20.05.2013 Views

considerazioni medico legali - Dottor Bruno Marcelli

considerazioni medico legali - Dottor Bruno Marcelli

considerazioni medico legali - Dottor Bruno Marcelli

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

UNIVERSITA’ POLITECNICA DELLE MARCHE<br />

FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA<br />

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA<br />

IN ODONTOIATRIA E PROTESI DENTARIA<br />

CLINICA DI ODONTOSTOMATOLOGIA<br />

Direttore: Prof. Maurizio Procaccini<br />

TERAPIA<br />

IMPLANTO-PROTESICA:<br />

CONSIDERAZIONI MEDICO LEGALI<br />

RELATORE: CHIAR.MO TESI DI LAUREA DI:<br />

PROF. MAURIZIO PROCACCINI ALESSIA DELLI CARPINI<br />

CORRELATORE:<br />

DOTT. BRUNO MARCELLI<br />

Anno Accademico 2007 - 2008


INDICE<br />

INTRODUZIONE<br />

I. PRINCIPI DI IMPLANTOLOGIA OSTEOINTEGRATA<br />

I<br />

1. L’implantologia osteointegrata<br />

1<br />

1.1 Pianificazione del trattamento 4<br />

1.1.1 Diagnosi 7<br />

1.1.2 Esame intraorale 8<br />

1.1.3 Esame radiografico 9<br />

1.1.4 Analisi osso disponibile 12<br />

1.1.5 Scelta dell’impianto in funzione del sito 15<br />

1.1.6 Preparazione sito chirurgico 18<br />

1.1.7 Trattamento post-chirurgico 21<br />

1.2 Criteri di successo in implantologia 22<br />

1.3 Fallimenti e complicanze in implantologia 27<br />

1.3.1 Cause dovute all’operatore 30<br />

1.3.2 Fase post-chirurgica 41<br />

1.3.3 La perimplantite 43<br />

1.3.4 L’esame clinico dell’impianto 50<br />

1.3.5 Fase protesica 54<br />

II. CONTENZIOSO MEDICO-PAZIENTE: ASPETTI CLINICI E<br />

MEDICO LEGALI<br />

1. La responsabilità professionale 58<br />

1.1 La responsabilità penale 59<br />

1.1.1 Elementi costitutivi del reato 62<br />

1.2 La responsabilità civile 68<br />

1.2.1 La responsabilità contrattuale ed extracontrattuale 69<br />

1.2.2 L’obbligazione di mezzi e l’obbligazione di risultato 70<br />

1.2.3 La ripartizione dell’onere probatorio 74<br />

1.3 La responsabilità dell’odontoiatra nel trattamento 75<br />

implantologico<br />

2. L’informazione e il consenso<br />

2.1 Il dovere di informare 86<br />

2.1.1 Modalità, oggetto e limite dell’informazione 94<br />

2.1.2 Violazione del dovere di informare: responsabilità 96<br />

2.2 Il dovere di acquisire il consenso 99


2.2.1 Validità del consenso 104<br />

2.2.2 Revoca del consenso 112<br />

2.2.3 Trattamento <strong>medico</strong> in difetto di consenso del paziente 113<br />

2.3 Il consenso informato in odontoiatria 115<br />

2.3.1 Aspetti generali del consenso informato in odontoiatria 123<br />

2.3.2 L’importanza della documentazione clinica 127<br />

3. Il danno biologico 129<br />

3.1 Contenuti del danno biologico 132<br />

3.2 Il danno psichico 135<br />

3.3 Criteri di valutazione del danno<br />

136<br />

3.3.1 Criteri di valutazione del danno dentario<br />

139<br />

4. Confine tra errore e complicanza 142<br />

4.1 Prevenzione di errori e complicanze<br />

147<br />

5. Linee guida in implantologia<br />

6. Malpractice e medicina difensiva<br />

149<br />

153<br />

6.1 Il progetto “Accordia”<br />

159<br />

7. Casi clinici 166<br />

CONCLUSIONI 170<br />

BIBLIOGRAFIA


INTRODUZIONE<br />

Il notevole aumento di azioni giudiziarie nei confronti di sanitari<br />

tendenti a riconoscere responsabilità colpose o dolose in ordine<br />

alle loro prestazioni professionali, ha portato il problema del<br />

contenzioso <strong>medico</strong>-paziente e della responsabilità medica ad<br />

essere un argomento di grande attualità.<br />

Il dilagare della responsabilità medica in sede giudiziaria è un<br />

fenomeno in crescita esponenziale e, come cause riconosciute, si<br />

può riassumere attraverso l’analisi di tre importanti fattori:<br />

l’evoluzione tecnico-scientifica, che si traduce per il sanitario<br />

in una crescente disponibilità di mezzi, strutture e specializzazioni,<br />

che inficia la teoria dell’errore scusabile;<br />

il passaggio da una cosiddetta medicina paternalistica ad<br />

una medicina informata, con rinnovati riflessi sul rapporto<br />

<strong>medico</strong>-paziente, il quale, in tale veste, acquisisce nuovi diritti<br />

tutelati dall’ordinamento;<br />

la maggiore attenzione della magistratura nei confronti<br />

dell’errore <strong>medico</strong>.<br />

Questi fattori, si riscontrano in campo <strong>medico</strong> in generale, quindi<br />

anche in campo odontoiatrico c’è un gran fermento per quanto<br />

riguarda la medicina difensiva e forense: sono sempre di più


infatti i pazienti che aprono un contenzioso per la richiesta di<br />

risarcimento nei confronti del proprio odontoiatra, anche se, in<br />

2/3 dei casi si tratta di richieste pretestuose.<br />

Il contratto tra <strong>medico</strong> e paziente è un contratto d’opera<br />

intellettuale, che si specifica come “contratto di prestazione<br />

medica” e viene definito come “l’accordo in virtù del quale il<br />

<strong>medico</strong>, effettuata la diagnosi ed indicata la terapia, si obbliga nei<br />

confronti del paziente, dietro corrispettivo, a realizzarla secondo<br />

le migliori prescrizioni dell’arte medica, assumendo, perciò una<br />

obbligazione di mezzi”.<br />

L’odontoiatria è una branca medica in cui, per alcune prestazioni<br />

come ad esempio i trattamenti protesici è richiesto un obbligo di<br />

risultato.<br />

Un odontoiatra che si impegna a predisporre ed applicare una<br />

protesi dentaria, fissa o mobile, assume nei confronti del paziente<br />

un obbligazione di risultato perché è obbligato a realizzare un<br />

opera in tutto idonea alla sua destinazione. L’odontoiatra che<br />

abbia applicato al paziente una protesi inidonea per vizi o<br />

difformità alla sua destinazione incorre in responsabilità<br />

contrattuale ed è tenuto ad risarcire il danno biologico e il danno<br />

patrimoniale.


Scopo di questo lavoro è definire e analizzare dal punto di vista<br />

<strong>medico</strong>-legale la posizione dell’odontoiatra che intraprende una<br />

terapia implanto-protesica, analizzando prima di tutto quali sono<br />

le complicanze e i fallimenti che possono verificarsi durante il<br />

trattamento e, in un secondo momento, quali sono i doveri <strong>legali</strong><br />

dell’odontoiatra e i casi in cui quest’ultimo potrebbe essere citato<br />

in giudizio per il risarcimento di un danno biologico o<br />

patrimoniale nel caso di un esito negativo del trattamento.<br />

Tutto ciò supportato dallo studio di due casi clinici in cui il<br />

pazienti avevano citato in giudizio i loro odontoiatri per<br />

complicanze legate all’inserimento di impianti, uno risoltosi con<br />

assoluzione, l’altro con condanna e successivo risarcimento del<br />

paziente leso.


I. PRINCIPI DI IMPLANTOLOGIA OSTEOINTEGRATA<br />

1. L’IMPLANTOLOGIA OSTEOINTEGRATA<br />

L’implantologia orale, che si avvale di impianti osteointegrati<br />

utilizzati come supporto per una riabilitazione protesica fissa o<br />

removibile, è universalmente riconosciuta come una<br />

metodologia clinica sicura e in grado di garantire risultati<br />

duraturi nella riabilitazione orale.<br />

La possibilità di non coinvolgere la dentatura naturale residua e<br />

di fornire protesi fisse ai pazienti edentuli ha rivoluzionato il<br />

moderno concetto di riabilitazione protesica, facendo degli<br />

impianti osteointegrati uno strumento spesso indispensabile nella<br />

preparazione del piano terapeutico.<br />

Come si evince dalle precedenti righe, alla base della terapia<br />

implantoprotesica c’è il concetto introdotto da Brånemark nel<br />

1969 e poi ripreso da innumerevoli autori,<br />

dell’osteointegrazione che, secondo la sua definizione, è la<br />

“congruenza anatomica tra osso vivente rimodellato e sano ed<br />

un componente sintetico che trasferisce un carico all’osso”.<br />

La terapia implantare ha come scopo principale quello di<br />

sostituire elementi dentari andati persi con manufatti protesici;


ciò ha anche numerosi risvolti a livello anatomico e funzionale<br />

su molte delle strutture presenti nel cavo orale.<br />

Per prima cosa il posizionamento degli impianti permette il<br />

mantenimento delle strutture ossee in quanto, grazie al carico<br />

che essi trasferiscono all’osso sottostante, impediscono che<br />

questo vada incontro ad atrofia e di conseguenza si avrà anche<br />

un miglioramento e un mantenimento del profilo facciale<br />

(soprattutto in caso di edentulie totali).<br />

I fenomeni locali che conducono all’atrofia del mascellare<br />

edentulo, infatti, sono imputabili alla pressione esercitata dal<br />

periostio nei confronti del tessuto sottostante. La mancanza del<br />

sistema fisiologico elemento dentale - legamento parodontale si<br />

traduce nell’assenza dello stimolo funzionale che è necessario al<br />

mantenimento del tessuto osseo. Il fenomeno elastico, pressione-<br />

tensione mantiene il volume osseo tramite questo stimolo<br />

meccanico. La massa ossea quindi è strettamente legata al carico.<br />

Le forze di carico stimolano l’osso e per far si che non si verifichi<br />

un riassorbimento è necessario che il carico applicato eserciti una<br />

forza compresa tra i 2500 e i 4000 Newton.<br />

Un diverso carico dinamico dell’osso comporta una reazione di<br />

questo tessuto estremamente diversa: si verifica atrofia quando


l’osso è sottoposto a un carico inferiore a 200 N mentre si ha il<br />

mantenimento del livello dell’osso con un carico compreso tra i<br />

200 e i 2500 N. Questa è la condizione fisiologica per l’osso ed<br />

è quella nella quale l’operatore dovrebbe cercare di mantenere<br />

la sollecitazione funzionale della struttura implanto-protesica<br />

progettata.<br />

Si può arrivare alla frattura in condizioni differenti in rapporto al<br />

tipo di osso e alla sua consistenza; questo fenomeno si attesta<br />

quando il carico è di circa 25000 N di forza lineare.<br />

La sostituzione degli elementi persi con impianti presenti anche<br />

altri vantaggi come il mantenimento delle strutture muscolari<br />

grazie al ripristino della corretta funzione masticatoria, una<br />

corretta posizione dei denti (ad esempio con la messa in posa<br />

del nuovo elemento viene meno il movimento di mesio-<br />

distalizzazione degli elementi adiacenti e di estrusione<br />

dell’antagonista,…) e di conseguenza una corretta occlusione<br />

che permette di riflesso di prevenire problemi all’articolazione<br />

temporomandibolare.<br />

Tutto ciò ha come ultimo, ma forse più importante, vantaggio<br />

quello psicologico, in quanto il paziente vede risolti i suoi<br />

problemi sia funzionali che estetici.


1.1 PIANIFICAZIONE DEL TRATTAMENTO<br />

Lo studio del caso clinico in implantologia deve tener presente le<br />

condizioni generali del paziente ai fini di considerare i diversi tipi<br />

di piani di trattamento.<br />

L’implantologia osseo integrata è un tipo di trattamento che può<br />

trovare indicazione in ogni tipo di paziente, senza riferimento al<br />

sesso e all’età. L’utilizzo degli impianti osteointegrati è<br />

certamente ideale in tutti quei soggetti che, in assenza di malattie<br />

sistemiche o metaboliche, hanno un adeguata quantità di osso<br />

nel mascellare superiore o inferiore.<br />

Le indicazioni al trattamento implantare sono:<br />

edentulia totale;<br />

edentulia parziale;<br />

la riduzione di proporzione della lunghezza dei ponti fissi in<br />

pazienti con un numero troppo limitato di pilastri;<br />

pazienti che rifiutano l’uso della protesi;<br />

(Albrektsson e Blomberg; Blomberg e Linquist; Laney)<br />

abitudini parafunzionali che compromettono la stabilità<br />

protesica;<br />

aspettative del paziente per una dentatura completa;<br />

pazienti psicologicamente contrari alla protesi removibile;


numero e localizzazione sfavorevole di potenziali pilastri<br />

derivanti da denti naturali;<br />

perdita di un singolo elemento.<br />

(Adell; Laney; Zarb.)<br />

Prima di intraprendere la pianificazione del trattamento bisogna<br />

considerare le controindicazioni, sia assolute che relative,<br />

all’implantologia.<br />

Le controindicazioni relative all’uso degli impianti ostro integrati<br />

sono date da:<br />

patologie dei tessuti duri o molli, come nel caso di tumori<br />

benigni che vanno rimossi prima di ipotizzare la procedura<br />

implantologica: dopo la rimozione della neoplasia, è possibile<br />

verificare se il paziente sia un buon candidato al trattamento<br />

implantologico. Pazienti con problemi dei tessuti molli, come<br />

collagenopatie, devono essere attentamente valutati; ogni stadio<br />

attivo di queste malattie deve essere trattato prima di<br />

considerare il trattamento implantologico;<br />

nei pazienti che hanno subito estrazioni recenti è importante<br />

determinare il tempo trascorso dall’avulsione e associare una<br />

indagine radiografica per poter decidere se l’osso è<br />

adeguatamente guarito; secondo i canoni classici non esiste


motivo per attendere l’esecuzione della procedura<br />

implantologica oltre l’anno, in quanto le grosse modificazioni di<br />

rimodellamento dell’osso, trascorso quel periodo sono già<br />

avvenute;<br />

pazienti che sono stati irradiati con dosi inferiori a 400rads<br />

possono essere sottoposti a trattamento chirurgico implantare<br />

con l’avvertenza di ritardare la seconda fase chirurgica, perché<br />

necessitano di un periodo di guarigione più lungo;<br />

pazienti affetti da discrasie ematiche (leucemia, emofilia,<br />

porpora trombocitopenia idiopatica, coagulopatie,…), dove la<br />

possibilità di intervenire è legata alle condizioni generali di<br />

salute;<br />

pazienti con anamnesi clinica comprovante un abuso di<br />

alcool, tabacco e/o uso di droghe. Questi pazienti hanno una<br />

ridotta resistenza alle infezioni (circa il 30% in meno). Qualora<br />

si proceda al trattamento è consigliabile che questi soggetti si<br />

astengano dall’uso di queste sostanze per qualche settimana;<br />

pazienti con malattie croniche come il diabete o<br />

l’ipertensione, vanno compensati e valutati su base individuale.<br />

Le controindicazioni assolute all’utilizzo degli impianti sono<br />

invece da ricercare nei pazienti irradiati ad alte dosi (superiori a


500 rads), nei pazienti con problemi psichici gravi e nei pazienti<br />

con disordini ematologici - sistemici (artrite reumatoide).<br />

Per verificare la presenza di controindicazioni sistemiche o locali<br />

e per individuare le caratteristiche anatomiche e strutturali del<br />

sito implantare, l’approccio diagnostico è di fondamentale<br />

importanza. La selezione preliminare del paziente richiede<br />

l’esecuzione di un’accurata anamnesi affiancata da esami di<br />

laboratorio, di routine e specifici (quest’ultimi volti a indagare il<br />

metabolismo osseo), da un’ indagine clinica endorale e orto<br />

panoramica e da un esame del sito implantare, arricchiti da<br />

un’accurata documentazione fotografica.<br />

1.1.1 Diagnosi<br />

È fondamentale conoscere le condizioni generali del paziente ai<br />

fini di una diagnosi e di un piano di trattamento corretto, la<br />

storia clinica generale (anamnesi patologica prossima e remota)<br />

e la storia clinica dentale nella quale bisogna ricercare eventuali<br />

abitudini parafunzionali come il bruxismo o il serramento<br />

notturno che, se non corrette, possono invalidare il trattamento<br />

pianificato.


1.1.2 Esame intraorale<br />

L’esame intraorale comprende la valutazione dell’igiene orale, le<br />

condizioni dei tessuti molli e le condizioni di salute parodontale.<br />

La valutazione di parametri parodontali, dell’occlusione, delle<br />

aree edentule, del numero e stato degli elementi presenti,<br />

evidenzia se esistono delle alterazioni del supporto locale ai fini<br />

implantoprotesici.<br />

Importante anche la valutazione dell’anatomia radiografica<br />

riguardo la posizione ed estensione di strutture quali il forame<br />

mentoniero, il nervo mandibolare, il seno mascellare, i seni<br />

paranasali.<br />

Ai fini implantoprotesici riveste particolare importanza,<br />

attraverso lo studio dei modelli in gesso, il numero e la<br />

posizione dei denti residui e la possibilità di ricostruzione<br />

implanto-protesica nelle aree edentule in rapporto all’osso<br />

rimasto e alla relazione intermascellare.


Le informazioni che ne derivano sono utili, permettendo infatti<br />

di predeterminare, compatibilmente al quadro anatomico, la<br />

migliore distribuzione delle fixture.<br />

1.1.3 L’esame radiografico<br />

È determinante per stabilire la qualità e la quantità dell’osso<br />

residuo. Gli esami radiologici da valutare sono:<br />

la radiografia panoramica (OPT) che fornisce una visione<br />

generale della morfologia dell’osso a livello dei mascellari e<br />

fornisce informazioni fondamentali sulle strutture anatomiche<br />

adiacenti, permette di riconoscere l’ubicazione e la morfologia<br />

del pavimento del naso e dei seni mascellari. La visione<br />

radiografica del mascellare superiore consente di trarre<br />

informazioni attendibili sulla misura, in senso verticale, dell’osso<br />

e del grado di riassorbimento.<br />

Sulla mandibola, l’anatomia radiologica evidenzia il contorno<br />

della mandibola, i forami mentonieri e il canale mandibolare.<br />

L’utilizzazione di dime individuali, ricavate da modelli di studio,<br />

consente di effettuare una diagnosi iniziale in gran parte dei casi<br />

di implantoprotesi.


la teleradiografia laterolaterale è richiesta solo nelle atrofie<br />

nelle edentulie del mascellare superiore e/o inferiore proprio<br />

perché ci consente di valutare la relazione intermascellare fra le<br />

due arcate. L’associazione dello studio cefalometrico con le altre<br />

indagini radiografiche, principalmente la TC eseguita con<br />

programmi dedicati come il DentaScan, consentono di dedurre<br />

quale sia la reale necessità di ricostruzione dei mascellari atrofici.<br />

Solo un’adeguata correlazione tra la posizione degli impianti ed<br />

il supporto osseo delle due arcate consente di pianificare<br />

correttamente il trattamento chirurgico da eseguirsi.<br />

le radiografie endorali mirate permettono di valutare, con<br />

miglior qualità di risoluzione, il tipo e la morfologia dell’osso<br />

preso in esame, attraverso l’uso di centratori assiali ed alla<br />

mancanza di sovrapposizione di immagini come la colonna<br />

vertebrale nell’OPT.<br />

la tomografia computerizzata (TC) con programmi dedicati<br />

(Dentascan) ha reso meno difficile per il clinico l’individuazione<br />

di qualità, morfologia e densità del tessuto osseo. Permette la<br />

visualizzazione di sezioni trasversali multiple, misurazioni<br />

millimetriche accurate e miglior contrasto tissutale che<br />

permettono di visualizzare i mascellari su tre piani: assiale,


obliquo sagittale e panoramico. Inoltre può, in sezione<br />

trasversale, visualizzare con grande precisione l’ubicazione del<br />

canale alveolare inferiore, del canale incisivo e dei seni<br />

mascellari, ottenendo delle misurazioni molto precise dell’osso<br />

disponibile, senza le distorsioni tipiche dell’OPT. La TC con<br />

Denta-scan consente infatti una visione tridimensionale del<br />

futuro sito implantare, con possibilità di misurazioni dirette sul<br />

radiogramma. Questi programmi consentono di identificare in<br />

fase preoperatoria anche i difetti che richiedono un trattamento<br />

di innesto osseo e quindi di pianificare in modo ottimale il<br />

trattamento necessario. Attraverso lo studio densitometrico<br />

fornito dall’immagine, è possibile valutare la qualità dell’osso<br />

espressa in unità Hounsfield, parametro sicuramente più<br />

affidabile della lettura soggettiva della scala di grigi che si ottiene<br />

da un’OPT. Inoltre permette, nello studio dettagliato della<br />

morfologia del seno mascellare, di identificare e sfruttare al<br />

massimo le strutture ossee presenti, la presenza di eventuali<br />

patologie o di setti sinusali (di Underwood). La tomografia<br />

computerizzata evidenzia anche la presenza di patologie come<br />

affezioni periapicali e parodontali, corpi estranei o tumori e cisti<br />

che, a volte, non si vedono nell’OPT.


l’esame densitometrico (MOC), scarsamente utilizzato come<br />

esame preliminare, trova applicazione nel campo maxillo-<br />

facciale nella diagnosi e nel monitoraggio dei pazienti con<br />

osteoporosi in relazione alla necessità di una valutazione sia<br />

quantitativa che qualitativa delle ossa mascellari in relazione di<br />

un loro utilizzo per interventi di implantologia. Il MOC dal<br />

punto di vista qualitativo può dirci se l’osso controllato, con il<br />

rilievo degli “score”, rientra nei limiti della normale morfologia<br />

o se esistono delle situazioni patologiche.<br />

1.1.4 Analisi dell’osso disponibile<br />

Le indagini radiografiche ci permettono di valutare la qualità e la<br />

quantità di osso disponibile presente nel sito implantare.<br />

A livello locale bisogna valutare l’altezza, l’ampiezza e la<br />

lunghezza dell’osso presente. L’osso disponibile in altezza<br />

fornisce indicazioni sulla lunghezza dell’impianto da inserire.<br />

L’ampiezza e la forma del sito edentulo condizionano la scelta<br />

del diametro dell’impianto e la sua angolazione rispetto all’osso.<br />

L’ampiezza varia in funzione del riassorbimento osseo. Lo<br />

spessore vestibolo-orale dell’osso deve essere, al minimo, di 1<br />

mm superiore al diametro dell’impianto. L’ampiezza condiziona


anche l’inclinazione dell’impianto: un asse impiantare ideale<br />

prevede l’impianto allineato con le forze occlusali. Quella<br />

accettabile varia dai 20° ai 30°. Più è inclinato, più aumenta lo<br />

stress sull’osso crestale, con inevitabile aumento del<br />

riassorbimento. Oltre i 30° l’inclinazione può causare la frattura<br />

delle componenti protesiche 12 .<br />

Nell’inserimento di più impianti è importante calcolare la<br />

distanza tra quelli vicini che dovrebbero distare tra di loro 3-4<br />

mm e 3 mm dai denti naturali.<br />

Distanze inferiori a queste determinano difficoltà<br />

nell’adattamento delle componenti protesiche, nel<br />

mantenimento igienico, mancanza di spazio vitale tra le papille e<br />

un maggior rischio di riassorbimento osseo perimplantare<br />

(Tarnow et al. 2000).<br />

La qualità ossea condiziona la stabilità implantare. Si possono<br />

distinguere 4 diversi tipi di osso (classificazione secondo Mish):<br />

D1: il mascellare è formato quasi interamente da osso<br />

compatto e omogeneo<br />

D2: uno spesso strato di osso compatto circonda un osso<br />

trabecolare denso centrale


disponibile e alla sua densità. In presenza di osso D3, D4 bisogna<br />

aumentare più possibile diametro e lunghezza e preparare il sito<br />

con tecnica diversa. La tecnica degli osteotomi aumenta le<br />

possibilità di successo e ciò è dimostrato da uno studio con<br />

risultati a tre anni: “Impianti inseriti in osso a bassa densità con<br />

tecnica degli osteotomi”<br />

Zona n° imp. R.m. 1a<br />

R.m. 3 aa Fallimenti<br />

dal carico dal carico<br />

.4 8 1 mm 1,1 mm -<br />

.5 11 1,2 mm 1,2 mm -<br />

.6 11 1,3 mm 1,4 mm 1<br />

.7 3 1,2 mm -<br />

33 1,2mm 1,2 mm 1


1.1.5 Scelta dell’impianto in funzione del sito<br />

Gli esami radiografici più comuni illustrati in precedenza sono<br />

sufficienti a fornire esaustive informazioni al clinico sull’anatomia<br />

della cresta edentula e su questa base scegliere diametro e<br />

lunghezza ideale dell’impianto. La scelta dell’impianto avviene<br />

sovrapponendo alle radiografie speciali lucidi trasparenti con la<br />

raffigurazione schematica delle diverse dimensioni implantari<br />

(dima radiologica).<br />

L’evoluzione delle superfici implantari e, l’aumento della reale<br />

superficie di osteointegrazione degli impianti con superficie<br />

ruvida, ha consentito di ridurre le dimensioni minime degli<br />

impianti: se un tempo si cercava un ancoraggio bicorticale grazie<br />

all’utilizzo di impianti lunghi, oggi, nella maggior parte delle<br />

situazioni cliniche, si possono utilizzare impianti con lunghezza<br />

di 10 o anche 8 mm, a patto che la posizione dell’impianto sia<br />

ideale nelle tre dimensioni, e l’esistenza di corretti rapporti<br />

intermascellari consenta un carico assiale e un rapporto ottimale<br />

tra lunghezza dell’impianto e lunghezza della corona clinica<br />

dell’elemento da sostituire.<br />

A questo punto, terminata la pianificazione del trattamento, si<br />

prosegue con la fase operativa che deve essere il più accurata


possibile in tutti i suoi passaggi per evitare qualunque tipo di<br />

problematica legato a questa operazione.<br />

Un intervento di chirurgia implantare prevede un’interruzione<br />

della barriera mucosa, che mette in comunicazione i tessuti<br />

profondi con l’ambiente orale, sempre colonizzato da diversi<br />

tipi di germi. La penetrazione di quest’ultimi può esporre il<br />

paziente a rischio di infezione locale o a distanza. Questo rischio<br />

è maggiore in chirurgia implantare poiché gli impianti endossei,<br />

seppur realizzati con materiali bioinerti e biocompatibili, si<br />

comportano come corpi estranei interferendo con i normali<br />

meccanismi di riparazione e guarigione. Per questo motivo, nella<br />

maggior parte dei casi in chirurgia implantare viene utilizzato un<br />

protocollo di preparazione dell’ambiente chirurgico sterile.<br />

Per ridurre al minimo il rischio di infezione e per creare un<br />

ambiente il più possibile sterile, anche all’interno del cavo orale,<br />

il clinico può fare affidamento sul supporto farmacologico pre- e<br />

postoperatorio. La maggior parte degli Autori consiglia<br />

l’esecuzione di uno sciacquo con un colluttorio a base di<br />

clorexidina 0,12% o 0,2% immediatamente prima<br />

dell’intervento di chirurgia implantare. Il controllo batterico da<br />

parte della clorexidina è più efficace se l’antisepsi ha inizio 2/3


giorni prima dell’intervento. L’antisepsi locale con colluttori<br />

disinfettanti viene effettuata anche nel periodo postoperatorio,<br />

fino alla rimozione dei punti di sutura e se necessario anche nel<br />

periodo successivo, con una schema che prevede 2 o 3 sciacqui<br />

di un minuto al giorno.<br />

Per quanto riguarda invece l’antibioticoprofilassi non esiste<br />

attualmente un consenso per quanto riguarda l’opportunità di<br />

eseguirla nei pazienti sani prima degli interventi implantari<br />

(Esposito et al. 2004). In generale il ricorso alla profilassi<br />

antibiotica è indicato nei pazienti a rischio di endocardite<br />

batterica, nei pazienti immunodepressi, quando la chirurgia<br />

interessa una sede infetta, nel caso di interventi invasivi e<br />

prolungati e nel caso si faccia un esteso ricorso ad innesti di osso<br />

autologo, biomateriali o barriere semipermeabili/membrane.<br />

Nella maggior parte degli studi clinici riportati in letteratura,<br />

anche per tecniche implantari di base, si fa tuttavia ricorso ad<br />

una profilassi antibiotica preimplantare: in realtà il ricorso<br />

indiscriminato alla profilassi antibiotica non sembra sempre<br />

giustificato ed espone i pazienti al rischio di episodi allergici<br />

gravi e allo sviluppo di resistenze nei confronti degli antibiotici<br />

stessi.


1.1.6 Preparazione del sito chirurgico<br />

Per il posizionamento bisogna calcolare le distanza tra impianto<br />

e i denti naturali o, nel caso se ne posizionasse più di uno, tra<br />

impianto e impianto.<br />

Ogni metodica implantare prevede l’uso di una sequenza di<br />

frese di diametro crescente per la preparazione atraumatica del<br />

letto implantare. Oltre alla rimozione degli eventuali residui di<br />

tessuto connettivale presenti a livello della cresta dopo lo<br />

scollamento del lembo, mediante una curette chirurgica, le<br />

principali fasi della sequenza chirurgica sono la regolarizzazione<br />

della cresta, la perforazione del sito mediante frese, la verifica<br />

del corretto asse e della corretta profondità dei siti implantari, la<br />

maschiatura del sito (dove il sistema lo richiede), il sondaggio<br />

finale, l’inserimento dell’impianto, la rimozione del dispositivo<br />

di montaggio e l’inserimento della vite di chiusura.


La tecnica di preparazione del letto implantare deve essere<br />

adattata alla qualità ossea locale. La diagnosi della qualità ossea<br />

è essenzialmente clinica, anche se ad essa possono contribuire le<br />

immagini radiografiche fornite dalla TAC, che permette di<br />

valutare lo spessore della corticale e la mineralizzazione della<br />

spongiosa. La qualità ossea viene comunque valutata durante la<br />

preparazione del sito implantare, dopo la perforazione della<br />

corticale, in base alla resistenza offerta al fresaggio da parte della<br />

compagine ossea. Per l’osso di tipo 1 composto quasi<br />

interamente da corticale e quindi molto denso (tipico della<br />

regione interforaminale mandibolare), dove il rischio di<br />

surriscaldamento e maggiore, devono essere utilizzate frese non<br />

usurate, con elevato potere di taglio, applicate in modo<br />

intermittente, rimuovendo costantemente l’osso fresato e<br />

irrigando abbondantemente con soluzione fisiologica refrigerata.<br />

Questi piccoli accorgimenti servono per far si che l’intervento sia<br />

il più atraumatico possibile. A fronte di questi problemi però,<br />

l’osso di tipo 1 consente di ottenere una elevata stabilità<br />

primaria e da la possibilità di utilizzare impianti più corti senza<br />

una sostanziale diminuzione della stabilità.


L’osso di tipo 2 presenta una spessa corticale e una midollare<br />

ben mineralizzata e rappresenta la situazione ideale poiché la<br />

preparazione del sito implantare è agevole, è ben vascolarizzato<br />

ed è possibile ottenere una buona stabilità primaria. Nell’osso di<br />

tipo 3 e 4, caratterizzati da una corticale sottile e da una<br />

midollare rispettivamente densa (mascellare superiore e settori<br />

latero-laterali della mandibola) e a bassa densità (settori latero-<br />

posteriori del mascellare superiore), la stabilità primaria degli<br />

impianti rappresenta un obbiettivo più critico da raggiungere e<br />

la percentuale di successo degli impianti per questo motivo è<br />

inferiore (Jaffin e Berman, 1991)<br />

1.1.7 Trattamento postchirurgico<br />

Un protocollo farmacologico postoperatorio prevede la<br />

continuazione della profilassi antibiotica solo nel caso di<br />

interventi più invasivi e prolungati, e l’assunzione di farmaci<br />

analgesici (FANS) per i primi giorni dopo l’intervento.<br />

Per il controllo della placca batterica il paziente prosegue per 10-<br />

15 giorni gli sciacqui con un colluttorio a base di clorexidina-<br />

digluconato. Viene anche prescritta una dieta semisolida.


Dopo il periodo di guarigione viene eseguita la II fase chirurgica.<br />

Con questo intervento, più rapido e meno traumatico del<br />

primo, gli impianti vengono riesposti per essere poi connessi,<br />

con le protesi definitive.<br />

Durante questa fase, dopo 4-6 mesi, ogni impianto viene<br />

valutato radiograficamente e clinicamente per la sua stabilità.<br />

La maggior parte dei fallimenti (4%) avviene precocemente<br />

(durante la II fase chirurgica) o dopo i primi mesi di funzione<br />

masticatoria; i fallimenti tardivi (dopo la protesizzazione<br />

definitiva) sono estremamente rari (1%). La piccola cavità ossea<br />

che residua dopo il fallimento di un impianto, simile all'alveolo<br />

vuoto dopo un'estrazione dentale, guarisce in circa due mesi e,<br />

se necessario, può essere utilizzata per un nuovo impianto. Se<br />

vengono posizionati più impianti, il fallimento di un singolo<br />

elemento può non comportare, nella maggior parte dei casi,<br />

l'insuccesso della protesi finale.<br />

In ogni fase del trattamento il paziente deve essere<br />

adeguatamente istruito e informato su ogni particolare<br />

dell’intervento, soprattutto per le manovre di igiene e<br />

comportamentali che dovrà avere a domicilio.


1.2 CRITERI DI SUCCESSO IN IMPLANTOLOGIA<br />

L’implantologia moderna è ampiamente prevedibile; possiamo<br />

affermare che si raggiunge il successo nel 96-97% dei casi 7 .<br />

E’ necessario però rispettare alcuni principi diagnostico-<br />

terapeutici.<br />

La diagnosi deve essere effettuata accuratamente. Bisogna<br />

valutare lo stato di salute generale, stabilendo, nell’anamnesi, se<br />

sono presenti fattori di rischio che possano controindicare<br />

all’intervento. Distinguiamo controindicazioni assolute e relative.<br />

Le controindicazioni assolute sono rappresentate da malattie<br />

metaboliche croniche, diabete scompensato, endocrinopatie,<br />

cardiopatie scompensate, pazienti irradiati o in chemioterapia,<br />

immunodeficienze congenite o acquisite, fattori genetici,<br />

malattie neurologiche, gravi disturbi psicologici e mentali, abuso<br />

di alcool e droghe, osteoradionecrosi dei mascellari dopo<br />

radioterapia.<br />

Le controindicazioni relative invece sono legate alla presenza di<br />

patologie sistemiche tenute sotto controllo (malattie<br />

cardiocircolatorie controllate, insufficienza respiratoria cronica,<br />

epatopatie,…), storia di endocardite o di patologie vascolari<br />

( per le quali è importante fare una corretta profilassi


antibiotica), disturbi della coagulazione (pazienti in terapia<br />

anticoagulante trattati con eparina e antagonisti della vitamina K<br />

o in terapia antiaggregante con acido acetilsalicilico),<br />

ipertensione arteriosa, precedente radioterapia nel distretto<br />

cervico-facciale, ansia e stress, forte tabagismo (più di 20<br />

sigarette al giorno), malattia parodontale (il trattamento<br />

implantare è possibile solo se dopo la terapia la malattia risulta<br />

controllata), patologie della mucosa orale come lichen planus,<br />

pemfigo, eritema multiforme, stomatite erpetica.<br />

Per rispettare i protocolli dobbiamo porre molta attenzione alla<br />

valutazione ossea per accertarci della quantità e qualità ossea e<br />

delle eventuali limitazioni anatomiche e patologiche preesistenti.<br />

L’intervento chirurgico deve essere effettuato nella condizioni di<br />

massima sterilità possibile e la tecnica deve prevedere la minima<br />

invasività e rispettare i protocolli consolidati dall’esperienza. I<br />

materiali che vengono utilizzati devono rispondere agli standard<br />

di qualità, sicurezza e garanzia e la protesi applicata<br />

successivamente deve soddisfare i criteri di occlusione, estetica,<br />

funzione e carico.


Al fine di ottenere una ottima riabilitazione e affinché il risultato<br />

ottenuto si conservi il più a lungo possibile è importante la<br />

compliance del paziente.<br />

Egli deve seguire con scrupolo tutte le indicazioni che gli<br />

vengono date prima dell’intervento, nella fase preparatoria,<br />

dopo l’intervento, nella fase di convalescenza e di guarigione dei<br />

siti implantari, durante le fasi di preparazione della protesi e<br />

dopo la consegna dei definitivi. Le due indicazioni principale a<br />

cui deve attenersi senza riserve sono una corretta igiene orale<br />

domiciliare (oltre alle sedute di igiene professionale prescritte) e<br />

la rimozione di abitudine viziate quali, ad esempio, il fumo.<br />

Molti studi hanno infatti dimostrato che l’abitudine al fumo<br />

comporta delle alterazioni a livello del sistema immunitario<br />

(alterazione dei polimorfonucleati e riduzione dell’AB sistemica),<br />

un’ inibizione dell’aggregazione piastrinica, un maggior<br />

riassorbimento e, di conseguenza a tutto ciò, una maggiore<br />

predisposizione all’infiammazione perimplantare e quindi al<br />

fallimento dell’impianto 7, 50 .<br />

Secondo uno studio di Bain C. 2 basato sull’analisi di 223 impianti<br />

in 78 pazienti la percentuale di fallimenti implantari nei fumatori<br />

è del 38,46%, nei non fumatori è del 5,68%, mentre nei


fumatori con protocollo di astensione da 1 settimana prima<br />

dell’intervento a 8 dopo è del 11,76%.<br />

Uno studio simile è stata portato avanti da Swartz-Arad et al. 61<br />

erano stati analizzati 959 impianti in 261 pazienti è la<br />

percentuale di successo era stata del 98% in pazienti non<br />

fumatori e del 96% in pazienti fumatori. Le complicanze invece<br />

si erano manifestate nel 46% dei fumatori e nel 31% nei non<br />

fumatori.<br />

I risultati dei due lavori presi in considerazione sono discordanti,<br />

ma una affermazione che possiamo affermare è che la<br />

diminuzione dell’abitudine al fumo, è strettamente correlata al<br />

calo delle complicanze a breve e a lungo termine.<br />

Ultimo aspetto, ma di sicuro uno dei più importanti, riguarda le<br />

visite periodiche di controllo: il paziente deve essere<br />

correttamente informato sull’importanza dei controlli periodici<br />

ai quali deve obbligatoriamente sottoporsi e avvisato delle<br />

possibili complicanze che si possono manifestare, le quali<br />

possono accentuarsi se non diagnosticate per tempo. Questo sia<br />

per responsabilizzare il paziente sulla sua salute orale, sia per<br />

proteggere l’operatore da eventuali contenziosi nel caso del<br />

fallimento della terapia legata a una sua negligenza: in questo


caso spetterà al paziente l’onere della prova ma il clinico avrà<br />

dalla sua il fatto che il paziente non si sia presentato ai controlli<br />

che egli stesso gli aveva raccomandato.<br />

Ad ogni controllo il professionista dovrà valutare alcuni<br />

parametri indicativi della buona riuscita dell’intervento come:<br />

immobilità dell’impianto;<br />

all’esame rx assenza di radiotrasparenza intorno all’impianto;<br />

nessun movimento delle componenti secondarie;<br />

assenza di infiammazione all’interfaccia tra protesi e tessuti<br />

molli;<br />

assenza di interferenze occlusali;<br />

Albrektsson et al. nel 1986 avevano descritto le percentuali di<br />

successo a 1, 5 e a 10 anni:<br />

dopo il primo anno di carico perdita ossea 0,2 mm/anno;<br />

successo dell’85% a 5 anni e del 80% a 10 anni minimo.<br />

Oggi queste percentuali sono state ampiamente riviste:<br />

94,7% a 10 anni ( Leonhardt, Gröndahl, Bergström,<br />

Lekholm COIR 2002);<br />

95,4% a 5 anni, 92,8% a 10 anni (Pjetursson, Tan, Lang,<br />

Review su 560 art., COIR 2004).


1.3 FALLIMENTI E COMPLICANZE IN IMPLANTOLOGIA<br />

Per insuccesso implantare si intende un riassorbimento osseo<br />

perimplantare con sostituzione di tessuto di granulazione e<br />

possibili fatti infettivi osteomucosi. Le cause di questo<br />

riassorbimento possono essere le più svariate:<br />

cause di ordine generale: malattie preesistenti non riconosciute<br />

o non tenute nel debito conto: diabete, nefropatie scompensate,<br />

malattie dismetaboliche importanti, menopausa con alterazioni<br />

del metabolismo del calcio e potassio, vari tipi di anemie e in<br />

genere tutte le malattie che controindicano gli interventi chirurgici<br />

di elezione;<br />

malattie intercorrenti locali: infezioni orofaringee,<br />

parodontopatie e granulomi dei denti residui con interessamento<br />

del perimplanto; traumi diretti sugli impianti o sulla protesi<br />

sovraimplantare; gravi traumi craniofacciali anche senza<br />

interessamento degli impianti;<br />

cause di ordine locale: errata scelta dell’impianto in rapporto<br />

alla situazione anatomica locale; errato inserimento dell’impianto,<br />

medicazione intra e postoperatoria inadeguata; carico precoce in<br />

funzione della densità ossea, protesi provvisoria o definitiva non


corretta dal punto di vista occlusale o marginale; insufficiente<br />

igiene orale in mancanza di controlli periodici.<br />

Le cause più frequenti di insuccesso, sono da imputare a due<br />

cause: all’operatore e al paziente e in entrambi i casi possono<br />

essere precoci o tardive.<br />

Un’errata tecnica chirurgica oppure un errato tempo di carico<br />

anticipato rispetto al tipo di osso sono gli errori più frequenti in<br />

cui può incorrere il chirurgo.<br />

La qualità e la quantità di osso del mascellare da trattare sono due<br />

fattori legati al paziente dai quali dipende il successo<br />

dell’impianto.<br />

Gli altri fattori, anche di ordine generale, sono più rari e a volte<br />

non chiaramente dimostrabili in rapporto con l’insuccesso;<br />

certamente gli errori tecnici operatori, l’uso di materiali<br />

contenenti impurità, la scelta inadeguata dell’impianto, lo stato di<br />

decalcificazione dell’osso o uno stato di decalcificazione generale<br />

del soggetto possono influire negativamente sulla durata<br />

dell’impianto ma questi fattori abitualmente hanno una frequenza<br />

minore come causa di insuccesso.


Deiscenza osteo-mucosa per diametro dell’impianto<br />

eccessivo rispetto all’ampiezza ossea<br />

Assenza di congruità della protesi e retrazione della<br />

corticale vestibolare


1.3.1 Cause dovute all’operatore<br />

Errori tecnici effettuati nella fase chirurgica, possono portare<br />

all’assenza di stabilità primaria dell’impianto per una eccessiva<br />

preparazione del sito rispetto o al diametro dell’impianto o alla<br />

densità ossea; sarà quindi necessario rimuovere l’impianto per<br />

sostituirlo con un altro di diametro più largo, cercando di<br />

sfruttare al massimo lo spessore della cresta, ricordando che<br />

l’impianto deve essere circondato da almeno 1 mm di osso.<br />

Qualora non fosse possibile ottenere una buona stabilità primaria<br />

con un impianto a diametro maggiore, nella maggior parte dei<br />

casi bisogna lasciar guarire l’alveolo chirurgico ed aspettare 2-3<br />

mesi per intervenire nuovamente.<br />

Gli errori tecnici durante l’esecuzione dell’intervento possono<br />

purtroppo coinvolgere importanti strutture anatomiche presenti in<br />

prossimità del cavo orale: tra le più importanti fosse nasali, seni<br />

mascellari e canale mandibolare.<br />

Queste lesioni si possono verificare si durante l’intervento per un<br />

errore tecnico o possono verificarsi in un secondo momento in<br />

seguito ad un insuccesso implantare.


Le Rx pre e post operatoria dimostrano la mancanza<br />

di perizia nell’inserimento dei due impianti<br />

L’interessamento di alcune formazioni anatomiche, quali il nervo<br />

alveolare inferiore, il canale palatino e zone di addensamento<br />

osseo di n.d.d. in sede intraoperatoria non dovrebbe mai<br />

verificarsi; l’accuratezza degli esami radiografici oggi a<br />

disposizione consente di determinare correttamente la lunghezza<br />

ed il diametro dell’impianto da inserire, Il ricorso a TAC con<br />

Dentascan riduce al minimo la possibilità di incorrere in un errore<br />

di valutazione dello spazio disponibile. Si possono comunque<br />

commettere errori tecnici che, indipendentemente dalla<br />

valutazione più o meno esatta della quantità d’osso disponibile,<br />

possono portare all’interessamento delle suddette formazioni: per<br />

prevenire queste lesioni iatrogene è bene adottare le tecniche<br />

giuste, suggerite dall’esperienza dell’operatore, rimanendo alla<br />

distanza di almeno 2 mm da una eventuale zona di pericolo. Vi<br />

sono dei segni che permettono di stabilire immediatamente se la


mucosa dei seni mascellari o delle fosse nasali è stata perforata<br />

durante la preparazione del sito.<br />

Nelle fosse nasali il sintomo è una dolenza locale, in quanto la<br />

corticale non è raggiunta dall’anestetico. La perforazione della<br />

corticale non è un evento avverso quanto la perforazione della<br />

mucosa: in questo caso l’impianto è a rischio di fallimento, in<br />

quanto la contaminazione del sito è pressoché certa. In ogni caso<br />

è prudente inserire l’impianto al di sotto della corticale.<br />

Per i seni mascellari, va fatto un discorso a parte. La lesione della<br />

mucosa difficilmente comporta una patologia, sia nell’immediato<br />

che in futuro. Branemark et al, hanno dimostrato che gli impianti<br />

possono essere inseriti all’interno del seno mascellare senza<br />

conseguenze se avviene l’integrazione tra gli impianti e l’osso al di<br />

sotto del seno. Di contro la percentuale di fallimento era<br />

abbastanza elevata (30% a 5 e 10 aa) 8 . L’interessamento della<br />

sola corticale, a membrana integra consente, inoltre, di sfruttare le<br />

capacità rigenerative della membrana di Schneider per aumentare<br />

la quota di osso disponibile. La casistica, in letteratura, su questo<br />

argomento è notevole, con un’alta percentuale di successo a<br />

medio e lungo termine.


Sono descritti in letteratura casi in cui la perforazione della<br />

mucosa e l’inserimento dell’impianto nel seno mascellare hanno<br />

determinato la comparsa di sinusiti che, però, guariscono una<br />

volta rimosso l’impianto 63,64 .<br />

Nei casi in cui la perforazione avviene in modo molto traumatico<br />

e l’infezione locale viene trascurata, oltre alla perdita<br />

dell’impianto può residuare una comunicazione oro-antrale,<br />

verificabile facilmente con la manovra di Valsalva.<br />

Interessamento delle fosse nasali e dei seni mascellari si possono<br />

avere anche a distanza di tempo dall’intervento implantologico<br />

come complicanze di un insuccesso. Si verificano quasi<br />

esclusivamente in insuccessi di impianti iuxtaossei i quali, in<br />

presenza di perimplantite determinano una distruzione della<br />

parete ossea del pavimento del seno mascellare.<br />

Ma le complicanze che più facilmente rivestono importanza<br />

<strong>medico</strong>-legale sono quelle che riguardano le lesioni del nervo<br />

mandibolare. Il canale mandibolare è un sottile tubicino di<br />

corticale che contiene il nervo alveolare inferiore e le relative<br />

arterie e vene il quale fuoriesce poi come nervo mentoniero a<br />

livello del forame omonimo e continua nella regione incisiva con<br />

rami per gli incisivi e i canini.


Per il chirurgo, delle tre formazioni presenti nel canale<br />

mandibolare, la più importante è il nervo alveolare inferiore,<br />

ramo sensitivo della terza branca del trigemino; l’arteria e le vene<br />

satelliti, che di solito vengono lese contemporaneamente al<br />

nervo, non danno sintomi, se non un imponente sanguinamento.<br />

Il nervo alveolare è costituito da piccoli fasci di fibre nervose<br />

contornati da un sottile strato di connettivo il quale conferisce al<br />

fascio nervoso un certo grado di elasticità che permette uno<br />

stiramento ed un allungamento che entro certi limiti non procura<br />

danni.<br />

Le lesioni che si possono produrre durante un intervento di<br />

chirurgia implantare possono essere dovute all’azione delle frese,<br />

a compressione o stiramenti del nervo dovuti sia all’impianto che<br />

a frammenti ossei spostati da quest’ultimo oppure ad emorragie.<br />

Le lesioni provocate dalle frese sono molto gravi in quanto, se il<br />

nervo viene sezionato, difficilmente avremo una restitutio ad<br />

integrum o<br />

comunque, in caso<br />

di guarigione,<br />

questa avverrà in<br />

tempi molto lunghi.


La sezione del nervo viene subito individuata dall’operatore<br />

perché vengono contemporaneamente lese l’arteria e la vena<br />

alveolare, con una immediata emorragia nel cavo orale spesso di<br />

tipo arterioso.<br />

Quest’evenienza deve essere assolutamente evitata prendendo<br />

misure precise sulle radiografie endorali e sulla Dentascan.<br />

Sicuramente l’uso del Dentascan ci permette non solo di avere una<br />

perfetta riproduzione della morfologia mandibolare, ma anche<br />

una precisa misurazione millimetrica.<br />

La tecnica giusta per evitare questo tipo di complicanze è quella di<br />

preparare il sito con molta cautela, soprattutto quando l’altezza<br />

ossea è prossima alla lunghezza dell’impianto. Se l’impianto o la<br />

fresa giungono in vicinanza o in contatto col canale alveolare e<br />

non è stata praticata anestesia tronculare, il paziente avvertirà un<br />

dolore, di solito proporzionale alla vicinanza con il canale stesso.<br />

Questo perché la diffusione degli stimoli algogeni attraverso l’osso<br />

avviene attraverso forze idrostatiche.<br />

Se, però, il paziente avverte una scossa irradiata al mento vuol<br />

dire che il nervo è stato leso. A conferma di ciò, il perdurare<br />

dell’anestesia all’emilabio corrispondente, anche molto dopo che<br />

è cessato l’effetto dell’anestetico.


L’inserzione lenta della fresa è fondamentale sia perché consente<br />

all’operatore di mantenere la direzione esatta dell’asse di<br />

preparazione, sia perché, nel caso abbastanza frequente che il<br />

nervo venga stirato, compresso o spostato lateralmente, il danno<br />

sarà minore in quanto l’elasticità propria del nervo e la<br />

protezione conferitagli dall’epinevrio gli consentiranno di<br />

spostarsi, entro certo limiti, nel canale mandibolare, e di sfuggire<br />

all’azione lesiva delle frese.<br />

Tre sono sostanzialmente i problemi <strong>medico</strong>-<strong>legali</strong> che si<br />

propongono in questi casi:<br />

1) inquadramento nosografico dell' evento lesivo, indispensabile<br />

agli effetti diagnostici e prognostici;<br />

2) accertamento della responsabilità del sanitario, sotto il profilo<br />

penale e civile;<br />

3) valutazione del danno alla persona e della conseguente<br />

inabilità temporanea e permanente.<br />

Per quanto riguarda il primo punto, le difficoltà sono notevoli,<br />

trattandosi di lesione di un nervo esclusivamente sensitivo e<br />

quindi comportante una sintomatologia sostanzialmente<br />

soggettiva.


Quasi sempre si renderà necessaria più di una visita, per<br />

controllare l'evoluzione della sintomatologia nel tempo.<br />

È possibile, in alcuni casi, una determinazione oggettiva della<br />

conduzione nervosa mediante la metodica dei potenziali evocati.<br />

Quanto al punto secondo, si dovrà tener conto dei consueti e ben<br />

noti elementi: consenso informato (il paziente avvertito di tale<br />

possibilità è più propenso ad accettare senza allarmismi<br />

l'evenienza, a non esagerarne le conseguenze e ad attenderne la<br />

risoluzione), finalità francamente terapeutica o meno, corretta<br />

valutazione del rapporto tra rischio e beneficio, indagine sull'<br />

operato del sanitario sotto il profilo della diligenza, prudenza e<br />

perizia. La valutazione della finalità terapeutica e del rapporto tra<br />

rischio e beneficio terrà conto anzitutto della natura e gravità<br />

della condizione patologica preesistente e della possibilità di<br />

terapie alternative.<br />

Il giudizio non potrà non essere in linea di principio più severo<br />

nei casi di implantoprotesi e di chirurgia avente finalità<br />

esclusivamente o prevalentemente estetica.<br />

Quanto al terzo punto, riguardante la valutazione del danno alla<br />

persona e della conseguente inabilità temporanea e permanente,<br />

se per la prima non sembrano prospettarsi difficoltà degne di


nota, trattandosi, il più delle volte di giudizio fondato sull'esame<br />

della storia clinica e dei relativi documenti, difficoltà notevoli si<br />

prospettano per quanto riguarda l'inabilità permanente.<br />

Se nei casi di semplice ipoestesia, più o meno spiccata,<br />

accompagnata al massimo da sensazioni di formicolio, si può<br />

ritenere che tale menomazione sia ininfluente sulla capacità<br />

lavorativa generica, diverso è il caso di vera e propria<br />

sintomatologia nevralgica, sia continua che accessuale.<br />

In tali casi è da ammettersi quanto meno una diminuzione della<br />

concentrazione richiesta dal lavoro ed una diminuzione della<br />

resistenza alla fatica.<br />

Luvoni e Bernardi, a proposito delle menomazioni trigeminali,<br />

propongono i seguenti dati nell' ambito della responsabilità civile:<br />

«Anestesia completa delle tre branche associata a crisi nevralgiche:<br />

8%»; «Anestesia di una branca: 3%» 49 .<br />

In considerazione dell'impedimento al normale svolgimento di<br />

fondamentali funzioni quali la parola e la masticazione, talvolta<br />

associato a sintomatologia dolorosa di tipo nevralgico, riteniamo<br />

potersi affermare che le menomazioni a carico del nervo alveolare<br />

inferiore determinino a seconda della gravità, che è in funzione


eminentemente della componente dolorosa, una diminuzione<br />

della generica capacità lavorativa dell' ordine del 2-5%.<br />

Le lesioni provocate da frammenti ossei o da emorragie possono<br />

provocare nel soggetto:<br />

parestesie cioè dolore, torpore, formicolio, sensazioni di<br />

puntura caldo -freddo, bruciori nella regione del mento. In genere<br />

si ha un ritorno alla normalità in un periodo di 4-8 settimane<br />

durante le quali si nota una riduzione progressiva dell’area di<br />

parestesia; in alcuni casi, a seconda dell’intensità e del tipo di<br />

compressione, si può avere un ripristino della normalità anche<br />

dopo un anno, o possono rimanere piccole zone di parestesia o<br />

anestesia;<br />

anestesia e insensibilità della zona del mentoniero. Se non<br />

provocata da sezione del nervo segue lo stesso iter delle<br />

parestesie;<br />

iperestesia ed iperalgesia sempre nel territorio di innervazione<br />

del mentoniero che consistono in aumentata sensibilità comune e<br />

dolorifica, che possono essere mal tollerate dal paziente ma<br />

sempre reversibili;


ipoestesia ed ipoalgesia cioè diminuzione della sensibilità<br />

normale e dolorifica che possono scomparire completamente o<br />

essere residuo di una parestesia.<br />

L’anestesia del mento può risolversi dopo alcuni mesi e raramente<br />

è permanente; inoltre più del 50% dei casi le lesioni di lieve<br />

entità del nervo alveolare guariscono spontaneamente in massimo<br />

80 giorni. Nel caso il danno sia più importante, dopo 5/6 mesi il<br />

danno della parestesia è ridotto dell’80 - 90% e nella massima<br />

parte dei casi scompare completamente. Solo in un limitato<br />

numero di pazienti possono permanere tracce di parestesia, del<br />

tutto sopportabili.<br />

In rari casi il danno può essere duraturo e noioso e in genere sono<br />

questi i casi in cui il paziente può pretendere dal <strong>medico</strong> un<br />

risarcimento per un danno che di solito egli stesso tende a<br />

esagerare.<br />

Quanto sia importante la posizione dell’impianto per il successo<br />

della terapia implantoprotesica e per quali motivi è stato illustrato<br />

dal P. Palacci nel suo compendio.


Da Palacci P. Implantoprotesi ed estetica2001, Quintessence ed.<br />

1.3.2 Fase postchirurgica<br />

Una volta inseriti gli impianti sarà fondamentale che il paziente<br />

venga istruito e motivato adeguatamente sulle manovre di igiene<br />

orale domiciliare che dovrà effettuare per permettere una corretta<br />

guarigione del sito implantare.<br />

Il mantenimento di una corretta igiene orale è senza dubbio<br />

legato anche alla morfologia della protesi: il colletto della corona<br />

è opportuno che sia metallico per circa 1mm in modo da essere<br />

facilmente detergibile da parte del paziente con i normali presidi<br />

domiciliari. A livello dei molari e dei premolari si dovrà<br />

riprodurre una forma degli elementi protesici corretta e più simile<br />

possibile a quella naturale per facilitare sia l’autodetersione sia lo<br />

spazzolamento, ricreando un corretto punto di contato per


favorire la ripresa della papilla interdentale secondo i principi di<br />

Turnow. La predicibilità di ogni terapia odontoiatrica aumenta<br />

quando il mantenimento è eccellente. Il complesso implanto-<br />

protesico ha bisogno di un controllo periodico costante, in cui<br />

debbono essere valutate le varie componenti. Informare, a volte,<br />

non basta, poiché, dall’esperienza quotidiana, si evince che molti<br />

pazienti sottovalutano questa problematica. È bene, quindi,<br />

predisporre, di concerto con i collaboratori Igienisti una serie di<br />

recall personalizzati, invitando i pazienti in modo mirato e<br />

documentabile in caso di contenzioso. Questo perché alcuni<br />

pazienti, per incuria, per mancanza di tempo, per paura, si<br />

presentano solo quando si presentano sintomi. In alcuni casi le<br />

attese portano al fallimento della terapia.<br />

1.3.3 La perimplantite<br />

Una delle complicanze più frequenti che si possono manifestare in<br />

implantologia è la perimplantite ovvero un processo flogistico a<br />

carico dei tessuti molli e duri dell’unità perimplantare che<br />

determina rapidamente la perdita dell’osteointegrazione e<br />

progressivamente del supporto osseo, associata a sanguinamento<br />

e spesso a suppurazione.


La perimplantite può essere definita precoce quando si manifesta<br />

prima del carico protesico o addirittura dopo pochi giorni<br />

dall’intervento; l’osteointegrazione non avviene per trauma<br />

chirurgico eccessivo e surriscaldamento dell’osso, tecnica chirurgica<br />

errata, ridotta capacità di guarigione dei tessuti, infezione precoce<br />

dei tessuti perimplantari, mancata stabilità primaria. Viene invece<br />

definita tardiva se compare dopo il carico protesico; le cause<br />

determinanti della comparsa tardiva dell’infiammazione sono l’<br />

inadeguato controllo di placca e/o il trauma occlusale.<br />

Il fallimento tardivo è dovuto alla perdita di osteointegrazione<br />

che riconosce un’eziopatogenesi traumatica o infettiva.<br />

La perimplantite batterica trova la sua origine in un iniziale e<br />

protratto inadeguato controllo di placca mentre quella traumatica<br />

è inizialmente asettica e l’insorgenza della componente batterica è<br />

secondaria.<br />

I microrganismi che sono stati isolati nei casi di infiammazione<br />

perimplantare sono diversi a seconda della natura traumatica o<br />

batterica della stessa: nella prima le colonie individuate sono<br />

costituite principalmente da streptococchi, compatibili con un<br />

parodonto sano (Streptococcus Sanguis, Streptococcus<br />

Morbillorum, Streptococcus Epidermidis) mentre nella seconda si


trova una microflora costituita per il 42% da spirochete,<br />

fusobatteri e bastoncelli Gram negativi ( Peptostreptococcus<br />

Nigrescens, Peptostreptococcus Micros, Fusobacterium spp,<br />

Porphiromonas Gingivalis, Prevotella Intermedia).<br />

I microrganismi patogeni possono essere trasmessi dai denti agli<br />

impianti:<br />

con il flusso salivare;<br />

con le setole degli spazzolini;<br />

con le sonde parodontali durante l’ispezione;<br />

con gli aghi delle siringhe da anestetico.<br />

(Quirynen et al.1996)<br />

Le manifestazioni patologiche che coinvolgono i tessuti<br />

perimplantari, muco-gengivali ed ossei, hanno un’eziopatogenesi<br />

strettamente correlata alla morfostruttura anatomica ed istologica<br />

specifica degli stessi tessuti coinvolti nell’integrazione, alla<br />

morfologia superficiale della fixture ed alla precisione di<br />

accoppiamento dei componenti implantari. I tessuti molli<br />

perimplantari hanno una ridotta capacità di difesa contro le<br />

irritazioni esogene per la minore resistenza meccanica<br />

dell’apparato di attacco. Inoltre i meccanismi di difesa dei tessuti<br />

gengivali sono più efficaci di quelli delle mucose perimplantari nel


prevenire la propagazione apicale della flora batterica (Lindhe J.<br />

et al.) 34 .<br />

Tutte queste condizioni peculiari del sito implantare fanno sì che il<br />

principale fattore eziologico della malattia perimplantare sia<br />

quello infettivo; ricerche microbiologiche e cliniche sperimentali<br />

hanno dimostrato che un efficace controllo di placca batterica<br />

riduce la possibilità di malattia perimplantare così come per la<br />

malattia parodontale 32,34 .<br />

La resistenza agli insulti traumatici e infettivi nei tessuti<br />

perimplantari risente di un equilibrio patogeni-ospite meno<br />

favorevole rispetto ai denti naturali dovuto principalmente a<br />

differenze di ordine anatomico:<br />

assenza di legamento parodontale e relativa<br />

vascolarizzazione


assenza di cemento radicolare sulla superficie implantare<br />

attacco connettivale con meno fibroblasti e con fibre senza<br />

inserzioni sulla superficie implantare ma parallele ad essa.<br />

Clinicamente si ha una minore resistenza al sondaggio nel solco<br />

perimplantare sano rispetto al sondaggio nei denti naturali; in<br />

studi sul modello animale in seguito ad un accumulo di placca per<br />

un periodo da tre settimane a tre mesi si hanno lesioni<br />

infiammatorie che hanno un’evoluzione ed una progressione in<br />

profondità nei siti implantari contrariamente ai denti naturali<br />

dove l’infiammazione si limita ai tessuti marginali 73-78 .<br />

Gli impianti con superficie liscia presentano una più alta incidenza<br />

di mancata osteointegrazione precoce, mentre quelli a superficie<br />

ruvida sono associati a maggior percentuale di complicanze<br />

tardive da infezione batterica.<br />

La malattia perimplantare evolve attraverso tre stadi:<br />

la mucosite perimplantare<br />

la perimplantite ortograda<br />

la perimplantite retrograda<br />

La diagnosi delle mucositi e delle perimplantiti si avvale di un<br />

corredo sintomatologico con segni e sintomi d’infiammazione che<br />

va dal coinvolgimento dei tessuti molli perimplantari nella


mucosite fino ad estendersi ai tessuti più profondi nelle<br />

perimplantiti. I principali parametri clinico-diagnostici per la<br />

valutazione dello stato di salute dei tessuti perimplantari sono:<br />

sanguinamento, essudazione e suppurazione ipertrofia e<br />

tumefazione dei tessuti molli, sondaggio perimplantare, mobilità<br />

implantare, osteolisi perimplantare all’esame radiologico.<br />

Nella mucosite si ha flogosi dei tessuti molli perimplantari con<br />

tumefazione, edema, sanguinamento al sondaggio e/o spontaneo,<br />

dolore alla palpazione ed alla masticazione con presenza di<br />

essudato sieroematico o sieropurulento negli stadi più avanzati. La<br />

mucosite isolata si manifesta senza alterazioni dei tessuti coinvolti<br />

nell’osteointegrazione quindi senza mobilità implantare e<br />

lasciando la possibilità di una completa restitutio ad integrum.<br />

Nel caso di un’estensione in profondità del processo<br />

infiammatorio alla mucosite si aggiunge il quadro vero e proprio<br />

della perimplantite ortograda.<br />

Per la diagnosi di perimplantite sono da valutare i seguenti<br />

parametri:<br />

•dolore localizzato spontaneo e/o alla percussione;<br />

•indice di sanguinamento 2 (scala 0-3);<br />

• PAL > 3 mm valutata nella sua evoluzione avendo come repere


non il margine libero della gengiva ma il margine della<br />

connessione impianto-abutment;<br />

● incremento di fluido sulculare;<br />

● formazione di recessione indicante un processo distruttivo dei<br />

tessuti molli e duri;<br />

• presenza di pseudotasca;<br />

• sanguinamento al sondaggio;<br />

• presenza di suppurazione, indice tardivo;<br />

• mobilità implantare, che indica il fallimento dell’impianto, non<br />

più trattabile;<br />

• esame radiografico con il quale prevalentemente si pone la<br />

diagnosi individuando la perdita dell’osteointegrazione.<br />

Immagini di osteolisi verticali si hanno per un’eziopatogenesi<br />

traumatica, osteolisi “a scodella” per un’eziologia batterica.<br />

La perimplantite retrograda è stata recentemente introdotta come<br />

nuova entità nosologica definendola come una lesione di osteolisi<br />

perimplantare localizzata al terzo apicale della vite implantare<br />

caratterizzata da una insorgenza entro 30 giorni dall’inserimento<br />

dell’impianto con dolore locale alla palpazione e spontaneo,<br />

gonfiore e presenza di fistola. La causa della perimplantite<br />

retrograda sembra riconducibile alla presenza di tessuti cicatriziali


e/o granulomatosi in corrispondenza del sito implantare dovuti a<br />

precedenti episodi di osteite di origine endodontica.<br />

La terapia della perimplantite traumatica consiste nella verifica<br />

dell’occlusione e nella rimozione di eventuali precontatti e<br />

interferenze e nel trattamento dei tessuti duri e molli, con<br />

eventuale rimozione dell’impianto. La terapia della perimplantite<br />

batterica invece prevede lo scaling con curettes del sito implantare<br />

associato ad antibiotico-terapia (sistemica o locale) e sciacqui con<br />

clorexidina per la disinfezione del sito. A ciò seguono poi<br />

interventi di muco plastica, implanto-plastica e terapia resettiva,<br />

con espianto e reimpianto immediato o differito della vite.<br />

I principali tipo di trattamento sono due, ovvero rigenerativo<br />

(prevede l’eliminazione, parziale o totale, del difetto osseo<br />

seguito da rigenerazione ossea) e resettivo e talvolta possono<br />

anche essere associati.<br />

Recenti studi 1 hanno dimostrato che il trattamento resettivo e/o<br />

rigenerativo associati all’uso di laser ha una percentuale di<br />

successo maggiore rispetto al trattamento convenzionale; nei siti<br />

trattati in modo convenzionale rispetto a quelli decontaminati<br />

con laser la percentuale di recidiva è più alta. Il laser infatti, come<br />

descritto nello studio di Kreisler M. et al. 31 riduce i batteri presenti


nel sito contaminato favorendo i processi di guarigione e<br />

diminuendone i tempi, riducendo le complicanze e le recidive.<br />

1.3.4 Esame clinico dell’impianto<br />

L’impianto francamente fallito si presenterà mobile, dolente con<br />

la mucosa circostante arrossata ed edematosa, con impotenza<br />

masticatoria. A questo punto la diagnosi di insuccesso è<br />

chiaramente clinica e l’esame radiologico potrà chiarirne<br />

l’estensione e la gravità.<br />

L’esame clinico al controllo periodico di un impianto in buona<br />

salute deve dimostrare:<br />

stabilità dell’impianto;<br />

suono alto e squillante alla percussione;<br />

mancanza di dolore sia alla percussione dell’impianto sia del<br />

processo alveolare nel quale l’impianto è contenuto;<br />

assenza di arrossamento e di edema della mucosa<br />

perimplantare;<br />

l’esame dell’occlusione eseguito sia con la carta che con le cere<br />

articolari, ancora meglio se eseguito con Myomonitor, dovrà<br />

dimostrare l’assenza di precontatti o di occlusioni traumatiche.


l’esame radiografico, sempre eseguito con endorali che danno<br />

una maggiore chiarezza dei dettagli perimplantari, non deve<br />

dimostrare osteolisi irregolari e ampie intorno all’impianto.<br />

al Periotest deve esserci un valore di PTV ( Perio Test Value) tra<br />

0 e -8.<br />

I primi segni clinici di sofferenza perimplantare possono anche<br />

essere asintomatici. Il paziente potrà riferire un disagio non ben<br />

localizzato; in questa fase non ci sono ancora i segni infiammatori<br />

perimplantari ma spesso all’esame radiografico si troverà un<br />

cratere iniziale perimplantare e, all’esame occlusale, un<br />

precontatto tra l’elemento su impianto e l’antagonista. In questo<br />

caso spesso basterà la correzione del precontatto occlusale per<br />

ottenere la remissione della sintomatologia ed evitare che il<br />

riassorbimento osseo si estenda oltre.<br />

Se il processo degenerativo osseo avanza e l’infiammazione<br />

mucosa diviene cronica occorrerà eseguire un lembo parodontale,<br />

con asportazione del tessuto di granulazione ed eventuale terapia<br />

rigenerativa del difetto.<br />

Dobbiamo tener presente e soprattutto informare il paziente, che<br />

quanto più a lungo si mantiene un impianto sofferente in bocca,<br />

tanto maggiore sarà la distruzione dell’osso e quindi sarà più


difficile la sostituzione con un altro tipo di impianto. Da questo<br />

punto di vista il paziente va informato al momento della visita in<br />

modo che in ogni occasione di eventuali segni di insuccesso possa<br />

aderire immediatamente e senza indugi alle terapie necessarie.


Gruppo I<br />

Normale<br />

Scala di qualità degli impianti<br />

Gruppo II<br />

Soddisfacente<br />

Gruppo III<br />

Compromesso<br />

Gruppo IV<br />

fallimento<br />

clinico<br />

Gruppo V<br />

fallimento<br />

assoluto<br />

Assenza di dolore. Impianto fisso.<br />

Riassorbimento crestale di 3 mm nel<br />

1° anno, >1 mm negli anni successivi.<br />

Profondità di sondaggio >5 mm.<br />

Presenza di essudato. Rarefazione<br />

rxgrafica nella porzione coronale, BI tra<br />

1 e 3.<br />

Dolore alla funzione, palpazione e<br />

percussione. Mobilità orizzontale e<br />

verticale.Riassorbimento osseo<br />

progressivo incontrollabile. Perdita<br />

ossea superiore a ½ dell’altezza<br />

dell’impianto. Pus.<br />

Rarefazione ossea<br />

generalizzata.<br />

Impianto rimosso<br />

Da Misch C.E.: Implant success or failure: clinical assestment in implant<br />

dentistry. In Misch C.E. editor: contemporary Implant dentistry, pp 29-42, st<br />

Louis, 1993<br />

1.3.5 Fase protesica


La fase protesica segue quella chirurgica a distanza di un tempo<br />

variabile legato al momento in cui si può protesizzare l’impianto.<br />

Questo varia a seconda della densità ossea: più l’osso è denso e<br />

prima sarà possibile applicare il carico.<br />

Sono diverse le complicanze che possono verificarsi in questo<br />

momento del piano di trattamento. Durante il posizionamento<br />

della componente secondaria potrebbe verificarsi una rotazione<br />

dell'impianto. Qualora si dovesse verificare tale evenienza e<br />

l'impianto risulti stabile e non dolente sarà necessario<br />

riposizionare nuovamente la vite di guarigione senza stringere in<br />

maniera eccessiva e valutare dopo 2-3 mesi.<br />

Dopo l’applicazione della protesi il paziente potrebbe lamentare<br />

la comparsa di dolore e in questo caso la prima manovra da<br />

effettuare è quella della rimozione della protesi stessa per<br />

verificare sia radiograficamente che clinicamente la stabilità<br />

dell'impianto e l'eventuale grado di perimplantite.<br />

In tempi più o meno lunghi possono verificarsi altre<br />

problematiche, meno frequenti, come ad esempio la frattura<br />

dell’impianto, che può avere principalmente 3 cause:<br />

disegno e materiale della fixture non idoneo all’elemento<br />

dentale sostituito;


adattamento non passivo della struttura protesica;<br />

inadeguato carico biomeccanico per eccessiva angolazione<br />

dell’impianto all’atto chirurgico.<br />

La frattura dell'impianto viene diagnosticata con un esame<br />

radiografico; qualora un frammento dovesse essere localizzato in<br />

prossimità di strutture anatomiche quali canale mandibolare,<br />

forame mentoniero, seno mascellare sarà necessario effettuare una<br />

tomografia computerizzata per valutare in modo opportuno i<br />

rapporti tra l’impianto e queste strutture.<br />

Il trattamento consiste nell'asportazione di entrambi i frammenti<br />

ed il successivo posizionamento di un innesto osseo qualora il sito<br />

debba essere riutilizzato per un nuovo impianto.<br />

Sempre per l’eccessiva angolazione dell’impianto rispetto al carico<br />

protesico si può verificare l’allentamento o la frattura della vite di<br />

connessione protesi-impianto; rimuovendo la protesi è possibile<br />

serrare di nuovo la vite di connessione con un cacciavite idoneo o<br />

con una chiave dinamometrica con forza di serraggio a 35-40<br />

Ncm. Nel caso di frattura, bisogna invece rimuovere, in modo<br />

molto accurato, al fine di non danneggiare la parte filettata<br />

dell'impianto, i due frammenti della vite, per poi sostituirla con<br />

una nuova.


Ultima complicanza, ma forse la più frequente, legata alla protesi<br />

è la decementazione della stessa; qualora si dovesse verificare<br />

molto frequentemente è opportuno ricontrollare possibili<br />

interferenze occlusali.<br />

Quindi il trattamento implantoprotesico può presentare delle<br />

problematiche che vanno, prima di tutto, prevenute, ricorrendo<br />

ad adeguati esami preliminari (tomografia computerizzata con<br />

Dentascan), poi trattate in caso intervengano durante o subito<br />

dopo la fase chirurgica, oppure nel corso della protesizzazione o<br />

anche a distanza di anni dalla fine della terapia.<br />

La raccolta di una completa documentazione del caso, qualora<br />

non risulti presente un danno biologico permanente ed un<br />

relativo nesso di causa, costituisce per il professionista una valida<br />

dimostrazione della sua competenza in materia.<br />

Inoltre risulterà necessario l’evidenziare nel consenso informato la<br />

parte riguardante l’importanza dei richiami al fine di educare il<br />

paziente alla salvaguardia della struttura implantoprotesica.<br />

Quindi bisogna rinforzare la motivazione del paziente all’igiene<br />

orale domiciliare, istruendolo all’uso di tutti i presidi necessari.<br />

Nella fase di richiamo, sarà invece opportuno:<br />

controllare il grado di igiene del paziente;


effettuare controlli radiografici;<br />

smontare il manufatto protesico periodicamente, qualora si<br />

tratti di una protesi di tipo avvitato:<br />

controllare la fissità del complesso implanto-protesico.


II. CONTENZIOSO MEDICO-PAZIENTE: ASPETTI CLINICI E<br />

MEDICO LEGALI<br />

1. LA RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE<br />

Con il termine responsabilità, inteso in senso generale, si intende<br />

il dover rispondere per la violazione di una qualsiasi norma di<br />

condotta, subendone le relative e conseguenti sanzioni 33.<br />

La responsabilità professionale concerne una condotta<br />

imprudente, negligente o attuata con imperizia, nell'esecuzione<br />

di atti e prestazioni che fanno parte di una professione. Non<br />

coinvolge, quindi, solo l'ambito sanitario ma qualsiasi<br />

prestazione a carattere professionale.<br />

La responsabilità professionale può essere vista sotto due ottiche<br />

opposte: la prima, caratterizzata da un accezione negativa,<br />

tende a vedere la responsabilità come l’attitudine a rispondere<br />

del proprio operato professionale, in caso di errore od<br />

omissione, davanti ad un giudicante (il danno viene valutato a<br />

posteriori da parte di un soggetto esterno); la seconda, positiva,<br />

vede la responsabilità come l’impegno a realizzare una condotta<br />

professionale corretta nell’interesse di salute dell’assistito (la


valutazione avviene prima e durante la prestazione d’opera da<br />

parte dello stesso soggetto agente).<br />

L’accezione negativa emerge quando ormai il danno è avvenuto<br />

(se opportunamente considerata, ha valore preventivo rispetto<br />

ad ulteriori danni consimili) mentre quella positiva consente di<br />

evitare danni alla persona assistita.<br />

La responsabilità professionale ha un fondamento giuridico<br />

penale e civile.<br />

1.1 La responsabilità penale<br />

In ambito penale il professionista della salute può essere<br />

chiamato a rispondere di:<br />

lesione personale dolosa (art. 582 C.P.): intervento del<br />

professionista, intrinsecamente lesivo della persona assistita, ad<br />

esito fausto, ma posto in essere senza il consenso della persona<br />

quando si consapevole;<br />

omicidio preterintenzionale (art. 584 C.P.): intervento<br />

effettuato senza il consenso della persona assistita e che ha<br />

causato il decesso della stessa a prescindere da errori del<br />

professionista che non è intervenuto:


lesione personale colposa (art. 590 C.P.): errore od omissione<br />

colposo connesso a intervento del professionista che abbia<br />

causato lesioni personali della persona assistita. È perseguibile a<br />

querela: il paziente presenta una querela a supporto di<br />

un’istanza di risarcimento perché ha subito un danno oppure<br />

crede che il professionista non abbia svolto correttamente il suo<br />

lavoro.<br />

omicidio colposo (art. 589 C.P.): errore (od omissione)<br />

colposo connesso all’intervento del professionista che abbia<br />

causato il decesso della persona assistita. Riguarda persone con<br />

patologie pre-esistenti la cui morte sia causata ad esempio da<br />

un’errata anamnesi pre-operatoria o da un errato<br />

comportamento dell’operatore (es.: paziente subisce uno stress a<br />

causa di un’estrazione dentaria: si alza subito dalla poltrona ma<br />

sviene per un’ ipotensione posturale, sbatte la testa e muore:<br />

l’odontoiatra potrebbe essere accusato di omicidio colposo per<br />

omissione -non ha fatto rimanere il paziente steso abbastanza da<br />

ristabilire una giusta pressione- );<br />

violenza privata (art. 610 C.P.): intervento del professionista<br />

contro la volontà dell’assistito;


omissione di soccorso (art. 593 C.P.): mancata prestazione di<br />

assistenza occorrente nei confronti di una persona inanimata,<br />

ferita o altrimenti in pericolo da parte di un professionista della<br />

salute al di fuori di obblighi istituzionali , nel solo caso che egli si<br />

imbatta nella persona;<br />

rifiuto d’atti d’ufficio-omissione (art. 328 C.P.): mancato<br />

intervento del professionista, quando sia istituzionalmente<br />

dovuto senza ritardo dallo stesso, in qualità di pubblico ufficiale<br />

o incaricato di pubblico servizio;<br />

rivelazione di segreto professionale (art. 622 C.P.): violazione<br />

della segretezza da parte del professionista in rapporto ad<br />

attività libero professionale;<br />

rivelazione di segreto d’ufficio (art. 326 C.P.): violazione<br />

della segretezza da parte del professionista in relazione a fatti<br />

inerenti la propria pubblica funzione o pubblico servizio;<br />

falsità ideologica in certificati (art. 481 C.P.): falsa attestazione<br />

in certificati in genere da parte del libero professionista;<br />

falsità ideologica in atti pubblici (art. 479 C.P.): falsa<br />

attestazione in documentazione sanitaria redatta nell’ambito<br />

dello svolgimento di pubbliche funzioni o di pubblico servizio;


omissione di referto (art. 365 C.P.): mancata segnalazione di<br />

delitti perseguibili d’ufficio all’autorità giudiziaria da parte del<br />

professionista che presti opera o assistenza;<br />

omissione di denuncia (art. 361 e 362 C.P.): mancata<br />

segnalazione all’autorità giudiziaria di reati perseguibili d’ufficio<br />

da parte del professionista che ne venga a conoscenza, in quanto<br />

riveste la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico<br />

servizio.<br />

1.1.1 Elementi costitutivi del reato<br />

Come previsto dall’art. 1 del Codice Penale “nessuno può essere<br />

punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come<br />

reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”.<br />

Affinché si configuri un reato, e dunque la responsabilità sia<br />

“penalmente rilevante”, è necessario che vengano in essere i suoi<br />

elementi costitutivi:<br />

condotta: non può esistere reato senza condotta criminosa<br />

( “nullum crimen sine actione” ). La condotta può essere di due<br />

tipi: commissiva quando l’azione criminosa prevista dal<br />

legislatore presuppone un fare oppure omissiva qualora invece


l’obbligo giuridico è di impedire un evento e a seguito di questa<br />

omissione l’evento avviene andando a configurare il reato.<br />

Il diritto penale “quando eleva un omissione a condotta<br />

criminosa si riferisce solitamente a obblighi di agire<br />

giuridicamente imposti (obbligo di soccorrere una persona) 22 ”.<br />

Sul piano legislativo i reati possono essere di sola azione, cioè<br />

possono essere realizzati con una condotta esclusivamente<br />

attiva, di sola omissione, in cui il legislatore ha tipizzato un<br />

comportamento esclusivamente omissivo, a condotta mista, per<br />

la cui realizzazione è necessario tenere una condotta attiva e una<br />

omissiva e infine a condotta libera o alternativa, realizzati<br />

indifferentemente con l’una o l’altra forma di comportamento;<br />

evento: non è da intendersi nel suo senso più generale e cioè<br />

come il fatto in sé per sé ma, secondo la definizione di Palazzo:<br />

“è evento naturalistico la morte di Tizio, intesa come fenomeno<br />

biologico di cessazione di ogni attività cardio-circolatoria,<br />

prodottasi come conseguenza della condotta omicida che ha<br />

reciso la carotide della vittima, mentre è evento in senso<br />

giuridico il contenuto di disvalore consistente nella perdita di<br />

una vita umana”.


L’evento non è sempre una condizione necessaria poiché nella<br />

costruzione della figura di reato è possibile prevedere reati di<br />

evento e reati di pura condotta: nel reato di evento oltre alla<br />

condotta giuridicamente errata, si verifica un danno (in ambito<br />

sanitario al paziente, ad esempio nel caso di omicidio colposo,<br />

lesione personale dolosa e colposa,…), mentre nel reato di pura<br />

condotta non è rilevante la presenza del danno ma viene punito<br />

il comportamento in sé (rivelazione di segreto, omissione di atti<br />

di ufficio come la mancata richiesta di consenso,…);<br />

rapporto di causalità: consiste in un criterio di imputazione di<br />

un evento alla condotta di un soggetto; infatti, solo se l'evento<br />

può essere ritenuto ricollegabile alla condotta, l'agente potrà<br />

essere tenuto a risponderne (c.d. principio di colpevolezza). Tale<br />

concetto viene esplicitato dal codice penale nella formula usata<br />

dall'Art. 40 comma 1 “nessuno può essere punito per un fatto<br />

preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o<br />

pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è<br />

conseguente dalla sua azione od omissione. Non impedire un<br />

evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a<br />

cagionarlo”.


Per anni il sistema giudiziario si era basato su due ragionamenti<br />

per definire il nesso di causalità; il probabilistico cioè il <strong>medico</strong><br />

rispondeva penalmente nell'ipotesi in cui poteva prevedere e<br />

prevenire il fatto-reato, quale conseguenza della sua condotta, in<br />

base alle regole di generalizzata esperienza -leggi scientifiche o<br />

statistiche di copertura o criterio dell'id quod plerumque accidit-,<br />

e lo statistico, secondo il quale la prova che il comportamento<br />

alternativo dell'agente avrebbe impedito l'evento lesivo doveva<br />

verificarsi con un elevato grado di probabilità in una percentuale<br />

di casi prossima a cento.<br />

Recentemente però una sentenza della Cassazione Penale a<br />

sezioni unite ha definito con chiarezza il comportamento che il<br />

giudicante deve assumere:<br />

Cassazione Penale, sezioni unite, sentenza n. 30328:<br />

“…non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente<br />

di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno,<br />

dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il<br />

giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base<br />

delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, cosi che,<br />

all’esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso<br />

l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e


processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva<br />

del <strong>medico</strong> è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con<br />

‘alto o elevato grado di credibilità razionale’ o ‘probabilità<br />

logica’…”.<br />

Da questa importante sentenza delle sezioni unite si evince come<br />

il giudice di legittimità abbia voluto allontanarsi da qualsiasi<br />

valutazione aprioristica e di carattere meramente presuntivo<br />

circa l'esistenza del nesso causalistico.<br />

Ritiene necessario che il procedimento logico-deduttivo debba<br />

condurre il giudice alla “certezza processuale al di là di ogni<br />

ragionevole dubbio” (Sentenza Cassazione n. 38334), con<br />

esclusione, quindi, dell'interferenza di decorsi alternativi.<br />

Il giudizio prognostico deve pertanto essere rigoroso, basato sia<br />

su conoscenze scientifiche o statistiche, sia su conoscenze di<br />

carattere generale, cercando di analizzare tutte le caratteristiche<br />

del singolo caso;<br />

elemento soggettivo del reato: prima di procedere<br />

penalmente alla definizione della responsabilità bisogna<br />

considerare la natura dell’azione o omissione dell’agente:<br />

dolosa, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o<br />

pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la


legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto<br />

e voluto come conseguenza della propria azione od omissione;<br />

preterintenzionale, o oltre l'intenzione, quando dall'azione<br />

od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave<br />

di quello voluto dall'agente;<br />

colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se<br />

preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di<br />

negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza<br />

di leggi, regolamenti, ordini o discipline.<br />

Nella valutazione della responsabilità bisogna tener conto di<br />

altri importanti parametri quali la capacità di intendere e volere<br />

al momento del fatto (art. 85 c.p.) (condizione necessaria per<br />

l’imputabilità); la commissione del fatto con coscienza e volontà<br />

(art. 42 c.p.); la previsione e volontà dell’evento come<br />

conseguenza della propria azione od omissione (art. 43 c.p.); la<br />

previsione e volontà dell’evento: negligenza, imprudenza,<br />

imperizia…(art. 43 c.p.)


1.2 LA RESPONSABILITA’ CIVILE<br />

Il fondamento giuridico della responsabilità civile professionale<br />

risiede in alcuni articoli del Codice civile:<br />

Diligenza nell'adempimento (art. 1176 cc):<br />

“Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la<br />

diligenza del buon padre di famiglia. Nell’adempimento delle<br />

obbligazioni inerenti all’esercizio di un’ attività professionale, la<br />

diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività<br />

esercitata”.<br />

Responsabilità del debitore (art. 1218 cc):<br />

“Il debitore che non esegue correttamente la prestazione dovuta<br />

è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che<br />

l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità<br />

della prestazione derivante da causa a lui non imputabile ”.<br />

Risarcimento per fatto illecito (art. 2043 cc)<br />

“ Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un<br />

danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire<br />

il danno ”.


Responsabilità del prestatore d'opera (art. 2236 cc):<br />

“ Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di<br />

speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni,<br />

se non in caso di dolo o colpa grave”.<br />

1.2.1 Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale<br />

La responsabilità in ambito civile può essere distinta in<br />

responsabilità contrattuale o del debitore e responsabilità non<br />

contrattuale o aquiliana.<br />

La responsabilità contrattuale è la responsabilità derivante<br />

dall'inadempimento, dall'inesatto adempimento e<br />

dall'adempimento tardivo di una preesistente obbligazione quale<br />

che ne sia la fonte (ad esclusione del fatto illecito) e si distingue<br />

dalla responsabilità extracontrattuale che deriva dalla violazione<br />

del generico obbligo di non ledere alcuno senza che prima della<br />

violazione sia possibile l'individuazione di una obbligazione.<br />

Tale distinzione è stata messa in rilevo da ultimo da Cass. Sezioni<br />

Unite 26 giugno 2007 n. 14712.<br />

Per l’attribuzione della responsabilità civile, nella contrattuale<br />

all’attore è sufficiente provare il preesistente rapporto giuridico<br />

da cui deriva il suo diritto di credito ed è sul debitore convenuto


in giudizio che ricade l’onere della prova di dimostrare - se<br />

vuole andare esente da responsabilità- che l’inadempimento<br />

dell’obbligazione sia dovuto a causa a lui non imputabile (1218<br />

c.c.).<br />

In materia extracontrattuale, invece, la regola è che l’attore ha<br />

l’onere di provare il fatto illecito. Vale a dire, non solo l’evento<br />

dannoso ma anche la colpevolezza (dolo o colpa) nella<br />

condotta dell’autore del danno ed il relativo nesso causale.<br />

1.2.2 L’obbligazione di mezzi e l’obbligazione di risultati<br />

In campo <strong>medico</strong> il sanitario instaura con il paziente un<br />

contratto d’opera intellettuale, detto anche “contratto di<br />

prestazione medica” e viene definito come “l’accordo in virtù<br />

del quale il <strong>medico</strong>, effettuata la diagnosi ed indicata la terapia,<br />

si obbliga nei confronti del paziente, dietro corrispettivo, a<br />

realizzarla secondo le migliori prescrizioni dell’arte medica,<br />

assumendo, perciò una obbligazione di mezzi”.<br />

Dunque, il <strong>medico</strong> si impegna a prestare la propria opera<br />

intellettuale secondo la diligenza, la prudenza e la perizia sulla<br />

base di quella che è la miglior scienza ed esperienza medica del


momento ma non garantisce il conseguimento del risultato<br />

sperato.<br />

L’obbligazione di mezzi è affiancata in giurisprudenza<br />

dall’obbligazione di risultato, nella quale il professionista si<br />

impegna a raggiungere con tutti i mezzi a sua disposizione il<br />

risultato concordato col paziente.<br />

Ci sono delle discipline in campo <strong>medico</strong> in cui vige<br />

l’obbligazione di risultato.<br />

Una di questa è l’odontoiatria, soprattutto l’implanto-protesi,<br />

dove il contratto stipulato tra operatore e paziente prevede<br />

un’obbligazione di risultato.<br />

Già nel 1993 il tribunale di Genova si era espresso in materia: “il<br />

contratto intercorso tra il <strong>medico</strong> odontoiatra e il paziente, per<br />

la progettazione e produzione di una protesi, ha per oggetto<br />

una prestazione di risultato e l’obbligazione del professionista in<br />

tal caso consiste in una prestazione d’opera idonea a<br />

raggiungerlo. Nell’ipotesi in cui l’operato del dentista sia stato<br />

causa di danni all’integrità fisica del paziente (rottura di elementi<br />

dentari, sofferenza alle articolazioni temporomandibolari), tale<br />

comportamento rileva e come inadempimento al contratto<br />

d’opera professionale e come illecito extracontrattuale; è quindi


prospettabile il cumulo delle due azioni, una fondata sulla<br />

responsabilità contrattuale, l’altra sulla responsabilità<br />

extracontrattuale”.<br />

L’intervento odontoiatrico di protesizzazione ha chiaramente<br />

come finalità il risultato trattandosi di attività diretta alla<br />

confezione e applicazione di protesi e quindi all’esclusivo<br />

raggiungimento di un obbiettivo anatomo-funzionale ed<br />

estetico; nel caso in esame il trattamento era risultato scorretto e<br />

incongruo secondo gli accertamenti del C.T.U., non<br />

rispondendo ai requisiti minimi di funzionalità, di resa estetica e<br />

di rispetto dell’integrità del paziente.<br />

L’odontoiatra incaricato della realizzazione e applicazione di<br />

una protesi, quindi, è responsabile se non realizza un manufatto<br />

idoneo alla sua destinazione; incorre in una responsabilità<br />

contrattuale ed è tenuto a risarcire il danno biologico e, se<br />

presente, quello patrimoniale.<br />

Nell'ambito civilistico, diversamente da quanto avviene in sede<br />

penale, si distinguono una colpa lieve e una colpa grave,<br />

inescusabile "per imperizia, imprudenza, negligenza o<br />

inosservanza di leggi o regolamenti".


La negligenza si manifesta nei casi in cui il <strong>medico</strong> agisce con<br />

superficialità, disattenzione.<br />

L'imprudenza si ha quando il <strong>medico</strong> agisce senza adottare le<br />

dovute cautele dettate dall'ordinaria esperienza, quando agisce<br />

con eccessiva fretta e avventatezza.<br />

L'imperizia è invece la mancanza di esperienza o la carenza di<br />

nozioni tecniche e scientifiche nonché della sufficiente esperienza<br />

pratica richiesta per l'esercizio dell'attività medica.<br />

Per colpa lieve si intende generalmente la omissione di diligenza<br />

(di cui all’art. 1176) o negligenza dovuta alla preparazione non<br />

coerente al caso concreto e causante un danno nella esecuzione<br />

del trattamento chirurgico o nell'ambito della terapia medica.<br />

Per colpa grave, ai sensi dell'art. 2236 cc., si intende la<br />

grossolanità dell'errore, dovuta alla violazione delle regole e<br />

mancata adozione degli strumenti, e quindi di quelle conoscenze<br />

che rientrano nel patrimonio minimo del <strong>medico</strong>, poiché<br />

acquisite alla scienza medica.<br />

Il metro di valutazione della colpa varia a seconda del<br />

contenuto oggettivo (negligenza, imperizia o imprudenza) della<br />

stessa ed a seconda della natura dell'intervento ( complesso o<br />

routinario ) richiesto al <strong>medico</strong>.


1.2.3 La ripartizione dell'onere probatorio<br />

Nelle obbligazioni di risultato (prestazioni odontoiatriche,<br />

chirurgia estetica...) all'utente basta provare il mancato<br />

raggiungimento del risultato, mentre spetta al professionista<br />

l'onere della prova della mancanza di colpa; invece nelle<br />

obbligazioni di mezzi il paziente deve dimostrare<br />

l'inadempimento del professionista (e quindi la colpa dello<br />

stesso), non bastando la prova che non si è ottenuto il risultato<br />

al quale si mirava.<br />

In questo ambito contrattuale l'utente che ritiene di avere subito<br />

un danno è tenuto dunque a provare:<br />

1. la responsabilità professionale dovuta a difettosa o inadeguata<br />

prestazione professionale, per violazione del dovere di diligenza<br />

esigibile ai sensi dell'art. 1176 , comma 2, cc.;<br />

2. l'esistenza di un danno;<br />

3. il rapporto di causalità tra il danno e la condotta tenuta<br />

nell'espletamento del mandato.<br />

Deve inoltre dimostrare che l'intervento concordato era di facile<br />

esecuzione, allo scopo di fare valere la responsabilità per colpa<br />

lieve.<br />

Il <strong>medico</strong> per essere esonerato da responsabilità deve a sua volta


dimostrare che l'inadempimento non è a lui imputabile e che ha<br />

tenuto il comportamento diligente richiesto dalla legge e dal<br />

contratto avendo adottato tutti i mezzi e gli strumenti acquisiti<br />

alla scienza medica del momento storico considerato.<br />

1.3 LA RESPONSABILITA’ DELL’ODONTOIATRA NEL<br />

TRATTAMENTO IMPLANTOLOGICO<br />

La disciplina implantologica, per le sue peculiarità, offre un<br />

ampio spettro di riflessioni <strong>medico</strong>-<strong>legali</strong>, sia perché si tratta di<br />

interventi “di elezione”, che non presentano mai connotazione<br />

di urgenza e per i quali si delinea quasi sempre la possibilità di<br />

un’alternativa terapeutica, rappresentata dalla protesi<br />

tradizionale, sia perché in talune situazioni la linea di<br />

demarcazione fra la responsabilità dell’operatore e<br />

l’imprevedibilità della risposta del paziente al trattamento<br />

appare piuttosto sfumata.<br />

Il primo problema <strong>medico</strong>-legale che si pone è la verifica<br />

dell’effettiva idoneità del soggetto al trattamento di chirurgia<br />

implantare. In altri termini, il ricorso a questo tipo di tecnica non<br />

può essere giustificato semplicemente da una preferenza<br />

dell’operatore o da un’insistente richiesta del paziente, ma


necessita di una rigorosa selezione, volta ad escludere la<br />

presenza di controindicazioni generali o locali che potrebbero<br />

rappresentare causa di fallimento o peggio esporre il paziente al<br />

rischio di gravi complicanze.<br />

La dottrina <strong>medico</strong>-legale ha individuato quattro categorie entro<br />

le quali rientrano i pazienti “candidati” al trattamento implanto-<br />

protesico:<br />

difetti anatomici: vi rientrano quei pazienti che hanno avuto<br />

difficoltà ad utilizzare una protesi removibile a causa di una<br />

morfologia dei tessuti poco o per niente adatta al supporto.<br />

Questi deficit includono: mancanza di adeguato spazio<br />

sublinguale, posizione irregolare della lingua, sfavorevole forma<br />

della cresta ossea, anomala relazione tra le arcate;<br />

intolleranza fisiologica: a questa categoria appartengono<br />

soggetti la cui tolleranza alla protesi convenzionale è dovuta al<br />

dolore, irritazione o ulcerazione della mucosa per forze<br />

modeste, non eccedenti quelle funzionali, oppure ad un<br />

accentuato riflesso faringeo.<br />

intolleranza emotiva: sono pazienti che non accettano la<br />

protesi removibile: lamentano di avere qualcosa in bocca, di<br />

avvertire una “barra sotto la lingua” o una “placca sul palato”,


di “dover rimuovere ogni notte i propri denti”; desiderano<br />

sentire i denti come parte integrante del loro corpo;<br />

pazienti che per esigenze professionali richiedono protesi con<br />

superiori caratteristiche meccaniche o che esigono a tutti i costi il<br />

miglior trattamento possibile e che, considerando la protesi su<br />

impianto come la soluzione ideale, la desiderano anche se non<br />

hanno difficoltà nel portare la removibile.<br />

Altro aspetto indispensabile da considerare è l’indagine<br />

preliminare sulle condizioni di salute generale del soggetto e su<br />

quelle del cavo orale mediante accertamenti radiologici e<br />

densitometrici (rx e dentascan) che consentano di valutare la<br />

quantità e la qualità dell’osso, tenendo presente che dinanzi ad<br />

un fallimento riconducibile ad un’insufficiente valutazione<br />

iniziale, difficilmente l’odontoiatra potrà sottrarsi ad un<br />

addebito di responsabilità.<br />

Un altro punto cardine, alla luce della sentenza della Sez. I del<br />

Tribunale di Milano del 9/06/1988, riguarda la scelta del tipo di<br />

impianti; la decisione del tribunale che in questo caso attribuisce<br />

la responsabilità all’odontoiatra è infatti così motivata: “Sussiste<br />

la responsabilità professionale del <strong>medico</strong>….poiché le<br />

conseguenze dannose lamentate dalla paziente sono correlate


esclusivamente alla sua imperizia (tutti gli impianti a lamina,<br />

presentano infatti problemi di traballamento)...”.<br />

In questa sentenza la responsabilità del professionista è stata<br />

ravvisata nell’inadeguata scelta degli inserti implantari ponendo<br />

quindi l’accento sul valore da attribuire a metodiche di<br />

consolidata sperimentazione e validità scientifica, nella<br />

fattispecie riconducibili alle procedure di osteointegrazione con<br />

l’utilizzo di impianti cilindrici in titanio, che hanno ormai<br />

soppiantato le vecchie tecniche.<br />

Entrando nel merito dei fallimenti del trattamento<br />

implantologico si possono per semplicità distinguere incidenti<br />

nel corso dell’atto chirurgico ed insuccessi terapeutici a distanza.<br />

I primi, a seconda dell’entità delle lesioni, possono causare un<br />

danno temporaneo o permanente identificabile in una malattia<br />

iatrogena, generalmente di tipo flogistico - infettiva destinata ad<br />

una cronicizzazione o ad una soluzione con esiti anatomo-<br />

funzionale. A tal proposito si considerino le lesioni neurologiche<br />

(in particolare del nervo alveolare inferiore), le lesioni dei tessuti<br />

limitrofi al sito implantare (invasione del seno mascellare o delle<br />

cavità piriformi) o complicanze infettive (sinusiti mascellari,


etmoiditi, comunicazioni oroantrali) riconducibili a<br />

contaminazione o errato posizionamento degli impianti.<br />

In queste situazioni la dimostrazione dell’errore professionale<br />

non è di particolare difficoltà, specialmente se l’evento dannoso<br />

è conseguenza di una approssimativa valutazione delle<br />

condizioni iniziali del paziente o dell’omissione di indagini<br />

strumentali atte a fornire utili indicazioni per evitare l’incidente.<br />

In riferimento a ciò in una recente sentenza (n.5945 del<br />

3/11/2000) il giudice di legittimità si è espresso in materia di<br />

responsabilità professionale medica affermando che questa “non<br />

sussiste solo nelle ipotesi di colpa grave o dolo del sanitario,<br />

bensì anche in presenza di colpa lieve quando, in un caso di<br />

routine, non abbia osservato, per negligenza, le regole precise<br />

che siano acquisite, per consolidata sperimentazione, alla pratica<br />

medica, e che quindi il <strong>medico</strong> specialista non può ignorare”.<br />

Tale dichiarazione pone inevitabilmente l’accento sul<br />

controverso quesito riguardante il possibile inquadramento della<br />

disciplina implantologica fra le prestazioni che implicano la<br />

soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. A nostro<br />

avviso a fronte di protocolli operativi sempre più affidabili e del<br />

costante sviluppo di settore, salvo rare eccezioni, il trattamento


di chirurgia implantare non può considerarsi di per sé di speciale<br />

difficoltà, ove con questa accezione si intenda la soluzione di<br />

casi complessi, tali da richiedere il ricorso a mezzi terapeutici non<br />

studiati o sperimentati a sufficienza.<br />

Ben diverso è il caso degli insuccessi terapeutici, rappresentati<br />

dalla perdita precoce o tardiva dell’impianto, nei quali è<br />

necessaria un’analisi particolareggiata, volta all’individuazione<br />

delle possibili cause e di un eventuale responsabilità<br />

dell’operatore.<br />

I fallimenti sono più frequentemente ascrivibili ad infezioni<br />

perimplantari, mancata osteointegrazione, inadeguatezza degli<br />

inserti endossei (per diametro, forma, lunghezza in relazione al<br />

sito chirurgico) o inadeguato rapporto fra impianto e protesi<br />

(per numero, posizione e/o angolazione).<br />

In tutti questi casi la perdita dell’impianto avviene in seguito ad<br />

alterazioni della struttura ossea, con perdita di sostanza<br />

riconducibile a fenomeni osteolitici e aggravata dalle manovre di<br />

rimozione dell’impianto. Ciò significherebbe che, nell’ipotesi in<br />

cui sia accertata la responsabilità dell’operatore nel verificarsi<br />

dell’evento dannoso, questi potrà essere chiamato a rispondere


di lesioni personali in sede penalistica, o a risarcire il danno alla<br />

salute e quello patrimoniale in sede civilistica.<br />

Perché si possa considerare colposo il comportamento del<br />

professionista, occorre che sia verificata, in modo rigoroso, la<br />

sussistenza del nesso di causalità fra la condotta dell’operatore<br />

(imperita, negligente o imprudente) e l’evento dannoso,<br />

tenendo presente che nell’ipotesi in cui sia imputato un<br />

comportamento omissivo, fra questo e l’insuccesso terapeutico ci<br />

deve essere una correlazione prossima alla certezza (Cass. IV<br />

30328/02).<br />

A tal proposito è indicativo il caso di una perdita dell’impianto a<br />

seguito di processi infettivi perimplantari; è necessario verificare<br />

se il fallimento sia dovuto alla presenza di focolai infettivi non<br />

trattati in prossimità del sito chirurgico, il che implicherebbe una<br />

condotta negligente da parte del professionista (è buona regola,<br />

prima dell’intervento chirurgico, eliminare tutte le possibili fonti<br />

di contaminazione batterica) o se sia invece causato dalla<br />

trascuratezza del paziente che si assenta ai controlli periodici o<br />

non adotta correttamente i presidi di igiene orale domiciliare<br />

che gli sono stati prescritti.


Del tutto simile risulta l’ipotesi di un fallimento riconducibile a<br />

mancata osteointegrazione. Qualora vengano utilizzati i corretti<br />

sistemi implantari, l’esito negativo potrebbe dipendere da una<br />

riscaldamento eccessivo dell’osso nella fase chirurgica, da un<br />

errata progettazione protesica responsabile di un carico<br />

masticatorio o di uno schema occlusale inadeguati o, viceversa,<br />

dalla mancata abolizione del fumo da parte del paziente,<br />

nonostante le indicazioni dell’odontoiatra.<br />

Si tratta solo di alcune delle possibili cause di fallimento del<br />

trattamento implantare, significative tuttavia della difficile<br />

interpretazione e valutazione di molti casi di presunta<br />

responsabilità professionale, in particolar modo poi se<br />

l’insuccesso si verifica in assenza di una plausibile spiegazione<br />

tecnica. In tal caso sarà comunque a carico del sanitario l’onere<br />

di dimostrare la correttezza del proprio operato, in termini di<br />

valutazione delle possibili controindicazioni, scelta degli inserti<br />

implantari idonei al caso specifico, rispetto dei tempi di<br />

guarigione fra l’intervento chirurgico e la protesizzazione.


Dinanzi ad una condotta diligente, il paziente potrà rivalersi solo<br />

se proverà di aver avuto dall’odontoiatra la certezza di un<br />

risultato positivo.<br />

Ciò rappresenta un nodo cruciale, anche in considerazione del<br />

fatto che, nella maggioranza dei casi, uno dei motivi scatenanti il<br />

contenzioso è la mancata o insufficiente informazione ricevuta<br />

su possibili complicanze e fallimenti.<br />

Questo sottolinea l’assoluta importanza dell’informazione che,<br />

nel campo dell’implantologia, in considerazione della<br />

complessità della procedura e dei rischi connessi alla sua<br />

invasività, rappresenta un punto cardine di grande valore. Il<br />

paziente va quindi in primo luogo delucidato sulle varie fasi<br />

dell’intervento, sui tempi di guarigione da rispettare prima della<br />

riabilitazione vera e propria, sui rischi attribuibili al trattamento<br />

di protesi su impianti. Va inoltre informato dell’esistenza di<br />

alternative alla chirurgia implantare, che presentano vantaggi,<br />

ma anche risvolti negativi (riassorbimento osseo, irritazione dei<br />

tessuti gengivali, sovraccarico sui denti residui).<br />

L’ informazione che non deve limitarsi al momento precedente<br />

la scelta del trattamento, ma interessare tutto il periodo nel<br />

quale si svolge la terapia, compresa la convalescenza,


comunicando al paziente la necessità di sottoporsi a regolari<br />

controlli e di mettere in atto alcune misure importanti per il<br />

buon mantenimento degli impianti.<br />

Nel caso di abbandono del programma di cura e di controllo da<br />

parte del paziente, se si verifica un evento dannoso, potrebbero<br />

configurarsi le condizioni previste dall’art. 1227 del c.c.: “ Se il<br />

fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il<br />

risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità<br />

delle conseguenze. Il risarcimento non è dovuto per i danni che<br />

il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”.<br />

Alla luce di questo si sottolinea ancora una volta l’importanza di<br />

una valida cartella clinica che, in particolar modo per la chirurgia<br />

implantare deve essere il più dettagliata e precisa possibile.<br />

Unitamente all’anamnesi, all’esame obiettivo e all’analisi<br />

gnatologica, è dunque opportuno che siano inseriti gli<br />

accertamenti radiologici, eventuali esami ematologici e<br />

consulenze mediche specialistiche (es.: cardiologiche). Inoltre, se<br />

l’intervento chirurgico viene eseguito in sedazione, è bene che in<br />

cartella sia specificato il tipo di anestetico somministrato e sia<br />

indicato il tipo di impianto endosseo utilizzato. E’ infine<br />

consigliabile prendere nota in cartella delle osservazioni


effettuate nel corso dei successivi controlli, delle indicazioni<br />

igieniche e delle prescrizioni farmacologiche, segnalando anche<br />

eventuali mancanze del paziente. In conclusione è possibile<br />

affermare che la responsabilità del <strong>medico</strong> deve essere ritenuta<br />

quando l’errore professionale, in rapporto alla soluzione di un<br />

determinato problema, dipenda da una particolare condotta<br />

contraria, per negligenza, imprudenza o imperizia, con le regole<br />

universalmente accettate nell’arte medica, e trovi origine o nella<br />

mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali<br />

attinenti alla professione, o nel difetto di quel minimo di abilità<br />

e perizia tecnica nell’uso dei mezzi manuali o strumentali di<br />

indagine o di terapia che il <strong>medico</strong> deve essere sicuro di poter<br />

adoperare correttamente o, infine, nella mancanza di prudenza<br />

o diligenza che non devono mai difettare in chi esercita la<br />

professione sanitaria.<br />

Quando, come nel caso di interventi chirurgici, il lavoro si<br />

svolga in “equipe”, ciascun componente è tenuto ad eseguire col<br />

massimo scrupolo le funzioni proprie della specializzazione di<br />

appartenenza. In materia di colpa professionale, l’esclusione<br />

della colpa del sanitario trova un limite nella condotta del<br />

professionista incompatibile con quel minimo di cultura e di


esperienza che deve legittimamente pretendersi in chi è abilitato<br />

alla professione medica.<br />

Nel caso di prestazioni mediche di natura specialistica, effettuate<br />

da chi sia in possesso del diploma di specializzazione, non può<br />

prescindersi dalla considerazione delle cognizioni generali e<br />

fondamentali proprie di un <strong>medico</strong> specialista nel relativo<br />

campo, non essendo sufficiente il riferimento alle cognizioni<br />

fondamentali di un <strong>medico</strong> generico.<br />

2. L’INFORMAZIONE E IL CONSENSO<br />

Per consenso informato si intende, l'accettazione che il paziente<br />

esprime in merito a un trattamento sanitario, in maniera libera,<br />

e non mediata dai familiari, dopo essere stato informato sulle<br />

modalità di esecuzione, i benefici, gli effetti collaterali e i rischi<br />

ragionevolmente prevedibili, l'esistenza di valide alternative<br />

terapeutiche. L'informazione costituisce una parte essenziale del<br />

progetto terapeutico, dovendo esistere anche a prescindere dalla<br />

finalità di ottenere il consenso.<br />

2.1 IL DOVERE DI INFORMARE<br />

L’acquisizione del consenso dovrebbe svolgersi in tre parti:


una parte preliminare di informazione<br />

maturazione da parte del paziente delle informazioni ricevute<br />

firma del modulo di consenso<br />

L’informazione non è da intendere come una trasmissione di<br />

dati e notizie finalizzata a colmare la inevitabile differenza di<br />

conoscenze tecniche tra <strong>medico</strong> è paziente ma ha lo scopo di<br />

porre il paziente nella condizione di esercitare correttamente i<br />

suoi diritti e di far si che si trovi nella posizione di scegliere<br />

liberamente se intraprendere o meno il trattamento proposto.<br />

Il <strong>medico</strong> ha il dovere di informare il paziente e il paziente ha il<br />

diritto di essere informato: queste due condizioni costituiscono il<br />

presupposto naturale e giuridico del consenso informato, che<br />

può essere manifestato solo dal soggetto interessato che abbia<br />

compreso la sua situazione sanitaria.<br />

Informazione e consenso sono un binomio inscindibile.<br />

Ma non è da sempre così. Ippocrate, celebre <strong>medico</strong> greco,<br />

ammoniva i suoi discepoli affinché nulla fosse rivelato al malato<br />

circa le sue condizioni di salute e i trattamenti a cui era<br />

sottoposto: “…tieni all’oscuro i pazienti di ogni evento<br />

futuro…”. Quest’ atteggiamento rimase vivo per tutto il<br />

Medioevo fino all’Illuminismo quando, con gli scritti di Gregory


Rush si cominciò a prospettare la demistificazione della medicina<br />

e, conseguentemente, l’opportunità di informare il paziente. Si<br />

trattava però di un’ informazione non ancora volta<br />

all’acquisizione del consenso ma solamente alla comprensione<br />

da parte del paziente della prescrizione medica.<br />

Il primo sostenitore del diritto del paziente all’informazione fu<br />

Thomas Percival i cui studi furono poi alla base del primo<br />

Codice di Deontologia medica americano del 1847.<br />

Ai giorni nostri non è possibile parlare di consenso<br />

“competente” o “consapevole” senza una preliminare<br />

informazione: senza informazione non vi è valido consenso.<br />

Il rapporto <strong>medico</strong>-paziente è squilibrato in quanto si stabilisce<br />

tra ineguali in termini di competenza tecnica; si tende però a<br />

riconquistare una dimensione di “equità” tra <strong>medico</strong> e paziente,<br />

esaltando in primo luogo la necessità di fornire un’accurata e<br />

analitica informazione, tenendo conto dell’età, del grado di<br />

maturità e del livello culturale del paziente; essa deve vertere<br />

sugli aspetti della malattia, sul decorso, sulle finalità del piano di<br />

cura proposto, sulle alternative possibili, sulle modalità, sui rischi<br />

e sui benefici dei singoli interventi diagnostici e terapeutici,<br />

affinché il paziente possa recuperare gran parte di quella


autonomia nelle decisioni che spetta alla persona umana, sia<br />

sana che malata.<br />

Il ruolo del <strong>medico</strong> non si limita all’elencare al paziente i<br />

vantaggi e gli svantaggi ma deve aiutare il malato a scegliere con<br />

serenità il trattamento più idoneo per la cura della sua<br />

patologia.<br />

L’obbligo di informare il paziente è anzitutto regola<br />

deontologica.<br />

art. 33 C.D. - Informazione al cittadino -<br />

“Il <strong>medico</strong> deve fornire al paziente la più idonea informazione<br />

sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali<br />

alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili<br />

conseguenze delle scelte operate; il <strong>medico</strong> dovrà comunicare<br />

con il soggetto tenendo conto delle sue capacità di<br />

comprensione, al fine di promuoverne la massima<br />

partecipazione alle scelte decisionali e l’adesione alle proposte<br />

diagnostico-terapeutiche.<br />

Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente<br />

deve essere soddisfatta.<br />

Le informazioni riguardanti prognosi gravi o infauste o tali da<br />

poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona,


devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non<br />

traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza.<br />

La documentata volontà della persona assistita di non essere<br />

informata o di delegare ad altro soggetto l’informazione deve<br />

essere rispettata”.<br />

L’articolo del nuovo Codice di Deontologia medica chiarisce che<br />

il <strong>medico</strong> deve dare la più serena informazione (e cioè data con<br />

cautela, non affrettatamente e senza drammatizzazione) sulla<br />

diagnosi, la prognosi, le prospettive terapeutiche e le<br />

conseguenze delle stesse allo scopo di favorire la partecipazione<br />

alle proposte terapeutiche da parte dell’assistito e per un<br />

miglior risultato del trattamento.<br />

Il <strong>medico</strong> deve soddisfare ogni specifico quesito del paziente<br />

dando risposte il più possibile chiare, rese cioè con un linguaggio<br />

comprensibile, adeguato al livello culturale dell’interlocutore;<br />

può evitare precisazioni superflue inerenti gli aspetti scientifici<br />

dell’intervento.<br />

Riguardo la delicata questione della prognosi infausta il nuovo<br />

Codice Deontologico non riconosce più al sanitario la<br />

discrezionalità della valutazione della opportunità o meno della<br />

rivelazione: il <strong>medico</strong> deve fornire le informazioni riguardanti


prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare<br />

preoccupazioni e sofferenze particolari al paziente, usando ogni<br />

cautela possibile, senza ricorrere a espressioni crude e esplicite<br />

che possano risultare traumatizzanti e non escludendo mai<br />

prospettive di evoluzione positive o favorevoli del male.<br />

Sia in caso di prognosi fausta che infausta, il paziente ha il diritto<br />

di conoscere il proprio destino, al fine di autodeterminarsi in<br />

ordine alle proprie scelte future. Nascondere la prognosi infausta<br />

al paziente “…appare frutto di una concezione autoritaria e<br />

falsamente pietistica della relazione con l’ammalato…” 5 .<br />

Inoltre, la conoscenza della verità sulla malattia e sulle cure da<br />

intraprendere, può spingere il malato ad una più profonda ed<br />

efficace collaborazione con il <strong>medico</strong> per la guarigione.<br />

Anche nel settore dell’informazione si dà essenziale rilievo alla<br />

volontà manifestata dal paziente: il <strong>medico</strong> deve attenersi a<br />

questa sia in relazione ai contenuti stessi dell’informazione ( ad<br />

esempio se viene richiesta una spiegazione franca ed oggettiva<br />

circa la prognosi e la diagnosi, senza edulcorare la realtà oppure<br />

se il paziente preventivamente comunica di non voler essere<br />

informato di una diagnosi infausta), sia in relazione ai destinatari<br />

della stessa; il paziente infatti potrebbe vietare la comunicazione


delle informazioni a terzi (parenti o non): l’informazione a terzi<br />

è ammessa solo previo consenso del paziente.<br />

I congiunti possono essere i destinatari dell’informazione solo se<br />

il paziente, unico titolare del diritto alla riservatezza, esprime la<br />

volontà di comunicare le notizie riguardanti la sua malattia ai<br />

parenti o a persone estranee all’ambito familiare.<br />

L’obbligo di informare non appartiene solo nei doveri imposti<br />

dall’etica professionale ma attiene anche al contenuto tipico del<br />

contratto di cura: si tratta di un dovere funzionale all’esatto<br />

adempimento della prestazione medica e, come tale, rileva in<br />

modo autonomo rispetto a quello relativo alla diligenza<br />

professionale che ogni operatore sanitario deve osservare<br />

nell’esecuzione della sua prestazione.<br />

Si può quindi configurare una responsabilità contrattuale per<br />

violazione del dovere di informazione indipendentemente dalla<br />

presenza di errori professionali nell’esecuzione del trattamento.<br />

L’informazione rileva nella misura in cui la sua omissione o<br />

inesattezza, incidendo sul diritto del paziente<br />

all’autodeterminazione esercitato con l’autorizzazione al<br />

trattamento sanitario, si traduce nella lesione di un diritto<br />

costituzionalmente protetto.


L’obbligo di informazione è quindi diretto a preservare la<br />

persona dalla specifica possibilità di danno (lesione del diritto<br />

alla salute, intesa quale compressione della libertà di<br />

autodeterminazione di cui agli art. 13-32 della costituzione)<br />

derivante dalla particolare relazione instauratasi tra <strong>medico</strong> e<br />

paziente.<br />

Da quanto appena detto si evince che il dovere di informazione<br />

si desume non solo da norme etiche-deontologiche e<br />

contrattuali ma anche da norme costituzionali.<br />

La conferma viene dalla Corte di Cassazione: “Il dovere di<br />

informare il paziente sulla natura dell’intervento <strong>medico</strong> e/o<br />

chirurgico, sulla sua portata ed estensione e sui suoi rischi, sui<br />

risultati conseguibili e sulle possibili conseguenze negative,<br />

gravante sul <strong>medico</strong> in generale, si desume e dalle norme<br />

costituzionali e dal comportamento secondo buona fede cui<br />

sono tenute le parti nello svolgimento delle trattative e nella<br />

formazione del contratto” (Cass. civ. 25 novembre 1994 n.<br />

10014).<br />

Ne deriva che “un consenso immune da vizi non può che<br />

formarsi dopo aver avuto piena conoscenza della natura<br />

dell’intervento <strong>medico</strong> e/o chirurgico, della sua portata ed


estensione e dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle<br />

possibili conseguenze negative, sicché presuppone una completa<br />

informazione sugli stessi da parte del sanitario o del chirurgo ”<br />

(Cass. civ. 12 giugno 1982 n. 3604).<br />

2.1.1 Modalità, oggetto e limiti dell’informazione<br />

L’Informazione può essere definita come un processo attivo di<br />

comunicazione fra <strong>medico</strong>, che fornisce notizie, e paziente, che<br />

chiede delucidazioni e interroga su eventuali alternative al<br />

trattamento proposto.<br />

L’obbligo di informare grava sul <strong>medico</strong> curante o sul <strong>medico</strong><br />

delegato dotato di adeguata capacità tecnica; il personale<br />

infermieristico e gli assistenti di poltrona non soni tenuti a<br />

informare, a meno che non gli possa essere riconosciuta una<br />

specifica autonomia operativa in un determinato settore: in<br />

questa ipotesi può avere il potere-dovere di informare.<br />

L’informazione dovrebbe essere perciò proposta in modo da<br />

stimolare chi la riceve ad una partecipazione critica alla<br />

decisione: il consenso informato, fondato sul principio di<br />

autonomia, richiede una chiara assunzione di responsabilità da


parte di entrambi i soggetti della relazione e richiede perciò che i<br />

problemi siano formulati in modo chiaro e non ambiguo.<br />

Il linguaggio deve essere chiaro e comprensibile, adatto al<br />

singolo paziente in relazione alla sua cultura e alla sua capacità<br />

intellettiva da un lato e al suo stato psichico dall’altro.<br />

La recettività del paziente al discorso informativo è affidata alla<br />

sensibilità e all’esperienza del <strong>medico</strong>.<br />

Per certi versi, la spiegazione rivolta a persona non colta, nel<br />

senso generale del termine, è più semplice, in quanto maggiore è<br />

l’affidamento al sanitario, visto quale depositario unico della<br />

verità tecnica, e minore è la richiesta di approfondimento, vista<br />

la totale fiducia nel sanitario. Ciò però non autorizza una<br />

indebita semplificazione del dialogo, alla fine del quale il <strong>medico</strong><br />

potrebbe dubitare di non essere stato esaustivo e<br />

sufficientemente chiaro, e di aver ottenuto un consenso<br />

immotivato.<br />

Viceversa, il dialogo con una persona colta è in genere facilitato<br />

dalla possibilità di utilizzare un linguaggio più tecnico ma di<br />

contro c’è una richiesta di approfondimento esasperato che, pur<br />

nascendo da un legittimo desiderio di rassicurazione, può finire<br />

col raggiungere l’effetto opposto.


2.1.2 Violazione del dovere di informare: responsabilità.<br />

La violazione del dovere di informare (ovvero in caso di<br />

informazione carente, errata o fuorviante) assume rilevanza dal<br />

punto di vista civilistico tutte la volte che da tale<br />

inadempimento sia conseguito un danno per il paziente.<br />

Se il paziente non viene informato ad esempio dei rischi<br />

(possibili e/o prevedibili) connessi ad un determinato intervento<br />

chirurgico -esistenti indipendentemente dall’osservanza di tutte<br />

le “leges artis” che il caso richiede -qualora l’intervento abbia<br />

purtroppo esito negativo, il paziente avrà diritto al risarcimento<br />

dei danni subiti provando di essersi sottoposto al trattamento<br />

solo in quanto non gli erano stati prospettati i relativi rischi.<br />

Pertanto se l’informazione è stata adeguata e completa, il<br />

<strong>medico</strong> risponderà dei danni eventualmente cagionati solo per<br />

colpa professionale, cioè per sua negligenza, imprudenza o<br />

imperizia; di contro se l’informazione è stata insufficiente, pur in<br />

assenza di colpa, il <strong>medico</strong> si espone a responsabilità.<br />

In giurisprudenza è stato affermato che “ il professionista<br />

sanitario ha l’obbligo, di natura contrattuale, di informare


compiutamente il paziente dei rischi connessi alla terapia<br />

consigliata e prescritta […] onde ingenerare nel paziente il c.d.<br />

consenso informato, funzionale alla formazione di una sua libera<br />

scelta […] ” (Corte d’Appello di Milano, I sez. civ., 21 marzo<br />

1995 n. 1256).<br />

E ancora: “Deve ritenersi che il consenso generico alla cura,<br />

implicito nella richiesta di intervento dei sanitari, non può<br />

ritenersi esteso a quei particolari trattamenti, la cui particolare<br />

pericolosità debba presumersi ignorata dal paziente. Va poi<br />

rilevato che è dovere professionale del <strong>medico</strong> […] informare il<br />

paziente dei rischi di quel trattamento di cui il paziente debba<br />

presumersi all’ oscuro […]” (Trib. Perugia, II sez. civ., 10 luglio<br />

1987 n. 977).<br />

Dall’inadempimento del dovere contrattuale dell’informazione<br />

consegue non solo la violazione del diritto di<br />

autodeterminazione del paziente, ma anche l’eventuale danno<br />

alla salute derivato causalmente dall’intervento chirurgico -pur<br />

correttamente eseguito- proprio perché non si da al paziente<br />

l’opportunità di valutare se affrontare o meno l’operazione, non<br />

mettendolo in grado di rifiutare l’intervento o di accettarlo,


assumendosene consapevolmente anche il relativo rischio, non<br />

derivante da errore professionale.<br />

Sotto il profilo strettamente probatorio, è sufficiente l’esistenza<br />

di un effettivo ambito di scelta da parte del paziente sui tempi e<br />

sui modi delle cure e la prova della mancata informazione da<br />

parte dei medici sui prevedibili rischi dell’intervento da cui era<br />

stato conseguito il danno alla salute per attribuire ai sanitari la<br />

responsabilità della mancata informazione.<br />

L’obbligo informativo non è solo precedente alla scelta del<br />

trattamento; esso copre l’intero sviluppo della relazione di cura<br />

e quindi anche la fase successiva, laddove sia necessario fornire<br />

al paziente regole di condotta per il periodo della<br />

convalescenza, ad esempio dovrà essere informato della<br />

necessità di sottoporsi a controlli post-operatori oppure sulle<br />

misure da adottare per la corretta manutenzione di impianti<br />

protesici.<br />

Molto spesso il trattamento chirurgico viene svolto in equipe e<br />

in più fasi ognuna delle quali presenta un significativo rischio<br />

per il paziente: il consenso informato deve essere acquisito in<br />

ogni singola fase: “… è noto che interventi particolarmente<br />

complessi, specie nel lavoro in equipe svolto in più fasi […]


l’obbligo di informazione si estende anche alle singole fasi a ai<br />

rispettivi rischi”.<br />

Dal punto di vista penale invece l’omessa informazione è punita<br />

come “omissione di atti d’ufficio” (art. 328 C.P. : Rifiuto di atti<br />

d'ufficio. Omissione ) con la reclusione da 6 mesi a 2 anni.<br />

2.2 IL DOVERE DI ACQUISIRE IL CONSENSO<br />

Il consenso del paziente, libero e informato, costituisce il<br />

presupposto e la condizione di legittimità giuridica oltre che<br />

etica dell’atto <strong>medico</strong>.<br />

Art. 50 C.P. “ NON E' PUNIBILE CHI LEDE O PONE IN<br />

PERICOLO UN DIRITTO COL CONSENSO DELLA PERSONA<br />

CHE PUO' VALIDAMENTE DISPORNE.”<br />

L’art. 50 prevede la causa di giustificazione del consenso<br />

dell’avente diritto; le cause di giustificazione (dette anche<br />

scriminanti o cause di liceità) sono particolari situazioni in<br />

presenza delle quali un fatto, che altrimenti sarebbe reato, tale<br />

non è perché la legge lo consente o lo impone.<br />

Altri due articoli giustificano l’attività sanitaria:<br />

art. 5 Codice Civile


“Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando<br />

cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica o<br />

quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o<br />

al buon costume”.<br />

art. 32 della Costituzione della Repubblica Italiana<br />

“La repubblica tutela la salute come fondamentale diritto<br />

dell’individuo e interesse della collettività,e garantisce cure<br />

gratuite agli indigenti.<br />

Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento<br />

sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in<br />

nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona<br />

umana”.<br />

Anche nella Convenzione di Oviedo per la protezione dei diritti<br />

dell’uomo si parla espressamente di consenso informato:<br />

Consiglio d’Europa: Convenzione per la protezione dei<br />

diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo<br />

all’applicazione della biologia e della medicina: Convenzione<br />

sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina Oviedo, 4 aprile 1997 16 .<br />

Cap. II art. 5 - Consenso - (Regola generale)<br />

“Qualsiasi intervento in campo sanitario non può essere<br />

effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato il


proprio consenso libero e informato.<br />

Questa persona riceve preventivamente un’informazione<br />

adeguata in merito allo scopo e alla natura dell’intervento<br />

nonché alle sue conseguenze ed ai suoi rischi.<br />

La persona interessata può liberamente ritirare il proprio<br />

consenso in qualsiasi momento”.<br />

L’individuazione dei requisiti del consenso non è regolata da<br />

norme specifiche ma si cerca di fare riferimento alle fonti più<br />

autorevoli e alla casistica giurisprudenziale.<br />

In primo luogo il consenso deve essere personale.<br />

È il paziente che riceve l’informazione ed è solo il paziente che,<br />

di persona, presta il consenso.<br />

La possibilità che altre persone decidano al suo posto è<br />

assolutamente eccezionale, in quanto costituisce una violazione<br />

della libertà dell’individuo: essa può essere giustificata solo in<br />

presenza di circostanze del tutto particolari previste dalla legge e<br />

può avvenire solo con garanzie rigorose.<br />

Dal punto di vista giuridico è totalmente irrilevante il consenso<br />

dei familiari e possono essere informati solo se è il paziente a<br />

chiederlo.


La sfera personale del paziente può essere invasa solo se questi,<br />

preventivamente informato, vi ha consentito, mentre non può<br />

essere invasa se ha opposto il suo rifiuto: il paziente ha la facoltà<br />

di decidere in modo libero e consapevole della propria persona.<br />

A questa libertà l’ordinamento giuridico pone un solo limite:<br />

l’art. 5 del Codice Civile vieta gli atti di disposizione del proprio<br />

corpo “quando cagionino una diminuzione permanente<br />

dell’integrità fisica” nonché quelli che “siano altrimenti contrari<br />

alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume”.<br />

Anche il codice deontologico dei Medici Chirurghi e Odontoiatri<br />

si esprime in materia di consenso informato:<br />

art. 35 C.D. - Acquisizione del consenso -<br />

“Il <strong>medico</strong> non deve intraprendere attività diagnostiche e/o<br />

terapeutiche senza l’acquisizione del consenso esplicito e<br />

informato del paziente.<br />

Il consenso, espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge<br />

e nei casi in cui per le particolarità diagnostiche e/o terapeutiche<br />

o per le possibili conseguenze delle stesse sull’integrità fisica si<br />

renda opportuna una manifestazione documentata della volontà<br />

della persona, è integrativo e non sostitutivo del processo<br />

informativo di cui all’art. 33. […]


In ogni caso, la presenza di documentato rifiuto di persona<br />

capace, il <strong>medico</strong> deve desistere dai conseguenti atti diagnostici<br />

e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento <strong>medico</strong><br />

contro la volontà della persona.<br />

Il <strong>medico</strong> deve intervenire, con scienza e coscienza, nei confronti<br />

del paziente incapace, nel rispetto della dignità della persona e<br />

della qualità della vita, evitando ogni accanimento terapeutico ,<br />

tenendo conto delle precedenti volontà del paziente”.<br />

Parlando di consenso si deve distinguere:<br />

consenso generico o tacito all'atto sanitario che è implicito<br />

nella richiesta di visita o di prestazione sanitaria in genere,<br />

nonché nella richiesta di ricovero ospedaliero: si riferisce a<br />

pratiche diagnostiche e/o terapeutiche normali, prive di<br />

particolari rischi per il paziente ( atto <strong>medico</strong> ordinario );<br />

consenso specifico od esplicito che deve essere richiesto ogni<br />

qualvolta i sanitari ritengano di dovere procedere a manovre<br />

diagnostiche complesse e rischiose, ad interventi chirurgici<br />

demolitori e/o menomanti, a pratiche terapeutiche comunque<br />

non prive di significativi pericoli. In questi casi il consenso è<br />

valido ove fornito dal maggiorenne non interdetto, in<br />

condizioni di capacità di intendere e di volere. Il consenso del


minore e dell'interdetto deve essere espresso rispettivamente<br />

dall'esercente la patria potestà o dal tutore.<br />

2.2.1 Validità del consenso<br />

La validità del consenso prestato dal paziente ad un determinato<br />

trattamento <strong>medico</strong>, sotto il profilo giuridico, deve poggiare su<br />

alcuni elementi indispensabili.<br />

Perché esplichi efficacia scriminante, il consenso deve essere<br />

libero e spontaneo: esso cioè deve essere immune da violenza,<br />

errore, dolo (sono i cosiddetti “vizi della volontà” previsti dal<br />

codice civile). Data la sua natura di atto e non di negozio, la<br />

relativa validità prescinde da requisiti di forma: potendo il<br />

consenso essere prestato in qualsiasi modo, è indifferente il<br />

mezzo (scritto, orale,…) con cui si manifesta. Può anche essere<br />

desunto dal comportamento oggettivamente univoco<br />

dell'avente diritto (consenso c.d. tacito).<br />

Il consenso deve essere acquisito prima di compiere qualsiasi<br />

atto diagnostico/terapeutico: non scrimina, invece, il consenso<br />

successivo o ratifica.<br />

Per essere valido, quindi, il consenso deve presentare i seguenti<br />

requisiti, mancandone uno solo il consenso è da ritenersi viziato:<br />

deve essere richiesto per un trattamento necessario;


la persona che da il consenso deve essere titolare del diritto;<br />

la persona cui viene richiesto il consenso deve possedere la<br />

capacità di intendere e di volere;<br />

la persona a cui viene richiesto il consenso deve ricevere<br />

informazioni chiare e comprensibili sia sulla sua malattia sia sulle<br />

scelte programmate tanto ai fini diagnostici che terapeutici;<br />

in caso di indicazione chirurgica o di necessità di esami<br />

diagnostici, la persona a cui viene richiesto il consenso deve<br />

essere esaurientemente informata sulla manualità della<br />

prestazione, in rapporto alla propria capacità di apprendimento;<br />

la persona che deve dare il consenso deve essere portata a<br />

conoscenza sui rischi connessi e sulla loro percentuale di<br />

incidenza, nonché sui rischi derivanti dalla mancata effettuazione<br />

della prestazione; gli effetti collaterali, le menomazioni e le<br />

mutilazioni inevitabili;<br />

la persona che deve dare il consenso deve essere informata<br />

sulle capacità della struttura sanitaria di intervenire in caso di<br />

manifestazione del rischio temuto;<br />

il consenso scritto e controfirmato dal paziente e dal <strong>medico</strong><br />

deve essere conservato sia dall' uno sia dall' altro.


Quando in giurisprudenza di parla di incapacità (assenza della<br />

capacità di intendere e di volere) è d’obbligo fare una<br />

distinzione tra incapacità legale e incapacità naturale.<br />

L’incapacità legale riguarda i soggetti minorenni.<br />

Consiglio d’Europa;Convenzione sui diritti dell’uomo e<br />

sulla biomedicina Oviedo, 4 aprile 1997 16 .<br />

Cap. II art. 6 -Consenso- Tutela delle persone che non hanno la<br />

capacità di dare il consenso.<br />

“Quando secondo la legge un minore non ha la capacità di dare<br />

il consenso ad un intervento, questo non può essere effettuato<br />

senza l’autorizzazione del suo rappresentante, dell’autorità o di<br />

una persona o un tutore designato dalla legge”.<br />

La volontà dell’incapace legale, se questi si trovi ad essere capace<br />

di intendere e di volere al momento dell’atto <strong>medico</strong>, prevale<br />

rispetto a quella del suo legale rappresentante: si pensi<br />

all’ipotetico contrasto tra la volontà del genitore o del tutore e<br />

quella del minore “quasi” diciottenne che abbia acquisto una<br />

sufficiente maturità di giudizio.<br />

In realtà questa è una questione ancora molto discussa:<br />

l’orientamento di apertura a un’adeguata valorizzazione del<br />

consenso informato del minore espresso dal CNB (Comitato


Nazionale per la Bioetica) ha trovato parziale risonanza<br />

sopranazionale nella Convenzione sui diritti dell’uomo e della<br />

Biomedicina di Strasburgo 21 , secondo cui per la realizzazione di<br />

un intervento <strong>medico</strong>-chirurgico devono concorrere il consenso<br />

del minore che abbia la capacità di darlo e l’autorizzazione del<br />

suo rappresentante, dell’autorità, di una persona o un tutore<br />

designato dalla legge, pur con attribuzione di maggiore<br />

determinazione al parere del minore in rapporto all’età e al suo<br />

grado di maturità.<br />

Su posizioni di minore ampiezza si attesta il Codice<br />

Deontologico che ribadisce che il consenso del minore.<br />

dell’interdetto e dell’inabilitato agli intervento diagnostici e<br />

terapeutici, nonché al trattamento dei dati sensibili, deve essere<br />

espresso dal legale rappresentante, pur prevedendo l’obbligo del<br />

<strong>medico</strong> di dare informazione al minore e di tenere conto della<br />

sua volontà, compatibilmente con l’età e la capacità di<br />

comprensione, nel rispetto dei diritti del legale rappresentante.<br />

Art. 37 - Consenso del legale rappresentante -<br />

“Allorché si tratti di minore, di interdetto, il consenso […], deve<br />

essere espresso dal rappresentante legale.


Il <strong>medico</strong>, nella caso in cui sia stato nominato dal giudice<br />

tutelare un amministratore di sostegno deve debitamente<br />

informarlo e tenere nel massimo conto le sue istanze.<br />

In caso di opposizione da parte del rappresentante legale al<br />

trattamento necessario e indifferibile a favore di minori o di<br />

incapaci, il <strong>medico</strong> è tenuto a informare l'autorità giudiziaria; se<br />

vi è pericolo per la vita o grave rischio per la salute del minore e<br />

dell’incapace, il <strong>medico</strong> deve comunque procedere senza ritardo<br />

e secondo necessità alle cure indispensabili”.<br />

È certo comunque che non è capace chi abbia meno di 14 anni e<br />

il consenso potrà essere prestato dal legale rappresentante,<br />

sempre però nell’interesse del rappresentato; non è pertanto<br />

valido un consenso dato al compimento di un’ attività<br />

intrinsecamente dannosa per l’incapace.<br />

Necessario nel rapporto col minore è riuscire a valutare la sua<br />

“competenza”, i cui elementi fondamentali sono la capacità di<br />

decidere, il ragionamento, la previsione delle conseguenze.<br />

Nel documento del CNB si legge: “…il consenso è in qualche<br />

modo concepibile tra 7 e 10-12 anni ma sempre non del tutto<br />

autonomo e da considerare insieme con quello dei genitori.


Solo entrando nell’età adolescenziale si può pensare che il<br />

consenso diventi progressivamente autonomo.”<br />

È chiaro quindi che, grazie a questa valorizzazione della volontà<br />

del minore nelle scelte relative alla sua persona e salute, si deve<br />

ritenere che il consenso dei genitori o del tutore non sia sempre<br />

sufficiente da solo al compimento di atti medici che incidono<br />

sull’integrità personale del minorenne.<br />

Oltre all’ipotesi di incapacità legale va ricordata anche<br />

l’incapacità naturale: si tratta di tutte quelle condizioni che, a<br />

prescindere dalla capacità legale, consentono di escludere che il<br />

soggetto possa prestare un valido consenso; sono riconducibili<br />

sia a situazioni transitorie - uso di sostanze stupefacenti o alcool -<br />

sia a stati patologici di maggiore permanenza, come un grave<br />

stato di decadimento psico-fisico che di fatto privano il soggetto<br />

dell’attitudine ad intendere il significato dell’atto che compie.<br />

Consiglio d’Europa: Convenzione sui diritti dell’uomo e<br />

sulla biomedicina Oviedo, 4 aprile 1997 13 .<br />

Cap. II art. 6 - Consenso - Tutela delle persone che non hanno la<br />

capacità di dare il consenso.<br />

“Quando, secondo la legge, un maggiorenne non ha, a causa di<br />

un handicap mentale, di una malattia o per un motivo similare,


la capacità di dare il consenso ad un intervento, questo non può<br />

essere effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante,<br />

dell’autorità o di una persona o tutore designato dalla legge. La<br />

persona interessata, nella misura possibile, deve essere coinvolta<br />

nella procedura di autorizzazione”.<br />

In caso di disaccordo tra i <strong>legali</strong> rappresentanti dell’incapace, il<br />

<strong>medico</strong> deve ricorrere all’autorità giudiziaria al fine dei necessari<br />

provvedimenti.<br />

Oltre che personale il consenso deve essere esplicito: il paziente<br />

deve manifestarlo in modo chiaro, univoco e non condizionato;<br />

questo aggettivo presuppone autentica libertà sia in senso<br />

giudico che morale.<br />

La prima riguarda un consenso non viziato dalla violenza, dalla<br />

minaccia e dall’inganno, la seconda attiene alla volontà e alla<br />

coscienza su cui non devono gravare violenza, pressioni o<br />

suggestioni psicologiche.<br />

La forma del consenso è libera. Salvo disposizione di legge (per<br />

trapianti di organi e donazione di sangue è tassativamente<br />

scritto), è sufficiente che il consenso sia espresso oralmente. La<br />

forma orale, tra l’altro, ben si addice alla relazione fiduciaria tra


<strong>medico</strong> e paziente per evitare ogni forma di spersonalizzazione e<br />

burocratizzazione della relazione di cura.<br />

In ogni caso il consenso scritto è da ritenere un dovere morale<br />

del <strong>medico</strong> in tutti i casi in cui le prestazioni diagnostico-<br />

terapeutiche per la loro particolare natura (il rischio che<br />

comportano, la durata del trattamento, le implicazioni personali<br />

e familiari, le eventuali alternative al trattamento…) sono tali da<br />

rendere opportuna una manifestazione univoca e documentata<br />

della volontà del paziente.<br />

Il modulo del consenso scritto deve essere allegato alla cartella<br />

clinica e ne fa parte integrante oltre alle annotazioni da parte del<br />

<strong>medico</strong> delle ragioni delle sue proposte diagnostiche e<br />

terapeutiche.<br />

È importante ricordare che una cartella clinica ben redatta può<br />

costituire un supporto difensivo al contrario di una compilata in<br />

maniera insufficiente che rischia di diventare un atto di accusa in<br />

relazione a ciò che non vi risulta annotato.<br />

In alternativa al modulo in cui sono riassunte tutte le spiegazioni<br />

e le informazioni date al paziente può essere usato il verbale<br />

testimoniato, sempre però sottoscritto dal paziente. Si tratta di<br />

un consenso di cui rimane nella cartella clinica un’ indicazione


scritta indiretta, cioè viene riportato che al paziente è stata<br />

fornita una corretta e adeguata informazione e che egli ha<br />

acconsentito alla terapia.<br />

È importante che il <strong>medico</strong>, anche in presenza di modulo di<br />

consenso scritto, non rinunci mai alla comunicazione e al<br />

rapporto diretto col paziente, sviluppando il più possibile le sue<br />

capacità di ascolto e di dialogo, oltre che di sensibilità<br />

psicologica.<br />

2.2.2 Revoca del consenso<br />

Il paziente ha la facoltà di revocare il consenso. Questo può<br />

verificarsi ancor prima dell’inizio della prestazione medica<br />

oppure quando questa ha già avuto inizio: in questo caso<br />

rimane lecita la parte che è stata posta in essere prima della<br />

revoca.<br />

Se la revoca interviene durante il trattamento , l’azione non<br />

dovrebbe essere proseguita: ma se il <strong>medico</strong> non può<br />

tecnicamente interrompere la condotta, il suo operato sarà<br />

ugualmente lecito, poiché in questo caso la revoca non può<br />

avere alcuna efficacia giuridica.


Se l’interruzione, materialmente possibile, espone il paziente a<br />

danno grave e imminente, l’eventuale prosecuzione, malgrado<br />

la revoca del consenso, può essere scriminata dallo stato di<br />

necessità (art. 54 del C.P. : “Non è punibile chi ha commesso il<br />

fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare […] altri<br />

dal pericolo attuale di un danno grave alla persona […]”).<br />

A conclusione del discorso non va comunque dimenticato che la<br />

revoca del consenso è espressione del diritto<br />

all’autodeterminazione del paziente e in quanto tale dovrebbe<br />

essere rispettato.<br />

2.2.3 Trattamento <strong>medico</strong> in difetto di consenso del<br />

paziente: responsabilità<br />

La violazione del consenso del paziente pone il problema della<br />

responsabilità penale del sanitario anche a prescindere dalle<br />

conseguenza fauste o infauste dell’intervento. Secondo la nostra<br />

giurisprudenza, in ipotesi di trattamento arbitrario (ovvero non<br />

consentito) incidente sull’integrità fisica del paziente, il <strong>medico</strong> è<br />

responsabile di:<br />

violenza privata ( intervento del professionista contro la<br />

volontà dell’assistito - art. 610 C.P. - )


sequestro di persona (art. 605 C.P.)<br />

lesioni personali volontarie (intervento del professionista<br />

intrinsecamente lesivo della persona assistita ad esito fausto, ma<br />

posto in essere senza il consenso della persona quando sia<br />

consapevole - art. 582 C.P. -)<br />

omicidio preterintenzionale ( o oltre l’intenzione, quando<br />

dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso<br />

più grave di quello voluto dall’agente - art. 584 C.P. - ).<br />

Il consenso informato è manifestazione della libera scelta di ogni<br />

persona sulla propria salute e sulla propria vita, una scelta che<br />

sia libera non solo formalmente (assenza di costrizioni) ma sia il<br />

frutto di una libera consapevolezza raggiunta attraverso<br />

un’informazione offerta in modo corretto e competente da<br />

medici tanto esperti tecnicamente quando capaci di ricostruire i<br />

propri percorsi decisionali e coinvolgere il paziente nei passaggi<br />

decisivi, il tutto in una realtà di comunicazione la più ricca e<br />

profonda possibile.<br />

Il consenso informato perciò non è solo una strumento per<br />

sollevarsi dalle responsabilità connesse alla professione sanitaria<br />

ma è un modo per rendere partecipe delle eventuali<br />

responsabilità derivate dalla terapia la persona assistita oltre che


espressione di profondo rispetto del paziente e della sua<br />

volontà, il quale in questo modo si assume le proprie<br />

responsabilità relative agli eventi non graditi che possono<br />

derivare dalla terapia.<br />

2.3 IL CONSENSO INFORMATO IN ODONTOIATRIA<br />

Quanto detto precedentemente non può che valere anche per<br />

l’attività odontoiatrica: l’odontoiatra libero professionista, quale<br />

esercente di un servizio di pubblica necessità ai sensi dell’art. 359<br />

del Codice Penale, non può esimersi dall’obbligo di acquisire il<br />

consenso del soggetto che a lui si rivolge e dall’obbligo di una<br />

preventiva e adeguata informazione.<br />

L’attività odontoiatrica, nella pratica quotidiana, non espone a<br />

pericolo la vita del paziente ma è innegabile la presenza di un<br />

“rischio odontoiatrico” del quale è necessario informare il<br />

paziente che presterà o meno il suo consenso sapendo quali<br />

sono le situazioni rischiose in cui può incorrere.<br />

Perciò, oltre al consenso implicito nella richiesta di una<br />

prestazione sanitaria, è sempre bene richiedere, soprattutto nelle<br />

attività rientranti nella chirurgia orale (estrazioni dentarie,


impianti protesici), il consenso informato specifico e consapevole<br />

del paziente.<br />

Quando si parla di rischio, infatti, ci si riferisce anche a quelle<br />

terapie che potenzialmente possono condurre a complicazioni o<br />

a esiti negativi che per alcuni trattamenti possono anche essere<br />

permanenti.<br />

I danni permanenti relativi a trattamenti chirurgici odontoiatrici<br />

sono principalmente legati a problemi neurologici qualora<br />

vengano interessati i nervi che decorrono nel distretto oro-<br />

facciale. La valutazione si basa sull’anamnesi e l’esame obiettivo<br />

per documentare durata, grado e miglioramenti di sintomi e<br />

segni: il paziente potrebbe lamentare un deficit sensitivo<br />

soggettivo (anestesia, ipoestesia, dolore neuropatico) oppure<br />

manifestare conseguenze come alterazioni del gusto, morsicature<br />

del labbro e della lingua, scialorrea, limitazione della vita di<br />

relazione.<br />

In quest’ottica in odontoiatria il rischio è quasi sempre presente,<br />

trattandosi di attività prevalentemente chirurgica (attività che<br />

implica non solo una diagnosi, ma anche, spesso, un<br />

trattamento): è quindi una condotta colposa il non rilevare<br />

l’anamnesi medica del paziente per quanto concerne il rischio


durante le cure odontoiatriche. L’anamnesi deve, quindi, essere<br />

accurata, non tralasciando aspetti importanti delle eventuali<br />

patologie di base del paziente. Alcune possono essere una<br />

controindicazione assoluta, altre relativa al trattamento<br />

odontoiatrico (cardiopatie, fenomeni allergici,…).<br />

Ciò che è oggetto di rischio deve essere, quindi, necessariamente<br />

oggetto di informazione. L’ampiezza e la profondità<br />

dell’informazione sono da rapportarsi al tipo di terapia da<br />

intraprendere: il dovere di informare impone all’odontoiatra di<br />

soffermarsi maggiormente su quelle situazioni in cui la terapia<br />

comporta un’ aggressione più profonda dell’integrità fisica del<br />

paziente (avulsione dentaria, impianti,…). Ma non solo questo.<br />

Anche una banale ablazione del tartaro potrebbe mettere a<br />

rischio il paziente (cardiopatici non compensati, emofiliaci, in<br />

terapia con anticoagulanti,…) ma di certo è la chirurgia che<br />

comporta un aumentato stress e che quindi potrebbe causare<br />

portare delle conseguenza più gravi soprattutto per pazienti già<br />

affetti da patologie che compromettono in maniera importante<br />

il loro organismo.<br />

L’informazione dovrà essere ancora più rigorosa in quei casi,<br />

non frequenti nella pratica, in cui l’intervento non è fine a sé


stesso ma “ rientra in un più ampio disegno terapeutico, come<br />

ad esempio una estrazione o una regolarizzazione alveolare nel<br />

corso di una riabilitazione protesica, oppure una serie di<br />

estrazioni o una frenulectomia nel quadro di una terapia<br />

ortognatodontica, oppure una bonifica del cavo orale prima<br />

dell’inserimento di impianti…” 33 .<br />

Alcune delle discipline odontoiatriche per la loro particolarità<br />

sono più esposte a rischio di contenzioso; basti pensare all’<br />

anestesia locale, entrata ormai nella pratica quotidiana, che, pur<br />

essendo di facile esecuzione nasconde in se dei pericolosi rischi<br />

per il paziente se non effettuata in maniera adeguata e con i<br />

dovuti accorgimenti. Il rischio più grave è quello dello shock<br />

anafilattico dovuto all’intolleranza al farmaco utilizzato o alla<br />

sensibilità allergica.<br />

L’anestesia deve essere eseguita con molta cautela soprattutto<br />

nei pazienti diabetici e cardiopatici: queste due patologie hanno<br />

per molto tempo rappresentato una controindicazione<br />

all’anestesia locale ma in realtà, usando il farmaco più adeguato<br />

ed evitando l’uso di adrenalina ( associata all’anestetico per il<br />

suo effetto vasocostrittore), si evita di incorrere in conseguenze<br />

indesiderate.


La violazione delle norme di diligenza, prudenza e perizia<br />

nell’esecuzione del trattamento anestetico può essere fonte di<br />

responsabilità penale per l’odontoiatra, soprattutto in assenza<br />

del consenso del paziente, alla luce dei rischi cui può risultare<br />

esposta l’integrità fisica del paziente.<br />

Una situazione di malpractice può dipendere da una condotta<br />

errata (montaggio errato dello strumentario, mancata<br />

aspirazione dopo infissione dell’ago per verificare se è entrato in<br />

un’ arteria, iniezione troppo rapida, sovradosaggio) e da una<br />

tecnica errata, oppure essere conseguenza della mancanza di<br />

farmaci di emergenza ( ossigeno, benzodiazepine, adrenalina,<br />

cortisonici).<br />

La giurisprudenza più volte si è soffermata sulle varie ipotesi di<br />

responsabilità dopo errato trattamento anestetico, stigmatizzano<br />

una serie di condotte colpose: il mancato esame anamnestico del<br />

paziente ( omettendo di valutare le controindicazione generali ),<br />

l’intossicazione da anestesia, l’omessa vigilanza dopo l’anestesia.<br />

Ma anche altre discipline odontoiatriche sono esposte al rischio<br />

di contenzioso, come ad esempio l’ortognatodonzia, la<br />

chirurgia, l’implantoprotesi e la protesi.


Nell’ortognatodonzia gli aspetti giuridici di maggiore interesse<br />

sono quelli legati da un lato alla legittimazione ad esprimere il<br />

consenso, dall’altro alla eventuale necessità di estrarre elementi<br />

dentari sani. Sotto il primo profilo è importante ricordare che di<br />

solito il paziente ortognatodontico è minore di età ed è perciò<br />

necessario il consenso del genitore o del legale rappresentante.<br />

Ciò ovviamente non significa ignorare la volontà del minore e<br />

neppure non informarlo.<br />

Spesso il trattamento ortodontico si protrae nel tempo e<br />

richiede una grande collaborazione da parte del paziente e dei<br />

genitori e comporta particolari difficoltà per chi ne subisce le<br />

conseguenze; in considerazione poi del fatto che il consenso è<br />

sempre successivamente revocabile, è consigliabile per eventuali<br />

e future contestazioni, non solo che sia specifico ma anche in<br />

forma scritta.<br />

Un problema molto discusso è quello dell’estrazione dei denti<br />

sani per raggiungere un miglioramento dell’allineamento degli<br />

elementi dentari. È bene intraprendere questa pratica solo se,<br />

dopo aver effettuato tutti gli specifici esami, si arriva alla<br />

conclusione che l’estrazione è l’unica via da percorrere e la<br />

disgnazia non può essere corretta in nessun altro modo.


Qualora ciò non sia vero e l’estrazione causi dei problemi al<br />

paziente, l’odontoiatra sarà chiamato a rispondere in caso di un<br />

eventuale contenzioso, di menomazione permanente<br />

dell’integrità fisica perché l’estrazione di un dente sano<br />

rappresenta un indebolimento permanente dell’organo della<br />

masticazione, nonché di lesioni personali gravi.<br />

Nei trattamenti conservativo-protesici il rischio di contenzione è<br />

legato soprattutto a un non raggiungimento del risultato<br />

previsto nel caso di un restauro, soprattutto in zona estetica, o<br />

dell’applicazione di una protesi esteticamente e/o<br />

funzionalmente non corretta.<br />

Senza dubbio la disciplina odontoiatrica più a rischio è la<br />

chirurgia e, di conseguenza, l’implantologia. Pur essendo<br />

fondamentale per qualunque branca, il consenso informato è<br />

essenziale per le pratiche chirurgiche: il paziente deve sapere<br />

quali sono i rischi e le conseguenze ( dolore, gonfiore,<br />

impossibilità di alimentarsi ) legati all’intervento chirurgico che<br />

dovrà affrontare e deve impegnarsi rispettare categoricamente le<br />

indicazioni post-chirurgiche che gli da il suo odontoiatra ( igiene<br />

orale, alimentazione, farmaci, controlli periodici,…) perché è<br />

anche da queste che dipende la buona riuscita dell’intervento.


Il sanitario che si accinge ad affrontare un intervento chirurgico<br />

deve conoscere alla perfezione lo stato di salute generale del<br />

paziente perché questi interventi potrebbero portare ad uno<br />

stress fisico che persone con patologie sistemiche quali ad<br />

esempio cardiopatie, diabete, problemi ematici e della<br />

coagulazione potrebbero non sopportare. Anche un banale<br />

intervento odontoiatrico può avere ripercussioni generali<br />

importanti.<br />

Inoltre il paziente deve essere informato sul periodo di<br />

convalescenza che dovrà affrontare e che gli potrebbe impedire<br />

di praticare le sue attività quotidiane a seconda dell’importanza<br />

dell’intervento: se ciò non fosse l’odontoiatra potrebbe essere<br />

poi chiamato a rispondere di un eventuale danno patrimoniale<br />

da lucro cessante subito dal paziente che non ha potuto<br />

attendere alle sue mansioni lavorative a causa dei postumi<br />

dell’intervento.


2.3.1 Aspetti generali del consenso informato in<br />

odontoiatria<br />

Prima di intraprendere una qualsiasi cura odontoiatrica è<br />

necessario che sussista, da un lato, la richiesta del paziente e,<br />

dall’altro, un consenso consapevole in relazione a ciò che si<br />

andrà a operare sia in termini diagnostici che terapeutici.<br />

L’odontoiatra deve assolvere all’obbligo di informare il paziente<br />

con particolare scrupolo e attenzione.<br />

I mezzi di informazione sono sempre più veloci e le fonti sempre<br />

più accessibili (internet). L’informazione che si cerca è sempre<br />

maggiore, ma il sanitario ha il dovere di integrare e rendere<br />

accettabili, sotto il profilo umano, insostituibile da nessuno dei<br />

mezzi di comunicazione esistenti, tutti i risvolti clinici sulle<br />

terapie che si dovranno praticare. Il pubblico infatti sta<br />

ricevendo in questi ultimi anni, un’accresciuta informazione da<br />

parte dei mass-media sulle possibili e alternative terapeutiche e<br />

sui pregressi in campo scientifico.<br />

Tutto ciò però determina anche un aumento della fiducia nei<br />

mezzi della medicina e della chirurgia può indurre il paziente a<br />

diminuire la sua fiducia nel sanitario soprattutto quando la<br />

terapia non produce l’effetto desiderato, credendo che ciò sia da


addebitarsi al <strong>medico</strong>: i messaggi, a volte del tutto fuorvianti<br />

(dubbi e tutt’altro che certi), trasmessi sulla pubblicità sanitaria<br />

rischiano di creare nel paziente aspettative sovente ingiustificate<br />

o erronee attese di risultato. Per questo l’informazione deve<br />

essere precisa e chiara, oltre che comprensibile e adeguata al<br />

grado di cultura dell’interlocutore, onde evitare incomprensioni<br />

tra le parti destinate a sfociare in liti giudiziarie.<br />

L’informazione deve necessariamente tenere conto della<br />

particolarità dell’odontoiatria (ad esempio in caso di un restauro<br />

conservativo non è sufficiente il consenso generico del paziente<br />

ma bisogna, ad esempio, renderlo partecipe della scelta del<br />

materiale, estetico o meno, che andremo ad utilizzare); il<br />

paziente “…deve poter acconsentire ad una piuttosto che ad<br />

un’altra soluzione sulla base di un’adeguata informazione resa<br />

dall’odontoiatra sulle varie possibilità, sui rischi, benefici e sulle<br />

possibili alternative. Il paziente può decidere il tipo di terapia,<br />

solo dopo aver vagliato le possibilità, i rischi, le complicanze e le<br />

possibili alternative. Se ad una paziente le superfici masticanti dei<br />

premolari e molari inferiori vengono realizzate in metallo, cosa<br />

che non avrebbe assolutamente accettato se preventivamente


informata, avrà buone possibilità di risarcimento in un eventuale<br />

contenzioso.” 39 .<br />

Nella chirurgia orale e nell’implantologia ci sono molte più<br />

situazioni a rischio con possibili complicazioni e l’odontoiatra<br />

deve trasmettere un’accurata ed esauriente informazione, per<br />

permettere al paziente di esprimere un consenso consapevole,<br />

libero.<br />

A titolo di esempio possiamo far riferimento a quegli interventi<br />

chirurgici necessari ma non urgenti (urgenti sono quelli legati ad<br />

una patologia acuta in atto), considerati non indispensabili ma<br />

comunque opportuni: estrazione ottavi inclusi, apicectomie,<br />

inserimento di impianti.<br />

In questi casi l’informazione dell’odontoiatra deve<br />

necessariamente estendersi anche alle conseguenze poco<br />

gradevoli, per quanto temporanee, costituite dall’impossibilità di<br />

parlare agevolmente o dalla possibilità di tumefazioni<br />

antiestetiche di non immediata risoluzione: solo quando il<br />

paziente ha ricevuto queste informazioni può rilasciare un<br />

consenso consapevole e quindi valido.<br />

In difetto, l’odontoiatra potrebbe seriamente esporsi ad una<br />

azione di danni per inadempimento contrattuale: la violazione


del dovere di informare in maniera chiara ed esaustiva assume<br />

rilevanza dal punto di vista civilistico tutte le volte che da tale<br />

inadempimento sia conseguito un danno (risarcibile) per il<br />

paziente.<br />

In questo caso l’onere della prova incombe sul paziente, nel<br />

senso che è quest’ultimo che deve dimostrare i danni patiti, il<br />

nesso eziologico tra il danno e la terapia odontoiatrica, e di<br />

essersi sottoposto alla terapia stessa solo perché non gli erano<br />

stati prospettati i relativi rischi. Ma se un paziente non<br />

adeguatamente informato si ritrova ad esempio a non far fronte<br />

a impegni di lavoro prefissati nei giorni successivi all’intervento e<br />

per questo subisce un danno professionale di natura economica (<br />

“lucro cessante”, ossia un mancato guadagno), potrebbe<br />

agevolmente dimostrare che se fosse stato informato degli<br />

eventuali inconvenienti - gonfiore, tumefazione, difficoltà di<br />

parola – avrebbe rifiutato per il momento l’intervento.<br />

Il consenso deve essere prestato dal paziente solo dopo una<br />

completa ed esauriente informazione medica riguardo tutti gli<br />

aspetti favorevoli e sfavorevoli delle possibili complicanze della<br />

terapia che verrà effettuata, senza addentrarsi nei particolari<br />

tecnici sa non espressamente richiesti ma mettendo in risalto che


le tecniche e i materiali adottati sono conformi ai protocolli<br />

internazionali più accettati.<br />

2.3.2 L’importanza della documentazione clinica in<br />

odontoiatria<br />

Nell’ archivio che ogni odontoiatra dovrebbe avere per i suoi<br />

pazienti, è necessario raccogliere diversi documenti. Il primo è la<br />

scheda sulla privacy e di consenso al trattamento dei dati<br />

personali, come da obbligo del garante, poi la scheda di<br />

anamnesi, redatta durante la prima visita, nella quale sono<br />

raccolte tutte le informazioni generali sullo stato di salute del<br />

paziente: malattie del cuore, emorragiche, allergiche, del sistema<br />

nervoso, oltre che informazioni sulla salute dentarie e sulle<br />

precedenti cure odontoiatriche.<br />

Le scheda di anamnesi fa parte della cartella clinica dove viene<br />

poi trascritto, a seconda dei dati raccolti in precedenza e delle<br />

richieste del paziente, il piano di trattamento prescelto:<br />

l’odontoiatra però dovrà informare il paziente sui trattamenti<br />

alternativi e specificare i rischi e i benefici di quella che andrà ad<br />

attuare. Iniziata la terapia, la cartella clinica deve rappresentarne<br />

il diario cronologico in quanto vi si possono annotare gli esiti


delle sedute, anestetici utilizzati, i materiali, le reazioni del<br />

paziente dopo l’uso degli stessi, le eventuali assenza del paziente<br />

nel corso della terapia. È buona norma registrare anche le<br />

complicazioni emerse durante il trattamento e le precauzioni<br />

suggerite al paziente nella fase successiva, compresa la necessità<br />

delle visite periodiche di controllo.<br />

Necessari nella documentazione sono le radiografie (endorali,<br />

panoramiche, TC, Dentascan), modelli di studio di inizio e fine<br />

cura e valutazioni fotografiche. Non va sottovalutata<br />

l’importanza della scheda di preventivo, in cui vanno riportate<br />

le caratteristiche del lavoro da svolgere e i costi globali del<br />

trattamento: questo perché in ipotesi di controversia<br />

sull’onorario pattuito la mancanza di specifiche documentazioni<br />

rende ardua per l’odontoiatra la prova del suo effettivo<br />

ammontare.<br />

Una documentazione corretta e aggiornata è anche simbolo di<br />

un estrema professionalità dell’odontoiatra che svolge un lavoro<br />

preciso e affidabile col suo paziente; in più annotare tutte le fasi<br />

nei minimi dettagli, documentare il proprio lavoro con una<br />

buona iconografia e una cartella clinica precisa sono d’aiuto<br />

all’operatore in caso di contenzioso quale prova del suo


operato; una cartella clinica redatta in modo distratto e<br />

negligente potrebbe essere invece usata come elemento negativo<br />

nella valutazione dell’operato del dentista. Infatti, il giudizio del<br />

magistrato, non conoscendo le parti in causa, si basa solo sulla<br />

documentazione esibita dalle parti. Un errore professionale non<br />

esime dalla colpa, anche in presenza del consenso informato e<br />

della documentazione appropriata, ma, in caso di richiesta<br />

pretestuosa, sarà la prova documentata che il sanitario ha agito<br />

secondo scienza e coscienza.<br />

3. IL DANNO BIOLOGICO<br />

La figura del danno biologico è venuta creandosi nel corso degli<br />

anni ad opera della giurisprudenza e si è affiancata alle figure del<br />

danno patrimoniale e del danno morale previste dalla legge. Il<br />

danno patrimoniale si verifica nel momento in cui vi è un danno<br />

che colpisce la sfera patrimoniale del soggetto e viene risarcito ai<br />

sensi dell'art. 2043 del Codice civile ( Risarcimento per fatto<br />

illecito: “ Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri<br />

danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire<br />

il danno “. ). Nel danno patrimoniale posso essere individuate<br />

due sottocategorie: il danno emergente, cioè il danno che emerge


dalle conseguenze del fatto stesso, e il lucro cessante, nel caso in<br />

cui il danno provochi al soggetto una diminuzione della sua<br />

attività produttiva protratta nel tempo. Il danno morale, invece,<br />

viene a sussistere tutte le volte in cui non vi sia un danno<br />

patrimoniale ma comunque una specifica disposizione di legge a<br />

carattere penale così come stabilito dall'art. 2059 del Codice civile<br />

( Danno non patrimoniale: “ Il danno non patrimoniale deve<br />

essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge “). Il danno<br />

biologico o danno alla salute viene in considerazione anche in<br />

totale assenza di un danno patrimoniale o di un illecito penale; è<br />

espressione del diritto alla salute e come diritto inviolabile di<br />

rilevanza costituzionale va sempre risarcito nel momento in cui<br />

viene leso.<br />

I tipi di danno sono:<br />

danno composito: se gli esiti permanenti di una lesione<br />

corrispondono a più voci, riferite a un organo o apparato<br />

contenute in tabella, si rileva un danno composito; il valore di<br />

danno deve fare riferimento alla globale riduzione dell’integrità di<br />

un determinato distretto anatomo-funzionale;


danno plurimo monocromo: è il danno permanente formato<br />

da lesioni plurime monocrome che interessano più organi o<br />

apparati;<br />

menomazioni preesistenti: è la definizione del danno che<br />

interessa organi o apparati già sede di patologia o di esiti di<br />

patologia. La giurisprudenza ha individuato i caratteri essenziali<br />

della figura del danno biologico "nella menomazione dell'integrità<br />

psicofisica della persona in sé e per sé considerata, in quanto<br />

incidente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione, che<br />

non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si<br />

collega alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto<br />

nell'ambiente in cui la vita si esplica, ed aventi rilevanza non solo<br />

economica, ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica"<br />

(Cass. 90/7101; Cass. Sez. Lav. 88/5033; Corte di Cassazione<br />

Civile n.2883 del 1988). L'individuazione del contenuto del<br />

danno biologico e la sua conseguente differenza dal danno<br />

morale o patrimoniale, è stata ben espressa dalla Corte<br />

Costituzionale sentenza n.184 del 1986. Sebbene la Corte<br />

Costituzionale abbia stabilito la non coincidenza tra le due<br />

definizioni di danno, la Cassazione n. 1130 del 1985 ha espresso il<br />

concetto per cui il danno biologico, come menomazione


dell'integrità psicofisica della persona, costituisce un danno<br />

ingiusto di natura patrimoniale, in quanto colpisce un valore<br />

essenziale che fa parte integrante di quel complesso di beni di<br />

esclusiva e diretta pertinenza del danneggiato.<br />

3.1 CONTENUTI DEL DANNO BIOLOGICO<br />

Il danno alla salute deve essere risarcito in ogni caso di danno alla<br />

persona, mentre il danno morale e quello patrimoniale per<br />

perdita di capacità lavorativa e di reddito lo saranno solo se,<br />

quanto al primo, derivi da un atto illecito che abbia carattere<br />

penale, quanto al secondo sia dimostrata la effettiva diminuzione<br />

patrimoniale. La figura del danno alla salute si venne così<br />

individuando come figura a sé stante appunto come tertium genus<br />

del danno. La lesione che produce il danno alla salute riguarda il<br />

"valore uomo", per le attitudini non lucrative ed i servizi resi a se<br />

stessi (vestirsi, aver cura della propria persona, camminare,<br />

guidare ecc.) che la lesione ostacola, impedisce o rende comunque<br />

difficoltosa, e per le ripercussioni negative in ogni ambito in cui si<br />

svolge la personalità dell'uomo. La lesione alla salute è prova di<br />

per sé dell'esistenza del danno, ma non della sua entità, che va<br />

provata ai fini del quantum. "Il bene della salute costituisce, come


tale, oggetto di autonomo diritto primario assoluto, sicché il<br />

risarcimento dovuto per la sua lesione non può essere limitato alle<br />

conseguenze che incidono soltanto sull'idoneità a produrre<br />

reddito, ma deve autonomamente comprendere il c.d. danno<br />

biologico – in cui vanno ricomprese quelle forme di danno non<br />

incidenti sulla capacità di produrre reddito – inteso come la<br />

menomazione dell'integrità psicofisica della persona in sé e per sé<br />

considerata, in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua<br />

dimensione, che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre<br />

ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali<br />

riguardanti il soggetto nel suo ambiente di vita ed aventi rilevanza<br />

non solo economica ma anche biologica, sociale, culturale ed<br />

estetica" (Cass. Civile n.7101 del 1990). Nel corso degli anni in<br />

questa categoria del danno alla salute sono venuti inserendosi<br />

diverse tipologie di danno da quello alla vita di relazione, inteso<br />

come danno che incide negativamente sull'esplicazione di attività<br />

diverse da quella lavorativa normale, come le attività sociali e<br />

ricreative (Cass. Civile n.9170 del 1994) a quello del danno alla<br />

sfera sessuale, consistente nella menomazione anatomo-funzionale<br />

del soggetto, idonea a modificarne le preesistenti condizioni<br />

psicofisiche, e quindi ad incidere negativamente sulla sfera


individuale (Cass. Civile n.6536 del 1990) al danno estetico come<br />

lesione delle funzioni naturali dell'uomo nella sua dimensione<br />

(Cass. civile n.411 del 1990). Volendo sintetizzare quelli che la<br />

giurisprudenza ha inteso indicare come sintomi dell'esistenza di un<br />

danno biologico possiamo indicare:<br />

modificazione dell'aspetto esteriore, ossia dei caratteri<br />

morfologici della persona;<br />

riduzione dell'efficienza psicofisica, ossia ridotta possibilità di<br />

utilizzare il proprio corpo;<br />

riduzione della capacità sociale, ossia dell'attitudine della<br />

persona ad affermarsi nel consorzio umano mediante la sua vita<br />

di relazione con gli altri;<br />

riduzione della capacità lavorativa generica, ossia dell'attitudine<br />

dell'uomo al lavoro in generale;<br />

perdita di chances lavorative o lesione del diritto alla libertà di<br />

scelta del lavoro;<br />

maggior fatica nell'espletamento del proprio lavoro, senza<br />

perdita di guadagno;<br />

usura delle forze lavorative di riserva, quando non renda<br />

necessario il prepensionamento.


3.2 IL DANNO PSICHICO<br />

Questa figura di danno, ancora in corso di definizione ad opera<br />

della dottrina e della giurisprudenza, si differenzia dal danno<br />

prettamente fisico, possibile oggetto di risarcimento per danno<br />

biologico, dal momento che esso non ha una manifestazione<br />

esteriore tangibile, ma solamente una manifestazione di tipo<br />

comportamentale. La lesione fisica lascia sempre una traccia<br />

tangibile, la lesione psichica invece ha delle manifestazioni di<br />

carattere nervoso e psichico che non sempre hanno delle<br />

ripercussioni sul corpo del soggetto. Occorrerà quindi una analisi<br />

di differente tipologia sul soggetto affetto da patologia di<br />

carattere psichico al fine di accertare se e in quale misura tali<br />

manifestazioni di comportamento costituiscano menomazione nel<br />

senso tecnico-giuridico del termine, ossia nella sua accezione<br />

<strong>medico</strong> legale, per poi risalire dalla menomazione alla lesione<br />

psichica ed al fatto illecito. Certamente dovrà essere preso in<br />

considerazione il fattore effetto, ovvero la ripercussione che tale<br />

danno sta avendo sulla vita del soggetto che si pretende aver<br />

subito la lesione.<br />

La menomazione psichica consiste nella riduzione, temporanea o<br />

permanente, di una o più funzioni psichiche della persona, la


quale, incidendo sul valore uomo globalmente inteso, impedisce<br />

alla vittima di attendere in tutto o in parte alle sue ordinarie<br />

occupazioni di vita.<br />

Ciò che risulta difficile per l'interprete è di individuare il nesso<br />

causale, che deve essere sempre presente nel rapporto causa-<br />

effetto, tra danno psichico e fatto lesivo.<br />

3.3 CRITERI DI VALUTAZIONE DEL DANNO<br />

L'onere della prova che incombe su colui che agisca in giudizio per<br />

il risarcimento del danno alla persona, assume contenuti diversi in<br />

relazione alla natura del danno del quale si pretende il<br />

risarcimento, a seconda che si tratti di danno biologico o di danno<br />

patrimoniale in senso stretto. Dato che non sempre il danno alla<br />

salute si viene a trovare in concomitanza con un danno<br />

patrimoniale, ma dato che si è pur sempre in presenza di un<br />

danno, è sorta la necessità di trovare dei criteri equilibrati,<br />

generici e sempre applicabili per poter quantificare in termini<br />

economici il risarcimento per il danno subito. Poiché il danno<br />

biologico si identifica con l'evento dannoso e si qualifica dunque<br />

come danno-evento, una volta dimostrata la lesione, si è anche<br />

dimostrata l'esistenza del danno biologico, in quanto il fatto


costitutivo del diritto al risarcimento del danno si identifica con la<br />

lesione stessa, pur permanendo la necessità di provare l'entità<br />

della menomazione dell'integrità psicofisica subita. In questo caso<br />

il tema probatorio è circoscritto all'esistenza di una lesione<br />

personale e di una menomazione a questa conseguente.<br />

Per quanto riguarda la prova questa dovrà basarsi su di una<br />

perizia <strong>medico</strong>-legale che accerti il grado di invalidità subito dal<br />

soggetto leso. Ultimamente, dato che spesso la menomazione<br />

viene quantificata dal <strong>medico</strong> in termini di percentuale di<br />

invalidità (invalidità intesa come incapacità psicofisica di attendere<br />

alle normali attività della vita quotidiana), molti tribunali hanno<br />

elaborato una tabella, che tenendo conto del grado di invalidità e<br />

dell'età dell'individuo, indica una cifra che può venire considerata<br />

come base di partenza per quantificare il quantum del<br />

risarcimento. Non costituiscono tuttavia una certezza per il<br />

soggetto che ha subito un danno biologico, ma possono essere<br />

considerate, in buona misura, un criterio abbastanza preciso.


TABELLA DEL DANNO BIOLOGICO DI LIEVE ENTITA'<br />

(art. 139 del Dlgs 209/2005)<br />

(Tabella aggiornata al D.M. 24/6/2008, pubblicato sulla G.U.del 30 giugno 2008)<br />

Punti di<br />

invalidità<br />

Età<br />

1 2 3 4 5 6 7 8 9<br />

1 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />

2 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />

3 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />

4 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />

5 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />

6 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />

7 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />

8 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />

9 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />

10 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />

11 717,35 1578,16 2582,44 3730,20 5380,09 7316,92 9540,69 12051,40 14849,05<br />

12 713,74 1570,23 2569,47 3711,45 5353,05 7280,15 9492,75 11990,84 14774,43<br />

13 710,14 1562,30 2556,49 3692,71 5326,02 7243,38 9444,81 11930,28 14699,81<br />

14 706,53 1554,37 2543,51 3673,96 5298,98 7206,62 9396,86 11869,72 14625,19<br />

15 702,93 1546,44 2530,53 3655,22 5271,95 7169,85 9348,92 11809,16 14550,57<br />

16 699,32 1538,51 2517,56 3636,47 5244,91 7133,08 9300,98 11748,60 14475,96<br />

17 695,72 1530,58 2504,58 3617,73 5217,88 7096,31 9253,03 11688,04 14401,34<br />

18 692,11 1522,65 2491,60 3598,98 5190,84 7059,54 9205,09 11627,48 14326,72<br />

19 688,51 1514,72 2478,63 3580,24 5163,80 7022,77 9157,15 11566,92 14252,10<br />

20 684,90 1506,79 2465,65 3561,49 5136,77 6986,01 9109,20 11506,36 14177,48<br />

21 681,30 1498,86 2452,67 3542,75 5109,73 6949,24 9061,26 11445,80 14102,86<br />

22 677,69 1490,92 2439,69 3524,00 5082,70 6912,47 9013,32 11385,24 14028,25<br />

23 674,09 1482,99 2426,72 3505,26 5055,66 6875,70 8965,37 11324,68 13953,63<br />

24 670,48 1475,06 2413,74 3486,51 5028,63 6838,93 8917,43 11264,12 13879,01<br />

25 666,88 1467,13 2400,76 3467,77 5001,59 6802,16 8869,49 11203,56 13804,39<br />

26 663,27 1459,20 2387,79 3449,02 4974,56 6765,39 8821,54 11143,00 13729,77<br />

27 659,67 1451,27 2374,81 3430,28 4947,52 6728,63 8773,60 11082,44 13655,15<br />

28 656,06 1443,34 2361,83 3411,54 4920,48 6691,86 8725,66 11021,88 13580,54<br />

29 652,46 1435,41 2348,86 3392,79 4893,45 6655,09 8677,71 10961,32 13505,92<br />

30 648,86 1427,48 2335,88 3374,05 4866,41 6618,32 8629,77 10900,76 13431,30<br />

3.3.1 Criteri di valutazione del danno dentario


Per valutare correttamente l’entità del danno alla persona<br />

conseguente alla perdita dentaria totale o parziale, è necessario<br />

esaminare i vari fattori correttivi quali lo stato anteriore, il<br />

coefficiente di antagonismo, il danno dentario specifico, la<br />

possibilità di masticazione, il tipo di protesi e l’attività<br />

professionale.<br />

Lo stato anteriore della dentatura rappresenta il parametro che<br />

permette di definire il danno rispetto alla reale situazione clinica<br />

del soggetto. La situazione va graduata in base alla preesistenza di<br />

lesioni cariose, paradontopatie, situazioni malocclusive che<br />

possono ridurre il valore dei singoli elementi. Tuttavia<br />

l’importanza di una singola unità alveolo-dentaria potrà essere<br />

anche notevolmente aumentata rispetto ai valori proposti se, per<br />

motivi connessi alla funzione di supporto di protesi, la sua<br />

presenza ha un significato fondamentale nel vicariare altri<br />

elementi dentari, svolgendo quindi funzioni superiori a quelle che<br />

normalmente le competono (supporto di uno scheletrato,…).<br />

L’incidenza dello stato anteriore sulla valutazione del danno<br />

dentario non può essere valutata in percentuali fisse, poiché si<br />

deve adeguare alla variabilità della realtà clinica, determinabile di<br />

volta in volta con riferimento a parametri clinici, quali, per


esempio, l’indice di placca, l’altezza dell’osso alveolare o la<br />

mobilizzazione degli elementi. Si deve inoltre tener presente che<br />

l’obiettivazione dello stato anteriore è, in genere, molto<br />

complessa per la scarsezza della documentazione clinica pre-<br />

trattamento al momento della valutazione del danno.<br />

Il coefficiente di antagonismo è stato sempre valutato<br />

considerando il concetto di “coppia masticatoria” e non di<br />

“trigono dentario”, più corretto dal punto di vista dell’occlusione<br />

fisiologica.<br />

L’incidenza del danno dentario specifico sulla capacità lavorativa<br />

del soggetto è molto importante ai fini della valutazione del<br />

danno. E’ ostacolato infatti l’esercizio di quelle professioni che<br />

richiedono l’integrità degli elementi dentari (soprattutto quelli<br />

frontali) come i suonatori di strumenti musicali a fiato e quelle in<br />

cui l’uso della favella costituisce strumento preminente di lavoro<br />

(avvocati, insegnanti, rappresentanti di commercio, cantanti) ed<br />

infine quelle in cui anche il pregiudizio estetico può configurare<br />

una menomazione specifica (attori, fotomodelle).<br />

Va sottolineato che la sostituzione con protesi non reintegra<br />

completamente le funzioni del dente perduto e non ripristina lo<br />

“stato anteriore” del soggetto leso. Secondo alcuni autori la forza


masticatoria esplicabile dopo l’applicazione di una protesi<br />

varierebbe da 1/10 ad 1/6 di quella naturale per la protesi totale<br />

rimovibile, mentre per quella fissa sarebbe di circa 1/2. Inoltre la<br />

protesizzazione non elimina alcune conseguenze inevitabili<br />

causate dalla perdita del dente come il riassorbimento locale<br />

dell’osso alveolare. Per alcuni Autori l’impianto assolverebbe<br />

invece anche a questa funzione 13 .<br />

Infine, per un corretto risarcimento del danno nelle lesioni<br />

dentarie, è necessario prendere in considerazione le cosiddette<br />

“spese future”, che, come danno emergente, assumono una<br />

rilevanza monetaria a volte esorbitante rispetto a quella<br />

dell’effettivo danno alla persona, in funzione delle spese<br />

necessarie al rimedio funzionale cui il leso si è sottoposto o dovrà<br />

sottoporsi.<br />

4. CONFINE TRA ERRORE E COMPLICANZA


Anche al <strong>medico</strong>, come a qualsiasi altro soggetto, si applica il<br />

principio per il quale egli risponde in sede penale e civile<br />

dell’eventuale danno che arrechi a terzi. Risponde in caso di<br />

comportamento imperito, imprudente, negligente o in caso di<br />

inosservanza di norme e regolamenti cui il sanitario è tenuto ad<br />

attenersi. Ciò che acquista rilievo ed è oggetto di analisi è l’ipotesi<br />

colposa, per la valutazione della cui responsabilità occorre<br />

individuare l’esistenza degli elementi costitutivi del danno civile<br />

ossia l’evento, l’elemento c.d. soggettivo (la colpa appunto) il<br />

nesso causale e infine il danno.<br />

Perché la colpa medica possa acquistare rilievo in sede giuridica,<br />

occorre che al comportamento colposo consegua un danno,<br />

lesioni o morte del paziente. Inoltre, perché il danno sia<br />

attribuibile all’erroneo agire del sanitario, con la conseguente<br />

affermazione di responsabilità per colpa, occorre dimostrare il<br />

collegamento causale tra i due eventi.<br />

“Non è sempre agevole in una professione che affronta una<br />

materia biologica, assolutamente imprevedibile per autonoma ed<br />

individuale reazione, non solo ad uno stimolo patogeno, ma<br />

anche all’azione di un farmaco, dimostrare tale rapporto causale,<br />

per cui se l’argomento è tema di accanite e costanti dispute in


dottrina, esso rileva anche nelle aule giudiziarie laddove si spazia<br />

tra teoria dell’efficienza, ovvero dell’idoneità, e teoria<br />

condizionalistica; l’esasperazione di questa diversa impostazione<br />

giuridica è prevalente in ambito penale, laddove in civile,<br />

l’impossibilità a comprovare da parte del <strong>medico</strong> il suo corretto<br />

operato porta a sentenze che hanno inserito nel diritto il principio<br />

di una riconosciuta responsabilità in base alla sola presunzione di<br />

colpa”.<br />

Il comportamento <strong>medico</strong> ritenuto censurabile è caratterizzato dal<br />

verificarsi di un evento avverso, il quale di per sé non sempre<br />

configura un errore ma più spesso è l’effetto di una complicanza<br />

che non consegue necessariamente ad un comportamento<br />

colposo.<br />

Il danno che configura colpa medica e responsabilità professionale<br />

è invece quello che consegue ad un errore: quest’ultimo può<br />

essere scusabile o inescusabile e solo di quest’ultimo il sanitario<br />

risponde in sede giudiziaria.<br />

A questo punto è d’obbligo fare una distinzione tra l’errore<br />

<strong>medico</strong> e la complicanza.<br />

Si definisce “errore <strong>medico</strong>” un’omissione di intervento, o un<br />

intervento inappropriato, a cui consegue un evento avverso


clinicamente significativo. Rientra nella definizione il concetto che<br />

non tutti gli eventi avversi sono dovuti ad errori, ma solo quelli<br />

evitabili. La stima della frequenza degli errori è difficile: uno degli<br />

ostacoli maggiori è il timore di conseguenze amministrative o<br />

<strong>medico</strong>-<strong>legali</strong>, che spinge chi ha commesso un errore a negarlo e<br />

comunque a non comunicarlo; inoltre, non sempre è facile<br />

stabilire se un evento avverso sarebbe stato evitabile (e dunque<br />

dovuto a errore) oppure no.<br />

L’ostacolo alla dichiarazione degli errori è il timore di<br />

provvedimenti punitivi o di conseguenze <strong>medico</strong>-<strong>legali</strong>; sarebbe<br />

dunque necessario un sistema che consentisse di mantenerli<br />

confidenziali.<br />

La complicanza invece è un evento negativo che può anche non<br />

dipendere necessariamente dal comportamento sbagliato<br />

dell’operatore sanitario.<br />

Gli studi sull’errore in medicina si concentrano prevalentemente<br />

sugli eventi avversi consecutivi a trattamenti inappropriati o<br />

sull’omissione di interventi necessari; si tratta cioè di errori<br />

terapeutici. Gli errori di diagnosi conducono a eventi avversi in<br />

modo indiretto, per conseguenti interventi terapeutici sbagliati o<br />

per omissione o ritardo di interventi necessari. L’idea tradizionale


che l’errore è dovuto alla colpa individuale di chi lo commette<br />

genera due effetti negativi. Primo, chi commette un errore tende a<br />

nasconderlo, e non certo a dichiararlo spontaneamente; secondo,<br />

nella prevenzione degli errori si ignora la corresponsabilità, spesso<br />

preminente, delle cause remote. Nella concezione attuale si<br />

distinguono tre livelli causali degli errori medici:<br />

• cause remote;<br />

• cause immediate, dovute all’errore del singolo operatore;<br />

• insufficienza o fallimento dei meccanismi che avrebbero dovuto<br />

impedire le conseguenze negative dell’errore. L’errore quindi non<br />

deve essere attribuito solo e unicamente alla persona che l’ha<br />

commesso ma concorrono al verificarsi di questo difetti<br />

organizzativi, carenze strutturali e di attrezzature, carico di lavoro<br />

eccessivo o maldistribuito, mancata supervisione, cattiva<br />

comunicazione fra operatori e altri fattori. Anche i difetti di<br />

competenza clinica e di esperienza dei singoli operatori derivano<br />

in parte da errori a monte, quali la mancanza di programmi di<br />

educazione continua e il cattivo coordinamento fra operatori<br />

esperti e novizi.<br />

Cause remote di errore in medicina<br />

1. Carico di lavoro eccessivo


2. Supervisione inadeguata<br />

3. Struttura edilizia dell’ambiente di lavoro o tecnologie<br />

inadeguate<br />

4. Comunicazione inadeguata fra operatori<br />

5 Competenza o esperienza inadeguate<br />

6. Ambiente di lavoro stressante<br />

7. Recente e rapida modificazione dell’organizzazione di lavoro<br />

Da BMJ 1998;316:1154-7 (18)BOX 1<br />

BOX 2<br />

Cause immediate di errore in medicina dovute all’operatore<br />

1. Omissione di un intervento necessario<br />

2. Errori per scarsa attenzione, negligenza<br />

3. Violazioni di un procedimento diagnostico o terapeutico<br />

appropriato<br />

4. Inesperienza in una procedura diagnostica o terapeutica<br />

invasiva definita<br />

5. Difetto di conoscenza<br />

6. Insufficiente competenza clinica<br />

7. Insufficiente capacità di collegare i dati del paziente con le<br />

conoscenze acquisite<br />

8. Prescrizione:<br />

a. ricetta illeggibile<br />

b. spiegazioni insufficienti e compliance insufficiente<br />

Da BMJ Publ Group 1995:31-54, sintesi (16) e da BMJ 1998;316:1154-7 (18)<br />

4.1 PREVENZIONE DI ERRORI E COMPLICANZE


Per evitare il verificarsi di complicanze legate all’intervento è<br />

opportuno innanzitutto fare una buona diagnosi utilizzando tutti<br />

gli strumenti a disposizione, per accertarsi che non ci siano<br />

condizioni sistemiche o locali che possano influire negativamente<br />

sull’operato del professionista.<br />

Un’ attenta pianificazione del trattamento e un’esecuzione<br />

dell’intervento precisa e coerente con le linee guida relative ad<br />

esso concorrono al raggiungimento dello scopo voluto senza il<br />

verificarsi di complicanze.<br />

È importante però ricordare che le complicanze possono<br />

verificarsi anche nel periodo postoperatorio quindi è compito<br />

dell’operatore informare il paziente degli accorgimenti che<br />

dovrà seguire una volta dimesso e monitorare l’andamento della<br />

situazione clinica periodicamente.<br />

Per quanto riguarda l’errore invece le strategie di prevenzione<br />

devono essere pluridirezionali.<br />

È stata sottolineata recentemente l’importanza di una migliore<br />

conoscenza della tipologia degli errori medici, per ottenere la<br />

quale sarebbe necessario istituire sistemi che consentano ai<br />

medici di riportare i propri errori in anonimo e con la garanzia<br />

della riservatezza.


Nell’attuale ottica sistemica di riduzione dell’errore la strategia<br />

più semplice di prevenzione appare quella di progettare sistemi<br />

che proteggano gli operatori dagli errori cognitivi, rendendoli<br />

più visibili e intercettabili.<br />

Partendo dal presupposto che gli errori non possono essere del<br />

tutto debellati, la loro riduzione è tuttavia conseguibile<br />

attraverso opportune modifiche di sistema:<br />

riduzione della complessità dei compiti: eliminazione delle<br />

tappe non necessarie, miglioramento delle informazioni,<br />

uniformazione delle procedure;<br />

ottimizzazione del sistema informativo: adozione di liste di<br />

controllo, protocolli, procedure scritte;<br />

introduzione di procedure automatizzate finalizzate al<br />

miglioramento qualitativo del sistema;<br />

progettazione ed introduzione di barriere protettive: fisiche,<br />

procedurali (eliminazione delle sostanze pericolose), culturali<br />

(eliminazione delle abbreviazioni con obbligo di redazione di<br />

una prescrizione completa);<br />

la costruzione e il mantenimento di una cultura della<br />

sicurezza;


limitazione dei danni: pronto riconoscimento dell’errore e sua<br />

visibilità, prevenzione dell’eventuale danno, monitoraggio delle<br />

situazioni a rischio.<br />

5. LINEE GUIDA IN IMPLANTOLOGIA: LA<br />

DOCUMENTAZIONE DEL CASO E LA COMUNICAZIONE COL<br />

PAZIENTE: DALLA PRIMA VISITA AI RICHIAMI<br />

L’implantoprotesi, nell’ultimo decennio, ha avuto una grande<br />

diffusione. Sono tanti gli operatori che si dedicano a questa<br />

specialità e sempre di più i pazienti che vi ricorrono in alternativa<br />

alla protesi convenzionale. L’ampia diffusione di questa metodica<br />

rende necessario uniformare, oltre ai protocolli operativi, anche il<br />

modo di comunicare col paziente e la gestione della cartella<br />

clinica. Tutto ciò è mirato ad avere sempre sotto controllo tutte le<br />

fasi cliniche. L’esperienza operativa ci consente di prevenire e<br />

trattare i problemi chirurgici e protesici, ma una corretta gestione<br />

della documentazione, sia iconografica che clinica, rende possibile<br />

una migliore comunicazione e facilita la gestione di un eventuale<br />

contenzioso. Le linee guida possono essere riassunte<br />

schematicamente:


informazione al paziente sull’implantologia in generale<br />

durante la prima visita (presupposti, fasi cliniche chirurgiche e<br />

protesiche, periodicità e importanza dei controlli) e sui possibili<br />

fallimenti e loro cause;<br />

adattabilità dell’implantologia al singolo caso: illustrare<br />

benefici, rischi e possibili alternative protesiche, fare un’ accurata<br />

anamnesi generale e odontoiatrica, valutare lo stato di salute,<br />

l’eventuale assunzione di farmaci, l’abitudine al fumo; a questo<br />

punto si procede con l’esame obiettivo stomatologico che<br />

permette di valutare lo stato dei tessuti molli, lo stato e il numero<br />

degli elementi presenti, le condizioni dell’articolazione<br />

temporomandibolare. L’obbiettivo di questa due fasi preliminari è<br />

informare sulle possibilità del trattamento implanto-protesico,<br />

ponendo in giusto risalto i benefici e le possibilità di fallimento.<br />

Una volta deciso di intraprendere il trattamento implanto-<br />

protesico è bene fare degli esami utili alla documentazione clinica:<br />

impronte di studio, fotografie intraorali, dei settori frontali e<br />

laterali e delle particolari zone di interesse clinico, radiografie<br />

(OPT, endorali, TC con dentascan o RMN secondo la complessità<br />

del caso o della zona d’intervento).


Obiettivo di questa fase è documentare il caso in maniera<br />

completa: ciò aiuta sia nella comunicazione con il paziente sia<br />

nella preparazione della fase chirurgica.<br />

fase prechirurgica: realizzare modelli di studio e ceratura<br />

diagnostica, compilare il consenso informato personalizzato e<br />

dettagliato con le varie fasi, illustrare al paziente la diagnosi con le<br />

componenti cliniche ed estetiche e le fasi dell’intervento, istruire<br />

sulle norme da osservare prima dell’intervento, consegnare una<br />

copia del consenso informato, far sottoscrivere la copia da<br />

conservare, consegnare la ricetta con le prescrizioni<br />

farmacologiche e le norme post-intervento. È buona norma, la<br />

sera dopo l’intervento e nei giorni seguenti, informarsi sulla salute<br />

del paziente e sul buon andamento della convalescenza.<br />

richiami postchirurgici da effettuare ogni mese per i controlli<br />

obiettivi e radiografici fino alla fase protesica. Ad ogni controllo è<br />

opportuno riportare sul diario clinico le osservazioni quali: il<br />

mantenimento di una corretta igiene orale, il buon andamento<br />

dei processi di guarigione, eventuali complicanze e prescrizioni<br />

farmacologiche…<br />

fase protesica: alla consegna del provvisorio sono utili le<br />

raccomandazioni sul tipo di igiene e sulle precauzioni da


osservare. È importante documentare con foto e rx la fase<br />

protesica. I controlli prima del definitivo devono essere eseguiti<br />

periodicamente e annotate sul diario clinico le osservazioni.<br />

richiami dopo la fase protesica: alla consegna del definitivo<br />

il paziente deve essere invitato ai controlli periodici, che devono<br />

avvenire, nel suo interesse, secondo i protocolli attuali, dopo il<br />

primo mese, dopo 3 mesi e ogni 6 mesi.<br />

L’ obbiettivo è far capire al paziente l’importanza della terapia<br />

terminata e che solo il rispetto delle prescrizioni e la puntualità<br />

nei controlli sono necessari alla durate nel tempo e a prevenire e<br />

a trattare in modo semplice e immediato eventuali problemi.<br />

6. MALPRACTICE E MEDICINA DIFENSIVA


La malpractice medica è “la cattiva condotta per scarsa abilità o<br />

negligenza che provoca danni al paziente” (The American<br />

Heritage Dictionary).<br />

È necessario riconoscere che, a monte della questione della<br />

malpractice (mala praxis = cattiva condotta) e della crescente<br />

problematicità della sua gestione, c’è una crisi del rapporto<br />

fiduciario alla base della relazione fra paziente e <strong>medico</strong> e di<br />

quello, più in generale, dei cittadini nei confronti della sanità,<br />

pubblica e privata.<br />

Se i messaggi dei media, da una parte, alimentano nei cittadini<br />

grandi aspettative circa i traguardi sempre più avanzati raggiunti<br />

dalla medicina in ogni settore, se crescono il consenso e la<br />

partecipazione ad iniziative solidaristiche anche di massa a<br />

sostegno della ricerca, d’altro canto, gli stessi mezzi di<br />

comunicazione danno sempre più frequentemente spazio e risalto<br />

a notizie di cronaca nelle quali i pazienti sono vittime di errori<br />

medici di grande gravità, spesso del tutto ingiustificabili. Tutto ciò<br />

getta, comprensibilmente, il mondo degli utenti dei servizi sanitari<br />

in uno stato di profondo disorientamento.<br />

Ma anche per i professionisti della sanità, compressi tra la ricerca<br />

delle migliori cure per il paziente, le disposizioni spesso


paralizzanti degli organi di amministrazione in un regime di tagli<br />

alla spesa sempre più invasivi, la fallibilità umana e la litigiosità in<br />

aumento, il momento è incerto e sicuramente difficile. Lo<br />

testimoniano l'incremento del numero di denunce presso<br />

l’autorità giudiziaria contro i medici per i loro presunti errori (le<br />

cifre per l’Italia, secondo un’indagine dell’ANIA vanno dalle<br />

17.000 denunce dei medici nel 1996 alle 28.000 del 2006, con un<br />

aumento del 66%") e la continua pressione di stampa e<br />

televisione, a volte, responsabili di operazioni a carattere<br />

marcatamente scandalistico.<br />

Il tema della malpractice sanitaria, dunque, è fatto di due aspetti<br />

inscindibili: quello del paziente, che sente diminuire drasticamente<br />

la fiducia nei confronti della sanità e dei medici e teme che sia<br />

negato il proprio diritto costituzionale alla tutela della salute e<br />

quello del <strong>medico</strong>, per il quale essere sottoposto ad un giudizio<br />

produce danni pesanti, perfino incancellabili dal punto della<br />

credibilità professionale, anche nel caso di una piena assoluzione.<br />

Tra i medici italiani oggi in Italia, molto più che in passato, la<br />

paura di un contenzioso dilaga. Infatti l'87,6% di essi ritiene che il<br />

rischio di ricevere un esposto o una denuncia da parte dei pazienti<br />

sia oggi più elevato. Questa percentuale, quasi plebiscitaria,


emerge dall'indagine “Medici in difesa, prima ricerca del<br />

fenomeno in Italia: numeri e conseguenze”, commissionata<br />

dall'Ordine dei medici della Provincia di Roma e condotta su 800<br />

camici bianchi attraverso dei questionari. A stupire di più sono i<br />

dati scorporati per provenienza dei medici o specialità. Infatti a<br />

sentirsi potenzialmente “a rischio” è il 93,8% di chi lavora negli<br />

ospedali pubblici, soprattutto gli anestesisti (96,8%), i chirurghi<br />

(98,9%) e il totale di ortopedici e ginecologi. La percezione del<br />

rischio è tale che solo il 6,7% dei sanitari si sente di escludere la<br />

probabilità di una denuncia a suo carico. I timori maggiori, rivela<br />

lo studio, toccano i giovani medici fino ai 34 anni e gli uomini in<br />

generale. Le paure di vedersi citare in tribunale sono tali da far<br />

ritenere all'89,8% dei medici molto rischioso, oggi, affidarsi alla<br />

sola analisi clinica e non anche a quella tecnologica, per formulare<br />

una diagnosi. Da qui il proliferare di prestazioni mediche e<br />

ricoveri, oltre che di ricette di farmaci, con l'obiettivo di non<br />

assumersi troppe responsabilità.<br />

Queste dinamiche sono alla base del prodursi del meccanismo<br />

perverso noto come “medicina difensiva”.<br />

Questo meccanismo è costituito dalla sistematica e consapevole<br />

prescrizione di farmaci, procedure terapeutiche o accertamenti


diagnostici non necessari alla salute del paziente (si parla in questo<br />

caso di tipologia positiva o commissiva), ovvero dalla tendenza<br />

ad evitare prestazioni ad alto rischio (tipologia negativa od<br />

omissiva), al solo fine di prevenire denunce giudiziarie, ma con<br />

ovvie ripercussioni negative, non solo sulla salute del paziente, ma<br />

anche sul piano dei costi.<br />

Secondo la definizione di Fiori “la medicina difensiva è<br />

identificabile in una serie di decisioni attive od omissive,<br />

consapevoli ma non di rado inconsapevoli o non specificatamente<br />

meditate, che non obbediscono al criterio essenziale del bene del<br />

malato nel rispetto di un equilibrato rapporto costo beneficio,<br />

bensì all’intento di evitare accuse per non aver effettuato tutte le<br />

indagini e tutte le cure conosciute o al contrario per aver<br />

effettuato trattamenti gravati da alto rischio di insuccessi e<br />

complicanze” 25 .<br />

Nella sua versione negativa-omissiva, questa pratica, diffusissima<br />

all’estero, arriva a spingersi al progressivo abbandono di<br />

particolari specializzazioni, considerate troppo rischiose. Dal<br />

punto di vista dei pazienti, ciò significa, nei casi con bassa<br />

probabilità di successo o con alto tasso di rischiosità, vedersi<br />

negato addirittura il diritto alla cura.


Anche in assenza di dati e stime ufficiali che traccino con certezza i<br />

confini del fenomeno, è opinione comune che negli ultimi anni le<br />

accuse di negligenza professionale in campo sanitario siano<br />

aumentate vertiginosamente.<br />

La causa dell’aumentata litigiosità non è, però, da ricercarsi nella<br />

riduzione della qualità delle prestazioni professionali del sanitario.<br />

Sicuramente è aumentata la coscienza dei pazienti e la loro<br />

attenzione nei confronti del personale sanitario; ma si ritiene che<br />

in alcuni casi le aspettative dei pazienti nei confronti della<br />

medicina possano essere eccessive, e quindi deluse. Il paziente,<br />

insomma, non si considera più oggetto di trattamenti terapeutici,<br />

ma soggetto titolare di diritti che egli vuole vedere garantiti nel<br />

proprio interesse ed in quello della collettività.<br />

D’altro canto, al di là degli esiti in merito alla effettiva<br />

responsabilità, il procedimento giudiziario provoca di per sé ai<br />

medici spesso seri danni sul piano dell’immagine, sul piano<br />

economico e anche su quello morale.<br />

In tale quadro, le Compagnie Assicuratrici mostrano un chiaro<br />

fenomeno di progressivo allontanamento dal settore sanitario.<br />

Infatti, è evidente il fenomeno di riduzione del numero di


Compagnie che operano polizze assicurative professionali per i<br />

medici e per le strutture sanitarie.<br />

L’insieme di questi fattori ha generato lo stravolgimento del<br />

rapporto <strong>medico</strong>-paziente, ora pervaso da reciproca diffidenza,<br />

tanto da sembrare ormai diffuso il principio che la salute dei<br />

cittadini debba essere salvaguardata più da un controllo assiduo<br />

della magistratura che dalla professionalità del <strong>medico</strong>.<br />

Opinione comune è che la causa dell’aumento delle denunce per<br />

malpractice sanitaria vada ricercata nella carenza di rapporto di<br />

fiducia tra <strong>medico</strong> e paziente. Diventa così di primaria importanza<br />

favorire le condizioni di una ritrovata fiducia verso i medici da<br />

parte dei pazienti.<br />

In tale contesto, per porre un freno al contenzioso dilagante e<br />

offrire un aiuto concreto ai medici e pazienti, l'Ordine Provinciale<br />

di Roma dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri ha avviato, in<br />

via sperimentale, il Progetto Accordia (di cui parleremo meglio in<br />

seguito), incentrato sulla costituzione di uno Sportello di<br />

Conciliazione come strumento per migliorare il rapporto <strong>medico</strong>-<br />

paziente,tutelando, da una parte, il decoro e l'immagine del<br />

professionista e dall'altra la salute del cittadino.


D’altronde, il decreto istitutivo dell’Ordine (D.Lgs.C.P.S. 13<br />

settembre 1946, n. 233 Ricostituzione degli Ordini delle<br />

professioni sanitarie e per la disciplina dell'esercizio delle<br />

professioni) elenca, all’articolo 3, lett. 9, tra le funzioni spettanti<br />

al Consiglio direttivo di ciascun Ordine proprio quella di<br />

“interporsi, se richiesto, nelle controversie fra sanitario e sanitario,<br />

o fra sanitario e persona o enti a favore dei quali il sanitario abbia<br />

prestato o presti la propria opera professionale, per ragioni di<br />

spese, di onorari e per altre questioni inerenti all'esercizio<br />

professionale, procurando la conciliazione della vertenza e, in<br />

caso di non riuscito accordo, dando il suo parere sulle<br />

controversie stesse”.<br />

6.1 IL “PROGETTO ACCORDIA”<br />

Per far fronte al fenomeno degenerativo della litigiosità, dal forte<br />

impatto sociale, l'Ordine Provinciale di Roma dei Medici<br />

Chirurghi e degli Odontoiatri ha lanciato, in via sperimentale, la<br />

costituzione di uno Sportello di Conciliazione, allo scopo di<br />

accogliere ed esaminare gratuitamente le denunce dei cittadini per<br />

indirizzarle a una soluzione bonaria e di trasmettere le domande<br />

di conciliazione, che presentassero una serie di requisiti, alla


Camera di Conciliazione istituita dall'Ordine degli Avvocati di<br />

Roma e dalla Corte di Appello di Roma, così da ottenere una<br />

proposta di composizione in tempi estremamente brevi se<br />

paragonati a quelli della giustizia ordinaria: novanta giorni a<br />

fronte di numerosi anni.<br />

Lo Sportello ha raccolto le esperienze dei cittadini in relazione al<br />

loro rapporto con la sanità, soffermandosi, in particolare, sulle<br />

segnalazioni di errori e carenze delle prestazioni mediche nonché<br />

eventuali testimonianze di episodi di buona sanità; ha costituito<br />

un punto informativo sul mondo sanitario offrendo sia ai medici<br />

sia ai cittadini la possibilità di risolvere in via amichevole le<br />

controversie tra loro insorte tramite la conciliazione.<br />

Il progetto, realizzato per la prima volta in Italia, ha avuto<br />

carattere assolutamente innovativo.<br />

I principali elementi di novità sono rappresentati:<br />

dalla convergenza di due ordini professionali in un programma<br />

di tutela diffusa dei diritti (tanto quelli dei pazienti, quanto quelli<br />

dei medici);<br />

dall’approccio teso al dialogo, alla consulenza e all’incontro e<br />

non all’esasperazione della conflittualità;


dalla disponibilità di Compagnie di Assicurazione di primaria<br />

importanza che, accettando di intraprendere un percorso che va<br />

ben al di là delle tradizionali logiche assicurative, hanno stipulato<br />

una convenzione con l’Ordine dei Medici, in base alla quale esse<br />

si sono impegnate a partecipare al progetto Accordia quando<br />

fosse interpellato un <strong>medico</strong> loro assicurato.<br />

Lo Sportello di Conciliazione è stato aperto a tutti i cittadini che<br />

ritenessero di essere rimasti vittima di episodi di malasanità la cui<br />

responsabilità fosse imputabile esclusivamente al <strong>medico</strong>.<br />

Obiettivo primario del progetto è stato, infatti, quello di creare<br />

un punto di ascolto e di raccolta delle segnalazioni dei pazienti,<br />

nel quale essi potessero confidarsi e confrontarsi con personale<br />

specializzato, competente e motivato, sugli aspetti concreti della<br />

negligenza professionale sanitaria.<br />

Attore importante del progetto è stata la Commissione Tecnica,<br />

composta da quattro membri effettivi, due avvocati e due medici<br />

<strong>legali</strong> alla quale è spettato il compito di valutare le richieste<br />

pervenute allo Sportello, esprimendo un parere sulla possibilità di<br />

procedere ad una definizione amichevole della controversia.<br />

In particolare, le domande di conciliazione dovevano rispettare<br />

alcune


caratteristiche, quali:<br />

riguardare il rapporto professionale <strong>medico</strong>-paziente, con<br />

espressa esclusione di strutture pubbliche o private eventualmente<br />

coinvolte nel rapporto di lavoro;<br />

le liti dovevano avere natura civilistica e quindi sono state<br />

escluse tutte le controversie di natura penale;<br />

il valore della richiesta di risarcimento non doveva superare i<br />

25.000 euro;<br />

le controversie oggetto della conciliazione non dovevano<br />

essere state precedentemente denunciate con formale lettera di un<br />

legale o sottoposta all’Autorità Giudiziaria Ordinaria.<br />

In caso di riscontro positivo da parte della Commissione Tecnica,<br />

il paziente e il <strong>medico</strong> hanno avuto la possibilità incontrarsi con<br />

un Conciliatore nominato dalla Camera di Conciliazione, organo<br />

istituito dall'Ordine degli Avvocati di Roma e dalla Corte di<br />

Appello di Roma con lo scopo di favorire una rapida<br />

conciliazione preventiva delle liti, evitando il ricorso automatico<br />

all' Autorità Giudiziaria Ordinaria.<br />

La procedura di conciliazione è basata su una Convenzione<br />

stipulata tra la Camera di Conciliazione di Roma e l'Ordine<br />

Provinciale di Roma dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri,


orientata alla definizione extragiudiziaria delle controversie tra i<br />

medici iscritti all'Ordine di Roma e i cittadini, al fine di migliorare<br />

il rapporto <strong>medico</strong>-paziente, tutelando da una parte il decoro e<br />

l'immagine del professionista e dall'altra i diritti del cittadino.<br />

Inoltre, la Convenzione prevede che la risoluzione delle<br />

controversie tra il <strong>medico</strong> e il paziente gratuitamente ed in tempi<br />

brevi (massimo novanta giorni dalla presentazione delle domande<br />

di conciliazione).<br />

È fondamentale sottolineare che tutto il meccanismo messo in<br />

moto da Accordia ha una base di adesione puramente volontaria.<br />

Il <strong>medico</strong> o la compagnia assicuratrice, infatti, sono liberi di<br />

aderire o meno al progetto e anche, nel caso di adesione, la<br />

proposta di conciliazione avanzata in sede di Camera di<br />

Conciliazione può essere rifiutata, tanto dal <strong>medico</strong>, quanto dal<br />

paziente e non preclude in alcun modo la possibilità, da parte di<br />

entrambi, se insoddisfatti, di ricorrere alla giustizia ordinaria.<br />

I servizi dello Sportello sono totalmente gratuiti, poiché i costi<br />

sono sostenuti dall'Ordine Provinciale di Roma dei Medici<br />

Chirurghi e degli Odontoiatri e dalle Compagnie Assicuratrici che<br />

hanno aderito al progetto.


Le uniche spese a carico del cittadino sono quelle relative agli<br />

onorari del legale da cui egli decida eventualmente di farsi<br />

assistere.<br />

I tempi della procedura sono serrati, per permettere una veloce<br />

risoluzione del problema. Infatti, entro 30 giorni dal contatto, lo<br />

Sportello verifica la completezza della documentazione e la<br />

disponibilità del <strong>medico</strong> a partecipare alla procedura conciliativa.<br />

In seguito, la domanda presentata dal cittadino, unitamente al<br />

carteggio fornito dal sanitario, viene trasmessa alla Commissione<br />

Tecnica, che la esamina, valutandone la fondatezza e<br />

l'ammissibilità secondo i requisiti stabiliti dalla Convenzione per la<br />

conciliazione ed esprime entro 30 giorni un parere sulla possibilità<br />

di procedere alla definizione amichevole della controversia.<br />

Nell’ipotesi in cui le parti non giungano ad un accordo, il<br />

Conciliatore redige un verbale di mancato accordo, precisandone<br />

le ragioni. Le parti rimangono, pertanto, libere di procedere in<br />

altro modo ed eventualmente di adire l'Autorità Giudiziaria<br />

Ordinaria.<br />

Si evince dai primi sommari dati acquisiti che il progetto è riuscito<br />

nel suo intento di realizzare un luogo di ascolto, di incontro e di<br />

mediazione tra le legittime aspettative dei cittadini e i problemi


concreti affrontati quotidianamente dal <strong>medico</strong> nell'esercizio della<br />

professione.<br />

Inoltre, la conciliazione si è rivelata una soluzione tecnica che, pur<br />

garantendo il risarcimento degli eventuali danni, indirizza il<br />

conflitto sulla via dell’accordo e della pacificazione tra <strong>medico</strong> e<br />

paziente, senza che si verifichi una rottura dei rapporti.<br />

Si tratta di risultati che incoraggiano a proseguire l’esperienza,<br />

certo con indispensabili correttivi, ma anche con significativi<br />

ampliamenti, sempre in collaborazione con l’Ordine degli<br />

Avvocati, la Camera di Conciliazione e le Compagnie Assicuratrici.


7. CASI CLINICI<br />

Caso 1<br />

Paziente di 40 aa.<br />

Si presenta alla osservazione con una protesi definitiva in lega<br />

aurea-ceramica eseguita circa 15 anni prima. L’obiettivo richiesto<br />

era di ricreare la condizione naturale con impianti osteointegrati<br />

nelle zone edentule al fine di ottenere una riabilitazione con<br />

elementi singoli.<br />

La pLa paziente, aveva<br />

eseguito, presso un altro sanitario, degli innesti ossei nelle zone<br />

edentule per correggere l’atrofia marcata. Nonostante tale<br />

procedura, il guadagno osseo non era stato eccellente (Rx).<br />

Il chirurgo ha comunque inserito gli impianti in dette zone, con il<br />

risultato di un elevato inestetismo in corrispondenza della zona<br />

2.1,2.2.


Insoddisfatta del risultato<br />

ha richiesto il risarcimento<br />

per il danno subito,<br />

poiché ha dovuto ricorrere di<br />

nuovo allo stesso tipo di<br />

protesi fissa preesistente. Il<br />

tribunale ha parzialmente<br />

accolto la richiesta,<br />

valutando una carenza di<br />

consenso informato e<br />

condannando il sanitario alla sola restituzione della parcella<br />

riguardante la terapia implantoprotesica, laddove non aveva avuto<br />

successo, ma non accogliendo la tesi dei danni, in quanto non c’era<br />

stato un esito peggiorativo dal precedente stato.<br />

Caso 2


Paziente di 55 aa,<br />

l’obiettivo della terapia era di inserire impianti in zona 4.5, 4.6 a<br />

supporto di una protesi fissa (rx). Per un errore chirurgico, gli<br />

impianti erano stati inseriti<br />

parzialmente nel canale<br />

mandibolare, ma durante la<br />

preparazione del sito era<br />

stato sezionato il n.<br />

mandibolare, con<br />

conseguente parestesia.<br />

La rimozione delle<br />

fixture non aveva sortito<br />

alcun effetto sulla ripresa<br />

della sensibilità a<br />

distanza di 4 anni, per<br />

cui la paziente chiedeva<br />

il risarcimento dei danni.<br />

Il giudice accoglieva la<br />

richiesta, condannando il<br />

dentista per imperizia e


imprudenza, per l’errore tecnico e per negligenza per non aver<br />

prescritto tutte le indagini radiologiche necessarie. Inoltre<br />

nell’ammontare dei danni è stato quantificato un 6% di invalidità,<br />

per la lesione del nervo alveolare, in primis e per la necessità di<br />

ricorrere ad una terapia protesica diversa da quella stabilita, stante<br />

l’impossibilità all’inserimento di nuovi impianti nella stessa zona<br />

per la vasta distruzione ossea creata dalla rimozione obbligatoria<br />

delle fixture.


CONCLUSIONI<br />

Gli operatori sanitari e soprattutto gli odontoiatri devono chiarire<br />

a loro stessi e ai loro pazienti, che è l’etica la colonna portante<br />

della loro professione.<br />

Una qualsiasi manovra diagnostica e terapeutica che eseguono su<br />

un paziente dovrebbe essere sempre preceduta dalla domanda se<br />

tale procedura è sostenibile e indicata. Il modo più semplice per<br />

capirlo in tutta onestà è porsi la domanda se essi stessi si<br />

sottoporrebbero a quanto propongono oppure no. Spesso gli<br />

odontoiatri si sono dedicati a cavilli e orpelli marginali della loro<br />

professione perdendo di vista il rapporto etico e morale con i<br />

pazienti. Questo terreno va sicuramente recuperato e in fretta,<br />

poiché il rapporto tra <strong>medico</strong> e paziente si basa sulla reciproca<br />

fiducia. Per dare tale fiducia ai nostri pazienti bisogna sapersi<br />

comportare in modo corretto.<br />

Da un articolo pubblicato su Andkronos salute del 24 settembre<br />

2008 emerge che il 60% dei medici, in una o più occasioni, ha<br />

prescritto farmaci o a eseguito dei trattamenti in un'ottica di<br />

medicina difensiva.


Questo uno dei dati che emerge dall'indagine “Medici in difesa,<br />

prima ricerca del fenomeno in Italia: numeri e conseguenze”,<br />

commissionata dall'Ordine dei medici della Provincia di Roma e<br />

condotta su 800 camici bianchi attraverso questionari. Solo il<br />

39,3% dei medici intervistati, infatti, dichiara di non essere mai<br />

stato spinto a compilare ricette dalla paura di incorrere in guai<br />

giudiziari. Il 41,3%, invece dichiara di non averlo fatto quasi mai<br />

(uno o due casi su 10), il 13,6% talvolta (3-4 casi su 10) e il 5,8%<br />

spesso, cioè oltre 4 volte su 10.<br />

1 2 3 4<br />

1. 39,3% - mai<br />

2. 41,3% - 1/2 casi su 10<br />

3. 13,6% - 3/4 casi su 10<br />

4. 5,8% oltre 4 casi su 10<br />

Questi dati appaiono sconcertanti ma non sono altro che il<br />

risultato dell’alterato rapporto di fiducia <strong>medico</strong>-paziente che si è<br />

andato modificando in questi ultimi anni: da una parte, a causa


dell’informazione talora non corretta o troppo superficiale dei<br />

mass media, i pazienti alimentano delle speranze nei confronti<br />

delle nuove tecnologie che spesso vengono deluse il che li porta<br />

ad aprire una lotta contro il <strong>medico</strong> che, secondo la loro ottica,<br />

non è riuscito a dargli il risultato voluto; dall’altra i medici hanno<br />

perso di vista il lato umanitario della loro professione basato su<br />

un rapporto di ascolto e di fiducia nei confronti delle persone che<br />

gli stanno davanti, di dialogo e di comprensione, allontanando<br />

così i pazienti e facendo aumentare in loro la diffidenza. I<br />

contenziosi hanno spesso alla base una mancata comunicazione<br />

tra <strong>medico</strong> e paziente, il quale abbandonato a se stesso non<br />

esiterà e citarlo in giudizio nel momento in cui non vedrà<br />

soddisfatte le sue aspettative.<br />

D’altro canto invece, un <strong>medico</strong> che instaura un buon dialogo con<br />

paziente, che gli spiega tutte le eventuali complicanze e gli<br />

eventuali insuccessi della terapia che stanno per intraprendere, che<br />

ascolte le sue esigenze e le sue preoccupazioni si troverà davanti<br />

un paziente informato e consapevole e sicuramente predisposto<br />

ad accettare e capire l’eventuale esito negativo della terapia senza<br />

attribuire la colpa di non aver fatto a aver fatto male al<br />

professionista.


Il modo migliore per concludere questo lavoro è senz’altro citare<br />

questa massima:<br />

“… se ti proponi come un Dio, non ti lamentare se quando<br />

piove se la prendono con te…” (Anonimo)


BIBLIOGRAFIA<br />

1. Bach G, Neckel C, Mall C, Krekeler G.: “Conventional versus<br />

laser-assisted therapy of periimplantitis: a five-year comparative<br />

study”. Implant Dent. 2000;9(3):247-51.<br />

2. Bain C. “Smoking and implant failure. Benefits of a smoke<br />

cessation protocol” Journal of Oral Maxillofacial Impl 1996<br />

3. Barni M.: “Deontologia e responsabilità medica” Atti convegno<br />

Medicina Legale – Lecce 27.05.07 / 7<br />

4. Barni M. “Trattamenti sanitari tra libertà e doverosità”.<br />

5. Biffi S., Bulgheroni C., Santoni F., Salvato A., : “Ruolo del<br />

consenso informato nel contenzioso <strong>medico</strong> legale ortodontico”.<br />

Doctor OS 2004 Aprile; 15(4): 375<br />

6. Boncinelli S.: “L’errore è umano anche se lo fa il <strong>medico</strong>”<br />

Tempo Medico<br />

7. Bragger Urs, Ioannis Karoussis, Rutger Persson, Bjarni<br />

Pjetursson, Giovanni Salvi, Niklaus P. Lang: “Technical and<br />

biological complications/failures with single crowns and fixed


partial dentures on implants: a 10-year prospective cohort<br />

study”<br />

8. Branemark P.I., Adell R:, Albrektsson T.: “An experimental and<br />

clinical study of osteointegrated implants penetrating in the nasal<br />

cavity. J oral Maxillofac Surg 42 (8): 497-505, 1984)<br />

9. Brondolo W., A. Marigliano: “ Danno psichico “ Medicina e<br />

diritto, Giuffrè, 1996<br />

10. Buccelli C., Di Lorenzo P., Laino A., Esposito P., Amato M.,:<br />

“Riflessioni <strong>medico</strong> <strong>legali</strong> sul consenso informato nella<br />

riabilitazione protesica.” Il dentista moderno 04/2002<br />

11. Cantarella P., Masciocco R.P., Santarelli A., Bambini P.,<br />

Cingolani M., : “Valutazione <strong>medico</strong> legale del danno derivante<br />

da traumatismi dei denti frontali”. Doctor OS 2005 Mar; 16(3):<br />

247<br />

12. Cehreli M., Duyck J., De Cooman M., Puers R., Naert I.:<br />

“Implant design and interface force transfer” Clin Oral Impl Res:<br />

15(2) 249-257; 2004).<br />

13. Chiapasco M.: “ Manuale illustrato di chirurgia orale ”.<br />

Elsevier-Masson<br />

14. Ciuchini L. : “La cartella clinica personale”. ANDI Roma


15. Convenzione sui diritti dell’uomo e della Biomedicina di<br />

Strasburgo<br />

16. Consiglio d’Europa; convenzione per la protezione dei diritti<br />

dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo<br />

all’applicazione della biologia e della medicina: Convenzione<br />

sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina Oviedo, 4 aprile 1997<br />

17. Codice Civile e leggi complementari a cura di Fausto Izzo, ed.<br />

giuridiche Simone<br />

18. Codice Penale, ed. Alphatest<br />

19. Comandè G., Turchetti G.: “La responsabilità sanitaria tra<br />

valutazione del rischio e assicurazione” Scuola Superiore di Studi<br />

Universitari<br />

20. Cortivo P., Betti D., Bordignon D., Tositti R. – Sul rimedio del<br />

danno dentario mediante implantoprotesi – Riv.It. Med. Leg, X,<br />

1105:1137, 1988.<br />

21. Curley AW., University of the Pacific, San Francisco, USA:<br />

“Dental implant jurisprudence: avoiding the legal failures”.<br />

JOURNAL OF THE CALIFORNIA DENTAL ASSOCIATION 2001.<br />

PMID: 11813398 [PubMed - indexed for MEDLINE]


22. De Ferreri, Palmieri, Manuale di medicina legale, Milano,<br />

2007, p. 558 e ss.<br />

23. Fresa R.: “Il consenso informato in odontoiatria: legislazione e<br />

guida pratica”. ANDI<br />

24. “Il consenso informato nelle cure odontoiatriche”.<br />

Odontoiatria Oggi Febbraio 2004<br />

25. Fiori A.: “La medicina legale difensiva” Riv. It. Med. Leg. 1996<br />

26. Fiore C., Giannini M., Scarpelli M.L., Cataldi G.,: “La<br />

consulenza tecnica <strong>medico</strong> legale”. Dental Cadmos 10/97<br />

27. Fossati C.: “Considerazioni sul contenzioso tra paziente e<br />

odontoiatra”. Doctor OS Settembre 1998<br />

28. Franchi J., “Medicina legale in odontoiatria”. Giornale<br />

dell’odontoiatra 04/2002<br />

29. Fregni G.,: “Malpractice vera o presunta”. Convegno<br />

Modena 22.10.05<br />

30. Giannini G., Pogliani M.: “Il danno da illecito civile” Giuffrè,<br />

1997<br />

31. Giltay RB., Malvoz RE., D.U. Réhabil. Orale & Implantologie<br />

Université P & M.CURIE-Paris: “Responsibility and legal aspects


of implantology”. PMID: 11508124 [PubMed - indexed for<br />

MEDLINE]<br />

32. Hammerle Christoph, Glauser Roland: “Clinical evaluation of<br />

dental implant treatement”<br />

33. Heitz-Mayfield L. J., Schmid B., Weigel C., Gerber S., Bosshardt<br />

D.D., Jo¨nsson J., Lang N.P.: “Does excessive occlusal load affect<br />

osseointegration? An experimental study in the dog”<br />

34. Kreisler M, Kohnen W, Marinello C, Gotz H, Duschner H,<br />

Jansen B, d'Hoedt B.: “Bactericidal effect of the Er:YAG laser on<br />

dental implant surfaces: an in vitro study”.<br />

J Periodontol. 2002 Nov;73(11):1292-8.<br />

35. Lang Niklaus P, Pjetursson Bjarni, Ken Tan, Bragger Urs, Egger<br />

Matthias, Zwahlen Marcel: “A systematic review of the survival<br />

and complication rates of fixed partial dentures (FPDs) after an<br />

observation period of at least 5 years. II. Combined tooth–<br />

implant-supported FPDs”<br />

36. Leonhardt Åsa, Gröndahl Kerstin, Bergström Christina, Lekholm<br />

Ulf: “Long-term follow-up of osseointegrated titanium implants<br />

using clinical, radiographic and microbiological parameters”<br />

37. Lindhe J. et al. “Clinical Oral Implants Research” 1992, 3:9-16<br />

38. Malchiodi L.: “ Chirurgia implantare ”. Ed. Martina


39. Martini P.: “ Medicina legale in odontoiatria” Ed. USES<br />

40. Mastroroberto L.: “Il concetto di rischio in ambito civilistico e<br />

assicurativo” Bologna 20.02.08<br />

41. Mastroroberto L.: “Differenza tra errore e complicanza”<br />

TAGETE 4/2005<br />

42. Marozzi F., Scarpelli M.,: “La valutazione del danno<br />

biologico”. Giornale dell’odontoiatra Giugno 2004<br />

43. Monestiroli P.: “Lesione accidentale del nervo alveolare<br />

inferiore quale complicanza di un intervento di chirurgia<br />

implantare”. Implantologia orale Maggio 2002<br />

44. Montagna F.: “Odontoiatria legale: profilo del rischio in<br />

letteratura”. Italian Dental Economist Giugno 2004<br />

45. Montagna F., De Sanctis E.,: “Odontoiatria Legale”<br />

46. Palazzo Francesco: “Corso di diritto penale” Giappichelli<br />

editore<br />

47. Pastore R.: “Il danno generato da attività medica (danno<br />

iatrogeno)”


48. Petti Giovanni Battista: “Il risarcimento del danno biologico “<br />

UTET, 1997<br />

49. Pierazzini L. “ Insuccessi in implantologia ”<br />

50. Pjetursson Bjarni E., Karoussis Ioannis, Burgin Walter, Bragger<br />

Urs, P. Lang Niklaus: “Patients’ satisfaction following implant<br />

therapy. A 10-year prospective cohort study”<br />

51. Pjetursson Bjarni E., Ken Tan, Lang Niklaus P., Bragger Urs,<br />

Egger Matthias, Zwahlen Marcel: “A systematic review of the<br />

survival and complication rates of fixed partial dentures (FPDs)<br />

after an observation period of at least 5 years. I. Implant-<br />

supported FPDs”<br />

52. Ripari M., Annibali S., Pippi R., Sepe G., Cicconetti A.,:<br />

“Lesioni iatrogene dei tronchi nervosi in chirurgia orale.<br />

Prevenzione e trattamento”. Dental Cadmos 2/2002<br />

53. Robetti I. : “Il consenso in odontoiatria” Professione Sanità<br />

Pubblica e Medicina Pratica, EMS, Torino, 3, 57-59, 1996<br />

54. Romano V.: “La cartella clinica come fonte di responsabilità<br />

penale”. Atti convegno Acquaviva delle Fonti 23.03.02<br />

55. Rotundo R., Cairo F.,: “La valutazione del rischio in terapia<br />

implantare”.


56. Santoro V., De Donno A., Dell’Erba A., Introna F., Section of<br />

Legal Medicine, Department of Internal Medicine and Public<br />

Medicine, University of Bari, Italy. “Esthetics and implantology:<br />

<strong>medico</strong>-legal aspects”. PMID: 17287706 [PubMed - indexed for<br />

MEDLINE]<br />

57. Soccetti A. et Al.: “La tassonomia dell’errore <strong>medico</strong> e le<br />

responsabilità del sistema”. G.I.O.T. 2004/30<br />

58. “Sicurezza dei pazienti e gestione del rischio clinico”. Biblioteca<br />

La Professione<br />

59. Simonetti N.: “La responsabilità professionale medica” Atti<br />

convegno Medicina Legale – Lecce 27.05.07 / 7<br />

60. Skyes D.: “Medico legal aspects of dental implants”. PMID:<br />

11709962 [PubMed - indexed for MEDLINE]<br />

61. Swartz-Arad et al: “Smoking and complications of endosseous<br />

implants”; Journal Periodontol 2002<br />

62. Termini C.,: “La responsabilità professionale”. Doctor OS<br />

2004 Set; 15(7): 805-806<br />

63. Timmenga, N.M., Raghoebar, G.M., Boering, G. & van<br />

Weissenbruch, R. (1997) “Maxillary sinus function after sinuslift<br />

for the insertion of dental implants”. Journal of Oral and<br />

Maxillofacial Surgery 55: 936–939.


64. Timmenga, N.M., Raghoebar, G.M., van Weissenbruch,R. &<br />

Vissink, A. (2001) “Maxillary sinusitis after augmentation of the<br />

maxillary sinus floor: a report of 2 cases”. Journal of Oral and<br />

Maxillofacial Surgery 59:200–204..<br />

65. Umani Ronchi G.: “ Medicina legale in odontostomatologia”.<br />

Ed. Edi-Lombardo<br />

66. Villa F.: “ Il consenso del paziente nell’esercizio della pratica<br />

quotidiana”. Il dentista moderno 1984, 5, p. 667 e ss.<br />

67. Vermylen Katrien, Collaert <strong>Bruno</strong>, Linde´n Ulf, Björn Anna-<br />

Lisa, De Bruyn Hugo: “Patient satisfaction and quality of single-<br />

tooth restorations. A 7-year follow-up pilot study in private<br />

dental practices”<br />

68. Wilson LL., Fulton M., School of Public Health, La Trobe<br />

University, Melbourne: “Risk management: how doctors,<br />

hospitals and MDOs can limit the costs of malpractice litigation”.<br />

PMID: 10738478 [PubMed - indexed for MEDLINE]<br />

69. www.aio.it<br />

70. www.filodiritto.it<br />

71. www.dirittosanitario.net


72. www.doctornews.it<br />

73. Hashimoto M., Akagawa Y., Nikai H., Tsuru H. Single-crystal<br />

sapphire endosseous dental implant loaded with functional<br />

stressclinical and histological evaluation of perimplant tissues.<br />

Journal of Oral Rehabilitation 15: 65- 76,1988.<br />

74. Jansen J. A., de Wijn J.R., Wolters-Lutgerhorst, J. M. L., Van<br />

Mullem P.J. “Ultrastructural study of epithelial cell attachment<br />

to implant material”. Journal of Dental Research 64:891-896,<br />

75. Van Steenberghe D., Lekholm U., Bolender C., Folmer T.,<br />

Henry P., Herrman I., et al. “The applicability of osseointegrated<br />

oral implants in the rehabilitation of partial edentulism: a<br />

prospective multicenter study on 558 fixtures”. Internafional<br />

Journal of Oral & Maxìllo facial Implants<br />

76. Lindhe I., Berglundh T., Ericsson I., Liljenberg B., Marinello C.:<br />

“Experimental breakdown of perimplant and periodontal tissue.<br />

A study in the beagle dog”. Clin Oral Implantology<br />

77. Berglundh T., Lindhe I., Marinello C., Ericsson I., Li1jenberg B.<br />

“Soft tissue reaction to de novo plaque formation on implants<br />

and teeth. An experimental study in the dog”. Clin Implantology<br />

78. Listgarten MA., Lang NP., Schroeder HE. “Perìodontal tissue<br />

and their counterparts around endosseous implant. Clin Oral<br />

Implantology


79. Bauman GR., Rapley JW., William WH., MilIs M.: “The<br />

perimplant sulcus” Int J Oral Maxillo Fac Implants. 1993. 8:273-<br />

280<br />

80. Mombelli A. “Microbial aspect of implant dentistry”.<br />

Periodontology 2000 4:74-80,1994.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!