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Respiri sotto le bombe (18.6 MB)

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RESPIRI SOTTO LE BO<strong>MB</strong>E<br />

Gino Bombonato - Stefania Lorandi


Bolzano e <strong>le</strong> sue vittime <strong>sotto</strong> <strong>le</strong> <strong>bombe</strong>.<br />

Migliaia di volantini lanciati da un aereo avvertivano la popolazione<br />

bolzanina che era imminente un importante discorso di Mussolini. Il<br />

ritrovo era in piazza Vittorio Emanue<strong>le</strong> III ( l'attua<strong>le</strong> piazza Walther).<br />

Non vi erano grandi dubbi su quanto Mussolini avrebbe di lì a poco<br />

dichiarato: eravamo in guerra contro la Francia e l'Inghilterra.<br />

Cominciava così il periodo più buio della storia di Bolzano.<br />

Dal 1940 al 1943 si udirono diversi allarmi ma nel cielo non si<br />

videro bombardieri degli al<strong>le</strong>ati, tutto sommato <strong>le</strong> nazioni mondiali<br />

erano impegnate in luoghi lontani. Nel frattempo però si costruivano<br />

rifugi in tutta la città approfittando in particolar modo della presenza<br />

del<strong>le</strong> montagne la cui roccia era la migliore difesa contro lo scoppio<br />

di ordigni. La popolazione cominciava a conoscere quei luoghi, <strong>sotto</strong><br />

<strong>le</strong> case, nel<strong>le</strong> cantine più profonde, nel<strong>le</strong> gal<strong>le</strong>rie. Cartelli in italiano<br />

indicavano laconicamente i diversi siti col termine "rifugio". I<br />

bolzanini però non erano inizialmente preoccupati immaginando che<br />

<strong>le</strong> montagne in qualche modo impedissero raid aerei mimetizzando<br />

addirittura la città. Non era così.<br />

Batterie antiaeree italiane furono collocate sul Penegal, sul Col<strong>le</strong>, sul<br />

Virgolo e in altri luoghi. Erano batterie inefficienti con un<br />

armamento inadeguato al<strong>le</strong> quote degli aerei. Solo dopo l'8 settembre<br />

del 1943 i tedeschi, preso il comando politico e militare dell'Alto<br />

Adige, realizzarono nuove batterie in grado di colpire anche i<br />

bombardieri americani che a differenza di quelli ing<strong>le</strong>si, volavano<br />

anche a 6000 metri di altitudine.


I bombardamenti cominciarono il 2 settembre 1943 e perdurarono<br />

fino al 3 maggio 1945. In tutto furono tredici 1 ed un calcolo<br />

approssimativo stima in circa 200 <strong>le</strong> vittime. La sirena suonò 472<br />

volte e <strong>le</strong> vittime della paura furono invece decine di migliaia. Oltre<br />

ai bombardieri di alta quota Bolzano venne colpita nove volte anche<br />

da un piccolo caccia bombardiere chiamato dalla popolazione Pippo.<br />

Il pilota di questo aereo sganciava i suoi ordigni dove vedeva luci o<br />

oggetti in movimento.<br />

La città subì danni gravissimi: 335 furono gli edifici comp<strong>le</strong>tamente<br />

distrutti, 648 particolarmente danneggiati e altri 1395 <strong>le</strong>sionati.<br />

Le sirene del primo bombardamento suonarono al<strong>le</strong> 11,34 e <strong>le</strong> <strong>bombe</strong><br />

raggiunsero il suolo 21 minuti dopo. Il 4 settembre il giorna<strong>le</strong> La<br />

provincia di Bolzano riportò un ampio articolo in cui venivano<br />

e<strong>le</strong>ncati gli edifici danneggiati; tra questi vi era la stazione<br />

ferroviaria, il ponte ferroviario, il teatro Verdi e tutta la zona<br />

adiacente. Vedere parte della città distrutta fu un colpo psicologico<br />

durissimo per i bolzanini. La popolazione era già provata dalla<br />

mancanza di cibo e da una situazione politica comp<strong>le</strong>ssa.<br />

Cominciava un periodo di angoscia, di morti, di feriti e di<br />

<strong>sotto</strong>missione da parte del<strong>le</strong> forze militari germaniche. I soldati<br />

italiani, dopo l'8 settembre, vennero deportati nei campi di<br />

concentramento germanici. Le autorità fasciste vennero subito<br />

sostituite da un prefetto nazista, l'altoatesino Peter Hofer. L'ordine<br />

pubblico era in mano alla Gendarmerie <strong>sotto</strong> il diretto comando del<strong>le</strong><br />

SS.<br />

I bombardamenti proseguirono ed i peggiori erano quelli a più ondate<br />

come il 4 ottobre del '43 dove la popolazione fu sorpresa mentre<br />

1 Le date sono: 02.09.1943, 25.09.1943, 04.10.1943, 10.11.1943,<br />

02.12.1943, 15.12.1943, 25.12.1943, 29.03.1944, 13.05.1944,<br />

04.10.1944, 04.01.1945, 16.02.1945, 28.02.1945.


usciva dai rifugi. Dicembre fu un mese terribi<strong>le</strong>. Nonostante<br />

l'inverno, <strong>le</strong> nuvo<strong>le</strong> o il maltempo il giorno 2, 35 bombardieri<br />

sganciarono i loro ordigni colpendo molte zone della città persino<br />

Gries. Le <strong>bombe</strong> dovevano colpire la stazione e i ponti di Bolzano<br />

ma naturalmente bastava un minimo errore che l'area colpita si<br />

ampliava tragicamente. Alcune <strong>bombe</strong> colpirono in pieno la scuola<br />

Adelaide Cairoli (oggi intitolata a Goethe) penetrando nel rifugio e<br />

causando la morte di 48 persone tra cui Romano, il figlio di sei anni<br />

della bidella. I feriti furono una novantina. Altri morti si ebbero nel<br />

rifugio <strong>sotto</strong> la scuola commercia<strong>le</strong> in via San Quirino e altri undici<br />

nel<strong>le</strong> cantine della casa Knoll presso piazza del<strong>le</strong> Erbe. In via<br />

Weggenstein fu colpita in pieno l'auto del prefetto Peter Hofer con<br />

altre tre persone. Di esse non rimase quasi nulla.<br />

Il 15 dicembre Bolzano fu sorvolata da 350 bombardieri che<br />

sganciarono <strong>bombe</strong> su tutto il territorio provincia<strong>le</strong>. Circa un<br />

centinaio quel<strong>le</strong> che raggiunsero la città. Il 25 dicembre l'allarme<br />

suonò al<strong>le</strong> 10,20 e il pericolo cessò soltanto al<strong>le</strong> 16.<br />

Nel 1944 gli aerei anglo americani sganciarono <strong>bombe</strong> sulla città in<br />

tre occasioni. Furono danneggiati moltissimi edifici tra cui il Duomo,<br />

la chiesa dei Domenicani, quella dei Francescani, ristoranti, alberghi<br />

e numerosissime case civili. In piazza Walther venne colpito<br />

l'albergo Europa che non venne più ricostruito 2 . Gran parte dei suoi<br />

servizi in porcellana, distrutti dal<strong>le</strong> <strong>bombe</strong>, furono scoperti pochi<br />

anni fa in una buca all'inizio di via<strong>le</strong> Trento durante la posa di<br />

tubazioni 3 .<br />

2 Al suo posto venne costruito il palazzo della Cassa di Risparmio dopo un<br />

periodo in cui l'assenza di edifici formava una piazza unica tra piazza<br />

Walther e piazza del Grano.<br />

3 Cfr. C. Marzoli, G. Bombonato, Dodicivil<strong>le</strong>, Via<strong>le</strong> Trento presso Ponte<br />

Loreto, in Tutela dei beni culturali in Alto Adige 2003, Lana, 2004, pp. 222-


Nel 1945 vi furono altri tre bombardamenti con ordigni che<br />

colpirono numerosi edifici in tutta la città. Alla fine, dopo l'ultimo<br />

episodio del 28 febbraio, Bolzano sembrava distrutta da un tremendo<br />

terremoto. Rovine ovunque, macerie che ingombravano strade, resti<br />

sche<strong>le</strong>trici di costruzioni davano il senso del pericolo di imminenti<br />

crolli. Ma la tragedia più grande era nel cuore della gente. Più di 200<br />

morti fra italiani e tedeschi, diverse migliaia di persone senza più una<br />

casa, senza un concreto futuro.<br />

Da ricordare anche l'esplosione della polveriera di Castel Firmiano<br />

avvenuta il 27 febbraio 1945. Vi furono diverse vittime tra cui alcuni<br />

prigionieri di guerra di origine polacca di notte rinchiusi nel campo<br />

di concentramento di via Resia. La deflagrazione fu tremenda ed il<br />

suono dell'esplosione percorse più volte la plaga bolzanina<br />

rimbalzando tra <strong>le</strong> montagne.<br />

Parlando con persone che hanno vissuto quel periodo ciò che<br />

colpisce di più è il senso di paura che è rimasto impresso nel loro<br />

animo anche a distanza di tanti anni. Le testimonianze raccolte da<br />

alcuni scrittori lasciano un segno inde<strong>le</strong>bi<strong>le</strong> in chi <strong>le</strong> <strong>le</strong>gge 4 . Una<br />

realtà per <strong>le</strong> giovani generazioni inconcepibi<strong>le</strong>, lontana,<br />

apparentemente si<strong>le</strong>nziosa. Una realtà vissuta nell'angoscia, nel<br />

dolore, nell'incertezza della vita. Una realtà che sembra <strong>le</strong>ggenda<br />

dove non contavano solo <strong>le</strong> <strong>bombe</strong> ma anche <strong>le</strong> situazioni personali,<br />

<strong>le</strong> tragedie individuali, vissute in un momento dove l'intero mondo<br />

era in guerra, dove i giornali riportavano continuamente gli annunci<br />

di morte di soldati italiani e tedeschi sui diversi fronti di guerra.<br />

223.<br />

4 M. Ferrandi, G. Pacher, L. Sardi, Gli anni del<strong>le</strong> <strong>bombe</strong>, Trento-Bolzano<br />

1943-1945, Bolzano, 1973.


Con la fine del conflitto Bolzano dovette fare i conti con molte cose,<br />

con un mondo distrutto, con i processi ai nazisti, con la carenza di<br />

materie prime e con un passato dittatoria<strong>le</strong> da dimenticare.<br />

Soprattutto dovette fare i conti con la memoria di un campo di<br />

concentramento 5 , con due eccidi ad opera del<strong>le</strong> SS 6 , con <strong>le</strong><br />

prepotenze dell'occupazione fascista e nazista e con un <strong>le</strong>nto e<br />

angosciante periodo di ricostruzione sia materia<strong>le</strong> che mora<strong>le</strong>.<br />

G.B.<br />

Fig. 1 Resti di una postazione antiaerea sul Virgolo a Bolzano (foto Coop.<br />

Talia).<br />

5 M. Franzinelli, Le stragi nascoste, Milano, 2002.<br />

6 E. Frangipane, Bombe su Bolzano, 1940-1945, Bolzano, 2010.


I ricoveri antiaerei a Bolzano durante la Seconda guerra<br />

mondia<strong>le</strong> 7 .<br />

I primi ricoveri antiaerei iniziarono a comparire a Bolzano nel<br />

1935 sebbene l’inizio della Seconda guerra mondia<strong>le</strong> fosse di<br />

fatto ancora lontano. A cinque anni di distanza, nel 1940, la<br />

città possedeva ben 37 rifugi. Alcuni di questi vennero scavati<br />

nella roccia come nel caso del ricovero antiaereo della località<br />

di S. Osvaldo, del Guncina (Gries) o di quello più famoso del<br />

Virgolo. La costruzione della gal<strong>le</strong>ria fu iniziata nel 1939 ma<br />

venne successivamente trasformata in ricovero antiaereo<br />

capace di ospitare ben 10.000 persone; il rifugio era infatti<br />

raggiungibi<strong>le</strong> oltre che da Oltrisarco, dalla stazione da cui<br />

distava 350 m, da piazza Duomo, da via Marconi, da via<strong>le</strong><br />

Trento e persino da via Roma con un buon passo di marcia così<br />

come riportato dal quotidiano La provincia di Bolzano 8 .<br />

L’unico esempio di rifugio in gal<strong>le</strong>ria risparmiato dal<strong>le</strong> ruspe e<br />

riutilizzato per scopi civili è quello della clinica Bonvicini. A<br />

questa tipologia di rifugi va aggiunta quella dei ricoveri<br />

antiaerei tubolari che si trovavano nei quartieri Dux e Littorio 9 ;<br />

in particolare si ricorda il ricovero tubolare di piazza Matteotti<br />

che si estendeva per 65 m e che fu distrutto durante la<br />

costruzione di alcuni garage nel 1993. In città erano inoltre<br />

7 Cfr. M. Guzzo, Ricoveri antiaerei a Bolzano (1943-1945). Tracce di<br />

memoria, in Atti del XIV Convegno regiona<strong>le</strong> di Spe<strong>le</strong>ologia del Trentino<br />

Alto Adige. Bolzano, 16 – 19 ottobre 2008, Bolzano, 2008, pp. 196-210.<br />

8 Cfr. La Provincia di Bolzano, 16 febbraio 1943.<br />

9 Venivano così chiamate <strong>le</strong> zone della città comprendenti via Parma, Piazza<br />

don Bosco, via Milano, piazza Matteotti e via Torino.


stati apprestati altri ricoveri negli scantinati di edifici pubblici e<br />

privati in cui potevano trovare riparo anche persone di palazzi<br />

adiacenti privi di ricovero antiaereo. Per segnalare la presenza<br />

dei rifugi veniva utilizzato un cartello con una freccia bianca o<br />

con la scritta “rifugio”. Al segna<strong>le</strong> d’allarme la popolazione<br />

doveva abbandonare tutte <strong>le</strong> attività e correre al riparo nel<br />

rifugio più vicino fino all’allontanamento degli aerei nemici.<br />

All’interno del ricovero si potevano passare molte ore e a volte<br />

anche giorni. In alcuni casi erano presenti panche per anziani e<br />

bambini e persino la corrente e<strong>le</strong>ttrica. Viveri, bevande e<br />

coperte dovevano invece essere portate da casa.<br />

S. L.<br />

Fig. 2 Rifugio Piè di Virgolo.


Figura 3 10 . Ingresso del ricovero antiaereo di piazza 2 Ottobre (attua<strong>le</strong> via<br />

dei Grappoli).<br />

10 Si ringrazia il quotidiano Alto Adige per la genti<strong>le</strong> concessione del<strong>le</strong> foto<br />

2 e 3.


Noi, ragazzi di una guerra raccontata.<br />

Non sapevo di quanto era accaduto in quella cantina di via<br />

Parma pochi giorni prima. Due ragazzi stavano manipolando<br />

armi e ordigni della Seconda guerra mondia<strong>le</strong> quando una<br />

granata è esplosa nel<strong>le</strong> mani di uno dei due uccidendolo. Da<br />

quello che si sapeva i residui bellici erano stati recuperati a<br />

castel Firmiano in uno dei tanti bunker che si snodano nel<br />

<strong>sotto</strong>suolo. A quei tempi avevo 12 anni, era il 1972 e andare a<br />

vedere <strong>le</strong> gal<strong>le</strong>rie scavate <strong>le</strong>tteralmente nella roccia dai tedeschi<br />

era puro divertimento. Normalmente si andava in diverse<br />

persone e il più grande tra noi faceva da capo gruppo. I nostri<br />

bunker preferiti erano quelli del Guncina: immensi. Di solito si<br />

entrava da un'ampia gal<strong>le</strong>ria: non c'erano infatti recinzioni né<br />

cartelli o divieti. Si percorreva solo un breve tratto di sterpaglie<br />

e ci si trovava di fronte all'ingresso. Quello che emozionava di<br />

più era il senso di inquietudine che il buio ed il si<strong>le</strong>nzio tota<strong>le</strong><br />

suscitava in noi. Dopo la prima svolta ecco che tutte <strong>le</strong> torce<br />

e<strong>le</strong>ttriche si accendevano esplorando ogni interstizio della<br />

roccia. Cominciava così l'esplorazione di uno dei sistemi più<br />

comp<strong>le</strong>ssi dell’organismo militare tedesco nella piana di<br />

Bolzano. Un lunghissimo corridoio piastrellato si dirigeva<br />

verso ovest. Davanti a noi e soprattutto dietro di noi l'oscurità<br />

che impregnava ogni cosa. A destra e a sinistra si aprivano<br />

degli stanzoni. In alcuni c'erano del<strong>le</strong> brande accatastate, la<br />

maggior parte erano comp<strong>le</strong>tamente e innaturalmente vuoti.<br />

Uno in particolare aveva in fondo una piccola scala di ferro<br />

arrugginito che permetteva di salire fino ad una sorta di


apertura nella roccia posta a qualche metro di altezza. Nessuno<br />

mai aveva avuto il coraggio di infilarsi in quel buco anche se si<br />

accennava ad un amico di un amico che ci aveva provato. Il<br />

percorso proseguiva. Qualche volta per aumentare la<br />

trepidazione si decideva di spegnere comp<strong>le</strong>tamente <strong>le</strong> luci e<br />

stare al buio e in assoluto si<strong>le</strong>nzio per qualche istante. Chissà se<br />

era solo la nostra immaginazione ma ci sembrava di vedere un<br />

fenomeno di <strong>le</strong>ggerissima fluorescenza in alcuni tratti della<br />

roccia. Quello che colpiva di più però era il si<strong>le</strong>nzio. Metri di<br />

roccia isolavano comp<strong>le</strong>tamente da tutto ciò che si svolgeva al<br />

di fuori. Era un mondo diverso, magico, attraente e pauroso.<br />

Spesso si arrivava fino ad un'altra uscita, forse vicino alla<br />

attua<strong>le</strong> clinica Bonvicini. Li vi era un corridoio che portava a<br />

del<strong>le</strong> postazioni di mitragliatrici e soprattutto ad un pozzo di<br />

forma quadrata che si sviluppava verso l'alto e che portava<br />

quindi ad un piano superiore. Più di una volta avevamo tentato<br />

di superarne l'altezza facendo del<strong>le</strong> sca<strong>le</strong> umane tra noi. Si<br />

diceva che il nostro amico Fausto era riuscito a esplorare la<br />

parte sopra scoprendo che il bunker in realtà era suddiviso in<br />

più piani ma nessuno di noi era riuscito a confermare questa<br />

ipotesi.<br />

Una volta un nostro compagno, lungo il tragitto interno, ci<br />

fermò di colpo chiedendoci l'assoluto si<strong>le</strong>nzio. Aveva sentito<br />

dietro di noi dei rumori. Attimi di angoscia nel si<strong>le</strong>nzio. La<br />

marcia proseguì ma ecco di nuovo un allarme. Il passo si<br />

velocizzava sempre di più e finalmente raggiungemmo la<br />

seconda uscita con un enorme sospiro di sollievo. Dopo circa<br />

una decina di minuti sbucò un altro gruppo di amici venuti<br />

come noi ad esplorare il bunker organizzatisi a nostra insaputa.


Un coro di risate sfogava la paura accumulata nell'ultima<br />

mezz'ora.<br />

Un giorno il mio amico Marco ed io decidemmo di andare ai<br />

bunker di castel Firmiano. Ci eravamo procurati, spendendo <strong>le</strong><br />

poche lire che avevamo, un pezzo di robusta corda lungo circa<br />

sette metri. Di più sarebbe costato troppo. Tempo prima ci<br />

eravamo infilati in uno dei bunker dove un nostro amico<br />

sosteneva di aver visto qualche reperto della guerra semi<br />

coperto dal terriccio. Per poter proseguire bisognava attrezzarsi<br />

e così comprammo la corda e <strong>le</strong> batterie nuove del<strong>le</strong> torce<br />

e<strong>le</strong>ttriche. Raggiunto il bunker ci rendemmo subito conto che<br />

era diffici<strong>le</strong> proseguire: troppo pericoloso e decidemmo di<br />

andare in giro per il castello, a quei tempi comp<strong>le</strong>tamente<br />

abbandonato ma ricco di fascino. La maggiore preoccupazione<br />

erano <strong>le</strong> vipere con cui ci imbattemmo in un paio di occasioni.<br />

Lasciai Marco nella zona inferiore del castello perché non<br />

vo<strong>le</strong>va salire lungo un costone di roccia. Al mio ritorno lo<br />

trovai a parlare con due adulti, un uomo ed una donna. Marco<br />

sembrava divertito e quando mi vide fece cenno di avvicinarsi<br />

rapidamente. I due sembravano persone tranquil<strong>le</strong>, ci chiesero i<br />

rispettivi nomi ed il motivo per cui eravamo in quei paraggi.<br />

Rispondemmo senza timore raccontando del<strong>le</strong> nostre avventure<br />

nei bunker. Ci chiesero di fargli vedere qualche ingresso e li<br />

portammo in quello più vicino da tempo murato ma con una<br />

sorta di piccola finestra che ne consentiva la visione interna. A<br />

lato dell'ingresso c'era una nicchia e i due ci chiesero se<br />

potevano farci una foto finalmente presentandosi come due<br />

giornalisti dell'Alto Adige. La cosa ci entusiasmò. Vol<strong>le</strong>ro farci<br />

una foto mentre uscivamo con la nostra preziosa corda dalla


nicchia latera<strong>le</strong>. Il giorno dopo eravamo sul giorna<strong>le</strong> ma non<br />

più ignari della morte di un giovane che aveva scherzato troppo<br />

con ordigni bellici. In seguito a quel tragico incidente il<br />

quotidiano aveva infatti mandato i due giornalisti a castel<br />

Firmiano per capire quanto pericolo ci fosse in quella zona i<br />

quali incontrarono me e Marco che a 12 anni potevamo<br />

raccontare un po' di cose sui bunker.<br />

G.B.


Il ricovero antiaereo di Piazza Matteotti.<br />

Il ricovero antiaereo di piazza Matteotti si sviluppa al secondo<br />

piano interratto dei condomini Ipes 14 E-F a una profondità di<br />

circa sei metri. Vi si accede dai portoni dei due edifici<br />

percorrendo <strong>le</strong> sca<strong>le</strong> che portano nel<strong>le</strong> cantine. Il rifugio fu<br />

costruito insieme al caseggiato nel 1938. All’interno sono<br />

presenti ben 14 vani, due dei quali erano adibiti a servizi<br />

igienici. La prima menzione del rifugio la si trova in un articolo<br />

del 1940 all’interno del quotidiano La provincia di Bolzano 11 .<br />

Nell’articolo si parla della presenza di 37 ricoveri in città e tra<br />

questi sono menzionati i due rifugi di piazza Matteotti (uno dei<br />

quali distrutto). Il rifugio presenta alcune caratteristiche<br />

notevoli per quanto riguarda gli impianti anti Co2 dell’epoca:<br />

oltre al<strong>le</strong> scato<strong>le</strong> porta filtro a cui venivano col<strong>le</strong>gate <strong>le</strong><br />

maschere antigas si è conservata infatti una bicic<strong>le</strong>tta che<br />

azionata da due persone serviva per il ricambio dell’aria. Sul<strong>le</strong><br />

pareti sono inoltre presenti gli interruttori della luce dal<br />

momento che il rifugio era illuminato dalla corrente e<strong>le</strong>ttrica e<br />

non attraverso l’uso di cande<strong>le</strong>. Sui muri si possono poi notare<br />

scritte che puntualizzavano il divieto di fumo e numeri che<br />

indicavano invece il numero di giri al minuto che dovevano<br />

essere effettuati con una manovella per il ricambio dell’aria<br />

(oggi non più presente).<br />

11 Si tratta del primo quotidiano in lingua italiana edito in Alto Adige dal<br />

1927 al 1945. La copia in cui si trova l’articolo citato è quella del 25 giugno<br />

1940. Cfr. G. Faustini, La stampa italiana in Alto Adige dal fascismo alla<br />

guerra mondia<strong>le</strong>: la stazione E.I.A.R di Bolzano, Bolzano, 1978.


All’interno di alcuni vani, in particolar modo sopra <strong>le</strong> porte<br />

originarie, sono ancora visibili del<strong>le</strong> targhe di metallo fissate su<br />

supporti di <strong>le</strong>gno che riportano il nome della Società Anonima<br />

Bergomi di Milano che si occupò di realizzare <strong>le</strong> porte<br />

ermetiche anti gas. La Bergomi era attiva nella fonderia e nel<strong>le</strong><br />

costruzioni in metalli, così come si può <strong>le</strong>ggere all’interno della<br />

Gazzetta Ufficia<strong>le</strong> del Regno d’Italia del 31/01/1917, in cui alla<br />

pagina del<strong>le</strong> inserzioni, è riportato un avviso di assemb<strong>le</strong>a<br />

genera<strong>le</strong> ordinaria della società indetta nella sede di Milano<br />

(oggi non più esistente). La Bergomi era inoltre operante fin<br />

dal 1908 nel campo degli impianti di stoccaggio, pompaggio e<br />

misurazione di carburanti e possedeva numerosi brevetti<br />

riguardanti dispositivi di sicurezza antincendio.<br />

Fig. 4 Targa della società che realizzò gli impianti anti Co2 e <strong>le</strong> porte<br />

antigas del rifugio (foto Teatro Cristallo).


Nel 2007 viene pubblicato sul quotidiano Alto Adige un<br />

articolo riguardante il rifugio di piazza Matteotti in cui si<br />

presentavano <strong>le</strong> testimonianze di due anziane (all’epoca della<br />

guerra poco più che bambine) che vissero momenti di paura<br />

all’interno del rifugio durante i bombardamenti 12 . Di seguito si<br />

riportano i ricordi della Signora Ongaro Saudo intervistata per<br />

l’occasione 13 .<br />

S.L.<br />

Fig. 5 14 La bicic<strong>le</strong>tta per il ricambio dell’aria (foto Talia).<br />

12 Cfr. Alto Adige, 24 febbraio 2007.<br />

13 Si ringrazia la Sig.ra Ongaro Saudo per la disponibilità dimostrataci.<br />

14 Per i sopralluoghi all’interno del rifugio si ringrazia la Sig.ra Maria Rosa<br />

Pezzimenti dell’Istituto Ipes.


Fig. 6 Il sistema di aereazione del rifugio di piazza Matteotti (foto Talia).


Fig. 7 Una del<strong>le</strong> porte originali del rifugio (foto Talia).


La storia della signora Giuliana di Bolzano.<br />

C'è una lapide nel cimitero di Bolzano che riporta i nomi di un<br />

gruppo di uomini che furono trucidati dai nazisti il 3 maggio<br />

1945. Sulla stessa lapide c'è anche il nome di Manlio Longon.<br />

La Signora Giuliana di Bolzano ha a cuore questa lapide perché<br />

c'è il nome del suo papà. Lui e altre nove persone furono<br />

rastrellate nel corso della mattinata di quel terribi<strong>le</strong> giorno. Le<br />

truppe tedesche stavano ritirandosi e i partigiani della zona<br />

cercavano di colpire il più possibi<strong>le</strong> <strong>le</strong> ultime frange naziste. Il<br />

comando tedesco era stato allarmato e presidiava l'area<br />

industria<strong>le</strong> con dei blocchi. Si sentivano spari e scoppi di<br />

granate. Papà Walter stava portando di corsa <strong>le</strong> chiavi della<br />

fabbrica al padrone. Ai figli aveva detto che sarebbe tornato<br />

presto. I tedeschi lo hanno preso nel<strong>le</strong> vie della Zona assieme<br />

ad altri uomini. All'incrocio tra via Lancia e via Volta la<br />

camionetta si è fermata, il gruppo di uomini è stato fatto<br />

scendere e messo contro un muro. Tutti e dieci sapevano già<br />

cosa sarebbe accaduto e si sono abbracciati in un unico gesto<br />

come un ultimo saluto alla vita. L'autoblindo sparò diverse<br />

raffiche di mitra. Prima del colpo di grazia arrivò Don Danie<strong>le</strong>,<br />

il parroco della zona industria<strong>le</strong>, e chiese di portare via i corpi.<br />

Di quel<strong>le</strong> dieci persone si salvarono in quattro. Papà Walter<br />

arrivò ancora cosciente in ospeda<strong>le</strong> ma aveva perso troppo<br />

sangue e di li a poco morì prima che la figlia riuscisse a<br />

raggiungerlo.


L'eccidio di via Volta lo ricordano in pochi ma fermandosi<br />

all'incrocio con via Lancia si può <strong>le</strong>ggere una targa in pietra<br />

che riporta la data di questo terribi<strong>le</strong> fatto. Non fu l'unico a<br />

Bolzano, ve ne fu anche un altro e un terzo accadde a Lasa, in<br />

val Venosta.<br />

La Signora Giuliana è una donna forte, molto curata<br />

nell'aspetto e particolarmente genti<strong>le</strong>. Classe 1927 ha visto la<br />

guerra a Bolzano e ha vissuto i bombardamenti tra il '43 e il<br />

'45. Lei e la sua famiglia abitavano in piazza Matteotti proprio<br />

sopra uno dei numerosi rifugi antiaereo. Questo rifugio esiste<br />

ancora e incredibilmente si sono mantenuti i macchinari per la<br />

ventilazione. Spesso era necessario rimanerci per del<strong>le</strong> ore e ci<br />

si accorgeva subito che l'ossigeno mancava. L'impianto della<br />

ditta Bergomi di Milano funzionava perfettamente. I volani per<br />

il ricambio dell'aria erano col<strong>le</strong>gati a due bicic<strong>le</strong>tte. Pedalando<br />

l'impianto di ventilazione anti Co2 sostituiva l'anidride<br />

carbonica con l'ossigeno che veniva aspirato da alcuni camini<br />

posti sul tetto.<br />

Il rifugio fu costruito alla fine degli anni '30 direttamente con la<br />

casa. Durante il periodo del<strong>le</strong> <strong>bombe</strong> <strong>le</strong> persone si rifugiarono<br />

spessissimo nello scantinato perché <strong>le</strong> sirene suonavano in<br />

continuazione. Fuori c'erano dei cecchini e la Signora Giuliana<br />

ricorda con un profondo senso di malinconia un episodio in cui<br />

un militare tedesco sparò all'interno di una finestra dove aveva<br />

visto una luce accesa. A quei tempi bisognava coprire <strong>le</strong><br />

finestre in modo da non far passare la luce che poteva essere<br />

una indicazione per i bombardieri. La pallottola colpì un


giovane che in quel momento si trovava nello stesso caseggiato<br />

della Signora Giuliana uccidendolo.<br />

Una del<strong>le</strong> prime volte che suonò la sirena la Signora Giuliana<br />

si trovava a Oltrisarco. Fuggirono tutti per raggiungere la<br />

gal<strong>le</strong>ria del Virgolo. La paura di entrare era più forte della<br />

paura del<strong>le</strong> <strong>bombe</strong>. Lei di nascosto rimase fuori ma la sfortuna<br />

vol<strong>le</strong> che pestò un nido di vespe che <strong>le</strong> si avventarono contro.<br />

Cessato l'allarme i genitori di Giuliana ritrovarono la figlia<br />

poco fuori il rifugio con il volto e il corpo ricoperto di piaghe.<br />

Fu portata all'ospeda<strong>le</strong> per <strong>le</strong> cure.<br />

Durante l'occupazione nazista lavorava a Vilpiano in un<br />

fabbricato dove venivano portati indumenti e divise di militari<br />

morti per poter essere recuperate. Un giorno dentro un<br />

pantalone vi trovò i resti di una gamba. Tra gli episodi più<br />

drammatici a volte accadevano cose quasi comiche come<br />

quando un soldato tedesco vo<strong>le</strong>va imparare l'italiano ma in<br />

cambio la Signora Giuliana e due sue amiche vo<strong>le</strong>vano del<br />

pane. Ci fu l'accordo ma <strong>le</strong> amiche insegnarono nascostamente<br />

tutte <strong>le</strong> parolacce che conoscevano a insaputa del soldato.<br />

Nel rifugio di piazza Matteotti si radunavano persone che<br />

provenivano anche da caseggiati diversi e si arrivava a oltre<br />

200 persone. La paura più grande era quella di essere seppelliti<br />

nel caso una bomba avesse colpito la casa distruggendola e<br />

impedendo così l'uscita dal rifugio. Qualche volta ci si portava<br />

materassi ma soprattutto vivande e bevande. Non si sapeva mai<br />

quanto tempo si dovesse rimanere là <strong>sotto</strong>.


Si fuggiva nel rifugio anche quando arrivava Pippo, il piccolo<br />

caccia bombardiere che spaventava la popolazione con il suo<br />

carico di <strong>bombe</strong> e <strong>le</strong> mitragliatrici di bordo.<br />

Nel rifugio di piazza Matteotti si trovavano <strong>le</strong> bicic<strong>le</strong>tte per il<br />

ricambio dell'ossigeno. La Signora Giuliana e la sua<br />

inseparabi<strong>le</strong> amica Maria morta qualche tempo addietro, si<br />

divertivano a pedalare. Sapevano che pedalando dovevano<br />

raggiungere un limite segnalato sul tubo dell'aria, a quel punto<br />

il ricambio era avvenuto comp<strong>le</strong>tamente.<br />

Fig. 8 Interno del rifugio di piazza Matteotti (foto Talia).<br />

Quando si scendeva al rifugio non si badava al fatto che la<br />

porta di casa fosse aperta ma non per una questione di fretta<br />

quanto piuttosto perché era scontato che nessuno ne avrebbe<br />

approfittato. C'era un senso di grande solidarietà tra <strong>le</strong> famiglie<br />

e non ci fu mai un furto. Anche in estate <strong>le</strong> porte erano sempre<br />

aperte così l'aria fresca del girosca<strong>le</strong> poteva diffondersi<br />

ovunque. I bambini entravano indifferentemente negli


appartamenti altrui salutando, cercando dolci con aria al<strong>le</strong>gra e<br />

festosa. Allora tutto questo era norma<strong>le</strong>.<br />

Mentre fuori cadevano <strong>le</strong> <strong>bombe</strong>, c'era grande attenzione sul<br />

rumore del<strong>le</strong> esplosioni. Naturalmente la paura aumentava se il<br />

frastuono si avvicinava. Un senso di affetto reciproco<br />

coinvolgeva tutti quanti, la paura univa gli animi. Nella casa<br />

c'erano famiglie italiane e tedesche. Tra loro vigeva il massimo<br />

rispetto e la solidarietà nei confronti di quei prob<strong>le</strong>mi che la<br />

guerra portava. A scuola <strong>le</strong> classi erano miste e in corti<strong>le</strong> si<br />

giocava insieme senza prob<strong>le</strong>mi. Anche a messa italiani e<br />

tedeschi pregavano insieme.<br />

Alla fine la Signora Giuliana ci fa vedere un quadro che riporta<br />

i ritratti di bolzanini uccisi dai nazisti. Il quadro è stato<br />

realizzato dal fratello della Signora andando famiglia per<br />

famiglia a chiedere una foto del proprio caro scomparso. Una<br />

cosa degna di merito per non dimenticare quegli innocenti.<br />

La piacevo<strong>le</strong> chiacchierata è finita. Il quadro coi ritratti ci viene<br />

gentilmente prestato per poter fare un ingrandimento ed esporlo<br />

al Festival del<strong>le</strong> Resistenze (vedi fig. 8).<br />

Uscendo dalla porta di via Dalmazia, dove abita la Signora<br />

Giuliana, un senso di smarrimento: quante persone hanno<br />

vissuto quei momenti tragici e quante persone ci sono ancora<br />

per poterlo raccontare? La storia raccontata dai libri non è mai<br />

come la storia raccontata dai cuori del<strong>le</strong> persone. Un’intera<br />

memoria di quei giorni sta per essere perduta definitivamente.<br />

Cosa potremmo fare ancora per recuperare i ricordi e<br />

mantenere la consapevo<strong>le</strong>zza di un dramma che ha sconvolto


famiglie, persone, intere popolazioni? Soprattutto come<br />

possiamo permetterci di non sapere cosa è successo nel vissuto<br />

di una guerra tremenda?<br />

G.B.<br />

Fig. 9 15 I cittadini di Bolzano fucilati per mano nazista (foto Talia).<br />

15 Si ringrazia la Signora Ongaro Saudo per la genti<strong>le</strong> concessione del<br />

documento.


Fig. 10 Targa commemorativa all’incrocio tra via Volta e via Lancia (foto<br />

Talia).<br />

Fig. 11 I nomi dei caduti a Bolzano sulla lapide nel cimitero (foto Talia).

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