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Che cosa può insegnare la canzone alla poesia?

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idiomi (l’inglese e il russo, poniamo). Il fenomeno è piuttosto delicato (ed è già ben definito<br />

all’inizio degli anni Sessanta: penso al<strong>la</strong> Bal<strong>la</strong>ta del Cerutti di Umberto Simonetta e Giorgio Gaber<br />

- 1962): si tratta infatti, per il critico e lo storico, addirittura di teorizzare una sorta di mutazione<br />

sil<strong>la</strong>bo-tonica, se non accentuativa tout court, del verso italiano; secondo una direttrice che molti<br />

hanno enunciato e tentato di praticare (in ambiti di poetica diversissimi: da Riccardo Bacchelli a<br />

Franco Fortini), 16 ma <strong>la</strong> cui reale natura è arduo definire, poiché manca all’italiano par<strong>la</strong>to <strong>la</strong><br />

possibilità di di<strong>la</strong>tare e contrarre <strong>la</strong> durata delle sil<strong>la</strong>be; azione che viceversa è realizzabile<br />

nell’esecuzione musicale. In questo caso penso che, davvero, studiare <strong>la</strong> <strong>canzone</strong> serva a capire che<br />

<strong>cosa</strong> succeda (che <strong>cosa</strong> possa succedere) nel<strong>la</strong> <strong>poesia</strong> e addirittura nel<strong>la</strong> lingua.<br />

Mi si conceda un ultimo esempio, che coinvolge un campo intermedio tra i due appena<br />

esaminati (forme tradizionali e forme innovative). E’ possibile che il trattamento musicale di un<br />

verso ne disveli <strong>la</strong> struttura profonda. Come sapete, i metricologi sono spesso in disaccordo sulle<br />

caratteristiche di quegli endecasil<strong>la</strong>bi che hanno ictus sul<strong>la</strong> quinta sil<strong>la</strong>ba. Non provo neanche a<br />

riassumere i termini del dibattito; cito solo pochi versi di una <strong>canzone</strong> di Vinicio Caposse<strong>la</strong>, I<br />

pagliacci 17 . La linea che ho sottolineata è appunto un endecasil<strong>la</strong>bo con ictus di 5a, ed è inserito in<br />

un contesto dattilico (il tempo è quello del valzer) non privo di forzature prosodiche (sistoli e<br />

diastoli; il v. 2 viene scandito come «a vèder l’incànto di nòi»).<br />

Un tempo ridevo soltanto<br />

a veder l’incanto di noi<br />

vestiti di piume e balocchi<br />

con bocche a soffietto<br />

e rossetto negli occhi<br />

scimmie, vecchiette obbedienti<br />

e cavalli sapienti<br />

sul dorso giocar<br />

ridere era come amar<br />

poi ripetendo il mestiere<br />

s’impara il dovere di recitar<br />

e pompa il salone il suo fiato<br />

[...]<br />

Se ascoltiamo <strong>la</strong> registrazione ci rendiamo conto che, in pratica, Caposse<strong>la</strong> canta «s’impàra<br />

il dové-e | re dì recitàr»; vale a dire:<br />

16 Sul tema, vedi supra, il saggio su Fortini alle pp.<br />

17 Traggo il testo direttamente dagli allegati all’album: V. CAPOSSELA, Canzoni a manovel<strong>la</strong>, CGD, 2000.

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