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ARTHUR SCHOPENHAUER

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<strong>ARTHUR</strong> <strong>SCHOPENHAUER</strong><br />

(1788-1861)<br />

“Hegel, insediato dall’alto, dalle forze al potere, fu un ciarlatano<br />

di mente ottusa, insipido, nauseabondo, illetterato che<br />

raggiunse il colmo dell’audacia scarabocchiando e scodellando i<br />

più pazzi e mistificanti non-sensi. Questi non-sensi sono stati<br />

chiassosamente celebrati come sapienza immortale da seguaci<br />

mercenari e prontamente accettati per tali da tutti gli stolti, che<br />

così si unirono a intonare un coro di ammirazione tanto<br />

perfetto quanto non si era mai udito prima. L’immenso campo<br />

di influenza spirituale che è stato messo a disposizione di Hegel<br />

da coloro che erano al potere gli ha consentito di perpetrare la<br />

corruzione intellettuale di una intera generazione”.<br />

Arthur Schopenhauer nasce a Danzica nel 1788 da una ricca famiglia di origine tedesca. Suo<br />

padre era commerciante, sua madre scrittrice di romanzetti. Nel 1805 si iscrive all’Universit{ di<br />

Gottinga, dove è discepolo di Schulze (critico di Kant) che lo indirizza allo studio di Platone e di<br />

Kant. A Berlino è disgustato dalle lezioni di Fichte. Dopo la laurea ad Iena si trasferisce a Dresda,<br />

dove scrive Il mondo come volontà e rappresentazione, opera che non ebbe affatto successo e<br />

che andò al macero. (la madre, con cui Arthur non aveva un buon rapporto, era una donna di<br />

mondo e scrittrice di romanzetti che avevano un grande successo). A Weimar è in contatto con<br />

Frederich Mayer, studioso di sapienza orientale, che lo avvia allo studio della tradizione<br />

filosofico-religiosa dell’India. Nel 1829 ottiene la libera docenza e in quell’occasione si scontra<br />

con Hegel (esaminatore) col quale resterà sempre in ostilità, al punto da tenere le sue lezioni<br />

nel medesimo orario (con scarsi uditori).<br />

Nel 1831 si trasferisce a Francoforte dove scrive Parerga e paralipomena (cosa occasionali e<br />

trascurate) e vive in solitudine gli ultimi anni della sua vita, accompagnati peraltro da un certo<br />

successo.<br />

1. La triplice ispirazione di S.<br />

a) Kant. S. si dichiarò sempre kantiano e desideroso di recuperare Kant al di là<br />

dell’interpretazione dei “tre ciarlatani”, al di l{ del superamento idealistico della “cosa in sé”.<br />

“Io sono partito da dove Kant è rimasto”: egli ritiene come punto fondamentale della sua<br />

filosofia proprio quella distinzione fra fenomeno e noumeno che gli idealisti avevano rifiutato.<br />

Tuttavia la domanda fondamentale che muove la filosofia di Kant non è una domanda<br />

gnoseologica: attraverso i termini kantiani S. esprime la sua visione tragica della vita.<br />

b) Platone. Lo attrae la teoria delle “idee”, intese come forme eterne sottratte alla realtà<br />

dolorosa, la contrapposizione fra le idee e le cose, fra realt{ e apparenza, l’idea della vita<br />

terrena come dominata dall’apparenza.<br />

c) Filosofia orientale. Accolta con la consapevolezza di un radicale rifiuto della tradizione<br />

occidentale. Induismo e buddismo sono accolti come via di fuga dalla filosofia che era sfociata<br />

nell’hegelismo. “Torna l’indiana sapienza a fluire verso l’Europa, e produrr{ una fondamentale<br />

mutazione del nostro sapere e pensare”.<br />

Buddha, l’illuminato, è colui che ha scoperto la verit{ e l’ha trasmessa agli uomini. Rampollo di<br />

famiglia principesca, giovane, bello, ricco, sposato con un figlio, un giorno uscendo da palazzo<br />

incontrò tre personaggi: Malattia, Vecchiaia, Morte. Fu la scoperta del dolore, da cui rimase<br />

talmente sconvolto che decise di abbandonare tutto per cercare la verità e la salvezza. Al<br />

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termine di una vita di penitenza giunse alla saggezza. “Questa, asceti, è la verit{ circa il dolore:<br />

nascita è dolore, morte è dolore: dolore è l’unione con ciò che dispiace, dolore è la separazione<br />

da ciò che piace, dolore ogni desiderio deluso...”. Buddha è colui che ha svelato la realt{<br />

togliendo il velo di Maya, cioè il velo che copre la realtà di illusioni, e ha rivelato come non sia<br />

altro che dolore, che la vera realtà è il dolore.<br />

2. Il mondo come rappresentazione<br />

“Il mondo è la mia rappresentazione”. Noi non conosciamo la vera realt{, ogni cosa conosciuta<br />

è relativa al soggetto. “Tutto ciò che esiste per la conoscenza, cioè questo mondo intero, è<br />

solamente oggetto in rapporto al soggetto, intuizione di chi intuisce, in una parola<br />

rappresentazione”: ogni nostra conoscenza consiste nella rappresentazione soggettiva di un<br />

oggetto. Il mondo come rappresentazione è dunque fenomeno: noi non conosciamo mai la<br />

realtà in sé ma solo la realt{ quale si manifesta nelle forme dell’intelletto. Le forme mediante le<br />

quali l’intelletto raccoglie in unit{ ed elabora i dati sensibili sono lo spazio, il tempo e la causalit{<br />

(a quest’ultima vengono ridotte tutte le categorie). Per Kant il fenomeno è il mondo<br />

conosciuto, spazio per l’attivit{ conoscitiva dell’uomo e limite insuperabile di tale attivit{. Per S.<br />

il fenomeno è illusione e apparenza, è il Velo di Maya che copre il volto delle cose, è l’illusione<br />

che vela la realtà delle cose nella loro essenza primigenia ed autentica. Il fenomeno è parvenza,<br />

illusione, sogno. In S. il principio soggettivistico della “rivoluzione copernicana” viene invocato<br />

come riprova del carattere meramente illusorio della conoscenza. Tra il sogno e la veglia non<br />

c’è nessuna differenza e la vita è sogno, sogno di nessun sognatore.<br />

Con questo S. si inserisce in tutta una tradizione letteraria sul tema del sogno:<br />

Pindaro scriveva che “l’uomo è il sogno di un’ombra”, Shakespeare che “noi siamo della stessa<br />

materia di cui sono fatti i sogni, e la nostra breve vita è circondata da un sonno. Calderon de la<br />

Barca scrive “La vida es sueno”. E S.:<br />

“La vita e i sogni son pagine dello stesso libro. La lettura di seguito è la vita reale. Ma quando<br />

l’ora abituale della lettura (il giorno) è trascorsa, ed arriva il momento del riposo, noi<br />

continuiamo spesso a sfogliare oziosamente il libro, aprendo a caso questa pagina o quella<br />

senz’ordine e senza seguito, imbattendosi ora in una pagina gi{ letta, ora in una nuova; ma il<br />

libro che leggiamo è sempre il medesimo”.<br />

Il mondo della rappresentazione è il mondo del “principium individuationis”, in cui ogni cosa è<br />

distinta e separata dalle altre e conoscibile come individuo.<br />

3.Il mondo come volontà<br />

Ma sotto il fenomeno c’è l’essenza della realt{, il noumeno, a cui S. da il nome di VOLONTÀ’<br />

(Wille), che sta oltre il velo di Maya, sotto a cui si trova il volto vero della realtà. Occorre perciò<br />

oltrepassare le apparenze per risalire alla realt{, passare dal sonno alla veglia, dall’ombra alla<br />

luce.<br />

La via che conduce all’essenza della realt{ è una sorta di passaggio sotterraneo che, a<br />

tradimento, porta proprio all’interno di quella fortezza che pareva inespugnabile. Questo<br />

tunnel è rappresentato dalla corporeit{. L’uomo non è solo attivit{ conoscitiva, “alata testa di<br />

angelo senza corpo” (come tende a vederlo la filosofia razionalistica moderna), ma è istinto<br />

vitale, volontà di vivere, istinto di conservazione. Attraverso il nostro corpo noi cogliamo<br />

l’intima essenza della realt{, che è volontà. Siamo così portati a squarciare il velo di Maya e a<br />

comprendere che, al di sotto del principium individuationis, siamo parti di un’unica volont{ che<br />

pervade tutte le cose. La cosa in sé , la realtà al di là di tutte le apparenze, il fondamento<br />

metafisico di tutto è la Volontà, forza cosmica, universale e anonima, di cui la volontà<br />

individuale non è altro che un’espressione particolare. “E’ l’intimo essere, il nocciolo di ogni<br />

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singolo e così pure del tutto; essa si manifesta in ogni cieca forza naturale: non scaturisce dalla<br />

conoscenza, come pretendeva sinora la filosofia, e non è della conoscenza una semplice<br />

modificazione, una cosa secondaria, dunque derivata, determinata dal cervello come la<br />

conoscenza; la volontà è il PRIUS della conoscenza, il nucleo del nostro essere, è quella forza<br />

originaria che crea e conserva il corpo”.<br />

La Volontà dunque è unica, irrazionale, cieca, senza scopo, insaziabile ed eterna. La volontà è<br />

la sostanza intima, il nocciolo di ogni cosa particolare e del tutto; è quella che appare nella forza<br />

naturale cieca, è quella che si manifesta nella condotta ragionata dell’uomo; l’enorme<br />

differenza che separa i due casi non concerne se non il grado della manifestazione; l’essenza di<br />

ciò che si manifesta ne rimane assolutamente intatta”.<br />

Da questa concezione della volontà deriva la concezione tragica del vivere, deriva il radicale<br />

pessimismo di S. e la sua critica ad ogni forma di ottimismo. La volontà è tensione continua,<br />

quindi tormento, ed ogni aspetto della vita non è che una manifestazione di questo tormento.<br />

Ogni soddisfazione è solo momentanea, e da essa nasce un nuovo tendere, un nuovo desiderio,<br />

dunque un nuovo dolore. Ogni piacere non è altro che un momentaneo intervallo fra due<br />

dolori, è l’esito di una tensione tormentosa, che riprende immediatamente dopo col sorgere di<br />

nuovi desideri. La vita oscilla come un pendolo fra il dolore e la noia (di sette giorni sei sono di<br />

dolore e uno di noia).<br />

A rendere più tragica la condizione umana si aggiunge la ferocia dell’uomo, “l’unico animale che<br />

faccia soffrire gli altri per il solo scopo di far soffrire”: la storia umana è storia di guerre e di<br />

sopraffazioni, e non procede verso alcuna meta, non v’è in essa alcun progresso o razionalit{,<br />

come pretende Hegel, ma soltanto cieco caso.<br />

“La vita di ogni singolo, se la si guarda nel suo complesso, rilevandone solo i tratti significativi, è<br />

sempre invero una tragedia, ma esaminata nei particolari ha il carattere della commedia. I<br />

desideri sempre inappagati, il vano aspirare, le speranze calpestate senza pietà dal destino, i<br />

funesti errori di tutta la vita, con accrescimento di dolore e con morte alla fine, costituiscono<br />

ognora una tragedia. Cos’, quasi il destino avesse voluto aggiungere lo scherno al travaglio della<br />

nostra esistenza, deve la vita nostra contenere tutti i mali della tragedia, mentre noi non<br />

riusciamo a conservare la gravità dei personaggi tragici, e siamo inevitabilmente, nei molti casi<br />

particolari della vita, goffi tipi da commedia”.<br />

L’umanit{ considerata dal punto di vista estetico è un album di caricature, dal punto di vista<br />

intellettuale un manicomio, dal punto di vista morale un’orda di briganti.<br />

Anche la concezione della storia è radicalmente pessimista: essa non è che continua ripetizione:<br />

eadem sed aliter. Quando uno ha letto Erodoto consoce gi{ tutta la storia dell’umanit{.<br />

Poiché la Volontà di vivere è presente in ogni manifestazione della natura, il dolore non riguarda<br />

solo l’uomo ma è un dolore cosmico: tutto soffre, poiché per vivere ogni creatura necessita<br />

della sofferenza delle altre e la Volontà prosegue nella sua insaziabile vita cosmica servendosi<br />

degli individui come strumenti per la propria propagazione.<br />

In questa propagazione l’amore non è altro che un’illusione, strumento della Volont{ per la<br />

sopravvivenza della specie. Abbiamo qui la critica radicale del mito romantico dell’amore. Ogni<br />

innamoramento, per quanto etereo voglia apparire, affonda sempre le sue radici nell’istinto<br />

sessuale”.<br />

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3. La soteriologia<br />

La salvezza dell’uomo può avvenire solo tramite la negazione della volontà di vivere. Il suicidio<br />

non è una soluzione: chi si uccide infatti non nega la vita in generale, ma solo quella particolare<br />

condizione in cui la vita si trova in un certo momento. Il suicida estingue solo la propria<br />

individualit{, non gi{ l’indistruttibile volont{ di vivere, che celebra in tal modo anche nel suicidio<br />

il suo trionfo.<br />

L’uomo deve cercare in altro modo di pervenire alla salvezza: ci si può liberare dalla catena che<br />

di desiderio in desiderio conduce alla noia e al dolore “solo col cessare di volere”, solo nella<br />

NOLUNTAS.<br />

Questo avviene innanzitutto nell’ARTE. Nell’attivit{ estetica l’individuo si stacca dalle catene<br />

della volontà, si allontana dai suoi desideri, annulla i suoi bisogni, cessando di guardare gli oggetti<br />

per quel che possono essergli utili o nocivi. L’uomo si annulla come volont{ e dimentica se stesso<br />

e il suo dolore. “Il piacere estetico consiste in gran parte nel fatto che, immergendoci nello stato<br />

di contemplazione pura, noi ci liberiamo per un istante da ogni desiderio e preoccupazione; ci<br />

spogliamo in un certo qual modo di noi stessi, non siamo più l’individuo che pone l’intelligenza al<br />

servizio del volere”. Nell’intuizione estetica l’intelletto infrange la sua servitù alla volont{, non è<br />

più lo strumento che le procura i mezzi per soddisfarla. L’arte superiore a tutte, l’arte per<br />

eccellenza è la musica e con essa l’uomo entra in rapporto immediato con l’essenza intima del<br />

mondo. Dispersa in essa la propria individualit{ l’uomo trova finalmente la pace.<br />

Tuttavia l’arte concede all’uomo solo istanti rari e brevi di felicit{ che fanno capire “quanto<br />

debba essere felice la vita di un uomo la cui volontà non sia acquietata per un solo momento,<br />

come nell’estasi estetica, ma colmata per sempre, anzi ridotta completamente al nulla”. Questo<br />

avviene nell’ASCESI.<br />

La liberazione dell’uomo dal fatale alternarsi del dolore e della noia deve avvenire sottraendosi<br />

radicalmente alla volontà di vivere e sopprimendo così la radice del male, che si esprime nel<br />

perenne flusso della individuazione. L’ascesi è un cammino che conduce ad allontanare da noi<br />

stessi ogni desiderio servo della volontà di vivere, che porta a contrapporre alla mia<br />

individualità quella degli altri. Il primo passo verso questa liberazione si ha nella realizzazione<br />

della giustizia, cioè riconoscendo gli altri uguali a noi. Ma la giustizia da sola non basta, occorre<br />

la compassione, cioè il sentire l’altrui dolore come il proprio. Solo nella compassione risiede la<br />

fonte dell’agire morale. Non gi{ nell’amore, poiché l’amore è anch’esso egoismo e brama di<br />

possesso. Non amore al bene dell’altro bensì partecipazione al suo dolore. E’ partecipazione al<br />

dolore del mondo, di modo che ciascuno possa riconoscersi in ogni essere dell’universo.<br />

L’ascesi conduce allora alla castità perfetta, alla povertà volontaria, alla rassegnazione, al<br />

sacrificio, tramite i quali si raggiunge la noluntas.<br />

Tale rinnegamento della volont{ di vivere attraverso l’ascesi si configura come attingimento di<br />

uno spazio eterno di pace, di quiete e di silenzio. Molte pagine di S. giungono ad intuire la<br />

presenza di una luce che la filosofia non riesce a cogliere ma può solo indicare negativamente.<br />

La filosofia parla di ciò che deve essere negato e superato, ma quel che con questo<br />

superamento si guadagna si rivela soltanto nell’esperienza mistica, con esperienza di una<br />

positività originaria nei cui confronti tutto ciò che è contenuto in questo nostro mondo<br />

svanisce. “Ma io credo che quando la morte avr{ chiuso i nostri occhi, noi ci troveremo in una<br />

luce al cui confronto la nostra luce solare non è che ombra”.<br />

C’è in questo, evidentemente, una contraddizione: se ogni azione umana è determinata dalla<br />

Volont{ trascendente, come può l’uomo negare la Volont{? Poi, la stessa volont{ assume ben<br />

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presto un significato positivo a fianco di quello negativo. S. ritrova nel Nulla il Tutto. L’ultima<br />

pagina del “Mondo” è tutta piena della fiducia che il Nulla sia in realt{ il Tutto. Il mondo della<br />

negazione è il nulla solo finché il mondo della rappresentazione è per noi il vero mondo. C’è<br />

perciò una profonda vena di religiosità e, in fondo, un esito mistico.<br />

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