E' un bel regalo di Natale quello che l'amico Corrado Mazzeo ha ...

Corrado Mazzeo
Cuntami
…altre storie di un trapanese del secolo scorso

La luna piena minchionò la lucciola:
- Sarà l’effetto dell’economia,
ma quel lume che porti è deboluccio…
Sì , disse quella, ma la luce è mia!
“ La Lucciola” da Trilussa: poesie scelte

…e continuavano a vivere, sott’acqua, come se nulla fosse
accaduto, ineluttabilmente.
Ad ogni modo, rimango cartaginese.
C.M.

Indice
• Cuntami
‘U maniaco
‘U purpu…a Marsiglia
Libero pensatore
I Zizzuli
Suli
Dante
‘A zuppiata
‘A Social Card
Tipi da bar
Paria n’ariddu
Cani? Cani…
‘A frutta marturana
Sette e tri …vundess
Inter…ismi
Pilo
Incrocio alla marina
Fate uscire vostro marito da sotto il letto!
Libbra
‘U Bisito
‘U Trapani

• Poesie:
‘U Misteri di me Patri
Mi votu e mi rivotu
• Lettere a Corradinu beddu
Cristina: “Carpe diam”
Enrico: “Il fiume Jato”
Betta: “I corna all’inizio fanno male, poi aiutano a mangiare”
Angela: “No lettu cu me maritu jò mi c’ha curari!”
Rosalba “Gelsomino e panna ”
Cecilia: “Figghi di tri padri diversi”
• Ma cu tu fici fari…parivi così bravo!
• Note dell’autore
• Glossario

Cuntami

‘U maniacu
Arrivato a Milano, per mantenermi agli studi ho fatto i lavori più
svariati: dal dogsitter al rappresentante di aspirapolvere porta
a porta, al venditore di prodotti avicoli (polli, galline, piccioni,
tacchini, faraone, anitre mute…) nelle macellerie e nei piccoli
supermercati.
Ho lavorato anche come pony express nel consegnare, da una
ditta all’altra, piccoli insiemi elettronici, con una vecchia
lambretta che mi ero portato da Trapani, aiutandomi a
districarmi nella città meneghina, con una cartina topografica.
Ma i soldi non erano sufficienti e per arrotondare lo stipendio,
cercai un lavoro suppletivo.
Mi venne offerto di fare il controllore nei supermercati.
Adesso controllare i piccoli furti è molto più semplice tutto
elettronico, con le video camere; con il codice a barre poi se
occulti il maltolto suona l’allarme.
Negli anni settanta, per appurare chi rubava negli empori più
grandi c’era un metodo più artigianale: sopra il reparto della
macelleria c’era una striscia, lunga tutto il banco, alta trenta
centimetri, apparentemente opaca (tipo pellicola da foto), in
realtà, dietro c’era un addetto al controllo, che lungo quella
striscia faceva avanti e indietro controllando gli scaffali, che
diagonalmente ispezionava.

Quando si accorgeva che qualche cliente sottraeva qualcosa e
la imboscava, lo segnalava alla cassa e lo sventurato avventore
veniva redarguito e alcune volte denunciato.
Dopo qualche mese feci un salto lavorativo di qualità, mi venne
offerto di fare l’ispettore dei controllori in un grande
magazzino: c’erano strani furti in un reparto, si sospettava di
tutti, dai clienti al personale dipendente, compreso i controllori
ufficiali che in borghese ispezionavano il negozio.
Ci voleva una persona sconosciuta che fingesse di essere cliente
e ispezionasse tutto il movimento.
Il reparto in questione era quello di biancheria intima
femminile, di lingerie si direbbe adesso.
Obiettai che forse una figura femminile era la più adatta, ma
non c’erano altre disponibilità in quel momento, prendere o
lasciare!
Il negozio era una Standa in viale Bligny, a Porta Lodovica,
imbarazzatissimo principiai questa nuova esperienza.
La merce esposta variava dalla roba raffinata (di pilu) fino agli
indumenti più dozzinali: mutande, reggipetto, calze, reggicalze, i
primi collant, pigiami, camicie da notte, vestaglie ecc… .
Incominciai a frequentare quel reparto di malavoglia, meno male
che nessuno mi conosceva, dovevo girare e fare finta di essere
interessato alla merce esposta.
Penso che il mio viso cambiasse colore per il disagio,
specialmente quando mi sentivo fissato (in realtà ero io ad
scrutare chi mi guardava).
Una volta due attempate signore dopo avermi osservato, si
truzzarono di gomito facendosi asciuddricare la risata.
Volevo sprofondare, ero una persona per bene, stavo
frequentando un corso accademico serale, e per mantenermi…
facevo questo lavoro oltre al mio abituale, mi stavano
equivocando per un vizioso o chissà che altro!

Ma chissu era ‘u sivvizzo!
Erano ormai tre settimane che frequentavo quell’esercizio,
conoscevo tutti, dai clienti ai dipendenti, ai controllori in
borghese , ma gli ammanchi continuavano sistematicamente, e
non riuscivo a capire chi fosse il mariuolo.
Un pomeriggio appena entrato all’ emporio , vidi avvicinarsi la
capo reparto, con i due addetti alla sorveglianza.
Con l’indice mi indicava e diceva con tono risoluto:
- E’ lui, è lui…
Il trio si avvicinava in modo minaccioso, io comparativamente
andavo indietro fino a quando arrivai nell’angolo dei reggiseno,
un punto di non ritorno.
- E’ lui…il maniaco, è quasi un mese che frequenta questo posto,
le commesse, le mie ragazze, sono intimorite da questo
mascalzone acchiappatelo quel porco!!
- C’e un malinteso! Gridai!
- Ma che equivoco, squilibrato dell’ostrega! Disse il più grosso dei
guardiani, afferrandomi per un braccio.
- Adesso te lo io una bella spazzolata!!
- Alt! Dissi vociando, sono un controllore di una agenzia
investigativa, tirando fuori il tesserino di riconoscimento.
Chiarito l’equivoco mi presentai, qualificandomi, a tutto il
personale e inevitabilmente, non potei più lavorare in quel posto…
ma non vi entrai manco come cliente!

‘A purpu…a Marsiglia
Il 5 luglio 1982, c’ero anch’io quella sera al Bernabeu, a Madrid
con l’Italia campione del mondo per la terza volta.
A maggio avevo vinto due biglietti per la finale, con un tagliando
trovato in una merendina.
Chi lo sapeva che avrei trovato la nostra nazionale di calcio in
finale, un colpo di…fortuna.
Andammo in tre io, Vincenzu di Partitico ed Emilio un pulintuni
purosangue che aveva trovato il biglietto a sangue di cristiano.
Partimmo con una Simca ammaccata color verde prato, con un
grosso portapacchi, dove avevamo sistemato una carrozzina (il
mio amico siciliano era paraplegico).
Dovevamo attraversare il sud della Francia e una buona metà
della Spagna, ci avviammo prestissimo da Milano.
La prima trance di guida la feci io fino a Cannes , dopo prese le
redini il buon Emilio, mi sistemai nel sedile posteriore e mi
assopii.
Fui svegliato di soprassalto da un infernale rumore metallico, era
cascata la carrozzina, i lacci non avevano retto e patapum era
caduta in mezzo ad una tangenziale!

Accostammo, c’era poco traffico, presi da incoscienza giovanile
riuscimmo a recuperare la carrozzina dalla superstrada, intera,
ma assolutamente inutilizzabile.
La rilegammo con più attenzione e continuammo il viaggio, ma il
problema sussisteva e per il nostro amico era gravissimo: poteva
spostarsi solo con un trasporto a braccia.
Era sabato pomeriggio, ma non eravamo in grado andare e
tornare da Milano a prendere un altro ausilio, la finale era la
sera dopo.
A chi ci potevamo rivolgere?
Telefonammo alla sede della Croce Rossa, ci consigliarono di
andare al più vicino ospedale dove di carrozzine ce n’erano, lì
qualcosa sarebbe accaduto, in prestito, in affitto…
Spiegammo al responsabile del pronto soccorso del nosocomio il
problema, facendo le facce di circostanza: entro quarantotto
ore avremmo riconsegnato, il tutto con tutte le garanzie
possibili, remunerando naturalmente quello che era dovuto.
Niente, inflessibile come un austero gendarme ci disse di no!!
Delusi ci avviammo verso l’uscita, con quale faccia avremmo
spiegato al nostro amico che aspettava in macchina… il
corridoio che portava all’uscita era pieno di carrozzine, almeno
quindici, inutilizzabili e quel gran figlio di…
‘Ni taliamu in faccia e ci capimmo à volo con Emilio(l’avevamo
sicinializzato bene io e Vicenzu), rivolgemmo all’unisono lo
sguardo verso quale fosse la carrozza più idonea al nostro
amico, un cenno… e m’assittai, il mio alleato mi spinse fino alla
macchina.
In un baleno legammo le due carrozze nel portapacchi e ci
avviamo più velocemente possibile.

Dopo un po’ ci rendemmo conto di dover acquistare dei tiranti
più adeguati per tenere le carrozzelle.
Entrammo in città, a Marsiglia, dovevamo cercare un negozio di
autoricambi.
Appena lo reperimmo, accostai la macchina, scesi e mi avviai
verso il negozio, dopo una decina di metri Vincenzo mi chiamò e
mi suggerì a voce alta:
- Prendine anche uno, a purpu (di tirante).
Stavo per avviarmi a acquistarlo quando un signore si parò
davanti, sorrise e mi apostrofò :
- E accussì nì facemu a ‘nzalata!
Luglio 1982 via principale di Marsiglia, in terra straniera, chi ti
trovo, un siciliano!
Com’è piccolo il mondo!!

Libero pensatore
Due anni fa volevo rinnovare il passaporto, per andare in
Argentina . Mi sono recato in questura, la più vicina era in via
Tabacchi a Milano.
Una coda nell’ufficio competente!
Tutti all’estero vanno quest’anno?
Prendo il numero, avevo davanti ventidue persone in attesa.
Dopo un'ora e mezza sento uno scompiglio, nel corridoio vicino e
una vociata:
- Me le sembra che sono nato ieri…chiami chi vuole, pure il
sottosegretario! Tu abbiriri, ‘ncasa di Piluccheddu i sunatura!!
Mizzica, questo è trapanese, di sicuro! Penso
Lo vedo che esce sbatte la porta e va in un’altra stanza! Voglio
vedere come si chiama, vice commissario dott. Bartolomeo
Coppola titola la targhetta.
C’era mio compagno di scuola che…lo squadro meglio quando
ripassa, si è lui…un po’ invecchiato, stempiato… à caminata è
sempre quella.

Vartulu si era iscritto a medicina, dopo il diploma, poi abbiamo
perso i contatti.
Che fa qui in questura? Lui, che si definiva un libero pensatore,
ce l’aveva con i poliziotti ai tempi…non è che mi sbaglio? E’ se
fosse un caso di omonimia?
Avevo tempo, c’erano ancora dieci persone in attesa, ora ci
parlo, al limite mi sono sbagliato!
Indosso una faccia di timpuluna, sorrisino di circostanza e
busso alla porta del funzionario.
- Avanti!! Che voce…poteva studiare da tenore.
- Scusi e lei il vice commissario Coppola?
- Si, ha bisogno? Mi dice alzando lo sguardo.
E’ iddu! Il tempo ti cambia i lineamenti, ma le espressioni del
viso rimangono!
- Scusi, ma lei non doveva laurearsi in medicina?
Chiedo fissandolo negli occhi!
- …Ma lei chi è? Ribatté ricambiando lo guardata.
- Non mi riconosci? Eravamo nella stessa classe al geometra!
- Non ho memoria…è passato tanto tempo…ho un vago ricordo…
ero nella sezione B, mi dice con occhi furbetti.
- Chi fai ù sbirru cù mia? Lo sai che eravamo nella C, “cazzu
cazzu signura chi ura è?” era il motto della nostra classe.
- Ciao vecchiu meu, si alza e mi abbraccia.
- Scusa, la riluttanza ma da qua passano tante di quelle persone,
che con il mio cognome e sentendomi parlare con questo
inflessione, si prendono confidenza… si sentono tutti siciliani!!
E m’addumannanu favori, velocizzare una richiesta di
passaporto, un vicino che rompe…ma tu picchì si cà?

- Nenti…sono venuto a fare una denuncia, mi hanno rubato la
macchina, poi t’ho sentito santiari…
Necessariamente parlammo dei vecchi ricordi, dei nostri
compagni, dei vecchi professori.
Di uno il ricordo era rimasto indelebile, dopo Lorenzo Mistretta,
Francesco Battiata, professore di Estimo.
Era un docente simpaticissimo, avendo una certa età, aveva
perso un po’ di freni inibitori, e se ne fotteva altamente delle
regole invalse.
Tabagista, non stava tanto bene di salute, ce lo ricordavamo più
vecchio di quello che fosse, per questo la moglie lo teneva a
stecchetto, non aveva neanche una lira in tasca, per evitare che
si comprasse le sigarette.
Verboso di natura, generalmente spiegava, titolava il motivo
dell’argomento e…prima di iniziare faceva una richiesta.
- Picciotti nà sigaretta.
Noi muti, immobili, con lo sguardo basso.
- Picciotti nà sigaretta! Ripeteva risoluto.
- Dottore no, ci fannu mali, niautri ci vulemu beni, ù facemu pi
lei…rispondeva il più coraggioso.
- Allura interrogo! Apriva il registro e iniziava con il primo della
lista.
- Adragna!
- Picciotti ì sigaretti! - supplicava il candidato.
- Dutturi chi voli? I miei compagni sembravano i Boys di Wanda
Osiris, nell’offrire alla vedette le varie marche di bionde
Malboro, Muratti, MS, Eportazioni…
Il docente si svampava la sigaretta con gusto, si assaporava ogni
boccata come se fosse l’ultima.

Ad un mio compagno che teneva il pacchetto delle paglie,
nascoste in un calzino, gli fece i complimenti, e adottò per lui
quello strano nascondiglio.
- Vartulu, ma tu che ci fai qui? Non ce l’avevi a morte con gli
sbirri? Non ti eri iscritto a Medicina, chi ti successi?
- ‘U pilu e Pasolini! Appena maturato, mi iscrissi per
intraprendere la professione medica, nel frattempo feci il
volontario in un campo di lavoro a Cittàducale, in provincia di
Rieti, dove conobbi una picciotta milanese bedda assai, di fora e
di rintra (nei suoi ragionamenti), paria chi ni canusciuamu da
sempre.
Quannu riria i ammi m’addivintavanu di ricotta e…mi tremanu
ancora ora per l’emozione.
Un’intesa naturale, chimica, era n’a cosa magnifica; figghia di
carrabinieri, m’innamurai, annurvai.
Accuminciai anche a vedere le cose in maniera diversa, osservai
poi, attraverso il padre della mia fidanzata, che gli sbirri non
era per vocazione che facevano quel lavoro, ma quasi sempre per
bisogno.
Non c’era sivvizzu ed erano costretti, per quattro soldi, a
migrare, mettersi una divisa, e farsi prendere a sputazzati.
Poi ci fu quell’articolo di Pasolini al Corriere della Sera e mi
convinsi, che erano altri i malevoli della povera gente!
A dicembre cambiai facoltà e mi scrissi a Giurisprudenza cà a
Milano, nel frattempo feci domanda in polizia…ed eccomi qua!
Io libero pensatore…a servizio dello Stato!!

Ci salutammo, ci scambiammo il numero del cellulare con la
promessa di non fare passare altri trent’anni prima di
rincontrarci.
Era mezzogiorno, ormai non facevo in tempo a fare la richiesta
per il passaporto, non volevo chiedere a Vartulu, orgoglioso come
sono.
Tornai l’indomani, feci la normale trafila e alla fine chiesi quando
tempo ci voleva per il rilascio. Almeno un mese.
- Lei signor mio, viene a metà giugno…comunque la contattiamo
noi.
Dopo due giorni mi richiamano dalla questura avvisandomi che la
mia attestazione per l’espatrio era pronta.
- Ma siete sicuri? ho presentato la domanda…
- Sicuri, può passarla a ritirare!
L’indomani, passo, ritiro il documento, tutto a posto.
Ho capito!
Mando un sms al vice commissario Coppola: crasto!
E lui di rimbalzo: sbirru sugnu, buone vacanze!

I zizzuli
I zizzuli sono delle piccole ghiande, che cadono dagli alberi nei
viali, alla villa Margherita, nel periodo autunnale.
Ricordo un episodio capitatomi quando avevo circa dieci anni.
Ero con un fratello di un mio compagno di classe, più grande di
qualche anno, stavamo cazzeggiando alla villa, prima stuzzicando
i cigni nel laghetto, poi ce la siamo presa con dei pappagalli, li
facevamo spaventare sfregando un pezzo di legno nella griglia
della gabbia in cui erano circoscritti.
Uno dei guardiani ci prese a male parole e ci assicutò
costringendoci ad riparare al boschetto bianco.
Siamo stati lì una decina di minuti, e murritusi come eravamo,
ritornammo verso il piccolo zoo, quando incrociammo il più
cattivo dei guardiani, un signore sordomuto, che incuteva
terrore solo a taliallo.
- Amuninni, dissi al mio conoscente, mi scantu, quello neanche mi
considerò, e si mise a fare strane linguacce.
- Amuninni, ripetei, se quello ci acchiappa ci scanna!!
Manco per idea, il mio amico continuò a provocarlo mimando una
scenetta pubblicitaria, in voga a quei tempi, quella dell'oliva
saclà.
Col bacino fermo, girava il busto a destra e a manca, muovendo i
gomiti come se stesse marciando, uno sberleffo.

Quel signore fece un balzo per raggiungerci, poi si trattenne,
noi facemmo lo stesso.
Non soddisfatto, il mio alleato acchiappò due zizzole e gliele
lanciò una dopo l’altra, il guardiano stavolta si incazzò davvero,
fece un altro scatto…ma stavolta non si trattenne.
Uscimmo dalla villa, e ci avviammo sul marciapiedi di fronte,
sicuri, che l'inseguitore non avrebbe oltrepassato il recinto del
parchetto.
Non fu così, il custode ci veniva incontro di corsa
arrabbiatissimo, entrambi terrorizzati riparammo in un portone
di una vecchia casa ( dove adesso è collocato un moderno
palazzo) dietro la Prefettura, in via Giardini. Salimmo le scale
più velocemente possibile, primo, secondo, arrivati al terzo piano
ci trovammo in un lucernario, pieno di piante con un una porta
che portava all'astracu, chiusa a chiave.
In un baleno arrivò il guardiano trafelato, ansimante, i suoi occhi
pretendevano vendetta: era finita, ci avrebbe dato una
fracchiata di legnate.
Quando il mio amico ebbe un colpo di genio.
Prese una caseria e gli e là posò in mano, il tipo rimase inebetito
con la pianta in mano.
Nel tempo che riposò per terra il vaso, noi eravamo già in
strada.
- Spattemuni, disse lui uscendo dal portone, girò a destra e io
dall'altra...
Non l'ho più incontrato!

Suli
Era un venditore di frutta e verdura ‘miccata , che con il suo
carretto bazzicava nella zona di San Francisco, a Trapani.
Era un tipo simpaticissimo apprezzato nella zona, educato
sempre cordiale e pronto alla battuta con tutti.
Era un vero commerciante, aveva una clientela molto eterogenea
il rapporto con essa si basava sulla fiducia, molte volte vendeva
a credito, e teneva a memoria (essendo analfabeta) chi gli
doveva dei soldi.
A chi non aveva tutta la somma da pagare, li invitava a non
desistere e in ogni modo prendersi la merce acquistata:
- Pi trenta lire! Poi scacciava l’occhio e sussurrava:
- Mi li pigghiu a prossima vota.
Alcune volte posteggiava il carretto davanti alla piazza del
Purgatorio ed era un via vai di gente che si accalcava a comprare
la sua mercanzia.
Una volta assistetti ad una scena di una vecchietta che si
lamentava, perché il giorno prima gli aveva venduto dell’uva non
buona, tutta “pisciata”, a lei povera donna dimessa ma dignitosa.
- Chi voli signura , disse lui, se la roba non è tanto bona non la
posso vendere ad una ricca, quella ci mette un avvocato e mi
rovina, lei chi è puviredda mi fa una vociata e passa!
Poi prese un chilo di pesche le incartò e gliele donò.

Dante
Emma Dante è una autrice e regista teatrale palermitana molto
in gamba.
Secondo me, la migliore degli ultimi anni in Italia.
E’ conosciuta dalla critica, dagli addetti ai lavori e da un
pubblico di nicchia, ai suoi spettacoli è tutto esaurito.
Nel continente però, da Eboli in sù, perché in Sicilia, dove sono
ambientati quasi tutti i suoi spettacoli, le sue recite non sono
ammesse nella normale programmazione (neanche in quella
straordinaria) dei teatri insulari, tranne qualche eccezione.
Milano l’ha sempre ospitata, lo scorso anno le ha dedicato, una
rassegna con tutte le sue rappresentazioni.
La gente entusiasta…a cominciare dai polentoni.
L’apripista alla sicilianità, sarà stato Camilleri, ma se non hai
talento...
I suoi spettacoli sono tutti in lingua madre, alcune volte
italianizzata, altre volte ‘ncarcata!
Gli argomenti trattati sono molto hard, adatti ad un pubblico
adulto e amante del teatro.
Si va dall’apparire nella società, all’incesto all’interno del nucleo
familiare, dalla reale concezione del pensiero mafioso, alla
morte prematura di un figlio, dalla disabilità, all’omosessualità e
alla prostituzione…ed altro.
Argomenti tosti, polvere che molte volte, viene ammucciata
sotto il tappeto, all’interno delle famiglie siciliane ( e non solo).

Ho conosciuto questo genio siculo, quattro anni fa.
Organizzavo con un gruppo di amici “l’andare a teatro”.
L’Ufficio Cultura della Provincia di Milano distribuiva e
distribuisce ( a prescindere dal colore politico) degli
abbonamenti a spettacoli a buon costo, presso i vari teatri
milanesi, ed io capogruppo ero quello che disponeva l’evento,
sceglieva prenotava con la totale delega sugli spettacoli.
Era una comitiva di quindici persone.
Quell’anno davano “Carnezzeria” della compagnia “Sud Costa
Occidentale”, andai a prenotare.
Non conoscevo né il testo, né il gruppo recitante, ma la sua
provenienza era una garanzia, almeno così speravo!
Vedemmo lo spettacolo, veramente travolgente.
Sul palcoscenico quattro attori.
Mostruosi nella loro bravura, si parlava di incesto, in una scena
uno di loro, simulando passivamente l’atto, andò in trance.
Un pugno nello stomaco!
Eccezionale, mai vista una cosa del genere.
Finito lo spettacolo, fuori dal teatro, come al solito ci
mettemmo in cerchio, aspettando i commenti, prima di
accomiatarsi .
Niente, non parlò nessuno, avevano lo sguardo basso.
Aprii la discussione sostenendo che l’argomento era tosto…
Venni stoppato e mi venne rimandato che avevano capito
qualcosa, ma essendo il testo recitato in siciliano stretto, non
l’avevano compreso bene.
Sicuramente erano rimasti disgustati dall’argomento!
- Come in siciliano stretto? Si qualche termine…provai a
minimizzare.
- Non si capiva niente, sembrava arabo! Venni con disprezzo
apostrofato.
- Arabo? M’affinnivi!

Li guardai bene in viso, erano veramente incazzati.
“Meritate i Legnanesi (un gruppo amatoriale meneghino)” pensai!
Era il terzo anno che mi attivavo per quella conduzione, l’anno
dopo nessuno rinnovò l’abbonamento!
Io si!
Ho perso dei compagni di svago, ma ho conosciuto l’ultimo genio
teatrale.
Ci avevo guadagnato, sicuramente!!
Finito questo pezzo, all’inizio di quest’anno leggo su “Repubblica”
che Emma Dante dirigerà l’opera lirica “Carmen” di Bizet “la
prima” alla Scala di Milano il 7 dicembre 2009!
Avia ragiuni!
‘O solitu!

‘A zuppiata
Una domenica mattina di vent’anni fa, il mio amico Vincenzo mi
telefonò di buon’ora.
- La prossima settimana è l’ultima replica di Gaber a Milano,
purtroppo è tutto esaurito, non c’è un posto neanche a
strapagarlo, a meno che…
- A meno che?
- …un facemu nà zingarata…
‘Quando Vincenzu proponeva una zingarata erano gioie e… dolori!
- Va bene, stasera ni magiamu nà pizza e ne parliamo!
Stavolta la zingarata consisteva nel prenotare dei posti, al
teatro, per disabili ed accompagnatori (avevano sempre dei
posti riservati), ma nelle carrozzine ci doveva essere un mix di
veri e falsi invalidi.
Rischiavamo tanto…per niente…così pì babbiari!!
Un altro problema era che uno di quelli preposti a fare la parte
di un disabile ero io.
- Ci voli anche qualcunu chi t’ammutta!
- Pure?
Altro che il film “Amici miei”, fari nà zingarata era esaltante,
non solo nel progettarla ma anche nel metterla in atto.
Stavolta il rischio era grosso, avrei recitato bene?
E se mi riconosceva qualcuno?
Erano dieci anni che abitavo a Milano, certo non ero una persona
famosa, ma in certi ambienti la mia faccia era nota!
E poi potevo rischiare una denuncia per falso…un casino!

Era l’ultima replica pomeridiana di una domenica primaverile.
Mi preparai, misi le scarpe meno consumate, giubbettino di
circostanza.
Posteggiai a cento metri dal teatro, un amico mi portò una
carrozzina e andò via.
Mi guardai in giro non c’era nessuno, m’assettai (ma tocca sempri
a mia?) e una mia conoscente, precedentemente allertata , mi
spinse.
Tutto bene, tenevo lo sguardo basso, cappellino incarcato in
testa, meglio non mostrare completamente il viso.
- Come vado? Chiese la mia accompagnatrice
- Alla grande! Sostenni.
Arrivati davanti al teatro nello scendere dal marciapiede,
successe un imprevisto, si staccò un bullone della ruota, che si
sganciò ma fortunatamente la carrozzella si appoggiò ad una
auto in sosta.
Rimasi in bilico.
I passanti accortisi del disagio volevano soccorrermi
chiedendomi cosa potevano fare per aiutarmi, la mia amica
sbiancò rimanendo inebetita.
- Vincenzo…voglio Vincenzo, dichiaravo con voce meccanica,
sembravo Ciccio Ingrassia in Amacord.
Dopo un interminabile minuto arrivò il mio amico tranquillizzò la
piccola folla che nel frattempo si era accalcata, si allontanò ed
ritornò con Emilio che spingeva un’altra carrozzina.
Mi ci sedetti con notevole difficoltà, era più stretta, sotto lo
sguardo ilare di quei grandissimi cornuti dei miei compagni, che
suggerivano di mettermi a dieta per la prossima volta.

Bello lo spettacolo di Gaber, perfetto in ogni sua parte.
Fra il primo e il secondo tempo una maschera del teatro mi
osservò con discrezione, poi si avvicinò, mi appoggiò una mano
sulla spalla, sussurrandomi:
- Coraggio!!
- A mia? Volevo alzarmi e dargli un timpuluni, ma non potevo.
Quattro mesi dopo, rincontrai la mia amica, quella che aveva
spinto la carrozzina, quasi irriconoscibile aveva cambiato look.
Mi raccontò che la settimana prima era tornata al teatro Lirico
e chi ti aveva incrociato? La maschera, quella che aveva mi
appoggiato la mano sulla spalle, e le chiese:
- Come stanno i suoi amici disabili?
Se era stata riconosciuta lei…chi poteva tornare a quel teatro?
Per tre anni non ho messo piede al Lirico…ma ne era valsa la
pena.
Il teatro mi ha sempre affascinato, ma anche recitare
consapevolmente nella vita, di continuo.
Mi ricordo che trentacinque di anni fa dovetti sostenere la
trovata di un mio cugino, a Trapani.
Adesso è uno dei più noti commercialisti della provincia.
Ma ai tempi della scuola media superiore, non voleva saperne di
studiare, frequentava ragioneria ma, “un ni vulia mancu a
broru”, era sempre rimandato, si portava a debito almeno due
materie l’anno.
”E’ intelligente ma non si applica”, sostenevano i suoi insegnanti.
Era vero, infatti Liborio, per rimediare l’esame a cui era stato
rimandato studiava l’ultima settimana d’agosto una lettura ai
libri… e la spuntava sempre.

Quell’anno il quarto, nonostante avesse portato come riparazione
solo una materia, prese tutto negligentemente e non aveva
toccato libro.
Mancavano due giorni all’esame e lo vidi in spiaggia.
- Come mai sei qui al mare, un stai sturiannu? Gli chiesi.
- Quest’anno m’abbutta! Disse
- Ora chi si quasi…di maturità, ma chi si cretino?
- Vuoi vedere che non tocco libro e passo lo stesso?
- Ma che hai in testa?
- La testa c’è l’ho giusta… sai che ti dico? Facciamo una
scommessa. Io ti giuro che non tocco libro, poi vado a scuola e
sono promosso lo stesso. Chi perde paga due biglietti in tribuna
allo stadio, fra due domeniche c’è la Juve a Palermo, più la
benzina per la macchina!
- Un nì fazzu sti cosi, l’azzardo è grosso, per una babbiata rischi
l’annu, i tuoi hanno fatto tanti sacrifici… sei mio cugino, non
sono così bastardo! E poi comu fai?
- Tu un ti preoccupari, a te non interessa come faccio, io il
prossimo anno sarò di maturità! Voglio solo la tua disponibilità il
giorno dell’esame. Accetti?
- …Va bene!
Sicuramente sarebbe stato cassato!
Il cornutone preparò così all’evento: finse di aver avuto un
incidente stradale, si propose di arrivare a scuola con qualche
ematoma, claudicando…sperava che un po’ di benevolenza
l’avrebbero avuta… era una sola materia da riparare…era quasi
all’ultimo anno!
L’esame era orale, condussi questo familiare a scuola lo
accompagnai lentamente, zuppichiava t’annicchia, nell’aula fino
alla sedia di fronte al suo esaminatore.

Si era truccato bene il filibustiere, aiutato da sua sorella si era
causato un ematoma vicino all’occhio, fasciato un braccio…
- Chi ti successi? Chiese il docente appena lo vide.
- Niente, mi hanno investito, con una macchina, due giorni fa,
quindici giorni salvo complicazioni, mi hanno detto di stare a
riposo…ma c’avia st’esame…
Il professore gli chiese un paio di argomenti a piacere, che
andarono bene, gli fece un’altra domanda che andò meno bene
ma all’ultima, Liborio, fece scena muta tenendo basso il capo.
Il colloquio non era andato come si deve, ma l’insegnante
impietosito, dal miserabile aspetto dell’allievo, lo licenziò.
- Vattinni va, riposati e impegnati di più che il prossimo anno sei
di maturità!
C’è l’aveva fatta!!
Lo andai a riprendere alla cattedra, mentre lo riaccompagnavo
fuori dall’aula, nel bel mezzo della stanza, si fermò.
- Chi c’è? Domandai.
- Nenti, mi pari chi trasivi zuppiannu con il piede destro, ma ora
sto truppicannu con quell’altro, che devo fare?
- Continua così, dissi trattenendo faticosamente una impellente
risata.

‘A Social Card
Questo è il dialogo telefonico realmente accaduto nell’ottobre
dello scorso anno di due anziane sorelle, Emilia e Melchiorra
Guerra, ex modiste che vivono a Trapani in via Mercè, una al
civico 28, l’altra al 42.
Nonostante la veneranda età vivono in appartamenti diversi, si
vogliono bene, hanno anche provato a condividere un’abitazione,
ma si sciarriavano sempre, ed hanno preferito una sana
lontananza…di duecento metri.
- T’arrivau a littra di l’Inps? Chiese Milia alla sorella.
- Quali? Rispose Micciona.
- Chidda pà tessera.
- Si, m’arrivau ma la scirai!
- Comu la scirasti, ma a liggisti bona, sunnu venti euro o misi!
- Ma chi sbattisti a testa? Un nì vogghiu limosina!
- Abbéro? Picchì a tia un ti fannu commuru vinti euro?
- Si, ma ù sai quali sunnu i vincoli?
- Cettu, vai a Posta, compili un documentu, ti runanu nà tessera,
comu chidda ru bancomat. Poi vai a putia e poi spenniri venti
euro o misi,chi pi tuttu l’annu sunnu… a bonè a bonè…
- Stai addivintannu vecchia Milia, nì stannu facennu l’elemosina:
l’umiliazione di iri a Posta, comu nà puviredda, poi a ghiri nà
putia chi dicinu iddi…comu à tessera dù pani di vota.

La Social Card
Questo è il dialogo telefonico realmente avvenuto lo scorso anno
di due anziane sorelle, Milia e Micciona Guerra, ex modiste che
vivono a Trapani in via Mercè, una al civico 28, l’altra al 42.
Nonostante l’età vivono in appartamenti diversi, si vogliono bene,
hanno provato a condividere un’abitazione, ma si sciarriavano
sempre, ed hanno preferito una sana lontananza…di duecento
metri.
- Ti è arrivata la lettera dell’Inps? Chiese Milia alla sorella
- Quale? Rispose Micciona.
- Quella per la tessera.
- Si, mi è arrivata ma l’ho strappata!
- Come l’hai strappata, ma l’hai letta bene?Sono venti euro al
mese!
- Ma che hai sbattuto la testa? Non voglio elemosine!
- Perché non ti fanno comodo venti euro?
- Si, ma lo sai quali sono i vincoli?
- Certo, vai alla Posta, compili un documento, ti danno una
tessera, come quella del bancomat. Poi vai in un negozio di
alimentari poi spendere venti euro al mese,che per un anno
sono…
- Stai diventando vecchia Milia, ci stanno facendo l’elemosina.
L’umiliazione di andare alla Posta, come un donna povera, poi
devi andare ad un negozio convenzionato…come la tessera del
pane di una volta.

Ti lu ricordi Milia, quannu picciriddi aviamu a fari a fila, cà
tessera, pù un pezzu di pani!
Ora ù pani nù putemu accattari, ma ni vonnu umiliari ancora!
L’orgoglio un nì lu ponnu scapisari sutta i peri, accussì.
Si nì vulianu aiutari veramente, sti sordi nì li mittianu nà
pensioni, finu a quannu putiano…
- Unca! Hai ragiuni Micciona… à ficimu à fila niautri…ci voli chiù
rispettu! A ritirai a tessera, ma ora la tagghiu, e la ettu!
- Milia, ruminica fazzu ù cuscùsu chi brocculi e chi cutini veni?
- Cettu, e jò ti pottu i cassateddi cà ricotta, chi ti piacinu
assai!

Te lo ricordi Milia, quando da bambine dovevamo fare la fila con
la tessera per un pezzo di pane?
Adesso che il pane ce lo possiamo comprare, ancora ci vogliono
umiliare, mettendoci la testa sotto i piedi!
Se ci volevano veramente aiutare, questi soldi ce li aggiungevano
alla pensione, fino a quando potevano…
- Hai ragione Micciona… noi la fila per il pane l’abbiamo fatta,
non ci devono amareggiare ancora, ci vuole più rispetto! L’ho
ritirata la tessera, adesso la taglio con le forbici e la butto!
- Milia, domenica faccio il cuscus con i cavolfiori e le cotenne
vieni a mangiare?
- Certo che vengo, e io ti porto le cassatele con la ricotta, che ti
piacciono tanto!

Tipi da bar
I bar, li ho frequentati sempre, ma mordi e fuggi, ù cafè, nà
broscia, un pezzo dolce, un gelato e poi via.
Mi sono sempre domandato cosa facesse la gente per rimanere
dentro i locali dopo che avevano gustato la consumazione.
Avevo letto “Barsport” di Stefano Benni, ma non pensavo che
veramente esistevano una varietà di persone così interessanti.
La prima casa in cui ho abitato a Milano è stata sui navigli in via
Torricelli. Lì vicino c’era un bar il “Mocambo” che ho cominciato
a frequentare prima di sfuggita , poi sempre più assiduamente e
lì ho visto tanta di quella gente…
C’era Matteo un milanese bauscia chi paria si comprava a tutti,
faceva e disfaceva , sembrava il padrone del mondo!
Sperto lo era, conosceva tutti, se avevi bisogno di qualsiasi cosa
lui sapeva come districarsi e procurartela.
Era un uomo alto e robusto, non aveva paura di nessuno, una
volta ad uno della bassa (della pianura padana) faceva il cretino
con una ragazza, che infastidita, non lo filava per niente, lo
appizzò realmente al muro facendogli passare tutta quella
frenesia che aveva.
Si sibilava però, che appena rientrava in casa, diventava un
agnellino, metteva le pattine ai piedi e quasi quasi doveva
chiedere il permesso per andare in bagno.
Era sposato con una despota, una signora sarda nica nica.

Un sabato mattina lo vidi che usciva con la moglie (cosa rara) lei
davanti che sembrava un generale, lui timoroso tre passi
indietro, andavano verso il supermercato, mi vestii e scesi, non
volevo perdermi quell’opportunità .
Dentro all’emporio erano con lo stesso atteggiamento di prima,
lei in prima fila prendeva la roba che accumulava nel carrello,
lui con le spalle ricurve e lo sguardo vitreo lo spingeva.
Poi assistetti ad una scena veramente avvilente: la consorte, si
era assentata un attimo, e l’uomo aveva preso un prodotto che
aveva collocato nel carrello, la coniuge appena ritornata riprese
il prodotto e lo ricollocò nello scaffale stizzita.
Che danni che fa certe volte il matrimonio!
Quest’altro ricordo è invece circoscritto ad un avventore
occasionale, Luca.
Un pomeriggio incontrai un collega di lavoro, entrammo al
“Mocambo” a prendere un aperitivo, dentro c’era un signore che
non avevo mai visto, alto, robusto, dai caratteri somatici
particolari aveva una cicatrice nella guancia, facia scantari, che
sbraitava con altre persone intimorendo:
- Lo scanno, gli sparo in bocca a quel…
- Scusa, questo è un locale perbene, non so chi sia quel
malvivente lì! Sussurrai al mio amico.
- Ma chi quello? Rispose sarcasticamente.
- Perché lo conosci?
- Chi Luca? Ma lo sai chi è?
- No!
- E’ il coniuge di Gabriella!
- L’infermiera dell’ufficio d’igiene?
- Suo marito!

Gabriella era un’infermiera molto affettuosa, generosa con
tutti, se domandavi un piacere era disponibile, se non chiedevi l’
accessibilità era lo stessa, si cattigghiava con “tout le monde”!
Indubitabilmente Luca aveva lottato una vita per farsi
un’immagine, anni e anni di duro lavoro, ma è bastato sapere chi
era sua moglie…patratac era diventato una fitinzia.
Mi ricordo anche di Marco un ragazzone sui trent’anni,che
frequentava il “Mocambo” era uno che lavorava sempre.
Anche la domenica invece di riposarsi, andava a vendere
popcorn e noccioline a San Siro. Non per guardarsi la partita di
straforo, o per stare in mezzo alla gente, il suo obiettivo erano
i soldi, poi la sera e andava fare lo stesso lavoro di ristorazione
al cinema fra il primo e il secondo tempo.
Pillico, a stento si prendeva un caffè.
Viveva con la madre, e ragionava che sembrava disusato.
- E’ stato sempre cosi, disse un avventore, era un mio compagno
di scuola: antipatico,vecchio, tirchio, cacasotto…
Non era stato mai fidanzato, aveva una fame di pilu, ma soldi
non ne voleva spendere…in nessun senso.
S’era invaghito di Sara una commessa della panetteria di
fronte al bar.
Tutti eravamo ammaliati di quella picciotta, alta, e rossa paria
Rita Hayworth nel film “Gilda”, nessuno ci aveva mai combinato
niente.
Un giorno, ci mettemmo d’accordo con la ragazza, ed
organizzammo uno scherzo a Marco.
Sara lo chiamò sul telefono del “Mocambo”, fissandogli un
appuntamento, per sabato sera, in una piazza lì vicino.
Lui abboccò, uscì serafico dalla cabina del bar ed andò via.

La sera dopo in piazza XXIV Maggio c’era Marco tutto
intappato, era andato dal barbiere, s’era fatto una pettinatura,
sembrava Renato dei Profeti, con la macchina lucida, che
specchiava.
Naturalmente Sara non si presentò, lasciandolo con un palmo di
naso, ad aspettare tutta la sera.
Tutto qui? No, due sere dopo Marco si presentò al bar, appena
entrò un silenzio tombale, ma il suo saluto venne ricambiato.
Al solito, dopo avere babbiato con qualcuno, prese un caffè,
quando gli occhi si fermarono in alto dietro il bancone…pieno di
fotografie che lo ritraevano tutto tirato in piazza XXIV
Maggio che aspettava inutilmente…
Il tutto era stato immortalato da Tito un docente di fotografia
che insegnava all’ITSOS di Milano.
Il giovane, non mise piede al “Mocambo” per due settimane.
Seppi che qualche anno dopo aveva sposato una ragazza madre
di una bambina, con lei aveva avuto altri due figli…a lui il
matrimonio aveva fatto bene!
L’ultimo personaggio che andrò ad illustrare si chiama Giovanni
un muratore siciliano di Strasatti, vicino Mazara.
Ha lavorato per circa sei mesi a Milano per la ristrutturazione
di un palazzo.
Mastru Vanni, spesso si concedeva un break e veniva a prendere
il caffè, al bar Mocambo, sempre ristretto ed amaro.
Da buon siciliano consumava ed usciva dal locale, si piazzava
davanti e si svampava una sigaretta, due, tre…e commentava il
passeggio.

Aveva un approccio folcloristico e desueto ( aveva circa
sessant’anni), con i passanti; alcune volte era scurrile,
dipendeva dalla persona in oggetto.
Ad una femmina che gusto stava assaporandosi un cono gelato,
l’apostrofò:
- Ma comu allicchi beni signorina!
Ad una ragazza che per caso passava da lì disse:
- Curù un mi rici nenti?
La ragazza, che era siciliana, rispose prontamente:
- Curnutu…t’abbasta?
E lui non perdendosi d’animo:
- Accussì picca?
Ma quello che rimase indelebile per alcuni anni al bar di via
Torricelli, era l’approccio quasi selvaggio che aveva quando
passava qualche ragazza particolarmente dotata ed attraente.
Emetteva uno strano rumore con il naso (tipico in alcune parti
del meridione).
Tutti impararono quel verso ,al Mocambo, ci fu un’ affiatamento
comune di ogni ordine e grado, polentoni e terroni, ricchi e
poveri, interisti e milanisti, democristiani e comunisti tutti
indistintamente quando vedevano passare qualche bella ragazza,
non commentavano più, ma nitrivano: NNNKKKKRRR.

Pari n’ariddu
I nonni sono una risorsa, una volta vivevano con i figli ed erano
rispettati per quello che rappresentavano (per la maggior
parte), persone anziane pieni di esperienza e buoni consigli.
Venivano accuditi e coccolati, adesso sembra che questo
rapporto con i parenti più anziani, sia viziato dai quattrini.
Attualmente tutte le persone della terza età hanno una
pensione, qualche volta supportata anche da un assegno di
accompagnamento, denaro liquido che fa comodo a tante
persone. Sono una risorsa, ancora adesso!
Ma adesso che siamo diventati “moderni”, per accudire i nonnini
si è fatto ricorso alle badanti.
Nel meridione quelle che hanno fatto breccia sono state le
signore dell’est Europa, prima le moldave a cui si sono accodate
le rumene, persone affettive che spinte dal bisogno vengono a
riparare anche da noi in Sicilia.
Mi ha raccontato una mia zia, che a casa di un suo vicino era una
arrivata una ragazza rumena , sulla trentina, che ha fatto da
curante alla moglie, con seri problemi di deambulazione.
Una giovane donna veramente brava, laboriosa, ordinata,
accudente ed affettuosa…un po’ troppo secondo la moglie,
soprattutto con il marito con cui si cattigghiava t’annicchia.
La badante è stata sostituita con una signora attempata chi
paria nà tedesca, che non suscita nessun impulso affettivo.

Ma il pensionato, ex direttore dei cantieri navali, era rimasto
affezionato alla ragazza rumena, ed essendo una persona a
modo, sembra le abbia preso in affitto un appartamento vicino
alla villa (appena licenziata la poverina non sapeva dove andare a
dormire), ed ogni tanto da persona educata, per non essere
scortese, va a farle visita.
In questo frangente il signor Nunzio sembra essere ringiovanito,
ha cambiato look, si è fatto crescere un paio di baffetti, sempre
ordinato, veste sportivo con colori vivaci, si è comprato uno
scooter, ed è sempre sorridente.
Ha qualche anno più di questa mia parente piuttosto ammaccata
e sofferente, ma non c’è comparazione!
- Pari un picciutteddu!! Un pigghia l’ascensori, scinni à peri du
sestu piano, sauta, pari un ariddu! Enuncia la mia consanguinea.
La moglie, compagna di scuola di mia zia, un giorno la mandò a
chiamare, congedò con una scusa la badante crucca e le confessò
tra le lacrime, che il marito si era mangiato tutti soldi che
possedevano, per la sua ex badante.
Meno male che avevano precedentemente donato le proprietà ai
figli, se no pure quelle si sarebbe venduto per quella…
Mia zia Vitina, donna di grande saggezza le ha chiesto:
- Ma ti rispetta?
- Comu no! È così premuroso, manco quando eravamo sposini era
così, arriva sempre con un pensiero un regalino, un fiore, un
gelato…
- Allura chi voi, rommi ‘ncasa…ti tiene in considerazione…chi voi,
facci fari quacchi autru sautu a st’ariddu!!

Cani? Cani…
C’erano due comparuzzi uno siciliano e l’altro calabrese.
Per il periodo di Pasqua l’amico siculo decise di fare una visita al
suo compagno, al di là dello stretto e portargli in regalo una
capretta.
‘nZino non aveva tanti soldi, appena il giusto per pagarsi il
biglietto di andata e ritorno del traghetto, purtroppo, anche
l’ovino doveva pagare una tariffa, perché tutte le bestie,
tranne i cani, dovevano remunerare il pedaggio.
Rinunciare?
Non era possibile, erano due anni che non vedeva il suo compare
di matrimonio!
Pensa che ti pensa, trovò una soluzione: avrebbe protetto la
capretta con una vecchia coperta, facendola passare per cane.
Prese una coltre , coprì per bene l’animale, si avviò al porto, con
calma salì sul ferryboat, per andare in Calabria, si sedette su
una panchina esterna e si mise ad ammirare il paesaggio.
Dopo un po’ passò il controllore, il viaggiatore mostrò il
biglietto, quindi indicando il quadrupede chiese:
- E l’animale?
- Cani!
- Cani?
Il bigliettaio, sospettoso, alzò la coperta dalla parte anteriore e
pose un quesito:
- Cornuto?
- Fatti suoi…rispose ‘nZino.

I polentoni impazziscono quando diamo un’immagine così
pittoresca della nostra Sicilia, non sanno che realmente
accadono questi fatti, basta avere l’attenzione e seguire alcune
dinamiche dei nostri conterranei.
Uno spaccato sociale della città di Trapani su cui attingere
avvenimenti folkloristici è all’interno dell’autobussu!
La gente che lo frequenta è quella meno abbiente che risiede in
periferia, pensionati, gente che va a lavorare, studenti che
“stampano”, qualche perditempo, ma è lì che si raccolgono alcune
sentenze epigrafiche, che viaggiando in macchina da soli,
parlando magari al telefonino, o ascoltando la musica a manetta
non si possono recepire.
Qualche anno fa, nella città falcata saliti sul pullman si poteva
evitare di timbrare il biglietto, ognuno sparagna come può.
Un freddo novembre, ad una fermata salì un signore tutto
infagottato, con un cappellino incarcato; equivocato per un
ispettore della SAU tutti indistintamente, per evitare la
ammenda, incominciarono a mettersi in fila per obliterare il loro
ticket, l’avventore, recepito il malinteso esortò con le braccia
alzate ed a voce alta:
- Fimmativi, un timbrati, un sugnu ù controllori!
Adesso appena saliti sull’autobus, l’autista ti esorta a obliterare
il ticket…ma non scoraggiatevi, per il teatrino che c’è all’interno
è tutto gratis non si paga biglietto!

‘A frutta marturana
E’ un dolce, di norma preparato nel periodo fra ottobre e
novembre, adesso puoi trovarlo tutto l’anno, anche qui al nord.
Il periodo dei Morti, come Natale, Carnevale, Quaresima,
Pasqua, Santu Patri, Santu Libettu, e a Maronna Assunta, sono
solennità canoniche a Trapani, e ad ogni evento, ci sono
tradizioni che ne definiscono il periodo.
Un po’ di tempo fa, la festa dei defunti, per noi picciriddi
siciliani era significativa, perché ci pervenivano tanti regali e
cosa ruci.
Ricordo una sera del primo novembre, potevo avere quattro o
cinque anni, stavo tornado da casa dei miei nonni, à Custunaci,
quando mio padre mi invogliò ad essere più celere nell’andatura,
perché da lì a poco le strade sarebbero riempite dei defunti.
- Facciamo presto e mi raccomando, non aprire gli occhi durante
la notte, perché i morti ti portano tante cose belle ma non
vogliono essere scorti, masinnò ti mettono à cocina (la calce)
negli occhi! Mi proferì.
La mattina del due novembre, appena svegli si incominciava a
cercare quello che i nostri antenati ci avevano donato, perché
simpaticamente le ammucciavano, per aumentarne il desiderio.
Era una felicità trovare un triciclo, un fucile che tanto avevi
aspettato, cercando ancora trovavi una pupa di zuccaru,
raffigurante un cavaliere, o un gallo, oppure una coppia di sposi
e infine c’era à frutta di marturana.

Dopo andavi a trovare al cimitero i “tuoi morti”, li ringraziavi
posando un fiore nel loculo, e proferivi una preghiera.
Quando mia figlia aveva cinque anni tornai in città per quella
ricorrenza , e volli farla partecipe alla tradizione.
La mattina del due novembre “l’aiutai” a cercare i regali, la
frutta di marzapane e la pupa di zucchero.
Capii subito, che non potevo far rinvenire “le mie sensazioni”,
a lei nata e cresciuta in Lombardia, pur con genitori meridionali.
Ci rimasi male.
Mi venne in aiuto qualche anno dopo, un racconto del Sommo:
“ Quando i morti persero la strada di casa”, da “Racconti
quotidiani” di Andrea Camilleri.
Leggendo quella narrazione, mi sono reso conto che erano
cambiati veramente i tempi e l’ imperizia non era solo vivere
lontano dalla Sicilia!
Ah, l’americani… “era megghiu nà fascedda di ricotta”.

Pilo
Nel mio percorso lavorativo, per un periodo, ho lavorato con
persone affette da disabilità.
Ragazzi con vari genere di svantaggi.
Ricordo in particolare Rita Pilo, una ragazzina nica nica e sicca
sicca.
Scendeva sempre per ultima dal pullman, che l’accompagnava al
centro di riabilitazione.
Si metteva in un angolo, portava con sé borse, borsine e borsette
piene di cianfrusaglie.
Quasi nessuno le rivolgeva la parola, era molto reattiva, alcune
volte violenta ed aggressiva.
Se era di buon umore andava nel suo laboratorio di sartoria,
oppure se ne stava in un angolo ferma per tutto il tempo,
immobile chi parìa nà statua.
M'incuriosiva, domandai alla sua educatrice che mi consigliò di
evitarla, la ragazza era permalosa, aveva mandato più di una
persona al pronto soccorso, poi mi disse quando si incavolava
usava un linguaggio impenetrabile.
Un muro invalicabile. Comunicare con lei era impossibile!
- Stanne alla larga! Ribadì la collega.
Una mattina Rita scese dall’ autobus, era particolarmente
arrabbiata, si collocò in un angolo e incominciò un soliloquio fitto
fitto con tono adirato, un linguaggio impenetrabile… che aveva
però una musicalità che a me sembrava notoria.

Ricordava la parlata della suocera di un mio cugino, che
proveniva dalla provincia di Enna, ella infatti articolava parole
così velocemente, che la figlia doveva tradurre alle altre
persone questo modo d'esprimersi.
Saranno le mie paranoie, metto la Trinacria al centro del mondo,
ho pensato.
Questa situazione si ripeté il giorno dopo, stavolta mi avvicinai
e la stetti ad ascoltare con più attenzione.
Non v’era dubbio! Si esprimeva come la signora Crocifissa ,
suocera di Domenico!
Incuriosito lessi la sua cartella anamnestica…e c’insertai.
La ragazza era nata a Milano, i genitori invece erano di Piazza
Armerina, si vede che in casa parlavano in siciliano.
L’incazzatura di Pilo durò anche per il giorno successivo.
L’indomani, eludendo i consigli della mia compagna di lavoro, volli
approcciarla.
Era ferma sembrava di marmo, mi avvicinai, le chiesi il motivo
della sua arrabbiatura.
Non mi rispose.
Domandai poi, se qualche suo compagno o qualche mio collega le
avesse fatto qualche torto.
Fece di no, con la testa.
- Allura picchì un và travagghi ò laboratorio? Ribadii
- Picchì ddu gran curnutu di me patri mi futtiu tutti soddi,
m’accattari n’à bossa e un n’haiu picciuli!
Disse velocemente in un millesimo di secondo!
- Ah, ma erano soddi toi?
- Si!
Non era vero, Rita era una ladra matricolata, quando voleva
fregare qualcosa, la realizzava.

Laddove adocchiava la preda, si avvicinava con apparente
disinteresse, se ne stava immobile come un rettile, sembrava
che dormisse ed invece curava la vittima, una distrazione e zac!
La roba era sua, dopo si eclissava velocemente.
L’episodio che mi aveva raccontato era effettivo solo in parte,
mi disse poi la sua educatrice.
La fanciulla infatti, aveva sottratto cinquanta mila lire dal
portafoglio del padre, che lasciava nella tasca posteriore dei
pantaloni, poggiati su una sedia quando andava a dormire.
Non era la prima volta che succedeva, la figlia nel cuore della
notte, mentre i genitori riposavano, si intrufolava nella loro
camera, sfilava il portafoglio al genitore e lo alleggeriva.
Questa volta aveva esagerato, il papà se n’era accorto e si era
ripreso il mal tolto.
E la ragazza era andata in crisi.
Consigliai alla mia collega, dopo questo episodio, di eliminare la
determinazione sul linguaggio stereotipato della giovane…
perché si esprimeva in siciliano strettissimo dell’entroterra.
Quando era particolarmente arrabbiata, Rita, stava ferma senza
mangiare né bere come un mulo siciliano, per tutto il periodo che
era al centro di riabilitazione, oppure incominciava ad inveire il
aramaico.
In questo caso mi chiamavano per cercare di tradurre il motivo
della sua incazzatura.

Sette e tri vundess (7+3=11)
“La matematica non sarà mai il mio mestiere”, un concetto,
tratto da una elegia di Antonello Venditti, che mia figlia si è
fatta riprodurre in una maglietta, in polemica con un professore
del biennio che l’aveva “puntata” per tutto il periodo.
Al triennio le cose sono andate meglio.
Come mai?
I docenti sono meno severi?
Alessandra sulla strada di Damasco… per niente!
Ha avuto una acutissima professoressa che ha impostato il
programma della scienza dei numeri con un ottica diversa.
Oltre ai normali testi scolastici, ha fatto acquistare ai suoi
alunni un romanzo di Denis Guedj “ Il teorema del pappagallo”
una piccola grande epopea dei numeri che non solo unisce
humour, suspense e scienza, che svela la trascinante vitalità
dell’«arida» scienza dei numeri.
L’insegnante partiva dal concetto, che i matematici anticamente
erano soprattutto filosofi, e approcciavano i numeri con una
logica che non era meramente meccanica.
Ed ai ragazzi conseguire questo sistema è piaciuto molto,
acquisendo una razionalità nell’affrontare i problemi della
matematica che non trasmettevano ansia e terrore.
Se il 75% delle materie a debito, nelle scuole medie e in quelle
superiori, è relativa alla scienza esatta (dati del Ministero della

Pubblica Istruzione), qualche faccenda sul suo insegnamento,
forse, è da rivedere…
Capitò che una ventina di anni fa ero a Pantelleria, con un gruppo
di amici, ho conosciuto altri villeggianti.
Una sera accovacciati davanti ad un fuoco, vicino al laghetto
“Lo specchio di Venere”, posi una domanda ad un bauscia che si
vantava di essere milanese da generazioni:
- Scusa tu che sei meneghino da tanti anni, toglimi una curiosità
a me meridionale, ospite nella tua Lombardia: nella tua lingua si
dice, sette e tri vundess o sette e tri undess?
- Sette e tri vundess, rispose risoluto!
- Ah, così è? Perchè da noi in Sicilia sette e tre fanno dieci!
Grande risata di tutta il gruppo di persone, all’intrigante tranello
che avevo architettato; ma al mio interlocutore la risata
continuava ad asciddicare…un po’ troppo!
Dopo un po’ mi chiese, se capivo il senso della sua ilarità, feci
una facci alluccuta, “era una bella storiella ma sinceramente
c’erano altre narrazioni più simpatiche che…” comunicai senza
professare parola.
- Lo sai qual è il mio lavoro?
- Il lavoro che fa un cristiano a mia non mi interessa! Feci
prendendo a modello Marlon Brando nel Padrino.
- Sai, insegno matematica in un liceo!
Appunto, meglio non sapere!

Inter…ismi
Fino a qualche anno fa, scherzando (ma non troppo) ad alcuni
conoscenti, suggerivo per il bene dei loro figli, di convincerli a
tifare per la Juventus
- La Vecchia Signora è una garanzia, un’ icona da mostrare di cui
essere orgogliosi, sicuramente darà lustro, anche se le faccende
della vita per i vostri discendenti non saranno ottimali; se il
destino poi sarà favorevole, tutto sarà più gioioso, filoseggiavo.
Si sa poi come è andata a finire, la giustizia sportiva ha fatto il
suo dovere: adesso tutti campionati di calcio sono regolari, non
ci sono più partite appattate, gli arbitri sbagliano sempre in
buona fede, e non aiutano più le squadre in testa alla classifica.
Finalmente un po’ di rettitudine!
Purtroppo in quegli anni di “pani e allicari sardi” per gli interisti
qualche problemuzzu nella loro testa è rimasto.
Sono sempre , nevrotici, sfiduciati, sospettosi, ed ombrosi.
Si sentono vessati, sicuri che questa abitudine di vincere
campionati di calcio finisca, e che le partite ritornino ad essere
manovrate dai poteri occulti coalizzati contro la loro squadra,
così come palesemente accade in Europa per la Champions
League!
Oltre a lamentarsi fanno delle azioni ed hanno dei
comportamenti, che sostenere paranoiche è un eufemismo!

Questa primavera, ne ho conosciuto un paio a casa di un amico
che ci ospitava per vedere il derby d’Italia in televisione.
Ho scoperto che il primo, ci rimette ogni settimana un sacco di
soldi poiché per scaramanzia scommette presso le ricevitorie
contro la sua squadra.
- Non sai cosa ho passato in tutti questi anni, adesso che va
meglio per superstizione punto contro il mio club, stasera se
l’Inter perde guadagno sessanta euro, ne ho puntato venti che
sicuramente ci rimetterò , ma va bene così.
Doveva pensarci qualche anno fa, il gonzo!
L’altro suo compare invece, quella sera, assittannusi vicinu a mia
per vedere la partita trasfondeva preoccupazione!
- Ora fanno gol…la Juve ha una mentalità vincente…adesso
segnano! Ripeteva persistentemente.
Dopo che la sua squadra era andata in vantaggio, e il mach si
avviava verso la fine, questo sostenitore nerazzurro ancora
ribadiva.
- Adesso i bianconeri si scatenato, dalla panchina entra il
francese…quello non perdona…vedrai, vedrai!
Mucchela, volevo dirgli e mettergli a disposizione un cinque e
cinquantacinque per farlo calmare, rinforzato da un pugnittuni
nò ciriveddu, ma per non essere accusato di uso smodato di
poteri correzionali, non ho proferito parola, per mostrargli poi
un sorrisino ebete (da gobbo malefico) quando la squadra
avversaria ha pareggiato.
…E fu accussì che a nel maggio 2009, questi chiangiulini, vinsero,
stavolta meritatamente, il loro sedicesimo scudetto!

Incrocio alla marina
Un fatto accaduto, un caldo pomeriggio di giugno alla marina, in
viale Regina Margherita quando interseca via Generale Domenico
Giglio, una strada trafficatissima.
Due macchine di direzione opposta si incrociano, due donne
dall’abitacolo si sbirciano, si riconoscono, sorridono, si fermano e
dalla loro auto iniziano questo dialogo:
- Ma tu si? Dice la prima
- Sì, ma tu veramente tu si? Risponde l’altra.
- Sì, io sono, comu stai?
- Beni staiu, e tu?
- Io pure, quantu tempu che non ci vediamo!
- Unca, nà vita!
- Ti maritasti?
- Certo, haiu du figghi, e tu?
- Io pure, quattro picciriddi, ora mi fimmai, però!
- E to matri?
- Mossi!
- Mi dispiaci, mischina, à signura Angiulina, com’era brava…
- E tò frate?
- A Milano!
- Tutti dda vannu?
- ...E si mettinu puru a dutturiari!

Nel frattempo che la discussione andava avanti, il movimento
d’auto, già congestionato di suo, rimase fermo immobile, le due
macchine avevano letteralmente paralizzato il traffico.
Un attempato signore, in coda una decina d’auto dietro, scese
dall’auto si recò senza fretta vicino alle due dialoganti e chiese
dopo un po’ se per favore potevano muoversi perché erano
ferme da cinque minuti.
- Ma non ci vediamo da vent’anni! Rispose una delle signore.
- Allora scusate, disse l’uomo, alzando le mani in senso di resa!
La voce si sparse e qualche incauto automobilista che
spazientito aveva incominciato timidamente a suonare il clacson,
smise immediatamente.
Bella storia, vero?
Si la ponnu ammuccari i pulintuna, in realtà nella città falcata la
pazienza degli automobilisti è una chimera, sono tutti eccitati.
Quando ritorno in città preferisco, andare a piedi o prendere
l’autobus, in parte per godermi il territorio urbano, ma anche
perché guidare a Trapani…
Tutte le volte che prendo la macchina, prima devo riabituarmi a
guidare alla trapanese, poi quando mi riapproprio della
consuetudine devo ripartire, uno stress!!
Quando si sta guidando, laddove la vettura è ferma al semaforo,
un decimo di frazione di secondo prima che scatta il verde, il
veicolo posteriore, con un colpo di clacson ti incita a muoverti!
Quest’estate la sera del 16 agosto, era tutto paralizzato,
intorno alla villa Margherita, nonostante questo alcuni
suonavano “a minchiam”.
Il guidatore dietro di me era il più esagitato… sono sceso
dall’auto, mi sono avvicinato e l’ho apostrofato:
- Si si chiù spettu, passa tu!
- No ù facia accussì per abitudine, mi rispose imparpagliato!

Un po’ di anni fa ero sull’autobus , che era arrivato quasi a
piazza Vittorio Emanuele, allorché il traffico si bloccò
improvvisamente, non si mosse nessuno.
Non c’era motivo apparente perché questo accadesse, le
macchine strombettavano, c’era un concerto dissonante.
Si è capito dopo che si era guastato il semaforo, ed un vigile si
era preso la briga di dirigere il traffico, che si era incasinato
totalmente.
Era meglio fare autogestire tutto ai miei concittadini, un cenno
del capo, nà scacciata d’occhio, un lampeggio di fari...e si viaggia
tranquillamente, ma la guardia municipale ha voluto fare di testa
sua ed ecco il risultato!
Un attempato viaggiatore, chiese all’autista del pullman di
spalancargli cortesemente la portiera , quello gentilmente l’aprì,
il cliente si sporse e strillò:
- ‘A curpa unnè tua e di ddu cretino chi ti misi stù fiscaletto
‘mucca! Disse rivolgendosi al vigile urbano.
Aforismi trapanesi!

Fate uscire vostro marito da sotto il letto!
- Qu’è chi cumanna ‘ncasa tua? Era la domanda che il maggiore
dei miei cugini mi chiedeva quando ero piccolino, avrò avuto due o
tre anni.
- Me patri e di sutta ù lettu un nesci! Rispondevo.
- E picchì un nesci? Rilanciava.
- Picchi è iddu chi cumanna! Ribadivo.
Era una metafora, nel senso che ha comandare erano le donne e
gli uomini per la paura di buscarle si ammucciavano sotto il
letto.
Ma io ero picciriddo e queste leziosità non riuscivo a coglierle!
Ricordo questo mio familiare con particolare affetto, e sono
rammaricato che oggi non possa leggere queste mie riflessioni.
Lo scorso anno per il periodo di ferragosto sono tornato in città,
ed ho avuto la soddisfazione di assistere al trasporto del
simulacro della Madonna di Trapani condotta in un carro da due
grossi buoi, cosi come racconta la leggenda e ripercorsa solo
qualche volta dopo l’ultima guerra.
E’ stato una manifestazione magnifica, alla marina con c’entrava
una spingula, la gente accalcata non voleva perdersi questo
spettacolo impareggiabile.
L’indomani, quando l’ Immagine Sacra era stazionata a San
Lorenzo, ho assistito alla predica del vespro, che il celebrante
(sempre quello) ha fatto, dal pulpito della cattedrale.

Si rivolgeva alle persone presenti, tutte adulte:
- Voi mi potete ascoltare, i vostri figli, i vostri nipoti, non ne
hanno la capacità, sono contaminati dal suono dei loro auricolari
e dalle casse dei loro stereo , neanche gridando mi potrebbero
sentire.
- Voialtri siete una risorsa, continuava il prelato, siate umili però
non arrabbiatevi sempre, molte volte lo si fa per cose futili. Per
inezie nelle famiglie ci sono ostilità, per niente.
- Lo dico a voi mogli soprattutto, disse terminando l’omelia,
siate condiscendenti, fatelo uscire vostro marito da sotto il
letto, dialogate, conciliatevi, sapeste quante persone mi
confidano che non c’è più pace in casa per un non nulla!
Il sacerdote ha il polso della situazione, ho pensato, ascolta le
confidenze di tutti.
Che raffinatezza poi, “fatelo uscire vostro marito da sotto il
letto”, solo un trapanese ai suoi concittadini poteva comunicare
una cosa del genere, e trasmettere con una frase
apparentemente senza senso un concetto assoluto, universale.
Ma allora è vero, non è una diceria…comandano le donne in
Sicilia, mi sono detto!
Jò chi sugnu milanesi, sono rimasto alluccuto!
Cà supra sti cosi un succerinu!

Libbra
Da adulto i libbra, quando dovevo carriare la roba da una casa
all’altra, sono stati sempre i pesi più consistenti, ponderosi e
preziosi.
Ho sempre ambito primariamente non a beni mobili, o immobili,
oppure a piccioli, ma alla acquisizione di sapere: una sete
atavica, ho sempre apprezzato ed invidiato chi possedeva
questa fonte di ricchezza.
A Milano ci sono tante biblioteche comunali, punto di ritrovo e
svago, che aiutano ad accedere gratuitamente alla conoscenza,
dove puoi scialarti a leggere tante pubblicazioni, o portartele
comodamente a casa.
Nella mia città di origine non ci sono biblioteche (che sappia io),
a parte quella Fardelliana o quella Arcivescovile; c’è qualche
negozio di libri specializzato in concorsi lavorativi o per
acquisire incarichi professionali, una delusione ma...
…’a loggia, nel salotto di Trapani, c’è una libreria di nicchia, dove
si possono trovare, tante pubblicazioni sulla storia della città
falcata, sulla Sicilia e tanti trattati di bravissimi autori
sconosciuti.
L’ho sempre frequentata, ma mutanghero come sono, non ho
espresso che poche parole con il gestore.
Guardavo, sceglievo e compravo i testi da solo.

Il titolare doveva essere senza altro una persona degna di
attenzione, intuivo che amava i suoi prodotti e oltre a venderli,
i libri, li leggeva e senz’altro conosceva personalmente alcuni
scrittori e poeti.
Sicuramente una fonte di sapere e di conoscenza!
Due estati fa, rimovendo parte della mia timidezza, ho fatto
una chiacchierata con un libraio della loggia.
Prima gli ho domandato se avesse un testo del mio vecchio
professore Lorenzo, che mi ha fornito.
Poi gli ho chiesto se possedesse qualche divulgazione che
parlasse esauriente della storia di Trapani.
Mi propose un volume unico di Mario Serraino “Trapani
Invittissima e Fedelissima” divulgazione più che soddisfacente,
ma evidenziò che, avendone l’editore prodotto una tiratura
limitata, purtroppo non ne possedeva.
- Ma jò ci l’haiu ddu libbru, gli ho enunciato.
- Ah, sa che me lo chiedono in molti? …Se me lo vuole vendere…
le faccio un ottimo prezzo! Ha ribadito
- Signor Francesco se ho bisogno di soldi m’impegnu l’oru, ma i
libbra mai, un mì li vinnu!
- Lei mi piace come ragiona, mi disse, stringendomi la mano.
Quest’anno quando sono sceso per i Misteri l’ho omaggiato con
una copia del mio “ I Cunta”.

‘U bisitu
La morte di una persona cara è sempre dolorosa, perché si ci
rende conto che è una separazione definitiva.
Non siamo preparati a quest’evento, obbligo nel nostro
itinerario, perché laici o credenti, inconsapevolmente, pensiamo
di essere immortali!
Ogni territorio affronta questa rattristante circostanza ,
secondo le proprie tradizioni e costumi.
Al nord sono apparentemente distaccati, certo meno plateali.
Nelle regioni meridionali, il coinvolgimento emotivo è molto
appariscente e pregnante.
Essendo armai cittadino lombardo (?!) non so, se ‘u bisitu a
Trapani sia rimasto lo stesso di qualche anno fa.
Allora, quando il proprio caro passava a miglior vita, la veglia
funebre della salma avveniva nella camera da letto allestita
con candele e fiori, con i parenti più stretti che rimanevano
tutta la notte a vigilarla.
La stanza attigua era piena di gente, altri congiunti, vicini di
casa, amici, conoscenti.
All’interno di quest’ultimo nucleo c’era un gruppo di signore (che
riscontravi solo in quell’evento), dall’età imprecisabile, vestite di
nero che declamavano delle preghiere.
Erano loro che davano il tempo per le implorazioni, a voce bassa,
murmuriavano, si intuiva solo che recitavano delle orazioni.

Ogni tanto una di loro alzava gli occhi al cielo, le mani nella
stessa direzione, e sbraitava:
- Com’era brava, com’era bona! Diceva ricordando la deceduta, le
sue compagne tistiavano, ondulano in avanti il capo, rafforzando
questa asserzione.
- Madre esemplare e moglie perfetta, continuava, picchì, picchì…
una famiglia rovinata! Questo succedeva anche se la defunta
aveva passato la novantina.
Se questo “coup de theatre” succedeva di notte e
malauguratamente qualcuno si era assopito, era un colpo
apoplettico che poteva essergli fatale!
Erano tempi teatrali acquisiti da generazioni, e si tramandavano
da madre in figlia.
C’era all’interno del bisito, anche un maestro di cerimonie,
generalmente una parente acquisita, che con la faccia di
circostanza, fazzoletto in mano, accoglieva gli ospiti e
mestamente li conduceva nella stanza del morto.
- Grazie, grazie di essere venuto, sunnu tragedie! Siamo di
passaggio in questa terra…polvere eravamo e polvere
ritorneremo! L’accompagno nà cammara, pari chi rommi,
mischina! E si asciugava le lagrime.
Realmente straziante era invece quando arrivavano i necrofori
per portare via la defunta.
Alcune consanguinee, prese da un viscerale isterismo, non si
davano pace e si opponevano alla rimozione del parente defunto,
alcune volte bisognava portarle via a forza.
Poi c’era il trasporto al cimitero, dietro la bara una lunga fila di
parenti, amici e conoscenti, tutti a peri andavano
all’accumpagnamentu.

C’era molto rispetto per questo evento, mentre il feretro
passava nel quartiere dove risiedeva, gli uomini si toglievano il
cappello, le donne facevano il segno della croce, le putie
chiudevano la porta in senso di ossequio.
Anticamente il bisito canonico ‘nTrapani durava nove giorni.
Le prime erano giornate veramente di dolore, per i familiari che
per la collora rimanevano nella casa tutto il periodo, come se il
mondo si cristallizzasse.
Ci pensavano parenti, amici e vicini di casa, a sostenerli portando
cibi e bevande, in maniera sobria, perché in quel periodo non si
mittia pignata.
L’esteriorità del lutto aveva poi una codificazione: la moglie
vestiva di nero “in eterno” finché campava, figli,figlie nuore e
generi per due anni, altri parenti a forfait.
In alcune famiglie la vedova per un anno non usciva di casa,
manco per andare al cimitero.
Adesso, alcune apparenze sono state eliminate, anche se nella
testa della gente alcuni stereotipi sono rimasti.
Mia madre mi ha raccontato che all’inizio del 2000 dopo
vent’anni dalla morte del marito, aveva spezzato il lutto,
indossando una gonna grigio chiaro, alcune persone che la
conoscevano solo di vista si sono girati alluccuti a taliarla!
Man mano che ci allontanava dal giorno del decesso,il bisito
diveniva meno stretto, un po’ più leggero, richiamando il detto:
“Un c’è matrimonio unni si chianci e un c’è bisitu unni si riri”.
Qualche anno fa, a Milano, è morto il padre di un mio carissimo
amico.
In chiesa, nel mezzo della funzione religiosa, è arrivata
trafelata una signora (anche lei dall’età indefinita), si è seduta
nella mia panca, salutando con un cenno del capo.

- E’ il funerale della signora Bianchi? Mi ha chiesto dopo un po’.
- No, il defunto è l’ingegnere Rossi. Ho replicato
- Guardi mi hanno detto che il funerale della signora Bianchi era
alle 10,30 qui nella chiesa di Santa Rita. Ha rilanciato la
signora.
- Signora, si sbaglia in quella bara c’è un uomo, ho riproposto
risoluto e infastidito.
E’ rimasta in silenzio per un paio di minuti, poi ha declamato:
- Ma allora, vuoi vedere che la funzione è nell’altra parrocchia,
quella di Santa Rita e San Michele, al Corvetto?
- Scusatemi Ho sbagliato funerale,! Dopodiché si è velocemente
eclissata.

‘U Trapani
Cuore granata da sempre.
Frequento lo stadio dagli anni sessanta, mi ci portava mio zio
Peppe, avevo appena otto anni.
Allora il Provinciale non era così strutturato, c’era la gradinata la
curva, e il prato…dove adesso c’è la tribuna, era il posto più
popolare, dove i tifosi guardavano la partita in piedi, a bordo
campo.
Quella passione mi è rimasta e in età adolescenziale seguivo la
squadra granata tutte le domeniche in casa, dalla curva
naturalmente, mio zio andava in gradinata.
Spartuti in casa…perché in trasferta ci riunivamo.
Non faceva promesse lo zio, quando il Trapani giocava fuori casa,
la domenica verso le undici avvicinava a casa e mi apostrofava.
- C’emu a Mazara?
In un lampo mi preparavo (jò ch’era nà naca) e andavamo in
trasferta, Alcamo, Bagheria, Castelvetrano, Agrigento.
Una volta, in macchina, tornati dal derby con il Marsala, dopo
averli mazzuliati con una doppietta di Ascatigno, un gruppo di
ciaciari ci aspettò fuori paese lungo la via nazionale e ci prese a
carcocciulati…meno male che non avevamo una cabriolet!
Il Trapani allora giocava in serie C, ed ho visto calciatori di
levatura superiore, che potevano giocare anche nella massima
serie, uno in particolare era mitico, Nicola Celano.

Una mezz’ala sinistra che faceva delle cose grandissime, di una
intelligenza tattica straordinaria, dava la palla sempre di prima,
quando poi aveva il pallone e voleva babbiare, l’ammucciava
facendo impazzire gli avversari… e noi che lo ammiravamo. Un
grande!
Andare in curva era una passione ma anche uno spasso, da
sempre la tifoseria più entusiasta, novanta minuti di incitamento
di persone sfegatate ma corrette, non come quelli tristemente
famosi di adesso.
Allo stadio c’erano dei personaggi leggendari, ne ricordo uno “‘u
russu”, un capo popolo.
Ogni tanto, incitando la squadra del cuore, si faceva venire ‘a
sticchiara, mimando una crisi nervosa e convulsiva, posandosi
fra le braccia dei suoi vicini.
Sembrava venire da un altro pianeta, non l’ho mai incrociato
fuori dallo stadio, lo rivedevo solo per la Processione dei Misteri,
perché faceva il massaro.
In età adulta, ho assistito a tante partite di calcio, girato un
sacco si stadi, il Bernabeu, San Siro, la Favorita, l’Olimpico di
Roma e quello di Torino…naturalmente!
Ma in curva al Provinciale… ci sono tornato nel novembre di due
anni fa dopo quasi trent’anni.
Mizzica che emozione…il cuore paria chi mi stava scoppiannu!
Un nodo alla gola, penso che il mio viso fosse diventato paonazzo
dalla suggestione.
Appena entrato mi sono bloccato, comu un mulu, le gambe non
volevano muoversi…ma che succede?

Niente di preoccupante, un riflesso condizionato, mi giro c’era
un carretto dove vendevano caccavetta, simenza e ciciri mi
l’accattai… e ricominciai a spostarmi.
Vado per assittarmi, qualcuno mi chiama.
A mia?
Dopo trent’anni al Provinciale c’era qualcuno chi mi conosceva?
Era un mio vicino di casa.
Ero tornato nella mia curva!!
La partita non era stata granché, il Trapani, capolista del suo
girone, aveva giocato senza uno schema preciso tutti appresso il
pallone, ma aveva vinto.
L’indomani mi lamentai telefonicamente con il mio mentore,
dell’approssimativo giuoco dei granata, che mi apostrofò:
- ‘U sacciu, sunnu comu scecchi appagnati, chi voi…ti pari chi c’è
Celano? Disse serafico lo zio Peppe.

Poesie

‘U Misteri di me Patri
Beddu è u Misteri di me Patri.
Magnifico, pari femmu ma è sempri in “movimentu”
San Petru, pari proprio chi ci tagghia l’aricchia à du suddatu
E lù Signori pari veramenti rassignatu.
Quannu nesci, ‘u Misteri di me patri,
s’annaca sulu sulu.
E quannu passa da sò putia poi,
ricinu li massari, chi pari chi lù voli salutari
e si gira sulu sulu, à manu dritta
puru ora chi sta nà farmacia!

Il Mistere di mio Padre
Bello è il Mistere di mio Padre
Magnifico, appare fermo ma sembra che “si muova”.
San Pietro, sembra davvero che taglia l’orecchio a quel soldato,
e il Signore sembra davvero rassegnato.
Quando esce dalla chiesa, il Mistere di mio Padre
sembra che ancheggia da solo.
Quando passa dalla sua bottega poi,
dicono i massari, che lo vuole salutare
e inconsapevolmente da solo si gira a destra
anche adesso che c’è una farmacia.

Mi votu e mi rivotu
V.Alberti
Mi votu e mi rivotu suspirannu,
passu li notti ‘nteri senza sonnu,
e li biddizzi tò vaiu cuntimplannu,
li passu di la notti finu a ghiornu.
Pi tia non pozzu ora chiù durmiri
paci non havi chiù st’afflittu cori.
Lu sai quannu ca iu t’hai a lassari?
Quannu la via mia finisci e mori.

Mi giro e mi rigiro
Mi giro e mi rigiro nel letto, sospirando,
passo tutte le notti insonne
contemplando mentalmente le tue bellezze
tutta la notte, fino a che non viene il giorno.
Per te adesso non posso più dormire
non ha pace il mio cuore afflitto.
Lo sai quando ti lascerò?
Solo quando la mia vita finirà.

Lettere a Corradino beddu

Pubblicato il primo libro fui subissato di domande, richieste e
istanze di ogni genere.
Sapendo che di mestiere facevo il conseleur sociale ed ero un
trapanese doc, profondo conoscitore degli usi e costumi della
città falcata, mi arrivarono un sacco di richieste.
Ah, la notorietà!
Decisi allora, di divulgare una e-mail a cui avrei risposto a tutti
prendendomi naturalmente il tempo necessario.
L’indirizzo, ancora attivo, è :HYPERLINK
"mailto:corradino.beddu@alice.it" corradino.beddu@alice.it
Vorrei riportare i messaggi più significativi.
Cristina: “Carpe diam”
Enrico: “Il fiume Jato”
Betta: “I corna all’inizio fanno male, poi aiutano a mangiare”
Angela: “No lettu cu me maritu jò mi c’haiu a curcari!”
Rosalba “Gelsomino e panna ”
Cecilia: “Figghi di tri padri diversi”*
*Ideato e redatto nel febbraio 2009

Signor Corradino beddu avrei da proporti un problema.
Mi chiamo Cristina sono una marchigiana e lavoro alle Poste, una
decina di anni fa a Macerata, conobbi e sposai un trapanese che
lavorava con me.
Fu un matrimonio d’amore, allietato dalla nascita di due
bellissimi figli.
Dopo alcuni anni ci trasferimmo nella città falcata.
Che errore!
All’inizio tutto bene, poi mia suocera adagio adagio si è
intrufolata nel nostro rapporto, inquinando le dinamiche
familiari, arrivando anche a dettare legge sull’educazione dei
miei figli!!
Mio marito circuito dalla madre, non solo patteggia per lei, ma
minaccia addirittura la separazione e di togliermi bambini.
Cosa mi consigli?
CARA Cristina, il problema delle suocere da che mondo è
modo è sempre stato una sciagura all’interno delle famiglie.
Trapani non è diversa da tutte le altre città, c’è però un
mezzo per affrontare questo problema.
Era d’uso anticamente invitare a pranzo la madre della
marito e…non avvelenarla, ma prepararle un piatto speciale:
“pasta affucasoggira”.
E’ un piatto semplice, e molto popolare nella nostra zona.
Compra della pasta tipo Iolanda (reginelle), appena cotta la
condisci con aglio olio e peperoncino fritti aggiungi poi mollica
abbrustolita, che hai preparato precedentemente.
A tua suocera all’interno del piatto mettici più mollica che
puoi, vedrai che c’agguppa ne cannarozzi e si strozza!!

Caro Corradino beddu, ho seguito il tuo consiglio, ma non è
andato così come previsto.
Ho fatto un bel piatto di pasta a mia suocera (quasi 150
grammi)…si l’ammuccau in un baleno , paria nà mangusta!!
Io, mi stavo affucannu per la rabbia! Dove ho sbagliato?
Cristina mia sei ancora giovane e inesperta, non hai mai
visto la trilogia del padrino, vero?
Nella terza parte, al suo giovane e intemperante nipote,
“the godfather” gli suggerisce di non odiare l’ antagonista,
perché questo sentimento annebbia la vista, e non si ha la
limpidezza per potere procedere logicamente.
L’ esortazione che ti ho suggerito, l’hai presa troppo alla
lettera. Non avere fretta, il tempo è galantuomo.
Aspetta e…carpe diem.
Caro Corradino beddu, sono Cristina, ho elaborato il tuo
suggerimento…e ora sono a Macerata… con mio marito e i miei
figli.
Ad ottobre dello scorso, è uscito un concorso interno alle Poste,
per funzionario, 10 posti erano nella mia regione!
Quale occasione migliore?
Ho convinto mio marito a prepararlo e se lo avessimo vinto un
domani (un lontano domani), saremmo ritornati a Trapani.
Entrambi abbiamo superato quest’esame ed eccoci qui!
Adesso mi gusto la mia famiglia e…Trapani quando torno,
specialmente per la Processione dei Misteri!
Ah, mia suocera ha capito tutto… ma muta stesi, ‘nguttumata.!
Grazie di cuore.

Signor Corradino beddu, mi chiamo Enrico vivo in Val d’Aosta
avrei una questione da porle.
Quest’anno per le vacanze estive vorrei fare un tour di quindici
giorni in Sicilia.
A mio cognato lo scorso anno una rinomata agenzia di viaggi gli
ha proposto un giro nella zona del fiume Jato a visitare i posti di
uno sceneggiato proposto in tv.
Secondo lei è da considerare questo suggerimento?
SIGNOR Enrico, in Sicilia per due settimane le propongo di
fare un giro in una provincia, massimo due, e fare dei
percorsi gastronomici, culturali e…di tutto riposo.
Partigiano come sono, le consiglio il circondario di Trapani
naturalmente: visiti le saline, la riserva dello zingaro, il
monte Erice, Segesta, Selinunte, le isole Egadi e poi…
faccia un tour nella città falcata e si rechi nella zona
vecchia,visiti la chiesa dei Misteri, inoltre vada a mangiare il
“la rianata” da Calvino non se ne pentirà.
Certo non nego che la superficie del fiume Jato è una
delle più suggestive della Sicilia, ma suggerisca a quella
ciolla persa di suo cognato, la prossima volta di rivolgersi ad
agenzie di turismo meno titolate, ma più serie, e di cambiare
(se ci riesce) genere di letture.

Signor Corradinu beddu, mi chiamo Betta, ho 45 anni, ho una
questione da sottoporle, una imprevedibile situazione che mi fa
rimuginare un sacco di dubbi.
Sono felicemente sposata, con tre bellissimi picciriddi, mio
marito, lavora in banca, lo stipendio è uno solo, ma riusciamo con
un buona gestione a vivere dignitosamente.
Ultimamente, è arrivata al lavoro del mio partner, una nuova
dirigente, una bella quarantenne, intraprendente e simpatica.
La nostra situazione economica è repentinamente cambiata, le
entrate sono molto incrementate, adesso possiamo permetterci
un sacco di spiticchi che prima controllavamo.
Il problema purtroppo è che la mia dolce metà è sempre fuori al
lavoro a fare straordinari, anche la sera tardi!
Ho qualche sospetto…mi devo preoccupare?
CARISSIMA Betta, chi voli i piccioli fanno comodo a tutti,
si goda questo momento di benessere economica, ma
conservi anche un po’ di denaro, pensando al futuro dei suoi
figli, e poi faccia suo questo detto: i corna prima fannu
mali, poi aiutano a mangiari.

Signor Corradino beddu, sono Angela una ragazza trapanese di
22 anni. A maggio mi sposo, con l’amore della mia vita, un
ragazzo che conosco fin dalle scuole elementari.
Tutto bene…cioè no…un problema c’ è…mia suocera.
E’ sempre fra i piedi ad ogni discussione mette la sua opinione,
anche nella scelta della mobilia.
La camera da letto, la porta in dote mio marito (ma siccome la
paga idda) è propensa a farmene prendere una di suo gusto!
”Ma no lettu cu me maritu jò mi c’ha curcari!”
Mia madre mi consiglia di avere un atteggiamento simile a quello
che lei ha avuto con la propria suocera, appena sposata “un ci
fici viriri chiù a sò figghiu”!!
Mi sembra una decisione troppo conflittuale e vecchia.
Mi rivolgo a lei che abita a Milano da tanto tempo, ma è un
trapanisi cà scorcia!
Che consiglio mi runa?
BRAVISSIMA Angela, incominci a smarcarti da certe
tradizioni ottuse che si ripercuoteranno inevitabilmente
anche sulle generazioni successive!
Ho l’impressione che sia una lotta fra femmine: tuo marito
è citato come un oggetto da governare, mentre tuo padre e
tuo suocero non sono menzionati ( a meno che non sono
deceduti) in queste dinamiche familiari.
Che ha comandare sono le femmine e i maschi fanno quello
che dicono le madri e le mogli, è risaputo, il matriarcato è
dominante in Sicilia!
In queste dinamiche c’è, secondo me, un momento per la
pace e uno per la guerra.

A mio parere, bisogna iniziare a discorrere con le figure
complementari, i partner, i masculi!
Inizia con la conciliazione, con il dialogo.
Parla con tuo futuro marito, diglielo chi nò lettu c’aviti a
curari vuiatri, enunciaglielo garbatamente però, sei fimmina
e c’arrinesci se voi!
Ma soprattutto quando ti nasceranno i figli, comincia da
loro, maschi e femmine che siano, a farli ragionare
diversamente, sei sulla buona strada!

Signor Corradino beddu, Mi chiamo Rosalba sono una signora di
sessant’anni, abito a Trapani, volevo proporle una questione.
Ho una bella famiglia, un marito bravo,e due splendide figlie,
sposate e sistemate.
Ma ho un problema che ultimamente non mi fa dormire la notte.
La più grande delle mie figlie, una professionista stimata,
quando andiamo a prendere un gelato, prende sempre il gusto
gelsomino e panna! Il commesso la guarda basita ed io stessa
sono in imbarazzo. Ma chi gusti avi? Una volta l’ho provato
anch’io…”mi vinia di lanzari”, devo rivolgermi ad un medico?
MA no signura, chi duttura… i gusti sono gusti, anche se
quello è un diletto po’ particolare!
Anche a me è capitata una cosa del genere e prima di
arrivare alla soluzione, mi sono fatto “ù giummu comu i
turchi”, ma c’arriniscivi!
Nell’ottobre di tre anni sono stato in vacanza nella città
falcata, cusciuliannu cusciuliannu mi sono trovato “per caso”
davanti alla gelateria Bentivegna, ò Dazio, ho chiesto una
broscia con il gelsomino, ma mi dissero che ero arrivato in
ritardo da almeno due mesi.
Ho optato per una al limone, quando l’occhio (quello bono) mi
è caduto su una fotografia dietro il bancone di una persona
canusciuta, era una mia consanguinea!
C’addumann’ai chi fosse e il commesso mi disse, alzando gli
occhi al cielo, che era una cliente particolare chi ci piacia ù
gelsomino cà panna!
Strammatu mi sono messo a camminare alla sanfasò, e ci
pinsai tutta à notte: cosa poteva essere successo?

L’indomani, mi sono trovato “per caso” davanti alla gelateria
Benivegna 2, à Raganzili, entrai ed anche qui non avevano
gelati al gusto di gelsomino, mi pigghiai un cono nocciòla e
panna, quando l’occhio (sempre quello) mi è caduto dietro il
bancone su una fotografia di un’altra persona canusciuta, era
un altro mio parente!
C’addumannai chi fosse e il lavorante, tistianno, mi disse che
era un cliente particolare chi ci piacia ù gelatu gelsomino cà
panna!
Sarà un caso, ma perché proprio loro due?
Mesi dopo sfogliando un testo di storia mi saltò all’occhio
(stavolta l’altro), che nel periodo della guerra fredda,
verso la fine del 1967 da alcuni sommergibili alleati, in
sosta vicino alle isole Egadi era fuoriuscita una nube
radioattiva di lieve entità.
Tenue, sì ma qualche danno avrà pure fatto, in questo
settore purtroppo ci nascondono un sacco di cose!
Ieri, lampo di genio, interrompo con una scusa, un’incontro
importantissimo, chiamo mia madre che mi conferma un’
intuizione: questi familiari sono nati nello stesso mese dello
stesso anno: ecco perché gli piace il gelsomino con la panna,
la nube radioattiva!
Signora, in che data è nata sua figlia?
Novembre 1967!
Appunto!!

Caro Corradino beddu, mi chiamo Lucilla ho 20 anni volevo
proporti un incomprensione nata con mia madre. Una nostra
vicina, single, è rimasta incinta e vuole portare a termine la
gravidanza, quantunque abbia già avuto due figli con padri
diversi! La mia genitrice sostiene che è una donna immorale, da
evitare e da non frequentare; per me invece è una signora
coraggiosa che merita rispetto! Cosa ne pensa?
BENE Lucilla, sono concorde con il tuo concetto; la persona
citata è indubbiamente da ammirare, crescere tre figli di
partner diversi, invece meriterebbe un monumento!
La morale ben pensante, condanna questo tipo di
atteggiamento, l’importante è apparire ed ammucciare sotto
il tappeto quello che non fa comodo!
Ma “ ‘e figlie sò figlie” direbbe Eduardo, e non si possono
nascondere!
Essere generati degli stessi genitori non vuol dire crescere
ed essere educati correttamente, non è poi assodato che non
vengono fatte disparità ai figli.
Conosco consanguinei che si guardano in cagnesco e che hanno
con i loro genitori un rapporto conflittuale irreversibile.
Queste differenze le sdivagheranno ineluttabilmente sui loro
discendenti, se non troveranno un partner forte e
ragionevole.
Sono sicuro che la signora da lei citata ha cresciuto e
crescerà i figli con amore e non farà grosse differenze fra
di loro, anzi educandoli da sola con sacrificio ed affetto, le
sarà restituito da i suoi discendenti tutto quello che ha loro
elargito.
Se la interessa, frequenti questa signora…non è infettiva!

Ma cu tu fici fari…parivi così tranquillo!
Hai diffuso un altro libro, sei molto ambizioso allora!
Passati i cinquant’anni si incominciano a perdere i freni inibitori,
si vede che per me scrivere era una cosa latente.
Finché non emettono un veto o un editto e non esaurisco questa
vena, ca sugnu!
Posso assicurare, però, che fino al 2008, mai avrei pensato di
produrre una cosa del genere…pensare che era un anno bisestile!
Cosa c’è di differente in questa ultima raccolta?
La struttura è simile a quella dei precedenti racconti, narrazioni
assolutamente inventati. Ho poi voluto mettere una mia elegia
“’U Misteri di me patri”, ed il testo d’amore di una canzone
popolare siciliana “Mi votu e mi rivotu”.
In ultimo mio sono inventato alcuni domande / risposte, tipo
lettere al direttore.
Spero che questa volta, non mi prendano a carcocciulati!

Non parli di politica nei tuoi libri, hai qualche timore?
Paura io? Sono andato via dalla Sicilia trentadue anni fa, ed ho
affrontato la vita, da solo…a mani nude.
Recentemente mi hanno scippato anche di due scudetti,
imponendomi un anno sabbatico nella serie cadetta.
Di soccu m’à scantari?
Non parlo di politica, perché i siciliani non fanno politica
(i trapanisi poi…) semplicemente si relazionano fra iddi pensano
al loro particulare, si fannu nichei…
Certo qualche partuallo che s’atteggia c’è…ma sono casi isolati!
Fummo gattopardi…troppo presuntuosi per fare politica.
I Misteri…sei stato abbastanza duro nella lettera del che
a dicembre hai inviato al sito di Beppino Tartaro.
Ho solo detto la verità, i Misteri li sento miei nel senso sano
dell’appartenenza; sai quante a quante persone ho fatto
ritornare in città per la Processione?
Vedere i Sacri Gruppi sporchi e abbandonati, mi ha fatto
veramente arrabbiare.
Com’è che Beppino ti ha pubblicato “Cunta” sul tuo sito?
Dopo che gli scrissi la prima volta, abbiamo tenuto una
corrispondenza privata.
Una volta gli mandai il racconto “I Misteri” gli piacque, mi invitò
ad inviargliene altri se ne avessi avuti.
Per Natale gli feci pervenire l’intero malloppo.
Rimasi alluccutu quando mi chiese di pubblicarlo tutto.
Basito e contento.
Non lo ringrazierò mai abbastanza!

A qualcuno è venuto il dubbio che i racconti non fossero
farina del tuo sacco…
E’ tutta roba mia.
Devo ammettere, assumendone tutte le responsabilità, che come
tutti gli artisti mi sono aiutato con sostanze…narcotiche, da un
pusher mazarese vicino piazza Napoli, a Milano.
E’ roba di primissima qualità, gli arriva direttamente dal Sicilia…
cannoli, cassate siciliane, graffe, pasta reale, sfincioni di San
Giuseppe, e d’estate anche le granite.
Che riscontri hai avuto alla pubblicazione de “I Cunta”?
Aldilà di ogni immaginazione, tanti sono rimasti alluccuti
positivamente, quacchi autru agghiuttiu ‘vacanti.
La soddisfazione più grande è stata di una persona, che senza
proferire parola mi ha abbracciato con le lacrime agli occhi.

Note dell’autore
Questi altri cunta sono, naturalmente, dote della mia fantasia.
Evidenzio che, qualora qualcuno si riconoscesse su fatti
accaduti, la cosa non è reale ma semplicemente causale.
Faccio risaltare tutto ciò, picchì
a genti scucivula e sciarrera non manca mai.
Poiché alcuni sono, nel modo in cui diceva un mio vecchio
maestro, “comu l’ovu: chiù cocinu e chiù duri addiventanu!”

GLOSSARIO
Abbasta Basta
Abbutta Irrita
Accattari Comprare
Accussì picca Così poco
Addivintavanu Diventavano
Addumannanu Domandano
Alluccuta Basita
Ammi Gambe
Ammucciari Nascondere
Ammutta Spingere
Amuninni Andiamocene
Annurvai Accecai
Appagnati Imbizzarriti
Appattati Accordati
Appizzò Appese
Ariddu Grillo
Asciuddricare Solleticare
Assicutò Cacciò
Assitarimi Sedermi
Astracu Terrazzo
Autru Altro
Babbiari Scherzare
Bauscia Gradasso
Bossa Borsa
Caccavetta Arachidi tostati
Cammara Camera
Carcocciulati Carciofi
Carriari Traslocare
Caseria Vaso

Cattigghiare Sdolcinata
Chianci Piangere
Ciciri Ceci tostati
Ciriveddu Cervello
Collora Dispiacere
Cumanna Comanda
Comu allicchi Come lecchi
Curù Cuore mio
Dutturiari Giudicare
Facia scantari Faceva paura
Fascedda Contenitore
Fimmai Fermai
Fimmativi Fermatevi
Fiscaletto Fischietto
Fitinzia Fetenzìa
Fracchiata Sacco
Imparpagliato Indeciso
Impegnu Impegno
Incarcato Calcato
Intappato Ben vestito
Libbra Libri
Masinnò Se no
Mazzuliati Mazzate
Megghiu Meglio
Miccata A buon prezzo
Mischina Poverina
Mittia Metteva
Mizzica Perbacco
Mucchela Taci
Murmuriavanu A voce bassa
Murritiusi Irrequieti
Mutanghero Di poche parole

Naca Calmo
Niautri Noi
Nica Piccola
‘Nzalata Insalata
Oru Oro
Picchì Perchè
Piccioli Danaro
Picciutteddu Ragazzino
Pigghia Prendi
Pignata Pentola
Pillico Taccagno
Pugnittuni Cazzotto
Pulintuna Abitanti del nord Italia
Purpu Polpo
Putia Bottega
Quacchi Qualche
Rici nenti Dici niente
Rintra Internamente
Riria Rideva
Rommi Dorme
Sauta Salta
Scantu Spavento
Scecchi Cavalli
Scinni Scende
Sicca Magra
Simenza Semi di zucca tostati
Sivvizzo Lavoro
Spattemuni Dividiamoci
Spettu Acuto
Spingula Spilla
Sticchiara Finto malore
Succerinu Succedono

Sutta Al sud Italia
Taliallo Guardarlo
Taliamo Guardati
T’annicchia Un poco
Timpuluna Sberla
Tistiavanu Muovevano la testa
Tri Tre
Truppichiannu Zoppicando
Truzzarono Toccarono di gomito
Undess Undici
Unnè Dové
Vinnu Vendo
Vundess Undici