20.05.2013 Views

Gianfranco De Turris. Julius Evola, un tradizionalista nella

Gianfranco De Turris. Julius Evola, un tradizionalista nella

Gianfranco De Turris. Julius Evola, un tradizionalista nella

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

<strong>Gianfranco</strong> <strong>De</strong> <strong>Turris</strong><br />

<strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong>: <strong>un</strong> <strong>tradizionalista</strong> <strong>nella</strong> R.S.I.<br />

La proclamazione dell’armistizio colse <strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong>[1][1][1] in Germania dove, però, non si<br />

trovava affatto per <strong>un</strong> giro di conferenze come scrive Giorgio Bocca[1][2]. Da ambienti<br />

politico-militari tedeschi era stato chiesto ad <strong>Evola</strong> di recarsi segretamente a Berlino sin da<br />

metà agosto 1943, su consiglio di Giovanni Preziosi, “allo scopo di riferire sulla situazione e<br />

per contribuire a <strong>un</strong> chiarimento per le vie dirette”[1][3].<br />

Ma perché “segretamente” dato che le due nazioni erano ancora formalmente alleate?<br />

Dopo il 25 luglio <strong>Evola</strong> era rimasto a Roma e non si era rifugiato in Germania come altri<br />

fascisti ”intransigenti” che non erano stati arrestati (Pavolini e Farinacci ad esempio,<br />

mentre Preziosi era fuggito ad Agram in Croazia e solo in seguito si sarebbe trasferito in<br />

<strong>un</strong>a località nei pressi di Monaco): egli riteneva infatti che le sue amicizie con l’ambasciata<br />

tedesca, dal momento che “la guerra continuava” a fianco del Terzo Reich, potessero<br />

venire considerate <strong>un</strong> elemento positivo piuttosto che negativo.<br />

Inoltre, c’era <strong>un</strong> altro motivo per restare <strong>nella</strong> capitale anche durante il governo<br />

badogliano: “La mancanza di qualsiasi reazione dopo il tradimento, l’assoluta inerzia dei massimi<br />

esponenti del regime e della stessa Milizia, avevano colpito di <strong>un</strong> doloroso stupore e me, e amici che<br />

da tempo mi erano stati vicini: come <strong>un</strong>a conferma di quella carenza di forze veramente temprate e<br />

salde dietro le strutture gerarchistiche e conformistiche, che purtroppo in più di <strong>un</strong>a occasione era<br />

già venuta in evidenza”, ricorda il filosofo <strong>tradizionalista</strong> in <strong>un</strong>o dei suoi rarissimi scritti sui<br />

fatti dell’epoca che lo videro protagonista. “Ora si trattava di trarre tutte le conseguenze dalla<br />

dura lezione: di vedere che cosa aveva resistito alla prova, su quali elementi in precedenza impediti<br />

da <strong>un</strong> sistema non del tutto ineccepibile, e su quali altri elementi nuovi si poteva contare per<br />

mantenere, in forma adatta alle circostanze, le posizioni in ordine sia al problema interno politico<br />

italiano, sia alla continuazione della guerra dell’Asse”[1][4].<br />

C’erano però delle difficoltà, dato che erano emerse opposte valutazioni su come<br />

comportarsi in quel frangente da parte dei tedeschi: da <strong>un</strong> lato il Ministero degli Esteri<br />

(Auswärtiges Amt) dava credito al proclama di Badoglio; dal lato opposto ambienti delle<br />

SS - con tutta probabilità l’SD (Sichereitdienst) con cui <strong>Evola</strong> era in contatto - ritenevano<br />

che inevitabile conseguenza del voto del Gran Consiglio e dell’arresto di Mussolini da<br />

parte del Re sarebbe stato l’armistizio e quindi la resa dell’Italia. Si pensò anche ad <strong>un</strong><br />

colpo di mano contro il governo badogliano e a tal fine, nell’agosto, gi<strong>un</strong>se in incognito a<br />

Roma il maggiore delle SS Otto Skorzeny che, a quanto si sa, fu accolto e forse ospitato<br />

proprio dal filosofo: l’iniziativa venne però bloccata da Berlino ritenendo che più efficace,<br />

e meno invisa alla popolazione rispetto a quella compiuta da “stranieri”, sarebbe stata<br />

<strong>un</strong>’azione di fascisti italiani.


Tutto cadde nel nulla, anche a causa dell’assassinio <strong>nella</strong> notte fra il 23 e il 24 agosto a<br />

Fregene di Ettore Muti, la figura designata (però a sua insaputa, secondo quanto afferma<br />

<strong>Evola</strong>) per essere messa a capo del controcolpo di Stato[1][5]. Da parte tedesca si ritenne<br />

che la situazione migliore fosse di affidare a Mussolini l’iniziativa di <strong>un</strong>a reazione: a<br />

Skorzeny venne allora affidato il compito di scovare dove il Duce veniva tenuto<br />

prigioniero e liberarlo, come poi avvenne il mese dopo.<br />

I servizi segreti italiani e la Polizia politica, che ancora restava in piedi, ebbero sentore di<br />

tutte queste manovre sotterranee? Con tutta probabilità sì: a quanto pare le voci di <strong>un</strong><br />

“complotto fascista” vennero diffuse dal SIM, il servizio segreto militare, e subito sfruttate<br />

da Badoglio per togliere di mezzo personaggi scomodi, sia ex gerarchi fascisti, sia alti<br />

ufficiali: l’ordine lo aveva dato il 22 e insieme a Muti ed altri venne arrestato anche l’ex<br />

capo di Stato Maggiore generale Ugo Cavallero (che resterà vittima di <strong>un</strong>o strano suicidio<br />

la notte fra il 13 e il 14 settembre).<br />

Secondo l’ultima nota scritta il 26 agosto da Giuseppe Bottai nel suo diario, prima<br />

dell’arresto il giorno dopo, sempre su ordine di Badoglio, il complotto sarebbe stato<br />

scoperto perché <strong>un</strong> professore tedesco (di segreta fede antifascista) si era messo in allarme<br />

quando gli era stato detto di far conoscere i propri orari dato si sarebbe dovuto far conto di<br />

tutti i tedeschi di Roma in momento assai vicino. Questi, tal professor Wagner, si sarebbe<br />

confidato con <strong>un</strong> collega italiano, e questi a sua volta con <strong>un</strong> f<strong>un</strong>zionario del Ministero<br />

dell’Educazione Nazionale, quindi la voce di <strong>un</strong> fermento dei tedeschi a Roma sarebbe<br />

così arrivata fino a Badoglio che avrebbe deciso l’azione repressiva preventiva[1][6].<br />

Nonostante fosse caduto il fascismo, <strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong> era ancora controllato, tanto che nel<br />

fascicolo a lui intestato presso la Divisione Polizia Politica, l’ultimo documento che lo<br />

riguarda è l’app<strong>un</strong>to di <strong>un</strong> confidente anonimo e sgrammaticato che si riferisce, se ne deve<br />

dedurre, proprio alla vigilia della sua “missione segreta” a Berlino. Lo riportiamo<br />

integralmente: in cima al foglio la curiosa intestazione a mano <strong>Evola</strong> Jules- avv. barone;<br />

poi il timbro 23 AGO. 1943; quindi il testo dattiloscritto: “Roma, 20 agosto 1943. I giornalisti<br />

esteri all’Associazione della Stampa Estera a Roma osservano che il barone <strong>Evola</strong>, già collaboratore<br />

di Farinacci e di Preziosi, si reca ora spesso alla Stampa Estera, dove ha l<strong>un</strong>ghi conciliaboli col<br />

giornalista tedesco Alwens, corrispondente romano del ‘Voelkischer Beobachter’. I giornalisti esteri<br />

si domandano, che cosa i due stiano a tramare insieme e tutti considerano molto sospetti questi<br />

convegni”[1][7]. Quindi <strong>un</strong>a sigla illeggibile. Una ipotesi può essere quella che si<br />

“tramasse” proprio il “viaggio segreto” in Germania, dato che il Voelkischer Beobachter<br />

era il quotidiano del Partito Nazionalsocialista.<br />

La nota informativa, il pettegolezzo per meglio dire, solleva <strong>un</strong> singolare problema: di<br />

quali mai nazioni potevano essere i “giornalisti stranieri” che in <strong>un</strong> anno decisivo di <strong>un</strong>a<br />

guerra ormai totale, potevano considerare “sospetti” i colloqui tra <strong>un</strong> giornalista tedesco<br />

ed <strong>un</strong>o italiano (tale <strong>Evola</strong> veniva anche considerato), cioè di due Paesi ancora<br />

formalmente alleati dato che “la guerra continuava”?<br />

Che nazioni “straniere” potevano essere accreditate alla Associazione Stampa Estera di<br />

Roma, se non nazioni alleate dell’Asse?


Il fatto è invero curioso, ma potrebbe avere <strong>un</strong>a risposta altrettanto curiosa: sembra che in<br />

effetti circolassero <strong>nella</strong> Roma 1943 giornalisti delle nazioni ufficialmente nemiche<br />

dell’Asse, ma in quanto accreditati presso il Vaticano, cioè <strong>un</strong>o Stato straniero...<br />

Se le cose stanno così, doveva anche trattarsi di <strong>un</strong> fatto normale, che non suscitava<br />

particolari perplessità nell’anonimo informatore della polizia. Ecco il motivo dell’invito<br />

“segreto” a <strong>Evola</strong> il cui nome, come si è accennato, fu indicato da Preziosi. Questi, in quel<br />

momento ad Agram, “progettava di installare in Croazia <strong>un</strong>a radio indirizzata contro il governo<br />

Badoglio e di promuovere <strong>un</strong>a azione di propaganda finalizzata al governo di Roma. La massima<br />

importanza di questo lavoro di propaganda doveva consistere nell’allargamento dell’agitazione<br />

antiebraica e antimassonica”[1][8].<br />

In <strong>un</strong> telegramma spedito da Agram al Ministero degli Esteri a Berlino l’11 agosto e<br />

firmato anche da Siegfried Kasche, ministro straordinario e plenipotenziario in Croazia, si<br />

legge: “Allo scopo di intensificare il possibile lavoro di trasmissione e perché, secondo<br />

l’affermazione di P.[reziosi], anche di particolare rilevanza politica, fare pervenire a mezzo di <strong>un</strong><br />

corriere speciale da Roma attraverso Berlino il proposto carteggio P. e la raccolta di documenti sulla<br />

compromissione dei circoli governativi italiani con l’ebraismo e la massoneria. Per le com<strong>un</strong>icazioni<br />

a distanza, istituzione di <strong>un</strong> servizio segreto, di notizie tra Roma e Berlino. Stazione trasmittente.<br />

P. propone come collaboratore assolutamente fidato il conte [sic] <strong>Evola</strong> che anche Prinzing[1][9]<br />

conosce bene. <strong>Evola</strong> dovrebbe venire in Germania”[1][10].<br />

Due giorni dopo, il 13, <strong>un</strong> altro telegramma conferma: “P. indica il Barone <strong>Evola</strong> come amico<br />

più che fidato della Germania e eccellente collaboratore per il presente compito, egli stesso lo conosce<br />

da anni come collaboratore. Proposta di fare venire <strong>Evola</strong> in Germania senza indugio. Circa la<br />

disponibilità di <strong>Evola</strong>, secondo il parere di P. non vi sono dubbi. <strong>Evola</strong> è qui indispensabile anche e<br />

soprattutto perché P. vuole recedere dall’attuale lavoro”[1][11].<br />

Ma <strong>un</strong> telegramma da Roma del principe Otto Bismark, delegato del Reich <strong>nella</strong> capitale<br />

italiana, avverte il 17 agosto che “<strong>Evola</strong> ha dichiarato di non voler partire. Nuovi accertamenti di<br />

Prinzig presso di lui hanno dato lo stesso risultato”[1][12].<br />

Però evidentemente la situazione stava precipitando e forse il colloquio del 20 agosto con<br />

il giornalista tedesco riferito <strong>nella</strong> nota della Polizia politica italiana, potrebbe essere stato<br />

risolutivo degli ultimi indugi ed aver convinto il filosofo che non c’era altro tempo da<br />

perdere.<br />

Il viaggio fu avventuroso.<br />

In <strong>un</strong>a data che non sappiamo, ma che potrebbe essere dopo l’omicidio di Muti il 24<br />

agosto[1][13], <strong>Evola</strong> raggi<strong>un</strong>se <strong>un</strong> albergo di Bolzano dove erano arrivate separatamente<br />

altre tre persone: <strong>un</strong> ufficiale delle forze armate, <strong>un</strong> giornalista di <strong>un</strong>a nota agenzia stampa<br />

(sicuramente la Stefani) ed <strong>un</strong>o “squadrista” - <strong>Evola</strong> non ne ha mai rivelate le identità -<br />

quasi in nome di varie espressioni del fascismo, che si fecero riconoscere in portineria con<br />

<strong>un</strong>a frase convenzionale. Vennero quindi messi in contatto con elementi locali dell’SD<br />

grazie ai quali attraversarono la frontiera del Brennero su <strong>un</strong> autocarro militare delle<br />

Waffen SS indossando cappotti e berretti tedeschi. Il gruppo raggi<strong>un</strong>se così Innsbruck in<br />

Austria e da lì, in treno, Berlino.<br />

Al loro arrivo la capitale aveva appena subito <strong>un</strong> bombardamento ed era stato colpito<br />

proprio l’edificio dell’SD e gli uffici preposti al settore italiano.


Il gruppetto venne ospitato in <strong>un</strong> grande albergo di Potsdam: dai colloqui che seguirono<br />

non si riuscì a risolvere la divergenza di opinioni circa le prospettive italiane fra<br />

l’Auswärtiges Amt e le SS.<br />

Visto il nulla di fatto, <strong>Evola</strong> decise di ripartire per Roma, dove lo avevano già preceduto i<br />

suoi amici, allorché fu avvertito dal Ministero degli Esteri tedesco che Giovanni Preziosi<br />

desiderava incontrarlo. Il filosofo si recò d<strong>un</strong>que da Berlino a Bad Reichenhall, la località<br />

termale vicino Monaco dove Preziosi aveva ormai raggi<strong>un</strong>to la moglie e il figlio<br />

proveniente da Agram. Infatti, come si legge ancora nel citato telegramma dell’11 agosto:<br />

“L’umore spirituale di P. è cattivo. Ha avuto attacchi. <strong>De</strong>sidera assolutamente <strong>un</strong> colloquio con sua<br />

moglie perché massimamente preoccupato sulle condizioni di salute di lei e dei suoi figli, come sullo<br />

stato e sul futuro delle proprietà”[1][14]. Mentre, il 13, come si è già riportato, si com<strong>un</strong>icava<br />

che “P. vuole recedere dall’attuale lavoro” (di organizzare e dirigere <strong>un</strong>a radio<br />

antibadogliana).<br />

<strong>Evola</strong> trovò Preziosi nervoso per mancanza d’informazioni, preoccupato per Mussolini,<br />

pessimista sulla propria sorte, ma anche ottimista su quelle del conflitto, giacché nel corso<br />

di <strong>un</strong> colloquio Hitler gli aveva parlato delle famose “armi segrete”. Non così il filosofo,<br />

che vedeva le cose in prospettiva assai più realisticamente: “Il mio p<strong>un</strong>to di vista era, fin da<br />

allora, che la guerra era da continuarsi fino all’ultimo, dovesse anche significare <strong>un</strong> battersi su<br />

posizioni perdute, non essendovi altra alternativa dinanzi alla inaudita pretesa alleata<br />

dell’inconditional surrender già dichiarata apertamente; ma che era altrettanto importante pensare<br />

al ‘dopo’, ossia a quel che si poteva salvare dopo la catastrofe, a quel che in Italia avrebbe ancora<br />

potuto esser creato in <strong>un</strong>a certa tal quale continuità con l’idea antidemocratica e<br />

anticom<strong>un</strong>ista”[1][15].<br />

I giorni passavano in attesa di <strong>un</strong>a decisione ufficiale tedesca di come comportarsi con il<br />

governo badogliano. Non gi<strong>un</strong>gendo alc<strong>un</strong>a novità, <strong>Evola</strong> decise di lasciare Bad<br />

Reichenhall e tornare a Roma il 9 settembre, ma la sera del giorno precedente, verso le<br />

dieci, “gi<strong>un</strong>se al nostro albergo la notizia del tradimento e l’invito a recarci subito, Preziosi e io, a<br />

Monaco”[1][16]. Qui vennero condotti <strong>nella</strong> sede della radio, dato che l’idea era quella di<br />

lanciare immediatamente, <strong>nella</strong> notte stessa, <strong>un</strong> appello agli italiani. Non se ne fece nulla.<br />

La mattina del giorno dopo <strong>Evola</strong> e Preziosi furono imbarcati su <strong>un</strong> aereo da caccia -<br />

probabilmente <strong>un</strong> Me-110, <strong>un</strong>o dei pochi ad avere quella capacità - e condotti a Berlino. Da<br />

qui ripartirono per i confini della Prussia Orientale dove si trovava il Quartier Generale di<br />

Hitler.<br />

Dopo essere sfuggiti agli aerei alleati scesero nel piccolo aeroporto di Rastenburg,<br />

mimetizzato tra le vaste foreste di quella inospitale regione, si deve ritenere <strong>nella</strong> tarda<br />

mattinata o nel primo pomeriggio del 9 settembre. “La Prussia Orientale”, scrive con piglio<br />

da attento osservatore il filosofo <strong>tradizionalista</strong>, “è <strong>un</strong>a grande squallida regione dal paesaggio<br />

<strong>un</strong>iforme; si compone quasi esclusivamente di foreste fitte di alberi dal fusto nudo e dritto e dalle<br />

brevi chiome, di laghi di varia grandezza e di tratti sabbiosi. A nord, essa dà sul Kuerischer Haff, le<br />

strane spiagge di sabbia bianchissima ove ancora vivono gli alci iperborei dalle grandi corna.<br />

Rastenburg è la stazione ferroviaria di <strong>un</strong> piccolo villaggio. Ad <strong>un</strong>a certa distanza da essa, nascosto<br />

in <strong>un</strong>o dei boschi, si trovava il Quartier Generale del Fuehrer, alloggiato in due semplici baracche.<br />

Poco distante, nel fitto di <strong>un</strong> altro boschetto, vi era la baracca di Ribbentrop; più lontano, la<br />

residenza di Himmler.


In prossimità, <strong>un</strong> piccolo aeroporto e, mascherata, <strong>un</strong>a potente contraerea (...). Ad <strong>un</strong>a certa<br />

distanza dalla stazioncina ferroviaria vi erano alc<strong>un</strong>i binari morti. Su di essi, con l’aspetto di vagoni<br />

abbandonati o in demolizione, si trovavano carrozze di treni speciali che al bisogno potevano venir<br />

subito attaccati a locomotive e fatti partire”[1][17].<br />

Già altri esponenti politici, intellettuali e giornalisti italiani erano sul posto. Tutti<br />

alloggiavano in carrozze-letto di quello che il filosofo definisce il “treno immobile”. <strong>Evola</strong><br />

e Preziosi vennero ricevuti in serata da Ribbentrop che com<strong>un</strong>icò loro il desiderio di Hitler<br />

che “i fascisti rimasti fedeli all’idea e al Duce lanciassero immediatamente <strong>un</strong> appello al popolo<br />

italiano ann<strong>un</strong>ciando la costituzione di <strong>un</strong> contro-governo che confermasse la fedeltà all’Asse<br />

secondo la parola già data e poi non mantenuta dal Re (...) E così fu dal nostro gruppo, da quella<br />

desolata regione nordica, da quei vagoni mimetizzati, che l’indomani partì sulle onde dell’etere il<br />

primo ann<strong>un</strong>cio della costituzione del secondo fascismo e di ciò che fu battezzato ‘il fronte italiano<br />

dell’onore’”[1][18].<br />

L’ann<strong>un</strong>cio, anzi il proclama del “Governo Nazionale Fascista che opera in nome di Mussolini”,<br />

era preceduto dalle note di Giovinezza. Era d<strong>un</strong>que il 10 settembre 1943[1][19].<br />

Seguirono, fino all’arrivo di Mussolini dopo la liberazione dal Gran Sasso, quattro giorni<br />

convulsi: che tipo di governo? quale personalità - non sapendo ancora nulla della sorte del<br />

Duce - doveva guidarlo?<br />

I tedeschi tergiversavano: “Non ci si voleva compromettere sia circa la forma da dare al nuovo<br />

governo, sia circa colui o coloro che dovevano rappresentarlo”[1][20], ricorda <strong>Evola</strong>. Farinacci<br />

propose di assumere questa responsabilità, ma <strong>un</strong> progetto, forse del generale Wolff,<br />

ipotizzava “<strong>un</strong> regime amministrativo neutro, apolitico, per la tutela dell’ordine, della sicurezza e<br />

del corso normale della vita nel territorio italiano non occupato [dagli Alleati], nel quale le sole<br />

truppe tedesche avrebbero dovuto continuare a combattere”[1][21], dato che si riteneva che la<br />

popolazione, stanca della guerra, non avrebbe accolto bene, eccetto che per <strong>un</strong>a parte<br />

minoritaria, <strong>un</strong> governo dichiaratamente fascista per di più imposto dai tedeschi.<br />

Così venne convocato a Rastenburg Giuseppe Tassinari, che era stato prima<br />

sottosegretario all’Agricoltura e Foreste e alla Bonifica Integrale, e poi ministro nello stesso<br />

dicastero dal 31 ottobre 1939, e che era considerato <strong>un</strong> “tecnico” competente e onesto, per<br />

preparare <strong>un</strong>a lista di membri di <strong>un</strong> “governo neutro”, che però venne definita<br />

“insoddisfacente” perché, a giudizio di Hitler, priva di personalità che in qualche modo<br />

indicassero <strong>un</strong>a continuità ideale con il fascismo[1][22].<br />

Secondo Attilio Tamaro sarebbero girati “quattro progetti tra la Prussia Orientale e<br />

Roma”[1][23] su chi avrebbe dovuto guidare il nuovo governo fascista: i nomi erano quelli<br />

di Preziosi appoggiato da Rosenberg, di Farinacci raccomandato da Goebbels, di Pellegrini<br />

Giampietro proposto dai fascisti di Roma, e quindi di Tassinari, nel cui esecutivo avrebbe<br />

dovuto esserci anche Buffarini Guidi, candidato di Himmler.<br />

Si discuteva anche sulla forma istituzionale da dare allo Stato: monarchia o repubblica?<br />

Se ne parlava soprattutto fra quel gruppetto di “irriducibili” ri<strong>un</strong>iti nelle carrozze del<br />

“treno immobile”, fermo sui binari morti della stazione di Rastenburg. Ricorda <strong>Julius</strong><br />

<strong>Evola</strong>: “Nelle l<strong>un</strong>ghe ore passate sul ‘treno immobile’ presso il Quartier Generale di Hitler prima<br />

che Mussolini venisse liberato, spesso si era discusso col figlio Vittorio, con Pavolini e con Preziosi<br />

sul problema istituzionale. Il mio p<strong>un</strong>to di vista era che ogni processo contro la persona del<br />

rappresentante di <strong>un</strong> principio non deve mai essere esteso al principio in se stesso; se mai, a chi


scarta va sostituito chi sia all’altezza del principio. Mi ricordo che Vittorio Mussolini mi chiese<br />

allora, se per far sussistere il principio monarchico volevo forse che suo padre si proclamasse re. Non<br />

questo - risposi - ma si può dichiarare decaduto per fellonia il ramo regnante dei Savoia, proclamare<br />

la reggenza, costituire, per intanto, la semplice dignità di capo di <strong>un</strong>o Stato antidemocratico e<br />

antimarxista, più o meno come avevano fatto Horthy e Franco”[1][24].<br />

Mentre il ministro Tassinari si accingeva a stendere <strong>un</strong>a seconda lista di ministri, gi<strong>un</strong>se a<br />

Rastenburg la notizia che tutti attendevano: “La notizia, se ben ricordo, ci gi<strong>un</strong>se la sera del 13<br />

settembre”, ricorda ancora <strong>Evola</strong>. “Mussolini telefonava da Vienna, dove era stato trasportato in<br />

aereo subito dopo la sua liberazione ad opera di Skorzeny[1][25]. Disse che era molto stanco e che<br />

avrebbe passato la notte in quella città, ma che il giorno dopo sarebbe venuto al Quartier Generale<br />

di Hitler. Qui, egli effettivamente gi<strong>un</strong>se l’indomani, verso le 7 di sera. Chiamò subito a sé il figlio<br />

Vittorio. Un’ora dopo fece chiamare tutti noi, il gruppo del ‘treno immobile’, i primi fascisti che<br />

vedeva dopo la liberazione. Ci ricevette <strong>nella</strong> baracca destinata da Hitler agli Hohe Gaeste, cioè agli<br />

ospiti di rango. Aveva ancora l’abito civile, ordinario e sciatto, con <strong>un</strong>a cravatta tutta intorcinata,<br />

che indossava a Campo Imperatore. Il suo volto era abbronzato, e a tutta prima rifletteva qualcosa,<br />

come meraviglia mista a esaltazione”[1][26].<br />

Sette anni dopo questa descrizione, in <strong>un</strong> articolo, <strong>Evola</strong> aggi<strong>un</strong>ge qualche altro particolare<br />

sull’aspetto del Duce: “Aveva ancora indosso gli abiti borghesi sgualciti che portava al momento<br />

della sua liberazione al Gran Sasso: ricordo le scarpe pesanti e sporche e <strong>un</strong>a cravatta tutta<br />

attorcigliata. Aveva <strong>un</strong>a certa speciale luce, <strong>un</strong>a esaltazione febbrile negli occhi”[1][27].<br />

La differenza di <strong>un</strong> giorno circa l’arrivo di Mussolini a Rastenburg nei ricordi di <strong>Evola</strong><br />

lascia lo spazio al tempo per <strong>un</strong>a tappa in più, come in realtà avvenne. In quel momento<br />

<strong>Evola</strong> e gli altri potevano peraltro non saperlo[1][28], forse anche perché a quanto pare<br />

Mussolini non lo disse (almeno nelle parole ricordate dal filosofo), ma <strong>nella</strong> mattinata del<br />

13 settembre il Duce era stato trasportato sempre in aereo da Vienna a Monaco, dove<br />

aveva incontrato prima la moglie Rachele e in figli Romano e Anna Maria, quindi la figlia<br />

Edda e il genero Galeazzo, <strong>un</strong>o dei responsabili del 25 luglio.<br />

Il giorno dopo, 14, vola ancora su <strong>un</strong> Heinkel da Monaco a Rastenburg dove ha <strong>un</strong> l<strong>un</strong>go<br />

colloquio con Hitler, presente anche Goebbles, prima d’incontrare verso le 20 il gruppo del<br />

“treno immobile”. É in questa occasione che Mussolini, “inasprita l’angoscia dell’animo anche<br />

dalla grande debolezza fisica, si piegò dinanzi ai ragionamenti sensibilmente ricattatori del Führer.<br />

E con la coscienza di avviarsi ad <strong>un</strong> calvario per salvare quant’era salvabile e per fare della sua<br />

persona schermo all’Italia occupata, accettò quanto non molto prima gli era sembrata la più grande<br />

delle umiliazioni, cioè la ripresa del governo con l’appoggio tedesco”[1][29].<br />

D<strong>un</strong>que, prima dell’incontro con il gruppetto di “fascisti” già tutto era stato deciso[1][30].<br />

Il Duce ignorava pressoché ogni cosa dei “quarantacinque giorni di Badoglio”, tanto che<br />

faceva riferimento, scrive <strong>Evola</strong>, a persone che riteneva fedelissime e che invece erano<br />

state le prime a cambiare bandiera.<br />

”Poi Mussolini formulò in sintesi il suo programma, in tre p<strong>un</strong>ti: primo, regolare i conti con Casa<br />

Savoia; secondo, ricostruire l’esercito (io non potei fare a meno di dirgli, interrompendolo: ‘Ma la<br />

flotta non tornerà più’, al che egli, con <strong>un</strong> certo pathos, esclamò: ‘Ah, la mia flotta!’); terzo, il<br />

problema sociale”[1][31].


Il Duce era stato rassicurato da Hitler sulle sorti della guerra, aveva avuto notizia delle<br />

“armi segrete”: “Credeva che la partita non fosse ancora perduta”[1][32]. Quando Mussolini<br />

congedò il gruppo che lo aveva accolto in quella landa della Prussia Orientale, i suoi componenti si<br />

ritrovarono “in <strong>un</strong>o stato d’animo inimmaginabile, brindando e festeggiando, prima di tornare al<br />

nostro treno immobile. Come ricordo”, scrive il filosofo, “conservo il foglio di copertura di <strong>un</strong>a<br />

scatola di sigari cubani offertici là quella sera, su cui sono segnate le firme di tutti - manca solo<br />

quella di Farinacci, che il Duce prese in disparte”[1][33].<br />

Questo storico documento, di proprietà della Fondazione “<strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong>”, reca sul recto a<br />

matita la data “14 sett. Rastenburg” con l’inconfondibile calligrafia del filosofo, e sul verso,<br />

dall’alto in basso, le seguenti firme: Giovanni Preziosi; il nome poco decifrabile di <strong>un</strong><br />

tenente tedesco del Battaglione personale del Fuehrer; Alessandro Pavolini; Orio<br />

Ruberti (era il fratello della vedova di Br<strong>un</strong>o Mussolini); Cesare Rivelli; Ugo Valla;<br />

Angelo Vecchio Verderame; J.<strong>Evola</strong>; A.Zinay (?); Vittorio Mussolini; Renato Ricci. Per<br />

amor di precisione si può aggi<strong>un</strong>gere che la marca dei sigari cubani è la “Walter E.Beyer -<br />

Zigarrenfabriken - Berlin”.<br />

Il giorno dopo, 15 settembre, Mussolini consegnò il primo ordine del giorno[1][34] da<br />

trasmettere per radio: in esso si proclamava la Repubblica: “Per la storia”, ricorda <strong>Evola</strong>,<br />

“potrà interessare la testimonianza che tale grave decisione istituzionale fu presa direttamente da<br />

Mussolini senza consultarsi con ness<strong>un</strong>o. Infatti, come ho detto, gli <strong>un</strong>ici italiani che vide<br />

gi<strong>un</strong>gendo al Quartier Generale di Hitler fummo noi. Dopo che lo lasciammo non vide ness<strong>un</strong><br />

altro”[1][35], e aggi<strong>un</strong>ge in seguito: “almeno degli italiani”[1][36].<br />

Ma la decisione, come si è visto, era stata in realtà già stata presa... Evidente il disapp<strong>un</strong>to<br />

e l’amarezza del filosofo: le sue idee in merito erano note, e quindi anche i suoi giudizi su<br />

<strong>un</strong>a “decisione istituzionale” definita “grave” e le sue successive considerazioni, non<br />

devono stupire più di tanto. Scriverà sei anni dopo la pubblicazione degli articoli su “Il<br />

Popolo italiano” <strong>nella</strong> sua autobiografia spirituale: “Per me ciò rappresentava <strong>un</strong>a svolta<br />

negativa e deprecabile. Ancora <strong>un</strong>a volta il comportamento non degno da parte dell’esponente di<br />

<strong>un</strong>a data istituzione (qui, della monarchia), offrì il pretesto per il processo non contro<br />

quell’esponente quale persona, ma contro l’istituzione, con <strong>un</strong>a conseguente lesione del sistema (...)<br />

Quasi come nei casi psicanalitici di <strong>un</strong>a regressione dovuta a <strong>un</strong> trauma, lo shock che ebbe<br />

Mussolini pel tradimento del Sovrano fece riemergere in lui le tendenze socialistoidi e repubblicane<br />

del suo primo periodo”[1][37].<br />

Di fronte a questa delusione, l’ennesima peraltro della sua esperienza fascista, che cosa<br />

fece <strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong>?<br />

Semplicemente continuò - pur con riserve di fondo - l<strong>un</strong>go la strada intrapresa, seguendo<br />

la massima orientale del “fare quel che doveva essere fatto” esposta <strong>nella</strong> Bhagavad-gita, e da<br />

lui teorizzata sin da Rivolta contro il mondo moderno (1934) e poi in tanti articoli pubblicati<br />

su giornali e riviste durante la guerra.<br />

Una decisione definitiva la prese rientrato a Roma.<br />

Infatti, il 17 settembre, dopo che Pavolini - nominato il giorno prima dal Duce segretario -<br />

era stato inviato <strong>nella</strong> capitale per riorganizzare il Partito Fascista Repubblicano, anche il<br />

resto del gruppo partì: in aereo raggi<strong>un</strong>se Monaco - dove erano altri esponenti fascisti, tra<br />

cui Buffarini Guidi, liberati dai tedeschi dal Forte Boccea a Roma dove erano stati rinchiusi<br />

e trasportati in Germania il 13 e il 14 settembre - e da lì, <strong>Evola</strong> ed altri, con <strong>un</strong> ormai


antiquato trimotore Ju-52, ripartirono per Roma, scendendo all’aeroporto di Guidonia,<br />

dato che tutti gli altri erano inagibili, presidiato da pochissimi soldati tedeschi. Era ormai<br />

la sera del 17. Il filosofo aveva il compito “di mettere al sicuro a Napoli <strong>un</strong>a parte<br />

dell’archivio segreto di Preziosi, prima che la città venisse occupata”[1][38].<br />

<strong>Evola</strong> non ha mai detto di più e non sappiamo nulla di questa “missione”: fece <strong>un</strong><br />

tentativo? non lo fece? e se lo fece che esiti ebbe?<br />

La situazione militare era questa: sin dal 16 settembre il generale Kesselring, per evitare di<br />

essere accerchiato, aveva dato l’ordine di ripiegamento del fronte, mentre il presidio<br />

tedesco di Napoli cominciò dal 26 settembre a ritirarsi <strong>un</strong> poco alla volta dalla città, dove<br />

gli angloamericani entrarono il 1° ottobre, senza che peraltro si fosse verificata quella<br />

diffusa ed ampia insurrezione a carattere popolare durata ben quattro giorni (al massimo<br />

furono <strong>un</strong>o e mezzo) di cui ancora si parla, come è stato documentato dati storiografici e<br />

cronachistici non smentiti né smentibili alla mano[1][39].<br />

Il tempo a disposizione di <strong>Evola</strong> era a conti fatti <strong>un</strong>a settimana (e certo non poteva esserne<br />

consapevole): molto difficile, se non quasi impossibile, di conseguenza, raggi<strong>un</strong>gere il<br />

capoluogo campano, anche se non sappiamo, né potremmo mai sapere, se mai <strong>Evola</strong><br />

compì <strong>un</strong> tentativo per raggi<strong>un</strong>gere in qualche modo Napoli: <strong>un</strong>’indicazione non verificata<br />

né verificabile parla del suo arrivo (venendo da Roma o tornando da Napoli?) a Domicella,<br />

presso Nola, negli ultimi giorni del mese, ma non è stato assolutamente possibile<br />

riscontrala. Resterà d<strong>un</strong>que il dubbio.<br />

Sta di fatto che diversi esponenti del fascismo napoletano, che erano gi<strong>un</strong>ti <strong>nella</strong> capitale<br />

per partecipare il 1° ottobre alla manifestazione del Teatro “Adriano” dove parlò il<br />

generale Graziani, rimasero tagliati fuori per lo spostamento del fronte e separati dalle<br />

famiglie che avevano lasciato in città o nei paesi vicini: tra essi l’avvocato Francesco<br />

Saverio Siniscalchi, ultimo federale di Napoli (marzo-luglio 1943), che avrebbe voluto<br />

partire il 2 ottobre per portare viveri alla popolazione e che dovette rin<strong>un</strong>ciare all’intento<br />

perché la radio diede la notizia dell’occupazione di Napoli[1][40].<br />

A tutt'oggi, com<strong>un</strong>que, non si conosce esattamente che fine abbia fatto, <strong>nella</strong> sua interezza,<br />

questo famoso e misterioso “archivio segreto”, mentre si sa che almeno dodici casseforti di<br />

color verde (di cui due manomesse) contenenti i fascicoli dei massoni italiani, dopo <strong>un</strong><br />

viaggio di venti mesi, gi<strong>un</strong>sero all’inizio dell’aprile 1945 a <strong>De</strong>senzano sul Garda, dove<br />

Preziosi aveva i suoi uffici[1][41].<br />

A Roma, con <strong>un</strong>a Repubblica Sociale già proclamata e <strong>nella</strong> sostanza operante (Mussolini<br />

avrebbe trasmesso da Radio Monaco il suo famoso discorso il giorno dopo, 18<br />

settembre)[1][42], che cosa poteva fare <strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong>, aristocratico, monarchico e<br />

<strong>tradizionalista</strong>?<br />

“A Roma riflettei sul meglio da farsi. Sull’esito della guerra, non essendovi purtroppo dei dubbi,<br />

erano chiare le possibilità che si offrivano a coloro che appartenevano ad <strong>un</strong>a migliore Italia:<br />

combattere sino alla fine, malgrado tutto, con la speranza di non sopravvivere, ovvero preparare<br />

qualcosa che potesse sussistere dopo la guerra in <strong>un</strong>a più o meno celata continuità rispetto ai<br />

principi fondamentali dello Stato fascista (...) Per temperamento, sarei stato maggiormente portato<br />

alla prima alternativa. Ma <strong>un</strong>a considerazione più fredda mi faceva chieder se quella fosse la linea<br />

per il migliore impiego delle mie possibilità”[1][43].


La conclusione, di fronte alla “grave” scelta istituzionale di Mussolini, che era il dato di<br />

fatto con cui bisognava confrontarsi, fu: “Mentre aderivo assolutamente al lato militare,<br />

combattentistico e legionario del fascismo di Salò, non potevo non nutrire delle riserve circa<br />

l’aspetto soltanto politico, repubblicano e ‘sociale’ di esso”[1][44].<br />

Atteggiamento meglio precisato sei anni dopo la pubblicazione degli articoli del Popolo<br />

italiano: “Io non mi sentii d<strong>un</strong>que di seguire il ‘fascismo di Salò’ in quanto ideologia, pur non<br />

potendo non tributare il mio riconoscimento al lato combattentistico e legionario di esso, alla<br />

decisione di centinaia di migliaia di italiani di mantenersi fedeli all’alleato e di continuare la guerra<br />

- come il re e Badoglio avevano mendacemente dichiarato subito dopo il 25 luglio - pur sapendo di<br />

combattere su posizioni perdute, affinché almeno l’onore fosse salvo. Nella storia dell’Italia postromana,<br />

<strong>un</strong> tale fenomeno era quasi <strong>un</strong>ico”[1][45].<br />

Che cosa fece <strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong> negli otto mesi e poco più di Roma “città aperta”?<br />

Non fu certo <strong>un</strong> “attendista”, guardò al futuro, al “dopo catastrofe”, anche se <strong>un</strong>a delle<br />

prime cose cui pensare era la propria sopravvivenza quotidiana. Sino al 25 luglio il filosofo<br />

era stato quello che oggi si definirebbe <strong>un</strong> freelance: oltre a scrivere e pubblicare libri e a<br />

tenere conferenze, aveva <strong>un</strong>’intensissima attività giornalistica che gli consentiva di vivere.<br />

Scriveva su quotidiani e mensili di molteplici argomenti, dal resoconto di viaggio alla<br />

recensione, dal saggio teorico al commento contingente, dall’analisi di costume alla<br />

polemica politica. In più, dal luglio 1941, aveva ottenuto <strong>un</strong>a “collaborazione esterna” con<br />

il Ministero della Cultura Popolare con l’incarico di revisore di testi e di autore di articoli<br />

che venivano passati a giornali e riviste.<br />

In seguito, Pavolini lo assegnò all’Ufficio Studi e Propaganda sulla Razza.<br />

Infatti, dopo l’incontro con Mussolini a Palazzo Venezia, il 12 settembre 1941, nel corso del<br />

quale il Duce avallò le tesi evoliane di <strong>un</strong> razzismo spirituale e non biologico in seguito<br />

alla lettura del suo Sintesi di dottrina della razza (Hoepli, 1941)[1][46], il filosofo, in <strong>un</strong>a<br />

lettera del 13 settembre al prefetto Luciano del gabinetto del Ministro, notava come “su<br />

questa base è naturale che si potrà sempre più sviluppare ed ampliare la mia collaborazione col<br />

Vostro Ufficio razza”[1][47].<br />

In <strong>un</strong> “App<strong>un</strong>to al Duce” del 14 settembre si legge: “Allo scopo di sviluppare ed ampliare la<br />

collaborazione di <strong>Evola</strong> al dipendente Ufficio Studi e Propaganda sulla Razza, si è pensato di<br />

affidargli <strong>un</strong> incarico fisso e continuativo presso l’Ufficio stesso. Si sottopone alle alte<br />

determinazioni del Duce la proposta di corrispondergli perciò <strong>un</strong> assegno mensile di lire 2 mila”.<br />

Sotto, <strong>un</strong> “sì” a matita e la caratteristica “M”[1][48].<br />

Ma dopo il 25 luglio l’Ufficio Razza venne soppresso e inutilmente <strong>Evola</strong> il 4 e il 9 agosto<br />

scriveva alla Sezione amministrativa dell’Ufficio stesso di non aver percepito il suo<br />

stipendio e precisava: “Aggi<strong>un</strong>go che l’assegno corrispostomi non aveva carattere di semplice<br />

sovvenzione, ma si legava ad incarichi e a lavori da me effettivamente eseguiti”, ricordando che<br />

egli “traeva le sue principali risorse dal giornalismo”[1][49].<br />

Ma <strong>un</strong>a lettera del’Ufficio del Personale e degli Affari Generali del Ministero del 30 agosto,<br />

e quindi pervenuta all’indirizzo di <strong>Evola</strong> quando questi era ormai in viaggio per la<br />

Germania o vi era già arrivato, com<strong>un</strong>icava che per la soppressione dell’Ufficio Razza “é<br />

venuta meno la possibilità per questa Amministrazione di avvalersi ulteriormente della sua<br />

collaborazione. Ella dovrà pertanto intendersi esonerato dal servizio a decorrere dal 15 settembre<br />

p.v.”[1][50].


Con la nascita della Repubblica Sociale le cose cambiano.<br />

Mussolini torna in Italia e ri<strong>un</strong>isce il primo consiglio dei ministri alla Rocca delle Caminate<br />

il 26 settembre: al Ministero della Cultura Popolare va Ferdinando Mezzasoma e in <strong>un</strong><br />

“app<strong>un</strong>to” anonimo e non datato su carta non intestata si può leggere fra l’altro: ”Qui si<br />

chiede che l’assegno venga reintegrato, facendo presente come esso in origine non si legasse<br />

<strong>un</strong>ilateralmente all’incarico presso l’Ufficio razza, ma, anche a non volerlo considerare <strong>nella</strong><br />

categoria di quelli che si concedono a varie personalità della cultura senza titolo preciso, si riferisce<br />

ad <strong>un</strong>a generica utilizzabilità dell’<strong>Evola</strong>. In secondo luogo, si chiede che la cifra di questo assegno,<br />

fissata anni or sono e quindi in <strong>un</strong>a situazione finanziaria diversa, sia elevata a L.3500, dato che<br />

allo stato attuale gli <strong>un</strong>ici proventi dell’E., di carattere giornalistico, sono bloccati e che egli, per<br />

seguire il Governo in altre sedi e per i vari in carichi che gli sono via via affidati, ha da affrontare<br />

particolari spese. Già l’Eccellenza Pavolini aveva dato assicurazione che, non appena organizzatosi<br />

il nuovo governo, il caso sarebbe stato sistemato. E dall’Eccellenza Pavolini lo stesso ministro<br />

Mezzasoma è stato informato circa l’attitudine e l’attività dell’E. durante l’interregno”[1][51] (vale<br />

a dire i “quarantacinque giorni” badogliani).<br />

Collaborazione e stipendio vengono ripristinati, come risulta da <strong>un</strong> altro app<strong>un</strong>to a mano,<br />

il 23 settembre e com<strong>un</strong>icati il successivo 14 ottobre con <strong>un</strong>a “raccomandata a mano<br />

urgentissima” su carta intestata del Ministero della Cultura popolare che peraltro ha<br />

ancora impresso lo stemma dei Savoia contornato dai fasci, “a condizione”, vi si legge, “che<br />

forniate la Vostra collaborazione a questo Gabinetto, secondo le intese verbali”[1][52].<br />

La situazione però si complica.<br />

Una lettera del Capo di Cabinetto del ministro Mezzasoma, Gilberto Bernabei, datata<br />

“Quartier Generale, 7 novembre 1943”, fa ad <strong>Evola</strong> <strong>un</strong>a richiesta che non era possibile<br />

assolvere: “Circa la vostra utilizzazione, il Ministro vi ha già scritto di venire su, che per la<br />

retribuzione ci metteremo d’accordo. Intanto gli articoli potrete mandarli a me, tramite gli uffici di<br />

Roma”[1][53].<br />

“Su” voleva dire evidentemente il Nord Italia, Milano, il lago di Garda, per l’esattezza Salò<br />

dove era stato ubicato il Minculpop. Ma gli interessi di <strong>Evola</strong>, come si sa, erano ben altri e<br />

presupponevano ancora la sua presenza <strong>nella</strong> capitale.<br />

In <strong>un</strong> “app<strong>un</strong>to” del 15 novembre si legge che l’interessato “fa presente che, per ragioni<br />

contingenti, non può per il momento trasferirsi al Nord e chiede, pertanto, di poter continuare a<br />

Roma la sua collaborazione”[1][54].<br />

La risposta di Mezzasoma è negativa: in <strong>un</strong>a lettera indirizzata personalmente a <strong>Evola</strong> con<br />

l’intestazione del Ministero, ma in cui questa volta lo stemma Savoia è cancellato a penna,<br />

il 28 novembre lo si informa che “l’Ecc. il Ministro è spiacente di non poter aderire alla vostra<br />

richiesta (...) Pertanto, a decorrere dal corrente mese dovrà essere sospesa la corresponsione<br />

dell’assegno a vostro favore”[1][55].<br />

Pochi giorni dopo, il 1° dicembre, il nuovo Stato fascista assumerà il nome ufficiale di<br />

“Repubblica Sociale Italiana”. Quali fossero le “ragioni contingenti” che impedivano a<br />

<strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong> di trasferirsi a Nord, lo si sa: quel suo guardare al “dopo” cui si è accennato in<br />

precedenza. Riprendere, cioè, l’idea coltivata nei “quarantacinque giorni” badogliani,<br />

quella di mettere su <strong>un</strong>a organizzazione che si rifacesse ad <strong>un</strong>a <strong>De</strong>stra ideale e politica<br />

depurata da tutte le scorie ritenute ormai inapplicabili e che avevano dimostrato i loro<br />

limiti il fatidico 25 luglio.


“Si trattava cioè di creare il germe di <strong>un</strong> movimento di <strong>De</strong>stra capace di sopravvivere alla crisi e di<br />

assumere successivamente la forma di <strong>un</strong> ‘partito’”[1][56], spiega, per poi in seguito precisare:<br />

“Il movimento nel dopoguerra avrebbe dovuto assumere la forma di <strong>un</strong> partito e assolvere <strong>un</strong>a<br />

f<strong>un</strong>zione analoga a quella che il Movimento Sociale Italiano doveva concepire per se stesso: però con<br />

<strong>un</strong> più preciso orientamento tradizionale e di <strong>De</strong>stra, senza riferimenti <strong>un</strong>ilaterali al fascismo e con<br />

<strong>un</strong>a precisa discriminazione, nel fascismo, dei lati positivi da quelli negativi”[1][57].<br />

E, infatti, nonostante le incomprensioni e le delusioni, a partire dal 1949, anno in cui <strong>Evola</strong><br />

ricominciò a scrivere (inizialmente con lo pseudonimo di “Arthos”, già usato in<br />

precedenza soprattutto per La Vita italiana) sulla stampa cosiddetta “neofascista”, tutta la<br />

sua attività pubblicistica e di autore di libri, è stata orientata in questa direzione[1][58].<br />

Che peraltro si poneva come logico proseguimento, anche se in <strong>un</strong> contesto<br />

profondamente diverso, dell’azione culturale e ideologica di <strong>Evola</strong> durante il fascismo, e<br />

che così egli riassume all’inizio dei suoi ricordi: “Io non avevo mai coperto cariche ufficiali nel<br />

fascismo: senza essere nemmeno iscritto al partito, avevo svolto <strong>un</strong>’azione sul piano della dottrina<br />

per propiziare e sviluppare tutto ciò che nel movimento di ricostruzione italiana poteva prender<br />

forma nel senso di <strong>un</strong>a <strong>De</strong>stra assoluta e tradizionale di orientamento ‘ghibellino’”[1][59].<br />

Di certo il filosofo non ebbe mai, e nemmeno accettò, “cariche ufficiali”, ma spesso la sua<br />

posizione in varie occasioni politiche e culturali, in Italia e all’estero, è da considerarsi<br />

quantomeno ufficiosa a causa dei suoi rapporti, pur in totale indipendenza, con ambienti<br />

ministeriali e con personalità di spicco del fascismo (da Farinacci a Bottai).<br />

Il nome scelto per questo progetto a l<strong>un</strong>ga scadenza fu “Movimento per la Rinascita<br />

dell’Italia” e ad esso diedero la loro disponibilità varie, importanti figure che il fascismo<br />

aveva messo in disparte, fra le quali <strong>Evola</strong> cita soltanto il senatore Carlo Costamagna,<br />

teorico del corporativismo e animatore del mensile Lo Stato di cui egli era stato stretto<br />

collaboratore, e l’ex sottosegretario all’Educazione Nazionale Balbino Giuliano. Venne<br />

redatto <strong>un</strong> programma che fu stampato in forma di opuscolo e distribuito. Con il<br />

“Movimento” entrò in contatto <strong>un</strong> gruppo che possedeva radio clandestine ed era in<br />

collegamento con elementi del fascismo che operavano nel Sud occupato dagli Alleati.<br />

Lo stesso <strong>Evola</strong>, tramite l’SD, era in rapporti con il settimanale satirico Il Pasquino che i<br />

tedeschi avevano rifornito di carta e di gruppi elettrogeni: in prospettiva lo scopo era di<br />

stampare <strong>un</strong> quotidiano, come organo del “Movimento”, <strong>un</strong>a volta che gli angloamericani<br />

fossero entrati a Roma. Infatti, in tal caso proprio <strong>Evola</strong> sarebbe dovuto rimanere <strong>nella</strong><br />

capitale “in rapporto con elementi della cosiddetta Inez che avrebbero mantenuto il collegamento<br />

col Nord”[1][60], senza problemi - gli era stato assicurato - di essere scoperto ed arrestato.<br />

Ma, “sembra anche per <strong>un</strong> tradimento”[1][61], dato che “forse non pochi facevano il doppio<br />

gioco”[1][62], tutto ciò non potè realizzarsi.<br />

Era <strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong> <strong>un</strong> vero e proprio “agente” del Sicherheitsdienst, l’SD, il “Servizio di<br />

spionaggio” delle SS, come afferma Christophe Boutin[1][63]?


I contatti ed i rapporti del filosofo con questi ambienti sono incontestabili e per nulla<br />

nascosti, dato che egli ne parla liberamente nei suoi ricordi e in altre opere, ma con ogni<br />

evidenza si trattò di <strong>un</strong> tipo di collaborazione pragmatica, che si basava anche su amicizie<br />

personali, e non organica, considerando soprattutto l’ostilità che altri settori delle SS, ad<br />

esempio l’Ahnenerbe ed il suo direttore Wüst, o Heydrich il potente capo della RSHA,<br />

avevano manifestato nei confronti delle sue idee anche se non esplicitamente, avendo alla<br />

fine l’avallo dello stesso Himmler per specifiche contromisure[1][64].<br />

In realtà, a differenza di quel che com<strong>un</strong>emente si ritiene confondendo i vari dipartimenti<br />

e uffici delle SS, spesso in contrasto se non in lotta fra loro, che vengono <strong>un</strong>ificati sotto <strong>un</strong><br />

identico giudizio emotivo demonizzante, l’SD non era (come si limita a credere anche<br />

Boutin[1][65]) <strong>un</strong> vero e proprio servizio di spionaggio impegnato in f<strong>un</strong>zioni repressive e<br />

magari anche omicide, ma aveva altri incarichi, perlopiù di indagine culturale, anche fuori<br />

dell’ordinario, come esattamente scrive <strong>un</strong> serio specialista inglese dell’argomento: “I suoi<br />

membri compivano studi dettagliati sul com<strong>un</strong>ismo, sull’ebraismo, sulla dottrina della supremazia<br />

papale, sulla massoneria, sull’astrologia, sulle sette religiose e in genere sulle forze di opposizione.<br />

Si occupavano non tanto di problemi reali e urgenti di sicurezza, quanto di questioni di natura<br />

ideologica”[1][66]. Le loro ricerche erano ritenute così eterodosse ed astratte che, nota<br />

Lumsden, “allo scoppio della guerra, molti membri del SD erano divenuti lo zimbello dei loro<br />

colleghi della Sipo [Sicherheitspolizei, la Polizia di Sicurezza], impegnati <strong>nella</strong> lotta giornaliera<br />

contro criminali, sabotatori e nemici attivi dello Stato”[1][67].<br />

In seguito, nel 1939, l’SD venne incorporato nel Reichssicherheitshauptamt, l’RSHA,<br />

l’Ufficio centrale per la sicurezza del Reich con a capo, come si è ricordato, Reinhard<br />

Heydrich.<br />

Lo stesso <strong>Evola</strong> ricorda che l’SD “in origine avrebbe dovuto svolgere anche attività culturali e di<br />

controllo culturale (dichiarazione di Himmler del 1937). Se in seguito l’SD si sviluppò in diverse<br />

direzioni, compreso il controspionaggio, il suo Ufficio VII mantenne quel carattere e dell’SD fecero<br />

parte anche seri studiosi e professori”[1][68]. Da parte sua Robin Lumsden, in <strong>un</strong>a dettagliata<br />

ricostruzione di queste strutture, conferma che l’attività dell’Amt VII, diretto dall’SS-<br />

Oberführer professor Franz Six, era nell’ambito della “ricerca ideologica”[1][69]. Difficile<br />

d<strong>un</strong>que che <strong>Evola</strong> abbia fornito vere e proprie informazioni politiche o addirittura di tipo<br />

militare, come ritiene Boutin[1][70], ipotesi su cui non concordano Baillet[1][71] e<br />

Hansen[1][72], quanto piuttosto che la collaborazione fosse app<strong>un</strong>to sul piano dei com<strong>un</strong>i<br />

interessi ideologici e culturali. <strong>De</strong>l resto, il livello “pratico” su cui <strong>Evola</strong> si mosse, o cercò<br />

di muoversi, a Roma dopo il 25 luglio e dopo l’8 settembre si basa esattamente su tali<br />

presupposti e prevede simili prospettive.<br />

Gli Alleati, d<strong>un</strong>que, entrarono a Roma il 4 giugno 1944: “Appena qualche ora dopo uomini<br />

del loro servizio segreto furono così cortesi da affrettarsi a farmi <strong>un</strong>a visita”[1][73], ricorda <strong>Evola</strong><br />

con <strong>un</strong> tono smagato che certo non corrisponde al tumultuoso succedersi degli eventi.<br />

“Con rara presenza di spirito, la mia vecchia madre[1][74] seppe trattenerli. Quando li lasciò<br />

entrare, per lo stesso uscio uscii senza che se ne accorgessero”[1][75]. Cosa non impossibile<br />

conoscendo l’appartamento romano del filosofo all’ultimo piano di Corso Vittorio<br />

Emanuele 197: l’ingresso infatti dava su <strong>un</strong> piccolo corridoio orizzontale dove, spostata<br />

sulla destra, si apriva la porta del suo studio, mentre quasi di fronte, <strong>un</strong> po’ sulla sinistra,<br />

si apriva la porta della sala da pranzo.


Evidentemente, gli agenti alleati vennero fatti entrare <strong>nella</strong> sala da pranzo, in modo che il<br />

ricercato, forse già nello studio, potesse uscire non visto.<br />

Che fare a questo p<strong>un</strong>to?<br />

Dopo essersi consultato con amici, <strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong> decise di raggi<strong>un</strong>gere a piedi le truppe<br />

tedesche che si ritiravano dalla capitale verso Nord. In <strong>un</strong> viaggio che assomiglia a quello<br />

intrapreso da Ezra Po<strong>un</strong>d dopo l’8 settembre, il filosofo passò attraverso le truppe<br />

americane e poi francesi: “Dopo <strong>un</strong>a marcia estenuante avvistai <strong>un</strong>a pattuglia tedesca di<br />

retroguardia. L’ultima avventura fu l’essere sospettato come spia da <strong>un</strong> comando tedesco di<br />

divisione a cui avevo chiesto <strong>un</strong> mezzo per raggi<strong>un</strong>gere immediatamente gli elementi dell’SD.<br />

L’incontro con <strong>un</strong> maggiore con cui avevo com<strong>un</strong>i conoscenze a Berlino risolse la situazione.<br />

Raggi<strong>un</strong>ta Verona, ebbi la ventura di incontrarvi proprio la persona su cui, per tutto questo<br />

insieme, più potevo contare. E ciò decise l’orientamento della mia successiva attività”[1][76].<br />

Qui termina la testimonianza diretta di <strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong>.<br />

Con parole abbastanza enigmatiche, si deve dire: chi era questa misteriosa “persona”, il<br />

cui casuale incontro “decise l’orientamento della successiva attività”?<br />

Quali intenzioni aveva il filosofo sino a quel momento?<br />

Che cosa esattamente si proponeva e cosa poi fece?<br />

Da chi venne ospitato e per quanto tempo?<br />

Pochissimi sono gli elementi che si hanno per rispondere a queste domande cruciali: i dieci<br />

mesi sino all’aprile 1945 sono infatti i più oscuri <strong>nella</strong> vita e <strong>nella</strong> attività di <strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong> e<br />

dei quali poco si può, allo stato attuale, ricostruire, anche perchè, quando s’iniziarono<br />

delle ricerche serie e sul campo, ormai i superstiti italiani e soprattutto tedeschi di quel<br />

periodo erano scomparsi o irrintracciabili. Molte invece le illazioni, le più varie e anche le<br />

più assurde e cal<strong>un</strong>niose, ma che tali rimangono senza l’avallo di documenti precisi o<br />

testimonianze in prima persona.<br />

Un’ulteriore piccola informazione ce la fornisce Goffredo Pistoni, che aveva conosciuto<br />

<strong>Evola</strong> nel 1941 quando entrambi collaboravano alle stesse riviste: “Nel 1944 ci incontrammo<br />

alla stazione di <strong>De</strong>senzano, discendendo dallo stesso treno dopo che lui era riuscito a fuggire da<br />

Roma, attraversando la ‘linea gotica’, perchè ricercato dalla Polizia degli Alleati; il giorno seguente<br />

io ritornai a Milano e lui partì per Vienna”[1][77]. Evidentemente, da Verona <strong>Evola</strong>, forse<br />

insieme alla misteriosa “persona” cui accenna nei suoi ricordi, aveva preso la linea del<br />

Brennero che porta in Austria fermandosi sul Garda. In che mese del ‘44 questo incontro<br />

avvenne Pistoni purtroppo non lo precisa, quindi non possiamo sapere quanto tempo<br />

<strong>Evola</strong> si fermò a Verona e, di conseguenza, quando gi<strong>un</strong>se <strong>nella</strong> capitale austriaca. Certo si<br />

trattenne <strong>un</strong> po’ di tempo <strong>nella</strong> città scaligera, tanto da poter effettuare delle transazioni in<br />

denaro, come risulta da <strong>un</strong>a lettera del 2 febbraio 1946 indirizzatagli da <strong>un</strong> amico di<br />

Torino all’ospedale viennese dove era ricoverato[1][78].<br />

Circa Pistoni, che fu anche grande amico di Po<strong>un</strong>d, si può aggi<strong>un</strong>gere che a Milano diresse<br />

il settimanale della locale Federazione del PFR, Il Fascio, e che nel maggio 1949 propiziò <strong>un</strong><br />

incontro fra <strong>Evola</strong>, tornato in Italia tramite la Croce Rossa Italiana nel 1948 e quindi<br />

ricoverato in <strong>un</strong> ospedale a Bologna, e padre Clemente Rebora[1][79].


Cosa fece il filosofo a Vienna, come visse, di che cosa si occupò?<br />

Qui, “dove ero stato già chiamato”[1][80], ricorda, “ero in incognito, avevo ass<strong>un</strong>to <strong>un</strong> altro<br />

nome”[1][81]: <strong>nella</strong> capitale austriaca, nelle fasi conclusive di <strong>un</strong>a guerra decisamente<br />

perduta, “in <strong>un</strong>a diversa cerchia, si cercò di lavorare in modo analogo che a Roma”[1][82], vale a<br />

dire tentando di porre le basi per <strong>un</strong>a organizzazione che, dopo la catastrofe,<br />

riprendesse l’idea tradizionale e di <strong>De</strong>stra sotto forma di “movimento” e poi forse anche<br />

di “partito”.<br />

Evidentemente, la “cerchia” cui <strong>Evola</strong> si riferisce non poteva che essere quella dei suoi<br />

amici della “Rivoluzione Conservatrice”, cioè l’ambiente dell’economista e filosofo Othmar<br />

Spann, del quale era stato ospite varie volte negli anni precedenti in occasione dei suoi<br />

viaggi a Vienna non solo come conferenziere, e che era alquanto inviso alle SS, come<br />

risulta da documenti di recente acquisizione[1][83]. E’ assai probabile che questa “cerchia”<br />

non fosse altro che quel “circolo chiuso” fondato a Vienna alla fine degli Anni Trenta da<br />

<strong>Evola</strong> stesso e dal figlio di Othmar Spann, Rafael, e che “si chiamava Kronidenb<strong>un</strong>d [“Lega<br />

dei Cronidi”], con significativo riferimento a Crono, la divinità più importante dell’’Età<br />

dell’Oro’”[1][84].<br />

Non solo, nell’autobiografia spirituale e guida attraverso i suoi libri, <strong>un</strong>ica fonte diretta, a<br />

parte pochissime altre, degli avvenimenti di cui fu protagonista, <strong>Evola</strong> scrive: “In relazione<br />

all’accennata trasformazione interna involutiva della massoneria, mentre risiedevo a Vienna,<br />

essendo stato possibile avere a disposizione, grazie a circostanze eccezionali, <strong>un</strong> prezioso materiale<br />

difficilmente accessibile, mi ero proposto di scrivere <strong>un</strong> libro sulla Storia segreta delle società<br />

segrete. Un tale progetto non poté però essere realizzato”[1][85].<br />

<strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong> non dice di più, né ha mai detto di più, eccetto che in <strong>un</strong>a lettera indirizzata<br />

alla rivista francese Nouvelle École dove, polemizzando con Elizabeth Antébi, che lo aveva<br />

intervistato a Roma e ne aveva tracciato <strong>un</strong> ritratto non molto attendibile nel libro Ave<br />

Lucifer[1][86], fornisce <strong>un</strong>’altra limitata precisazione: “Costei dice anche che mi sono recato a<br />

Vienna allo scopo di ‘lavorare per la razza’, mentre ero stato semplicemente incaricato di studiare<br />

dei rituali massonici (peraltro non semplicemente francesi, contrariamente a quanto indica la<br />

Antébi, ma anche di molti altri paesi) e di supervedere la traduzione di alc<strong>un</strong>i testi a carattere<br />

esoterico”[1][87]. Di conseguenza tutte le speculazioni sull’argomento non sono altro che<br />

pure fantasie, app<strong>un</strong>to: chi gli consegnò il materiale, in cosa consistesse, come se lo<br />

procurò e così via.<br />

Piccoli ulteriori particolari ci gi<strong>un</strong>gono da <strong>un</strong>a testimonianza diretta, che spiega anche<br />

perchè il “progetto non potè essere realizzato” (a parte le condizioni impossibili in cui il<br />

filosofo lavorava in <strong>un</strong>a città soggetta a bombardamenti intensi, man mano accerchiata dai<br />

russi e senza alc<strong>un</strong>a speranza): “E’ probabile che <strong>Evola</strong> avesse perlomeno esaminato i documenti<br />

dell’archivio [Preziosi], della cui conoscenza ha dato testimonianza, senza dimenticare che proprio<br />

su materiale analogo, messogli a disposizione dal servizio segreto germanico, proveniente dalle logge<br />

segrete massoniche di tutta Europa, egli stava lavorando a Vienna nel 1945, per il suo libro Storia<br />

segreta delle società segrete, in cui forse l’archivio di Preziosi aveva non trascurabile importanza.<br />

<strong>Evola</strong> ci disse che tutta la documentazione relativa, contenuta in cartelle, andò perduta nel<br />

medesimo bombardamento che gli avrebbe causato la nota infermità”[1][88].


Qual era, d<strong>un</strong>que, lo scopo precipuo per cui <strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong> “era già stato chiamato” a<br />

Vienna, e quale lo scopo che si aggi<strong>un</strong>se in seguito?<br />

Lo era stato inizialmente dalla “cerchia” di Spann, oppure dagli ambienti dei “servizi<br />

segreti” con cui era da tempo in contatto?<br />

Cioè dall’SD, settore specifico delle SS?<br />

In base al poco che si sa sembrerebbe che in origine ci fosse <strong>un</strong>a richiesta dei suoi amici<br />

della Rivoluzione Conservatrice (“ero già stato chiamato”) e quindi si aggi<strong>un</strong>se<br />

l’opport<strong>un</strong>ità di esaminare le carte massoniche (“mentre risiedevo a Vienna essendo stato<br />

possibile avere a disposizione”). Quindi, tramonta l’immagine, accredita da varie fonti<br />

aprioristicamente ostili e soprattutto orecchianti, che il materiale su cui lavorava <strong>Evola</strong><br />

fosse stato razziato dalle SS agli ebrei prima di avviarli ai lager e che lo stesso filosofo,<br />

come persino è stato scritto, fosse personalmente responsabile di ciò durante il suo<br />

soggiorno viennese, quando addirittura “comandava <strong>un</strong>a formazione di<br />

Sturmtruppen”[1][89]!.<br />

Secondo H.T.Hansen questo “prezioso materiale difficilmente accessibile” potrebbe essere<br />

messo in relazione, anche se non ci sono prove certe in merito, con quanto scrive Ernst<br />

Jünger nei suoi diari in <strong>un</strong>a annotazione parigina dell’11 aprile 1943: “Conversazione su<br />

Washington Irving, Eckermann e il Principe Schwarzenberg, per iniziativa del quale a Vienna<br />

doveva esser raccolto <strong>un</strong> enorme materiale ancora inedito, sulle società segrete europee”[1][90].<br />

Forse si trattava del materiale prelevato delle sedi parigine dell’Archivio Rotschild e della<br />

Alliance Israélite Universelle di cui parla Giovanni Preziosi nelle righe conclusive del suo<br />

memoriale a Mussolini del 31 gennaio 1944[1][91].<br />

Rimangono ancora degli aspetti irrisolti del periodo viennese del filosofo: dove abitò?<br />

Quando avvenne il bombardamento in cui rimase coinvolto?<br />

In quale ospedale fu ricoverato?<br />

Tutte domande alle quali sarà assai difficile rispondere.<br />

Circa l’abitazione, il ricercatore austriaco Martin Schwarz ipotizza che l’indirizzo possa<br />

essere Neuer Mark 3, Wien (1), dove <strong>Evola</strong> soggiornò almeno tra il 24 febbraio e il 7 aprile<br />

1936, così come indicato <strong>nella</strong> corrispondenza con l’editore Giuseppe Laterza[1][92].<br />

Neuer Mark si trova in pieno centro cittadino, a poca distanza dal Duomo (la<br />

Stephanskirche), inoltre dalla parte opposta della piazza rispetto all’attuale numero civico<br />

3 (l’edificio originario è stato distrutto durante la guerra ed al suo posto ora vi è <strong>un</strong><br />

albergo), sta la famosa Chiesa dei Cappuccini (Kapuzinerkirche) <strong>nella</strong> cui cripta giacciono<br />

i corpi dei Kaiser e delle Kaiserin Asburgo. Un luogo ricco di simboli e non sembra <strong>un</strong><br />

caso che il filosofo avesse deciso di alloggiare proprio lì.<br />

Ipotesi suggestiva, com<strong>un</strong>que inverificabile se non improbabile: per sapere se <strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong><br />

avesse <strong>un</strong> recapito fisso per quasi <strong>un</strong> decennio a Vienna sarebbe necessario rintracciare<br />

altra sua corrispondenza successiva con l’identico indirizzo, che per ora non è disponibile.


Il bombardamento.<br />

<strong>Evola</strong> ricorda che esso avvenne “poco prima dell’occupazione russa della città”[1][93]e non<br />

precisa altro: l’ingresso dell’Armata Rossa <strong>nella</strong> capitale austriaca si verificò a quanto pare<br />

il 6 aprile (ma solamente il giorno 13, dopo furiosi combattimenti per le strade, la città<br />

venne interamente occupata). Secondo Christophe Boutin, “si tratta senza dubbio di <strong>un</strong>a delle<br />

53 incursioni aeree della prima settimana di aprile che fecero più di 10.000 morti”[1][94] e che<br />

prepararono l’entrata in città delle truppe sovietiche. Un’altra data, ma precedente di <strong>un</strong><br />

mese, ipotizzata da Schwarz, potrebbe essere quella del 12 marzo: il settimo anniversario<br />

dell’Anschluss, giorno di pesantissime incursioni da parte questa volta dell’aviazione<br />

alleata, allorché venne colpito il centro di Vienna e distrutto parzialmente il palazzo di<br />

Neuer Markt 3 in cui <strong>Evola</strong> aveva abitato (a pochi isolati di distanza, dove si registrò il<br />

maggior numero di morti, oggi <strong>un</strong>a statua ed <strong>un</strong>a lapide ricordano il tragico<br />

avvenimento).<br />

Si era veramente alla fine.<br />

Che cosa gli prospettava il destino?<br />

“In quella occasione decise di mettersi alla prova. Uscì di casa: era circa le due ed aveva appena<br />

finito di mangiare. Quando si trovò <strong>nella</strong> Schwarzenbergplatz[1][95] <strong>un</strong>a bomba gli cadde vicino:<br />

fu proiettato verso <strong>un</strong> palco in legno che sorgeva al centro della piazza. Fu questo che probabilmente<br />

lo salvò. Si risvegliò in ospedale: per prima cosa chiese che fine avesse fatto il suo monocolo... Non<br />

aveva lesioni esterne, cioè ferite, né ossa spezzate. Era però paralizzato negli arti inferiori. Venne<br />

operato: gli fu praticata <strong>un</strong>a laminectomia, ma senza risultato. Una lesione permanente al midollo<br />

spinale lo aveva paralizzato dalla prima vertebra lombare in giù. Per questo venne in seguito<br />

riconosciuto invalido di guerra al cento per cento e ricevette di conseguenza dall’ONIG, l’Opera<br />

Nazionale Invalidi di Guerra, <strong>un</strong>a piccola pensione che gli permise di sopravvivere nei periodi di<br />

maggiori difficoltà economiche”[1][96].<br />

Perché <strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong> prese questa decisione di uscire sotto le bombe che appare assurda e<br />

suicida ad ogni persona di buon senso?<br />

Intanto, col senno di poi, si può dire che fece paradossalmente la cosa migliore: fosse<br />

rimasto nel suo appartamento, probabilmente ci avrebbe rimesso la vita: infatti, come è<br />

stato ricordato in precedenza, affermò che “la documentazione relativa [al libro sulle società<br />

segrete che aveva intenzione di scrivere] andò perduta nel medesimo bombardamento” che gli<br />

causò la lesione al midollo spinale: il particolare altro non significa che il caseggiato venne<br />

distrutto.<br />

Per rispondere poi alla domanda bisogna cercare di calarsi <strong>nella</strong> sua mentalità e<br />

d’immaginarsi la situazione: <strong>un</strong> mondo stava crollando, e dopo?<br />

Si riproponeva il dilemma presentatosi al filosofo <strong>tradizionalista</strong> al suo ritorno a Roma<br />

dopo l’incontro di Rastenburg e la proclamazione della RSI: “Combattere sino alla fine,<br />

malgrado tutto, con la speranza di non sopravvivere, ovvero preparare qualcosa che potesse<br />

sussistere dopo la guerra”[1][97]?


L’immane conflitto mondiale si stava concludendo tra devastazioni materiali e spirituali<br />

inconcepibili, il nazionalsocialismo e il fascismo venivano travolti, i sovietici erano ormai<br />

gi<strong>un</strong>ti alla porte di Vienna, intorno <strong>un</strong> cerchio di ferro e di fuoco. L’<strong>un</strong>ica cosa da fare per<br />

<strong>un</strong> uomo che credeva a certe cose era interrogare il Fato: uscire sotto il bombardamento<br />

aereo e vedere quale sarebbe stata la risposta in vista del futuro. Sopravvivere o no, come e<br />

con quale compito.<br />

É forse questo atteggiamento che ha fatto nascere tante interpretazioni e voci incontrollate<br />

sul suo soggiorno viennese e sui motivi dell’infermità, voci e interpretazioni raccolte anche<br />

da autorevoli amici, come Mircea Eliade: <strong>un</strong> allievo americano dello storico delle religioni,<br />

John Patrick <strong>De</strong>veney, raccontò nel 1991 a Joscelyn Godwin <strong>un</strong>a versione più positiva ed<br />

eroica di quanto racconta Giulio Salierno: “Mircea Eliade disse che <strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong> andò a<br />

combattere sulle barricate contro l’avanzata russa su Vienna, e che fu ferito ‘al terzo chakra, e tutto<br />

ciò non è forse significativo?’”[1][98].<br />

Che <strong>Evola</strong>, il quale aveva chiesto di partire volontario allo scoppio della seconda guerra<br />

mondiale, fosse il tipo da “combattere sulle barricate”, non ci sono dubbi, ma di quel che<br />

racconta Eliade non se ne ha alc<strong>un</strong> riscontro.<br />

Quanto al terzo chakra cui fa riferimento lo storico delle religioni che incontrò <strong>Evola</strong> negli<br />

anni Trenta e Cinquanta e che con lui ebbe contatti epistolari[1][99], il Manipûra-chakra,<br />

esso si situa app<strong>un</strong>to <strong>nella</strong> regione lombare, all’altezza dell’ombelico, ed ha relazione<br />

“1) con la forza espansiva della materia fisica; 2) col tanmâtra della vista (colore e forma) e con<br />

l’organo sensorio corrispondente; 3) con l’organo della defecazione; 4)con la f<strong>un</strong>zione assimilativa e,<br />

in particolare, digerente della forza vitale; 5) con le parti carnose dell’organismo (...) Le<br />

corrispondenze sul piano affettivo sono: ira (krodha), paura, stupefazione, violenza, orgogliosa<br />

superbia. A tale chakra si lega anche ciò che nell’uomo com<strong>un</strong>e si manifesta come fame”[1][100].<br />

<strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong> si risvegliò in ospedale - quale e in che data precisa ancora non sappiamo - e<br />

chiese che fine avesse fatto il suo monocolo. Rimase ricoverato sempre sotto falso nome,<br />

considerando anche il non trascurabile particolare che Vienna da lì a pochissimo sarebbe<br />

stata occupata dei russi: “E’ senz’altro ipotizzabile che in quel tragico momento Rafael Spann lo<br />

abbia aiutato. L’amicizia fra i due viene confermata da <strong>un</strong>a serie di testimonianze, e concorda con<br />

ciò che <strong>Evola</strong> scrive <strong>nella</strong> sua autobiografia”[1][101].<br />

“Mi trovai bloccato in ospedale”, racconta <strong>Evola</strong>[1][102]. Cosa avvenne in questo ospedale<br />

non si sa. Molte leggende circolano a tale proposito e non si sa quale attendibilità abbiano,<br />

proprio come l’affermazione di Mircea Eliade sopra riportata. Ad esempio, ecco cosa<br />

racconta Jean Parvulesco, scrittore ed esoterista franco-romeno, che conobbe il filosofo:<br />

“<strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong> m’avait lui-même confié que, blessé assez légèrment lors d’<strong>un</strong> bombardement, il avait<br />

été par contre atrocement arrangé à l’hôpital, par des médicins renégats et vils qui savaient très bien<br />

qui il était, ce qu’ils faisaint et pourquoi, et qui, pourtant, en essayant, ainsi, de le liquider d’<strong>un</strong>e<br />

manière indécelable, ne réussissaient finalemet qu’à mettre en route autre chose”[1][103].


“A dir vero”, prosegue nei suoi ricordi <strong>Evola</strong>, “il fatto non fu privo di relazione con la norma, da<br />

me già da tempo seguita, di non schivare, anzi di cercare i pericoli, nel senso di <strong>un</strong> tacito interrogare<br />

la sorte. E’ così che, ad esempio, a suo tempo avevo fatto non poche ascensioni rischiose in alta<br />

montagna. Ancor più mi ero attenuto alla norma allora, presso al crollo di tutto <strong>un</strong> mondo e al<br />

senso preciso di quel che sarebbe seguito. Quel che mi accadde costituì tuttavia <strong>un</strong>a risposta non<br />

facile ad interpretare. Nulla cambiava, tutto si riduceva ad <strong>un</strong> impedimento puramente fisico che, a<br />

parte dei fastidi pratici e certe limitazioni della vita profana, poco mi toccava, la mia attività<br />

spirituale e intellettuale non essendone in alc<strong>un</strong> modo pregiudicata o modificata. La dottrina<br />

tradizionale che nei miei scritti ho spesso avuto occasione di esporre - quella secondo la quale non vi<br />

è avvenimento rilevante dell’esistenza che non sia stato da noi stessi voluto in sede prenatale - è<br />

anche quella di cui sono intimamente convinto, e tale dottrina non posso non applicarla anche alla<br />

contingenza ora riferita. Ricordarmi perché l’avevo voluta, epperò coglierne il suo senso più<br />

profondo per l’insieme della mia esistenza: questa sarebbe stata, d<strong>un</strong>que, l’<strong>un</strong>ica cosa importante,<br />

importante assai più del ‘rimettermi’, a cui non ho dato ness<strong>un</strong>o speciale peso (...) Ma la nebbia a<br />

tale riguardo non si è ancora sfittita. Per intanto, mi sono adeguato con calma alla situazione,<br />

pensando umoristicamente talvolta che forse si tratta di dèi che han fatto pesare <strong>un</strong> po’ troppo la<br />

mano, nel mio scherzare con loro”[1][104].<br />

Non sappiamo se in seguito il filosofo - negli ultimi dieci anni della sua vita, dopo aver<br />

scritto queste considerazioni - abbia avuto quella risposta interiore alle sue domande che<br />

cercava e se la “nebbia” che le circondava si sia alla fine “sfittita”. Però, considerando quel<br />

che avvenne nel dopoguerra, dopo che rientrò in Italia alla fine del 1948[1][105], prima al<br />

sanatorio della Croce Rossa Italiana di Cuazzo al Monte, poi all’ospedale militare di<br />

Bologna, quindi definitivamente a Roma nel 1950-1, forse <strong>un</strong>a risposta esteriore si può<br />

dare (circa quella interiore soltanto lui ha potuto darsela): quest’uomo immobilizzato a<br />

letto, che redigeva lettere e articoli con la matita copiativa su <strong>un</strong> leggio, oppure alla<br />

macchina da scrivere alla sua scrivania, dopo essere stato <strong>un</strong>a personalità “attiva” in ogni<br />

senso (culturale e mondano, alpinista e viaggiatore per l’intera Europa), ora impegnava le<br />

sue forze intellettuali e spirituali per coloro i quali, a partire dalla fine degli Anni<br />

Quaranta, pensavano di ricostruire qualcosa fra le “rovine” (per usare <strong>un</strong>a sua immagine):<br />

in Italia e in Europa. Una <strong>De</strong>stra che tenesse a mente la lezione non solo “negativa”, ma<br />

anche “positiva” di fascismo e nazionalsocialismo, nel modo in cui <strong>Evola</strong> ed altri avevano<br />

immaginato dopo il 25 luglio e l’8 settembre. Un “guerriero immobile”[1][106], come lo si è<br />

definito, e che - non senza equivoci e fraintendimenti - è stato <strong>un</strong> esempio. Ma questo è <strong>un</strong><br />

discorso che esula dal presente contesto[1][107].<br />

Sta di fatto che <strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong> ha avuto <strong>un</strong>a posizione quantomeno singolare all’interno<br />

dell’esperienza della Repubblica Sociale. Fu <strong>un</strong> testimone diretto della sua nascita, <strong>un</strong>o dei<br />

pochi che assistette de visu alla sua gestazione: ne condivise lo spirito legionario, il senso<br />

della dignità e dell’onore, il rispetto della parola data all’alleato e tradita dalla Monarchia e<br />

da Badoglio; non ne condivise minimamente l’ideologia repubblicana e sociale, come<br />

sempre disse e scrisse anche in seguito[1][108].


Operò <strong>nella</strong> RSI, ma non fece parte propriamente della RSI: infatti, almeno allo stato<br />

attuale delle ricerche, non risulta che ebbe incarichi ufficiali <strong>nella</strong> Repubblica, a parte i<br />

rapporti di collaborazione con il Ministero della Cultura Popolare sino all’ottobre 1943; né<br />

continuò la sua intensissima attività pubblicistica, come era stato in precedenza sino al<br />

luglio 1943: infatti, da quanto è stato possibile fino ad ora controllare, sui giornali della RSI<br />

risultano appena due suoi soli articoli dopo l’8 settembre, evidente frutto della ripresa di<br />

rapporti con il Ministero di Mezzasoma. Essi apparvero su La Stampa nel periodo in cui fu<br />

diretta da Angelo Appiotti (18 settembre-10 dicembre 1943) e poi da Concetto Pettinato<br />

(dall’11 dicembre), rispettivamente mercoledì 3 novembre e domenica 19 dicembre, ed<br />

entrambi rientrano in quella categoria del “costume” nel quale <strong>un</strong> ricercatore ha<br />

classificato la collaborazione di <strong>Evola</strong> al quotidiano torinese[1][109]: essa era iniziata<br />

nell’ottobre 1942 quando era direttore (fino al 25 luglio) Alfredo Signoretti, consta di 16<br />

articoli e si deve ritenere sia il risultato del rapporto con il Minculpop che distribuiva su<br />

varie testate gli scritti dei suoi collaboratori.<br />

Entrambi gli interventi evoliani dopo l’8 settembre si sforzano di offrire ai lettori<br />

<strong>un</strong>’interpretazione “esistenziale” della drammatica situazione in cui si trova l’Italia,<br />

cercando di volgere in positivo tutto il negativo di quel momento in <strong>un</strong> tentativo di<br />

rafforzare il “fronte interno”: nel primo, Liberazioni, si afferma tra l’altro che “i periodi<br />

tragici e sconvolti della storia possono far sì che, per la forza stessa delle cose, <strong>un</strong> maggior numero<br />

di persone sia condotto verso <strong>un</strong> risveglio, verso <strong>un</strong>a liberazione. E in fondo, è essenzialmente da ciò<br />

che si misura la vitalità più profonda di <strong>un</strong>a stirpe, la vitalità e la sua indomabilità in senso<br />

superiore. E anche oggi, in Italia, su quel fronte, che ormai non conosce più distinzioni fra<br />

combattenti e non combattenti, presso tante tragiche congi<strong>un</strong>ture, lo sguardo dovrebbe adusarsi a<br />

volgersi in questo senso, assai più spesso di quel che com<strong>un</strong>emente accada”[1][110]; nel secondo,<br />

Uno sguardo nell’oltretomba con la guida di <strong>un</strong> Lama del Tibet, si cerca di combattere il<br />

terrore della morte - così presente in tutti allora, “combattenti e non combattenti” - con<br />

argomentazioni tratte da antichi insegnamenti orientali, concludendo così: “Checchè si<br />

possa dire nel loro riguardo <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to è sicuro: gli orizzonti, con essi, restano allargati in modo tale<br />

che le oscurità, le tragedie, le contingenze di questa vita umana non possono che risultarne<br />

relativizzate. Ciò che, in <strong>un</strong>a specie di incubo, si poteva considerare definitivo, può non essere che<br />

<strong>un</strong> episodio rispetto a qualcosa di più forte e di più alto, che non comincia con la nascita e non<br />

finisce con la morte e che può anche valere come principio di <strong>un</strong>a superiore calma e di <strong>un</strong>a<br />

impareggiabile, incrollabile sicurezza dinanzi ad ogni prova”[1][111].<br />

In altri giornali non sembra proprio che <strong>Evola</strong> - durante il suo soggiorno a Roma sino al 4<br />

giugno 1944 - abbia scritto, specie dopo l’interruzione del rapporto con il Ministero della<br />

Cultura Popolare. Al filosofo si attribuisce[1][112], del tutto erroneamente, anche <strong>un</strong><br />

intervento sulla rivista Politica Nuova dal titolo Considerazioni sui fatti d’Italia, che in<br />

seguito, come precisa lo stesso <strong>Evola</strong>, “per disposizione di Mussolini, il quale d<strong>un</strong>que<br />

condivideva le idee in esso formulate, fu ripubblicato in forma di opuscolo per la sua<br />

diffusione”[1][113]. In esso si faceva “<strong>un</strong>a specie di autocritica” del fascismo e se ne<br />

den<strong>un</strong>ciavano tutti i “cedimenti” che avrebbero poi portato al collasso del regime: “Anche<br />

se troppo tardi, aver riconosciuto tutto ciò è degno di nota”[1][114], conclude <strong>Evola</strong>.


Che questo testo non sia stato scritto da lui, avrebbe dovuto apparire di primo acchitto:<br />

come si vede, <strong>Evola</strong> ne parla impersonalmente, come di cosa compilata da altri, di <strong>un</strong>o<br />

documento emerso dall’interno dello stesso fascismo in crisi d’identità e le cui critiche egli<br />

stesso condivide. Fosse stata opera sua, ne avrebbe rivendicata esplicitamente la paternità,<br />

sottolineando, come in altre occasioni si è verificato, il fatto che Mussolini alla fine gli<br />

avesse dato ragione.<br />

Inoltre, poiché Politica Nuova era diretta da Br<strong>un</strong>o Spampanato sin dal 1933 nel s<strong>un</strong>to<br />

effettuato dal filosofo è possibile rintracciare le posizioni espresse dal giornalista<br />

napoletano subito dopo, allorché diresse il quotidiano di Roma, Il Messaggero dal 15<br />

dicembre 1943 fino all’arrivo degli Alleati e in seguito, durante la RSI, alla direzione di<br />

Radio Fante[1][115]. Questo per via induttiva. Il fatto è che la paternità dello scritto non<br />

era per nulla ignota, in quanto lo stesso Spampanato aveva pubblicato nel dopoguerra<br />

alc<strong>un</strong>i brani di quel suo scritto, escludendo le parti polemiche e considerandolo come <strong>un</strong>a<br />

specie di “manifesto” del fascismo post-tradimento, in <strong>un</strong>’opera dimenticata ma<br />

importante e com<strong>un</strong>que di non impossibile consultazione, Contromemoriale[1][116].<br />

Inoltre, gli stessi brani appaiono in appendice ad <strong>un</strong> volume dedicato ai Napoletani a Salò,<br />

dove gli autori ricordano come l’opuscolo realizzato dal Ministero della Cultura Popolare<br />

su disposizione di Mussolini riprendendo l’intervento di Politica Nuova, in base alla data<br />

di edizione “viene considerato come prima pubblicazione della RSI”[1][117].<br />

Infine, ad ab<strong>un</strong>dantiam, che proprio di <strong>un</strong> intervento di Spampanato si tratti è dimostrato<br />

dall’aver rintracciato nel lascito delle sue carte presso la Fondazione “Ugo Spirito” proprio<br />

le bozze della rivista con questo articolo e le sue correzioni manoscritte (più <strong>un</strong> foglio<br />

aggi<strong>un</strong>to dattiloscritto) che verosimilmente costituiscono le correzioni e le integrazioni per<br />

la versione opuscolo: nell’ultima pagina delle bozze appaiono cancellate con <strong>un</strong> tratto di<br />

penna sia la data (“28 settembre XXI”) e la firma “Politica Nuova” che dovrebbero essere<br />

apparse sulla rivista, sia anche la sigla “B.S.” aggi<strong>un</strong>ta a mano e con cui in <strong>un</strong> primo tempo<br />

avrebbe forse dovuto apparire <strong>nella</strong> versione opuscolo. Si deve quindi supporre che il<br />

l<strong>un</strong>go testo sia uscito anonimo, pur se con riferimenti in prima persona.<br />

Inoltre, dalla bozza risultano altre correzioni: la testata è cancellatala e in alto c’è<br />

l’indicazione “pag.29” (il numero di pagine dell’opuscolo?).<br />

Infine, la data del fascicolo, il n.14, risulta essere <strong>nella</strong> bozza “Roma, 10 ottobre 1943, XXI”.<br />

<strong>Evola</strong>, invece, ricorda che lo scritto uscì proprio “in data 28 settembre”[1][118]: se ne deve<br />

dedurre che probabilmente il filosofo possedeva, o aveva posseduto, sia il settimanale che<br />

l’opuscolo, ma abbia confuso la data di redazione con quella di pubblicazione del testo.<br />

Il fatto poi che alc<strong>un</strong>e opere di <strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong> sul problema della razza pare fossero state<br />

adottate a mo’ di libri di testo in <strong>un</strong>a scuola per allievi ufficiali della GNR, quella di<br />

Fonta<strong>nella</strong>to in provincia di Parma, come è stato affermato <strong>nella</strong> relazione[1][119] ad <strong>un</strong><br />

convegno sul “collaborazionismo intellettuale”, del quale però non sono stati ancora<br />

pubblicati gli atti, non sembra d’altronde poter avvalorare la tesi di <strong>un</strong> impegno diretto del<br />

filosofo, dell’ass<strong>un</strong>zione insomma di <strong>un</strong>a sua posizione “ufficiale” o di qualche<br />

responsabilità di primo piano <strong>nella</strong> RSI (come viceversa fu per Giovanni Preziosi), non<br />

fosse altro per le sue vicende “logistiche”, quanto piuttosto essere <strong>un</strong>’iniziativa localizzata,<br />

a lui ignota.


Lo conferma <strong>un</strong>a ulteriore ricerca: fra i documenti della Segreteria Particolare del Duce,<br />

nel settore Carteggio riservato RSI, custoditi nell’Archivio dello Stato di Roma, dove sono<br />

stati rintracciati sedici componimenti scritti proprio dagli allievi ufficiali della Scuola di<br />

Fonta<strong>nella</strong>to per <strong>un</strong> “corso di cultura politico-razziale” (15 marzo-23 agosto 1944) dai quali<br />

risulta che i testi di riferimento sono Il mito del sangue di <strong>Evola</strong>, I protocolli dei Savi<br />

Anziani di Sion, due opere di Papini ed <strong>un</strong> testo interno dattiloscritto (Lezioni di cultura<br />

politica razziale) rintracciato solo in parte[1][120]: dai componimenti emerge <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di<br />

vista che si basa su “spirito, cultura, storia”[1][121], “<strong>un</strong>a scelta dichiaratamente distante<br />

dall’interpretazione strettamente biologica quale appare caratterizzare le concezioni<br />

tedesche”[1][122].<br />

Si può dedurre, da questi elementi, da queste testimonianze scritte, da questi “compiti in<br />

classe” che il “razzismo spirituale” alla <strong>Evola</strong> e alla Scaligero fosse diffuso <strong>un</strong>iformemente e<br />

costituisse il retroterra culturale di <strong>un</strong>a parte della ideologia della RSI ? Che avesse<br />

migliore accoglienza di quanto non aveva avuto sino al 25 luglio 1943 ?<br />

Sembrerebbe azzardato generalizzare, prima di trovare riscontri di fatto più p<strong>un</strong>tuali che<br />

facciano emergere come questo p<strong>un</strong>to di vista, anche in f<strong>un</strong>zione antitedesca, fosse<br />

com<strong>un</strong>e in diversi ambienti. Ovviamente non poteva esserci stato <strong>un</strong> intervento di <strong>Evola</strong><br />

per diffondere il proprio libro: molto più probabile che fosse <strong>un</strong>o dei pochi utili al “corso”<br />

trattandosi di <strong>un</strong>a storia del razzismo[1][123]. <strong>De</strong>l resto, lo stesso relatore al convegno sul<br />

“collaborazionismo intellettuale” aveva dovuto ammettere: “Bisogna precisare che, al<br />

momento, non si hanno notizie del coinvolgimento diretto di <strong>Evola</strong> nelle attività persecutorie della<br />

RSI e il suo ruolo risulta appartato e non determinante”[1][124]...<br />

Si può aggi<strong>un</strong>gere, infine, che di <strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong> durante il periodo della RSI, cioè a partire<br />

dal settembre 1943, uscirono tre libri, <strong>un</strong>o a sua firma e due a sua cura. Il primo è La<br />

dottrina del risveglio; questo “saggio sull’ascesi buddhista” venne proposto dal filosofo a<br />

Laterza il 20 ottobre 1942, il manoscritto fu spedito il 30 novembre, mandato in tipografia<br />

nel febbraio 1943, mentre le ultime bozze corrette gi<strong>un</strong>sero all’editore il 9 agosto: <strong>Evola</strong><br />

aveva avuto, d<strong>un</strong>que, anche il tempo di occuparsi della sua opera durante il marasma<br />

seguito al 25 luglio. Il libro uscirà nel settembre successivo, anche se a rigor di termini si<br />

dovrebbe parlare più di “Regno del Sud” che di RSI, essendo stato pubblicato e stampato a<br />

Bari: l’autore ne vedrà materialmente copia soltanto nel dopoguerra[1][125]... I due libri<br />

curati da <strong>Evola</strong> apparvero invece <strong>nella</strong> collana “Romanzi occulti” della casa editrice<br />

milanese Fratelli Bocca (ma stampati nei pressi di Bologna): si tratta delle traduzioni di<br />

altrettanti romanzi esoterici dello scrittore Gustav Meyrink, Il domenicano bianco e La Notte<br />

di Valpurga, entrambe però anonime, così come non firmate sono le rispettive prefazioni. Si<br />

deve ritenere, com<strong>un</strong>que, che questo lavoro fosse stato eseguito e consegnato ben prima.<br />

Nel 1949, per lo stesso editore apparve - ma questa volta esplicitamente attribuita - la<br />

traduzione de L’Angelo della Finestra d’Occidente, così come l’introduzione: non si può<br />

sapere se il nuovo lavoro, per la sua l<strong>un</strong>ghezza e difficoltà, venne compiuto<br />

contestualmente agli altri due, oppure nel dopoguerra durante i l<strong>un</strong>ghi anni di degenza in<br />

Austria (1945-1948) e sino al 1950, allorché il filosofo attese alla rielaborazione di alc<strong>un</strong>i<br />

suoi scritti (La Tradizione ermetica e Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, poi<br />

pubblicati da Laterza nel 1948 e 1949, ma anche Il mistero del Graal che vide la luce però<br />

soltanto nel 1962 presso Ceschina)[1][126].


Non per questo la vicenda di <strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong> nel 1943-1945 è stata marginale, non fosse altro<br />

per la sua inedita testimonianza di eventi storici cruciali, e per le informazioni che ci ha<br />

lasciato di iniziative e tentativi quasi ignoti e che spesso si continuano a ignorare, forse<br />

perché ristretti a piccole cerchie di lettori.<br />

Certo, se si potessero illuminare le zone d’ombra che la sua reticenza (ma anche prudenza<br />

considerando che all’epoca in cui scriveva - gli Anni Cinquanta - molte delle persone<br />

coinvolte erano ancora vive ed il clima non certo dei migliori e più sicuri) ha lasciato,<br />

riempire i vuoti d’informazione che ancora rimangono, si potrebbe fare <strong>un</strong> passo ulteriore<br />

per capire di più e meglio certi passaggi.<br />

Ma questo ormai, per mancanza totale di documenti e testimoni - a parte veri colpi di<br />

fort<strong>un</strong>a - è pressoché impossibile.<br />

***<br />

Autore: <strong>Gianfranco</strong> <strong>De</strong> <strong>Turris</strong><br />

Fonte: pagg. 79-100, in «Nuova Storia contemporanea», diretta da F. Perfetti, L<strong>un</strong>i editore,<br />

anno V, n° 2, marzo-aprile 2001

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!