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Dialetto e scuola: sulle orme della memoria - Centro di studi ...

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drammi (“E poi con qual costrutto? Per impicciolirci e <strong>di</strong>viderci da noi<br />

stessi? Per <strong>di</strong>minuirci in conclusione? Ve<strong>di</strong> se il Porta, ch’è il Porta, vale<br />

il Parini fuori <strong>di</strong> Milano. Il colore e sapore locale sì, in certi casi come<br />

hai fatto tu da maestru e anch’io da sculareddu, ma pel resto i polmoni<br />

larghi”. E a chi gli proponeva <strong>di</strong> riscrivere il suo capolavoro in siciliano<br />

replicava perentoriamente (“No, no, caro Di Giovanni – Lasci stare I<br />

Malavoglia come sono e come ho voluto che siano. Rendere il quadro coi<br />

colori propri, ma senza felibrismo che rimpicciolisce, volere o no”,<br />

Lettera del 10/6/1920). Sul piano politico avversava la prospettiva sacrificante<br />

del localismo, rifiutando profferte <strong>di</strong> collaborazione a giornali separatisti<br />

come la “Sicilia Nuova” <strong>di</strong> Enrico Messineo, o “L’Isola” <strong>di</strong> Napoleone<br />

Colajanni, ai quali rispondeva che il sentirsi “italiano innanzitutto, e perciònon<br />

autonomista” e “isolanissimo e sicilianissimo”, lo rendeva insofferente<br />

rispetto a organi <strong>di</strong> stampa dal titolo “troppo regionale, troppo chiuso<br />

per questa gran patria italiana, nella quale è anche troppo che ci sia uno<br />

stretto <strong>di</strong> Messina”. Sì perciò al <strong>di</strong>aletto come forma vivificante <strong>della</strong> lingua,<br />

ma senza asfittiche restrizioni nella comunicazione letteraria così come<br />

nella convivenza civile.<br />

Chiedo scusa dell’inserto <strong>memoria</strong>listico, ma volevo inquadrare subito<br />

il mio approccio non spassionato al problema del <strong>di</strong>aletto a <strong>scuola</strong>. Ciò per<br />

<strong>di</strong>re che tutto torna nell’economia <strong>della</strong> vita e dei suoi vari piani <strong>di</strong> azione,<br />

e che così è maturata la convinzione che, come i nostri migliori scrittori<br />

(da Manzoni a Verga, Pirandello, Pavese a Calvino) hanno sempre avvertito,<br />

il <strong>di</strong>aletto serve all’espressività nella sfera esperienziale e la lingua<br />

alla comunicazione nella sfera pubblica, professionale, culturale.<br />

È la lineare e non manichea posizione che vorrei sostenere portando<br />

la mia voce in questo vitale <strong>di</strong>battito.<br />

Il <strong>di</strong>aletto può essere la “forma interna” <strong>della</strong> lingua italiana, arricchirla<br />

dal basso, ma non sostituirla. E ancora, come baleni <strong>di</strong> <strong>memoria</strong> involontaria,<br />

affiorano possibili generalizzazioni <strong>di</strong> idee formulate dai migliori<br />

critici, non a caso siciliani, per la scrittura verghiana, animata dal<br />

<strong>di</strong>aletto come “forma interna” (Russo) o “sicilianità interiore” (Pagliaro):<br />

così il nostro pensiero e il nostro <strong>di</strong>scorso potranno essere alimentati dalla<br />

<strong>di</strong>alettalità, ma nei confini del territorio sociale e comunicativo dei corregionali.<br />

Al <strong>di</strong> là <strong>della</strong> <strong>di</strong>mensione espressiva privata e locale si resta “fuori<br />

dalla storia”, come <strong>di</strong>ceva Pavese. È patetico scrivere i giornali in <strong>di</strong>aletto<br />

<strong>di</strong>battere in <strong>di</strong>aletto nei consigli <strong>di</strong> facoltà <strong>di</strong> certi atenei veneti, come un<br />

garbato collega si compiaceva <strong>di</strong> informarci nel lontano 1983, pur in tempi<br />

<strong>di</strong> non sospetto leghismo.<br />

C’è una foderatura interna, quasi inconscia, che ogni parlante italiano<br />

fa nel momento in cui si esprime, ed è avvertire – dove è possibile – la<br />

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