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Opera Prima<br />

<strong>Renato</strong> <strong>Spina</strong><br />

Romanzo


Ciao Boss


O Principi, che a lunghe carovane<br />

d’ogni parte del mondo<br />

qui venite a tentar l’inutile sorte,<br />

io vendico quel grido e quella morte!<br />

No! Mai nessun m’avrà!<br />

Rinasce in me l’orgoglio<br />

di tanta purità!<br />

Straniero! Non tentar la fortuna!<br />

“Gli enigmi sono tre, la morte è una!”<br />

da: Turandot<br />

Opera di Giacomo Puccini<br />

Libretto di Giuseppe Adami e <strong>Renato</strong> Simoni


PROLOGO<br />

Tutto è pronto, ma niente è ancora iniziato.<br />

Tum Tum… Tum Tum… Tum Tum…<br />

Ciò che si trovano di fronte gli intervenuti, è un palcoscenico singolare,<br />

guarnito da una scenografia inesistente, come una torta fatta<br />

in casa da mani sapienti.<br />

E poi…<br />

Il buio della scena è onirico. Non il buio in sé, fortemente tipico<br />

del prologo di ogni opera, ma la totale assenza di impianto di illuminazione.<br />

Eppure nell’insieme, inspiegabilmente, tutto è pervaso da una calda<br />

luce, che sembra il risultato delle inesplicabili attenzioni del più<br />

esperto dei light designer.<br />

Di colpo cala il silenzio, a far braccetto col surreale della luce.<br />

Ed entra lui, il Direttore, omaggiato da un applauso scrosciante,<br />

anch’esso condito da un pizzico di improbabilità.<br />

Il Direttore, chiamato più comunemente e semplicemente “Maestro”,<br />

si accinge a guadagnare il suo podio, con passo leggiadro che<br />

trasuda felicità più di quanto non facciano i suoi occhi, peraltro non<br />

ancora alla portata degli astanti.<br />

Si volta e finalmente rivolge il suo sguardo alla platea.<br />

Adesso sono i suoi occhi a sorridere. Un sorriso che si accende e<br />

per reazione uguale e contraria, si spegne il brusio.<br />

Uno sgabello compare dal nulla; lui lo prende, lo posiziona al centro<br />

del palcoscenico e si siede.<br />

Silenzio.<br />

Si guarda intorno.<br />

Volta il capo lentamente da sinistra e destra, generando un moto<br />

indotto in tutti i presenti, quasi si assistesse ad un match di tennis.<br />

Ammira il teatro, la sua bellezza, come fosse una parte di lui.<br />

Il rosso domina: i drappi sono rossi, l’acero fiammato dei legni ricorda<br />

un rosso arterioso, gli arazzi sono rossi.<br />

9


Il rosso domina.<br />

Tutto è rosso.<br />

Come i suoi occhi.<br />

Unica eccezione cromatica è il grigio chiaro delle poltrone incastonate<br />

in platea; confondono lo sguardo generando una sensazione<br />

simil-pois. Tutte grigie tranne una, troneggiante al centro, di un rosso<br />

più rosso dei rossi che imperano intorno.<br />

Ogni forma è tondeggiante, al punto da connotare l’insieme come<br />

un organismo pulsante, che palesa un senso di morbidezza e protezione.<br />

La platea è dominata dalla centralità di un unico palco, sospeso<br />

per la sua stessa purezza, elevato dal peso della nobile arte<br />

dell’eterea presenza che lo abita.<br />

Il Maestro rivolge il suo sguardo carico di amore e protezione verso<br />

quell’aura.<br />

«Il momento è finalmente arrivato» dice rivolgendosi a quel corpo<br />

luminescente, senza aprire bocca, senza emettere alcun suono.<br />

Poi il Maestro incrocia i suoi occhi con quelli del pubblico, per un<br />

incontro annunciato con chi, ben sapeva, sarebbe stato presente senza<br />

tema alcuno di smentita.<br />

I contorni delle figure che siedono comode in platea nei posti già<br />

occupati, non sono ben definiti; sono circondati da una luce che abbaglia<br />

i fuggevoli sguardi rivolti con la coda degli occhi.<br />

Il Maestro è sereno, sorridente, pervaso da una tranquillità e da<br />

una sicurezza che solo quell’evento speciale può donargli.<br />

Un evento atteso per oltre ottant’anni.<br />

Un caloroso grazie mai pronunciato, che non necessita di essere<br />

proferito, arriva alle orecchie di ascoltatori che non hanno bisogno di<br />

sentire le frequenze di un suono per avvertirne il calore.<br />

Sono le vibrazioni ad essere protagoniste.<br />

È tutto perfetto, è tutto compiuto, nel trionfo di un ossimoro dove<br />

tutto ciò che deve accadere non è ancora accaduto.<br />

Ci sono tutti… o quasi.<br />

10


L’unica poltrona rossa al centro della platea e le tre grigie, poste<br />

a corollario attorno alla sua verità, non sono occupate.<br />

Quattro poltrone da occupare.<br />

Quattro corpi da prendere.<br />

Quattro anime da liberare.<br />

Una sola verità da riscrivere.<br />

Ma il Maestro lo sa e sa che è la ragione per cui è lì.<br />

Il dolcissimo suono del silenzio è interrotto da una labile voce che<br />

proviene dalla platea e che riporta l’ensemble ad una vaga forma di<br />

pseudo realtà.<br />

«Maestro, dicci perché siamo qui.»<br />

Tra il Maestro e il suo pubblico la simbiosi è totale; tante placente,<br />

dalle quali si diramano altrettanti cordoni ombelicali, visibili solo con<br />

gli occhi dell’anima, che si congiungono all’unico luminoso feto sul<br />

palco sospeso. E quel feto è protetto da un liquido amniotico, la cui<br />

composizione chimica si basa su tre soli elementi: devozione, rispetto<br />

e ammirazione.<br />

«Finalmente l’ora dell’Evento è arrivata. L’Evento che ristabilirà<br />

l’ordine naturale delle cose, che restituirà giustizia e dignità alla musica.<br />

Siete qui per assistere a OPERA PRIMA.»<br />

«Cos’è OPERA PRIMA, Maestro?»<br />

«OPERA PRIMA è il confine tra l’Arte e la mediocrità; è la demarcazione<br />

tra il talento e l’effimera parvenza di successo atta solo a<br />

gratificare l’ego; è l’innesco del processo di osmosi che riporterà i<br />

riconoscimenti e la gloria lì dove l’arte vive. OPERA PRIMA è l’anno<br />

zero della modernità artistica, che affonda le radici in un passato rubato<br />

al sublime e si alimenta di un futuro che ci restituirà ciò che ci<br />

appartiene, prima per capacità e di conseguenza per diritto. OPERA<br />

PRIMA è l’inno alla musica che nasce a nuova vita.»<br />

Il pubblico si guarda intorno, come a voler cercare una risposta<br />

per le quattro poltrone non ancora occupate.<br />

«Ma stiamo aspettando qualcuno?»<br />

11


«Quella poltrona rossa sarà occupata da colui che è l’esempio di<br />

ciò che appare ma non è; colui che incarna la sintesi perfetta dell’arte<br />

a servizio dell’effimero successo, appannaggio dell’ignoranza del<br />

modello sociale che il mondo subisce. È un parassita del talento e<br />

dell’arte. Parassita che ha succhiato la talentuosa linfa che scorre<br />

nelle mie vene e in quelle di colui che abita nel palco sopra le vostre<br />

teste e che incarna la nobile arte.»<br />

«E le tre poltrone grigie?»<br />

«Sono riservate a coloro che hanno contribuito al suo scempio,<br />

dimostrando di non saper discernere il bene dal male.»<br />

La curiosità serpeggia, il pubblico vuole un nome, vuole sapere.<br />

«Chi è lui?»<br />

«Si fa chiamare Johnny. È un burattino i cui fili sono mossi da un<br />

abile burattinaio che ha più di un nome: ignoranza, convenzione, aridità,<br />

totale mancanza di talento. È il principale responsabile di ciò<br />

che è accaduto. Il processo di purificazione sarà importante, talmente<br />

importante da far sì che possano essere espiate le sue colpe e quelle<br />

di chi l’ha preceduto.»<br />

E dal quel pubblico silente e impaziente, preso dall’ansia da spettacolo,<br />

si leva un’ultima e ovvia domanda.<br />

«Ma quando arriveranno? E quando avrà inizio OPERA PRIMA?»<br />

I suoi occhi sono del colore del sangue.<br />

La sua voce sgorga dal cuore.<br />

«Sta per accadere qualcosa che colmerà la misura, qualcosa che<br />

non consentirà di attendere oltre. Quando accadrà, quello sarà il<br />

momento. Ed essi riceveranno una busta rossa che conterrà il presagio<br />

del loro destino. Io prenderò i loro corpi e libererò le loro anime,<br />

per portarle nel luogo dove l’arte rinascerà a nuova vita.»<br />

«Per portarle qui, nel mio cuore.»<br />

«Perché questo teatro è il mio cuore.»<br />

TUM TUM… TUM TUM… TUM TUM…<br />

12


01<br />

Macerata<br />

Arena Sferisterio<br />

27 luglio 2008<br />

Turandot, la meravigliosa incompiuta di Giacomo Puccini, venne rappresentata<br />

per la prima volta alla Scala di Milano il 25 aprile 1926. L’Opera fu<br />

composta al termine della parabola creativa del suo autore il quale, per la<br />

prima volta, si cimentò in un soggetto fiabesco d'impronta fantastica. Non<br />

era mai accaduto, se si eccettua la scena finale della sua prima opera: Le Villi.


Ore 22:03<br />

Signore e Signori, buonasera.<br />

Ladies and Gentlemen, good evening.<br />

Mesdames et Messieurs, bon soirée.<br />

Tra poco andrà in scena: Turandot, Opera in tre atti e cinque quadri<br />

di Giacomo Puccini. Libretto di Giuseppe Adami e <strong>Renato</strong> Simoni.<br />

Direzione d’Orchestra: Alessandro Malerba<br />

Scenografia:Sandra Pari<br />

Light Designer: Sandra Pari<br />

Regia: Franco Giustiniani<br />

Si prega di spegnere i telefoni cellulari.<br />

Signore e Signori, buon divertimento.<br />

Ladies and Gentlemen, enjoy the performance.<br />

Mesdames et Messieurs, bon amusement.<br />

L’Arena Sferisterio, suggestivo teatro all’aperto dell’inizio del XIX<br />

secolo, era gremito in ogni ordine di posti: circa 7.000 gli spettatori<br />

presenti.<br />

Il Presidente della Repubblica Italiana sedeva nel palco d’onore,<br />

accompagnato dalla sua signora e dall’Ambasciatore degli Stati Uniti.<br />

15


Il primo settore era costellato da volti noti, soprattutto ai più avvezzi<br />

alle cronache mondane. Uno spettacolo nello spettacolo per chi,<br />

nei minuti che precedevano la performance, amava spaziare con gli<br />

occhi e con il verbo, ammirando, criticando o più semplicemente facendo<br />

gossip.<br />

Un vero evento mondano, alla pari delle più importanti prime che<br />

aprivano le stagioni alla Scala di Milano o all’Opera di Parigi, al quale<br />

nessuno del jet-set avrebbe voluto mancare.<br />

Ma la sfrenata mondanità sarebbe stata soltanto di contorno. E il<br />

pubblico, anche nella sua parte meno erudita, lo sapeva, lo percepiva.<br />

Quella sera c’erano i presupposti affinché lo spettacolo prevalicasse<br />

ogni forma di pettegolezzo mediatico che potesse coinvolgere l’una<br />

o l’altra starlette. I racconti dei TG del giorno dopo si sarebbero dedicati<br />

alla componente artistica, piuttosto che al look del personaggio di<br />

grido.<br />

Per buona pace di alcuni e delusione di altri.<br />

La curiosità tra il pubblico era comunque palpabile.<br />

Per diverse ragioni.<br />

Per il Direttore d’Orchestra: Alessandro Malerba. Uno di quei talenti<br />

cristallini che riuscivano puntualmente a compiere l’impresa di<br />

mettere d’accordo sia il pubblico sia la critica. Alessandro Malerba era<br />

riuscito negli anni, grazie al suo talento, al carisma, al fascino e non<br />

ultima alla sua arte, a compiere un’azione di democratizzazione culturale<br />

nei confronti dell’Opera. Aveva avvicinato ai capolavori di Puccini,<br />

Verdi, Rossini, Bizet, sia i giovani sia quella parte più matura di<br />

pubblico dai gusti musicali in apparenza distanti. Aveva compiuto il<br />

miracolo mediatico, già in precedenza riuscito ad altri personaggi<br />

d’arte e uomini di sport, di attrarre un proprio pubblico per la capacità<br />

comunicativa, prima ancora che per l’arte o la disciplina sportiva a cui<br />

si dedicavano.<br />

Due anni prima, un noto critico musicale del Corriere della Sera affermò:<br />

“se Malerba si fosse dedicato all’hockey su ghiaccio anziché<br />

16


alla musica, quel gioco su pattini sarebbe diventato lo sport nazionale!”.<br />

Negli ultimi sei anni aveva pubblicato quattro CD che avevano scalato<br />

le vette delle classifiche in tutti i paesi in cui erano stati distribuiti,<br />

guadagnando consensi da un pubblico sempre più eterogeneo.<br />

L’innato talento musicale per qualcuno era insito nel suo DNA, data<br />

la discendenza da Arturo Toscanini, uno dei più grandi direttori della<br />

sua epoca e uno dei più acclamati musicisti tra il diciannovesimo ed<br />

il ventesimo secolo. Arturo Toscanini, rinomato per la sua brillante<br />

intensità e l'instancabile perfezionismo, era considerato uno dei più<br />

autorevoli interpreti delle composizioni di Verdi, Beethoven, Brahms<br />

e Wagner. Come direttore musicale della NBC Symphony Orchestra,<br />

divenne una celebrità internazionale, grazie alle trasmissioni radiofoniche<br />

e televisive dei suoi concerti.<br />

Alessandro aveva ereditato dal suo avo di parte materna tutte le<br />

qualità che l’avevano reso celebre; ed a queste aveva aggiunto una capacità<br />

di esplorazione e contaminazione musicale che avevano trasformato<br />

le sue composizioni in delle vere e proprie hits, alla pari dei<br />

più grandi fenomeni pop e rock.<br />

Come suggello alla sua popolarità, tre anni prima, aveva conquistato<br />

una stella nella Hollywood Walk of Fame, la famosa strada di Hollywood<br />

dove sono incastonate oltre 2000 stelle a cinque punte che recano<br />

i nomi di celebrità onorate per il loro contributo allo star system.<br />

Quel riconoscimento lo aveva accomunato ad altri mostri sacri dello<br />

spettacolo italiano, che già avevano ricevuto l’ambito premio: Sophia<br />

Loren, Anna Magnani, Rodolfo Valentino, Enrico Caruso, Bernardo<br />

Bertolucci, Renata Tebaldi, Andrea Bocelli e il suo avo, Arturo Toscanini.<br />

Per quella sera era annunciata un’ulteriore dimostrazione del talento<br />

di Malerba, motivo di piacevole ansietà del pubblico presente. Da lì<br />

a pochi minuti, avrebbe diretto la Turandot di Giacomo Puccini, opera<br />

incompiuta per via della prematura morte dell’autore.<br />

17


Oltre a lasciare un incolmabile vuoto, Puccini lasciò Turandot senza<br />

un finale, la cui composizione, su pressione proprio di Arturo Toscanini<br />

e di Tonio, il figlio di Giacomo, fu affidata a Franco Alfano,<br />

esuberante artista napoletano che visse tra l’800 e il 900.<br />

In alternativa al finale scritto da Alfano, in oltre ottant’anni di musica,<br />

non si erano contati altri tentativi di successo.<br />

Nessuno osava cimentarsi con il genio di Giacomo Puccini.<br />

Ma per quella speciale serata, Alessandro Malerba aveva composto<br />

un nuovo finale della Turandot. Una grande Prima che aveva destato<br />

la massima curiosità, soprattutto nella fazione più conservatrice della<br />

critica che aveva tacciato il Malerba di spregiudicatezza. La sua volontà<br />

di rimaneggiare una pietra miliare dell’Opera era stata etichettata<br />

dai tradizionalisti come arrogante, presuntuosa.<br />

E i censori erano tutti lì, con le armi affilate, pronti ad affondare il<br />

colpo.<br />

Alessandro non si era mai curato dell’atteggiamento ostile di quella<br />

parte della critica. Ma quella sera, consapevole dell’importanza della<br />

sfida e dei rischi connessi all’innovazione che portava in grembo, sentiva<br />

un leggera ma crescente ansia che montava dentro di sé.<br />

Forse, per la prima volta, era preoccupato.<br />

Ma Alessandro… o meglio… Johnny, come tutti lo chiamavano<br />

per via del vezzo di tenere spesso in bocca la bacchetta di direzione<br />

come fosse uno stecchino, evocando così il protagonista del celebre<br />

film di Benigni, si sbagliava!<br />

Ciò che a breve l’avrebbe letteralmente terrorizzato, non sarebbero<br />

stati di certo i critici.<br />

***<br />

Ore 22.08<br />

Lo spettacolo era in procinto d’iniziare! Lo speaker aveva terminato<br />

l’annuncio, la campanella aveva già suonato tre volte.<br />

Ogni frenetica attività venne magicamente interrotta.<br />

18


Ognuno si ricompose, opportuna premessa di una giusta accoglienza<br />

per chi sarebbe entrato in scena.<br />

Tutto era pronto.<br />

Silenzio.<br />

Il minuto che separava il triplice suono dall’omaggio d’ingresso al<br />

Direttore, era il momento del distacco. Il pubblico si apprestava a licenziare<br />

il vero e ad aprire il cuore, per accogliervi la speranza che<br />

l’arte potesse rinnovare il miracolo del viaggio dalla realtà al sogno.<br />

Un minuto.<br />

Sufficiente per prepararsi alle emozioni.<br />

Un minuto.<br />

Necessario per spaziare con gli occhi, disorientati dalla promessa<br />

di luce e colore che la momentanea oscurità portava in sé.<br />

“Il successo è un sottile gioco di equilibri tra aspettativa e coinvolgimento,<br />

sapientemente dosati. Ogni consumato uomo di spettacolo lo<br />

sa.“<br />

Sacrosanta verità per lo spettatore attento, in attesa del coinvolgimento<br />

e alla ricerca dei perché della sua personale aspettativa.<br />

E quella serata era benevola di perché.<br />

L’orario: ventidue e dieci. Per certo, non convenzionale. I maligni<br />

l’attribuivano ai vezzi di Malerba ed alla sua rinomata capacità di<br />

conquistare le copertine dei rotocalchi, anche attraverso quel genere di<br />

eccentricità.<br />

L’aspettativa.<br />

L’impianto d’illuminazione: inesistente. Nessuna “americana” sul<br />

palcoscenico, nessun sagomatore. Nulla. Solo tre strani attrezzi simili<br />

a cannoni posizionati nell’ultimo ordine di palchi, due grandi prismi<br />

triangolari sospesi, due specchi tondi alle estremità della scena.<br />

L’aspettativa.<br />

Ma la vetta di quell’apparente anticonformismo artistico si era raggiunta<br />

con la scelta dello Sferisterio di Macerata. Un teatro all’aperto<br />

dall’acustica perfetta, forse unico nel suo genere. Ma di certo non alla<br />

pari del prestigio dei più rinomati teatri italiani. Una location non di<br />

19


grido, per un evento musicale che qualcuno aveva etichettato come il<br />

più importante dell’anno. Qualcun altro del decennio.<br />

La stampa era stata unanime nel criticare la scelta. Ma Alessandro<br />

Malerba, consumato uomo di spettacolo, appunto, aveva rincarato la<br />

dose.<br />

«… alle 22.10 di questa sera capirete il perché della scelta dello<br />

Sferisterio. Assisterete ad uno spettacolo che attraverserà le epoche,<br />

uno spettacolo senza tempo, che potrà andare in scena solo lì, in quel<br />

giorno e a quell’ora…»<br />

L’aspettativa.<br />

Coloro tra i presenti che avevano la lungimiranza di non emettere<br />

sentenze ex-ante, pur non conoscendo il significato recondito<br />

dell’affermazione di Malerba, non potevano non notare che in quel teatro<br />

c’era un’atmosfera magica.<br />

L’Arena Sferisterio, una delle opere più significative del tardo Neoclassicismo<br />

europeo, quella sera si manifestava in tutto il suo splendore.<br />

Lo Sferisterio, un teatro all’aperto dall’acustica sublime e dagli<br />

spazi imponenti, con i due ordini di palchi e le relative sezioni terminali,<br />

disposte come fossero due lunghi arti materni, si apprestava ad<br />

accogliere in un caloroso abbraccio, lui, il protagonista di quella serata:<br />

Alessandro Malerba.<br />

***<br />

Ore 22.09<br />

Alessandro “Johnny” Malerba era in piedi sulla porta del suo camerino.<br />

Riusciva a vedere il palcoscenico ed una parte della platea,<br />

senza che per contro nessuno potesse scorgere lui.<br />

Aveva terminato la sequela di riti scaramantici che puntualmente<br />

contribuivano alla migliore ricerca della concentrazione: alcune posizioni<br />

yoga, la pulizia del quadrante del suo Patek Philippe e la lettura<br />

della poesia Itaca di Konstantinos Kavafis.<br />

20


Itaca t’ha donato il bel viaggio.<br />

Senza di lei non ti mettevi in via.<br />

Nulla ha da darti di più.<br />

E se la ritrovi povera, Itaca non t’ha illuso.<br />

Reduce così saggio, così esperto,<br />

avrai capito cosa vuol dire un’Itaca.<br />

Quei versi avevano il potere di restituirgli il senso della vita. Riuscivano<br />

a donargli una tranquillità interiore in grado di rafforzarlo in<br />

prossimità delle prove più ardue.<br />

Johnny vedeva la propria vita come tanti viaggi verso Itaca. Ognuno<br />

di essi rappresentava un’esperienza ed una prova da affrontare<br />

sempre con il massimo dell’entusiasmo. Non era importante la destinazione<br />

e cosa vi avrebbe trovato, ma la gioia e l’impegno con cui affrontava<br />

il viaggio stesso. Ciò lo portava a vivere le sue esperienze<br />

con una passione travolgente. Viveva delle sue esperienze e per le sue<br />

esperienze.<br />

Forse quella era una delle ragioni del fascino che esercitava sulle<br />

donne.<br />

Forse quella era una delle ragioni per cui a 47 anni era single, senza<br />

le ceneri di nessun matrimonio alle spalle!<br />

Johnny non era un uomo particolarmente bello, uno di quelli caricati<br />

a polarità invertita rispetto alle maggior parte delle donne al punto<br />

da esercitare un’incontrollabile attrazione magnetica.<br />

Madre Natura gli aveva riservato una statura decisamente nella<br />

norma, un fisico asciutto ma non muscoloso ed un viso piacevole, intelligente,<br />

ma non da copertina.<br />

Eppure, Johnny ammaliava le donne.<br />

L’assenza di eccellenze fisiche erano compensate da un talento<br />

straordinario; e lui era riuscito a trasformare il talento prima in successo<br />

e poi in potere. Due ingredienti che irrorava con il profumo della<br />

21


passione e metteva in qualunque ricetta della sua esistenza, sfornando<br />

pietanze particolarmente gradite al gentil sesso.<br />

Aveva vissuto tantissime relazioni, tutte giunte al capolinea. Puntualmente<br />

veniva accusato di essere arido, di non sapere amare, di essere<br />

condannato ad un’esistenza solitaria. Erano i sottotitoli di ogni<br />

addio. E in lui nacque quel sospetto, conseguenza di un indizio che<br />

necessita di sole tre prove. E Johnny aveva alle spalle ben più di tre<br />

addii.<br />

Ma la sorte è magnanima.<br />

Talvolta.<br />

Gli fu fatto dono dell’amore, due volte.<br />

Stupore. Emozione. Sorpresa.<br />

Lo stupore di voler dare incondizionatamente senza mai chiedere.<br />

L’emozione di scoprirsi l’altra metà della mela.<br />

La sorpresa di amare di un amore che ha non ha bisogno di porsi<br />

domande, perché non necessita di risposte.<br />

E quel sospetto venne definitivamente cancellato, insieme ai sottotitoli<br />

degli addii.<br />

La vita dà, la vita prende.<br />

La vita insegna.<br />

Johnny era innamorato della vita.<br />

Era follemente innamorato della sua vita e non avrebbe mai accettato<br />

di condividerla con qualcuno che non amava.<br />

L’estro di quel meraviglioso pittore chiamato Destino, l’aveva ritratto<br />

a 47 anni senza amore, senza una donna al suo fianco. Non era<br />

un cruccio, non se ne lamentava. Era consapevole che,<br />

nell’improbabile classifica delle fortune, occupava il secondo posto,<br />

con il non vivere con chi non si ama.<br />

Meglio di lui, solo chi occupava il primo, con il vivere con chi si<br />

ama.<br />

Niente male. E poi, per l’amore e la morte, c’è sempre tempo.<br />

Il suo sguardo sognante, perso tra palcoscenico, platea e pensieri,<br />

fu destato da un bisbiglio.<br />

22


«Ehi… Johnny…»<br />

Sandra Pari, sulla porta del suo camerino, a qualche metro da lui.<br />

Gli rivolgeva un reverente inchino, a mo’ di dama del settecento. Un<br />

gesto, un significato: in bocca al lupo.<br />

Johnny ricambiò e le sorrise.<br />

Sandra era bellissima, anche quella sera. Come sempre del resto.<br />

Lei sì che era stata un suo grande amore.<br />

Si conoscevano da tempo, una conoscenza legata alla professione.<br />

Ma iniziarono a frequentarsi solo dieci anni prima, quando Johnny aveva<br />

37 anni e Sandra ne aveva 26.<br />

In una noiosa festa come tante, popolata da statue di gesso come<br />

sempre, si ritrovarono un po’ alticci, ad ironizzare sui presenti e a domandarsi<br />

perché fossero ancora lì, quando avevano una matta voglia<br />

di divertirsi.<br />

Fuggirono insieme. E non si separarono più. Per i successivi quattro<br />

anni, vissero in simbiosi. Nella vita e nel lavoro.<br />

L’intesa ruppe gli argini dei sentimenti per irrompere anche in ambito<br />

professionale. Il successo li portò a calcare le scene dei più prestigiosi<br />

teatri del mondo. Il binomio Malerba/Pari, lui direttore<br />

d’orchestra, lei scenografa o light designer, era diventato garanzia di<br />

successo. Riuscivano a trasformare in oro tutto ciò che toccavano.<br />

O quasi.<br />

Un unico fallimento: la loro relazione.<br />

Finì sei anni prima. Per Johnny fu un colpo durissimo.<br />

Fu lei a lasciarlo. E come spesso accade, fu un addio senza spiegazioni.<br />

Senza plausibili spiegazioni. Probabilmente perché in amore, il<br />

termine spiegazione, trova posto solo tra forse e ormai, appena prima<br />

di fine.<br />

Sandra arrivava da una breve crisi depressiva, dovuta alla morte di<br />

entrambi i genitori e della sorella, in un incidente stradale. Johnny era<br />

convinto che lei avesse voluto punirsi per ciò che era accaduto; che i<br />

sensi di colpa le avessero vomitato addosso la responsabilità. E che lei<br />

23


si fosse autoimposta il dazio: privarsi di qualcosa di bello, allontanandosi<br />

dall’uomo che amava.<br />

Avevano entrambi evitato di rimestare in quelle rovine, con inutili<br />

ma se tu e però io. E dalle macerie avevano estratto il rapporto professionale<br />

ancora in vita.<br />

Ma Johnny era ancora molto attratto da Sandra che, a 36 anni, aveva<br />

un fisico che sembrava insensibile allo scorrere del tempo.<br />

Il suo corpo era un trionfo d’incantevoli contraddizioni: capelli neri,<br />

di un nero corvino e una pelle bianca, candida come la luna. Occhi<br />

ammalianti dai colori diversi, uno grigio e l’altro verde; vita sottilissima<br />

e seno prosperoso. Le sue mani colpivano per la grazia delle linee<br />

e delle movenze; l’esplicita sensualità della sua andatura attirava<br />

gli sguardi ammirati delle donne e disorientava gli uomini per<br />

l’eccitazione.<br />

A distanza di sei anni, accadeva. Ancora. Bastava un’istantanea<br />

della pelle di Sandra, del suo profumo, del calore dei loro corpi mai<br />

paghi, disinibiti, e Johnny veniva travolto dal desiderio e<br />

dall’inarrestabile ricerca del piacere.<br />

Sandra era stata l’Amore del passato ed era il più grande rammarico<br />

del presente.<br />

E nei giorni a venire, suo malgrado, Johnny avrebbe vestito i panni<br />

dell’ignaro poeta e avrebbe composto per lei versi di sofferenza.<br />

E Sandra sarebbe diventata il suo più grande rimorso, il più angoscioso<br />

dei fardelli che potesse mai gravare sulla sua coscienza.<br />

***<br />

Ore 22.09<br />

Johnny si avviò verso il podio. Un applauso scrosciante lo travolse,<br />

come un’onda anomala s’infrange sul bagnasciuga.<br />

Ne avvertiva la forza ma non il suono; un forza che aveva la capacità<br />

di sollevarlo, consentendogli di muoversi con andatura leggiadra,<br />

quasi sospesa.<br />

24


Con un gesto, invitò l’orchestra ad alzarsi in piedi e a salutare il<br />

pubblico.<br />

Chiese il silenzio.<br />

L’obbediente interruzione dell’applauso fu il preludio di una quiete<br />

assoluta. Si udiva solo una sirena in lontananza che, nel paradossale<br />

rispetto di ciò che stava per accadere, parve attutire il proprio suono di<br />

sofferenza<br />

Ore 22.10<br />

Le prime note. Per trenta secondi, nel buio, i suoni generati dagli<br />

strumenti a fiato, dal gong e dalla marimba, si rincorsero, fino a dare<br />

vita ad orientali melodie pentatoniche.<br />

Quelle melodie condussero tutti a Pechino, al tempo delle favole.<br />

Poi, la voce del Mandarino, catalizzò l’attenzione del pubblico.<br />

Popolo di Pekino!<br />

La legge è questa: Turandot la Pura<br />

sposa sarà di chi, di sangue regio,<br />

spieghi i tre enigmi ch’ella proporrà.<br />

Un minuto e quarantatrè secondi dall’inizio: la folla sul palco, ruppe<br />

tumultuosamente la sua immobilità.<br />

E contestualmente prese vita qualcosa di magico, di etereo.<br />

Sul muro d’appoggio alle spalle del palcoscenico, a diciotto metri<br />

d’altezza, due operatori con l’ausilio di verricelli, abbassarono un pesante<br />

telo nero, alto tre metri. Si estendeva per l’intera lunghezza del<br />

muro e, fino ad allora, aveva occluso la luce della luna testé sorta.<br />

I raggi lunari irruppero come un fiume in piena nel teatro, dirigendosi<br />

verso tre attrezzi dalla forma simile a cannoni, posizionati<br />

nell’ultimo ordine di palchi.<br />

Con l’ausilio di appositi imbuti, i cannoni catturavano la luce. E<br />

per effetto di uno gioco di specchi all’interno degli stessi,<br />

l’amplificavano, per direzionarla verso il centro del teatro.<br />

25


Il cannone centrale illuminava il palcoscenico, emulando lo strumento<br />

che in gergo viene chiamato cercapersone o occhio di bue.<br />

Il due cannoni laterali invece veicolavano la luce catturata in direzione<br />

di due grandi prismi triangolari, sorretti al centro del teatro da<br />

due appositi cavi in acciaio, ad un’altezza di sei metri.<br />

Nell’attraversare i prismi, la luce perdeva il suo caratteristico candore,<br />

per assumere i colori dell’iride. Ciò creava un effetto decisamente<br />

suggestivo agli occhi del pubblico, il quale, sollevando il capo, poteva<br />

ammirare un fascio di luce in parte bianco ed in parte colorato, di cui i<br />

prismi triangolari rappresentavano il punto di rottura cromatico.<br />

I fasci di luce colorata proseguivano la propria corsa, per interrompersi<br />

a ridosso di due specchi sorretti da tralicci, posizionati alle estremità<br />

del palcoscenico. Gli specchi riflettevano la luce al centro<br />

della scena; e grazie alla loro forma concava, ne allargavano il raggio,<br />

dando vita ad un’illuminazione diffusa e soffusa allo stesso tempo, caratterizzata<br />

dal sovrapporsi delle cromie dell’iride.<br />

L’intensità della luce veniva controllata attraverso degli scuri, veri<br />

e propri diaframmi posizionati all’estremità dei tre cannoni, ed erano<br />

azionati da altrettanti tecnici. Nei momenti di maggiore intimità dello<br />

spettacolo, gli addetti chiudevano parzialmente o totalmente gli scuri,<br />

al fine di ridurre l’intensità della luce.<br />

Per la prima volta, per quello spettacolo, Sandra Pari aveva richiesto<br />

la presenza di tecnici luci che sapessero leggere la musica. Li aveva<br />

muniti delle partiture dell’opera, arricchite di tre pentagrammi, uno<br />

per ogni cannone, ed aveva lei stessa coniato una specifica simbologia<br />

per il controllo degli scuri. Gli elementi erano due: la durata e<br />

l’intensità dell’apertura.<br />

Il sistema di controllo delle luci col pentagramma, messo a punto<br />

da Sandra, consentiva ad un fondamentale elemento scenico quale<br />

l’illuminazione, di fondersi con le melodiose note dell’orchestra, creando<br />

una simbiosi musica/luce dalle suggestioni indimenticabili.<br />

Come sempre, la sorpresa tramortisce. E il pubblico impiegò qualche<br />

minuto per metabolizzare la portata di ciò a cui stava assistendo.<br />

26


Un miracolo della tecnica in assenza di tecnologia. L’unica fonte luminosa<br />

era la meravigliosa luna piena che dominava il cielo limpido di<br />

Macerata.<br />

Se il talento di Sandra Pari doveva essere giudicato per ciò che stava<br />

andando in scena, non potevano esservi dubbi. Era riuscita a dar<br />

vita a qualcosa di magico, in perfetta attinenza con l’originale ambientazione<br />

della Turandot: Pechino, al tempo delle favole.<br />

Il pubblico era rapito.<br />

Le parole pronunciate da Malerba, tornarono alla mente di molti.<br />

«… assisterete ad uno spettacolo che attraverserà le epoche, uno<br />

spettacolo senza tempo…»<br />

Quello spettacolo sarebbe potuto andare in scena cento o duecento<br />

anni prima, prima ancora della diffusione dell’energia elettrica.<br />

Sandra Pari, con la sua arte, aveva saputo superare nei tempi della<br />

modernità, i maestri della luce dell’antichità. Era ritornata nel passato,<br />

per sfidare i suoi predecessori, utilizzando i loro stessi mezzi, e aveva<br />

saputo superarli.<br />

Nessuno, né nel presente né tantomeno nel passato, era mai riuscito<br />

a tradurre le emozioni in luce, nel modo in cui vi era riuscita Sandra<br />

quella sera, con il solo ausilio della luna.<br />

Ma l’apoteosi doveva giungere al primo quadro del terzo atto, con<br />

l’esecuzione del Nessun Dorma, l’aria più conosciuta al grande pubblico.<br />

Potenza e dolcezza, forza e commozione.<br />

Il tenore che interpretava Calaf, il Principe Ignoto, era dotato di<br />

una voce sublime.<br />

Nel finale dell’aria, al triplice grido “Vincerò”, i sensi visivi e uditivi<br />

del pubblico furono soverchiati da una tempesta di emozioni. Alle<br />

meravigliose note Pucciniane, alla melodiosa voce del tenore, si aggiunsero<br />

potenti fasci di luce, dei colori dell’iride, dovuti alla massima<br />

apertura degli scuri dei cannoni. Una calda luce avvolse la scenografia,<br />

i cantanti, il coro e le comparse. Un soffuso ed etereo abbraccio<br />

parve sollevare l’intero palcoscenico, per accompagnarlo verso la conclusione<br />

dell’opera.<br />

27


E arrivò.<br />

Il momento più atteso, soprattutto dai critici.<br />

La reinterpretazione del finale della Turandot per mano di Alessandro<br />

Malerba.<br />

Ombra dolente, non farci del male!<br />

Ombra sdegnosa, perdona!... perdona!...<br />

Liù... dolcezza!<br />

Dormi!<br />

Oblia!<br />

Liù!...<br />

Poesia!<br />

Due battute dopo quei versi, a metà del terzo atto, durante la prima<br />

rappresentazione che ebbe luogo al Teatro alla Scala di Milano il 25<br />

aprile 1926, il direttore Arturo Toscanini, interruppe l’esecuzione. E<br />

profondamente commosso, sussurrò al pubblico: "Qui termina la rappresentazione,<br />

perché a questo punto il Maestro è morto".<br />

Giunto con l’esecuzione in quel medesimo punto, in cui il suo avo<br />

fermò l’orchestra in onore del compianto Giacomo Puccini, Alessandro<br />

Malerba fece una lunga pausa, come preludio al finale da lui composto.<br />

Era il momento clou dell’Opera di Puccini. Il bacio tra Turandot e<br />

Calaf, il Principe Ignoto.<br />

Alessandro Malerba riuscì ad intessere una melodia dolcissima. I<br />

violini disegnavano note che si elevavano in cielo, fino a sorreggere le<br />

stelle. Un tema musicale che accentuava il cedimento della Principessa,<br />

anziché soffermarsi sul suo orgoglio ferito; che trasformava Turandot<br />

da glaciale Principessa in donna innamorata.<br />

Nel comporre il nuovo finale, si era lasciato trasportare dalle sue<br />

emozioni, dai suoi sentimenti, quelli che aveva sempre nutrito per<br />

Sandra. Aveva lasciato che le note venissero giù come lacrime, an-<br />

28


dando ad assumere la giusta forma e le giuste posizioni tra le righe e<br />

gli spazi del pentagramma.<br />

Avvertiva prepotente il trasporto. La dolcezza della musica da lui<br />

stesso creata lo travolgeva ed evocava immagini in parte vissute ed in<br />

parte sognate. Più e più volte.<br />

I versi cantati dal soprano erano le parole mai pronunciate da Sandra.<br />

Le stesse parole che avrebbero potuto cancellare ogni forse, ogni<br />

ormai, ogni fine. Per sempre.<br />

In quel momento, con la bacchetta di direzione tra le labbra,<br />

Johnny era solo con la musica, la sua musica.<br />

Desiderava ardentemente che l’Opera non terminasse mai. Sapeva<br />

che la congiunzione tra finzione operistica e realtà era identificabile in<br />

due parallele che non si sarebbero mai incontrate.<br />

Il destino di Turandot e Calaf era ben diverso da quello riservato a<br />

lui e a quella meravigliosa donna dai capelli corvini e dalla pelle di<br />

luna.<br />

Sandra.<br />

Ai suoi occhi non era mai stata così bella, come in<br />

quell’immaginario momento.<br />

O sole!<br />

Vita!<br />

Eternità!<br />

Luce del mondo è Amore...<br />

E Amor!<br />

Il tuo nome, o Principessa, è Luce<br />

È Primavera...<br />

Principessa!<br />

Gloria!<br />

Amor!<br />

Gli ultimi versi, le ultime note dell’Opera.<br />

Johnny restò immobile, con la testa china.<br />

29


Aveva bisogno di qualche secondo, al termine di ogni spettacolo,<br />

per consentire all’anima di rientrare nel suo corpo.<br />

Mai come quella sera, le emozioni lo avevano travolto fino a spossarlo,<br />

a tramortirlo.<br />

Finalmente, sollevò la testa, spalle al pubblico.<br />

Silenzio.<br />

Per un attimo pensò che il teatro fosse vuoto.<br />

Con due dita della mano destra, riprese la bacchetta di direzione,<br />

data in prestito alle sue labbra.<br />

E finalmente udì. Il pubblico era in estasi.<br />

Si voltò. Erano tutti in piedi.<br />

Cercò le loro espressioni, e vide larghi sorrisi. Delle bocche e degli<br />

occhi.<br />

Alcuni interminabili secondi, necessari per riprendersi, per consentire<br />

al suo io di accomiatarsi dal sogno.<br />

Ricambiò il saluto, sorridendo a sua volta, inchinandosi e chinando<br />

nuovamente il capo.<br />

Un gesto di devozione, un modo per nascondere una lacrima.<br />

Catturò con le dita quella goccia di acqua e sale.<br />

Quel gesto rappresentò il definitivo spartiacque tra l’emotività<br />

dell’interpretazione e la felicità del successo.<br />

In piedi, sul podio, godè di quel momento. Avrebbe voluto catturare<br />

l’intensità di quell’applauso, per portarlo via con sé. Per farne uso<br />

nei momenti di vuoto e di tristezza che il destino desiderava ancora<br />

riservargli.<br />

Si voltò verso l’orchestra e ne invitò i componenti ad alzarsi in<br />

piedi. Settantadue esseri umani, con gli occhi colmi di stima e gratitudine.<br />

E fu la volta del soprano che interpretava Turandot, del tenore che<br />

interpretava Calaf, di tutti i protagonisti, e del regista Franco Giustiniani.<br />

Tutti sul palcoscenico, per ringraziare ed accomiatarsi, ma soprattutto<br />

per ricevere i meritati onori.<br />

30


E per ultima, Sandra Pari.<br />

Johnny la invitò a raggiungerli.<br />

Si abbracciarono. Un istante, una vita intera.<br />

Il pubblico le riservò una standing ovation ed un interminabile applauso,<br />

come manifestazione dell’apprezzamento del suo lavoro e della<br />

sua arte.<br />

L’austero Sferisterio si trasformò in uno stadio, dove un compito<br />

pubblico in abito da sera, indossò i panni degli ultrà, per inneggiare ai<br />

protagonisti di quella serata.<br />

Senza guardarlo, Sandra prese la mano di Johnny. E la strinse, con<br />

tutta la forza e il calore che aveva. Johnny ricambiò la stretta.<br />

Avevano condiviso altri attimi di magia. Il loro passato era stato<br />

costellato di passione, amore, successi e dolore. Tanto dolore.<br />

Johnny si domandò come sarebbe stato il loro futuro.<br />

Ma la risposta era lì, in due occhi iniettati di sangue, di quella persona<br />

seduta in platea. L’unica completamente distaccata dall’euforia<br />

post-spettacolo.<br />

E in una busta rossa, che da lì a poco avrebbe trovato nel suo camerino.<br />

Due elementi che avrebbero rappresentato il preludio di un futuro<br />

funesto.<br />

31


***<br />

Quel qualcosa è accaduto.<br />

Il momento è arrivato.<br />

L’uomo dagli occhi di sangue è seduto in platea. Si alza, si muove,<br />

irrequieto.<br />

L’ineluttabile è la ratio della sua presenza, l’equità governa il suo<br />

agire.<br />

Uno sconosciuto col corpo di uomo e l’involucro da pinguino, gli<br />

si avvicina, gli chiede di accendere.<br />

Lo ignora.<br />

Deve riscrivere il destino di chi incarna la sintesi perfetta dell’arte<br />

a servizio dell’effimero successo, di chi non sa discernere il bene dal<br />

male.<br />

Deve ristabilire l’ordine naturale delle cose, deve agire per la verità.<br />

Quattro poltrone da occupare.<br />

Quattro corpi da prendere.<br />

Quattro anime da liberare.<br />

Una sola verità da riscrivere!<br />

Ha con sé le buste rosse.<br />

Sa bene ciò che deve fare.<br />

32


02<br />

Sirolo<br />

Monte Conero<br />

28 luglio 2008<br />

Giacomo Puccini non riuscì a portare a compimento la Turandot. Nel novembre<br />

1924, a causa di un infarto miocardico acuto, sopraggiunto dopo un<br />

disperato intervento chirurgico eseguito per estirpare un diffuso cancro alla<br />

gola, il compositore lucchese scomparve. La sua morte, oltre a lasciare un<br />

incolmabile vuoto tra i suoi estimatori, lasciò la Turandot senza un finale.


Sempre caro mi fu quest’ermo colle,<br />

e questa siepe, che da tanta parte<br />

dell’ultimo orizzonte il guardo esclude…<br />

Johnny amava la poesia; era per lui il miglior mezzo per assaporare<br />

la realtà, per cogliere l’attimo.<br />

La poesia andava recitata ad alta voce, come fece quella mattina di<br />

fine luglio, sul terrazzo della sua villa sul Monte Conero.<br />

… Ma sedendo e mirando, interminato<br />

spazio di là da quella, e sovrumani<br />

silenzi, e profondissima quiete<br />

io nel pensier mi fingo; ove per poco<br />

il cor non si spaura...<br />

Tra lui e quell’ensemble di pietra bianca del Conero, mattoni, legni<br />

ed ampie vetrate, era stato amore a prima vista.<br />

L’aveva ‘incontrata’ qualche anno prima, per caso, in<br />

un’escursione al Passo del Lupo e se ne era innamorato. Da<br />

quell’incantevole dimora, bastava tendere la mano per toccare il sovrastato<br />

mare dai colori intensi, dal blu cobalto al verde salvia, per abbracciare<br />

le bianche rocce che si tuffano nell’Adriatico, per sfiorare la<br />

Basilica di Loreto, per accarezzare le prime morbide colline che incarnano<br />

il preludio al trionfo di sinuose curve ed avvolgenti colori, di cui<br />

è costellata la campagna marchigiana.<br />

36


Un luogo unico, dalla natura ancora selvaggia e per diversi aspetti<br />

incontaminata.<br />

… e ‘l naufragar m’è dolce in questo mare.<br />

L’Infinito di Giacomo Leopardi era la droga i cui effetti di dipendenza<br />

erano acutissimi quando abitava la sua casa sul Monte Conero.<br />

Quella droga riusciva ad aprirgli le narici per catturare gli odori<br />

della macchia mediterranea; gli allargava le pupille per riempirle degli<br />

avvolgenti colori delle tonalità del blu e del verde; gli apriva il cuore<br />

per accogliere la sua gratitudine, figlia della consapevolezza di essere<br />

un eletto, semplicemente per essere lì in quei momenti e per avere la<br />

fortuna e la coscienza di viverli.<br />

Johnny conosceva le Marche da sempre, ma era una conoscenza<br />

assimilabile a quella di una donna affascinante e riservata, che si incontra<br />

ogni mattina andando al lavoro e di cui non si sa nulla. Una<br />

sconosciuta alla quale si porge il proprio saluto più per bon ton che<br />

per piacere.<br />

Poi un giorno ci si ferma a parlare con lei e si scopre che è una<br />

donna fantastica, di quelle che sanno nascondersi ai più, che poco appaiono,<br />

che sanno metterti a tuo agio e sanno abbagliarti se provi ad<br />

aprirle il tuo cuore.<br />

In altri termini, impari a scoprirla.<br />

E Johnny passò dalla conoscenza alla scoperta delle Marche, dopo<br />

tanti fugaci e superficiali saluti, grazie – ironia della sorte – ad un americano,<br />

un giornalista: Christopher Solomon.<br />

Costui, nel maggio del 2005, pubblicò un articolo sul New York<br />

Times il cui titolo era: Is Le Marche the Next Tuscany?<br />

Quella mattina, all’indomani della prima della Madame Butterfly<br />

andata in scena al Metropolitan Opera di New York, era nella sua camera<br />

al quarantaquattresimo piano del Marriot Marquis, a Time Square.<br />

Sfogliava come suo solito i quotidiani. Lesse l’articolo. Era il migliore<br />

spot che potesse essere commissionato. Un inno alla qualità del-<br />

37


la vita, alla spontaneità, alla genuinità, a tutto ciò che è vero, a tutto<br />

ciò che è autentico. Johnny ebbe la sensazione che il giornalista parlasse<br />

di un posto a lui sconosciuto.<br />

Ciò che lo sferzò in modo quasi violento, fu il concetto espresso da<br />

Solomon delle Cartoline Sensoriali, quella rara capacità che ha un<br />

luogo di trasmetterti delle suggestioni, che rimangono indelebili nella<br />

mente come ritratti in seppia, scattati da dagherrotipi senza tempo. A<br />

modo di vedere del giornalista americano, le Marche erano tutt’altro<br />

che parche nel regalare tali emozioni.<br />

Johnny si era sempre considerato sensibile nel riconoscere il fascino<br />

recondito dei luoghi visitati. Faceva fatica ad accettare che qualcuno,<br />

per giunta americano e che viveva a migliaia di chilometri di distanza,<br />

avesse colto e visto qualcosa d’impercettibile e invisibile al<br />

suo cuore ed ai suoi occhi.<br />

Rientrato in Italia da quel viaggio a New York, approfittò di una<br />

domenica di sole di fine giugno e partì da Roma, dove abitualmente<br />

viveva, alla volta delle Marche.<br />

Quel giorno, Johnny benedì Christopher Solomon, questo sconosciuto<br />

americano!<br />

Per quattro giorni non si stancò di girare le Marche in lungo e in<br />

largo, dal Montefeltro ai boschi di Amandola, da Cingoli alla baia di<br />

Portonovo. Ogni borgo era un’inaspettata sorpresa e la campagna e le<br />

colline erano dei veri e propri dipinti che solo una mano divina avrebbe<br />

potuto concepire. E infine scoprì anche il Monte Conero, quel celato<br />

promontorio sull’Adriatico, unico momento di magia insieme al<br />

Gargano, in oltre mille chilometri di monotona costa Adriatica.<br />

Ogni volta che tornava nella sua casa sul Monte Conero, non poteva<br />

non pensare a quel percorso. Quei pensieri sapevano sempre emozionarlo<br />

e sapevano predisporlo ad affrontare al meglio la giornata.<br />

Giornata che si annunciava tranquilla e che avrebbe trascorso in<br />

quel personalissimo paradiso, prima di rientrare a Roma.<br />

La sera precedente, al termine della Turandot, si era tenuta una festa<br />

con amici e collaboratori che si era protratta fino a notte inoltrata.<br />

38


Aveva dormito solo poche ore, ma Johnny non avvertiva la stanchezza.<br />

Aveva ancora l’adrenalina che scorreva a fiumi nelle sue vene.<br />

Seduto sulla grande poltrona in vimini, si apprestava a compiere un<br />

altro dei rituali del day after di ogni importante spettacolo: la lettura<br />

dei quotidiani.<br />

Il fascio di giornali era riposto sul tavolo accanto a lui e, a fianco<br />

ad essi, la strana busta rossa.<br />

L’aveva trovata la sera prima nel camerino dello Sferisterio. Di<br />

primo acchito, non la degnò delle sue attenzioni. Ma poi gli cadde<br />

l’occhio su ciò che vi era scritto:<br />

OPERA PRIMA<br />

(Atto Primo)<br />

Aveva aperto la busta ed estratto il cartoncino contenuto al suo interno.<br />

Anch’esso di colore rosso. Si limitò a verificare che vi fossero i<br />

nomi del mittente o del destinatario. L’assenza di questi, lo indusse a<br />

non leggerne il contenuto e a riporre il cartoncino nella busta. E la busta,<br />

nella tasca della giacca.<br />

Solo più tardi, nel breve tragitto in auto per rientrare nella sua casa<br />

sul Monte Conero, il pensiero tornò a quella missiva. Estrasse il cartoncino<br />

e lo lesse.<br />

Versi della Turandot. Del primo enigma…<br />

Pensò che avesse qualche attinenza con lo spettacolo andato in<br />

scena.<br />

Ma c’era dell’altro.<br />

Ristabilire l’ordine naturale delle cose… restituire dignità e giustizia<br />

alla musica… ricondurre i riconoscimenti e la gloria lì dove<br />

l’arte vive… un Atto Finale…<br />

E quella chiusa: Non mancherai!<br />

Sul viso di Johnny comparve un sorriso.<br />

«Antonio, sei un impareggiabile stronzo! Stavolta ti ho beccato.»<br />

39


Antonio Palermo, il suo agente, aveva la straordinaria capacità di<br />

invitarti a fare qualcosa, per lui vantaggiosa, in modo discreto, quasi<br />

dimesso. Ma una volta accettato l’invito, sfoggiava un’autorità da colonnello<br />

del Terzo Reich e impartiva ordini al fine di conseguire il suo<br />

obiettivo. Per certo, in quella busta, era celata una fantasiosa necessità<br />

di Antonio.<br />

Johnny prese in mano il cellulare per chiamare il suo agente e canzonarlo<br />

per la bravata. Guardò il suo orologio. Erano da poco passate<br />

le 08:00. Troppo presto. A quell’ora l’avrebbe trovato nel mondo dei<br />

sogni.<br />

Lasciò il rimbrotto in canna e tornò a dedicarsi alla lettura dei quotidiani.<br />

L’apprestarsi a quel rituale gli metteva sempre un po’<br />

d’apprensione. Johnny accettava le critiche, solitamente di buon grado.<br />

Ma le soffriva quando si fondavano sull’incompetenza o sfociavano<br />

in aspetti personali, che con l’arte nulla avevano a che fare.<br />

Spesso veniva attaccato dai media. La critica si muoveva sempre<br />

sulla linea di confine tra l’arte e la vita. Ed era facile che sconfinasse<br />

verso il gossip. Per una certa stampa, era miele per le mosche. Talento,<br />

protagonismo innato, fascino, donne… A volte accadeva. Sì. Che<br />

un articolo iniziasse con il raccontare di un’opera da lui diretta e terminasse<br />

teorizzando sulla sua ultima conquista.<br />

Ma Johnny non era ipocrita.<br />

I media avevano esercitato un ruolo fondamentale nel percorso della<br />

sua popolarità. Prime pagine dei rotocalchi, interviste in TV, interventi<br />

in radio: tanti mattoncini che avevano lastricato la strada del<br />

successo.<br />

Ogni cosa ha un prezzo. E in quel caso aveva anche un nome: esposizione.<br />

Alias: essere nudo davanti a milioni di occhi quando la tua<br />

vita sta andando in pezzi. Come quando la storia con Sandra era arrivata<br />

al capolinea. Settimane di prime pagine sui quei rotocalchi a cui<br />

avresti attribuito qualunque colore, fuorché il rosa.<br />

40


«I media sono la benzina del successo; ma la benzina è un combustibile<br />

e a volte può prendere fuoco!»<br />

Era il suo motto, la spiegazione che forniva a sé e a chiunque osasse<br />

lamentarsi della propria visibilità mediatica.<br />

Ma un pizzico d’apprensione c’era, all’indomani di ogni performance.<br />

Non quella volta. E lo capì subito.<br />

Gli era bastato sfogliare le prime pagine dei quotidiani. La Turandot<br />

aveva compiuto l’inusuale miracolo di mettere tutti d’accordo.<br />

“Arte assoluta senza tempo”;<br />

“Finalmente Puccini può riposare in pace. La sua incompiuta ha<br />

trovato il degno finale”;<br />

“Malerba: il discendente di Toscanini si conferma l’erede di Puccini”.<br />

Ecco i titoli.<br />

Viste le premesse, avrebbe potuto leggere gli articoli in serenità,<br />

godendo dell’unanime successo decretato.<br />

Un bisbiglio lo fece sobbalzare.<br />

«Sei stato fantastico stanotte.»<br />

Marta.<br />

Completamente nuda e sinuosamente appoggiata alla grande porta<br />

finestra che dava accesso al terrazzo.<br />

«Ti riferisci alla Turandot o alle evoluzioni a corpo libero di questa<br />

notte?»<br />

«A entrambe mio caro. Ma se mai dovessi essere costretta a scegliere,<br />

non esiterei nemmeno un secondo ed opterei per la prima.» La<br />

sua postura. Sempre più sinuosa, provocante.<br />

«Perché vedi mio caro Johnny, con la Turandot hai dato senza<br />

dubbio il tuo meglio. In quanto a… alle evoluzioni a corpo libero, come<br />

tu le chiami, avresti potuto fare decisamente di più. Mi hai fatto<br />

venire solo tre volte. Non è da te. O stai perdendo i colpi, oppure… ti<br />

stai scopando qualche altra troietta.»<br />

41


Marta era incredibile. Una donna di una classe eccelsa, dal linguaggio<br />

forbito, mai volgare. Ma nell’intimità, quando facevano sesso<br />

o quando lei aveva voglia di farlo, il suo idioma sconfinava in qualcosa<br />

che in altri contesti sarebbe sembrato volgare e inopportuno. E a<br />

Johnny piaceva da matti. Lo eccitava.<br />

Marta Lustri e Johnny si conoscevano da oltre vent’anni, da quando<br />

lei aveva sposato un suo amico, Luciano Rocchi Dallabona; e andavano<br />

a letto insieme da circa sei, più o meno da quando lui aveva<br />

rotto con Sandra.<br />

Si era chiesto più volte se le due cose avessero una qualche relazione,<br />

ma non era mai riuscito a darsi una risposta.<br />

Se c’era una cosa nella vita di Johnny che riusciva a farlo vergognare<br />

di se stesso, era proprio la relazione con Marta.<br />

Aveva una storia con la moglie di Luciano, un suo amico, un suo<br />

caro amico. E per di più, a complicare il tutto, avevano anche uno<br />

strettissimo legame professionale. Con Marta, aveva violato due delle<br />

sue regole più ferree:<br />

1) Mai, per nessuna ragione al mondo, avere una relazione con le<br />

mogli dei propri amici.<br />

2) Mai avere una relazione con una donna con la quale si è legati<br />

professionalmente; in caso di rottura gli effetti e gli strascichi potrebbero<br />

essere devastanti.<br />

Aveva violato entrambe le regole. E a completamento del già desolante<br />

quadro, era stato lui a provarci per la prima volta, in modo quasi<br />

ignobile. Non che lei non avesse manifestato un interesse ed una simpatia<br />

nei suoi confronti. Tutt’altro! Ma non giustificava il modo in cui<br />

lui si era fiondato in casa sua, consapevole dell’assenza del marito; ed<br />

in preda ad un raptus incontrollabile, dall’intensità sconosciuta,<br />

l’aveva posseduta sulla porta di casa, senza lasciarle il tempo di salutarlo.<br />

Lei non si oppose. E quella sera prese vita un’interminabile sinusoide,<br />

il cui picco massimo era rappresentato dall’estasi del piacere e<br />

il picco minimo da fortissimi sensi di colpa di entrambi.<br />

42


In più occasioni si erano giurati che quella volta, piuttosto che<br />

quest’altra, sarebbe stata l’ultima. Ma la loro affinità sessuale era una<br />

droga dalla quale non riuscivano a disintossicarsi.<br />

Marta era un membro del Consiglio d’Amministrazione<br />

dell’etichetta discografica che produceva, promuoveva e distribuiva i<br />

dischi di Alessandro “Johnny” Malerba: la ORO Records.<br />

L’azienda era nata negli anni ottanta dalla fusione di due società: la<br />

Opera Records, fondata negli anni cinquanta dal nonno di Marta, e la<br />

Rocchi Records, di proprietà della famiglia del marito, i Rocchi Dallabona.<br />

La fusione ebbe gli effetti sperati dagli allora promotori<br />

dell’iniziativa. La ORO Records, da subito, ampliò il proprio portafoglio<br />

di artisti. E agli albori degli anni 90, con l’avvento di Luciano alla<br />

presidenza, la società ebbe una considerevole espansione a livello internazionale,<br />

fino a diventare agguerrita concorrente dei colossi del<br />

settore, le cosiddette major.<br />

La ORO Records aveva esercitato un ruolo fondamentale nel successo<br />

di Johnny. Grazie alla propria forza finanziaria, alla capacità<br />

promozionale ed alla penetrazione distributiva, era riuscita a dare il<br />

proprio fattivo e significativo contributo all’elezione di Johnny al ruolo<br />

di star internazionale.<br />

Marta e Luciano convolarono a nozze circa dieci anni dopo la fusione<br />

delle due società. E i maligni amavano ironizzare sul fatto che il<br />

matrimonio tra i due rampolli, ovviamente combinato, fosse riuscito<br />

decisamente peggio rispetto a quello tra le due società.<br />

Johnny guardò la donna, delizia e croce della sua coscienza.<br />

«Invece di star lì a fantasticare su come sedurmi di prima mattina,<br />

perché non vieni a condividere il piacere del trionfo decretato dai<br />

giornali?»<br />

«Piccolo impertinente, arrogante e presuntuoso screanzato. Primo:<br />

non ho assolutamente intenzione di sedurti. Secondo: se ne avessi<br />

davvero voglia, sarei io a decidere come e quando prenderti. Terzo:<br />

43


non dare troppo peso ai giornali. Lo sai: oggi in Paradiso, domani<br />

all’Inferno.»<br />

«Quando rientra tuo marito dal Giappone?»<br />

«Tra cinque giorni, quindi… venerdì prossimo.»<br />

«Certo che se Luciano riuscisse davvero a chiudere l’accordo con<br />

la Sony, si aprirebbero nuovi confini in tutto l’estremo oriente. Tra<br />

l’altro penso che il live della Turandot possa essere particolarmente<br />

amato dagli asiatici. Sono ansioso di mettere le mani sul master della<br />

registrazione.»<br />

Marta gli si avvicinò al punto da sfiorargli il viso con il capezzolo<br />

del seno destro, nel tentativo di rianimarlo.<br />

«E io non vedo l’ora di mettere le mani su di te.»<br />

Le sue dita accarezzavano il petto di Johnny, scendendo, sempre<br />

più giù.<br />

«Sai che mio marito in queste trattative è davvero un asso, il migliore.<br />

Vedrai che tornerà con il contratto firmato e allora avremo un<br />

solo problema: pubblicare il live della Turandot dello Sferisterio in<br />

tempi velocissimi.»<br />

Johnny assunse un’espressione imbronciata.<br />

«Tuo marito è un asso; io invece sono uno stronzo.»<br />

«So già dove vuoi andare a parare. Non è il caso, Johnny.»<br />

«Per te non è mai il caso. Fatto sta che tuo marito, nonché mio amico,<br />

è in Giappone a sgobbare anche per i miei interessi. Io invece<br />

sono in questo paradiso a scoparmi sua moglie.»<br />

Marta scattò in piedi. La scena si ripeteva, con straordinaria puntualità.<br />

«Senti, non usare quel tono volgare in mia presenza. Poi non capisco<br />

perché tu voglia rovinarti e rovinarmi questa splendida giornata.<br />

Sai come stanno le cose: io e te non riusciamo a fare a meno l’uno<br />

dell’altra. Purtroppo è così. Non è una colpa tua, né tantomeno mia.»<br />

«Troppo facile. Comunque, lasciamo perdere. Io credo che dovremmo<br />

affrontare l’argomento in modo serio prima o poi, nel rispetto<br />

nostro e di tuo marito.»<br />

44


«Cosa vuoi Johnny, vuoi mettermi di fronte ad una scelta? Della<br />

serie o me o lui?»<br />

«Sai che non è ciò che voglio, non scherzare. Vorrei solo che trovassimo<br />

il modo di smetterla. Io e te intendo. E che riuscissimo ad essere<br />

trasparenti con Luciano.»<br />

Marta rise di gusto.<br />

«Ah ah ah; e magari aggiungiamoci anche la conversione<br />

dell’anima di Bin Laden al Cristianesimo! Sai perfettamente che il<br />

rapporto tra me e Luciano non è mai stato idilliaco. Almeno per ciò<br />

che mi riguarda. Da tempo le nostre vite viaggiano su due binari paralleli,<br />

che a questo punto non credo possano mai ricongiungersi.»<br />

I discorsi su di lui, Marta e Luciano, creavano in Johnny un forte<br />

stato di agitazione. Sempre.<br />

«Marta, credo che noi dovremmo smettere di vederci. Di vederci<br />

come amanti, intendo. Stiamo mettendo a rischio il nostro rapporto<br />

che va ben oltre il sesso; sto mettendo a rischio il mio rapporto con<br />

Luciano e se tutto dovesse andare storto, Dio non voglia, ne risentirebbero<br />

anche i nostri interessi professionali.»<br />

Marta andava puntualmente su di giri quando si toccava quel tasto,<br />

cosa che accadeva quasi tutte le volte che s’incontravano.<br />

«Senti, punto primo…»<br />

«Ma devi esprimerti sempre per punti? Non puoi fare un discorso<br />

senza elencare il punto primo, il punto secondo e il punto duemilatrecentoventi?»<br />

«Io mi esprimo come più mi aggrada e se non hai voglia di ascoltarmi,<br />

puoi tranquillamente buttarti giù dal terrazzo. Vedrai che dopo<br />

un volo di qualche decina di secondi, andrai a fare un meraviglioso<br />

bagno laggiù, in compagnia degli scogli delle Due Sorelle. Magari con<br />

un po’ di fortuna, potresti evitare di atterrarvi sopra. Per cui, punto<br />

primo: mio malgrado devo darti dello stronzo. Il nostro rapporto va<br />

ben oltre il sesso…; il nostro rapporto non va proprio da nessuna parte<br />

oltre il sesso. Perché ti ricordo, mio caro Mega Super Direttore<br />

d’Orchestra che, formalmente, quella impegnata sono io, ma nei fatti<br />

45


sei tu quello meno coinvolto emotivamente. Sono sempre io a cercarti,<br />

ad organizzare i nostri incontri, a fare carte false per vederci. E poi<br />

non riesci a pronunciare quelle due semplici paroline: TI AMO. Per<br />

cui, evitiamo ipocrisie e diciamoci che il nostro rapporto è solo sano<br />

sesso. Bellissimo, ma pur sempre solo sesso.»<br />

Johnny sorrise, pregustando l’immancabile arringa di Marta.<br />

«Punto secondo. Chi è quell’idiota di amante che vorrebbe incontrare<br />

l’uomo da lui reso cornuto per dirgli: ciao. Sai vado a letto con<br />

tua moglie, ma niente di serio, non c’è amore, semplicemente mi limito<br />

a farla godere come tu non hai mai saputo fare. Riesco a farla sentire<br />

donna, come mai nessuno era riuscito prima. Però ripeto, niente di<br />

serio. Che idiozia! Se vuoi davvero fare qualcosa nel rispetto del tuo<br />

amico, evita di vedermi. Fai di tutto per interrompere la nostra relazione.<br />

Io non ho la menoma intenzione di farlo e, a giudicare dalle tue<br />

vibrazioni di questa notte, mi sembra che nemmeno tu ne abbia. Per<br />

cui, piantala! E punto terzo… Cavolo! M’è passato di mente!»<br />

Era la verità. Johnny era meno preso di lei. A dirla tutta, non ne era<br />

affatto innamorato. Ma doveva ammettere che, quando si inalberava,<br />

quella donna sprigionava un magnetismo che lo ammaliava.<br />

Era una donna molto bella ed era difficile rinunciarvi. Era<br />

un’affermazione da codardi, ne era consapevole. Ma erano i fatti.<br />

Marta aveva una pelle di seta che bastava sfiorare per sentire i brividi.<br />

I suoi ricci capelli biondi contenevano l’essenza delle più profumate<br />

delle primavere. E il suo seno era un incantato luogo di perdizione,<br />

dal quale era impossibile fuggire.<br />

Lei gli cinse il collo con le braccia, sfoggiando il più abbagliante<br />

dei sorrisi e appoggiando il prosperoso seno sul suo viso.<br />

«Comunque ho capito: sei entrato nella tua solita paranoia. Lasciamo<br />

perdere, ti va? Hai voglia di… ma… perchè hai preso quella<br />

busta rossa dalla mia macchina?»<br />

In preda ai sensi di colpa, Johnny impiegò un attimo per realizzare<br />

a cosa si stesse riferendo Marta. Si divincolò dalla presa tentacolare di<br />

lei.<br />

46


«Come dalla tua macchina… questa l’ho trovata ieri sera nel mio<br />

camerino. Cosa c’entra la tua macchina?»<br />

Il senso del pudore, ricomparve. Inspiegabilmente. Marta si alzò<br />

per avvolgere il suo corpo nudo in un telo da mare.<br />

«Mi stai dicendo che tu hai ricevuto una busta identica a questa?<br />

Opera Prima. Atto Primo. Io l’ho trovata ieri sera sul parabrezza della<br />

mia auto. Fammi vedere cosa c’è dentro.»<br />

Tirò fuori il cartoncino. Rosso.<br />

«Vado a memoria, ma mi sembra che il contenuto sia identico.<br />

Stesso cartoncino, stesso testo.»<br />

«Io ho pensato ad uno scherzo di Antonio; lui è solito inventarsi<br />

stravaganze di cui non capisci il senso, ma che mirano solo a giocare<br />

sulla sua capacità di essere autoritario. Gli piace giocare a fare il capo,<br />

soprattutto se l’ipotetico sottoposto sono io.»<br />

Marta si fermò a riflettere per qualche secondo.<br />

«OK, ma io cosa c’entro? Il dottor Palermo non ha una tale confidenza<br />

con me da permettersi questo tipo di stravaganze. Ti confesso<br />

Johnny che quel biglietto un po’ mi ha inquietata. L’ho trovato farneticante.<br />

Ristabilire l’ordine delle cose, ricondurre l’arte, l’atto finale,<br />

non mancherai… Ma cos’è? Sinceramente te ne avrei parlato stamattina,<br />

dopo averti fatto fare un po’ di sana ginnastica sessuale. Cosa a<br />

cui ho dovuto rinunciare, per via dei tuoi ormoni, che stamane viaggiano<br />

alla velocità dei bradipi. Scherzi a parte, il fatto che tu abbia ricevuto<br />

la stessa busta, mi tranquillizza.»<br />

Johnny sorrise per l’immancabile frecciatina scoccata alla volta del<br />

suo orgoglio maschile.<br />

«Parlerò con Antonio; stavo per farlo prima, ma lui non è un tipo<br />

mattiniero. Comunque devo sentirlo più tardi, quando lascerà l’hotel<br />

Emilia di Portonovo per far rientro a Roma, insieme a Sandra.»<br />

Marta sorrise sarcastica.<br />

«Ooooh, Sandra Pari: la femme fatale. L’unica ad essere riuscita a<br />

perforare la corazza di titanio che funge da involucro al cuore del<br />

grande Alessandro Malerba. L’unica donna che… »<br />

47


«Per favore Marta, non cominciare.»<br />

«Scusami amore mio, non volevo. Però… lasciamo perdere. Ascolta,<br />

a che ora si parte?»<br />

Johnny le si avvicinò per baciarla sulle labbra.<br />

«Per te andrebbe bene se preparassi io qualcosa di succulento ma<br />

leggero, per poi partire dopo pranzo?»<br />

Marta chiuse gli occhi nel momento del contatto tra le due bocche.<br />

«Approvato su tutta la linea. Anzi no. Accetto a condizione che stanotte<br />

tu venga a dormire da me, a Roma.»<br />

«Vorrei tanto cara, ma non posso. Domattina, ho una lezione<br />

all’Università alle 8:00 e devo prendere l’aereo alle 12:00. Dovrò fare<br />

una levataccia.»<br />

Marta lo fulminò con lo sguardo.<br />

«Scusa, ma parti per dove?»<br />

«Non te l’avevo detto? Ero sicuro di sì. Forse mi è sfuggito. Vado<br />

nel Connemara, in Irlanda. Voglio trascorre qualche giorno di serenità<br />

e riposo, per riprendermi dalle fatiche della Turandot. Ho trovato un<br />

piccolo chalet su una scogliera, a qualche metro dal mare. Penso sia<br />

l’ideale per recuperare le energie.»<br />

Marta si affrettò a lasciare il terrazzo, avviandosi verso il soggiorno.<br />

Poi si fermò e si voltò verso Johnny.<br />

«Non ti chiedo né con chi vai, né tantomeno perché non mi hai invitata.<br />

Ti dico solo che sei uno stronzo! Non preoccuparti per il pranzo<br />

e per il viaggio. Salterò il pasto e rientrerò a Roma da sola.»<br />

Sparì nell’interno della casa, ignorando i richiami di Johnny. Dopo<br />

qualche minuto, avrebbe lasciato la villa a bordo della sua auto.<br />

Johnny era consapevole delle ragioni di Marta.<br />

Era davvero uno stronzo.<br />

Era una relazione dai conflitti laceranti. A volte la istigava volontariamente,<br />

giocando con il suo carattere irascibile, nel tentativo di minare<br />

il loro rapporto e nella speranza che lei esplodesse e riuscisse in<br />

ciò che a lui non riusciva: chiudere.<br />

48


Sì, era un atteggiamento da vigliacchi. Ma tutto ciò che caratterizzava<br />

il suo modo di agire nella relazione con Marta era profondamente<br />

da vigliacchi.<br />

Avrebbe dovuto chiederle scusa per quello screzio.<br />

Sapeva bene come fare.<br />

Ma non ne avrebbe avuto la possibilità.<br />

Nelle ore seguenti, un puzzle di terrore e morte, avrebbe invaso la<br />

sua vita.<br />

E Marta sarebbe stata la prima tessera di quel puzzle.<br />

***<br />

Antonio Palermo era alto un metro e sessanta.<br />

Questa, strano a dirsi, era l’unica ragione per cui non amava guidare<br />

quando era in compagnia di una donna. Soprattutto se più alta di<br />

lui.<br />

La sua modesta statura gli provocava un briciolo di imbarazzo e,<br />

come terapia, calzava sempre scarpe con suoletta rialzata.<br />

In auto la sua strategia era la solita: giocare sulla condivisione della<br />

parità dei ruoli uomo / donna e perorare la causa dell’emancipazione<br />

femminile, per poi “concedere” alla donna al suo fianco, il privilegio<br />

di occuparsi della guida. Lui si accomodava a destra e portava il sedile<br />

quanto più in alto possibile, con l’obiettivo di allineare i suoi occhi<br />

con quelli della donna alla sua sinistra. Era cosciente di quanto fosse<br />

ridicola la cosa, ma era più forte di lui.<br />

Sandra provava un enorme affetto per Antonio. La loro era<br />

un’amicizia relativamente recente. Ma avevano instaurato un feeling<br />

che li aveva portati ad essere i migliori confidenti l’uno dell’altra.<br />

Per evitargli il canonico imbarazzo, Sandra era solita dirgli: «Antonio<br />

ti prego, lascia che guidi io.»<br />

E lui, tronfio, lasciava che la concessione cadesse dal cielo, con fare<br />

un tantino dispiaciuto.<br />

49


Quella mattina, fecero colazione insieme alle 10.00, nel giardino<br />

dell’hotel Emilia. Un luogo incantevole che dominava la baia di Portonovo.<br />

Alle 11.00 lasciarono l’hotel e si incamminarono verso Roma,<br />

a bordo della BMW 335i Cabrio di Antonio.<br />

Era una mattina speciale. L’euforia regnava. La Turandot aveva<br />

messo tutti d’accordo e la stampa ne aveva decretato il trionfo.<br />

Gli effetti di quel successo, generavano in Sandra una forma di regressione.<br />

Battute, scherzi e canzonature, più tipiche di un’altra stagione<br />

della vita, diventavano il leitmotiv di ogni conversazione. E se la<br />

vittima doveva essere il permaloso Antonio, la tentazione diventava<br />

irresistibile.<br />

E Antonio le fornì l’assist che attendeva alzando il sedile<br />

all’inverosimile, com’era solito fare.<br />

«Per fortuna la tua macchina è un cabriolet. Se alzi ancora un po’ il<br />

sedile, dovrò aprire la capote.»<br />

Si sentì colto con le mani nella marmellata. Dapprima avvampò in<br />

viso, poi si mise a ridere e lasciò partire un buffetto che colpì la nuca<br />

di Sandra.<br />

«Non capisco per quale dannata ragione tu debba viaggiare sempre<br />

con me. Ma non puoi farti scorazzare dal regista, da uno dei ragazzi<br />

dell’orchestra, magari da un autista o da chiunque altro abbia un minimo<br />

di piacere più di me di vederti? E poi lo sai che non mi attrai fisicamente.<br />

Invece se tu viaggiassi con qualcun altro, potresti fare<br />

qualche interessante conoscenza. E magari così potresti trovare marito.<br />

E aggiungo, sarebbe anche ora!»<br />

Sandra sorrise. Conosceva le reazioni di Antonio. Rispondeva alle<br />

provocazioni sulla sua statura, mettendo in discussione il fascino della<br />

cara amica, aggiungendo di non provare un’attrazione fisica per lei.<br />

I fatti erano diversi. Antonio era molto attratto da Sandra. Ma nutriva<br />

per lei un profondo rispetto, come donna e come professionista.<br />

Inoltre conosceva ogni dettaglio della sua relazione con Johnny e di<br />

tutto quanto era accaduto successivamente alla loro separazione.<br />

50


Antonio era certo che Sandra fosse ancora innamorata di Johnny,<br />

di un amore ricambiato. Ulteriore ragione per non provarci. Avrebbe<br />

tradito due cari amici in un colpo solo. Per cui sull’argomento si era<br />

messo il cuore in pace da tempo.<br />

Più volte aveva cercato di comprendere le ragioni che trattenevano<br />

Sandra dal rituffarsi tra le braccia dell’unico uomo che amava.<br />

Quel tasto dolente sottraeva loquacità all’amica. La motivazione<br />

era sempre la stessa, concisa.<br />

«È finita, da tempo. Ormai non l’amo più.»<br />

Ormai. Per ironia della sorte, un anagramma della parola amori.<br />

Ormai. Un vocabolo che andrebbe cancellato dal dizionario dei<br />

sentimenti.<br />

Mentiva. Soprattutto a se stessa. Antonio ne era certo.<br />

Con Johnny, invece, era più difficile affrontare l’argomento. Nonostante<br />

la complicità e l’amicizia di vecchia data, il buon Malerba era<br />

ermetico.<br />

Un difetto abbastanza diffuso tra gli uomini. Uno dei tanti limiti<br />

del sesso forte.<br />

Antonio faceva eccezione. Spiccava tra i maschi per apertura e loquacità.<br />

Ma anche lui aveva le sue fisime e le sue macchie. Una su tutte:<br />

la psicosi sulla sua statura. La soffriva, non riusciva a superarla.<br />

Per il resto era adorabile. Un caro amico. Un vero concentrato di energia<br />

e di intelligenza. Nel suo mestiere di Artist Agent, era impeccabile.<br />

Un vero talento.<br />

Aveva una grande passione per la musica: ascoltava e conosceva di<br />

tutto ed era un eccellente pianista.<br />

Era tutt’altro che raro incontrare suoi colleghi che svolgevano<br />

quella professione come succedaneo al fallimento della carriera di musicisti.<br />

Antonio era l’eccezione che confermava la regola. Le sue qualità<br />

artistiche avrebbero potuto condurlo verso una carriera di successo<br />

come musicista; ma il suo talento nella professione di Artist Agent era<br />

forse superiore a quello di pianista.<br />

51


La sua sensibilità lo portava a ricoprire anche il ruolo di consulente<br />

artistico. E non a caso, gli exploit di Johnny, sovente, erano figli delle<br />

intuizioni del suo agente.<br />

Alessandro Malerba era il fiore all’occhiello di Antonio.<br />

Lui, la fortuna di Johnny.<br />

«Mia cara Sandra, chissà se il super mega direttore è già sveglio e<br />

se ha letto i giornali.»<br />

Lei ignorò quella domanda. O per lo meno ignorò la possibile risposta.<br />

La regressione adolescenziale scomparve dal suo viso, come<br />

per incanto.<br />

Antonio conosceva quell’espressione…<br />

«Forse la mia non era proprio una domanda. Vuoi che la riformuli<br />

meglio?»<br />

«Johnny è già sveglio, ne sono certa!»<br />

… e quell’espressione ad Antonio non piaceva.<br />

«Sandra, la tua è veggenza o una semplice supposizione?»<br />

«Ma… ma… »<br />

Esitazione nell’esprimersi: due possibilità.<br />

La prima: si è alla ricerca della migliore forma grammaticale, di un<br />

vocabolo.<br />

La seconda: un rospo danza su e giù per la gola, indeciso tra il dentro<br />

e il fuori.<br />

«Ma certo che è sveglio! E lo sarà stato per tutta la notte. Quella<br />

ninfomane di Marta non gli avrà lasciato nemmeno il tempo di farsi un<br />

caffè.»<br />

Era la seconda! Senza dubbio.<br />

«Gli starà addosso avvinghiata come una piovra. Figuriamoci se gli<br />

avrà dato modo di sfogliare i giornali.»<br />

Antonio inarcò le sopracciglia.<br />

«Perché, cosa c’entra Marta?»<br />

«Forse non dovrei dirtelo, ma credo che Johnny e Marta abbiano<br />

una relazione; e credo anche che stia andando avanti da qualche tempo.»<br />

52


Gelo.<br />

«Durante le prove generali della Turandot, io e Franco Giustiniani,<br />

il regista, li abbiamo colti… per così dire… in flagrante, in uno dei<br />

camerini. Si comportavano come due ragazzini. Sono sicura che Marta<br />

non si sia accorta della nostra presenza. Johnny invece credo ci abbia<br />

visti.»<br />

Antonio, sorpreso ma pratico, valutò le possibili conseguenze della<br />

caduta di quel macigno.<br />

«Ne hai mai parlato con Johnny?»<br />

«Ovviamente no. La cosa era troppo imbarazzante, come avrei potuto?»<br />

«E quindi tu pensi che abbiano passato la notte insieme.»<br />

«Sono pronta a scommetterci. Il marito è in Giappone. Figuriamoci:<br />

di certo non si sarà lasciata sfuggire l’occasione.»<br />

Aria tesa. Come sempre, quando l’argomento era Johnny. Antonio<br />

tentò di stemperarla.<br />

«Siamo particolarmente gelose stamattina, o è il profumo della ginestra<br />

del Conero che fa reazione col tuo ph al punto da renderti così<br />

acida?»<br />

«Ignorante, la fioritura della ginestra è terminata da oltre un mese.»<br />

«Ah sì? Allora ti ha fatto effetto lo jogurt. Senti Sandra, non ne so<br />

molto di cosa possa esserci tra quei due, ma credo che…»<br />

Sandra lo interruppe, staccando la mano destra dal volante per portarla<br />

all’altezza del viso di Antonio, nel gesto di chi sa, e non ammette<br />

repliche.<br />

«Scusami. Quei due hanno una relazione. La stanno vivendo con la<br />

tipica arrogante spensieratezza degli adolescenti, ignorando le devastanti<br />

conseguenze a cui potrebbero andare incontro. In questa storia<br />

sono a rischio amicizie, matrimoni e carriere. Il punto è che così facendo<br />

non mettono a rischio solo la loro di carriera, ma anche la nostra.<br />

Non sono gelosa Antonio, sono solo seriamente preoccupata.»<br />

«Sei sicura di non essere gelosa?»<br />

53


«Uffa! Possibile che tu non riesca a capire? Sono adulti, possono<br />

fare ciò che più li aggrada. Ma feriranno le persone a loro più care.<br />

Primo su tutti Luciano. Marta è una cara ragazza, ma possibile che<br />

non si renda conto della fortuna che ha avuto nello sposare Luciano?»<br />

Antonio sorrise e assunse un tono paterno.<br />

«Tu sai perfettamente che non basta un marito premuroso che ti<br />

venera, per far sì che una donna si senta felice. Una donna vuole sentirsi<br />

donna, Sandra, e tu lo sai meglio di chiunque altro. Magari lei con<br />

il marito, nonostante le attenzioni che le rivolge, non riesce a realizzarsi<br />

come donna. O semplicemente non lo ama. Non dimenticare come<br />

è nato quel matrimonio; al posto dello scambio degli anelli, c’è<br />

stato uno scambio di pacchetti azionari. E magari Marta cerca in qualcun<br />

altro ciò che il marito non riesce a darle.»<br />

Il viso di Sandra divenne paonazzo.<br />

«Ma sei uscito di senno Antonio? Mica siamo al mercato del pesce.<br />

Mio marito non mi soddisfa e allora cambio l’articolo. Chiedo il cambio<br />

merce magari con un altro articolo di proprietà di qualcun altra.<br />

Cosa importa? Ma dai…»<br />

«Ma guarda che Johnny non è un articolo in vendita e non è di proprietà<br />

di nessuna, né tantomeno tua.»<br />

Antonio si portò le mani alle orecchie, con fare ironico, come a voler<br />

prevenire le urla di Sandra.<br />

«Antonio, che rimanga tra noi: ti dico che a conferma delle mie<br />

preoccupazioni, Luciano si è inaspettatamente confidato con me.»<br />

«In che senso?»<br />

«È successo qualche settimana fa, dopo una riunione di lavoro sul<br />

progetto del live della Turandot. Io e lui abbiamo avuto sempre un<br />

rapporto molto formale, ma quel giorno ho accettato il suo invito a<br />

pranzo. Avevo percepito che c’era qualcosa di cui volesse parlarmi e<br />

pensavo riguardasse il lavoro. Ed infatti, non appena ci siamo seduti,<br />

ho capito che c’era qualcosa di diverso in lui. L’ha buttata subito<br />

sull’informale, raccontando di lui e chiedendo di me. Per un momento<br />

ho pensato che mi stesse corteggiando. Invece, dopo qualche bicchie-<br />

54


e, ha iniziato a parlare del rapporto con sua moglie. Ha usato toni dettati<br />

da evidenti sentimenti confusi. E così dopo avermi parlato del suo<br />

amore e di quanto era stato felice con lei, è arrivato a confidarmi che<br />

sospettava l’adulterio. Subito dopo mi ha chiesto di Johnny: se aveva<br />

una compagna, che tipo era dal punto di vista sentimentale e così via.»<br />

«Cazzo! Non è possibile. Luciano sa che la moglie gli mette le<br />

corna e sospetta che a farlo cornuto sia il pezzo più pregiato della<br />

ORO Records, Alessandro Malerba, la gallina dalle uova d’oro.<br />

L’uomo che da solo genera circa il 40% del giro d’affari della sua azienda.<br />

Questo è un vero cazzo di casino.»<br />

Sandra sorrise.<br />

«Bravo Antonio, colorito come sempre ma sintetico e preciso. Adesso<br />

hai il quadro. Devo assolutamente parlare con Marta.»<br />

Antonio era preoccupato. Due donne che si incontrano per parlare<br />

di un uomo. Una bomba a mano a cui viene rimossa la linguetta.<br />

«Per dirle cosa?»<br />

«Non lo so, credo sia giusto che qualcuno le apra gli occhi. Forse<br />

sarebbe più naturale che io parlassi con Johnny; ma ho il sentore che<br />

lui possa fraintendere il significato di una mia intromissione nella loro<br />

relazione e possa interpretarlo come un atto di gelosia.»<br />

La preoccupazione aumentava.<br />

«Quando parli così mi fai gelare il sangue. Fammi capire cosa diavolo<br />

intendi fare, spiegami meglio il significato che ha per te la parola<br />

intromissione. Tu sei pericolosa da questo punto di vista. Ti prego,<br />

rasserenami.»<br />

«Non pensare che voglia inscenare piazzate, è ben lungi da me.<br />

Voglio solo che Marta capisca che la loro relazione è una bomba ad<br />

orologeria e voglio aprirle gli occhi sugli effetti di una eventuale deflagrazione.»<br />

«Oh mio Dio, Sandra. Tremo al pensiero. Ma scusami, anche Marta<br />

potrebbe scambiare una tua intromissione come un gesto di gelosia,<br />

non credi? E se così fosse, il tuo intervento non sortirebbe alcun effetto.<br />

Anzi…»<br />

55


«Non possiamo restare inermi di fronte alla possibilità che per<br />

un’infatuazione venga messa a repentaglio la carriera di noi tutti. Perché<br />

sono convinta che di ciò si tratti: di una stupida infatuazione.»<br />

«Tu mi preoccupi.»<br />

Per qualche secondo, Sandra vagò, alla ricerca di elementi che potessero<br />

farla desistere.<br />

Non ne trovò.<br />

«Meglio preoccuparsi adesso che non dopo, quando potrebbe essere<br />

troppo tardi. Alla prima occasione, parlerò con Marta.»<br />

56


03<br />

Roma<br />

Trinità dei Monti<br />

28 luglio 2008<br />

Come si evince da alcune lettere, durante tutto il corso degli ultimi anni della<br />

sua carriera, Puccini fu alla costante ricerca di nuovi soggetti, nuovi temi,<br />

nuove eroine ‘non pucciniane’. Il personaggio di Turandot rappresentò uno<br />

stimolo, una sfida per Puccini. La scelta del soggetto della sua nuova opera<br />

ebbe una lunga gestazione, caratterizzata da una ricerca con molte false partenze.


Marta era sul terrazzo del suo attico a Trinità dei Monti, adagiata<br />

su una chaise longue in vimini.<br />

Si lasciava accarezzare dal leggero vento che soffiava sulla Città<br />

Eterna, giunto come una manna a concedere un po’ di refrigerio dopo<br />

una tipica giornata estiva, soleggiata ed afosa.<br />

Era rientrata dalle Marche da sola ed era arrivata a Roma nel pomeriggio.<br />

Aveva approfittato di qualche ora per una seduta veloce<br />

dall’estetista e per recarsi al n. 53 di Via Condotti, per ritirare da Cartier<br />

il suo amato Pasha, al quale aveva fatto cambiare il cinturino.<br />

Era da sola in casa. Il marito Luciano era in viaggio d’affari in<br />

Giappone ed il figlio Giuliano era in quei giorni a Milano, dove viveva<br />

dividendosi tra gli studi universitari e l’iniziazione agli affari di<br />

famiglia.<br />

In realtà il ragazzo stava dimostrando un talento ed un attitudine<br />

per il business che lo portavano a trascorrere gran parte del proprio<br />

tempo negli uffici della ORO Records; come rovescio della medaglia<br />

però, gli studi procedevano più lentamente del previsto.<br />

Marta era spesso da sola nella casa di Trinità dei Monti. L’azienda<br />

di famiglia aveva una sede a Roma ed una a Milano, oltre a varie succursali<br />

nelle principali capitali Europee e negli Stati Uniti. Ma la sede<br />

di Milano, negli ultimi anni, era diventata il centro nevralgico degli<br />

affari della ORO Records. E il marito di Marta, Luciano, trascorreva<br />

gran parte del proprio tempo nel capoluogo lombardo.<br />

Marta non amava Milano e aveva eletto il loro attico di Roma a suo<br />

domicilio principale.<br />

58


Il suo ruolo di consigliere della società non la impegnava in modo<br />

continuativo, per cui si recava a Milano solo saltuariamente.<br />

Marta ripensò allo screzio avuto con Johnny quella mattina. Non<br />

sapeva esattamente cosa lei volesse da lui, ma sapeva che con lui era<br />

una battaglia persa. Johnny non l’amava, di questo ne era consapevole,<br />

nonostante la loro relazione andasse avanti ormai da più di qualche<br />

anno.<br />

Ma lei non riusciva a rinunciare a quell’uomo che sapeva farla sentire<br />

donna, che riusciva a farle provare emozioni che non aveva mai<br />

provato prima.<br />

Si chiese per un attimo cosa sarebbe accaduto se Johnny, dimostrandole<br />

il suo amore, le avesse chiesto di fare una scelta, di lasciare<br />

il marito. Marta preferì non darsi una risposta, perché probabilmente<br />

non ne aveva. Come non aveva risposte sul perché non amasse suo<br />

marito, un uomo adorabile, straordinario.<br />

Non l’aveva mai tradito prima di Johnny; e se quella sera lui non si<br />

fosse presentato a casa sua, possedendola selvaggiamente, probabilmente<br />

non sarebbe mai incappata nell’adulterio. Aveva vivido nella<br />

mente ed in ogni centimetro del proprio corpo, il ricordo del modo in<br />

cui lui era entrato dentro di lei per la prima volta, mentre era in piedi<br />

appoggiata al muro.<br />

A distanza di anni, l’emozione era ancora così forte, da indurla a<br />

ricercare il piacere ogni volta che tornava a pensarci.<br />

Desiderò ardentemente scacciare quei pensieri, fonti di contrastanti<br />

emozioni.<br />

Prese il cellulare. Considerando il fuso orario, era il momento giusto<br />

per chiamare in Giappone. Pensò al marito, che probabilmente aveva<br />

da poco terminato la colazione e compose il suo numero.<br />

Luciano rispose al secondo squillo.<br />

«Amore mio, come stai?»<br />

«Male ovviamente, perché tu non sei qui con me. Se continui a lasciarmi<br />

per i tuoi viaggi d’affari, sarò costretta a cercarmi un altro<br />

uomo» rispose Marta, ancora in preda alle sue fantasie, mentre con la<br />

59


mano sfiorava i seni che fuoriuscivano dalla camicetta, aperta fino<br />

all’ombelico.<br />

«Sì, tu potresti cercare un altro uomo ma sai che poi torneresti da<br />

me, perché sono l’unico che sa renderti felice.»<br />

«Hai ragione amore mio.»<br />

La sua mano sinistra scendeva verso l’inguine, dopo aver sbottonato<br />

gli shorts.<br />

«Ho seguito i notiziari: mi è sembrato di capire che la Turandot è<br />

stata un successo.»<br />

«Un vero trionfo. Il pubblico era in delirio e la stampa è stata unanime<br />

come non mai nel confermare il successo dell’evento. È stato<br />

fatto un lavoro straordinario, da parte di tutti. Presumo che questo agevolerà<br />

il progetto del live che stai portando avanti con i Giapponesi.»<br />

«Ti dirò che per assurdo è quasi ininfluente. A loro modo di vedere<br />

era un trionfo annunciato. Sono entusiasti. L’unico problema è accordarci<br />

su alcuni aspetti che possano trasformare il progetto da evento<br />

one shot, in qualcosa di più organico che possa avere continuità nel<br />

tempo. Dobbiamo conquistare il mercato asiatico e i signori della<br />

Sony sono i partner ideali. Ma me li sto cucinando per benino.»<br />

La voce di Marta divenne suadente.<br />

«So che in questo sei il numero uno.»<br />

«Solo in questo?»<br />

«Beh, mio caro, sul resto devi applicarti un po’ di più. Ma hai del<br />

potenziale da esprimere.»<br />

E ritrasse dalle sue intimità la mano bagnata per ricomporsi.<br />

«Strega! Sei una strega, di cui sono follemente innamorato. E tu?<br />

Quanto sei innamorata del tuo numero uno?»<br />

Marta avvertì il calore che inondava le sue guance, a causa di un<br />

incalzante imbarazzo. Si sentiva come se il marito l’avesse colta in<br />

fallo.<br />

«Pronto? Luciano? Non sento. Amore? Ah sì, adesso ti sento. Ascolta<br />

ma perché non hai portato Giuliano con te? Ci teneva tanto.»<br />

60


Deluso dalla mancata risposta alla sua domanda precedente, Luciano<br />

preferì lasciar cadere la cosa.<br />

«Non voglio bruciarlo Marta. Nostro figlio se continua così, diventerà<br />

un eccellente uomo d’affari. Ma non voglio che bruci le tappe.<br />

Tempo al tempo. E poi ho piacere che in mia assenza stia in azienda.<br />

Voglio che i collaboratori inizino a percepire il senso della continuità<br />

familiare.»<br />

«OK, sei tu il capo. Non vedo l’ora di riabbracciarti. A presto amore<br />

mio.»<br />

Luciano, ancora deluso, attese qualche attimo prima di salutare.<br />

«Buone notte a te, amore mio. Riposa bene.»<br />

Marta allungò il braccio per appoggiare il cellulare sul tavolo in<br />

vimini. Era in uno stato di totale confusione emozionale.<br />

Rimase a farsi coccolare ancora per qualche attimo dal fresco e inusuale<br />

venticello di fine luglio, sdraiata sulla chaise longue.<br />

Per alcuni istanti il vento aumentò la sua intensità. Aumentò ancora,<br />

e ancora, fino a diventare una breve raffica, che sollevò una busta<br />

rossa posata sul tavolo a fianco alla portafinestra, facendola roteare e<br />

volteggiare come a compiere una macabra danza, che terminò quando<br />

la busta andò a posarsi ai piedi di Marta.<br />

E come finale di un oscuro presagio, terminò anche la raffica.<br />

Un gelido brivido scivolò lungo la schiena di Marta.<br />

Poi sorrise delle sue false paure e si alzò, per rientrare in casa.<br />

***<br />

Aveva appena chiuso la conversazione con sua moglie. Luciano<br />

non riusciva a darsi pace. Non poteva credere che lei lo stesse tradendo<br />

e per di più con un suo amico; e questo amico, che a quel punto aveva<br />

difficoltà a considerarlo tale, era il pezzo pregiato della sua “scuderia”.<br />

Non poteva essere vero. Doveva esserci un fraintendimento. Perché<br />

Marta avrebbe dovuto comportarsi in quel modo ignobile, rischiando<br />

61


di rovinare tutto? Perché avrebbe dovuto spingersi fino a quel punto<br />

senza ritorno?<br />

Il fatto che lei non fosse – purtroppo – perdutamente innamorata di<br />

lui, non giustificava un comportamento simile.<br />

Che umiliazione!<br />

Si scosse dal torpore e decise che doveva agire per scoprire la verità,<br />

per avere le conferme necessarie.<br />

Su tutto. Su tutto.<br />

Lui aveva un piccolo vantaggio e voleva sfruttarlo al meglio: sua<br />

moglie lo credeva in Giappone, ma in realtà non era più partito.<br />

In quel momento, stava rientrando a Roma.<br />

***<br />

Marta si apprestava a varcare la soglia della portafinestra che dal<br />

terrazzo dava accesso all’interno dell’attico.<br />

Si fermò per godere ancora per qualche istante di quella brezza rinfrescante.<br />

«Sarà il Ponentino?»<br />

Non sapeva se il leggendario venticello romano, protagonista di celebri<br />

canzoni, soffiasse solo in determinate stagioni. Avrebbe dovuto<br />

informarsi.<br />

Poi entrò in casa, al buio. Il passaggio dalla luce ancorché soffusa<br />

del terrazzo, costrinse i suoi occhi a compiere uno sforzo per adeguarsi<br />

al buio dell’interno.<br />

Stava cercando l’interruttore della luce, procedendo quasi a tentoni…<br />

Una mano si posò sulla sua bocca con inaudita violenza.<br />

Qualcuno l’aveva presa alle spalle.<br />

Sentiva in bocca il gusto salato del sangue che fuoriusciva dalle<br />

sue labbra; e la mano era ancora lì.<br />

Non riusciva a parlare, a gridare. Non riusciva ad emettere alcun<br />

suono.<br />

62


Il respiro diventava affannoso. Quella mano, orfana ai suoi occhi,<br />

era ricoperta da un guanto dal tessuto ruvido, che le ostruiva le narici.<br />

Poi sentì l’altro braccio. Le cinse la vita per immobilizzarla.<br />

«Ma chi è? Cosa sta succedendo?»<br />

Marta era terrorizzata e profuse ogni sua energia nel vano tentativo<br />

di divincolarsi. Nel vano tentativo di urlare. Nella disperazione, si impose<br />

di rimanere calma, per valutare le possibilità di fuga. Ma l’uomo<br />

rinforzò la presa, sulla bocca e in vita. E si mosse con lei al rimorchio,<br />

verso il centro della stanza, verso il divano.<br />

«Vuole violentarmi.»<br />

Immaginò l’orrenda sensazione che si stava apprestando a vivere.<br />

Peggio.<br />

Stava accadendo qualcosa di decisamente più orribile. Il braccio<br />

che le cingeva la vita, si mosse, liberandola; e dopo qualche istante, il<br />

suo collo avvertì il contatto con qualcosa di freddo e tagliente.<br />

«Una lama, un coltello… non vuole violentarmi, forse vuole rapinarmi<br />

o forse…»<br />

Ogni suo pensiero svanì quando la lama penetrò nel collo. Un movimento<br />

lentissimo. Dopo l’incisione, s’arresto per un tempo indefinibile,<br />

per poi riprendere con altrettanta lentezza da sinistra verso destra.<br />

Un’incisione chirurgica.<br />

Attendeva che il dolore arrivasse, devastante. Provò ad immaginare<br />

le sensazioni, ad anticiparle. Ma non avvertiva nulla, se non il bruciore<br />

della pelle lacerata, un senso di torpore e qualcosa di caldo che dal<br />

collo le scendeva fino al petto.<br />

«Oddio, il mio sangue, è la fine.»<br />

Si sentì liberare dalla morsa della presa.<br />

Rimase in piedi. La sua bocca era libera e avrebbe potuto urlare,<br />

chiedere aiuto.<br />

Forse aveva una speranza.<br />

Si fece coraggio, raccolse le forze e tentò un grido disperato.<br />

Ogni stilla di energia confluì verso quell’urlo.<br />

63


Ma udì solo un gorgoglìo, che provocò una copiosa fuoriuscita di<br />

sangue dal taglio infertole alla gola.<br />

«È finita! Sto morendo.»<br />

Il suo pensiero raggiunse Giuliano, suo figlio, e i figli che sarebbero<br />

potuti arrivare, prima di accasciarsi al suolo.<br />

***<br />

Non aveva alcuna idea di quanto tempo fosse trascorso, né dove si<br />

trovasse, quando Marta riaprì gli occhi.<br />

Il senso di spossatezza la induceva a chiudere le palpebre. Pensò<br />

che fosse la sensazione che si provava nell’aldilà.<br />

«Sono morta, sono all’altro mondo.»<br />

Ricordò le storie che suo nonno le raccontava quando lei, poco più<br />

che bimba, si accoccolava sulle sue ginocchia. Riviveva la scena in<br />

modo vivido, quasi reale, una scena che nella sua vita adulta non aveva<br />

mai ricordato, ma che in quel momento inondò la sua mente.<br />

Mia cara, vedi, la nostra vita non è altro che un percorso in cui ci<br />

prepariamo per affrontare qualcosa di più grande, di eterno. Riceviamo<br />

costantemente insegnamenti, alcuni validi e altri meno; frequentiamo<br />

persone giuste e persone sbagliate, prendiamo decisioni<br />

opportune in alcune occasioni, in altre no. Soffriamo, gioiamo e qualche<br />

volta riusciamo anche ad essere felici. Ma ciò che più conta, piccola<br />

mia, è la crescita interiore. Non dimenticarlo mai. Ogni cosa che<br />

farai, giusta o sbagliata, dovrà fornirti degli insegnamenti. Non curarti<br />

più di tanto delle tue azioni giuste, ma soffermati sempre sui tuoi<br />

errori. Analizzali, sviscerali, domandati perché li hai commessi ed<br />

evita di ripeterli. Perché la tua crescita sarà la somma dei tuoi errori.<br />

Dovrai saperli riconoscere, affrontarli, analizzarli ed essere sempre<br />

pronta a pagarne le conseguenze. Fa sì che mai nessuno sia costretto<br />

a pagare per i tuoi errori. Ricorda mio piccolo fiore, mai nessuno dovrà<br />

pagare per i tuoi errori.<br />

64


Marta si rese conto che stava piangendo, chiedendosi se fosse possibile<br />

anche nell’aldilà.<br />

Non riusciva a mettere a fuoco nulla. Solo un bagliore, che illuminava<br />

lo spazio antistante.<br />

Provò a muovere le mani e con piacere notò che aveva ancora il<br />

controllo degli arti.<br />

Sentiva un dolore lancinante alla gola e ricordò dell’agguato e del<br />

coltello. Portò la mano destra sulla ferita. Era stata medicata con un<br />

grande cerotto.<br />

«Allora forse sono viva, sono in ospedale.»<br />

Era ciò che stava pensando quando i suoi occhi iniziarono a distinguere<br />

i contorni degli oggetti davanti a sé. Realizzò di non essere in<br />

ospedale, ma nel salotto di casa sua, l’ambiente adiacente alla stanza<br />

dove era stata aggredita.<br />

Era seduta al centro del divano, quel divano di Etro che tanto amava<br />

e che aveva comprato non più di qualche settimana prima. Ricordò<br />

del giorno in cui glielo avevano consegnato, quando lei confidò alla<br />

sua amica Gianna:<br />

«Se dovessi scegliere un posto dove morire, opterei per casa mia a<br />

Trinità dei Monti, sul mio divano di Etro.»<br />

Ironia della sorte.<br />

Le sfuggì un fugace sorriso; poi cercò di farsi forza per realizzare<br />

cosa le stesse accadendo.<br />

Si sforzò di tenere aperte le palpebre e di migliorare la messa a<br />

fuoco. Quel bagliore le inondava il viso; e a pochi centimetri dal suo<br />

corpo, un oggetto, sottile, forse nero. Si sforzò di capire cosa fosse.<br />

Sembrava sospeso, o forse no. Ma la luce l’accecava e faceva fatica a<br />

tenere gli occhi aperti. Li ridusse a due fessure, per contenere il fastidio.<br />

Riuscì ad inquadrare l’oggetto: era un microfono. Un microfono<br />

sorretto da un asta che poggiava sul pavimento.<br />

In quello stato confusionale cercò di ricordare se quell’oggetto fosse<br />

mai stato nel suo salotto. Ma andò oltre. Era una domanda senza<br />

importanza.<br />

65


Forse.<br />

Continuò ad aguzzare lo sguardo. S’intravedeva un’ombra movente<br />

dietro il bagliore. Le ricordava l’effetto dei rami degli alberi mossi dal<br />

vento. Tentava disperatamente di capire cosa fosse. Strinse nuovamente<br />

gli occhi, per arginare il fastidio della luce. Si rese conto di essere<br />

talmente concentrata sui sensi visivi, al punto da escludere gli altri.<br />

Le tornò in mente il suo insegnante di matematica del liceo, quando<br />

le diceva:<br />

«Signorina Lustri, il suo più grande limite è che lei non riesce a fare<br />

due cose contemporaneamente. Se ne ricordi: spesso la vita ci costringe<br />

a fare una cosa mentre necessitiamo di elaborarne un’altra. Si<br />

concentri su questo aspetto e cerchi di esercitarsi. Nella nostra società,<br />

sempre più frenetica, il futuro sarà di coloro che avranno la capacità<br />

di essere multitasking…»<br />

Quel professore, ma come si chiamava? Beh, aveva sempre avuto<br />

ragione. Marta aveva cercato di mettere in pratica quell’insegnamento,<br />

ma non era migliorata di molto.<br />

Ricordò di quando seduta davanti al PC si dedicava al solitario,<br />

mentre dialogava con chi le stava di fronte. Era un validissimo esercizio<br />

di sdoppiamento della concentrazione, che puntualmente irritava<br />

l’interlocutore, non degnato della giusta attenzione.<br />

Lei faceva sempre e solo una cosa alla volta.<br />

Come in quel momento.<br />

Aveva attivato la vista ed aveva lasciato l’interruttore dell’udito<br />

nella posizione OFF.<br />

Si concentrò. Sentiva una musica, una musica a lei familiare. Il volume<br />

non era alto, ma la propagazione del suono era sinusoidale e<br />

molto ovattata. Si domandò quale fosse per le orecchie, il gesto in<br />

grado di sortire il medesimo risultato che si ottiene per la vista quando<br />

si stringono gli occhi.<br />

Ricordò di un gioco che faceva da bambina, quando portava entrambe<br />

le mani dietro le orecchie e, flettendo i padiglioni auricolari,<br />

piegava il palmo a coppa. Come risultato si otteneva una sorta di cassa<br />

66


armonica, che consentiva di percepire i suoni in modo differente, più<br />

intenso.<br />

Cercò di trovare la forza necessaria per sollevare le braccia; ma<br />

provò una lancinante fitta di dolore alla gola.<br />

Avrebbe voluto sdraiarsi sul divano e lasciarsi andare, sarebbe stato<br />

semplice; bastava sbilanciare il proprio peso. Poi avrebbe chiuso gli<br />

occhi e tutto sarebbe finito.<br />

Si impose di reagire, di rimanere seduta, e soprattutto di riconoscere<br />

quel suono. Per un attimo si distrasse, chiedendosi come mai non<br />

avesse pensato di fare la cosa più semplice: alzarsi in piedi e fuggire<br />

via.<br />

La vita le aveva insegnato che a volte le soluzioni più semplici sono<br />

anche le più efficaci. Ma le si ignora, per quella maledetta tendenza<br />

di cercare sempre quelle più complicate, come se complessità del problema<br />

e difficoltà nel risolverlo fossero direttamente proporzionali.<br />

Sbagliato.<br />

Marta aveva imparato a proprie spese che spesso non è così. La soluzione<br />

giusta è anche quella più semplice, talmente semplice da non<br />

riuscire a individuarla.<br />

Provò quindi ad alzarsi in piedi e fuggire. Ma rinunciò: il dolore<br />

era così intenso da farle mancare il respiro.<br />

Fu comunque soddisfatta di averci provato, complimentandosi con<br />

se stessa. Anche in un caso disperato come quello, la sua mente aveva<br />

lavorato in modo elastico.<br />

«Caro professore di matematica del liceo di cui non ricordo il nome:<br />

è vero, non sarò multitasking ma ho una mente che mi permette di<br />

analizzare le situazioni in modo molto flessibile, anche in condizioni<br />

di massima difficoltà.»<br />

Questo è ciò che avrebbe detto al suo vecchio docente, se mai<br />

l’avesse rivisto.<br />

Tornò a concentrarsi sull’udito, per riconoscere quella musica.<br />

67


Riprovò a sollevare le mani per portarle a coppa dietro le orecchie.<br />

Fece uno sforzo che le parve sovrumano, e ci riuscì. Quel giochetto da<br />

bambini contribuì a migliorare la sua capacità uditiva.<br />

Io son tutto una febbre!<br />

Io son tutto un delirio!<br />

Ogni senso è un martirio<br />

feroce!<br />

Era un’opera, era sicura che fosse un’opera, ma non riusciva ad associarle<br />

un nome. I suoi occhi furono nuovamente attratti dalle ombre<br />

dietro la luce, da quei rami di albero che si muovevano.<br />

C’era qualcosa che capiva fosse importante notare, ma che le sfuggiva.<br />

Per coglierla, si rese conto che doveva guardare ed ascoltare contemporaneamente.<br />

«Benedetto professore.»<br />

Tornò a concentrarsi per cercare di dare corso alla sua intuizione.<br />

Ascoltava…<br />

E lasciamolo andar!<br />

Inutile gridare<br />

in sanscrito, in cinese, in lingua mongola!<br />

…e guardava… guardava i rami muoversi.<br />

E poi ascoltava…<br />

…e guardava.<br />

O Cina, o Cina,<br />

che or sussulti e trasecoli<br />

inquieta!<br />

Come dormivi lieta,<br />

gonfia dei tuoi settantamila secoli!<br />

68


E finalmente capì.<br />

I rami si muovevano a tempo di musica.<br />

E non solo.<br />

Lo sforzo aveva prodotto anche un altro risultato. Aveva riconosciuto<br />

l’opera che stava ascoltando: era la Turandot, ne era certa.<br />

«Ma cosa diavolo sta succedendo? Perché proprio a me?»<br />

Marta era divorata dal terrore, ma aveva allo stesso tempo la curiosità<br />

di comprendere.<br />

Cercò di ricostruire i fatti.<br />

«Punto primo: ero sul terrazzo e stavo rientrando quando…»<br />

I suoi pensieri furono interrotti dal ricordo del rimbrotto di Johnny<br />

del giorno prima, quando criticò il suo modo di esprimersi.<br />

«Ma devi esprimerti sempre per punti? Non puoi fare un discorso<br />

senza elencare il punto primo, il punto secondo e il punto duemilatrecentoventi?»<br />

Sorrise e pensò a Johnny.<br />

Johnny… la Turandot!<br />

La folgorazione arrivò.<br />

Era passato poco più di un giorno dal successo dello Sferisterio. E<br />

lì, in quella situazione paradossale, lei stava ascoltando la stessa opera.<br />

Le due cose dovevano avere un’attinenza. Per forza. Era una coincidenza<br />

davvero insolita.<br />

Un giuramento atroce mi costringe<br />

a tener fede al fosco patto. E il santo scettro<br />

ch’io stringo gronda di sangue.<br />

Basta sangue!<br />

Giovine, va’!<br />

Era la Turandot, non aveva dubbi.<br />

I rami continuavano a muoversi a tempo di musica.<br />

69


Principessa Lou-Ling,<br />

Ava dolce e serena, che regnavi<br />

nel tuo cupo silenzio in gioia pura,<br />

e sfidasti inflessibile e sicura<br />

l’aspro dominio, tu rivivi in me!<br />

Ad un tratto la sua memoria recuperò un’istantanea ed il gelo<br />

s’impadronì del suo corpo.<br />

Ricordò la busta rossa, il suo contenuto farneticante ed i rimandi<br />

all’opera di Puccini, la stessa che stava ascoltando.<br />

Troppe coincidenze. La Turandot era il filo conduttore di ciò che<br />

stava accadendo.<br />

Cercò di ricordare cosa fosse scritto su quella busta e sul cartoncino<br />

interno che aveva il medesimo colore.<br />

Opera Prima. Ecco cosa c’era scritto sulla busta.<br />

E al suo interno?<br />

C’era un riferimento alla giustizia, all’ordine delle cose… accennava<br />

ad un evento che doveva restituire dignità all’arte. Accennava<br />

anche a qualcosa di esclusivo, di riservato, viatico verso una più eletta<br />

entità per il vergante di quella missiva: un Atto Finale.<br />

E poi la chiusa, quell’imperativo la cui sola lettura le fece gelare il<br />

sangue: Non Mancherai!<br />

«Ma che significato ha tutto ciò?»<br />

Marta si maledisse. In un momento così tragico, la sua curiosità e<br />

la sua voglia di capire erano più forti dell’istinto di sopravvivenza.<br />

Avrebbe dovuto pensare a come fuggire da quell’inferno, anziché<br />

cercare le improbabili ragioni di ciò che le stava accadendo.<br />

Si consolò, pensando che non avrebbe comunque avuto la forza di<br />

farlo; e che nelle risposte che stava cercando, poteva celarsi la propria<br />

salvezza.<br />

«Forse abuso del cinema e vedo troppi film, ma questo non è un<br />

thriller: questo è uno spaccato di vita dell’orrore.»<br />

70


Ma quel biglietto conteneva qualcos’altro; conteneva dei versi della<br />

Turandot ed erano il legame con l’Opera di Puccini. Ma quali fossero,<br />

non riusciva a ricordarlo.<br />

O Principi, che a lunghe carovane<br />

d’ogni parte del mondo<br />

qui venite a tentar l’inutile sorte,<br />

io vendico quel grido e quella morte!<br />

No! Mai nessun m’avrà!<br />

Rinasce in me l’orgoglio<br />

di tanta purità!<br />

Straniero! Non tentar la fortuna!<br />

“Gli enigmi sono tre, la morte è una!”<br />

«Ma certo, gli enigmi della Principessa Turandot; i tre enigmi!»<br />

Sul biglietto contenuto nella busta rossa, era riportato uno dei tre<br />

enigmi.<br />

«Ma qual era? Il primo, il secondo o il terzo? Forse il primo…»<br />

Ma non ne era certa.<br />

Si sforzò di ricordare i versi del primo enigma.<br />

Ma non fu necessario, perché ad un tratto, le fu tutto chiaro.<br />

“Nella cupa notte<br />

vola un fantasma iridescente. Sale,<br />

dispiega l’ale<br />

sulla nera infinita umanità!<br />

Tutto il mondo l’invoca,<br />

tutto il mondo l’implora.<br />

Ma il fantasma sparisce coll’aurora<br />

per rinascere nel cuore.<br />

Ed ogni notte nasce<br />

ed ogni giorno muore!”<br />

71


Le sue orecchie ascoltarono l’enigma, il primo.<br />

E dopo di esso, la musica si fermò.<br />

L’albero, i cui rami sembravano muoversi a tempo, prese vita. Non<br />

era un albero, ma un essere umano. Lo stesso che l’aveva aggredita.<br />

Per certo.<br />

Avanzò nella sua direzione.<br />

Marta notò con sgomento che impugnava una gigantesca arma luccicante.<br />

E capì.<br />

Capì che non era importante ricordare quale fosse l’enigma riportato<br />

sul biglietto, ma era di vitale importanza rispondere all’indovinello.<br />

Lei conosceva la risposta e raccolse le energie per gridarla<br />

all’albero fattosi uomo, a colui che si era dimenato fino a quel momento<br />

come fosse il direttore di quel macabro spettacolo.<br />

Urlò con quanto fiato aveva in gola; ma non emise alcun suono, se<br />

non un rantolo.<br />

Nessuna risposta all’enigma.<br />

Marta in quel momento capì che era davvero finita.<br />

Avrebbe avuto la medesima morte degli sfortunati pretendenti della<br />

principessa Turandot.<br />

72

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