong>lizia pubblica 8 e nello stesso tempo promuoveva capillarmente<br />

riconoscenti manifestazioni <strong>di</strong> lealismo <strong>di</strong>nastico 9 . Lungo le strade l’Augusto era<br />

sempre ricordato sui miliari, che nel tardo impero <strong>di</strong>ventarono de<strong>di</strong>che onorarie<br />

domino nostro, strumenti della propaganda imperiale 10 . Anche se le vie extraurbane<br />

sono evidentemente fondamentali opere pubbliche, non considereremo qui le pietre<br />

miliari, che costituiscono una particolare categoria 11 .<br />

Tra i monumenti offerti alla comunità, sono in maggioranza quelli che<br />

possiedono l’ulteriore valenza devozionale delle donazioni sacre, rappresentate <strong>nella</strong><br />

nostra zona da almeno una ventina <strong>di</strong> iscrizioni 12 . Se non ci limitiamo agli e<strong>di</strong>fici,<br />

ma pren<strong>di</strong>amo in considerazione anche le aree sacre, a quest’ambito ascriviamo la<br />

testimonianza più antica, il cippo bilingue, latino-celtico, <strong>di</strong> Vercelli, risalente al I<br />

sec. a.C., espressione <strong>di</strong> una comunità in<strong>di</strong>gena, che definisce uno spazio<br />

appartenente insieme agli dei e agli uomini 13 . Alla tipologia religiosa spetta un altro<br />

primato, quello <strong>di</strong> coprire la scala sociale sino all’infimo gra<strong>di</strong>no della schiavitù: da<br />

Cedrate (Varese) viene il ricordo del restauro <strong>di</strong> una statua e <strong>di</strong> un tempio a Ercole<br />

da parte dello schiavo responsabile del fondo agricolo 14 . Eutyches, ser(vus) vil(icus),<br />

/ signum r[es]titu/it et per curam / eius ae<strong>di</strong>ficium tem/pli refectum est: essere il<br />

sorvegliante <strong>di</strong> ricche proprietà terriere nell’ager Me<strong>di</strong>olanensis avrà permesso una<br />

collaborazione finanziaria dal peculio servile, ma per l’opera <strong>di</strong> maggior impegno, il<br />

rifacimento della costruzione templare, doveva trattarsi <strong>di</strong> un compito affidato dai<br />

padroni, i Fulvi, pro salute dei quali è posta la de<strong>di</strong>ca. L’iscrizione è esemplificativa<br />

del successo <strong>di</strong> Ercole nelle zone rurali 15 e in generale della <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong><br />

testimonianze religiose nelle campagne 16 . Appunto dov’erano piccoli inse<strong>di</strong>amenti o<br />

compita campestri, le epigrafi citano aedes, come in un’iscrizione da Gallarate<br />

de<strong>di</strong>cata [d]iis dea[bus] 17 ; in un’altra da Vimercate, mutila anche del nome della<br />

7 CIL, V, 6358: Ti(berius) Caesar Aug(usti) f(ilius) / Augustus, / Drusus Caesar Aug(usti) f(ilius) /<br />

portam f(aciendam) c(uraverunt). La datazione è quin<strong>di</strong> fra 14 e 23. Cfr. HARARI, TOZZI 1987, p. 10;<br />

HORSTER 2001, pp. 340-341.<br />

8 SVET. Aug. 29,4. Augusto si presenta come il primo <strong>degli</strong> evergeti su scala imperiale: NOÈ 1987, p.<br />

31.<br />

9 Appunto a Laus Pompeia CIL, V, 6359 è una de<strong>di</strong>ca onoraria a Vipsania Agrippina, madre <strong>di</strong> Druso.<br />

10 SARTORI 1990, p. 240; BUONOPANE 2003, pp. 343-354.<br />

11 BANZI 1999.<br />

12 Esclu<strong>di</strong>amo la de<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> semplici are e <strong>di</strong> oggetti, pur costosi, come ad esempio i dracon(es) aur(eos)<br />

offerti a Torino (CIL, V, 6965) e a Milano (ILS, 3192). Anche nell’intera Cisalpina la maggioranza<br />

delle evergesie è <strong>di</strong> tipo religioso: LUSSANA 1950, p. 116, le valuta a circa 60.<br />

13 GIORCELLI BERSANI 2002, pp. 297-300, n. 1; GIORCELLI BERSANI 2003, pp. 201-216, data verso<br />

l’inizio I sec. a.C., mentre GOFFIN 2002, pp. 511-512, propone la seconda metà del secolo.<br />

14 CIL, V, 5558; GOFFIN 2002, pp. 115, 130, 490-491.<br />

15 Ercole era <strong>di</strong>vinità tutelare dei viandanti e <strong>degli</strong> allevatori <strong>di</strong> bestiame, interpretatio romana <strong>di</strong> un <strong>di</strong>o<br />

in<strong>di</strong>geno: cfr. MASTROCINQUE 1991, pp. 217-221. A proposito <strong>di</strong> LUC. Herc. 1-6, che identifica Ercole<br />

col <strong>di</strong>o celtico Ogmio, vecchio saggio ed eloquente: MOITRIEUX 2002, pp. 178-181.<br />

16 Sulla notevole frequenza <strong>di</strong> are votive nei vici o ai crocicchi <strong>di</strong> strade campestri: SARTORI 1992, pp.<br />

77-90; ID. 2003, p. 60. In Cisalpina le iscrizioni sacre sono più frequenti che nel resto dell’Italia come<br />

espressione <strong>di</strong> una religiosità più sentita, <strong>di</strong> un perdurare della devozione in<strong>di</strong>gena, pur sotto forme<br />

romane: PASSERINI 1953, pp. 203, 205.<br />

17 CIL, V, 5560; GOFFIN 2002, p. 491.


ISCRIZIONI SU OPERE PUBBLICHE IN TRANSPADANA 243<br />

<strong>di</strong>vinità, il de<strong>di</strong>cante offre aedem et / signum 18 . Logicamente si sarà trattato <strong>di</strong> un<br />

piccolo e<strong>di</strong>ficio, completato con la statua del <strong>di</strong>o. Parimenti nel Torinese un devoto<br />

de<strong>di</strong>ca ae<strong>di</strong>culam, sign[um] 19 . Presso Gera Lario è stato rinvenuto il frontoncino <strong>di</strong><br />

un tempietto con la de<strong>di</strong>ca I(ovi) O(ptimo) M(aximo) da parte <strong>di</strong> una piccola<br />

comunità locale, gli Aneuniates 20 . A Caponago (Milano) C. Atilio Tertullino donò<br />

aram cum ae<strong>di</strong>cula: il testo, mutilo all’inizio, ha conservato la de<strong>di</strong>ca [- - - - - -] et<br />

<strong>di</strong>s cum Iove e la prosopografia del personaggio, che offre il dono votivo insieme<br />

con la moglie e ricorda le sue cariche <strong>di</strong> pontefice e nel collegium fabrum et<br />

centonariorum <strong>di</strong> Me<strong>di</strong>olanum 21 . Rispetto agli innumerevoli ex voto in cui il<br />

de<strong>di</strong>cante si limita alla pura onomastica, quando all’altare si aggiunge una<br />

costruzione 22 , più facilmente troviamo una qualificazione sociale, del resto adatta a<br />

un maggiore esborso. Così ad Arcisate, nell’ager Comensis, un soldato della XIII<br />

legione Gemina offrì a Mercurio aram et tectum: egli era beneficiarius del legato<br />

consolare 23 , cioè in una con<strong>di</strong>zione variamente privilegiata 24 . Ad Angera M.<br />

Qurt(ius), appartenente a una delle famiglie più in vista del centro 25 , costruì<br />

un’aedem a Iside 26 . A Bonate, nel territorio <strong>di</strong> Bergomum, M. Vettienus Marcellus<br />

de<strong>di</strong>cò a [S]il[vano] [s]ignum [e]t aedem 27 : il gentilizio centro-italico 28 può<br />

suggerire una precedente migrazione per il proprietario del saltus.<br />

La frammentarietà dell’iscrizione ha cancellato anche il nome <strong>di</strong> chi donò<br />

un’aedem a Diana 29 a Milano, mentre <strong>nella</strong> stessa città alla stessa dea con<br />

l’appellativo <strong>di</strong> Nemorense 30 viene posta una statua in un tempio, <strong>di</strong> cui vengono<br />

costruiti i portici da parte <strong>di</strong> un senatore 31 . In un centro importante come<br />

Me<strong>di</strong>olanum è ben rappresentato il ceto più alto: il proconsole d’Africa, forse<br />

18<br />

CIL, V, 5728; GOFFIN 2002, p. 500. Anche nelle valli novaresi sono testimoniate aedes: una è<br />

consacrata a Giove, mentre uno speleum è intitolato a Tincus e Moccus, culti locali conservati nelle<br />

zone montane: MENNELLA 1992, pp. 26-31; ID. 1998, p. 173.<br />

19<br />

CIL, V, 6966; GOFFIN 2002, p. 470.<br />

20<br />

REALI 1989, p. 221; SARTORI 1994a, p. 69.<br />

21<br />

CIL, V, 5738. L’iscrizione è databile all’inizio I sec.: GOFFIN 2002, pp. 500-501.<br />

22<br />

SARTORI s.d., pp. 423-434 (in particolare p. 426, nt. 12).<br />

23<br />

CIL, V, 5451 = ILS, 2402; GOFFIN 2002, p. 489. ‘E probabile la datazione al I sec.: SCUDERI c.s.<br />

24<br />

Il beneficium consisteva prima <strong>di</strong> tutto nell’esenzione dalle “corvées” militari (FEST. p. 30 Lindsay),<br />

ma poteva comprendere per esempio un congedo o un trasferimento in truppe scelte: NELIS-CLÉMENT<br />

2000, pp. 61-73.<br />

25<br />

Il gentilizio Qurtius è la tipica variante angerese del più comune Curtius. P. Qurtius Victor de<strong>di</strong>cò a<br />

Mercurio un’ara riccamente ornata (CIL, V, 5480) e a Giove l’altare marmoreo scolpito con la scena<br />

del sacrificio (CIL, V, 5472). Cfr. SCUDERI c.s.<br />

26<br />

CIL, V, 5469; BRICAULT 2001, p. 135; ID. 2005, p. 661; GOFFIN 2002, p. 500.<br />

27<br />

CIL, V, 5119. VAVASSORI 1998, pp. 313-314, data fra I e II sec. Cfr. GOFFIN 2002, pp. 477-478.<br />

28<br />

SCHULZE 1904, pp. 101 nt. 4, 105, 430.<br />

29<br />

CIL, V, 5763; GOFFIN 2002, pp. 495-496.<br />

30<br />

In base all’integrazione [Dianam N]emorensem, ROSSI 1971, pp. 153-161, propone l’esistenza a<br />

Milano <strong>di</strong> un santuario de<strong>di</strong>cato a questa ipostasi <strong>di</strong>vina, ma il tempio <strong>di</strong> Diana Nemorense si trovava<br />

soltanto a Nemi ed è più probabile che fosse stata offerta una statua <strong>di</strong> quella dea: AE 1982, 403; AE<br />

1986, 259; SARTORI 1994b, p. 59.<br />

31<br />

LE GLAY 1987, pp. 137-142, propende per l’integrazione onomastica [- Teren]tius P(ubli) f(ilius)<br />

Hisp[o], la più suggestiva, dato che i Terentii Hispones erano tra le principali famiglie dell’Italia<br />

settentrionale: ALFÖLDY 1982, p. 353, n. 2, suggerisce che un antenato, P. Terentius Hispo, potrebbe<br />

essere stato amico e parente <strong>di</strong> Cicerone. Il cursus honorum del nostro senatore non è sicuro, ma<br />

soggetto a integrazioni: GOFFIN 2002, pp. 494-495 (datazione a metà I sec.).


244 RITA SCUDERI<br />

[Arriu]s Mu[cianus] 32 , fece costruire probabilmente un tempio alla Mater Deum 33 .<br />

In onore del <strong>di</strong>o Sole Mitra, il sommo sacerdote, pater patratus 34 , P. Acilio<br />

Pisoniano restaurò a sue spese la cripta che era stata danneggiata da un incen<strong>di</strong>o 35 .<br />

A Comum la committenza templare è quanto mai illustre: il templum dei Solis<br />

è costruito e de<strong>di</strong>cato dal senatore T. Flavio Postumio Tiziano, corrector Italiae,<br />

personaggio il cui cursus honorum consolare è meglio definito in un’epigrafe<br />

onoraria da Roma 36 , dove notiamo le cariche <strong>di</strong> corrector Campaniae, corrector<br />

Italiae Transpadanae, pontifex dei Solis 37 . Quin<strong>di</strong> il governatore della regione,<br />

sacerdote del culto solare instaurato da Aureliano, costituiva l’autorità più adatta per<br />

realizzare un e<strong>di</strong>ficio voluto dagli imperatori, iussu (dominorum nostrorum)<br />

Diocletiani / et Maximiani Aug(ustorum) 38 . L’ufficialità della costruzione è<br />

completata dalla cura d’opera gestita da un altro senatore, Axilius Iunior, curator<br />

C[omensium], il supervisore dell’amministrazione locale 39 . Di quest’ultimo<br />

personaggio è interessante la continuità familiare nel compito <strong>di</strong> curator a Como:<br />

con ogni probabilità era suo padre Axilius [H]onoratus, ricordato in un’epigrafe da<br />

Baggio (Milano) (databile al terzo quarto del III sec.) come cur(ator) r(ei)<br />

p(ublicae) [C]omens(ium) et Berg(omatium) 40 . Dunque, anche se non è stata<br />

rinvenuta traccia archeologica, doveva trattarsi <strong>di</strong> un tempio non piccolo 41 , un<br />

e<strong>di</strong>ficio costruito a spese pubbliche, cui probabilmente contribuirono<br />

l’amministrazione centrale e quella municipale.<br />

32<br />

CIL, V, 5814. Per l’identificazione del personaggio nell’epigrafe molto frammentaria: ALFÖLDY<br />

1982, p. 354, n. 10; ZACCARIA 1990, p. 148. È databile fra I e inizio II sec.: GOFFIN 2002, p. 497.<br />

33<br />

Si tratta della Magna Mater Idaea, il cui culto nel mondo romano aveva una connotazione pubblica<br />

piuttosto che <strong>di</strong> devozione privata (ROLLER 1999, p. 317): è quin<strong>di</strong> logico che un importante senatore si<br />

occupasse del suo tempio. MIRABELLA ROBERTI 1984, p. 48, ipotizza un tempio <strong>di</strong> Cibele lungo<br />

l’attuale via Torino.<br />

34<br />

Il titolo compare anche in un’iscrizione dall’Hispania (San Juan de Isla): ILS, 4209. Cfr. CLAUSS<br />

1992, pp. 66, 76.<br />

35<br />

CIL, V, 5795 = ILS, 4224. SARTORI 1994b, p. 63; ID. 2000, pp. 126-129, interpreta la precisazione<br />

com/parata area a re / publ(ica) Me<strong>di</strong>ol(anensium) come “acquistato il terreno dalla municipalità <strong>di</strong><br />

Milano”, ulteriore evergesia da parte del benemerito sacerdote; invece ZACCARIA 1990, p. 148, nt. 34 e<br />

GOFFIN 2002, p. 496, intendono che l’area fosse stata messa a <strong>di</strong>sposizione dall’amministrazione<br />

municipale. In base alla paleografia e al culto mitraico, la datazione è fra II e III sec. Cfr. anche<br />

MIRABELLA ROBERTI 1984, p. 47.<br />

36<br />

CIL, VI, 1418 = ILS, 2941. Altra epigrafe romana <strong>di</strong> Postumio Tiziano è CIL, VI, 1419 b, dove la<br />

circoscrizione amministrativa è denominata regio: [cor]rector Italiae reg(ionis) Tra[nspadanae]. Cfr.<br />

CECCONI 1994, p. 178.<br />

37<br />

ECK 1999, p. 274, nt. 119, osserva che Postumio Tiziano fu il primo senatore nominato corrector <strong>di</strong><br />

una circoscrizione, in base a una sicura testimonianza epigrafica, databile intorno al 290. JOUFFROY<br />

1986, p. 145, data al 297 questo templum dei Solis. Del resto il de<strong>di</strong>cante fu consul or<strong>di</strong>narius nel 301,<br />

titolo che non compare nell’iscrizione de<strong>di</strong>catoria.<br />

38<br />

AE 1914, 249; AE 1917-1918, 124; AE 1919, 52. LURASCHI 1997, pp. 469-470; GOFFIN 2002, pp.<br />

549-550. SARTORI 1993, pp. 241-242; ID. 1994a, p. 74, osserva che le modeste <strong>di</strong>mensioni della tabella<br />

epigrafica (cm 52 x 82 x 3) in<strong>di</strong>cano che non era l’intestazione principale dell’e<strong>di</strong>ficio, ma una specie<br />

<strong>di</strong> targa commemorativa. SACCHI 1993a, p. 137, nt. 205, ne propone la collocazione sulle pareti del<br />

pronao o all’interno del tempio, come arredo commemorativo dell’iter burocratico seguito dalla<br />

costruzione.<br />

39<br />

Sulle funzioni svolte dai curatores rei publicae: SARTORI 1989, pp. 5-20; ECK 1999, pp. 195-252.<br />

40<br />

CIL, V, 8921; PIR I, 1684; ECK 1999, p. 247.<br />

41<br />

MAGGI 1993, p. 148, pensa che fosse un tempietto.


ISCRIZIONI SU OPERE PUBBLICHE IN TRANSPADANA 245<br />

Ancora a Como due iscrizioni si riferiscono allo stesso templum Aeternitati<br />

Romae et Augustorum 42 : dall’epigrafe meno frammentaria risalta il gruppo familiare<br />

<strong>degli</strong> evergeti. L. Caecilio Secondo, praef(ectus) / [fabrum] a co(n)sule),<br />

(quattuor)vir i(ure) d(icundo), pontifex, a nome <strong>di</strong> sua figlia Cecilia 43 , iniziò la<br />

costruzione, coi portici e gli allestimenti connessi; poi suo figlio Cecilio Secondo<br />

de<strong>di</strong>cò l’e<strong>di</strong>ficio. L’iniziatore è identificabile col padre <strong>di</strong> Plinio il Giovane 44 , il<br />

quale, dopo aver partecipato allo stato maggiore militare come praefectus fabrum 45 ,<br />

rivestì le più elevate cariche pubbliche municipali. Il tempio fu iniziato nei primi<br />

anni del regno <strong>di</strong> Vespasiano, poiché il promotore morì probabilmente nel 72 46 , e fu<br />

de<strong>di</strong>cato fra il 77 e 79, perché Plinio il Giovane assunse la toga virile nel 77-78 e<br />

nell’epigrafe de<strong>di</strong>catoria la sua onomastica non presenta ancora l’adozione da parte<br />

dello zio materno, che con ogni probabilità avvenne per testamento 47 . Egli non solo<br />

completò questo munifico atto <strong>di</strong> lealismo paterno verso il culto imperiale, ma anche<br />

ne seguì l’esempio in età traianea, costruendo a Tifernum Tiberinum (nell’alta valle<br />

del Tevere) un templum per collocarvi le statue degl’imperatori 48 .<br />

Le gran<strong>di</strong>ose evergesie <strong>di</strong> Plinio il Giovane a Como s’inserivano in una<br />

tra<strong>di</strong>zione familiare 49 , anche considerando la categoria <strong>di</strong> opere pubbliche più<br />

<strong>di</strong>ffusa dopo la sacra, cioè quella termale. Già un suo antenato, L. Cecilio Cilone,<br />

quattuorviro e<strong>di</strong>le, lasciò un cospicuo legato testamentario, dai cui proventi i<br />

Comensi avessero durante le feste <strong>di</strong> Nettuno 50 la <strong>di</strong>stribuzione gratuita <strong>di</strong> unguenti<br />

nel campo sportivo e in tutte le terme e i bagni 51 . L’iscrizione <strong>di</strong> Plinio il Giovane<br />

riferisce la donazione testamentaria per l’e<strong>di</strong>ficio termale, cui venivano aggiunti<br />

300.000 sesterzi per gli ornamenti e 200.000 per la manutenzione 52 . Oltre le<br />

munificenze per il sostentamento dei liberti pliniani, del popolo comense e dei pueri<br />

alimentarii 53 , l’epigrafe ricorda la costruzione <strong>di</strong> una biblioteca e 100.000 sesterzi<br />

42<br />

SI, 745; 746; AE 1983, 443.<br />

43<br />

L. Cecilio Secondo intendeva onorare la memoria della figlia: SARTORI 1993, p. 254; LURASCHI<br />

1997, p. 470.<br />

44<br />

PIR II, 80; ALFÖLDY 1983, p. 363 = ALFÖLDY 1999, p. 212.<br />

45<br />

L. Cecilio Secondo era stato nominato praefectus fabrum da un governatore provinciale <strong>di</strong> rango<br />

consolare. SARTORI 1994a, p. 35, vede Cecilio Secondo comandante delle truppe d’appoggio <strong>di</strong> una<br />

legione.<br />

46<br />

TRISOGLIO 1973, p. 9.<br />

47<br />

Plinio il Vecchio morì durante l’eruzione del Vesuvio nell’agosto 79 (PLIN. epist. 6,16); in<br />

precedenza tutore dell’epistolografo era stato Virginio Rufo (epist. 2,1,8). Cfr. GOFFIN 2002, pp. 478-<br />

480. Erroneamente FAYER 1976, p. 253 data questo tempio all’inizio del II sec.<br />

48<br />

PLIN. epist. 4,1,5-6; 10,8,1-4.<br />

49<br />

Per esempio il prosuocero Calpurnio Fabato donò un bellissimo portico e la decorazione delle porte<br />

della città: PLIN. epist. 5,11, con un elogio della liberalitas che non ha mai fine. La munificenza dei<br />

genitori è ricordata da PLIN. epist. 1,8,5.<br />

50<br />

Como traeva prosperità dalla posizione lacustre e a Nettuno, oltre che un ex voto (CIL, V, 5258),<br />

sono de<strong>di</strong>cati elementi architettonici ornamentali: SACCHI 1993b, pp. 98-101.<br />

51<br />

CIL, V, 5279; SARTORI 1994a, pp. 34-35; TOMASI 2005-2006, pp. 48-54. Cecilio Cilone era il nonno<br />

o il prozio <strong>di</strong> Plinio il Giovane: LURASCHI 1997, p. 479, nt. 101. Siamo quin<strong>di</strong> <strong>nella</strong> prima metà del I<br />

sec.: SARTORI 1995, p. 573.<br />

52<br />

CIL, V, 5262 = ILS, 2927; ALFÖLDY 1999, pp. 221-244; ECK 2001, pp. 225-235; TOMASI 2005-2006,<br />

pp. 55-73. L’iscrizione, che era in sei frammenti, si è ormai ridotta a uno solo, conservato in S.<br />

Ambrogio <strong>di</strong> Milano: SARTORI 1984, p. 64.<br />

53<br />

Plinio era generoso nel manomettere gli schiavi, che avrebbero aumentato il numero dei citta<strong>di</strong>ni:<br />

epist. 7,32,1; 8,16,1. I cento liberti, cui allude l’epigrafe, logicamente appartenevano alla familia


246 RITA SCUDERI<br />

per la sua manutenzione 54 . Il testo epigrafico quin<strong>di</strong>, presentando un quadro generale<br />

delle benemerenze pliniane 55 , si data fra 110 e 114, negli ultimi anni o ad<strong>di</strong>rittura<br />

dopo la morte <strong>di</strong> Plinio 56 .<br />

A Bergamo L. Cluvieno Cilone, non altrimenti noto, offrì le terme e la<br />

canalizzazione delle acque necessarie al funzionamento 57 : l’elegante essenzialità<br />

paleografica e la contestualizzazione archeologica portano alla seconda metà del I<br />

sec. 58 . La casualità dei ritrovamenti fa sì che in una città importante come<br />

Me<strong>di</strong>olanum sia rimasta solo una testimonianza epigrafica molto frammentaria, in<br />

cui è ricostruibile la parola ther[m](as), accompagnata da frammenti del cursus <strong>di</strong><br />

un personaggio durante l’impero <strong>di</strong> Commodo 59 : i due pezzi marmorei sono stati<br />

rinvenuti nelle fondazioni del frigidarium delle successive terme Erculee <strong>di</strong><br />

Massimiano 60 .<br />

A Novaria due donne si rendono benemerite 61 per due e<strong>di</strong>fici termali.<br />

L’epigrafe più antica, forse <strong>di</strong> I sec., ricorda Terenzia Postumina, la quale, anche a<br />

nome del marito e del figlio, fece costruire un balineum sul suo terreno privato e ne<br />

donò l’uso gratuito per sempre 62 . L’altra iscrizione è posta da Valerio Pansa, che<br />

restaurò l’impianto termale, ampliandone l’area e le strutture, impiegando nell’opera<br />

i 200.000 sesterzi lasciati per testamento a favore della municipalità da sua moglie<br />

pliniana <strong>di</strong> Como. Cfr. LO CASCIO 2003, pp. 298-299. La cifra notevole <strong>di</strong> 1.866.666 sesterzi, legata per<br />

il mantenimento <strong>di</strong> questi liberti, costituiva una fondazione, fonte <strong>di</strong> un red<strong>di</strong>to (cfr. ANDREAU 1977, p.<br />

160), che dopo la morte dei beneficiari sarebbe stato destinato a pubblici banchetti: LURASCHI 1997, p.<br />

478. Plinio da vivo <strong>di</strong>ede 500.000 sesterzi per gli alimenta <strong>di</strong> ragazzi e ragazze: epist. 7,18,2; cfr.<br />

1,8,10.<br />

54 PLIN. epist. 1,8,2 cita il <strong>di</strong>scorso che tenne ai suoi concitta<strong>di</strong>ni quando consegnò loro ufficialmente la<br />

biblioteca. Questa fu donata probabilmente fra 96 e 108: DUNCAN JONES 1974, p. 174. MONTALCINI DE<br />

ANGELIS D’OSSAT 1993, p. 73, ipotizza che l’ampio complesso termale <strong>di</strong> fine II sec., i cui resti sono<br />

visibili in viale Lecco, rappresenti la redazione posteriore dell’impianto pliniano, che comprendeva<br />

anche una biblioteca. Per il mantenimento <strong>di</strong> questa, Plinio creò una fondazione.<br />

55 Nell’Epistolario appare una serie <strong>di</strong> evergesie <strong>di</strong> Plinio verso i Comensi, dalle donazioni fatte ai<br />

singoli (1,19,2; 2,4,2; 6,25,3; 6,32,2) al generoso accorgimento messo in atto perché il capitale<br />

destinato agli alimenta fosse sottratto a qualsiasi incertezza (7,18). Per le altre liberalità: LURASCHI<br />

1997, pp. 478-479.<br />

56 Dal 113 s’interrompe la corrispondenza con Traiano e poi non si hanno più notizie <strong>di</strong> Plinio. Cfr.<br />

GOFFIN 2002, pp. 487-489.<br />

57 CIL, V, 5136 (balneum et aquas de<strong>di</strong>t); POGGIANI KELLER 1986, pp. 107-109; VAVASSORI 1998, p.<br />

320.<br />

58 GOFFIN 2002, p. 473, lascia aperta la datazione fra I e II sec. Per i riferimenti archeologici: TOMASI<br />

2005-2006, pp. 29-47.<br />

59 AE 1974, 347. Mentre è riconoscibile con certezza curat(ori) / [r(ei) p(ublicae) dato ab imper]atore<br />

/ [Caes(are) M(arco) Aurel(io) Comm]odo Ant/[onino Pio Felici Aug(usto)], la prima carica rivestita<br />

dall’anonimo funzionario è stata interpretata come [(sex)vir(o) iu]nior(i) (SARTORI 1994b, p. 45; cfr.<br />

CAVAGNOLA 1974-1975, pp. 86-87; GOFFIN 2002, p. 585) o, meglio, [patron(o) colleg]ior(um) /<br />

[fabr(um) et cent(onariorum)] (ABRAMENKO 1992, pp. 151-155), dato che i curatores appartenevano a<br />

un livello sociale più alto dei seviri.<br />

60 CAVAGNOLA 1974-1975, p. 86.<br />

61 Nella maggioranza dei casi le donne con<strong>di</strong>videvano coi familiari l’evergesia, che comunque<br />

costituiva per loro un’importante affermazione sociale, poiché la munificenza era basilare virtù civica<br />

(FORBIS 1996, pp. 29-43).<br />

62 CIL, V, 6522; SCUDERI 1987, p. 27; GOFFIN 2002, pp. 504-506. MENNELLA 1999, p. 182, data entro<br />

la prima metà del II sec. La lavatio gratuita in perpetuum è la tipica formula <strong>di</strong> un’ulteriore evergesia:<br />

CENERINI 1987-1988, pp. 199-220.


ISCRIZIONI SU OPERE PUBBLICHE IN TRANSPADANA 247<br />

Albucia Can<strong>di</strong>da 63 . Questa coppia è nota anche da un altro testo, che completa il<br />

cursus del Novarese più illustre nelle testimonianze epigrafiche e della matrona<br />

ricorda la carica <strong>di</strong> flaminica a Novaria e a Ticinum 64 . Il flaminato <strong>di</strong> Adriano per<br />

Valerio Pansa e <strong>di</strong> Sabina per Albucia Can<strong>di</strong>da fornisce un terminus post quem, che<br />

permette <strong>di</strong> datare verso la metà del II sec. Anche se le due epigrafi termali sono<br />

state rinvenute <strong>nella</strong> stessa chiesa <strong>di</strong> S. Gaudenzio, è ben <strong>di</strong>fficile che la seconda si<br />

riferisca al restauro del balineum citato <strong>nella</strong> prima, sia per la <strong>di</strong>ffusione delle<br />

strutture termali, sia perché il reimpiego dei materiali lapidei avveniva secondo<br />

necessità 65 .<br />

Ancora una matrona, a Forum Vibii Caburrum, offrì ai suoi concitta<strong>di</strong>ni un<br />

impianto termale e una piscina 66 : il fatto che fosse flaminica <strong>di</strong> Drusilla, morta e<br />

<strong>di</strong>vinizzata nel 38, porta a una datazione appena successiva.<br />

Anche nei vici la frequentazione delle terme era parte integrante della vita<br />

associata: da Bregano (Varese) proviene la de<strong>di</strong>ca a ricchi e munifici liberti (un<br />

uomo e una donna), che ai vicani Statuini offrirono un e<strong>di</strong>ficio termale e<br />

[lavationem] gratuitam in perpetuum 67 . La paleografia in<strong>di</strong>rizza verso I-II sec.;<br />

probabilmente ancora <strong>di</strong> I sec. è l’iscrizione proveniente dal vicino centro <strong>di</strong><br />

Brebbia, dove un seviro e una sua parente donarono vican(is) e[t] habitantib(us) /<br />

lavationem 68 . Nel testo, che qui s’interrompe, doveva leggersi [gratuitam]: spesso,<br />

quando è aggiunta la munificenza dell’ingresso gratis, ci si compiace <strong>di</strong> elencare i<br />

beneficiari, che in questo caso, oltre ai residenti con pieni <strong>di</strong>ritti civici, sono coloro<br />

che hanno semplice domicilio 69 . A Vercelli un frammento epigrafico enumera<br />

munic[ipibus, incolis, / hospitibus, a]dventorib[us] 70 : ai citta<strong>di</strong>ni del municipio, agli<br />

abitanti, agli stranieri e ai viaggiatori è offerto per sempre l’ingresso gratuito alle<br />

terme.<br />

63<br />

CIL, V, 6513; MENNELLA 1999, pp. 175-176; GOFFIN 2002, pp. 503-504.<br />

64<br />

CIL, V, 6514; MENNELLA 1999, p. 176: Valerio Pansa è citato come eques Romanus e patrono <strong>di</strong><br />

Novara; Albucia Can<strong>di</strong>da è flaminica della <strong>di</strong>va Iulia a Novaria e della <strong>di</strong>va Sabina a Ticinum (nel cui<br />

territorio il paese <strong>di</strong> Albuzzano trae nome evidentemente dal pre<strong>di</strong>ale). In CIL, V, 6513 la carriera<br />

militare <strong>di</strong> Pansa approda all’importante procuratela della provincia imperiale <strong>di</strong> Britannia. Cfr.<br />

SCUDERI 1987, pp. 27-28.<br />

65<br />

MOTTA 1987, pp. 188-190. Per i riferimenti archeologici anche sull’acquedotto novarese: TOMASI<br />

2005-2006, pp. 125-148.<br />

66<br />

CIL, V, 7345; CRESCI MARRONE, FILIPPI 1998, p. 383. Per una ricostruzione grafica del testo, mutilo<br />

della parte sinistra: TOMASI 2005-2006, p. 159.<br />

67<br />

CIL, V, 5496; BALDACCI 1983, pp. 146-147. Questi evergeti sono liberti <strong>degli</strong> Hispones, una delle<br />

principali famiglie dell’Italia settentrionale (cfr. nt. 31), che probabilmente aveva in zona ampie<br />

proprietà terriere: SCUDERI c.s.<br />

68<br />

CIL, V, 5504; GOFFIN 2002, pp. 489-490; cfr. FAGAN 1999, p. 249. Il seviro Cn. Terenzio Primo,<br />

figlio <strong>di</strong> Gneo, è evidentemente ingenuus: poiché la pietra è perduta, questo <strong>di</strong>venta l’in<strong>di</strong>zio per la<br />

datazione, dato che si riscontra una maggior frequenza d’ingenuitas quando il sevirato era <strong>di</strong> fresca<br />

istituzione (per i dati quantitativi su una città dalla documentazione epigrafica abbondante: MOLLO<br />

1997, pp. 267-367; EAD. 2000, pp. 197-263).<br />

69<br />

Questi habitantes erano detti anche incolae o inquilini vici. Dal punto <strong>di</strong> vista giuri<strong>di</strong>co cfr.<br />

LICANDRO 2004, pp. 180-201; GAGLIARDI 2006, pp. 647-672.<br />

70<br />

CIL, V, 6668; GOFFIN 2002, p. 510. Quando è donato anche il capitale per il futuro funzionamento<br />

delle terme, spesso vengono enumerate le varie categorie che ne traggono vantaggio: per esempio<br />

un’iscrizione da Suasa (CIL, XI, 6167) cita, oltre gli abitanti del centro, gli incolae del territorio, gli<br />

stranieri, i viaggiatori con le loro mogli e gli schiavi <strong>di</strong> entrambi i sessi.


248 RITA SCUDERI<br />

I ponderaria, e<strong>di</strong>fici dov’erano conservati i campioni <strong>di</strong> misura, sono pure<br />

oggetto d’interventi evergetici: a Epore<strong>di</strong>a è da parte <strong>di</strong> T. Sestio Secondo, che non<br />

era originario <strong>di</strong> quella città, pur rivestendovi pubbliche funzioni 71 ; ad Augusta<br />

Praetoria è perduto il nome del donatore, mentre è rimasto quello dell’incaricato a<br />

sovrintendere l’opera (curante) 72 . Una fontana che arricchiva l’arredo urbano venne<br />

fatta costruire a Como da un quattuorviro, a nome <strong>di</strong> qualcuno che la frammentarietà<br />

dell’iscrizione ha sottratto 73 . A Novara un’epigrafe frammentaria ricorda la<br />

costruzione della sede sociale (schola) per gli Augustali, grazie a una somma<br />

lasciata in ere<strong>di</strong>tà: il generoso erede non solo impiegò gl’interessi del legato<br />

testamentario, ma anche aggiunse un contributo <strong>di</strong> tasca propria 74 . A Laumellum un<br />

testo piuttosto problematico conservato dalla tra<strong>di</strong>zione letteraria si riferisce<br />

probabilmente ancora al luogo d’incontro <strong>di</strong> un sodalizio, che viene recintato e<br />

fornito <strong>di</strong> un pozzo 75 per evergesia <strong>di</strong> madre e figlio; poi interviene un liberto,<br />

seviro, che fa costruire un arco e si preoccupa <strong>di</strong> far restaurare i nomi dei patroni 76 ,<br />

danneggiati dal tempo.<br />

Lascia pure perplessi l’epigrafe <strong>di</strong> un ragguardevole personaggio 77 , che ad<br />

Augusta Taurinorum compì un’opera in praesi<strong>di</strong>um [c]oloniae [- - -] / solo<br />

pri[va]to, pecu[nia sua]: il ritrovamento <strong>nella</strong> cinta muraria induce a pensare che si<br />

trattasse <strong>di</strong> un settore delle mura, mentre il terreno privato si potrebbe spiegare col<br />

fatto che Fa<strong>di</strong>enus avesse proprietà confinanti con la parte del muro urbano da<br />

consolidare 78 . La pur mutila iscrizione da Bergomum informa che marito e moglie<br />

collaborarono alla fortificazione monumentale della città: P. Crispo offrì due porte,<br />

col muro fra <strong>di</strong> esse, e Sedata contribuì, in<strong>di</strong>cando una cifra (ora perduta) per gli<br />

ornamenti delle porte stesse 79 .<br />

71 CIL, V, 6771. L’iscrizione, spezzata in se<strong>di</strong>ci frammenti e mutila della parte destra, cita la tribù<br />

Vol(tinia), non la Pol(lia) <strong>di</strong> Ivrea; la seconda riga, Epore<strong>di</strong>ae et omnibus hono[ribus - - -], induce a<br />

ipotizzare che il personaggio avesse rivestito cariche a Ivrea e <strong>nella</strong> sua patria d’origine. La bella<br />

paleografia porta a datare fra I e II sec. Cfr. RODA 1985, pp. 168-169; GOFFIN 2002, pp. 491-492.<br />

72 CIL, V, 6839; InscrIt, X, 1, 12; GOFFIN 2002, p. 467. CAVALLARO, WALSER 1988, pp. 180-181,<br />

preferiscono intendere l’iscrizione come un lascito testamentario, interpretando pondere “una somma”.<br />

La rilettura <strong>di</strong> GASPERINI 1991, p. 720, integrando [- - - exa?]gium (= peso) <strong>nella</strong> prima riga<br />

conservata, riporta all’ambito ponderale. La paleografia orienta verso la fine II sec.<br />

73 SI, 747; SARTORI 1994a, p. 35; GOFFIN 2002, p. 480. La bella paleografia orienta verso fine I sec.<br />

74 CIL, V, 6525. MENNELLA 1999, pp. 182-183, data entro la prima metà II sec. per paleografia e<br />

contesto. Mancano le prime due righe <strong>di</strong> testo in GOFFIN 2002, p. 506.<br />

75 CIL, V, 6473. BOFFO 1992, pp. 247-248, <strong>di</strong>scute l’ipotesi d’interpretare Boutibus come un toponimo,<br />

suggerendo che un sodalizio potesse avere quel nome.<br />

76 GOFFIN 2002, p. 493, in base alla formula ex voto suscepto, ipotizza che si trattasse <strong>di</strong> un ambito<br />

sacrale.<br />

77 CIL, V, 7002: P. Fa<strong>di</strong>enu[s] rivestì questura e flaminato <strong>nella</strong> sua città; apparteneva all’or<strong>di</strong>ne<br />

equestre, essendo stato prefetto d’ala.<br />

78 RODA 1997, p. 207. L’iscrizione è databile al I sec.: GOFFIN 2002, p. 471. Sulle mura dal punto <strong>di</strong><br />

vista archeologico: TORELLI 1998, p. 40.<br />

79 CIL, V, 8893; VAVASSORI 1998, pp. 340-341. Si tratta con ogni probabilità della porta orientale<br />

verso Brixia e <strong>di</strong> quella meri<strong>di</strong>onale per Me<strong>di</strong>olanum: BERNI BRIZIO 1967-1968, p. 63. Lo sviluppo<br />

e<strong>di</strong>lizio citta<strong>di</strong>no, che portò alla sistemazione delle mura, tra I e II sec., si data coerentemente con la<br />

paleografia dell’iscrizione:VAVASSORI 1986, p. 88; GOFFIN 2002, p. 474.


ISCRIZIONI SU OPERE PUBBLICHE IN TRANSPADANA 249<br />

Proprio nelle rovine del teatro <strong>di</strong> Ivrea è stato trovato il frammento <strong>di</strong> epistilio<br />

con l’iscrizione [pa]tronus [coloniae?] sua [pe]c[unia] 80 : la paleografia e<br />

l’ornamentazione architettonica portano coerentemente all’età adrianea 81 . Mentre <strong>di</strong><br />

questo importante evergete ci è rimasto solo il non significativo patronimico C(ai)<br />

f(ilius), invece il testo, pur frammentario, rinvenuto nelle a<strong>di</strong>acenze del teatro <strong>di</strong><br />

Torino 82 , permette <strong>di</strong> riconoscere C. Giulio Donno e suo figlio Giulio Cozio. È<br />

integrabile la titolatura <strong>di</strong> Donno II, praef(ectus) <strong>di</strong> tutte le popolazioni governate da<br />

suo padre Cozio 83 , mentre l’oggetto dell’evergesia in base alla più probabile<br />

integrazione è [port]icum cum [suis ornamentis et do]mus. Quin<strong>di</strong> il fatto che i<br />

donatori <strong>di</strong> un elegante portico e <strong>degli</strong> alloggi per gli attori fossero i governanti del<br />

<strong>di</strong>stretto alpino cozio permette <strong>di</strong> datare in un periodo compreso fra 13 e 44 84 .<br />

Nell’anfiteatro <strong>di</strong> Ticinum stava un’iscrizione databile fra settembre 528 e agosto<br />

529 per il riferimento al terzo anno <strong>di</strong> regno del re goto Atalarico, che vanta <strong>di</strong> aver<br />

or<strong>di</strong>nato has / se<strong>di</strong>s spectaculi 85 . Il testo, inserito <strong>nella</strong> tabula ansata <strong>di</strong> un sarcofago<br />

<strong>di</strong> II sec. reimpiegato 86 , millanta una costruzione che in realtà poteva essere solo il<br />

restauro delle gra<strong>di</strong>nate dell’e<strong>di</strong>ficio romano 87 .<br />

Ancora a Pavia un monumento <strong>di</strong> spicco era l’arco onorario della porta<br />

orientale, su cui stavano <strong>di</strong>eci statue, con le relative epigrafi, della famiglia<br />

imperiale augustea nel 7-8 d.C. 88 . A Como l’imponenza dell’iscrizione suggerisce<br />

l’ipotesi che si trovasse su un arco de<strong>di</strong>cato a Caracalla per decreto dei decurioni: la<br />

data al 197 si deduce dalla titolatura del padre Settimio Severo 89 . L’iscrizione<br />

80 InscrIt, XI, 2, 9.<br />

81 MERCANDO 1990, p. 453, considera l’incremento e<strong>di</strong>lizio <strong>di</strong> Epore<strong>di</strong>a dall’età flavia ai primi decenni<br />

del II sec. Cfr. GOFFIN 2002, pp. 492-493. Sui rilievi decorativi del teatro <strong>di</strong> Ivrea: PAPOTTI 1998, pp.<br />

106-107.<br />

82 D’ANDRADE 1899, pp. 209-212; TARAMELLI 1899, pp. 213-216.<br />

83 LETTA 1976, pp. 37-76; ID. 1994, pp. 115-127, legge il praenomen del figlio M(arcus); invece<br />

MENNELLA 1978, pp. 96-100, preferisce leggere C(aius), conforme all’abitu<strong>di</strong>ne romana d’imporre al<br />

primogenito lo stesso praenomen paterno.<br />

84 Cfr. GOFFIN 2002, pp. 468-470; LETTA 2005, p. 87; ID. 2006, p. 119. Questo primo teatro <strong>di</strong> Torino,<br />

dell’inizio I sec., subì poi una ristrutturazione tra la metà del II e il III sec.: PAPOTTI 1998, pp. 107-111.<br />

Cfr. FINOCCHI 1977, pp. 24-33.<br />

85 CIL, V, 6418. Questa epigrafe faceva parte della raccolta del marchese L. Malaspina, che riferisce<br />

(MALASPINA 1830, pp. 23-24) la prima notizia <strong>di</strong> collocazione <strong>nella</strong> chiesa <strong>di</strong> S. Secon<strong>di</strong>ano, vicino<br />

all’area dove con ogni probabilità sorgeva l’anfiteatro, <strong>nella</strong> zona sud-orientale della città, appena fuori<br />

dalla cinta muraria. Cfr. SALETTI 1983a, p. 133; MAGGI 1987, pp. 52-58; GREGORI 1989, pp. 84-85;<br />

SCUDERI 2000, pp. 616-618.<br />

86 SALETTI 1983b, pp. 148-149 e fig. 4.<br />

87 L’Anonimo Valesiano, in MGH, auct. ant. IX, Chronica Minora, p. 324, 71, riferisce a Teoderico,<br />

predecessore <strong>di</strong> Atalarico, la costruzione <strong>di</strong> palatium, thermas, amphitheatrum et alios muros civitatis,<br />

ma si tratta, con ogni probabilità, <strong>di</strong> restauri.<br />

88 CIL, V, 6416; ILS, 107; BOFFO 1992, pp. 232-233. L’arco doveva essere a tre fornici, poiché<br />

l’Anonimo <strong>di</strong> Einsiedeln copiò <strong>di</strong> seguito (mescolando i personaggi) le linee delle iscrizioni, riunendole<br />

in tre gruppi. La municipalità avrà fatto questo atto d’omaggio alla famiglia augustea, cui si sentiva<br />

legata anche per il soggiorno <strong>di</strong> Augusto e Livia a Ticinum nel 9 a.C.: cfr. GABBA 1984, p. 229; ID.<br />

1990b, pp. 515-517; GOFFIN 2002, pp. 532-533; SCUDERI 2004, p. 256.<br />

89 CIL, V, 5259; GOFFIN 2002, p. 531. Naturalmente la de<strong>di</strong>ca non è col noto soprannome <strong>di</strong> Caracalla,<br />

ma Imp(eratori) Caes(ari) M(arco) Aurelio / Antonino Aug(usto), secondo la formula più <strong>di</strong>ffusa fino<br />

alla morte <strong>di</strong> Settimio Severo: MASTINO 1981, pp. 31-35. SARTORI 1993, p. 237; ID. 1994a, p. 32, nota


250 RITA SCUDERI<br />

gemella è in onore <strong>di</strong> Severo Alessandro, agli inizi del regno, nel 223: il suo nome<br />

subì la damnatio memoriae, ma rimase quello <strong>degli</strong> ascendenti, ossequio al potere<br />

imperiale, che su un’opera pubblica superava le contingenze 90 .<br />

Di altre de<strong>di</strong>che imperiali ancor meno si riesce a ipotizzare l’e<strong>di</strong>ficio su cui si<br />

trovavano: a Ticinum un frammento <strong>di</strong> epistilio è de<strong>di</strong>cato [T]i(berio) Caesari <strong>di</strong>vi<br />

Aug(usti) f(ilio) 91 , mentre a Forum Vibii Caburrum il frammento marmoreo, in cui è<br />

integrabile un’in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> tribunicia potestas, dalla bellezza e altezza delle lettere<br />

suggerisce soltanto un grande monumento <strong>nella</strong> prima metà del I sec. 92 .<br />

Varie iniziative e<strong>di</strong>lizie non sono attribuibili a una tipologia monumentale per<br />

la frammentarietà dell’iscrizione oppure perché agli evergeti il verbo de<strong>di</strong>t bastava a<br />

in<strong>di</strong>care l’offerta <strong>di</strong> un e<strong>di</strong>ficio che tutti vedevano, come a Pavia fecero un seviro 93 e<br />

un illustre magistrato e sacerdote 94 . Altrettanto si può <strong>di</strong>re per il refecerunt <strong>di</strong><br />

un’epigrafe <strong>di</strong> Vercelli 95 e il [pec(unia) s]ua rest[ituit] in un’iscrizione <strong>di</strong> Novara 96 ,<br />

espressioni che in<strong>di</strong>cano restauri per noi non definibili. Parimenti un quattuorviro<br />

vercellese aggiunse, alla somma già elargita da un decurione, 5.000 sesterzi per un<br />

e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> cui non sappiamo nulla 97 . La classica formula delle opere pubbliche,<br />

faciendum curavit, si trova a gran<strong>di</strong> lettere frammentarie su due frustoli epigrafici a<br />

Comum 98 ; a Forum Vibii Caburrum un’iniziativa e<strong>di</strong>lizia è riconoscibile nello<br />

scioglimento della sigla d(ecurionum) d(ecreto) p(ecunia) p(ublica) f(aciundas)<br />

[c(uraverunt)] 99 . Così la frammentaria citazione <strong>di</strong> ornamenti [marmo]ribus et<br />

la premura interessata dei Comensi nel dare a un bambino <strong>di</strong> nove anni il titolo <strong>di</strong> Augusto, che gli<br />

sarebbe stato conferito l’anno dopo.<br />

90 CIL, V, 5260; SARTORI 1993, pp. 238-239; ID. 1994a, p. 32. SARTORI 1984, p. 66 osserva che le due<br />

gran<strong>di</strong> lastre dovevano stare su un congruo monumento, a proposito del quale le congetture sono varie,<br />

a partire dall’unicità o duplicità della costruzione. Cfr. poi GOFFIN 2002, pp. 531-532.<br />

91 CIL, V, 6417. Quel che resta della titolatura non permette una datazione più precisa nell’ambito del<br />

regno <strong>di</strong> Tiberio. Cfr. GOFFIN 2002, pp. 586-587.<br />

92 CRESCI MARRONE, FILIPPI 1998, p. 385, n. 2.<br />

93 AMBAGLIO 1992, p. 274, n. 23 data al I sec. per la paleografia.<br />

94 CIL, V, 6431 = ILS, 6743. Sestilio Fusco rivestì la massima magistratura citta<strong>di</strong>na e una serie <strong>di</strong><br />

cariche sacerdotali, pontefice, augure, salio e sacerdote del <strong>di</strong>vo Clau<strong>di</strong>o, particolare che permette una<br />

datazione al terzo quarto del I sec. L’e<strong>di</strong>ficio offerto doveva essere importante, poiché l’Anonimo <strong>di</strong><br />

Einsiedeln copiò l’epigrafe in foro Papiae. Cfr. GABBA 1984, pp. 234-235; BOFFO 1992, p. 238; GOFFIN<br />

2002, pp. 508-509.<br />

95 CIL, V, 6655. RODA 1985, pp. 18, 20, <strong>di</strong>scute l’ipotesi, esclusivamente in<strong>di</strong>ziaria, che si tratti <strong>di</strong><br />

un’aedes de<strong>di</strong>cata alle Matronae sulla base del ritrovamento nello stesso luogo <strong>di</strong> una tavola votiva<br />

Matronis (CIL, V, 6654) e <strong>di</strong> resti e<strong>di</strong>lizi. Cfr. GOFFIN 2002, pp. 509-510. La paleografia orienta verso<br />

I-II sec.<br />

96 CIL, V, 6510; GOFFIN 2002, pp. 502-503.<br />

97 CIL V 6661. RODA 1985, pp. 27-29, presenta dubbi sullo scopo dell’elargizione, che potrebbe anche<br />

essere per un monumento funerario. La datazione paleografica è fra I e II sec. Cfr. GOFFIN 2002, pp.<br />

510-511.<br />

98 CIL, V, 5396 (ALFÖLDY 1982, p. 351, integrando la prima riga conservata come [quaesto]r,<br />

tr[ibunus plebis], riconosce un anonimo senatore fra I e II sec.); SI, 755. Cfr. GOFFIN 2002, pp. 480-<br />

481.<br />

99 CRESCI MARRONE, FILIPPI 1998, pp. 386-387, n. 4 datano al I sec. per la paleografia e propongono lo<br />

scioglimento f(aciundas) al femminile plurale, considerando la parte rimanente del sostantivo cui si<br />

riferisce [- - -]nes, variamente integrabile come [crepi<strong>di</strong>]nes, [incrustatio]nes, [mansio]nes, ecc.


ISCRIZIONI SU OPERE PUBBLICHE IN TRANSPADANA 251<br />

statuis in un’epigrafe <strong>di</strong> Torino fa pensare a un elegante e<strong>di</strong>ficio pubblico 100 .<br />

Altrettanto si potrebbe <strong>di</strong>re per un frammento <strong>di</strong> architrave da Bergamo, dove si<br />

legge [p]r(aetor) tutel(arius) oper(is) 101 . Non sappiamo a quale costruzione si<br />

riferisse il portico citato insieme con la cifra dell’evergesia in un frammento<br />

epigrafico milanese 102 . Nel territorio <strong>di</strong> Novara il pagus Agaminus ricevette da un<br />

benefattore un terreno, grazie al cui red<strong>di</strong>to si potè costruire hoc opus, non<br />

identificabile 103 .<br />

In questa breve carrellata abbiamo considerato le iscrizioni che dovevano<br />

stare sugli e<strong>di</strong>fici: il <strong>di</strong>scorso si amplierebbe se considerassimo anche le epigrafi da<br />

cui si può dedurre l’esistenza delle costruzioni pubbliche, come l’anfiteatro a<br />

Bergamo in base alla lastra che ricorda lo spettacolo gla<strong>di</strong>atorio autorizzato da<br />

Gor<strong>di</strong>ano III 104 , oppure il tempio <strong>di</strong> Marte a Como in base all’iscrizione funeraria<br />

per l’ae<strong>di</strong>t(uo) m[a]g(istro) Martis 105 . Rimangono poi frammenti e iscrizioni<br />

inseribili dubitativamente <strong>nella</strong> categoria delle opere pubbliche 106 . Infine andrebbero<br />

esaminati anche i soli riferimenti archeologici per avere un’idea, inevitabilmente<br />

incompleta, della vivace attività e<strong>di</strong>lizia pubblica. La scelta <strong>di</strong> limitare in questa sede<br />

il campo d’indagine non impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> notare, rispetto agl’interventi del potere<br />

costituito, una larga maggioranza <strong>di</strong> operazioni evergetiche, a tutti i livelli sociali 107 ,<br />

dall’illustre senatore Plinio il Giovane, che non si stanca <strong>di</strong> abbellire e arricchire <strong>di</strong><br />

servizi la sua città, ai liberti che offrono un e<strong>di</strong>ficio termale al loro vicus. Rendersi<br />

benemeriti verso i concitta<strong>di</strong>ni forniva una giustificazione sociale alla propria<br />

ricchezza, suppliva alle carenze statali e rispondeva alla politica <strong>di</strong> liberalitas<br />

incoraggiata da Augusto in poi 108 . E verso il potere imperiale abbiamo visto espliciti<br />

atti <strong>di</strong> lealismo nell’e<strong>di</strong>lizia pubblica non solo da parte <strong>di</strong> una città particolarmente<br />

100 CIL, V, 6967; GOFFIN 2002, pp. 470-471. Il committente, Domitius Fronto, appartiene a una gens<br />

che ad Augusta Taurinorum si segnala per consistenza patrimoniale: CRESCI MARRONE 1997, p. 149. L.<br />

Domitius offrì ae<strong>di</strong>culam, sign[um]: cfr. nt. 19.<br />

101 DEGRASSI 1946, pp. 1-5. BERNI BRIZIO 1967-1968, p. 64, nt. 11: la magistratura del praetor tutelaris,<br />

istituita da Marco Aurelio, fornisce un terminus post quem.<br />

102 SI, 1297. Probabile la datazione al I sec.: GOFFIN 2002, pp. 497-498.<br />

103 CIL, V, 6587; GOFFIN 2002, p. 506. L’iscrizione è stata rinvenuta a Sizzano, in una zona il cui<br />

popolamento è attestato dai reperti archeologici e dove il centro <strong>di</strong> Ghemme ricorda nel nome<br />

l’Agaminus pagus: SCUDERI 1987, pp. 51-52.<br />

104 CIL, V, 5124; GREGORI 1989, pp. 37-38; VAVASSORI 1998, p. 315; CALDELLI 2004, pp. 138, 151.<br />

L’iscrizione è stata rinvenuta sullo stesso colle S. Giovanni, dove sono ubicati i resti archeologici<br />

dell’e<strong>di</strong>ficio: POGGIANI KELLER 1990, pp. 544-546.<br />

105 CIL, V, 5306; ALFÖLDY 1982b, pp. 193-200 = ALFÖLDY 1999, pp. 245-251; SACCHI 1993, p. 135.<br />

106 Ad esempio ZACCARIA 1990, p. 155, nell’elenco <strong>degli</strong> e<strong>di</strong>fici non identificabili aggiunge CIL, V,<br />

5129 (da Bergamo), dove le tre lettere superstiti sono proprie <strong>di</strong> un’iscrizione monumentale. L’epigrafe<br />

pavese CIL, V, 6428 (cfr. AMBAGLIO 1992, p. 237), che ricorda po<strong>di</strong>um cum lorica et a<strong>di</strong>tus<br />

(basamento con recinzione e ingressi), è classificata anche dalla GOFFIN 2002, pp. 507-508, tra le opere<br />

pubbliche, ma mi sembra molto opportuna l’osservazione <strong>di</strong> GABBA 1984, p. 234, a proposito del finale<br />

vivos fecit, proprio dei monumenti sepolcrali, per cui è più probabile che il quattuorviro de<strong>di</strong>cante si<br />

fosse fatto costruire un gran<strong>di</strong>oso e<strong>di</strong>ficio funerario.<br />

107 Cfr. SEGENNI 2002, pp. 113-118.<br />

108 Cfr. DEMOUGIN 1996, pp. 49-56.


252 RITA SCUDERI<br />

legata alla famiglia augustea come Ticinum 109 , ma anche più tar<strong>di</strong> nei templi e negli<br />

archi onorari <strong>di</strong> Comum 110 .<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

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in Atti CeSDIR, I, Milano-Varese, pp. 51-105.<br />

109 Augusto e Livia soggiornavano a Pavia quando Tiberio dovette recarsi sul Reno per curare il<br />

trasporto della salma <strong>di</strong> suo fratello Druso a Ticinum e poi a Roma: VAL. MAX. 5,5,3; TAC. ann. 3,5,1;<br />

SVET. Tib. 7,6; CASS. DIO 55,2,1.<br />

110 A Me<strong>di</strong>olanum un’epigrafe <strong>di</strong>pinta su una parete <strong>di</strong> un e<strong>di</strong>ficio pubblico celebra forse le imprese <strong>di</strong><br />

Tiberio e Druso: SARTORI 2003b, pp. 187-199.


ISCRIZIONI SU OPERE PUBBLICHE IN TRANSPADANA 253<br />

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CALDELLI 2004 = L. CALDELLI, Le élites locali fanno spettacolo negli e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong><br />

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Contexte, textes, images (II e s. av. J.C. – III e s. ap. J.C.), a cura <strong>di</strong> M.<br />

CÉBEILLAC GERVASONI, L. LAMOINE, F. TRÉMENT, Clermont Ferrand, pp.<br />

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GIORCELLI BERSANI 2002 = S. GIORCELLI BERSANI, Vercellae – Inter Vercellas et<br />

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GIORCELLI BERSANI 2003 = S. GIORCELLI BERSANI, Il cippo bilingue latino-celtico<br />

<strong>di</strong> Vercelli: nuove osservazioni, in Usi e abusi 2003, pp. 201-216.


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GREGORI 1989 = G.L. GREGORI, Epigrafia anfiteatrale dell’Occidente romano. II.<br />

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HARARI, TOZZI 1987 = M. HARARI, P. TOZZI, Laus tra antichità e me<strong>di</strong>oevo,<br />

Piacenza.<br />

HORSTER 2001 = M. HORSTER, Bauinschriften römischer Kaiser. Untersuchungen<br />

zu Inschriftenpraxis und Bautätigkeit in Städten des westlichen Imperium<br />

Romanum in der Zeit des Prinzipats, Stuttgart.<br />

JOUFFROY 1977 = H. JOUFFROY, Le financement des constructions publiques en<br />

Italie: initiative municipale, initiative impériale, évergétisme privé,<br />

«Ktema», 2, pp. 329-337.<br />

JOUFFROY 1986 = H. JOUFFROY, La construction publique en Italie et dans l’Afrique<br />

romaine, Strasbourg.<br />

LE GLAY 1987 = M. LE GLAY, Sur une inscription de Milan, in Mélanges offerts à<br />

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LETTA 1976 = C. LETTA, La <strong>di</strong>nastia dei Cozii e la romanizzazione delle Alpi<br />

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LETTA 1994 = C. LETTA, Postille sulle iscrizioni della <strong>di</strong>nastia Cozia, «Segusium»,<br />

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LETTA 2005 = C. LETTA, Da Segusio ad Augusta Praetoria. La creazione del<br />

municipio segusino e i rapporti con la Valle d’Aosta nelle iscrizioni dei<br />

liberti della <strong>di</strong>nastia cozia, «Stu<strong>di</strong> Trentini <strong>di</strong> Scienze Storiche», 84, pp.<br />

851-866.<br />

LETTA 2006 = C. LETTA, La creación del municipio de Segusio (Alpes Cottiae) y el<br />

problema de los municipia latina en el Occidente romano, «Florentia<br />

Iliberritana», 17, pp. 115-134.<br />

LICANDRO 2004 = O. LICANDRO, Domicilium habere. Persona e territorio <strong>nella</strong><br />

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LO CASCIO 2003 = E. LO CASCIO, L’economia dell’Italia romana <strong>nella</strong><br />

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LURASCHI 1997 = G. LURASCHI, Storia <strong>di</strong> Como antica, Como.<br />

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pp. 116-123.<br />

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256 RITA SCUDERI<br />

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Novum Comum 1993, pp. 143-162.<br />

MALASPINA 1830 = L. MALASPINA, Iscrizioni lapidarie raccolte dal marchese<br />

Malaspina <strong>di</strong> Sannazzaro <strong>nella</strong> <strong>di</strong> lui casa in Pavia ed altre relative<br />

corredate d’illustrazioni, Milano.<br />

MASTINO 1981 = A. MASTINO, Le titolature <strong>di</strong> Caracalla e Geta attraverso le<br />

iscrizioni (In<strong>di</strong>ci), Bologna.<br />

MASTROCINQUE 1991 = A. MASTROCINQUE, Culti <strong>di</strong> origine preromana nell’Italia<br />

settentrionale, in Die Stadt in Oberitalien und in den nordwestlichen<br />

Provinzen des Römischen Reiches, a cura <strong>di</strong> W. ECK, H. GALSTERER,<br />

Mainz am Rhein, pp. 217-225.<br />

MENNELLA 1978 = G. MENNELLA, Ipotesi sull’iscrizione dei re Cozi nel teatro <strong>di</strong><br />

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MENNELLA 1992 = G. MENNELLA, Le iscrizioni rupestri della Valle delle<br />

Meraviglie e della Valle dell’Ossola, in Rupes loquentes (Atti Convegno<br />

internazionale, Roma – Bomarzo 13-15 ottobre 1989), a cura <strong>di</strong> L.<br />

GASPERINI, Roma, pp. 13-31.<br />

MENNELLA 1998 = G. MENNELLA, Itinerari <strong>di</strong> culto nel Piemonte romano, in<br />

Archeologia in Piemonte 1998, pp. 167-179.<br />

MENNELLA 1999 = G. MENNELLA, Schede epigrafiche, in Epigrafi a Novara. Il<br />

Lapidario della Canonica <strong>di</strong> Santa Maria, a cura <strong>di</strong> D. BIANCOLINI, L.<br />

PEJRANI BARICCO, G. SPAGNOLO GARZOLI, Torino, pp. 161-216.<br />

MERCANDO 1990 = L. MERCANDO, Note su alcune città del Piemonte meri<strong>di</strong>onale,<br />

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MONTALCINI DE ANGELIS D’OSSAT 1993 = M. MONTALCINI DE ANGELIS<br />

D’OSSAT, Como: rilettura <strong>di</strong> una città, in Carta archeologica della<br />

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MOTTA 1987 = M. MOTTA, Novara me<strong>di</strong>oevale: problemi <strong>di</strong> topografia urbana tra<br />

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fondazione <strong>di</strong> Como romana), Como.<br />

PAPOTTI 1998 = L. PAPOTTI, Strutture per spettacoli del Piemonte romano, in<br />

Archeologia in Piemonte 1998, pp. 101-118.<br />

PASSERINI 1953 = A. PASSERINI, Il territorio insubre in età romana, in Storia <strong>di</strong><br />

Milano, I, Le origini e l’età romana, Milano, pp. 111-214.<br />

POGGIANI KELLER 1986 = R. POGGIANI KELLER, Le Terme, in Bergamo dalle<br />

origini 1986, pp. 107-109.<br />

POGGIANI KELLER 1990 = R. POGGIANI KELLER, Il caso <strong>di</strong> Bergamo, in Città<br />

nell’Italia 1990, pp. 543-555.<br />

REALI 1989 = M. REALI, Le iscrizioni latine del territorio comense settentrionale,<br />

«RAComo», 171, pp. 207-298.<br />

RODA 1985 = S. RODA, Iscrizioni latine <strong>di</strong> Vercelli, Vercelli.<br />

RODA 1997 = S. RODA, L’aristocrazia urbana, in Storia <strong>di</strong> Torino 1997, pp. 202-<br />

214.<br />

ROLLER 1999 = L.E. ROLLER, In Search of God the Mother. The Cult of Anatolian<br />

Cybele, Berkeley-Los Angeles-London.<br />

ROSSI 1971 = R.F. ROSSI, Un santuario <strong>di</strong> Diana Nemorense ed uno sconosciuto<br />

senatore a Me<strong>di</strong>olanum, «Sibrium», 11, pp. 153-161.<br />

SACCHI 1993a = F. SACCHI, Alcune considerazioni sulla produzione architettonica a<br />

Como in età romana, in Novum Comum 1993, pp. 89-142.<br />

SACCHI 1993b = F. SACCHI, Catalogo <strong>degli</strong> elementi architettonici, in Novum<br />

Comum 1993, pp. 89-131.<br />

SALETTI 1983a = C. SALETTI, L’urbanistica <strong>di</strong> Pavia romana, «Athenaeum» n.s. 61,<br />

pp. 126-147.<br />

SALETTI 1983b = C. SALETTI, Nota sui monumenti funerari <strong>di</strong> Ticinum, «Bollettino<br />

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SARTORI 1984 = A. SARTORI, Epigrafia e città antica, in Archeologia urbana in<br />

Lombar<strong>di</strong>a, Como, pp. 60-66.<br />

SARTORI 1990 = A. SARTORI, Comunicazione e propaganda sui miliari, in Milano<br />

capitale dell’impero romano. 286-402 d.C. (Catalogo della Mostra),<br />

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SARTORI 1992 = A. SARTORI, L’alto Milanese terra <strong>di</strong> culti, «MEFRA», 104, pp.<br />

77-90.<br />

SARTORI 1993 = A. SARTORI, Quadro dell’epigrafia comasca, in Novum Comum<br />

1993, pp. 231-258.<br />

SARTORI 1994a = A. SARTORI, Le iscrizioni romane. Guida all’esposizione, Como.


258 RITA SCUDERI<br />

SARTORI 1994b = A. SARTORI, Guida alla sezione epigrafica delle raccolte<br />

archeologiche <strong>di</strong> Milano, Milano.<br />

SARTORI 1995 = A. SARTORI, … per Neptunalia oleum in campo, in Pro popolo<br />

Ariminese, a cura <strong>di</strong> A. CALBI, G. SUSINI, Faenza, pp. 563-579.<br />

SARTORI 2000 = A. SARTORI, Gente <strong>di</strong> sasso. Parlano gli antichi Milanesi, Milano.<br />

SARTORI 2003a = A. SARTORI, La religione. Le pietre <strong>degli</strong> uomini, le pietre dcgli<br />

dei, in Storia della Lombar<strong>di</strong>a, 1, Dalle origini al Seicento, a cura <strong>di</strong> L.<br />

ANTONIELLI, G. CHITTOLINI, Roma-Bari, pp. 55-68.<br />

SARTORI 2003b = A. SARTORI, Un abuso epigrafico originario: monumentalità su<br />

intonaco in una novità milanese, in Usi e abusi 2003, pp. 187-199.<br />

SARTORI s.d. = A. SARTORI, Epigrafia sacra e appariscenza sociale, in Religio<br />

deorum (Actas del Coloquio internacional de Epigrafia Culto y Sociedad<br />

en Occidente), a cura <strong>di</strong> M. MAYER, J. GOMEZ PALLARÈS, Sabadell<br />

(Barcelona), pp. 423-434.<br />

SARTORI 1989 = M. SARTORI, Osservazioni sul ruolo del curator rei publicae,<br />

«Athenaeum» n.s. 67, pp. 5-20.<br />

SCHULZE 1904 = W. SCHULZE, Zur Geschichte lateinischer Eigennamen,<br />

«Abhandlungen der Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen.<br />

Philologisch-historische Klasse», N.F. 5, 2.<br />

SCUDERI 1987 = R. SCUDERI, Per la storia socio-economica del municipium <strong>di</strong><br />

Novaria dalla romanizzazione al III sec. d.C., «Bollettino Storico<br />

Bibliografico Subalpino», 85, pp. 5-56.<br />

SCUDERI 2000 = R. SCUDERI, La raccolta epigrafica, in Luigi Malaspina <strong>di</strong><br />

Sannazzaro. Cultura e collezionismo in Lombar<strong>di</strong>a tra Sette e Ottocento<br />

(Atti del Convegno), Pavia, pp. 593-637.<br />

SCUDERI 2004 = R. SCUDERI, Supplementorum Supplementa: Ticinum, Laumellum<br />

et vicinia, in SupplIt, 22, Roma, pp. 255-264.<br />

SCUDERI c.s. = R. SCUDERI, Documenti epigrafici, in La Storia <strong>di</strong> Varese, II, in<br />

corso <strong>di</strong> stampa.<br />

SEGENNI 2002 = S. SEGENNI, L’e<strong>di</strong>lizia pubblica e i ceti me<strong>di</strong>. Esempi dalla<br />

Cisalpina, in Ceti me<strong>di</strong> in Cisalpina (Atti del Colloquio internazionale,<br />

Milano 14-16 settembre 2000), a cura <strong>di</strong> A. SARTORI, A. VALVO, Milano,<br />

pp. 113-118.<br />

Storia <strong>di</strong> Torino 1997 = Storia <strong>di</strong> Torino. I. Dalla preistoria al comune me<strong>di</strong>evale,<br />

Torino.<br />

TARAMELLI 1899 = A. TARAMELLI, Note intorno ai frammenti d’iscrizione rinvenuti<br />

negli scavi del giar<strong>di</strong>no Reale, nel marzo e nell’aprile 1899, «NSA», pp.<br />

213-216.


ISCRIZIONI SU OPERE PUBBLICHE IN TRANSPADANA 259<br />

TOMASI 2005-2006 = P. TOMASI, Epigrafia termale in Cisalpina: regiones IX e XI,<br />

tesi <strong>di</strong> laurea specialistica, <strong>Università</strong> <strong>di</strong> Pavia.<br />

TORELLI 1998 = M. TORELLI, Urbanistica e architettura nel Piemonte romano, in<br />

Archeologia in Piemonte 1998, pp. 29-48.<br />

TRISOGLIO 1973 = F. TRISOGLIO, Opere <strong>di</strong> Plinio Cecilio Secondo, Torino.<br />

Usi e abusi 2003 = Usi e abusi epigrafici (Atti del Colloquio internazionale <strong>di</strong><br />

epigrafia latina, Genova 20-22 settembre 2001), a cura <strong>di</strong> M.G. ANGELI<br />

BERTINELLI, A. DONATI, Roma.<br />

VAVASSORI 1986 = M. VAVASSORI, Il tracciato della cinta muraria, in Bergamo<br />

dalle origini 1986, p. 88.<br />

VAVASSORI 1998 = M. VAVASSORI, Bergomum – Ager inter Ollium et Sarium –<br />

Valles Serina et Sassina, in SupplIt, 16, Roma, pp. 279-367.<br />

ZACCARIA 1990 = C. ZACCARIA, Testimonianze epigrafiche relative all’e<strong>di</strong>lizia<br />

pubblica nei centri urbani delle regiones X e XI in età imperiale, in Città<br />

nell’Italia 1990, pp. 129-162.<br />

ZACCARIA 1996 = C. ZACCARIA, La base <strong>di</strong> T. Annius Luscus, «Aquileia Nostra»,<br />

67, cc. 179-184.<br />

ZACCARIA 1998 = C. ZACCARIA, Novità epigrafiche dal foro <strong>di</strong> Aquileia. A<br />

proposito della base <strong>di</strong> T. Annius T. f. tri. vir, in Epigrafia romana in area<br />

adriatica (IX e Rencontre franco-italienne sur l’épigraphie du monde<br />

romain, Macerata 10-11 novembre 1995), Macerata, pp. 130-143.


SULL’ISCRIZIONE CIL, V, 4070: IL MONUMENTO SEPOLCRALE DI<br />

UNA KATATRIX / KALATRIX ALTINATE ALLA CORTE DEI GONZAGA<br />

Margherita Tirelli, Giovan<strong>nella</strong> Cresci Marrone, Aldo Luigi Prosdocimi<br />

La revisione del corpus epigrafico in<br />

lingua latina <strong>di</strong> Altinum, in corso ormai da<br />

alcuni anni 1 , impone <strong>di</strong> sottoporre ad analisi<br />

anche quei titoli che, pur non ascritti da<br />

Theodor Mommsen al municipio lagunare,<br />

sono potenzialmente ad esso ascrivibili vuoi<br />

per ricostruzione <strong>di</strong> vicende collezionistiche,<br />

vuoi per suggerimento <strong>di</strong> in<strong>di</strong>zi onomastici o<br />

tipologici. È questo il caso del testo epigrafico<br />

censito al numero 4070 del quinto volume del<br />

Corpus Inscriptionum Latinarum, all'interno<br />

della sezione de<strong>di</strong>cata ai titoli <strong>di</strong> Mantua. In<br />

assenza <strong>di</strong> dati puntuali inerenti al suo<br />

rinvenimento, il padre dell’epigrafia decise<br />

infatti <strong>di</strong> assegnare il monumento inscritto alla<br />

località in cui era allora conservato: il museo<br />

dell'Accademia Virgiliana <strong>di</strong> Mantova ove egli<br />

lo sottopose ad autopsia 2 . Di recente però, nel<br />

contesto <strong>di</strong> una più ampia <strong>di</strong>samina circa l'arte<br />

funeraria <strong>nella</strong> Venetia, Carla Compostella ha<br />

messo in relazione la singolare tipologia<br />

monumentale del reperto con le officine<br />

lapidarie altinati (fig. 1) 3 , mentre lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

Lorenzo Calvelli de<strong>di</strong>cato alle tappe del suo<br />

iter conservativo sembra asseverarne la prima<br />

attestazione a Venezia 4 : scopo, dunque, del<br />

lavoro è tanto quello <strong>di</strong> verificare<br />

l'atten<strong>di</strong>bilità <strong>di</strong> tale provenienza, quanto<br />

quello <strong>di</strong> migliorare la lettura e la<br />

comprensione del testo.<br />

Fig. 1. Il monumento sepolcrale.<br />

1<br />

BUONOPANE, CRESCI, TIRELLI 1997, pp. 302-303; BUONOPANE, CRESCI, TIRELLI 1998, pp. 173-176.<br />

2<br />

CIL, V, 4070, p. 410.<br />

3<br />

COMPOSTELLA 1996, p. 145, fig. 35 e p. 183.<br />

4<br />

Cfr. CALVELLI in questo volume.


262 MARGHERITA TIRELLI, GIOVANNELLA CRESCI MARRONE, ALDO LUIGI PROSDOCIMI<br />

La “forma peculiaris”<br />

Le peregrinazioni collezionistiche del reperto sembrano originate dalla qualità<br />

del supporto, il quale rispondeva ai requisiti <strong>di</strong> raffinatezza estetica che ispiravano<br />

spesso le scelte antiquarie <strong>di</strong> età rinascimentale, nonché dall'originalità della<br />

tipologia monumentale, che un epigrafista del calibro del Mommsen non esitava a<br />

definire “formae peculiaris”.<br />

L’altare, attualmente esposto nell’appartamento delle Metamorfosi del Palazzo<br />

Ducale <strong>di</strong> Mantova 5 , poggia su <strong>di</strong> un’urna quadrangolare a cassetta. Altare ed urna, in<br />

calcare <strong>di</strong> Aurisina, sono in questo caso ricavati da un unico blocco secondo uno<br />

schema compositivo che annulla evidentemente la funzionalità dell’urna,<br />

generalmente usata come contenitore dei resti cremati ed abbinata, in questa peculiare<br />

classe tipologica, all’altare che ne costituisce la copertura monumentale.<br />

L’iscrizione è ospitata come <strong>di</strong> consueto <strong>nella</strong> fronte della simulata urna,<br />

chiusa, analogamente alle due facce laterali, da una cornice modanata, articolata in<br />

fascia, gola rovescia e listello; il lato posteriore è sbozzato. A metà delle modanature<br />

inferiori delle facce laterali sono ricavati gli incavi per le grappe, ora perdute, che<br />

fissavano originariamente il monumento ad una ignota struttura <strong>di</strong> base.<br />

Fig. 2. Il primo pannello. Fig. 3. Il secondo pannello. Fig. 4. Il terzo pannello.<br />

L’altare è sovrastato dal focus, al centro del quale sta l’incasso per la grappa<br />

<strong>di</strong> aggancio al coronamento, perduto. La cornice superiore si compone <strong>di</strong> fascia,<br />

listello, gola rovescia, quella inferiore <strong>di</strong> cavetto, gola rovescia, toro e plinto. Gli<br />

otto pannelli rettangolari sono riquadrati da una cornice liscia 6 . La decorazione si<br />

staglia uniformemente sulla superficie delle singole specchiature con forte rilievo<br />

plastico ed intaglio netto, producendo un vivace effetto chiaroscurale, secondo<br />

moduli formali ben noti adottati in età giulio-clau<strong>di</strong>a. Ogni specchiatura presenta<br />

5 IG. 12173. Misure: h. cm 112; base cm 43,3 x 40,5. Autopsia: 25 settembre 2006.<br />

6 Ogni specchiatura è alta cm 52 e larga cm 13, 5.


SULL’ISCRIZIONE CIL, V, 4070 263<br />

una sua propria sintassi ornamentale, <strong>di</strong>versa per ciascun lato, con motivi desunti dal<br />

repertorio iconografico vegetale, strettamente riferiti alla simbologia funeraria.<br />

Il primo pannello (fig. 2) è campito da un tralcio sinuoso <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> fiori<br />

quadripetali e foglie cuoriformi, che fuoriesce da un’ampia coppa su piede,<br />

poggiante sulla cornice <strong>di</strong> base. Il secondo pannello (fig. 3) è occupato da due rami<br />

d’edera, che nascono ai vertici <strong>degli</strong> angoli inferiori e si concludono negli angoli<br />

superiori con due foglie cuoriformi, e che si intersecano con ritmo regolare a<br />

<strong>di</strong>segnare tre cerchi, tangenti le cornici laterali. Sulla base del terzo pannello (fig. 4)<br />

è scolpita un’altra coppa, dall’ampio bacino e dal piede a tromba: dal centro della<br />

coppa spunta sinuoso un tralcio <strong>di</strong> vite da cui pendono tre grappoli d’uva,<br />

semicoperti da foglie. Una terza coppa, <strong>di</strong> analoga tipologia, sul cui orlo sta<br />

appollaiato un uccellino (fig. 8), adorna la base del quarto pannello. Dal centro della<br />

coppa si <strong>di</strong>parte un tralcio <strong>di</strong> anemoni e foglie lanceolate che si snoda in tre ampie<br />

volute. Il quinto pannello (fig. 5) è occupato da un triplice intreccio simmetrico <strong>di</strong><br />

due rami adorni <strong>di</strong> foglie cuoriformi. Il sesto ed il settimo pannello presentano<br />

anch’essi nuovamente una coppa, sempre della medesima tipologia, posta sulla<br />

cornice <strong>di</strong> base (fig. 9). Dal primo recipiente si snoda, ravvolgendosi in tre volute, un<br />

tralcio <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> fiori a quattro e cinque petali, anemoni o forse fiori <strong>di</strong> cocomero,<br />

dal secondo un tralcio <strong>di</strong> vite, cui sono appesi tre grappoli, inquadrati<br />

rispettivamente al centro <strong>di</strong> ogni voluta (fig. 6). L’ottavo pannello è infine campito<br />

da due ramoscelli d’edera che si intrecciano simmetricamente in un triplice viluppo,<br />

ritmato ad intervalli equi<strong>di</strong>stanti (fig. 7).<br />

Fig. 5. Il quinto pannello. Fig. 6. Il sesto e il settimo pannello. Fig. 7. L’ottavo pannello.


264 MARGHERITA TIRELLI, GIOVANNELLA CRESCI MARRONE, ALDO LUIGI PROSDOCIMI<br />

Fig. 8. Particolare del quarto pannello.<br />

Fig. 9. Particolare del sesto e del settimo<br />

pannello.<br />

Nell’orizzonte della scultura<br />

funeraria romana l’altare ottagonale,<br />

decorato da una fitta trama <strong>di</strong> motivi<br />

ornamentali desunti dal repertorio<br />

figurativo vegetale neoattico, che ne<br />

ricopre pressoché integralmente la<br />

superficie, viene considerato, come<br />

noto, una produzione originale e<br />

autonoma delle officine altinati,<br />

documentata dalla fine del I secolo<br />

a.C. fino a buona parte del secolo<br />

seguente. Diversamente dall’altare<br />

cilindrico, l’altare ottagonale non<br />

trova infatti precedenti in ambito<br />

greco o microasiatico, mentre la più<br />

elevata concentrazione <strong>di</strong> esemplari,<br />

tutti in calcare <strong>di</strong> Aurisina, si registra<br />

proprio ad Altino, alla cui produzione<br />

sembrano quin<strong>di</strong> riferibili anche gli<br />

altri pochi esemplari noti,<br />

documentati a Murano, Oderzo e<br />

Reggio Emilia, nonché il nostro<br />

conservato a Mantova 7 .<br />

L’altare ottagonale, cui si<br />

abbinano quali elementi <strong>di</strong> coronamento sia cespi <strong>di</strong> acanto che pigne 8 , riferimenti<br />

simbolici desunti anch’essi dalla sfera funeraria, era destinato a fungere da copertura<br />

monumentale <strong>di</strong> urne-ossuario quadrangolari, cui era fissato da grappe, o in<br />

alternativa a costituire esso stesso l’ossuario, come documenta in quest’ultimo caso<br />

la cavità presente nel settore sommitale <strong>di</strong> alcuni esemplari. Da tali modelli si<br />

<strong>di</strong>scosta il monumento mantovano, in quanto altare ed urna sono ricavati, come<br />

vedemmo, da un unico blocco. L’esemplare, un unicum <strong>nella</strong> produzione altinate, in<br />

quanto sema funerario e non ossuario, risultando evidentemente non funzionale a<br />

custo<strong>di</strong>re i resti cremati, era posto verosimilmente in relazione al recinto sepolcrale<br />

dei due titolari menzionati nel testo epigrafico.<br />

La rilettura del testo<br />

M. T.<br />

Il testo è vergato sulla fronte ribassata della pseudo urna, racchiuso all’interno<br />

<strong>di</strong> una cornice modanata (specchio: cm 21,8 x 32,7); esso si articola in quattro linee<br />

<strong>di</strong> modulo alquanto costante (h. lettere: cm 4,8-3), ma incise con scarsa perizia tanto<br />

che le lettere si affollano <strong>nella</strong> parte terminale sulla destra per mancata<br />

7 SCARFI’ 1985, p. 129; COMPOSTELLA 1996, pp. 56-57, 179-192; TIRELLI 2005.<br />

8 TIRELLI c.s.


SULL’ISCRIZIONE CIL, V, 4070 265<br />

preme<strong>di</strong>tazione spaziale (fig. 10). Le prime tre righe sono state decifrate<br />

agevolmente da tutti i precedenti e<strong>di</strong>tori che si sono <strong>di</strong>visi solo sull’identificazione<br />

del prenome del titolare, da intendersi come Titus per Borsa 9 , Labus 10 e Levi 11 , come<br />

Lucius per Mommsen, che così trascrisse:<br />

L(ucius) Cannius<br />

M(a)n(i) f(ilius) v(ivus) f(ecit)<br />

sibi et Marcellae<br />

iae faiatric.<br />

La comprensione dell'ultima riga ha invece rappresentato un problema a causa<br />

della consunzione della superficie lapidea, soprattutto in corrispondenza del lato<br />

sinistro, tanto che Mommsen affermava <strong>di</strong> ritenere non mancasse niente nel testo 12 .<br />

La prima parola, <strong>di</strong> cui è visibile la desinenza -iae è stata da taluno integrata in<br />

[fi]liae, verosimilmente per giustificare l'assenza del gentilizio <strong>nella</strong> formula<br />

onomastica femminile; ma non è escluso, è anzi altrettanto verosimile, il caso <strong>di</strong> un<br />

breve nomen, come, ad esempio, [Iul]iae, posposto all'elemento prenominale,<br />

secondo la consuetu<strong>di</strong>ne dei cosiddetti “oberitalischen Pränomina” 13 .<br />

L'ausilio <strong>di</strong> luce radente, che ha consentito <strong>di</strong> confermare la lettura<br />

mommseniana del prenome del committente, ha inoltre permesso <strong>di</strong> leggere con<br />

certezza l'ultima parola del testo. Essa era stata in precedenza trascritta in modo<br />

insod<strong>di</strong>sfacente come iabeatatrio da Volta 14 , fil]iae fratris da Borsa e Labus (con<br />

sospetta normalizzazione), faiatric da Mommsen o eatatrio da Levi; peraltro in tutti<br />

i casi un termine incomprensibile. La lettura proposta è katatrici, in cui la K risulta<br />

vergata secondo l'uso dei Veneti antichi che all'asta solevano accompagnare, in<br />

luogo delle due barrette, una sorta <strong>di</strong> C in miniatura; la prima T del termine,<br />

contrariamente alle altre incise nel testo, esibisce poi una asta obliqua; la I,<br />

apparentemente nana, si imposta invece sulla cornice <strong>di</strong> destra: dunque [...]iae<br />

katatrici. Ne consegue che la sepoltura sarebbe stata commissionata in vita da Tito<br />

Cannio figlio <strong>di</strong> Manio non solo per se stesso ma anche per una Marcella, a lui<br />

legata da vincoli <strong>di</strong> prossimità non determinabili (figlia, ovvero moglie o madre dal<br />

gentilizio non ricostruibile) che avrebbe svolto il ruolo <strong>di</strong> katatrix.<br />

L'orizzonte cronologico dell'iscrizione sembra circoscrivibile all'età augustea<br />

per una pluralità <strong>di</strong> in<strong>di</strong>zi convergenti; l’uso delle sagome per le lettere A, V e N,<br />

l'assenza del cognome nell’onomastica del titolare, la funzione in<strong>di</strong>vidualizzante del<br />

prenome che, nel caso del padre, Manius, cade, come è noto, in <strong>di</strong>suso in epoca<br />

imperiale, la tipologia e il materiale del supporto (calcare d’Aurisina), il corredo<br />

decorativo.<br />

9 BORSA 1790, p. 93: T(itus) Cannius / M(arci) f(ilius) v(ivens) f(ecit) sibi / et Marcellae / filiae fratris.<br />

10 LABUS 1837, pp. 304-306: T(itus) Cannius / M(arci) f(ilius) v(ivens) f(ecit) sibi / et Marcellâe / filiâe<br />

fratris.<br />

11 LEVI 1931, p. 85, n. 184, tav. XCIV: T(itus) Cannius / M(a)n(li) f(ilius) v(ivens) f(ecit) sibi / et<br />

Marcellae / filiae EATATRIO.<br />

12 CIL, V, 4070, p. 410: “Sic ego nec quicquam deesse visum est”.<br />

13 Così SALOMIES 1987, pp. 120-124; cfr. inoltre KAJAVA 1994, pp. 85-87; sul tema si veda ora<br />

MAINARDIS 2000, pp. 537-538.<br />

14 VOLTA 1775.


266 MARGHERITA TIRELLI, GIOVANNELLA CRESCI MARRONE, ALDO LUIGI PROSDOCIMI<br />

Va anche notato che il nome<br />

del promotore della de<strong>di</strong>ca, Cannius,<br />

assai raro 15 , ricorre <strong>nella</strong> forma<br />

Canius in un’iscrizione <strong>di</strong> area<br />

trevigiana in alfabeto latino ma con<br />

basi onomastiche tipicamente<br />

venetiche 16 e, in alternanza con la<br />

grafia Kanius, in numerose<br />

occorrenze aquileiesi 17 ; si registra<br />

però nel nostro caso un processo <strong>di</strong><br />

normalizzazione che, attraverso la<br />

geminazione della nasale, intende<br />

mimetizzare l'origine epicorica,<br />

romanizzando l'onomastica del<br />

soggetto.<br />

In Altino tale processo sembra prodursi tra l'età cesariana e quella augustea<br />

come certificato da una Hostilia, probabile esito <strong>di</strong> Ostialia 18 , da un Ennius<br />

verosimile esito <strong>di</strong> Eno 19 Fig. 10. L’iscrizione.<br />

. Anche per quanto riguarda l'elemento onomastico, dunque,<br />

il testo riporterebbe all'orizzonte geografico veneto.<br />

Katatrix/kalatrix<br />

L'interesse del monumento risiede indubitabilmente nel termine katatrix, mai<br />

altrimenti attestato nel mondo romano. A tal proposito si aprono <strong>di</strong>fferenti scenari<br />

interpretativi, cui è de<strong>di</strong>cata la <strong>di</strong>samina <strong>di</strong> Aldo Luigi Prosdocimi 20 . Il più<br />

stimolante è rappresentato dall'ipotesi che il lapicida abbia inteso scrivere il termine<br />

kalatrici, o commettendo un errore o piuttosto incidendo una L venetica<br />

nell'accezione della variante patavina dell'alfabeto; dunque la versione femminile del<br />

termine kalator 21 .<br />

Comunque sia, un primo risultato a cui sembra <strong>di</strong> poter essere giunti è quello<br />

<strong>di</strong> espungere dal corpus epigrafico mantovano il monumento in questione per<br />

assegnarlo con largo margine <strong>di</strong> probabilità a quello della Venezia romana e del<br />

municipio altinate in particolare.<br />

G. C. M.<br />

15 CIL, VIII, 8795 = 18020 = AE 1940, 149 (1948, 213); CIL, XII, 5679,13; 5686, 168.<br />

16 MANESSI, MARINETTI 2002, p. 200, n. 30: C. Canius Voltio.<br />

17 Censimento delle occorrenze aquileiesi in CALDERINI 1930, p. 476. Per la <strong>di</strong>ffusione della gens quasi<br />

esclusivamente in area veneta cfr. CIL, V, In<strong>di</strong>ces, p. 1108.<br />

18 Per il caso si veda CRESCI MARRONE 1999, p. 130.<br />

19 Per l’iscrizione altinate si veda CRESCI MARRONE, TIRELLI 2003, p. 16 nt. 53, fig. 5; per la derivazione<br />

Ennius/Eno cfr. UNTERMANN 1961, p 53; PELLEGRINI, PROSDOCIMI 1967, pp. 78-80; LEJEUNE 1974, pp.<br />

234-239; ZAJC 1991, pp. 47-56; BASSIGNANO 1997, pp. 227-239. Per le problematiche inerenti entrambi i<br />

gentilizi in Italia settentrionale si veda UNTERMANN 1956, pp. 173-194.<br />

20 Cfr. infra PROSDOCIMI.<br />

21 MARCOS CASQUERO 1976, pp. 77-89.


SULL’ISCRIZIONE CIL, V, 4070 267<br />

Verosimiglianze (epi)grafiche e culturali tra romanità e base locale<br />

L’iscrizione si pone imme<strong>di</strong>atamente con singolarità tali da esigere una cura<br />

particolare nell’illustrare e approfon<strong>di</strong>re le premesse che ne permettono<br />

l’interpretazione. La singolarità assoluta è la forma finale, sia questa da assumere<br />

secondo quanto appare dall’autopsia, katatric[, sia da correggere, come già<br />

ipotizzato, in kalatric[. Tuttavia anche il resto dell’iscrizione presenta delle<br />

particolarità, meno evidenti forse ma, comunque, meritevoli <strong>di</strong> attenzione: Cannius,<br />

gentilizio, quale onomastica e quale forma con geminazione <strong>di</strong> -n- avanti a (grafico)<br />

-i- + Vocale; il sintagma Marcellae [ ]iae, ove la lacuna invita ad una restituzione<br />

[fil]iae.<br />

La morfologia della finale dell’ultima parola non è del tutto certa, per le<br />

caratteristiche paleografiche <strong>di</strong> -i e la posizione sulla cornice; ciò non permette <strong>di</strong><br />

affermare con certezza che si tratta <strong>di</strong> un dativo in -i, anche se questa è<br />

l’interpretazione apparentemente obbligata e facilior, piuttosto che un genitivo in –is;<br />

quest’ultima eventualità sarebbe possibile se Marcellae fosse un genitivo<br />

specificante il dativo [ ]iae, questo sicuro perché coor<strong>di</strong>nato a sibi. Un et dopo sibi<br />

esige un dativo, ma in [ ]iae Marcellae potrebbe esserci un solo dativo (]iae), il che<br />

lascerebbe la possibilità <strong>di</strong> genitivo per Marcellae: è eventualità <strong>di</strong>fficilior, se non<br />

<strong>di</strong>fficillima, ma teoricamente possibile anche in considerazione della designazione<br />

onomastica o paraonomastica coor<strong>di</strong>nata a L.Cannius ... sibi et... Da cui la<br />

questione: in quale modo un cognomen Marcellae vi si collega? Al proposito si<br />

noterà che, come già detto, [fil]iae è solo un’integrazione e, come tale, <strong>di</strong> per sé non<br />

implica automaticamente ‘per sé e per la figlia Marcella kat/latrice’, ma può<br />

implicare anche ‘per sé e per la figlia <strong>di</strong> Marcella kat/latrice’; sempre come<br />

possibilità astratta (ma da considerare), kat/latrici[? nell’incertezza della desinenza<br />

casuale può essere riferito sia a Marcella, madre <strong>di</strong> una figlia altrimenti non<br />

nominata (allora da completare come kat/latrici[s al genitivo), sia alla figlia che è<br />

kat/latric-(kat/latrici), designata secondo due riferimenti: uno l’essere figlia <strong>di</strong> (una)<br />

Marcella, l’altro il suo status/ruolo.<br />

La revisione autoptica <strong>di</strong> Giovan<strong>nella</strong> Cresci ha accertato una lettura katatric(,<br />

anche se la stessa Cresci non esclude un errore per kalatric(. La lettura pone<br />

problemi, tali da invocare l’eventualità <strong>di</strong> un errore. Ricorrere all’errore dovrebbe<br />

essere, anche se spesso non lo è, l’extrema ratio dell’epigrafista quando non trova<br />

altre spiegazioni, ma è comunque una ratio; è sempre una ratio <strong>di</strong>fficilior ma non<br />

extrema se ha qualche motivazione: si partirà <strong>di</strong> qui perché restano aperte delle<br />

possibilità da non scartare.<br />

Quale a priori c’è il factum epigrafico per cui, anche se a <strong>di</strong>verso titolo, sia<br />

katatric- che kalatric- sono termini problematici, a partire dalla grafia k dell’iniziale.<br />

L’uso <strong>di</strong> k, in un’iscrizione latina, va rapportato in primo luogo al latino stesso: nel<br />

nostro caso l’uso è pienamente ascrivibile al latino, perché risponde alla grafia k al<br />

posto <strong>di</strong> c davanti ad a ed è residuo <strong>di</strong> un lontanissimo passato in cui k era la grafia<br />

normale <strong>di</strong> /k/ davanti ad a, così come c notava /k/ davanti a e, i e q notava /k/<br />

davanti a o, u. La questione, tra VIII e VI sec. a.C., tra Etruria variamente articolata<br />

e Roma, peraltro anch’essa a suo modo articolata, è estremamente complessa e si<br />

rimanda a chi ne ha trattato specificamente. Quanto è pertinente al nostro <strong>di</strong>scorso è


268 MARGHERITA TIRELLI, GIOVANNELLA CRESCI MARRONE, ALDO LUIGI PROSDOCIMI<br />

la certezza che vi è in latino la conservazione della grafia k davanti ad a in<br />

pochissimi ma persistenti casi (abbreviazioni come K per Kaeso, ka per kalendae: su<br />

quest’ultima base v.avanti), <strong>di</strong> contro alla norma <strong>di</strong> q davanti a u (<strong>nella</strong> sequenza<br />

-quV-, e saltuariamente anche <strong>nella</strong> sequenza -quC-).<br />

Si aggiunga che proprio dal latino <strong>di</strong> area venetica ci sono arcaismi grafici<br />

paralleli, quali l’uso <strong>di</strong> q davanti a u 22 . Il problema per una lettura *kalatric-, se si<br />

suppone che l sia errore per t, non è in ka-, ma nello status istituzionale della<br />

designazione, tra Roma e Veneto, e l’eventualità <strong>di</strong> una specificità veneta che<br />

avrebbe creato (o resuscitato?) un termine astrattamente possibile per Roma<br />

(kalator: *kalatrix) ma, a quanto consta, senza corrispondenza istituzionale: anche<br />

su ciò appresso.<br />

Problematica parallela, antitetica in alcuni aspetti, pone la lettura katatric-. La<br />

grafia ka- potrebbe provenire dalla tra<strong>di</strong>zione romana arcaica, tuttavia nel caso <strong>di</strong><br />

katatric- non sarebbe possibile giustificarla, come invece si può per *kalatric-. Per<br />

katatric- non si in<strong>di</strong>vidua una base lessicale romana; tutte (o quasi) le voci latine che<br />

iniziano con cata- sono grecismi (< ; cfr. Oxf. Lat. Dict., pp. 284-285), ed è<br />

rilevante che, comunque, non compare la grafia ‘greca’ con k- ma solo quella<br />

romana con c-; è quin<strong>di</strong> da escludere che la grafia k in katatric- possa essere un<br />

grecismo nel latino. Se, in ragione della base non riconoscibile, non si tratta <strong>di</strong> una<br />

forma latina o greca, resta l’ipotesi <strong>di</strong> un venetismo: nel venetico la grafia k è<br />

normale, in<strong>di</strong>pendentemente dal colorito della vocale seguente.<br />

Si giunge così, per la via in<strong>di</strong>retta della grafia k altrimenti non spiegabile, a<br />

prospettare per katatric- la possibilità <strong>di</strong> un prestito dal venetico. Si può proporre<br />

una base venetica o celto-venetica, a partire dalla presenza nell’onomastica venetica<br />

(celto-venetica) del filone onomastico Kata (e affini) 23 , a sua volta da non isolarsi<br />

dal nome Kanta, pure attestato in venetico: al proposito è da ricordare che n<br />

anteconsonantico è spesso omesso nel venetico. Le due forme, Kata e Kanta,<br />

restituiscono una morfologia con due morfemi (–t- e –nt-) alternanti su una ra<strong>di</strong>ce<br />

ka-; il tutto riporterebbe ad una semicità (celtica, per quello che ne resta)<br />

concernente l’ambito della ‘guerra’ (gallico catu-‘battaglia’) 24 .<br />

Il centro della questione, però, non è nell’ ‘etimologia’ per ra<strong>di</strong>ci e/o basi, ma<br />

nell’‘etimologia’ secondo strutture, nel caso morfologiche, e ciò vale sia per la basera<strong>di</strong>ce,<br />

sia per il morfema che porta la base-ra<strong>di</strong>ce a realtà <strong>di</strong> lessico, tale da entrare<br />

in un testo. La formante –tric- è la ‘mozione’ al femminile <strong>di</strong> –tor-, e questo vale per<br />

tutta la latinità (e altra italicità) fino alle lingue romanze; il morfema –tor-/-tric-<br />

richiede una base verbale (laudator/laudatric- : laudare etc.,).<br />

Posto che per una katatric- (ed eventualmente un *katator) nell’ipotesi<br />

‘venetica’ci dovrebbe essere una base verbale, questa dovrebbe venire da un verbo<br />

denominale <strong>di</strong> *kata (/*katu-?). Tale forma-base <strong>di</strong> lessico si ritrova nel celtico con<br />

il significato <strong>di</strong> ‘battaglia’, per cui eventualmente sarebbe da identificare il contesto<br />

storico-culturale in cui un derivato katatric- si potrebbe inserire. Tuttavia resta il<br />

22<br />

Un’iscrizione latino-venetica da Montebelluna porta il nome SEQVNA = Secunda: cfr. PELLEGRINI,<br />

PROSDOCIMI 1967, vol. I pp. 421-422 (Tr IV).<br />

23<br />

Cfr. PELLEGRINI, PROSDOCIMI 1967, vol. I, Es 11 Katai, Es 14 Kata[, Es 52 Katakna, Vi 2 Katusiaios<br />

etc.; vol. II, s. vv. Kata p. 114, Katusiaios, p. 115.<br />

24<br />

SCHMIDT 1957, pp. 166-169.


SULL’ISCRIZIONE CIL, V, 4070 269<br />

fatto che –tric- è inesorabilmente formante latina, e <strong>di</strong> conseguenza la base verbale<br />

dovrebbe essere latina. Potrebbe anche essere una forma ibridata tra latino e venetico<br />

(o celto-venetico): siamo ai limiti delle possibilità, anche se non ancora<br />

dell’impossibilità, perché si potrebbe astrattamente supporre che il nome <strong>di</strong> una<br />

figura istituzionale locale fosse trasposta in un ibrido katatric- con base locale e<br />

morfologia latina, <strong>di</strong> cui – con semicità analoga ma parzialmente <strong>di</strong>versa: ‘battaglia’<br />

vs. ‘guerra’ – potremmo trovare il corrispondente nel latino bellatrix.<br />

Un katatric- quale creazione verbale (celto-)venetica e latina pone <strong>di</strong>fficoltà<br />

tali che pare <strong>di</strong> dover ricorrere all’ultima spes: la correzione. Non si tratterebbe però<br />

<strong>di</strong> una correzione vera e propria (come sarebbe nel caso <strong>di</strong> kalatric-), ma della<br />

restituzione <strong>di</strong> una forma a partire un fenomeno grafico ben conosciuto: l’omissione<br />

della nasale anteconsonantica, attestato in molte grafie dell’Italia antica, latino e<br />

venetico compresi; senza eccessive forzature, si potrebbe così restituire una forma<br />

ka(n)tatric-.<br />

Il lessema cantatrix è attestato in latino, anche se con connotazione dubbia<br />

quanto a professione/livello sociale; APUL. met., 2,20,30 “cantatrices anus ...<br />

alienam sepolturam antevortunt”. La resa dell’Oxf. Lat. Dict. “That uses incantations”<br />

può essere fallace <strong>nella</strong> connotazione negativa che, almeno al nostro orecchio,<br />

sembra portare. Il corrispondente maschile cantator appare in un senso del tutto<br />

positivo; Gellio de<strong>di</strong>ca un intero capitolo (16, 19) alla Sumpta historia ex Herodoti<br />

libro super fi<strong>di</strong>cine Arione e così definisce Arione (16, 19, 2): ...nobilis Arion<br />

cantator fi<strong>di</strong>bus.... Lo stesso valore positivo, nonostante si tratti <strong>di</strong> un passo<br />

tormentato, ha cantatio in Varrone (ling. 8,57), e al valore positivo risponde ancora<br />

Apuleio (met. 2, 25, nello stesso contesto citato sopra in cui compare cantatrices). È<br />

possibile che una cantatrix fosse il corrispondente ‘nobile’ <strong>di</strong> una praefica, e tutto<br />

nei testi – tra cantator, cantatrix e cantatio – porta a pensarlo. Se la nostra katatrici<br />

è da correggere in ka(n)tatrici, vi sarebbe una conferma incrociata, perché è evidente<br />

che in un titolo funerario non sarebbe stata riportata una qualifica meno che<br />

onorevole dal punto <strong>di</strong> vista sociale.<br />

La restituzione <strong>di</strong> un latino kantatric- tuttavia riporta a galla il problema della<br />

grafia con k iniziale, che come visto sopra non trova giustificazioni all’interno del<br />

latino stesso, dal momento che mancano gli agganci <strong>nella</strong> tra<strong>di</strong>zione e nelle<br />

istituzioni che si potrebbero invocare per l’alternativa <strong>di</strong> seguito esposta, che<br />

poniamo per ‘dovere <strong>di</strong> cronaca’ là ove c’è spazio solo per astratte proposte, a causa<br />

delle problematicità immanente <strong>nella</strong> base documentale <strong>di</strong> partenza. Anticipo già<br />

che quanto propongo appresso mi pare meno probabile <strong>di</strong> quanto è già stato<br />

delineato sopra, in particolare <strong>nella</strong> eventualità <strong>di</strong> una *ka(n)tatric-.<br />

Nella sua presentazione dell’epigrafe, Giovan<strong>nella</strong> Cresci pone un’ipotesi<br />

grafica alternativa a katatric-, ovvero una forma kalatric-, suggerendo – oltre<br />

all’errore del lapicida – una <strong>di</strong>versa spiegazione per il segno a T con tratto obliquo:<br />

sarebbe interferenza della grafia venetica <strong>di</strong> l con vertice in alto. L’eventualità <strong>di</strong><br />

riconoscere qui una kalatric- non sarebbe <strong>di</strong> poco rilievo, per le conseguenti<br />

implicazioni sul piano istituzionale; andranno pertanto verificate le possibilità <strong>di</strong> un<br />

inquadramento della forma nel contesto: il tutto con le riserve poste sopra,<br />

richiamate e rinnovate in quello che si <strong>di</strong>rà <strong>nella</strong> logica <strong>di</strong> una kalatric-.


270 MARGHERITA TIRELLI, GIOVANNELLA CRESCI MARRONE, ALDO LUIGI PROSDOCIMI<br />

Kalatric- è evidentemente una forma flessa <strong>di</strong> un nome *kalatrix, a quanto mi<br />

consta finora non attestato; tuttavia, dal punto <strong>di</strong> vista della lingua (‘langue’),<br />

avremmo una normale morfologia <strong>di</strong> femminile in -trix, fondata su – o se si<br />

preferisce una <strong>di</strong>zione neutrale correlata a – un maschile in -tor; il corrispondente<br />

maschile kalator è attestato a partire dal VI sec. a.C. (cippo del Foro). È<br />

essenzialmente una figura istituzionale variamente funzionalizzata, ma sempre<br />

collegata alla sua trasparenza lessicale con il verbo calare 25 .<br />

K/calator è relativamente poco documentato negli autori; se anche la sua<br />

presenza nel ‘cippo del Foro’ può essere una casualità della selezione <strong>di</strong> ciò che<br />

rimane archeologicamente documentato, malgrado le varie interpretazioni<br />

dell’iscrizione del cippo la sua natura istituzionale è fuori dubbio; ciò è sufficiente<br />

per quanto delineano altri in<strong>di</strong>zi, tra cui il nome della curia calabra quale luogo del<br />

‘calare’ pubblico, e le kalendae ‘da calare’ quando si ‘calano’ le nonae, giorno <strong>di</strong><br />

mercato; anche questo presuppone una fase arcaica, rimasta come nome nel primo<br />

giorno del mese ma non più connessa con il calare pubblico.<br />

Della calendarialità tratto altrove per tutto il sistema kalendae-nonae-idus<br />

(ve<strong>di</strong> nt. 25); qui interessa la cronologia che punta all’alto per la funzionalità<br />

istituzionale del ‘calare’ e cioè alla Roma quiritaria tra Romolo e Numa 26 , <strong>di</strong><br />

cronologia tra<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong> seconda metà <strong>di</strong> VIII sec. a.C.; quanto precede non<br />

interessa la nostra prospettiva, che riguarda piuttosto il decadere della funzione<br />

istituzionale pubblica <strong>di</strong> esso ‘calare’ cui è connesso il k/calator. Il nome kalendae è<br />

nato quando si ‘calavano’ le nonae, ma attorno al 500 a.C, a causa della cosiddetta<br />

‘apofonia latina’, l’originario *k/calanda è <strong>di</strong>ventato k/calenda 27 ; il fenomeno<br />

fonetico ha una implicazione, e cioè prova che, come forma <strong>di</strong> lessico, al 500 a.C.<br />

k/calendae significava ormai solo il primo giorno del mese, e non era più una forma<br />

entro il para<strong>di</strong>gma del verbo k/calare, perché la funzione del ‘calare’ pubblico<br />

‘istituzionale’ era conclusa. In caso contrario, se ancora in uso come forma del<br />

verbo, sarebbe rimasto *kalanda e non sarebbe <strong>di</strong>venuto kalenda, così come – per<br />

fare un esempio dei verbi in - – la forma amando- non è <strong>di</strong>venuta amendo-, perché<br />

inserita nel para<strong>di</strong>gma del verbo in -re.<br />

Tutto ciò corrisponde al quadro <strong>di</strong>segnato dalla documentazione del termine<br />

k/calator nel tempo: come termine istituzionale è sopravvissuto a un’epoca in cui era<br />

pienamente integrato nel sistema; in quest’epoca era lessicalmente trasparente<br />

perché il sistema <strong>di</strong> cui faceva parte era incentrato sulla istituzionalità ‘pubblica’ del<br />

verbo k/calare <strong>di</strong> cui k/calator è nomen agentis ‘colui che k/calat’. In seguito il<br />

verbo base k/calare <strong>di</strong>venta residuale <strong>nella</strong> lingua, <strong>di</strong> fatto conservato solo<br />

25 Sulla questione <strong>di</strong> calare e kalendae ritorno in un lavoro sul sistema calendariale tra Roma e le<br />

Tavole Iguvine; tale lavoro comparirà come capitolo in A.L PROSDOCIMI, Tavole Iguvine, FIRENZE, vol.<br />

IV. Un capitolo ‘calendariale’ collegato è già comparso in PROSDOCIMI 2006a.<br />

26 Specifico; quello che io intendo quale ‘Roma quiritaria’. Il nucleo è anticipato in PROSDOCIMI 1995;<br />

ID. 1996. Il tema è sviluppato in un dossier ancora ine<strong>di</strong>to da cui sono stati escerpiti quali frammenti i<br />

due articoli qui citati.<br />

27 I <strong>di</strong>zionari etimologici riassumono la vulgata, per cui – salvo segnalate e rare voci <strong>di</strong>ssenzienti –<br />

attribuiscono la -e- <strong>di</strong> kalendae a un allomorfo in -- del verbo cala-; è un fantasma, recepito e come<br />

tale in<strong>di</strong>struttibile: cerco <strong>di</strong> portare alla ragione nel lavoro citato alla nota 25. In quella sede focalizzo<br />

ulteriormente la rilevanza della questione grafica tra k- e c- in calare, kalendae, (curia) calabra, etc.


SULL’ISCRIZIONE CIL, V, 4070 271<br />

nell’antiquaria o nei derivati istituzionali quali, oltre a quelli citati, i comitia calata<br />

(in GAIVS inst. 2,10,2; GELL. 15,27,2) che riportano alla fase ‘quiritaria’, cioè tra<br />

VIII e VII sec. a.C., con la fine da porre all’entrata dei reges-tyrannoi etruschi (ve<strong>di</strong><br />

nt. 27).<br />

Considerata la vicenda storica <strong>di</strong> un termine quale k/calator, <strong>di</strong> fatto isolato<br />

come sopravvivenza <strong>di</strong> uno status istituzionale che, quale sistema, non esiste più,<br />

trovare la creazione <strong>di</strong> un suo femminile *kalatrix sarebbe veramente un fatto<br />

straor<strong>di</strong>nario. Per noi non è identificabile il fatto ‘avvenimentale’ che lo avrebbe<br />

portato ad apparire <strong>nella</strong> nostra iscrizione; può tuttavia essere inserito in un quadro<br />

strutturale più generale in cui una fenomenologia <strong>di</strong> questo tipo non è isolata, ma ha<br />

dei paralleli che circoscrivono l’ambito causale anche se non ne possono in<strong>di</strong>viduare<br />

la motivazione specifica.<br />

Prima però va contemplata l’eventualità che kalatric- sia un termine venetico;<br />

l’eventualità è consentita sulla base <strong>di</strong> due premesse: 1) l’esistenza del verbo<br />

corrispondente a lat. calare fuori dal latino, come in gr. (e ciò<br />

in<strong>di</strong>pendentemente dal messapico kalator); 2) le forti affinità tra latino e venetico tra<br />

le lingue indeuropee, al limite <strong>di</strong> una identità genetica pur con le normali <strong>di</strong>versità<br />

tra varietà strettamente imparentate.<br />

L’eventualità <strong>di</strong> un kalatric- venetico è altamente improbabile per più ragioni:<br />

si tratterebbe della persistenza <strong>di</strong> un termine locale; la forma in -trik- rispetto a -tor-<br />

è prettamente latina; la presenza della grafia k, che <strong>nella</strong> base kala- è segno certo <strong>di</strong><br />

romanità per il riferimento a kalator: al proposito, è da escludere una estrema<br />

possibile <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> k come venetico (nel venetico k è la grafia per /k/): si esclude<br />

perché se un presunto (ma inesistente) venetico *kalatrik- fosse stato romanizzato<br />

<strong>nella</strong> grafia, si avrebbe *calatric-; se invece avesse conservato la grafia ‘locale’ si<br />

avrebbe *kalatrik-, con l’uso <strong>di</strong> k anche <strong>nella</strong> finale, il che non è 28 .<br />

La <strong>di</strong>stribuzione grafica con k solo all’iniziale (kalatric- e non *kalatrik-), per<br />

il femminile <strong>di</strong> kalator è assolutamente romana per l’uso <strong>di</strong> k davanti ad a (v. sopra).<br />

Tra i pochissimi casi <strong>di</strong> persistenza della grafia ka- vi sono le forme <strong>di</strong> lessico che si<br />

collegano al ‘calare’, come detto con ra<strong>di</strong>ci in un passato lontanissimo: kalendae e<br />

kalator; <strong>di</strong> conseguenza, non solo kalatric-, se c’è, è <strong>di</strong> matrice romana, ma è, anzi<br />

deve essere, <strong>di</strong> matrice antiquaria, perché il latino, almeno <strong>nella</strong> tra<strong>di</strong>zione, ha la<br />

grafia calator. L’ipotesi antiquaria è certa: Paolo, epitomatore <strong>di</strong> Festo già<br />

epitomatore <strong>di</strong> Verrio Flacco, ha la grafia calator (34 L., 251 L.: <strong>di</strong>ssociazione <strong>di</strong> un<br />

unico lemma <strong>di</strong> Festo, già unitario in Verrio?); <strong>di</strong> contro in Festo (251 L.) si ha<br />

kalendae <strong>nella</strong> grafia ka-: in entrambe le voci si ha pure l’etimologia con , ma<br />

questa è in<strong>di</strong>fferente alla questione, perché è la normale grafia greca<br />

corrispondente a lat.c per /k/. Tuttavia il recupero antiquario <strong>di</strong> kalatric- anche se<br />

28 Questo <strong>di</strong>scorso non è, anche se sembra, in contrad<strong>di</strong>zione con la ‘romanità’ <strong>di</strong> k+a in kalendae,<br />

perché la k ivi perpetua una tra<strong>di</strong>zione che non esiste per calator e calare, anche se k era grafia <strong>di</strong> VII-<br />

VI a.C. per queste voci poi normalizzate in c- (salvo interventi correttori moderni); su ciò rimando al<br />

lavoro ine<strong>di</strong>to cit.a nota 25. Per un kalatric- si aggiunga che, allo status delle conoscenze, è una figura<br />

istituzionale inesistente; anche se (advocatura <strong>di</strong>aboli!) l’inesistenza fosse una casualità documentale,<br />

vi sarebbero comunque gli estremi per una grafia tra<strong>di</strong>zionale romana ca-, perché - e qui l’ex silentio è<br />

cogente - non esiste una tra<strong>di</strong>zione romana a proposito <strong>di</strong> una kalatric-.


272 MARGHERITA TIRELLI, GIOVANNELLA CRESCI MARRONE, ALDO LUIGI PROSDOCIMI<br />

non <strong>di</strong>pende <strong>di</strong>rettamente da Verrio, esecutore antiquario della restauratio augustea<br />

(sotto), era nell’ambito delle conoscenze e usi antiquari dell’epoca.<br />

Quale riprova, in negativo, si presenta il testo, trà<strong>di</strong>to e tradìto dai correttori<br />

moderni, del de lingua latina <strong>di</strong> Varrone. Nel libro VI (§ 16) si ha la citazione: In<br />

Tusculanis portis est scriptum: ‘Vinum novum ne vehatur in urbem ante quam<br />

Vinalia calentur’. L’Augustinus corregge calentur in kalentur: evidentemente su<br />

base <strong>di</strong> eru<strong>di</strong>zione antiquaria fondata su ka- <strong>di</strong> kalendae e soprattutto sulla sua<br />

abbreviazione canonica, ka., kal 29 . Dall’antico al moderno è dunque possibile<br />

restituire un kal- su cal- come rifacimento dotto; nel caso <strong>di</strong> antiquaria come<br />

restituzione per ideologia e corrispettiva volontà arcaizzante; questo –<br />

in<strong>di</strong>pendentemente da un verosimile inquadramento ‘augusteo-verriano’ <strong>di</strong> cui si<br />

farà cenno avanti – dovrebbe essere evidentemente il caso della ‘creazione’ <strong>di</strong> una<br />

forma kalatric- . La ‘creazione’ avverrebbe su basi strutturali <strong>di</strong> astratte possibilità<br />

‘romane’, ma su inesistenza <strong>di</strong> basi <strong>di</strong> realtà storica: 1) un calator è ormai un residuo<br />

istituzionale; 2) il suo corrispondente femminile non è mai esistito – o almeno<br />

attestato – a Roma come istituzione né come lessico anche se ‘creabile’ me<strong>di</strong>ante<br />

una morfologia femminile <strong>di</strong> -tric- su -tor- apofonico <strong>di</strong> maschile 30 ; 3) <strong>nella</strong><br />

‘creazione’ <strong>di</strong> ciò che non è mai esistito come lessico e istituzione si recupera la<br />

grafia ka- ormai desueta anche per kalator, quin<strong>di</strong> con una precisa intenzionalità.<br />

A quale fine mira questa intenzionalità, e perché? Il ‘come’, quale<br />

precon<strong>di</strong>zione, si è mostrato, ma resta ancora la ragione del perché, cioè della<br />

storicità <strong>di</strong> base che ha prodotto il documento.<br />

Si è anticipato che la base dovrebbe essere locale, e questo per la specificità <strong>di</strong><br />

quanto emerge dall’iscrizione; nell’ipotesi la questione fondamentale è conseguente:<br />

sarebbe una specificità esclusivamente ‘romana’ in area periferica? o sarebbe una<br />

specificità che realizza, in termini ‘romani’, una realtà non romana? La seconda<br />

eventualità non significa automaticamente ‘preromana’, nel nostro caso venetica;<br />

potrebbe anche significare una base culturale non propriamente romana quale<br />

potrebbe essere una base misterica e/o iniziatica.<br />

Nel primo caso <strong>di</strong>viene essenziale la cronologia; con ciò si intende sia la<br />

possibilità <strong>di</strong> determinarla, sia l’impossibilità <strong>di</strong> determinarla, oltre la generica<br />

attribuzione dell’iscrizione a fase ‘augustea’, e ciò per una ragione determinante ai<br />

fini <strong>di</strong> interpretazione storica. È nozione comune che, dopo Azio, Augusto<br />

programma quella che sarà definita la sua restauratio; vi sono motivate ragioni per<br />

ritenere che non ne siano state tratte tutte le conseguenze per la profon<strong>di</strong>tà<br />

dell’operazione ideologica in funzione politica; in questo ha giocato non poco la<br />

focalizzazione sugli aspetti letterari e/o più manifestamente cólti, <strong>di</strong> altissimo e<br />

manifesto livello: l’opera <strong>di</strong> Virgilio; l’Orazio del carmen saeculare e i falsi<br />

carmina per i lu<strong>di</strong> saeculares; Mecenate e il contorno, ivi compreso Agrippa; etc..<br />

29 Come è noto, la storia dei co<strong>di</strong>ci del de lingua latina è complessa e non è qui il caso <strong>di</strong> entrarci; è<br />

tuttavia <strong>di</strong>mostrabile che l’antigrafo (archetipo?) <strong>di</strong> tutto, dal punto <strong>di</strong> vista ecdotico, aveva certamente<br />

l’ortografia calendae, mentre l’ortografia kalendae è dovuta ad un primo intervento correttorio e, <strong>di</strong> lì,<br />

l’ulteriore generalizzazione <strong>di</strong> cal- in kal- dell’Augustinus: per la sua posizione <strong>nella</strong> restituzione nel<br />

testo <strong>di</strong> Varrone l.l., 6,27, si rimanda al lavoro citato <strong>nella</strong> nt. 25.<br />

30 Per quanto il latino abbia uniformato -tr- del nominativo, la forma apofonica -tr- è evidente - oltre<br />

che in altri casi - nel femminile -tric-; su -ic- v. PROSDOCIMI 1991; ID. 2000 ora in ID. 2004.


SULL’ISCRIZIONE CIL, V, 4070 273<br />

Anche per le matrici bellettristiche della visione della romanità (latinità/italicità)<br />

della restauratio augustea sono state evidenziate meno o, meglio, non sono state<br />

associate in un quadro organico operazioni meno legate alla letteratura (‘stricto<br />

sensu’): per tutti valga il caso del culto <strong>degli</strong> Arvali contenente il famoso carmen, e<br />

del quale solo cento anni dopo la mirabile e<strong>di</strong>zione commentata <strong>di</strong> Henzen è stato<br />

esaltata, ad opera <strong>di</strong> Scheid, la funzionalità politica secondo il programma <strong>di</strong><br />

Augusto. Il recupero antiquario è parimenti un fatto noto, ma più in funzione<br />

‘letteraria’ che per storicità esplicita: così Virgilio che secondo Servio non sbaglia<br />

mai; Ovi<strong>di</strong>o dei Fasti, Properzio delle elegie romane, etc.. Relativamente in ombra è<br />

Verrio Flacco, perché non ‘letterato’, perché non celebrato come Varrone, perché<br />

della sua opera monumentale De verborum significatu/significationibus sono rimasti<br />

frammenti nell’epitome <strong>di</strong> Festo nel co<strong>di</strong>ce Farnesiano (XI d.C. circa), per buona<br />

parte mutilo e/o <strong>di</strong>sastrato quale codex unico, e poi nell’epitome ‘massacratoria’ <strong>di</strong><br />

Paolo Diacono 31 ; infine da glosse e/o scheggiamenti in opere quali le Etymologiae<br />

del vescovo <strong>di</strong> Siviglia Isidoro. Tuttavia quello che appare meno – se non in<br />

prospettive quali quella <strong>di</strong> Scheid cit. – è la funzione politica dell’operare antiquario<br />

<strong>di</strong> Verrio, <strong>di</strong> fatto il ministro della cultura nell’operazione augustea: se più noto<br />

quale funzionalità politica è un Mecenate in quanto <strong>di</strong>scendente da avi regali, nei<br />

fatti concreti un Verrio Flacco non era meno, anche se sotterraneamente, per quanto<br />

concerne il recupero dell’‘italicità’ in funzione <strong>di</strong> Roma e della sua pax.<br />

Questa <strong>di</strong>gressione intende puntualizzare la funzione primaria anche se, come<br />

detto, sotterranea, del recupero antiquario presieduto – è un apriori – da Verrio<br />

Flacco, con un post quem al 27 a.C. (29 a.C. morte <strong>di</strong> Varrone) e un ante quem al 14<br />

d.C. (anno della morte <strong>di</strong> Verrio, come pure <strong>di</strong> Augusto).<br />

È a priori presumibile che l’operazione antiquaria non si limitasse a Roma –<br />

da cui la restauratio (o instauratio?) del culto arvalico 32 – ma si estendesse a tutta<br />

l’Italia sub specie <strong>di</strong> Roma, perché se a Roma si gestiva il potere, dall’Italia<br />

‘restaurata’ veniva la base per il potere, fondato sul concetto ideologico <strong>di</strong><br />

restaurazione e non <strong>di</strong> innovazione, <strong>di</strong> fatto contro l’oligarchia senatoria. È probabile<br />

che un’operazione <strong>di</strong> recupero antiquario ideologico a fini politici sia alla base della<br />

raccolta ed esposizione pubblica delle ‘Tavole Iguvine’ nel foro <strong>di</strong> Gubbio in epoca<br />

augustea 33 . Più prossimo ad Altino, ipotizzata provenienza della nostra iscrizione, è<br />

il caso delle iscrizioni venetiche da Auronzo <strong>di</strong> Cadore, con evidenti tratti <strong>di</strong><br />

‘romanità’, nello stesso clima – mutatis mutan<strong>di</strong>s – <strong>di</strong> romanizzazione avvenuta e<br />

reviviscenza della tra<strong>di</strong>zione preromana 34 .<br />

Tornando alla nostra questione, una base locale preromana in cui dovrebbe<br />

inserirsi la ‘creazione’ <strong>di</strong> kalatric- non ammette una cronologia troppo bassa o,<br />

31<br />

In un co<strong>di</strong>ce cassinese con ante quem al 800 d.C., a quanto pare <strong>di</strong> un ramo stemmatico <strong>di</strong>verso dal<br />

(precedente del) Farnesiano.<br />

32<br />

Comunque si pensi sul grado <strong>di</strong> autenticità del culto arvalico, pare evidente, più ancora che certo, che<br />

il suo rinascere fra 31 e 29 a.Cr. con progressivo incremento è un segno indubbio della sua posizione<br />

politica, ben evidenziata, a partire dagli anni ’70, negli scritti <strong>di</strong> John Scheid. Per mio conto sarei più<br />

ra<strong>di</strong>cale per quanto concerne il carmen e, con esso, il culto arvalico come augusteo: ne ho parlato in<br />

se<strong>di</strong> pubbliche a partire dal 1978, ma lo scritto è tuttora ine<strong>di</strong>to.<br />

33<br />

PROSDOCIMI 1984.<br />

34<br />

Sulla possibilità <strong>di</strong> operazione ‘ideologica’ ad Auronzo e aree circostanti cfr. PROSDOCIMI 2006b, pp.<br />

147-202.


274 MARGHERITA TIRELLI, GIOVANNELLA CRESCI MARRONE, ALDO LUIGI PROSDOCIMI<br />

quanto meno, si devono spiegare le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> una sopravvivenza con<br />

affioramento, come è il caso delle iscrizioni <strong>di</strong> Auronzo. Ma c’è una <strong>di</strong>fferenza<br />

fondamentale: il ‘caso Auronzo’ offre una evidenza <strong>di</strong> continuità venetica in epoca<br />

talmente tarda, per cui la situazione ermeneutica si rovescia, perché il ‘caso<br />

Auronzo’ non ha necessità <strong>di</strong> ipotizzare un quadro <strong>di</strong> possibilità, bensì, al contrario,<br />

la sua evidenza impone <strong>di</strong> ripensare le con<strong>di</strong>zioni storiche che vi sottostanno, che<br />

esistono per definizione per l’evidenza del fatto documentale. Nel nostro caso per<br />

una kalatric- sarebbe vero il contrario; l’unica evidenza è un factum che porta alla<br />

romanità, però ad una romanità anomala, così da dover ricorrere ad una spiegazione<br />

postulando un possibile, ma astratto quadro storico; il quadro storico è una necessità<br />

logica, ma qui è l’inverso dell’evidenza: è una incognita su cui si possono fare<br />

supposizioni <strong>di</strong> possibilità. Non è propriamente un circolo vizioso, ma ci siamo<br />

prossimi; si evita il circolo vizioso solo lasciando aperte le eventualità esplicative e,<br />

in ciò, graduando la significatività delle anomalie documentali presenti<br />

nell’iscrizioni, secondo come si presentano in rapporto a un ventaglio <strong>di</strong> ragioni<br />

causali del loro essere.<br />

Di queste anomalie documentali, kalatric- sarebbe il centro, ma quello che lo<br />

circonda e/o vi è correlato va parimenti considerato. Oltre a quello che si è<br />

anticipato sul rapporto sintattico e pragmatico <strong>di</strong> kalatric- rispetto a ciò che<br />

imme<strong>di</strong>atamente precede, Marcellae [ ]iae, va ripreso anche il più generale contesto<br />

epigrafico: ciò a partire dalla lacuna che precede ]iae, e cioè, prima ancora <strong>di</strong> una<br />

sua integrazione, va ricercato il perché <strong>di</strong> essa lacuna, che non pare dovuta a un fatto<br />

accidentale come nelle normali corrosioni e/o degradazioni (v. sopra la ricognizione<br />

epigrafica), fino al collegamento con la decorazione e la potenziale significatività<br />

iconografica del monumento soprastante, che è il ‘protagonista’ della de<strong>di</strong>ca<br />

sottostante.<br />

Concludo con una non chiusura per quanto concerne le prospettive che mi si<br />

sono presentate, e che ho esposto quasi currenti calamo. Come anticipato sopra,<br />

ritengo che l’ipotesi meno irragionevole sia quella <strong>di</strong> una ka(n)tatric-, ma lascio ad<br />

altri ulteriori approfon<strong>di</strong>menti ed una eventuale vera conclusione.<br />

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Torun.


‘DOMO TRUMPLIA’ IN UN’ISCRIZIONE MILITARE DI BULGARIA E<br />

INTORNO A CIL, V, 4923<br />

Alfredo Valvo<br />

Aetio Buchi, amico rarissimo, immuni novissimo<br />

In un momento imprecisabile, presso l’antica Oescus, <strong>nella</strong> provincia della<br />

Mesia Inferiore (od. Gigen, <strong>nella</strong> Bulgaria nord-occidentale), venne rinvenuto in<br />

prossimità del fiume omonimo (od. Iskr) un epitafio, oggi perduto, il cui testo è<br />

stato conservato da due apografi 1 . Il testo dell’iscrizione è il seguente: L(ucius)<br />

Plinius Sex(ti) f(ilius), / Fab(ia tribu), domo / Trumplia, / mil(es) leg(ionis) XX, /<br />

annorum XLV, / stipen<strong>di</strong>orum XVII, / hic situs est. / Testamento fieri / iussit. /<br />

Secundus / L(uci) Plin(i) et P(ubli) Mestri / libertus fecit. Un miles della legio XX,<br />

Lucius Plinius, con<strong>di</strong>vise col commilitone Publius Mestrius tanto il servizio <strong>nella</strong><br />

stessa legione quanto i servizi del liberto Secundus, che <strong>di</strong>venne il suo esecutore<br />

testamentario. Publius Mestrius – se, come credo, è da identificare col veterano del<br />

quale si è rinvenuto l’epitafio vicino a Zanano (me<strong>di</strong>a Val Trompia, prov. <strong>di</strong><br />

Brescia) 2 – ebbe maggior fortuna e rientrò in patria, dove concluse la sua esistenza.<br />

L’iscrizione che lo ricorda è attualmente conservata murata <strong>nella</strong> parete<br />

settentrionale dell’aula me<strong>di</strong>ana del Capitolium bresciano.<br />

L’età alla quale risalgono le iscrizioni <strong>di</strong> Oescus e <strong>di</strong> Zanano – quest’ultima<br />

evidentemente <strong>di</strong> qualche anno più tarda – è quella <strong>di</strong> Augusto e <strong>di</strong> Tiberio, come<br />

suggeriscono l’assenza del cognomen <strong>di</strong> Plinius e <strong>di</strong> quello della XX legione, e la<br />

presenza <strong>di</strong> questa in Illirico fino al 9 d.C. Il Ritterling 3 preferisce questa ipotesi <strong>di</strong><br />

datazione ad un’altra, più risalente ma possibile, al tempo della campagna <strong>di</strong> M.<br />

Licinio Crasso sul basso Danubio, conclusasi felicemente nel 29 a.C. e della quale<br />

siamo informati da Cassio Dione 4 .<br />

1 CIL, III, 7452 = ILS, 2270.<br />

2 CIL, V, 4923 = InscrIt, X, V, 1148. Il testo è il seguente: (Gaius) Mestrius / (Gai) f(ilius) Fabia<br />

(tribu) / veteranus leg(ionis vicesimae) / t(estamento) f(ieri) i(ussit) / et Esdroni Canginai / qum<br />

habuit pro / uxore, vivos vivae fier[i] / rogavit.<br />

3 RITTERLING 1925, cc. 1770-1771. Gli anni 6-9 d.C. sono gli anni della rivolta in Pannonia.<br />

4 CASS. DIO 51,25,1.


280 ALFREDO VALVO<br />

Nel testo dell’iscrizione <strong>di</strong> Oescus è in<strong>di</strong>cata l’origo del soldato, come<br />

avviene frequentemente negli epitafi <strong>di</strong> militari, ma in una forma singolare e senza<br />

altri riscontri: domo Trumplia.<br />

L’elevato numero <strong>di</strong> legionari provenienti da Brescia e dal suo territorio – se<br />

ne conoscono una cinquantina – permette un confronto agevole, anche tenendo<br />

conto della cronologia delle iscrizioni, da ascrivere in prevalenza al I secolo d.C. I<br />

legionari bresciani in<strong>di</strong>cano la propria origo <strong>nella</strong> forma più corrente: domo Brixia,<br />

con alcune varianti, quasi sempre imputabili all’ortografia scadente, come Brixxie 5 ,<br />

Brixsia 6 , Brixsiae 7 , Brixiae 8 . I Camunni per in<strong>di</strong>care la loro provenienza ricorrono<br />

all’aggettivo Camunnus 9 , ma non sappiamo come in<strong>di</strong>cassero la propria origo prima<br />

della naturalizzazione e la conseguente ascrizione alla Quirina. L’unico legionario<br />

sicuramente proveniente dalla Val Trompia, anch’egli naturalmente ascritto alla<br />

Fabia, <strong>di</strong>chiara la propria origo come si è detto: domo Trumplia. L’in<strong>di</strong>cazione che<br />

ci saremmo aspettati è anche in questo caso domo Brixia, data l’adtributio dei<br />

Trumplini 10 a Brescia.<br />

Solitamente domus, nell’accezione <strong>di</strong> origo, è seguita dal nome della località<br />

<strong>di</strong> provenienza; se l’in<strong>di</strong>cazione dell’origo del legionario trumplino seguisse questa<br />

regola, e ammettendo che derogasse dall’in<strong>di</strong>cazione domo Brixia, si dovrebbe<br />

concludere che Trumplia fosse un toponimo, ma <strong>di</strong> ciò non abbiamo alcuna notizia,<br />

sebbene ci siano noti altri toponimi della Val Trompia in età romana come<br />

Gen(n)anum, od. Zanano, Vobenum, od. Bòvegno. Anche un illustre personaggio<br />

pressoché contemporaneo <strong>di</strong> Lucius Plinius, il princeps Trumplinorum Staius<br />

Esdragassi f(ilius) 11 , si definisce Vobenas, cioè <strong>di</strong> Vobenum, che anche per questo<br />

sembra essere stato il centro <strong>di</strong> maggiore importanza dei Trumplini. Inoltre gli<br />

abitanti della Val Trompia erano chiamati ora Triumpilini 12 ora Trumpilini 13 o<br />

Trumplini 14 ; solo in un caso sono chiamati Trumpli 15 . C’è quin<strong>di</strong> da immaginare che<br />

da Trumpli <strong>di</strong>scendano tanto Trumplia quanto Trumplini.<br />

Credo che, data la nostra non scarsissima conoscenza della toponomastica<br />

romana, si possa escludere l’esistenza <strong>di</strong> un centro della Val Trompia chiamato<br />

Trumplia. Sono invece più probabili due ipotesi: la prima è che un impiego troppo<br />

accentuato o esteso del termine domus, nel senso <strong>di</strong> ‘patria’, abbia indotto l’impiego<br />

<strong>di</strong> un aggettivo, Trumplius/a - conservato soltanto dalla Tabula Peutingeriana ma<br />

sicuramente in uso parallelamente al più noto e corrente Tr(i)ump(i)lini - che<br />

5 Inscr. Més. Sup., II, pp. 118-119, n. 88; cfr. GREGORI 1999, p. 329 (A, 226, 006b).<br />

6 CIL, III, 14997, 2, cfr. ILJug, 2813; RIB, I, 538, cfr. GREGORI 1999, p. 335 (D, 140).<br />

7 CIL, III, 8733.<br />

8 CIL, III, 14946.<br />

9 AE 1978, 777; «Österreichisches Jahrbuch», 29, 1935, c. 305 n. 189.<br />

10 Forma preferibile, come vedremo subito, a Triumpilini. Sull’adtributio <strong>degli</strong> abitanti della Val<br />

Trompia alla colonia civica Augusta Brixia non mi soffermo, essendo generalmente riconosciuta<br />

(infra).<br />

11 CIL, V, 4910 = InscrIt, X, V, 1133.<br />

12 PLIN. nat. 3,134; 136, ma con la correzione del Mommsen, CIL , V, p. 515.<br />

13 Cfr. il c.d. Tropaeum Alpium, CIL, V, 7817: [T]rumpili[ni]; AE 1982, 892, o: 1Jnouj /<br />

TrounpeilÏ[n] da Aphro<strong>di</strong>sias <strong>di</strong> Caria.<br />

14 CIL, V, 4910, cfr. p. 515 = ILS, 847 = InscrIt, X, V, 1133; CIL, V, 4310 = InscrIt, X, V, 87; CIL, V,<br />

4313 = InscrIt, X, V 90.<br />

15 TAB. PEUT. 4, 1.


‘DOMO TRUMPLIA’ IN UN’ISCRIZIONE MILITARE DI BULGARIA 281<br />

nell’epitafio <strong>di</strong> Lucius Plinius in<strong>di</strong>ca più l’appartenenza ad un popolo che la località<br />

d’origine; la seconda ipotesi, meno probabile dal momento che non rientra nell’uso<br />

corrente, è che col nome Trumplia fosse in<strong>di</strong>cata già l’intera valle. In entrambi i casi<br />

si coglie un richiamo all’antica unità, con<strong>di</strong>visa da Publius Mestrius, che tuttavia<br />

non la <strong>di</strong>chiara nel proprio epitafio; essa suonava come l’orgogliosa riaffermazione<br />

della propria identità, interrotta soltanto pochi anni prima da Augusto.<br />

Qualche cosa c’è da <strong>di</strong>re anche su Lucius Plinius. La morte deve averlo colto<br />

durante la rivolta scoppiata in Pannonia mentre era governatore dell’Illirico Valerio<br />

Messalino (6-9 d.C.); intorno ad essa siamo informati da Velleio Patercolo (2,112):<br />

(Messalinus) praepositus Illyrico subita rebellione cum semiplena legione vicesima<br />

circumdatus hostili exercitu amplius viginti milia hostium fu<strong>di</strong>t fugavitque, e da<br />

Cassio Dione 16 . Conclusa la campagna, la legione XX venne trasferita sul Reno –<br />

sicuramente in seguito alla clades Variana – dove rimase fino al 43, e poi in<br />

Britannia, dove si sarebbe guadagnata l’epiteto <strong>di</strong> Valeria Victrix 17 .<br />

Il legionario Lucius Plinius al momento della morte aveva 45 anni e militava<br />

da 17: aveva perciò superato <strong>di</strong> un anno il limite dei 16 anni <strong>di</strong> servizio fissato da<br />

Augusto nel 13 a.C. 18 . Lucio doveva essere nato fra il 39 e il 36 ed era stato<br />

arruolato a 28 anni, fra l’11 e l’8 a.C. Inoltre Sextus, suo padre, doveva godere del<br />

<strong>di</strong>ritto latino o ad<strong>di</strong>rittura della citta<strong>di</strong>nanza se era stato arruolato come legionario,<br />

cosa del tutto possibile dato l’intenso arruolamento effettuato da Cesare nell’Italia<br />

Transpadana. Infatti, il praenomen Sextus non consente <strong>di</strong> escluderne la con<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong> peregrinus, ma il padre <strong>di</strong> Lucio potrebbe aver goduto da un certo momento in poi<br />

almeno della Latinitas, stando a quanto scrive Plinio <strong>nella</strong> Naturalis Historia (3,133<br />

sg.): Alpium Latini iuris Euganeae gentes, quarum oppida XXXIV enumerat Cato.<br />

Ex his Triumpilini, venalis cum agris suis populus, dein Camunni conpluresque<br />

similes finitimis adtributi municipiis. Rimane sempre incerto se Plinio faccia<br />

riferimento al suo tempo o restituisca, come è più probabile, una situazione ‘storica’.<br />

I Trumplini acquisirono la citta<strong>di</strong>nanza romana più tar<strong>di</strong>: come adtributi godevano<br />

<strong>di</strong> uno stato giuri<strong>di</strong>co inferiore rispetto a quello dei Bresciani, i quali acquisirono la<br />

citta<strong>di</strong>nanza – come gli altri Transpadani – nel 49 a.C. o, forse più probabilmente,<br />

fra il 51 e il 50 19 ; in seguito, non si hanno notizie circa l’estensione della<br />

citta<strong>di</strong>nanza alle popolazioni adtributae, sebbene essa potesse essere stata concessa<br />

a singoli in<strong>di</strong>vidui, quasi sempre per ragioni connesse col servizio militare, come era<br />

avvenuto per Lucio Plinio.<br />

Una possibile conferma che una parte dei Trumplini erano rimasti ancora <strong>nella</strong><br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> peregrini al tempo del ritorno in patria <strong>di</strong> Publius Mestrius, il<br />

compagno d’armi <strong>di</strong> Lucius Plinius, viene dal nome della donna – Esdro Cangina,<br />

presumibilmente anch’essa originaria della Val Trompia – che Mestrius habuit pro<br />

uxore dopo essere ritornato <strong>nella</strong> sua terra d’origine, probabilmente Gennanum<br />

(Zanano). Con Esdro egli non avrebbe potuto stabilire un vincolo matrimoniale per<br />

il <strong>di</strong>fferente stato giuri<strong>di</strong>co, cosicché fece ricorso all’espressione ‘pro uxore habuit’<br />

per conferire <strong>di</strong>gnità quasi matrimoniale al suo legame con Esdro Cangina (si<br />

16<br />

CASS. DIO 55,30,2.<br />

17<br />

RITTERLING 1925, cc. 1780-1781. Sulla XX Valeria Victrix: KEPPIE 2000, pp. 25-37.<br />

18<br />

CASS. DIO 54,25,6.<br />

19<br />

SORDI 1995, pp. 207-208; VALVO 2002a, pp. 63-68.


282 ALFREDO VALVO<br />

trattava più propriamente <strong>di</strong> ‘concubinato’). Né si può <strong>di</strong>menticare che dopo le<br />

guerre alpine <strong>di</strong> Augusto, che interessarono duramente le popolazioni montane delle<br />

alte valli bresciane, abitate da Camunni e Trumplini, questi ultimi furono <strong>di</strong>chiarati<br />

venales cum agris suis 20 per aver dato più filo da torcere ai Romani <strong>degli</strong> altri.<br />

Lucius Plinius era stato arruolato pochi anni dopo che la guerra condotta da<br />

Augusto contro le popolazioni alpine si era conclusa con la minacciata riduzione in<br />

servitù delle popolazioni della Val Trompia (era il 16 a.C.). Il richiamo alla domus<br />

Trumplia, secondo l’interpretazione proposta sopra, lascia presumere che anche i più<br />

romanizzati fra i Trumplini – e tra questi doveva esserci Lucius – continuassero a<br />

riconoscersi <strong>nella</strong> comunità <strong>di</strong> origine, come credo si possa affermare, a maggior<br />

ragione, anche per il princeps Trumplinorum Staius Esdragassi f., menzionato<br />

sopra 21 .<br />

C’è da <strong>di</strong>re ancora qualcosa sullo stato giuri<strong>di</strong>co <strong>di</strong> Lucio e sul nomen,<br />

Plinius, assai raro e noto nel Bresciano in un solo caso, quello della liberta Plinia<br />

Hermione 22 , e altrove in pochi casi, quasi tutti <strong>di</strong> liberti, a Pola, Milano, Lecco,<br />

Clusone, Tortona e basso Piemonte. Se, come pare probabile, Lucio godeva del<br />

<strong>di</strong>ritto latino o ad<strong>di</strong>rittura della citta<strong>di</strong>nanza al momento della nascita, il padre Sextus<br />

doveva aver sposato una donna <strong>di</strong> pari stato giuri<strong>di</strong>co o aver ricevuto, se godeva<br />

della citta<strong>di</strong>nanza romana, il conubium, che consentiva alla prole <strong>di</strong> godere del<br />

<strong>di</strong>ritto romano e che venne istituzionalizzato da Clau<strong>di</strong>o come concessione ai<br />

veterani ausiliari al momento del congedo 23 . Il nostro caso costituirebbe un<br />

precedente del provve<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o del quale si conoscono altri esempi, come<br />

la concessione, assai probabile, del conubium ai veterani delle colonie fondate in<br />

Asia Minore in età augustea, in particolare Antiochia <strong>di</strong> Pisi<strong>di</strong>a 24 . Comunque, Lucio<br />

poteva aver ere<strong>di</strong>tato <strong>di</strong>rettamente dal padre Sextus il nomen Plinius.<br />

Disattendo per un attimo l’impegno <strong>di</strong> non spingermi oltre il naturale confine<br />

<strong>di</strong> un simile lavoro – Garzetti avrebbe ammonito: Cave, ne audacius conicias! – ma<br />

c’è poco altro da aggiungere.<br />

Prima dei celebri Plinii comensi, a nostra conoscenza un solo Plinius – L.<br />

Plinius L. f. Rufus – lasciò traccia <strong>di</strong> sé. Egli è conosciuto attraverso l’iscrizione<br />

ILLRP, 426 (= ILS, 8891) 25 rinvenuta a Lilybaeum (od. Marsala) <strong>nella</strong> quale il nome<br />

<strong>di</strong> Plinio è avvicinato a quello <strong>di</strong> Magnus Pompeius Magni f. Pius, cioè Sesto<br />

Pompeo, in occasione della fortificazione della città (portam et turres) che egli<br />

aveva portato a compimento <strong>nella</strong> sua qualità <strong>di</strong> legatus pro praetore e praetor<br />

designatus; a Lilybaeum egli venne asse<strong>di</strong>ato da Lepido: siamo fra il 39 e il 36 a.C.<br />

Plinio finì per arrendersi a Lepido dopo essersi rifugiato a Messina. Delle notizie<br />

intorno a queste vicende la fonte è Appiano, nel V libro delle Guerre Civili (97,405;<br />

98,408; 122,505 sgg.).<br />

20 PLIN. nat. 3,134 (vd. pagina precedente, nel testo).<br />

21 VALVO 2002b, pp. 194-195.<br />

22 CIL, V, 4675 = InscrIt, X, V, 482.<br />

23 Su questo: VALVO 2001, pp. 151-167; VALVO 2003, pp. 173-184.<br />

24 VALVO 2007, pp. 153-154.<br />

25 Il testo è il seguente: Mag(no) Pompeio Mag(ni) f(ilio) Pio imp(eratore), augure, / co(n)s(ule)<br />

des(ignato), / por[ta]m et turres / L(ucius) Plinius L(uci) f(ilius) Rufus leg(atus) pro pr(aetore),<br />

pr(aetor) des(ignatus), f(aciendas) c(uravit).


‘DOMO TRUMPLIA’ IN UN’ISCRIZIONE MILITARE DI BULGARIA 283<br />

È suggestivo notare l’identità del nome del legionario trumplino L. Plinius e<br />

<strong>di</strong> quello del legato <strong>di</strong> Pompeo; la coincidenza del praenomen Sextus con quello <strong>di</strong><br />

Pompeo (considerando anche il legame clientelare che univa le popolazioni<br />

dell’Italia settentrionale a Pompeo, prima <strong>di</strong> passare a Cesare); infine il possibile<br />

sincronismo delle vicende narrate da Appiano sia con la nascita <strong>di</strong> Lucio che,<br />

probabilmente, col servizio militare <strong>di</strong> Sesto. Ma tutto questo non consente <strong>di</strong><br />

avanzare altre ipotesi.<br />

In conclusione emergono solo alcuni dati che sembrano accettabili con<br />

sicurezza.<br />

Fra i Trumplini, bellicosa e irriducibile popolazione alpina, alcuni avevano<br />

acquisito la citta<strong>di</strong>nanza per poter essere arruolati come legionari prima che essa<br />

venisse estesa a tutte le popolazioni dell’Italia Transpadana. Ciò doveva essere<br />

avvenuto già con Cesare, che aveva reclutato le sue legioni migliori in questo<br />

territorio, o al più tar<strong>di</strong> in età triumvirale, periodo nel quale è probabile che avesse<br />

prestato servizio militare Sesto, il padre <strong>di</strong> Lucio Plinio. Quando i Trumplini,<br />

sconfitti con fatica dai Romani, furono inseriti fra le genti devictae, come appare nel<br />

tropaeum Alpium e nell’iscrizione proveniente da Afro<strong>di</strong>sia <strong>di</strong> Caria 26 , alcuni <strong>di</strong> loro<br />

avevano già servito o servivano ancora sotto le insegne romane, e tale reclutamento<br />

sarebbe continuato, come <strong>di</strong>mostra la storia <strong>di</strong> L. Plinio e P. Mestrio. Dunque la<br />

romanizzazione delle popolazioni alpine era già in atto e non si sarebbe interrotta<br />

neppure con la cruenta e faticosa conquista dell’alta valle, dove si presume che si<br />

attestasse la resistenza dei Trumplini. Lì dovevano essere concentrate tribù ancora<br />

prive <strong>di</strong> un contatto stabile con la civiltà romana.<br />

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settembre 2006), a cura <strong>di</strong> G. URSO, Pisa, pp. 151-163.


SEZIONE 2<br />

INSTRVMENTVM


UN CONTENITORE PER MIELE DA TRIDENTVM<br />

Cristina Bassi<br />

Protinus aërii mellis caelestia dona exsequar… (VERG. georg. 4,1-2)<br />

È noto come l’uso del miele fosse molto <strong>di</strong>ffuso nel mondo antico. Per quanto<br />

riguarda l‘età romana il suo impiego era generalizzato in ambito alimentare per le<br />

sue proprietà dolcificanti e conservanti, ma le sue qualità erano particolarmente<br />

apprezzate anche nel campo della me<strong>di</strong>cina e della cosmesi in generale, nonché,<br />

pare, nelle pratiche funerarie, come ad esempio nell’imbalsamazione dei defunti 1 .<br />

Per gli usi gastronomici le fonti ricordano più tipi <strong>di</strong> miele; l’E<strong>di</strong>tto <strong>di</strong><br />

Diocleziano ne <strong>di</strong>stingue tre: quello definito optimum o flos, il più pregiato, quello <strong>di</strong><br />

seconda scelta, e quello denominato foenicinus, decisamente più scadente 2 . Di gran<br />

fama era quello proveniente dalla Grecia, in particolare quello dell’Hymettus 3 , ma<br />

anche <strong>di</strong> Creta 4 , ritenuti tra i migliori; tra i pregiati era considerato il miele prodotto<br />

ad Hybla, in Sicilia 5 .<br />

L’apicoltura doveva essere una pratica molto <strong>di</strong>ffusa e sicuramente red<strong>di</strong>tizia;<br />

ad essa de<strong>di</strong>cano ampio spazio gli scrittori <strong>di</strong> agricoltura come Varrone, Columella e<br />

Plinio, ma note sull’argomento si trovano anche in Virgilio, dove sono riportate<br />

numerose descrizioni circa l’apicoltura e le sue modalità 6 . Dell’importanza della<br />

produzione del miele nell’ambito della attività della villa abbiamo delle in<strong>di</strong>cazioni<br />

nell’iscrizione <strong>di</strong> Henschir-Mettich risalente al 116-117 d.C. 7 in cui, facendo<br />

riferimento alla lex Manciana – un provve<strong>di</strong>mento giuri<strong>di</strong>co secondo alcuni risalente<br />

ad<strong>di</strong>rittura all’epoca cesariana 8 – <strong>nella</strong> <strong>di</strong>visione partiaria dei prodotti appare accanto<br />

a grano, orzo, fave, vino, olio, anche il miele. La raccolta del miele ed altri derivati<br />

della produzione delle api era pertanto strettamente connessa all’attività della villa<br />

* Nelle more <strong>di</strong> stampa è uscito il volume R. BORTOLIN, Archeologia del miele, Mantova 2008, dove si<br />

fa menzione anche <strong>di</strong> questo reperto.<br />

1<br />

Per l’uso del miele nell’antichità si vedano LAFAYE 1904; BALANDIER 1993; BORTOLIN 2008; per<br />

l’uso nelle tecniche d’imbalsamazione CHIOFFI 1998; BARATTO 2005, p. 147.<br />

2<br />

EDICT. Diocl. III,10-12.<br />

3<br />

MART. 13,104.<br />

4<br />

PLIN. nat. 11,3.5.<br />

5<br />

MART. 13,105.<br />

6<br />

Sull’argomento si veda PASQUINUCCI 2002, pp. 166-169; BORTOLIN 2008, pp. 53-99.<br />

7<br />

CIL, VIII, 25902.<br />

8<br />

Su questo importante testo si vedano GIRARD 1913, pp. 870-874; GSELL 1920-1930, VII, p. 86; VIII,<br />

p. 167.


288 CRISTINA BASSI<br />

rustica; all’interno dell’area occupata da quest’ultima le arnie venivano collocate in<br />

aree ben riparate, in particolare nei settori porticati. Sebbene descritta dagli autori<br />

antichi tale attività non sembra essere <strong>di</strong>ffusa nell’iconografia romana 9 ; mentre, al<br />

contrario, l’ape, anche per il suo valore simbolico 10 , risulta riprodotta<br />

abbondantemente (fig. 1).<br />

Contrariamente a quanto accertato per il vino, l’olio ed il garum, citando gli<br />

esempi più noti, la grande richiesta <strong>di</strong> miele non pare avere determinato la creazione<br />

<strong>di</strong> contenitori specifici destinati al trasporto <strong>di</strong> questa sostanza, ma piuttosto<br />

l’utilizzo <strong>di</strong> forme già <strong>di</strong>ffuse e originariamente prodotte per altri alimenti 11 .<br />

Fig. 1. Ape. E<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> Eumachia (Pompei) (da JASHEMSKI, MAYER 2002).<br />

La presenza <strong>di</strong> miele in anfore o contenitori simili durante l’epoca romana è<br />

attestata a Malta 12 , a Port-la-Nautique (Narbonne) 13 e a Pompei 14 oppure in un<br />

esemplare <strong>di</strong> lagona rinvenuto a Saintes in Aquitania 15 sulla quale si trova però<br />

scritto che la porzione <strong>di</strong> miele presente è stata aggiunta come ad<strong>di</strong>tivo,<br />

probabilmente al vino. Testimonianze si posseggono anche a Vindonissa 16 e a Classe<br />

dove un graffito in lingua greca presente su <strong>di</strong> un’anfora bizantina specifica che il<br />

9 A me è nota solo la presenza della raffigurazione <strong>di</strong> un’arnia su <strong>di</strong> un bassorilievo citato in MOREL<br />

1877, p. 304, fig. 359; ora da integrare con BORTOLIN 2008, p. 64, figg. 24-25.<br />

10 MOREL 1877, p. 305; CHEVALIER, GHEERBRANT 1986, pp. 72-74; MASPERO 1997, pp. 32-37.<br />

11 Sull’argomento si vedano BORTOLIN, BRUNO 2006, pp. 114-118; BORTOLIN 2008, pp. 101-133.<br />

12 In esemplari <strong>di</strong> LRA2: CIASCA 1964, p. 56, tav. 19.1 citato in BORTOLIN, BRUNO 2006, pp. 118-119 a<br />

cui si deve anche l’identificazione della tipologia dell’anfora.<br />

13 In Cretese 3: LIUO 1993, p. 137, fig. 3; AE 1993, 1167; MARANGOU LERAT 1995, pp. 83, 101 citati in<br />

BORTOLIN, BRUNO 2006, p. 119.<br />

14 CIL, IV, 6489 (su tipo Pompei X), 5742 (su tipo Schöne-Mau XIV), 5740, 5741, 9421 (su tipi non<br />

identificabili; per CIL, IV, 9421 si veda STEFANI 2003, pp. 222-223).<br />

15 CIL, XIII, 10008, 43; un’analisi dettagliata sull’esistenza <strong>di</strong> contenitori specifici per il miele in<br />

Spagna è in URIEL 1992, pp. 328-332.<br />

16 CALLENDER 1965, p. 40, 319, fig. 22, citato anche da BORTOLIN, BRUNO 2006, p. 120.


UN CONTENITORE PER MIELE DA TRIDENTVM 289<br />

contenitore era destinato al miele 17 . In tutti i casi si pensa ad un uso secondario <strong>di</strong><br />

anfore altrimenti destinate al trasporto <strong>di</strong> vino, olio o, meno verosimilmente, al<br />

garum.<br />

Tale ipotesi sembra trovare conferma nei<br />

rinvenimenti del Magdalensberg, dove contenitori<br />

sicuramente <strong>di</strong> produzione italica dovevano,<br />

invece, stando ai graffiti che si trovano incisi 18 ,<br />

contenere miele <strong>di</strong> buona qualità (fig. 2). A questo<br />

proposito è interessante notare che, come ci<br />

ricorda Strabone 19 , il miele era una produzione<br />

tipica del Norico e, stando sempre al medesimo<br />

autore, normalmente scambiata con le popolazioni<br />

della pianura poste a sud delle Alpi. Un’ipotesi <strong>di</strong><br />

impiego secondario si potrebbe proporre anche per<br />

un esemplare <strong>di</strong> Lamboglia 2 rinvenuto a Padova<br />

con graffito MII, ma in questo caso i dati sono <strong>di</strong><br />

più incerta interpretazione 20 . Del trasporto a vasto<br />

raggio, specificatamente dalla Sicilia a Pompei, <strong>di</strong><br />

miele in “urnalia”, cioè un tipo <strong>di</strong> contenitore<br />

normalmente per acqua o liqui<strong>di</strong> in generale ma<br />

anche per altre sostanze, della capacità <strong>di</strong> un’urna,<br />

corrispondente a mezza anfora, abbiamo<br />

testimonianza da una iscrizione su tavoletta<br />

appartenente all’archivio puteolano dei Sulpicii 21 .<br />

Il contenitore era giunto su <strong>di</strong> una nave insieme ad<br />

un carico <strong>di</strong> anfore <strong>di</strong> vino e sottoprodotti del vino<br />

ed evidentemente, nel caso specifico, il miele<br />

serviva come ad<strong>di</strong>tivo 22 . Infine, anche nelle Tavole<br />

<strong>di</strong> Vindolanda, in un resoconto commerciale è<br />

citato l’acquisto da parte <strong>di</strong> un certo Gavo <strong>di</strong> alcuni<br />

mo<strong>di</strong>i <strong>di</strong> miele 23 .<br />

Accanto al commercio dei tipi più<br />

apprezzati esisteva certamente una produzione<br />

locale che doveva sod<strong>di</strong>sfare in gran parte la<br />

notevole richiesta quoti<strong>di</strong>ana. In tal caso si può<br />

immaginare che il miele venisse <strong>di</strong>rettamente<br />

travasato in recipienti adatti alla sua conservazione<br />

nelle <strong>di</strong>spense delle case, come olle o contenitori<br />

simili sia in ceramica, sia in vetro. Una<br />

Fig. 2. Graffiti incisi su anfore<br />

italiche che ricordano il miele<br />

(Magdalensberg) (da MAIER-<br />

MAIDL 1992).<br />

Fig. 3. Graffito che ricorda il<br />

miele inciso su <strong>di</strong> un boccale in<br />

ceramica (Magdalensberg) (da<br />

SCHINDLER-KAUDELKA 1989).<br />

17<br />

FIACCADORI 1983, pp. 238-241, n. 23, citato anche da BORTOLIN, BRUNO 2006, p. 120.<br />

18<br />

MAIER-MAIDL 1992, pp. 110-111.<br />

19<br />

STRABO 4,6,8-10.<br />

20<br />

CIPRIANO 1992, p. 66, tav. 5 fig. 31.<br />

21<br />

CAMODECA 1999, 80.<br />

22<br />

Sulla lettura ed interpretazione <strong>di</strong> questo testo si veda da ultimo CAMODECA 1999, p. 184.<br />

23<br />

Tabulae Vindolandae, n. 85.010.b.


290 CRISTINA BASSI<br />

attestazione in tal senso potrebbe venire da un recente rinvenimento effettuato ad<br />

Arcole, in provincia <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>, dove un’olla trovata all’interno <strong>di</strong> un e<strong>di</strong>ficio rustico<br />

<strong>di</strong> età romana e datata alla prima età imperiale, è stata messa in relazione ad attività<br />

<strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta, senza peraltro escludere una eventuale produzione <strong>di</strong> miele nel contesto<br />

della villa stessa 24 . Dello smercio al minuto si ha invece testimonianza da un graffito<br />

presente su <strong>di</strong> un boccale (fig. 3), rinvenuto durante le ricerche nel Magdalensberg 25 .<br />

Per quanto riguarda il territorio Trentino, dove per l’età moderna l’apicoltura<br />

è un fenomeno economico affermato 26 , non si posseggono invece testimonianze<br />

specifiche relative al consumo <strong>di</strong> questa sostanza nell’antichità 27 , data anche la nota<br />

<strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare in traccia il miele. È comunque da supporre che anche<br />

durante l’epoca romana esistesse una produzione locale.<br />

Un recente rinvenimento, effettuato nel 1994 a Trento in piazza Bellesini/via<br />

Rosmini, sito in cui sono emerse importanti testimonianze relative ad un quartiere<br />

della città romana posto a ridosso della cinta urbica occidentale e all’a<strong>di</strong>acente<br />

suburbio 28 , ci testimonia ora la presenza <strong>di</strong> questa sostanza. Proprio nell’ area extra<br />

moenia, dove a partire dalla fine del I secolo d. C. – prima metà del II, vengono<br />

e<strong>di</strong>ficati importanti e<strong>di</strong>fici ad uso residenziale, da un livello <strong>di</strong> frequentazione<br />

imme<strong>di</strong>atamente antecedente alla costruzione <strong>di</strong> una <strong>di</strong> tali villae, è stata rinvenuta<br />

parte <strong>di</strong> un contenitore del quale si sono conservati due frammenti, non<br />

ricomponibili (fig. 4), caratterizzati da un impasto nocciola molto depurato e<br />

pertinenti rispettivamente ad un orlo ingrossato collegato ad un collo cilindrico ed<br />

una porzione <strong>di</strong> spalla. Le caratteristiche morfologiche ci suggeriscono possa<br />

trattarsi <strong>di</strong> un recipiente <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni me<strong>di</strong>o piccole, probabilmente un’anfora o<br />

un’anforetta, <strong>di</strong> cui però non mi è stato possibile, data l’esiguità della parte rimasta,<br />

determinare la tipologia.<br />

Fig. 4. Frammenti <strong>di</strong> contenitore in ceramica con graffito (Trento, piazza Bellesini/via<br />

Rosmini; rilievo <strong>di</strong> C. Conci).<br />

24 BORTOLIN, BRUNO 2006.<br />

25 SCHINDLER-KAUDELKA 1989, p. 67, tav. 50/21.<br />

26 Sullo sviluppo dell’apicoltura in area alpina si veda NIEDERER 1987, pp. 52-53.<br />

27 Neppure nel ben noto Ciclo dei Mesi <strong>di</strong> Torre Aquila a Trento, straor<strong>di</strong>nari affreschi risalenti al 1400<br />

attribuiti al maestro Venceslao e in cui, mese per mese, vengono pittoricamente raccontate le attività<br />

connesse all’ambito rurale, troviamo riprodotta una scena <strong>di</strong> apicoltura.<br />

28 Sulle indagini si vedano BASSI, ENDRIZZI 1996; BASSI, CIURLETTI, ENDRIZZI 1997. Sulla città romana<br />

in generale CIURLETTI 2000; BASSI 2005; EAD. 2007.


UN CONTENITORE PER MIELE DA TRIDENTVM 291<br />

Sulla porzione <strong>di</strong> spalla si trova una scritta graffita, eseguita con uno<br />

strumento appuntito sull’argilla cotta, <strong>di</strong>sposta su due linee (fig. 5). Quella superiore,<br />

molto più lacunosa, presenta lettere <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni maggiori, mentre quelle della r. 2<br />

sono più piccole e scritte con maggiore attenzione. Leggo: [- - -]A?PX[- - -] /<br />

MELLIS [- - -]. Delle lettere in r. 1 è rimasta solo la porzione inferiore per cui la mia<br />

lettura deve essere accolta in forma ipotetica. La prima potrebbe essere una X e<br />

quin<strong>di</strong> corrispondere ad una in<strong>di</strong>cazione numerica; tuttavia poiché l’asta obliqua <strong>di</strong><br />

sinistra non sembra proseguire oltre il punto d’incrocio con l’asta con andamento<br />

contrario la lettura non è sicura; è forse più probabile possa trattarsi invece <strong>di</strong> una A<br />

corsiva. La lettera successiva è identificabile come F o P, con maggiore probabilità<br />

P se la lettera che segue, <strong>di</strong> cui sono rimaste due porzioni <strong>di</strong> aste oblique che si<br />

incrociano, è da identificare con X. In tal caso la lettura sarebbe [- - -]a p(ondo) X.<br />

Se A possa essere vocale finale della ben nota definizione testa pondo, in<strong>di</strong>cativa<br />

della tara del contenitore, non saprei <strong>di</strong>re, in quanto normalmente, anche se esistono<br />

eccezioni, il termine testa è abbreviato alla lettera T; non è da escludere poi la<br />

possibilità che possa in<strong>di</strong>care il nome del contenitore, nel caso specifico potrebbe<br />

trattarsi <strong>di</strong> una [lagon]a o <strong>di</strong> un’ [amphor]a delle quale, correttamente, sul recipiente<br />

sarebbe stato in<strong>di</strong>cato il peso. L’uso <strong>di</strong> questi termini, sebbene spesso in forma<br />

abbreviata, risulta abbondantemente attestato in ambito epigrafico.<br />

Per la successiva r. 2 non mi pare invece esistano dubbi <strong>di</strong> lettura per il<br />

termine mellis caratterizzato da una M con aste laterali inclinate, la E resa con due<br />

linee verticali parallele, le consonanti L con lunghi ed eleganti bracci così come la S<br />

che appare ben sviluppata <strong>nella</strong> porzione inferiore. Doveva seguire una seconda<br />

parola <strong>di</strong> cui è rimasto solo il vertice superiore dell’asta della prima lettera.<br />

Se il termine mellis, dal nominativo mel-, veniva a specificare il contenuto del<br />

recipiente, appunto il miele, la parola successiva poteva in<strong>di</strong>care o la qualità oppure<br />

il peso <strong>di</strong> quest’ultimo.<br />

Il frammento <strong>di</strong> Trento, piazza Bellesini/via Rosmini, conferma, in modo oggettivo,<br />

l’impiego del miele <strong>nella</strong> Tridentum del I<br />

secolo d.C.-prima metà del II. La lacunosità<br />

del frammento non permette <strong>di</strong> definire se si<br />

tratta <strong>di</strong> una produzione locale, oppure <strong>di</strong> una<br />

qualità particolarmente pregiata proveniente<br />

da aree anche lontane. Tuttavia se, come<br />

pare, il contenitore in questione recava<br />

in<strong>di</strong>cata la tara è possibile che fosse una<br />

sostanza preziosa e destinata quin<strong>di</strong> ad un<br />

trasporto in contenitori adatti sebbene non<br />

specifici del caso. Significativo in tal senso è<br />

il fatto che il tipo <strong>di</strong> recipiente non trovi<br />

Fig. 5. Frammento <strong>di</strong> contenitore in<br />

ceramica con graffito (Trento,<br />

piazza Bellesini/via Rosmini) (foto<br />

Archivio Soprintendenza per i Beni<br />

Archeologici <strong>di</strong> Trento).<br />

attualmente confronto con altri rinvenuti in<br />

loco, fatto quest’ultimo che porterebbe ad<br />

ipotizzare un’importazione del medesimo da<br />

aree esterne.


292 CRISTINA BASSI<br />

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LE ANFORE DI SEXTUS IULIUS SEVERUS <br />

Chiara Belotti<br />

Nel vasto e articolato quadro delle produzioni delle anfore adriatiche, che<br />

grazie alle continue e sempre più approfon<strong>di</strong>te ricerche gradualmente si sta<br />

delineando 1 , tra le questioni che ancora meritano un approfon<strong>di</strong>mento vi è quella<br />

relativa alla presenza <strong>di</strong> bolli uguali su contenitori tipologicamente <strong>di</strong>fferenti 2 . Ne<br />

sono un esempio i marchi che ricorrono su Lamboglia 2 e Dressel 6A, a<br />

testimonianza <strong>di</strong> una linea evolutiva tra le due forme 3 , oppure quelli su Dressel 6A e<br />

anfore a fondo piatto 4 , che confermano la produzione nelle stesse officine <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse<br />

forme anforiche, come si è anche riscontrato nelle fornaci <strong>di</strong> Forlimpopoli, dove<br />

insieme a contenitori a fondo piatto venivano realizzate Dressel 2/4, presumibilmente<br />

per <strong>di</strong>stinguere <strong>di</strong>fferenti qualità <strong>di</strong> vino 5 .<br />

Forse ancora più interessanti, perché presenti su recipienti destinati al<br />

commercio <strong>di</strong> derrate alimentari eterogenee, sono quei bolli attestati sia su Dressel<br />

Con questo piccolo contributo desidero esprimere affetto e stima nei confronti del Prof. Ezio Buchi,<br />

che ho avuto la fortuna <strong>di</strong> avere come docente ai tempi <strong>degli</strong> stu<strong>di</strong> universitari: è anche grazie ai suoi<br />

insegnamenti se nel corso della mia formazione mi sono avvicinata all’affascinante mondo<br />

dell’instrumentum domesticum e in modo particolare allo stu<strong>di</strong>o dei contenitori da trasporto, che vede<br />

proprio <strong>nella</strong> sua persona uno dei primi maestri.<br />

Per la cortese collaborazione alla realizzazione <strong>di</strong> questo lavoro ringrazio Giuliana Cavalieri Manasse<br />

(Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, Nucleo Operativo <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>), Francesca<br />

Moran<strong>di</strong>ni (Museo Civico <strong>di</strong> Santa Giulia, Brescia) ed Eleni Schindler (Archäelogisher Park<br />

Magdalensberg).<br />

1 Le ricerche <strong>degli</strong> ultimi decenni hanno fornito una letteratura decisamente ampia riguardo alle<br />

produzioni adriatiche: in questa sede si farà riferimento solamente ai lavori più significativi e recenti, ai<br />

quali si rimanda per la precedente bibliografia. Per un quadro generale sulle anfore adriatiche si veda<br />

CARRE, PESAVENTO MATTIOLI 2003a; per le officine istriane, BEZECZKY 1998, TASSAUX 2001 e Loron<br />

2001; per la classificazione delle Dressel 6B CARRE, PESAVENTO MATTIOLI 2003b e per i contenitori<br />

apuli PALAZZO, SILVESTRINI 2001 e MANACORDA 2001. Le produzioni olearie dell’Alto Adriatico sono<br />

state <strong>di</strong> recente riesaminate in occasione del Seminario <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> “Olio e pesce in età romana:<br />

produzione e commercio nelle regioni dell’Alto Adriatico” (Padova, 16 febbraio 2007), i cui Atti sono<br />

ora in corso stampa.<br />

2 ZACCARIA 1989, p. 475.<br />

3 Si vedano per esempio i contenitori bollati dalla gens Hostilia, per i quali è stata ipotizzata una<br />

provenienza nor<strong>di</strong>talica (PESAVENTO MATTIOLI 2002), ma anche le anfore <strong>di</strong> L. Tarius Rufus, la cui<br />

origine sembrerebbe invece legata al Piceno (PESAVENTO MATTIOLI, ZANINI 1995, pp. 55-57).<br />

4 Su Dressel 6A e anfore a fondo piatto si ritrovano i marchi <strong>di</strong> Q. Ninnius Secundus e <strong>di</strong> Sex. Iulius<br />

Aequanus Lautus (CARRE 1985, pp. 235-241; CIPRIANO, CARRE 1989, pp. 89-90; BELOTTI 2004, pp. 36,<br />

38).<br />

5 Per le anfore prodotte a Forlimpopoli cfr. ALDINI 1993.


296 CHIARA BELOTTI<br />

6A che su Dressel 6B (rispettivamente destinate, com’è noto, al trasporto <strong>di</strong> vino e<br />

olio) 6 , per i quali è in programma una sistematica verifica, della quale si presenta un<br />

primo riscontro.<br />

L’indagine ha preso avvio dalle anfore bollate da Sex. Iulius Severus, note a<br />

Padova, <strong>Verona</strong>, Brescia, sul Magdalensberg e a Cartagine (cfr. tabella; figg. 1-2) 7 :<br />

in particolare si è proceduto alla verifica dell’esemplare veronese, unico contenitore<br />

della serie – ad eccezione <strong>di</strong> quello cartaginese del quale non si conosce la tipologia<br />

– classificato come Dressel 6B (fig. 1.1). L’autopsia non solo ha confermato<br />

l’identificazione tipologica proposta in precedenza 8 , ma ha anche permesso <strong>di</strong><br />

verificare l’identità dei punzoni usati per l’anfora <strong>di</strong> <strong>Verona</strong> (fig. 2.1) e per quella <strong>di</strong><br />

Padova (fig. 2.2), pur essendo quest’ultima una Dressel 6A (fig. 1.2); nell’anfora <strong>di</strong><br />

Brescia il marchio appare invece leggermente <strong>di</strong>verso, in quanto sia il nomen che il<br />

cognomen risultano abbreviati in <strong>di</strong>fferenti mo<strong>di</strong> (fig. 2.3) 9 .<br />

Oltre alla presenza dello stesso bollo, già <strong>di</strong> per sé in<strong>di</strong>ziaria dell’origine<br />

comune <strong>di</strong> questi recipienti, interessante è notare anche a livello morfologico una<br />

serie <strong>di</strong> corrispondenze tra le anfore prese in esame: se infatti si confronta il<br />

contenitore veronese con quelli rinvenuti a Brescia, Padova e al Magdalensberg<br />

(Dressel 6A) si nota una impostazione simile dell’orlo, del collo e delle anse,<br />

imputabile forse – si potrebbe azzardare – proprio al fatto che gli stessi officinatores<br />

erano preposti alla foggiatura <strong>di</strong> entrambe le forme.<br />

Nella prima metà del I secolo d.C., come suggeriscono le presenze <strong>di</strong> questi<br />

bolli nel grande deposito <strong>di</strong> <strong>Verona</strong> <strong>di</strong> età augustea e sul Magdalensberg, un Sex.<br />

Iulius Severus – la lettura del marchio appare infatti inequivocabile – doveva dunque<br />

essere coinvolto <strong>nella</strong> produzione <strong>di</strong> contenitori destinati alla commercializzazione<br />

dell’olio e del vino. Ma chi era il personaggio nominato in questi marchi?<br />

Un’iscrizione della Dalmazia ricorda un Sex. Iulius Severus, console suffetto nel 127<br />

d.C. e adottato da Cn. Minucius Faustinus, appartenente alla tribù Sergia, che<br />

tuttavia non può essere identificato con il proprietario della fabbrica, in quanto<br />

6 Nel 1989 C. Zaccaria segnalava i bolli “P. SEPVLLI P.F., PRIMVEBIDIENI, P. Q. SCAPVLAE, L.<br />

SALVI, e la serie FLAVFONT, T. FLAVFONTAN, FONTANI, FLAVFONTAN” (ZACCARIA 1989, p.<br />

475). A seguito <strong>di</strong> una recente indagine, si possono escludere le anfore bollate dagli Ebi<strong>di</strong>i e dagli<br />

Ebi<strong>di</strong>eni, in quanto riferibili tutte alla forma Dressel 6A (per questi contenitori, per i quali gli in<strong>di</strong>zi<br />

onomastici e la <strong>di</strong>stribuzione suggeriscono un’origine nor<strong>di</strong>talica, cfr. PESAVENTO MATTIOLI,<br />

BUONOPANE 2005). Altrettanto significativi risultano i bolli IVLI palma/PAVLINI, presenti su Dressel<br />

6A e su anfore con collo ad imbuto, oppure quelli relativi a C. Iuli Marcelli impressi su anfore a fondo<br />

piatto e con collo ad imbuto (CARRE, PESAVENTO MATTIOLI 2003a, p. 276).<br />

7 Per Padova cfr. Anfore romane a Padova 1992, p. 136, n. 228, tav. 17, figg. 97-98 (il riesame della<br />

documentazione ha portato alla rilettura del bollo, che risulta essere SEX.IVLI.SEVER). Per l’anfora <strong>di</strong><br />

<strong>Verona</strong>, rinvenuta nel grande apprestamento realizzato per la sistemazione della sponda dell’A<strong>di</strong>ge in<br />

età augustea, si veda BUCHI 1973, pp. 591-592, n. 94, tav. X, mentre per l’esemplare <strong>di</strong> Brescia BUCHI<br />

1975, pp. 254, 256, n. 3. Per il bollo del Magdalensberg cfr. MAIER-MAIDL 1992, pp. 87-88; per il<br />

marchio [---]VL.SEVE rinvenuto a Cartagine, CIL, VIII, 22637, 55. Inoltre, si segnala l’esistenza <strong>di</strong> un<br />

sigillo in bronzo (ora a Firenze) che riporta SEX. IVLI/ SEVERI (CIL, XI, 233).<br />

8 Sebbene il contenitore non si conservi integralmente, l’esame autoptico non lascia dubbi al fatto che si<br />

tratti <strong>di</strong> una Dressel 6B: l’orlo ad anello ingrossato e arrotondato e il profilo del collo e delle anse (alte<br />

non più <strong>di</strong> 18 cm) porterebbero a classificare tale anfora come “Dressel 6B <strong>di</strong> prima fase”, databile<br />

quin<strong>di</strong> tra la fine dell’epoca repubblicana e l’età augustea (CARRE, PESAVENTO MATTIOLI 2003b, cc.<br />

460-462).<br />

9 Il bollo <strong>di</strong> Cartagine [---]VL.SEVE potrebbe quin<strong>di</strong> essere simile a quello <strong>di</strong> Brescia.


LE ANFORE DI SEXTUS IULIUS SEVERUS 297<br />

cronologicamente troppo lontano 10 ; è comunque possibile che si tratti <strong>di</strong> un antenato<br />

omonimo 11 .<br />

Fig. 1. Le anfore <strong>di</strong> Sex. Iulius Severus. 1- <strong>Verona</strong>, h. cons. 28 cm<br />

(riproduzione dell’autrice). 2- Padova, h. cons. 42 (da Anfore romane a<br />

Padova 1992, fig. 97). 3- Brescia, h. cons. 90,5 cm (da BUCHI 1975, fig. 3a).<br />

In assenza <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni prosopografiche più precise, anche la localizzazione<br />

dell’attività risulta estremamente critica. Alcune considerazioni si possono<br />

comunque avanzare, in via strettamente ipotetica, sulla base delle circolazione delle<br />

Dressel 6A e 6B, la cui produzione, come è noto, interessò l’area me<strong>di</strong>o-adriatica, la<br />

Cisalpina e, per quanto riguarda le Dressel 6B, sicuramente anche l’Istria, dove sono<br />

note le officine <strong>di</strong> Loron e Fasana 12 . I numerosi stu<strong>di</strong> de<strong>di</strong>cati all’apparato epigrafico<br />

presente su queste anfore consentono <strong>di</strong> seguire, limitatamente agli esemplari bollati,<br />

le loro <strong>di</strong>rettrici commerciali: per quanto riguarda le Dressel 6A, è stato notato come<br />

la circuitazione dei contenitori riconducibili all’area me<strong>di</strong>oadriatica appare più<br />

10 PIR², IV, 3, pp. 279-280, n. 576.<br />

11 BUCHI 1973, p. 592.<br />

12 Cfr. supra nt. 1.


298 CHIARA BELOTTI<br />

estesa rispetto a quella delle produzioni ipotizzate nel Nord Italia, la cui <strong>di</strong>ffusione<br />

rimane per lo più circoscritta alla Cisalpina e non sembrerebbe superare le Alpi se<br />

non per raggiungere il centro del Magdalensberg; al contrario, le anfore originarie<br />

dal Me<strong>di</strong>o Adriatico, come per esempio quelle marcate da T. Helvius Basila, Safinia<br />

Picentina, Barbula e dagli Herenni, oltre a interessare i siti cisalpini e quelli<br />

d’Oltralpe arrivano anche nei gran<strong>di</strong> mercati d’Oriente, come Atene e Cartagine 13 .<br />

Per quanto riguarda i nostri contenitori, significativa appare appunto la presenza in<br />

questo ultimo centro del bollo [---]VL.SEVE, che potrebbe rappresentare un labile<br />

in<strong>di</strong>zio alla localizzazione dell’officina <strong>di</strong> Sex. Iulius Severus in area me<strong>di</strong>o<br />

adriatica, area peraltro sicuramente adatta non solo alla produzione vinaria, ma<br />

anche a quella olearia 14 .<br />

Fig. 2. I bolli <strong>di</strong> Sex. Iulius Severus. 1- <strong>Verona</strong> (da BUCHI 1973, tav. X, n. 94). 2-<br />

Padova (da Anfore romane a Padova 1992, fig. 98). 3- Brescia (riproduzione<br />

dell’autrice). 4- Cartagine (CIL, VIII, 22637, 55). 5- Magdalensberg (da MAIER-<br />

MAIDL 1992, p. 88).<br />

A tale localizzazione sembra favorevole anche un altro argomento, troppo<br />

ampio per essere approfon<strong>di</strong>to in questa sede: <strong>di</strong>versi personaggi riconducibili alla<br />

gens Iulia, attestati dai marchi C. Iulius Poly(---), Sex. Iulius Orp(heus), Sex. Iulius<br />

Aequanus Lautus, C. Iulius Marcellus, Iulius Paulinus 15 , C. Iulius Zoeli 16 e ancora i<br />

13<br />

CARRE, PESAVENTO MATTIOLI 2003a, p. 272.<br />

14<br />

Un quadro delle produzioni olearie in area me<strong>di</strong>o-adriatica è stato tracciato da S. Forti nel Seminario<br />

<strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> “Olio e pesce in età romana ” (cfr. supra nt. 1).<br />

15<br />

Per la bibliografia relativa a questi marchi si rimanda a CARRE, PESAVENTO MATTIOLI 2003a, pp.<br />

271-277.<br />

16<br />

PESAVENTO MATTIOLI, MAZZOCCHIN 2002, p. 781.


LE ANFORE DI SEXTUS IULIUS SEVERUS 299<br />

bolli CINR/I.IVL e TI.IVLP 17 , bollano anfore la cui fabbricazione, stando almeno ad<br />

alcune caratteristiche morfologiche e alla <strong>di</strong>stribuzione (che raggiunge anche<br />

Cartagine e Atene), potrebbe essere avvenuta proprio nel Piceno 18 .<br />

In conclusione, <strong>di</strong>verse sono le questioni che ancora rimangono aperte e sulle<br />

quali ci si propone <strong>di</strong> ritornare a breve per una più ampia <strong>di</strong>samina, iniziando<br />

proprio dalla verifica <strong>degli</strong> altri marchi <strong>di</strong> fabbrica presenti su anfore destinate al<br />

trasporto <strong>di</strong> derrate <strong>di</strong>verse: ne potrà forse uscire un quadro economico più articolato<br />

delle produzioni della prima metà del I secolo d.C.<br />

Tabella riassuntiva delle attestazioni delle anfore <strong>di</strong> Sex. Iulius Severus.<br />

Località Anfora Bollo Nessi Posizione Bibliografia<br />

<strong>Verona</strong> Dr. 6B SEX.IVLI.SEVER VL, orlo BUCHI 1973, pp. 591-592,<br />

Sex(ti) Iuli Sever(i) VER<br />

n. 94, tav. X<br />

Padova Dr. 6A SEX.IVLI.SEVER VL, orlo Anfore romane a Padova<br />

Sex(ti) Iuli Sever(i) VER<br />

1992, n. 228<br />

Brescia Dr. 6A SEX.IVL.SEVE VL, VE orlo BUCHI 1975, pp. 254, 256,<br />

Sex(ti) Iul(i)<br />

Seve(ri)<br />

n. 3, fig. 3a<br />

Magdalensberg Dr. 6A SEX.IVLI[---] VL orlo MAIER-MAIDL 1992, pp.<br />

Sex(ti) Iuli [---]<br />

87-88<br />

Cartagine — [---]VL.SEVE — orlo CIL, VIII, 22637, 55<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

ALDINI 1993 = T. ALDINI, Nuovi dati sulle anfore foropopoliensi, «Stu<strong>di</strong><br />

Romagnoli», 40, pp. 383-418.<br />

Anfore romane a Padova 1992 = Anfore romane a Padova: ritrovamenti dalla città,<br />

a cura <strong>di</strong> S. PESAVENTO MATTIOLI, Modena.<br />

Amphores romaines 1989 = Amphores romaines et Histoire économique: <strong>di</strong>x ans de<br />

recherche (Actes du colloque, Sienne 22-24 mai 1986: Coll. EFR, 114),<br />

Roma.<br />

BELOTTI 2004 = C. BELOTTI, Ritrovamenti <strong>di</strong> anfore romane a Iulia Concor<strong>di</strong>a.<br />

Aspetti topografici ed economici, Gruaro (Venezia).<br />

BEZECZKY 1998 = T. BEZECZKY, The Laecanius Amphora Stamps and the Villas of<br />

Brijuni, Wien.<br />

BUCHI 1973 = E. BUCHI, Banchi <strong>di</strong> anfore a <strong>Verona</strong>. Note sui commerci cisalpini, in<br />

Il territorio veronese in età romana (Atti del Convegno, <strong>Verona</strong> 22-24<br />

ottobre 1971), <strong>Verona</strong>, pp. 531-637.<br />

17<br />

Per questi due bolli, la cui lettura e il cui scioglimento rimangono ancora dubbi, si rimanda a<br />

BELOTTI 2004, pp. 37, 39.<br />

18<br />

Da ultimo si rimanda al contributo <strong>di</strong> CARRE, PESAVENTO MATTIOLI 2003a.


300 CHIARA BELOTTI<br />

BUCHI 1975 = E. BUCHI, Firmalampen e anfore “istriane” del Museo Romano <strong>di</strong><br />

Brescia, in Atti del Convegno internazionale per il XIX centenario della<br />

de<strong>di</strong>cazione del “Capitolium” e per il 150° anniversario della sua<br />

scoperta (Brescia 27-30 settembre 1973), II, Brescia, pp. 217-257.<br />

CARRE 1985 = M.-B. CARRE, Les amphores de la Cisalpine et de l'Adriatique au<br />

début de l’Empire, «MEFRA», 97, pp. 207-245.<br />

CARRE, PESAVENTO MATTIOLI 2003a = M.-B. CARRE, S. PESAVENTO MATTIOLI,<br />

Anfore e commerci nell’Adriatico, in L’archeologia dell’Adriatico dalla<br />

Preistoria al Me<strong>di</strong>oevo (Atti del Convegno Internazionale, Ravenna 7-9<br />

giugno 2001), a cura <strong>di</strong> F. LENZI, Roma, pp. 268-285.<br />

CARRE, PESAVENTO MATTIOLI 2003b = M.-B. CARRE, S. PESAVENTO MATTIOLI,<br />

Tentativo <strong>di</strong> classificazione delle anfore olearie adriatiche, «Aquileia<br />

Nostra», 74, cc. 453-476.<br />

CIPRIANO, CARRE 1989 = M.T. CIPRIANO, M.-B. CARRE, Production et typologie<br />

des amphores sur la côte adriatique de l’Italie, in Amphores romaines<br />

1989, pp. 67-104.<br />

Loron 2001 = Loron (Croatie). Un grand centre de production d’amphores à huile<br />

istriennes (Ier-Ive s. p. C.), a cura <strong>di</strong> F. TASSAUX, R. MATIJAŠI, V.<br />

KOVACI, Bordeaux.<br />

MAIER-MAIDL 1992 = V. MAIER-MAIDL, Stempel und Inschriften auf Amphoren<br />

vom Magdalesnberg, Klagenfurt.<br />

MANACORDA 2001 = D. MANACORDA, Le fornaci <strong>di</strong> Giancola (Brin<strong>di</strong>si):<br />

archeologia, epigrafia, archeometria, in 20 ans de recherches à Sallèles, a<br />

cura <strong>di</strong> F. LAUBENHEIMER, Besançon, pp. 229-240.<br />

PALAZZO, SILVESTRINI = P. PALAZZO, M. SILVESTRINI, Apani: anfore brin<strong>di</strong>sine <strong>di</strong><br />

produzione “aniniana”, «Daidalos», 3, pp. 57-107.<br />

PESAVENTO MATTIOLI 2002 = S. PESAVENTO MATTIOLI, Una produzione nor<strong>di</strong>talica<br />

<strong>di</strong> anfore bollate, in Vivre, produire et échanger: reflets<br />

mé<strong>di</strong>téranneens (Melanges offerts à Bernard Liou), Montagnac, pp. 391-<br />

394.<br />

PESAVENTO MATTIOLI, BUONOPANE 2005 = S. PESAVENTO MATTIOLI, A.<br />

BUONOPANE, I rapporti commerciali tra Cisalpina e Norico in età<br />

augustea. Il caso del vino nor<strong>di</strong>talico, in Die Geschichte der Antike<br />

aktuell: Methoden, Ergebnisse und Rezeption. (Akten des 9.<br />

gesamtosterreischen Althiistorikertages 2002 und der V. Internationalen<br />

Table Ronde zur Geschichte der Alpen-Adria-Region in der Antike,<br />

Klagenfurt 2002), a cura <strong>di</strong> K. STROBEL, Klagenfurt, pp. 175-185.<br />

PESAVENTO MATTIOLI, MAZZOCCHIN 2002 = S. PESAVENTO MATTIOLI, S.<br />

MAZZOCCHIN, La nave B del porto <strong>di</strong> Pisa: ipotesi su una rotta<br />

commerciale <strong>di</strong> età augustea, in L’africa romana. Lo spazio marittimo del


LE ANFORE DI SEXTUS IULIUS SEVERUS 301<br />

Me<strong>di</strong>terraneo occidentale: geografia storica ed economica (Atti del XIV<br />

Convegno <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong>o, Sassari 2002), Roma, pp. 779-788.<br />

PESAVENTO MATTIOLI, ZANINI 1995 = S. PESAVENTO MATTIOLI, S. ZANINI, Per un<br />

aggiornamento dell’epigrafia anforaria patavina: le Lamboglia 2 e le<br />

Dressel 6A del Museo Civico Archeologico, «Bollettino del Museo Civico<br />

<strong>di</strong> Padova», 82, pp. 23-60.<br />

TASSAUX 2001 = F. TASSAUX, Production et <strong>di</strong>ffusion des amphores à huile<br />

istriennes, «Antichità Alto Adriatiche», 46, pp. 501-543.<br />

ZACCARIA 1989 = C. ZACCARIA, Per una prosopografia dei personaggi menzionati<br />

sui bolli delle anfore romane dell’Italia nordorientale, in Amphores<br />

romaines 1989, pp. 469-488.


NUOVI DATI SULLE ANFORE OLEARIE ISTRIANE<br />

DA IULIA CONCORDIA<br />

Silvia Cipriano<br />

Gli scavi archeologici effettuati dal 1982 al 1999 nel piazzale antistante la<br />

Cattedrale <strong>di</strong> Santo Stefano <strong>di</strong> Concor<strong>di</strong>a Sagittaria hanno permesso <strong>di</strong> mettere in<br />

luce una sequenza stratigrafica che dalla fine del I sec. a.C. giunge fino al<br />

Rinascimento 1 . In età romana quest’area si trovava appena fuori dalle mura <strong>di</strong> Iulia<br />

Concor<strong>di</strong>a ed era caratterizzata dalla presenza <strong>di</strong> un complesso <strong>di</strong> magazzini 2 che si<br />

sviluppavano in prossimità <strong>di</strong> un canale navigabile e <strong>di</strong> una strada in uscita dalla<br />

città verso Aquileia.<br />

La classe <strong>di</strong> materiale più rappresentata numericamente è quella delle anfore<br />

romane: le stratigrafie hanno restituito contenitori da trasporto provenienti<br />

soprattutto dall’area italica, secondariamente dall’Africa e dalle zone orientali<br />

dell’impero ed infine dalla penisola iberica; le anfore coprono un excursus<br />

cronologico che va dalla fine del I sec. a.C. all’età tardoantica, ma prevalgono<br />

frammenti <strong>di</strong> cronologia compresa tra il I ed il II sec. d.C.<br />

Tra i 44 bolli presenti, si contano due marchi su anfore orientali, due su<br />

Lamboglia 2, due su Dressel 6A, quattro su anfore con orlo ad imbuto e ben 34 su<br />

Dressel 6B. In questa occasione vengono presentati i bolli relativi alle Dressel 6B <strong>di</strong><br />

produzione istriana, che costituiscono il nucleo più numeroso all’interno del<br />

contesto in esame, con 21 esemplari 3 .<br />

1. Dressel 6B (C13138); orlo.<br />

Bollo sull’orlo entro cartiglio rettangolare (4,5 x 1,5) con lettere a rilievo (h.<br />

0,8): AELI.CRIS; Aeli Cris(- - -). Nessi: LI e RI.<br />

2. Dressel 6B (C32086); fr. <strong>di</strong> orlo.<br />

Bollo sull’orlo entro cartiglio rettangolare (2,2 x 1) con lettere a rilievo (h.<br />

0,5): MESCAE; Mes(- - -) Cae(- - -). Nessi: ME e AE.<br />

3. Dressel 6B (C32088); fr. <strong>di</strong> orlo.<br />

Bollo sull’orlo entro cartiglio rettangolare (4 x 1,6) con lettere a rilievo (h.<br />

1,2): LAEK.A; Laek(ani) A(- - -). Nessi: EK.<br />

4. Dressel 6B (C32083); fr. <strong>di</strong> orlo.<br />

1 Si rimanda per l’inquadramento dell’area a SANDRINI 2001, con bibliografia precedente.<br />

2 Si veda da ultimo CROCE DA VILLA 2006.<br />

3 Problemi <strong>di</strong> spazio impe<strong>di</strong>scono <strong>di</strong> presentare in questa sede tutti i contenitori bollati, per i quali si<br />

rinvia ad una prossima pubblicazione.


304 SILVIA CIPRIANO<br />

Bollo sull’orlo entro cartiglio rettangolare (2,5 x 1) con lettere a rilievo (h. 1):<br />

[I]MP; [I]mp(eratoris).<br />

Bollo sull’orlo entro cartiglio rettangolare (5 x 1,2) con lettere a rilievo (h. 1):<br />

PAGANI; Pagani. Nessi: NI.<br />

5. Dressel 6B (C19955); orlo, parte del collo e <strong>di</strong> un’ansa.<br />

Bollo sull’orlo entro cartiglio rettangolare (6,7 x 1) con lettere a rilievo (h. 1):<br />

[- - -]MPE.VECT; [I]mpe(ratoris) vect(igal). Nessi: MP.<br />

6. Dressel 6B (C17666); orlo, collo, parte delle anse.<br />

Bollo impresso capovolto sull’orlo entro cartiglio rettangolare (6 x 1,5) con<br />

lettere a rilievo (h. 1): IMPCAESVESP; Imp(eratoris) Caes(aris)<br />

Vesp(asiani). Nessi: MP.<br />

Bollo sull’orlo entro cartiglio rettangolare (5,5 x 1,6) con lettere a rilievo (h.<br />

1,2): DATI; Dati. Nessi: TI.<br />

7. Dressel 6B (C19951); fr. <strong>di</strong> orlo.<br />

Bollo sull’orlo entro cartiglio rettangolare (8,3 x 1) con lettere a rilievo (h. 1):<br />

[I]MP.T.CAES; [I]mp(eratoris) T(iti) Caes(aris). Nessi: MP e AE.<br />

Bollo impresso capovolto sull’orlo entro cartiglio rettangolare (6 x 1,4) con<br />

lettere a rilievo (h. 1): [B]EREN[- - -]; [B]eren[ti].<br />

8. Dressel 6B (C12927); orlo, collo e un’ansa .<br />

Bollo impresso capovolto sull’orlo entro cartiglio rettangolare (4,2 x 2) con<br />

lettere a rilievo (h. 1): IMP; Imp(eratoris).<br />

Bollo impresso capovolto e retrogrado sull’orlo entro cartiglio rettangolare<br />

(2,5 x 1) con lettere a rilievo (h. 1): BERENT; Berent(i). Nesso NT.<br />

9. Dressel 6B; orlo e parte <strong>di</strong> un’ansa<br />

Bollo impresso capovolto sull’orlo entro cartiglio rettangolare (4 x 1,5) con<br />

lettere a rilievo (h. 1): IMP; Imp(eratoris).<br />

Bollo impresso capovolto e retrogrado sull’orlo entro cartiglio rettangolare (5<br />

x 1) con lettere a rilievo (h. 1): BERENT; Berent(i). Nesso NT<br />

10. Dressel 6B; fr. <strong>di</strong> orlo.<br />

Bollo impresso in senso retrogrado sull’orlo entro cartiglio rettangolare (3,5 x<br />

1) con lettere a rilievo (h. 0,5): [BE]RENT; [Be]rent(i). Nesso NT.<br />

11. Dressel 6B; orlo.<br />

Bollo impresso capovolto sull’orlo entro cartiglio rettangolare (3 x 1,2) con<br />

lettere a rilievo (h. 1): IM[- - -]; Im[(peratoris) T. Cae(saris) Aug(usti)].<br />

Bollo sull’orlo entro cartiglio rettangolare (5,5 x 1,8) con lettere a rilievo (h.<br />

1,3): PRIMI[- - -]; Primi[- - -].<br />

12. Dressel 6B (C19775); fr. <strong>di</strong> orlo.<br />

Bollo sull’orlo entro cartiglio rettangolare (7,2 x 1,8) con lettere a rilievo (h.<br />

1,2): IMP.AVGGER; Imp(eratoris) Aug(usti) Ger(manici). Nessi: MP e ER.<br />

13. Dressel 6B (C32090); fr. <strong>di</strong> orlo.<br />

Bollo impresso capovolto sull’orlo entro cartiglio rettangolare (8 x 1,6) con<br />

lettere a rilievo (h. 1,5): IMP.DOM; Imp(eratoris) Dom(itiani). Nessi: MP.<br />

14. Dressel 6B; orlo.<br />

Bollo sull’orlo entro cartiglio rettangolare (6,2 x 1) con lettere a rilievo (h.<br />

0,7): [- - -].DOM; [Imp(eratoris)?] Dom(itiani)


NUOVI DATI SULLE ANFORE OLEARIE ISTRIANE DA IULIA CONCORDIA 305<br />

Bollo sull’orlo entro cartiglio rettangolare (4,2 x 1) con lettere a rilievo (h. 1):<br />

IESBI o LFSRI.<br />

15. Dressel 6B; fr. <strong>di</strong> orlo.<br />

Bollo impresso in senso retrogrado sull’orlo entro cartiglio rettangolare (4,5 x<br />

1,5) con lettere a rilievo (h. 1): IMP.NER[- - -]; Imp(eratoris) Ner[vae<br />

Cae(saris)] o Imp(eratoris) Ner[(vae) Tra(iani)]. Nessi MP e NE.<br />

16. Dressel 6B (C32089); fr. <strong>di</strong> orlo.<br />

Bollo impresso capovolto sull’orlo entro cartiglio rettangolare (6,3 x 1,2) con<br />

lettere a rilievo (h. 1,1): MNDM[P]. Nessi: MP? IMP?<br />

17. Dressel 6B (C19954); orlo, parte del collo e delle anse.<br />

Bollo sull’orlo entro cartiglio rettangolare (7,6 x 1,8) con lettere a rilievo (h.<br />

1): DE.IMP.HISTRI; De (prae<strong>di</strong>is) Imp(eratoris) Histri(cis). Nessi: ST<br />

18. Dressel 6B (C31495); orlo.<br />

Bollo sull’orlo entro cartiglio rettangolare (6 x 1,2) con lettere a rilievo (h.<br />

0,6): [-TO?].IMP; [-to?]Imp(eratoris). Nessi: MP.<br />

19. Dressel 6B; orlo e parte <strong>di</strong> un’ansa e del collo<br />

Bollo impresso capovolto sull’orlo entro cartiglio rettangolare (4 x 1,5) con<br />

lettere a rilievo (h. 1,2): [- - -]O.IM[P?]; [- - -]o Im[p(eratoris)?]. Nessi: MP?<br />

20. Dressel 6B (C19953); fr. <strong>di</strong> orlo, collo e un’ansa.<br />

Bollo sull’orlo entro cartiglio rettangolare (4 x 1,5) con lettere a rilievo (h.<br />

1,1): IMP; Imp(eratoris). Traccia <strong>di</strong> bollo sull’orlo entro cartiglio rettangolare<br />

con lettere a rilievo (h. 1): M?[- - -]; M? [- - -].<br />

21. Dressel 6B; orlo.<br />

Bollo impresso capovolto e retrogrado sull’orlo entro cartiglio rettangolare (1,8 x<br />

1,5) con lettere a rilievo (h. 1): [- - -]MP; [I]mp(eratoris). Nesso MP.<br />

Bollo impresso capovolto e retrogrado sull’orlo entro cartiglio rettangolare (5 x<br />

1,5) con lettere a rilievo (h. 1,2): I.VE.M. ?; I(- - -) Ve(- - -) M(- - -)?. Nesso VE.<br />

La figlina <strong>di</strong> Loron, nel territorio parentino, è rappresentata solo da 4<br />

attestazioni; le prime due sono attribuibili al periodo <strong>di</strong> gestione privata <strong>di</strong> fun<strong>di</strong> e<br />

ateliers: si tratta dei bolli Mes(- - -) Cae(- - -) (fig. 1.2) e Aeli Cris(- - -) 4 (fig. 1.1),<br />

databili il primo alla prima metà del I sec. d.C., il secondo tra 50 e 60 d.C. circa.<br />

Due sono i marchi riferibili alla fase produttiva imperiale dell’officina, collocabile<br />

tra il regno <strong>di</strong> Domiziano e quello <strong>di</strong> Adriano: Imp(eratoris) Aug(usti) Ger(manici) 5<br />

(fig. 1.12), attribuibile all’imperatore Domiziano, che ottenne l’appellativo <strong>di</strong><br />

Germanico a partire dall’83 d.C., e Imp(eratoris) Ner[- - -] (fig. 1.15), che data la<br />

frammentarietà dell’orlo, può essere riferibile sia a Nerva, che a Traiano 6 .<br />

Molto più considerevole è la quantità <strong>di</strong> attestazioni provenienti dalla figlina<br />

<strong>di</strong> Fasana, nell’agro <strong>di</strong> Pola, appartenuta alla famiglia senatoria dei Laecanii. Mentre<br />

la fase privata dell’officina, compresa tra età augusteo-tiberiana e 78-80 d.C., è<br />

4 MARION, STARAC 2001, pp. 103-105. Aggiornamenti in CIPRIANO, MAZZOCCHIN 2004; MAZZOCCHIN 2005.<br />

5 Per Loron: MARION, STARAC 2001, pp. 107-109; CIPRIANO, MAZZOCCHIN 2004; MAZZOCCHIN 2005.<br />

L’elenco aggiornato delle attestazioni è in BELOTTI 2004, p. 20, n. 6.<br />

6 Può infatti essere integrato Imp(eratoris) Ner[vae Cae(saris)] o Imp(eratoris) Ner[(vae) Tra(iani)].<br />

Per la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> entrambi i marchi si veda: MARION, STARAC 2001, pp. 109-111, cui va aggiunto un<br />

bollo <strong>di</strong> Altino (CIPRIANO 2003, p. 247).


306 SILVIA CIPRIANO<br />

documentata unicamente da un bollo, Laek(ani) A(- - -) 7 (fig. 1.3), è invece<br />

decisamente più imponente l’arrivo da Fasana <strong>di</strong> anfore imperiali, caratterizzate dal<br />

doppio bollo che aveva contrad<strong>di</strong>stinto la produzione dei Laecanii: accanto a quello<br />

dell’imperatore, si trova infatti un altro marchio che reca un secondo nome,<br />

probabilmente riferibile al vasaio. Si tratta <strong>di</strong> 12 attestazioni che costituiscono a<br />

tutt’oggi il nucleo più consistente <strong>di</strong> questi contenitori, <strong>di</strong>ffusi soprattutto nelle<br />

province del Norico e della Pannonia e presenti solo spora<strong>di</strong>camente <strong>nella</strong> Venetia:<br />

Iulia Concor<strong>di</strong>a sembra dunque aver rivestito un ruolo fondamentale nello<br />

smistamento dei prodotti <strong>di</strong>retti verso i paesi transalpini.<br />

La prima fase del passaggio dell’officina ai domini imperiali, databile tra 78 e<br />

80 d.C. e caratterizzata da nomi servili già associati ai bolli <strong>di</strong> Laecanius, è<br />

documentata dai contenitori marchiati [I]mp(eratoris)//Pagani 8 (fig. 1.4a-b) e<br />

Imp(eratoris) Caes(aris) Vesp(asiani)//Dati (fig. 1.6a-b), quest’ultimo è attribuibile<br />

a Vespasiano e confrontabile con tre esemplari da Aquincum, Iuvavum e Fasana 9 , ai<br />

quali è accomunato dalla pessima leggibilità del bollo imperiale.<br />

Si può dubitativamente attribuire a questo primo momento anche il bollo<br />

[I]mpe(ratoris) vect(igal) (fig. 1.5), stampigliato su un orlo purtroppo frammentario,<br />

e attestato a Vercelli in associazione con il nome servile Anka(rius) 10 ; tale bollo<br />

testimonierebbe, secondo una recente ipotesi 11 , l’esistenza <strong>di</strong> un’imposta in<strong>di</strong>retta<br />

sul commercio dell’olio proveniente dai fun<strong>di</strong> imperiali, attività non gestita in prima<br />

persona dall’imperatore in questa prima fase.<br />

A Tito sono riferibili le quattro anfore bollate [I]mp(eratoris) T.<br />

Caes(aris)//[B]eren[t(i)] (fig. 1.7a-b), Imp(eratoris)//Berent(i) (figg. 1.8a-b, 9a-b),<br />

in due casi, e [Be]rent(i) (fig. 1.10); il bollo Berent(i) è attestato a Fasana, Brioni,<br />

Aquileia e ad Aguntum 12 , in due casi associato al bollo Imp(eratoris) T. C(aesaris),<br />

come in uno <strong>degli</strong> esemplari concor<strong>di</strong>esi. Sembra invece essere qui testimoniata per<br />

la prima volta con ben due esemplari l’associazione tra Berent(i) e il semplice<br />

Imp(eratoris).<br />

Ancora a Tito è attribuibile il doppio marchio Im[(peratoris) T. Cae(saris)<br />

Aug(usti)]//Primi[- - -] (fig. 1.11a-b), documentato prima d’ora solo a Mursella 13 ,<br />

ma forse presente anche in due esemplari a Pola, dove si conserva solo il bollo<br />

imperiale 14 .<br />

Due sono le anfore riferibili a Domiziano, bollate in un caso [- - -<br />

]Dom(itiani)//IESBI o LFSRI? (fig. 1.14a-b) e nell’altro Imp(eratoris) Dom(itiani)<br />

(fig. 1.13). Non vi sono confronti precisi per il bollo [- - -]Dom(itiani) 15 , mentre il<br />

secondo marchio, IESBI o LFSRI?, pur se male impresso, è molto simile a tre bolli<br />

7<br />

BEZECZKY 1998, pp. 95-96; per l’inquadramento della produzione <strong>di</strong> Fasana: BEZECZKY 1998, pp. 1-72.<br />

8<br />

BEZECZKY 1998, pp. 242-243.<br />

9<br />

BEZECZKY 1998, pp. 238-239, nn. 640, 642, 643; BEZECZKY 2001, p. 422.<br />

10<br />

BRECCIAROLI TABORELLI 1987, p. 144 = RTAR, 1, nn. 232 e 269. Probabilmente il medesimo bollo è<br />

a Pola, dove è stato letto Impe(ratoris) Ves[(pasiani)]: STARAC 1997, p. 157, n. 1.<br />

11<br />

BUONOPANE, PESAVENTO MATTIOLI 2007, p. 296.<br />

12<br />

BEZECZKY 1998, pp. 246-247, nn. 667-674.<br />

13<br />

KELEMEN 1987, p. 38, nn. 52-53, fig. 6, nn. 2 e 8.<br />

14<br />

STARAC 1997, p. 157, n. 2.<br />

15<br />

Forse prima <strong>di</strong> Dom(itiani) vi è una corona o un altro simbolo, non chiaramente leggibile.


NUOVI DATI SULLE ANFORE OLEARIE ISTRIANE DA IULIA CONCORDIA 307<br />

<strong>di</strong> Pola, non considerati a tutt’oggi come appartenenti ad anfore <strong>di</strong> produzione<br />

imperiale e per i quali è stata proposta la lettura [CI?]ESBI 16 .<br />

Anche il bollo Imp(eratoris) Dom(itiani) rappresenta una novità nel panorama<br />

delle attestazioni riferibili a Domiziano, <strong>di</strong> cui sono noti unicamente esemplari con il<br />

nome espresso per intero, Imp(eratoris) Domitiani 17 o, se abbreviato, vi compaiono<br />

un’edera ed una palma 18 . Non è possibile attribuire con certezza quest’anfora alla<br />

figlina <strong>di</strong> Fasana, in assenza del secondo bollo, ma il parallelismo con il marchio <strong>di</strong><br />

Domiziano appena visto depone a favore <strong>di</strong> questa ipotesi 19 .<br />

Altre due anfore sembrano essere riconducibili alla produzione imperiale delle<br />

officine <strong>di</strong> Fasana, ma lo stato <strong>di</strong> conservazione e la cattiva impressione dei bolli<br />

impe<strong>di</strong>scono <strong>di</strong> identificare quale sia il secondo nome associato, in ambedue i casi,<br />

al semplice IMP (figg. 1.20-21).<br />

Altri problemi rimangono aperti in seguito all’analisi dei dati concor<strong>di</strong>esi:<br />

innanzitutto su due orli integri compare il medesimo bollo [--T?]O.IMP, male<br />

impresso in ambedue i casi (figg. 1.18-19) e per il quale non sono noti confronti 20 .<br />

Non è possibile ipotizzare il luogo <strong>di</strong> produzione <strong>di</strong> questi due contenitori, che, se<br />

pur caratterizzati da un bollo imperiale, non rientrano tra quelli prodotti nelle<br />

officine <strong>di</strong> Loron e sono d’altro canto privi dell’elemento <strong>di</strong>stintivo <strong>degli</strong> impianti<br />

figulinari <strong>di</strong> Fasana, ovvero il secondo marchio. Non siamo inoltre in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>re<br />

se ciò che precede il termine IMP è il nome dell’officinatore oppure se si tratti <strong>di</strong> un<br />

elemento della titolatura imperiale. Non si può infine escludere che le due anfore<br />

provengano da un terzo sito istriano in cui venivano prodotti contenitori per il<br />

trasporto e la commercializzazione dell’olio dei fun<strong>di</strong> imperiali. In questa <strong>di</strong>rezione<br />

va l’ipotesi della provenienza da Umag delle anfore bollate DE.IMP.HISTRI,<br />

formulata in passato sulla base del rinvenimento in questo sito, in cui sono<br />

testimoniate dall’epigrafia lapidaria delle proprietà imperiali, <strong>di</strong> una tegola con il<br />

medesimo bollo 21 . Il marchio, da leggere De Imp(eratoris prae<strong>di</strong>is) Histri(cis),<br />

attestato anche in questo contesto concor<strong>di</strong>ese (fig. 1.17); era già noto a <strong>Verona</strong>,<br />

Flavia Solva e Virunum 22 .<br />

16<br />

STARAC 1997, p. 149 e p. 160, n. 4. Rimane da verificare se si tratti del medesimo bollo <strong>di</strong> Savaria [-<br />

- -]E[-]SR, associato al marchio imperiale Imp(eratoris) Domitiani (KELEMEN 1987, p. 38, nn. 44-45 e<br />

fig. 5, nn. 1 e 9 = RTAR, 2, nn. 887 e 949).<br />

17<br />

Da Savaria, Pola, Virunum: KELEMEN 1987, p. 38, nn. 44-45 e fig. 5, nn. 1 e 9; da Tortona: ANTICO<br />

GALLINA 1990, p. 210, n. 50 = RTAR, 2, n. 888. n<br />

18<br />

Da Singi<strong>di</strong>num (BJELAJAC 1996, p. 18, n. 8), da Sirmium (BRUKNER 1981, fig. 159, n. 46) e ora da<br />

Loron (ROSADA, TASSAUX 2007, p. 101).<br />

19<br />

L’unico bollo <strong>di</strong> Domiziano sicuramente attribuibile a Loron sembra essere IMPAVGGER, con<br />

varianti <strong>di</strong> punzone (MARION, STARAC 2001, pp. 107-109).<br />

20<br />

Si può forse richiamare un’anfora <strong>di</strong> Vercelli, che reca però un doppio bollo, letto inizialmente<br />

CTCIMP//GALTB (CALLENDER 1965, n. 1810 h), poi IMPCT//DAETH (BRECCIAROLI TABORELLI<br />

1987, p. 144) e rivisto recentemente come CI[- - -]//DAETH (RTAR, 2, nn. 898, 905). Il primo bollo<br />

può essere accostato a quelli concor<strong>di</strong>esi per la presenza sicura <strong>di</strong> IMP, incerta <strong>di</strong> T e per la O, che può<br />

essere trascritta C se non bene impressa. Al <strong>di</strong> là dell’esatta lettura (CTO.IMP? OTO.IMP?) rimarrebbe<br />

comunque aperto il problema del secondo bollo, assente nell’esemplare <strong>di</strong> Concor<strong>di</strong>a.<br />

21<br />

GREGORUTTI 1886, p. 232, n. 78; TASSAUX 2001, p. 515. Ipotizzano invece una provenienza da<br />

Fasana BUONOPANE, PESAVENTO MATTIOLI 2007, p. 301.<br />

22<br />

PAVONI, BELOTTI 2005, p. 187, nn. 14-15; SALK-OBERTHALER 1994, p. 26, n. 3; ZABEHLICKY<br />

SCHEFFENEGGER 1997, pp. 189-190.


308 SILVIA CIPRIANO<br />

Forse attribuibile alle officine imperiali è anche il bollo MNDMP 23 (fig. 1.16),<br />

del quale sono noti quattro esemplari da Pola 24 , e per il quale è stato ipotizzata la<br />

pertinenza all’imperatore Domiziano 25 .<br />

Fig. 1. I bolli relativi alle Dressel 6B <strong>di</strong> produzione istriana.<br />

23 Non si può infatti escludere il nesso IMP finale.<br />

24 STARAC 1997, pp. 149, 160, n. 2.<br />

25 MARION, STARAC 2001, p. 124.


NUOVI DATI SULLE ANFORE OLEARIE ISTRIANE DA IULIA CONCORDIA 309<br />

L’analisi <strong>di</strong> questo nucleo <strong>di</strong> contenitori bollati <strong>di</strong>mostra per Concor<strong>di</strong>a una<br />

tendenza opposta rispetto a quanto accade in altri centri della Venetia, come<br />

Patavium e Opitergium, dove l’arrivo <strong>di</strong> Dressel 6B istriane si concentra e sembra<br />

pressoché esaurirsi tra età augustea ed età flavia. Il picco delle importazioni<br />

dall’Istria a Iulia Concor<strong>di</strong>a si registra infatti tra l’ultimo ventennio del I sec. d.C. e i<br />

primi quarant’anni del II sec. d.C., quando le gran<strong>di</strong> proprietà private vennero<br />

acquisite dalla casa imperiale. Associando i dati provenienti dal contesto in esame<br />

con quanto già e<strong>di</strong>to emerge che i contenitori istriani bollati provenienti dagli<br />

ateliers <strong>di</strong> Fasana e Loron tra età augustea e 78-80 d.C. giungono a Concor<strong>di</strong>a in<br />

quantità estremamente ridotta. Tra i rinvenimenti e<strong>di</strong>ti si contano infatti due anfore<br />

bollate dai Laecanii 26 ed una da Aeli(us?) Cris(- - -) 27 , cui vanno sommati i tre<br />

contenitori bollati Laek(- - -) A(- - -), Mes(- - -) Cae(- - -) e Aeli Cris(- - -)<br />

provenienti dallo scavo in esame, per un totale <strong>di</strong> due anfore da Loron e tre da<br />

Fasana. A queste va aggiunta quella bollata [Cly]men 28 , che proviene sicuramente da<br />

Fasana, ma che, in assenza dell’altro bollo, non è possibile attribuire alla fase privata<br />

dell’officina piuttosto che a quella imperiale, poiché Clymen è uno dei servi che<br />

rappresentano la continuità tra le due gestioni 29 .<br />

Per quanto riguarda le anfore riconducibili alla fase imperiale <strong>di</strong> Loron, erano<br />

già noti un contenitore attribuibile a Domiziano, uno a Traiano e due ad Adriano 30 ,<br />

cui vanno ora sommati quelli bollati Imp(eratoris) Aug(usti) Ger(manici) e<br />

Imp(eratoris) Ner[- - -], per un totale <strong>di</strong> sei anfore.<br />

Almeno 12 sembrano essere invece le nuove attestazioni riferibili alla fase<br />

imperiale <strong>di</strong> Fasana, fino ad ora non documentata a Concor<strong>di</strong>a; due sarebbero<br />

attribuibili al periodo <strong>di</strong> transizione in seguito all’acquisizione delle figline e dei fun<strong>di</strong><br />

da parte della casa imperiale, una a Vespasiano, cinque a Tito, due a Domiziano e due<br />

rimangono purtroppo non databili più precisamente. La <strong>di</strong>rettrice principale <strong>di</strong><br />

importazione dell’olio istriano a Iulia Concor<strong>di</strong>a nel periodo compreso tra il regno <strong>di</strong><br />

Vespasiano e quello <strong>di</strong> Domiziano sembra dunque aver origine proprio da Fasana,<br />

mentre successivamente, in corrispondenza dei regni <strong>di</strong> Nerva, Traiano e Adriano<br />

questa fonte <strong>di</strong> approvvigionamento sembra essere sostituita da Loron 31 . Questo dato,<br />

unito alla considerazione che finora è stato attribuito a questo periodo produttivo <strong>di</strong><br />

Fasana un unico marchio, documentato da un solo esemplare 32 , indurrebbe ad<br />

ipotizzare una forte contrazione della capacità produttiva <strong>di</strong> Fasana, associata<br />

probabilmente alla cessazione della pratica della bollatura 33 . Rimangono comunque<br />

26 Si tratta <strong>di</strong> CLAEK (BELOTTI 2004, p. 48, n. 52) e <strong>di</strong> [CLAEKB]//[P]IERI (BELOTTI 2004, p. 49, n.<br />

53). Dubbia l’attribuzione alla produzione dei Laecanii del bollo FELIX palma (BELOTTI 2004, p. 29,<br />

n. 17), alla luce dell’analisi del nuovo contesto concor<strong>di</strong>ese, che ha restituito due bolli uguali a questo,<br />

stampigliati su orli integri e dunque privi del marchio del dominus.<br />

27 BELOTTI 2004, p. 87, n. 57.<br />

28 BELOTTI 2004, p. 28, n. 16.<br />

29 BEZECZKY 2001, p. 421.<br />

30 BELOTTI 2004, rispettivamente p. 20, n. 6 (IMPAVGGER), p. 21, n. 7 (IMPRNERTRA), p. 22, nn. 8-<br />

9 (HAD.AVG; H[ADAVG]).<br />

31 Si veda a questo proposito l’analisi cronologica generale in BUONOPANE, PESAVENTO MATTIOLI 2007.<br />

32 IMPTRAIANI//MANI, rinvenuto a Savaria (KELEMEN 1987, p. 38, nn. 46-47). Sembra cadere l’ipotesi<br />

della fabbricazione a Fasana delle anfore bollate HADAVG, prodotte quasi certamente solo a Loron.<br />

33 La presenza a Fasana <strong>di</strong> anfore databili al III-IV sec. d.C. (BEZECZKY 1998, p. 4) impe<strong>di</strong>sce infatti <strong>di</strong><br />

ipotizzare un’interruzione della produzione dei contenitori e suggerisce piuttosto che non vi sia stata


310 SILVIA CIPRIANO<br />

aperti gli interrogativi riguardo alla cronologia e al luogo <strong>di</strong> fabbricazione <strong>di</strong> almeno 5<br />

anfore concor<strong>di</strong>esi 34 , che, una volta sciolti, contribuiranno a completare e forse anche<br />

a mo<strong>di</strong>ficare il quadro delle produzioni istriane <strong>di</strong> anfore olearie in età imperiale.<br />

n. Bollo Scioglimento Nessi Luogo <strong>di</strong><br />

produzione<br />

1 AELI.CRIS Aeli Cris(---) LI; RI Loron<br />

2 MESCAE Mes(- - -) Cae(- - -) ME;<br />

AE<br />

Loron<br />

3 LAEK.A Laek(ani) A(---) EK Fasana<br />

4 [I]MP //<br />

[I]mp(eratoris) //<br />

Fasana<br />

PAGANI Pagani<br />

NI<br />

5 [---]MPE. VECT [I]mpe(ratoris) vect(igal) MP Fasana<br />

6 IMPCAESVESP Imp(eratoris) Caes(aris)<br />

MP Fasana<br />

// DATI<br />

Vesp(asiani) //<br />

Dati<br />

TI<br />

7 [I]MP.T.CAES // [I]mp(eratoris) T(iti) Caes(aris) // MP; Fasana<br />

[B]EREN[---] [B]eren[t(i)]<br />

AE<br />

8 IMP //<br />

Imp(eratoris) //<br />

Fasana<br />

BERENT Berent(i)<br />

NT<br />

9 IMP //<br />

Imp(eratoris) //<br />

Fasana<br />

BERENT Berent(i)<br />

NT<br />

10 [BE]RENT [Be]rent(i) NT Fasana<br />

11 IM[---] //<br />

PRIMI[---]<br />

Im[(peratoris)T. Cae(saris)<br />

Aug(usti)] //<br />

Primi[---]<br />

Fasana<br />

12 IMP.AVGGER Imp(eratoris) Aug(usti) Ger(manici) MP;<br />

ER<br />

Loron<br />

13 IMP.DOM Imp(eratoris) Dom(itiani) MP ?<br />

14 [---].DOM // [Imp(eratoris)?] Dom(itiani) //<br />

Fasana?<br />

IESBI o LFSRI IESBI o LSFRI<br />

15 IMP.NER[---] Imp(eratoris) Ner[vae Cae(saris)] o MP; Loron<br />

Imp(eratoris) Ner[(vae) Tra(iani)] NE<br />

16 MNDMP MP? ?<br />

17 DE.IMP.HISTRI De (prae<strong>di</strong>is)Imp(eratoris)<br />

Histri(cis)<br />

ST ?<br />

18 [-TO?].IMP [-to?]Imp(eratoris) MP ?<br />

19 [---]O.IM[P?] [---]o Im[p(eratoris)?] MP? ?<br />

20 IMP //<br />

Imp(eratoris) //<br />

Fasana?<br />

M?[---]<br />

M? [---]<br />

21 [---]MP // [I]mp(eratoris) //<br />

MP; Fasana?<br />

I.VE.M. ? I(---) Ve(---) M(---)?<br />

VE<br />

Fig. 2. Tabella complessiva dei bolli su Dressel 6B istriane attestati a Iulia Concor<strong>di</strong>a<br />

nell’area del piazzale C. Costantini<br />

soluzione <strong>di</strong> continuità tra l’inizio del II sec. e l’età tardo-antica, ma che sia cessata la pratica della<br />

bollatura.<br />

34 Si tratta del contenitore bollato [- - -]IMPHER (BELOTTI 2004, p. 24, n. 12), cui vanno aggiunti quelli<br />

<strong>di</strong> nuovo rinvenimento: i due marchiati [--T?]O.IMP, quello DE.IMP.HISTRI e quello MNDMP.


NUOVI DATI SULLE ANFORE OLEARIE ISTRIANE DA IULIA CONCORDIA 311<br />

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312 SILVIA CIPRIANO<br />

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Premessa*<br />

PER LA CIRCOLAZIONE DELLE ANFORE RODIE<br />

E TARDO-REPUBBLICANE IN AREA ADRIATICA<br />

Silvia M. Marengo, Gianfranco Paci<br />

La <strong>di</strong>fficile ricostruzione della vita economica della Cisalpina romana, il tema<br />

cui è de<strong>di</strong>cato, insieme a quello relativo alla vita sociale, questo incontro <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> in<br />

onore <strong>di</strong> Ezio Buchi, passa – come è evidente – attraverso il continuo e reiterato<br />

esame delle fonti, che nel nostro caso, accanto e più che quelle <strong>di</strong> natura letteraria,<br />

sono soprattutto quelle archeologiche ed epigrafiche, le quali a motivo delle<br />

continue nuove acquisizioni, da una parte mo<strong>di</strong>ficano progressivamente,<br />

arricchendolo, il quadro delle nostre conoscenze, dall’altro impongono, nello stesso<br />

tempo, il continuo rinnovarsi della riflessione sia su aspetti specifici che generali del<br />

tema in questione. In questa sede si è scelto <strong>di</strong> presentare il materiale anforico <strong>di</strong> età<br />

repubblicana proveniente dai recenti ed importantissimi scavi del porto <strong>di</strong> Ancona,<br />

che tanti reperti ha restituito per la conoscenza della storia dei commerci <strong>di</strong> questa<br />

città tra il IV sec. a.C. ed il Mille circa 1 . L’importanza <strong>di</strong> queste scoperte è tale per<br />

cui ne è stato affidato lo stu<strong>di</strong>o ad una équipe <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi specialisti per le varie<br />

categorie dei materiali recuperati, stu<strong>di</strong>o che è ultimato ed è ormai in procinto <strong>di</strong><br />

essere reso pubblico attraverso una grossa pubblicazione monografica. Per questa<br />

ragione la presentazione del materiale anforico oggetto <strong>di</strong> queste pagine, finalizzata<br />

a far conoscere tempestivamente una documentazione <strong>di</strong> grande interesse per gli<br />

stu<strong>di</strong>, viene qui fatta in forma preliminare e succinta, rinviando sin d’ora a quella<br />

sede per l’e<strong>di</strong>zione scientifica vera e propria.<br />

Ci piace d’altra parte anticipare qui quanto gli scavi del porto anconetano<br />

hanno restituito nel campo delle anfore ro<strong>di</strong>e e Lamboglia 2, sia perché si tratta <strong>di</strong><br />

materiali che conoscono una ampia circolazione, all’interno della quale l’Adriatico<br />

settentrionale e la Cisalpina occupano un posto particolare e non secondario, come<br />

mostra bene il moltiplicarsi, in questi ultimi anni, delle scoperte e delle<br />

pubblicazioni, sia perché si tratta <strong>di</strong> materiale che interessa frontalmente la storia dei<br />

commerci e quin<strong>di</strong> la storia economica dell’Italia settentrionale.<br />

Si tratta del resto <strong>di</strong> temi ai quali Ezio Buchi ha de<strong>di</strong>cato lavori<br />

in<strong>di</strong>menticabili, tra cui alcuni che riguardano specificamente il campo della<br />

* A S.M. Marengo appartiene il capitolo sulle anfore ro<strong>di</strong>e, a G. Paci quello sulle Lamboglia 2; comune<br />

è la premessa.<br />

1 Si veda, per il momento, la bella sintesi esposta nel catalogo della mostra: SALVINI 2001.


314 SILVIA M. MARENGO, GIANFRANCO PACI<br />

produzione anforica. Queste pagine sono dunque offerte all’amico e collega con<br />

l’augurio sentito che Egli continui ancora per molto ad elargirci i risultati delle sue<br />

scoperte e a arricchirci <strong>di</strong> conoscenze su questa terra veneta così pro<strong>di</strong>ga <strong>di</strong> materiali<br />

relativi alla civiltà romana.<br />

Anfore ro<strong>di</strong>e in area adriatica<br />

Le conoscenze sulla circolazione delle anfore ro<strong>di</strong>e nell’Adriatico centrosettentrionale<br />

hanno avuto un forte incremento negli ultimi vent’anni 2 . Se nel 1984,<br />

nel poster pubblicato negli Atti del convegno <strong>di</strong> Siena 3 , la concentrazione dei<br />

ritrovamenti nel territorio apulo e in Sicilia faceva ritenere che i commerci si<br />

limitassero alle zone grecizzate dell’Italia meri<strong>di</strong>onale, con isolate eccezioni<br />

costituite da Ancona 4 e Larinum 5 , la situazione attuale documenta un moltiplicarsi<br />

delle presenze con una <strong>di</strong>ffusione che, nei limiti dei materiali e<strong>di</strong>ti, si testimonia<br />

estesa a tutte le regioni adriatiche dal Sannio ad Aquileia; non <strong>di</strong>versamente, la<br />

presenza <strong>di</strong> anfore ro<strong>di</strong>e nelle zone interne della Cisalpina, a partire dal bollo e<strong>di</strong>to<br />

dal Frova 6 , ha conosciuto incrementi a Calvatone 7 , a Cremona 8 , a <strong>Verona</strong> 9 , a Lo<strong>di</strong> 10 ,<br />

a Milano 11 .<br />

In Veneto soprattutto Aquileia ha restituito un significativo gruppo <strong>di</strong> anse<br />

bollate 12 (ma sono segnalati esemplari anche ad Opitergium 13 , ad Altinum 14 , a<br />

Patavium 15 ), mentre il territorio corrispondente alla regio VIII, dopo gli esemplari <strong>di</strong><br />

Panzano e Ca’ Magelli <strong>di</strong> Modena 16 e <strong>di</strong> S. Lorenzo in Strada <strong>di</strong> Rimini 17 , registra<br />

recenti ritrovamenti a Cesena 18 . Anche nel territorio a sud <strong>di</strong> Ariminum il quadro dei<br />

commerci ro<strong>di</strong>i è profondamente cambiato: importante, per provenire da scavo, è il<br />

nucleo <strong>di</strong> materiali del porto romano <strong>di</strong> Ancona che si aggiunge a quello della<br />

2 La ricerca, della quale si presentano i primi risultati, riguarda il commercio del vino egeo – ro<strong>di</strong>o e<br />

cni<strong>di</strong>o – nel versante adriatico dell’Italia e ha considerato finora l’area costiera e paracostiera delle<br />

regioni X, VIII, VI, V, IV. Nella tabella 1 sono raccolti tutti i bolli che mi è stato possibile reperire;<br />

testo e datazioni <strong>di</strong>pendono dalle e<strong>di</strong>zioni citate; i perio<strong>di</strong> sono quelli fissati da V. Grace (vd. infra nt.<br />

30); gli anni si intendono a.C.<br />

3 DELL’AGLIO, LIPPOLIS 1984, p. 547.<br />

4 MERCANDO 1976, pp. 163-165.<br />

5 BEVILACQUA, DE BENEDITTIS 1980, pp. 306-308, nn. 1-5; STELLUTI 1997, pp. 289-291, nn. 215-219.<br />

6 FROVA 1951.<br />

7 PONTIROLI 1970, pp. 184-187; FACCHINI 1997, pp. 42 e 43 nt. 20 con bibliografia.<br />

8 BALDACCI 1967-68, p. 13; PONTIROLI 1970, pp. 184-187; BALDACCI 1972, p. 104.<br />

9 BIONDANI 1998, p. 63.<br />

10 BALDACCI 1972, p. 104.<br />

11 «Archeo» IX, 8 (agosto 1994), p. 108; Scavi MM3, 1991, 3,1, p. 274, n. 13.<br />

12 TIUSSI, MANDRUZZATO 1996.<br />

13 CIPRIANO, FERRARINI 2001, p. 58 parlano <strong>di</strong> un esemplare non bollato tra produzioni ro<strong>di</strong>e e tardo-<br />

ro<strong>di</strong>e.<br />

14 CIPRIANO 2003, p. 237 e fig. 1b, ma la provenienza ro<strong>di</strong>a non è del tutto certa; cfr. «Picus» 26, 2006,<br />

p. 120, n. 1. 14.<br />

15 Vd. ad esempio il grafico che correda MAZZOCCHIN 2003, fig. 1.<br />

16 Da loc. Panzano: CIL, XI, 6695, 128 = IG, XIV, 2393, 347; da loc. Ca’ Magelli: ansa illeggibile in<br />

Modena 1988, II, pp. 62, 95, 98 e scheda T. 823 con fig. 326,9; cfr. FACCHINI 1998, p. 499, nt. 4.<br />

17 CIL, XI, 6695, 127.<br />

18 PACINI 2001.


PER LA CIRCOLAZIONE DELLE ANFORE RODIE E TARDO-REPUBBLICANE 315<br />

necropoli, già stu<strong>di</strong>ato da Liliana Mercando e Federica Cordano 19 : sono sei<br />

esemplari – cinque ro<strong>di</strong>i e uno forse cni<strong>di</strong>o – ancora sostanzialmente ine<strong>di</strong>ti (vd.<br />

tabella 1); restituiscono marchi con eponimi quali Puqogšnhjfig. 1,<br />

dwroj e con fabbricanti quali ‘rm…a (fig. 2) e BrÒmioj<strong>di</strong><br />

età compresa tra il IV e il V periodo 20 . Altre novità sono costituite dai reperti <strong>di</strong> Sena<br />

Gallica 21 e <strong>di</strong> Suasa 22 , mentre nel Piceno centrale Urbs Salvia 23 , Falerio, Montalto<br />

Marche e Asculum 24 hanno restituito bolli che, quando databili, rimandano alla<br />

seconda metà del II sec. a. C. Nella regio IV si conoscono anfore bollate dalla<br />

necropoli <strong>di</strong> Pinna Vestinorum 25 , da Aufidena 26 , da Histonium 27 , da Monte<br />

Vairano 28 .<br />

Nonostante si tratti <strong>nella</strong> maggior<br />

parte dei casi <strong>di</strong> rinvenimenti isolati e<br />

statisticamente poco rilevanti, l’incidenza<br />

del fenomeno non può passare inosservata<br />

né sembra potersi ricondurre unicamente a<br />

casi <strong>di</strong> ellenizzazione circoscritti ad<br />

ambienti mercantili o aristocratici. In<br />

questo senso, per quanto riguarda Ancona,<br />

i nuovi rinvenimenti vengono in parte a<br />

rettificare l’immagine <strong>di</strong> importazioni “<strong>di</strong><br />

lusso” destinate ad una clientela greca<br />

d’élite e per questo riservate al corredo<br />

funerario; se questo carattere può essere<br />

riconosciuto alle importazioni più antiche,<br />

i reperti del porto, con le loro associazioni<br />

stratigrafiche, si qualificano piuttosto<br />

come prodotti che accompagnano l’età<br />

della trasformazione culturale della città 29<br />

e documentano i contatti commerciali <strong>di</strong><br />

una comunità che si va rapidamente<br />

romanizzando nel corso del II sec. a.C.<br />

Sotto il profilo cronologico, le<br />

importazioni ro<strong>di</strong>e tra il Sannio e Aquileia<br />

Figg. 1-2. Bolli su anfore ro<strong>di</strong>e dal<br />

Porto <strong>di</strong> Ancona.<br />

19<br />

MERCANDO 1976, pp. 163-165 e figg. 16-18, 35-37, 39-41; CORDANO 1992-1993.<br />

20<br />

Ringrazio il Prof. G. Paci, incaricato della pubblicazione, che mi ha consentito <strong>di</strong> presentare gli<br />

esemplari ine<strong>di</strong>ti nelle Giornate <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong>o e <strong>di</strong> rendere noti i testi dei bolli <strong>nella</strong> Tabella 1 (Ancona,<br />

Vanvitelli 1-6).<br />

21<br />

STEFANINI 1994-1995. Altri esemplari ancora ine<strong>di</strong>ti sono segnalati da SALVINI 2003, fig. 8.<br />

22<br />

MAZZEO SARACINO, VERGARI 1997, pp. 151-153.<br />

23<br />

FORTI 2006.<br />

24<br />

MARENGO 2000; PACI 2001.<br />

25<br />

STAFFA 2002, p. 331, n. 1 e fig. 32.<br />

26<br />

PELLEGRINO 1988, p. 188.<br />

27<br />

IG, XIV, 2393, 4 e p. 705<br />

28<br />

BEVILACQUA 1980 e BEVILACQUA, DE BENEDITTIS 1980, pp. 343-348, nn. 3-28.<br />

29<br />

Sottolineata recentemente da COLIVICCHI 2001.


316 SILVIA M. MARENGO, GIANFRANCO PACI<br />

si <strong>di</strong>stribuiscono dal III periodo della classificazione <strong>di</strong> V. Grace 30 fino al VI periodo<br />

con gli eponimi più tar<strong>di</strong> <strong>di</strong> Monte Vairano e Urbs Salvia. Tra i marchi più antichi si<br />

segnalano ad Aquileia il fabbricante Phanias (per. III, 210-175 a.C.) e l’eponimo<br />

Aristodamos II (182-176 a.C.) 31 , ad Ancona l’eponimo Nikasagoras I (188-183) 32 , a<br />

Monte Vairano il fabbricante Agoranax attivo nell’ultimo decennio del III sec. a.C.<br />

In questo arco cronologico, la maggior parte dei reperti che è possibile datare si<br />

colloca nei perio<strong>di</strong> IV-V che abbracciano il II sec. a.C., <strong>di</strong>stribuendosi tra il 180 e il<br />

108 quando navigazione e traffici commerciali in Adriatico ebbero impulso dal<br />

controllo esercitato dai duumviri navales a <strong>di</strong>fesa dalla pirateria illirica 33 . Nel loro<br />

complesso, i commerci <strong>di</strong> vino ro<strong>di</strong>o in Adriatico non sembrano risentire né delle<br />

<strong>di</strong>fficoltà tra Ro<strong>di</strong> e Roma conseguenti alla battaglia <strong>di</strong> Pidna 34 , né del declino dei<br />

mercati ro<strong>di</strong>i che viene, ma sempre meno convintamente, connesso alla creazione<br />

del porto franco <strong>di</strong> Delo 35 dove, al contrario, mercanti ro<strong>di</strong>i e romano-italici possono<br />

aver trovato più frequenti occasioni <strong>di</strong> contatti e scambi. Quanto agli agenti<br />

commerciali, tra esportatori ro<strong>di</strong>i e importatori romani, non vi sono finora dati<br />

significativi 36 .<br />

Un’ultima considerazione è suggerita dalla <strong>di</strong>stribuzione dei rinvenimenti in<br />

rapporto alle vicende del territorio: se mettiamo a confronto i dati cronologici,<br />

l’apparire del vino ro<strong>di</strong>o sembra porsi in stretta relazione con l’inse<strong>di</strong>arsi <strong>di</strong> coloni<br />

romani 37 o più generalmente con episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> romanizzazione 38 ; sebbene il quadro<br />

della documentazione, che è certamente incompleto 39 e ancora provvisorio quanto a<br />

inquadramento cronologico dei singoli esemplari 40 , non consenta conclusioni in<br />

questo senso, il consumo del vino ro<strong>di</strong>o come portato della presenza romana sembra<br />

intanto un’ipotesi da considerare.<br />

S. M. M.<br />

30<br />

Alla quale si fa principalmente riferimento (GRACE 1953 e GRACE, PETROPOULAKOU 1970); si<br />

vedano inoltre gli interventi e le precisazioni <strong>di</strong> EMPEREUR, HESNARD 1987, pp. 18-19, EMPEREUR 1990,<br />

FINKIELSZTEJN 2001.<br />

31<br />

La cronologia <strong>di</strong> questo eponimo è abbassata agli anni 166-164 da FINKIELSZTEJN 2001, p. 192.<br />

32<br />

Abbassato agli anni 172-171 circa da FINKIELSZTEJN 2001, p. 192.<br />

33<br />

LIV. 41,1,3. Sulle <strong>di</strong>mensioni del fenomeno in Adriatico vd. BANDELLI 2004 con ampia bibliografia.<br />

34<br />

POLYB. 30,31,20; LIV. perioch. 46.<br />

35<br />

Le ripercussioni economiche e politiche sono fortemente ri<strong>di</strong>mensionate da GABRIELSEN 1987.<br />

36<br />

Sulla chiusura <strong>di</strong> Ro<strong>di</strong> ai negotiatores italici vd. HATZFELD 1919, pp. 153-157.<br />

37<br />

Come a Cremona (colonia nel 218 a.C.), dove troviamo bolli <strong>di</strong> Ainesidamos datato al III periodo<br />

(vd. già BALDACCI 1972, p. 105), ad Aquileia (colonia nel 181 a.C.) con i bolli <strong>di</strong> Phanias e<br />

Aristodamos che si collocano a ridosso della fondazione, a Urbs Salvia, dove le sopravvivenze<br />

istituzionali e gli scavi stanno rivelando una colonia <strong>di</strong> II sec. a.C.<br />

38<br />

Come a Suasa, che fu tra le praefecturae dell’ager Gallicus o a Monte Vairano.<br />

39<br />

Si attende, ad esempio, l’e<strong>di</strong>zione dei nuovi materiali <strong>di</strong> Aquileia, <strong>di</strong> Potentia, <strong>di</strong> Sena Gallica.<br />

40<br />

Mi riferisco ai risultati delle ultime ricerche citate supra a nt. 30.


PER LA CIRCOLAZIONE DELLE ANFORE RODIE E TARDO-REPUBBLICANE 317<br />

I bolli su anfore Lamboglia 2 provenienti dagli scavi del porto <strong>di</strong> Ancona<br />

Come è noto, le ricerche <strong>di</strong> M.T. Cipriano e M.-B. Carre sulla circolazione<br />

delle anfore in ambito adriatico hanno recato un contributo determinante<br />

all’inquadramento delle Lamboglia 2, riconoscendo il carattere appunto ‘adriatico’<br />

della produzione, fissandone l’arco cronologico della circolazione tra la fine del II<br />

sec. e gli anni 30 a.C. circa e chiarendone infine – anche se su questo punto il<br />

<strong>di</strong>battito continua – l’uso al quale erano a<strong>di</strong>bite, vale a <strong>di</strong>re il trasporto del vino. Alla<br />

definizione <strong>di</strong> alcune <strong>di</strong> queste questioni hanno contribuito anche alcune recenti<br />

scoperte avvenute in ambito marchigiano, come quelle <strong>di</strong> Cesano <strong>di</strong> Senigallia, <strong>di</strong><br />

Porto Recanati e del Fermano, che hanno indotto anche a postulare l’esistenza in<br />

queste zone <strong>di</strong> centri <strong>di</strong> produzione 41 .<br />

Tali acquisizioni hanno contribuito, in questi anni, a richiamare l’attenzione<br />

su questo tipo <strong>di</strong> contenitori, favorendo in particolare la pubblicazione <strong>di</strong> nuovo<br />

materiale, per il quale si registra anche l’apprestamento <strong>di</strong> ottime raccolte<br />

regionali 42 , e la conseguente riflessione sui problemi legati a questa tipologia <strong>di</strong><br />

anfore. Indubbiamente sorprende la quantità della documentazione raccolta, che fa<br />

delle Lamboglia 2 uno dei contenitori più <strong>di</strong>ffusi <strong>nella</strong> penisola, e con essa la grande<br />

quantità dei bolli, che superano ormai abbondantemente il migliaio, e che proprio<br />

per la loro entità fanno avvertire l’esigenza – cui si è cercato <strong>di</strong> dar risposta nel<br />

recente Convegno internazionale <strong>di</strong> Durazzo (settembre 2006), che ha visto de<strong>di</strong>cata<br />

specificamente alla Lamboglia 2 una sezione dei lavori – <strong>di</strong> una pronta <strong>di</strong>vulgazione<br />

del materiale ancora ine<strong>di</strong>to, così da poter <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> una raccolta che sia aggiornata<br />

e completa.<br />

Bisogna <strong>di</strong>re che, se gli stu<strong>di</strong> <strong>degli</strong> ultimi due decenni hanno portato a definire<br />

le coor<strong>di</strong>nate generali <strong>di</strong> questa tipologia anforica, restano tuttora aperti tutti i<br />

problemi specifici: dalla in<strong>di</strong>viduazione dei luoghi <strong>di</strong> produzione dei contenitori e<br />

dei gran<strong>di</strong> proprietari fon<strong>di</strong>ari cui fa capo il commercio vinario in questione alla<br />

precisa datazione dei contenitori stessi 43 . Si è insomma ben lontani dalla situazione<br />

conoscitiva che, grazie anche agli stu<strong>di</strong> più recenti, si ha oggi per le anfore<br />

brin<strong>di</strong>sine, a proposito delle quali l’in<strong>di</strong>viduazione <strong>degli</strong> impianti produttivi, la<br />

compattezza e l’abbondanza del materiale documentario, nonché la presenza <strong>di</strong> un<br />

apparato epigrafico più ricco <strong>di</strong> dati, hanno portato a <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> un quadro <strong>di</strong><br />

informazioni abbastanza puntuali e dettagliato.<br />

È un fatto che i dati epigrafici delle Lamboglia 2 sono <strong>di</strong> scarso aiuto a<br />

risolvere questi problemi. I bolli presentano infatti, <strong>nella</strong> quasi totalità dei casi, un<br />

testo che consiste in un singolo nome personale: si tratta in prevalenza <strong>di</strong> nomi <strong>di</strong><br />

matrice greca, ma vi figurano anche qualche nome illirico e vari nomi latini. È molto<br />

rara, in particolare, la presenza <strong>di</strong> gentilizi, la cui identificazione è resa d’altra parte<br />

incerta, in alcuni casi, dall’abbreviazione ad una sola lettera dei nomi; rarissima,<br />

infine, quella <strong>di</strong> strutture onomastiche composte <strong>di</strong> prenome e gentilizio, il cui<br />

41 CIPRIANO, CARRE 1989; CIPRIANO 1994.<br />

42 DESY 1989; BRUNO 1995.<br />

43 Per un quadro delle conoscenze, su questi punti, per la verità scarse e spesso ipotetiche, cfr. CIPRIANO<br />

1994, pp. 207-213.


318 SILVIA M. MARENGO, GIANFRANCO PACI<br />

riconoscimento risulta spesso, anche in questo caso, tutt’altro che sicuro per lo<br />

stesso motivo.<br />

Ma chi sono i personaggi che appongono il proprio nome, <strong>nella</strong> maggior parte<br />

dei casi d’origine greca, sulle Lamboglia 2 e quale è la loro collocazione <strong>nella</strong><br />

complessa storia delle anfore? Poiché la formulazione onomastica <strong>di</strong> queste persone<br />

e la matrice per lo più greca o orientale dei loro nomi rinviano a in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong><br />

con<strong>di</strong>zione servile, è evidente che non possiamo riconoscere in essi i protagonisti del<br />

commercio vinario. La loro attività va dunque collocata nell’ambito del processo<br />

produttivo dei contenitori: dovrebbe cioè trattarsi del personale che sovrintende alla<br />

organizzazione del lavoro schiavile nell’ambito della fornace, o responsabile della<br />

gestione della figlina, o anche <strong>di</strong> proprietari dell’officina. La quantità, che è davvero<br />

considerevole e in continua crescita, dei nomi andrà conseguentemente spiegata con<br />

l’eventuale concorso <strong>di</strong> più responsabili all’interno <strong>di</strong> una struttura produttiva,<br />

nonché con l’avvicendarsi del personale nell’arco del secolo <strong>di</strong> durata della<br />

produzione delle Lamboglia 2; ma è evidente che essa rinvia anche ad una<br />

molteplicità dei centri <strong>di</strong> produzione, che se anche non siamo in grado né <strong>di</strong><br />

quantificare, né tanto meno – all’infuori <strong>di</strong> alcuni rari casi – <strong>di</strong> ubicare, dovevano<br />

essere variamente <strong>di</strong>ffusi sulle due sponde dell’Adriatico.<br />

Da quanto detto risulta che una delle caratteristiche delle Lamboglia 2 è che,<br />

<strong>di</strong>versamente da quanto accade per le brin<strong>di</strong>sine, i veri protagonisti <strong>di</strong> questo grosso<br />

capitolo del commercio vinario restano del tutto sconosciuti: non se ne conoscono i<br />

nomi, né la ubicazione delle proprietà, né tanto meno il livello sociale, che<br />

comunque andrà in<strong>di</strong>viduato preferibilmente nell’ambito del ceto senatorio ed<br />

equestre 44 .<br />

Anche per quanto riguarda la datazione dei contenitori ci si muove tra gran<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fficoltà, come mostra lo stato <strong>degli</strong> stu<strong>di</strong>. Ma in questo campo qualche spiraglio si<br />

intravede. Se la paleografia dei bolli offre scarsi (ma non inesistenti) elementi <strong>di</strong><br />

appiglio, la morfologia dei nomi presenta in qualche caso elementi <strong>di</strong> indubbio<br />

interesse: TRVPO (fig. 3), per fare un esempio, che si legge su un bollo <strong>di</strong> Ancona<br />

(forse attestato anche altrove) non è altro che la trascrizione del nome greco<br />

Tryphon, dove il mancato uso della ypsilon e l’omissione dell’aspirata dovrebbero<br />

rinviare ad un momento presillano della produzione <strong>di</strong> questo contenitore. Ma in<br />

tema <strong>di</strong> datazione dei contenitori, si capisce che qualche passo avanti può avvenire<br />

dalla in<strong>di</strong>viduazione – che si sta cominciando a fare – delle varianti morfologiche<br />

all’interno della tipologia, che sono riconoscibili per esempio in buon numero anche<br />

tra il materiale del porto <strong>di</strong> Ancona, quin<strong>di</strong> dalla loro <strong>di</strong>sposizione seriale, <strong>nella</strong><br />

misura in cui è possibile, nonché al loro abbinamento all’apparato epigrafico.<br />

Gli scavi del Lungomare Vanvitelli che hanno portato alla scoperta delle<br />

strutture portuali antiche <strong>di</strong> Ancona, hanno tra l’altro consentito il recupero <strong>di</strong> una<br />

grande quantità <strong>di</strong> frammenti anforici, tra cui spicca un cospicuo numero <strong>di</strong> reperti<br />

pertinenti alle Lamboglia 2: sono infatti intorno ai 200 gli esemplari frammentari<br />

che è stato possibile recuperare. Si tratta <strong>di</strong> un materiale importante, in gran parte<br />

anepigrafe, che permette <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re ed arricchire le nostre conoscenze sulla<br />

44 Anche su questo punto cfr. CIPRIANO 1994, p. 212, che riprende alcune ipotesi <strong>di</strong> identificazione<br />

avanzate da D. Manacorda.


PER LA CIRCOLAZIONE DELLE ANFORE RODIE E TARDO-REPUBBLICANE 319<br />

produzione, attraverso la in<strong>di</strong>viduazione – per esempio – <strong>di</strong> una molteplicità <strong>di</strong><br />

varianti per quanto riguarda la forma dei contenitori 45 . Naturalmente non intendo qui<br />

soffermarmi su questi aspetti, che saranno debitamente trattati <strong>nella</strong> ormai<br />

imminente pubblicazione monografica sugli scavi. Ritengo invece <strong>di</strong> fare cosa utile<br />

portando subito a conoscenza <strong>degli</strong> stu<strong>di</strong>osi l’elenco dei bolli che compaiono sui<br />

reperti del porto <strong>di</strong> Ancona (tabella 2), dal momento che la loro <strong>di</strong>vulgazione<br />

arricchisce le conoscenze sulla circolazione dei contenitori, mette a <strong>di</strong>sposizione<br />

nuovi testi e può anche aiutare ad identificare testi noti ma in modo insod<strong>di</strong>sfacente;<br />

la speranza, inoltre, è che ne possano venire anche suggerimenti per una migliore<br />

comprensione <strong>di</strong> alcuni bolli <strong>di</strong> Ancona <strong>di</strong> identificazione problematica. Dei 47 bolli<br />

su Lamboglia 2, recuperati dagli scavi sul Lungomare Vanvitelli 46 , una decina sono<br />

infatti largamente incompleti o mal impressi, al punto <strong>di</strong> pregiu<strong>di</strong>carne<br />

l’identificazione.<br />

Fig. 3. Bollo su Lamboglia 2 dal Porto <strong>di</strong> Ancona.<br />

Nel catalogo che se ne dà qui sotto viene in<strong>di</strong>cata la bibliografia per quelli già<br />

noti e l’in<strong>di</strong>cazione dei luoghi <strong>di</strong> attestazione. Per il resto richiamo qui l’attenzione<br />

su qualche novità, come i bolli APRODIS., [A]RTEMO.SAB., PHILOC., PLAT.E.,<br />

PL. EPI / [- - -], PR.X, TRVPO, VENET. (fig. 4), ai quali si aggiungono alcune<br />

varianti per bolli già noti, come ad es. MITRA in scrittura retrograda, ROD con il<br />

simbolo dell’ancora ed altri ancora. La nuova documentazione proveniente dallo<br />

scavo del Lungomare Vanvitelli mostra ancora una volta la vastità della produzione<br />

delle Lamboglia 2, del resto sottolineata dal continuo accrescersi <strong>di</strong> dati ad ogni<br />

nuova scoperta.<br />

45 Una prima <strong>di</strong>samina <strong>degli</strong> aspetti più propriamente archeologici, esposti ancora una volta, tuttavia, in<br />

forma preliminare, è stata fatta da S. Forti in occasione del convegno internazionale <strong>di</strong> Durazzo del<br />

settembre 2006; in quella sede è stato altresì fornito il nudo catalogo del bolli <strong>di</strong> nuova acquisizione:<br />

cfr. FORTI, PACI in c.s. Un breve cenno anche in PACI 2003, p. 288.<br />

46 Vi compaiono anche tre graffiti e due tituli picti, che qui non vengono presi in considerazione.


320 SILVIA M. MARENGO, GIANFRANCO PACI<br />

Fig. 4. Bollo su Lamboglia 2 dal Porto <strong>di</strong> Ancona.<br />

Sotto l’aspetto storico le recenti scoperte, in particolare le acquisizioni <strong>di</strong><br />

Lamboglia 2, evidenziano l’importanza commerciale del porto <strong>di</strong> Ancona, che funge<br />

da punto <strong>di</strong> arrivo e <strong>di</strong> partenza <strong>di</strong> merci in movimento su gran<strong>di</strong> imbarcazioni.<br />

Sembra sempre più evidente che la città, dotata della migliore struttura portuale per<br />

il tratto italiano dell’Adriatico centrale, svolge anche la funzione <strong>di</strong> smistamento nei<br />

porti minori a nord e a sud dell’Esino delle merci che arrivano d’oltremare, nonché<br />

quella della raccolta dei prodotti regionali destinati a raggiungere via mare i mercati<br />

lontani: questo, appunto, orientano a pensare la quantità e varietà dei bolli, mentre<br />

certezze a questo riguardo potrebbero venire dalla sicura identificazione in ambito<br />

regionale dei luoghi <strong>di</strong> produzione <strong>di</strong> qualcuno <strong>di</strong> questi contenitori. Ne risulta<br />

altresì il pieno inserimento della città, che gode probabilmente – almeno per una<br />

parte del periodo interessato dalla circolazione <strong>di</strong> questi contenitori – della<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> città libera, nel sistema economico e commerciale romano. Ma non<br />

meno evidente è il momento <strong>di</strong> grande impulso economico che caratterizza la<br />

regione a nord e a sud dell’Esino tra l’ultimo quarto del II e la fine del I sec. a.C.<br />

APPENDICE<br />

Tabella 1. Bolli ro<strong>di</strong>i nelle aree costiere del me<strong>di</strong>o e alto Adriatico.


PER LA CIRCOLAZIONE DELLE ANFORE RODIE E TARDO-REPUBBLICANE 321


322 SILVIA M. MARENGO, GIANFRANCO PACI


PER LA CIRCOLAZIONE DELLE ANFORE RODIE E TARDO-REPUBBLICANE 323<br />

Tabella 2. Bolli su Lamboglia 2 dal porto <strong>di</strong> Ancona.<br />

NR. SIGLA BOLLO BIBL. DI RIFERIMENTO ATTESTAZIONI<br />

1 PV.A59.A1 ABIN.H CARRE 2002 Stanici-Celina e Vegia in<br />

Dalmazia, Felline; Roma,<br />

Atene e Tortona<br />

2 PV.A56.371.A1 AB[- - -] Vd. prec.<br />

3 PV.614.A34 ALB[- - -] nuovo<br />

4 PV.A7.138.A3 APRODIS nuovo<br />

5 PV.00.614 [A]RTEMO.SAB nuovo<br />

6 PV. A1.24.A9 BARNA nuovo in questa forma ma<br />

cfr. RTAR II, 610<br />

Trinitapoli<br />

7 PV.00.678 [C]AST.R RTAR I, n. 86 Isole Tremiti<br />

8 PV.A1.M5.A14 DACV[S] DESY 1989, 56, 153, 297,<br />

328; GISBERT SANTONIA<br />

1998, p. 386 ; BRUNO<br />

1995, p. 127<br />

9 PV.00.614 [E]PIC BRUNO 1995, n. 49; DESY<br />

1989, n. 71; RTAR I, n. 92;<br />

CARRE et al., c.s.<br />

10 PV.00.704 EPICA retrogrado BRUNO 1995, p. 131 e nn.<br />

50-51<br />

11 PV.A1.73.10 EVNVS CARRE et al. c.s. Aquileia<br />

12 PV.826.2 EV+[- -] <strong>di</strong>verso dal prec.<br />

13 PV.00.660 GEN[TI] BRUNO 1995, pp. 132-133;<br />

RTAR I, n. 93<br />

Sevegliano, Peritato (TA);<br />

S. Jor<strong>di</strong>, Delo, Dianium<br />

Cremona, Taranto, Vercelli,<br />

Aquileia<br />

Milano, Calvatone, Altino;<br />

Malta<br />

Calvatone, Aquileia,<br />

Milano, Tortona, Ugento;<br />

Lissa, Durazzo, Delo<br />

14 PV.00.681 HER[ - -] cfr. BRUNO 1995, p. 134;<br />

STARAC c.s<br />

15 PV.A78.395.A2 K[ANI - - -] CARRE 2002 molto <strong>di</strong>ffuso<br />

16 PV.A62.A54 LTAR BRUNO 1995, p. 136 e nn.<br />

66-69<br />

17 PV.A98.428.A1 MAHE[S?] BRUNO 1995, p. 137 e n.<br />

74<br />

molto <strong>di</strong>ffuso<br />

Milano, Ugento, Taranto,<br />

Sevegliano, Magreta <strong>di</strong><br />

Modena, Milano, Padova,<br />

Tharros, Fos<br />

18 PV.A42.A4 [M]AHE vd. prec.<br />

19 PV.A7.137.A11 [M]AHE vd. prec.<br />

20 PV.00.608 [ME]NANDE BRUNO 1995, p. 139 Cesano <strong>di</strong> Senigallia,<br />

Brin<strong>di</strong>si<br />

21 PV.00.655 MENOP RTAR II, n. 657; BRUNO Taranto, Aquileia; Vis<br />

1995, p. 140<br />

22 PV.A26.218.A1 MITRA retrogrado nuovo in questa forma, vd.<br />

seg.<br />

23 PV. 99. 0 MITRAE BRUNO 1995, p. 141;<br />

CARRE et alii, c.s.;<br />

STARAC c.s<br />

Padova, Sevegliano, Pola,<br />

Brin<strong>di</strong>si; Atene<br />

24 PV. A26. 218. A2 NICI palma nuovo<br />

25 PV. 00. 528 [PH]ALL. / PHALL SCOTTI 1989, p. 98, n. 41 Modena, forse anche ad<br />

26 PV.A 95. 425. A1 PHILIP BRUNO 1995, p. 144 e n.<br />

91-92; STARAC c.s<br />

Aquileia<br />

Milano, Pola<br />

27 PV.A1.115.A15 PHILO palmetta BRUNO 1995, p. 144 Palazzuolo del Friuli<br />

28 PV.99.0 PHILOC vaso nuovo<br />

29 PV.A26.218.A3 PHILOC vaso identico al prec.


324 SILVIA M. MARENGO, GIANFRANCO PACI<br />

NR. SIGLA BOLLO BIBL. DI RIFERIMENTO ATTESTAZIONI<br />

30 PV.00.677 PLAT.E CARRE 2002, p. 98, tab. Senigallia<br />

31 PV.A1.24.A7 PL. EPI / [- - -] nuovo<br />

32 PV.A59.A2 PR.X nuovo<br />

33 PV.99.0.431a ROD ancora DESY 1989, nn. 258-259,<br />

115, 94; cfr. BRUNO 1995,<br />

Fos, Durazzo, Apollonia<br />

p. 145<br />

34 PV.A1.24.A15 [RO]D ancora vd. prec.<br />

35 PV.A1.24.A16 [RO]D ancora vd. prec.<br />

36 PV.00.772 TRVPO nuovo cfr. però BRUNO 1995, p.<br />

150<br />

37 PV.A1.26.A6 VENET nuovo<br />

38 PV.A41.A3 B[- - -] (?)<br />

39 PV.558.A2 +ACCIS<br />

40 PV.A45.18 [- -]ACASIC[- -]<br />

41 PV.A29.17.A23 [- - -]GEN nesso EN<br />

42 PV.00.677 [- - -?]+TEA<br />

43 PV.A29.A22 [- - -]+F<br />

44 PV.00.738 [- -]ICO ++<br />

45 PV.00.500 [- -]+IDI (?)<br />

46 PV.A21.119.A1 [- -]+IEVS (?)<br />

47 PV.A7.139.A3 [- - -]+POM o DOIM o<br />

MOG<br />

48 PV.A42.A1 [- - -]<br />

49 PV.A43.A13 [- - -]+[- - -]<br />

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1986: Coll. EFR, 114), Rome, pp. 67-104.<br />

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COLIVICCHI 2002 = F. COLIVICCHI, La necropoli <strong>di</strong> Ancona (IV-I sec. a.C.). Una<br />

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CORDANO 1992-1993 = F. CORDANO, I bolli ro<strong>di</strong>i <strong>di</strong> Ancona, «Picus», 12-13, pp.<br />

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ro<strong>di</strong>o a Taranto, in Amphores romaines et histoire économique. Dix ans de<br />

recherches (Actes du colloque, Sienne 1986 = Coll. EFR, 114), Rome, pp.<br />

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326 SILVIA M. MARENGO, GIANFRANCO PACI<br />

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International Series, 554), London.<br />

EMPEREUR 1990 = J.-Y EMPEREUR, La chronologie des amphores rho<strong>di</strong>ennes à<br />

l’époque hellénistique (Actes deuxième colloque scientifique sur la<br />

céramique hellénistique, Rhodes 1989), Athènes, pp. 199-209.<br />

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hellénistiques, in Céramiques hellénistiques et romaines, 2, Besançon.<br />

FACCHINI 1998 = G. M. FACCHINI, Il traffico delle derrate alimentari. Un esempio:<br />

il vino dall’Egeo, in Tesori dalla Postumia. Archeologia e storia intorno a<br />

una grande strada romana alle ra<strong>di</strong>ci dell’Europa (Catalogo della Mostra,<br />

Cremona 1998), Milano, pp. 498-499.<br />

FINKIELSZTEJN 2001 = G. FINKIELSZTEJN, Chronologie détaillée et révisée des<br />

éponymes amphoriques rho<strong>di</strong>ens de 270 à 108 av. J.-.C. environ, Oxford.<br />

FORTI 2006 = S. FORTI, Bolli <strong>di</strong> anfore ro<strong>di</strong>e da Urbs Salvia, «Picus», 26, pp. 357-366.<br />

FORTI, PACI c.s. = S. FORTI, G. PACI, Le anfore Lamboglia 2 dal porto romano <strong>di</strong><br />

Ancona, «RCRF», in corso <strong>di</strong> stampa.<br />

FROVA 1951 = A. FROVA, Bollo d’anfora greco nel Cremonese, «Epigraphica», 13,<br />

pp. 142-149.<br />

GABRIELSEN 1987 = V. GABRIELSEN, Rhodes and Rome after the Tirth Macedonian<br />

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132-161.<br />

GAROZZO 1999 = B. GAROZZO, Nuovi bolli anforari dalla Sicilia occidentale<br />

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stu<strong>di</strong>, Erice 1998), a cura <strong>di</strong> M. I. GULLETTA, Pisa, pp. 281-383.<br />

GISBERT PANTONJA 1998 = J.A. GISBERT PANTONJA, Ànfores i vi al territorium de<br />

Dianium (Dénia). Dades per a la sistemació del la producció amforal al<br />

País Valencià, in El vi al la antiguitat. Economia, producciÒ i commerç<br />

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KOU, Les timbres amphoriques, in L'îlot de la maison des comé<strong>di</strong>ens<br />

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Paris.<br />

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PER LA CIRCOLAZIONE DELLE ANFORE RODIE E TARDO-REPUBBLICANE 327<br />

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dalla Preistoria al Me<strong>di</strong>oevo (Atti del Convegno internazionale, Ravenna<br />

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MERCANDO 1976 = L. MERCANDO, L’ellenismo nel Piceno, in Hellenismus in<br />

Mittelitalien, 1, a cura <strong>di</strong> P. ZANKER, Göttingen, pp. 162-195.<br />

Modena 1988 = Modena dalle origini all’anno Mille. Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> archeologia e storia,<br />

I-II, Modena.<br />

PACI 2001 = G. PACI, Me<strong>di</strong>o-Adriatico occidentale e commerci transmarini (II sec.<br />

a.C. - II sec. d.C.), in Strutture portuali e rotte marittime nell’Adriatico <strong>di</strong><br />

età romana, «AAAd», 46, pp. 73-87.<br />

PACI 2003 = G. PACI, Novità epigrafiche delle Marche per la storia dei commerci<br />

marittimi, in L’archeologia dell’Adriatico dalla Preistoria al Me<strong>di</strong>oevo,<br />

(Atti del Convegno internazionale, Ravenna 7-9 giugno 2001), Bologna,<br />

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328 SILVIA M. MARENGO, GIANFRANCO PACI<br />

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TILLOCA 2002 = C. TILLOCA, Nuovi bolli anforari ro<strong>di</strong>i dall’acropoli <strong>di</strong> Populonia,<br />

in L’africa romana. Lo spazio marittimo del Me<strong>di</strong>terraneo occidentale.<br />

Geografia storica ed economia (Atti del XIV convegno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, Sassari<br />

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Archeologia e storia intorno a una grande strada romana alle ra<strong>di</strong>ci<br />

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DUE PROBLEMI EPIGRAFICI SU INSTRUMENTUM<br />

DA VICENZA ROMANA<br />

Stefania Mazzocchin<br />

Da recenti scavi nel centro della città <strong>di</strong> Vicenza, non ancora pubblicati, sono<br />

stati rinvenuti due bolli particolari, uno su anfora e uno su laterizio, che pongono<br />

notevoli problemi <strong>di</strong> interpretazione: questa è sembrata l’occasione più adatta per<br />

approfon<strong>di</strong>re l’argomento 1 .<br />

Un particolare bollo su Dressel 6A da Vicenza<br />

Sull’orlo <strong>di</strong> un’anfora <strong>di</strong> tipo Dressel 6A è impresso un doppio bollo, uno<br />

leggibile, l’altro completamente cancellato da una scheggiatura.<br />

Anfora Dressel 6A<br />

Orlo, collo e anse; misure dell’orlo: h 4 cm; <strong>di</strong>am. interno 11,5 cm; h collo 23 cm.<br />

2 bolli sull’orlo, con lettere a rilievo (cm 1-1,3), entro cartigli rettangolari (1,5 x 6,5 cm; 1-1,5 x 4,5<br />

cm) (fig. 1).<br />

C. AVRARI.BLAE o BALLE // [- - -]<br />

C. Aurari Blae o Balle // [- - -]<br />

Con A-V-R, A-R, A-L-E o A-L-L-E in nesso<br />

I segni <strong>di</strong> interpunzione triangolari sono ben visibili, perciò sembra obbligata<br />

la sud<strong>di</strong>visione delle lettere tra gentilizio e cognome; inoltre, mentre il praenomen è<br />

facilmente in<strong>di</strong>viduabile in C(aius), l’in<strong>di</strong>cazione del gentilizio pone notevoli<br />

<strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> scioglimento così come il cognomen.<br />

Per l’identificazione del gentilizio è possibile pensare alla gens Aurelia 2 , ma<br />

nonostante la <strong>di</strong>fficoltà interpretativa del nesso A-R, si propone <strong>di</strong> leggere<br />

1 Con questo piccolo contributo desidero esprimere il mio affetto nei confronti del prof. Ezio Buchi,<br />

che ricordo come mio docente <strong>di</strong> Epigrafia e Istituzioni romane all’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Padova e soprattutto<br />

per avere dato inizio al filone <strong>di</strong> ricerche sulle anfore romane, sia dal punto <strong>di</strong> vista tipologico, sia da<br />

quello epigrafico, filone dal quale i miei stu<strong>di</strong> e interessi scientifici hanno preso avvio. Devo un<br />

particolare ringraziamento al prof. Clau<strong>di</strong>o Zaccaria per la <strong>di</strong>sponibilità a <strong>di</strong>scutere i problemi<br />

epigrafici e per i preziosi suggerimenti e i numerosi consigli utili allo svolgimento della presente<br />

ricerca. Un grazie va anche al prof. Alfredo Buonopane per la <strong>di</strong>scussione comune.<br />

2 Sembrerebbero da escludere sia l’ipotesi <strong>di</strong> una gens Aurapia, che non risulta attestata, sia la presenza<br />

<strong>di</strong> due in<strong>di</strong>cazioni, gentilizio e cognome, Aur(elius?) Api(…) (PIR 2 A, n. 1455: Aurelius Appius<br />

Sabinus).


330 STEFANIA MAZZOCCHIN<br />

l’in<strong>di</strong>cazione del nomen Aurarius 3 . Esso fa parte della serie dei nomina derivanti da<br />

mestieri collegati alla metallurgia e all’oreficeria 4 ; la gens Auraria è attestata a<br />

Roma, collegabile agli Argentarii a Benevento, Brin<strong>di</strong>si e Teano, in Hispania<br />

Tarraconensis, Baetica e Lusitania, oltre che nel modenese 5 . A Modena infatti vi è<br />

un’epigrafe che ricorda un P. Aurarius Crassus, <strong>di</strong> rango equestre, magistrato della<br />

città; i caratteri paleografici dell’epigrafe e il modello amministrativo in<strong>di</strong>cato dalle<br />

cariche ricoperte dal personaggio permettono <strong>di</strong> datare l’iscrizione alla primissima<br />

età imperiale, tra età tardo repubblicana e protoaugustea 6 .<br />

Fig. 1. Il doppio bollo C. Aurari Blae o Balle // [- - -] su anfora Dressel 6A (Foto <strong>di</strong> M.<br />

Bortolato e <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> G. Penello).<br />

Per quanto riguarda il cognome, i tratti rilevati consentono <strong>di</strong> scioglierlo in<br />

alternativa in Blae(- - -), meglio aderente a quanto si vede nel bollo, e forse in<br />

Balle(- - -). Tuttavia queste interpretazioni rimangono problematiche.<br />

Le ricerche per l’identificazione <strong>di</strong> questo nuovo bollo hanno condotto a<br />

riesaminare alcuni marchi emiliani, noti da vecchi ritrovamenti.<br />

In località Boretto 7 è stato rinvenuto un bollo C.AVRASE sull’orlo <strong>di</strong> una<br />

Lamboglia 2 o Dressel 6A; il marchio è già noto in almeno altri 3 esemplari, da S.<br />

Cesario sul Panaro, Bologna 8 e Cremona 9 . Pur in assenza <strong>di</strong> un secondo segno <strong>di</strong><br />

interpunzione lo scioglimento proposto è C. Aurelius Ase(…?).<br />

A Faenza, in località Quartolo, sono venute alla luce 3 anfore Dressel 6A con<br />

il marchio CAVRARBENN impresso a lettere a rilievo sull’orlo, entro cartiglio<br />

rettangolare. In nesso A-V e le due N finali. Lo scioglimento proposto è C(aius)<br />

Aur(elius) Arbenn(us) 10 .<br />

3<br />

SCHULZE 1966, pp. 349 e 416; SOLIN, SALOMIES 1994, p. 28.<br />

4<br />

Aerarius, Argentarius e Aurarius si riferiscono rispettivamente ai lavoratori <strong>di</strong> bronzo, argento e oro.<br />

5<br />

REBECCHI 1975, pp. 216-217.<br />

6<br />

REBECCHI 1975, pp. 217-218, fig. 1.<br />

7<br />

AURIGEMMA 1932, pp. 184-186, fig. 21; GUALANDI GENITO 1983, p. 431.<br />

8<br />

CIL, XI, 6695, 22a (S. Cesario al Panaro), 22b (Bologna), letti C.AVRASE, sebbene nel secondo vi<br />

sia l’in<strong>di</strong>cazione della lettura C.AVRAS.F («NSA» 1878, p. 226).<br />

9<br />

BALDACCI 1967-1968, p. 25, letto C.AVRASE: non viene in<strong>di</strong>cata la presenza <strong>di</strong> nessi tra le lettere.<br />

10<br />

RIGHINI 1971, pp. 221, 226-227, fig. 1, n. 7.


DUE PROBLEMI EPIGRAFICI SU INSTRUMENTUM DA VICENZA ROMANA 331<br />

Il fatto che questi marchi, complessivamente si tratta <strong>di</strong> sette esemplari,<br />

compaiano in quest’area circoscritta dell’Emilia, permette <strong>di</strong> ipotizzare che proprio<br />

l’area emiliana sia il luogo <strong>di</strong> produzione 11 . A sostegno <strong>di</strong> questa supposizione va<br />

segnalato che nel 1996 in località Rio <strong>di</strong> Quinto sono state rinvenute due fornaci<br />

riferibili ad un impianto produttivo <strong>di</strong> laterizi, ma il fatto che l’area fosse<br />

<strong>di</strong>sseminata <strong>di</strong> frammenti <strong>di</strong> anfore rende più concreta l’ipotesi che qui si possa<br />

localizzare anche un centro <strong>di</strong> produzione <strong>di</strong> anfore 12 .<br />

A seguito del nuovo bollo <strong>di</strong> Vicenza, la lettura <strong>di</strong> quest’ultimo marchio, in<br />

assenza dei segni interpuntivi, può <strong>di</strong>ventare C AVRAR BEN, seguito da palmetta<br />

piuttosto che da una seconda N 13 . Avremmo così due varianti del bollo <strong>di</strong> un C(aius)<br />

Aurarius, o la presenza <strong>di</strong> due C. Aurarii identificati dai due cognomina <strong>di</strong>fferenti.<br />

Molto più complessa risulta invece l’analisi del marchio C. AVRASE o<br />

C.AVRAS.F, le cui attestazioni meriterebbero, insieme a quelle del marchio C<br />

AVRAR BEN, una revisione autoptica. Un possibile scioglimento per la seconda<br />

lettura può essere C(aius) Aur(- - -) As(- - -) f(ecit), dove lo scioglimento del<br />

gentilizio in Aurelius sembra meno probabile e creazione per lectio facilior, mentre<br />

Aur(arius) sembrerebbe da preferire dopo il nuovo bollo <strong>di</strong> Vicenza.<br />

Sul problema dell’identificazione del gentilizio il bollo <strong>di</strong> Vicenza permette<br />

quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> formulare nuove ipotesi <strong>di</strong> lavoro: perseguendo la pista <strong>degli</strong> Aurarii,<br />

confortati dalla presenza del cavaliere <strong>di</strong> Modena, possiamo interpretare anche i<br />

gentilizi <strong>di</strong> questi marchi come appartenenti alla gens Auraria e forse ricostruire un<br />

legame fra <strong>di</strong> essi. In questo modo una nuova gens si legherebbe alla produzione <strong>di</strong><br />

anfore Dressel 6A e alla commercializzazione del vino in area emiliana.<br />

Probabilmente solo nuovi ritrovamenti <strong>di</strong> marchi identici potranno sciogliere i<br />

dubbi <strong>di</strong> interpretazione, soprattutto qualora fosse leggibile anche il secondo bollo<br />

associato, e definire con precisione l’area <strong>di</strong> <strong>di</strong>stribuzione.<br />

Un particolare bollo ine<strong>di</strong>to su laterizio da Vicenza<br />

Su <strong>di</strong> un frammento <strong>di</strong> tegola, dello spessore <strong>di</strong> 4 cm, si legge un bollo<br />

frammentario su due righe.<br />

Tegola<br />

Bollo su due righe in doppio cartiglio rettangolare (h 4,5 cm) e lettere a rilievo (h 1,4 cm)<br />

(fig. 2).<br />

L[- - -] / GR[- - -]<br />

L. [- - -] / Gr[aeceiniani]<br />

Gli unici confronti rinvenuti sono tre marchi, ine<strong>di</strong>ti, anch’essi su tegole, dal<br />

territorio <strong>di</strong> Castelnovo, presso Isola Vicentina (Vicenza) 14 .<br />

11<br />

RIGHINI 1971, p. 221; CARRE 1985, p. 215; TCHERNIA 1986, p. 131; ZACCARIA 1989, p. 477; MAZZEO<br />

SARACINO, VERGARI 1997, pp. 165-166.<br />

12<br />

RIGHINI 2004, p. 246.<br />

13<br />

Il cognome Arben(n), per <strong>di</strong> più, non trova confronti.<br />

14<br />

RONCONI 1982-1983, pp. 247-250: [- - -]NEILEI / GR[--]C[--]INIANI; [- - -] / GRAECEI[- - -]; [- - -<br />

]EILEI / [- - -]NIANI: i marchi sono ine<strong>di</strong>ti.


332 STEFANIA MAZZOCCHIN<br />

Sulla base del confronto con questi tre marchi è possibile ricostruire, in via <strong>di</strong><br />

ipotesi, parte dell’in<strong>di</strong>cazione onomastica del personaggio: L. [- - -]neileius /<br />

Graeceinianus.<br />

Sembra possibile integrare il gentilizio solamente come Herune(i)leius, nome<br />

piuttosto raro 15 . Il cognome Graeceinianus, potrebbe essere collegato al gentilizio<br />

Graec(e)inius, ben rappresentato <strong>nella</strong> Decima Regio e nelle Province 16 , ma non noto<br />

da altre fonti 17 .<br />

Fig. 2. Il bollo L. [- - -] / Gr[aeceiniani] su tegola<br />

(Foto <strong>di</strong> M. Bortolato e <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> G. Penello).<br />

La presenza del suffisso -ius nel gentilizio e -anus nel cognome rendono forse<br />

possibile proporre che il personaggio in esame, un Graeceius, sia stato adottato dalla<br />

gens Herune(i)leia; tuttavia non si possono escludere altre possibilità <strong>di</strong><br />

interpretazione.<br />

Per quanto riguarda la cronologia, la presenza dei tre elementi onomastici, la<br />

grafia delle lettere curate e con apicatura sono elementi che rimanderebbero alla metà<br />

del I secolo d.C. 18 ; necessita infine <strong>di</strong> un approfon<strong>di</strong>mento il suggestivo accostamento<br />

tra Gaecinianus e Grisignano, toponimo del vicentino 19 , territorio nel quale sembrano<br />

concentrate per il momento le attestazioni <strong>di</strong> questo marchio.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

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canale derivatore della “Bonificazione Parmigiana-Moglia”, e altre varie,<br />

«NSA», pp. 184-186.<br />

15<br />

SOLIN, SALOMIES 1994, p. 93; in OPEL II, non compare.<br />

16<br />

SCHULZE 1966, pp. 81, 522; OPEL II, p. 169: CIL, V, 3340, <strong>Verona</strong> (P. Graecinus P. f. Laco), 5864 e<br />

6019, Milano (L. Graecinius Pompeianus), 7218, Alpes Cottiae (Graecia).<br />

17<br />

Il cognome non compare infatti né in SOLIN, SALOMIES 1994, né in OPEL II.<br />

18<br />

ZACCARIA, GOMEZEL 2000, p. 294.<br />

19<br />

La citta<strong>di</strong>na <strong>di</strong> Grisignano <strong>di</strong> Zocco si trova a 16 km a SE della città <strong>di</strong> Vicenza.


DUE PROBLEMI EPIGRAFICI SU INSTRUMENTUM DA VICENZA ROMANA 333<br />

BALDACCI 1967-1968 = P. BALDACCI, Alcuni aspetti dei commerci nei territori<br />

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sui bolli delle anfore romane dell’Italia nordorientale, in Amphores<br />

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Colloquio, Siena 22-24 maggio 1986), Roma, pp. 469-488.<br />

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commercialisation d’un matériau (Actes du colloque international, Saint-<br />

Cloud 16-18 novembre 1995: Collection de l’Ecole Française de Rome,<br />

272), a cura <strong>di</strong> P. BOUCHERON, H. BROISE, Y. THEBERT, Roma, pp. 285-<br />

310.


LE ANFORE TRONCOCONICHE DA OLIVE:<br />

SPUNTI DI RIFLESSIONE<br />

Stefania Pesavento Mattioli<br />

«Sempre dalla penisola istriana sarebbe giunta a Feltre, nel cui Museo Civico<br />

è tuttora conservata, una terza anfora dall’inconfon<strong>di</strong>bile forma tronco-conica e base<br />

piatta, solitamente a<strong>di</strong>bita fra l’età augustea e per almeno tutto il I secolo d. C.<br />

all’esclusivo trasporto <strong>di</strong> olive ver<strong>di</strong> (albae) e nere (nigrae), conservate o con aromi<br />

e miele o più semplicemente sotto sale» 1 . Così nel 1989 Ezio Buchi presentava un<br />

contenitore, esposto nel Museo <strong>di</strong> Feltre, relativamente alla cui classe <strong>di</strong><br />

appartenenza da poco era stata fatta un’analisi sistematica che ne aveva messo in<br />

evidenza caratteristiche morfologiche e <strong>di</strong>ffusione 2 . Su tali contenitori, definiti<br />

“anfore troncoconiche da olive” o “Schörgendorfer 558” (denominazione questa più<br />

comunemente adottata dagli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> lingua anglosassone), che si caratterizzano<br />

per la forma appunto a tronco <strong>di</strong> cono con fondo piatto (tipo A) e presentano spesso<br />

un corpo più allungato e pareti con andamento concavo (tipo B) (fig. 1), si può oggi<br />

aggiungere qualche notizia, alla luce dei ritrovamenti effettuati negli ultimi venti<br />

anni in Cisalpina e nelle province nord-orientali.<br />

Innanzitutto è possibile ampliare la cronologia della loro <strong>di</strong>ffusione: pur<br />

mancando spesso dati precisi sui contesti, sembrerebbe che gli esemplari del tipo A<br />

non vadano oltre l’età flavia, mentre quelli <strong>di</strong> tipo B compaiono alla fine del I secolo<br />

e continuano almeno fino alla seconda metà del II, quando, pur avendo quasi cessato<br />

<strong>di</strong> circolare in Italia settentrionale, sono ancora attestati in Norico, Pannonia, Mesia<br />

e Dacia 3 . Attualmente non sembra tuttavia possibile capire se il tipo B rappresenti<br />

un’evoluzione del tipo A o se in qualche fase i due tipi convivano: in un “drenaggio”<br />

<strong>di</strong> Oderzo, databile per l’associazione <strong>di</strong> altre anfore bollate tra 70 e 80 d.C., erano<br />

presenti effettivamente entrambi i tipi, ma, come sempre in rinvenimenti <strong>di</strong> questo<br />

1 BUCHI 1989, p. 188.<br />

2 MUFFATTI MUSSELLI 1987; cfr. in precedenza BALDACCI 1972, pp. 27-28 e CARRE 1985, pp. 231-232.<br />

3 A Roncaglia <strong>di</strong> Ponte S. Nicolò (Padova) un’anfora <strong>di</strong> tipo B è presente in un “drenaggio” <strong>degli</strong> inizi<br />

del II secolo d. C. (CIPRIANO, MAZZOCCHIN, PASTORE 1998, pp.169-172); ad una cronologia fino alla<br />

metà del II secolo e oltre portano <strong>di</strong>versi <strong>degli</strong> esemplari proposti da T. Bezeczky in molti suoi stu<strong>di</strong><br />

(cfr. da ultimo BEZECZKY 2005, ove anche sintesi sulla <strong>di</strong>ffusione), dato confermato da alcuni<br />

rinvenimenti in Dacia (ARDE 2001, pp. 280-282) e nei territori del basso Danubio (BJELAJAC 1996, pp.<br />

19-22).


336 STEFANIA PESAVENTO MATTIOLI<br />

genere, non è detto che tutti i contenitori riutilizzati fossero arrivati nel medesimo<br />

momento 4 .<br />

In secondo luogo la revisione dei dati e<strong>di</strong>ti ha molto arricchito il quadro dei<br />

tituli picti che compaiono sul collo <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi esemplari, tanto che è sembrato<br />

opportuno proporne delle tabelle <strong>di</strong> sintesi 5 ; queste sono state organizzate sulla base<br />

<strong>di</strong> uno schema elaborato in modo analogo a quanto è stato fatto per i tituli sulle<br />

anfore iberiche da salse <strong>di</strong> pesce, dal momento che si è notato che anche le iscrizioni<br />

sulle anfore troncoconiche presentano una certa regolarità <strong>di</strong> scansione 6 (cfr.<br />

appen<strong>di</strong>ce e figg. 2 e 3).<br />

Fig. 1. Anfore troncoconiche da olive/ Schörgendorfer 558: tipo A (1) e tipo B (2).<br />

I tituli sono tracciati in colore rosso, in lettere capitali corsive. Nella linea A<br />

compare l’in<strong>di</strong>cazione del prodotto trasportato, sempre <strong>nella</strong> forma abbreviata OL,<br />

4<br />

A Oderzo, Via Spinè 1993, Drenaggio II (CIPRIANO, FERRARINI 2001, pp. 29-30; cfr. CIPRIANO,<br />

FERRARINI 2001, p. 71).<br />

5<br />

La revisione dei dati e<strong>di</strong>ti, che ha portato allo schema dei tituli picti (presenti in una quarantina <strong>di</strong><br />

esemplari su circa centoventi noti) e a una tabella riassuntiva delle loro attestazioni, è stata effettuata in<br />

occasione della tesi <strong>di</strong> laurea triennale in Archeologia presso l’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Padova <strong>di</strong> C. Tellini<br />

(Anfore da olive in epoca romana, anno acc. 2005-2006), da me seguita; per le anfore rinvenute in<br />

Pannonia, Norico e Mesia, si fa riferimento prevalentemente alle in<strong>di</strong>cazioni fornite da BEZECZKY<br />

2005, p. 56, in quanto non sempre è stato possibile verificare le pubblicazioni originarie. Va segnalato<br />

che gli esemplari e i frammenti rinvenuti a Vindobona, Carnuntum, Salla, Savaria, Gorsium sono<br />

particolarmente numerosi (BEZECZKY 2005, pp. 53-57); per i dati quantitativi delle presenze in<br />

Pannonia significativa è la tabella in BEZECZKY 1995, p. 168. Dal complesso delle attestazioni si sono<br />

espunti due esemplari: per il primo (da Vindonissa), annoverato tra gli esemplari <strong>di</strong> tipo A in MUFFATTI<br />

MUSSELLI 1987, p. 192 e tav. IV, 3, si tratta sicuramente <strong>di</strong> una Haltern 70 contenente olive ex defruto<br />

(cfr. già KELEMEN 1988, p. 141 e qui infra); per il secondo, da Salla, del quale già al momento della<br />

pubblicazione, erano state sottolineate <strong>di</strong>vergenze tipologiche e cronologiche (BEZECZKY 1987, p. 31, n.<br />

285), il titulus pictus, unico in nero e con l’in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> oliva per esteso, rende molto dubbio<br />

l’inserimento tra le anfore troncoconiche.<br />

6<br />

Cfr. ad esempio MARTIN-KILCHER 2002, fig. 3, p. 345.


LE ANFORE TRONCOCONICHE DA OLIVE: SPUNTI DI RIFLESSIONE 337<br />

da sciogliersi in oliva al singolare con valore collettivo 7 ; nel gruppo <strong>di</strong> linee B una<br />

serie <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni che riguardano principalmente le olive stesse (alba o nigra,<br />

abbreviate in ALB con nessi <strong>di</strong>versi o NIG, in B1 8 ), il tipo <strong>di</strong> conservazione (ex<br />

dulci, abbreviato EXDVL, talora con uno spazio tra EX e DVL, o EXD, in B2) e la<br />

qualità (excellens, abbreviato EXC o EXCEL in B3), accompagnate da riferimenti<br />

numerici in B4; inoltre in alcuni casi si aggiungono o si sostituiscono sigle non<br />

chiaramente interpretabili; in C si trovano le iniziali dei tria nomina o nomi più o<br />

meno abbreviati, non è chiaro se riferibili al destinatario della derrata trasportata<br />

nelle anfore o agli addetti al commercio. Altre linee, molto raramente presenti, sono<br />

collocate in basso a destra (E) o trasversalmente a lato delle prime (D, omesse dalla<br />

tabella perché presenti solo in un gruppo <strong>di</strong> esemplari da Vercelli, tracciate in<br />

verde 9 ): queste sono <strong>di</strong> più <strong>di</strong>fficile interpretazione e non è escluso che siano state<br />

aggiunte in una fase successiva 10 .<br />

Analizzando le tabelle (che non<br />

hanno alcuna pretesa <strong>di</strong> essere esaustive e<br />

che sono certo suscettibili <strong>di</strong> ampliamenti<br />

e <strong>di</strong> ulteriori precisazioni 11 ) è possibile<br />

fare una prima osservazione relativamente<br />

alla <strong>di</strong>ffusione: premesso che<br />

anche molte delle anfore per le quali non<br />

è definibile il preciso tipo <strong>di</strong> pertinenza a<br />

causa della frammentarietà o della<br />

mancanza <strong>di</strong> dati (appen<strong>di</strong>ce-tabella 3),<br />

probabilmente per cronologia e luoghi <strong>di</strong><br />

rinvenimento erano <strong>di</strong> tipo B 12 , i tituli<br />

picti su anfore <strong>di</strong> tipo A sono attestati<br />

solo <strong>nella</strong> Cisalpina, quelli su anfore <strong>di</strong><br />

tipo B solo nelle province e in numero<br />

decisamente superiore. Tale dato<br />

corrisponde esattamente alle presenze<br />

delle anfore <strong>di</strong> tipo A senza iscrizioni, che<br />

finora non sono state rinvenute (o<br />

Fig. 2. La <strong>di</strong>sposizione dei tituli picti.<br />

7<br />

TLL, IX, 2, s.v. oliva; cfr. ALBRECHT 1998, p. 324, nt. 9. Il singolare è usato anche da Columella nei<br />

titoli delle sue ricette per la conservazione delle olive (COLUM. 12,49-50).<br />

8<br />

Solo nell’anfora <strong>di</strong> Asti alba in grande e con nessi è nell’ultima linea del gruppo B, mentre in una <strong>di</strong><br />

Vercelli è forse da leggersi in C.<br />

9<br />

Va ricordato che i tituli delle anfore <strong>di</strong> Vercelli, già quando furono riviste dalla Muffatti Muselli,<br />

erano scomparsi: essi erano, almeno stando a quanto riportato in BRUZZA 1874, pp. 185-192,<br />

leggermente <strong>di</strong>versi dal consueto, in quanto manca l’in<strong>di</strong>cazione del tipo <strong>di</strong> olive; compaiono invece<br />

<strong>nella</strong> linea dopo EXDVL le lettere BEL; sono inoltre descritte appunto lettere <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni (in<br />

verde) a fianco o sopra le altre linee.<br />

10<br />

Su un frammento dalle domus delle Ortaglia <strong>di</strong> Brescia ad esempio (<strong>di</strong> cui ho potuto prendere visione<br />

grazie alla <strong>di</strong>sponibilità della dott.ssa Francesca Moran<strong>di</strong>ni) compare la scritta CRESCE proprio<br />

sull’angolo della spalla.<br />

11<br />

È segnalata ad esempio la presenza <strong>di</strong> un’anfora <strong>di</strong> tipo A con titulus pictus nel Museo Archeologico<br />

Regionale <strong>di</strong> Aosta: è in corso la richiesta per lo stu<strong>di</strong>o dell’esemplare, che risulta ine<strong>di</strong>to.<br />

12<br />

Ad esclusione forse dei frammenti <strong>di</strong> Brescia e <strong>di</strong> Como.


338 STEFANIA PESAVENTO MATTIOLI<br />

riconosciute) nei paesi d’Oltralpe 13 , mentre<br />

alcuni esemplari <strong>di</strong> tipo B sono presenti<br />

anche a Padova (nel deposito <strong>di</strong> Roncaglia),<br />

Oderzo, Altino, Concor<strong>di</strong>a e Caorle 14 .<br />

Per quanto riguarda il contenuto, le<br />

olive sono <strong>di</strong>stinte in albae e nigrae, termini<br />

che compaiono anche in Columella (12,49-<br />

50) per in<strong>di</strong>care rispettivamente le olive<br />

acerbe e quelle giunte a piena maturazione.<br />

Se sembra che nelle anfore <strong>di</strong> tipo A<br />

compaiano solo le olive nigrae (ma forse i<br />

due casi <strong>di</strong> Milano e Chiavenna sono<br />

insufficienti per averne la certezza, in<br />

quanto per le anfore <strong>di</strong> Vercelli non è<br />

riportata alcuna in<strong>di</strong>cazione nel titulus B1),<br />

in quelle <strong>di</strong> tipo B compaiono entrambe:<br />

apparente-mente quin<strong>di</strong> la <strong>di</strong>fferenza<br />

prescinde dalla <strong>di</strong>versità morfologica del<br />

contenitore, <strong>di</strong>versità come si è visto<br />

attribuibile probabilmente a motivi<br />

cronologici.<br />

Fig. 3. Esempio <strong>di</strong> titulus pictus<br />

(da ARDET 2001, p. 281, fig. 5).<br />

La conservazione delle olive, bianche o nere, è segnalata sempre come ex<br />

dulci 15 : mentre Plinio (nat. 15,16) ricorda solo che le olive si con<strong>di</strong>vano con sale,<br />

amurca e sapa oppure semplicemente oleo suo o con muria, <strong>nella</strong> parte del trattato<br />

<strong>di</strong> Columella (12,49-50) de<strong>di</strong>cata alla olivarum con<strong>di</strong>tura compaiono ricette <strong>di</strong>verse,<br />

sia ex muria, cioè in salamoia, sia ex dulci, sia sine dulci. Queste due ultime<br />

preparazioni sembrano <strong>di</strong>fferenziarsi per l’utilizzo finale <strong>nella</strong> prima, dopo un<br />

trattamento con aromi, sale o aceto e l’eliminazione del liquido formatosi, <strong>di</strong> una<br />

miscela composta, assieme ad aceto, prevalentemente da defrutum o sapa, cui<br />

poteva essere aggiunto del miele, <strong>nella</strong> seconda solo <strong>di</strong> muria o sale.<br />

L’uso del defrutum per la preparazione e la conservazione delle olive non può<br />

non richiamare la menzione <strong>di</strong> questo derivato dalla cottura del mosto nei tituli picti<br />

<strong>di</strong> altre anfore, le Haltern 70, in alcune delle quali erano trasportate appunto olive ex<br />

defruto 16 .<br />

13 Mentre sono presenti a Como (MUFFATTI MUSSELLI 1987, p. 190), a Milano (BRUNO, BOCCHIO 1991,<br />

p. 270, tav. CXVII, 102-104), a <strong>Verona</strong> (ine<strong>di</strong>ta), ad Altino (con bollo P.M.P., TONIOLO 1991, pp. 28-<br />

29 e 153, fig. 364), a Feltre, a Oderzo (CIPRIANO, FERRARINI 2001, p. 71 e MUFFATTI MUSSELLI 1987,<br />

p. 189), a Concor<strong>di</strong>a (MUFFATTI MUSSELLI 1987, p. 189) e ad Aquileia (CARRE 1985, p. 231). Di altri<br />

frammenti rinvenuti a Milano risulta impossibile l’attribuzione ad un tipo preciso (BRUNO 2003, p. 86,<br />

fig. 1, nn. 4-5).<br />

14 CIPRIANO, MAZZOCCHIN, PASTORE 1998, pp. 169-172 (Roncaglia); CIPRIANO, FERRARINI 2001, p. 71<br />

(Oderzo); TONIOLO 1991, pp. 28-29 e 153, figg. 362 e 363 (Altino); MUFFATTI MUSSELLI 1987, p. 182<br />

(Concor<strong>di</strong>a); CACCIAGUERRA 1996, pp. 61-62, fig. 33 (Caorle).<br />

15 In un’anfora <strong>di</strong> Vercelli (CIL, V, 8112, 3) il Mommsen leggeva EXM(uria) o EXAM(aro), ma il<br />

Bruzza (1824, p. 185) a mio parere più correttamente EXDVL.<br />

16 Per un’ampia <strong>di</strong>samina <strong>di</strong> come si ottenesse il defrutum, del suo rapporto con altri prodotti simili<br />

come la sapa e il caroenum, per i <strong>di</strong>versi utilizzi nell’antichità, cfr. ora Culip VIII 2004, pp. 120-132,<br />

dove si arriva alla conclusione che si trattasse <strong>di</strong> un derivato non alcolico dalla cottura del mosto,


LE ANFORE TRONCOCONICHE DA OLIVE: SPUNTI DI RIFLESSIONE 339<br />

Senza qui soffermarsi sulle problematiche relative a queste anfore e al loro<br />

contenuto, problematiche ampiamente trattate negli ultimi tempi 17 , si può solo<br />

ricordare che esse furono prodotte tra l’età augustea e la metà-fine del I secolo d. C.<br />

<strong>nella</strong> valle del Guadalquivir e che erano usate per il trasporto <strong>di</strong> un con<strong>di</strong>mento<br />

dolce, non alcolico (defrutum, sapa), per olive conservate in defrutum, per vini dolci<br />

come il mulsum (e probabilmente il passum) e per il vino tout court 18 , cui<br />

probabilmente è da aggiungere anche la muria 19 .<br />

Le Haltern 70 sono ampiamente <strong>di</strong>ffuse nel Me<strong>di</strong>terraneo occidentale, in<br />

Gallia e in Europa settentrionale, arrivando anche sul versante tirrenico dell’Italia 20 ,<br />

ma la loro commercializzazione sembra non aver interessato in modo rilevante né la<br />

Cisalpina né le province servite dalle rotte dell’Adriatico e dalle <strong>di</strong>rettrici ad esse<br />

collegate, che pure videro l’arrivo delle anfore betiche da garum e salsamenta. Solo<br />

in presenza <strong>di</strong> tituli picti è possibile <strong>di</strong>stinguerne il contenuto tra quelli sopra<br />

ricordati: in particolare oliva nigra ex defruto sono menzionate in quattro esemplari<br />

<strong>di</strong> Soissons, Mainz e Vindonissa e oliva alba ex dulci in uno <strong>di</strong> Mainz 21 ; pure olive<br />

sono segnalate in anfore simili alle Haltern 70, ma prodotte (o riempite) nel sud<br />

della Gallia (forma Haltern 70 similis e forma Augst 21) 22 .<br />

Da questa breve rassegna sembra che la conservazione delle olive trasportate<br />

tanto nelle anfore troncoconiche quanto nelle Haltern 70, stando ai tituli picti,<br />

avvenisse sempre ex dulci o ex defruto, mai negli altri mo<strong>di</strong> ricordati da Columella,<br />

cioè ex muria o sine dulci; quale poi fosse esattamente la <strong>di</strong>fferenza tra i due primi<br />

meto<strong>di</strong> sfugge, ma potrebbe anche trattarsi <strong>di</strong> un appellativo <strong>di</strong>verso per ricette<br />

molto simili 23 . Non è escluso infine – ma è un’ipotesi tutta da verificare – che<br />

adoperato soprattutto per “tagliare” vini deboli, ma anche per conservare <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> frutti, in<br />

me<strong>di</strong>cina, <strong>nella</strong> cucina e <strong>nella</strong> alimentazione animale.<br />

17<br />

La storia <strong>degli</strong> stu<strong>di</strong> sulle anfore Haltern 70, a partire dalla loro classificazione tra i materiali<br />

dell’accampamento romano <strong>di</strong> Haltern e attraverso i molti ritrovamenti effettuati soprattutto in carichi<br />

navali sommersi, è ora chiaramente riassunta in Culip VIII 2004, pp. 19-23. A tale lavoro, che presenta<br />

un quadro esaustivo delle problematiche relative a tipologia, cronologia, <strong>di</strong>ffusione e contenuto, si<br />

rimanda per ampia e completa bibliografia.<br />

18<br />

VAN DER WERFF 2002, p. 448. In accordo (ma in<strong>di</strong>pendentemente) con le conclusioni dello stu<strong>di</strong>oso<br />

olandese, si era proposto <strong>di</strong> riconoscere nel titulus pictus <strong>di</strong> un’anfora rinvenuta nel porto <strong>di</strong> Pisa-S.<br />

Rossore, la menzione <strong>di</strong> mulsum (PESAVENTO MATTIOLI, BUONOPANE 2001, p. 793 e p. 799, n. 4).<br />

19<br />

Così in Culip VIII 2004, pp. 119-120, dove A. Aguilera è favorevole a riconoscere nel titulus <strong>di</strong> Pisa<br />

ricordato alla nota precedente e in altri <strong>di</strong> Mainz, Celsa e Saragozza, la menzione <strong>di</strong> muria.<br />

20<br />

Culip VIII 2004, pp. 93-115. In Italia settentrionale per ora sono segnalate solo in Piemonte, ad Alba<br />

e ad Acqui Terme (BRUNO 1997, p. 521), a Padova (CIPRIANO, MAZZOCCHIN, PASTORE 1998, p. 167) e a<br />

Cremona (ARCARI 1996, tab. 2 a p. 191 e fig. 39). Due esemplari sono stati rinvenuti al Magdalensberg<br />

(BEZECZKY 1998, p. 236). Va comunque ricordato che fino a non molti anni fa le Haltern 70, specie se<br />

frammentarie, potevano essere confuse con le Dressel 7-11 o altre anfore da pesce iberiche.<br />

21<br />

Culip VIII 2004, p. 60, n. 7 (Soissons); p. 62, n. 12; p. 66, n. 29 ; p. 66, n. 33 (Mainz); pp. 66-67, n.<br />

34 (Vindonissa).<br />

22<br />

Per le imitazioni galliche <strong>di</strong> Haltern 70, cfr. MARTIN-KILCHER 1994, pp. 391-392, EHMIG 2003, pp.<br />

52-56 e Culip VIII 2004, pp. 41-49; olive sono menzionate anche su anfore <strong>di</strong> Roma e Pompei, delle<br />

quali è <strong>di</strong>fficile stabilire tipologia e origine (CIL, V, 4802-04; CIL, IV, 2610, 9437).<br />

23<br />

Non sembra rilevante per ipotizzare una <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> contenuti il fatto che molte delle Haltern 70<br />

abbiano conservato tracce dell’impeciatura interna, coerente con la presenza <strong>di</strong> defrutum, impeciatura<br />

che non sembra mai riscontrata invece nelle anfore troncoconiche: i contesti <strong>di</strong> rinvenimento delle<br />

troncoconiche infatti sono sempre terrestri e spesso, quando gli esemplari sono integri, si tratta <strong>di</strong><br />

quegli apprestamenti <strong>di</strong> “drenaggio” dove si è constatato che l’impeciatura non viene conservata.


340 STEFANIA PESAVENTO MATTIOLI<br />

almeno nelle anfore troncoconiche, la cui forma pare strettamente legata a un preciso<br />

contenuto, olive conservate semplicemente in salamoia o in olio fossero trasportate<br />

in quei contenitori in cui non venivano posti tituli picti a specificare una particolare<br />

ricetta.<br />

In ogni caso comunque risulta evidente che due circuiti erano interessati<br />

principalmente dal commercio delle olive nel I secolo d. C., uno “occidentale”con<br />

provenienza dalla Betica, segnato dalla presenza delle Haltern 70, e uno che<br />

coinvolgeva la Cisalpina e le province nord-orientali, segnato dalla <strong>di</strong>ffusione delle<br />

anfore troncoconiche/ Schörgendorfer 558, sulla cui precisa origine non si hanno<br />

ancora certezze. Area <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione e caratteristiche generali del corpo ceramico<br />

rendono indubbio il fatto che si tratti <strong>di</strong> una produzione adriatica, ma ad una iniziale<br />

ipotesi <strong>di</strong> fabbricazione istriana 24 sono stati recentemente opposti i risultati <strong>di</strong> alcune<br />

analisi archeometriche, che rivelerebbero, per la presenza <strong>di</strong> inclusi <strong>di</strong> natura<br />

vulcanica, una sostanziale <strong>di</strong>fferenza con le anfore delle officine dei Laecanii a<br />

Fasana, presso Pola 25 ; effettivamente anche tra gli abbondantissimi scarti delle<br />

fornaci in corso <strong>di</strong> scavo a Loron presso Parenzo sembrano totalmente assenti resti<br />

<strong>di</strong> anfore troncoconiche 26 . Non pare d’altra parte accettabile l’ipotesi <strong>di</strong> una<br />

fabbricazione in Italia settentrionale, <strong>nella</strong> zona patavina, in quella del Garda o<br />

ad<strong>di</strong>rittura in quella milanese, come pure è stato proposto 27 : se anche è possibile che<br />

presso i laghi o sui versanti collinari l’olivo fosse coltivato (e per una produzione<br />

olearia in ambito veneto ci sono alcuni in<strong>di</strong>zi, basati sull’epigrafia o sulle analisi <strong>di</strong><br />

alcune anfore destinate al trasporto dell’olio) 28 , nessuna fonte menziona le olive<br />

della Cisalpina e comunque la produzione non poteva essere così abbondante da<br />

consentire una commercializzazione tanto ampia come quella che è documentata per<br />

le anfore troncoconiche.<br />

Resta dunque la regione le cui olive sono state celebrate dalle fonti, il Piceno:<br />

Plinio ricorda che (olivae) Italicis transmarinae praeferuntur in cibis, cum oleo<br />

vincantur, et in ipsa Italia ceteris Picenae et Si<strong>di</strong>cinae; negli epigrammi <strong>di</strong> Marziale<br />

compaiono spesso le olive che vengono da ca<strong>di</strong> Piceni, le nobiles olivae maturate<br />

sugli alberi della regione, i vimina Picenarum… 29 . Certo le <strong>di</strong>rettrici <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione<br />

delle anfore troncoconiche ricalcano più quelle delle Dressel 6B istriane che quelle<br />

delle Dressel 6A me<strong>di</strong>o-adriatiche, le quali raggiunsero anche Roma, Cartagine e<br />

molti siti del Me<strong>di</strong>terraneo orientale, mentre la loro presenza nelle province alpine e<br />

danubiane appare limitata: non va tuttavia <strong>di</strong>menticato che dopo la metà del I secolo<br />

d. C., proprio quando le troncoconiche si affermano a nord delle Alpi, il vino del<br />

litorale Adriatico veniva commercializzato prevalentemente in anfore a fondo piatto<br />

o in botti, <strong>di</strong> modo che il suo arrivo nei vari siti è più <strong>di</strong>fficilmente riconoscibile 30 ;<br />

24 Così BALDACCI 1972, pp. 27-28; CARRE 1985, p. 232; MUFFATTI MUSSELLI 1987, pp. 201-206.<br />

25 BEZECZKY 1987, p. 33; BEZECZKY 2005, pp. 56-57.<br />

26 Per il quadro complessivo delle anfore prodotte a Loron, cfr. MARION, STARAC 2001. L’assenza <strong>di</strong><br />

anfore troncoconiche è confermata anche dai più recenti rinvenimenti.<br />

27 BEZECZKY 2005, p. 57; per la zona milanese propende EHMIG 2000, p. 66, considerando la scritta<br />

MED su un’anfora <strong>di</strong> Vercelli come in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> provenienza.<br />

28 Cfr. da ultimi CIPRIANO, MAZZOCCHIN 2004; ZANCO, MAZZOCCHIN, CIPRIANO 2005.<br />

29 PLIN. nat. 15,16; MART. 1,43,7-8; 4,46,12-13; 4,88,7; 5,78,17-21; 7,53,4-5; 9,54, 1; 11,52,11; 13,36,1-<br />

2. Cfr. CRISTOFORI 2004, p. 39; PACI 2005, pp. 211 e 201-204 per ampia trattazione sulle olive picene.<br />

30 Cfr. CARRE, PESAVENTO MATTIOLI 2003, pp. 272-273, 279-281.


LE ANFORE TRONCOCONICHE DA OLIVE: SPUNTI DI RIFLESSIONE 341<br />

recenti scavi d’altronde hanno messo in luce la presenza <strong>di</strong> anfore troncoconiche, per<br />

ora estremamente limitata, anche in Egitto e in Asia Minore 31 .<br />

Un ulteriore in<strong>di</strong>zio sulla fama e quasi sicuramente sulla commercializzazione<br />

delle olive del Piceno viene dal ritrovamento nell’alta valle della Mosella, nei livelli<br />

del III secolo d. C. <strong>di</strong> un e<strong>di</strong>ficio usato come taberna, <strong>di</strong> una ventina <strong>di</strong> olle da<br />

<strong>di</strong>spensa frammentate: in una <strong>di</strong> esse un titulus pictus ricorda appunto oliva picena,<br />

in un’altra restano tracce circolari all’interno, probabilmente corrispondenti<br />

all’impronta delle olive stesse 32 . Si tratta <strong>di</strong> olle che trovano scarsi confronti nelle<br />

produzioni galliche, sia per tipologia che per corpo ceramico, motivo per il quale si è<br />

proposto <strong>di</strong> riconoscervi, sia pure con prudenza, dei contenitori destinati non solo a<br />

conservare ma anche a commercializzare olive provenienti dalla regione me<strong>di</strong>oadriatica.<br />

Certo il contesto è più tardo rispetto all’epoca <strong>di</strong> circolazione delle anfore<br />

troncoconiche, ma nello scavo è stato possibile indagare solo i livelli dal III secolo<br />

d. C. agli inizi del V e mancano informazioni sui materiali delle fasi precedenti;<br />

certo resta, come sempre, aperto il problema se il titulus si riferisse effettivamente<br />

ad un contenuto proveniente dal Piceno o volesse solo esaltare la qualità <strong>di</strong> un<br />

prodotto <strong>di</strong> un’altra zona, ma anche in questo caso rimane in<strong>di</strong>cativo <strong>di</strong> una fama<br />

che andava ben oltre i confini dell’Italia.<br />

È dunque <strong>nella</strong> regione ricordata dagli autori antichi per la bontà delle sue<br />

olive che a mio parere va ricercata la zona <strong>di</strong> origine delle anfore troncoconiche<br />

commercializzate <strong>nella</strong> Cisalpina e da qui nelle province: capire i motivi <strong>di</strong> una<br />

scelta morfologica così particolare, confermarne con ulteriori analisi archeometriche<br />

la compatibilità con altre anfore fabbricate in quel territorio e in<strong>di</strong>viduarne il luogo<br />

preciso <strong>di</strong> produzione rimangono problemi tuttora aperti e meritori <strong>di</strong> future<br />

indagini 33 .<br />

31 BEZECZKY 2004, p. 87: a Efeso dove sicuramente sono state riconosciute dall’autore, frammenti <strong>di</strong><br />

corpo e <strong>di</strong> ansa in livelli del tardo I secolo d.C.; in Egitto e a Pergamo su informazione allo stesso da<br />

parte <strong>di</strong> R. Tomber. È possibile che in precedenza frammenti <strong>di</strong> troncoconiche non siano stati<br />

identificati e che le segnalazioni nel futuro possano aumentare. A Efeso tra i molti frammenti <strong>di</strong> Dressel<br />

6A, uno è bollato da M. Herennius Picens: si tratta sicuramente una produzione picena più antica<br />

rispetto a quella delle anfore troncoconiche, ma in<strong>di</strong>ziaria <strong>di</strong> una corrente commerciale proveniente dal<br />

litorale me<strong>di</strong>o-adriatico.<br />

32 Per lo scavo a Bliesbruck negli anni 1989-1992, per l’interpretazione dell’e<strong>di</strong>ficio come taberna, per<br />

le caratteristiche morfologiche delle olle (per le quali è stata ricostruita un’altezza <strong>di</strong> 30 cm e un<br />

<strong>di</strong>ametro dell’imboccatura <strong>di</strong> 15 cm) cfr. ALBRECHT 1998; cfr. inoltre PACI 2005.<br />

33 Mentre le anfore <strong>di</strong> tipo A possono rientrare genericamente <strong>nella</strong> categoria delle anfore a fondo piatto<br />

che dalla metà del I secolo d.C. (se non prima) cominciano ad essere prodotte in tutte le regioni, le<br />

ragioni funzionali della forma <strong>di</strong> quelle <strong>di</strong> tipo B, con la spalla pronunciata e il corpo affusolato, non<br />

trovano, a mio parere, spiegazione. Per quanto riguarda le analisi archeometriche, la <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong><br />

prelevare campioni dai pochi esemplari accessibili, per lo più integri e dal corpo ceramico molto<br />

grosso, sta rallentando il progetto già avviato.


342 STEFANIA PESAVENTO MATTIOLI<br />

Asti<br />

(CIL, V, 8111,1)<br />

Vercelli (CIL,<br />

V, 8111, 3 =<br />

BRUZZA 1874, p.<br />

185, n. 2)<br />

Vercelli<br />

(BRUZZA 1874,<br />

p. 185, n. 1)<br />

Vercelli<br />

(BRUZZA 1874,<br />

p. 185, n. 3)<br />

Vercelli<br />

(BRUZZA 1874,<br />

p. 185, n. 4)<br />

Vercelli<br />

(BRUZZA 1874,<br />

p. 185, n. 5)<br />

Vercelli<br />

(BRUZZA 1874,<br />

p. 185, n. 6)<br />

Chiavenna<br />

(CIL, V, 8111,1<br />

= MUFFATTI<br />

MUSELLI 1987,<br />

p. 190)<br />

Milano, via<br />

Ripamonti<br />

(BALDACCI<br />

1972, p. 27; fig.<br />

11, p. 23)<br />

Milano, via<br />

Rugabella<br />

(DEGRASSI 1951,<br />

p. 49)<br />

Aguntum<br />

(ALZINGER 1955,<br />

tav. 6, 140, p. 49 e<br />

tav. 22, 1)<br />

Flavia Solva<br />

(BEZECZKY 2005, p.<br />

56)<br />

Celeia<br />

(BEZECZKY 1987, n.<br />

275, p. 29)<br />

APPENDICE – I TITULI PICTI SULLE ANFORE TRONCOCONICHE<br />

Tabella 1. Anfore <strong>di</strong> tipo A.<br />

A B1 B2 B3 B4 C D1 D2<br />

OL EX DVL EXCEL ALB MGH (?)<br />

OL EXDVL BEL EXC V<br />

OL EXDVL BEL EXC V<br />

OL BE V ALB(?)<br />

OL BEL [- - -]<br />

OL EXDVL [- - -] [- - -]<br />

[- - -] [- - -] [- - -] [- - -] COS<br />

OL NIG EX DVL EXCEL B (?) LCX<br />

OL EXDVL EXCEL<br />

OL NIG EXDVL EXCEL B (?) MED.L.B.D IS.L X X X<br />

Tabella 2. Anfore <strong>di</strong> tipo B.<br />

A B1 B2 B3 B4 C D1 D2<br />

NORICO<br />

OL NIG EXDVL EXCEL XV TES o .FS<br />

OL ALB [EX]D EXC L<br />

OL ALB EXD EXC


Poetovio<br />

(BEZECZKY 1987, n.<br />

276, p. 29)<br />

Savaria (BEZECZKY<br />

1987, n. 289, p. 30 e<br />

fig. 27)<br />

Savaria<br />

(KELEMEN 1988, p.<br />

142, n. 2, fig. 7)<br />

Vindobona<br />

(BEZECZCKY 2005,<br />

p. 78, n. 73; tav. 22)<br />

Vindobona<br />

(BEZECZCKY 2005,<br />

p. 77, n. 60; tavv. 9,<br />

21 e 23 )<br />

Vindobona<br />

(BEZECZCKY 2005,<br />

p. 77, n. 63; tavv. 9,<br />

e 23)<br />

Carnuntum<br />

(BEZECZKY 2005, p.<br />

56)<br />

Gerulata<br />

(BEZECZKY 2005, p.<br />

56)<br />

Azaum<br />

(KELEMEN 1988, p.<br />

144, n. 8, fig. 7)<br />

Aquincum<br />

(BEZECZKY 1987, p.<br />

30 e tav. 13)<br />

Singidunum<br />

(BJELAJAC 1996, p.<br />

21, n. 22)<br />

Singidunum<br />

(BJELAJAC 1996, p.<br />

21, n. 24)<br />

Singidunum<br />

(BJELAJAC 1996, p.<br />

21, n. 23)<br />

Cristesti<br />

(ARDET 2001, pp.<br />

281-282)<br />

LE ANFORE TRONCOCONICHE DA OLIVE: SPUNTI DI RIFLESSIONE 343<br />

A B1 B2 B3 B4 C D1 D2<br />

OL ALB EXDVL<br />

PANNONIA<br />

OL NIG EXD [- - -]<br />

[- - -] [- - -] EX[D] XXV<br />

OL NIG EXD EXC<br />

O[- - -] EXD [EX]CEL ALB<br />

[O]L [NI]G EXD EXC<br />

OL [NI]G EXD EXC XXV TVLLIORVM<br />

OL EXDVL EXCEL A (?) L<br />

[O]L [NI]G EXD EXC XV COC PHIL<br />

MESIA<br />

OL NIG EXD EXC<br />

OL ALB EXD T.L(?)T (o F)<br />

OL NIG [EX]D<br />

DACIA<br />

OL NIG EXD EXC lettere<br />

illeggibili<br />

CCL I.P.C


344 STEFANIA PESAVENTO MATTIOLI<br />

Brescia<br />

(ine<strong>di</strong>to)<br />

Como<br />

(FACCHINI, LEOTTA<br />

2005, p. 164, tav. IX, 10)<br />

Iuvavum<br />

(HEGER 1973, p. 135)<br />

Ovilava<br />

(POLASCHEK 1936, c.<br />

1040)<br />

Aelium Cetium<br />

(BEZECZKY 2005, p. 56)<br />

Vindobona (BEZECZKY<br />

2005, p. 78, n. 68, p. 78,<br />

tavv. 8, 10 e 23)<br />

Vindobona (BEZECZKY<br />

2005, p. 78, n. 76, tavv.<br />

8, 10 e 23)<br />

Bruckneudorf<br />

(BEZECZKY 2005, p. 56)<br />

Bruckneudorf<br />

(BEZECZKY 2005, p. 56)<br />

Salla<br />

(BEZECZKY 2005, p. 56)<br />

Gorsium<br />

(BEZECZKY 1995, p. 42,<br />

fig. 2, n. 42)<br />

Gorsium<br />

(BEZECZKY 1995, p. 42,<br />

fig. 2, n. 41)<br />

Aquincum<br />

(Kelemen 1988, p. 144, n<br />

. 5, fig. 7)<br />

Augusta Vindelicorum<br />

(EHMIG 2000, p. 65-66)<br />

Augusta Vindelicorum<br />

(EHMIG 2000, pp. 65-66)<br />

Cristesti<br />

(ARDET 2001, pp. 281-<br />

282)<br />

Sarmizegetusa (ARDET<br />

2001, p. 280)<br />

Tabella 3. Anfore <strong>di</strong> tipo non definito o frammenti.<br />

A B1 B2 B3 B4 C D1 D2<br />

NIG<br />

CISALPINA<br />

NORICO<br />

[OL] NIG EXD EXC [- - -]X<br />

[OL] NIG EXD EXC<br />

OL N[IG]<br />

OL<br />

PANNONIA<br />

OL [EX]D XC<br />

OL<br />

ALB<br />

EXD<br />

EXC<br />

VINDELICIA<br />

DACIA<br />

T.P (?)<br />

L.S.E<br />

M.V [- - -<br />

]<br />

M.M [- - -<br />

]<br />

OL NIG EXD EXC lettere<br />

illeggibili<br />

CRESCES<br />

G(?).N.I


LE ANFORE TRONCOCONICHE DA OLIVE: SPUNTI DI RIFLESSIONE 345<br />

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Vivre, produire et echanger: reflets mè<strong>di</strong>terranéens (Mélanges offerts à<br />

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348 STEFANIA PESAVENTO MATTIOLI<br />

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ZANCO, MAZZOCCHIN, CIPRIANO 2005 = A. ZANCO, S. MAZZOCCHIN, S. CIPRIANO,<br />

Uno stu<strong>di</strong>o archeometrico e archeologico su alcune serie bollate <strong>di</strong> anfore<br />

Dressel 6B: risultati preliminari, in Atti del III Congresso Nazionale<br />

(Bressanone 2004), a cura <strong>di</strong> C. D’AMICO, Bologna, pp. 215-224.


BOLLI LATERIZI DALL’AREA BOBIENSE E DINTORNI:<br />

NUOVI SPUNTI DI RICERCA*<br />

Daniela Rigato<br />

Nel Museo Arcivescovile dell’abbazia <strong>di</strong> San Colombano a Bobbio (alto<br />

Appennino piacentino) si conserva una lastra marmorea iscritta ed assegnabile ad età<br />

romana (fig. 1). Oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o nel 1965 da parte <strong>di</strong> G. Susini, ripresa un<br />

trentennio dopo da G. Men<strong>nella</strong> in una <strong>di</strong>samina de<strong>di</strong>cata alle epigrafi dei villaggi ed<br />

ai “lapici<strong>di</strong> rurali”, essa costituisce un interessante esempio <strong>di</strong> evoluzione della<br />

scrittura e della tecnica lapidaria per la presenza, una <strong>di</strong> seguito all’altra, <strong>di</strong> due<br />

iscrizioni realizzate, come evidenzia il Susini «…da due mani <strong>di</strong>verse, e quin<strong>di</strong><br />

verosimilmente in due epoche <strong>di</strong>verse, separate tra loro da un numero imprecisato <strong>di</strong><br />

anni» ma tra loro intenzionalmente congiunte da un et posto all’inizio della terza<br />

linea <strong>di</strong> scrittura 1 .<br />

Fig. 1. L’iscrizione <strong>di</strong> Bobbio (Museo dell’Abbazia).<br />

* Desidero ringraziare per i preziosi suggerimenti la prof. Valeria Righini, il dott. Gianluca Bottazzi e<br />

la signora Anna Maria Piana del Gruppo Archeologico La Minerva <strong>di</strong> Travo.<br />

1 CIL, I 2 , 3399; SUSINI 1965, pp. 95-100; MENNELLA 1993, in particolare pp. 273-275. L’iscrizione è<br />

citata in TOSI 1990, pp. 426-428.


350 DANIELA RIGATO<br />

Secondo il Susini anche l’analisi onomastica dei personaggi menzionati,<br />

Marcus Vipponius M(arci) f(ilius) e Lucius Veibullius L. filius Bucco, andrebbe a<br />

sostegno <strong>di</strong> questa ipotesi, proponendo per il secondo gentilizio, Veibullius,<br />

un’evoluzione della forma più arcaica rappresentata da Vipponius. I due personaggi<br />

appaiono così accomunati fra loro pure dal medesimo ambito geografico <strong>di</strong><br />

provenienza, <strong>di</strong> indubbia matrice ligure 2 .<br />

La lettura della pietra, recante in apparenza solo gli elementi onomastici dei<br />

due personaggi, presenta tuttavia un punto interrogativo costituito dall’integrazione<br />

delle ultime tre lettere <strong>di</strong> linea 2, interpretate preferibilmente dal Susini come mag e<br />

quin<strong>di</strong> sciolte con magister, piuttosto che come abbreviazione <strong>di</strong> una ignota tribù o<br />

<strong>di</strong> un cognomen (forse Macer?) ed al contrario tendenzialmente lette da altri come<br />

MAC (in supposto senso cognominale?) 3 .<br />

La motivazione del reiterato interesse per questo documento non deriva<br />

comunque da questa incertezza interpretativa, bensì dalla sua stretta relazione con un<br />

frammento <strong>di</strong> embrice bollato proveniente anch’esso dall’ambito bobiense.<br />

L’area archeologica del Groppo <strong>di</strong> Vaccarezza, sita in Val Trebbia, nel<br />

circondario <strong>di</strong> Bobbio, ha rivelato infatti agli inizi <strong>degli</strong> anni ’70 del secolo scorso,<br />

«tracce <strong>di</strong> un abitato preistorico… perdurante fino alla romanità» ed oltre 4 . Da<br />

questo sito, posto su un isolato bastione roccioso <strong>di</strong> serpentino nero, che si eleva fino<br />

a 1000 m <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, ricco <strong>di</strong> sorgenti d’acqua e ben <strong>di</strong>fen<strong>di</strong>bile per la posizione<br />

arroccata, proviene anche «materiale romano con i tipici tegoloni ad incastro e<br />

parecchi piccoli pezzi <strong>di</strong> ceramica sigillata che<br />

in<strong>di</strong>cano il prolungarsi della vita dell’abitato<br />

fino al II sec.d.C. » 5 . Tra questi si registrano due<br />

frammenti d’embrice, uno con incisione prima<br />

della cottura, ed un secondo, bollato (fig. 2), che<br />

ci riconduce imme<strong>di</strong>atamente al primo<br />

personaggio dell’iscrizione sopra ricordata. La<br />

porzione superstite del manufatto reca infatti,<br />

con sorprendente similitu<strong>di</strong>ne anche a livello<br />

paleografico e <strong>di</strong> ductus, il praenomen e nomen<br />

M(arcus) Vippon(ius).<br />

Nonostante la frammentarietà del pezzo,<br />

Fig. 2. Il frammento <strong>di</strong> embrice<br />

con bollo M.VIPPON (da MARINI<br />

CALVANI 1990).<br />

la lettura M. VIPPON appare infatti<br />

sostanzialmente certa. Al momento risulta<br />

tuttavia impossibile fornire misure ed altri dati<br />

relativi al bollo, in quanto ora non reperibile. Le<br />

2<br />

Per una <strong>di</strong>samina completa delle presenze onomastiche <strong>nella</strong> Tavola Veleiate si veda CRINITI 1991, pp.<br />

191 e 195 con l’elencazione dei nomina e dei cognomina che più <strong>di</strong>rettamente interessano lo stu<strong>di</strong>o in atto.<br />

Relativamente al gentilizio Vipponius esso compare esclusivamente in forma aggettivale in connessione<br />

con fon<strong>di</strong>: f(undus) Vipponianus in Vel. Pag. Amb. II 53-54; VII 51 ( p. 217); f(undus) Vippunianus in Vel.<br />

Pag. Med(utio), IV 59 (p. 217); a p. 217 i fun<strong>di</strong> legati ai gentilizi Vibius e Vibullus. Si vedano ora anche<br />

CRINITI 2006, con la terza e<strong>di</strong>zione critica della Tabula alimentaria e CRINITI 2005, con uno stu<strong>di</strong>o su<br />

anagrafia e toponimia dell’ager Veleias.<br />

3 2<br />

Cfr. SUSINI 1965, p. 97; CIL, I , 3399 e MENNELLA 1993, p. 274, nt. 16.<br />

4<br />

BIELLA 1972, pp. 23-24.<br />

5<br />

BIELLA 1972, p. 23; Liguri, Etruschi e Celti 1992, pp. 24-26.


BOLLI LATERIZI DALL’AREA BOBIENSE E DINTORNI: NUOVI SPUNTI DI RICERCA 351<br />

osservazioni condotte si basano dunque esclusivamente sulla foto pubblicata in uno<br />

dei volumi de<strong>di</strong>cati a Piacenza, e<strong>di</strong>ti nel 1990, ove Mirella Marini Calvani riporta<br />

una brevissima scheda del sito archeologico <strong>di</strong> rinvenimento ma priva dei dati<br />

morfometrici del pezzo 6 .<br />

L’esame non autoptico consente tuttavia <strong>di</strong> notare alcune particolarità assai<br />

interessanti: il bollo, in fascia ribassata, presenta lettere a rilievo, allungate e ad asta<br />

sottile. Spicca l’occhiello delle P non chiuso, anzi con una curvatura appena<br />

accennata, originando quasi una L <strong>di</strong> forma calcidese rovesciata (ad uncino), mentre<br />

la M e la N hanno aste molto <strong>di</strong>varicate. Notevole risulta l’inclinazione della N<br />

rispetto al piano <strong>di</strong> scrittura, tanto da far supporre che <strong>nella</strong> sua realizzazione essa<br />

<strong>di</strong>fferisca dalla M unicamente per la mancanza <strong>di</strong> un’asta, la terminale destra 7 .<br />

Dal successivo confronto fra le due tipologie <strong>di</strong> manufatti, iscrizione e bollo<br />

(fig. 3), si rileva quanto segue:<br />

- innanzitutto, dal punto <strong>di</strong> vista della tecnica scrittoria, come già precisato, la<br />

nettissima somiglianza <strong>di</strong> ductus: in entrambi i casi le lettere parrebbero<br />

infatti composte me<strong>di</strong>ante giustapposizione <strong>di</strong> singoli elementi, talvolta<br />

neppure perfettamente coincidenti in corrispondenza dei vertici, e combinati<br />

fra loro a seconda del grafema da realizzare; questo si evidenzia in specie<br />

<strong>nella</strong> M e <strong>nella</strong> N, per la cui forma appare senza dubbio una netta analogia<br />

geometrica con la V 8 ;<br />

- maggiori <strong>di</strong>fferenze si riscontrano invece fra le P, realizzate con occhielli<br />

appena accennati nel bollo, <strong>di</strong> contro ad una forma <strong>di</strong> questi più regolare<br />

nell’iscrizione, sebbene <strong>di</strong>ssimili per ampiezza;<br />

- più regolari paiono nel laterizio le due aste costituenti la V: nell’iscrizione<br />

quella <strong>di</strong> destra risulta infatti più inclinata rispetto all’altra;<br />

- sostanzialmente identiche invece le O, ovali e composte chiaramente da due<br />

semicerchi, seppure fra loro leggermente <strong>di</strong>versi.<br />

La ricerca <strong>di</strong> confronti nell’ambito della regio VIII non ha fornito per il bollo<br />

M VIPPON esempi puntuali, evidenziando una certa somiglianza, limitatamente a<br />

singole lettere, pressoché solo con i bolli delle tegulae agri Placentini, un gruppo <strong>di</strong><br />

manufatti caratterizzati dalla datazione consolare ed assegnabili al I sec.a.C., <strong>di</strong>ffusi<br />

in particolare tra Veleia, Castell’Arquato e Fiorenzuola. All’interno <strong>di</strong> questi una M<br />

ad aste così aperte compare, ad esempio, nel bollo più antico della serie veleiate e<br />

datato al 76 a.C 9 .<br />

Un’ulteriore comparazione sempre <strong>di</strong> ambito veleiate, sebbene senza una<br />

precisa corrispondenza cronologica, in quanto trattasi <strong>di</strong> materiale probabilmente<br />

tardorepubblicano o <strong>di</strong> primissima età imperiale, ma utile forse per un<br />

inquadramento generale della problematica, pare possa farsi con un nucleo <strong>di</strong> bolli<br />

laterizi pertinenti alla gens dei Maelii. Essi provengono da Marsaia <strong>di</strong> Pessola, una<br />

6 MARINI CALVANI 1990, n. PC 01.71.002, p. 73 e fig. 242.<br />

7 Una stretta somiglianza <strong>di</strong> questa lettera si registra anche con la N presente nel bollo Galicos Colonos,<br />

rinvenuto <strong>nella</strong> zona deltizia e datato ad un’epoca piuttosto precoce; cfr. SUSINI 1977, pp. 1-4.<br />

8 SUSINI 1965, p. 97.<br />

9 Su questa categoria <strong>di</strong> laterizi, presenti nelle zone <strong>di</strong> Veleia, Piacenza e Parma, si veda RIGHINI 1993,<br />

in particolare pp. 36-39 e, da ultimo, RIGHINI c.s.


352 DANIELA RIGATO<br />

località nel bacino idrografico del torrente Ceno, ora in provincia <strong>di</strong> Parma ma<br />

storicamente in <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Piacenza, che ha restituito, durante una ricognizione<br />

archeologica, tracce <strong>di</strong> un inse<strong>di</strong>amento rustico con annessa fornace per laterizi,<br />

come comproverebbero alcuni blocchi <strong>di</strong> materiale refrattario 10 . I marchi sono<br />

caratterizzati dall’occhiello della P <strong>di</strong> Publius aperto e da lettere alte e ad aste strette.<br />

Essi potrebbero forse ricollegarsi a Lucius Maelius Severus, un proprietario noto<br />

dalla Tabula Alimentaria <strong>di</strong> Veleia (TAV), ove <strong>di</strong>chiara i propri fon<strong>di</strong> per un valore<br />

complessivo, piuttosto alto, <strong>di</strong> 420.110 sesterzi 11 . Alcuni <strong>di</strong> questi posse<strong>di</strong>menti<br />

ricomprendono esattamente i luoghi ove è avvenuto il rinvenimento. A questa gens<br />

appartiene inoltre uno dei bolli delle già citate tegulae agri Placentini, databile<br />

all’11 a.C., che riporta, assieme ai nomi della coppia consolare, quello <strong>di</strong> Maelia<br />

P(ubli) f(ilia) Ter(tia?), l’unica donna, «…attestata in questo gruppo <strong>di</strong> bolli<br />

piacentino-veleiate con datazione consolare» 12 .<br />

Altre analogie, pur sempre parziali, si possono istituire con alcuni esemplari<br />

<strong>di</strong> ambito modenese, caratterizzati anch’essi da una P aperta e da lettere alte e<br />

strette, e rinvenuti in contesti archeologici che ne permettono una datazione<br />

all’interno del I sec. a.C. 13 .<br />

Fig. 3. Iscrizione e bollo a confronto.<br />

10 BOTTAZZI 1996, pp. 7-22, in particolare pp. 17-22.<br />

11 Anche <strong>di</strong> questo personaggio è noto un bollo ricompreso in CIL, XI, 6674, 22.<br />

12 Archeologia romana in Valle Pessola 1996, pp. 15-21.<br />

13 CHIESI 1988, pp. 124-130.


BOLLI LATERIZI DALL’AREA BOBIENSE E DINTORNI: NUOVI SPUNTI DI RICERCA 353<br />

Infine, allargando l’orizzonte geografico, si propone il confronto con una<br />

situazione, per certi versi affine, riscontrabile in Friuli. Fra il materiale <strong>di</strong> una<br />

necropoli romana localizzata a San Servolo/Socerb (SLO), pertinente all’agro <strong>di</strong><br />

Tergeste, sono stati rinvenuti alcuni reperti, <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa natura, caratterizzati dalla<br />

ricorrenza del nome Valens. Da rimarcare è il fatto che esso appaia graffito su una<br />

stele funeraria, su un embrice e sul fondo <strong>di</strong> due vasi aretini sempre in lettere<br />

capitali, ed in particolar modo «l’ottima imitazione della scrittura lapidaria, con<br />

tanto <strong>di</strong> linee guida a doppio binario e <strong>di</strong> apicature marcate delle lettere» che si<br />

riscontra per l’embrice, cronologicamente inquadrato alla fine del I sec. a.C. 14 . Una<br />

netta influenza del modello lapidario si registra inoltre, sempre in contesto friulano,<br />

su materiali ceramici, quali alcune olle Auerberg, caratterizzate dalla presenza <strong>di</strong><br />

graffiti, post cottura, imitanti perfettamente lo stile epigrafico non solo nelle lettere<br />

ma anche nel solco e <strong>nella</strong> punteggiatura 15 .<br />

Ritornando al nostro bollo, la datazione per esso proposta, non ovviamente<br />

dettata da criteri assoluti ma dalla combinazione <strong>di</strong> vari elementi, fra i quali anche la<br />

mancanza del cognomen, sicura nell’epigrafe – optando dunque per la lettura<br />

mag(ister) delle lettere finali <strong>di</strong> l.2 – e probabile nell’embrice, ci porterebbe dunque<br />

agli inizi del I sec.a.C. Essa troverebbe inoltre una certa consonanza con l’epoca cui<br />

il Susini attribuisce l’iscrizione <strong>di</strong> Vipponius – le prime due linee della lastra<br />

bobiense – considerata una delle espressioni scrittorie più antiche dell’area<br />

appenninica e dell’Emilia occidentale, vale a <strong>di</strong>re la seconda metà del II sec.a.C., in<br />

coincidenza col periodo <strong>di</strong> romanizzazione dell’Appennino emiliano occidentale. La<br />

prima parte del I sec. a.C., qualche decennio più tar<strong>di</strong>, è invece il lasso temporale<br />

in<strong>di</strong>cato dal Krummrey, l’estensore della scheda del Corpus Inscriptionum<br />

Latinarum (I 2 , 3399) 16 .<br />

Sulla base del confronto fra i due pezzi – prime due linee dell’iscrizione e<br />

bollo – si proporrebbe dunque, con tutte le cautele del caso, la possibilità che le due<br />

<strong>di</strong>verse realizzazioni siano frutto <strong>di</strong> un medesimo “ambito officinale”, che ha<br />

evidentemente usato modelli alfabetici assai simili, con l’impiego, per il marchio, <strong>di</strong><br />

un tipario probabilmente in laterizio. L’utilizzo <strong>di</strong> tale materiale si desumerebbe<br />

dalla morbidezza complessiva dei caratteri e soprattutto sia dalla sezione<br />

semicircolare dei bastoncelli che dalle limitatissime <strong>di</strong>mensioni della cornice del<br />

bollo.<br />

La <strong>di</strong>samina delle possibili motivazioni sottese a questa “uniformità” in due<br />

prodotti fra loro molto <strong>di</strong>versi, potrebbe condurre a varie ipotesi. Nell’eventualità<br />

che l’iscrizione sia stata redatta ante mortem si potrebbe cogliere un Vipponius –<br />

stante il ruolo specifico ricoperto all’interno della comunità – desideroso <strong>di</strong><br />

mantenere la medesima visibilità e dunque riconoscibilità, anche nel marchio <strong>di</strong> un<br />

manufatto per lui prodotto o da lui prodotto e commercializzato. Oppure, come<br />

lectio facilior, proporre il ricorso obbligatorio per la realizzazione <strong>di</strong> iscrizione e<br />

14 Si veda l’accurata <strong>di</strong>samina in MAINARDIS 2006, in particolare pp. 304-305, fig. 2a-b.<br />

15 La località è Monte Sorantri (UD), territorio <strong>di</strong> Iulium Carnicum. Si veda, al proposito: GADDI, VITRI<br />

2002, cc. 625, fig. 5; DONAT 2003, cc. 688, fig. 6; DONAT, MAGGI 2007. Si ringraziano per le<br />

informazioni il prof. C. Zaccaria e la dott. F. Mainar<strong>di</strong>s.<br />

16 SUSINI 1965, p. 97. Secondo il Krummrey le due parti dell’iscrizione bobiense sarebbero <strong>di</strong>stanziate<br />

fra loro da un breve arco temporale, mentre per Susini lo iato risulterebbe maggiore.


354 DANIELA RIGATO<br />

tipario all’unica possibilità officinale presente in loco, con una sequenza produttiva<br />

che potrebbe anche considerare il marchio antecedente all’iscrizione, sempre che per<br />

questa si confermi il carattere funerario.<br />

Il confronto coll’embrice friulano, sebbene posteriore, potrebbe inoltre<br />

illuminare, come correttamente evidenziato per quell’ambito, le tappe successive del<br />

processo <strong>di</strong> alfabetizzazione <strong>di</strong> un’area marginale (quella bobiense), che conduce<br />

all’utilizzo <strong>di</strong> canoni tipici dell’epigrafia monumentale e più propria <strong>degli</strong> spazi<br />

urbani, anche in altre tipologie <strong>di</strong> oggetti, in conseguenza dell’influenza delle<br />

scritture “esposte” e da imitare come modelli in un momento <strong>di</strong> cambiamento e <strong>di</strong><br />

adeguamento ai nuovi modelli culturali 17 .<br />

L’eventuale presenza <strong>di</strong> altri casi analoghi, specie se circoscritti al medesimo<br />

ambito regionale, potrebbe inoltre facilitare una più approfon<strong>di</strong>ta <strong>di</strong>samina delle<br />

motivazioni, che forse non sono da circoscrivere esclusivamente o precipuamente ad<br />

un mero fattore officinale ma, sull’onda <strong>di</strong> nuove “tendenze” interpretative dei bolli<br />

cosiddetti <strong>di</strong> “privati”, potrebbero legarsi, eventualmente, anche ad altri presupposti.<br />

È stato infatti avanzato da altri, come ipotesi <strong>di</strong> lavoro da sviluppare, <strong>di</strong><br />

sottintendere all’utilizzo nei bolli <strong>di</strong> caratteri capitali simili a quelli delle epigrafi,<br />

«una – possibile – presenza <strong>di</strong> organismi ufficiali preposti alla redazione ed alla<br />

registrazione dei» – bolli stessi – «magari consegnati all’atto della stipula del<br />

contratto <strong>di</strong> appalto, o al controllo sulla produzione» 18 . Il meccanismo troverebbe<br />

applicazione specie per i marchi ricompresi fra fine I sec. a.C. e metà I sec. d.C.,<br />

sulla base <strong>di</strong> un’ampia casistica concernente l’intera area cispadana, nell’ambito <strong>di</strong><br />

una generale riorganizzazione della produzione laterizia da parte del potere centrale,<br />

volta a «favorire gli interessi della colonia o dell’amministrazione statale in senso<br />

lato con interventi limitativi sui quantitativi prodotti. Questo controllo… avrebbe<br />

avuto inizio fin dalla fondazione dei centri urbani, e corrisponderebbe,<br />

sostanzialmente a quello esercitato sulle più gran<strong>di</strong> figlinae dell’area deltizia e<br />

costiera, specie in età successiva» 19 .<br />

Ma ritornando a Vipponius, qualora la proposta <strong>di</strong> officina unica abbia una sua<br />

vali<strong>di</strong>tà, si profila imme<strong>di</strong>atamente l’interrogativo circa la collocazione<br />

dell’eventuale atelier. A questo punto potrebbero rientrare in gioco le tre lettere<br />

finali dell’iscrizione menzionante Vipponius.<br />

Se si accetta la versione Susini, con lettura mag(ister), sulla base – seppure<br />

non certa bensì probabile – dell’effettiva corrispondenza fra luogo <strong>di</strong><br />

produzione/utilizzo/ritrovamento della lastra sepolcrale – sempre che tale fosse<br />

effettivamente la sua caratterizzazione – si potrebbe supporre che l’officina da cui<br />

sono usciti i due reperti sia da ricercare proprio a Bobbio, nell’ambito <strong>di</strong> un centro<br />

demico minore e forse anche, nello specifico, in relazione ad un nucleo santuariale<br />

ad esso pertinente 20 .<br />

A tali eventualità potrebbero infatti rimandare la stessa carica <strong>di</strong> magister<br />

(pagi-vici ?) – specifico del culto o assommante entrambe le funzioni – ed un<br />

ulteriore elemento, <strong>di</strong> una certa pregnanza per l’ambito emiliano-romagnolo, e<br />

17<br />

Si veda MAINARDIS 2006, pp. 308-310. Sulle scritture esposte cfr. SUSINI 1989.<br />

18<br />

PELLICIONI 2006, p. 75, nt. 13.<br />

19<br />

PELLICIONI 2006, pp. 75-77.<br />

20<br />

Sul centro appenninico si veda DESTEFANIS 2002, con ampia bibliografia.


BOLLI LATERIZI DALL’AREA BOBIENSE E DINTORNI: NUOVI SPUNTI DI RICERCA 355<br />

rafforzativo dell’ipotesi santuariale: la presenza in loco, prima dell’arrivo <strong>di</strong><br />

Colombano, l’evangelizzatore irlandese fondatore del più famoso monastero nel VI<br />

secolo, <strong>di</strong> una “basilica” intitolata Sancti Petri, il più antico e<strong>di</strong>ficio paleocristiano <strong>di</strong><br />

tutta la Val Trebbia. Come noto, in alcuni casi la precocissima attestazione della<br />

de<strong>di</strong>cazione cristiana a questo Santo può celare l’antica presenza <strong>di</strong> un culto a<br />

Iuppiter 21 , mentre pienamente assodata appare l’importanza dei santuari come luoghi<br />

<strong>di</strong> pratica e <strong>di</strong>ffusione della scrittura 22 . Allo stato attuale delle conoscenze si tende<br />

comunque a localizzare a Bobbio, per l’età romana, un centro minore – per qualcuno<br />

il vicus Boielis, nominato anche <strong>nella</strong> TAV, per altri, a ragion veduta, il centro<br />

santuariale del veleiate pagus Bagiennus – con una spiccata funzione viaria e forse<br />

legato alla presenza <strong>di</strong> un attraversamento sul fiume Trebbia 23 ma anche allo<br />

sfruttamento <strong>di</strong> acque salso-io<strong>di</strong>che, abbondanti in zona 24 .<br />

E proprio quest’ultima caratteristica, la cui importanza permarrà anche in età<br />

altome<strong>di</strong>evale, induce vieppiù a supporre la presenza <strong>di</strong> un qualche luogo <strong>di</strong> culto<br />

strettamente connesso con acque dalle caratteristiche organolettiche così peculiari,<br />

come risulta nei vicini centri <strong>di</strong> Veleia e Travo-Caverzago col grande santuario <strong>di</strong><br />

Minerva 25 .<br />

A detto centro minore, dotato dunque a partire da un certo punto della sua<br />

storia <strong>di</strong> un atelier <strong>di</strong> scrittura 26 potrebbero riferirsi altre testimonianze epigrafiche,<br />

quali il sarcofago <strong>di</strong> L.Cocceius, reimpiegato nell’altare dell’abbazia e l’epigrafe<br />

funeraria, ora scomparsa, <strong>di</strong> C.Calvisius Faustinianus 27 ma anche numerosi tubuli<br />

fittili interpretati come condutture per l’acqua e rinvenuti in loco, oltre ad una serie<br />

<strong>di</strong> più tar<strong>di</strong> tegoloni con bolli in scrittura onciale 28 . Dalle pen<strong>di</strong>ci del Monte Penice,<br />

sovrastante l’abitato, proviene invece un bronzetto raffigurante un devoto capite<br />

velato, attribuito da M. Marini Calvani alla prima età imperiale e da Valverde<br />

21 Emblematico è il caso della pieve <strong>di</strong> S. Pietro in Sylvis a Bagnacavallo (RA), preceduta in età antica<br />

da un complesso santuariale incentrato, in una seconda fase della frequentazione, proprio sulla figura <strong>di</strong><br />

Iuppiter. In particolare si veda SUSINI 1991, pp. 395-400 e i saggi <strong>di</strong> numerosi autori in Storia <strong>di</strong><br />

Bagnacavallo 1994.<br />

22 In DESTEFANIS 2002, p.25, nt. 47 non si ritiene probabile per Bobbio una sovrapposizione del culto<br />

cristiano ad un precedente pagano, sulla base <strong>di</strong> quanto affermato da CANTINO WATAGHIN 1999.<br />

23 Si veda TOSI 1983 per il vicus Boielis; BOTTAZZI 1986 per l’ipotesi santuariale. Quest’ultimo annota<br />

come la TAV attesti un fundus Vibullianus Cali<strong>di</strong>anus nel pago Bagienno, che in età traianea è <strong>di</strong><br />

proprietà <strong>di</strong> un C. Vibius C. f. (TAV = CIL, XI, 1143, IV, 94 e 99). Sulla funzione viaria si veda oltre a<br />

DESTEFANIS 2002, anche CARINI 1998, in particolare pp. 17-20 e p. 49 in cui si riba<strong>di</strong>sce per l’area<br />

bobiense, già a partire dal periodo pre-protostorico, «un’interrotta me<strong>di</strong>azione tra il polo padano e il<br />

polo ligure».<br />

24 Controversa è l’attribuzione amministrativa <strong>di</strong> tale centro in età romana, da alcuni preferibilmente<br />

inserito <strong>nella</strong> pertica <strong>di</strong> Libarna, pagus Moninate, da altri nel territorio veleiate, pagus Bagiennus.<br />

Discussione e bibliografia in DESTEFANIS 2002, pp. 20-22.<br />

25 Sul santuario in generale si veda: BOLLINI 1969; RODA 1981; MARINI CALVANI 1990, pp. 806-807;<br />

CENERINI 1989, pp. 250-253; BUONOPANE 2002, passim; Minerva Me<strong>di</strong>ca 2008.<br />

26 MENNELLA 1993, p. 275 ritiene che la de<strong>di</strong>ca a Veibullius, le ultime due righe dell’iscrizione<br />

bobiense, siano state aggiunte all’interno <strong>di</strong> un’officina, rispecchiando la presenza stabile <strong>di</strong><br />

manodopera qualificata e legata ad un centro ormai compiutamente formato.<br />

27 TOSI 1983, p. 77.<br />

28 Sui tubuli fittili si veda DESTEFANIS 2002, pp. 114-115, schede 113-114 e 117; per i tegoloni ibidem,<br />

p. 115, scheda 118.


356 DANIELA RIGATO<br />

Pavese un’ara de<strong>di</strong>cata a Diana (CIL, V, 7353), oggi conservata presso il Museo<br />

dell’abbazia <strong>di</strong> Bobbio 29 .<br />

Prima <strong>di</strong> concludere occorre tuttavia sottolineare, anche altre importanti<br />

implicanze sottese alla duplicità <strong>di</strong> testimonianze dei Vipponii: l’insieme<br />

iscrizione+bollo, potrebbe suggerire, da un lato, una più precisa collocazione<br />

topografica del pagus Bagiennus, ove esiste un fundus Vipponianus, proprio <strong>nella</strong><br />

conca <strong>di</strong> Bobbio, ed invece preferibilmente collocato, in letteratura, più a Est 30 ;<br />

dall’altro potrebbe fornire la preziosa attestazione <strong>di</strong> una gens locale qui ra<strong>di</strong>cata,<br />

nota da iscrizione, proprietaria <strong>di</strong> un fundus ricordato <strong>nella</strong> TAV, e <strong>di</strong> cui si<br />

apprende, grazie alla menzione in un bollo, l’ attività impren<strong>di</strong>toriale legata alla<br />

produzione laterizia, evenienza questa piuttosto rara, stante le conoscenze attuali, per<br />

la regio VIII 31 .<br />

Ed ancora potrebbe avvalorare una produzione <strong>di</strong> laterizi in fornaci d’altura,<br />

site sì in zone prevalentemente legate alla pastorizia ma ricche nel contempo <strong>di</strong><br />

argilla e scarti del legnatico, ideale come combustibile; un’attività ottima dunque per<br />

l’utilizzo dei tempi morti fra le lavorazioni stagionali, e per sod<strong>di</strong>sfare, quanto<br />

meno, il fabbisogno locale. In sintesi, come già affermato da altri in precedenza,<br />

questi contrafforti montani, coi loro fun<strong>di</strong> e soprattutto saltus, parrebbero possedere<br />

gli elementi basilari del materiale da costruzione: travi in legno e tegole 32 . Il<br />

riscontro sul territorio, oltre alla menzione <strong>nella</strong> TAV stessa <strong>di</strong> fornaci 33 e la<br />

presenza <strong>di</strong> toponimi quali Artefigia (TAV, I 34) e Poptis (TAV, VI 69: figlina<br />

potrebbe esserne il calco latino) 34 invita infatti ad insistere in questa <strong>di</strong>rezione. Oltre<br />

a quella citata, numerose altre sono infatti le fornaci testimoniate in zona e che<br />

hanno restituito materiale bollato, oltre a quelle del territorio <strong>di</strong> Veleia con la<br />

produzione dei Naevi, le cui tegole sono <strong>di</strong>ffuse in tutto il Piacentino 35 .<br />

E sempre in questa prospettiva parrebbero da considerarsi altri bolli<br />

provenienti ancora una volta da questi contrafforti appenninici, e precisamente da<br />

Travo e suoi <strong>di</strong>ntorni. La località, sita lungo il fiume Trebbia e nota per l’importante<br />

santuario de<strong>di</strong>cato a Minerva 36 , testimoniato da numerose iscrizioni, ha restituito<br />

29<br />

DESTEFANIS 2002, p. 114, scheda 112.<br />

30<br />

La nuova collocazione è stata proposta da BOTTAZZI 1986, pp. 157-159.<br />

31<br />

Una simile evenienza potrebbe riscontrarsi confrontando il bollo L. f. Sabini da Saliceto Panaro<br />

(MO) e l’iscrizione – da Castelvetro (MO) – <strong>di</strong> L. Faiano L. filio Sabino / ae<strong>di</strong>le flamine patrono<br />

coloniae / tribuno cohortis primae Ligurum (CIL, XI, 838); cfr. CHIESI 1988, p. 126, scheda 13.<br />

L’autore sottolinea inoltre il fatto che sono noti altri militari i quali, al termine del servizio, si de<strong>di</strong>cano<br />

ad attività legate alla produzione fittile: CIL, XI, 6689, 212a e scheda 18 per Q. PUBLIUS, oltre p. 130.<br />

32<br />

Cfr. BOTTAZZI 1994, p. 224.<br />

33<br />

CIL, XI, I, 1147, 7, 37-38: saltus Avegam Veccium Debelos/cum figlinis.<br />

34<br />

CRINITI 1991, pp. 229-30 e ntt. 37 e 38.<br />

35<br />

BOTTAZZI 1993, p. 228. Per i laterizi conservati nell’Antiquarium <strong>di</strong> Veleia cfr. CALVANI MARINI<br />

1975, pp. 38-39. I Naevi possiedono cinque fun<strong>di</strong> menzionati <strong>nella</strong> TAV ed ancora lo stesso documento<br />

menziona i Vaenelini, anch’essi produttori <strong>di</strong> laterizi.<br />

36<br />

La localizzazione del nucleo santuariale non è, allo stato attuale delle conoscenze, precisabile con<br />

esattezza. Recenti indagini, assommando fra loro dati archeologici, topografici, considerazioni legate<br />

alla morfologia dei luoghi e specifiche analisi delle acque locali, tenderebbero a preferire come sede del<br />

santuario l’area <strong>di</strong> Caverzago. A questo proposito, va sottolineato come Minerva rechi specificatamente<br />

in alcuni casi l’appellativo Cabar<strong>di</strong>acensis, un epiteto che rimanda senza dubbio al pagus Cabar<strong>di</strong>acus<br />

della TAV e che si collega chiaramente all’attuale toponimo Caverzago. Cfr. CIL, XI, 1301 e 1306;<br />

DALL’AGLIO, MARCHETTI 2003, pp. 97-105 ed altri articoli specifici in Minerva Me<strong>di</strong>ca 2008.


BOLLI LATERIZI DALL’AREA BOBIENSE E DINTORNI: NUOVI SPUNTI DI RICERCA 357<br />

alcuni laterizi bollati, purtroppo<br />

incompleti che, se letti secondo l’ottica<br />

più comune, potrebbero proporre<br />

l’in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> due proprietari terrieri<br />

del pagus Ambitrebius – corrispondente<br />

esattamente all’ambito geografico<br />

moderno <strong>di</strong> reperimento dei bolli –<br />

nominati <strong>nella</strong> TAV, e che<br />

risulterebbero appunto coinvolti <strong>nella</strong><br />

produzione <strong>di</strong> laterizi. Si tratterebbe <strong>di</strong><br />

M. MOMMEIVS PERSICVS, uno fra i<br />

maggiori proprietari terrieri della TAV,<br />

con censo ad<strong>di</strong>rittura senatorio, per i<br />

bolli contrassegnati da M.M[?] (fig. 4) 37<br />

e <strong>di</strong> M. MINICIVS (fig. 5) per<br />

l’esemplare contrassegnato dalla<br />

sequenza. MIN [?]. Quest’ultimo è<br />

menzionato nelle obbligazioni III, 41,<br />

46-47 e IV, 48, mentre un fundus<br />

Minicianus in Vel. Pag. Amb. compare<br />

nell’obbligazione III, 79 38 .<br />

Un’ipotesi “alternativa” suggerita<br />

da chi scrive, ed applicabile forse<br />

preferibilmente ai bolli M.M,<br />

tenderebbe invece ad agganciare questi<br />

Fig. 4. Laterizio con bollo M . M<br />

(Antiquarium <strong>di</strong> Travo).<br />

Fig. 5. Laterizio con bollo . MIN<br />

(Antiquarium <strong>di</strong> Travo).<br />

ultimi proprio alla dea del Travo e <strong>di</strong> Caverzago: Minerva viene infatti quasi sempre<br />

invocata o ringraziata epigraficamente dai suoi fedeli non col nome in forma<br />

esplicita, bensì con le iniziali del teonimo e delle sue epiclesi: Minerva Me<strong>di</strong>ca,<br />

Minerva Memor (M M) 39 .<br />

Anche in questo caso dunque, come proposto per Bobbio, potrebbe trattarsi <strong>di</strong><br />

un’officina legata al nucleo santuariale, caratterizzato da una produzione<br />

<strong>di</strong>versificata, comprendente anche laterizi.<br />

Esempi <strong>di</strong> tegulae sacrae, non mancano: i rinvenimenti nei santuari<br />

extraurbani <strong>di</strong> Pompei, Ercolano, Puteoli, Lanuvium, il Circeo, Oppido Lucano, lo<br />

confermano 40 .<br />

Per quelli <strong>di</strong> Travo-Caverzago si tratta invece meramente <strong>di</strong> un’ipotesi che<br />

necessita <strong>di</strong> ulteriori conferme, o anche <strong>di</strong> smentite, che possono derivare<br />

37<br />

BOTTAZZI 1994, pp. 218-220; DESTEFANIS 2002, p. 110, scheda 61 e p. 111, scheda 72.<br />

38<br />

BOTTAZZI 1994, pp. 216-218.<br />

39<br />

CIL, XI, 1293, 1296, 1299, 1300, 1302, 1303, 1304, 1307, 1308, 1310(?): in totale 9 (forse10) sulle<br />

19 iscrizioni conservate.<br />

40<br />

ZACCARIA 1987, p. 52, ove si evidenzia come proprio i bolli su tegole provenienti da santuari<br />

extraurbani, in specifico della regione campano-laziale, rappresentino la documentazione più antica<br />

della bollatura ad opera <strong>di</strong> soggetti pubblici, fatta eccezione per le tegulae agri Placentini. Si vedano<br />

anche TORELLI 2000, p. 316; STEINBY 1979, p. 271. Da Oppido Lucano proviene un bollo Cereris sac<br />

datato agli ultimi decenni del I sec. a.C.


358 DANIELA RIGATO<br />

esclusivamente dal ritrovamento <strong>di</strong> eventuali bolli integri e dunque più “espliciti” in<br />

relazione al messaggio in essi contenuto.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

Archeologia romana in Valle Pessola 1996 = Archeologia romana in Valle Pessola<br />

(Appennino parmense): un contributo all’ubicazione del pago Medutio<br />

della tavola <strong>di</strong> Veleia, «Civiltà padana. Archeologia e storia del territorio»,<br />

6, pp. 7-22.<br />

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«Bollettino Storico Piacentino», 66, 1 , pp. 23-24.<br />

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BOTTAZZI 1986 = G. BOTTAZZI, La Tabula alimentaria <strong>di</strong> Veleia. I dati topografici<br />

del settore centro-occidentale del municipio veleiate, «Archivio Storico<br />

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nell’alto me<strong>di</strong>oevo (Settimane <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o del centro <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> sull’alto<br />

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360 DANIELA RIGATO<br />

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BOLLI LATERIZI NELLE VALLATE ALPINE<br />

Valeria Righini<br />

Nell’ambito <strong>di</strong> un quadro generale relativo alla presenza <strong>di</strong> bolli laterizi <strong>di</strong><br />

età romana <strong>nella</strong> Gallia Cisalpina 1 , una situazione particolare si riscontra in tre<br />

gran<strong>di</strong> vallate alpine – la Valle dell’A<strong>di</strong>ge, la Val Camonica e la Valle d’Aosta<br />

(fig. 1) – che possono essere considerate come “contesti chiusi”, in quanto la<br />

documentazione <strong>di</strong> bolli laterizi è quantitativamente rilevante, ma circoscritta<br />

all’ambito vallivo.<br />

Fig. 1. Carta della Cisalpina con localizzazione della valle dell’A<strong>di</strong>ge, della Val<br />

Camonica e della Valle d’Aosta.<br />

1 La ricerca è stata presentata al II Internationalen Kolloquium Instrumenta Inscripta Latina<br />

(Klagenfurt 5-8 maggio 2005). La prima parte <strong>di</strong> essa, relativa ai Lateres publici ed alle Figlinae, è in<br />

corso <strong>di</strong> stampa: RIGHINI c.s. La terza parte, relativa ai bolli <strong>di</strong> privati, è in corso <strong>di</strong> elaborazione.


362 VALERIA RIGHINI<br />

Valle dell’A<strong>di</strong>ge<br />

Nella vallata predominano i bolli del gruppo <strong>di</strong> Auresis 2 , con ampia <strong>di</strong>ffusione<br />

dal territorio <strong>di</strong> Bolzano a quello <strong>di</strong> Rovereto.<br />

Il gruppo è costituito da cinque tipi: ¡VRESIS, LOCEI¡VRESIS,<br />

CIH¡VRESIS (fig. 2), M.B.P.¡VRE, SAC ¡VRESIS. In tutti compare il nesso<br />

triplo AVR. I bolli sono apposti prevalentemente su tegole, ma sono noti anche casi<br />

su mattoni.<br />

Non risulta il numero globale <strong>degli</strong> esemplari noti. Rinvenimenti consistenti<br />

sono stati effettuati ad Egna (località Kahn), con oltre cento frammenti <strong>di</strong> tegoloni<br />

con bollo ¡VRESIS e due con bolli LOCEI¡VRESIS 3 e M.B.P.¡VRE 4 ed a Laives<br />

Unterberg dove, negli anni Trenta del Novecento, venne in luce un regolare<br />

accumulo <strong>di</strong> numerosi tegoloni integri con bollo LOCEI¡VRESIS 5 . Esemplari<br />

isolati si sono rinvenuti anche in altri scavi recenti come, ad esempio, <strong>nella</strong> casa<br />

seminterrata <strong>di</strong> Laives Jauch, da cui provengono tre bolli CIH¡VRESIS 6 .<br />

La cronologia dei bolli Auresis è oggetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione da tempo, ma due<br />

recenti rinvenimenti <strong>di</strong> Trento appaiono determinanti. Nello scavo <strong>di</strong> Palazzo<br />

Tabarelli 7 è stato esplorato un pozzo sigillato, il cui contenuto ha consentito <strong>di</strong><br />

determinare la cronologia fra l’età tardorepubblicana/protoaugustea e l’età dei Flavi;<br />

fra i materiali recuperati compare anche un frammento <strong>di</strong> mattone con bollo<br />

¡VRESIS. Un mattone con lo stesso marchio si trova inserito <strong>nella</strong> muratura della<br />

Porta Veronensis 8 , scavata alla fine <strong>degli</strong> anni Ottanta e datata all’età <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o.<br />

La cronologia produttiva <strong>di</strong> Auresis appare pertanto definibile nell’ambito del<br />

I sec. d.C. Restano tuttora aperti alcuni quesiti, come l’esegesi del termine Auresis,<br />

<strong>di</strong> problematica interpretazione, e la localizzazione della/delle fornaci. Quest’ultimo<br />

aspetto è strettamente correlato anche alla valenza da attribuire ai vari tipi, che<br />

possono essere riferiti a persone che hanno operato contemporaneamente all’interno<br />

<strong>di</strong> un’unica struttura produttiva oppure in successione cronologica <strong>nella</strong> struttura<br />

stessa oppure in varie strutture produttive in qualche modo collegate fra loro dal<br />

termine Auresis.<br />

Nella Valle dell’A<strong>di</strong>ge sono ben documentati anche i bolli <strong>di</strong> Caius Rutilius. I<br />

rinvenimenti sono concentrati prevalentemente a Bolzano e nel territorio a sud della<br />

città (Appiano, Termeno, Ora, Egna, Cortaccia), ma esemplari isolati provengono<br />

anche da Trento (Palazzo Tabarelli) 9 e da <strong>Verona</strong> 10 .<br />

Sono note due varianti: 1) CRITI C RVT = Criti(ae?) C(ai) Rut(ili) (servi) e<br />

C RVT CRITI = C(ai) Rut(ili) Criti(ae?), da cui si ricava una situazione <strong>di</strong><br />

2 Il gruppo è stato oggetto recentemente <strong>di</strong> un riesame globale: BASSI, DAL RI, MARZOLI, DI STEFANO<br />

2006. Ringrazio la dott. Cristina Bassi, della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Provincia<br />

autonoma <strong>di</strong> Trento, per l’amichevole collaborazione.<br />

3 BASSI, DAL RI, MARZOLI, DI STEFANO 2006, p. 154.<br />

4 BASSI, DAL RI, MARZOLI, DI STEFANO 2006, pp. 152, 156.<br />

5 BASSI, DAL RI, MARZOLI, DI STEFANO 2006, p. 157.<br />

6 BASSI, DAL RI, MARZOLI, DI STEFANO 2006, p. 157; DI STEFANO, PEZZO 2002, p. 590 e fig. 11.<br />

7 BASSI, DAL RI, MARZOLI, DI STEFANO 2006, pp. 152-153, 155.<br />

8 BASSI, DAL RI, MARZOLI, DI STEFANO 2006, pp. 153, 155.<br />

9 BASSI 1995, pp. 88-92.<br />

10 BUCHI 1979, p. 154 n. 12.


BOLLI LATERIZI NELLE VALLATE ALPINE 363<br />

evoluzione sociale poiché Criti(a?) era dapprima servo <strong>di</strong> Caius Rutilius ed in<br />

seguito è stato manomesso, acquisendo lo status <strong>di</strong> liberto. La prima variante del<br />

bollo è pertanto antecedente alla seconda.<br />

La cronologia nell’ambito del I sec. d.C. appare ormai accertata da<br />

rinvenimenti recenti. Esemplari della prima variante compaiono in un e<strong>di</strong>ficio<br />

venuto in luce nel 2002 a San Giacomo / Würstlhof nel comune <strong>di</strong> Laives, <strong>nella</strong> fase<br />

più antica datata alla prima metà del I sec. d.C. 11 . Alla seconda variante sono<br />

riferibili l’esemplare dal pozzo <strong>di</strong> Palazzo Tabarelli a Trento, quelli da una tomba <strong>di</strong><br />

Appiano Zinneberg e gli un<strong>di</strong>ci esemplari venuti in luce <strong>nella</strong> casa seminterrata <strong>di</strong><br />

Laives Jauch sopra citata 12 .<br />

Non sussiste alcun elemento per la localizzazione della sede produttiva, ma<br />

l’addensamento dei rinvenimenti nell’area a sud <strong>di</strong> Bolzano rende probabile l’ipotesi<br />

che ivi vada ricercata la fornace <strong>di</strong> Caius Rutilius Criti(a?).<br />

Arealmente circoscritta è la situazione dei bolli <strong>di</strong> Lucius Arrenius<br />

Maurianus 13 . Ai quin<strong>di</strong>ci esemplari tra<strong>di</strong>zionalmente noti, tutti provenienti dalla Val<br />

<strong>di</strong> Non, se ne è aggiunto <strong>di</strong> recente uno dallo scavo <strong>di</strong> Mezzocorona 14 .<br />

Sono note due varianti: 1) ARREN. MAVRIAN = Arren(i) Maurian(i); 2)<br />

L.ARRE. MAVR. ANAV = L(uci) Arre(ni) Maur(iani) Anau(nia) (fig. 3). Entrambe<br />

le varianti presentano il nesso doppio RE nel nomen, il nesso triplo MAV nel<br />

cognomen e, <strong>nella</strong> seconda, due nessi doppi AN e AV in Anaunia. Quest’ultimo<br />

termine, che in<strong>di</strong>ca l’origo della persona dalla Val <strong>di</strong> Non (il territorio <strong>degli</strong><br />

Anauni), è particolarmente raro nei bolli laterizi della Cisalpina, dove compare solo<br />

in un altro caso, nel ben noto bollo concor<strong>di</strong>ese T(iti) Atti Paeti Conco(r<strong>di</strong>a).<br />

La cronologia più probabile è riferibile al I sec. d.C. e la localizzazione della<br />

figlina, finora non in<strong>di</strong>viduata, è da ricercare nell’ambito della Val <strong>di</strong> Non.<br />

A Lucius Arrenius Maurianus sembrano verosimilmente ricollegabili i vari<br />

Arrenii, produttori <strong>di</strong> laterizi, i cui bolli sono noti lungo tutto il periplo del lago <strong>di</strong><br />

11<br />

BASSI, DAL RI, MARZOLI, DI STEFANO 2006, p. 156.<br />

12<br />

BASSI, DAL RI, MARZOLI, DI STEFANO 2006, p. 155.<br />

13<br />

BUCHI 1980.<br />

14<br />

BASSI 1994, pp. 183-184.<br />

Fig. 2. Valle dell’A<strong>di</strong>ge. Bollo<br />

laterizio CIHAVRESIS, da<br />

Laives (da DI STEFANO, PEZZO<br />

2002, p. 590, fig.11).<br />

Fig. 3. Valle dell’A<strong>di</strong>ge. Bollo<br />

laterizio ARRENI, dalla Val <strong>di</strong><br />

Non (da BUCHI 1980, Tav. II/1).


364 VALERIA RIGHINI<br />

Garda 15 . Sono riconoscibili i testi Arreni, Luci Arreni, Luci Arreni Primi e Luci<br />

Arreni Terti. I bolli <strong>di</strong> quest’ultimo sono venuti in luce in molte località della riviera<br />

benacense come, ad esempio, nelle ville <strong>di</strong> Toscolano e <strong>di</strong> Desenzano e viene<br />

ricollegato alla fornace localizzata nel territorio <strong>di</strong> Arco e datata fra la seconda metà<br />

del I sec. d.C. ed i primi decenni del II sec. d.C. 16 .<br />

Val Camonica<br />

Ai bolli laterizi noti fin dagli anni Ottanta del Novecento 17 si sono aggiunti in<br />

quantità cospicua quelli rinvenuti negli anni Novanta nello scavo del Teatro e<br />

dell’Anfiteatro <strong>di</strong> Cividate Camuno ed in altri scavi <strong>nella</strong> vallata 18 .<br />

La consistenza globale attualmente è <strong>di</strong> circa 700 esemplari. Un simile<br />

addensamento <strong>di</strong> documentazione stupisce sia perché è circoscritto nell’ambito <strong>di</strong><br />

una vallata sia in rapporto alla situazione generale dell’area centropadana dove –<br />

contrariamente a quanto si constata <strong>nella</strong> Traspadana occidentale, <strong>nella</strong> Venetia et<br />

Histria e <strong>nella</strong> Cispadana – la presenza <strong>di</strong> bolli laterizi è spora<strong>di</strong>ca e rarefatta, tranne<br />

che nei territori <strong>di</strong> Mantova e <strong>di</strong> Cremona, dove però i tipi noti sono, <strong>nella</strong> maggior<br />

parte, <strong>di</strong> importazione dal Veneto e dalla Cispadana.<br />

I bolli presentano cartiglio rettangolare, tranne cinque casi <strong>di</strong> tabula ansata 19 ,<br />

forma pressocchè sconosciuta nelle aree veneta e cispadana e frequente invece in<br />

Piemonte e Valle d’Aosta, ed un caso <strong>di</strong> planta pe<strong>di</strong>s, tipo molto raro <strong>nella</strong><br />

documentazione doliare <strong>cisalpina</strong>.<br />

Nei bolli laterizi camuni si identificano una sessantina <strong>di</strong> tipi <strong>di</strong> testo, da cui si<br />

ricavano i nomi <strong>di</strong> almeno 35 produttori.<br />

Il tipo più documentato è L.T.S. con 145 esemplari.<br />

Fra i restanti è possibile identificare tre gruppi famigliari, gli Appii, i Laetilii<br />

ed i Vettii 20 . Nel primo gruppo compaiono Quintus Appius Primus (con 71<br />

esemplari) (fig. 4), Caius Appius Avitus, Titus Appius Secundus 21 . Nel secondo<br />

risultano Lucius Laetilius Secundus (fig. 5), Sextus Laetilius Secundus, Lucius<br />

Laetilius Primus, Lucius Laetilius Rufus 22 . Nel terzo gruppo Lucius Vettius Clemens,<br />

Lucius Vettius Bassus e Lucius Vettius Primus 23 .<br />

Fra gli altri produttori si segnala la presenza <strong>di</strong> un Arrenius 24 , forse da<br />

ricollegare a Lucius Arrenius Maurianus della Val <strong>di</strong> Non ed agli Arrenii del lago <strong>di</strong><br />

Garda.<br />

15<br />

BASSI 2004, p. 184, nt. 31; BUONOPANE 1997, pp. 27-29; ROFFIA, PORTULANO 1997, pp. 227-228.<br />

16<br />

DELLA PORTA, SFREDDA, TASSINARI 1998, p. 262.<br />

17<br />

ABELLI CONDINA 1983, dove sono citati 302 laterizi con 43 sigle; ABELLI CONDINA 1986; TESEI 1987<br />

(Santuario <strong>di</strong> Minerva a Breno).<br />

18<br />

MARIOTTI 2004; ABELLI CONDINA 2004.<br />

19<br />

ABELLI CONDINA 2004, p. 203.<br />

20<br />

ABELLI CONDINA 2004, p. 207.<br />

21<br />

ABELLI CONDINA 2004, pp. 218-219, nn. 30-32.<br />

22<br />

ABELLI CONDINA 2004, p. 219, nn. 33-37.<br />

23<br />

ABELLI CONDINA 2004, pp. 220-221, nn. 38-42.<br />

24<br />

ABELLI CONDINA 2004, p. 218, n. 28.


BOLLI LATERIZI NELLE VALLATE ALPINE 365<br />

Si evidenzia infine la presenza in Val Camonica <strong>di</strong> sei tipi <strong>di</strong> bolli in caratteri<br />

retici 25 , unico caso <strong>nella</strong> Cisalpina <strong>di</strong> bolli laterizi con testo espresso in caratteri non<br />

latini.<br />

In base ai recenti scavi i bolli camuni sono datati nell’ambito del I sec. d.C., in<br />

rapporto alla principale fase costruttiva <strong>di</strong> Cividate Camuno e del Santuario <strong>di</strong><br />

Minerva a Breno. Resta il problema della localizzazione dei siti produttivi. Un<br />

numero così consistente <strong>di</strong> produttori fa infatti presupporre una pluralità <strong>di</strong> fornaci.<br />

Alcune <strong>di</strong> esse sono state localizzate nell’ambito della vallata 26 , ma in nessun caso è<br />

possibile determinare il collegamento con uno specifico produttore.<br />

Le analisi archeometriche 27 , effettuate su campioni <strong>di</strong> laterizi bollati<br />

provenienti dagli e<strong>di</strong>fici per spettacolo e su campioni <strong>di</strong> materiali argillosi affioranti,<br />

hanno evidenziato una notevole omogeneità nei manufatti, con composizioni<br />

chimiche molto simili, in rapporto all’utilizzazione <strong>di</strong> materie prime locali,<br />

caratterizzate da una elevata concentrazione <strong>di</strong> magnesio, e con temperature <strong>di</strong><br />

cottura non inferiori a 900-950°C.<br />

Valle d’Aosta<br />

Fig. 4. Val Camonica. Bollo<br />

laterizio Q. AP. PRI = Q(uinti)<br />

Ap(pi) Pri(mi), dall’Anfiteatro <strong>di</strong><br />

Cividate Camuno (da ABELLI<br />

CONDINA 2004, p. 219, n. 31).<br />

Fig. 5. Val Camonica. Bollo<br />

laterizio L. LAET. SEC = L(uci)<br />

Laet(ili) Sec(un<strong>di</strong>), da Cividate<br />

Camuno (da ABELLI CONDINA 2004,<br />

p. 219, n. 33).<br />

La consistenza globale del materiale doliare non è nota in mancanza <strong>di</strong> un<br />

censimento sistematico 28 . I bolli risultano in prevalenza su tegole, ma sono noti<br />

anche su mattoni ed in tre casi sono presenti su entrambi. La forma è generalmente<br />

rettangolare, con tre casi <strong>di</strong> tabula ansata.<br />

Si rileva la presenza <strong>di</strong> alcuni bolli pubblici: ROMA e S.P.Q.R = S(enatus)<br />

P(opulus)q(ue) R(omanus), entrambi noti da un solo esemplare al Passo del Gran<br />

San Bernardo, R.P.A = R(es) P(ublica) A(ugustanorum) in Aosta (fig. 6) e PVBLIC<br />

= P(ublica) (tegula) in Aosta, Gran San Bernardo e Piccolo San Bernardo 29 .<br />

25 ABELLI CONDINA 2004, pp. 212-213, nn. 1-6.<br />

26 TESEI 1987, p. 68; SFREDDA, TASSINARI 1998.<br />

27 ABELLI CONDINA, FABBRI, GUALTIERI 2004.<br />

28 Per i bolli laterizi aostani: BAROCELLI 1932, pp. 48-52; TACCIA NOBERASCO 1983.<br />

29 TACCIA NOBERASCO 1983, nn. 329, 507, 504, 318; RIGHINI c.s., n. 12.


366 VALERIA RIGHINI<br />

Per i bolli <strong>di</strong> privati, dalla documentazione si ricavano i nomi <strong>di</strong> almeno una<br />

ventina <strong>di</strong> produttori, <strong>di</strong> cui sei risultano solo al Gran San Bernardo, uno solo al<br />

Piccolo San Bernardo, alcuni sia in Aosta sia al<br />

Gran San Bernardo, altri presenti solo in<br />

fondovalle.<br />

Il bollo più documentato è SEPPI / T(iti)<br />

SEPPI (su mattoni e tegole) in Aosta (fig. 7),<br />

Gran San Bernardo e Piccolo San Bernardo 30 .<br />

Da fonte bibliografica si ricavano una trentina<br />

<strong>di</strong> esemplari, ma numerosi altri sono venuti in<br />

luce negli scavi recenti, fra cui un caso su<br />

mattoncino circolare per suspensurae, e sono<br />

tuttora ine<strong>di</strong>ti 31 .<br />

Fra i restanti, alcuni sono noti da più<br />

esemplari: MOLI / T(iti) MOLI in Aosta;<br />

P(ubli) VALERI SATVRNI(ni) e C(ai) CASSI<br />

in Aosta e Gran San Bernardo; HYLAE e<br />

S.T.P.F solo al Gran San Bernardo 32 .<br />

Sono purtroppo <strong>di</strong> ipotetica lettura i bolli<br />

SEPPI CASSI / SEPP(i) C(ai) CASSI 33 . Se tale<br />

lettura potesse essere confermata, se ne<br />

potrebbe dedurre che Seppius avrebbe<br />

esercitato la sua attività sia come officinator<br />

alle <strong>di</strong>pendenze <strong>di</strong> Caius Cassius sia come<br />

produttore in<strong>di</strong>pendente.<br />

Non sussistono elementi determinanti per la definizione cronologica dei bolli<br />

laterizi aostani, per la quale appare plausibile il periodo tra l’età augustea e quella<br />

giulio-clau<strong>di</strong>a in rapporto alla fase costruttiva della nuova colonia, e per l’ubicazione<br />

delle fornaci poiché <strong>nella</strong> vallata non sono state identificate strutture ad esse<br />

pertinenti.<br />

Nell’ambito delle tre vallate alpine prese in esame, un aspetto emerge con<br />

evidenza, la presenza <strong>di</strong> un produttore preponderante: Auresis <strong>nella</strong> Valle<br />

dell’A<strong>di</strong>ge, L.T.S. in Val Camonica e Seppius in Valle d’Aosta.<br />

Nella Valle dell’A<strong>di</strong>ge la prevalenza dei bolli del gruppo <strong>di</strong> Auresis sembra<br />

in<strong>di</strong>care una situazione quasi <strong>di</strong> monopolio, in cui scarso spazio era lasciato sul<br />

mercato ad altri produttori.<br />

In Val Camonica ed in Val d’Aosta la situazione appare più varia ed articolata<br />

poiché, pur in presenza <strong>di</strong> un produttore preponderante, compaiono in alto numero<br />

anche altri produttori. Il bollo <strong>di</strong> un Arrenius e vari bolli in tabula ansata, in<strong>di</strong>cativi<br />

l’uno <strong>di</strong> un probabile collegamento con gli Arrenii della Val <strong>di</strong> Non e del lago <strong>di</strong><br />

30 TACCIA NOBERASCO 1983, n. 350.<br />

31 Questa notizia mi è stata comunicata dalla dott. Rosanna Mollo Mezzena, della Soprintendenza ai<br />

Beni Culturali della Regione autonoma Valle d’Aosta, che ringrazio sentitamente per l’amichevole<br />

collaborazione.<br />

32 TACCIA NOBERASCO 1983, nn. 248, 401, 86, 192, 508.<br />

33 TACCIA NOBERASCO 1983, n. 35.<br />

Fig. 6. Valle d’Aosta. Bollo laterizio<br />

R. P. A = R(es) p(ublica)<br />

A(ugustanorum), da Aosta. (Foto<br />

Archivio Soprintendenza Beni<br />

Culturali Regione autonoma Valle<br />

d’Aosta).<br />

Fig. 7. Bollo laterizio SEPPI =<br />

Seppi, in tabula ansata. (Foto<br />

Archivio Soprintendenza Beni<br />

Culturali Regione autonoma Valle<br />

d’Aosta).


BOLLI LATERIZI NELLE VALLATE ALPINE 367<br />

Garda e gli altri della presenza <strong>di</strong> figuli provenienti dall’area della Transpadana<br />

occidentale, potrebbero suggerire l’ipotesi che la municipalità della Civitas<br />

Camunnorum, in previsione della costruzione del Teatro e dell’Anfiteatro, abbia<br />

richiamato in Val Camonica dei produttori da altre zone oppure che questi ultimi si<br />

siano trasferiti <strong>nella</strong> vallata <strong>di</strong> propria iniziativa.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

ABELLI CONDINA 1983 = F. ABELLI CONDINA, I bolli laterizi <strong>di</strong> Cividate Camuno<br />

(BS) nell’ambito della produzione laterizia lombarda, «Notizie dal<br />

Chiostro del Monastero Maggiore», 31-32, pp. 53-92.<br />

ABELLI CONDINA 1986 = F. ABELLI CONDINA, I bolli laterizi <strong>di</strong> Cividate Camuno,<br />

in La Valle Camonica in età romana (Catalogo della Mostra, Breno 1986),<br />

Brescia, pp. 65-67.<br />

ABELLI CONDINA 2004 = F. ABELLI CONDINA, Bolli laterizi, in MARIOTTI 2004, pp.<br />

203-222.<br />

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GUALTIERI, I laterizi bollati <strong>di</strong> Cividate Camuno: stu<strong>di</strong>o archeometrico,<br />

pp. 223-230.<br />

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e variae in cotto, in Materiali per la storia urbana <strong>di</strong> Tridentum, a cura <strong>di</strong><br />

E. CAVADA, Trento, pp. 79-121.<br />

BASSI, DAL RI, MARZOLI, DI STEFANO 2006 = C. BASSI, L. DAL RI, C. MARZOLI, S.<br />

DI STEFANO, Sviluppo economico del territorio del municipium <strong>di</strong><br />

Tridentum <strong>nella</strong> prima età imperiale. Il caso del bollo figulino AVRESIS,<br />

in I territori della Via Clau<strong>di</strong>a Augusta: incontri <strong>di</strong> Archeologia. Leben an<br />

der Via Clau<strong>di</strong>a Augusta: archäologische Beiträge, a cura <strong>di</strong> G.<br />

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6, 19), pp. 135-169.<br />

BUCHI 1980 = E. BUCHI, Nuove testimonianze <strong>degli</strong> Anauni, «Stu<strong>di</strong> Trentini <strong>di</strong><br />

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romana, in Ville romane sul lago <strong>di</strong> Garda, a cura <strong>di</strong> E. ROFFIA, Brescia,<br />

pp. 17-36.


368 VALERIA RIGHINI<br />

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TASSINARI, Catalogo dei bolli laterizi, in Ceramiche in Lombar<strong>di</strong>a tra II<br />

secolo a.C. e VII secolo d.C. Raccolta dei dati e<strong>di</strong>ti, a cura <strong>di</strong> G. OLCESE,<br />

Mantova, pp. 261-268.<br />

DI STEFANO, PEZZO 2002 = S. DI STEFANO, I. PEZZO, Testimonianze <strong>di</strong> epoca<br />

romana in Alto A<strong>di</strong>ge: gli scavi <strong>di</strong> Laives e <strong>di</strong> Tesido, in Archäologie der<br />

Römerzeit in Südtirol. Beiträge und Forschungen. Archeologia romana in<br />

Alto A<strong>di</strong>ge. Stu<strong>di</strong> e contributi, a cura <strong>di</strong> L. DAL RI, S. DI STEFANO,<br />

Bolzano-Vienna, pp. 581-639.<br />

MARIOTTI 2004 = V. MARIOTTI (a cura <strong>di</strong>), Il Teatro e l’Anfiteatro <strong>di</strong> Cividate<br />

Camuno. Scavo, restauro e allestimento <strong>di</strong> un parco archeologico, Firenze.<br />

RIGHINI c.s. = V. RIGHINI, I materiali fittili pesanti <strong>nella</strong> Cisalpina. Produzione e<br />

commercializzazione dei laterizi. I. Lateres publici; II. Figlinae, in<br />

Instrumenta Inscripta Latina (Akten II Internationalen Kolloquium,<br />

Klagenfurt 5-8 maggio 2005), in corso <strong>di</strong> stampa.<br />

ROFFIA, PORTULANO 1997 = E. ROFFIA, B. PORTULANO, La villa in località Capra<br />

a Toscolano, in Ville romane sul lago <strong>di</strong> Garda, a cura <strong>di</strong> E. ROFFIA,<br />

Brescia 1997, pp. 217-244.<br />

SFREDDA, TASSINARI 1998 = N. SFREDDA, G. TASSINARI, Elenco delle fornaci, in<br />

Ceramiche in Lombar<strong>di</strong>a tra II secolo a.C. e VII secolo d.C. Raccolta dei<br />

dati e<strong>di</strong>ti, a cura <strong>di</strong> G. OLCESE, Mantova, p. 269.<br />

TACCIA NOBERASCO 1983 = V. TACCIA NOBERASCO, I marchi fittili, «Bollettino<br />

della Società <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> storici, archeologici ed artistici della provincia <strong>di</strong><br />

Cuneo», 89, pp. 193-318.<br />

TESEI 1987 = L. TESEI, I bolli laterizi, in La Valcamonica romana. Ricerche e Stu<strong>di</strong>,<br />

Brescia, pp. 64-68.


PICCOLE ISCRIZIONI CRESCONO.<br />

LE POTENZIALITÀ DI UNA BANCA DATI EPIGRAFICA INTEGRATA<br />

CON LE SCRITTE SU INSTRUMENTUM PER LA STORIA ECONOMICA<br />

E SOCIALE DELLA REGIO DECIMA<br />

Clau<strong>di</strong>o Zaccaria<br />

Non sorprenderà se per rendere omaggio a Ezio Buchi ho scelto <strong>di</strong> parlare<br />

delle scritte su instrumentum, oggetto prevalente dei suoi primi quin<strong>di</strong>ci anni <strong>di</strong><br />

ricerca. I suoi lavori sulle tegole e le anfore con bolli <strong>di</strong> <strong>Verona</strong> e del suo agro, sulle<br />

lucerne bollate <strong>di</strong> Aquileia, sulle lucerne e le anfore <strong>di</strong> Brescia, sulle anfore istriane,<br />

sulle fornaci del territorio aquileiese, sulla produzione laterizia dell’agro veronese e<br />

tridentino hanno aperto piste molto fruttuose per lo stu<strong>di</strong>o dell’economia e della<br />

società della Regio Decima. Lo <strong>di</strong>mostrano le sue mature sintesi – ampiamente<br />

fondate sui dati offerti dall’epigrafia lapidaria e dall’instrumentum inscriptum –<br />

sull’assetto agrario, le risorse e le attività economiche del Veneto e del Trentino in<br />

età romana, sulle strutture economiche <strong>di</strong> Vicetia e <strong>di</strong> Ateste 1 . Grazie alla sua<br />

formazione <strong>di</strong> storico ed epigrafista egli ha, infatti, messo in luce il grande<br />

potenziale informativo <strong>di</strong> materiali archeologici fino ad allora trascurati o stu<strong>di</strong>ati<br />

prevalentemente a livello iconografico e storico-artistico (come la ceramica e le<br />

lucerne decorate) o tipologico (anfore, ceramica, lucerne, vetri), con scarsa<br />

attenzione per le informazioni contenute nell’apparato epigrafico, utilizzato quasi<br />

esclusivamente per ricerche prosopografiche miranti a trasformare un coccio iscritto<br />

in quello che è stato felicemente definito “pottery with a pedegree” 2 .<br />

Alle “stoviglie letterate” 3 Buchi è ritornato <strong>di</strong> recente ripubblicando un<br />

graffito su anfora con data consolare 4 , forse non a caso nell’omaggio de<strong>di</strong>cato a<br />

Franco Sartori, che quarant’anni prima lo aveva incoraggiato ad intraprendere lo<br />

stu<strong>di</strong>o della “cultura materiale”, affrontando quelli che allora potevano apparire<br />

“lavori senza gloria” 5 ma che la lungimiranza del Maestro in<strong>di</strong>viduava come terreno<br />

1<br />

Per non appesantire note e bibliografia rinvio all’elenco delle pubblicazioni <strong>di</strong> Ezio Buchi pubblicato<br />

in questo volume.<br />

2<br />

Riprendo l’espressione da Pottery 1996, p. 27. Sono quasi tutti <strong>di</strong> questo tipo i non molti contributi<br />

sull’instrumentum apparsi <strong>nella</strong> «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik» e in altri perio<strong>di</strong>ci<br />

storico-epigrafici.<br />

3<br />

Per la definizione ve<strong>di</strong> ROSSETTI TELLA 2001.<br />

4<br />

BUCHI 2003.<br />

5<br />

Le espressioni virgolettate, lì applicate agli artigiani antichi, sono mutuate da CARANDINI 1975, dove è<br />

anche la citazione da Diderot, che ben si attaglia al ricercatore che si occupa dell’instrumentum: “Esca<br />

dal seno delle Accademie qualche uomo che scenda nei laboratori”.


370 CLAUDIO ZACCARIA<br />

fertile da <strong>di</strong>ssodare 6 . Un brin<strong>di</strong>si “virtuale” col vino <strong>di</strong> quell’anfora “d’annata” 7 mi<br />

sembrerebbe appropriato per celebrare la conclusione “ufficiale” del percorso <strong>di</strong><br />

stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> Ezio Buchi e per introdurre il tema del mio contributo, che verte sulla<br />

costruzione <strong>di</strong> strumenti “virtuali” per la schedatura, l’elaborazione elettronica, la<br />

presentazione e la con<strong>di</strong>visione in rete dell’epigrafia dell’instrumentum 8 .<br />

Negli ultimi venticinque anni la ricerca su questo tipo <strong>di</strong> oggetti archeologici è<br />

progre<strong>di</strong>ta notevolmente <strong>nella</strong> Regio Decima, tanto che oggi abbiamo a <strong>di</strong>sposizione<br />

una documentazione assai consistente per quantità e soprattuto per qualità, anche se<br />

molto resta da fare. Ai corpora e alle raccolte dell’Ottocento 9 e alle scarsissime<br />

opere anteriori agli anni Settanta del Novecento 10 si sono, infatti, aggiunti numerosi<br />

contributi su quasi tutte le classi <strong>di</strong> materiali archeologici iscritti 11 : si tratta<br />

soprattuto <strong>di</strong> bolli e scritte su terracotta (materiali e<strong>di</strong>lizi, in particolare lateres,<br />

tegulae, imbrices, antefisse, ma anche pesi da telaio), contenitori da trasporto e<br />

stoccaggio (in primo luogo anfore e dolia), lucerne, ceramiche da mensa e da cucina<br />

(in evidenza terra sigillata e mortaria, ma anche ceramica comune) e vetri (soffiati e<br />

a stampo), ma non mancano ricerche anche su oggetti iscritti in metallo (signacula,<br />

vasellame, strigili, lingotti <strong>di</strong> piombo, etichette, fistulae aquariae, oggetti rituali e<br />

magici, fibule, gioielli), in legno (botti), in pelle (calzature, finimenti, pezzi <strong>di</strong><br />

armatura, tende), in ambra (strenae), in avorio od osso (tesserae nummulariae), in<br />

pietra e marmo (pesi, gettoni, tessere lusorie, sigilli d’oculista) e in pietre dure<br />

(gemme) 12 .<br />

Lo sviluppo <strong>di</strong> questo settore <strong>di</strong> ricerca ha risentito, naturalmente, della<br />

sempre più <strong>di</strong>ffusa attenzione per gli oggetti della cultura materiale, la cui<br />

“riscoperta” ha prodotto in Italia una svolta notevole negli stu<strong>di</strong> antichistici. A<br />

partire dalla fine <strong>degli</strong> anni Sessanta e soprattutto dagli avanzati anni Settanta 13 , si è,<br />

6 Ne aveva colto l’importanza <strong>nella</strong> stesura <strong>di</strong> SARTORI 1964.<br />

7 AE 1987, 448 = AE 2003, 27 (Vicenza): C(aio) Caeser(i) ! / M(arco) Lepido co(n)s(ulibus) [46 a.C.].<br />

8 Virtuale, da virtus, forza, potenza, è qui usato sia in senso specifico, per in<strong>di</strong>care la potenzialità dello<br />

strumento informatico applicato al campo dell’epigrafia, sia nel significato oggi comune <strong>di</strong> una<br />

conoscenza con<strong>di</strong>visa a <strong>di</strong>stanza tramite strumenti <strong>di</strong> comunicazione multime<strong>di</strong>ale e ipertestuale, che,<br />

attraverso linguaggi concordati e con<strong>di</strong>visi, permettono <strong>di</strong> unificare pacchetti <strong>di</strong> conoscenze <strong>di</strong>spersi in<br />

<strong>di</strong>versi luoghi: ve<strong>di</strong> in generale PENGE 1999 2 .<br />

9 CIL, V, 2 (1877); SI (1884) [1888]; GREGORUTTI 1886; GREGORUTTI 1888.<br />

10 Da segnalare l’attenzione per l’instrumentum della regione transpadana in FROVA 1952; DEGRASSI<br />

1956; PANCIERA 1957; BRUSIN 1954-57; ZEVI 1967. Inoltre, a parte i già citati lavori <strong>di</strong> Ezio Buchi,<br />

CALVI 1963.<br />

11 Un panorama sulle <strong>di</strong>verse classi <strong>di</strong> instrumentum (definite ripetutamente nei testi giuri<strong>di</strong>ci antichi:<br />

ve<strong>di</strong> DIG. 33,7, passim) si trova in IILat Austellungskatalog 1991, IILat Kolloquium 1992, IILat Sezione<br />

aquileiese 1992; Inscribed Economy 1993; Epigrafia della produzione 1994; Roman Inscriptions of<br />

Britain 1990-1995; Testimonia Epigraphica Norica 1997-2002. Per l’Italia nordorientale ve<strong>di</strong> anche<br />

ZACCARIA 1991.<br />

12 Non è naturalmente possibile elencare qui i numerosi contributi usciti nell’ultimo venticinquennio<br />

sugli instrumenta inscripta della Regio Decima; per un primo orientamento si vedano la Bibliografia<br />

della X Regio e il Notiziario Epigrafico e<strong>di</strong>ti in «Aquileia Nostra». Una bibliografia specifica su questo<br />

tema sarà <strong>di</strong>sponibile a breve sul sito del Laboratorio <strong>di</strong> Epigrafia dell’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Trieste:<br />

http://www.units.it/~epilab.<br />

13 Basti ricordare l’impatto dei saggi <strong>di</strong> Andrea Caran<strong>di</strong>ni (CARANDINI 1975, CARANDINI 1979), della<br />

ristampa dei saggi sull’instrumentum romano <strong>di</strong> Heinrich Dressel (DRESSEL 1978), dei tre volumi <strong>degli</strong><br />

Atti del Seminario <strong>di</strong> Pisa del 1979 (Società romana 1981) e <strong>di</strong> quelli successivi de<strong>di</strong>cati alla tarda<br />

antichità (Società romana 1986).


PICCOLE ISCRIZIONI CRESCONO 371<br />

infatti, <strong>di</strong>ffusa la consapevolezza del grande potenziale informativo <strong>di</strong> questi<br />

documenti, che costituiscono l’unica fonte utilizzabile per <strong>di</strong>versi aspetti della storia<br />

della società e dell'economia antica: produzione e circolazione <strong>di</strong> manufatti e merci,<br />

gestione e organizzazione dei processi produttivi, coinvolgimento dei ceti superiori<br />

(a partire dalla domus imperiale fino alle élites municipali) e dei ceti emergenti<br />

(schiavi, liberti e militari) <strong>nella</strong> manifattura e nel commercio, partecipazione<br />

pubblica e privata nel rifornimento dell'esercito, possesso e uso <strong>di</strong> oggetti domestici<br />

e ornamenti personali, impiego <strong>di</strong> oggetti d’uso in offerte votive o funerarie,<br />

controllo pubblico e privato su pesi e misure, uso sistematico o occasionale <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fferenti manufatti come supporto <strong>di</strong> scrittura 14 .<br />

Accanto ai tanti stu<strong>di</strong> tipologici – che hanno portato al riconoscimento <strong>di</strong> serie<br />

omogenee <strong>di</strong> produzioni e della loro evoluzione nel tempo e quin<strong>di</strong> alla ridefinizione<br />

delle prassi economiche nel mondo romano – si è avviato, un po’ più a rilento, lo<br />

stu<strong>di</strong>o delle scritte su instrumentum, che normalmente richiederebbe competenze<br />

archeologiche, epigrafiche e paleografiche, oltre che una solida conoscenza della<br />

storia e dell’economia antica 15 . Tale stu<strong>di</strong>o impone, inoltre, una riflessione<br />

preliminare su due questioni essenziali: il significato da attribuire ai bolli e alle<br />

scritte sulle <strong>di</strong>verse classi <strong>di</strong> instrumentum, presupposto in<strong>di</strong>spensabile per un loro<br />

corretto impiego come fonti per la storia sociale ed economica; la definizione dei<br />

criteri <strong>di</strong> schedatura e <strong>di</strong> e<strong>di</strong>zione, con una continua messa a punto alla luce<br />

dell’introduzione e dell’evoluzione <strong>degli</strong> strumenti informatici per la catalogazione e<br />

la pubblicazione in rete.<br />

Sul primo punto – importante anche per la costruzione <strong>di</strong> un archivio<br />

(cartaceo o elettronico 16 ) per la registrazione, l’elaborazione e l’interrogazione dei<br />

dati – non si è raggiunta ancora sufficiente chiarezza, nonostante numerosi interventi<br />

abbiano contribuito a mettere progressivamente a fuoco il problema 17 , soprattutto<br />

prendendo spunto dai bolli laterizi urbani 18 , che presentano un apparato epigrafico<br />

più articolato rispetto a quelli <strong>degli</strong> stessi manufatti prodotti in altre aree<br />

geografiche 19 e in genere rispetto ai bolli presenti su altre classi <strong>di</strong> instrumentum<br />

inscriptum 20 . Le questioni principali sono: 1) chi bolla e quando, perché e per chi<br />

bolla, ossia che cosa possiamo ricavare dalle scritte sui bolli circa i rapporti tra<br />

proprietari terrieri, impren<strong>di</strong>tori, artigiani e commercianti; 2) se si può in<strong>di</strong>viduare<br />

un modello unico per la bollatura <strong>di</strong> tutte le classi <strong>di</strong> instrumentum inscriptum; 3)<br />

come vanno interpretati i bolli anepigrafi 21 ; 4) che significato hanno sulle <strong>di</strong>verse<br />

14<br />

Sintesi su instrumentum e economia in HARRIS 1993; PUCCI 2001; su instrumentum e<br />

alfabetizzazione HARRIS 1995.<br />

15<br />

Si vedano le osservazioni in PANCIERA 1993.<br />

16<br />

La compresenza <strong>di</strong> entrambi i supporti può essere una soluzione per alleggerire l’e<strong>di</strong>zione a stampa e<br />

mettere a <strong>di</strong>sposizione <strong>degli</strong> utenti imponenti quantità <strong>di</strong> schede dei materiali su cui effettuare le<br />

ricerche: per un recente esempio ve<strong>di</strong> CVA 2000.<br />

17<br />

Un’esaustiva presentazione della questione in Gezeichnetes Instrumentum 1991; MANACORDA 1993;<br />

una sintesi in PUCCI 2001.<br />

18<br />

Le tappe più significative della <strong>di</strong>scussione in STEINBY 1993a; STEINBY 1993b; MANACORDA 2000;<br />

MANACORDA 2005; AUBERT 2005. Una rassegna <strong>degli</strong> stu<strong>di</strong> in BRUUN 2005.<br />

19<br />

Per la <strong>di</strong>fferente casistica ve<strong>di</strong> ZACCARIA 1987; TAGLIETTI, ZACCARIA 1994.<br />

20<br />

Per i vetri ve<strong>di</strong> TABORELLI 1985; STERNINI 1993; TABORELLI, MENNELLA 1999; per le lucerne<br />

PAVOLINI 1993; per la terra sigillata PUCCI 1993; KENRICK 1993.<br />

21<br />

Sull’importanza <strong>di</strong> questo elemento ve<strong>di</strong> da ultimo TUOMISTO 2005.


372 CLAUDIO ZACCARIA<br />

classi <strong>di</strong> materiali le scritte graffite o <strong>di</strong>pinte. È evidente che una risposta a questi<br />

interrogativi (o almeno ad alcuni <strong>di</strong> essi) potrebbe consentire <strong>di</strong> inserire <strong>nella</strong> scheda<br />

epigrafica dell’instrumentum voci importanti per la ricerca, come dominus,<br />

conductor, officinator, mercator, figlina, mentre oggi non è neppure sempre<br />

possibile stabilire con certezza la con<strong>di</strong>zione giuri<strong>di</strong>ca delle persone menzionate<br />

(ingenuus, libertus, servus), e le loro funzioni <strong>nella</strong> catena <strong>di</strong> produzione,<br />

<strong>di</strong>stribuzione e uso <strong>degli</strong> oggetti.<br />

Per quanto concerne il secondo punto, possiamo registrare una notevole<br />

varietà <strong>di</strong> sperimentazioni e <strong>di</strong> soluzioni <strong>nella</strong> schedatura e <strong>nella</strong> presentazione <strong>degli</strong><br />

oggetti iscritti, nelle numerose pubblicazioni cartacee che sono state e<strong>di</strong>te negli<br />

ultimi decenni, cui si è affiancata una serie <strong>di</strong> contributi, teorici e sperimentali, che<br />

hanno progressivamente contribuito alla definizione delle voci essenziali per la<br />

schedatura informatizzata, in previsione della creazione <strong>di</strong> archivi con<strong>di</strong>visi <strong>degli</strong><br />

oggetti classificabili come instrumentum inscriptum 22 . Il <strong>di</strong>battito è però ancora<br />

aperto e vivace 23 .<br />

È chiaro che il moltiplicarsi delle sperimentazioni e delle proposte evidenzia<br />

una generale <strong>di</strong>fficoltà a pervenire (in<strong>di</strong>pendentemente dal formato <strong>di</strong> pubblicazione)<br />

ad una schedatura efficace e con<strong>di</strong>visa, a modalità <strong>di</strong> immissione dei dati e <strong>di</strong> ricerca<br />

non troppo complesse, ad un'uscita a stampa e a video appagante, che <strong>di</strong>a conto<br />

dell'aspetto “oggettivo” delle scritte e della loro posizione sugli oggetti. Le poche<br />

imprese finora realizzate costituiscono <strong>di</strong> per sè soluzioni valide, ma nello stesso<br />

tempo sortiscono esiti molto <strong>di</strong>versi per intenti e forma <strong>di</strong> presentazione dei<br />

documenti e, paradossalmente (anche se in fondo non sono tra loro incompatibili<br />

<strong>nella</strong> strutturazione <strong>di</strong> base dei dati), proprio per la loro spiccata “in<strong>di</strong>vidualità”,<br />

sembrano rimandare ancor più un’auspicabile con<strong>di</strong>visione <strong>degli</strong> archivi 24 . In altri<br />

casi il formato elettronico è stato concepito primariamente non con l’intento <strong>di</strong><br />

22 Ve<strong>di</strong> MAYET 1984; MORIZIO 1989; HAINZMANN 1991; MORIZIO 1992; MORIZIO 1994; MAGGI 2000;<br />

WEDENIG 2000. In particolare per i laterizi bollati ve<strong>di</strong> FILIPPI 1992; CAMPAGNOLI 1993; GOMEZEL<br />

1996, pp. 18-22; GOMEZEL 2000; STEINBY, KENRICK 2005. Per le anfore CARRE 1992; PANELLA 1994;<br />

BERNI MILLET, AGUILERA, SERRA 1998; PANELLA 2004; REMESAL, BERNI, AGUILERA c.s.<br />

23 Il problema dell’informatizzazione dell’instrumentum è stato oggetto <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> incontri: Alte<br />

Geschichte und EDV, Workshop (Roma, Istituto Austriaco <strong>di</strong> Cultura, 25-26 sett. 1997) [contributi<br />

e<strong>di</strong>ti in Alte Geschichte und neue Me<strong>di</strong>en 2000]; Secundum Colloquium Internationale: “Instrumenta<br />

inscripta Latina” (Klagenfurt 5-8 Mai 2005) [Atti in corso <strong>di</strong> stampa]; Epidoc and inscribed<br />

instrumentum (American Academy in Rome, 23-25 October 2006) [programma in<br />

http://insaph.kcl.ac.uk/project/calendar/rome2006.html].<br />

24 Sono principalmente: T.E.NOR. - Testimonia Epigraphica Norica (fig. 2). Römerzeitliche Kleininschriften<br />

aus Österreich - Online-Datenbank (Österreichische Akademie der Wissenschaften –<br />

Kleinasiatische Kommission; Universität Graz - Institut für Alte Geschichte und Altertumskunde:<br />

Projektleiter Manfred Hainzmann) [http://www.uni-graz.at/tenor]; Corpus informático del instrumentum<br />

domesticum (fig. 3). DATABASE - Corpus CEIPAC (Centro para el Estu<strong>di</strong>o de la Interdependencia<br />

Provincial en la Antigüedad Clasica, Universitat de Barcelona: resp.: José Remesal<br />

Rodriguez) [http://ceipac.gh.ub.es/proyectos/corpus_es.html]; accoglie anche l’instrumentum il U.S.<br />

Epigraphy Project (Brown University, Department of Classics: resp. John Bodel)<br />

[http://usepigraphy.brown.edu]. Altri progetti sono de<strong>di</strong>cati a singole classi <strong>di</strong> materiali o alla presentazione<br />

<strong>di</strong> ricerche specifiche; si segnalano tra gli altri: Anfore brin<strong>di</strong>sine (<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Bari, <strong>Università</strong> della Tuscia:<br />

resp. Marina Silvestrini, Paola Palazzo) [http://www.dscc.uniba.it/Anfore/Index.htm]; The amphoras<br />

project (University of Maryland, University of Toronto: resp. Carolyn G. Koehler, Philippa M.W.<br />

Matheson) [http://www.chass.utoronto.ca/amphoras/project.html].


PICCOLE ISCRIZIONI CRESCONO 373<br />

creare la base <strong>di</strong> un archivio generale della documentazione epigrafica, ma per<br />

agevolare la pubblicazione automatica (con relativa in<strong>di</strong>cizzazione) <strong>di</strong> corpora in<br />

forma tra<strong>di</strong>zionale o sulla rete Internet; ciò comporta schedature molto raffinate e<br />

complesse (con appesantimento talora eccessivo <strong>nella</strong> fase <strong>di</strong> data entry, che<br />

presuppone una laboriosa co<strong>di</strong>fica e marcatura <strong>degli</strong> oggetti) che potrebbero trovare<br />

applicazione anche alle scritte su instrumentum, purché nell’immissione dei dati si<br />

tengano presenti i campi e gli standard che dovrebbero servire da base per una<br />

successiva con<strong>di</strong>visione dei dati 25 .<br />

Non si è, dunque, ancora giunti ad una definizione concordata dei criteri e<br />

<strong>degli</strong> strumenti da utilizzare per la schedatura e l’informatizzazione dei testi e la<br />

<strong>di</strong>gitalizzazione delle immagini, all’in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> segni <strong>di</strong>acritici o <strong>di</strong> fonts per<br />

la trascrizione esegetica dei testi, specie <strong>di</strong> quelli greci 26 , mentre sono ancora in fase<br />

sperimentale soluzioni per la riproduzione delle scritte in facsimile 27 . È per questo<br />

motivo che parecchie iniziative <strong>di</strong> schedatura elettronica delle iscrizioni su<br />

instrumentum, anche in avanzata fase <strong>di</strong> realizzazione, rimangono ancora confinate<br />

entro la stretta cerchia <strong>degli</strong> stu<strong>di</strong>osi che le hanno promosse 28 .<br />

I problemi derivano, evidentemente, dalla natura stessa dei documenti.<br />

L’instrumentum inscriptum, infatti, presenta <strong>di</strong>fferenti categorie <strong>di</strong> iscrizioni, che<br />

spesso coesistono anche in numero elevato sul medesimo oggetto (come è il caso del<br />

corredo epigrafico presente sulle anfore) 29 , con riferimento a <strong>di</strong>fferenti fasi della vita<br />

dello stesso (fabbricazione, trasporto, uso primario, uso secondario). Da un lato<br />

abbiamo a che fare con scritte ripetitive, come i bolli impressi con punzone o<br />

ricavati <strong>nella</strong> matrice, riprodotte su serie <strong>di</strong> oggetti quantitativamente considerevoli,<br />

con molte varianti per tipo, ricche <strong>di</strong> abbreviazioni, nessi, segni <strong>di</strong>visori e simboli;<br />

dall’altro dobbiamo registrare scritte, funzionali od occasionali, eseguite con<br />

tecniche <strong>di</strong>fferenti (graffite, incise, <strong>di</strong>pinte) in momenti <strong>di</strong>versi. Ne consegue la<br />

necessità (specie nel caso <strong>di</strong> varianti) <strong>di</strong> evidenziare in appositi campi della scheda<br />

epigrafica dell’instrumentum gli elementi in<strong>di</strong>cativi (onomastici e lessicali) <strong>di</strong> ogni<br />

25 Tali sono in particolare i programmi “P.E.T.R.A.E.” (elaborato da Alain Bresson, Ausonius –<br />

Université de Bordeaux III: http://a.bresson.free.fr/English/Petrae.htm; per una rielaborazione del<br />

programma per la schedatura delle scritte su instrumentum con l’aggiunta <strong>di</strong> nuovi campi specifici <strong>nella</strong><br />

scheda e con l’ampliamento o la trasformazione delle voci del thesaurus associato al data-base ve<strong>di</strong><br />

MAGGI 1997; MAGGI 2000) ed “EpiDoc” [sulle cui caratteristiche ve<strong>di</strong> http://epidoc.sourceforge.net], la<br />

cui possibile applicazione all’instrumentum è stata <strong>di</strong>scussa nel Workshop tenutosi a Roma nell’ottobre<br />

2006 (ve<strong>di</strong> nt. 23).<br />

26 Una buona soluzione largamente con<strong>di</strong>visibile è rappresentata dai fonts Unicode, come il font Cardo<br />

utilizzato per la presentazione delle iscrizioni greche e latine nelle basi EDR ed EDB, che contiene tutti<br />

i caratteri speciali per la trascrizione dei testi epigrafici.<br />

27 Da segnalare i fonts per riprodurre i nessi dei bolli laterizi costruiti recentemente da Alfredo Furlan e<br />

sperimentati <strong>nella</strong> versione elettronica <strong>di</strong> GREGORUTTI 1888.<br />

28 Così principalmente il Corpus dei bolli sulle anfore romane (<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Roma "La Sapienza":<br />

resp. Clementina Pa<strong>nella</strong>) e la Banque de données "timbres sur amphores romaines” (Centre Camille<br />

Jullian - CNRS, Université de Provence: resp. A. Tchernia, A. Hesnard, M.-B. Carre, V. Blanc-Bijon,<br />

V. Gagga<strong>di</strong>s-Robin); per la Venetia orientale <strong>di</strong>sponiamo <strong>di</strong> una banca dati con 4400 bolli laterizi del<br />

Friuli - Venezia Giulia realizzata con File Maker Pro (Cristina Gomezel: ve<strong>di</strong> nt. 22) e della schedatura,<br />

realizzata con P.E.T.R.A.E. delle circa 600 scritte su oggetti mobili relative ai territori <strong>di</strong> Aquileia,<br />

Concor<strong>di</strong>a, Iulium Carnicum, Forum Iulii, Tergeste (Paola Maggi: ve<strong>di</strong> nt. 25); è progettata<br />

l’informatizzazione dei bolli su terra sigillata <strong>di</strong> Concor<strong>di</strong>a: ve<strong>di</strong> VERONESE 2006.<br />

29 Da ultimo ve<strong>di</strong> i contributi in Epigrafía anfórica 2004.


374 CLAUDIO ZACCARIA<br />

tipo, <strong>di</strong> mettere tra loro in relazione i campi che contengono tutti gli elementi del<br />

corredo epigrafico <strong>degli</strong> oggetti, <strong>di</strong> correlare la scheda principale con un archivio <strong>di</strong><br />

immagini (foto, <strong>di</strong>segni, calchi, facsimili) per consentire da un lato un'in<strong>di</strong>cizzazione<br />

“interpretativa” e dall’altro il riconoscimento <strong>di</strong> ogni singola forma del bollo, al fine<br />

<strong>di</strong> giungere, al momento della ricerca, alla ricostruzione <strong>di</strong> “serie” omogenee <strong>di</strong> tutte<br />

le varianti riconducibili a ciascun “tipo”.<br />

Come hanno evidenziato recenti ricerche effettuate <strong>nella</strong> Regio Decima su<br />

<strong>di</strong>fferenti classi <strong>di</strong> instrumentum inscriptum, è, inoltre, evidente l’utilità <strong>di</strong> poter<br />

compiere ricerche incrociate su basi documentarie che contengono sia le iscrizioni<br />

lapidarie sia le scritte su oggetti mobili 30 . Basti ricordare, a titolo esemplificativo,<br />

alcuni dei risultati ottenuti. L’associazione tra alcuni marchi dei Tampii su strigili<br />

bronzei rinvenuti ad Aquileia 31 e la de<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> una Tampia L. f. su due colonne<br />

appartenute a un sacello de<strong>di</strong>cato al Diovis prenestino, ha consentito <strong>di</strong> confermare<br />

la provenienza <strong>di</strong> questa famiglia <strong>di</strong> bronzisti, che trasferirono l’attivita artigianale<br />

dal centro laziale nel centro nordadriatico (fig. 1. 1). La migrazione ad Aquileia già<br />

nel II sec. a.C. <strong>di</strong> un’altra gens prenestina è deducibile dalla de<strong>di</strong>ca Onocles Din<strong>di</strong><br />

Ti(beri) s(ervus) graffita su una lucerna in terracotta del tipo Esquilino I proveniente<br />

da un contesto votivo presso Monastero 32 , forse in<strong>di</strong>zio dell’introduzione del culto<br />

della Fortuna 33 accanto a quello <strong>di</strong> Hercules, altra <strong>di</strong>vinità centroitalica, presente su<br />

un’arula opistografa offerta da [Ti.] Din<strong>di</strong>us Ti. [l.] Mogio, rinvenuta <strong>nella</strong> zona <strong>di</strong><br />

Belvedere (fig. 1. 2). Grazie alla schedatura capillare dei laterizi bollati si è potuto<br />

riconoscere il forte coinvolgimento <strong>nella</strong> produzione <strong>degli</strong> Aratrii e mettere questa<br />

attività in relazione con gli interventi evergetici, attestati dall’epigrafia lapidaria, <strong>di</strong><br />

membri <strong>di</strong> questa gens nell’e<strong>di</strong>lizia pubblica aquileiese, in particolare <strong>nella</strong> basilica<br />

forense con i suoi annessi e nel tratto del decumano a sud del foro (fig. 1. 3) 34 .<br />

Alcuni aspetti del culto <strong>di</strong> Saturnus, fino a pochi anni fa non conosciuto <strong>nella</strong><br />

regione, praticato in aree santuariali periferiche, ma anche nel contesto urbano, si<br />

sono venuti progressivamente delineando grazie allo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un mortarium con<br />

impressi quattro bolli Numen / Saturni, rinvenuto presso le risorgive del Timavo 35 ,<br />

<strong>di</strong> un capitello <strong>di</strong> imposta, conservato ad Aquileia, che reca l’inizio <strong>di</strong> una de<strong>di</strong>ca<br />

Satu[rno] 36 e <strong>di</strong> un frammento <strong>di</strong> manico <strong>di</strong> simpulum bronzeo ritrovato<br />

occasionalmente in Carnia sul Col Santina presso Invillino (fig. 1. 4) 37 .<br />

Sembra evidente che sarebbe molto auspicabile la costituzione <strong>di</strong> banche dati<br />

comprensive delle <strong>di</strong>verse tipologie <strong>di</strong> documenti iscritti: ciò consentirebbe <strong>di</strong><br />

interrogare e <strong>di</strong> elaborare unitariamente, in tempi brevi e con la massima efficacia<br />

dati oggi <strong>di</strong>spersi, ottenendo risultati atten<strong>di</strong>bili, in quanto fondati sulle evidenze<br />

documentarie quantitativamente rilevanti, per quanto riguarda la prosopografia dei<br />

produttori e dei commercianti, la <strong>di</strong>stribuzione delle merci e dei principali operatori,<br />

30<br />

Per maggiori dettagli e altri esempi ve<strong>di</strong> ZACCARIA c.s.<br />

31<br />

GIOVANNINI, MAGGI 1994.<br />

32<br />

STRAZZULLA 1982<br />

33<br />

FONTANA 1997, pp. 123-136 (scheda dell’arula alle pp. 191-192).<br />

34<br />

ZACCARIA 2003.<br />

35<br />

MASELLI SCOTTI 1978 (cfr. AE 1978, 363). Per una possibile nuova lettura del bollo come Numen(i) /<br />

Saturni(ni) ve<strong>di</strong> PALLECCHI 2002, p. 36, nt. 12.<br />

36<br />

CUSCITO 1989, pp. 91-92, con foto del capitello fino ad allora ine<strong>di</strong>to e del mortarium con bollo.<br />

37 MAINARDIS 2004.


PICCOLE ISCRIZIONI CRESCONO 375<br />

l’articolazione dei processi produttivi deducibile dall’onomastica e dallo status delle<br />

persone implicate e dalla presenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenti varianti dei bolli o <strong>di</strong> simboli<br />

anepigrafi accessori.<br />

Prendendo a modello quanto si è fatto e si sta facendo – anche con il<br />

contributo <strong>di</strong> un nutrito gruppo <strong>di</strong> epigrafisti dell’Italia settentrionale – per<br />

l’informatizzazione e la <strong>di</strong>ffusione in rete Internet dell’epigrafia lapidaria,<br />

soprattutto dopo la costituzione della federazione <strong>di</strong> banche epigrafiche, che va sotto<br />

il nome <strong>di</strong> EAGLE 38 , sembrerebbe ragionevole battere la stessa strada anche per le<br />

scritte su instrumentum. Se ne è fatta la prova, con buoni risultati, aggiungendo alla<br />

medesima scheda base utilizzata per le iscrizioni lapidarie i campi ritenuti necessari<br />

per la classificazione più raffinata dell’instrumentum inscriptum (fig. 4), come quelli<br />

concernenti la <strong>di</strong>versa qualità delle scritte (bolli, graffiti, tituli picti), alla forma e<br />

alla posizione dei bolli, alla presenza del cartiglio, al tipo <strong>di</strong> impressione delle<br />

lettere, alla <strong>di</strong>rezione della scrittura, senza <strong>di</strong>menticare <strong>di</strong> creare una scheda con il<br />

“bollo ideale” alla quale far riferimento in ciascuna delle schede dei singoli<br />

esemplari dello stesso tipo 39 . I vantaggi <strong>di</strong> una tale soluzione dovrebbero essere<br />

evidenti. Da un lato, infatti, si potrebbero risparmiare tempo e denaro, basandosi su<br />

un modello già costruito e collaudato e largamente con<strong>di</strong>viso; dall’altro ci si<br />

potrebbe dotare <strong>di</strong> uno strumento <strong>di</strong> grande potenzialità non solo per migliorare la<br />

schedatura <strong>degli</strong> oggetti iscritti, ma anche per sviluppare su basi quantitativamente e<br />

qualitativamente atten<strong>di</strong>bili le ricerche sull’economia antica.<br />

La tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> avviata da Ezio Buchi è stata dunque negli ultimi<br />

decenni ripresa e rivivificata in tutti i centri della Regio Decima grazie ai moltissimi<br />

progetti <strong>di</strong> schedatura, stu<strong>di</strong>o e pubblicazione <strong>degli</strong> instrumenta inscripta in corso da<br />

anni – anche in collaborazione con stu<strong>di</strong>osi dei paesi contermini (Austria, Slovenia e<br />

Croazia) – nelle <strong>Università</strong>, nelle Soprintendenze e nei Musei Civici della<br />

Lombar<strong>di</strong>a, del Veneto, del Trentino e del Friuli-Venezia Giulia. Ciò dovrebbe<br />

costituire il presupposto necessario per far partire proprio in questa macroregione un<br />

progetto pilota per la costituzione <strong>di</strong> un archivio informatico con<strong>di</strong>viso delle scritte<br />

su instrumentum domesticum.<br />

38 Al portale EAGLE - Electronic Archive of Greek and Latin Epigraphy [http://www.eagle-eagle.it]<br />

aderiscono, al momento, le banche epigrafiche EDB (Epigraphic Database Bari:<br />

http://www.edb.uniba.it), EDH (Epigraphische Datenbank Heidelberg: http://www.uniheidelberg.de/institute/sonst/adw/edh/index.html),<br />

EDR (Epigraphic Database Roma: http://www.edredr.it),<br />

ma sono previste a breve nuove adesioni. Si veda la presentazione del progetto e delle banche<br />

federate sui siti <strong>di</strong> EAGLE, EDR, EDB, EDH.<br />

39 Su questo punto ve<strong>di</strong> STEINBY, KENRICK 2005.


376 CLAUDIO ZACCARIA<br />

Fig. 1<br />

Fig. 2


PICCOLE ISCRIZIONI CRESCONO 377<br />

Fig. 3<br />

Fig. 4


378 CLAUDIO ZACCARIA<br />

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a Iulia Concor<strong>di</strong>a. Un progetto per la schedatura analitica dei<br />

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Saintes à Dougga. Mélanges offerts à Louis Maurin, a cura <strong>di</strong> J.-P. BOST,<br />

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SEZIONE 3<br />

STORIA


ANIME E PATRIE DI MIGRANTI CISALPINI A ROMA<br />

Luigi Bessone<br />

Non potendo interloquire sulla romanizzazione della Cisalpina, <strong>di</strong> cui so a<br />

malapena quanto appreso dai contributi <strong>di</strong> tanti specialisti qui convenuti per onorare<br />

Ezio Buchi, un maestro in materia, propongo l’abbozzo <strong>di</strong> un cammino inverso,<br />

centripeto, che prenda in esame le sorti e, più ancora, lo stato d’animo <strong>di</strong> cisalpini<br />

trasferitisi a Roma. Chiedo venia in anticipo per quanto <strong>di</strong> approssimato o<br />

arrischiato emergerà dalla relazione, trattandosi <strong>di</strong> stralci da una ricerca in fieri che,<br />

prendendo le mosse dai tria corda <strong>di</strong> Ennio 1 e passando per il concetto ciceroniano<br />

della duplice patria <strong>di</strong> ogni inquilinus civis urbis Romae 2 , vorrebbe approdare alla<br />

riproposizione <strong>di</strong> più anime e patrie in tar<strong>di</strong> autori pagani come Ammiano 3 o<br />

cristiani quale Orosio 4 , senza trascurare elementi <strong>di</strong> notevole interesse come la patria<br />

rinnegata <strong>di</strong> Severo Alessandro 5 o la pretesa del narbonese Caro, <strong>di</strong>venuto<br />

imperatore, <strong>di</strong> proclamarsi “romano <strong>di</strong> Roma” 6 .<br />

1 GELL. 17,17,1: Quintus Ennius tria corda habere sese <strong>di</strong>cebat, quod loqui Graece et Osce et Latine<br />

sciret; vd. VON ALBRECHT 1995, p. 130, che ne riconosce l’appartenenza “ad una stirpe messapica<br />

altolocata”, ma tace della sua pretesa origine regale (vd. infra, nt. 10).<br />

2 CIC. leg. 2,5-6 omnibus municipibus duas esse censeo patrias, unam naturae, alteram civitatis …<br />

alteram loci patriam, alteram iuris … eam patriam ducimus ubi nati, et illam qua excepti sumus<br />

… hanc (Arpino) quoque quae te procrearit esse patriam tuam (Attico a Cicerone). Per inquilinus vd.<br />

la replica <strong>di</strong> Catilina a Cicerone in SALL. Cat. 31, 7. Per l’evoluzione del concetto <strong>di</strong> patria in età<br />

tardoantica vd. PASCHOUD 1967, pp. 12-14; 31-32, nt. 37.<br />

3 Greco <strong>di</strong> lingua, Ammiano scrive in latino forse in ossequio al senato romano, che però lo snobba<br />

(14,6,8-15 e 21-22); vd., per un primo approccio rivolto all’essenziale senza perdere in densità,<br />

JANNACCONE 1960, pp. 27-32; SELEM 1965, pp. 18-19; PASCHOUD 1967, pp. 33-37. Di Antiochia<br />

Ammiano mette in risalto, con un certo orgoglio provinciale, l’illuminazione notturna (14,1,9), ma<br />

critica i costumi licenziosi <strong>di</strong>ffusi per l’intera Siria (22,10,1); <strong>di</strong> Roma basti l’elogio <strong>di</strong> 14,6,3: victura<br />

dum erunt homines; l’immedesimazione nel nuovo ambiente lo porta a ipotizzare quosdam peregrinos<br />

(14,6,2) stupefatti delle vilitates della storia romana, salvo poi risentirsi anch’egli honestus advena<br />

(6,12), miles quondam et Graecus (31,16,9).<br />

4 Orosio si sente orgogliosamente “romano e cristiano” (5,2,3-6), rapporta ogni evento, anche biblico,<br />

alla cronologia romana, ma riserva lo<strong>di</strong> particolari alla Spagna (spec. 5,4 e 23,16), sua terra d’origine<br />

(Tarragona, a detta dei più, o magari Brigantia, tesi rilanciata da ARNAUD-LINDET 1990, pp. XI-XII; ivi<br />

anche l’ipotesi che fosse britanno d’origine e spagnolo d’adozione, fondata essenzialmente sul passo <strong>di</strong><br />

OROS. 3,10,6-7).<br />

5 Su (LAMPR.) Hist. Aug., Alex. 28,7: Volebat videri originem de Romanorum gente trahere, quia eum<br />

pudebat Syrum <strong>di</strong>ci vd. in ultimo PASCHOUD 2001, pp. 341-342, che accetta la tesi <strong>di</strong> CHASTAGNOL<br />

1980, pp. 60-65, <strong>di</strong> una replica paro<strong>di</strong>ca, verificabile in altri casi (Hadr. 1,3; Alb. 4,1; Pesc. 7,5),<br />

all’insistenza <strong>di</strong> Giuliano sulla propria origine costantinopolitana.<br />

6 Sul passo <strong>di</strong> (VOP.) Hist. Aug., Car. 5, 3: hoc quoque loco satis clarum est illum voluisse intellegi se<br />

esse Romanum, id est Roma oriundum vd. spec. CHASTAGNOL 1980, pp. 50-59; RÖSGER 1991, pp. 179-<br />

182; PASCHOUD 1996, pp. XVI-XVIII.


388 LUIGI BESSONE<br />

In alcuni casi i termini della questione sono inequivocabili; l’imperante<br />

bilinguismo 7 ha risolto e superato il <strong>di</strong>lemma della scelta <strong>di</strong> campo enniana e<br />

l’orgogliosa consapevolezza <strong>di</strong> far parte del Romanum imperium quali cives Romani<br />

si traduce in adesione sincera ai valori della romanità, accentuandone semmai il<br />

conservatorismo moraleggiante. Non occorre richiamare espressamente il moribus<br />

antiquis res stat Romana virisque, cui ricorre Cicerone 8 , per essere laudatores<br />

temporis acti, nostalgici <strong>di</strong> un passato esemplare e fustigatori del malcostume della<br />

propria epoca. Da questo punto <strong>di</strong> vista il presupposto catoniano del vir bonus per<br />

ogni attività 9 trova ampio seguito senza <strong>di</strong>stinzione fra romani <strong>di</strong> origine italica e <strong>di</strong><br />

estrazione <strong>cisalpina</strong>. Non altrettanto con<strong>di</strong>viso sembra invece il senso <strong>di</strong><br />

appartenenza a due patrie, <strong>di</strong> nascita e <strong>di</strong> adozione che, a parte Cicerone, trova forse<br />

la massima espressione nel messapico Ennio e nel reatino Varrone 10 . Troppo poco<br />

sappiamo <strong>di</strong> Elvio Cinna bresciano o del cremonese Furio Bibaculo, del cisalpino<br />

Valerio Catone o del transalpino Varrone Atacino, ma per trovare una decisa<br />

riven<strong>di</strong>cazione della propria origine settentrionale si arriva, allo stato attuale della<br />

ricerca, a Catullo 11 e Virgilio 12 ; a modo suo e meno <strong>di</strong>rettamente, anche Livio 13 . Non<br />

7 Impostosi da subito nell’annalistica per esigenze <strong>di</strong> comunicazione e propaganda, fino alla reazione<br />

catoniana contro Aulo Postumio Albino (vd. GELL. 11,8), sotteso all’epica dall’Odusia all’Eneide,<br />

in<strong>di</strong>spensabile alla drammaturgia per la riproposta <strong>di</strong> modelli greci, con o senza contaminatio specie<br />

<strong>nella</strong> comme<strong>di</strong>a; il bilinguismo <strong>di</strong> Cecilio si ravvisa fin dai titoli delle comme<strong>di</strong>e, prevalentemente<br />

greci alla maniera che sarà poi <strong>di</strong> Terenzio.<br />

8 CIC. rep. 5,1, citato da AUG. civ. 2,21, ora in FLORES 2000, fr. 167; vd. parimenti l’accorato NEP.<br />

Cato. 2,2 tum non potentia sed iure res publica administrabatur; meno noti, forse, e perciò meritevoli<br />

<strong>di</strong> menzione, certi frammenti dal De vita populi Romani <strong>di</strong> Varrone, riportati da Nonio Marcello (ed.<br />

SALVADORE 2004): fr. 295 horum temporum <strong>di</strong>vitias et illorum paupertates; 303 de victuis (= -us)<br />

consuetu<strong>di</strong>ne primigenia … de <strong>di</strong>sciplinis priscis; 382 qua abstinentia … fuerint; 396 propter secundas<br />

sublato metu non in commune spectant, sed suum quisque <strong>di</strong>versi commodum focilatur, che parrebbe<br />

aver ispirato SALL. Iug. 41,1-10; l’acme della riprovazione, ovviamente, nelle Saturae Menippeae, fr.<br />

435 (e cfr. 505) Buecheler, homines qui nunc plerique sues sunt existiman<strong>di</strong>, per cui il Foro romano è<br />

<strong>di</strong>venuto un porcile, hara.<br />

9 Proverbiali le sue definizioni dell’ottimo agricoltore, vir bonus colen<strong>di</strong> peritus, cuius ferramenta<br />

splendent, e del perfetto oratore, vir bonus <strong>di</strong>cen<strong>di</strong> peritus, con le qualità morali poste a premessa e<br />

fondamento della professionalità; altrettanto celebre la sua invettiva contro i reati <strong>di</strong> concussione (fr.<br />

224 dal De praeda militibus <strong>di</strong>videnda): fures privatorum furtorum in nervo atque in compe<strong>di</strong>bus<br />

aetatem agunt, fures publici in auro atque in purpura.<br />

10 Non pago <strong>di</strong> rammentare Ru<strong>di</strong>e (vd. nt. 20), Ennio si vantava <strong>di</strong>scendente del mitico re Messapo, il<br />

figlio <strong>di</strong> Nettuno eponimo dei Messapi: SIL. IT. 12,393; SERV. ad Aen. 7,691; vd. ROSTAGNI 1964a, p.<br />

208; MAGNO 1979, pp. 14-15. Oltre a nobilitare le origini familiari e sabine in genere, Varrone faceva<br />

<strong>di</strong> Rieti la culla <strong>degli</strong> Aborigeni, la più antica gente d’Italia (ling. 5,53 Aborigines ex agro Reatino) e<br />

del suo lago <strong>di</strong> Cutilia l’ombelico della penisola: PLIN. nat. 3,109; vd. DELLA CORTE 1970², pp. 24-25;<br />

SPADONI CERRONI, REGGIANI MASSARINI 1992, pp. 14-20; 128.<br />

11 CATULL. 67, 34 Brixia <strong>Verona</strong>e mater amata meae; 35,1-4; 39,13: (a Egnazio) aut Transpadanus, ut<br />

meos quoque attingam (in un contesto interessante anche perché svela pregiu<strong>di</strong>zi che oggi si <strong>di</strong>rebbero<br />

politicamente scorretti) e soprattutto 68,27-36.<br />

12 Basterebbe l’incipit dell’Epitafio, Mantua me genuit, senza <strong>di</strong>menticare ecl. 9,26-27 … superet modo<br />

Mantua nobis, / Mantua vae miserae nimium vicina Cremonae!, ma vd. altresì georg. 2,198; 3,12; Aen.<br />

10,198-201.<br />

13 Ricor<strong>di</strong>amo il mito <strong>di</strong> Antenore, preposto alla saga <strong>di</strong> Enea in LIV. 1,1,1-3; entrambi gli eroi<br />

risparmiati dai Greci sia per antichi legami <strong>di</strong> ospitalità sia per essersi spesi per una composizione<br />

pacifica del conflitto, da profughi <strong>di</strong>ventano ecisti, anche se va meglio ad Enea, destinato a più fulgide<br />

mete: ad maiora rerum initia ducentibus fatis (1,1,4); vd. orientativamente, anche per il tema del<br />

presunto tra<strong>di</strong>mento, BRACCESI 1984, pp. 97-113; COPPOLA 1985, pp. 13-20; 133-136; VANOTTI 1995,


ANIME E PATRIE DI MIGRANTI CISALPINI A ROMA 389<br />

vale quin<strong>di</strong> fissare una demarcazione <strong>di</strong> massima tra lo status <strong>di</strong> provincia e la<br />

concessione della civitas all’intera regione 14 .<br />

Una sorta <strong>di</strong> abiura della “petite patrie” (licenza scusabile per i tanti anni<br />

trascorsi in Valle d’Aosta) si ravvisa in Cecilio Stazio e Cornelio Nepote. Più<br />

comprensibile il caso del comme<strong>di</strong>ografo, che richiama il destino <strong>di</strong> Livio<br />

Andronico: condotti schiavi a Roma giovanissimi 15 , si segnalano per doti d’ingegno,<br />

vengono affrancati e s’impongono nell’arengo letterario, il primo per assenza <strong>di</strong><br />

competitori, il secondo grazie all’appoggio <strong>di</strong> Ennio e lottando con l’ingombrante<br />

Plauto 16 , fino a ottenere, fra insuccessi e contestazioni, l’avallo postumo <strong>di</strong> Volcacio<br />

Se<strong>di</strong>gito, che gli assegnò il primato <strong>nella</strong> comme<strong>di</strong>a 17 . Chi più chi meno, tutti<br />

costoro hanno parlato <strong>di</strong> sé 18 , tranne appunto Andronico e Stazio; può ben darsi che<br />

lo sra<strong>di</strong>camento traumatico subito da piccoli in una con<strong>di</strong>zione schiavile abbia<br />

offuscato le scarne reminiscenze patrie 19 . In compenso si sono perfettamente<br />

pp. 128-130. Altra occasione <strong>di</strong> menzionare Padova per Livio <strong>di</strong>venta la spe<strong>di</strong>zione dello spartano<br />

Cleonimo nel 302: vd. LIV. 10,2, su cui BRACCESI 1990, pp. 55-83.<br />

14 Senza entrare nel merito della vexata quaestio sulla soppressione dell’anacronistica provincia creata<br />

da Silla, argomento sin troppo trattato, per cui basti il rimando all’efficace sintesi elaborata sulle orme<br />

del compianto F. Sartori da CAPOZZA 1987, pp. 24-28, va rilevato che il flos Italiae <strong>di</strong> CIC. Phil. 3,13<br />

(del 20 <strong>di</strong>cembre 44) consta del consensus municipiorum coloniarumque provinciae Galliae.<br />

15 Coincide persino l’età, se si accetta che Andronico, nato nel 280, sia stato catturato nel 272 e Stazio,<br />

del 230, nel 222, ma si riconosce la precarietà <strong>di</strong> queste datazioni. La postdatazione <strong>di</strong> Andronico in<br />

Accio nasce da probabile confusione sul patronus, un oscuro Livio scambiato per il <strong>di</strong>scendente<br />

Salinatore, vincitore al Metauro nel 207: <strong>di</strong> lì la congettura <strong>di</strong> farlo cadere prigioniero nel 209, quando<br />

la città fu riconquistata da Fabio Cunctator ottuagenario; vd. CIC. de orat. 2,73; Cato 10-11; Brut. 72-<br />

76.<br />

16 Ennio, venuto a Roma con Catone nel 204 dalla Sardegna dove militava contro Annibale, entrò in<br />

contatto con Stazio probabilmente tramite i Cecilii, amici <strong>di</strong> Ennio come attesta PLIN. nat. 7,101;<br />

l’avviò alla comme<strong>di</strong>a intuendone lo spirito mordace, che invece faceva <strong>di</strong>fetto a lui e al nipote Pacuvio<br />

(PLIN. nat. 35,19), ma scalzare Plauto era impossibile, come attesta l’epitafio pubblicato da Varrone e<br />

conservato da GELL. 1,24 insieme con quelli <strong>di</strong> Pacuvio e <strong>di</strong> Nevio, plenum superbiae Campanae.<br />

Anche dopo la morte <strong>di</strong> Plauto, nel 184, Cecilio faticò a imporsi; vi riuscì, come poi Terenzio, grazie<br />

all’impegno del grande attore Ambivio Turpione.<br />

17 Il celeberrimo Caecilio palmam Statio do mimico del canone <strong>di</strong> Volcacio Se<strong>di</strong>gito, con piazze<br />

d’onore a Nevio e Plauto ed Ennio relegato al decimo e ultimo posto causa antiquitatis, trova riscontro<br />

in CIC. opt. gen. 2 fortasse summus comicus, nonostante le riserve sulla purezza della lingua espresse in<br />

Att. 7,3,10 e Brut. 258; vd. altresì VARRO Men. fr. 399 B., in argumentis Caecilius poscit palmam e<br />

VELL. 1,17,1 dulces Latini leporis facetiae <strong>di</strong> Cecilio, Terenzio e Afranio, con <strong>di</strong>sdegno <strong>di</strong> Plauto. Sui<br />

dati biografici in Gerolamo vd. ROSTAGNI 1964, pp. 24-26.<br />

18 Sia nelle opere minori che negli Annales Ennio inserì elementi autobiografici, compresi cenni<br />

all’artrite <strong>di</strong> cui soffriva (sat. 64,5. numquam poetor nisi si podager; cfr. HIERON. Chron. ad Ol. 153, 1<br />

[= 168 a.C.], septuagenario maior articulari morbo perit), a causa del bere, come preciserà il me<strong>di</strong>copoeta<br />

SERENO SAMMONICO (III sec. d.C.), 713-14 … dum pocula siccat iniqua/ hoc vitio tales fertur<br />

meruisse dolores; cfr. HOR. epist. 1,19,7-8 … numquam nisi potus ad arma / prosiluit <strong>di</strong>cenda, ma in<br />

tono scherzoso, come avvertono il v. 6 vinosus Homerus e l’avvio ispirato a Cratino. Plauto ad<strong>di</strong>rittura<br />

esordì con comme<strong>di</strong>e autobiografiche, Saturio e Ad<strong>di</strong>ctus, che consentirono a Varrone <strong>di</strong> ricostruirne la<br />

travagliata esistenza; vd. GELL. 3,3,14-15.<br />

19 Arduo <strong>di</strong>stinguere nei frammenti (ed. WARMINGTON 1961 3 ) quanto appartenga al genere comico e<br />

quanto potrebbe eventualmente ascriversi a pregressi personali, come la pre<strong>di</strong>lezione per ambienti e<br />

soggetti umili, ove peraltro la bassa con<strong>di</strong>zione sociale si riscatta con la coscienza professionale: fr. 257<br />

W. (da SYMM. epist. 9,114) Recte Caecilius comicus: homo homini deus est si suum officium sciat.<br />

Sicura, ad es., l’imitazione <strong>di</strong> Menandro nei Polumenoe, a onta dell’esperienza personale <strong>di</strong> “uomo in<br />

ven<strong>di</strong>ta” (cfr. GELL. 4,20,12-13), mentre echi <strong>di</strong> vita vissuta si avvertono forse, con la dovuta estrema


390 LUIGI BESSONE<br />

integrati <strong>nella</strong> romanità, riscuotendo consensi e onori fino alla presidenza del<br />

collegium scribarum histrionumque ad aedem Minervae sull’Aventino.<br />

Impossibile, tutto questo, senza l’appoggio <strong>di</strong> romani eminenti, la gens Livia<br />

per Andronico, i Cecilii per Stazio, i Fulvii Nobiliori per Ennio; d’altronde neanche<br />

Catone, possidente terriero, avrebbe ‘sfondato’ a Roma senza il mentore Valerio<br />

Flacco. Che si trattasse <strong>di</strong> patronato interessato è fuori dubbio, al <strong>di</strong> là del lustro<br />

derivante dall’essere protettori <strong>di</strong> artisti: le preteste Clasti<strong>di</strong>um <strong>di</strong> Nevio, Paulus <strong>di</strong><br />

Pacuvio e Ambracia <strong>di</strong> Ennio, lo Scipio del medesimo per l’Africano e gli stessi<br />

Annales ne sono segno eclatante ed Ennio ne fu ripagato con la civitas romana ad<br />

personam 20 ; e un comico non ostile poteva far comodo ai Cecilii, scottati dai vecchi<br />

strali <strong>di</strong> Nevio contro i Metelli 21 . Tuttavia, che l’ambiente in genere fosse aperto e<br />

ricettivo, senza troppi pregiu<strong>di</strong>zi <strong>di</strong> casta e <strong>di</strong> censo, lo <strong>di</strong>mostrano la carriera stessa<br />

dei nostri eroi e qualche aneddoto particolarmente significativo 22 .<br />

In tutt’altra atmosfera sembra invece collocabile Cornelio Nepote, sul conto<br />

del quale emergono attestazioni contrad<strong>di</strong>ttorie che lasciano sconcertati: inutile<br />

precisare che ci si avventura su un terreno infido, più congetturale che fattuale. Da<br />

NEP. Att. 13,2-7 si desume che l’autore frequentasse abitualmente la domum … in<br />

colle Quirinali Tamphilianam, il che risulta incontestabile: commentando con scarsa<br />

<strong>di</strong>screzione la contabilità della gestione domestica <strong>di</strong> Attico, Nepote chiosa (§ 7)<br />

atque hoc non au<strong>di</strong>tum, sed cognitum prae<strong>di</strong>camus; saepe enim propter<br />

familiaritatem domesticis rebus interfuimus. Meno scontata, a mio avviso, la<br />

conseguenza che se ne suole trarre, che cioè Nepote appartenesse a quell’élite<br />

culturale <strong>di</strong> cui Attico amava circondarsi, curandone anche affari e interessi (15,3).<br />

Dalla Vita Attici <strong>di</strong> Nepote appren<strong>di</strong>amo che ne facevano parte in primis i due<br />

Cicerone 23 , Ortensio Ortalo (5,3-4; 16,1) e Gellio Cano (10,2-3); della nuova<br />

generazione sicuramente Bruto (8,2; 9,3); più complesso, tra amicitia e<br />

opportunismo politico, il rapporto con Pompeo, Cesare (7,1-3) e Antonio (10,1 e 4-<br />

5); <strong>di</strong> Catone Attico era almeno procurator negotiorum (15,3) e forse qualcosa <strong>di</strong><br />

più, stando all’epistolario ciceroniano; frequentava parimenti l’ambiente Varrone,<br />

cautela, nei frr. 24 si umquam quisquam vi<strong>di</strong>t quem catapulta aut balista icerit; 36 nam hic in tenebris<br />

intus sese abscon<strong>di</strong>t, dall’Exul; 40-41 Nam quam duriter / vos educavit atque asperiter; 179 Liberne<br />

es? Non sum liber, verum inibi est quasi; 255 Saepe est etiam sub palliolo sor<strong>di</strong>do sapientia, citato da<br />

CIC. Tusc. 3,56.<br />

20 Onde il celeberrimo v. 500 V. Nos sumu’ Romani, qui fuimus ante Ru<strong>di</strong>ni; cfr. CIC. Brut. 79. Per<br />

l’insubro (milanese?) Stazio, <strong>di</strong>venuto Cecilio Stazio per affrancamento, vd. GELL. 4,20,12-13.<br />

21 Notissima l’opposizione politica <strong>di</strong> Nevio ai Metelli e alla nobilitas in genere, che gli costò minacce<br />

(malum dabunt Metelli Naevio poetae, in risposta all’altrettanto celebre saturnio fato Metelli Romae<br />

consules fiunt), il carcere (PLAUT. Mil. 211-212) e infine l’esilio, con la morte a Utica: CIC. Brut. 60;<br />

GELL. 3,3,15; 17,21,45, dal solito Varrone.<br />

22 Vd. spec. CIC. de orat. 2,276 su Ennio, l’unica ancella (paupertas <strong>di</strong> Ennio in CIC. sen. 14) e<br />

Scipione Nasica (il Corculum o, più probabile, suo padre; vd. Cicerone, Dell’oratore 1994, p. 506, nt.<br />

188), ma parimenti, per altri rapporti amicali, CIC. Arch. 22 e 27; ac. pr. 2,51; Tusc. 1,3; PLIN. nat.<br />

7,101 e 114 (i Cecilii, l’Africano); VIR. ill. 52,3 (Nobiliore).<br />

23 Quinto Cicerone era sposato con Pomponia, sorella <strong>di</strong> Attico; <strong>di</strong> uno screzio violento ma passeggero<br />

fra i cognati nel 61 sappiamo da CIC. Att. 1,17,1-4; 19,11; 20,1: Quinto era impetuoso e complessato e<br />

il caratterino <strong>di</strong> Pomponia non contribuiva certo alla serenità familiare.


ANIME E PATRIE DI MIGRANTI CISALPINI A ROMA 391<br />

per cui rimane incomprensibile la recente asserzione che Cicerone e il Reatino “non<br />

si erano mai incontrati prima” del 48 24 .<br />

Detto brevemente del circolo 25 , torniamo alla posizione <strong>di</strong> Nepote nel<br />

medesimo, presuntivamente paritaria. A smentire l’assunto provvede Cicerone, che<br />

pure ebbe commercio epistolare con Nepote, come si apprende da Macrobio 26 .<br />

Scrivendo ad Attico da Pozzuoli il 9 luglio 44 Cicerone (Att. 16,5,5) si <strong>di</strong>chiara in<br />

attesa <strong>di</strong> una lettera <strong>di</strong> Nepote e (si) chiede se davvero l’altro sia interessato alle sue<br />

opere, dato che legenda non putet proprio quelle più care all’autore 27 . Se qui trapela<br />

una semplice <strong>di</strong>vergenza letteraria, ben più inquietante appare il tono <strong>di</strong> Cic. Att.<br />

16,14,4, verso metà novembre dello stesso anno: Male narras de Nepotis filio. Valde<br />

mehercule moveor et moleste fero. Nescieram omnino esse istum puerum. Lo stesso<br />

Cicerone che trova parole accorate <strong>di</strong> cordoglio per la morte <strong>di</strong> amici e <strong>di</strong> affettuosa<br />

sollecitu<strong>di</strong>ne per i loro malanni 28 e ne segue premurosamente le vicende familiari 29 ,<br />

ignora ad<strong>di</strong>rittura l’esistenza del ragazzo e sembra quasi voler rassicurare Attico<br />

sull’autenticità dei propri sentimenti.<br />

Scarsa considerazione si evince altresì dal Brutus; <strong>nella</strong> congerie <strong>di</strong> nomi che<br />

l’affastellano, Nepote non compare né vale l’obiezione che non esercitasse la pratica<br />

24 Così EVERITT 2003, p. 250; l’asserto, desunto forse dal silenzio <strong>di</strong> Nepote su Varrone <strong>nella</strong> domus<br />

Tamphiliana, è smentito già da CIC. Att. 2,20,1 Varro satis nobis facit, del luglio 59.<br />

25 Vd. GUILLEMIN 1923, p. VI; JENKINSON 1973, p. 704. Grande equilibrista, il ‘pompeiano’ Attico<br />

riuscì a non urtarsi con Cesare, aspettando prudentemente a manifestare i suoi veri sentimenti dopo le<br />

i<strong>di</strong> <strong>di</strong> marzo: CIC. Att. 14,10,1; Cesare ne aveva apprezzato la quies, risparmiando per amor suo i Quinti<br />

Cicerone padre e figlio: NEP. Att. 7,3; analogamente, dopo aver foraggiato <strong>di</strong>sinteressatamente i<br />

cesarici<strong>di</strong> in <strong>di</strong>fficoltà (8,3-6) e aiutato i familiares <strong>di</strong> Antonio in pericolo (9,3-7), ottenendo concreta<br />

riconoscenza (10,4-5), si assicurò le simpatie <strong>di</strong> Ottaviano, mentore, con Antonio, delle nozze <strong>di</strong><br />

Cecilia con Agrippa (12,1-2) e poi del fidanzamento <strong>di</strong> Vipsania con Tiberio (19,3), fino alla<br />

consuetu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> visite o lettere quoti<strong>di</strong>ane (20,1-3).<br />

26 MACR. Sat. 2,1,14 Cicero … in libro epistularum ad Cornelium Nepotem secundo. A proposito del<br />

loro rapporto, parlava giustamente <strong>di</strong> “<strong>di</strong>screta ironia protettiva che esclude l’amicizia sincera” RAT<br />

s.d., p. V; prudente, ma in sostanza ottimista, HAVAS 1985-88, pp. 401-402: “…unterhielten<br />

Beziehungen”.<br />

27 Dal fr. 5 <strong>di</strong> Nepote (ed. WINSTEDT 1962), pezzo <strong>di</strong> una lettera a Cicerone riportato da LACT. inst.<br />

3,15,10 (per cui vd. ora l’ed. HECK, WLOSOK 2005), si evince l’estraneità del cisalpino alla filosofia<br />

(tantum abest ut ego magistram esse putem vitae philosophiam … ) e avversione per chi pre<strong>di</strong>ca bene e<br />

razzola male, in polemica con i cattivi maestri in schola. Ciò non tocca Cicerone <strong>di</strong>rettamente, ma lo<br />

ferisce il <strong>di</strong>sdegno per quelle opere <strong>di</strong> cui va orgoglioso al massimo grado; indubbio il sarcasmo della<br />

rettifica in “immortale” dell’ “incensurabile” <strong>di</strong> Attico, già ironico <strong>di</strong> suo pur in uno “still obscure<br />

passage”: JENKINSON 1973, p. 704.; vd. NARDUCCI 1989², pp. 8-9.<br />

28 Persino <strong>di</strong> loro schiavi o liberti, sinceramente compianti come il proprio puer festivus, anagnostes<br />

noster Sositheus (Att. 1,12,4): ad es., Att. 12,10,2 male mehercule de Athamante e attiva partecipazione<br />

ai casi <strong>di</strong> Alessi e Tisameno; ma parimenti <strong>di</strong> semiestranei, come in Att. 12,11,1 Male de Seio, un<br />

cavaliere semplicemente in rapporti d’affari (cfr. 5,13,2); scontate le premure per la salute <strong>di</strong> Attica,<br />

anche per un po’ <strong>di</strong> febbre (Att. 12,1,2 de Atticae febricula scilicet valde dolui; 12,11,2 Commotiunculis<br />

sympascho; 12,13,1 Commovet me Attica), e <strong>di</strong> Pilia, in ultimo colta da paralisi: 16,7,8 Valde sum<br />

commotus; l’irregolarità della grafia rivela a Cicerone che Attico è febbricitante (6,9,1), il che comporta<br />

massima attenzione e premura.<br />

29 Vd. ad es. CIC. Att. 1,5,4 sulla controversia Acutiliana (per cui cfr. 1,4,1) e 1,8,1 ancora su detta<br />

questione e de Ta<strong>di</strong>ano negotio; 15,21,2 sulla dote <strong>di</strong> Cana (<strong>di</strong> cui fruirebbe Quinto sposando la<br />

<strong>di</strong>vorziata: cfr. 13, 48 e DI SPIGNO 1998, pp. 1165, nt. 8; 1250, nt. 2); 13,28,4 sulla situazione <strong>di</strong><br />

Giovenzio Talna, fra i pretendenti alla mano <strong>di</strong> Attica.


392 LUIGI BESSONE<br />

forense 30 : oltre a menzionare persino i pochi segnalatisi apud socios et Latinos (§ 169)<br />

e citare, ibid., Lucio Elio Stilone Preconino qui scriptitavit orationes multis, orator<br />

ipse numquam fuit, Cicerone recupera Varrone e Attico come gran<strong>di</strong> antiquari<br />

eru<strong>di</strong>ti 31 , escludendo dal novero proprio colui che aveva esor<strong>di</strong>to con una pietra<br />

miliare in materia, elogiata invece dal veronese Catullo 32 . Tale forma <strong>di</strong> snobismo,<br />

in contrasto con l’elogio interessato della Cisalpina flos Italiae 33 , riflette<br />

presumibilmente un preconcetto campanilistico, particolarmente avvertibile <strong>nella</strong><br />

Pro Sestio con l’ostentato <strong>di</strong>sprezzo per i Calvenzi <strong>di</strong> Piacenza e parimenti per<br />

l’Atilius Gavianus e Sesto Elio Ligure 34 . Vero è che qui Cicerone sfoga tutto il livore<br />

contro la congrega clo<strong>di</strong>ana e all’uopo servono pettegolezzo e mal<strong>di</strong>cenza, ma se<br />

toccava certi tasti, se ne potrà arguire che contasse <strong>di</strong> titillare sentimenti <strong>di</strong>ffusi.<br />

Alla conclamata vocazione ecumenica <strong>di</strong> Roma si contrappone dunque, nei<br />

fatti, una realtà più gretta, <strong>di</strong> chiusure e pregiu<strong>di</strong>zi: nobilitas arroccata contro i novi<br />

homines 35 , boicottaggio dei novi cives, gli ex socii 36 , <strong>di</strong>scriminazione dei barbari<br />

bracati del nord Italia, rispetto al resto della penisola, da lunga pezza romanizzata.<br />

Qualcosa si intuisce dalla stessa vita Attici <strong>di</strong> Nepote, dettata da ammirazione e<br />

gratitu<strong>di</strong>ne per l’ospite liberale, ma priva <strong>di</strong> appigli su una effettiva partecipazione al<br />

cenacolo letterario, che gli avrebbe senz’altro conferito lustro, mentre viene <strong>di</strong> fatto<br />

taciuta, ché interesse domesticis rebus non implica alcunché in materia <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>.<br />

Siccome Attico non parum liberaliter domum suam omnium or<strong>di</strong>num homines<br />

invitaret (13,6), è lecito supporre gruppi <strong>di</strong>fferenziati e Nepote sostanzialmente fuori<br />

dell’élite, magari invitato a qualche <strong>di</strong>battito culturale (vd. Nep. Att. 14,1-2) ma in<br />

definitiva alquanto defilato. Il noto passo <strong>di</strong> Gell. 15,28,1 sgg. Cornelius Nepos et<br />

rerum memoriae non in<strong>di</strong>ligens et M. Ciceronis ut qui maxime amicus familiaris<br />

fuit, al punto da abbassarne l’età (da 27 a 23 anni) al tempo della Pro Roscio, forse<br />

stu<strong>di</strong>o amoris et amicitiae … amplificandae admirationis gratia (28,5), suggerisce<br />

30 Di probabile rango equestre, Cornelio Nepote capita al Foro nel 65 per sentire Cicerone pro<br />

Cornelio: HIER. c. Ioh. 12; la sua sanctitas morum si concede svaghi innocenti e onesti come comporre<br />

poesiole liriche: PLIN. epist. 5,3,1 e 6; vd. la densa sintesi biografica <strong>di</strong> NIPPERDEY 1962, pp. 1-3 e<br />

l’introduzione <strong>di</strong> AGNES 1977; <strong>di</strong> “vita appartata” parla CANALI 1983, p. 11.<br />

31 CIC. Brut. 60 Varro noster <strong>di</strong>ligentissimus investigator antiquitatis e ancora il possessivo affettuoso<br />

al § 206; per Attico bastino i §§ 10 (lui e Bruto cum inter se coniuncti tum mihi ita cari itaque iucun<strong>di</strong>)<br />

e 74 qui me inflammavit stu<strong>di</strong>o inlustrium hominum aetates et tempora persequen<strong>di</strong>.<br />

32 Si noti l’affinità concettuale <strong>di</strong> CATULL. 1,5-7 con CIC. Brut. 14 (elogio del Liber annalis <strong>di</strong> Attico)<br />

omnem rerum memoriam (omne aevum in Catullo) breviter … et… per<strong>di</strong>ligenter complexus est: là<br />

tribus explicare cartis / doctis … et laboriosis.<br />

33 CIC. Phil. 3,13; vd. MOSCA 1996, pp. 23-29; EVERITT 2003, pp. 309-316.<br />

34 Vd. spec. CIC. Sest. 21 materni generis obliti: il <strong>di</strong>sprezzo <strong>di</strong> Cicerone per i Calvenzi <strong>di</strong> Piacenza,<br />

ramo materno <strong>di</strong> Pisone Cesonino cos. 58, si evidenzia in Pis. 14; 53; p. red. in sen. 13; per gli altri<br />

summenzionati nel testo rimando a BESSONE 1997, pp. 11-12.<br />

35 Basti SALL. Cat. 23,6 namque antea pleraque nobilitas invi<strong>di</strong>a aestuabat, et quasi pollui consulatum<br />

credebant, si eum quamvis egregius homo novus adeptus foret; vd. in ultimo HOLLAND 2006, p. 123; la<br />

libertà concessa al romanziere, meglio se informato come in questo caso, gli permette <strong>di</strong> essere<br />

graffiante a p. 107: “lo snobismo romano era specializzato nel rimettere al loro posto gli ultimi<br />

arrivati”.<br />

36 Vd. in sintesi, a prescindere dalla letteratura specifica, ma a vantaggio dell’inquadramento<br />

prospettico, ALFÖLDI 1987, pp. 99-100; 108-113; 118-121; LEVI 1988, pp. 309-315; 321-327; BRUNT<br />

1990, pp. 105-110; PANI 1997, pp. 211-214; EVERITT 2003, pp. 56-58; HOLLAND 2006, pp. 62-67; 75-<br />

78; 93.


ANIME E PATRIE DI MIGRANTI CISALPINI A ROMA 393<br />

dunque non una corrispondenza d’amorosi sensi, ma piuttosto un rapporto<br />

sbilanciato, uno slancio non adeguatamente corrisposto.<br />

Nepote apprezza e con<strong>di</strong>vide i valori tra<strong>di</strong>zionali espressi dal circolo,<br />

conservatorismo politico e fede repubblicana 37 , laudatio temporis acti e sdegno per<br />

ogni forma <strong>di</strong> degenerazione 38 ; il frammento 3 de laude Ciceronis, dal De historicis<br />

Latinis, non lascia dubbi che l’apposita vita 39 fosse altamente elogiativa; permane<br />

tuttavia la sensazione <strong>di</strong> un intimo <strong>di</strong>sagio, percepibile in particolare dalla biografia<br />

<strong>di</strong> Annibale, anche se la stessa <strong>di</strong>sposizione della materia per libri paralleli <strong>di</strong> clari<br />

viri romani e non, soprattutto greci, suona monitoria della relatività dei valori,<br />

espressa a chiare lettere <strong>nella</strong> de<strong>di</strong>ca ad Attico 40 . La vita <strong>di</strong> Annibale si apre con un<br />

colpo basso all’orgoglio romano: vero è che Roma omnes gentes virtute superarit e<br />

antecedat fortitu<strong>di</strong>ne cunctas nationes (1,1), ma risulta altrettanto indubbio che<br />

Annibale in Italia semper <strong>di</strong>scessit superior e la sua virtus fu piegata unicamente<br />

dalla domi civium suorum invi<strong>di</strong>a e multorum obtrectatio (1,2). Annibale passa<br />

incontrastato <strong>di</strong> vittoria in vittoria, prima e dopo Canne 41 ; incre<strong>di</strong>bile <strong>di</strong>ctu che abbia<br />

perso a Zama, ma straor<strong>di</strong>nario comunque resta il suo veloce ripiegamento su<br />

Adrumeto (6,3). Può ben darsi che il successivo libro sui Romanorum …<br />

imperatores riscattasse l’orgoglio romano suggerendo, collatis utrorumque factis,<br />

qui viri praeferen<strong>di</strong> sint (13,4), ma certo la vita <strong>di</strong> Annibale sa piuttosto dello spirito<br />

<strong>di</strong> Pompeo Trogo 42 , con una <strong>di</strong>fferenza fondamentale per il nostro tema. Il gallo<br />

voconzio, arrivato quasi alla fine del suo ‘giro del mondo’, “si accinge a narrare le<br />

origini della città <strong>di</strong> Roma, considerando opera <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>no ingrato, dopo aver<br />

illustrato le imprese <strong>di</strong> tutte le genti, tacere soltanto della sua patria” (43,1), da<br />

intendersi ovviamente come ‘la grande’.<br />

Nepote, che de<strong>di</strong>ca metà del De viris illustribus a personaggi romani, pare<br />

preoccupato <strong>di</strong> mimetizzare la ‘piccola’ patria d’origine, quasi gli causasse un<br />

complesso d’inferiorità. Che un cisalpino preferisse sorvolare sull’adesione gallica<br />

alla causa punica può giustificarsi per una qualche forma d’imbarazzo, ma perché<br />

37 Cfr. NARDUCCI 1989², pp. 13-14; 17; 19-22; LABATE, NARDUCCI 1981, pp. 174-175.<br />

38 Sintomatici il già citato (in nt. 8) NEP. Cato, 2,2 tum non potentia sed iure res publica<br />

administrabatur; la sua presa <strong>di</strong> posizione sull’abuso e mal uso della porpora (PLIN. nat. 9,137; cfr.<br />

BESSONE 1998, pp. 170-171) e ancor più l’appunto sferzante <strong>di</strong> Att. 20,5 sulle mire eversive <strong>di</strong><br />

Ottaviano e Antonio, cum se uterque principem non solum urbis Romae, sed orbis terrarum esse<br />

cuperet; l’elogio della moderatio <strong>di</strong> Attico (13-14) suona critico ai ben noti eccessi <strong>di</strong> gente pur<br />

ragguardevole per altri versi, come Ortensio e Lucullo.<br />

39 Nel fr. cit. Nepote deplora che Cicerone, perpolitor della ru<strong>di</strong>s eloquenza e conformator della<br />

filosofia ancora incompta in latino, non si sia de<strong>di</strong>cato a historiam <strong>di</strong>gna voce pronuntiare (il motivo in<br />

CIC. leg. 1,8): solo lui avrebbe potuto reggere il confronto coi Greci, come poi riuscirà a Sallustio e<br />

Livio secondo il celebre giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Quintiliano (10,1,101); in Att. 16,3 Nepote elogia le lettere <strong>di</strong><br />

Cicerone al medesimo: un<strong>di</strong>ci volumi quae qui legat, non multum desideret historiam contextam eorum<br />

temporum; vd. inoltre NEP. Att. 16,5 Cicero … ut vates dei casi suoi e <strong>degli</strong> eventi politici.<br />

40 Vd. LA PENNA 1981, pp. 184-185; NARDUCCI 1989², pp. 15-19.<br />

41 Vd. spec. il consuntivo <strong>di</strong> NEP. Hann. 5,4 Quam<strong>di</strong>u in Italia fuit, nemo ei in acie restitit, nemo<br />

adversus eum post Cannensem pugnam in campo castra posuit, con selezione ad hoc <strong>di</strong> quanto<br />

avvenuto dal 216 in poi (5,1-3), che esclude la possibilità che Nepote sia fonte <strong>di</strong> un filone <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione<br />

epitomatoria liviana, se si eccettua il suo uso in Ampelio; vd. in proposito BESSONE 1977, pp. 38-43.<br />

42 Vd., molto cogente, SANTI AMANTINI 1981, pp. 26-32, con ricco corredo bibliografico.


394 LUIGI BESSONE<br />

spostare a Casteggio la battaglia del Ticino 43 , che non cambia la sostanza del triplice<br />

smacco <strong>di</strong> Publio Scipione padre dell’Africano (4,1-2; 6,1)? Non ovviamente da<br />

escludere che Nepote attingesse a tra<strong>di</strong>zioni locali inevitabilmente confusionarie, ma<br />

è lecito sospettare un altro motivo: situare lo scontro Clasti<strong>di</strong>i apud Padum lo<br />

esimeva dal nominare il fiume troppo evocativo della sua patria per la quasi<br />

omonimia; brillante escamotage <strong>di</strong> un ‘ticinese’ 44 a <strong>di</strong>sagio in una società romana<br />

alquanto snob?<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

AGNES 1977 = L. AGNES, Cornelio Nepote. Opere, Torino.<br />

ALFÖLDI 1987 = G. ALFÖLDI, Storia sociale dell’antica Roma, tr. it., Bologna.<br />

ARNAUD-LINDET 1990 = M.-P. ARNAUD-LINDET, Orose. Histoires (contre les<br />

paiens), I. Livres I-III, Paris.<br />

BESSONE 1977 = L. BESSONE, La tra<strong>di</strong>zione liviana, Bologna.<br />

BESSONE 1997 = L. BESSONE, Un uomo senza storia per una storia con troppi nomi,<br />

«Patavium», 9, pp. 5-23.<br />

BESSONE 1998 = L. BESSONE, La porpora a Roma, in La porpora. Realtà e<br />

immaginario <strong>di</strong> un colore simbolico, a cura <strong>di</strong> O. LONGO, Venezia, pp.<br />

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BRACCESI 1990 = L. BRACCESI, L’avventura <strong>di</strong> Cleonimo (a Venezia prima <strong>di</strong><br />

Venezia), Padova.<br />

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Nepote. Gli uomini illustri, Roma-Bari.<br />

CAPOZZA 1987 = M. CAPOZZA, La voce <strong>degli</strong> scrittori antichi, in Il Veneto nell’età<br />

romana. I. Storiografia, organizzazione del territorio, economia e<br />

religione, a cura <strong>di</strong> E. BUCHI, <strong>Verona</strong>, pp. 1-58.<br />

43 Cfr. ad es. FLOR. epist. 1,22,10 inter Padum atque Ticinum; VIR. ill. 42,3 P. Scipionem apud<br />

Ticinum; 49,4 apud Ticinum; LIV. perioch. 21,5 ad Ticinum flumen; OROS. 4,14,6 apud Ticinum, da<br />

LIV. 21,39,10; 45,1; 47,3, che ad Clasti<strong>di</strong>um vicum accenna a 48, 9 per la defezione che ne fece<br />

l’horreum … Poenis sedentibus ad Trebiam; cfr. POLYB. 3, 69. Non mi pare sod<strong>di</strong>sfacente addurre una<br />

banale svista <strong>di</strong> Nepote, unica soluzione proposta da chi non abbia preferito ignorare il problema; così<br />

RAT s.d., p. 345, nt. 608; CORNACCHIA 1990, p. 137, nt. 11.<br />

44 Assai probabile che Nepote fosse <strong>di</strong> Ticinum, l’o<strong>di</strong>erna Pavia: era municeps dell’insubre Tito Cazio<br />

(PLIN. epist. 4,28,1) e Pa<strong>di</strong> accola (PLIN. nat. 3,127); le altre città insubri, Milano, Novara e Como,<br />

sono tutte lontane dal fiume; ciononostante TRISOGLIO 1973, p. 498, nota 418 non esclude Milano;<br />

recepisce invece l’oscillazione fra Pavia e Ostiglia NARDUCCI 1989², p. 5.


ANIME E PATRIE DI MIGRANTI CISALPINI A ROMA 395<br />

CHASTAGNOL 1980 = A. CHASTAGNOL, Quatre études sur la Vita Cari, «BHAC»<br />

1977/78 («Antiquitas» 4, 13), pp. 45-71.<br />

Cicerone. Dell’oratore 1994 = M. MARTINA, M. OGRIN, I. TORZI, G. CETTUZZI,<br />

Cicerone. Dell’oratore, con un saggio introduttivo <strong>di</strong> E. NARDUCCI,<br />

Milano.<br />

COPPOLA 1985 = A. COPPOLA, Archaiologhia e propaganda, Roma.<br />

CORNACCHIA 1990 = G. A. CORNACCHIA, Cornelio Nepote. Vite <strong>degli</strong> uomini<br />

illustri. 2, Bologna.<br />

DELLA CORTE 1970² = F. DELLA CORTE, Varrone, il terzo gran lume romano,<br />

Firenze².<br />

DI SPIGNO 1998 = C. DI SPIGNO, Cicerone. Epistole ad Attico, II, Torino.<br />

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ATHESIS VERONENSIUM IN PADUM DECURRIT.<br />

UNA NOTA SUL CORSO DELL’ADIGE IN ETÀ ROMANA<br />

Mauro Calzolari<br />

Athesis, Veronensium, in Padum decurrit, “l’A<strong>di</strong>ge, dei Veronesi, scorre nel<br />

Po”. Così afferma lo scrittore tardo-antico Vibio Sequestre nel suo lessico ad uso<br />

scolastico, che attinge a vari materiali della letteratura latina anteriore (come le<br />

opere <strong>di</strong> Virgilio, Ovi<strong>di</strong>o, Lucano e Silio Italico) 1 . Pur <strong>nella</strong> schematicità del lemma,<br />

non vi sono dubbi sulla sua interpretazione: il fiume, dopo aver attraversato il<br />

territorio <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>, va a gettarsi nel Po.<br />

La stessa notizia ricorre in un’altra compilazione del basso impero (se non<br />

dell’Alto Me<strong>di</strong>oevo), il Commento all’Eneide <strong>di</strong> Servio auctus, opera <strong>di</strong> un anonimo<br />

redattore che ha attinto alla precedente esegesi (tra le sue fonti si è ripetutamente<br />

in<strong>di</strong>cato il Commento <strong>di</strong> Donato), con un certo interesse antiquario. Le sue note<br />

sono spesso un riassunto, senza operare preferenze, delle precedenti spiegazioni<br />

fornite <strong>di</strong> un passo virgiliano, con ripetizioni e talora anche <strong>di</strong>scordantze fra i vari<br />

scolii 2 . Ora, nell’illustrare i versi del nono libro dell’Eneide nei quali si citano le<br />

“limpide correnti” del Po e dell’A<strong>di</strong>ge 3 , si sostiene l’esattezza della lezione ‘liquetia<br />

flumina’ e non ‘liquentia flumina’ e si aggiunge uno schematico inquadramento<br />

<strong>degli</strong> idronimi citati: Padus Italiae fluvius, aliquot provincias dextra laevaque<br />

contingit, inter quas et Venetiae partem praeterfluit. Athesis Venetiae fluvius est,<br />

<strong>Verona</strong>m ambiens et in Padum cadens. Liquetia Venetiae fluvius est inter Altinum et<br />

Concor<strong>di</strong>am, 4 , “il Po è un fiume dell’Italia, confina a destra e a sinistra con alcune<br />

province, tra le quali bagna anche la regione della Venezia. L’A<strong>di</strong>ge è un fiume<br />

della Venezia, gira intorno a <strong>Verona</strong> e si getta nel Po. La Liquetia [= Livenza] è un<br />

fiume della Venezia tra Altino e Concor<strong>di</strong>a”. A parte l’errore <strong>di</strong> esegesi sulla<br />

presunta menzione del fiume Livenza, anche in questo passo viene riba<strong>di</strong>ta la<br />

confluenza dell’A<strong>di</strong>ge nel massimo collettore padano.<br />

1<br />

VIB. SEQ. geogr. 11. Sui materiali utilizzati dall’autore: GELSOMINO 1966, pp. XL-LI.<br />

2<br />

Per le caratteristiche del Commento <strong>di</strong> Servio auctus (o danielino) è sufficiente rinviare a BRUGNOLI<br />

1988.<br />

3<br />

VERG. Aen. 9,679-682: quales aëriae liquentia flumina circum / sive Pa<strong>di</strong> ripis Athesim seu propter<br />

amoenum / consurgunt geminae quercus intonsaque caelo / attollunt capita et sublimi vertice nutant.<br />

Pandaro e Bizia, due fratelli, hanno in custo<strong>di</strong>a una porta del campo <strong>di</strong> Enea, presso il Tevere, davanti<br />

alla quale si ergono armati “come due aeree querce che sollevano al cielo il capo fronzuto e oscillano<br />

con altissima cima intorno alle limpide correnti, sulle rive del Po o lungo l’A<strong>di</strong>ge ameno” (traduz. <strong>di</strong> L.<br />

Canali).<br />

4<br />

SERV. Aen. 9,676.


398 MAURO CALZOLARI<br />

Il medesimo dato viene riproposto, infine, in una lettera <strong>di</strong> Sidonio Apollinare<br />

dell’anno 467 d. C., <strong>nella</strong> quale riferisce del suo viaggio dalla Gallia a Roma, e in<br />

particolare della navigazione sul Po da Ticinum (Pavia) a Ravenna, su una nave del<br />

cursus publicus:<br />

Ticini cursoriam (sic navigio nomen) escen<strong>di</strong>, qua in Eridanum brevi delatus<br />

cantatas saepe comissaliter nobis Phaethontiadas et commenticias arborei metalli<br />

lacrimas risi. Ulvosum Lambrum, caerulum Adduam, velocem Athesim, pigrum<br />

Mincium, qui Ligusticis Euganeisque montibus oriebantur, paulum per ostia<br />

adversa subvectus in suis etiam gurgitibus inspexi, quorum ripae torique passim<br />

quernis acernisque nemoribus vestiebantur. Hic avium resonans dulce concentus,<br />

quibus nunc in concavis harun<strong>di</strong>nibus, nunc quoque in iuncis pungentibus, nunc et<br />

in scirpis eno<strong>di</strong>bus nidorum strues imposita nutabat; quae cuncta virgulta<br />

tumultuatim super amnicos margines soli bibuli suco fota fructicaverant 5 . “A Pavia<br />

mi imbarcai su una nave “corriera” (così è chiamata), che mi portò ben presto al Po,<br />

dove io risi delle sorelle <strong>di</strong> Fetonte, spesso cantate da noi nei banchetti, e delle<br />

mitiche lacrime dell’arboreo metallo. Il Lambro coperto <strong>di</strong> erbe palustri, l’Adda<br />

ceruleo, il veloce A<strong>di</strong>ge, il pigro Mincio, che nascono dai monti liguri 6 ed euganei,<br />

io li ho visti nel loro corso, avendo un po’ risalito la corrente a partire dalla foce; le<br />

loro rive erano dovunque rivestite <strong>di</strong> boschi <strong>di</strong> querce e <strong>di</strong> aceri. Vi si sentiva<br />

risuonare dolcemente il canto <strong>degli</strong> uccelli, i cui ni<strong>di</strong>, in gran moltitu<strong>di</strong>ne,<br />

vacillavano ora sulle canne cave, ora sui giunchi pungenti o anche sui scirpi<br />

flessibili; perché tutta questa vegetazione, nutrita dall’umi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> un suolo spugnoso,<br />

era cresciuta con vigore sulle rive <strong>di</strong> questi fiumi”.<br />

Nel resoconto appena riportato colpisce il fatto che durante il tragitto fluviale<br />

l’autore abbia potuto vedere non solo le foci del Lambro, dell’Adda e del Mincio ma<br />

anche dell’A<strong>di</strong>ge, prima <strong>di</strong> giungere a Ravenna: anche lui ci fa intendere, seppure in<br />

modo in<strong>di</strong>retto, che questo fiume rientra tra gli affluenti <strong>di</strong> sinistra del Po.<br />

È evidente che queste tre testimonianze pongono dei problemi interpretativi<br />

sul piano storico-topografico, in quanto l’ipotesi <strong>di</strong> una confluenza dell’A<strong>di</strong>ge nel Po<br />

viene a contrastare con i dati paleoidrografici acquisti ormai da una lunga serie <strong>di</strong><br />

stu<strong>di</strong>. In particolare è ormai accertato che in età romana il fiume si riversava nel<br />

mare Adriatico, per il tramite della laguna veneta, con un corso più settentrionale<br />

dell’attuale (per Este e Montagnana), e che probabilmente con un ramo scendeva per<br />

gli o<strong>di</strong>erni Legnago e Rovigo, lungo un alveo che nel Me<strong>di</strong>oevo è noto come<br />

A<strong>di</strong>getto 7 .<br />

Come conciliare dunque le affermazioni <strong>degli</strong> autori sopra menzionati con i<br />

risultati delle ricerche paleoidrografiche e paleoambientali?<br />

Sia Vibio Sequestre sia Servio auctus forniscono delle notizie riprese da fonti<br />

anteriori, semplificate e liberamente interpretate. Entrambi gli autori sembrano aver<br />

forzato la mano su un dato geografico, che risale probabilmente alla descrizione del<br />

Po elaborata da Plinio <strong>nella</strong> sua Naturalis Historia. Di quest’ultimo autore a noi qui<br />

interessa sottolineare due passi:<br />

5<br />

SIDON. epist. 1,5,3-4 (Roma, fine del 467 d.C.).<br />

6<br />

Alla metà del V secolo d. C. la provincia Liguria occupava il settore oggi piemontese e lombardo a<br />

nord del Po, fino all’Adda appunto.<br />

7<br />

Da ultimo, BALISTA 2005, pp. 55-86, con bibl. prec.


ATHESIS VERONENSIUM IN PADUM DECURRIT 399<br />

1) l’elenco <strong>degli</strong> affluenti del Po (nat. 3,118): [Padus] nec amnes tantum<br />

Appenninos Alpinosque navigabiles capiens, sed lacus quoque inmensos in eum sese<br />

exonerantes, omni numero XXX flumina in mare Hadriaticum defert, celeberrima ex<br />

iis Appennini latere Iactum, Tanarum, Trebiam Placentinum, Tarum, Inciam,<br />

Gabellum, Scultennam, Rhenum, Alpium vero Sturam, Orgum, Durias duas, Sesitem,<br />

Ticinum, Lambrum, Adduam, Ollium, Mincium. “[Il Po] riceve non soltanto le acque<br />

<strong>di</strong> fiumi navigabili alpini e appenninici, ma anche quelle <strong>di</strong> laghi immensi che si<br />

scaricano in lui: porta al mare Adriatico in tutto 30 fiumi. I più famosi tra questi, sul<br />

versante appenninico, sono lo Iatto, il Tanaro, il Trebbia piacentino, il Taro, l’Enza,<br />

il Gabello, lo Scoltenna, il Reno, sul versante alpino lo Stura, l’Orco, le due Dore, il<br />

Sesia, il Ticino, il Lambro, l’Adda, l’Oglio, il Mincio”.<br />

2) la descrizione della banda settentrionale del delta padano (nat. 3,121): Inde<br />

ostia plena Carbonaria, Fossiones ac Philistina, quod alii Tartarum vocant, omnia<br />

ex Philistinae fossae abundatione nascentia, accedentibus Atesi ex Tridentinis<br />

Alpibus et Togisono ex Patavinorum agris. Pars eorum et proximum portum facit<br />

Brundulum, sicut Aedronem Meduaci duo ac fossa Clo<strong>di</strong>a. His se Padus miscet ac<br />

per haec effun<strong>di</strong>t, plerisque, ut in Aegypto Nilus quod vocant Delta, triquetram<br />

figuram inter Alpes atque oram maris facere pro<strong>di</strong>tus, sta<strong>di</strong>orum II milia circuitu.<br />

“Seguono le bocche, rimaste colme, <strong>di</strong> Carbonaria, Fossioni e Filistina, chiamata da<br />

altri Tartaro. Tutte e tre queste bocche sono state originate dallo straripamento del<br />

canale Filistina a causa della confluenza dell’A<strong>di</strong>ge, che scende dalle Alpi<br />

Tridentine, e del Togisono, proveniente dalle campagne <strong>di</strong> Padova. Una parte <strong>di</strong><br />

questi fiumi forma anche il vicino porto <strong>di</strong> Brondolo, così come quello <strong>di</strong> Edrone è<br />

formato dai due bracci del Meduaco e dal canale Clo<strong>di</strong>o. Con questi fiumi il Po si<br />

mescola e insieme ad essi si riversa in mare; la maggior parte <strong>degli</strong> autori sostiene<br />

che esso forma, come il Nilo in Egitto, il cosiddetto delta, una figura triangolare<br />

compresa tra le Alpi e la costa, il cui perimetro è <strong>di</strong> 2000 sta<strong>di</strong>” 8 .<br />

Il primo passo <strong>di</strong> Plinio non include l’A<strong>di</strong>ge <strong>nella</strong> lista <strong>degli</strong> affluenti <strong>di</strong><br />

sinistra del Po – l’ultimo <strong>di</strong> essi è notoriamente il Mincio –, e quin<strong>di</strong> ci consente <strong>di</strong><br />

considerare <strong>di</strong> scarso valore geografico le affermazioni <strong>di</strong> Vibio Sequestre e <strong>di</strong><br />

Servio auctus, se ad esse attribuiamo un significato restrittivo, ritenendo che<br />

intendano veramente attribuire al nostro fiume veneto i caratteri <strong>di</strong> tributario<br />

dell’alveo padano.<br />

Il secondo passo ci suggerisce invece una possibile interpretazione più elastica<br />

e ampia del concetto <strong>di</strong> “confluenza” dell’A<strong>di</strong>ge nel Po. Il fiume, scendendo dalle<br />

Alpi Tridentine, alimenta il canale Filistina che origina le tre bocche più<br />

settentrionali del Po, dove giunge anche il Togisonus proveniente dall’agro patavino.<br />

“Con questi fiumi il Po si mescola e insieme ad essi si riversa in mare”, conclude il<br />

nostro autore, elaborando un passo <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile esegesi per le oggettive <strong>di</strong>fficoltà a<br />

descrivere un quadro idrografico particolarmente complesso 9 . Ne nasce comunque<br />

l’idea <strong>di</strong> un delta padano che si <strong>di</strong>lata <strong>nella</strong> laguna veneta, con ramificazioni e<br />

8 I due passi <strong>di</strong> Plinio sono citati <strong>nella</strong> traduzione <strong>di</strong> G. Ranucci (Torino 1982), con un ritocco messo in<br />

evidenza dal corsivo. Per un’analisi <strong>di</strong> questa descrizione del Delta padano si veda, da ultimo,<br />

CALZOLARI 2007, con bibl. prec.<br />

9 Osservazione già presente in UGGERI 1987, pp. 332-33, PERETTO 1990, p. 51, ZERBINATI 1990, p. 22 e<br />

BASSI 1994, p. 237.


400 MAURO CALZOLARI<br />

specchi d’acqua dai confini sfumati. A noi ora preme sottolineare che la notizia<br />

dell’A<strong>di</strong>ge, se estrapolata dal suo contesto, può essere ridotta a quella <strong>di</strong> un fiume<br />

accedens in Padum, “confluente nel Po”: ed è questa, con ogni probabilità, l’origine<br />

<strong>di</strong>retta o in<strong>di</strong>retta (per il tramite <strong>di</strong> altri compen<strong>di</strong>) <strong>di</strong> quanto ci viene riferito nelle<br />

due compilazioni tardo-antiche sopra ricordate.<br />

Molto più circostanziata risulta invece la testimonianza <strong>di</strong> Sidonio Apollinare,<br />

che non sembrerebbe lasciare spazio a equivoci, perché apparentemente collegata a<br />

un’esperienza personale. Ma appena esaminamo il testo ci accorgiamo che è ricco <strong>di</strong><br />

reminiscenze letterarie, con un intrico <strong>di</strong> riferimenti ad autori <strong>di</strong>versi, così da<br />

attenuare <strong>di</strong> parecchio il suo valore testimoniale. Il Po è infatti collegato al mito <strong>di</strong><br />

Fetonte e delle Elia<strong>di</strong>, ben noto <strong>nella</strong> letteratura latina, in particolare da Ovi<strong>di</strong>o.<br />

L’elenco e gli attributi dei fiumi della pianura padana – ormai <strong>di</strong>venuti <strong>degli</strong><br />

stereotipi letterari 10 – vengono ripresi da un panegirico <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>ano, dove, in un<br />

sovrapporsi <strong>di</strong> elementi mitici e reali, il pater Eridanus, <strong>di</strong>vinità del fiume, esulta per<br />

la sconfitta <strong>di</strong> Alarico nel 402 d.C. <strong>nella</strong> Pianura padana, ad opera <strong>di</strong> Stilicone,<br />

affiora dalle acque per vedere <strong>di</strong> persona la ritirata dei Goti verso le Alpi e invita gli<br />

altri fiumi del Nord Italia a con<strong>di</strong>videre con lui quel momento <strong>di</strong> gioia ‘patriottica’.<br />

Tra questi si nominano il “ceruleo” Adda, il “veloce” A<strong>di</strong>ge e il “pigro” Mincio:<br />

pulcher Ticinus et Addua visu / caerulus et velox Athesis tardusque meatu /<br />

Mincius 11 . Ora Sidonio ripropone un tale elenco <strong>di</strong> corsi d’acqua, con lo stesso<br />

or<strong>di</strong>ne (nel quale si ritrova l’inversione dell’A<strong>di</strong>ge rispetto al Mincio), per descrivere<br />

gli affluenti del Po che ha incontrato nel suo viaggio fluviale 12 . È evidente che,<br />

sebbene riversasse le sue acque nel settore deltizio – come abbiamo detto più sopra –<br />

l’A<strong>di</strong>ge non poteva essere incontrato nell’itinerario seguito dallo scrittore 13 .<br />

In definitiva, mi pare che da questa analisi affiori l’idea che in età romana<br />

l’A<strong>di</strong>ge poteva essere considerato un confluente del Po in senso lato, in quanto si<br />

riversava, tra Adria e Chioggia, in una ramificazione padana (la Filistina) del delta.<br />

Quest’ultimo viene percepito come un ambiente singolare, ricco <strong>di</strong> bracci e canali<br />

che formano un unico sistema <strong>di</strong> acque con le lagune fra Ravenna e Altino, come ci<br />

avverte lo stesso Plinio 14 .<br />

10 Così il Mincio è qualificato come un fiume “sinuoso”, “orlato <strong>di</strong> canne”, “con le sue acque<br />

tranquille”, avendo come modello gli accenni <strong>di</strong> Virgilio: TOZZI 1987, p. 532.<br />

11 CLAUD. 28,195-197.<br />

12 Per la derivazione <strong>di</strong> questo elenco <strong>di</strong> fiumi da Clau<strong>di</strong>ano: LOYEN 1970, p. 14 nota 15; GUALANDRI<br />

1979, p. 53 (“L’elenco dei fiumi che solcano la pianura padana … è infatti, notoriamente, un pezzo <strong>di</strong><br />

imitazione clau<strong>di</strong>anea”). È conservata pure l’antitesi tra il “veloce” A<strong>di</strong>ge e il “pigro” Mincio,<br />

connotazione quest’ultima che risale a Virgilio (DEWAR 1996, pp. 189-190).<br />

13 BARGNESI 2001, pp. 115-116; BARGNESI 2004, p. 53; CALZOLARI 2004, p. 105.<br />

14 PLIN. nat. 3,119: Nec alius amnium tam brevi spatio maioris incrementi est. Urguetur quippe<br />

aquarum mole et in profundum agitur, gravis terrae, quamquam <strong>di</strong>ductus in flumina et fossas inter<br />

Ravennam et Altinum per CXX milia passuum, “nessun altro fiume aumenta la sua portata più del Po in<br />

così breve spazio; è infatti incalzato dalla massa delle acque e la spinta non si esaurisce se non nel mare<br />

aperto, rendendo il fiume dannoso per le terre circostanti, sebbene sia deviato in bracci e canali lungo<br />

un arco <strong>di</strong> 120 miglia, fra Ravenna e Altino” (traduz. <strong>di</strong> G. Ranucci).


ATHESIS VERONENSIUM IN PADUM DECURRIT 401<br />

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