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Leggibilità e comunicazione:<br />

I caratteri tipografi ci del XX secolo<br />

Le infl uenze del digitale sulla stampa<br />

Il “Grafi k” Design di David Carson<br />

Corso di Progettazione Grafi ca<br />

Prof. Maurizio Osti<br />

Relatore: Prof. Danilo Danisi<br />

Tesi di Rosanna <strong>Mezzanotte</strong><br />

Sessione Straordinaria<br />

Anno Accademico 2006-2007<br />

Accademia Belle Arti Bologna


Indice<br />

Introduzione. p.11<br />

Capitolo 1. Breve storia della scrittura.<br />

1.1 Dai geroglifi ci all’alfabeto latino. p.15<br />

1.2 Johann Gutenberg e la stampa a caratteri mobili. p.16<br />

1.3 Nicolas Jenson e Aldo Manuzio. p.17<br />

Capitolo 2. Accenno alla tecnica.<br />

Il carattere tipografi co e le sue misure p.22<br />

Capitolo 3. Innovazioni all’inizio del XX secolo.<br />

3.1 La punzonatrice pantografi ca, la Linotype e la Monotype. p.25<br />

3.2 William Morris e la Kelmscott Press. p.27<br />

3.3 Koloman Moser e la Wiener Werkstätte. p.29<br />

3.4 Otto Eckmann e Peter Behrens. p.32


Capitolo 4. Le Avanguardie d’inizio secolo.<br />

4.1 Futurismo italiano e Cubofuturismo russo. p.38<br />

4.2 Frederic Goudy, Bruce Rogers. p.44<br />

4.3 Rudolf Koch e Edward Johnston. p.45<br />

Capitolo 5 il Bauhaus, El Lissickij, Futura, Gill e Bifur.<br />

5.1 Il Bauhaus: Walter Gropius, Laslò Moholy Nagy e Herbert Bayer. p.50<br />

5.2 El Lissikij, Alexandr Rodchenko. p.55<br />

5.3 Theo van Doesburg, Kurt Schwitters, Hendrik Werkman e Piet Zwart. p.59<br />

5.4 Jan Tschichold, Paul Renner, Eric Gill e le critiche di Stanley Morison. p.61<br />

Capitolo 6. I principi della Scuola Svizzera.<br />

6.1 Il secondo confl itto mondiale, la chiusura del Bauhaus. p.67<br />

6.2 Le basi della Scuola Svizzera. p.68<br />

6.3 Il metodo di Xanty Schawinsky e Cassandre. p.69<br />

6.4 Stanley Morison e il Times New Roman. p.71


Capitolo 7 La ripresa delle arti grafi che.<br />

7.1 Lester Beall, Paul Rand e Bradbury Thompson. p.75<br />

7.2 Hermann Zapf e Roger Excoffon. p.78<br />

7.3 L’Helvetica. p.80<br />

Capitolo 8 La fotocomposizione. p.85<br />

Capitolo 9 Gli anni Ottanta, la tipografi a digitale.<br />

9.1 Neville Brody e Terry Jones. p.103<br />

9.2 Emigre, Cranbrook Academy of Art e CalArts School. p.108<br />

9.3 Il Desktop Publishing. p.110<br />

Capitolo 10 Il Graphic Design di David Carson.<br />

10.1 Don’t mistake legibility for communication. p.115<br />

10.2 Intervista a David Carson. p.121<br />

Lettera di Jessica Helfand a Fiona p.134<br />

Bibliografi a. p.151


Dedicato ai miei genitori.


“Sono un ricercatore.<br />

Getto la mia sonda.<br />

Non ho punti vista pregiudiziali.<br />

Mi attengo a un’unica posizione.<br />

Finchè uno nella nostra cultura, rimane nella stessa posizione è il<br />

bene accetto. Ma appena si mette a camminare in lungo e in largo e<br />

comincia a superare i limiti fi ssati, è un delinquente, bisogna arrestarlo.<br />

L’esploratore è un essere assolutamente illogico. Non conosce mai il<br />

momento in cui sta per fare qualche scoperta straordinaria.<br />

Jaques Ellul ci assicura che la propaganda comincia quando cessa il<br />

dialogo.<br />

Io dialogo con i media, mi getto alla ventura nell’esplorazione.<br />

Io non spiego nulla. Esploro”.<br />

Marshall McLuhan “La Galassia Gutenberg” 1962.


Introduzione<br />

Questo lavoro si propone di trattare l’argomento della leggibilità tipografica nella comunicazione<br />

cartacea partendo da un’analisi storico-cronologica dei caratteri e della loro evoluzione stilistica,<br />

riservando particolare attenzione ai dibattiti sulle determinanti della leggibilità.<br />

Spesso la chiarezza tipografica, la leggibilità, la fruibilità del font da parte dei lettori sono state sinonimo<br />

di grafica di qualità. In realtà la morfologia del testo implica una serie informazioni riguardanti il<br />

messaggio trasmesso.<br />

Come dice Bruno Munari nell’introduzione al libro di Hermann Zapf Dalla calligrafia alla<br />

Fotocomposizione ”Prendiamo una poesia (forse la più breve) conosciuta: M’illumino d’immenso.<br />

Proviamo a stamparla in diversi caratteri: in gotico, in corsivo, in inglese, in romano, in bastone<br />

tondo nerissimo, il signifi cato cambia”.<br />

La tipografia è dunque la forma tramite la quale si esprime un testo, tramite la quale molti movimenti<br />

artistici insieme alle scuole di grafica del Novecento hanno manifestato le loro idee, spesso<br />

giocando proprio sul fattore della leggibilità per dire un messaggio nel modo in cui è stato detto,<br />

cioè caratterizzandolo per esprimere l’innovazione, l’eleganza o lo spirito provocatorio del messaggio<br />

stesso.<br />

Se Stanley Morison sosteneva che le innovazioni stilistiche nel disegno di un nuovo carattere devono<br />

essere impercettibili per garantirne l’alta qualità, David Carson negli anni Novanta ha teorizzato una<br />

composizione priva di ogni regola di impaginazione, sovvertendo la gerarchia grafica delle informazioni,<br />

improvvisando nuove griglie o eliminandole del tutto ottenendo come risultato l’originalità personale<br />

della comunicazione.<br />

The End of Print 1e 2nd Sight 2 sono due monografie riguardanti i suoi metodi di lavoro.<br />

Il modo in cui manipola gli strumenti della grafica ha sollevato dibattiti sulla leggibilità. Carson<br />

rappresentando l’informazione in maniera da eludere il messaggio diretto e offrendo più chiavi di<br />

lettura nella stessa pagina ha fatto in modo che la comunicazione non si esaurisse con la consegna del<br />

messaggio, l’emotività dell’autore la rende personale e coinvolge l’utente lo spingendolo a provare le<br />

11


sensazioni che si rapportano al mondo dell’arte. Egli stesso dichiara il tentativo di voler portare nella<br />

staticità della pagina stampata il movimento del video. La stampa come mezzo di comunicazione<br />

risente della mancanza di interattività presente negli altri media, la sua forza espressiva è il carattere<br />

tipografico, il tentativo di rappresentare il ritmo del video con il testo stampato assume caratteristiche<br />

sperimentali e di difficile lettura.<br />

Zuzana Licko cofondatrice di Emigre insieme a suo marito Rudy Vanderlans sostiene che la leggibilità<br />

sia una questione di abitudine alla percezione dei caratteri da parte dei lettori e come tutte le abitudini<br />

è soggetta a variazioni nel tempo.<br />

Sentendomi di voler prendere parte al dibattito sulla leggibilità, penso che sia vero che il digitale<br />

abbia influenzato e stia tutt’ora cambiando le nostre capacità percettive, se la sperimentazione grafica<br />

cartacea ha portato molti teorici a difendere le regole tipografiche rimaste inattaccate fino agli anni<br />

Novanta è solo perchè come dice Lewis Blackwell l’uomo ha in se una naturale capacità di resistenza<br />

al cambiamento, è un sintomo che può essere tradotto come paura, paura dell’enorme sviluppo di<br />

massa che si manifesta sotto la superficie grafica dei nostri giorni. Io sono per gli illeggibili, per coloro<br />

che sperimentano perchè le regole sono gabbie che limitano gli orizzonti, per quanto riguarda i cattivi<br />

risultati... esistono nell’arte, esistono nella scrittura e possono anche essere stampati in Times New<br />

Roman.<br />

In questa tesi la mia attenzione va in prevalenza ai caratteri del Novecento, secolo di innovazioni<br />

tecnologiche e dunque di sperimentazione tipografica. Per la maggior parte delle informazioni mi<br />

sono basata sui libri di Lewis Blackwell 3 , curatore dei testi di David Carson.<br />

1 The End of Print: The Grafik Design of David Carson. Laurence King Publishing, 2000.<br />

2 2nd Sight: Grafik Design After the End of Print. Universe Publishing, 1997.<br />

3 90th Century Type. Lewis Blackwell. Zanichelli, 1997; I caratteri del XX secolo, Lewis Blackwell, Leonardo Arte, 1998.<br />

12


Capitolo 1. Breve storia della scrittura.<br />

1.1 Dai geroglifi ci all’alfabeto latino.<br />

I primi esempi di scrittura risalgono al IV millennio a.C.<br />

Si tratta del linguaggio pittografico, fatto di disegni tramite i quali l’uomo primitivo<br />

provò a comunicare le azioni relative alla vita sociale e religiosa. I Pittogrammi<br />

sono immagini narrative, relative ad azioni concrete, reali e non concettuali. Ad<br />

essi non corrisponde una lettura fonetica, si potrebbe pensare come a un linguaggio<br />

illustrativo.<br />

I primi segni che rappresentano idee e concetti, che si distaccano dalla<br />

rappresentazione della realtà, sono gli ideogrammi, e la scrittura ideogrammatica è<br />

l’evoluzione della pittografia.<br />

Il geroglifi co, sistema elaborato dal popolo egizio nel IV millennio a. C. e il<br />

cuneiforme, dello stesso periodo diffuso in Mesopotamia, sono i sistemi di scrittura che<br />

incorporano l’evoluzione dai pittogrammi e gli ideogrammi fino ai segni alfabetici.<br />

La nascita dell’alfabeto, fatto di segni grafici ai quali corrisponde un suono, risale al<br />

periodo che va dal 1700 al 1500 a.C. presso i Fenici.<br />

L’alfabeto è dunque l’elemento costitutivo della lingua. Dall’invenzione dei Fenici<br />

l’alfabeto si diffuse acquisendo le varianti fonetiche relative alle diverse lingue dei<br />

popoli.<br />

Deriva dall’alfabeto fenicio il greco, dall’alfabeto greco l’etrusco, e da queste due<br />

ultime commistioni il latino.<br />

L’alfabeto latino era inizialmente costituito da 21 segni (successivamente si<br />

aggiunsero altre lettere che ne aumentarono il numero a 26), la sua forma definitiva<br />

è quella maiuscola della capitale romana, il cui esempio più importante è scolpito<br />

sulla Colonna Traiana eretta a Roma nel 114 d.C.<br />

Dalla maiuscola della capitale romana, l’alfabeto subì le modifiche estetiche per<br />

adattarsi alla scrittura di lettere private o altre notazioni, fu così che nacque il Corsivo<br />

romano e in seguito la scrittura Onciale libraria, con la quale fu scritto il De Republica<br />

di Cicerone del IV secolo (contenuto nella Biblioteca Vaticana).<br />

Il termine dal quale deriva la parola onciale è di origine latina uncia cioè oncia:<br />

la misura romana che stava a indicare l’altezza delle lettere. Infatti tale scrittura<br />

Geroglifici ittiti risalenti al 1800 a.C.<br />

Nei geroglifici la scrittura simboleggia<br />

il concetto, lo rappresenta graficamente<br />

e non lo esprime foneticamente,<br />

dunque la loro lettura è del tutto<br />

concettuale.<br />

Fonte dell’immagine: www.silab.it<br />

Sotto: Alfabeto fenicio 1500 a.C.<br />

primo esempio di scrittura fonetica, ai<br />

simboli non corrisponde un’idea bensì<br />

un suono e dunque un linguaggio.<br />

Fonte dell’immagine: Il Dizionario<br />

del Grafico, Giorgio Fioravanti, Zanichelli,<br />

1997.<br />

15


Alfabeto latino nel particolare di una<br />

iscrizione sulla Colonna Traiana del<br />

114 a.C.<br />

Fonte dell’immagine: Il Dizionario<br />

del Grafico, Giorgio Fioravanti,<br />

Zanichelli, 1997.<br />

16<br />

rappresenta il passaggio da una forma in cui le lettere sono inscrivibili in un quadrato<br />

o in un cerchio a quella in cui appaiono più allungate verticalmente. E si può dire<br />

che questi sono i primi esempi di variazioni tipografiche applicate alla stessa gamma<br />

di lettere alfabetiche.<br />

Dalla fusione dell’ onciale con il corsivo romano, deriva la scrittura semionciale,<br />

origine dalla quale derivano a loro volta le cosiddette forme nazionali quali la<br />

scrittura irlandese, la merovingia, la gotica occidentale e la longobarda.<br />

Prendendo in analisi la scrittura gotica, essa viene usata tra i popoli nordici<br />

successivamente alla minuscola carolingia. Nasce a imitazione dell’architettura delle<br />

cattedrali che nell’ Europa del Nord si andavano costruendo a partire dal XIII secolo:<br />

l’arco a sesto acuto delle cattedrali ispira la verticalità delle lettere, sostituendo<br />

le rotondità degli archi romani e quindi della scrittura carolingia. La scrittura<br />

gotica si diffuse in Francia e in Inghilterra e si andò affermando definitivamente in<br />

Germania.<br />

Dalla scrittura gotica verranno fuori i primi caratteri tipografici.<br />

Il primo carattere gotico che fu poi chiamato Textur, fu quello utilizzato da Johann<br />

Gutenberg nella Bibbia a 42 linee, e venne utilizzato nel primo periodo subito dopo<br />

l’invenzione della stampa a caratteri mobili.<br />

Siamo nel periodo dell’ Umanesimo, XIV secolo e nel resto d’ Europa come reazione ai<br />

manierismi gotici si utilizza la scrittura umanistica, chiamata anche “Littera Antiqua”,<br />

ritenuta come la scrittura originale dei Romani, in realtà era una imitazione della<br />

minuscola carolingia. Il primo libro a stampa, il cui disegno deriva dalla scrittura<br />

umanistica è il De Oratore edito a Roma nel 1465 da Konrad Sweynheym e Arnold<br />

Pannartz. Successivamente la scrittura umanistica sarà sempre più riprodotta nei<br />

caratteri da stampa per opera di Nicolas Jenson e Aldo Manuzio.<br />

1.2 Johann Gutenberg e la stampa a caratteri mobili.<br />

Johann Gensfleish von Gutenberg nasce a Magonza nel 1397 in un contesto familiare<br />

nobile. Compie i primi studi presso i francescani e successivamente si trasferisce<br />

con la famiglia, nel 1424, a Strasburgo. Nel 1440 ritorna a Magonza e inizia a<br />

sperimentare il sistema per scrivere in maniera artificiale, tale sistema raggiungerà la<br />

perfezione nel 1450 pronto per lo sfruttamento commerciale.<br />

Il sistema di Gutenberg permette di abbandonare il metodo xilografico, secondo il


quale testo e immagini venivano incisi insieme sulla stessa matrice in legno, metodo<br />

con il quale fu stampato il primo libro in Cina, attribuito a Pi-Cheng nel 1040 d.C.<br />

Con Gutenberg si attua il grande progresso di incidere su matrici separate le singole<br />

lettere dell’alfabeto in modo tale da poterle ricombinare più volte per comporre il<br />

testo. Era più facile in tal modo stampare in breve tempo un gran numero di copie<br />

identiche.<br />

Nella preparazione delle matrici, per ogni lettera o segno di punteggiatura si fabbrica<br />

un punzone di metallo molto duro recante all’estremità la lettera incisa a rilievo. Il<br />

punzone serve a incidere una matrice di metallo meno duro (punzonatura), dove la<br />

lettera viene impressa in incavo. In questa matrice si possono fondere in quantità<br />

desiderata i caratteri tipografici che risulteranno nuovamente a rilievo. I caratteri<br />

vengono accostati l’uno all’altro sul piano del torchio a comporre il testo, con senso<br />

di lettura inverso, per risultare poi nel giusto ordine sulla carta stampata.<br />

L’attività di Gutenberg a Magonza viene finanziata dall’avvocato Johann Fust che<br />

però fa presto a far rivalere i propri diritti di creditore nel 1455 confiscando tutto<br />

il materiale tipografico, i torchi e le attrezzature varie affidandole a Peter Schoffer.<br />

Fu così che in un certo senso Gutenberg fu derubato della sua invenzione, infatti<br />

furono Shoffer e Fust a portare a termine la prima opera frutto della stampa a caratteri<br />

mobili, la Bibbia a 42 linee del 1456.<br />

Successivamente Gutenberg si associa al sindaco di Magonza, Konrad Humery,<br />

costituendo una nuova tipografia e stampando insieme ad altri libri, la Bibbia a 36<br />

linee. Quando nel 1462 Adolfo II di Nissau compie il sacco di Magonza, Gutenberg<br />

fu di nuovo costretto a lasciare la città e la sua attività, e i suoi allievi si dispersero in<br />

Europa contribuendo alla diffusione del nuovo sistema di stampa.<br />

Tornò a Magonza nel 1465, venne nominato dallo stesso Adolfo II di Nissau, membro<br />

della<br />

corte e gli vennero accordati benefici quali l’esenzione dalle imposte. Muore nel 1468<br />

lasciando il suo prezioso materiale a Humery, il precedente sindaco di Magonza.<br />

1.3 Nicolas Jenson e Aldo Manuzio<br />

Nicolas Jenson nasce a Sommevoire, Champagne, nel 1420.<br />

Dopo una giovane carriera di incisore presso la zecca di Tours, viene invitato<br />

da Carlo V a Magonza per apprendere la stampa a caratteri mobili. Nel 1470 si<br />

Marca tipografica di Nicolas<br />

Jenson. Su molte fonti online e sul<br />

“Dizionario del Grafico” di Giorgio<br />

Fioravanti si sostiene che la sua sia<br />

stata la prima marca tipografica usata<br />

in Italia.<br />

Fonte dell’immagine:<br />

www.delyrarte.com<br />

17


Marca tipografica di Aldo Manuzio<br />

Fonte dell’immagine<br />

www.storiaefuturo.com<br />

Carattere Jenson da De praeparatione<br />

evangelica di Eusebio.1470<br />

Fonte dell’immagine Il Dizionario<br />

del Grafico, Giorgio Fioravanti,<br />

Zanichelli, 1997.<br />

18<br />

trasferisce a Venezia dove apre una tipografia che utilizza il nuovo metodo di stampa,<br />

pubblicando nei dieci anni seguenti, centinaia di edizioni di alto livello editoriale.<br />

Jenson è il primo stampatore a usare una propria marca tipografica 1 . Disegna sulla<br />

base della scrittura umanistica i primi caratteri tipografici, caratteri che saranno<br />

presi a modello dagli incisori vissuti in epoca successiva, il più conosciuto di tutti<br />

è appunto il “Jenson” con il quale vennero stampate tra le altre, opere di Cicerone,<br />

Sventonio, Quintiliano e Caio Giulio Cesare.<br />

Fù proprio nella tipografia di Nicolas Jenson che mosse i primi passi Aldo<br />

Manuzio.<br />

Manuzio nasce a Bassano, nel Lazio, nel 1449. Dopo i suoi studi a Roma e a Ferrara<br />

si trasferisce alla corte di Carpi dove grazie agli ottimi rapporti con Pico della<br />

Mirandola e l’umanista Alberto II Pio, otterrà i mezzi finanziari per avviare la sua<br />

impresa editoriale. Si trasferisce a Venezia intorno ai quarant’anni, dove frequenta<br />

la tipografia di Nicolas Jenson, acquistata successivamente da Andrea Torresani del<br />

quale sposerà la figlia. La sua attività tipografica comincia nel 1494 e nel 1500 sono<br />

già 37 le edizioni pubblicate, di cui cinque in caratteri greci e una in ebraico. Con<br />

lui collaborano i più intellettuali dell’epoca, tra cui Erasmo da Rotterdam. Per la<br />

progettazione dei caratteri si avvale del lavoro del bolognese Francesco Griffo che<br />

ne disegna varie serie, una delle quali è usata nel 1499, in quello che è ritenuto il<br />

più bel libro del Rinascimento: l’Hipnerotomachia Poliphili, illustrato da splendide<br />

xilografie attribuite ad Andrea Mantegna e Gentile Bentini.<br />

Griffo fornisce a Manuzio anche una serie di caratteri inclinati, derivati dalla<br />

scrittura corsiva della cancelleria papale. Con questa serie di caratteri corsivi, che<br />

gli inglesi chiamano Italics, Manuzio stampa la sua famosa serie di testi classici.<br />

Queste edizioni, chiamate “aldine”, vengono pubblicate mensilmente a partire dall’<br />

Aprile 1501, hanno una tiratura di mille copie, sono sessanta volumi estremamente<br />

accurati nella revisione dei testi e nella composizione tipografica, il loro formato<br />

è 17x15 cm, sono considerati i primi tascabili, il loro prezzo accessibile li rende<br />

popolari in tutta Europa.<br />

Saul Steinberg nel suo Cinque secoli di stampa 2 (1955) scrive: “Manuzio ebbe una<br />

di quelle idee geniali che distinguono il grande editore, quando decise di produrre<br />

una serie di testi che fossero al tempo stesso di alto livello, raccolti in un numero di<br />

pagine relativamente basso, di formato maneggevole e a buon prezzo. La collana<br />

venne considerata in tutta Europa garanzia di testi eccellenti e di belle impeccabili


edizioni.”<br />

Manuzio fu non solo un maestro della tipografia, ma anche un intellettuale del suo<br />

tempo. E’ considerato il più importante editore-stampatore del Rinascimento; a lui<br />

si deve l’affermazione del carattere latino su quello gotico. Genera all’interno della<br />

sua famiglia una stirpe di tipografi, fino al nipote Aldo il Giovane, che dirigerà la<br />

tipografia di Venezia fino al 1585, quando la lascerà per insegnare all’ università di<br />

Bologna e di Pisa e per lavorare nella tipografia vaticana sotto il papato di Clemente<br />

VIII.<br />

Nei secoli successivi, e particolarmente nel 1700, fu molto importante il contributo<br />

dato alla tipografia da John Baskerville, François Ambroise Didot e l’italiano<br />

Giovanni Bodoni, loro introdurranno nuovi caratteri ispirati a rigorose proporzioni<br />

geometriche.<br />

1 Giorgio Fioravanti, Il Dizionario del<br />

Grafico, Zanichelli, 1997<br />

2 S.H. Steinberg, Cinque secoli di<br />

stampa, Einaudi, Torino 1968<br />

19


Nicolas Jenson, carattere<br />

contemporaneo basato sul disegno<br />

dell’ Eusebius di Ernst Detterer e<br />

Robert H. Middleton per la Ludlow<br />

Foundry nel 1923. Originariamente<br />

introdotto come la serie “Nicolas<br />

Jenson”.<br />

Baskerville disegnato da John<br />

Baskerville nel 1957.<br />

Fonte delle immagini www.identifont.com<br />

20


Didot, ridisegnato nel 1991 dallo staff<br />

della Linotype con la consulenza di<br />

Adrian Frutiger, sulla base dell’originale<br />

Didot di François Didot del 1784<br />

Bodoni disegnato origianariamente da<br />

Gian Battista Bodoni nel 1790 circa,<br />

ridisegnato da Morris Fuller Benton nel<br />

1907 e prodotto oggi, in diverse versioni<br />

dalla Monotype<br />

Fonte delle immagini www.identifont.com<br />

21


Le nozioni sul carattere e i<br />

relativi diagrammi si basano sulle<br />

informazioni contenute nel libro<br />

di Antonio Arricale Fare il giornale<br />

oggi, Da Gutemberg alla stampa<br />

elettronica, Spring Edizioni, 2000.<br />

22<br />

Capitolo 2. Accenno alla tecnica.<br />

Il carattere tipografi co e le sue misure<br />

Facciamo una breve panoramica su quelle che sono le nozioni tecniche che stanno<br />

dietro al disegno e alla composizione di un testo tipografico.<br />

Il sistema di misurazione che si relaziona alla grandezza del carattere e<br />

alla riga tipografica, detta anche è duodecimale, cioè anzichè decimale<br />

che va di dieci in dieci, è duodecimale che va di dodici in dodici.<br />

L’unità di misura del testo è il punto, stabilita da Francois Ambroise Didot nel 1760,<br />

equivale a mm 0,376065. Nei paesi angloamericani c’è però una piccola differenza<br />

nelle dimensioni, in quanto il loro punto, chiamato pica, equivale a 0,351368 mm.<br />

La riga equivale a dodici punti tipografici, quindi mm 4,51278.<br />

Quando parliamo del corpo del carattere, dunque della sua dimensione, definiamo<br />

in punti le dimensioni del lato del quadrato detto quadratone, nel quale la lettera è<br />

inscritta o disegnata.<br />

Quadratone, corpo 60.<br />

Per l’iscrizione della lettera alfabetica, l’altezza del quadratone va divisa in questo<br />

modo:<br />

Le maiuscole partono dalla base e occupano tutta l’altezza della parte superiore:


Le minuscole partono dalla base e occupano, in altezza, la metà del valore del lato<br />

del quadratone. La loro misura in punti è chiamata occhio del carattere. Nel caso<br />

seguente l’occhio è di 30 punti.<br />

Per le lettere che posseggono il tratto ascendente, questo avrà l’altezza delle<br />

maiuscole:<br />

Invece il tratto discendente delle minuscole occupa la metà della parte inferiore del<br />

quadratone:<br />

23


24<br />

Lo spazio che resta inoccupato nella parte inferiore, tra il lato discendente e i limiti<br />

del quadratone è la spalla, e corrisponde a 1/6 del valore del lato.<br />

Lo strumento per misurare i corpi del carattere è il tipometro, un’asta graduata sulla<br />

quale sono segnate tutte le misure con i corpi più usati: 6, 7, 8, 9, 10, 12.<br />

Il tipometro è particolarmente necessario nella stesura del menabò, cioè dell’abbozzo<br />

in scala ridotta della pagina.<br />

Buona importanza ha anche il bianco lineare, lo spazio che passa tra le basi di una<br />

riga e l’altra, ovvero l’interlinea. Normalmente il valore dell’interlinea coincide con<br />

quello del corpo del testo, in realtà può essere maggiore o addirittura minore, e<br />

questo va a incidere sulla leggerezza e la leggibilità del testo. Un testo con corpo<br />

9 e interlinea 10 appare chiaramente di più ampio respiro di uno con corpo 9 e<br />

interlinea 8.<br />

Il carattere fin qui trattato si riferisce alla costruzione della lettera, quindi alla matrice<br />

ottenuta per punzonatura, uno degli strumenti della stampa a caratteri mobili. Carattere<br />

però è anche chiamata la gamma alfebetica che sotto i nomi di fantasia (Helvetica,<br />

Helios) o prendendo il nome dal disegnatore (Garamond, Baskerville, Bodoni) viene<br />

usata per definire lo stile estetico del testo. Da questo momento in poi tratterò il<br />

carattere inteso come matrice solo in funzione delle innovazioni tecnologiche e mi<br />

concentrerò soprattutto sulla sua forma tipografica, tramite la quale si sono espressi<br />

artisti, grafici e disegnatori in funzione della comunicazione.


Capitolo 3. Innovazioni all’inizio del XX secolo.<br />

3.1 La punzonatrice pantografi ca, la Linotype e la Monotype.<br />

Si può dire che dal 1400 fino alla fine del 1800 la tipografia è stata un’arte manuale, tutti<br />

i caratteri venivano sistemati volta per volta dalla mano umana nella composizione<br />

della riga. I primi cambiamenti si videro all’inizio dell’Ottocento con lo sviluppo<br />

della litografia e dell’invenzione del torchio a vapore, quest’ultimo con la stampa<br />

piana e le prime rotative permetteva di moltiplicare notevolmente il numero delle<br />

copie, ma tutto ancora dipendeva dalla velocità della mano che sistemava i caratteri<br />

nella scatola tipografica La scoperta e lo sviluppo della fotografia, come del resto la<br />

cinematografia svolsero un ruolo di primo piano nello sviluppo delle comunicazioni<br />

e nell’importanza che pian piano andava assumendo l’estetica della parola.<br />

Dal 1880 lo sviluppo di impianti capaci di generare e comporre meccanicamente<br />

i caratteri ha fatto sì che la produzione della stampa passasse dalla bottega del<br />

tipografo alla scala industriale.<br />

Alla base di questa rivoluzione si collocano alla fine degli anni ottanta, negli<br />

Stati Uniti, le invenzioni della punzonatrice pantografica, della linotype, e della<br />

monotype.<br />

La punzonatrice pantografica inventata da Linn Boynd Benton nel 1884, meccanizzò<br />

il lavoro del punzonista, una tecnica altamente specializzata e in stretta connessione<br />

con il disegno dei caratteri.<br />

Il tedesco Ottmar Mergenthaler riprese la punzonatrice pantografica per tentare il<br />

perfezionamento di una compositrice meccanizzata e subito dopo inventò la linotype<br />

Bowler, nel 1886. Dimostrò il funzionamento negli uffici del <br />

e la macchina entrò sul mercato, ma fu solo nel 1890, quando ufficialmente acquistò<br />

da Benton la punzonatrice per incorporarla nella linotype, che la macchina divenne<br />

perfetta per il mercato industriale.<br />

La linotype era in grado di sostituire il lavoro di un buon numero di compositori;<br />

quando Margenthaler morì nel 1899, essa aveva già rivoluzionato la produzione e<br />

ridotto sensibilmente i costi e i tempi di molte tipografie, in particolare quelle dei<br />

quotidiani. La nuova tecnologia per la stampa rimase pressochè immutata fino agli<br />

anni Sessanta del nuovo secolo.<br />

Nello stesso decennio apparve sul mercato anche la monotype, che a differenza della<br />

Punzonatrice pantografica<br />

La macchina ricalcava il disegno<br />

del carattere sulla lastra posta<br />

alla base, e contemporaneamente<br />

incideva, nella sua parte superiore,<br />

la matrice del carattere.<br />

Fonte dell’immagine: 20th<br />

Century Type, Lewis Blackwell,<br />

Zanichelli, 1995. © St. Bride<br />

Printing Library, Londra.<br />

25


Compositrice Lynotype del 1889, e la<br />

pagina di una manuale del 1893 che<br />

ne spiega il funzionamento.<br />

La linotype conteneva le matrici<br />

per ciascuna lettera, che venivano<br />

richiamate fino a formare una riga<br />

(da cui il nome line of type). Tra<br />

le parole erano inseriti dei cunei<br />

per la spaziatura e al termine<br />

della riga la macchina provvedeva<br />

automaticamente alla giustificazione<br />

del testo. Una volta allineate, le<br />

matrici venivano elevate a un crogiulo<br />

dal quale il piombo fuso imprimeva<br />

la riga effettiva che si andava poi ad<br />

allineare alle altre nell’impaginazione.<br />

Subito dopo le matrici tornavano al<br />

loro posto nei rispettivi canali della<br />

linotype insieme a una certa quantità<br />

di lettere e segni uguali mentre il<br />

compositore stava già battendo la riga<br />

successiva.<br />

Fonte dell’immagine 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995. © St. Bride Printing Library,<br />

Londra.<br />

26<br />

linotype non si basava sulla composizione della riga di testo, bensì lavoravorava<br />

sulla singola matrice e il risultato era più simile a una sequenza di caratteri composta<br />

manualmente. Battendo sulla tastiera si produceva un nastro perforato contenente le<br />

istruzioni relative alle matrici e alla spaziatura. Tale nastro passando alla fonditrice<br />

si posizionava sul telaio in corrispondenza della matrice selezionata dove veniva<br />

poi fuso il singolo carattere. Con la monotype era più facile apportare correzioni al<br />

testo, in caso di errore bastava sostituire la matrice del singolo carattere e non c’era<br />

bisogno di rifare riga intera.<br />

La linotype e la monotype restarono a lungo i sistemi di composizione dominanti,<br />

anche se i piccoli editori continuarono a preferire, inizialmente, la stampa manuale<br />

ritenendola di più alta qualità.


3.2 William Morris e la Kelmscott Press<br />

Come avviene di fronte a ogni innovazione, ci furono delle persone, dei movimenti<br />

artistici che si opposero con tutta la loro forza alla stampa industriale e si affermarono<br />

con una produzione artigiale di altissima qualità. Primo fra tutti l’inglese William<br />

Morris, ispiratore del movimento delle arts and crafts e fondatore della Kelmscott<br />

Press. La Kelmscott e altre stamperie private come la Vale, la Eragny, l’Essex House<br />

e la Doves, rappresentavano la messa in discussione della qualità della stampa di<br />

massa, difendevano i principi dell’artigianato raffinato con l’utilizzo di caratteri<br />

nuovi, spesso rivisitazioni di quelli vecchi, ma sempre in perfetta armonia con una<br />

virtuosissima parte decorativa e illustrativa.<br />

La Kelmscott con la sua influenza spinse molte stamperie private a produrre i propri<br />

caratti personalizzati appositamente per le pubblicazioni a cui erano destinati.<br />

Analoga all’attività di Morris fu quella dell’ American Type Founders (ATF) che<br />

utilizzava per lo più caratteri basati sul Jenson. Forniva caratteri e commissionava<br />

nuovi disegni basati su quelli antichi, si accaparrò il mercato delle stamperie private<br />

rifornendole di tutta la gamma di caratteri necessaria a tenere la competizione con<br />

le macchine compositrici. La fortuna dell’ATF, presieduta da Robert Nelson, è dovuta<br />

a Linn Boyd Benton e suo figlio Morris Fuller Benton, i quali ridisegnarono vecchi<br />

caratteri in maniera egregia. Il primo carattere importante disegnato da Linn Boyd<br />

Benton è il Century, per l’appunto utilizzato per la prima volta dalla rivista Century<br />

nel 1895. Il carattere fu ridisegnato più volte in diverse versioni e diventò subito<br />

sinonimo di una stampa di qualità.<br />

Sul modello del Jenson disegnò un’altro grande carattere, il Cloyster Old Style, un<br />

veneziano dalle maiuscole arabescate, sul quale fece un lavoro di altra creatività<br />

poichè elaborò lo stile corsivo a cui Jenson non aveva mai accennato.<br />

Ma il carattere di maggiore successo e che ebbe grande diffusione a partire dal 1896<br />

è il Cheltenham. Disegnato da Bertram Goodhue, riscosse all’inizio alcune critiche<br />

da parte di coloro che avevano gusti molto raffinati, ma divenne subito popolarissimo<br />

poichè si adattava a molte esigenze commerciali, mantenendo un’alta qualità grafica<br />

pur essendo privo di una certa eleganza tipica del tempo. Lo studio di Goodhue sul<br />

Cheltenham si basava sull’ idea che la metà superiore di una lettera contribuisce<br />

maggiormente alla sua identifi cazione rispetto alla metà inferiore. La teoria pare<br />

confermata dalle più recenti ricerche sulla leggibilità.<br />

“ A craftaman, in the best sense of this<br />

much-abused word; one who seeks<br />

to beautify the essentially utilitarian;<br />

one of that sturdy band of artists who,<br />

walking in the humble path of their<br />

own choosing, make the hardest kind<br />

of a fight against bad traditions and<br />

the prevailing custom and prejudices<br />

of mere commercialism; and one<br />

of those who succeed in giving the<br />

charme and dignity of art to objects<br />

of common use.”<br />

“Un artigiano , nel miglior senso<br />

di questo termine di cui si è tanto<br />

abusato; uno che ha cercato di<br />

abbellire l’utile, l’essenziale; uno<br />

di quel gruppo di artisti decisi che,<br />

camminando nell’umile sentiero delle<br />

loro scelte, si assunsero il difficile<br />

compito di combattere contro le<br />

cattive tradizioni, contro il mercato e i<br />

pregiudizi del puro commercialismo;<br />

e uno di quelli che riuscìrono a dare<br />

il fascino e la dignità dell’arte agli<br />

oggetti di uso comune.”<br />

Tratto da Will Bradley , His Graphic<br />

Art.<br />

Dover Pubblication, 1974<br />

27


Nella pagina accanto dall’alto:<br />

Will Bradley, The Chap book. Fonte<br />

dell’immagine Will Bradley: His<br />

Graphic Art Dover Publication, 1999<br />

Applicazione del Cheltenham in<br />

un’impaginazione ornamentale<br />

benedettina.<br />

Fonte dell’immagine<br />

www.creativepro.com<br />

William Morris, due esempi della<br />

produzione Kelmescott. A destra il<br />

Troy, usato per The Tale of Beowulf,<br />

1895; a sinistra il Golden in una<br />

pagina di A note by William Morris<br />

on his aims in founding the Kelmscott<br />

Press and an annotated list of the<br />

books printed threat by S.C. Cockrell,<br />

1892<br />

20th Century Type, Lewis Blackwell,<br />

Zanichelli, 1995. © St. Bride Printing<br />

Library, Londra<br />

28<br />

Il carattere venne molto utilizzato in campo pubblicitario, ma gli servirono dieci anni<br />

per venire commercializzato dall’ ATF e dalla Linotype.<br />

La pubblicità in questo periodo rappresentava un settore ricco di sperimentazioni<br />

tipografiche, grandi esempi di lettering vennero fuori anche dalla tecnica litografica,<br />

in questo caso però è difficile parlare di tipografia, poichè il carattere non è estraibile<br />

e riutilizzabile una seconda volta o in altri contesti. La tecnica litografica risale alla<br />

fine del Settecento e raggiunge l’apice alla fine dell’ Ottocento con la cromolitografia,<br />

declinerà qualche anno dopo in seguito alla diffusione della fotoincisione ( l’incisione<br />

di un’immagine fotografica su lastra mediante una distribuzione di punti prodotta da<br />

un retino).<br />

Dal 1890 si vide l’espansione della cartellonistica in seguito alle necessità dell’industria<br />

e della cultura di far circolare l’informazione. Correnti pionieristiche furono l’Art<br />

Neauveau e il postimpressionismo. Lo stile tipografico veniva affiancato a immagini<br />

che già di per sè erano ritenute opere d’arte, spesso però il testo non derivava da<br />

caratteri progettati in tipografia, bensì era un prodotto affine all’opera e progettato<br />

solo in funzione di quest’ultima. Padre della cartellonistica francese è Jules Chéret,<br />

figlio di un tipografo. Seguirono con opere importanti Eugène Grasset e Geoges


Auriol, entrambi disegnatori di caratteri destinati alla fonderia Deberny & Peignot.<br />

Nello stesso periodo nacque in oltre la figura dell’ Art Director, in seguito al lavoro<br />

dei Beggarstaff Brothers in Gran Bretagna, Van de Velde in Belgio e Will Bradley negli<br />

Stati Uniti. Quest’ultimo fu lui stesso un grande illustratore e disegnatore di caratteri,<br />

ma ebbe molta importanza la sua capacità di valutare gli stili dei caratteri e proporre<br />

impaginazioni innovative per le riviste del tempo, fra le quali “The Chap Book”.<br />

Nel 1898 l’ Akzidenz Grotesk, carattere lanciato dalla tipografia tedesca Stempel,<br />

rappresentava una rivisitazione dei bastoni di inizio Ottocento. Non ebbe successo<br />

immediato, ma venne preso molto in considerazione dopo circa trent’anni, la sua<br />

importanza sta nel fatto che era alla base di una famiglia di caratteri oggi molto<br />

utilizzata che è l’Helvetica. Come per molti bastoni del 1800, non si conosce il<br />

disegnatore.<br />

3.3 Koloman Moser e la Wiener Werkstätte.<br />

All’ inizio del 1900 la società europea e americana si trovava di fronte a una modernità<br />

che da alcuni gruppi veniva vista con piena fiducia come una crescita culturale, da<br />

altri con sospetto. Fiorirono movimenti e artisti che mettevano in discussione i nuovi<br />

valori, in particolare ritenevano che la pressione economica influisse negativamente<br />

sulla qualità delle produzioni. Stimolati da queste sensazioni risultano rilevanti le<br />

opere tipografiche frutto di una certa produzione artistico-artigianale in Gran Bretagna,<br />

e il movimento riconducibile alla Secessione in Austria e Germania. Dalla parte di<br />

chi recepì in maniera attiva le nuove possibilità di sviluppo dovute alle innovazioni<br />

della tecnologia ci fu il gruppo della Neue Sachlichkeit (Nuova Obbiettività), essi<br />

intendevano rivedere in maniera radicale tutta la progettazione bi e tridimensionale,<br />

inclusa la tipografia. La comparsa della figura dell’ Art Director e del disegnatore di<br />

caratteri testimonia la forte crescita del campo della progettazione grafica, e se da<br />

un lato le nuove tecnologie favorirono una produzione scadente, dall’altro offrivano<br />

nuovi mezzi e nuovi stimoli per lavori di una certa eccellenza.<br />

Come abbiamo già detto, a difendere un artigianato di altissima qualità, c’è il<br />

movimento delle Arts and Crafts in Inghilterra.<br />

Dalla Kelmscott Press di William Morris, nacquero altre stamperie private, come la<br />

Doves fondata da Emery Walker e Thomas Cobden-Sanderson. I due produssero il<br />

29


Dall’alto:<br />

Akzidenz Grotesk. Fonte<br />

dell’immagine: 20th Century Type,<br />

Lewis Blackwell, Zanichelli, 1995.<br />

© Deberny & Peignot Spécimen<br />

General des Fonderies Deberny &<br />

Peignot vol2.<br />

Manifesto per Victor Cycles,<br />

realizzato da un grafico ignoto, 1898<br />

Fonte dell’immagine: 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995. © Deberny & Peignot<br />

Spécimen General des Fonderies<br />

Deberny & Peignot vol 2.<br />

30


Dall’alto verso il basso:<br />

Century, Claredon e Cheltenham.<br />

Il Century fu inciso nel 1894<br />

da Linn Boyd benton in<br />

collaborazione con Theodore<br />

de Vinne. Pur classificato tra i<br />

bodoniani per la sua verticalità<br />

presenta un contrasto non<br />

accentuato tra i pieni e i filetti. Fu<br />

progettato con l’obbiettivo della<br />

funzionalità, piuttosto stretto per<br />

risparmiare spazio.<br />

Il Claredon dalle grazie<br />

quadrangolari della Robert Besley<br />

di Londra del 1845 era stato<br />

progettato per i grandi titoli, per le<br />

insegne e per i testi che dovevano<br />

avere un certo impatto visivo.<br />

Il Cheltenham, disegnato da<br />

Bertrand Goodhue nel 1986 era<br />

progettato per l’utilizzo editoriale,<br />

e invece si diffuse nei lavori<br />

commerciali.<br />

Fonte delle immagini, 20th<br />

Century Type, Lewis Blackwell,<br />

Zanichelli, 1995. ©The Rocket<br />

Press, Blewbury.<br />

31


In alto, monogramma di<br />

Koloman Moser.<br />

Sotto, monogramma della<br />

Wiene Werkstaette, disegnato<br />

da Koloman Moser nel 1903.<br />

Moser in realtà inverte e<br />

modifica un altro marchio<br />

tipografico, una doppia M usata<br />

nel 1896 in una rilegatura.<br />

Fonte dell’immagine: 20th<br />

Century Type, Lewis Blackwell,<br />

Zanichelli, 1995. © Deberny &<br />

Peignot Spécimen General des<br />

Fonderies Deberny & Peignot<br />

vol 2.<br />

32<br />

Doves, un carattere basato, come il Golden di Morris, sullo stile quattrocentesco di<br />

Jenson, stamparono con questo la Bibbia Doves e altre opere raffinate. Il carattere<br />

ebbe successo, ma vita breve poichè dopo un litigio con Walker sulla paternità del<br />

carattere, Cobden-Sanderson spaccò le matrici e le buttò nel Tamigi.<br />

La ricerca di Thomas Cobden Sanderson era rivolta alle forme funzionali, secondo<br />

lui l’unico dovere della tipografi a era quello di “trasmettere all’immaginazione,<br />

senza perdere nulla per strada, il pensiero o l’immagine che l’autore intendeva<br />

comunicare”. Tali principi furono presto ripresi dai movimenti dell’ Art-Nouveau.<br />

Nel 1897, sulla base dei principi di armonia tra gli elementi compositivi della<br />

grafica e del design, dell’Art-Nouveau e dell’ Arts and Crafts, si riunirono a Vienna<br />

per la prima volta, gli architetti e i grafici della Secessione. Nacque così la Wiener<br />

Werkstatte, un movimento che produsse oggetti di arredamento di altissimo valore,<br />

venduti fino al 1932.<br />

La Wiener Werkstatte si mosse all’inizio con una forte propaganda pubblicitaria, la<br />

loro produzione tipografica era estremamente caratterizza, si liberava dalla rigidità<br />

dei caratteri di fonderia e come nell’Arts and Crafts la composizione della pagina<br />

era ricca di pesanti fregi decorativi, ma in piena comunione stilistica con il testo.<br />

Molto importante è il lavoro di Koloman Moser, autore tra l’altro del monogramma<br />

della Wiener Werkstaette.<br />

Sebbene risulta difficile crederlo, Moser in realtà tentava di limitare la decorazione<br />

alla funzionalità del testo. Il capolavoro della Wiener Werkstatte è il volume<br />

commemorativo della Stamperia imperiale austroungarica, pubblicato nel 1904 con<br />

caratteri appositamente incisi da Lars von Larish, frontespizio e capolettere di Moser<br />

e xilografie di Czeschka.<br />

3.4 Otto Eckmann e Peter Behrens.<br />

I disegnatori tedeschi nel loro movimento chiamato Jugendstil, produssero caratteri<br />

ispirati a una grafica meno decorativa. I caratteri più spiccatamente Art-Nouveau<br />

furono prodotti proprio in Germania. Molto importante fu l’Eckmann, prodotto dalla<br />

fonderia Klingspor nel 1900 e disegnato per l’appunto da Otto Eckmann. In esso si<br />

fondono le tendenze organiche dello Jugendstil e la tradizione gotica tedesca con


ichiamo a caratteristiche medievali in particolare nelle parti rotonde aperte della<br />

A e della B. Non ostante la scarsa leggibilità, l’Eckmann divenne il carattere più<br />

utilizzato nell Art-Nouveau, peccato che Otto Eckmann morì di tubercolosi a 37<br />

anni e la sua produzione si limitò alla sua breve esistenza.<br />

Peter Behrens fu l’artista che riscosse maggior successo in assoluto nel primo<br />

decennio del 1900. Aveva interessi in architettura e nel disegno dei caratteri, nella sua<br />

opera fa confluire inizialmente la tradizione gotica tedesca (con l’utilizzo del textur)<br />

e le decorazioni dello Jogendstil, dopodichè si allontana dallo stile ornamentale<br />

e compone opere che non disdegnano affatto i principi della grafica industriale<br />

moderna.<br />

Nel tentativo di modernizzare il gotico tradizionale tedesco disegnò per la Klingspor<br />

Da sinistra verso destra<br />

Monogrammi di Adolph Bohm,<br />

Ernst Stöhr; Friedrich König, Josef<br />

Hoffmann e Gustav Klimt.<br />

Fonte delle immagini 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995<br />

33


34<br />

il Behrens Roman. Alla fine, rompendo del tutto con l’utilizzo del textur, progettò<br />

un libro composto esclusivamente con caratteri bastone, Feste des Liebens. Il lavoro<br />

di maggior successo in assoluto è il marchio che Behrens ha progettato per la AEG,<br />

società tedesca produttrice di elettrodomestici. Oggi la AEG è una multinazionale, e<br />

utilizza ancora, con qualche piccolo ritocco, il marchio progettato da Behrens.<br />

Tale marchio ha in se una disposizione degli elementi che suggerisce, con un gioco<br />

visivo, l’immagine di una turbina per l’elettricità. Behrens si impegnò nella grafica e<br />

nel design di tutta l’immagine che riguarda la AEG, a partire dal marchio ai manifesti<br />

pubblicitari, fino alla progettazione architettonica della sede stessa della AEG.<br />

La fabbrica, progettata nel 1909, è considerata una pietra miliare per l’architettura del<br />

XX secolo. L’attenzione di Behrens nei confronti di tutti i particolari che riguardavano<br />

la veste grafica della produzione della AEG da luogo alla prima forte immagine<br />

coordinata, nella quale i caratteri tipografici non hanno rilevanza solo in questioni<br />

di leggibilità, bensì acquistano valori di vera e propria personalità.<br />

L’interesse di Behrens a rimodernizzare il tradizionale gotico tedesco era condiviso<br />

anche in altri paesi. La ricerca era rivolta alla creazione di un carattere senza grazie<br />

che sintetizzasse il nuovo stile dell’epoca staccandosi dalle decorazioni e dai<br />

caratteri prodotti nel 1800, troppo simili tra di loro.<br />

Il primo importante bastone venne fuori dall’ American Type Founders nel 1902 per<br />

mano di Morris Benton, il Franklin Gothic, in risposta all’ Akzidenz della Stempel,<br />

risulta meno rigido nella sua linearità, grazie all’assottigliarsi del tratto nelle curve<br />

delle lettere. Entrò sul mercato nel 1905, e in seguito al successo, Benton dovette<br />

disegnarne diverse versioni, come l’Alternate Gothic, Il News Gothic.


Eckmann diseganto da Otto<br />

Eckmann per la fonderia Klingspor<br />

nel 1900.<br />

L’Eckmann rappresenta un tentativo<br />

di fusione degli stili dello Jugendstil<br />

con il gotico tedesco tradizionale,<br />

ha delle forme morbide e stilizzate,<br />

cerca di escludere ogni rapporto con<br />

la grafia manuale, ma al contempo<br />

ricorda i tratti del pennello.<br />

Nonostante le sue caratteristiche<br />

decorative che lo rendono poco<br />

applicabile per motivi di leggibilità,<br />

l’Eckmann ebbe un grande successo<br />

e divenne il carattere rappresentativo<br />

dell’Art Neuveau o Jugendstil in<br />

Germania.<br />

Fonte dell’immagine: www.delyrarte.<br />

com.ar/sitio/bioeckma<br />

Pagina accanto: Marchi AEG,<br />

disegnati da Peter Behrens nel 1900.<br />

Quella in basso è la versione più<br />

semplice e simile all’attuale.<br />

Fonte dell’immagine www.concise.<br />

britannica.com<br />

35


Fabbrica Aeg per la quale Behrens collabora alla progettazione architettonica. Fonte dell’immagine www.arthistory.upenn.edu<br />

36


Franklin Gothic nella versione<br />

originale di Morris Fuller Benton del<br />

1905.<br />

In basso il Copperplate Gothic, del 1901<br />

di Frederic Goudy.<br />

Un’altro carattere importante che venne<br />

fuori dall’ATF nello stesso periodo<br />

del Franklin Gothic. In realtà questo<br />

carattere prende le sue forme dalle<br />

incisioni su pietra, dette anche lapidarie.<br />

Ma le sue grazie minutissime, tendendo<br />

a scomparire nelle dimensioni più<br />

piccole del carattere, gli conferiscono<br />

l’aspetto di un vero e proprio bastone.<br />

Fonte delle immagini 20th Century Type,<br />

Lewis Blackwell, Zanichelli, 1995<br />

37


38<br />

Capitolo 4. Le Avanguardie d’inizio secolo.<br />

4.1 Futurismo italiano e Cubofuturismo russo.<br />

Dal 1910 molti movimenti d’avanguardia misero in discussione i canoni della<br />

rappresentazione figurativa della realtà, scardinarono e ricostruirono i manierismi<br />

artistici, e avrebbero avuto in poco tempo delle forti influenze sulla tipografia e su<br />

tutti gli aspetti della cultura occidentale in genere.<br />

Primo fra tutti questi movimenti è il futurismo. Le forme visive di questa corrente<br />

derivavano dalle idee cubiste di Picasso e Braque, che in particolare, con i loro<br />

papiers collés del 1911 e 1912, ispirarono le opere di tendenza tipografica di Balla,<br />

Carrà e Severini. Questi incorporavano nelle loro opere, collages di lettere tratte dai<br />

giornali o altre stampe.<br />

Il futurismo italiano voleva esprimere le forze che si muovevano nella società<br />

moderna attraverso i concetti di dinamismo, del ritmo, e con una certa aggressività<br />

comunicativa, rompendo con le regole convenzionali dell’arte e della comunicazione<br />

fino a quel momento in uso.<br />

Filippo Tommaso Marinetti, grande esponente del movimento sosteneva il principio<br />

delle parole in libertà come strumento di comunicazione; svincolato dalle norme<br />

sia verbali che visive egli applicava alla tipografia i concetti che pittori e scultori<br />

futuristi applicavano alle altre arti, quali le linee di forza, l’energia dinamica.<br />

Nel suo Manifesto del 1913, egli esplicitava la sua rivoluzione tipografica:<br />

Distruzione della sintassi – Immaginazione senza fili – Parole – Libertà:<br />

Io inizio una rivoluzione tipografi ca diretta contro la bestiale e nauseante concezione<br />

del libro di versi passatista e dannunziana, la carta a mano seicentesca, fregiata di<br />

galee, minerve e apolli, di iniziali rosse a ghirigori, ortaggi, mitologici nastri da<br />

messale, epigrafi e numeri romani. Il libro deve essere l’espressione futurista del<br />

nostro pensiero futurista. Non solo. La mia rivoluzione è diretta contro la così detta<br />

armonia tipografi ca della pagina, che è contraria al fl usso e rifl usso, ai sobbalzi<br />

e agli scoppi dello stile che scorre nella pagina stessa. Noi useremo perciò nella<br />

medesima pagina, tre o quattro colori diversi d’inchiostro, e anche 20 caratteri<br />

tipografi ci diversi, se occorra. Per esempio: corsivo per una serie di sensazioni simili<br />

o veloci, grassetto tondo per le onomatopee violente, ecc. Con questa rivoluzione<br />

tipografi ca e questa varietà multicolore di caratteri io mi propongo di raddoppiare


la forza espressiva delle parole. 1<br />

E in un altro manifesto Marinetti scrive in maniera del tutto disarticolata del ruolo<br />

della tipografia nel cinema futurista:<br />

Parole-in-libertà in movimento cinematografate (tavole sinottiche di valori lirici<br />

– drammi di lettere umanizzate o animalizzate – drammi ortografi ci – drammi<br />

tipografi ci – drammi geometrici – sensibilità numerica, ecc.)<br />

Pittura + scultura + dinamismo plastico + parole in libertà + intonarumori +<br />

architettura + teatro sintetico = cinematografi a futurista.<br />

Questa composizione disordinata di parole riassume perfettamente la filosofia<br />

futurista, la tipografia anarchica prodotta da Marinetti, Carrà e Soffici.<br />

Nel libro Zang Tumb Tumb, uscito nel 1914, Marinetti trattò i caratteri in maniera<br />

assurda, per esempio, in una pagina, interpreta tipograficamente un episodio della<br />

guerra del 1912 nei Balcani, tra bulgari e turchi; il risultato è una composizione di<br />

onomatopee oblique, parole disposte in cerchio, e linee verticali.<br />

Il movimento fece spontaneamente largo uso della fotografia e del cinema, in<br />

quanto erano prodotti della tecnologia da loro stessi celebrata. Essi organizzarono<br />

anche rappresentazioni teatrali accompagnate da musica stridente, con monologhi<br />

dirompenti e trame talmente impenetrabili che riscossero nel pubblico reazioni del<br />

tutto negative. Reazioni che alla filosofia futurista erano gradite poichè dimostravano<br />

il successo del loro spirito provocatorio.<br />

Particolarissima l’impaginazione di Bif & Zf + 18 di Ardengo Soffici, uscito nel 1915,<br />

al momento di questa pubblicazione Soffici si era già dissociato dal gruppo principale<br />

dei futuristi, dopo un periodo a Parigi nel quale aveva incontrato Apollinaire.<br />

Negli anni 20 il futurismo produsse pubblicità e manifesti commerciali e questo<br />

dimostra che lo spirito rivoluzionario era stato metabolizzato dalla società.<br />

Negli stessi anni, in Russia il movimento analogo al futurismo, meglio identificabile<br />

con il nome di cubofuturismo, differiva in genere dalle correnti europee e aveva in<br />

comune con il futurismo italiano soltanto l’entusiasmo generale per la rottura con<br />

le precedenti tradizioni artistiche, in particolare con il simbolismo russo. In molte<br />

opere di questo futurismo la tipografia è del tutto assente, infatti i libri venivano<br />

stampati in litografia e il testo era frutto di una scrittura manuale dello stesso autore<br />

che trattava le illustrazioni.<br />

Un importante caso isolato è rappresentato dal libro Una Tragedia di Vladimir<br />

Majakovskij, illustrato e impaginato dai fratelli Vladimir e David Berljuk; il libro trattava<br />

Pagina accanto dall’alto,<br />

Zang Tumb Tumb di Tommaso<br />

Marinetti e Bif & Zf + 18 di Ardengo<br />

Soffici.<br />

Qui sopra Il Pleut di Apolinnaire.<br />

Fonte delle immagini 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995.<br />

1 Filippo Tommaso Marinetti, citato<br />

in Teoria e Invenzione Futurista, i<br />

Meridiani, Mondadori, Milano 1983.<br />

39


A sinistra Una Tragedia di Vladimir<br />

Majakovskij, impaginato da David e<br />

Vladimir Berljuk nel 1914.<br />

Il libro si presenta impaginato<br />

in maniera molto particolare, si<br />

allontata dalla convenzionalità del<br />

periodo e diventa il precuusore del<br />

costruttivismo.<br />

Fonte delle immagini 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995.<br />

40<br />

i caratteri in maniera insolita, fu impaginato con le righe intercalate dal carattere in<br />

neretto, i nomi dei personaggi erano fuori dal blocco di testo, in corsivo a margine, le<br />

maiuscole e i numeri di diverse dimensioni creavano contrasti pesantissimi. Questo<br />

libro fu il precursore del costruttivismo suscitando l’ammirazione di Rodcenko e di<br />

El Lissickij.<br />

Si pensa che Berljuk e Majakovskij trassero ispirazione da una rivista di propaganda<br />

del vorticismo inglese: Blast, progettata nel 1914 da Percy Wyndham Lewis. Tale<br />

rivista porta un grosso titolo declamatorio formato dall’unica parola Blast, la sua<br />

grafica interna con pesanti blocchi di testo su carta colorata assume caratteristiche<br />

provocatorie.<br />

Durante la Prima Guerra Mondiale a Zurigo nacque il movimento dadaista, si diffuse<br />

rapidamente nelle varie città tedesche, poi a Mosca e a Parigi. Il movimento si schierava<br />

contro la guerra e contro l’arte tradizionale. Le opere prodotte in questo periodo<br />

sono puri esperimenti sulla leggibilità, miscele di caratteri differenti nello stile e<br />

nelle dimensioni, impaginazioni apparentemente poco logiche e scoordinate.<br />

Un perfetto esempio può essere la poesia di Hugo Ball che mischiava i caratteri in<br />

maniera del tutto illogica, lui sosteneva che la parola e l’immagine sono una cosa<br />

sola, e partendo da tale presupposto si sentiva libero di operare un’impaginazione<br />

che fosse completamente priva di regole e griglie.<br />

Un altro artista molto importante è il poeta Ilja Zdanevicč, futurista russo dal 1910,<br />

collaborò alla creazione dello zaum, un linguaggio transrazionale in cui l’uso<br />

delle parole nella comunicazione trascende l’utilitarismo. Nel 1923 a Parigi esce<br />

sul mercato la sua opera Le Dantyn as a Beacon, il quinto volume di una tragedia


nella quale l’impaginazione grafica non tiene nessun conto della funzionalità del<br />

testo stampato, si realizza piuttosto in una composizione artistica e sperimentale.<br />

Ogni doppia pagina offre diverse possibilità di lettura. I fregi tipografici usati per<br />

costruire le lettere offrono diverse possibilità di significati verbali e visivi, egli con i<br />

suoi esperimenti contribuì a valorizzare il potenziale espressivo della pagina.<br />

Sperimentazioni tipografiche analoghe vennero fatte dal dadaista Kurt Switters, nelle<br />

sue opere in seguito raccolte sotto il titolo di Merz.<br />

A partire dal 1917 i fotomontaggi di Hausmann, Hannah Hoech e John Heartfield<br />

riproposero una rappresentazione bi e tridimensionale del dadaismo che restituiva<br />

vitalità ai legami tra i caratteri e il loro contesto.<br />

Il futurismo e il dadaismo in Spagna mantengono una certa sobrietà rispetto agli altri<br />

paesi europei. Merita attenzione la rivista “391” di Francis Picabia, più che esprimere<br />

le caratteristiche del movimento, sembrava trattare il presagio dei cambiamenti della<br />

grafica spagnola in seguito alle influenze dei movimenti internazionali.<br />

Nel manifesto di J. M. Junoy, per una mostra di Mirò a Barcellona nel 1917, emergono<br />

Ilja Zdanevicč Le Dantyn as a Beacon,<br />

1923<br />

Fonte dell’immagine 20th Century Type,<br />

Lewis Blackwell, Zanichelli, 1995.<br />

41


Merz, Kurt Schwitters, 1919<br />

Nell’impaginazione della<br />

rivista le informazioni erano<br />

contenute in blocchi modulari,<br />

i filetti blu sostenevano<br />

graficamente la direzione<br />

delle informazioni, servivano a<br />

controllare gli spazi stabilendo<br />

l’equilibrio della pagina.<br />

Fonte dell’immagine 20th<br />

Century Type, Lewis Blackwell,<br />

Zanichelli, 1995.<br />

42<br />

le influenze del futurismo, il testo del manifesto corre in orizzantale lungo le lettere<br />

in ordine verticale che compongono il nome dell’artista.<br />

In Olanda invece si sviluppa il De Stijl, movimento d’avanguardia che prende il<br />

nome dalla rivista fondata nel 1917 di Theo van Doesburg e da lui diretta fino alla<br />

morte. Il De Stijl si basava sull’uso non decorativo delle forme elementari.<br />

In Francia il postcubismo fece pochi ma significativi esperimenti con la parola<br />

stampata. In particolare il merito va al poeta e critico Giullaume Apollinaire, grande<br />

estimatore di Picasso e Braque, fece delle importanti ricerche sulla relazione che<br />

lega l’arte visiva e la parola stampata. Egli scrisse dei calligrammi, poemi impaginati<br />

secondo forme irregolari che ne esprimevano il contenuto.<br />

Lo sviluppo della tipografi a nel periodo del futurismo e delle avanguardie a esso<br />

correlate, fornisce nuovi canoni di interpretazione e di lettura nei confronti della<br />

comunicazione cartacea. La leggibilità era qualcosa che non riguardava soltanto il<br />

testo in se, bensì l’interpretazione fruibile dalla forma stilistica nella quale le parole<br />

erano combinate. La leggibilità riguarda, oltre il senso delle parole, la forma di


Blast 1914, manifesto del<br />

movimento vorticista pubblicato da<br />

Percy Wyndhnam Lewis.<br />

Fonte dell’immagine 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995.<br />

43


44<br />

esposizione dell’informazione. Se i concetti del futurismo erano la provocazione, la<br />

forza dell’innovazione, la rottura con i precedenti manierismi, non fu con le parole<br />

che furono espressi, o meglio non fu con il signifi cato concettuale delle parole, bensì<br />

con la loro forma. Un pò come nell’Arts and Crafts, la comunicazione curata in ogni<br />

minimo particolare, piena di fregi e mai ricadente nella casualità, era portatrice di<br />

quell’artigianato conservatore che cercava nella decorazione l’abbellimento degli<br />

oggetti e delle cose della vita quotidiana.<br />

Nel 1911 ci fu inoltre una nuova invenzione per quanto riguarda l’aspetto meccanico<br />

della composizione. La Ludlow Typograph Company lanciò sul mercato la Intertype,<br />

che divenne immediatamente la prima diretta concorrente della Linotype poichè<br />

come quest’ultima lavorava sulla composizione di una riga intera e non delle singole<br />

matrici. L’acquisto della Intertype da parte di importanti società come il New York<br />

Times, stimolò la Monotype e la Linotype a cercare miglioramenti per sostenere la<br />

competizione.<br />

Infatti la Monotype Corporation commissionò l’incisione di nuovi caratteri per la<br />

composizione meccanica. L’Imprint venne creato nel 1913 per una rivista che portava<br />

lo stesso nome. Gli autori furono i direttori della rivista Gerard Meynell e J.H. Mason,<br />

in oltre F. Ernest Jackson e Edward Johnston. L’Imprint ebbe molto successo, aveva<br />

un aspetto simile al Caslon, con le maiuscole più alte per favorire la leggibilità, fu<br />

venduto dalla Monotype anche nelle versioni per le altre compositrici meccaniche;<br />

per quanto riguarda invece la rivista, ebbe solo nove numeri, ma gli si riconosce il<br />

merito di diffondere l’idea di progettare il carattere appositamente per le testate in<br />

garanzia di una stampa di qualità.<br />

4.2 Frederic Goudy, Bruce Rogers.<br />

Nel 1914 venne fondato L’American Institute for Graphic Arts, in quel periodo<br />

emersero grandi disegnatori di caratteri: Frederic Goudy e Bruce Rogers negli USA,<br />

Rudolf Koch e Edward Johnston in Europa.<br />

Frederic Goudy fu creatore di bellissimi caratteri, cominciò la sua carriera nel 1890,<br />

e i suoi caratteri furono accettati dall’ ATF a fine secolo. Nella sua vita fu prima un<br />

grafico indipendente, nel 1903 fondò la Village Press e da quel momento si dedicò<br />

al disegno dei caratteri fino alla sua morte avvenuta nel 1947.<br />

Il primo carattere importante di Goudy fu il Kennerley, disegnato per le edizioni di


Mitchell Kennerley nel 1911.<br />

Il Kennerley è ancora un romano antico, come i Cloister di Morris, eppure ha uno<br />

stile proprio. Incorpora in tutte le lettere le fioriture del tocco di Goudy, anche se<br />

venne prodotto appositamente per la Mitchell Kennerley e la Village Press, vennero<br />

ceduti i diritti alla Monotype che lo distribuì dal 1920.<br />

Nello stesso anno Goudy disegna anche il Forum, un carattere inclinato, il primo di<br />

quelli ispirati ai classici.<br />

La sua opera più importante fu il Goudy Old Style, carattere commissionato dall’ATF<br />

nel 1914. Le lettere sono caratterizzate delle ascendenti corte, in oltre si presentano<br />

più arrotondate rispetto al Kennerley, e rivelano l’influenza del Jenson.<br />

Contemporaneamente andava crescendo anche la fama di Bruce Rogers, grande<br />

progettista grafico in America, il suo più grande successo fu il disegno del Centaur<br />

nel 1914. Il carattere di stile veneziano si basava sul Jenson. Il carattere era stato<br />

inizialmente concepito per i titoli del Metropolitan Museum di New York. Ma Rogers<br />

lo utilizzò anche per altri lavori, la sua prima comparsa fu nel romanzo di Maurice<br />

de Guérin, Il Centauro. In seguito il Centaur sarà prodotto dalla Monotype, sotto le<br />

direttive di Rogers, e sarà utilizzato nella stampa della Bibbia di Oxford Lectern, il<br />

capolavoro di Rogers, nel 1935.<br />

4.3 Rudolf Koch e Edward Johnston.<br />

Rudolf Koch lavorò dal 1906 per la Klingspor in Germania. I suoi caratteri, seppure<br />

si affermavano nello stesso periodo di Goudy e Rogers, sono del tutto differenti.<br />

Koch, noncurante delle mode e delle tendenze tipografiche, nella sua produzione<br />

del Fruhling e del Maximilian si ispirò alla tradizione gotica tedesca. In effetti il<br />

Fruhling è una chiara ed elegante rivisitazione del gotico noto come Fracktur, invece<br />

il Maximilian si contraddistingue per le sue maiuscole romane filettate. A lui il merito<br />

di aver fuso negli anni 20 la tradizione tedesca con gli stili moderni.<br />

Altro genio del lettering fu Edward Johnston (1872-1944). La calligrafia di Johnston,<br />

basata sui manoscritti del X secolo, fu considerata per anni l’esempio di un bellissimo<br />

stile di scrittura, egli fu l’ispiratore di Jan Tschichold. Nonostante si ispirasse a tempi<br />

molto remoti, il suo prodotto fu un’autentica avanguardia nel 1916. Il Johnston gli<br />

venne commissionato per le informazioni relative alla metropolitana di Londra.<br />

45


Goudy Old Style del 1915 di Frederic<br />

Goudy.<br />

Fonte dell’immagine:<br />

www.identifont.com<br />

Centaur del 1914 di Bruce Rogers.<br />

Fonte dell’immagine:<br />

www.identifont.com<br />

46


Egli si basò sulla conoscenza delle forme classiche, creò un carattere senza grazie,<br />

totalmente differente dai bastoni vittoriani che lo precedevano. La sua forma pulita<br />

e lineare anticipava l’estetica funzionalista degli anni Venti, divenne un classico e<br />

tutt’ora è l’identificazione dei trasporti londinesi. La sua nuova forma digitale è il<br />

New Johnston, ridisegnata da Banks e Miles negli anni Ottanta per adeguarsi alle<br />

nuove esigenze della segnaletica metropolitana. Il Johnston introdusse una nuova<br />

concezione del disegno del carattere, rappresenta la base di altri due importantissimi<br />

caratteri, il Futura e il Gill.<br />

L’innovazione portata dal Johnston era figlia di una sensazione che coinvolgeva diversi<br />

tipografi in quel periodo, la sensazione era quella di trovarsi di fronte a una grafica<br />

degenerata e di bassa qualità, perchè chiamata a rispondere troppo velocemente alle<br />

richieste di mercato. Questo declino ispirò una serie di revival disegnati in maniera<br />

eccellente, come la prima rielaborazione del Garamond del 1912, della Deberny &<br />

Peignot a Parigi. Subito dopo le più grandi fonderie ne produssero la loro versione.<br />

La varietà delle versioni di una carattere fa emergere il problema di come individuare<br />

e stabilire i punti caratterizzanti di un carattere. Apparentemente le versioni ritoccate<br />

sembrano sempre molto simili l’una all’altra e all’originale, in raltà ponendo le<br />

lettere una di fianco all’altra si notano subito le differenze di spessore e le modifiche<br />

apportate. La volontà di rendere il carattere ogni volta originale per ottenere una<br />

stampa di qualità, è frutto di un continuo adattamento del disegno all’esigenza della<br />

pubblicazione. Questo accade continuamente oggi, con la tipografia digitale.<br />

47


Sopra il Kabel del 1928 di<br />

Rudolph Koch.<br />

Uno dei primi caratteri geometrici<br />

senza grazie che riflette l’influenza<br />

del Bauhaus, il suo nome è<br />

stato scelto in onore del primo<br />

cavo telefonico transatlantico.<br />

Oggi è prodotto dalla Linotype e<br />

dall’Adobe.<br />

Qui a lato il Maximillian,<br />

ridisegnato da Jason Castle nel<br />

1991, sulla base del modello<br />

originale di Rudolph Koch.<br />

Fonte delle immagini www.<br />

indentifont.com<br />

48


Johnston di Edward Johnston.<br />

Carattere disegnato nel 1916 per la<br />

metropolitana di Londra.<br />

Fonte dell’immagine 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995.<br />

49


50<br />

Capitolo 5 il Bauhaus, El Lissickij, Futura, Gill e Bifur.<br />

5.1 Il Bauhaus: Walter Gropius, Laslò Moholy Nagy e Herbert Bayer.<br />

Gli anni Venti rappresentano la fucina delle idee dalla quale nacquero tutte le<br />

influenze che confluiscono nella grafica odierna. I protagonisti di quegli anni<br />

meditarono sul futuro della tipografia, si buttarono sulla sperimentazione per la<br />

ricerca della definizione del moderno e allo stesso tempo diedero molta importanza<br />

ai valori tradizionali della tipografia, cercarono in ogni modo di mantenere la sua<br />

stretta relazione con l’architettura e le arti figurative, e non tralasciarono il concetto<br />

di potere del mezzo di comunicazione.<br />

La nuova tipografia si può collocare con la nascita del Bauhaus a Wiemar nel 1919. il<br />

Bauhaus era una scuola radicalmente innovativa nella quale artisti, architetti e artigiani<br />

insegnavano le arti applicate. In realtà le idee del Bauhaus erano state sviluppate per<br />

la prima volta da Henry Van de Velde, noto per il suo contributo all’Art Nouveau,<br />

prima della Grande Guerra. Il nuovo programma era invece in mano all’architetto<br />

Walter Gropius, ex assistente di Peter Behrens. La scuola del Bauhaus ebbe un<br />

decorso che rispiecchia in parallelo gli avvenimenti che coinvolsero la repubblica di<br />

Wiemar nel periodo tra le due guerre, dovette traslocare tre volte in soli quattordici<br />

anni, spesso risentì delle scarse risorse economiche e fu costantemente attaccato per<br />

la sua ideologia di base socialista.<br />

Il primo a includere il lettering negli insegnamenti della scuola fu Johannes Itten, e<br />

le prime esercitazioni si basavano sulle sperimentazioni dadaiste. Nel 1923 Itten fu<br />

sostituito da Lásló Moholy-Nagy. Nei cinque anni di incarico, Moholy-Nagy diede<br />

un contributo enorme allo sviluppo della scuola, la sua vasta produzione di lavori di<br />

forte impatto, consentì al Bauhaus di diffondersi in tutto il mondo. La fotografia e la<br />

cinematografia vennero innalzate dalla scuola a livelli di importanza che mai abbero<br />

prima di quel momento. Gropius aveva stabilito che il corso si sarebbe strutturato con<br />

lo studio di tutte le arti applicate e si doveva concludere con l’ultimo insegnamento<br />

che è l’architettura. Il piano di Gropius venne seguito in maniera egregia da tutti i<br />

direttori che gli succedettero, Nagy, Hannes Meyer nel 1928 e Mies van der Rohe<br />

nel 1930; su questo piano la scuola forniva un’alta preparazione su tutte le discipline<br />

come la grafica, il design, l’arredamento e le arti applicate. Tra gli insegnanti della


scuola figuravano i grandi nomi di Paul Klee, Kandinskij, Joseph Albers e Feininger,<br />

mentre le influenze esterne erano quelle di El Lissikij e van Doesburg. Il manifesto<br />

redatto da Moholy-Nagy nel 1928 diceva:<br />

La tipografi a deve comunicare in modo chiaro e nella forma più vivace possibile.<br />

La chiarezza va particolarmente accentuata, in quanto è l’essenza della stampa<br />

moderna, in contrasto con l’antica scrittura decorativa.<br />

Quindi assoluta chiarezza, innanzi tutto, in ogni lavoro tipografi co. La comunicazone<br />

non deve essere subordinata a valori estetici assunti a priori.<br />

I caratteri non devono essere deformati e costretti all’interno di una forma<br />

prederminata, come un quadrato.<br />

Va creato un nuovo linguaggio che unisca all’elasticità e alla varietà un approccio<br />

nuovo ai materiali di stampa, un linguaggio la cui logica dipenda dall’applicazione<br />

appropriata dei procedimenti di stampa. 1<br />

La storia di Moholy-Nagy che precede il Bauhaus lo vede prendere parte al<br />

Movimento Attivista ungherese. Durante e dopo la guerra, il movimento, nella sua<br />

rivista “MA”, utilizzava l’arte come mezzo di comunicazione per le idee di natura<br />

socialista o anarchica; la propaganda aveva esigenze provocatorie, le stesse che tutti i<br />

movimenti di quel periodo condividevano, il futurismo, il cubismo, l’espressionismo,<br />

etc. Nel suo percorso artistico sono individuabili le influenze degli attivisti per le<br />

prime opere, nei lavori successivi quelle del dadaismo, del suprematismo di Malevič<br />

(la purezza geometrica), e del costruttivismo di El Lissikij. Nelle sculture e nei quadri<br />

degli anni Venti lavora ed esplora le forme geometriche del quadrato e del cerchio,<br />

tali studi saranno evidenti nelle successive composizioni tipografiche. Anche nelle<br />

sue foto è chiara la rilevanza che egli attribuisce alla luce e alle ombre, forme nelle<br />

quali è facile individuare quelle che poi saranno le linee caratterizzanti dei suoi<br />

lavori bauhaus.<br />

Tra le sue opere più importanti vanno citati i libri del Bauhaus, Bauhausbücher,<br />

pubblicati dal 1923. Le pubblicità per questi libri riflettono l’influenza del De Stijl e<br />

del costruttivismo russo.<br />

Elementi ricorrenti nelle pagine del bauhaus, erano i filetti lineari, blocchi di testo,<br />

grandi punti, il colore e lo spazio bianco; venivano disposti in maniera asimmetrica,<br />

ma geometrica intorno a gliglie fatte di moduli, rettangoli che sezionavano lo spazio<br />

della pagina, richiamando una certa costruzione architettonica. I principi di questo<br />

stile erano la ricerca dell’armonia nella pagina, data dalla giustapposizione degli<br />

1 Laslò Moholy-Nagy, in Staatliches<br />

Bauhaus in Weimar, 1919-1923,<br />

Monaco 1923.<br />

51


52<br />

elementi grafici, senza necessitare di illustrazioni.<br />

Il Bauhaus non mirava a realizzare semplicemente manifesti ideologici, abbandonava<br />

tutte le tradizioni artistiche precedenti per creare una forte realazione tra la cultura<br />

che li circondava e il mezzo di comunicazione.<br />

Moholy-Nagy, nella collana Malerei, Photographie, Film, tratta l’argomento della<br />

fotografia ritenendola portatrice di un valore espressivo superiore alla pittura, in<br />

effetti nell’arte tipografica essa soddisfa grandi esigenze di comunicazione, e questo<br />

era già stato sperimentato dai pionieri del costruttivismo russo. Rodčenco più di tutti<br />

utilizzò la fotografia in modo da introdurla con grande rilevanza nelle arti grafiche<br />

e viceversa, portò le arti grafiche nella fotografia e nel cinema. Fu lui a coniare<br />

il termine fotogramma per descrivere le rayografie di Man Ray, prodotte senza<br />

fotocamera.<br />

Moholy-Nagy, nel suo saggio del 1925, Tipografia contemporanea. Scopi, pratica,<br />

critica, affronta il presagio che la tipografia potessere essere sostituita in breve tempo<br />

dai nuovi media che utilizzavano le registrazioni vocali e il video; in pratica sono<br />

le stesse preoccupazioni alle quali allude il titolo del libro di grafica sperimentale<br />

di David Carson, The End of Print, uscito negli anni Novanta. Per competere, la<br />

tipografia avrebbe dovuto innalzarsi a livelli più alti e complessi, al fine di raggiungere<br />

l’efficacia della sua potenza espressiva. Occorreva per tanto accogliere i nuovi<br />

mezzi della composizione meccanica e cominciare a pensare a come utilizzarli per<br />

produrre lavori di alta qualità, bisognava adeguare la comunicazione tipografica alla<br />

nuova epoca tecnologica senza rifiutare l’innovazione. Moholy-Nagy nello stesso<br />

saggio parlò delle strategie compositive sulle quali doveva insistere la nuova grafica,<br />

si doveva basare sul bilanciamento dei contrasti tra i vari elementi visivi, il colore,<br />

lo spazio, il verticale, l’obliquo e l’orizzontale, il multicolore con il grigio, il chiaro<br />

e lo scuro, erano queste le materie da trattare con estrema cura nella composizione<br />

della pagina. Bisognava rivalutare i segni tipografici e fare a meno degli ornamenti<br />

illustrativi, cercava una tipografia che fosse fine a se stessa e che non soccombesse ai<br />

valori puramente estetici. Ricercava un carattere che fosse puro, totalmente lineare e<br />

grafico, che addirittura escludesse le maiuscole superflue.<br />

Il disegnatore di questo carattere fu Herbert Bayer. Nel 1925 disegnò un alfabeto<br />

unico dalle lettere estremamente lineari, del tutto ispirate a un’archittettura moderna;<br />

la forma geometrica del cerchio non presentava distorsioni in nessuna lettera, persino<br />

la K aveva le sue due linee diagonali che erano ¼ di un cerchio perfetto. la b e la d,


la p e la q erano forme perfettamente speculari. La m e la w erano lo stesso carattere<br />

capovolto, come anche la n e la u, la x era composta dalle due metà della o traslate.<br />

L’alfabeto di Bayer si basava sulla ricerca minimalista che ispirò anche van Doesburg<br />

nel suo carattere del 1919 e Tschichold nel carattere universale di qualche anno<br />

dopo.<br />

L’argomento a favore di una carattere unico, molto dibattuto tra gli esponenti del<br />

movimento, si basava sul presupposto che le maiuscole, che verbalmente non vengono<br />

pronunciate, costituiscono uno spreco di tempo, di risorse monetarie e energetiche,<br />

come il materiale per fabbricare le matrici e il lavoro per immagazzinarle e gestirle.<br />

In oltre le maiuscole rappresentano una ulteriore complicazione nell’impaginazione<br />

grafi ca.<br />

Bayer fu il primo responsabile dell’officina tipografica del Bauhaus, aperta nel 1925<br />

quando la scuola si trasferì a Dessau.<br />

Tra i suo lavori hanno particolare importanza le banconote disegnate per lo stato della<br />

Turingia, la loro grafica lineare, molto moderna, preannunciava in tutta chiarezza lo<br />

stile del bauhaus e rompeva con la tradizione delle baconote con i caratteri fregiati.<br />

Disegnò nel 1923 anche un’altro carattere, il Bayer Type, un romano moderno stretto,<br />

destinato a un uso commerciale, che si allontanava dallo stile del Bauhaus.<br />

L’insegnamento di Bayer dedicava anche un largo spazio all’analisi psicologica del<br />

linguaggio, era consapevole che le reazioni inconsce suscitate da un’immagine, nella<br />

comunicazione sono importanti almeno quanto quelle razionali. Fu riconosciuto il<br />

valore degli elementi simbolici, venivano usati con una certa frequenza i colori rosso<br />

e nero nella stampa bicolore, mentre il bianco non aveva più un valore relazionato<br />

semplicemente al margine delle pagine o al vuoto, era uno spazio dinamico che<br />

rivestiva grande importanza, esattamente come tutti gli altri elementi.<br />

Nel 1928 Herbert Bayer venne sostituito da John Schmidt, il suo insegnamento<br />

mantenne con gran rigore le introduzioni di Bayer e Moholy-Nagy riguardanti l’uso<br />

della fotografia e del fotomontaggio, in oltre insistette sullo studio della tipografia.<br />

Infatti fu lui a introdurla come insegnamento a se. Fece molta pressione per fornire<br />

alla scuola insegnamenti esterni, coinvolse in particolare gli avanguardisti, El Lissikij<br />

e Alexandr Rodcenko.<br />

53


Banconote disegnate per lo Stato<br />

della Turingia da Herbert Bayer,<br />

nel 1923, durante la repubblica di<br />

Weimar, nel periodo dell’inflazione.<br />

Bayer si distanzia dalla grafica<br />

complessa e dai caratteri graziati<br />

delle banconote tradizionali e utilizza<br />

un bastone neretto, i numeri sono<br />

molto grandi e i blocchi di colore ben<br />

definiti.<br />

Fonte delle immagini 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995.<br />

Progetto per l’alfabeto unico di<br />

Herbert Bayer, 1925. Le lettere<br />

sono ridotte all’essenziale della<br />

loro geometria, non c’è nessuna<br />

caratterizzazione per la i e per la<br />

j, molte lettere sono la versione<br />

speculare di altre, come la b e la d, la<br />

p e la q.<br />

54


5.2 El Lissikij, Alexandr Rodchenko.<br />

El Lissickij produsse lavori di grande importanza: nel 1923 impagina le poesie di<br />

Majakowskij nel libro Per la voce, il libro è strutturato con il taglio delle pagine a<br />

rubrica, per permettere al lettore di trovare velocemente la poesia ricercata; tutte le<br />

illustrazioni sono disegnate con le forme messe a disposizione dal compositore, cioè<br />

sono costituite da filetti e altri segni tipografici. Il libro rappresenta l’applicazione<br />

completa e armonica delle idee costuttiviste.<br />

Gli Ismi dell’ Arte del 1925 è una raccolta di opere riguardante le correnti artistiche che<br />

si erano sviluppate nel ventennio precendente, futurismo, dadaismo, espressionismo<br />

etc. Nella copertina, utilizzando l’Akzidenz Grotesque anticipa lo stile della scuola<br />

svizzera, formula un’impaginazione con giochi sulla frammentazione delle parole.<br />

All’interno del libro, impagina le correnti artistiche in tre colonne e tre lingue diverse,<br />

ciascuna su ogni colonna.<br />

Nel suo libro Dei due quadrati invece esplora il rapporto tra la quarta dimensione<br />

del tempo, le tre dimensioni del libro e le due dimensioni della pagina.<br />

Dei due quadrati di El Lissikij<br />

progettato nel 1920 alla scuola<br />

d’arte Vitebsk. Il libro riprende<br />

l’idea di Malevic del quadrato come<br />

generatore di forme e sviluppa<br />

attorno a due quadrati, uno rosso e<br />

uno nero, una storia per bambini.<br />

Diventa il predecessore del libro<br />

illustrato per bambini, con pochissime<br />

parole integrate in perfetta armonia<br />

con l’illustrazione geometrica, narra<br />

la storia di due quadrati venuti sulla<br />

terra per rendere dinamica la vita del<br />

pianeta. La storia in sé non fa altro<br />

che rappresentare il radicalismo della<br />

grafica.<br />

Fonte dell’immagine 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995.<br />

55


Die Kunstismen “Gli Ismi dell’Arte”<br />

di El Lissickij e Hans Arp, 1925.<br />

Questo libro, oltre che a sintetizzare<br />

in maniera eccellente tutte le correnti<br />

artistiche del tempo, rappresenta una<br />

vera e propria opera d’arte grafica.<br />

Fonte dell’immagine 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995.<br />

56


Alexandr Rodchenko seppe porre una relazione perfetta tra l’immagine fotografica<br />

e la tipografia. Nei suoi manifesti pubblicitari, l’integrazione completa tra testo e<br />

immagine fornisce al messaggio una particolare immediatezza. Servendosi della<br />

variabilità delle dimensioni del carattere, dell’uso della fotografia o di immagini<br />

simboliche in stretta relazione al testo e al contesto, egli realizza una narrazione<br />

documentaria di tutta l’informazione.<br />

Conosciuto più come fotografo che come grafico, la sua carriera artistica in raltà<br />

parte dalla pittura e sfocia nel design di abiti, mobili e oggetti del quotidiano. Infatti il<br />

suo intento era proprio quello di rivoluzionare il quotidiano, si distingueva dai pittori<br />

per la questione dell’impegno sociale. Fu membro attivo del Costruttivismo Russo<br />

guidato da Tatlin, e quest’ultimo portava avanti l’idea che l’arte serviva a potenziare<br />

la qualità della vita.<br />

La sua fotografia d’arte sembra sfidare i canoni del reportage, e quando serve riesce<br />

sempre a conservare l’efficacia immediata del messaggio propagandistico.<br />

Nella sua vita collabora in diversi progetti con Majakovski, ne illustra molte opere e<br />

prende parte al suo movimento, il Fronte Rivoluzionario delle Arti.<br />

Rodchenko collabora a lungo anche con Fernand Léger, inseme condividono la visione<br />

modernista del mondo e credono nella funzionalità dell’arte nel migliorarlo.<br />

La questione dell’impegno sociale e del funzionalismo delle arti si possono definire<br />

le caratteristiche che distinguono spesso la grafica dalla pittura, sebbene la gestione<br />

dello spazio e l’equilibrio o il disordine tra gli elementi sono ricercati in entrambi i<br />

campi, la comunicazione effettiva, la funzionalità del messaggio allo scopo per cui<br />

è progettato restano caratteristiche esclusive solo alla grafica.<br />

Rodchenko concepiva il libro come un’opera globale, considerava la prima e la<br />

quarta di copertina come un tutt’uno del progetto. Nella grafica è un’avanguardista,<br />

anche se dai suoi scritti e dalle sue opere egli si consacra come artista fotografo<br />

dedito all’impegno sociale.<br />

Rodchenko sostiene che l’occhio va educato a guardare e leggere le immagini, per<br />

esempio nella fotografi a, per fare in modo che un’immagine venga accettata senza<br />

problemi bisogna discernere l’importanza del soggetto da quella dell’angolazione<br />

dal quale si deve far guardare, se il soggetto è comune l’angolazione o il taglio<br />

possono essere particolari, se il soggetto è già particolare allora bisogna ricorrere a<br />

un taglio comune e di facile lettura per renderlo accessibile a tutti1 .<br />

1 www.arte2000.net/FIF/Mostre/<br />

rodchenko/cs_Rod.PDF<br />

57


Inquadrature tratte dal documentario<br />

Cineverità di Vertov del 1922,<br />

realizzate da Alexandr Rodcenko.<br />

Quella in alto informa sulla salute<br />

di Lennin, che aveva appena<br />

avuto un infarto. Quella sotto<br />

proclama il riconoscimento del<br />

nuovo stato sovietico da parte della<br />

Norvegia. Il cinema era un mezzo<br />

di comunicazione di massa dal<br />

potenziale enorme e il muto offriva<br />

grandi opportunità di espressione alla<br />

grafica, anche se pochi disegnatori se<br />

ne sono serviti.<br />

Fonte dell’immagine 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995.<br />

58


5.3 Theo van Doesburg, Kurt Schwitters, Hendrik Werkman e<br />

Piet Zwart.<br />

Contemporaneamente al Bauhaus continuarono a svilupparsi il dadaismo e il De<br />

Stijl. Theo van Doesburg, figura centrale di entrambi, tra il 1921 e 1923 si stabilì<br />

a Wiemar e insegnò al Bauhaus, i suoi insegnamenti risultarono sovversivi nei<br />

confronti dei principi fondatori di Gropius.<br />

Vicino a El Lissikij e Van Doesburg era Kurt Schwitters, la sua raccolta di opere del<br />

1919 Merz, diventò successivamente un giornale al quale lavorano molti esponenti<br />

di questi movimenti.<br />

Klein Dada Soirée è un manifesto del 1922 di Van Doesburg e Kurt Schwitters, la<br />

confusione apparente dei caratteri li lascia comunque in uno stato di leggibilità,<br />

con le parole chiave in dimensioni più imponenti, illustra l’anarchia grafica del<br />

dadaismo evidenziandone però la forte comunicatività, le diagonali che danno<br />

dinamicità al testo e la formaa interrotta dai caratteri disegnati a mano, forniscono<br />

al messaggio una grade forza di impatto.<br />

Altro libro per bambini ispirato al lavoro di El Lissikij è il Die Scheuche Marchen<br />

(I racconti dello spaventapasseri), nel quale collaborano Kurt Schwitters, Theo van<br />

Doesburg e Kate Steinitz, del 1925. Theo van Doesburg, a quanto pare principale<br />

illustratore della storia, decostruisce i caratteri e li ricompone animandoli insieme a<br />

altri elementi della tipografia.<br />

Un esperimento molto importante di<br />

Schwitters è rappresentato dal disegno<br />

del suo carattere “Systemschrift”.<br />

Completamente diverso dalla tipografia di<br />

Bayer e Tschichold, il carattere presenta<br />

una forma del tutto artistica e irregolare,<br />

ma la caratteristica interessante è<br />

rappresentata dalle vocali larghe e spesse<br />

che ispirano foneticamente un particolare<br />

senso declamatorio.<br />

Hendrik Werkman, tipografo e stampatore<br />

olandese, fu un innovatore isolato,<br />

dal 1923 cominciò a pubblicare una<br />

Dall‘alto Klein Dada Soirée di Kurt<br />

Schwitters e Theo van Doesburg,<br />

1922.<br />

Sotto a destra Systemschrift di<br />

Schwitters.<br />

Fonte delle immagini: 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995.<br />

59


De Stijl, carattere disegnato da Theo<br />

van Doesbourg e Richard Kegler tra il<br />

1917 e il 1930.<br />

Fonte dell’immagine<br />

www.identifont.com<br />

60<br />

rivista sperimentale The Next Call . Gli elementi utilizzati nel processo di stampa<br />

venivano manipolati dall’autore nelle maniere più disparate. Le sue composizioni<br />

sono paragonabili a vere e proprie opere d’arte, più che produzioni per il mercato<br />

commerciale, venivano composte e stampate a mano.<br />

Sulla copertina del primo numero di The Next Call, la figura apparentemente astratta<br />

è in realtà l’immagine di una serratura, viene usata come elemento tipografico<br />

insieme alle lettere alfabetiche. Werkman invertiva il procedimento di stampa<br />

tipografica, dopo aver sistemato sul piano del torchio la carta, vi imprimeva sopra<br />

le matrici dei caratteri o altro tipo di matrici inchiostrate. Sebbene all’epoca il suo<br />

lavoro fu considerato estremista, egli fu il precursore, con gli esperimenti sul valore<br />

concettuale dei caratteri di altre correnti della grafica moderna.<br />

Piet Zwart, architetto olandese, diede importanti contributi alla tipografia. Influenzata<br />

dal De Stijl, la sua produzione è caratterizzata dall’uso delle diverse dimensioni<br />

di carattere all’interno di un manifesto pubblicitario. Le lettere erano talmente<br />

grandi da diventare a volte delle forme astratte all’interno della pagina. Prediligeva<br />

i colori primari, il rosso, il giallo e il blu, tanto cari anche al bauhaus. Utilizzava


frequentemente bastoni e maiuscole molto spesse, secondo lui più la lettera era<br />

semplice e più era utile.<br />

5.4 Jan Tschichold, Paul Renner, Eric Gill e le critiche di Stanley<br />

Morison<br />

Le nuove linee tracciate dalla sperimentazione degli anni venti trovarono ispirazione<br />

in Die Neue Typographie, (La nuova tipografia), un testo di Jan Tschichold.<br />

Tschichold era un grafico di origine svizzera, insegnava tipografia e lettering a<br />

Monaco di Baviera, aveva studiato attentamente gli insegnamenti di El Lissickij, dei<br />

The Next Call, Hendrik Werkman,<br />

1923.<br />

Fonte dell’immagine: 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995.<br />

61


Manifesto per il Futura, 1927.<br />

Fonte dell’immagine<br />

www.becky-welbes.com<br />

62<br />

maestri del Bauhaus e di altri ancora. Nel 1925 esordì con un saggio pubblicato<br />

su Typographische Mitteilungen, nel quale presentava il lavoro di El Lissickij.<br />

L’esposizione delle sue idee sulla tipografia asimmetrica, su una serie ristretta di<br />

caratteri senza grazie, sul rapporto tra testo composto e spazi bianchi, metteva in<br />

luce nuove norme per lo stampatore. Tschichold si fece portavoce di una serie di<br />

critiche al presunto calo di qualità della stampa, era molto scettico nei confronti<br />

delle impaginazioni più esotiche e dell’uso di troppe variazioni di carattere, al tempo<br />

stesso trovava sterili i blocchi di testo senza personalità nei quali l’occhio non trova<br />

appiglio. Le principali idee di Tschichold miravano a creare una tipografia che fosse<br />

pura e funzionale.<br />

Le sue tesi si potrebbero riassumere in due soggetti: asimmetria della composizione<br />

e carattere bastone. Queste tematiche, insieme alla grafica rigorosamente bella dei<br />

suoi libri, verranno riprese dai grafici di vent’anni dopo della scuola svizzera. I suoi<br />

cartelloni per il cinema Phoebus Palast coniugavano i principi del Plakatsijl (corrente<br />

tedesca basata sulla semplicità delle scritte, colori forti e un’immagine chiave) e del<br />

Bauhaus: l’asimmetria, la fotografia e l’esplorazione della forza dinamica delle linee<br />

diagonali. Nel 1929 disegnò sulla scia di Bayer un altro alfabeto universale, del tutto<br />

minimalista negli elementi tipografici.<br />

L’uomo che diede la possibilità a Tschichold di insegnare a Monaco di Baviera era<br />

Paul Renner, fu lui a concretizzare le ricerche sul carattere fatte da questi grafici fino<br />

a quel punto, il carattere si chiamò Futura.<br />

Il Futura fu progettato per la fonderia Bauer, uscì nel 1927, traeva spunto dall’Erbar,<br />

un bastone creato pochi anni prima e molto diffuso. Le sue caratteristiche particolari<br />

sono la Q maiuscola con la coda che parte dall’interno del cerchio, l’assenza di<br />

curvatura nella j minuscola, la a costituita da un cerchio e la g a collo aperto. Il<br />

disegno iniziale di Renner era ancora più astratto, la r era una semplice asta con<br />

un punto sospeso al posto del gancio. Rispetto agli altri bastoni, il Futura conteneva<br />

forme geometriche assolute. Per venticinque anni fu il bastone di riferimento, venne<br />

utilizzato moltissimo nella pubblicità in tutte le sue varianti, tra cui il Futura Black.<br />

Nonostante la rivoluzione creativa che i movimenti moderni avevano suscitato<br />

nell’ambiente tipografico, ispirando successi in tutto il mondo, come quelli del<br />

Devstil in Cecoslovacchia con Karel Teige e Ladislav Sutnar, e in Polonia con Henrik<br />

Berlewi e la sua teoria del mechano Faktur, c’era chi continuava a opporsi alla


modernità cercando di restaurare i valori tradizionali precedenti.<br />

La pubblicazione dell’ultimo numero della rivista tipografica The Fleuron, della<br />

Cambridge University Press, segnò una svolta nella classificazione e l’analisi dei valori<br />

tradizionali della tipografia. Nei suoi sette numeri la rivista aveva approfonditamente<br />

trattato gli standard della tipografia di alto livello, con servizi sui suoi protagonisti e<br />

una grande analisi del loro lavoro, escludendo però rigorosamente ogni riferimento<br />

al moderno. Il direttore della rivista era Stanley Morison, autore dei First Principles<br />

of Typography, (principi base della tipografia), nell’ultimo numero della rivista si<br />

esprime a proposito delle innovazioni a cui l’arte tipografica aveva assistito in quel<br />

periodo e nel suo scritto sostiene che “gli apostoli dell’era delle macchine” avrebbero<br />

dovuto rivolgersi ai loro “discepoli” in un romano classico poichè i bastoni potevano<br />

andar bene al massimo per i titoli, per il resto, all’interno delle opere, a prescindere<br />

dalle sperimentazioni dichiarate, “sottostiamo tutti alle leggi della vista e agli usi<br />

nazionali”.<br />

Nei suoi principi di base sosteneva che la tipografi a è l’arte di disporre correttamente<br />

il materiale da stampa, organizzare le lettere, distribuire lo spazio e controllare i<br />

caratteri, solo al fi ne di agevolare al massimo la comprensione del testo da parte<br />

del lettore. La tipografi a è il mezzo per un fi ne utilitario e solo casualmente estetico<br />

poiché il godimento delle forme è raramente una cosa ricercata dal lettore. Quindi<br />

ogni lavoro che contiene degli ostacoli o dei giochi che si frappongono tra l’autore<br />

e il lettore è da considerarsi non valido. Nella stampa dei libri destinati alla lettura<br />

è preferibile uno stile monotono e sobrio all’eccentricità e alle piacevolezze<br />

tipografi che. Queste ultime al massimo possono tornare utili nella grafi ca<br />

propagantistica, sia essa commerciale, politica o religiosa, in quanto ha l’esigenza<br />

di sopravvivere alla disattenzione.<br />

Certamente Morison non parlava di anonimato tipografico e non disprezzava le<br />

qualità che distinguono un’opera di prestigio da tutte le altre, in fondo ricercava come<br />

il Bauhaus le forme semplici e non decorative, ben diverso era però il suo approccio<br />

alla ricerca in quanto bandiva l’uso della tipografi a come una forma di espressione<br />

artistica, riteneva fosse oramai impossibile impersonifi carsi nel carattere, produrre<br />

cioé, come ai primordi della stampa un carattere che fosse d’autore. Secondo<br />

Morison le nuove esigenze della comunicazione richiedevano caratteri talmente<br />

sobri la cui novità sarebbe risultata evidente solo a pochi esperti.<br />

Le produzioni di Morison erano pagine classiche, rigorose nella loro perfezione. Ai<br />

63


64<br />

grafici di oggi i suoi dettami possono apparire senz’altro conservatori. Anche il suo<br />

predecessore alla direzione di The Fleuron, Olivier Simon, avrebbe dato un contributo<br />

a questo tipo di ideologia nel suo libro Introduction to Typography, pubblicato nel<br />

1946. I dubbi di Morison sono gli stessi di chi oggi pensa che la grande rivoluzione<br />

tipografica dei word processor metta la tipografia in una condizione da produrre<br />

opere ancora più scadenti di quelle dei tempi della macchina da scrivere. Nelle<br />

intenzioni di Morison le sue idee si sarebbero dovute diffondere tra un pubblico<br />

generico di amatori, essendo invece stampate su The Fleuron, furono ristrette a<br />

una fascia di lettori d’élite. Più tardi, nel 1936, in seguito alla forte influenza che il<br />

testo ebbe sul mercato inglese, il libro venne tradotto in diverse lingue e diffuso in<br />

America e tutta Europa.<br />

Imputabile è la limitazione degli interessi di Morison dovuta al fatto che in tutti i<br />

numeri della rivista, eccetto per l’ultimo, egli non citò mai gli artisti del Bauhaus<br />

o i grafici moderni come Tschichold. E non diede neppure peso al celebre bastone<br />

di Gill, creato da Eric Gill per la Monotype nel 1928, per la quale assurdamente<br />

Morison era consulente tipografico. Probabilmente perchè il Gill Sans fu progettato<br />

inizialmente per un’insegna, e il The Fleuron non dava nessuna importanza alle<br />

sperimentazioni moderniste.<br />

Il Gill deriva dal Johnston, e nel primo periodo il suo successo è dovuto al fatto di<br />

essere stato accolto come un’alternativa a quest’ultimo. In realtà il carattere aveva<br />

di per sé una forte personalità, degni di attenzione sono particolari come la curva<br />

discendente della r maiuscola e le trasversali spezzate a mezza altezza della m.<br />

Altro capolavoro disegnato da Eric Gill nel 1925 fu l’elegantissimo carattere Perpetua,<br />

chiamato Felicity nella versione corsiva. Il carattere si presentava come un romano<br />

antico dalle grazie nitide e raffinate, venne presentato magnificamente per la stampa<br />

di The Passion of SS. Perpetua and Felicity, e trovò spazio con la sua pubblicazione<br />

completa sull’ultimo numero di The Fleuron.<br />

Nello stesso decennio si evolveva anche il movimento dell’Art Déco, riassumendo in<br />

se le influenze cubiste, postcubiste, dell’Art Nouveau e del Plakatstijl si sviluppò in<br />

tutti gli ambiti creativi, dall’architettura alla pubblicità. Io attenendomi alla tipografia<br />

mi limiterò a citare Cassandre per aver disegnato il Bifur e Morris Benton per il<br />

Broadway.<br />

A.M. Cassandre fu senza dubbio il più notevole cartellonista dell Art Déco, i suoi<br />

manifesti sono laudabili per la notevole pittura e anche per la scelta tipografica,


particolare è il suo punto di vista spesso prospettico, con qualche richiamo al cubismo<br />

e alle successive avanguardie. Il Bifur, un carattere molto stilizzato e semiastratto,<br />

venne prodotto dalla Deberny e Peignot nel 1929.<br />

Cassandre lo presentò giustificando che era stato progettato per la pubblicità, per una<br />

“parola manifesto”, e che la sua forma molto particolare non era frutto di una ricerca<br />

ornamentale, bensì di un tentativo di tornare alle caratteristiche essenziali delle lettere.<br />

In effetti la caratteristica principale del Bifur sono le lettere prive di una loro parte,<br />

Bifur di Cassandre, 1929.<br />

Fonte dell’immagine: 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995.<br />

1Da un articolo su Cassandre di Henri<br />

Mouron su “Baseline” n. 10<br />

65


1 Spiegazione fornita nel corso di un<br />

seminario del Type Directors Club,<br />

nel 1959. 20th Century Type, Lewis<br />

Blackwell, Zanichelli, 1995.<br />

66<br />

Cassandre aveva disegnato in maniera lineare solo le parti che contraddistinguono una<br />

lettera dalle altre e le aste mancanti erano sostituite da tratteggi o forme ombreggiate.<br />

Egli disse: “Se il Bifur sembra strano o poco familiare, non è perchè l’ho rivestito di<br />

eccentricità, ma perchè nel mezzo di una folla interamente vestita, è nudo”. 1<br />

Alla fine degli anni Venti l’ American Type Founders e la Monotype produssero il<br />

Broadway, un carattere disegnato da Morris Benton, molto particolare per il contrasto<br />

tra le aste piene e i filetti. Il Broadway non è un carattere leggibile o flessibile, in oltre<br />

è fortemente datato per il suo disegno radicale e estremo.<br />

La grafica Déco più che seguire regole ben precise adattava il testo e l’immagine<br />

con maggiore libertà seguendo l’istinto della comunicazione. Anche se sulla rivista<br />

francese Mise en Page, Albert Tolmer tenta di riassumere le caratteristiche tipografiche<br />

del Déco, si può dire che il movimento faceva buon uso degli insegnamenti del<br />

Bauhaus, ma non aveva neanche problemi a trasgredirli, insieme alle illustrazioni<br />

i caratteri nascevano dall’esigenza pubblicitaria di turno e molti erano destinati a<br />

vivere il tempo di un titolo.<br />

La riechiesta commerciale soddisfatta dal Déco era molto simile a quella attuale<br />

soddisfatta con la tecnologia digitale.


Capitolo 6. I principi della Scuola Svizzera.<br />

6.1 Il secondo confl itto mondiale, la chiusura del Bauhaus.<br />

Nel decennio che si concluse con la Seconda guerra mondiale, le idee viaggiavano<br />

attraverso la pubblicità con una velocità e un vigore che mai prima di allora avevano<br />

visto, purtroppo le comunicazioni e la cultura internazionale vennero viste dai<br />

dirigenti politici del tempo come una minaccia, eccetto il caso in cui erano il loro<br />

veicolo di propaganda di massa.<br />

Lo sviluppo tipografico fu vittima di questi accadimenti.<br />

Jan Tschichold, che dal 1926 insegnava e lavorava come grafico a Monaco di Baviera,<br />

venne arrestato dal nuovo governo nazista nel 1933, rimosso dal suo incarico sotto<br />

l’accusa di bolscevismo culturale. L’arresto di Tschichold è solo un particolare di<br />

tutta l’azione repressiva nazista nei confronti delle manifestazioni dei movimenti<br />

culturali moderni. Venne chiuso il Bauhaus e vennero vendute o distrutte moltissime<br />

opere di arte moderna.<br />

Tschichold lasciò la Germania per la Svizzera, insegnò a Basilea e scrisse<br />

Typographische Gestaltung, (la creazione tipografica), pubblicato nel 1935. Pur<br />

rimanendo ancora fedele a molte delle sue idee, in questo libro, Tschichold torna per<br />

certi aspetti a rivalutare la tipografia classica. Il frontespizio del libro si presenta con<br />

un corsivo arabescato per il nome dell’autore, un egiziano per il titolo e un Bodoni<br />

nero per il nome dello stampatore; l’impaginazione presenta sia elementi simmetrici<br />

che asimmetrici, è equilibrata con il testo interamente scritto in Bodoni con titoli<br />

dalle grazie squadrate.<br />

Tschichold definì Typographische Gestaltung un libro più cauto rispetto ai suoi<br />

precedenti entusiasmi per il modernismo, spiegherà lui stesso la rivalutazione del<br />

tradizionalismo in questo modo:<br />

Col tempo le questioni tipografi che assunsero ai miei occhi un aspetto del tutto<br />

diverso e mi accorsi con stupore che andavo scoprendo parallelismi scandalosi tra<br />

gli insegnamenti di Die Neue Typographie da una parte e il nazismo e il fascismo<br />

dall’altra. Ci sono somiglianze ovvie tra la limitazione spietata dei caratteri – analoga<br />

all’infamante Gleichschaltung (allineamento politico) di Goebbels – e la disposizione<br />

più o meno militaristica delle righe. Poichè non volevo rendermi colpevole di<br />

67


Xanty Schawinsky, manifesto per la<br />

Olivetti,1935<br />

Fonte dell’immagine<br />

www.storiaolivetti.telecomitalia.it<br />

68<br />

diffondere quelle stesse idee che mi avevano costretto a<br />

lasciare la Germania, pensai di nuovo a ciò che un tipografo<br />

dovrebbe fare. Quali sono i caratteri buoni e quali invece i<br />

più pratici? Mentre dirigevo il lavoro dei compositori di un<br />

grande stampatore di Basilea, ho imparato parecchio sulla<br />

praticità. Una buona tipografi a deve essere perfettamente<br />

leggibile e, come tale, è il risultato di una pianifi cazione<br />

intelligente. I caratteri classici come il Garamond, lo Janson,<br />

il Baskerville e il Bell sono indubbiamente i più leggibili; i<br />

bastoni vanno bene per certe enfatizzazioni, ma sono stati<br />

tanto sfruttati da essere ormai obsoleti. 1<br />

Le forze politiche tedesche rifiutarono la modernità, la loro<br />

propaganda propugnava un uso ferocemente germanico<br />

dei caratteri gotici, dunque si basavano sulla forza della<br />

tradizione. E’ affascinante vedere le reazioni e controreazioni<br />

di Jan Tschichold, come i nazisti si mise anche lui a<br />

rifiutare la modernità, ma non perchè fosse questa adottata<br />

dai nazisti, ma perchè palesemente egli credeva nella forza<br />

concettuale che sta dietro all’estetica tipografica. Rifiutò i<br />

bastoni e rifiutò certamente il tradizionalismo utilizzato dai<br />

nazisti, rifiutò qualunque filosofia che si proponeva di dettare<br />

leggi intolleranti che si sostituissero alla libertà dell’agire<br />

umano. In Svizzera egli imparò ad apprezzare il ruolo<br />

dell’artigiano nella tipografia, imparò a mettere la tecnica al<br />

servizio della stampa, mettendo da parte la furia innovatrice<br />

con la quale esordì a soli 23 anni, tempo addietro.<br />

Il Bauhaus, prima di essere definitivamente chiuso, fu<br />

costretto a spostarsi da Dessau a Berlino. In questa città<br />

furono costretti a chiudere temporaneamente, in seguito<br />

al ritrovamento nei locali della scuola di testi bolscevichi,<br />

probabilmente messi dalla stessa polizia. Le condizioni per<br />

la riapertura erano l’esclusione degli insegnanti ebrei, tra<br />

i quali Vasilij kandinskij, e l’introduzione nel programma<br />

della propaganda nazista. Sono felice di poter scrivere che Il


direttore Mies van der Rohe e gli altri docenti ritennero le condizioni inaccettabili e<br />

chiusero il Bauhaus definitivamente.<br />

Paradossalmente le idee del Bauhaus non vennero affatto bloccate dal nazismo, ma<br />

si diffusero nei paesi dell’Europa, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Nel 1930,<br />

in Svizzera, giovani grafici già precostituivano le basi di quella che nel secondo<br />

dopoguerra sarebbe stata la “scuola svizzera”.<br />

6.2 Le basi della Scuola Svizzera.<br />

Nella Kunstgewebeschule, scuola delle Arti Applicate di Zurigo, gli insegnamenti<br />

di Ernst Keller e di Alfred Williman continuavano l’ordine modulare cominciato<br />

dal Bauhaus. Sostenevano la necessità dell’elaborazione di una struttura che<br />

sottostava al bozzetto tipografico, una struttura flessibile, ma solida, lineare che<br />

induceva a ricercare nuovamente la purezza delle forme stimolando la produzione<br />

di nuovi bastoni.<br />

Tra gli studenti vi era Theo Ballmer, ex allievo del Bauhaus. Fu un grande<br />

promotore dell’uso della griglia come disegno del progetto di impaginazione al<br />

quale attenersi per l’inserimento del testo e delle immagini. Questa fu una delle<br />

idee che contraddistinse la scuola svizzera fino agli anni Cinquanta e Sessanta.<br />

Anche Max Bill, studente svizzero del Bauhaus, diventerà uno dei migliori<br />

insegnanti per i grafici del secondo dopoguerra. Ricercava la sintesi degli elementi<br />

nella tipografia, riduceva al minimo il numero delle parole, e preferiva i caratteri<br />

bastoni, in particolare usava l’ Akzidenz Grothesque del 1900.<br />

6.3 Il metodo di Xanty Schawinsky e Cassandre.<br />

Negli anni Trenta in Europa e negli Stati Uniti si assisteva a una grafica che si era<br />

levigata in base alle esigenze di mercato, metteva in pratica con grande libertà i<br />

risultati prodotti dalle sperimentazioni del Bauhaus e dai movimenti precedenti.<br />

A New York Mehemed Fehmy Agha era stato nominato art director di Vogue, e<br />

Alexey Brodovitch di Harper’s Bazaar, questi due grafici si discostarono eticamente<br />

dai filoni che elaboravano “la tipografia per la tipografia”, loro cercarono di fare<br />

una grafica che vivacizzasse ed enfatizzasse il glamour delle loro riviste. Non si<br />

impegnarono nel disegno di caratteri tipografici e non erano interessati a seguire<br />

69


Peignot disegnato nel 1937 da<br />

Adolphe Mouron, in arte Cassandre.<br />

Il carattere ha la particolarità di<br />

avere tra le minuscole molte lettere<br />

disegnate come le maiuscole. Ha<br />

influenzato molti esperimenti nella<br />

tipografia successiva, per esempio il<br />

Gas di Peter Bruhn.<br />

Cassandre, si sostiene che aspirasse<br />

a ritornare alla purezza delle lettere<br />

originali romane, abbandonando<br />

“le minuscole corsive scritte a<br />

mano che la stampa commerciale<br />

aveva ereditato dagli umanisti del<br />

quindicesimo secolo”,<br />

riteneva che le minuscole fossero<br />

nate perché erano più facili da<br />

scrivere, ma che nell’era della<br />

stampa meccanica non ci fosse più<br />

alcuna ragione perché i tipografi<br />

non tornassero alle nobili forme<br />

classiche degli alfabeti, scartando le<br />

arcaiche minuscole.<br />

Il problema della leggibilità non fu<br />

ignorato da Cassandre, che modificò<br />

molte delle “piccole maiuscole” per<br />

renderle più leggibili.<br />

Uno dei font progettati da Cassandre<br />

è stato utilizzato nel marchio di Yves<br />

Saint Leureant.<br />

Fonte dell’immagine del Peignot<br />

www.identifont.com<br />

Fonte dell’immagine del marchio<br />

Yves Saint Leurent www.<br />

lodesignworks.com<br />

70<br />

le regole di una scuola piuttosto che quelle di un’altra, loro erano a conoscenza<br />

di tutte le innovazioni tipografiche degli ultimi anni, e utilizzandole senza aderire<br />

a principi particolari, liberarono la pagina dalle gabbie ideologiche a cui invece<br />

doveva attenersi se prodotta all’interno di un movimento o di una scuola.<br />

Brodovitch, Agha, Cassandre e contemporanei misero il loro talento al servizio<br />

delle grandi imprese, il loro obbiettivo era soddisfare con opere di altissimo<br />

livello le esigenze della pubblicità. Nei loro manifesti utilizzavano l’immagine per<br />

rappresentare simbolicamente, in qualche modo l’inserzionista, evidenziavano il nome<br />

dell’azienda con blocchi di testo e caratteri che ne favorivano la memorizzazione e<br />

l’identificazione.<br />

Dal punto di vista della leggibilità, spesso usavano la parola come un complemento


della composizione. Non esprimevano il messaggio semplicemente con il testo, ma<br />

con l’immagine, talvolta contenente la parola o il gioco di parole. E’ questo il caso<br />

di Cassandre e il suo testo sulle rotaie, o del manifesto per il Dubonnet nel quale il<br />

colore all’interno del lettering richiama il bicchiere di Dubonnet che svuotandosi<br />

dice “Dubo, Dubon, Dubonnet”.<br />

In Italia un’importante azienda che ha sempre sviluppato la sua immagine investendo<br />

nella grafica di alto livello è L’Olivetti. Due dei nomi importanti che lavorarono nei<br />

suoi primi uffici furono Giovanni Pintori, Xanty Schawinsky.<br />

Xanty Schawinsky, ex studente del Bauhaus, curò la campagna pubblicitaria<br />

della macchina da scrivere Olivetti. In un manifesto usa l’immagine di una donna<br />

con i gomiti appoggiati sulla macchina da scrivere, la marca Olivetti è disegnata<br />

direttamente nella macchina. In questo manifesto Schawinsky fa del tutto a meno<br />

del testo tipografico e segna l’inizio di un’epoca per la cartellonisca, nella quale<br />

i caratteri, se proprio dovevano apparire dovevano essere perfettamente integrati<br />

nell’immagine. Schawinsky, tra l’altro, fu uno dei grandi grafici che lavorarono con<br />

Antonio Boggieri; A Milano, lo Studio Boggieri, aperto nel 1933, diventò uno dei<br />

punti di riferimento per la grafica italiana, grazie ai contatti che il titolare aveva con<br />

insegnanti e allievi del Bauhaus, lo studio favorì la diffusione delle nuove idee anche<br />

in italia.<br />

Se in quegli anni tanti artisti analizzavano il contenuto espressivo del testo, era per<br />

soddisfare la richiesta commerciale, non si trattava più di semplice sperimentazione,<br />

come accadeva per dadaisti e futuristi. In oltre tutte le ricerche fatte sul carattere<br />

bastone, tutti i disegni tipografici che sono derivati dal Futura, non fanno altro che<br />

testimoniare la diffusione delle forme razionali.<br />

Un lavoro molto importante di Cassandre è rappresentato dal suo carattere Peignot,<br />

un bastone molto particolare, disegnato per la fonderia Deberny & Peignot, dalla<br />

quale prende il nome omaggiando Charles Peignot, uno dei principali promotori<br />

dell’innovazione tipografica. Cassandre aveva già cercato la semplificazione delle<br />

forme nel Bifur, in questo carattere limitava le varianti minuscole la cui distinzione<br />

dalle maiuscole si riduceva alla dimensione. Con questo carattere apre la strada a<br />

una nuova classe di caratteri tipografici, anche se l’estrema conseguenza di eliminare<br />

le minuscole non fu mai raggiunta.<br />

71


Times New Roman di Stanley<br />

Morison.<br />

Fonte dell’immagine<br />

www.identifont.com<br />

72<br />

6.4 Stanley Morison e il Times New Roman<br />

Il recupero delle idee tradizionali e il connubio perfetto tra vecchio e nuovo venne<br />

dato dall’ opera di Stanley Morison, il Times New Roman. Fu disegnato nel 1932<br />

per la rivista Times di Londra, venne prodotto dal 1933 dalla Monotype e da quel<br />

momento diventò il romano moderno più diffuso in assoluto. Il Times fece incidere<br />

oltre alla versione per il quotidiano, una con i tratti discendenti più lunghi per la<br />

stampa dei libri.<br />

Il Times New Roman si basa sul disegno cinquecentesco del Plantin, ma contiene<br />

le caratteristiche determinanti della tipografia del XX secolo. Morison, autore dei<br />

First Principles of Typography, era si un tradizionalista, ma aveva la modestia del<br />

tipografo, era consepovole che l’anonimato di un carattere, la sua forma estetica<br />

priva di ornamenti, non poteva che favorirne l’usabilità, garantire al carattere la sua<br />

funzione, essere letto e non guardato. Il fatto che tra i non addetti ai lavori fossero<br />

in pochi a vedere le modifiche che contraddistinguevano il carattere, era per lui un


successo, proprio come diceva nei suoi principi di base : Perchè un nuovo carattere<br />

abbia successo, deve essere talmente buono che solo pochi sapranno riconoscerne<br />

le novità.<br />

Il carattere rimase immutato finoal 1972 quando venne ridisegnato nella versione<br />

del Times Europa e nel 1991 in quella del Times Millennium. Il Times New Roman<br />

non potè essere usato facilmente dalle altre riviste, poichè essendo queste di qualità<br />

inferiore rispetto al Times, necessitavano di caratteri meno elaborati, dalle grazie<br />

meno sottili. Il Times New Roman fu in ogni caso un gioiello della tipografia, e<br />

favoriva una notevole economia di spazio nei quotidiani, sia in orizzontale che in<br />

verticale.<br />

Nel 1953 Morison espresse un giudizio non del tutto positivo a proposito del suo<br />

stesso carattere, definendolo come prodotto “dalla miseria dell macchina, bigotto e<br />

stretto, mediocre e puritano”; si pensa parlasse del pensiero che secondo lui, William<br />

Morris avrebbe espresso sul carattere, e dei suoi dubbi sulla qualità estetica della<br />

comunicazione di massa.<br />

Il carattere di Morison è il più noto e celebrato tra tutti quelli disegnati per i quotidiani,<br />

ma molti altri di grande qualità e vasta diffusione meritano di essere citati. Lo Ionic,<br />

inciso nel 1925 nacque da una rivisitazione dei Claredon Vittoriani, prodotto dalla<br />

Pagina accanto in alto:<br />

Paul Rand Eye Bee M poster realizzato<br />

in 1981 per la IBM.<br />

Fonte dell’immagine<br />

www.wikipedia.org<br />

Qui a lato: Lester Beall. Brochure.<br />

1935.<br />

Le sue impaginazioni sono del tutto<br />

crude, nel senso che sono spoglie di<br />

ornamenti e grazie superfl ue, egli<br />

lavorava nel periodo della Grande<br />

Depressione e dai suoi manifesti<br />

emerge il bisogno che l’America<br />

aveva di risolvere i suoi problemi<br />

economici.<br />

I caratteri richiamavano le matrici in<br />

legno usate dai piccoli stampatori,<br />

di solito nella composizione era<br />

molto minimale, accostava una<br />

sola frase con un illustrazione o un<br />

fotomontaggio, crudo e aggressivo.<br />

Fonte dell’immagine www.my-os.net<br />

73


Qui accanto Paul Rand, libro per la<br />

Autocar Corporation, Mechanized<br />

Mules of Victory, 1942.<br />

Il testo si mantiene nella terza<br />

inferiore della pagina, i caratteri sono<br />

simili a quelli della macchina da<br />

scrivere, impaginati senza margine,<br />

con dimensioni differenti. Secondo<br />

Rand il lettore doveva ritrovare la<br />

sensazione dei caratteri in metallo.<br />

L’uso della mascherina e il richiamo<br />

della macchina da scrivere davano<br />

al testo un aspetto elementare, che<br />

manteneva comunque una chiara<br />

leggibilità.<br />

Fonte dell’immagine 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995.<br />

74<br />

Linotype venne utilizzato nei quotidiani di tutto il mondo. Dal 1931 uscirono<br />

l’Excelsior, il Paragon e l’Opticon, rientravano nella serie prodotta dalla Linotype,<br />

chiamata Legibility Group, la ricerca culminò nel 1941 con il Corona adottato da<br />

numerosi quotidiani americani e tutt’ora utilizzato.<br />

Non ostante lo sviluppo delle nuove tecniche, la composizione a mano era ancora<br />

in molti casi utilizzata, e le prime pratiche di fotocomposizione avviavano i processi<br />

che presto avrebbero sostituito la stampa a caratteri mobili di Gutemberg. Edmund<br />

Uher aveva trovato un metodo manuale per riportare i caratteri su carta fotosensibile<br />

tramite la loro incisione in negativo su un tamburo di vetro illuminato dall’interno.<br />

La grafica per il materiale promozionale della tecnica fotocompositiva venne affidata<br />

prima a Jan Tschichold, quando questi insegnava a Monaco di Baviera, più tardi nel<br />

1935 a Imre Reiner. Il metodo Uher non rappresenta l’unico brevetto depositato per<br />

la fotocomposizione, ma anche quelli della Photo-Lettering Inc. con la macchina<br />

Rutherford si basavano sull’impressione dei caratteri in negativo su carta fotosensibile.<br />

Il procedimento diventò di uso comune venti anni dopo.


Capitolo 7 La ripresa delle arti grafi che.<br />

7.1 Lester Beall, Paul Rand e Bradbury Thompson.<br />

La Seconda Guerra Mondiale bloccò i percorsi che la tipografia stava facendo, le<br />

case editrici e anche la televisione ricominciarono a investire sulla produzione di<br />

nuovi caratteri solo diversi anni dopo il 1945.<br />

La guerra però aveva esigenze grafiche proprie, per la propaganda politica e<br />

militare. Gli Stati Uniti vantarono i lavori dei grandi grafici, molti dei quali esuli<br />

dall’Europa, quali Bayer, Matter, Joseph Binder, Leo Lionni e Jean Carlu. Le loro<br />

opere confluiscono più nel campo dell’arte che in quello della tipografia.<br />

New York era il centro dell’attività grafica, la “New York School” fu il nome dato<br />

al gruppo di disegnatori americani tra i quali spiccano Lester Beall, Paul Rand e<br />

Bradbury Thompson.<br />

La fama di Lester Beall risale agli anni Trenta, i suoi primi lavori furono i manifesti<br />

per la Rural Elektrification Administration. Negli anni Quaranta, per la rivista Scope,<br />

periodico scientifico della Upjohn Corporation del quale era Art Director, praticò<br />

delle impaginazioni nelle quali combinava tocchi di classicismo con la nuova<br />

tipografia ottenendo risultati che se pur privi di attrattive, esprimono una classe e<br />

un ordine eccellenti.<br />

Paul Rand negli anni Trenta e Quaranta lavorò come Art Director per le riviste di<br />

Apparel Arts, Direction ed Esquire, diventò poi consulente aziendale per l’IBM<br />

e infine, negli anni Ottanta si dedicò all’attività di scrittore. Lavorò a lungo con<br />

il copywriter Bill Bernbach. Allora il copywriter era una figura molto importante<br />

all’interno di un’agenzia pubblicitaria. Dalla loro collaborazione per i magazzini<br />

di Ohrbach, vennero fuori pagine in cui il logo, i caratteri, le scritte a mano e<br />

le illustazioni, apparentemente combinati in maniera caotica, senza l’uso di<br />

giustificazione o centratura, rappresentavano il risultato controllato di un lungo<br />

studio di progettazione.<br />

Paul Rand nel suo Thoughts on Design, Pesieri sulla Grafica, uno scritto del<br />

1946 definì i principi del suo metodo e fece delle rflessioni sulla maturità grafica<br />

americana, secondo lui ormai in grado di elaborare teorie proprie senza dover<br />

ricorrere a quelle delle altre scuole.<br />

In oltre si esprimeva in favore dell’unione dell’Utile al Bello nella grafica. Il suo<br />

75


Bradbury Thompson, l’Alphabet 26<br />

del 1950.<br />

Dei 45 caratteri che compongono<br />

le maiuscole e le minuscole, scelse i<br />

tratti che riteneva più tipici di ogni<br />

lettera. Non disegnò un carattere<br />

apposito, usò il Baskerville, e la sua<br />

scelta era motivata dal fatto che non<br />

voleva un’innovazione radicale, non si<br />

basò sul Futura, bensì su un carattere<br />

tradizionale che avrebbe dovuto<br />

conferire una certa famialiriatà alla<br />

forma tipografi ca dell’Alphabet, ne<br />

realizzò diverse versioni, le ultime<br />

delle quali, sempre con le maiuscole<br />

e minuscole fuse, si presentavano in<br />

maniera perfettamente armonica.<br />

L’idea è rimasta a livello sperimentale,<br />

contiene però molti spunti<br />

interessanti, soprattutto per quanto<br />

riguarda la lettura e la scrittura.<br />

Fonte dell’immagine 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995.<br />

76<br />

lavoro traeva spunti dalle belle arti, ma non tralasciava l’importanza che andava<br />

data alla leggibilità dei caratteri.<br />

Rand era un esperto della nuova tipografia e la fece confluire nel proprio lavoro.<br />

Bradbury Thompson lavorò tra il 1939 e il 1962 alla direzione della pubblicazione<br />

aziendale Westvaco Inspirations, condusse numerosi esperimenti sulla combinazione<br />

del testo con le immagini, elaborò impaginazioni stravaganti basate sulla ricerca del<br />

rapporto tra forma e contenuto. Thompson fu anche il grafico della rivista Madmoiselle,<br />

e Art Director di Art News per ventisette anni. Un suo lavoro di grande importanza,


sulla scia degli esperimenti di Bayer, Tschichold e Albers, fu l’elaborazione del<br />

monoalfabeto. Come gli altri intendeva utilizzare soltanto le minuscole. Fece le prove<br />

con il Futura e stabilì alcuni principi funzionali, per esempio cominciare le frasi con<br />

un punto, o usare una lettera di corpo maggiore all’inizio della frase, per sostituire la<br />

maiuscola. Perfezionò il monoalfabeto nella versione del 1950, l’Alphabet 26.<br />

Gli Stati Uniti rappresentano il terriorio più produttivo graficamente nel periodo della<br />

guerra, in Europa tutto era stato limitato dalla mancanza di fondi, dal razionamento<br />

della carta, tuttavia la cartellonistica di qualità non era del tutto scomparsa; in Gran<br />

Bretagna artisti come Tom Eckersley, Abram Games e F.H.K. Henrion trattavano la<br />

grafica moderna in commistione con i valori tradizionali, ottenendo grandi risultati<br />

nei quali caratteri vittoriani e bastoni riuscivano a coesistere senza problemi di<br />

armonia.<br />

E se da un lato i giovani grafici degli anni Quaranta non avevano difficoltà a mescolare<br />

le tendenze, Jan Tschichold non era disposto a integrare il vecchio con il nuovo.<br />

Durante la guerra disegnò una serie di copertine per l’editore Birkhauser, e più tardi<br />

la sua esperienza fece da base al gran lavoro che fece per l’editore Penguin nel 1947<br />

Melior di Hermann Zapf, 1952.<br />

Il disegno deriva dai cancellereschi<br />

italiani ma è molto più moderno, con<br />

ascendenti e discendenti più corte e<br />

lettere più quadrate.<br />

Era stato progettato per l’utilizzo nei<br />

quotidiani.<br />

www.identifont.com<br />

77


78<br />

a Londra. L’obbiettivo era dare una nuova veste tipografica a tutta la produzione<br />

Penguin. Tschichold ritrattò esclusivamente lo stile tradizionale, e lo applicò alle<br />

diverse collane elaborando il concetto che seppure i libri dovevano essere diversi tra<br />

loro, dovevano mantenere i richiami alla casa editrice, renderla riconoscibile tramite<br />

elementi ricorrenti. Stabilì una griglia diversa per ogni collana, all’interno della quale<br />

non c’erano regole rigide per il carattere o lo stile delle illustrazioni, ogni libro era<br />

un’entità a sé, ma ogni frontespizio, ogni copertina erano ritenuti parte di un unico<br />

progetto all’interno del quale era importante mantenere una certa coerenza. Le sue<br />

regole vennero mantenute per moltissimi anni anche dai grafici che lo succedettero<br />

nella Penguin.<br />

Alla fine degli anni Quaranta, Tschichold risultava un vero e proprio promotore dei<br />

caratteri tradizionali, infatti fu protagonista insieme a Stanley Morison del libro scritto<br />

da Oliver Simon, il direttore degli anni Venti del The Fleuron. Il suo libro Introduction<br />

to Typography, raccoglie i principi per una buona composizione tipografica dei libri<br />

ed’è il caposaldo dell’ortodossia contro il moderno.<br />

7.2 Hermann Zapf e Roger Excoffon<br />

Dopo la guerra, la ripresa industriale produsse una domanda per la grafica da stampa<br />

senza precedenti. E per grafica da stampa si intende tutto ciò che passa dal packaging<br />

alla promozione. Vennero ripresi in considerazione i principi sviluppati negli anni<br />

Venti che erano stati lasciati a livello teorico. Hermann Zapf, nel suo Manuale<br />

Typographicum del 1954, definisce : “la tipografi a è essenzialmente un’architettura<br />

a due dimensioni”. Nel libro tratta prove ed esempi di caratteri tipografici usati per<br />

esperimenti visivi, contrasta le opinioni di coloro che dubitavano del bisogno di nuovi<br />

caratteri e che ritenevano inutile lo svincolamento della tipografia dalle vecchie<br />

regole:<br />

L’abbondanza di forme inerenti alle lettere suscita uno stupore sempre rinnovato.<br />

Poichè nei secoli scorsi vi sono stati molti splendidi caratteri, che usiamo ancora<br />

volentieri per la stampa, ci si potrebbe domandare perchè mai se ne disegnino di<br />

nuovi. La nostra epoca, tuttavia, assegna al disegnatore compiti diversi. Un nuovo<br />

carattere deve avere, oltre alla bellezza e alla leggibilità, la capacità di adattarsi alle<br />

esigenze tencniche dei nostri giorni, in cui i macchinari veloci e le rotative hanno


Palatino di Hermann Zapf. 1948.<br />

Fonte dell’immagine<br />

www.identifont.com<br />

Optima di Hermann Zapf, 1958.<br />

Fonte dell’immagine<br />

www.identifont.com<br />

79


MIstral di Roger Excoffon.<br />

Fonte dell’immagine:<br />

www.identifont.com<br />

Antique Oliva di Roger Excoffon.<br />

Fonte dell’immagine:<br />

www.identifont.com<br />

80


soppiantato il torchio a mano, e la carta prodotta a macchina ha sostituito la carta<br />

fabbricata a mano. Proprio come i musicisti e gli artisti cercano di creare nuove<br />

forme espressive per il nostro tempo collegandole a un prolifi co passato, il lavoro<br />

dei disegnatori e dei fonditori di caratteri rimane legato alla grande tradizione<br />

dell’alfabeto.<br />

Nella citazione si evidenzia la gratitudine alla tradizione e al contempo l’inevitabilità<br />

dei cambiamenti stilistici dovuti ai cambiamenti tecnologici.<br />

Zapf negli anni Quaranta era alla direzione della progettazione della fonderia tedesca<br />

Stempel, disegnò tre importantissimi caratteri, il Palatino, il Melior e l’Optima.<br />

Il Palatino era un romano antico dalle grazie marcate, un carattere elegante che<br />

è tutt’ora usato, soprattutto per la stampa di classe. Nel 1952 disegnò il Melior,<br />

specificatamente destinato ai quotidiani.<br />

Il Palatino risulta più fluido rispetto al Melior, progettato per adattarsi alla stampa in<br />

rilievo e all’offset, se si paragonano le due c si percepisce subito la verticalità decisa<br />

del Melior e l’obliquità del Palatino.<br />

Le caratteristiche di entrambi i caratteri confluiscono nel terzo capolavoro di Zapf.<br />

L’Optima, uscito nel 1958 è un carattere molto originale che è stato classificato<br />

in diversi modi, romano umanistico, romano senza grazie, romano calligrafico. In<br />

realtà è un lavoro nel quale confluisce la purezza lineare del bastone insieme alla<br />

scioltezza e alla leggibilità dei caratteri con grazie. Zapf fu uno dei molti tipografi<br />

che si ispirarono all’epigrafia italiana, alle incisioni nel marmo delle pietre tombali di<br />

Santa Croce, a Firenze, e dell’ arco Costantino di Roma. Le epigrafie del Quattrocento<br />

hanno un tratto accentuato, flesso e senza grazie.<br />

Negli stessi anni si sviluppò un certo interesse nella forma della grafia manuale,<br />

soprattutto nella pubblicità. Roger Excoffon, disegnatore francese disegnò per la<br />

fonderia Olive i caratteri Banco, Choc, Mistral e Diane. Tutti basati sulla calligrafia<br />

manuale. Il Banco e il Choc imitano i tratti del pennello, il più notevole è il Mistral nel<br />

quale la calligrafia che si sviluppa è perfetta nei legamenti da una lettera all’altra.<br />

E’ impressionante come Excoffon sia riuscito a disegnarlo senza tenere per le lettere<br />

una linea di base, conferendo al carattere sia l’irregolarità della scrittura a mano, ma<br />

anche la continuità e la leggibilità data dalla perfetta progettazione di ogni carattere<br />

rispetto agli altri. Excoffon fu il disegnatore dell’attuale marchio Air France, sulla<br />

base di quel disegno progettò in seguito il suo carattere bastone, l’Antique Oliva.<br />

Sopra : Univers di Adrian Frutiger.<br />

Sotto:<br />

Helvetica, Max Miedinger e Eduard<br />

Hoffmann, 1956-58<br />

81


82<br />

7.3 L’Helvetica.<br />

La scuola predominante degli anni Cinquanta è stata la Scuola Svizzera. Lo stile di<br />

questa corrente si basa in sintesi su tre concetti: griglia polivalente, carattere bastone<br />

e impaginazioni asimmetriche. Vennero portate avanti dalla scuola svizzera le idee<br />

nate nel Bauhaus, le idee del primo Tschichold, il riduzionismo degli artisti di De<br />

Stijl, che limitavano la forma a blocchi rettangolari e linee. Grande influenza ebbe<br />

anche un insegnante della Kunstgewerbeschule di Zurigo, Ernst Keller. Tra i suoi<br />

primi allievi vi furono Theo Ballmer, nonchè Adrian Frutiger e Edouard Hoffman,<br />

creatori rispettivamente dell’ Univers e dell’Helvetica (i caratteri più emblematici<br />

degli anni Cinquanta). Keller era per la chiarezza, la semplicità, lo stile spoglio al fine<br />

di favorire l’accostamento deciso delle lettere. Lo stile della scuola svizzera venne<br />

anche definito stile “internazionale”, riduceva la composizione tipografica a pochi<br />

elementi, cercava una comunicazione chiara il cui obbiettivo era la trasmissione del<br />

messaggio senza ostacoli distrattivi. L’idea della griglia che guidasse l’impaginazione<br />

era già in uso da tempo, la novità introdotta dalla scuola svizzera e dai grafi ci<br />

tedeschi era la costruzione della griglia in base al contenuto. Ballmer e Max Bill<br />

nei primi anni Trenta, strutturavano pagine secondo moduli che consentivano di<br />

articolare le proporzioni e controllare la disposizione dei vari elementi.<br />

Nel 1950 Max Bill insegnava alla Hochschule f r Gestaltung a Ulm in Germania.<br />

Si muoveva alla ricerca di una logica matematica della grafica, per concretizzare il<br />

valore dello spazio bianco e dei ritmi dati dalla disposizione del testo. Egli insisteva<br />

sul fatto che lo spazio vuoto aveva un ruolo essenziale, spingeva gli studenti a<br />

scegliere pochissimi caratteri e spessori da gestire, non era un funzionalista, voleva<br />

trovare i fattori che determinano la dinamicità nella pagina. Contemporaneamente<br />

Emil Ruder, insegnante alla Gewerbeschule di Basilea faceva le sue ricerche<br />

sull’importanza e sui rapporti dello spazio bianco tra le righe, tra le parole, tra le<br />

lettere e all’interno delle lettere. Studiava lo spazio anche nelle diverse composizioni,<br />

giustifi cata, a bandiera etc.<br />

Joseph Muller-Brockmann stabilì con maggiore severità di Ruder e di Bill le regole<br />

da seguire. Credeva nell’esistenza di una sorta di , libera<br />

dalla soggettività e dal gusto personale del grafi co, proponeva una comunicazione<br />

funzionale opponendosi all’uso di diverse famiglie di caratteri e all’uso di varianti<br />

della stessa famiglia all’interno di un unico progetto. Bisognava evitare corpi


Nel 2007 è decorso il cinquantesimo<br />

anniversario dell’Halvetica e<br />

dall’ idea del regista Gary Hustwit è<br />

nato un film documentario sull’Helvetica.<br />

Nel film vengono intervistati<br />

i più grandi maestri della tipografia<br />

contemporanea tra cui Erik Spiekermann,<br />

Matthew Carter, Massimo<br />

Vignelli, Wim Crouwel, Hermann<br />

Zapf, Neville Brody, Stefan Sagmeister,<br />

Michael Bierut, David Carson,<br />

Paula Scher, Jonathan Hoefler, Tobias<br />

Frere-Jones, Experimental Jetset,<br />

Michael C. Place, Norm, Alfred Hoffmann,<br />

Mike Parker, Bruno Steinert,<br />

Otmar Hoefer, Leslie Savan, Rick<br />

Poynor, Lars Müller, e molti altri.<br />

Tutti i progettisti intervistati parlano<br />

del loro approccio alla tipografia e al<br />

carattere tipografico.<br />

Il typefont Helvetica si è rivelato<br />

il carattere bastone più usabile<br />

in assoluto nella comunicazione<br />

pubblicitaria degli ultimi cinquanta<br />

anni, è visibile ovunque. Nelle strade<br />

molti negozi hanno le loro insegne<br />

o i loro annunci scritti in Helvetica,<br />

un numero incalcolabile di persone<br />

ha usato questo carattere adattandolo<br />

alle più svariate esigenze di comunicazione.<br />

A lato il manifesto del film Helvetica.<br />

www.helveticafilm.com<br />

83


Sempre per l’occasione dei 50 anni<br />

compiuti nel 2007 dall’ Helvetica, molte<br />

riviste hanno dedicato le loro copertine<br />

all’Helvetica, molti grafici e artisti si sono<br />

mobilitati per dare un contributo alla celebrazione<br />

progettando manifesti, girando<br />

video e producendo materiale di vario<br />

genere per omaggiare il carattere.<br />

Il Moma di New York e il Design Museum<br />

di Londra hanno dedicato all’Helvetica<br />

due grandi mostre ospitando i<br />

lavori di artisti e progettisti grafici sul<br />

tema.<br />

Sul sito www.blanka.co.uk sono visibili i<br />

manifesti e le immagini grafiche dedicate<br />

all’anniversario.<br />

A lato, il progetto per L’Helvetica disegnata<br />

da Lenny Naar che ha fatto da<br />

copertina alla rivista CMYK #29 ed’ è<br />

stato pubblicato nel Annuale The 2006<br />

Type Director’s Club.<br />

Fonte dell’immagine:<br />

www.lennynaar.com<br />

84


diversi e la superfi cie scritta doveva risultare più compatta possibile. L’interlinea<br />

non doveva consentire che restassero righe isolate; lo spazio tra le parole doveva<br />

essere uniforme. Considerava le grazie un ornamento, quindi preferiva i bastoni<br />

ritenendoli leggibili quanto i romani per la maggior parte dei lavori.<br />

Tali considerazioni furono propagandate negli anni Cinquanta e Sessanta in Europa<br />

e negli Stati Uniti, adottate nel lavoro di diversi grafici importanti come Herbert<br />

Bayer, Herbert Matter, Piet Zwart e Max Huber, in oltre furono diffuse dalla rivista<br />

Neue Grafik, fondata nel 1958. La rivista era diretta da M ller-Brockmann, Richard<br />

Lohse, Hans Neuberg e Carlo Vivarelli, era pubblicata in tedesco, inglese e francese,<br />

sosteneva con efficacia la propria linea ideologica, illustrandone i principi con la<br />

migliore grafica svizzera che si sviluppava al momento.<br />

L’insoddisfazione dei grafici sui bastoni a disposizione determinò la nascita di due<br />

grandi famiglie: l’Univers e l’Helvetica. I grafici svizzeri non gradivano il Futura,<br />

Max Bill e altri continuavano a usare l’Akzidenz Grotesk, chiamato anche Standard,<br />

della Berthold, risalente al 1896. Dopo l’Akzidenz erano stati disegnati altri bastoni<br />

interessanti e popolari, come il Franklin Gothic di Benton, o il Copperplate Gothic<br />

di Goudy del 1901, eppure l’Akzidenz, disegnato prima di questi altri, rappresentava<br />

un gotico più moderno, meno duro e lineare, dotato di un ritmo e una personalità<br />

tali da spingere Edouard Hoffman della fonderia Haas a chiedere a Max Miedinger<br />

di migliorarlo e di prepararne una versione per la vendita. Il merito di aver disegnato<br />

il Neue Haas Grotesk va dunque a Miedinger e a Hoffman nel 1951-1953, quando<br />

questi lo cedettero alla Stempel e alla Linotype, il carattere fu ribattezzato Helvetica.<br />

L’Helvetica non era più un esperimento, fu la risposta alla domanda pressante sui<br />

bastoni, divenne presto il carattere lineare più diffuso e lo resterà almeno fino al<br />

Duemila.<br />

Parecchi tipografi sono rimasti sconcertati dalla sua obliquità, le varianti erano tutte<br />

molto funzionali e il carattere fu in grado di sopravvivere anche quando la moda era<br />

superata. Non mancarono le critiche per il suo uso eccessivo in pubblicità. Le stesse<br />

buone qualità dell’Helvetica si possono attribuire all’Univers, che sta per universale.<br />

Disegnato da Adrian Frutiger per la Deberny & Peignot, venne prodotto nel 1954,<br />

presentato in ventuno varianti, con la particolare misurazione dello spessore in<br />

numeri, invece che con l’aggettivo medio, nero, nerissimo. Tutte le variazioni erano<br />

rapportate all’uso della griglia. L’Univers si distingueva anche perchè fu prodotto sia<br />

per i caratteri in metallo che per la fotocomposizione.<br />

Interpretazione grafica di herbert<br />

Lubalin per il romanzo di Irving<br />

Stone, The Agony and the Ecstasy: A<br />

Biographical Novel of Michelangelo<br />

www.typogabor.com/herb-lubalin/<br />

images<br />

85


86<br />

Capitolo 8 La fotocomposizione.<br />

La fotocomposizione avrebbe ribaltato di li a poco tutti i procedimenti di stampa.<br />

Numerose macchine e strumenti che usavano la matrice in negativo per l’impressione<br />

della carta fotosensibile erano già stati messi in commercio, la Rotofoto, la Monophoto<br />

della Monotype, la Varityper manuale per i titoli, la Photon, la Diatype e la Linofilm.<br />

La fotocomposizione era molto vantaggiosa dal punto di vista economico, perdeva<br />

però in qualità quando i caratteri dovevano essere proiettati in corpi di dimensioni<br />

maggiori rispetto alle matrici. Contemporaneamente si andavano facendo i primi<br />

esperimenti con la composizione tramite i calcolatori e si inventò la decalcomania<br />

ad acqua, la tecnica che portò la sperimentazione tipografica nelle mani di chiunque<br />

fosse in grado di utilizzare dei trasferibili.<br />

La fotocomposizione non venne subito ben capita dalle case produttrici come<br />

la Linotype e l’American Type Founders, infatti, dei nuovi macchinari messi in<br />

commercio, soltanto alcuni ebbero successo e favorirono la nascita di nuove imprese<br />

che fornivano programmi per il disegno dei caratteri, come Compugraphic e Hell.<br />

L’innovazione stava nel fatto che i caratteri erano diventati improvvisamente<br />

un’immagine flessibile, facile da manipolare graficamente, invece che essere un<br />

oggetto rigido in metallo, in rilievo e in negativo. Tutto questo era incoraggiante<br />

per coloro che amavano la novità e deprimenti per gli altri, troppo attenti ai<br />

particolari. Cominciarono ad apparire le lettere disegnate male, o povere, fornite da<br />

produttori di apparecchiature di fotocomposizione o da stampatori che ricavavano<br />

un’intera gamma di corpi a partire da una sola matrice, con il risultato di deformare<br />

il disegno. Coloro che utilizzavano queste tecniche, spesso non avevano nessuna<br />

esperienza alle spalle nel campo della tipografia, mentre era impossibile trovare un<br />

disegnatore che lavorava sulle matrici e fosse privo di abilità. Nel corso degli anni<br />

Sessanta si cominciarono a utilizzare i computer, con programmi per giustificare<br />

la composizione e con memorie che potevano richiamare il testo sul video CRT<br />

(tubo a raggio catodico). Tuttavia i primi programmi per computer non erano del<br />

tutto affidabili, non garantivano stabilità nella spaziatura e nella sillabazione. In ogni<br />

caso la composizione a caldo venne man mano sostituita da quella a freddo e dalla<br />

stampa offset per chi cercava una migliore qualità di stampa a colori.<br />

Nel 1961 la macchina per scrivere a sfera IBM Selectric, offriva la possibilità di<br />

cambiare carattere e dimensione; sempre nel 1961 la Letraset immise sul mercato


la decalcomania istantanea a secco, più fortunata della precedente ad acqua fu il<br />

primo strumento capace di portare nelle mani chiunque la possibilità di elaborare<br />

le proprie grafiche. Le prime pubblicità della Letraset avevano come slogan il<br />

concetto che non bisognava avere talento per poter ottenere ottimi risultati. In effetti<br />

la nuova tecnica aprì la stada a molti sperimentatori e a tutti coloro che dotati di una<br />

certa fantasia volevano immettersi nel mondo della tipografia. Molti dei caratteri<br />

forniti dalla Letraset erano concessi sotto licenza dalle case produttrici, molti altri<br />

nacquero proprio dallo stimolo che la “tipografia a portata di mano” forniva a<br />

coloro che lavoravano nella propria casa. Il primo e più originale carattere che<br />

nacque appositamente per la Letraset fu il Countdown, disegnato da Colin Brignall,<br />

diventato poi il direttore della società stessa. Il carattere evocava la fantascienza degli<br />

anni Sessanta, venne acquistato da molti negozi, eleganti boutique che volevano<br />

evocare nella propria insegna il senso della modernità. La Letraset, come società<br />

non è facilmente ricordata nella storia dei caratteri a causa della precarietà di alcuni<br />

risultati finali, in realtà il suo fu un grande contributo, quello di aver coinvolto nella<br />

produzione dei caratteri coloro che li utilizzavano. In oltre dal nome della società<br />

prese il nome la tecnica, diffuso in tutte le tipografie, il letraset era lo strumentario<br />

per i trasferibili. Nel 1990 venne allestita una mostra sul letraset al London Design<br />

Museum, il curatore, grafico britannico Rodney Mylius si esprime a proposito in<br />

questo modo: “Guardando le prime fotografie che documentano le attività della<br />

Letraset, si prova davvero la sensazione che fossero state varcate nuove frontiere.<br />

Logo per la rivista Mother & Child<br />

progettato da Herb Lubalin e Tom<br />

Carnase in 1965.<br />

Nella lettera O di questo marchio si<br />

vede l’immagine stilizzata del grambo<br />

materno contenente il figlio e la<br />

parola Child.<br />

www.38one.com<br />

87


Colin Forbes, carta da confezione<br />

Cunard.<br />

Fonte dell‘immagine 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995.<br />

88<br />

Pensate, ad esempio, alla grafica straordinariamente moderna dei suoi punti vendita:<br />

enormi mani disegnate che giocano con delle lettere giganti sulla scacchiera del<br />

grafico. Era difficile fare a meno di notare una grafica così dinamica, nitida ed<br />

espressiva in mezzo ai suoi polverosi concorrenti. In confronto, il precedente contesto<br />

di lavoro doveva sembrare scialbo e banale. Con un prodotto di tale successo e un<br />

immagine tanto audace, si capisce perchè il suo marchio sia diventato un nome<br />

comune nella grafica”.


Alan Fletcher e Jamie Jauncey (writer).<br />

Fonte dell’immagine www.bl.uk/<br />

learning/images/whywrite/Q1.jpg<br />

89


90<br />

In Europa e negli Stati Uniti si assisteva all’ondata del consumismo postbellico. In<br />

America la corrente artistica più importante all’epoca fu la Pop Art, nacque con<br />

uno spirito che contrastava il precedente predominio dell’arte astratta. Gli artisti<br />

della Pop Art coinvolsero nei propri lavori elementi della tipografia locale e della<br />

grafica popolare: tra i migliori esponenti abbiamo in Gran Bretagna Eduardo<br />

Paolozzi e Richard Hamilton con i montaggi poi elaborati in forma pittorica; Negli<br />

Stati Uniti, Andy Warhol, Roy Lichtenstein e Robert Indiana. I temi espressi nella<br />

Pop Art riassumevano la sensazione di una cultura “usa e getta”, dovuta la dilagare<br />

del consumismo, e la rottura con le idee rigide sulla funzionalità del design, la<br />

comprensione del fatto che un messaggio serio potesse essere espresso con umorismo<br />

influenzarono profondamente i contenuti della comunicazione commerciale. Alla<br />

testa di questo cambiamento vi fu l’agenzia pubblicitaria americana Doyle Dane<br />

Bernbach. La sua campagna per il maggiolino Volkswagen, iniziata alla fine degli<br />

anni Cinquanta e durata per tutti gli anni Sessanta, non solo risultava dissonante con<br />

la pubblicità contemporanea, per il suo tono discreto, ma colpiva il pubblico per<br />

i suoi caratteri nuovi, e tuttavia poco appariscenti. Usava una versione del Futura<br />

per richiamare le origini tedesche dell’automobile e per alludere all’efficienza e alla<br />

funzionalità della sua progettazione. I caretteri erano scelti per le loro associazioni<br />

semantiche più ampie, non soltanto per le qualità grafiche e per la leggibilità. Negli<br />

anni Sessanta la “tipografia allusiva” si diffuse tantissimo, la cosa più importante<br />

era trasmettere il concetto, i lavori migliori, nel presentare le immagini al pubblico<br />

sempre più esigente e ormai assuefatto alla comunicazione di massa, esplorano i<br />

doppi sensi e tutti i paradossi possibili.<br />

Red Miles, in qualità di art director progettò le copertine per la casa discografica<br />

Blue Note dalla metà degli anni Cinquanta alla fine dei Sessanta, combinava nei suoi<br />

lavori il carattere, l’impaginazione e la fotografia spesso inglobando gli elementi in<br />

un tutt’uno con tecniche molto avanzate rispetto a altri lavori dello stesso genere. La<br />

coerenza di stile nei lavori di Miles rafforzarono moltissimo l’immagine della casa<br />

discografica.<br />

Herbert Lubalin si era formato con la pubblicità negli anni Cinquanta, si affermò in<br />

seguito come disegnatore di caratteri negli anni Settanta, nel decennio intermedio<br />

produsse i lavori più notevoli per la loro forza concettuale. Nel logo che propose<br />

alla rivista Mother and Child, il bambino era una & commerciale poggiata sul ventre<br />

della madre che a sua volta era la o di mother, le forme all’interno del logo hanno


una corrispondenza perfetta.<br />

Contemporanei agli Americani in Inghilterra c’erano Alan Fletcher, Colin Forbes e<br />

Bob Gill. Dopo aver lavorato insieme dal 1962 al 1965, i tre diedero vita al gruppo<br />

internazionale di grafici Pentagram. Anch’essi basavano la progettazione grafica<br />

sulla riduzione del messaggio a un elemento chiave, che veniva presentato in modo<br />

audace, spesso con un gioco tipografico.<br />

L’approccio riduttivo e concettualizzante in realtà cerca di stimolare il pubblico<br />

a cui è rivolto, la nuova linea di pensiero si sovrapponeva alla stessa scuola dalla<br />

quale aveva appreso la tecnica, la scuola svizzera. Gli insegnamenti di M ller-<br />

Brockmann e dei suoi colleghi sulle pagine di Neue Grafik, offrivano delle soluzioni<br />

moderne per mettere ordine tra le informazioni e ricavarne una gerarchia tipografica<br />

tramite la quale riassumere il contenuto nel modo più chiaro e semplice. Ma non<br />

avevano considerato l’ironia, non si erano mai posti il problema dello stimolo da<br />

offrire al pubblico. Al contrario l’approccio concettuale-espressivo si fondava sulle<br />

associazioni stimolate nel soggetto per arrivare a una soluzione che era più ampia<br />

della somma delle sue parti.<br />

Oggi l’approccio concettuale è molto utilizzato nella pubblicità, per i manifesti, per<br />

la grafica sui gionali e televisiva, mentre l’insegnamento della Scuola Svizzera è<br />

applicato alle pubblicazioni che devono dare con chiarezza molte informazioni.<br />

Gli altri stili tipici degli anni Sessanta racchiudono il sentimento di liberazione<br />

espresso dalla moda giovanile del periodo. Nel settore delle riviste, uno dei grafici<br />

più influenti fu Willi Fleckhaus, giornalista di formazione, fu tra i primi a mettersi<br />

a ritagliare pezzi di fotografi e per trarne effetti speciali, maneggiò blocchi di testo<br />

come se fossero mattoni per costruire la pagina, per costruire le sue griglie o<br />

sovvertirne l’ordine. I caratteri dai corpi molto diversi conferivano tensione alla<br />

pagina, e Fleckhaus li ritagliava e li aggiustava fi no a quando non aveva raggiunto<br />

il suo scopo. Un’analogia stilistica si può trovare contemporaneamente in Gran<br />

Bretagna con la rivista Nova, molta fotografi a e poco testo con caratteri diversi,<br />

per rendere emozionante l’inizio di un articolo e poi fonderlo con i contenuti<br />

illustrativi.<br />

Fleckhaus fece anche dei lavori molto tipografici per l’editore Suhrkamp, con caratteri<br />

in positivo e negativo su una griglia semplice con pochi colori, che prendevano<br />

spunto dalle edizioni Albatross di Mardersteig e Penguin di Tschichold.<br />

Ci fu un tentativo da parte della Penguin degli anni Sessanta, di abbandonare la sua<br />

91


1 20th Century Type, Lewis Blackwell,<br />

Zanichelli, 1995.<br />

Sabon di Jan Tschichold.<br />

Fonte dell’immagine:<br />

www.identifont.com<br />

92<br />

veste classica, affidandosi ai disegni di Alan Aldridge per accorpare un pò dello<br />

spirito del tempo, ma non durò a lungo, nel 1967 Allen Lane, direttore della casa<br />

editrice definì le copertine “volgari” tornando al vecchio stile classico.<br />

L’obbiettivo delle riviste negli anni Sessanta non era la leggibilità, era la veste<br />

antiautoritaria, specialmente nel caso delle riviste rivolte ai giovani. La riviste<br />

Underground infrangevano volutamente tutte le regole tipografi che, spesso il testo<br />

era battuto a macchina in segno di rifi uto dei meccanismi industriali, e si faceva<br />

portatore di un messaggio generale: la controcultura. I manifesti per i concerti e i<br />

festival rock sono un esempio eclatante della grafi a illeggibile, ma estremamente<br />

comunicativa, con parole scritte a mano e distorte anticipavano gli effetti speciali<br />

che i computer e le fotocopiatrici di lì a poco avrebbero reso più agevoli.<br />

Grande esempio per questi lavori è Victor Moscoso, con la sua produzione<br />

statunitense influenzò e influenza tutt’ora grafici di tutto il mondo. In Gran Bretagna<br />

la psichedelia sembra prendere origine dalle lettere ornate dell’ Art Nouveau.<br />

Tuttavia la controcultura non rallentò per niente i progressi tecnologici. Negli


anni Sessanta si scopre il riconoscimento ottico dei caratteri, l’OCR, dunque la<br />

creazione dei primi caratteri leggibili dai computer. L’OCR-A venne lanciato nel<br />

1966, un carattere grossolano disegnato in una griglia di 4 per 7 punti. L’OCR-B del<br />

1968, realizzato con la consulenza di Adrian Frutiger, è costruito su una griglia più<br />

dettagliata, di 18 per 25, e il disegno risulta di gran lunga migliorato. Nell’ OCR-A e<br />

nel suo predecessore l’E13B, si riconosce l’influenza di caratteri in stile “robot”, come<br />

il Countdown della Letraset e dei disegni elegantemente squadrati dell’Eurostile di<br />

Aldo Novarese.<br />

Insieme alla risoluzione dei problemi di imput, continuava la ricerca di caratteri<br />

che potessero essere visualizzati su un monitor in maniera decente, in modo che la<br />

macchina fosse in grado di registrarli, ma soprattutto che l’occhio umano non facesse<br />

troppa fatica a leggerli. Il disegnatore olandese Wim Crouwel, convinto che il video<br />

sarebbe diventato il mezzo prevalente della comunicazione tipografi ca, concentrò<br />

i suoi sforzi sulla produzione di un alfabeto semplifi cato, costituito unicamente<br />

da elementi orizzontali e verticali, privo cioè di diagonali e curve. Tutti i caratteri<br />

avevano la stessa larghezza, era un alfabeto unico, senza maiscole né minuscole.<br />

Questo alfabeto è in qualche caso ancora utilizzato per i sistemi di informazione<br />

basati su matrici a punti. Per fortuna nel caso dei computer, le macchine si evolsero<br />

con grande velocità ed elaborarono subito metodi per il riconoscimento dei caratteri<br />

anche con le forme più familiari, con le curve e le diagonali.<br />

L’ondata di libertà tipografica degli anni Sessanta svegliò ancora una volta Stanley<br />

Morison, stimolandolo a scrivere un poscritto dei suoi Principi di Base degli anni<br />

Trenta, nel quale si oppone alla scuola svizzera e alla nuova ondata di caratteri<br />

bastone. Nel suo scritto difende chiaramente la tradizione innalzandola a qualcosa<br />

che non potrà mai essere archiviata come una semplice storia del passato. Sostiene<br />

che, il fatto che i caratteri tradizionali siano stati tramandati per periodi di gran<br />

lunga superiori alla vita di un uomo, costituisce la prova che la vera tipografi a non<br />

può cambiare regole se non a spese della leggibilità. 1<br />

Durante gli anni Sessanta Jan Tschichold lavorò al Sabon, nel 1967 uscì l’ultima opera<br />

importante di colui che quando vigeva il tradizionalismo si era fatto portavoce della<br />

modernità e quando la modernità ebbe il sopravvento tornò ai valori tradizionali.<br />

Per il sabon gli era stato chiesto di far confluire le sue conoscenze per entrambi gli<br />

aspetti, tradizionale e moderno.<br />

I principi di Stanley Morison confermano che un buon carattere in questi casi<br />

1 Adrian Frutiger Der Mench un seine<br />

Zeichen, Weiss Verlag, Dreieich 1978.<br />

93


94<br />

presenta innovazioni diffi cilmente percettibili. Il disegno risulta simile al Monotype<br />

Garamond, leggermente più stretto. Venne prodotto e diffuso dalla Linotype, dalla<br />

Monotype e dalla Stempel.<br />

Roger Excoffon disegnò invece l’Antique Oliva, un bastone nato sulla scia<br />

dell’Helvetica e dell’Univers, mirava alla massima leggibilità e venne molto usato per<br />

i titoli, soprattutto in Francia, il fatto di essere un bastone non garantì la diffusione per<br />

i testi. Le maiuscole, poco alte rispetto alle minuscole ne ostacolorano l’utilizzo in<br />

Germania, dove la lingua tedesca è particolarmente ricca di maiuscole.<br />

Negli anni Settanta la fotocomposizione diede i suoi frutti, a volte molto interessanti per<br />

l’aspetto sperimentale e innovativo di alcune proposte, spesso scadenti per la cattiva<br />

applicazione delle tecniche di distorsione e di ingrandimento dei caratteri. Moltissimi<br />

grafici e molte riviste cadettero nell’inganno di restringere eccessivamente i titoli e<br />

il testo, a scapito della leggibilità. Il passaggio dalle matrici alla fotocomposizione<br />

aveva illuso molti sul risparmio del tempo, se prima per allargare una riga bisognava<br />

aggiungere cunei tra una lettera e l’altra, e per restringerla bisognava levigare le matrici,<br />

con la fotocomposizione in pochi istanti si poteva stringere una parola fino a vedere le<br />

lettere sovrapposte o allargarla per gestire lo spazio come si desiderava. Le modifiche<br />

della larghezza del testo davano in genere i risultati migliori con i caratteri bastone.<br />

Con questa pratica si andava esplorando anche un’altro argomento, il fatto cioè che<br />

le lettere bastone al contrario di quanto si era detto fin’ora potessero rappresentare un<br />

sistema leggibile quanto quello delle grazie. La teoria sulle grazie sostiene che queste<br />

facilitano la lettura poichè guidano l’occhio nel passaggio da una lettera all’altra, in<br />

pratica le grazie sono il legamento delle lettere all’ interno della parola. La teoria era<br />

confutata dalla fotocomposizione in ragione del fatto che anche i caratteri bastone<br />

potevano essere ravvicinati fino a formare la parola “immagine”; in questo senso molti<br />

ritenevano che una tipografia più funzionale e precisa avrebbe risolto ogni problema.<br />

Altri studi sostengono ancora oggi con fermezza che la scrittura con le grazie sia la<br />

più adatta ai testi lunghi poichè facilita la lettura.<br />

Negli anni Sessanta Adrian Frutiger dimostrò che se si fossero sovrapposte le lettere<br />

dei caratteri più letti, Garamond, Basckerville, Bodoni, Times, Palatino, Optima e<br />

Helvetica, si sarebbe ottenuta l’ossatura dell’ Excelsior e caledonia, i caratteri più usati<br />

dai quotidiani di massa. I bastoni Univers e Helvetica corrispondevano perfettamente<br />

a questo contorno, a parte ovviamente per il fatto che non possiedono grazie e hanno<br />

uno spessore più regolare. Per Frutiger ciò significava che i fondamenti della leggibilità


sono come una cristallizzazione, formatasi in centinaia di anni, nell’uso di caratteri<br />

selezionati e distinti. Le forme utilizzabili che hanno superato la prova del tempo<br />

sono forse accettate dall’umanità come standard che si conformano a leggi estetiche;<br />

dove ci sono troppe innovazioni nella forma o disegni scadenti, il carattere incontra<br />

una certa resistenza nel lettore e il processo di lettura viene ostacolato 1 .<br />

Le preoccupazioni per i disegni scadenti erano fondate, la pratica di ingradire il<br />

carattere rispetto alla dimensione della matrice, provocava distorsioni che in realtà<br />

andavano evitate, poichè il carattere esigeva lievissime modifiche per adattarsi alle<br />

dimensioni più grandi.<br />

Lo studioso di storia dei caratteri Fernand Baudin, individuava il problema nel fatto<br />

che le nuove tecnologie erano arrivate tutte insieme e i tipografi non avevano avuto<br />

il tempo per studiarle appropriatamente, quindi lanciava un grido d’allarme affinchè<br />

venissero delineate nuove istruzioni e regole relative al tipo di stampa che si andava a<br />

praticare, al fine di restaurare lo stesso processo di stampa tradizionale che includeva<br />

bozze e revisioni.<br />

Il disegno dei caratteri progrediva di pari passo con la tecnologia, in alcune scuole<br />

superiori cominciarono a interessarsene con l’appoggio dei principali produttori. La<br />

svolta nella professione grafica è rappresentata dall’entrata in scena di un produttore<br />

di caratteri che esprimeva sia il bisogno di nuove specifiche per i caratteri, sia il<br />

potenziale della tecnologia: l’Intenational Typeface Corporation, detta anche ITC.<br />

Fondata nel 1970 dai disegnatori Herb Lubalin e Aaron Burns insieme a Ed Rondthaler<br />

della Photo Lettering Inc., la società avrebbe dovuto commercializzare nuovi disegni<br />

per i produttori di caratteri e di impianti di fotocomposizione; in oltre la società aveva<br />

lo scopo di tutelare i diritti dei disegnatori in risposta alla dilagante pirateria dovuta<br />

alla fotoriproduzione.<br />

L’ITC cominciò a presentare il proprio repertorio nel 1971 con l’Avant Garde Gothic<br />

di Herb Lubalin, tratto dal suo lavoro degli anni sessanta per la rivista Avant Garde.<br />

Seguì la reincisione del Souvenir voluta da Ed Benguiat. Si trattava di un carattere di<br />

fine Ottocento, appartenuto all’American Type Founders e caduto in disuso.<br />

Per rafforzare la propria produzione e informare sulle nuove tecniche tipografiche<br />

l’ITC lanciò nel 1973 la rivista Upper and lower case, U&lc. La rivista vanta oggi circa<br />

un milione di lettori in tutto il mondo, è uno strumento di promozione diretta che<br />

rappresenta la comunità tipografica mondiale (che tra l’altro ha contribuito a creare),<br />

sempre interessata ad aggiornarsi sulle tecniche e sui caratteri.<br />

95


Wolfgang Weingart, Typografische<br />

Monatsblatter, 1976.<br />

Fonte dell‘immagine 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995.<br />

96<br />

Nel primo numero U&lc tratta l’argomento che aveva indotto l’ITC a fondare la rivista:<br />

la pirateria dei caratteri. Rondthaler aprì la rivista con una vera e propria minaccia,<br />

sostenendo che: la fotografia è stata la salvezza tecnologica della composizione, ma<br />

quando il suo utilizzo non rispetta i principi etici, priva il disegnatore di caratteri dei<br />

suoi mezzi di sostentamento. La fotoriproduzione stava minacciando di seminare il<br />

caos nel settore creativo della tipografia. Rondthaler invitava i disegnatori a boicottare<br />

i fornitori che non offrivano caratteri debitamente brevettati, ne paragonava l’uso al<br />

denaro falso.<br />

Le leggi internazionali sul copyright arginarono il fenomeno della pirateria, altri<br />

produttori seguirono l’esempio dell’ITC, come la Hell e la Compugraphic, presero a<br />

commissionare e distribuire nuovi caratteri.<br />

La grafica americana Paula Scher criticò l’ITC accusandola di aver diffuso molti<br />

caratteri solo per mantenere la sua posizione sul mercato, spesso rimpiazzando<br />

buoni disegni con i più nuovi e scadenti. Confrontando le produzioni del Garamond<br />

disegnato da Tony Stan e distribuito dall’ITC nel 1975 e quello disegnato da Gunter<br />

Gehrard Lange nel 1972 per la Berthold, risulta che quello di Lange è molto più<br />

elegante e curato proprio perchè maggiormente fedele all’originale. Quello dell’ITC<br />

ha lettere allargate e ravvicinate, caratteristiche moderne e funzionali, ma molto<br />

distanti dalle finezze dei disegni classici.<br />

Anche la tecnica del disegno dei caratteri subì dei cambiamenti, i nuovi caratteri<br />

potevano essere disegnati direttamente sul monitor, lasciando che il programma<br />

svolgesse i passaggi più noiosi del mestiere. In questa evoluzione ebbe un ruola<br />

importante il sistema Ikarus, elaborato da Peter Karow ad Amburgo. Lanciato nel<br />

1974 fu subito adottato dalla Berthold e dalla Linotype e si diffuse in Europa, Stati<br />

Uniti e Giappone. Permetteva di convertire le immagini video in disegni al tratto e<br />

i disegni su carta in informazioni digitalizzate, in oltre elaborava automaticamente<br />

le varianti di un carattere, i suoi spessori e le inclinazioni. Non ostante l’uscita sul<br />

mercato di altri programmi, Ikarus restò il più funzionale fino agli anni Ottanta.<br />

Dopo il predominio della scuola svizzera degli anni Cinquanta e Sessanta, si<br />

sviluppò una nuova tendenza, il New Wave, il cui principale interprete fu Wolfgang<br />

Weingart.<br />

Nel 1968 Wolfgang Weingart cominciò a insegnare nella scuola di grafica di Basilea<br />

(Algemeine Gewerbeschule), nella stessa scuola dove da studente si ribellò ai dogmi<br />

della scuola svizzera. I suoi insegnanti Emil Ruder e Armin Hoffman, riconoscendone


OCR-A. Il carattere si ispira agli<br />

standard delle lettere lette dai<br />

computer, stabiliti nel 1965 dalla<br />

European Computer Manufactures’<br />

Association (ECMA). Il carattere<br />

venne progettato dagli ingegneri della<br />

ECMA con la consulenza di Adrian<br />

Frutiger nel 1966. L’OCR-B venne<br />

prodotto dalla stessa gente due anni<br />

dopo, è molto più dettagliato rispetto<br />

alla precedente versione e pertanto<br />

richiede una capacità di elaborazione<br />

superiore.<br />

Fonte dell’immagine:<br />

www.identifont.com<br />

OCR-B di Adrian Frutiger.<br />

Fonte dell’immagine:<br />

www.identifont.com<br />

97


98<br />

il talento lo invitarono a perchè rappresentasse una voce alternativa. Le influenze di<br />

Weingart si diffusero in Europa e negli Stati Uniti, tra i suoi allievi più noti vi è April<br />

Greiman.<br />

Weingart non era per il riduttivismo della scuola svizzera, in contrapposizione a<br />

Joseph M ller-Brockmann che limitava l’impaginazione all’uso di un carattere con<br />

al massimo due corpi, Weingart riteneva che la tipografi a era soltanto uno degli<br />

strumenti a disposizione del grafi co, i caratteri e i loro corpi dovevano essere scelti<br />

senza limite in base alle esigenze. Nei suoi corsi insegnava molta fotografi a, disegno,<br />

teoria del colore e packaging. Ciò che Weingart isegnava non era del tutto nuovo,<br />

egli includeva anche la conoscenza della composizione a caldo parallelamente ai<br />

nuovi metodi, era interessante la convinzione con la la quale egli tentava di conferire<br />

controllo al grafico in riguardo ai propri stumenti, egli inseguiva un prodotto che fosse<br />

capace di liberarsi dai vecchi stilemi, ma che fosse soprattutto autocosciente.<br />

Più tardi Weingart ammise che la sperimentazione che cercava di stimolare,<br />

estremizzava i procedimenti della composizione a caldo per poi ribaltarli. Elementi<br />

ricorrenti nella grafi ca New Wave, sono i blocchi di testo a bandiera, i negativi<br />

azzardati, gli spazi disuguali tra le lettere e le sottolineature. La fotografi a sgranata,<br />

con i punti delle mezzetinte del retino ben evidenti dimostrava il fatto che l’immagine<br />

era letta come un elemento grafi co e non come qualcosa di realistico.<br />

Sotto questo suo radicalismo si celano in ogni caso gli insegnamenti svizzeri, Weingart<br />

non era così incauto a mescolare caratteri e corpi, aveva delle sue famiglie predilette<br />

e queste erano l’Akzidenz Grotesk, l’Helvetica e l’Univers per i caratteri bastone, per<br />

i testi usava spesso il Times e il Garamond.<br />

Oltre allo stile New Wave, negli anni Settanta si diffusero moltissimo le fanzine, tutt’ora<br />

rigorose nei loro stili punk o psichedelico in molti paesi, primo tra tutti l’Inghilterra.


Capitolo 9 Gli anni Ottanta, la tipografi a digitale<br />

Negli anni Settanta i metodi della fotocomposizione e della composizione digitale erano<br />

stati favoriti da una tecnologia informatica sempre più efficiente e di ristrette dimensioni.<br />

L’innovazione stava anche nel fatto che la composizione non era più “alla cieca”, bensì<br />

veniva visualizzata direttamente sul monitor, questo provocò pian piano la sostituzione<br />

della figura professionale del compositore, poichè con i nuovi mezzi era il creativo a<br />

immettere direttamente le informazioni nel computer. Per la creazione dei caratteri ci si<br />

affidava sempre di più all’informazione digitale data a una compositrice, sia direttamente,<br />

nel caso in cui era parte dello stesso impianto del monitor, come per la CRTronics, sia<br />

come informazione in codice, che passava da un primo terminale alla compositrice<br />

satellite, la quale impressionava una carta o una pellicola fotosensibili, come nel caso<br />

dell’ Atex e nei sitemi correntemente usati dai quotidiani.<br />

Fu però l’arrivo del personal computer, il PC a gettare le nuove basi per la rivoluzione<br />

tecnologica. Nel 1981 uscì il primo pc, una costosa macchina IBM, in seguito disponibile<br />

in modelli più economici. Nel 1984 lo raggiunse l’Apple Macintosh dall’ approccio userfriendly<br />

della sua interfaccia grafica. Il pc senza alcun dubbio divenne lo strumento in<br />

grado di rivoluzionare la grafica e la sua produzione, l’Apple invece teneva nascoste le<br />

complessità del linguaggio operativo dei computer e traduceva il tutto sullo schermo<br />

in forma di immagine con la cosiddetta rappresentazione “wysiwyg” acronimo inglese<br />

dello dello slogan “what you see is what you get”. Era una simulazione che dava i<br />

risultati visivi sul monitor di tutto ciò che il computer stava programmando.<br />

L’utilizzo di queste macchine chiedeva al grafico una conoscenza completa della<br />

tipografia, non più condivisa con il compositore; spesso nell’insegnamento della grafica<br />

le nozioni sul disegno dei caratteri vengono trascurate e questo spiega gli innumerevoli<br />

errori della programmazione dei primi periodi, errori riguardanti la bassa definizione, la<br />

sillabazione, la spaziatura e tante altre distrazioni lasciate irrisolte per ignoranza, pigrizia<br />

o mancanza di tempo.<br />

Oggi la produzione digitale dei caratteri riveste tutti i settori della comunicazione, dalla<br />

televisione, al web e agli altri settori.<br />

Mattew Carter disse che con l’avvento dei computer il disegno di un carattere era<br />

passato dal lavoro di un anno a quello di un giorno. Egli aveva imparato la punzonatura<br />

dal maestro olandese Enschedé negli anni Cinquanta. Negli Ottanta fodò la Bitstream<br />

insieme ad altri colleghi della Linotype. Quest’azienda seguiva l’esempio dell’ITC come<br />

fornitore indipendente di caratteri, creava caratteri digitalizzati per i singoli produttori per<br />

99


100<br />

evitare che questi dovessero crearseli da sé. Molti erano disegni classici ormai diventati di<br />

pubblico dominio e non coperti da copyright, altri erano concessi su lincensa dalle altre<br />

case produttrici come l’ITC. Il repertorio contiene il Charter, disegnato nel 1987 dallo<br />

stesso Carter, ideato per migliorare la qualità di stampa. Tutto dipende dalla risoluzione,<br />

con una fotocompositrice a 1200 dpi tutti i particolari vengono debitamente delineati a<br />

guadagno della nitidezza e della leggibilità, con le stampanti laser o a getto di inchiostro,<br />

che spesso avevano una risoluzione di 300 dpi o anche inferiore, la leggibilità e il dettaglio<br />

risultano molto penalizzati.<br />

Un’altro disegno originale commissionato dalla Bitstream per le nuove esigenze era<br />

l’Amerigo, di Gerard Unger, il catalogo lo descrive come un carattere dalle grazie svasate,<br />

simile all’ Optima di Zapf. Il disegno era infatti stato realizzato per una stampante laser,<br />

con lo scopo di ottenere una resa migliore dell’ Optima, troppo sottile per questo tipo<br />

di stampa. Unger lavorò anche per un’azienda pioniera della composizione digitale, la<br />

Rudolph Hell. Le sue famiglie di caratteri Demos, Praxis e Flora, create dal 1976 e il<br />

1980 stabilirono delle regole per il disegno dei caratteri destinati alla stampa a bassa<br />

defi nizione. I tre caratteri, rispettivamente con grazie, senza grazie e corsivo, hanno le<br />

lettere minuscole molto alte, hanno l’apertura e la robustezza dell’Amerigo, del Charter e<br />

di altri caratteri digitali.<br />

Per l’Adobe, Kris Holmes e Charles Bigelow crearono la famiglia Lucida, nel loro<br />

lavoro tennero conto delle ricerche sulla leggibilità, sulla semplificazione delle forme<br />

tipografiche, sempre pensando alla stampa a bassa definizione. Holmes spiegò: le forme<br />

elementari del lucida sono deliberatamente prive di complessità e di ornamenti, in modo<br />

che le forme essenziali delle lettere possano sovrastare il “disturbo di fondo” delle attuali<br />

stampanti. Alcuni particolari tradizionalmente complessi – come l’inspessimento delle<br />

aste, le grazie e le loro staffe – sono resi schematicamente non con curve sottili, ma con<br />

forme poligonali. Nei corpi più piccoli e alle basse defi nizioni questi producono forme<br />

nitide; nei corpi più grandi e a più alte defi nizioni rivelano modulazioni interessanti.<br />

Era molto importante pensare alla gestione dello spazio per fare in modo che il carattere<br />

rimanesse fedele al suo effetto in tutte le dimensioni.<br />

Come i caratteri di Unger, anche il Lucida aveva le sue versioni con e senza le grazie,<br />

questa era una novità nel disegno dei caratteri, favorita del tutto dal risparmio di tempo<br />

che un disegnatore aveva nella progettazione digitale. Holmes e Bigelow disegnarono<br />

anche una serie di caratteri destinati allo schermo, i Pellucida. Lo schermo aveva una<br />

risoluzione di 72 dpi, dall’introduzione del concetto wysiwyg, era preferibile avere la


Alcuni titoli della trasmissione<br />

televisiva Opinions,<br />

della English Markell Pokett<br />

del1988. Il lavoro su videocassetta<br />

permise ai grafici<br />

di animare i caratteri. Nel<br />

programma il flusso delle<br />

lettere suggeriva le opinioni e<br />

i temi che si stavano trattando<br />

e si componevano in una<br />

struttura che finiva con la<br />

rappresentazione del titolo<br />

della trasmissione.<br />

La English Markell Pockett<br />

negli anni Ottanta investì<br />

molto sulla grafica e sui<br />

caratteri tipografici mentre si<br />

sviluppava la competizione<br />

tra le reti televisive.<br />

20th Century Type, Lewis<br />

Blackwell, Zanichelli, 1995.<br />

101


Amerigo disegnato da Gerard Hunger<br />

nel 1986 e pubblicato dalla Bitstream.<br />

Ricorda vagamente le grazie non<br />

accentuante dell’Optima di Hermann<br />

Zapf.<br />

I caratteri di Hunger sono stati studiati<br />

per conservare una buona leggibilità<br />

nella bassa risoluzione, sono<br />

caratterizzati dalle minuscole molto<br />

alte rispetto alle maiuscole.<br />

www.identifont.com<br />

Lucida Sans, disegnato da Kris Holmes<br />

nel 1985 per la Elsner + Flake.<br />

La Elsenr +Flake si trova ad Amburgo<br />

in Germania, è uno studio di design<br />

che ha digitalizzato molti dei caratteri<br />

della ITC, distribuendoli con ulteriori<br />

versioni di propria produzione.<br />

Nel caso del Lucida esistono svariate<br />

versioni del carattere, tutte molto<br />

particolari: il Lucida Typewriter,<br />

Lucida Handwriting, Lucida Sans<br />

Typewriter, Lucida Bright, Lucida<br />

Blackletter, Lucida Console, Lucida<br />

Calligraphy, Lucida Casual, Lucida<br />

Serif e Lucida.<br />

www.identifont.com<br />

102


versione dei caratteri per il digitale, chiamati screenfont. Pellucida ne rappresenta il<br />

primo tentativo. In oltre lo schermo aveva altri problemi, spesso adattava il disegno<br />

dei caratteri a partire dalle informazioni sui corpi più simili interamente disegnati, un<br />

piccolo programma aggiustava automaticamente l’occhio dei corpi più piccoli per<br />

risolvere problemi di definizione, perdendo però particolari delle lettere e creando<br />

dei difetti che prendono il nome di hinting.<br />

L’introduzione del programma Adobe Type Manager consentì di ottenere informazioni<br />

più accurate dal carattere per la stampa e di migliorarne la visualizzazione sullo<br />

schermo. L’esigenza di far interpretare le informazioni sui caratteri allo stesso modo<br />

da tutti gli hardware stimolò l’elaborazione di vari “linguaggi”, il più importante fu<br />

ed’è tutt’ora il PostScript dell’ Adobe, lanciato nel 1983. il PostScript descrive gli<br />

elementi della pagina elettronica, testo, immagine, e altre informazioni sulla grafica<br />

e l’impaginazione, utilizzando codici che descrivono le coordinate della pagina.<br />

L’informazione è indipendente dal tipo di supporto e guida le stampanti a riempire<br />

di colore punto per punto semplicemente seguendo le indicazioni. Tutti questi sforzi<br />

sono motivati soprattutto dall’esigenza di fare in modo che il carattere tipografico<br />

scelto per un progetto non risultasse qualcosa di molto diverso nella stampa.<br />

In realtà negli anni Ottanta si formano i presupposti di tutta l’innovazione nata<br />

dalla sperimentazione degli anni Novanta, Neville Brody, Terry Johnes, il team di<br />

Emigre, la Cranbrook University e la Calarts avviarono una filosofia decostruttivista<br />

per la tipografia, riconsiderarono tutta la stampa in base all’avvento del digitale e<br />

alle esigenze di rinovamento che i nuovi media inevitalmente influenzavano. Nei<br />

prossimi capitoli metterò da parte l’aspetto cronologico concentrandomi sui singoli<br />

autori e sulle riviste che per diversi motivi rivestono una grandissima importanza<br />

nella grafica contemporanea.<br />

9.1 Neville Brody e Terry Jones<br />

Mentre molti grafici poterono continuare a produrre lavori con la fotocomposizione,<br />

altri si avvalsero dei progressi tecnologici compiuti nella fotografia e nel cinema per<br />

sfruttare con la massima libertà le forme tipografiche.<br />

Tra questi è il brillante e discusso Neville Brody, il suo nome è legato allo stile<br />

New Wave e il suo lavoro per la rivista The Face, ha fatto scuola in tutta Europa.<br />

Intorno alla carriera di Neville Brody si sviluppò un incredibile interesse, prima di<br />

State, carattere sperimentale che<br />

cerca di “[...] penetrare nella struttura<br />

dell’alfabeto e di accentuare le forme<br />

inerenti al linguaggio scritto. Le<br />

forme negative hanno lo stesso risalto<br />

di quelle positive, nel tentativo di<br />

disinnescare il potere del linguaggio<br />

e della gerarchia imposta dalle norme<br />

tipografiche. Per questo motivo,<br />

forse, il carattere non è adatto all’uso<br />

quotidiano. La leggibilità è un<br />

condizionamento. Volevo sottrarre<br />

la tipografia al suo ruolo puramente<br />

sottomesso e pratico per dargliene<br />

uno potenzialmente più espressivo e<br />

visivamente dinamico [...].<br />

20th Century Type, Lewis Blackwell,<br />

Zanichelli, 1995.<br />

103


Copertina di Fuse n 2.<br />

Fuse è una pubblicazione trimestrale<br />

prodotta dalla FontWorks che tratta di<br />

tipografia digitale.<br />

La rivista è solo uno degli aspetti del<br />

progetto Fuse di cui Neville Brody<br />

è un fondatore. Il progetto si può<br />

definire come un laboraotrio di design<br />

che si manifesta principalmente<br />

mediante l’organizzazione di<br />

conferenze sul design alle quali<br />

partecipano i più grandi maestri della<br />

tipografia contemporanea.<br />

Lo stesso laboratorio diventa una<br />

piattaforma per la produzione e la<br />

diffusione di caratteri digitali.<br />

Fin’ora le conferenze si sono tenute a<br />

Londra, San Francisco e Berlino.<br />

www.researchstudios.com<br />

104


aver compiuto trent’anni ebbe il privilegio di una mostra al Victoria & Albert Museum<br />

di Londra, che fece poi il giro del mondo. I giornali di tutto il mondo gli dedicarono<br />

articoli prendendolo come esempio di prim’ordine per questa professione. Il suo<br />

talento non venne mai messo in discussione, ma probabilmente passò in secondo<br />

piano rispetto al fenomeno personale che egli rappresentava.<br />

Fondò nel 1994 il Research Studio nella sua prima sede a Londra insieme a Fwa<br />

Richards, subito dopo vennero aperte altre due sedi, una a Parigi e l’altra a Berlino.<br />

Neville Brody riveste la figura di art director per la produzione di questi studio che<br />

vantano clienti come la Nike, la Macromedia, la Disney, Arena, Sony e molti altri.<br />

Molto importante è il progetto Fuse, di cui è uno dei fondatori. Fuse è una rivista<br />

sulla produzione di nuovi caratteri digitali, è prodotta dalla FontWorks e si muove<br />

attraverso un ciclo continuo di conferenze sul design alle quali partecipano i grandi<br />

maestri della grafica moderna.<br />

Per quanto riguarda le caratteristiche del lavoro di Naville Brody, egli elaborò una<br />

tecnica grafica che giocava con la forma delle lettere, con i nuovi caratteri commerciali<br />

e con gli elementi tipografici della pagina usandoli come mezzi espressivi.<br />

La manipolazione della tipografia digitale usata come strumento di linguaggio diventa<br />

una specie di tipografia espressionista, nei primi anni Ottanta la disinvoltura con la<br />

quale Brody gestiva i caratteri gli procurò molta fama e ammirazione nel pubblico<br />

giovanile, specie perchè, come era logico che accadesse, il suo lavoro fu ingaggiato<br />

soprattutto nelle riviste di tendenza. Quando successivamente si mise a lavorare<br />

come grafico free-lance e come direttore della propria azienda per la produzione<br />

di caratteri digitali, la FontWorks, sviluppò progetti dal tono più razionalista e<br />

pulito, idee raffinate vicine alla scuola svizzera, che si basano sulle griglie e sulla<br />

semplicità.<br />

In una intervista rilasciata nel numero di ottobre 2004 della rivista Press Grafik<br />

rilascia delle informazioni a proposito della sua formazione nel London College of<br />

Printings : “I miei insegnanti mi dissero che ero poco commerciale e l’unica cosa che<br />

mi consigliarono fù di indossare un completo quando dovevo fare un’esame. Lasciai<br />

perdere ed’entrai in un periodo di carenze economiche durato quattro anni. La gente<br />

mi sollecitava a trovare un lavoro nel campo pubblicitario. Ma io insistetti per fare<br />

quello in cui credevo. E quando uno crede in qualcosa, quel qualcosa è l’unica cosa<br />

che deve fare. Non trovare un lavoro subito non significa non essere bravi. [...] In<br />

questo momento posso definire quello che al tempo stavo cercando di fare, volevo<br />

1 http://www.researchstudios.com/<br />

home/004-press/mag/Press_Grafik-<br />

Oct-2004.pdf<br />

105


2 http://www.researchstudios.com/<br />

home/004-press/mag/Press_Typo-<br />

Aug-2004.pdf<br />

3 www.hintmag.com<br />

106<br />

utilizzare il design per rivelare le cose e non celarle, cercavo di ritrarre l’umanità<br />

nell’immagine”<br />

L’interlocutore dell’intervista scrive che Brody nel parlare dei suoi anni di formazione<br />

è solito intercalare con frasi del tipo “sfidare la percezione”, o “il mio messaggio<br />

era”, questo per sottolineare che c’era una ricerca di rinnovamento alla base e un<br />

rifiuto della commercialità popolare. Tutto questo nel principio della sua carriera<br />

e non certo dopo, considerando le grandi marche per cui ha lavorato in seguito.<br />

Infatti in un passo successivo dice che in realtà il successo e la fama sono l’unica<br />

cosa che potenzia il mondo dei mass media, e per perseguirli bisogna usare gli<br />

strumenti adatti, un eccesso di originalità quasi sicuramente non viene compreso<br />

nell’immediato: “mi sono dovuto spostare verso il centro della questione. Il mio<br />

messaggio aveva bisogno di raggiungere un pubblico più vasto, e l’unico modo<br />

per fare questo era diventare famoso, fare in modo che il mio nome si conoscesse<br />

bene. Ma non ho mai perseguito l’obbiettivo della fama e del successo, dovevo far<br />

conoscere il mio nome attraverso i miei lavori per fare in modo che si conoscessero<br />

le idee che stavano dietro”. 1<br />

In un’altra intervista, questa volta per la rivista Typo nel numero di Agosto 2004<br />

parla dell’interessante progetto di Fuse, descrivendolo come un “laboratorio<br />

nel quale le persone possono sperimentare con il linguaggio visivo. Abbiamo<br />

l’astrazione nell’arte, nella musica e nella letteratura, e perchè non la si dovrebbe<br />

sperimentare nella tipografia? Il computer ha liberato il design esattamente come<br />

la macchina fotografica ha liberato la pittura. C’è ancora molto lavoro da svolgere,<br />

tanta esplorazione, speriamo che questo spirito continui nella sua strada e si adatti<br />

a forme diverse nel futuro”. 2<br />

Un altro grafico che ha fatto scuola emergendo dalle riviste inglesi di tendenza è<br />

Terry Jones, il quale ha lanciato e tutt’ora dirige il periodico “i-D”.<br />

Nelle sue pagine la leggibilità è completamente sconvolta, il senso delle parole è<br />

sovvertito da clamorose sovrimpressioni, da testi malamente battuti a macchina, da<br />

scritte in negativo su quattro colori, da numerose distorsioni e altri effetti grafi ci.<br />

Tutto questo “rumore” era parte del messaggio.<br />

Per i lettori di i-D il testo tipografico era qualcosa da vedere più che da leggere.<br />

Terry Jones veniva dal mondo della moda, per un certo periodo era stato art director<br />

dell’edizione inglese di Vogue.


Terry Jones.<br />

Qui accanto pagine di i-D<br />

Fonte dell’immagine www.picasaweb.<br />

google.com<br />

Sotto copertine di I-D<br />

www.hintmag.com<br />

107


Sopra Copertina di Emigre n 19.<br />

Fonte dell’immagine 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995.<br />

Nella pagina accanto, Due manifesti<br />

di Edward Fella.<br />

Fonte dell’immagine 20th Century<br />

Type, Lewis Blackwell, Zanichelli,<br />

1995.<br />

1 Edward Fella in un intervista<br />

pubblicata su Emigre n.17<br />

108<br />

Dal punto di vista tipografico i suoi modi di fare al di fuori dei suoi parametri erano del tutto<br />

inaccettabili, all’interno del settore della moda giovanile invece funzionavano tantissimo,<br />

e dire che il suo era un’approccio quasi terroristico alla bella tipografia e alla leggibilità.<br />

Diciamo che si faceva di tutto per attirare l’attenzione di coloro che non erano interessati<br />

a leggere, bensì erano entusiasmati dall’idea di partecipare e quasi impersonificare la<br />

rivista. The Face, i-D e Blitz in Inghilterra, Actuel in Francia e Wiener in Germania erano<br />

il distintivo di qualcosa che faceva tendenza più come un progetto nel quale identificarsi<br />

che come qualcosa di acculturante letteralmente.<br />

i-D esce con il primo numero nel 1980, aveva un aspetto del tutto provocatorio, “la<br />

risposta fotocopiata nei confronti delle riviste snob alla moda in quel periodo”. 3<br />

La rivista che porta nel nome il significato di i-Dentity, rifletteva i cambiamenti dell’epoca<br />

post-punk brtitannica, prendeva posizione contro la forte disoccupazione e la guerra nelle<br />

Falklands, cercava di rappresentare i giovani, la loro moda, i loro gusti musicali.<br />

Sul sito www.hintmag.com è pubblicata un’intervista a Terry Jones nella quale rivela i suoi<br />

interessi a rappresentare quello c’è sotto la moda, e le tendenze che cercava Terry Jones<br />

non erano quelle sofisticate delle sfilate e degli stiliti, la sua moda era quella della strada.<br />

C’è una spiegazione Freudiana alle copertine di i-D : il soggetto è sempre un volto che<br />

viene ritratto con un occhio aperto e uno chiuso. Indica un’atteggiamento di immediata<br />

graficazione nell’autorappresentazione.<br />

La filosofia dell’identità è tutt’oggi il soggetto principale della rivista i-D, sul sito ci sono<br />

anche dei video, sono tutti basati sul concetto dell’identità, giocato su vari stili, a volte<br />

leggermente provocatori, ma che non tralasciano o perdono mai la loro forte caratteristica<br />

dell’essere “di tendenza”.<br />

9.2 Emigre, Cranbrook Academy of Art e CalArts School<br />

“Emigre”, progettata e prodotta a Berkley in California da Rudy VanderLans è stata una<br />

novità sia per il suo uso di nuovi caratteri digitali, sia come rivista rivolta ai giovani, è fatta<br />

e parla di caratteri e tipografia sperimentale.<br />

Pochi anni prima una rivista del genere sarebbe potuta circolare soltanto negli ambienti<br />

accademici, oggi invece Emigre è venduta in tutto il mondo attraverso negozi di dischi<br />

anche se con una tiratira modesta, circa 6000 copie alla fine degli anni Ottanta. È la fanzine<br />

dei tipofili, il cui interesse si è svegliato soprattuto grazie all’ Apple Macintosh. É anche lo


strumento promozionale di un repertorio di caratteri, è impaginata con Macintosh e usa i<br />

caratteri dell’Emigre Graphics disegnati da Zuzana Licko con il programma Fontographer<br />

che vengono venduti tramite la rivista.<br />

La rivista affronta molto seriamente il tema della tipografia, intervista i disegnatori, ne<br />

presenta i nuovi progetti con illustrazioni e servizi spesso realizzati appositamente per<br />

Emigre.<br />

Negli anni Ottanta Emigre è stata il terreno di incontro di tutti coloro che seguendo<br />

le nuove tendenze tipografiche erano interessati a sfruttare le nuove capacità delle<br />

font bitmapped elevando la tipografia ad arte. Oggi l’Emigre Graphics ha esteso la sua<br />

produzione a quella di dischi e manifesti.<br />

La manipolazione grafica dei caratteri operata in queste riviste è stata promossa anche<br />

dagli studenti della Cranbrook Academy of Art americana, che da vent’anni è una fucina<br />

di grafica innovativa. L’insegnamento e il lavoro di Katherine McCoy nel campo della<br />

grafica hanno avuto il supporto di studenti come Jeffery Keedy, Edward Fella, David<br />

Frej e Allen Hori. A dare l’impronta e le direttive della scuola è stato uno dei primi<br />

progetti editoriali pubblicati dall’Academy: Visible Language, rivista di teoria della<br />

comunicazione pubblicata nel 1978. il testo era talmente manipolato graficamente<br />

da risultare illeggibile (parole in negativo, spazio follemente esagerato tra una parola e<br />

l’altra, margini irregolari). Per Katherine McCoy si trattava di un’esercizio per esplorare<br />

la linguistica della composizione, cercava di esprimere gli aspetti tipografici che<br />

costituiscono “l’hardware” per intendere le strutture della comunicazione, e quelli che<br />

costituiscono il “software” cioè la parte malleabile. In pratica distinguere il significato e<br />

il significante, per usare la terminologia dell’esperto di semiotica che li ha influenzati,<br />

Ferdinand de Saussure.<br />

Il lavoro dei grafici di Cranbrook non è commerciale, ma costituisce l’indagine attenta sul<br />

rapporto tra comunicazione spontanea e progettazione grafica, tra calligrafia e tipografia,<br />

tra caratteri e arte.<br />

Edward Fella, notevole allievo di Cranbrook, riunisce nel proprio lavoro le tendenze che<br />

vanno dalla stampa popolare al punk, fondendo insieme caratteri e illustrazioni. Prima<br />

di essere a Cranbrook era un pubblicitario, di conseguenza ha imparato le regole della<br />

pulizia commerciale, quando è passato a fare questo tipo di grafica d’arte ha mescolato le<br />

sue conoscenze in modo da ottenere un tipo di comunicazione del tutto sovversiva,<br />

un messaggio fatto di lettere manipolate o danneggiate nei loro punti più delicati,<br />

109


Il gruppo Blanka è un collettivo<br />

inglese che raccoglie opere grafiche,<br />

manifesti sul design e le arti applicate<br />

con una selezione di lavori progettati<br />

da grafici di grande talento come<br />

Cartlidge Levene, Wim Crouwel e<br />

molti altri.<br />

Sopra<br />

Manifesto di Wim Crouwel progettato<br />

per il gruppo Blanka.<br />

Nella pagina affianco altri due<br />

manifesti del colletivo Blanka, il<br />

più piccolo in altro a destra è stato<br />

progettato per la mostra “Build” e<br />

la figura grande a sinistra è di Paul<br />

Winter.<br />

www.blanka.co.uk<br />

110<br />

parole allineate in maniera irregolare e incoerente, Blackwell definisce il suo stimolo<br />

come una manciata di sabbia negli occhi. In un’intervista a Keedy, Fella ha detto:<br />

L’irregolarità è rigorosamente esaminata, volutamente basata sulla decostruzione.<br />

Se la decostruzione è un modo per mostrare il collante che tiene insieme la cultura<br />

occidentale mi sono chiesto: “ Cosa mai tiene insieme la tipografi a?”. “E’ lo spazio”<br />

[...] L’idea era semplicemente quella di giocare con quel pezzetto di spazio e vedere<br />

se c’era un pò di margine per manipolare quel collante che tiene insieme tutto. 1<br />

Fella sostiene che la ricerca dello spazio perfetto tra le lettere e le parole ha soffocato<br />

l’espressività; maggiore attenzione, inoltre, merita il tempo, cioè quanto si impiega<br />

per leggere le parti di un messaggio.<br />

Gli esperimenti di Fella, oltre ad avere una grande risonanza in tutto il mondo per<br />

l’aspetto di tipografi a d’arte, hanno anche stimolato molte produzioni per quanto<br />

riguarda la comunicazione in movimento, specialmente televisiva.<br />

9.3 Il Desktop Publishing<br />

Negli anni Novanta le innovazioni e i passi fatti all’interno della tipografia sono<br />

tantissimi, tutti basati sul digitale, proprio per questo oggi ha un diverso peso quando<br />

un grafico o un tipografo sceglie di lavorare a caldo. Il metodo senz’altro è parte<br />

dell’opera. Con il DTP Desktop Publishing, ovvero l’editoria da tavolo con la quale<br />

chiunque può lavorare al proprio progetto in piccoli spazi, tutto è rivoluzionato e le<br />

ricerche sul perfezionamento della tecnologia coinvolgono indistintamente le grandi<br />

case editrici e i singoli grafici free-lance.<br />

Certo, la tecnologia da anche i frutti che nascono esclusivamente da esigenze basate<br />

sul risparmio di tempo e manodopera, infatti esistono grafici che forniscono alle<br />

aziende i software con i codici preimpostati per le loro impaginazioni nelle quali<br />

qualsiasi dipendente si troverà a rispettare la gabbia, in tutto questo soccombe<br />

completamente la conoscenza e la tecnica tipografica.<br />

Gli esperimenti di Cambrook e di Emigre cominciati negli anni Ottanta hanno<br />

iniziato un discorso sulla leggibilità che coinvolge il fattore dell’interattività presente<br />

nei media digitali. La sperimentazione è proseguita negli anni Novanta in moltissime<br />

forme. Ma diciamo che se dobbiamo riferirci ai grandi maestri rimaniamo sulle grandi<br />

linee tracciate da Neville Brody, da Rudy Vanderlans, Terry Jones, Edward Fella.<br />

In ogni caso le impaginazioni particolari si sono viste anche in altri ambienti, per


esempio nella rivista Colors che ha come direttore editoriale Oliviero Toscani,<br />

nelle riviste spagnole Tentaciones, El Paìs, Matador e Vanidad sotto la direzione<br />

artistica di Fernando Gutierrez, nei lavori di Cartlidge Levene, nella rivista Octavo<br />

alla quale lavorano Mark Holt, Hamish Muir e MIchael Burke.<br />

Contemporaneamente molti quotidiani sono tornati ai valori tradizionali per<br />

riaffermare la propria autorevolezza, il The Indipendent uscito a Londra alla fine<br />

Sotto<br />

Mark Holt, Hamish Muir e MIchael<br />

Burke in una doppia pagina di<br />

Octavo, 1990.<br />

Fonte dell’immagine<br />

www.cerysmaticfactory.info<br />

111


112<br />

degli anni Ottanta è un quotidiano pluripremiato, ha uno stile classico che è stato<br />

copiato e preso in considerazione da Modern Review del 1991. Le vesti grafiche<br />

con titoli senza grazie che apprendono la lezione dagli anni venti, sono raramente<br />

utilizzate nei quotidiani più seri. I quotidiani in genere non ancora trasgrediscono la<br />

loro tradizione, in pochi casi esaltano il loro stile con l’uso del colore.<br />

La grafica attuale si è in gran parte spostata dalla carta allo schermo, è dunque per il<br />

video che adesso si sta lavorando alla ricerca di definizioni sempre migliori e di una<br />

comunicazione che prenda uno stile a sé, poichè l’impaginazione del video non é<br />

quella cartacea e sempre più si basa sul movimento e l’interattività. Nei paesi più<br />

ricchi la gente passa in media dieci anni della propria vita davanti a un televisore, non<br />

so quanti ne passa davanti allo schermo di internet, in ogni caso sarebbe importante<br />

tentare di qualificare questi dieci anni con una forma o un contenuto che siano<br />

stimolanti e qualifincati quanto più è possibile.


113


114<br />

Capitolo 10. Il Grafi c Design di David Carson<br />

David Carson è l’ispiratore del tema di questa tesi.<br />

In questo ultimo capitolo cercherò di esprimere i concetti che emergono dalle<br />

monografie di David Carson, The End of Print 2nd Edition e 2nd Sight: Grafik Design<br />

After the End of Print . 1<br />

Queste due monografie, purtroppo sono disponibili solo in lingua inglese, perciò<br />

di tanto in tanto mi sono dovuta improvvisare traduttrice, per rimediare ai possibili<br />

errori di traduzione riporterò fedelmente in fondo al capitolo anche le parti scritte in<br />

inglese.


10.1 Don’t mistake legibility for communication 2<br />

Le domande di un tesista inglese, studente di “electronic graphics” alla Shaffordshire<br />

University forniscono a Lewis Blackwell, curatore di The End of Print i presupposti<br />

per l’introduzione al libro, riassumendo a grandi linee le problematiche sulla<br />

leggibilità del lavoro di Carson supposte da molti critici in campo di Graphic Design.<br />

Lo studente chiede se lo stile di Carson ha influenzato il lavoro di altri grafici che<br />

copiandolo, senza avere il suo stesso talento, hanno prodotto una grafi ca defi nibile<br />

“degenerata”; poi afferma che il lavoro di Carson comunica effettivamente con il suo<br />

target, la generazione x, e chiede perchè non dovrebbe cercare di comunicare a una<br />

più vasta fascia di lettori; infine chiede se nel lavoro di Carson lo stile è qualcosa di<br />

molto più importante della comunicazione del messaggio.<br />

Blackwell risponde inizialmente con un semplice no alle domande che sembrano<br />

riassumere in poche parole molte delle reazioni che la critica ha avuto a The End of<br />

Print. Subito dopo si dilunga dicendo che il concetto di design non è un’opinione.<br />

Design è ciò che si fa e non solo ciò che si pensa, dietro al design ci sono nozioni<br />

pratiche e tecniche, nonchè l’etica del designer, e nel suo lavoro confluiscono le<br />

informazioni della comunicazione contemporanea piuttosto che quelle relative<br />

alla comunicazione del passato. Dunque la differenza nel lavoro di Carson è data<br />

proprio da quello che Carson fa nella vita, dalla confluenza dei suoi interessi reali<br />

nella sua produzione.<br />

Prosegue rispondendo alla prima domanda, Carson ha infl uenzato uno stile<br />

degenerato?<br />

La cosa più evidente nel suo lavoro è la rottura con le regole tradizionali della<br />

grafica, questo più che influenzare lavori azzardati o degenerati, dice Blackwell,<br />

può rendere i giovani grafici consapevoli del campo di sperimentazione che c’è fuori<br />

dalle vecchie griglie e conferirgli quel potere di cambiare le cose, perchè il grafico è<br />

un creativo e in quanto tale crea e rigenera le cose.<br />

Del resto può anche darsi che qualcuno abbia isolato gli elementi visivi del suo<br />

metodo di lavoro e abbia cominciato a produrre la propria versione, ma nella<br />

comunicazione di massa il suo stile non si è affatto diffuso come un’ondata uniforme,<br />

la comunicazione ha ancora le sue vecchie regole.<br />

Blackwell osserva anche il fattore sociale della resistenza alle innovazioni, egli<br />

individua nell’uomo una naturale resistenza ai cambiamenti, l’uomo non accetta le<br />

1 The End of Print: The Grafik Design<br />

of David Carson 2nd Edition.<br />

Laurence King Publishing, 2000.<br />

2nd Sight: Grafik Design After the<br />

End of Print. Universe Publishing,<br />

1997.<br />

2 Trad. Non confondere Leggibità con<br />

Comunicazione.<br />

115


116<br />

innovazioni perchè ne ha paura, e infatti dietro le innovazioni c’è sempre lo sviluppo<br />

di massa, la nostra evoluzione1 . Nella grafica delle pagine di Beach Culture e Ray<br />

Gun Carson tenta di trovare un nuovo modo per consegnare l’informazione, cerca di<br />

coinvolgere il linguaggio grafi co del video e del web e sperimenta una nuova forma<br />

di impiego del testo, facendolo diventare immagine. Questo perchè la televisione,<br />

la radio, il web e i nuovi media si stanno muovendo verso una comunicazione<br />

iperpotenziata, interattiva e che fa leva su molte più risorse di quelle di cui continua<br />

a disporre la grafica stampata. Probabilmente il suo lavoro cerca una riconnessione<br />

con quel target per cui l’ertodossia della stampa non funziona più, poichè risulta<br />

eclissata dal modo in cui i temi vengono espressi emotivamente negli altri media.<br />

Questo metodo di lavoro non è riducibile alla semplice individuazione dei suoi<br />

manierismi. Sarebbe troppo facile definire Carson solo per i giochi di stile che ha<br />

utilizzato: cambiamento del corpo e dei caratteri, font insolite e personalizzate,<br />

ritagli e collages di pagine, errori, assenza di griglia. Nel tentativo di sconvolgere<br />

i rapporti tra gli elementi della pagina, con l’inserimento di questi disturbi visivi,<br />

egli non fa altro che portare nell’equazione editoriale le infl uenze del video e della


comunicazione di massa, gli stimoli provenienti dalla televisione, dai film, dalla<br />

pubblicità, dalla musica e delle sottoculture all’interno delle quali egli stesso ha<br />

lavorato. Non c’è niente di radicale. La rottura con la tradizione diventa ovvia quando<br />

il manuale da cui si attinge non è l’ortodossia tipografica, bensì la comunicazione che<br />

ci circonda attualmente. Nessuno degli elementi compositivi citati può isolatamente<br />

essere considerato rivoluzionario, dadaisti e futuristi produssero grafiche simili molto<br />

prima di lui, ma con propositi differenti, Wolfgang Weingart, April Greiman e Dan<br />

Friedman operarono esattamente con gli stessi strumenti, come anche la Cranbrook<br />

University e CalArt americane.<br />

Il suo lavoro non si può ridurre meramente a un discorso di stile. Se si trattasse<br />

semplicemente di applicare uno stile all’impaginazione, il significato e il contenuto<br />

svanirebbero, invece il concetto che c’è dietro si rifà a un tipo di comunicazione<br />

che lascia degli spazi aperti al lettore.<br />

La differenza che c’è tra questo tipo di grafi ca e approcci di tipo più razionalista<br />

è la stessa che ci può essere tra un dipinto astratto e il diagramma di un impianto<br />

elettrico: possono essere due immagini molto simili grafi camente, ma una ha dei<br />

signifi cati ben precisi, l’altra si apre a molte più possibilità di interpretazione. 2<br />

Il lavoro di Carson sembra intraprendere la via artistica, questo non per dire che sia<br />

un lavoro astratto e completamente aperto all’interpretazione dell’utente, piuttosto<br />

perchè le riviste e gli argomenti che ha trattato gli permettevano questo tipo di<br />

approccio. Egli stesso ha detto che se avesse dovuto progettare la grafica per una<br />

confezione di aspirina si sarebbe concentrato sull’esperienza che l’utente prova in<br />

relazione all’uso dell’aspirina, tentando di realizzarla con il suo lessico grafico.<br />

Per quanto riguarda infine il concetto di target, anche su questo punto sarebbe<br />

riduttivo delineare i confini generazionali per definire un target, a volte i lettori sono<br />

persone accomunate dall’interesse e non è detto che abbiano la stessa età, la stessa<br />

razza e si possano racchiudere in un ceto sociale. The End of Print è un libro che tenta<br />

di rappresentare la carriera di Carson, e con la stessa grafica che ha caratterizzato i<br />

suoi precedenti lavori colpisce un pubblico che non è necessariamente legato alle<br />

riviste di windsurf e skateboarding.<br />

L’aspetto che emerge da The End of Print è quello del dibattito sul quanto sia<br />

valido l’approccio stilistico di Carson nella comunicazione di massa. Possiamo dire<br />

a grandi linee che la comunicazione può essere immediata oppure no, può fare<br />

dell’immediatezza o dell’elusività i suoi principali obbiettivi, ma può anche usare<br />

1 “ This lack of radical change<br />

is to be expected, given<br />

our natural resistance to<br />

change, but I doubt whether<br />

it is a good thing. Resistance<br />

to change, conformity, in<br />

an activity that can be so<br />

expressive, is a sign of our<br />

fear. It hides the fact that,<br />

underneath the graphic surface<br />

of our day, there has been<br />

massive development.”<br />

Lewis Blackwell,<br />

tratto da The End of Print 2nd<br />

Edition Laurence King Publishing,<br />

2000.<br />

117


2 “ The difference between this<br />

kind of graphic design and<br />

more rationalist approach is the<br />

difference between an abstract<br />

painting and a wiring diagram.<br />

They could actually be very<br />

similar graphic objects, but<br />

one has a very locked-down<br />

meaning, one opens out to infinite<br />

possibilities.”<br />

Lewis Blackwell,<br />

tratto da The End of Print 2nd Edition<br />

Laurence King Publishing, 2000.<br />

118<br />

l’immediatezza o l’elusività come mezzi tramite i queli esprimere il messaggio.<br />

In tal caso, sempre basandoci su Carson, c’è coerenza tra il suo stile grafico, il suo<br />

modo di dire le cose e tutte le domande proposte nel libro? Il titolo stesso implica una<br />

domanda.<br />

Probabilmente la coerenza del suo stile è il messaggio.<br />

Dovremmo chiederci quale relazione c’è tra il linguaggio visivo e quello verbale.<br />

Noi siamo convinti di poter gestire il nostro linguaggio verbale in maniera del tutto<br />

trasparente, siamo consapevoli della conoscenza della nostra propria lingua e spesso<br />

non facciamo attenzione a come una cosa, a seconda di come ci viene detta può<br />

assumere molti più signifi cati di quelli espressi dalle parole. E mi riferisco al semplice<br />

fatto che sentirsi dire una cosa da una persona piuttosto che da un’altra, in un modo<br />

o in un contesto piuttosto che altri infl uisce moltissimo sul concetto espresso, è la<br />

tipografi a del linguaggio verbale. L’interprete del messaggio nella comunicazione,<br />

non fa altro che vestire ulteriormente le parole scritte, dare al concetto gli ulteriori<br />

signifi cati che lo sostengono.<br />

Il designer può dunque essere a sua volta considerato l’interprete del messaggio<br />

scritto.<br />

Probabilmente in questa affermazione giace l’importanza della comunicazione, della<br />

grafica e di tutte le scuole che hanno cercato di stabilire uno stile secondo il quale le<br />

cose devono essere comunicate.<br />

Nel caso di Carson lo stile assume rilevanza nel concetto espresso, perchè oltre a<br />

fornire l’informazione catalizza l’attenzione su come è presentata, sollecita il lavoro<br />

intellettuale del lettore fi no a raggiungere una certa interattività comunicativa nella<br />

quale la cosa, più che semplicemente detta arriva a essere condivisa.<br />

Il suo lavoro ha sollevato critiche che lo definiscono illegibile e lo incolpano<br />

di comunicare esclusivamente con il suo target senza tener conto del fatto che<br />

l’informazione dovrebbe essere comprensibile per tutti. Diciamo che qui si può parlare<br />

anche di una questione di “scelta” da parte del lettore, perchè la comunicazione nel<br />

design non può mai essere del tutto assente, è comunicazione in qualsiasi modo<br />

essa si presenti e comunica effettivamente con tutti nel momento in cui viene<br />

visualizzata, al lettore resta la scelta di fermarsi a osservare, di farla propria e di<br />

recepire il messaggio fermandosi proprio dove vuole lui. In un certo senso il lettore<br />

può essere libero di leggere quanto e come vuole un’informazione. Le espressioni<br />

all’interno di una pagina sono molteplici anche nel caso delle impaginazioni più


semplici e pulite, sta alla capacità di comprensione del lettore la scelta di soffermarsi<br />

a pensare al perchè una cosa ci viene detta in un modo piùttosto che in un altro e se<br />

questo significa qualcosa.<br />

Le riviste per cui Carson fece da art director non erano riviste a diffusione mondiale<br />

e che trattavano argomenti generali, avevano già un target, e Carson oltre a proporre<br />

le proprie impaginazioni doveva fare da supervisore per ogni singolo progetto<br />

all’interno di Beach Culture e Ray Gun.<br />

Il suo target ha accolto pienamente la grafica e molti altri clienti si sono rivolti a lui<br />

in seguito.<br />

Dunque piuttosto che chiedersi il perchè dei cambiamenti sarebbe giusto chiedersi<br />

“perchè no?”, e indirizzare secondo questi criteri le scelte stilistiche da operare.<br />

Nell’intervista che Lewis Blackwell fa a Carson emerge l’opinione di quest’ultimo<br />

sulla leggibilità. Egli sostiene che non è esattamente la leggibilità a comunicare,<br />

non è detto che una cosa comunica solo perchè è chiara e leggibile, esiste anche la<br />

comunicazione emotiva.<br />

In alcune critiche è stato sostenuto che la forte influenza personale nel graphic<br />

design di Carson mancava di rispetto all’autore dei testi, egli sostiene esattamente<br />

il contrario. Leggere un testo e interpretarlo grafi camente è una grande forma di<br />

rispetto, per di più reciproca 1 .<br />

Questo è il caso della grafica creativa, in altre situazioni si può impaginare in<br />

maniera pulita e neutrale un testo, un lavoro che esclude nella maggior parte dei<br />

casi la personalità del designer. Nei casi in cui l’innovazione, la sperimentazione<br />

e la rottura con le regole tradizionali sono principi su cui si sta lavorando è molto<br />

importante tenere presente il significato del lavoro, e il significato è una cosa che<br />

non si può inventare.<br />

Una riflessione interessante emerge dall’articolo pubblicato sul sito www.jaimewright.<br />

ws, una riflessione dopo una conferenza tenuta da David Carson il 2 Novembre<br />

2000 nella galleria Anno Domini a San Jose in California.<br />

Jamie Wright descrive l’istallazione nell’ambiente della conferenza come parte del<br />

lavoro di Carson, parla di luci che spezzavano la visibilità del posto e delle persone<br />

che vi erano all’interno.<br />

Scrive che nella presentazione Carson fa un discorso sulla percezione delle immagini,<br />

e si aiuta con uno slide su un grande schermo alle sue spalle. Nella presentazione<br />

scorrono immagini e insegne dalla visibilità parzialmente celata, o comunque<br />

1 Dall’intervista in lingua originale<br />

dell’intervista pubblicata su “The End<br />

of Print 2nd Edition”:<br />

L.B. When you design you do things<br />

which are more often seen as writer/<br />

editor functions, like creating pull<br />

quotes.<br />

D.C. Yes, it is something I have done<br />

pretty much throughout my magazine<br />

career. I have come up with quotes,<br />

sub-titles, titles sometimes. I am very<br />

involved with the copy to begin with.<br />

I would take issue with any comment<br />

that says my work is disrespectful of<br />

the writing: in fact, I think it’s the<br />

opposite. I read the copy and then I<br />

try to interpret it. That is exstremely<br />

respectful. It is a disservice to the<br />

writers and the readers if that is not<br />

done.<br />

119


1 “Carson allows the consumer to<br />

respond to the CD cover, rather than<br />

shoving the product logo down the consumer’s<br />

throat.”<br />

Jamie Wright.<br />

http://www.jaimewright.ws/carson_content.html<br />

Nella pagina accanto: Copertina<br />

per The Fragile dei Nine Inch<br />

Nails. Nothing Records.<br />

120<br />

manipolata. Carson interroga il pubblico su quali sono i fattori che determinano la<br />

percezione di queste immagini e sostiene che si tratti per la maggioranza dei casi<br />

di intuito. A un certo punto della presentazione esce un’immagine con la quale<br />

scolvolge il pubblico : era un manifesto di propaganda nazista con una grande<br />

svastica sullo sfondo, e la scritta in primo piano che diceva “Vote for Hitler”, la<br />

parola “Hitler” era scritta molto grande inmezzo alle lettere minuscole del resto<br />

della frase. Tutto il pubblico comincia a mormorare e non resta indifferente alla<br />

visione. Carson argomenta sull’inquietudine legata a quel testo che senza particolari<br />

immagini di violenza non è di fatto differente dai manifesti su cui è scritto “Vote<br />

for Bush” o da qualsiasi altro manifesto politico e spiega come in realtà la lettura<br />

di quel’immagine è completamente legata all’intuito del terribile evento storico.<br />

Di conseguenza spiega come il linguaggio in se è una rappresentazione a tutti gli<br />

effetti, una parola rappresenta un intero periodo e stimola tutte le sensazioni ad esso<br />

legate. Se conosciamo bene un’argomento, la semplice parola si manifesta come<br />

una chiave che fa scattare la nostra risposta emotiva, e un secondo dopo, la nostra<br />

razionalità comincia a lavorare e costruisce il concetto che si sta manifestando.<br />

Quindi la prima scintilla alla visione di un’immagine è puro intuito, è dopo che si<br />

trova il punto della questione.<br />

L’approccio soggettivo del design di Carson si manifesta spesso celando<br />

parzialmente il testo o comunque presentandolo con una certa complessità<br />

strutturale, prendiamo in analisi la copertina dell’album The Fragile, dei Nine Inch<br />

Nails, il logo della band è nascosto per la metà inferiore dall’immagine dell’album.<br />

Carson ammette di subordinare l’evidenza all’astrusità, e questo è un concetto<br />

rivoluzionario per la grafica, o per lo meno è sovversivo rispetto ai principi che<br />

vogliono che la pubblicità sia invadente e colpisca l’utente nell’immediato, anche<br />

quando è disattento.<br />

Nel suo articolo Jaime Wright dice: “Carson invita l’utente a rispondere al<br />

messaggio, ed evita di spingere il marchio del prodotto direttamente nella gola<br />

del consumatore.” 1<br />

Dunque definisce Carson come un grafico che comunica e non comanda, e questo<br />

mi sembra un concetto importante, che può far riflettere sulla comunicazione<br />

attuale, sulle responsabilità del Graphic Design e su cosa implica la leggibilità nella<br />

comunicazione o ancora più semplicemente su cosa questa parola “Leggibilità” sta<br />

a significare.


121


122<br />

In realtà Carson oltre che per il dibattito sull’effettiva comunicazione dei suoi metodi<br />

grafici, ha sollevato polemiche anche per il titolo provocatorio della sua monografia:<br />

The End of Print, ovvero La Fine della Stampa.<br />

Michael Joyce nel suo caratteristico modo di scrivere dice: “...quello che si sta<br />

annusando non è l’odore dell’inchiostro, bensì l’odore di una perdita : l’odore delle<br />

torri in fiamme o dei sigari degli uomini nella stanza da disegno. Facciamo in fretta,<br />

è arrivato il momento. Siamo verso la fine dell’età della stampa; il periodo del libro<br />

è passato. Il libro è un piacere oscuro come l’opera o le sigarette. Il libro è guasto<br />

-- bisogna ripristinare il libro “<br />

Cito:<br />

“What we whiff is not the smell of ink but, rather the smell of loss: of burning towers or<br />

men’s cigars in the drawing room. Hurry up, please--it’s time. We are in the late age of<br />

print; the time of the book has passed. The book is an obscure pleasure like the opera<br />

or cigarettes. The book is dead--long live the book”<br />

Il punto di vista di Joyce è completamente negativo rispetto alla condizione attuale<br />

della stampa, molti critici non considerano la stampa come un media equiparabile agli<br />

altri e guardano alle tecnologie con sospetto. In realtà la stampa, o meglio l’editoria<br />

largamente intesa sono parte integrante dell’intero sistema della comunicazione.<br />

Che poi molti critici e molti scrittori si siano affezionati a quelli che erano i principi<br />

che hanno guidato la stampa dai tempi di Gutenberg fino a oggi, a quei principi che<br />

Stanley Morison ha definito come i fondamentali della tipografia, è un’altro discorso,<br />

probabilmente la stampa è un mezzo di comunicazione che si trova in un periodo<br />

di transizione visto che le immagini e il loro modo di essere rappresentato è stato<br />

radicalmente modificato dagli altri media.<br />

Sotto questo punto di vista si può affermare che David Carson e coloro che hanno<br />

sperimentato nuovi metodi per la comunicazione cartacea non hanno fatto altro che<br />

estetizzare il punto di questa questione. Rappresentare graficamente il cambiamento<br />

storico dei mass media rinnovando lo stile della stampa.<br />

Mentre molti critici hanno definito il lavoro di Carson e dei suoi predecessori quali<br />

Neville Brody, Rudy Vanderlans e Zuzana Licko come decostruttivi e di difficile lettura,<br />

altri come Poynor hanno centrato il punto della questione delineando il fatto che questi<br />

grafici invece di rifiutare la nuova comunicazione e preoccuparsi di difendere i vecchi<br />

stili della grafica tentando invano di farli rivivere e di combattere con armi vecchie una


sorta di battaglia contro le nuove tecnologie, loro le hanno abbracciate e si sono messi a<br />

esplorarle per comprenderne le potenzialità e metterle al servizio della stampa.<br />

Il lavoro di questi grafici più che essere inteso come un lavoro di rottura dovrebbe<br />

rappresentare un’allaccio, un legame con la nuova epoca che era in evitabile che si<br />

manifestasse in una forma diversa da quella in cui si è manifestato.<br />

Questo per dire che il rinnovamentto stilistico di una certo tipo di comunicazione oltre<br />

che una scelta da parte dei grafici era una vera e propria necessità da parte del mezzo<br />

di comunicazione.<br />

Intervista a David Carson<br />

Riporto in seguito un’intervista in lingua originale Jure Stoian a Carson in occasione di<br />

un suo workshop tenuto a Kibla, Maribor nel 2002.<br />

J.S.: How does it feel to be the most imitated designer of the ‘90s?<br />

D.C.: You don’t really feel that on a day-to-day basis. I’m just working, I have projects,<br />

deadlines, like anybody, and the work is very subjective, personal, and intuitive. So<br />

when I look at things that other people might think are copies or rip-offs I usually don’t<br />

feel that way because I wouldn’t have done it quite alike. So it’s not a huge issue. But I<br />

can tell sometimes that someone was influenced. Usually, when I look at the copies, I<br />

think, “I wouldn’t have done it that way it’s not quite working.” But it’s actually harder<br />

to do this kind of loose expression and have it work. You can teach everybody how<br />

to do a newsletter or a newspaper design - it’s a very teachable skill. But to interpret<br />

things and to be expressive is a little bit different. I think what my work did is it opened<br />

the things up a lot. Even video directors tell me my print work and music magazine<br />

opened up their field of music videos. Because when they went in with some strange<br />

idea to their record company it wasn’t so strange any more when they showed them the<br />

magazines. I think my work has had the effect of loosening things up and that can go in<br />

any number of directions, not just in copying what I do. It’s a kind of a nice feeling but<br />

it’s not what drives my work or what I spend a lot of time worrying about. Sometimes<br />

when I hear somebody made a lot of money copying me, it gets a little strange, “Hem,<br />

I’m available, why didn’t they come to me.”<br />

123


124<br />

J.S.: Did the sociology background influence your design work?<br />

D.C.: I’m sure it influences the work and what I’ve done, how I try to reach people<br />

and react when I’m reading a story and I’m trying to make it feel a certain way, “Oh,<br />

that’s angry and that’s sad.” Just the fact that I went into editorial design is probably<br />

sociology as well. Because it is more interesting for me to read a story and then try<br />

to interpret it than just to do a new shoebox or a toothpaste container - that’s also<br />

something what graphic designers do. So I think the sociology interests drove me into<br />

editorial. It’s not that I’d had a great desire to do magazines before that; I just wanted<br />

to read articles and interpret them.<br />

J.S.: So you won’t design anything before knowing the content first.<br />

D.C.: Exactly. I just work that way. There was a publisher in South America that<br />

wanted me to redesign their newspaper a couple of years ago. I said: “Send me some<br />

samples of stories so that I get an idea what you’re like.” Maybe it must have been a<br />

new one because they said: “We don’t have any yet; we just want you to go ahead<br />

and set the design up.” I still had to turn it down; I just hadn’t anything to go on.<br />

Every other designer could do that. I could do that, but I wasn’t interested. I don’t<br />

want just to give you a template that somebody else throws s omething in. That’s how<br />

most newspapers and magazines are done but it’s not for me. In all the magazines<br />

I’ve done every page is always an all-different assignment. There’s no grid, there’s no<br />

pattern. It’s more work but I think it ends up a more interesting place. It’s more fun to<br />

do, too. I hope designers would put a lot of themselves into their work. That’s when<br />

it gets interesting, that’s when they enjoy it more, that’s when they like it. If they don’t<br />

do that, then we don’t really need designers. Because anyone today can buy the<br />

software, and do a reasonable newsletter, and photo typing, get the page numbers<br />

on the same place. As we get more technology driven, I think, it becomes even more<br />

important for the designer’s role to be subjective and interpretative. Or get out of the<br />

way and let the secretary flow in the text.<br />

J.S.: You were the founding art director of Raygun magazine. Didn’t the publisher<br />

require you to make some preliminary sketches, before the actual articles were even


written?<br />

D.C.: The Raygun publisher had seen this previous magazine, Beach culture - there<br />

had been six issues of this magazine. He liked what he saw; he thought that was a<br />

good production. So the first issue of Raygun was very experimental and kind of all<br />

over the place. I think it’s the worst issue of the thirty I did. But he was skeptical. He<br />

would say: “Whew, what have you done here.” At some point he told me had to pay<br />

me even less than the minimal he was going to. Maybe he was hoping I would give<br />

up on the project, but I didn’t - because I had total freedom. I’ve always appreciated<br />

freedom over money, in a sense. I would do a job for very little money, proportionate<br />

to the amount of freedom I have. Anyway, they were skeptical about the first issue but<br />

right away it hit some nerve. People were calling to advertise, people were calling<br />

to subscribe, it was selling at the newsstands - with the first issue - so at that point<br />

the publisher would take pretty much his hands off. To his credit, he let it happen,<br />

to the point where he had rarely seen an issue before he received a bound copy.<br />

When I was done, I would send it directly to the printer. It’s a very unusual amount<br />

of freedom for a designer to have. I was reading the copy, writing a lot of the titles,<br />

picking the photos. I was very involved, in some way working almost like an editor.<br />

But it worked, so they let it go. It was kind of beginning of the real computer era, with<br />

desktop publishing and experimental fonts. The way it worked lent itself to this kind<br />

of freedom and the subject matter of rock’n’roll. I worked with many experimental<br />

illustrators that started in Raygun when still at school.<br />

J.S.: Is it hard to meet your customers’expectations? They certainly expect you to do<br />

something new, radically different, but do they eventually like what they get?<br />

D.C.: The ones who are really afraid of what I do don’t come to me. So we eliminate a<br />

certain group I would have the most problems with. And then are those who say they<br />

want something different but again it’s a matter how much do they really want it. So<br />

I think I have fewer battles than most people but it’s degrees. I did a music magazine<br />

with total freedom. Then all the sudden I’m doing Nike ads throughout Europe that<br />

gave a lot of freedom yet still with an agency connected. Then to Microsoft, where<br />

are actually a lot of restrictions, and back to Giorgio Armani, where it was free again.<br />

I just try to see it as a new challenge. It ‘s like, “Hem, OK, I got this set of restrictions,<br />

125


126<br />

I’ll make what I’m still happy with, what they need it to be.” You know, I’m very<br />

aware of the audience.<br />

J.S.: When working on a long-term project, like art-directing a magazine, when do<br />

you know it’s time to terminate and to move on?<br />

D.C.: There’s no formula, there’s no magic time. For me, three years with a magazine<br />

are a bout the maximum. At Raygun, after three years, I got busier with other things<br />

and there was actually a dispute about a cover and I was busy enough that I didn’t<br />

feel like fighting and went away. It just depends on the project. If somebody asks me<br />

to redo a newsletter, it would be interesting for me only once, “OK, how can I take<br />

this and make it better.” But I wouldn’t like to be the one who continues to turn it<br />

out every week. In a way I know when it’s time to move on and start searching in<br />

different directions. A lot of designers moved on the web, but I moved more to film,<br />

TV graphics, and commercials. I’m still pursuing this distinct decision what to do. At<br />

the same time that ninety percent of designers, at least in America, were all going to<br />

the web, thinking this was the big new design thing; it didn’t really turn out that way.<br />

It really is about information and getting information in certain ways. Even though<br />

there are some great sites with great stuff going on it hasn’t been the design utopia<br />

people thought it might be.<br />

J.S.: Well, your web site is kind of confusing.<br />

D.C.: It’s supposed to be, it’s kind of a joke. It’s kind of hard to perpetrate, hard to get<br />

through; it’s just a statement on silly sites that are hard to get through. I’m actually<br />

really happy with it. A lot of my work has some humor and sarcasm in it. In a way<br />

it’s excitement; I get angry emails on how some things should work but they don’t.<br />

And then they are other people who write “How very nice, I got to the whole thing,<br />

really interesting.” I always have a general humor in the work. It might not be the best<br />

business decision. I always say: “Here’s a hint: hit rescue.” I just love the idea that<br />

something expected doesn’t happen. Something lights up, but it does nothing. It’s a<br />

part of me th t has always been in the work that enjoys, not the driving-force, but just<br />

messing with people a little bit and having some a good time with it.


J.S.: Most of your work, including the web site, feature numbers without any apparent<br />

connection to the content.<br />

D.C.: I wouldn’t say most of them, but I think it s a reoccurring theme. It probably<br />

started with no page numbers in the magazines. Initially, page numbers were a big<br />

design element on early pages, so they might be huge or they might be little. At some<br />

point I thought I’d done as much as I could with page numbers as an element and<br />

not just an afterthought so the only logical thing to do was to get rid of them. I don’t<br />

think there’s any page number in the thirty Rayguns. I have now this book coming<br />

out with the quotes from Marshal McLuhan. The contents page was done early and<br />

at that time it was accurate. There were initially five hundred and forty pages but we<br />

edited them down to three hundred and fifty, close to four hundred. So the contents<br />

page bears no sense whatsoever, no correlation to anything, not to mention the fact<br />

that there’re no page numbers either. But I like it, it’s a nice designed page and I’m<br />

happy to have it in the book. It’s not a book that you have to read through page by<br />

page, anyway. You can pick it up and go anywhere and get different quotes and<br />

come back to it later. I often say I’ve never learned the things you’re not supposed<br />

to do. So I do what kind of makes sense to me, I do some things I think are kind of<br />

funny. A lot of the work was kind of early interactive, because you have to spend<br />

some time to figure it out. And people either did figure it out, so “That’s kind of cool,<br />

I get it”. The other said: “What the hell is this? You can’t read any of this.” A part of<br />

me likes that, I guess, being in this position. I wouldn’t be sitting right here today if I<br />

didn’t upset people, and get people really strong on both ways, “Love it or hate it.”<br />

In the early nineties, when I started messing with page design, it was very extreme.<br />

What even I didn’t realize at that time was that I was doing what made sense to me.<br />

It was very liberating, I think, and this effect is continuing today. I read in a couple<br />

of books that I’m responsible for a fundamental change in graphic design. It s a nice<br />

a thought, not that a single-handedly did this thing, but I had a venue, a way of<br />

looking at things which was self-taught, intuitive, subjective, I have this dry sense of<br />

humor I ended with from my father. A lot of people saw that it could look differently.<br />

I’ve pretty much done everything. I’ve had an article that jumped out on the cover,<br />

I’ve had contents page right in the middle, where you could look left or right, I’ve<br />

had pull quotes that were pulled out of the article leaving white space. I’ve always<br />

experimented with the actual thing itself. And just when you think everything has<br />

127


128<br />

been done - and I certainly think we pushed a lot of boundaries in magazine design<br />

- you see something you’ve never thought to do.<br />

J.S.: In your lecture last night you said something very interesting we wouldn’t have<br />

expected to hear from you. I quote: “I hate this stuff, it’s hard to read.”<br />

D.C.: If you knew me, you’d know it’s a sarcastic comment. Because I know there’s<br />

people in the audience that know that my work is seen as being hard to read. Well,<br />

you heard some laughs last night. “There’s this guy who got famous by making thing<br />

hard to read and complaining.” The whole hard-to-read-thing was overplayed. At the<br />

time it was different and sometimes interpreted as being hard to read. Sometimes it<br />

was, but I wasn’t trying to make things hard to read, I was interpreting articles. And<br />

sometimes they got hard to read, but I didn’t have a problem with that. Again, it was<br />

a rock’n’roll magazine and I had the duty and responsibility, in a way, to writers and<br />

readers to make this thing and treat it interesting. It’s pretty hard to get young people<br />

to jump into a page of type. The writer deserves his piece to look different, because<br />

a great article may get overlooked if presented in a boring manner.<br />

J.S.: But the classic, boring layouts are big again.<br />

D.C.: It’s all in cycles. The early ‘90s and mid - ‘90s were very experimental and then<br />

it became cool or current to keep things very simple and minimal; and also to write<br />

about it and to be very critical about everything. The fun somehow went out of it.<br />

In the late’ 90s the writers took control over the designers and the designers, I think,<br />

didn’t stick up for themselves. “Oh, oh, we shouldn’t be doing that?” I think we’re<br />

seeing now signs that the things are loosening up again, which would be a natural<br />

reaction to the last five years. The fashionable things got cleaner but it’s not the<br />

same old thing like before I started messing around. It’s a little more sophisticated.<br />

Somewhat it’s harder to do simple. It’s a very thin line between simple and boring<br />

and simple and powerful. And I think we ended up with a lot of boring design.<br />

J.S.: Do you think it is important for a good designer to follow the trends?<br />

D.C.: I kind of think it is when you’re starting out, maybe. To be aware what’s going


on and then everybody is influenced by something and the hardest step is to make it<br />

your own, to put it in your direction. There was a point in my career when I made a<br />

point and stopped looking at some of the main design magazines like emigre. I didn’t<br />

want to be influenced by it, I wanted to read, do my own explorations and not just<br />

have somebody else’s. You live in the world, you can’t help being aware but you<br />

don’t necessarily have to embrace them. There was this little period where this kind<br />

of Japanese esthetic crept in a little bit. Some design firms in London grabbed on to<br />

it and made rave flyers. I watched that, was aware of it, but it’ s not how I work. I<br />

would have been a real mistake for me to latch over that. The all-famous American<br />

designer Saul Bass, who designed movie and TV titles, had apparently gone through<br />

same things as I did. He said: “Keep doing what you’re doing, don’t worry or listen<br />

too much to what else is going on, just do what you do, as opposed to chasing what<br />

you think is the latest.” But there is some natural progression. My stuff got a little<br />

cleaner, too. Whether that was my own need to change after a while? Seeing other<br />

things getting cleaner probably had some influence but it wasn’t my goal, “Now I<br />

start doing this clean stuff.” It’s not like that. I don’t know, it could be a disservice<br />

to follow trends too closely. But there is also this chance of falling behind. Graphic<br />

design is a very hard profession in that most professions, the longer you do them,<br />

the easier they become. And with graphic design, if you have any real integrity,<br />

the longer you do them, the harder it becomes. The harder becomes not to repeat<br />

yourself, to keep growing as an artist.<br />

J.S.: I got the impression that type plays a slightly lesser role in your current work than<br />

it did in the early ‘90s.<br />

D.C.: Accurate observation. Again, it was not a conscious decision but a natural<br />

progression. First there were just photographs, very little type, and later on I was<br />

most happy with no type on it, like on the Nine Inch Nails stuff. That was a whole<br />

new challenge without relying on type to carry the message. The recent work is little<br />

more about the imagery, the combination of different elements and not so much<br />

about the type anymore. It’s still a big part of, say the Quicksilver work, but not<br />

quite like the early Raygun. Of the logos we did [on this workshop] I criticized the<br />

ones that were based on some of the cool designer fonts we’ve seen a lot in the last<br />

few years. That’s something I’d definitely stay away from. In the McLuhan book it<br />

129


130<br />

s largely one basic typeface. It’s more about the positioning, the way the senses are<br />

broken up. I think people might be a little surprised. It’s a four hundred-page book<br />

consisting of quotes and it’s ninety percent one very basic typeface. That kind of type<br />

becomes a real challenge, in a sense, but I was more interested in the image. It’s a<br />

natural progression, not like, “Wish I could make this more expressive and use these<br />

weird fonts.”<br />

J.S.: How would you then define very good typography?<br />

D.C.: Very good typography sends the message before somebody reads it. It reinforces,<br />

in a sense, the message they later find out they’re reading. In America there is this<br />

saying: “ You can’t judge the book by its cover,” and I disagree with that. If the<br />

designer has done his job, you should be able to judge a book by its cover. Good<br />

book designer in New York do read the whole book and then they do the cover and<br />

that’s why they are the best designers. Good typography reinforces the message of<br />

what’s to follow or what is actually said. You have to ask like, “Is it appropriate for the<br />

subject matter?” “Is it reinforcing?” “Is it promising?” There are a lot of factors.<br />

J.S.: It seems like you evolved with the Nine Inch Nails project. Were you influenced<br />

by their music or did it only accelerate an existing process of change?<br />

D.C.: I can’t work without music; it’s a big part of that process. Nine Inch Nails, I<br />

wasn’t a big fan of their music, I didn’t have any of their CDs. But I immersed in their<br />

music and lyrics and came back with some imagery that I felt was consistent with<br />

what I’ve heard. So the Fragile CD is all my photographs throughout the booklet. That<br />

came at a time when I was more interested in imagery and photography than type.<br />

It worked out well with Trent Raznor and if you look at other Nine Inch Nails stuff,<br />

type is of pretty low priority but it’s the imagery that is important. That came along at<br />

right time in my evolution.<br />

J.S.: But you also helped to redefine their image, from “goth” to “chic”.<br />

D.C.: When I got their call I hoped I wouldn’t be forced to this dirty, black, brownish,<br />

weird, sinister looking kind of thing. And I wasn’ t at all. If you open this Fragile CD,


it’s like splashing color, there’s orange \’85 On my part, I think he was opened<br />

to it, it was a purposeful move to ‘We can’t smell another blurry, brown, sinister<br />

looking think.’We feel back a little bit with the newer DVDs. There’s a lot of different<br />

versions but one of them is just a blurry, brown, weird thing as a cover. But than aga<br />

in we did it right after 9/11 and for some reasons gray became appropriate. That<br />

was a great project and I was really involved. It was really satisfying on a couple of<br />

different levels. After all that I got an email from Trent Raznor saying how much he<br />

loved the results, the creative process, working together. Then the first email I got<br />

once the album was out was from a die-hard fan. He hated everything about it. I<br />

thought of giving some response but then I changed my thought. I tried to interpret<br />

his music which is very personal to him. He’s a very intellectual, intelligent guy. I<br />

made observations. Number one, he’s really happy, he likes my interpretation of his<br />

music. Number two, as a designer; I’m very happy and proud to show it. And there<br />

really is no number three at that point. If I can make the artist happy, I’m happy, end<br />

of discussion.<br />

J.S.: Your recent work in advertising, for example the Quicksilver campaign, could<br />

be describes as beautiful compared to your earlier work, especially in terms of color<br />

harmony.<br />

D.C.: I’m not aware of it. It’s what interests me and what seems to make sense at<br />

the time. I would not give to a new advertising client some early look from Raygun,<br />

it’s totally out of line. Even if it was a rock band, it just evolved and changed. The<br />

Quicksilver ads really are subtle, but the surprising thing with this is that the surf<br />

market is surprisingly conservative. You know, they want to see pictures of their<br />

sport. So with that restriction, there was a real battle to get them agree to cropping.<br />

That’s a good example. There are some ads that are a little bit more experimental<br />

with the type, but the big challenge for me became the cropping, severe cropping.<br />

The first year was very extreme and I still had to put it in the little complete photo<br />

to sell but then again it’s a real client. That was my natural evolution. It would<br />

be crazy to introduce a whole new Quicksilver campaign with distressed type like<br />

some of them still do. We cropped things in ways the people had never seen before,<br />

at least w ith surf pictures, and we cropped the logo off. And then in couple months,<br />

we started seeing the other companies doing the same thing, croppings they’d had<br />

131


132<br />

never considered. I think that’s a pretty good example, you still have to have an edge.<br />

The advert has become subtler, maybe, so it’s not enough to show a perfect surf shot,<br />

full frame, with a logo, like many companies have done many decades. And many<br />

would be happy not to argue about these basics. I feel it’s not enough. The challenge<br />

becomes when you ask “How can I do some of these severe croppings and still sell<br />

it?” Very early, some fifteen years ago, I did this surf magazine that had no budget. I<br />

was sent photos that were just crap, really bad photos. So I was forced early to start<br />

looking for interesting details and crop them out.<br />

J.S.: Where does this fascination designers have with Marshal McLuhan come from?<br />

Already in the 1960s the designer Quentin Fiore published a book of quotes entitled<br />

“The Medium is the Massage” .<br />

D.C.: I’m not positive because I’ve never studied him and didn’t take design courses.<br />

So much of his talking has to do with media, effectiveness of advertising, the imagery<br />

that we see and that influences us. He’s required reading at some of the better design<br />

schools. He’d been on various talk shows, various evening news. I think that the fact<br />

that he is intelligent, articulate, the first one who started analyzing what the effects<br />

are of showing all these images to all these people, causes the on-going interest.<br />

Now, that so much of what he predicted is funnily coming true - although he died<br />

some ten years before the internet - the younger generation doesn’t know much of<br />

Marshall McLuhan. Some of the reasoning behind doing this book now is to help to<br />

re introduce him to a new generation. I mean his books, if you ever tried reading<br />

through them, are pretty heavy stuff, pretty hard to get through. So now this book of<br />

quotes of his, presented in an interesting graphic manner, will hopefully make him<br />

more ac cessible and look interesting. I thinks it’s going to be interesting to see how<br />

those schools that don’t like my work yet require McLuhan reading will feel with the<br />

book.<br />

J.S.: How do you approach young designers at your workshops?<br />

D.C.: I’ve heard so many nice comments this week. People were attending without<br />

knowing what’s going on or what to expect. I tried to teach them to listen to their<br />

intuition, because you got to open up, to experiment, to forget about some of the


igid rules. It’s a general kind of approach like that, no specifics, like I’ve never taught<br />

how to put type over type and make it hard to read. So, here are the results, I couldn’t<br />

be more pleased. I got some big comments. People said: “Gee, we spent four years<br />

learning all these rules and it’s so good, we haven’t be thinking like this for so long.”<br />

We did some stuff that was probably influenced by my sociology background, where<br />

they had to say who they are like a person, or what’s going on in their life right know,<br />

in colors. And combine everything and say: “Show us what you’re gonna be ten years<br />

from now.” The projects themselves are kind of personal and subjective. I think for<br />

a lot of them it’s a pretty high opener. Some of the reasons this was one of the most<br />

successful workshops is that I didn’t do the work, I just provided the environment<br />

for this to happen and I’m very happy with that. I saw yesterday someone stacking<br />

all the papers off the floor and I yelled at him, “What are you doing?” and he asked,<br />

“Weren’t we supposed to clean up now?” I think it’s only a plus that I don’t have any<br />

formal training. I was horrified when I saw one or two Macs here. I had to stress that<br />

this are design workshops, and not computer workshops. I think a lot of fine art is<br />

design, and a design is fine art, vice-versa. I don’t make this kind of distinction. Call<br />

it it’s freeing up, and I hope they’ll carry some of that back when they return to their<br />

real jobs. I gave this definition of a great job last night: “If money wasn’t an issue,<br />

would you do the same kind of work?” That’s why we got so much great stuff here.<br />

People weren’t paid, you know. I wasn’t paid.<br />

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134<br />

Concludo questa tesi con una mia traduzione delle bellissime parole scritte da Jessica<br />

Helfand nella sua lettera a Fiona in seguito alla lettura della prima edizione di The<br />

End of Print.<br />

21 Marzo 2000<br />

(con le dovute scuse a Fay Weldon, Jane Austen, e David Carson)<br />

Cara Fiona:<br />

tra poche settimane compierai due anni e penso che tu sia pronta per imparare una<br />

o due cose sul graphic design. Dopo tutto, tu fai parte della generazione delle ABC,<br />

e cosa sarebbe ABC se non tipografia?<br />

E cos’è la tipografia, mi chiedi?<br />

Buona domanda.<br />

Tipografia sono le lettere (e i numeri) e il perchè del loro aspetto.<br />

A volte le lettere sono GRANDI E FORTI a volte sono piccole e silenziose. La tipografia<br />

può rendere belle le lettere. E può anche renderle brutte.<br />

Ma il loro aspetto – se sono rosa o viola, grandi o piccole, silenziose o rumorose,<br />

allegre o spaventose, divertenti o strane, beh sono tutte cose che vengono dalla<br />

tipografia.<br />

Che è anche chiamata carattere.<br />

Che a volte è chiamata stampa.<br />

Che è una parola che occasionalmente fa storcere il naso a qualcuno e descrive un<br />

tempo in cui si usava stare in pantofole e sedere ricurvi vicino alla luce della candela,<br />

graffiando vivacemente un messaggio scritto per un amico o un parente usando una<br />

penna d’oca. Accadeva davvero, tanto tempo fa. Come quando c’erano le mummie<br />

e i dinosauri. Come prima della televisione. Come quando Papà era bambino.<br />

Stampa è quello che fai quando scrivi le lettere una per volta, come in un esame,


che è quando scrivi le lettere in-modo-tale-che-si-collegano-tra-di-loro-comeadesso.<br />

Stampa è anche usato per descrivere cosa accade quando le macchine<br />

(dette “stampanti”) prendono tutte queste parole, tutta questa tipografia e stampano<br />

le lettere tutte insieme sulla carta.<br />

Carta è la parola che occasionalmente fa storcere il naso a qualcuno e descrive<br />

un tempo in cui si usava stare in pantofole e sedere ricurvi vicino alla luce della<br />

candela,<br />

graffiando vivacemente un messaggio scritto per un amico o un parente usando<br />

una penna d’oca. Accadeva davvero, tanto tempo fa. Come quando c’erano i word<br />

processors a 8 tracce. Prima dei computer. Come quando Mamma era piccola.<br />

Adesso qui viene la parte più confusa. Molte persone dicono che la stampa sia<br />

morta.<br />

E’ a terra e non si muove.<br />

Morta come quando mentre stiamo guidando vediamo sulla strada un coniglio o uno<br />

scoiattolo che non sono riusciti ad attraversare in tempo.<br />

L’intero concetto dell’investimento stradale è qualcosa che non avrei voluto citare<br />

per i primi anni, ma penso che sia un esempio importante per fare chiarezza su una<br />

cosa.<br />

La stampa non è morta. Assolutamente. Sta solo dormendo.<br />

Quindi quando cominci a imparare il tuo ABC, ricorda che la tua mente è come<br />

un grande orologio, che suonando l’allarme sveglia queste lettere in modo tale che<br />

dicono qualcosa, che significano qualcosa, che siano esse in TV, o scritte su un libro,<br />

o graffiate da qualche parte su un muro di un posto qualsiasi.<br />

E quando sarai lì, ricorda che S non è come 5 e L non è come 1.<br />

Ricorda che 1 Lov3 U non è la stessa cosa di I LOVE YOU, anche se va di moda.<br />

Ricorda che quando una cosa è alla moda probabilmente non lo sarà per molto<br />

tempo. Ricorda che molto tempo significa, a volte, qualcosa come un giorno-emezzo.<br />

Ricorda che le immagini possono gridare più forte delle parole, ma le parole<br />

fanno capire tutto. Ricorda che a volte la tipografia può aiutarti a capire qualcosa o<br />

a reagire a qualcosa, ti farà capire rapidamente (ma forse non ti aiuterà a risolverli)<br />

i conflitti amari tra le nazioni o ti aiuterà a ragionare e proteggerti dalle punture<br />

delle api, dei serpenti e delle galline. Ricorda che gli errori grammaticali celebrati<br />

135


136<br />

nelle email non sono tollerati in letteratura. Ricorda che la letteratura è fatta di storie<br />

che sono come sono perchè qualcuno le ha scritte, lettera per lettera, parola dopo<br />

parola, prevedendo per loro di essere lette, ricordate e raccontate per anni e anni e<br />

anni a venire. Ricorda che c’è un perchè se tuo padre e io vogliamo che tu impari<br />

le tue ABC, nell’ordine in cui si prevede che siano imparate, anche se tu puoi, e lo<br />

farai, mescolare le calamite sul frigo per comporre parole quali hrldgsno e bkvcpf e<br />

pst3684bcdjk.<br />

Un giorno quando leggerai il lavoro di Gertrude Stein o guarderai i lavori di David<br />

Carson, darai un senso a certe aberrazioni verbali, visive e percettive, ma prima di<br />

allora, mia piccola, ricorda che le tue ABC sono quelle che ti aiuteranno a leggere, e<br />

leggere è ciò che ti fa spalancare la mente, così puoi imparare tutto quello che vuoi.<br />

Tartarughe. Comunismo. Particelle fisiche.<br />

Leggere nutre il tuo cervello e aiuta la tua mente a crescere.<br />

Così la Goodnight’s Moon di oggi è la Charlotte’s Web di domani e l’Elmer and the<br />

Dragon del prossimo anno.<br />

E prima che tu li conosca leggerai Thomas Hardy e Thomas Mann e A.S. Byatt e V.S.<br />

Naipaul, proprio come hanno fatto i tuoi genitori, e con tutti gli auguri i tuoi figli<br />

faranno. E anche se noi li abbiamo letti stampati sulla carta e tu molto probabilmente<br />

li leggerai impressi su uno schermo, sai una cosa Fiona?<br />

Non importa, perchè non importa cosa fa la tipografia (o non fa), e non importa cosa<br />

è (o non è) la stampa, le parole sono solo idee scritte per essere lette. E la lettura non<br />

morirà mai. La lettura è il tuo biglietto per il mondo.


David Carson, note biografi che.<br />

David Carson è nato nel Texas, tra i suoi principali interessi in età giovanile è senza dubbio il windsurf; nel 1977 consegue la laurea<br />

in Sociologia alla San Diego State University. Comincia la sua carriera di insegnante nel 1979 ricoprendo tutte le materie alla Real<br />

Life Private School, nell’Oregon; nel 1980 frequenta un workshop di due settimane in graphic design alla University of Arizona, dopo<br />

del quale torna alla San Diego State University e frequenta il corso di graphic design per un mese, si trasferisce dunque all’ Oregon<br />

College of Commercial Art. Dal 1982 al 1987 insegna sociologia al Torrey Pines High School, a Del mar in California. Nel 1983<br />

frequenta un altro workshop di grafica a Rapperswil in Svizzera e tra gli insegnanti c’è anche Hans-Rudolph Lutz, maestro che lo ha<br />

influenzato particolarmente. Dal 1983 fino agli anni 90 è stato art director e designer delle riviste Transworld Skateboarding, Musician,<br />

Beach Culture, Surfer e Ray Gun. Dal 1992 a oggi ha portato avanti moltissimi progetti nel campo del graphic design, tra i suoi clienti<br />

la Coca Cola company, Nike, Fox Television, Pepsi, PackardBell, American Airlines, MGM Studios, Kodak, Ray Ban, British Airways,<br />

Cuervo Gold, American Express, Nothing Records (con la copertina dei Nine Inch Nails, The Fragile) e altri.<br />

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I caratteri utilizzati in questa tesi sono:<br />

Santana Black Condensed<br />

ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWYXZ<br />

abcdefghijklmnopqrstuvwyxz<br />

1234567890(?.,£&)<br />

Freeway di David Carson<br />

ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWYXZ<br />

abcdefghijklmnopqrstuvwyxz<br />

1234567890(?.,£&)<br />

Optima Nova Italic<br />

ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWYXZ<br />

abcdefghijklmnopqrstuvwyxz<br />

1234567890(?.,£&)<br />

Optima di Hermann Zapf<br />

ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWYXZ<br />

abcdefghijklmnopqrstuvwyxz<br />

1234567890(?.,£&)


Bibliografi a<br />

20 th Century Type Caratteri e tipografia del XX secolo<br />

Lewis Blackwell, Zanichelli, 2000.<br />

Dizionario del grafico<br />

Giorgio Fioravanti<br />

Zanichelli, 1997.<br />

The Beauty of Life: William Morris & the Art of Design<br />

Diane Waggoner<br />

Thames & Hudson, 2003.<br />

Will Bradley: His Graphic Art<br />

Dover Publication, 1999.<br />

La galassia Gutenberg : nascita dell’uomo tipografico<br />

Marshall McLuhan<br />

Edizioni Armando, 1991.<br />

Gli strumenti del comunicare<br />

Marshall McLuhan<br />

Garzanti, 1986.<br />

Guerra e pace nel villaggio globale<br />

Marshall McLuhan e Quentin Fiore<br />

Apogeo, 1995.<br />

The End of Print: The Grafik Design of David Carson Revised Edition.<br />

David Carson & Lewis Blackwell<br />

Laurence & King Publishing, 2000.<br />

2nd Sight: Grafik Design After the End of Print<br />

David Carson & Lewis Blackwell<br />

Universe Publishing, 1997.<br />

151


152<br />

Trek: David Carson – Recent Werk<br />

David Carson<br />

Gingko Press, 2000.<br />

Tracks, Esperienze di Grafica Progettata.<br />

Carlo Branzaglia<br />

Integrata Editrice, 2003.<br />

Fare il giornale oggi. Da Gutenberg alla stampa elettronica.<br />

Antonio Arricale<br />

Spring Edizioni, 2000.<br />

Tipografia Digitale. Evoluzione Tecnica dei caratteri.<br />

Marvin Bryan<br />

McGraw-Hill Libri Italia, 1998.<br />

Gli elementi dello stile tipografico<br />

Robert Bringhurst<br />

Edizioni Sylvestre Bonnard, 2001.<br />

Storia del Design Grafico<br />

Daniele Baroni e Maurizio Vitta<br />

Longanesi, 2006.<br />

Design Directory Great Britain<br />

Penny Sparke<br />

Pavilion Books Limited, 2001.<br />

Hermann Zapf ,<br />

Dalla calligrafia alla fotocomposizione,<br />

Ed. Valdonega, Verona1991.<br />

Pink Floyd.Visioni<br />

Storm Thorgerson - Peter Curzon<br />

Arcana 2002.<br />

Almanacco Psichedelico<br />

Matteo Guarnaccia<br />

Nautilus ,Torino, 1996.


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Videografi a<br />

Helvetica di Gary Hustwit, 2007.<br />

You Tube:<br />

Typolution<br />

Tenacious D - Inward Singing Typography Experiment<br />

The Hush Sound - The Lions Roar<br />

TYPO Party Design Visuals - Handlettering<br />

David Carson - The End Of Print<br />

David Carson - 2nd Sight 2<br />

e video correlati.<br />

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