considerazioni medico legali - Dottor Bruno Marcelli
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UNIVERSITA’ POLITECNICA DELLE MARCHE<br />
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA<br />
CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA<br />
IN ODONTOIATRIA E PROTESI DENTARIA<br />
CLINICA DI ODONTOSTOMATOLOGIA<br />
Direttore: Prof. Maurizio Procaccini<br />
TERAPIA<br />
IMPLANTO-PROTESICA:<br />
CONSIDERAZIONI MEDICO LEGALI<br />
RELATORE: CHIAR.MO TESI DI LAUREA DI:<br />
PROF. MAURIZIO PROCACCINI ALESSIA DELLI CARPINI<br />
CORRELATORE:<br />
DOTT. BRUNO MARCELLI<br />
Anno Accademico 2007 - 2008
INDICE<br />
INTRODUZIONE<br />
I. PRINCIPI DI IMPLANTOLOGIA OSTEOINTEGRATA<br />
I<br />
1. L’implantologia osteointegrata<br />
1<br />
1.1 Pianificazione del trattamento 4<br />
1.1.1 Diagnosi 7<br />
1.1.2 Esame intraorale 8<br />
1.1.3 Esame radiografico 9<br />
1.1.4 Analisi osso disponibile 12<br />
1.1.5 Scelta dell’impianto in funzione del sito 15<br />
1.1.6 Preparazione sito chirurgico 18<br />
1.1.7 Trattamento post-chirurgico 21<br />
1.2 Criteri di successo in implantologia 22<br />
1.3 Fallimenti e complicanze in implantologia 27<br />
1.3.1 Cause dovute all’operatore 30<br />
1.3.2 Fase post-chirurgica 41<br />
1.3.3 La perimplantite 43<br />
1.3.4 L’esame clinico dell’impianto 50<br />
1.3.5 Fase protesica 54<br />
II. CONTENZIOSO MEDICO-PAZIENTE: ASPETTI CLINICI E<br />
MEDICO LEGALI<br />
1. La responsabilità professionale 58<br />
1.1 La responsabilità penale 59<br />
1.1.1 Elementi costitutivi del reato 62<br />
1.2 La responsabilità civile 68<br />
1.2.1 La responsabilità contrattuale ed extracontrattuale 69<br />
1.2.2 L’obbligazione di mezzi e l’obbligazione di risultato 70<br />
1.2.3 La ripartizione dell’onere probatorio 74<br />
1.3 La responsabilità dell’odontoiatra nel trattamento 75<br />
implantologico<br />
2. L’informazione e il consenso<br />
2.1 Il dovere di informare 86<br />
2.1.1 Modalità, oggetto e limite dell’informazione 94<br />
2.1.2 Violazione del dovere di informare: responsabilità 96<br />
2.2 Il dovere di acquisire il consenso 99
2.2.1 Validità del consenso 104<br />
2.2.2 Revoca del consenso 112<br />
2.2.3 Trattamento <strong>medico</strong> in difetto di consenso del paziente 113<br />
2.3 Il consenso informato in odontoiatria 115<br />
2.3.1 Aspetti generali del consenso informato in odontoiatria 123<br />
2.3.2 L’importanza della documentazione clinica 127<br />
3. Il danno biologico 129<br />
3.1 Contenuti del danno biologico 132<br />
3.2 Il danno psichico 135<br />
3.3 Criteri di valutazione del danno<br />
136<br />
3.3.1 Criteri di valutazione del danno dentario<br />
139<br />
4. Confine tra errore e complicanza 142<br />
4.1 Prevenzione di errori e complicanze<br />
147<br />
5. Linee guida in implantologia<br />
6. Malpractice e medicina difensiva<br />
149<br />
153<br />
6.1 Il progetto “Accordia”<br />
159<br />
7. Casi clinici 166<br />
CONCLUSIONI 170<br />
BIBLIOGRAFIA
INTRODUZIONE<br />
Il notevole aumento di azioni giudiziarie nei confronti di sanitari<br />
tendenti a riconoscere responsabilità colpose o dolose in ordine<br />
alle loro prestazioni professionali, ha portato il problema del<br />
contenzioso <strong>medico</strong>-paziente e della responsabilità medica ad<br />
essere un argomento di grande attualità.<br />
Il dilagare della responsabilità medica in sede giudiziaria è un<br />
fenomeno in crescita esponenziale e, come cause riconosciute, si<br />
può riassumere attraverso l’analisi di tre importanti fattori:<br />
l’evoluzione tecnico-scientifica, che si traduce per il sanitario<br />
in una crescente disponibilità di mezzi, strutture e specializzazioni,<br />
che inficia la teoria dell’errore scusabile;<br />
il passaggio da una cosiddetta medicina paternalistica ad<br />
una medicina informata, con rinnovati riflessi sul rapporto<br />
<strong>medico</strong>-paziente, il quale, in tale veste, acquisisce nuovi diritti<br />
tutelati dall’ordinamento;<br />
la maggiore attenzione della magistratura nei confronti<br />
dell’errore <strong>medico</strong>.<br />
Questi fattori, si riscontrano in campo <strong>medico</strong> in generale, quindi<br />
anche in campo odontoiatrico c’è un gran fermento per quanto<br />
riguarda la medicina difensiva e forense: sono sempre di più
infatti i pazienti che aprono un contenzioso per la richiesta di<br />
risarcimento nei confronti del proprio odontoiatra, anche se, in<br />
2/3 dei casi si tratta di richieste pretestuose.<br />
Il contratto tra <strong>medico</strong> e paziente è un contratto d’opera<br />
intellettuale, che si specifica come “contratto di prestazione<br />
medica” e viene definito come “l’accordo in virtù del quale il<br />
<strong>medico</strong>, effettuata la diagnosi ed indicata la terapia, si obbliga nei<br />
confronti del paziente, dietro corrispettivo, a realizzarla secondo<br />
le migliori prescrizioni dell’arte medica, assumendo, perciò una<br />
obbligazione di mezzi”.<br />
L’odontoiatria è una branca medica in cui, per alcune prestazioni<br />
come ad esempio i trattamenti protesici è richiesto un obbligo di<br />
risultato.<br />
Un odontoiatra che si impegna a predisporre ed applicare una<br />
protesi dentaria, fissa o mobile, assume nei confronti del paziente<br />
un obbligazione di risultato perché è obbligato a realizzare un<br />
opera in tutto idonea alla sua destinazione. L’odontoiatra che<br />
abbia applicato al paziente una protesi inidonea per vizi o<br />
difformità alla sua destinazione incorre in responsabilità<br />
contrattuale ed è tenuto ad risarcire il danno biologico e il danno<br />
patrimoniale.
Scopo di questo lavoro è definire e analizzare dal punto di vista<br />
<strong>medico</strong>-legale la posizione dell’odontoiatra che intraprende una<br />
terapia implanto-protesica, analizzando prima di tutto quali sono<br />
le complicanze e i fallimenti che possono verificarsi durante il<br />
trattamento e, in un secondo momento, quali sono i doveri <strong>legali</strong><br />
dell’odontoiatra e i casi in cui quest’ultimo potrebbe essere citato<br />
in giudizio per il risarcimento di un danno biologico o<br />
patrimoniale nel caso di un esito negativo del trattamento.<br />
Tutto ciò supportato dallo studio di due casi clinici in cui il<br />
pazienti avevano citato in giudizio i loro odontoiatri per<br />
complicanze legate all’inserimento di impianti, uno risoltosi con<br />
assoluzione, l’altro con condanna e successivo risarcimento del<br />
paziente leso.
I. PRINCIPI DI IMPLANTOLOGIA OSTEOINTEGRATA<br />
1. L’IMPLANTOLOGIA OSTEOINTEGRATA<br />
L’implantologia orale, che si avvale di impianti osteointegrati<br />
utilizzati come supporto per una riabilitazione protesica fissa o<br />
removibile, è universalmente riconosciuta come una<br />
metodologia clinica sicura e in grado di garantire risultati<br />
duraturi nella riabilitazione orale.<br />
La possibilità di non coinvolgere la dentatura naturale residua e<br />
di fornire protesi fisse ai pazienti edentuli ha rivoluzionato il<br />
moderno concetto di riabilitazione protesica, facendo degli<br />
impianti osteointegrati uno strumento spesso indispensabile nella<br />
preparazione del piano terapeutico.<br />
Come si evince dalle precedenti righe, alla base della terapia<br />
implantoprotesica c’è il concetto introdotto da Brånemark nel<br />
1969 e poi ripreso da innumerevoli autori,<br />
dell’osteointegrazione che, secondo la sua definizione, è la<br />
“congruenza anatomica tra osso vivente rimodellato e sano ed<br />
un componente sintetico che trasferisce un carico all’osso”.<br />
La terapia implantare ha come scopo principale quello di<br />
sostituire elementi dentari andati persi con manufatti protesici;
ciò ha anche numerosi risvolti a livello anatomico e funzionale<br />
su molte delle strutture presenti nel cavo orale.<br />
Per prima cosa il posizionamento degli impianti permette il<br />
mantenimento delle strutture ossee in quanto, grazie al carico<br />
che essi trasferiscono all’osso sottostante, impediscono che<br />
questo vada incontro ad atrofia e di conseguenza si avrà anche<br />
un miglioramento e un mantenimento del profilo facciale<br />
(soprattutto in caso di edentulie totali).<br />
I fenomeni locali che conducono all’atrofia del mascellare<br />
edentulo, infatti, sono imputabili alla pressione esercitata dal<br />
periostio nei confronti del tessuto sottostante. La mancanza del<br />
sistema fisiologico elemento dentale - legamento parodontale si<br />
traduce nell’assenza dello stimolo funzionale che è necessario al<br />
mantenimento del tessuto osseo. Il fenomeno elastico, pressione-<br />
tensione mantiene il volume osseo tramite questo stimolo<br />
meccanico. La massa ossea quindi è strettamente legata al carico.<br />
Le forze di carico stimolano l’osso e per far si che non si verifichi<br />
un riassorbimento è necessario che il carico applicato eserciti una<br />
forza compresa tra i 2500 e i 4000 Newton.<br />
Un diverso carico dinamico dell’osso comporta una reazione di<br />
questo tessuto estremamente diversa: si verifica atrofia quando
l’osso è sottoposto a un carico inferiore a 200 N mentre si ha il<br />
mantenimento del livello dell’osso con un carico compreso tra i<br />
200 e i 2500 N. Questa è la condizione fisiologica per l’osso ed<br />
è quella nella quale l’operatore dovrebbe cercare di mantenere<br />
la sollecitazione funzionale della struttura implanto-protesica<br />
progettata.<br />
Si può arrivare alla frattura in condizioni differenti in rapporto al<br />
tipo di osso e alla sua consistenza; questo fenomeno si attesta<br />
quando il carico è di circa 25000 N di forza lineare.<br />
La sostituzione degli elementi persi con impianti presenti anche<br />
altri vantaggi come il mantenimento delle strutture muscolari<br />
grazie al ripristino della corretta funzione masticatoria, una<br />
corretta posizione dei denti (ad esempio con la messa in posa<br />
del nuovo elemento viene meno il movimento di mesio-<br />
distalizzazione degli elementi adiacenti e di estrusione<br />
dell’antagonista,…) e di conseguenza una corretta occlusione<br />
che permette di riflesso di prevenire problemi all’articolazione<br />
temporomandibolare.<br />
Tutto ciò ha come ultimo, ma forse più importante, vantaggio<br />
quello psicologico, in quanto il paziente vede risolti i suoi<br />
problemi sia funzionali che estetici.
1.1 PIANIFICAZIONE DEL TRATTAMENTO<br />
Lo studio del caso clinico in implantologia deve tener presente le<br />
condizioni generali del paziente ai fini di considerare i diversi tipi<br />
di piani di trattamento.<br />
L’implantologia osseo integrata è un tipo di trattamento che può<br />
trovare indicazione in ogni tipo di paziente, senza riferimento al<br />
sesso e all’età. L’utilizzo degli impianti osteointegrati è<br />
certamente ideale in tutti quei soggetti che, in assenza di malattie<br />
sistemiche o metaboliche, hanno un adeguata quantità di osso<br />
nel mascellare superiore o inferiore.<br />
Le indicazioni al trattamento implantare sono:<br />
edentulia totale;<br />
edentulia parziale;<br />
la riduzione di proporzione della lunghezza dei ponti fissi in<br />
pazienti con un numero troppo limitato di pilastri;<br />
pazienti che rifiutano l’uso della protesi;<br />
(Albrektsson e Blomberg; Blomberg e Linquist; Laney)<br />
abitudini parafunzionali che compromettono la stabilità<br />
protesica;<br />
aspettative del paziente per una dentatura completa;<br />
pazienti psicologicamente contrari alla protesi removibile;
numero e localizzazione sfavorevole di potenziali pilastri<br />
derivanti da denti naturali;<br />
perdita di un singolo elemento.<br />
(Adell; Laney; Zarb.)<br />
Prima di intraprendere la pianificazione del trattamento bisogna<br />
considerare le controindicazioni, sia assolute che relative,<br />
all’implantologia.<br />
Le controindicazioni relative all’uso degli impianti ostro integrati<br />
sono date da:<br />
patologie dei tessuti duri o molli, come nel caso di tumori<br />
benigni che vanno rimossi prima di ipotizzare la procedura<br />
implantologica: dopo la rimozione della neoplasia, è possibile<br />
verificare se il paziente sia un buon candidato al trattamento<br />
implantologico. Pazienti con problemi dei tessuti molli, come<br />
collagenopatie, devono essere attentamente valutati; ogni stadio<br />
attivo di queste malattie deve essere trattato prima di<br />
considerare il trattamento implantologico;<br />
nei pazienti che hanno subito estrazioni recenti è importante<br />
determinare il tempo trascorso dall’avulsione e associare una<br />
indagine radiografica per poter decidere se l’osso è<br />
adeguatamente guarito; secondo i canoni classici non esiste
motivo per attendere l’esecuzione della procedura<br />
implantologica oltre l’anno, in quanto le grosse modificazioni di<br />
rimodellamento dell’osso, trascorso quel periodo sono già<br />
avvenute;<br />
pazienti che sono stati irradiati con dosi inferiori a 400rads<br />
possono essere sottoposti a trattamento chirurgico implantare<br />
con l’avvertenza di ritardare la seconda fase chirurgica, perché<br />
necessitano di un periodo di guarigione più lungo;<br />
pazienti affetti da discrasie ematiche (leucemia, emofilia,<br />
porpora trombocitopenia idiopatica, coagulopatie,…), dove la<br />
possibilità di intervenire è legata alle condizioni generali di<br />
salute;<br />
pazienti con anamnesi clinica comprovante un abuso di<br />
alcool, tabacco e/o uso di droghe. Questi pazienti hanno una<br />
ridotta resistenza alle infezioni (circa il 30% in meno). Qualora<br />
si proceda al trattamento è consigliabile che questi soggetti si<br />
astengano dall’uso di queste sostanze per qualche settimana;<br />
pazienti con malattie croniche come il diabete o<br />
l’ipertensione, vanno compensati e valutati su base individuale.<br />
Le controindicazioni assolute all’utilizzo degli impianti sono<br />
invece da ricercare nei pazienti irradiati ad alte dosi (superiori a
500 rads), nei pazienti con problemi psichici gravi e nei pazienti<br />
con disordini ematologici - sistemici (artrite reumatoide).<br />
Per verificare la presenza di controindicazioni sistemiche o locali<br />
e per individuare le caratteristiche anatomiche e strutturali del<br />
sito implantare, l’approccio diagnostico è di fondamentale<br />
importanza. La selezione preliminare del paziente richiede<br />
l’esecuzione di un’accurata anamnesi affiancata da esami di<br />
laboratorio, di routine e specifici (quest’ultimi volti a indagare il<br />
metabolismo osseo), da un’ indagine clinica endorale e orto<br />
panoramica e da un esame del sito implantare, arricchiti da<br />
un’accurata documentazione fotografica.<br />
1.1.1 Diagnosi<br />
È fondamentale conoscere le condizioni generali del paziente ai<br />
fini di una diagnosi e di un piano di trattamento corretto, la<br />
storia clinica generale (anamnesi patologica prossima e remota)<br />
e la storia clinica dentale nella quale bisogna ricercare eventuali<br />
abitudini parafunzionali come il bruxismo o il serramento<br />
notturno che, se non corrette, possono invalidare il trattamento<br />
pianificato.
1.1.2 Esame intraorale<br />
L’esame intraorale comprende la valutazione dell’igiene orale, le<br />
condizioni dei tessuti molli e le condizioni di salute parodontale.<br />
La valutazione di parametri parodontali, dell’occlusione, delle<br />
aree edentule, del numero e stato degli elementi presenti,<br />
evidenzia se esistono delle alterazioni del supporto locale ai fini<br />
implantoprotesici.<br />
Importante anche la valutazione dell’anatomia radiografica<br />
riguardo la posizione ed estensione di strutture quali il forame<br />
mentoniero, il nervo mandibolare, il seno mascellare, i seni<br />
paranasali.<br />
Ai fini implantoprotesici riveste particolare importanza,<br />
attraverso lo studio dei modelli in gesso, il numero e la<br />
posizione dei denti residui e la possibilità di ricostruzione<br />
implanto-protesica nelle aree edentule in rapporto all’osso<br />
rimasto e alla relazione intermascellare.
Le informazioni che ne derivano sono utili, permettendo infatti<br />
di predeterminare, compatibilmente al quadro anatomico, la<br />
migliore distribuzione delle fixture.<br />
1.1.3 L’esame radiografico<br />
È determinante per stabilire la qualità e la quantità dell’osso<br />
residuo. Gli esami radiologici da valutare sono:<br />
la radiografia panoramica (OPT) che fornisce una visione<br />
generale della morfologia dell’osso a livello dei mascellari e<br />
fornisce informazioni fondamentali sulle strutture anatomiche<br />
adiacenti, permette di riconoscere l’ubicazione e la morfologia<br />
del pavimento del naso e dei seni mascellari. La visione<br />
radiografica del mascellare superiore consente di trarre<br />
informazioni attendibili sulla misura, in senso verticale, dell’osso<br />
e del grado di riassorbimento.<br />
Sulla mandibola, l’anatomia radiologica evidenzia il contorno<br />
della mandibola, i forami mentonieri e il canale mandibolare.<br />
L’utilizzazione di dime individuali, ricavate da modelli di studio,<br />
consente di effettuare una diagnosi iniziale in gran parte dei casi<br />
di implantoprotesi.
la teleradiografia laterolaterale è richiesta solo nelle atrofie<br />
nelle edentulie del mascellare superiore e/o inferiore proprio<br />
perché ci consente di valutare la relazione intermascellare fra le<br />
due arcate. L’associazione dello studio cefalometrico con le altre<br />
indagini radiografiche, principalmente la TC eseguita con<br />
programmi dedicati come il DentaScan, consentono di dedurre<br />
quale sia la reale necessità di ricostruzione dei mascellari atrofici.<br />
Solo un’adeguata correlazione tra la posizione degli impianti ed<br />
il supporto osseo delle due arcate consente di pianificare<br />
correttamente il trattamento chirurgico da eseguirsi.<br />
le radiografie endorali mirate permettono di valutare, con<br />
miglior qualità di risoluzione, il tipo e la morfologia dell’osso<br />
preso in esame, attraverso l’uso di centratori assiali ed alla<br />
mancanza di sovrapposizione di immagini come la colonna<br />
vertebrale nell’OPT.<br />
la tomografia computerizzata (TC) con programmi dedicati<br />
(Dentascan) ha reso meno difficile per il clinico l’individuazione<br />
di qualità, morfologia e densità del tessuto osseo. Permette la<br />
visualizzazione di sezioni trasversali multiple, misurazioni<br />
millimetriche accurate e miglior contrasto tissutale che<br />
permettono di visualizzare i mascellari su tre piani: assiale,
obliquo sagittale e panoramico. Inoltre può, in sezione<br />
trasversale, visualizzare con grande precisione l’ubicazione del<br />
canale alveolare inferiore, del canale incisivo e dei seni<br />
mascellari, ottenendo delle misurazioni molto precise dell’osso<br />
disponibile, senza le distorsioni tipiche dell’OPT. La TC con<br />
Denta-scan consente infatti una visione tridimensionale del<br />
futuro sito implantare, con possibilità di misurazioni dirette sul<br />
radiogramma. Questi programmi consentono di identificare in<br />
fase preoperatoria anche i difetti che richiedono un trattamento<br />
di innesto osseo e quindi di pianificare in modo ottimale il<br />
trattamento necessario. Attraverso lo studio densitometrico<br />
fornito dall’immagine, è possibile valutare la qualità dell’osso<br />
espressa in unità Hounsfield, parametro sicuramente più<br />
affidabile della lettura soggettiva della scala di grigi che si ottiene<br />
da un’OPT. Inoltre permette, nello studio dettagliato della<br />
morfologia del seno mascellare, di identificare e sfruttare al<br />
massimo le strutture ossee presenti, la presenza di eventuali<br />
patologie o di setti sinusali (di Underwood). La tomografia<br />
computerizzata evidenzia anche la presenza di patologie come<br />
affezioni periapicali e parodontali, corpi estranei o tumori e cisti<br />
che, a volte, non si vedono nell’OPT.
l’esame densitometrico (MOC), scarsamente utilizzato come<br />
esame preliminare, trova applicazione nel campo maxillo-<br />
facciale nella diagnosi e nel monitoraggio dei pazienti con<br />
osteoporosi in relazione alla necessità di una valutazione sia<br />
quantitativa che qualitativa delle ossa mascellari in relazione di<br />
un loro utilizzo per interventi di implantologia. Il MOC dal<br />
punto di vista qualitativo può dirci se l’osso controllato, con il<br />
rilievo degli “score”, rientra nei limiti della normale morfologia<br />
o se esistono delle situazioni patologiche.<br />
1.1.4 Analisi dell’osso disponibile<br />
Le indagini radiografiche ci permettono di valutare la qualità e la<br />
quantità di osso disponibile presente nel sito implantare.<br />
A livello locale bisogna valutare l’altezza, l’ampiezza e la<br />
lunghezza dell’osso presente. L’osso disponibile in altezza<br />
fornisce indicazioni sulla lunghezza dell’impianto da inserire.<br />
L’ampiezza e la forma del sito edentulo condizionano la scelta<br />
del diametro dell’impianto e la sua angolazione rispetto all’osso.<br />
L’ampiezza varia in funzione del riassorbimento osseo. Lo<br />
spessore vestibolo-orale dell’osso deve essere, al minimo, di 1<br />
mm superiore al diametro dell’impianto. L’ampiezza condiziona
anche l’inclinazione dell’impianto: un asse impiantare ideale<br />
prevede l’impianto allineato con le forze occlusali. Quella<br />
accettabile varia dai 20° ai 30°. Più è inclinato, più aumenta lo<br />
stress sull’osso crestale, con inevitabile aumento del<br />
riassorbimento. Oltre i 30° l’inclinazione può causare la frattura<br />
delle componenti protesiche 12 .<br />
Nell’inserimento di più impianti è importante calcolare la<br />
distanza tra quelli vicini che dovrebbero distare tra di loro 3-4<br />
mm e 3 mm dai denti naturali.<br />
Distanze inferiori a queste determinano difficoltà<br />
nell’adattamento delle componenti protesiche, nel<br />
mantenimento igienico, mancanza di spazio vitale tra le papille e<br />
un maggior rischio di riassorbimento osseo perimplantare<br />
(Tarnow et al. 2000).<br />
La qualità ossea condiziona la stabilità implantare. Si possono<br />
distinguere 4 diversi tipi di osso (classificazione secondo Mish):<br />
D1: il mascellare è formato quasi interamente da osso<br />
compatto e omogeneo<br />
D2: uno spesso strato di osso compatto circonda un osso<br />
trabecolare denso centrale
disponibile e alla sua densità. In presenza di osso D3, D4 bisogna<br />
aumentare più possibile diametro e lunghezza e preparare il sito<br />
con tecnica diversa. La tecnica degli osteotomi aumenta le<br />
possibilità di successo e ciò è dimostrato da uno studio con<br />
risultati a tre anni: “Impianti inseriti in osso a bassa densità con<br />
tecnica degli osteotomi”<br />
Zona n° imp. R.m. 1a<br />
R.m. 3 aa Fallimenti<br />
dal carico dal carico<br />
.4 8 1 mm 1,1 mm -<br />
.5 11 1,2 mm 1,2 mm -<br />
.6 11 1,3 mm 1,4 mm 1<br />
.7 3 1,2 mm -<br />
33 1,2mm 1,2 mm 1
1.1.5 Scelta dell’impianto in funzione del sito<br />
Gli esami radiografici più comuni illustrati in precedenza sono<br />
sufficienti a fornire esaustive informazioni al clinico sull’anatomia<br />
della cresta edentula e su questa base scegliere diametro e<br />
lunghezza ideale dell’impianto. La scelta dell’impianto avviene<br />
sovrapponendo alle radiografie speciali lucidi trasparenti con la<br />
raffigurazione schematica delle diverse dimensioni implantari<br />
(dima radiologica).<br />
L’evoluzione delle superfici implantari e, l’aumento della reale<br />
superficie di osteointegrazione degli impianti con superficie<br />
ruvida, ha consentito di ridurre le dimensioni minime degli<br />
impianti: se un tempo si cercava un ancoraggio bicorticale grazie<br />
all’utilizzo di impianti lunghi, oggi, nella maggior parte delle<br />
situazioni cliniche, si possono utilizzare impianti con lunghezza<br />
di 10 o anche 8 mm, a patto che la posizione dell’impianto sia<br />
ideale nelle tre dimensioni, e l’esistenza di corretti rapporti<br />
intermascellari consenta un carico assiale e un rapporto ottimale<br />
tra lunghezza dell’impianto e lunghezza della corona clinica<br />
dell’elemento da sostituire.<br />
A questo punto, terminata la pianificazione del trattamento, si<br />
prosegue con la fase operativa che deve essere il più accurata
possibile in tutti i suoi passaggi per evitare qualunque tipo di<br />
problematica legato a questa operazione.<br />
Un intervento di chirurgia implantare prevede un’interruzione<br />
della barriera mucosa, che mette in comunicazione i tessuti<br />
profondi con l’ambiente orale, sempre colonizzato da diversi<br />
tipi di germi. La penetrazione di quest’ultimi può esporre il<br />
paziente a rischio di infezione locale o a distanza. Questo rischio<br />
è maggiore in chirurgia implantare poiché gli impianti endossei,<br />
seppur realizzati con materiali bioinerti e biocompatibili, si<br />
comportano come corpi estranei interferendo con i normali<br />
meccanismi di riparazione e guarigione. Per questo motivo, nella<br />
maggior parte dei casi in chirurgia implantare viene utilizzato un<br />
protocollo di preparazione dell’ambiente chirurgico sterile.<br />
Per ridurre al minimo il rischio di infezione e per creare un<br />
ambiente il più possibile sterile, anche all’interno del cavo orale,<br />
il clinico può fare affidamento sul supporto farmacologico pre- e<br />
postoperatorio. La maggior parte degli Autori consiglia<br />
l’esecuzione di uno sciacquo con un colluttorio a base di<br />
clorexidina 0,12% o 0,2% immediatamente prima<br />
dell’intervento di chirurgia implantare. Il controllo batterico da<br />
parte della clorexidina è più efficace se l’antisepsi ha inizio 2/3
giorni prima dell’intervento. L’antisepsi locale con colluttori<br />
disinfettanti viene effettuata anche nel periodo postoperatorio,<br />
fino alla rimozione dei punti di sutura e se necessario anche nel<br />
periodo successivo, con una schema che prevede 2 o 3 sciacqui<br />
di un minuto al giorno.<br />
Per quanto riguarda invece l’antibioticoprofilassi non esiste<br />
attualmente un consenso per quanto riguarda l’opportunità di<br />
eseguirla nei pazienti sani prima degli interventi implantari<br />
(Esposito et al. 2004). In generale il ricorso alla profilassi<br />
antibiotica è indicato nei pazienti a rischio di endocardite<br />
batterica, nei pazienti immunodepressi, quando la chirurgia<br />
interessa una sede infetta, nel caso di interventi invasivi e<br />
prolungati e nel caso si faccia un esteso ricorso ad innesti di osso<br />
autologo, biomateriali o barriere semipermeabili/membrane.<br />
Nella maggior parte degli studi clinici riportati in letteratura,<br />
anche per tecniche implantari di base, si fa tuttavia ricorso ad<br />
una profilassi antibiotica preimplantare: in realtà il ricorso<br />
indiscriminato alla profilassi antibiotica non sembra sempre<br />
giustificato ed espone i pazienti al rischio di episodi allergici<br />
gravi e allo sviluppo di resistenze nei confronti degli antibiotici<br />
stessi.
1.1.6 Preparazione del sito chirurgico<br />
Per il posizionamento bisogna calcolare le distanza tra impianto<br />
e i denti naturali o, nel caso se ne posizionasse più di uno, tra<br />
impianto e impianto.<br />
Ogni metodica implantare prevede l’uso di una sequenza di<br />
frese di diametro crescente per la preparazione atraumatica del<br />
letto implantare. Oltre alla rimozione degli eventuali residui di<br />
tessuto connettivale presenti a livello della cresta dopo lo<br />
scollamento del lembo, mediante una curette chirurgica, le<br />
principali fasi della sequenza chirurgica sono la regolarizzazione<br />
della cresta, la perforazione del sito mediante frese, la verifica<br />
del corretto asse e della corretta profondità dei siti implantari, la<br />
maschiatura del sito (dove il sistema lo richiede), il sondaggio<br />
finale, l’inserimento dell’impianto, la rimozione del dispositivo<br />
di montaggio e l’inserimento della vite di chiusura.
La tecnica di preparazione del letto implantare deve essere<br />
adattata alla qualità ossea locale. La diagnosi della qualità ossea<br />
è essenzialmente clinica, anche se ad essa possono contribuire le<br />
immagini radiografiche fornite dalla TAC, che permette di<br />
valutare lo spessore della corticale e la mineralizzazione della<br />
spongiosa. La qualità ossea viene comunque valutata durante la<br />
preparazione del sito implantare, dopo la perforazione della<br />
corticale, in base alla resistenza offerta al fresaggio da parte della<br />
compagine ossea. Per l’osso di tipo 1 composto quasi<br />
interamente da corticale e quindi molto denso (tipico della<br />
regione interforaminale mandibolare), dove il rischio di<br />
surriscaldamento e maggiore, devono essere utilizzate frese non<br />
usurate, con elevato potere di taglio, applicate in modo<br />
intermittente, rimuovendo costantemente l’osso fresato e<br />
irrigando abbondantemente con soluzione fisiologica refrigerata.<br />
Questi piccoli accorgimenti servono per far si che l’intervento sia<br />
il più atraumatico possibile. A fronte di questi problemi però,<br />
l’osso di tipo 1 consente di ottenere una elevata stabilità<br />
primaria e da la possibilità di utilizzare impianti più corti senza<br />
una sostanziale diminuzione della stabilità.
L’osso di tipo 2 presenta una spessa corticale e una midollare<br />
ben mineralizzata e rappresenta la situazione ideale poiché la<br />
preparazione del sito implantare è agevole, è ben vascolarizzato<br />
ed è possibile ottenere una buona stabilità primaria. Nell’osso di<br />
tipo 3 e 4, caratterizzati da una corticale sottile e da una<br />
midollare rispettivamente densa (mascellare superiore e settori<br />
latero-laterali della mandibola) e a bassa densità (settori latero-<br />
posteriori del mascellare superiore), la stabilità primaria degli<br />
impianti rappresenta un obbiettivo più critico da raggiungere e<br />
la percentuale di successo degli impianti per questo motivo è<br />
inferiore (Jaffin e Berman, 1991)<br />
1.1.7 Trattamento postchirurgico<br />
Un protocollo farmacologico postoperatorio prevede la<br />
continuazione della profilassi antibiotica solo nel caso di<br />
interventi più invasivi e prolungati, e l’assunzione di farmaci<br />
analgesici (FANS) per i primi giorni dopo l’intervento.<br />
Per il controllo della placca batterica il paziente prosegue per 10-<br />
15 giorni gli sciacqui con un colluttorio a base di clorexidina-<br />
digluconato. Viene anche prescritta una dieta semisolida.
Dopo il periodo di guarigione viene eseguita la II fase chirurgica.<br />
Con questo intervento, più rapido e meno traumatico del<br />
primo, gli impianti vengono riesposti per essere poi connessi,<br />
con le protesi definitive.<br />
Durante questa fase, dopo 4-6 mesi, ogni impianto viene<br />
valutato radiograficamente e clinicamente per la sua stabilità.<br />
La maggior parte dei fallimenti (4%) avviene precocemente<br />
(durante la II fase chirurgica) o dopo i primi mesi di funzione<br />
masticatoria; i fallimenti tardivi (dopo la protesizzazione<br />
definitiva) sono estremamente rari (1%). La piccola cavità ossea<br />
che residua dopo il fallimento di un impianto, simile all'alveolo<br />
vuoto dopo un'estrazione dentale, guarisce in circa due mesi e,<br />
se necessario, può essere utilizzata per un nuovo impianto. Se<br />
vengono posizionati più impianti, il fallimento di un singolo<br />
elemento può non comportare, nella maggior parte dei casi,<br />
l'insuccesso della protesi finale.<br />
In ogni fase del trattamento il paziente deve essere<br />
adeguatamente istruito e informato su ogni particolare<br />
dell’intervento, soprattutto per le manovre di igiene e<br />
comportamentali che dovrà avere a domicilio.
1.2 CRITERI DI SUCCESSO IN IMPLANTOLOGIA<br />
L’implantologia moderna è ampiamente prevedibile; possiamo<br />
affermare che si raggiunge il successo nel 96-97% dei casi 7 .<br />
E’ necessario però rispettare alcuni principi diagnostico-<br />
terapeutici.<br />
La diagnosi deve essere effettuata accuratamente. Bisogna<br />
valutare lo stato di salute generale, stabilendo, nell’anamnesi, se<br />
sono presenti fattori di rischio che possano controindicare<br />
all’intervento. Distinguiamo controindicazioni assolute e relative.<br />
Le controindicazioni assolute sono rappresentate da malattie<br />
metaboliche croniche, diabete scompensato, endocrinopatie,<br />
cardiopatie scompensate, pazienti irradiati o in chemioterapia,<br />
immunodeficienze congenite o acquisite, fattori genetici,<br />
malattie neurologiche, gravi disturbi psicologici e mentali, abuso<br />
di alcool e droghe, osteoradionecrosi dei mascellari dopo<br />
radioterapia.<br />
Le controindicazioni relative invece sono legate alla presenza di<br />
patologie sistemiche tenute sotto controllo (malattie<br />
cardiocircolatorie controllate, insufficienza respiratoria cronica,<br />
epatopatie,…), storia di endocardite o di patologie vascolari<br />
( per le quali è importante fare una corretta profilassi
antibiotica), disturbi della coagulazione (pazienti in terapia<br />
anticoagulante trattati con eparina e antagonisti della vitamina K<br />
o in terapia antiaggregante con acido acetilsalicilico),<br />
ipertensione arteriosa, precedente radioterapia nel distretto<br />
cervico-facciale, ansia e stress, forte tabagismo (più di 20<br />
sigarette al giorno), malattia parodontale (il trattamento<br />
implantare è possibile solo se dopo la terapia la malattia risulta<br />
controllata), patologie della mucosa orale come lichen planus,<br />
pemfigo, eritema multiforme, stomatite erpetica.<br />
Per rispettare i protocolli dobbiamo porre molta attenzione alla<br />
valutazione ossea per accertarci della quantità e qualità ossea e<br />
delle eventuali limitazioni anatomiche e patologiche preesistenti.<br />
L’intervento chirurgico deve essere effettuato nella condizioni di<br />
massima sterilità possibile e la tecnica deve prevedere la minima<br />
invasività e rispettare i protocolli consolidati dall’esperienza. I<br />
materiali che vengono utilizzati devono rispondere agli standard<br />
di qualità, sicurezza e garanzia e la protesi applicata<br />
successivamente deve soddisfare i criteri di occlusione, estetica,<br />
funzione e carico.
Al fine di ottenere una ottima riabilitazione e affinché il risultato<br />
ottenuto si conservi il più a lungo possibile è importante la<br />
compliance del paziente.<br />
Egli deve seguire con scrupolo tutte le indicazioni che gli<br />
vengono date prima dell’intervento, nella fase preparatoria,<br />
dopo l’intervento, nella fase di convalescenza e di guarigione dei<br />
siti implantari, durante le fasi di preparazione della protesi e<br />
dopo la consegna dei definitivi. Le due indicazioni principale a<br />
cui deve attenersi senza riserve sono una corretta igiene orale<br />
domiciliare (oltre alle sedute di igiene professionale prescritte) e<br />
la rimozione di abitudine viziate quali, ad esempio, il fumo.<br />
Molti studi hanno infatti dimostrato che l’abitudine al fumo<br />
comporta delle alterazioni a livello del sistema immunitario<br />
(alterazione dei polimorfonucleati e riduzione dell’AB sistemica),<br />
un’ inibizione dell’aggregazione piastrinica, un maggior<br />
riassorbimento e, di conseguenza a tutto ciò, una maggiore<br />
predisposizione all’infiammazione perimplantare e quindi al<br />
fallimento dell’impianto 7, 50 .<br />
Secondo uno studio di Bain C. 2 basato sull’analisi di 223 impianti<br />
in 78 pazienti la percentuale di fallimenti implantari nei fumatori<br />
è del 38,46%, nei non fumatori è del 5,68%, mentre nei
fumatori con protocollo di astensione da 1 settimana prima<br />
dell’intervento a 8 dopo è del 11,76%.<br />
Uno studio simile è stata portato avanti da Swartz-Arad et al. 61<br />
erano stati analizzati 959 impianti in 261 pazienti è la<br />
percentuale di successo era stata del 98% in pazienti non<br />
fumatori e del 96% in pazienti fumatori. Le complicanze invece<br />
si erano manifestate nel 46% dei fumatori e nel 31% nei non<br />
fumatori.<br />
I risultati dei due lavori presi in considerazione sono discordanti,<br />
ma una affermazione che possiamo affermare è che la<br />
diminuzione dell’abitudine al fumo, è strettamente correlata al<br />
calo delle complicanze a breve e a lungo termine.<br />
Ultimo aspetto, ma di sicuro uno dei più importanti, riguarda le<br />
visite periodiche di controllo: il paziente deve essere<br />
correttamente informato sull’importanza dei controlli periodici<br />
ai quali deve obbligatoriamente sottoporsi e avvisato delle<br />
possibili complicanze che si possono manifestare, le quali<br />
possono accentuarsi se non diagnosticate per tempo. Questo sia<br />
per responsabilizzare il paziente sulla sua salute orale, sia per<br />
proteggere l’operatore da eventuali contenziosi nel caso del<br />
fallimento della terapia legata a una sua negligenza: in questo
caso spetterà al paziente l’onere della prova ma il clinico avrà<br />
dalla sua il fatto che il paziente non si sia presentato ai controlli<br />
che egli stesso gli aveva raccomandato.<br />
Ad ogni controllo il professionista dovrà valutare alcuni<br />
parametri indicativi della buona riuscita dell’intervento come:<br />
immobilità dell’impianto;<br />
all’esame rx assenza di radiotrasparenza intorno all’impianto;<br />
nessun movimento delle componenti secondarie;<br />
assenza di infiammazione all’interfaccia tra protesi e tessuti<br />
molli;<br />
assenza di interferenze occlusali;<br />
Albrektsson et al. nel 1986 avevano descritto le percentuali di<br />
successo a 1, 5 e a 10 anni:<br />
dopo il primo anno di carico perdita ossea 0,2 mm/anno;<br />
successo dell’85% a 5 anni e del 80% a 10 anni minimo.<br />
Oggi queste percentuali sono state ampiamente riviste:<br />
94,7% a 10 anni ( Leonhardt, Gröndahl, Bergström,<br />
Lekholm COIR 2002);<br />
95,4% a 5 anni, 92,8% a 10 anni (Pjetursson, Tan, Lang,<br />
Review su 560 art., COIR 2004).
1.3 FALLIMENTI E COMPLICANZE IN IMPLANTOLOGIA<br />
Per insuccesso implantare si intende un riassorbimento osseo<br />
perimplantare con sostituzione di tessuto di granulazione e<br />
possibili fatti infettivi osteomucosi. Le cause di questo<br />
riassorbimento possono essere le più svariate:<br />
cause di ordine generale: malattie preesistenti non riconosciute<br />
o non tenute nel debito conto: diabete, nefropatie scompensate,<br />
malattie dismetaboliche importanti, menopausa con alterazioni<br />
del metabolismo del calcio e potassio, vari tipi di anemie e in<br />
genere tutte le malattie che controindicano gli interventi chirurgici<br />
di elezione;<br />
malattie intercorrenti locali: infezioni orofaringee,<br />
parodontopatie e granulomi dei denti residui con interessamento<br />
del perimplanto; traumi diretti sugli impianti o sulla protesi<br />
sovraimplantare; gravi traumi craniofacciali anche senza<br />
interessamento degli impianti;<br />
cause di ordine locale: errata scelta dell’impianto in rapporto<br />
alla situazione anatomica locale; errato inserimento dell’impianto,<br />
medicazione intra e postoperatoria inadeguata; carico precoce in<br />
funzione della densità ossea, protesi provvisoria o definitiva non
corretta dal punto di vista occlusale o marginale; insufficiente<br />
igiene orale in mancanza di controlli periodici.<br />
Le cause più frequenti di insuccesso, sono da imputare a due<br />
cause: all’operatore e al paziente e in entrambi i casi possono<br />
essere precoci o tardive.<br />
Un’errata tecnica chirurgica oppure un errato tempo di carico<br />
anticipato rispetto al tipo di osso sono gli errori più frequenti in<br />
cui può incorrere il chirurgo.<br />
La qualità e la quantità di osso del mascellare da trattare sono due<br />
fattori legati al paziente dai quali dipende il successo<br />
dell’impianto.<br />
Gli altri fattori, anche di ordine generale, sono più rari e a volte<br />
non chiaramente dimostrabili in rapporto con l’insuccesso;<br />
certamente gli errori tecnici operatori, l’uso di materiali<br />
contenenti impurità, la scelta inadeguata dell’impianto, lo stato di<br />
decalcificazione dell’osso o uno stato di decalcificazione generale<br />
del soggetto possono influire negativamente sulla durata<br />
dell’impianto ma questi fattori abitualmente hanno una frequenza<br />
minore come causa di insuccesso.
Deiscenza osteo-mucosa per diametro dell’impianto<br />
eccessivo rispetto all’ampiezza ossea<br />
Assenza di congruità della protesi e retrazione della<br />
corticale vestibolare
1.3.1 Cause dovute all’operatore<br />
Errori tecnici effettuati nella fase chirurgica, possono portare<br />
all’assenza di stabilità primaria dell’impianto per una eccessiva<br />
preparazione del sito rispetto o al diametro dell’impianto o alla<br />
densità ossea; sarà quindi necessario rimuovere l’impianto per<br />
sostituirlo con un altro di diametro più largo, cercando di<br />
sfruttare al massimo lo spessore della cresta, ricordando che<br />
l’impianto deve essere circondato da almeno 1 mm di osso.<br />
Qualora non fosse possibile ottenere una buona stabilità primaria<br />
con un impianto a diametro maggiore, nella maggior parte dei<br />
casi bisogna lasciar guarire l’alveolo chirurgico ed aspettare 2-3<br />
mesi per intervenire nuovamente.<br />
Gli errori tecnici durante l’esecuzione dell’intervento possono<br />
purtroppo coinvolgere importanti strutture anatomiche presenti in<br />
prossimità del cavo orale: tra le più importanti fosse nasali, seni<br />
mascellari e canale mandibolare.<br />
Queste lesioni si possono verificare si durante l’intervento per un<br />
errore tecnico o possono verificarsi in un secondo momento in<br />
seguito ad un insuccesso implantare.
Le Rx pre e post operatoria dimostrano la mancanza<br />
di perizia nell’inserimento dei due impianti<br />
L’interessamento di alcune formazioni anatomiche, quali il nervo<br />
alveolare inferiore, il canale palatino e zone di addensamento<br />
osseo di n.d.d. in sede intraoperatoria non dovrebbe mai<br />
verificarsi; l’accuratezza degli esami radiografici oggi a<br />
disposizione consente di determinare correttamente la lunghezza<br />
ed il diametro dell’impianto da inserire, Il ricorso a TAC con<br />
Dentascan riduce al minimo la possibilità di incorrere in un errore<br />
di valutazione dello spazio disponibile. Si possono comunque<br />
commettere errori tecnici che, indipendentemente dalla<br />
valutazione più o meno esatta della quantità d’osso disponibile,<br />
possono portare all’interessamento delle suddette formazioni: per<br />
prevenire queste lesioni iatrogene è bene adottare le tecniche<br />
giuste, suggerite dall’esperienza dell’operatore, rimanendo alla<br />
distanza di almeno 2 mm da una eventuale zona di pericolo. Vi<br />
sono dei segni che permettono di stabilire immediatamente se la
mucosa dei seni mascellari o delle fosse nasali è stata perforata<br />
durante la preparazione del sito.<br />
Nelle fosse nasali il sintomo è una dolenza locale, in quanto la<br />
corticale non è raggiunta dall’anestetico. La perforazione della<br />
corticale non è un evento avverso quanto la perforazione della<br />
mucosa: in questo caso l’impianto è a rischio di fallimento, in<br />
quanto la contaminazione del sito è pressoché certa. In ogni caso<br />
è prudente inserire l’impianto al di sotto della corticale.<br />
Per i seni mascellari, va fatto un discorso a parte. La lesione della<br />
mucosa difficilmente comporta una patologia, sia nell’immediato<br />
che in futuro. Branemark et al, hanno dimostrato che gli impianti<br />
possono essere inseriti all’interno del seno mascellare senza<br />
conseguenze se avviene l’integrazione tra gli impianti e l’osso al di<br />
sotto del seno. Di contro la percentuale di fallimento era<br />
abbastanza elevata (30% a 5 e 10 aa) 8 . L’interessamento della<br />
sola corticale, a membrana integra consente, inoltre, di sfruttare le<br />
capacità rigenerative della membrana di Schneider per aumentare<br />
la quota di osso disponibile. La casistica, in letteratura, su questo<br />
argomento è notevole, con un’alta percentuale di successo a<br />
medio e lungo termine.
Sono descritti in letteratura casi in cui la perforazione della<br />
mucosa e l’inserimento dell’impianto nel seno mascellare hanno<br />
determinato la comparsa di sinusiti che, però, guariscono una<br />
volta rimosso l’impianto 63,64 .<br />
Nei casi in cui la perforazione avviene in modo molto traumatico<br />
e l’infezione locale viene trascurata, oltre alla perdita<br />
dell’impianto può residuare una comunicazione oro-antrale,<br />
verificabile facilmente con la manovra di Valsalva.<br />
Interessamento delle fosse nasali e dei seni mascellari si possono<br />
avere anche a distanza di tempo dall’intervento implantologico<br />
come complicanze di un insuccesso. Si verificano quasi<br />
esclusivamente in insuccessi di impianti iuxtaossei i quali, in<br />
presenza di perimplantite determinano una distruzione della<br />
parete ossea del pavimento del seno mascellare.<br />
Ma le complicanze che più facilmente rivestono importanza<br />
<strong>medico</strong>-legale sono quelle che riguardano le lesioni del nervo<br />
mandibolare. Il canale mandibolare è un sottile tubicino di<br />
corticale che contiene il nervo alveolare inferiore e le relative<br />
arterie e vene il quale fuoriesce poi come nervo mentoniero a<br />
livello del forame omonimo e continua nella regione incisiva con<br />
rami per gli incisivi e i canini.
Per il chirurgo, delle tre formazioni presenti nel canale<br />
mandibolare, la più importante è il nervo alveolare inferiore,<br />
ramo sensitivo della terza branca del trigemino; l’arteria e le vene<br />
satelliti, che di solito vengono lese contemporaneamente al<br />
nervo, non danno sintomi, se non un imponente sanguinamento.<br />
Il nervo alveolare è costituito da piccoli fasci di fibre nervose<br />
contornati da un sottile strato di connettivo il quale conferisce al<br />
fascio nervoso un certo grado di elasticità che permette uno<br />
stiramento ed un allungamento che entro certi limiti non procura<br />
danni.<br />
Le lesioni che si possono produrre durante un intervento di<br />
chirurgia implantare possono essere dovute all’azione delle frese,<br />
a compressione o stiramenti del nervo dovuti sia all’impianto che<br />
a frammenti ossei spostati da quest’ultimo oppure ad emorragie.<br />
Le lesioni provocate dalle frese sono molto gravi in quanto, se il<br />
nervo viene sezionato, difficilmente avremo una restitutio ad<br />
integrum o<br />
comunque, in caso<br />
di guarigione,<br />
questa avverrà in<br />
tempi molto lunghi.
La sezione del nervo viene subito individuata dall’operatore<br />
perché vengono contemporaneamente lese l’arteria e la vena<br />
alveolare, con una immediata emorragia nel cavo orale spesso di<br />
tipo arterioso.<br />
Quest’evenienza deve essere assolutamente evitata prendendo<br />
misure precise sulle radiografie endorali e sulla Dentascan.<br />
Sicuramente l’uso del Dentascan ci permette non solo di avere una<br />
perfetta riproduzione della morfologia mandibolare, ma anche<br />
una precisa misurazione millimetrica.<br />
La tecnica giusta per evitare questo tipo di complicanze è quella di<br />
preparare il sito con molta cautela, soprattutto quando l’altezza<br />
ossea è prossima alla lunghezza dell’impianto. Se l’impianto o la<br />
fresa giungono in vicinanza o in contatto col canale alveolare e<br />
non è stata praticata anestesia tronculare, il paziente avvertirà un<br />
dolore, di solito proporzionale alla vicinanza con il canale stesso.<br />
Questo perché la diffusione degli stimoli algogeni attraverso l’osso<br />
avviene attraverso forze idrostatiche.<br />
Se, però, il paziente avverte una scossa irradiata al mento vuol<br />
dire che il nervo è stato leso. A conferma di ciò, il perdurare<br />
dell’anestesia all’emilabio corrispondente, anche molto dopo che<br />
è cessato l’effetto dell’anestetico.
L’inserzione lenta della fresa è fondamentale sia perché consente<br />
all’operatore di mantenere la direzione esatta dell’asse di<br />
preparazione, sia perché, nel caso abbastanza frequente che il<br />
nervo venga stirato, compresso o spostato lateralmente, il danno<br />
sarà minore in quanto l’elasticità propria del nervo e la<br />
protezione conferitagli dall’epinevrio gli consentiranno di<br />
spostarsi, entro certo limiti, nel canale mandibolare, e di sfuggire<br />
all’azione lesiva delle frese.<br />
Tre sono sostanzialmente i problemi <strong>medico</strong>-<strong>legali</strong> che si<br />
propongono in questi casi:<br />
1) inquadramento nosografico dell' evento lesivo, indispensabile<br />
agli effetti diagnostici e prognostici;<br />
2) accertamento della responsabilità del sanitario, sotto il profilo<br />
penale e civile;<br />
3) valutazione del danno alla persona e della conseguente<br />
inabilità temporanea e permanente.<br />
Per quanto riguarda il primo punto, le difficoltà sono notevoli,<br />
trattandosi di lesione di un nervo esclusivamente sensitivo e<br />
quindi comportante una sintomatologia sostanzialmente<br />
soggettiva.
Quasi sempre si renderà necessaria più di una visita, per<br />
controllare l'evoluzione della sintomatologia nel tempo.<br />
È possibile, in alcuni casi, una determinazione oggettiva della<br />
conduzione nervosa mediante la metodica dei potenziali evocati.<br />
Quanto al punto secondo, si dovrà tener conto dei consueti e ben<br />
noti elementi: consenso informato (il paziente avvertito di tale<br />
possibilità è più propenso ad accettare senza allarmismi<br />
l'evenienza, a non esagerarne le conseguenze e ad attenderne la<br />
risoluzione), finalità francamente terapeutica o meno, corretta<br />
valutazione del rapporto tra rischio e beneficio, indagine sull'<br />
operato del sanitario sotto il profilo della diligenza, prudenza e<br />
perizia. La valutazione della finalità terapeutica e del rapporto tra<br />
rischio e beneficio terrà conto anzitutto della natura e gravità<br />
della condizione patologica preesistente e della possibilità di<br />
terapie alternative.<br />
Il giudizio non potrà non essere in linea di principio più severo<br />
nei casi di implantoprotesi e di chirurgia avente finalità<br />
esclusivamente o prevalentemente estetica.<br />
Quanto al terzo punto, riguardante la valutazione del danno alla<br />
persona e della conseguente inabilità temporanea e permanente,<br />
se per la prima non sembrano prospettarsi difficoltà degne di
nota, trattandosi, il più delle volte di giudizio fondato sull'esame<br />
della storia clinica e dei relativi documenti, difficoltà notevoli si<br />
prospettano per quanto riguarda l'inabilità permanente.<br />
Se nei casi di semplice ipoestesia, più o meno spiccata,<br />
accompagnata al massimo da sensazioni di formicolio, si può<br />
ritenere che tale menomazione sia ininfluente sulla capacità<br />
lavorativa generica, diverso è il caso di vera e propria<br />
sintomatologia nevralgica, sia continua che accessuale.<br />
In tali casi è da ammettersi quanto meno una diminuzione della<br />
concentrazione richiesta dal lavoro ed una diminuzione della<br />
resistenza alla fatica.<br />
Luvoni e Bernardi, a proposito delle menomazioni trigeminali,<br />
propongono i seguenti dati nell' ambito della responsabilità civile:<br />
«Anestesia completa delle tre branche associata a crisi nevralgiche:<br />
8%»; «Anestesia di una branca: 3%» 49 .<br />
In considerazione dell'impedimento al normale svolgimento di<br />
fondamentali funzioni quali la parola e la masticazione, talvolta<br />
associato a sintomatologia dolorosa di tipo nevralgico, riteniamo<br />
potersi affermare che le menomazioni a carico del nervo alveolare<br />
inferiore determinino a seconda della gravità, che è in funzione
eminentemente della componente dolorosa, una diminuzione<br />
della generica capacità lavorativa dell' ordine del 2-5%.<br />
Le lesioni provocate da frammenti ossei o da emorragie possono<br />
provocare nel soggetto:<br />
parestesie cioè dolore, torpore, formicolio, sensazioni di<br />
puntura caldo -freddo, bruciori nella regione del mento. In genere<br />
si ha un ritorno alla normalità in un periodo di 4-8 settimane<br />
durante le quali si nota una riduzione progressiva dell’area di<br />
parestesia; in alcuni casi, a seconda dell’intensità e del tipo di<br />
compressione, si può avere un ripristino della normalità anche<br />
dopo un anno, o possono rimanere piccole zone di parestesia o<br />
anestesia;<br />
anestesia e insensibilità della zona del mentoniero. Se non<br />
provocata da sezione del nervo segue lo stesso iter delle<br />
parestesie;<br />
iperestesia ed iperalgesia sempre nel territorio di innervazione<br />
del mentoniero che consistono in aumentata sensibilità comune e<br />
dolorifica, che possono essere mal tollerate dal paziente ma<br />
sempre reversibili;
ipoestesia ed ipoalgesia cioè diminuzione della sensibilità<br />
normale e dolorifica che possono scomparire completamente o<br />
essere residuo di una parestesia.<br />
L’anestesia del mento può risolversi dopo alcuni mesi e raramente<br />
è permanente; inoltre più del 50% dei casi le lesioni di lieve<br />
entità del nervo alveolare guariscono spontaneamente in massimo<br />
80 giorni. Nel caso il danno sia più importante, dopo 5/6 mesi il<br />
danno della parestesia è ridotto dell’80 - 90% e nella massima<br />
parte dei casi scompare completamente. Solo in un limitato<br />
numero di pazienti possono permanere tracce di parestesia, del<br />
tutto sopportabili.<br />
In rari casi il danno può essere duraturo e noioso e in genere sono<br />
questi i casi in cui il paziente può pretendere dal <strong>medico</strong> un<br />
risarcimento per un danno che di solito egli stesso tende a<br />
esagerare.<br />
Quanto sia importante la posizione dell’impianto per il successo<br />
della terapia implantoprotesica e per quali motivi è stato illustrato<br />
dal P. Palacci nel suo compendio.
Da Palacci P. Implantoprotesi ed estetica2001, Quintessence ed.<br />
1.3.2 Fase postchirurgica<br />
Una volta inseriti gli impianti sarà fondamentale che il paziente<br />
venga istruito e motivato adeguatamente sulle manovre di igiene<br />
orale domiciliare che dovrà effettuare per permettere una corretta<br />
guarigione del sito implantare.<br />
Il mantenimento di una corretta igiene orale è senza dubbio<br />
legato anche alla morfologia della protesi: il colletto della corona<br />
è opportuno che sia metallico per circa 1mm in modo da essere<br />
facilmente detergibile da parte del paziente con i normali presidi<br />
domiciliari. A livello dei molari e dei premolari si dovrà<br />
riprodurre una forma degli elementi protesici corretta e più simile<br />
possibile a quella naturale per facilitare sia l’autodetersione sia lo<br />
spazzolamento, ricreando un corretto punto di contato per
favorire la ripresa della papilla interdentale secondo i principi di<br />
Turnow. La predicibilità di ogni terapia odontoiatrica aumenta<br />
quando il mantenimento è eccellente. Il complesso implanto-<br />
protesico ha bisogno di un controllo periodico costante, in cui<br />
debbono essere valutate le varie componenti. Informare, a volte,<br />
non basta, poiché, dall’esperienza quotidiana, si evince che molti<br />
pazienti sottovalutano questa problematica. È bene, quindi,<br />
predisporre, di concerto con i collaboratori Igienisti una serie di<br />
recall personalizzati, invitando i pazienti in modo mirato e<br />
documentabile in caso di contenzioso. Questo perché alcuni<br />
pazienti, per incuria, per mancanza di tempo, per paura, si<br />
presentano solo quando si presentano sintomi. In alcuni casi le<br />
attese portano al fallimento della terapia.<br />
1.3.3 La perimplantite<br />
Una delle complicanze più frequenti che si possono manifestare in<br />
implantologia è la perimplantite ovvero un processo flogistico a<br />
carico dei tessuti molli e duri dell’unità perimplantare che<br />
determina rapidamente la perdita dell’osteointegrazione e<br />
progressivamente del supporto osseo, associata a sanguinamento<br />
e spesso a suppurazione.
La perimplantite può essere definita precoce quando si manifesta<br />
prima del carico protesico o addirittura dopo pochi giorni<br />
dall’intervento; l’osteointegrazione non avviene per trauma<br />
chirurgico eccessivo e surriscaldamento dell’osso, tecnica chirurgica<br />
errata, ridotta capacità di guarigione dei tessuti, infezione precoce<br />
dei tessuti perimplantari, mancata stabilità primaria. Viene invece<br />
definita tardiva se compare dopo il carico protesico; le cause<br />
determinanti della comparsa tardiva dell’infiammazione sono l’<br />
inadeguato controllo di placca e/o il trauma occlusale.<br />
Il fallimento tardivo è dovuto alla perdita di osteointegrazione<br />
che riconosce un’eziopatogenesi traumatica o infettiva.<br />
La perimplantite batterica trova la sua origine in un iniziale e<br />
protratto inadeguato controllo di placca mentre quella traumatica<br />
è inizialmente asettica e l’insorgenza della componente batterica è<br />
secondaria.<br />
I microrganismi che sono stati isolati nei casi di infiammazione<br />
perimplantare sono diversi a seconda della natura traumatica o<br />
batterica della stessa: nella prima le colonie individuate sono<br />
costituite principalmente da streptococchi, compatibili con un<br />
parodonto sano (Streptococcus Sanguis, Streptococcus<br />
Morbillorum, Streptococcus Epidermidis) mentre nella seconda si
trova una microflora costituita per il 42% da spirochete,<br />
fusobatteri e bastoncelli Gram negativi ( Peptostreptococcus<br />
Nigrescens, Peptostreptococcus Micros, Fusobacterium spp,<br />
Porphiromonas Gingivalis, Prevotella Intermedia).<br />
I microrganismi patogeni possono essere trasmessi dai denti agli<br />
impianti:<br />
con il flusso salivare;<br />
con le setole degli spazzolini;<br />
con le sonde parodontali durante l’ispezione;<br />
con gli aghi delle siringhe da anestetico.<br />
(Quirynen et al.1996)<br />
Le manifestazioni patologiche che coinvolgono i tessuti<br />
perimplantari, muco-gengivali ed ossei, hanno un’eziopatogenesi<br />
strettamente correlata alla morfostruttura anatomica ed istologica<br />
specifica degli stessi tessuti coinvolti nell’integrazione, alla<br />
morfologia superficiale della fixture ed alla precisione di<br />
accoppiamento dei componenti implantari. I tessuti molli<br />
perimplantari hanno una ridotta capacità di difesa contro le<br />
irritazioni esogene per la minore resistenza meccanica<br />
dell’apparato di attacco. Inoltre i meccanismi di difesa dei tessuti<br />
gengivali sono più efficaci di quelli delle mucose perimplantari nel
prevenire la propagazione apicale della flora batterica (Lindhe J.<br />
et al.) 34 .<br />
Tutte queste condizioni peculiari del sito implantare fanno sì che il<br />
principale fattore eziologico della malattia perimplantare sia<br />
quello infettivo; ricerche microbiologiche e cliniche sperimentali<br />
hanno dimostrato che un efficace controllo di placca batterica<br />
riduce la possibilità di malattia perimplantare così come per la<br />
malattia parodontale 32,34 .<br />
La resistenza agli insulti traumatici e infettivi nei tessuti<br />
perimplantari risente di un equilibrio patogeni-ospite meno<br />
favorevole rispetto ai denti naturali dovuto principalmente a<br />
differenze di ordine anatomico:<br />
assenza di legamento parodontale e relativa<br />
vascolarizzazione
assenza di cemento radicolare sulla superficie implantare<br />
attacco connettivale con meno fibroblasti e con fibre senza<br />
inserzioni sulla superficie implantare ma parallele ad essa.<br />
Clinicamente si ha una minore resistenza al sondaggio nel solco<br />
perimplantare sano rispetto al sondaggio nei denti naturali; in<br />
studi sul modello animale in seguito ad un accumulo di placca per<br />
un periodo da tre settimane a tre mesi si hanno lesioni<br />
infiammatorie che hanno un’evoluzione ed una progressione in<br />
profondità nei siti implantari contrariamente ai denti naturali<br />
dove l’infiammazione si limita ai tessuti marginali 73-78 .<br />
Gli impianti con superficie liscia presentano una più alta incidenza<br />
di mancata osteointegrazione precoce, mentre quelli a superficie<br />
ruvida sono associati a maggior percentuale di complicanze<br />
tardive da infezione batterica.<br />
La malattia perimplantare evolve attraverso tre stadi:<br />
la mucosite perimplantare<br />
la perimplantite ortograda<br />
la perimplantite retrograda<br />
La diagnosi delle mucositi e delle perimplantiti si avvale di un<br />
corredo sintomatologico con segni e sintomi d’infiammazione che<br />
va dal coinvolgimento dei tessuti molli perimplantari nella
mucosite fino ad estendersi ai tessuti più profondi nelle<br />
perimplantiti. I principali parametri clinico-diagnostici per la<br />
valutazione dello stato di salute dei tessuti perimplantari sono:<br />
sanguinamento, essudazione e suppurazione ipertrofia e<br />
tumefazione dei tessuti molli, sondaggio perimplantare, mobilità<br />
implantare, osteolisi perimplantare all’esame radiologico.<br />
Nella mucosite si ha flogosi dei tessuti molli perimplantari con<br />
tumefazione, edema, sanguinamento al sondaggio e/o spontaneo,<br />
dolore alla palpazione ed alla masticazione con presenza di<br />
essudato sieroematico o sieropurulento negli stadi più avanzati. La<br />
mucosite isolata si manifesta senza alterazioni dei tessuti coinvolti<br />
nell’osteointegrazione quindi senza mobilità implantare e<br />
lasciando la possibilità di una completa restitutio ad integrum.<br />
Nel caso di un’estensione in profondità del processo<br />
infiammatorio alla mucosite si aggiunge il quadro vero e proprio<br />
della perimplantite ortograda.<br />
Per la diagnosi di perimplantite sono da valutare i seguenti<br />
parametri:<br />
•dolore localizzato spontaneo e/o alla percussione;<br />
•indice di sanguinamento 2 (scala 0-3);<br />
• PAL > 3 mm valutata nella sua evoluzione avendo come repere
non il margine libero della gengiva ma il margine della<br />
connessione impianto-abutment;<br />
● incremento di fluido sulculare;<br />
● formazione di recessione indicante un processo distruttivo dei<br />
tessuti molli e duri;<br />
• presenza di pseudotasca;<br />
• sanguinamento al sondaggio;<br />
• presenza di suppurazione, indice tardivo;<br />
• mobilità implantare, che indica il fallimento dell’impianto, non<br />
più trattabile;<br />
• esame radiografico con il quale prevalentemente si pone la<br />
diagnosi individuando la perdita dell’osteointegrazione.<br />
Immagini di osteolisi verticali si hanno per un’eziopatogenesi<br />
traumatica, osteolisi “a scodella” per un’eziologia batterica.<br />
La perimplantite retrograda è stata recentemente introdotta come<br />
nuova entità nosologica definendola come una lesione di osteolisi<br />
perimplantare localizzata al terzo apicale della vite implantare<br />
caratterizzata da una insorgenza entro 30 giorni dall’inserimento<br />
dell’impianto con dolore locale alla palpazione e spontaneo,<br />
gonfiore e presenza di fistola. La causa della perimplantite<br />
retrograda sembra riconducibile alla presenza di tessuti cicatriziali
e/o granulomatosi in corrispondenza del sito implantare dovuti a<br />
precedenti episodi di osteite di origine endodontica.<br />
La terapia della perimplantite traumatica consiste nella verifica<br />
dell’occlusione e nella rimozione di eventuali precontatti e<br />
interferenze e nel trattamento dei tessuti duri e molli, con<br />
eventuale rimozione dell’impianto. La terapia della perimplantite<br />
batterica invece prevede lo scaling con curettes del sito implantare<br />
associato ad antibiotico-terapia (sistemica o locale) e sciacqui con<br />
clorexidina per la disinfezione del sito. A ciò seguono poi<br />
interventi di muco plastica, implanto-plastica e terapia resettiva,<br />
con espianto e reimpianto immediato o differito della vite.<br />
I principali tipo di trattamento sono due, ovvero rigenerativo<br />
(prevede l’eliminazione, parziale o totale, del difetto osseo<br />
seguito da rigenerazione ossea) e resettivo e talvolta possono<br />
anche essere associati.<br />
Recenti studi 1 hanno dimostrato che il trattamento resettivo e/o<br />
rigenerativo associati all’uso di laser ha una percentuale di<br />
successo maggiore rispetto al trattamento convenzionale; nei siti<br />
trattati in modo convenzionale rispetto a quelli decontaminati<br />
con laser la percentuale di recidiva è più alta. Il laser infatti, come<br />
descritto nello studio di Kreisler M. et al. 31 riduce i batteri presenti
nel sito contaminato favorendo i processi di guarigione e<br />
diminuendone i tempi, riducendo le complicanze e le recidive.<br />
1.3.4 Esame clinico dell’impianto<br />
L’impianto francamente fallito si presenterà mobile, dolente con<br />
la mucosa circostante arrossata ed edematosa, con impotenza<br />
masticatoria. A questo punto la diagnosi di insuccesso è<br />
chiaramente clinica e l’esame radiologico potrà chiarirne<br />
l’estensione e la gravità.<br />
L’esame clinico al controllo periodico di un impianto in buona<br />
salute deve dimostrare:<br />
stabilità dell’impianto;<br />
suono alto e squillante alla percussione;<br />
mancanza di dolore sia alla percussione dell’impianto sia del<br />
processo alveolare nel quale l’impianto è contenuto;<br />
assenza di arrossamento e di edema della mucosa<br />
perimplantare;<br />
l’esame dell’occlusione eseguito sia con la carta che con le cere<br />
articolari, ancora meglio se eseguito con Myomonitor, dovrà<br />
dimostrare l’assenza di precontatti o di occlusioni traumatiche.
l’esame radiografico, sempre eseguito con endorali che danno<br />
una maggiore chiarezza dei dettagli perimplantari, non deve<br />
dimostrare osteolisi irregolari e ampie intorno all’impianto.<br />
al Periotest deve esserci un valore di PTV ( Perio Test Value) tra<br />
0 e -8.<br />
I primi segni clinici di sofferenza perimplantare possono anche<br />
essere asintomatici. Il paziente potrà riferire un disagio non ben<br />
localizzato; in questa fase non ci sono ancora i segni infiammatori<br />
perimplantari ma spesso all’esame radiografico si troverà un<br />
cratere iniziale perimplantare e, all’esame occlusale, un<br />
precontatto tra l’elemento su impianto e l’antagonista. In questo<br />
caso spesso basterà la correzione del precontatto occlusale per<br />
ottenere la remissione della sintomatologia ed evitare che il<br />
riassorbimento osseo si estenda oltre.<br />
Se il processo degenerativo osseo avanza e l’infiammazione<br />
mucosa diviene cronica occorrerà eseguire un lembo parodontale,<br />
con asportazione del tessuto di granulazione ed eventuale terapia<br />
rigenerativa del difetto.<br />
Dobbiamo tener presente e soprattutto informare il paziente, che<br />
quanto più a lungo si mantiene un impianto sofferente in bocca,<br />
tanto maggiore sarà la distruzione dell’osso e quindi sarà più
difficile la sostituzione con un altro tipo di impianto. Da questo<br />
punto di vista il paziente va informato al momento della visita in<br />
modo che in ogni occasione di eventuali segni di insuccesso possa<br />
aderire immediatamente e senza indugi alle terapie necessarie.
Gruppo I<br />
Normale<br />
Scala di qualità degli impianti<br />
Gruppo II<br />
Soddisfacente<br />
Gruppo III<br />
Compromesso<br />
Gruppo IV<br />
fallimento<br />
clinico<br />
Gruppo V<br />
fallimento<br />
assoluto<br />
Assenza di dolore. Impianto fisso.<br />
Riassorbimento crestale di 3 mm nel<br />
1° anno, >1 mm negli anni successivi.<br />
Profondità di sondaggio >5 mm.<br />
Presenza di essudato. Rarefazione<br />
rxgrafica nella porzione coronale, BI tra<br />
1 e 3.<br />
Dolore alla funzione, palpazione e<br />
percussione. Mobilità orizzontale e<br />
verticale.Riassorbimento osseo<br />
progressivo incontrollabile. Perdita<br />
ossea superiore a ½ dell’altezza<br />
dell’impianto. Pus.<br />
Rarefazione ossea<br />
generalizzata.<br />
Impianto rimosso<br />
Da Misch C.E.: Implant success or failure: clinical assestment in implant<br />
dentistry. In Misch C.E. editor: contemporary Implant dentistry, pp 29-42, st<br />
Louis, 1993<br />
1.3.5 Fase protesica
La fase protesica segue quella chirurgica a distanza di un tempo<br />
variabile legato al momento in cui si può protesizzare l’impianto.<br />
Questo varia a seconda della densità ossea: più l’osso è denso e<br />
prima sarà possibile applicare il carico.<br />
Sono diverse le complicanze che possono verificarsi in questo<br />
momento del piano di trattamento. Durante il posizionamento<br />
della componente secondaria potrebbe verificarsi una rotazione<br />
dell'impianto. Qualora si dovesse verificare tale evenienza e<br />
l'impianto risulti stabile e non dolente sarà necessario<br />
riposizionare nuovamente la vite di guarigione senza stringere in<br />
maniera eccessiva e valutare dopo 2-3 mesi.<br />
Dopo l’applicazione della protesi il paziente potrebbe lamentare<br />
la comparsa di dolore e in questo caso la prima manovra da<br />
effettuare è quella della rimozione della protesi stessa per<br />
verificare sia radiograficamente che clinicamente la stabilità<br />
dell'impianto e l'eventuale grado di perimplantite.<br />
In tempi più o meno lunghi possono verificarsi altre<br />
problematiche, meno frequenti, come ad esempio la frattura<br />
dell’impianto, che può avere principalmente 3 cause:<br />
disegno e materiale della fixture non idoneo all’elemento<br />
dentale sostituito;
adattamento non passivo della struttura protesica;<br />
inadeguato carico biomeccanico per eccessiva angolazione<br />
dell’impianto all’atto chirurgico.<br />
La frattura dell'impianto viene diagnosticata con un esame<br />
radiografico; qualora un frammento dovesse essere localizzato in<br />
prossimità di strutture anatomiche quali canale mandibolare,<br />
forame mentoniero, seno mascellare sarà necessario effettuare una<br />
tomografia computerizzata per valutare in modo opportuno i<br />
rapporti tra l’impianto e queste strutture.<br />
Il trattamento consiste nell'asportazione di entrambi i frammenti<br />
ed il successivo posizionamento di un innesto osseo qualora il sito<br />
debba essere riutilizzato per un nuovo impianto.<br />
Sempre per l’eccessiva angolazione dell’impianto rispetto al carico<br />
protesico si può verificare l’allentamento o la frattura della vite di<br />
connessione protesi-impianto; rimuovendo la protesi è possibile<br />
serrare di nuovo la vite di connessione con un cacciavite idoneo o<br />
con una chiave dinamometrica con forza di serraggio a 35-40<br />
Ncm. Nel caso di frattura, bisogna invece rimuovere, in modo<br />
molto accurato, al fine di non danneggiare la parte filettata<br />
dell'impianto, i due frammenti della vite, per poi sostituirla con<br />
una nuova.
Ultima complicanza, ma forse la più frequente, legata alla protesi<br />
è la decementazione della stessa; qualora si dovesse verificare<br />
molto frequentemente è opportuno ricontrollare possibili<br />
interferenze occlusali.<br />
Quindi il trattamento implantoprotesico può presentare delle<br />
problematiche che vanno, prima di tutto, prevenute, ricorrendo<br />
ad adeguati esami preliminari (tomografia computerizzata con<br />
Dentascan), poi trattate in caso intervengano durante o subito<br />
dopo la fase chirurgica, oppure nel corso della protesizzazione o<br />
anche a distanza di anni dalla fine della terapia.<br />
La raccolta di una completa documentazione del caso, qualora<br />
non risulti presente un danno biologico permanente ed un<br />
relativo nesso di causa, costituisce per il professionista una valida<br />
dimostrazione della sua competenza in materia.<br />
Inoltre risulterà necessario l’evidenziare nel consenso informato la<br />
parte riguardante l’importanza dei richiami al fine di educare il<br />
paziente alla salvaguardia della struttura implantoprotesica.<br />
Quindi bisogna rinforzare la motivazione del paziente all’igiene<br />
orale domiciliare, istruendolo all’uso di tutti i presidi necessari.<br />
Nella fase di richiamo, sarà invece opportuno:<br />
controllare il grado di igiene del paziente;
effettuare controlli radiografici;<br />
smontare il manufatto protesico periodicamente, qualora si<br />
tratti di una protesi di tipo avvitato:<br />
controllare la fissità del complesso implanto-protesico.
II. CONTENZIOSO MEDICO-PAZIENTE: ASPETTI CLINICI E<br />
MEDICO LEGALI<br />
1. LA RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE<br />
Con il termine responsabilità, inteso in senso generale, si intende<br />
il dover rispondere per la violazione di una qualsiasi norma di<br />
condotta, subendone le relative e conseguenti sanzioni 33.<br />
La responsabilità professionale concerne una condotta<br />
imprudente, negligente o attuata con imperizia, nell'esecuzione<br />
di atti e prestazioni che fanno parte di una professione. Non<br />
coinvolge, quindi, solo l'ambito sanitario ma qualsiasi<br />
prestazione a carattere professionale.<br />
La responsabilità professionale può essere vista sotto due ottiche<br />
opposte: la prima, caratterizzata da un accezione negativa,<br />
tende a vedere la responsabilità come l’attitudine a rispondere<br />
del proprio operato professionale, in caso di errore od<br />
omissione, davanti ad un giudicante (il danno viene valutato a<br />
posteriori da parte di un soggetto esterno); la seconda, positiva,<br />
vede la responsabilità come l’impegno a realizzare una condotta<br />
professionale corretta nell’interesse di salute dell’assistito (la
valutazione avviene prima e durante la prestazione d’opera da<br />
parte dello stesso soggetto agente).<br />
L’accezione negativa emerge quando ormai il danno è avvenuto<br />
(se opportunamente considerata, ha valore preventivo rispetto<br />
ad ulteriori danni consimili) mentre quella positiva consente di<br />
evitare danni alla persona assistita.<br />
La responsabilità professionale ha un fondamento giuridico<br />
penale e civile.<br />
1.1 La responsabilità penale<br />
In ambito penale il professionista della salute può essere<br />
chiamato a rispondere di:<br />
lesione personale dolosa (art. 582 C.P.): intervento del<br />
professionista, intrinsecamente lesivo della persona assistita, ad<br />
esito fausto, ma posto in essere senza il consenso della persona<br />
quando si consapevole;<br />
omicidio preterintenzionale (art. 584 C.P.): intervento<br />
effettuato senza il consenso della persona assistita e che ha<br />
causato il decesso della stessa a prescindere da errori del<br />
professionista che non è intervenuto:
lesione personale colposa (art. 590 C.P.): errore od omissione<br />
colposo connesso a intervento del professionista che abbia<br />
causato lesioni personali della persona assistita. È perseguibile a<br />
querela: il paziente presenta una querela a supporto di<br />
un’istanza di risarcimento perché ha subito un danno oppure<br />
crede che il professionista non abbia svolto correttamente il suo<br />
lavoro.<br />
omicidio colposo (art. 589 C.P.): errore (od omissione)<br />
colposo connesso all’intervento del professionista che abbia<br />
causato il decesso della persona assistita. Riguarda persone con<br />
patologie pre-esistenti la cui morte sia causata ad esempio da<br />
un’errata anamnesi pre-operatoria o da un errato<br />
comportamento dell’operatore (es.: paziente subisce uno stress a<br />
causa di un’estrazione dentaria: si alza subito dalla poltrona ma<br />
sviene per un’ ipotensione posturale, sbatte la testa e muore:<br />
l’odontoiatra potrebbe essere accusato di omicidio colposo per<br />
omissione -non ha fatto rimanere il paziente steso abbastanza da<br />
ristabilire una giusta pressione- );<br />
violenza privata (art. 610 C.P.): intervento del professionista<br />
contro la volontà dell’assistito;
omissione di soccorso (art. 593 C.P.): mancata prestazione di<br />
assistenza occorrente nei confronti di una persona inanimata,<br />
ferita o altrimenti in pericolo da parte di un professionista della<br />
salute al di fuori di obblighi istituzionali , nel solo caso che egli si<br />
imbatta nella persona;<br />
rifiuto d’atti d’ufficio-omissione (art. 328 C.P.): mancato<br />
intervento del professionista, quando sia istituzionalmente<br />
dovuto senza ritardo dallo stesso, in qualità di pubblico ufficiale<br />
o incaricato di pubblico servizio;<br />
rivelazione di segreto professionale (art. 622 C.P.): violazione<br />
della segretezza da parte del professionista in rapporto ad<br />
attività libero professionale;<br />
rivelazione di segreto d’ufficio (art. 326 C.P.): violazione<br />
della segretezza da parte del professionista in relazione a fatti<br />
inerenti la propria pubblica funzione o pubblico servizio;<br />
falsità ideologica in certificati (art. 481 C.P.): falsa attestazione<br />
in certificati in genere da parte del libero professionista;<br />
falsità ideologica in atti pubblici (art. 479 C.P.): falsa<br />
attestazione in documentazione sanitaria redatta nell’ambito<br />
dello svolgimento di pubbliche funzioni o di pubblico servizio;
omissione di referto (art. 365 C.P.): mancata segnalazione di<br />
delitti perseguibili d’ufficio all’autorità giudiziaria da parte del<br />
professionista che presti opera o assistenza;<br />
omissione di denuncia (art. 361 e 362 C.P.): mancata<br />
segnalazione all’autorità giudiziaria di reati perseguibili d’ufficio<br />
da parte del professionista che ne venga a conoscenza, in quanto<br />
riveste la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico<br />
servizio.<br />
1.1.1 Elementi costitutivi del reato<br />
Come previsto dall’art. 1 del Codice Penale “nessuno può essere<br />
punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come<br />
reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”.<br />
Affinché si configuri un reato, e dunque la responsabilità sia<br />
“penalmente rilevante”, è necessario che vengano in essere i suoi<br />
elementi costitutivi:<br />
condotta: non può esistere reato senza condotta criminosa<br />
( “nullum crimen sine actione” ). La condotta può essere di due<br />
tipi: commissiva quando l’azione criminosa prevista dal<br />
legislatore presuppone un fare oppure omissiva qualora invece
l’obbligo giuridico è di impedire un evento e a seguito di questa<br />
omissione l’evento avviene andando a configurare il reato.<br />
Il diritto penale “quando eleva un omissione a condotta<br />
criminosa si riferisce solitamente a obblighi di agire<br />
giuridicamente imposti (obbligo di soccorrere una persona) 22 ”.<br />
Sul piano legislativo i reati possono essere di sola azione, cioè<br />
possono essere realizzati con una condotta esclusivamente<br />
attiva, di sola omissione, in cui il legislatore ha tipizzato un<br />
comportamento esclusivamente omissivo, a condotta mista, per<br />
la cui realizzazione è necessario tenere una condotta attiva e una<br />
omissiva e infine a condotta libera o alternativa, realizzati<br />
indifferentemente con l’una o l’altra forma di comportamento;<br />
evento: non è da intendersi nel suo senso più generale e cioè<br />
come il fatto in sé per sé ma, secondo la definizione di Palazzo:<br />
“è evento naturalistico la morte di Tizio, intesa come fenomeno<br />
biologico di cessazione di ogni attività cardio-circolatoria,<br />
prodottasi come conseguenza della condotta omicida che ha<br />
reciso la carotide della vittima, mentre è evento in senso<br />
giuridico il contenuto di disvalore consistente nella perdita di<br />
una vita umana”.
L’evento non è sempre una condizione necessaria poiché nella<br />
costruzione della figura di reato è possibile prevedere reati di<br />
evento e reati di pura condotta: nel reato di evento oltre alla<br />
condotta giuridicamente errata, si verifica un danno (in ambito<br />
sanitario al paziente, ad esempio nel caso di omicidio colposo,<br />
lesione personale dolosa e colposa,…), mentre nel reato di pura<br />
condotta non è rilevante la presenza del danno ma viene punito<br />
il comportamento in sé (rivelazione di segreto, omissione di atti<br />
di ufficio come la mancata richiesta di consenso,…);<br />
rapporto di causalità: consiste in un criterio di imputazione di<br />
un evento alla condotta di un soggetto; infatti, solo se l'evento<br />
può essere ritenuto ricollegabile alla condotta, l'agente potrà<br />
essere tenuto a risponderne (c.d. principio di colpevolezza). Tale<br />
concetto viene esplicitato dal codice penale nella formula usata<br />
dall'Art. 40 comma 1 “nessuno può essere punito per un fatto<br />
preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o<br />
pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è<br />
conseguente dalla sua azione od omissione. Non impedire un<br />
evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a<br />
cagionarlo”.
Per anni il sistema giudiziario si era basato su due ragionamenti<br />
per definire il nesso di causalità; il probabilistico cioè il <strong>medico</strong><br />
rispondeva penalmente nell'ipotesi in cui poteva prevedere e<br />
prevenire il fatto-reato, quale conseguenza della sua condotta, in<br />
base alle regole di generalizzata esperienza -leggi scientifiche o<br />
statistiche di copertura o criterio dell'id quod plerumque accidit-,<br />
e lo statistico, secondo il quale la prova che il comportamento<br />
alternativo dell'agente avrebbe impedito l'evento lesivo doveva<br />
verificarsi con un elevato grado di probabilità in una percentuale<br />
di casi prossima a cento.<br />
Recentemente però una sentenza della Cassazione Penale a<br />
sezioni unite ha definito con chiarezza il comportamento che il<br />
giudicante deve assumere:<br />
Cassazione Penale, sezioni unite, sentenza n. 30328:<br />
“…non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente<br />
di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno,<br />
dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il<br />
giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base<br />
delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, cosi che,<br />
all’esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso<br />
l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e
processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva<br />
del <strong>medico</strong> è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con<br />
‘alto o elevato grado di credibilità razionale’ o ‘probabilità<br />
logica’…”.<br />
Da questa importante sentenza delle sezioni unite si evince come<br />
il giudice di legittimità abbia voluto allontanarsi da qualsiasi<br />
valutazione aprioristica e di carattere meramente presuntivo<br />
circa l'esistenza del nesso causalistico.<br />
Ritiene necessario che il procedimento logico-deduttivo debba<br />
condurre il giudice alla “certezza processuale al di là di ogni<br />
ragionevole dubbio” (Sentenza Cassazione n. 38334), con<br />
esclusione, quindi, dell'interferenza di decorsi alternativi.<br />
Il giudizio prognostico deve pertanto essere rigoroso, basato sia<br />
su conoscenze scientifiche o statistiche, sia su conoscenze di<br />
carattere generale, cercando di analizzare tutte le caratteristiche<br />
del singolo caso;<br />
elemento soggettivo del reato: prima di procedere<br />
penalmente alla definizione della responsabilità bisogna<br />
considerare la natura dell’azione o omissione dell’agente:<br />
dolosa, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o<br />
pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la
legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto<br />
e voluto come conseguenza della propria azione od omissione;<br />
preterintenzionale, o oltre l'intenzione, quando dall'azione<br />
od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave<br />
di quello voluto dall'agente;<br />
colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se<br />
preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di<br />
negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza<br />
di leggi, regolamenti, ordini o discipline.<br />
Nella valutazione della responsabilità bisogna tener conto di<br />
altri importanti parametri quali la capacità di intendere e volere<br />
al momento del fatto (art. 85 c.p.) (condizione necessaria per<br />
l’imputabilità); la commissione del fatto con coscienza e volontà<br />
(art. 42 c.p.); la previsione e volontà dell’evento come<br />
conseguenza della propria azione od omissione (art. 43 c.p.); la<br />
previsione e volontà dell’evento: negligenza, imprudenza,<br />
imperizia…(art. 43 c.p.)
1.2 LA RESPONSABILITA’ CIVILE<br />
Il fondamento giuridico della responsabilità civile professionale<br />
risiede in alcuni articoli del Codice civile:<br />
Diligenza nell'adempimento (art. 1176 cc):<br />
“Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la<br />
diligenza del buon padre di famiglia. Nell’adempimento delle<br />
obbligazioni inerenti all’esercizio di un’ attività professionale, la<br />
diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività<br />
esercitata”.<br />
Responsabilità del debitore (art. 1218 cc):<br />
“Il debitore che non esegue correttamente la prestazione dovuta<br />
è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che<br />
l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità<br />
della prestazione derivante da causa a lui non imputabile ”.<br />
Risarcimento per fatto illecito (art. 2043 cc)<br />
“ Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un<br />
danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire<br />
il danno ”.
Responsabilità del prestatore d'opera (art. 2236 cc):<br />
“ Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di<br />
speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni,<br />
se non in caso di dolo o colpa grave”.<br />
1.2.1 Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale<br />
La responsabilità in ambito civile può essere distinta in<br />
responsabilità contrattuale o del debitore e responsabilità non<br />
contrattuale o aquiliana.<br />
La responsabilità contrattuale è la responsabilità derivante<br />
dall'inadempimento, dall'inesatto adempimento e<br />
dall'adempimento tardivo di una preesistente obbligazione quale<br />
che ne sia la fonte (ad esclusione del fatto illecito) e si distingue<br />
dalla responsabilità extracontrattuale che deriva dalla violazione<br />
del generico obbligo di non ledere alcuno senza che prima della<br />
violazione sia possibile l'individuazione di una obbligazione.<br />
Tale distinzione è stata messa in rilevo da ultimo da Cass. Sezioni<br />
Unite 26 giugno 2007 n. 14712.<br />
Per l’attribuzione della responsabilità civile, nella contrattuale<br />
all’attore è sufficiente provare il preesistente rapporto giuridico<br />
da cui deriva il suo diritto di credito ed è sul debitore convenuto
in giudizio che ricade l’onere della prova di dimostrare - se<br />
vuole andare esente da responsabilità- che l’inadempimento<br />
dell’obbligazione sia dovuto a causa a lui non imputabile (1218<br />
c.c.).<br />
In materia extracontrattuale, invece, la regola è che l’attore ha<br />
l’onere di provare il fatto illecito. Vale a dire, non solo l’evento<br />
dannoso ma anche la colpevolezza (dolo o colpa) nella<br />
condotta dell’autore del danno ed il relativo nesso causale.<br />
1.2.2 L’obbligazione di mezzi e l’obbligazione di risultati<br />
In campo <strong>medico</strong> il sanitario instaura con il paziente un<br />
contratto d’opera intellettuale, detto anche “contratto di<br />
prestazione medica” e viene definito come “l’accordo in virtù<br />
del quale il <strong>medico</strong>, effettuata la diagnosi ed indicata la terapia,<br />
si obbliga nei confronti del paziente, dietro corrispettivo, a<br />
realizzarla secondo le migliori prescrizioni dell’arte medica,<br />
assumendo, perciò una obbligazione di mezzi”.<br />
Dunque, il <strong>medico</strong> si impegna a prestare la propria opera<br />
intellettuale secondo la diligenza, la prudenza e la perizia sulla<br />
base di quella che è la miglior scienza ed esperienza medica del
momento ma non garantisce il conseguimento del risultato<br />
sperato.<br />
L’obbligazione di mezzi è affiancata in giurisprudenza<br />
dall’obbligazione di risultato, nella quale il professionista si<br />
impegna a raggiungere con tutti i mezzi a sua disposizione il<br />
risultato concordato col paziente.<br />
Ci sono delle discipline in campo <strong>medico</strong> in cui vige<br />
l’obbligazione di risultato.<br />
Una di questa è l’odontoiatria, soprattutto l’implanto-protesi,<br />
dove il contratto stipulato tra operatore e paziente prevede<br />
un’obbligazione di risultato.<br />
Già nel 1993 il tribunale di Genova si era espresso in materia: “il<br />
contratto intercorso tra il <strong>medico</strong> odontoiatra e il paziente, per<br />
la progettazione e produzione di una protesi, ha per oggetto<br />
una prestazione di risultato e l’obbligazione del professionista in<br />
tal caso consiste in una prestazione d’opera idonea a<br />
raggiungerlo. Nell’ipotesi in cui l’operato del dentista sia stato<br />
causa di danni all’integrità fisica del paziente (rottura di elementi<br />
dentari, sofferenza alle articolazioni temporomandibolari), tale<br />
comportamento rileva e come inadempimento al contratto<br />
d’opera professionale e come illecito extracontrattuale; è quindi
prospettabile il cumulo delle due azioni, una fondata sulla<br />
responsabilità contrattuale, l’altra sulla responsabilità<br />
extracontrattuale”.<br />
L’intervento odontoiatrico di protesizzazione ha chiaramente<br />
come finalità il risultato trattandosi di attività diretta alla<br />
confezione e applicazione di protesi e quindi all’esclusivo<br />
raggiungimento di un obbiettivo anatomo-funzionale ed<br />
estetico; nel caso in esame il trattamento era risultato scorretto e<br />
incongruo secondo gli accertamenti del C.T.U., non<br />
rispondendo ai requisiti minimi di funzionalità, di resa estetica e<br />
di rispetto dell’integrità del paziente.<br />
L’odontoiatra incaricato della realizzazione e applicazione di<br />
una protesi, quindi, è responsabile se non realizza un manufatto<br />
idoneo alla sua destinazione; incorre in una responsabilità<br />
contrattuale ed è tenuto a risarcire il danno biologico e, se<br />
presente, quello patrimoniale.<br />
Nell'ambito civilistico, diversamente da quanto avviene in sede<br />
penale, si distinguono una colpa lieve e una colpa grave,<br />
inescusabile "per imperizia, imprudenza, negligenza o<br />
inosservanza di leggi o regolamenti".
La negligenza si manifesta nei casi in cui il <strong>medico</strong> agisce con<br />
superficialità, disattenzione.<br />
L'imprudenza si ha quando il <strong>medico</strong> agisce senza adottare le<br />
dovute cautele dettate dall'ordinaria esperienza, quando agisce<br />
con eccessiva fretta e avventatezza.<br />
L'imperizia è invece la mancanza di esperienza o la carenza di<br />
nozioni tecniche e scientifiche nonché della sufficiente esperienza<br />
pratica richiesta per l'esercizio dell'attività medica.<br />
Per colpa lieve si intende generalmente la omissione di diligenza<br />
(di cui all’art. 1176) o negligenza dovuta alla preparazione non<br />
coerente al caso concreto e causante un danno nella esecuzione<br />
del trattamento chirurgico o nell'ambito della terapia medica.<br />
Per colpa grave, ai sensi dell'art. 2236 cc., si intende la<br />
grossolanità dell'errore, dovuta alla violazione delle regole e<br />
mancata adozione degli strumenti, e quindi di quelle conoscenze<br />
che rientrano nel patrimonio minimo del <strong>medico</strong>, poiché<br />
acquisite alla scienza medica.<br />
Il metro di valutazione della colpa varia a seconda del<br />
contenuto oggettivo (negligenza, imperizia o imprudenza) della<br />
stessa ed a seconda della natura dell'intervento ( complesso o<br />
routinario ) richiesto al <strong>medico</strong>.
1.2.3 La ripartizione dell'onere probatorio<br />
Nelle obbligazioni di risultato (prestazioni odontoiatriche,<br />
chirurgia estetica...) all'utente basta provare il mancato<br />
raggiungimento del risultato, mentre spetta al professionista<br />
l'onere della prova della mancanza di colpa; invece nelle<br />
obbligazioni di mezzi il paziente deve dimostrare<br />
l'inadempimento del professionista (e quindi la colpa dello<br />
stesso), non bastando la prova che non si è ottenuto il risultato<br />
al quale si mirava.<br />
In questo ambito contrattuale l'utente che ritiene di avere subito<br />
un danno è tenuto dunque a provare:<br />
1. la responsabilità professionale dovuta a difettosa o inadeguata<br />
prestazione professionale, per violazione del dovere di diligenza<br />
esigibile ai sensi dell'art. 1176 , comma 2, cc.;<br />
2. l'esistenza di un danno;<br />
3. il rapporto di causalità tra il danno e la condotta tenuta<br />
nell'espletamento del mandato.<br />
Deve inoltre dimostrare che l'intervento concordato era di facile<br />
esecuzione, allo scopo di fare valere la responsabilità per colpa<br />
lieve.<br />
Il <strong>medico</strong> per essere esonerato da responsabilità deve a sua volta
dimostrare che l'inadempimento non è a lui imputabile e che ha<br />
tenuto il comportamento diligente richiesto dalla legge e dal<br />
contratto avendo adottato tutti i mezzi e gli strumenti acquisiti<br />
alla scienza medica del momento storico considerato.<br />
1.3 LA RESPONSABILITA’ DELL’ODONTOIATRA NEL<br />
TRATTAMENTO IMPLANTOLOGICO<br />
La disciplina implantologica, per le sue peculiarità, offre un<br />
ampio spettro di riflessioni <strong>medico</strong>-<strong>legali</strong>, sia perché si tratta di<br />
interventi “di elezione”, che non presentano mai connotazione<br />
di urgenza e per i quali si delinea quasi sempre la possibilità di<br />
un’alternativa terapeutica, rappresentata dalla protesi<br />
tradizionale, sia perché in talune situazioni la linea di<br />
demarcazione fra la responsabilità dell’operatore e<br />
l’imprevedibilità della risposta del paziente al trattamento<br />
appare piuttosto sfumata.<br />
Il primo problema <strong>medico</strong>-legale che si pone è la verifica<br />
dell’effettiva idoneità del soggetto al trattamento di chirurgia<br />
implantare. In altri termini, il ricorso a questo tipo di tecnica non<br />
può essere giustificato semplicemente da una preferenza<br />
dell’operatore o da un’insistente richiesta del paziente, ma
necessita di una rigorosa selezione, volta ad escludere la<br />
presenza di controindicazioni generali o locali che potrebbero<br />
rappresentare causa di fallimento o peggio esporre il paziente al<br />
rischio di gravi complicanze.<br />
La dottrina <strong>medico</strong>-legale ha individuato quattro categorie entro<br />
le quali rientrano i pazienti “candidati” al trattamento implanto-<br />
protesico:<br />
difetti anatomici: vi rientrano quei pazienti che hanno avuto<br />
difficoltà ad utilizzare una protesi removibile a causa di una<br />
morfologia dei tessuti poco o per niente adatta al supporto.<br />
Questi deficit includono: mancanza di adeguato spazio<br />
sublinguale, posizione irregolare della lingua, sfavorevole forma<br />
della cresta ossea, anomala relazione tra le arcate;<br />
intolleranza fisiologica: a questa categoria appartengono<br />
soggetti la cui tolleranza alla protesi convenzionale è dovuta al<br />
dolore, irritazione o ulcerazione della mucosa per forze<br />
modeste, non eccedenti quelle funzionali, oppure ad un<br />
accentuato riflesso faringeo.<br />
intolleranza emotiva: sono pazienti che non accettano la<br />
protesi removibile: lamentano di avere qualcosa in bocca, di<br />
avvertire una “barra sotto la lingua” o una “placca sul palato”,
di “dover rimuovere ogni notte i propri denti”; desiderano<br />
sentire i denti come parte integrante del loro corpo;<br />
pazienti che per esigenze professionali richiedono protesi con<br />
superiori caratteristiche meccaniche o che esigono a tutti i costi il<br />
miglior trattamento possibile e che, considerando la protesi su<br />
impianto come la soluzione ideale, la desiderano anche se non<br />
hanno difficoltà nel portare la removibile.<br />
Altro aspetto indispensabile da considerare è l’indagine<br />
preliminare sulle condizioni di salute generale del soggetto e su<br />
quelle del cavo orale mediante accertamenti radiologici e<br />
densitometrici (rx e dentascan) che consentano di valutare la<br />
quantità e la qualità dell’osso, tenendo presente che dinanzi ad<br />
un fallimento riconducibile ad un’insufficiente valutazione<br />
iniziale, difficilmente l’odontoiatra potrà sottrarsi ad un<br />
addebito di responsabilità.<br />
Un altro punto cardine, alla luce della sentenza della Sez. I del<br />
Tribunale di Milano del 9/06/1988, riguarda la scelta del tipo di<br />
impianti; la decisione del tribunale che in questo caso attribuisce<br />
la responsabilità all’odontoiatra è infatti così motivata: “Sussiste<br />
la responsabilità professionale del <strong>medico</strong>….poiché le<br />
conseguenze dannose lamentate dalla paziente sono correlate
esclusivamente alla sua imperizia (tutti gli impianti a lamina,<br />
presentano infatti problemi di traballamento)...”.<br />
In questa sentenza la responsabilità del professionista è stata<br />
ravvisata nell’inadeguata scelta degli inserti implantari ponendo<br />
quindi l’accento sul valore da attribuire a metodiche di<br />
consolidata sperimentazione e validità scientifica, nella<br />
fattispecie riconducibili alle procedure di osteointegrazione con<br />
l’utilizzo di impianti cilindrici in titanio, che hanno ormai<br />
soppiantato le vecchie tecniche.<br />
Entrando nel merito dei fallimenti del trattamento<br />
implantologico si possono per semplicità distinguere incidenti<br />
nel corso dell’atto chirurgico ed insuccessi terapeutici a distanza.<br />
I primi, a seconda dell’entità delle lesioni, possono causare un<br />
danno temporaneo o permanente identificabile in una malattia<br />
iatrogena, generalmente di tipo flogistico - infettiva destinata ad<br />
una cronicizzazione o ad una soluzione con esiti anatomo-<br />
funzionale. A tal proposito si considerino le lesioni neurologiche<br />
(in particolare del nervo alveolare inferiore), le lesioni dei tessuti<br />
limitrofi al sito implantare (invasione del seno mascellare o delle<br />
cavità piriformi) o complicanze infettive (sinusiti mascellari,
etmoiditi, comunicazioni oroantrali) riconducibili a<br />
contaminazione o errato posizionamento degli impianti.<br />
In queste situazioni la dimostrazione dell’errore professionale<br />
non è di particolare difficoltà, specialmente se l’evento dannoso<br />
è conseguenza di una approssimativa valutazione delle<br />
condizioni iniziali del paziente o dell’omissione di indagini<br />
strumentali atte a fornire utili indicazioni per evitare l’incidente.<br />
In riferimento a ciò in una recente sentenza (n.5945 del<br />
3/11/2000) il giudice di legittimità si è espresso in materia di<br />
responsabilità professionale medica affermando che questa “non<br />
sussiste solo nelle ipotesi di colpa grave o dolo del sanitario,<br />
bensì anche in presenza di colpa lieve quando, in un caso di<br />
routine, non abbia osservato, per negligenza, le regole precise<br />
che siano acquisite, per consolidata sperimentazione, alla pratica<br />
medica, e che quindi il <strong>medico</strong> specialista non può ignorare”.<br />
Tale dichiarazione pone inevitabilmente l’accento sul<br />
controverso quesito riguardante il possibile inquadramento della<br />
disciplina implantologica fra le prestazioni che implicano la<br />
soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. A nostro<br />
avviso a fronte di protocolli operativi sempre più affidabili e del<br />
costante sviluppo di settore, salvo rare eccezioni, il trattamento
di chirurgia implantare non può considerarsi di per sé di speciale<br />
difficoltà, ove con questa accezione si intenda la soluzione di<br />
casi complessi, tali da richiedere il ricorso a mezzi terapeutici non<br />
studiati o sperimentati a sufficienza.<br />
Ben diverso è il caso degli insuccessi terapeutici, rappresentati<br />
dalla perdita precoce o tardiva dell’impianto, nei quali è<br />
necessaria un’analisi particolareggiata, volta all’individuazione<br />
delle possibili cause e di un eventuale responsabilità<br />
dell’operatore.<br />
I fallimenti sono più frequentemente ascrivibili ad infezioni<br />
perimplantari, mancata osteointegrazione, inadeguatezza degli<br />
inserti endossei (per diametro, forma, lunghezza in relazione al<br />
sito chirurgico) o inadeguato rapporto fra impianto e protesi<br />
(per numero, posizione e/o angolazione).<br />
In tutti questi casi la perdita dell’impianto avviene in seguito ad<br />
alterazioni della struttura ossea, con perdita di sostanza<br />
riconducibile a fenomeni osteolitici e aggravata dalle manovre di<br />
rimozione dell’impianto. Ciò significherebbe che, nell’ipotesi in<br />
cui sia accertata la responsabilità dell’operatore nel verificarsi<br />
dell’evento dannoso, questi potrà essere chiamato a rispondere
di lesioni personali in sede penalistica, o a risarcire il danno alla<br />
salute e quello patrimoniale in sede civilistica.<br />
Perché si possa considerare colposo il comportamento del<br />
professionista, occorre che sia verificata, in modo rigoroso, la<br />
sussistenza del nesso di causalità fra la condotta dell’operatore<br />
(imperita, negligente o imprudente) e l’evento dannoso,<br />
tenendo presente che nell’ipotesi in cui sia imputato un<br />
comportamento omissivo, fra questo e l’insuccesso terapeutico ci<br />
deve essere una correlazione prossima alla certezza (Cass. IV<br />
30328/02).<br />
A tal proposito è indicativo il caso di una perdita dell’impianto a<br />
seguito di processi infettivi perimplantari; è necessario verificare<br />
se il fallimento sia dovuto alla presenza di focolai infettivi non<br />
trattati in prossimità del sito chirurgico, il che implicherebbe una<br />
condotta negligente da parte del professionista (è buona regola,<br />
prima dell’intervento chirurgico, eliminare tutte le possibili fonti<br />
di contaminazione batterica) o se sia invece causato dalla<br />
trascuratezza del paziente che si assenta ai controlli periodici o<br />
non adotta correttamente i presidi di igiene orale domiciliare<br />
che gli sono stati prescritti.
Del tutto simile risulta l’ipotesi di un fallimento riconducibile a<br />
mancata osteointegrazione. Qualora vengano utilizzati i corretti<br />
sistemi implantari, l’esito negativo potrebbe dipendere da una<br />
riscaldamento eccessivo dell’osso nella fase chirurgica, da un<br />
errata progettazione protesica responsabile di un carico<br />
masticatorio o di uno schema occlusale inadeguati o, viceversa,<br />
dalla mancata abolizione del fumo da parte del paziente,<br />
nonostante le indicazioni dell’odontoiatra.<br />
Si tratta solo di alcune delle possibili cause di fallimento del<br />
trattamento implantare, significative tuttavia della difficile<br />
interpretazione e valutazione di molti casi di presunta<br />
responsabilità professionale, in particolar modo poi se<br />
l’insuccesso si verifica in assenza di una plausibile spiegazione<br />
tecnica. In tal caso sarà comunque a carico del sanitario l’onere<br />
di dimostrare la correttezza del proprio operato, in termini di<br />
valutazione delle possibili controindicazioni, scelta degli inserti<br />
implantari idonei al caso specifico, rispetto dei tempi di<br />
guarigione fra l’intervento chirurgico e la protesizzazione.
Dinanzi ad una condotta diligente, il paziente potrà rivalersi solo<br />
se proverà di aver avuto dall’odontoiatra la certezza di un<br />
risultato positivo.<br />
Ciò rappresenta un nodo cruciale, anche in considerazione del<br />
fatto che, nella maggioranza dei casi, uno dei motivi scatenanti il<br />
contenzioso è la mancata o insufficiente informazione ricevuta<br />
su possibili complicanze e fallimenti.<br />
Questo sottolinea l’assoluta importanza dell’informazione che,<br />
nel campo dell’implantologia, in considerazione della<br />
complessità della procedura e dei rischi connessi alla sua<br />
invasività, rappresenta un punto cardine di grande valore. Il<br />
paziente va quindi in primo luogo delucidato sulle varie fasi<br />
dell’intervento, sui tempi di guarigione da rispettare prima della<br />
riabilitazione vera e propria, sui rischi attribuibili al trattamento<br />
di protesi su impianti. Va inoltre informato dell’esistenza di<br />
alternative alla chirurgia implantare, che presentano vantaggi,<br />
ma anche risvolti negativi (riassorbimento osseo, irritazione dei<br />
tessuti gengivali, sovraccarico sui denti residui).<br />
L’ informazione che non deve limitarsi al momento precedente<br />
la scelta del trattamento, ma interessare tutto il periodo nel<br />
quale si svolge la terapia, compresa la convalescenza,
comunicando al paziente la necessità di sottoporsi a regolari<br />
controlli e di mettere in atto alcune misure importanti per il<br />
buon mantenimento degli impianti.<br />
Nel caso di abbandono del programma di cura e di controllo da<br />
parte del paziente, se si verifica un evento dannoso, potrebbero<br />
configurarsi le condizioni previste dall’art. 1227 del c.c.: “ Se il<br />
fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il<br />
risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità<br />
delle conseguenze. Il risarcimento non è dovuto per i danni che<br />
il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”.<br />
Alla luce di questo si sottolinea ancora una volta l’importanza di<br />
una valida cartella clinica che, in particolar modo per la chirurgia<br />
implantare deve essere il più dettagliata e precisa possibile.<br />
Unitamente all’anamnesi, all’esame obiettivo e all’analisi<br />
gnatologica, è dunque opportuno che siano inseriti gli<br />
accertamenti radiologici, eventuali esami ematologici e<br />
consulenze mediche specialistiche (es.: cardiologiche). Inoltre, se<br />
l’intervento chirurgico viene eseguito in sedazione, è bene che in<br />
cartella sia specificato il tipo di anestetico somministrato e sia<br />
indicato il tipo di impianto endosseo utilizzato. E’ infine<br />
consigliabile prendere nota in cartella delle osservazioni
effettuate nel corso dei successivi controlli, delle indicazioni<br />
igieniche e delle prescrizioni farmacologiche, segnalando anche<br />
eventuali mancanze del paziente. In conclusione è possibile<br />
affermare che la responsabilità del <strong>medico</strong> deve essere ritenuta<br />
quando l’errore professionale, in rapporto alla soluzione di un<br />
determinato problema, dipenda da una particolare condotta<br />
contraria, per negligenza, imprudenza o imperizia, con le regole<br />
universalmente accettate nell’arte medica, e trovi origine o nella<br />
mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali<br />
attinenti alla professione, o nel difetto di quel minimo di abilità<br />
e perizia tecnica nell’uso dei mezzi manuali o strumentali di<br />
indagine o di terapia che il <strong>medico</strong> deve essere sicuro di poter<br />
adoperare correttamente o, infine, nella mancanza di prudenza<br />
o diligenza che non devono mai difettare in chi esercita la<br />
professione sanitaria.<br />
Quando, come nel caso di interventi chirurgici, il lavoro si<br />
svolga in “equipe”, ciascun componente è tenuto ad eseguire col<br />
massimo scrupolo le funzioni proprie della specializzazione di<br />
appartenenza. In materia di colpa professionale, l’esclusione<br />
della colpa del sanitario trova un limite nella condotta del<br />
professionista incompatibile con quel minimo di cultura e di
esperienza che deve legittimamente pretendersi in chi è abilitato<br />
alla professione medica.<br />
Nel caso di prestazioni mediche di natura specialistica, effettuate<br />
da chi sia in possesso del diploma di specializzazione, non può<br />
prescindersi dalla considerazione delle cognizioni generali e<br />
fondamentali proprie di un <strong>medico</strong> specialista nel relativo<br />
campo, non essendo sufficiente il riferimento alle cognizioni<br />
fondamentali di un <strong>medico</strong> generico.<br />
2. L’INFORMAZIONE E IL CONSENSO<br />
Per consenso informato si intende, l'accettazione che il paziente<br />
esprime in merito a un trattamento sanitario, in maniera libera,<br />
e non mediata dai familiari, dopo essere stato informato sulle<br />
modalità di esecuzione, i benefici, gli effetti collaterali e i rischi<br />
ragionevolmente prevedibili, l'esistenza di valide alternative<br />
terapeutiche. L'informazione costituisce una parte essenziale del<br />
progetto terapeutico, dovendo esistere anche a prescindere dalla<br />
finalità di ottenere il consenso.<br />
2.1 IL DOVERE DI INFORMARE<br />
L’acquisizione del consenso dovrebbe svolgersi in tre parti:
una parte preliminare di informazione<br />
maturazione da parte del paziente delle informazioni ricevute<br />
firma del modulo di consenso<br />
L’informazione non è da intendere come una trasmissione di<br />
dati e notizie finalizzata a colmare la inevitabile differenza di<br />
conoscenze tecniche tra <strong>medico</strong> è paziente ma ha lo scopo di<br />
porre il paziente nella condizione di esercitare correttamente i<br />
suoi diritti e di far si che si trovi nella posizione di scegliere<br />
liberamente se intraprendere o meno il trattamento proposto.<br />
Il <strong>medico</strong> ha il dovere di informare il paziente e il paziente ha il<br />
diritto di essere informato: queste due condizioni costituiscono il<br />
presupposto naturale e giuridico del consenso informato, che<br />
può essere manifestato solo dal soggetto interessato che abbia<br />
compreso la sua situazione sanitaria.<br />
Informazione e consenso sono un binomio inscindibile.<br />
Ma non è da sempre così. Ippocrate, celebre <strong>medico</strong> greco,<br />
ammoniva i suoi discepoli affinché nulla fosse rivelato al malato<br />
circa le sue condizioni di salute e i trattamenti a cui era<br />
sottoposto: “…tieni all’oscuro i pazienti di ogni evento<br />
futuro…”. Quest’ atteggiamento rimase vivo per tutto il<br />
Medioevo fino all’Illuminismo quando, con gli scritti di Gregory
Rush si cominciò a prospettare la demistificazione della medicina<br />
e, conseguentemente, l’opportunità di informare il paziente. Si<br />
trattava però di un’ informazione non ancora volta<br />
all’acquisizione del consenso ma solamente alla comprensione<br />
da parte del paziente della prescrizione medica.<br />
Il primo sostenitore del diritto del paziente all’informazione fu<br />
Thomas Percival i cui studi furono poi alla base del primo<br />
Codice di Deontologia medica americano del 1847.<br />
Ai giorni nostri non è possibile parlare di consenso<br />
“competente” o “consapevole” senza una preliminare<br />
informazione: senza informazione non vi è valido consenso.<br />
Il rapporto <strong>medico</strong>-paziente è squilibrato in quanto si stabilisce<br />
tra ineguali in termini di competenza tecnica; si tende però a<br />
riconquistare una dimensione di “equità” tra <strong>medico</strong> e paziente,<br />
esaltando in primo luogo la necessità di fornire un’accurata e<br />
analitica informazione, tenendo conto dell’età, del grado di<br />
maturità e del livello culturale del paziente; essa deve vertere<br />
sugli aspetti della malattia, sul decorso, sulle finalità del piano di<br />
cura proposto, sulle alternative possibili, sulle modalità, sui rischi<br />
e sui benefici dei singoli interventi diagnostici e terapeutici,<br />
affinché il paziente possa recuperare gran parte di quella
autonomia nelle decisioni che spetta alla persona umana, sia<br />
sana che malata.<br />
Il ruolo del <strong>medico</strong> non si limita all’elencare al paziente i<br />
vantaggi e gli svantaggi ma deve aiutare il malato a scegliere con<br />
serenità il trattamento più idoneo per la cura della sua<br />
patologia.<br />
L’obbligo di informare il paziente è anzitutto regola<br />
deontologica.<br />
art. 33 C.D. - Informazione al cittadino -<br />
“Il <strong>medico</strong> deve fornire al paziente la più idonea informazione<br />
sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali<br />
alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili<br />
conseguenze delle scelte operate; il <strong>medico</strong> dovrà comunicare<br />
con il soggetto tenendo conto delle sue capacità di<br />
comprensione, al fine di promuoverne la massima<br />
partecipazione alle scelte decisionali e l’adesione alle proposte<br />
diagnostico-terapeutiche.<br />
Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente<br />
deve essere soddisfatta.<br />
Le informazioni riguardanti prognosi gravi o infauste o tali da<br />
poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona,
devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non<br />
traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza.<br />
La documentata volontà della persona assistita di non essere<br />
informata o di delegare ad altro soggetto l’informazione deve<br />
essere rispettata”.<br />
L’articolo del nuovo Codice di Deontologia medica chiarisce che<br />
il <strong>medico</strong> deve dare la più serena informazione (e cioè data con<br />
cautela, non affrettatamente e senza drammatizzazione) sulla<br />
diagnosi, la prognosi, le prospettive terapeutiche e le<br />
conseguenze delle stesse allo scopo di favorire la partecipazione<br />
alle proposte terapeutiche da parte dell’assistito e per un<br />
miglior risultato del trattamento.<br />
Il <strong>medico</strong> deve soddisfare ogni specifico quesito del paziente<br />
dando risposte il più possibile chiare, rese cioè con un linguaggio<br />
comprensibile, adeguato al livello culturale dell’interlocutore;<br />
può evitare precisazioni superflue inerenti gli aspetti scientifici<br />
dell’intervento.<br />
Riguardo la delicata questione della prognosi infausta il nuovo<br />
Codice Deontologico non riconosce più al sanitario la<br />
discrezionalità della valutazione della opportunità o meno della<br />
rivelazione: il <strong>medico</strong> deve fornire le informazioni riguardanti
prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare<br />
preoccupazioni e sofferenze particolari al paziente, usando ogni<br />
cautela possibile, senza ricorrere a espressioni crude e esplicite<br />
che possano risultare traumatizzanti e non escludendo mai<br />
prospettive di evoluzione positive o favorevoli del male.<br />
Sia in caso di prognosi fausta che infausta, il paziente ha il diritto<br />
di conoscere il proprio destino, al fine di autodeterminarsi in<br />
ordine alle proprie scelte future. Nascondere la prognosi infausta<br />
al paziente “…appare frutto di una concezione autoritaria e<br />
falsamente pietistica della relazione con l’ammalato…” 5 .<br />
Inoltre, la conoscenza della verità sulla malattia e sulle cure da<br />
intraprendere, può spingere il malato ad una più profonda ed<br />
efficace collaborazione con il <strong>medico</strong> per la guarigione.<br />
Anche nel settore dell’informazione si dà essenziale rilievo alla<br />
volontà manifestata dal paziente: il <strong>medico</strong> deve attenersi a<br />
questa sia in relazione ai contenuti stessi dell’informazione ( ad<br />
esempio se viene richiesta una spiegazione franca ed oggettiva<br />
circa la prognosi e la diagnosi, senza edulcorare la realtà oppure<br />
se il paziente preventivamente comunica di non voler essere<br />
informato di una diagnosi infausta), sia in relazione ai destinatari<br />
della stessa; il paziente infatti potrebbe vietare la comunicazione
delle informazioni a terzi (parenti o non): l’informazione a terzi<br />
è ammessa solo previo consenso del paziente.<br />
I congiunti possono essere i destinatari dell’informazione solo se<br />
il paziente, unico titolare del diritto alla riservatezza, esprime la<br />
volontà di comunicare le notizie riguardanti la sua malattia ai<br />
parenti o a persone estranee all’ambito familiare.<br />
L’obbligo di informare non appartiene solo nei doveri imposti<br />
dall’etica professionale ma attiene anche al contenuto tipico del<br />
contratto di cura: si tratta di un dovere funzionale all’esatto<br />
adempimento della prestazione medica e, come tale, rileva in<br />
modo autonomo rispetto a quello relativo alla diligenza<br />
professionale che ogni operatore sanitario deve osservare<br />
nell’esecuzione della sua prestazione.<br />
Si può quindi configurare una responsabilità contrattuale per<br />
violazione del dovere di informazione indipendentemente dalla<br />
presenza di errori professionali nell’esecuzione del trattamento.<br />
L’informazione rileva nella misura in cui la sua omissione o<br />
inesattezza, incidendo sul diritto del paziente<br />
all’autodeterminazione esercitato con l’autorizzazione al<br />
trattamento sanitario, si traduce nella lesione di un diritto<br />
costituzionalmente protetto.
L’obbligo di informazione è quindi diretto a preservare la<br />
persona dalla specifica possibilità di danno (lesione del diritto<br />
alla salute, intesa quale compressione della libertà di<br />
autodeterminazione di cui agli art. 13-32 della costituzione)<br />
derivante dalla particolare relazione instauratasi tra <strong>medico</strong> e<br />
paziente.<br />
Da quanto appena detto si evince che il dovere di informazione<br />
si desume non solo da norme etiche-deontologiche e<br />
contrattuali ma anche da norme costituzionali.<br />
La conferma viene dalla Corte di Cassazione: “Il dovere di<br />
informare il paziente sulla natura dell’intervento <strong>medico</strong> e/o<br />
chirurgico, sulla sua portata ed estensione e sui suoi rischi, sui<br />
risultati conseguibili e sulle possibili conseguenze negative,<br />
gravante sul <strong>medico</strong> in generale, si desume e dalle norme<br />
costituzionali e dal comportamento secondo buona fede cui<br />
sono tenute le parti nello svolgimento delle trattative e nella<br />
formazione del contratto” (Cass. civ. 25 novembre 1994 n.<br />
10014).<br />
Ne deriva che “un consenso immune da vizi non può che<br />
formarsi dopo aver avuto piena conoscenza della natura<br />
dell’intervento <strong>medico</strong> e/o chirurgico, della sua portata ed
estensione e dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle<br />
possibili conseguenze negative, sicché presuppone una completa<br />
informazione sugli stessi da parte del sanitario o del chirurgo ”<br />
(Cass. civ. 12 giugno 1982 n. 3604).<br />
2.1.1 Modalità, oggetto e limiti dell’informazione<br />
L’Informazione può essere definita come un processo attivo di<br />
comunicazione fra <strong>medico</strong>, che fornisce notizie, e paziente, che<br />
chiede delucidazioni e interroga su eventuali alternative al<br />
trattamento proposto.<br />
L’obbligo di informare grava sul <strong>medico</strong> curante o sul <strong>medico</strong><br />
delegato dotato di adeguata capacità tecnica; il personale<br />
infermieristico e gli assistenti di poltrona non soni tenuti a<br />
informare, a meno che non gli possa essere riconosciuta una<br />
specifica autonomia operativa in un determinato settore: in<br />
questa ipotesi può avere il potere-dovere di informare.<br />
L’informazione dovrebbe essere perciò proposta in modo da<br />
stimolare chi la riceve ad una partecipazione critica alla<br />
decisione: il consenso informato, fondato sul principio di<br />
autonomia, richiede una chiara assunzione di responsabilità da
parte di entrambi i soggetti della relazione e richiede perciò che i<br />
problemi siano formulati in modo chiaro e non ambiguo.<br />
Il linguaggio deve essere chiaro e comprensibile, adatto al<br />
singolo paziente in relazione alla sua cultura e alla sua capacità<br />
intellettiva da un lato e al suo stato psichico dall’altro.<br />
La recettività del paziente al discorso informativo è affidata alla<br />
sensibilità e all’esperienza del <strong>medico</strong>.<br />
Per certi versi, la spiegazione rivolta a persona non colta, nel<br />
senso generale del termine, è più semplice, in quanto maggiore è<br />
l’affidamento al sanitario, visto quale depositario unico della<br />
verità tecnica, e minore è la richiesta di approfondimento, vista<br />
la totale fiducia nel sanitario. Ciò però non autorizza una<br />
indebita semplificazione del dialogo, alla fine del quale il <strong>medico</strong><br />
potrebbe dubitare di non essere stato esaustivo e<br />
sufficientemente chiaro, e di aver ottenuto un consenso<br />
immotivato.<br />
Viceversa, il dialogo con una persona colta è in genere facilitato<br />
dalla possibilità di utilizzare un linguaggio più tecnico ma di<br />
contro c’è una richiesta di approfondimento esasperato che, pur<br />
nascendo da un legittimo desiderio di rassicurazione, può finire<br />
col raggiungere l’effetto opposto.
2.1.2 Violazione del dovere di informare: responsabilità.<br />
La violazione del dovere di informare (ovvero in caso di<br />
informazione carente, errata o fuorviante) assume rilevanza dal<br />
punto di vista civilistico tutte la volte che da tale<br />
inadempimento sia conseguito un danno per il paziente.<br />
Se il paziente non viene informato ad esempio dei rischi<br />
(possibili e/o prevedibili) connessi ad un determinato intervento<br />
chirurgico -esistenti indipendentemente dall’osservanza di tutte<br />
le “leges artis” che il caso richiede -qualora l’intervento abbia<br />
purtroppo esito negativo, il paziente avrà diritto al risarcimento<br />
dei danni subiti provando di essersi sottoposto al trattamento<br />
solo in quanto non gli erano stati prospettati i relativi rischi.<br />
Pertanto se l’informazione è stata adeguata e completa, il<br />
<strong>medico</strong> risponderà dei danni eventualmente cagionati solo per<br />
colpa professionale, cioè per sua negligenza, imprudenza o<br />
imperizia; di contro se l’informazione è stata insufficiente, pur in<br />
assenza di colpa, il <strong>medico</strong> si espone a responsabilità.<br />
In giurisprudenza è stato affermato che “ il professionista<br />
sanitario ha l’obbligo, di natura contrattuale, di informare
compiutamente il paziente dei rischi connessi alla terapia<br />
consigliata e prescritta […] onde ingenerare nel paziente il c.d.<br />
consenso informato, funzionale alla formazione di una sua libera<br />
scelta […] ” (Corte d’Appello di Milano, I sez. civ., 21 marzo<br />
1995 n. 1256).<br />
E ancora: “Deve ritenersi che il consenso generico alla cura,<br />
implicito nella richiesta di intervento dei sanitari, non può<br />
ritenersi esteso a quei particolari trattamenti, la cui particolare<br />
pericolosità debba presumersi ignorata dal paziente. Va poi<br />
rilevato che è dovere professionale del <strong>medico</strong> […] informare il<br />
paziente dei rischi di quel trattamento di cui il paziente debba<br />
presumersi all’ oscuro […]” (Trib. Perugia, II sez. civ., 10 luglio<br />
1987 n. 977).<br />
Dall’inadempimento del dovere contrattuale dell’informazione<br />
consegue non solo la violazione del diritto di<br />
autodeterminazione del paziente, ma anche l’eventuale danno<br />
alla salute derivato causalmente dall’intervento chirurgico -pur<br />
correttamente eseguito- proprio perché non si da al paziente<br />
l’opportunità di valutare se affrontare o meno l’operazione, non<br />
mettendolo in grado di rifiutare l’intervento o di accettarlo,
assumendosene consapevolmente anche il relativo rischio, non<br />
derivante da errore professionale.<br />
Sotto il profilo strettamente probatorio, è sufficiente l’esistenza<br />
di un effettivo ambito di scelta da parte del paziente sui tempi e<br />
sui modi delle cure e la prova della mancata informazione da<br />
parte dei medici sui prevedibili rischi dell’intervento da cui era<br />
stato conseguito il danno alla salute per attribuire ai sanitari la<br />
responsabilità della mancata informazione.<br />
L’obbligo informativo non è solo precedente alla scelta del<br />
trattamento; esso copre l’intero sviluppo della relazione di cura<br />
e quindi anche la fase successiva, laddove sia necessario fornire<br />
al paziente regole di condotta per il periodo della<br />
convalescenza, ad esempio dovrà essere informato della<br />
necessità di sottoporsi a controlli post-operatori oppure sulle<br />
misure da adottare per la corretta manutenzione di impianti<br />
protesici.<br />
Molto spesso il trattamento chirurgico viene svolto in equipe e<br />
in più fasi ognuna delle quali presenta un significativo rischio<br />
per il paziente: il consenso informato deve essere acquisito in<br />
ogni singola fase: “… è noto che interventi particolarmente<br />
complessi, specie nel lavoro in equipe svolto in più fasi […]
l’obbligo di informazione si estende anche alle singole fasi a ai<br />
rispettivi rischi”.<br />
Dal punto di vista penale invece l’omessa informazione è punita<br />
come “omissione di atti d’ufficio” (art. 328 C.P. : Rifiuto di atti<br />
d'ufficio. Omissione ) con la reclusione da 6 mesi a 2 anni.<br />
2.2 IL DOVERE DI ACQUISIRE IL CONSENSO<br />
Il consenso del paziente, libero e informato, costituisce il<br />
presupposto e la condizione di legittimità giuridica oltre che<br />
etica dell’atto <strong>medico</strong>.<br />
Art. 50 C.P. “ NON E' PUNIBILE CHI LEDE O PONE IN<br />
PERICOLO UN DIRITTO COL CONSENSO DELLA PERSONA<br />
CHE PUO' VALIDAMENTE DISPORNE.”<br />
L’art. 50 prevede la causa di giustificazione del consenso<br />
dell’avente diritto; le cause di giustificazione (dette anche<br />
scriminanti o cause di liceità) sono particolari situazioni in<br />
presenza delle quali un fatto, che altrimenti sarebbe reato, tale<br />
non è perché la legge lo consente o lo impone.<br />
Altri due articoli giustificano l’attività sanitaria:<br />
art. 5 Codice Civile
“Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando<br />
cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica o<br />
quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o<br />
al buon costume”.<br />
art. 32 della Costituzione della Repubblica Italiana<br />
“La repubblica tutela la salute come fondamentale diritto<br />
dell’individuo e interesse della collettività,e garantisce cure<br />
gratuite agli indigenti.<br />
Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento<br />
sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in<br />
nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona<br />
umana”.<br />
Anche nella Convenzione di Oviedo per la protezione dei diritti<br />
dell’uomo si parla espressamente di consenso informato:<br />
Consiglio d’Europa: Convenzione per la protezione dei<br />
diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo<br />
all’applicazione della biologia e della medicina: Convenzione<br />
sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina Oviedo, 4 aprile 1997 16 .<br />
Cap. II art. 5 - Consenso - (Regola generale)<br />
“Qualsiasi intervento in campo sanitario non può essere<br />
effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato il
proprio consenso libero e informato.<br />
Questa persona riceve preventivamente un’informazione<br />
adeguata in merito allo scopo e alla natura dell’intervento<br />
nonché alle sue conseguenze ed ai suoi rischi.<br />
La persona interessata può liberamente ritirare il proprio<br />
consenso in qualsiasi momento”.<br />
L’individuazione dei requisiti del consenso non è regolata da<br />
norme specifiche ma si cerca di fare riferimento alle fonti più<br />
autorevoli e alla casistica giurisprudenziale.<br />
In primo luogo il consenso deve essere personale.<br />
È il paziente che riceve l’informazione ed è solo il paziente che,<br />
di persona, presta il consenso.<br />
La possibilità che altre persone decidano al suo posto è<br />
assolutamente eccezionale, in quanto costituisce una violazione<br />
della libertà dell’individuo: essa può essere giustificata solo in<br />
presenza di circostanze del tutto particolari previste dalla legge e<br />
può avvenire solo con garanzie rigorose.<br />
Dal punto di vista giuridico è totalmente irrilevante il consenso<br />
dei familiari e possono essere informati solo se è il paziente a<br />
chiederlo.
La sfera personale del paziente può essere invasa solo se questi,<br />
preventivamente informato, vi ha consentito, mentre non può<br />
essere invasa se ha opposto il suo rifiuto: il paziente ha la facoltà<br />
di decidere in modo libero e consapevole della propria persona.<br />
A questa libertà l’ordinamento giuridico pone un solo limite:<br />
l’art. 5 del Codice Civile vieta gli atti di disposizione del proprio<br />
corpo “quando cagionino una diminuzione permanente<br />
dell’integrità fisica” nonché quelli che “siano altrimenti contrari<br />
alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume”.<br />
Anche il codice deontologico dei Medici Chirurghi e Odontoiatri<br />
si esprime in materia di consenso informato:<br />
art. 35 C.D. - Acquisizione del consenso -<br />
“Il <strong>medico</strong> non deve intraprendere attività diagnostiche e/o<br />
terapeutiche senza l’acquisizione del consenso esplicito e<br />
informato del paziente.<br />
Il consenso, espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge<br />
e nei casi in cui per le particolarità diagnostiche e/o terapeutiche<br />
o per le possibili conseguenze delle stesse sull’integrità fisica si<br />
renda opportuna una manifestazione documentata della volontà<br />
della persona, è integrativo e non sostitutivo del processo<br />
informativo di cui all’art. 33. […]
In ogni caso, la presenza di documentato rifiuto di persona<br />
capace, il <strong>medico</strong> deve desistere dai conseguenti atti diagnostici<br />
e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento <strong>medico</strong><br />
contro la volontà della persona.<br />
Il <strong>medico</strong> deve intervenire, con scienza e coscienza, nei confronti<br />
del paziente incapace, nel rispetto della dignità della persona e<br />
della qualità della vita, evitando ogni accanimento terapeutico ,<br />
tenendo conto delle precedenti volontà del paziente”.<br />
Parlando di consenso si deve distinguere:<br />
consenso generico o tacito all'atto sanitario che è implicito<br />
nella richiesta di visita o di prestazione sanitaria in genere,<br />
nonché nella richiesta di ricovero ospedaliero: si riferisce a<br />
pratiche diagnostiche e/o terapeutiche normali, prive di<br />
particolari rischi per il paziente ( atto <strong>medico</strong> ordinario );<br />
consenso specifico od esplicito che deve essere richiesto ogni<br />
qualvolta i sanitari ritengano di dovere procedere a manovre<br />
diagnostiche complesse e rischiose, ad interventi chirurgici<br />
demolitori e/o menomanti, a pratiche terapeutiche comunque<br />
non prive di significativi pericoli. In questi casi il consenso è<br />
valido ove fornito dal maggiorenne non interdetto, in<br />
condizioni di capacità di intendere e di volere. Il consenso del
minore e dell'interdetto deve essere espresso rispettivamente<br />
dall'esercente la patria potestà o dal tutore.<br />
2.2.1 Validità del consenso<br />
La validità del consenso prestato dal paziente ad un determinato<br />
trattamento <strong>medico</strong>, sotto il profilo giuridico, deve poggiare su<br />
alcuni elementi indispensabili.<br />
Perché esplichi efficacia scriminante, il consenso deve essere<br />
libero e spontaneo: esso cioè deve essere immune da violenza,<br />
errore, dolo (sono i cosiddetti “vizi della volontà” previsti dal<br />
codice civile). Data la sua natura di atto e non di negozio, la<br />
relativa validità prescinde da requisiti di forma: potendo il<br />
consenso essere prestato in qualsiasi modo, è indifferente il<br />
mezzo (scritto, orale,…) con cui si manifesta. Può anche essere<br />
desunto dal comportamento oggettivamente univoco<br />
dell'avente diritto (consenso c.d. tacito).<br />
Il consenso deve essere acquisito prima di compiere qualsiasi<br />
atto diagnostico/terapeutico: non scrimina, invece, il consenso<br />
successivo o ratifica.<br />
Per essere valido, quindi, il consenso deve presentare i seguenti<br />
requisiti, mancandone uno solo il consenso è da ritenersi viziato:<br />
deve essere richiesto per un trattamento necessario;
la persona che da il consenso deve essere titolare del diritto;<br />
la persona cui viene richiesto il consenso deve possedere la<br />
capacità di intendere e di volere;<br />
la persona a cui viene richiesto il consenso deve ricevere<br />
informazioni chiare e comprensibili sia sulla sua malattia sia sulle<br />
scelte programmate tanto ai fini diagnostici che terapeutici;<br />
in caso di indicazione chirurgica o di necessità di esami<br />
diagnostici, la persona a cui viene richiesto il consenso deve<br />
essere esaurientemente informata sulla manualità della<br />
prestazione, in rapporto alla propria capacità di apprendimento;<br />
la persona che deve dare il consenso deve essere portata a<br />
conoscenza sui rischi connessi e sulla loro percentuale di<br />
incidenza, nonché sui rischi derivanti dalla mancata effettuazione<br />
della prestazione; gli effetti collaterali, le menomazioni e le<br />
mutilazioni inevitabili;<br />
la persona che deve dare il consenso deve essere informata<br />
sulle capacità della struttura sanitaria di intervenire in caso di<br />
manifestazione del rischio temuto;<br />
il consenso scritto e controfirmato dal paziente e dal <strong>medico</strong><br />
deve essere conservato sia dall' uno sia dall' altro.
Quando in giurisprudenza di parla di incapacità (assenza della<br />
capacità di intendere e di volere) è d’obbligo fare una<br />
distinzione tra incapacità legale e incapacità naturale.<br />
L’incapacità legale riguarda i soggetti minorenni.<br />
Consiglio d’Europa;Convenzione sui diritti dell’uomo e<br />
sulla biomedicina Oviedo, 4 aprile 1997 16 .<br />
Cap. II art. 6 -Consenso- Tutela delle persone che non hanno la<br />
capacità di dare il consenso.<br />
“Quando secondo la legge un minore non ha la capacità di dare<br />
il consenso ad un intervento, questo non può essere effettuato<br />
senza l’autorizzazione del suo rappresentante, dell’autorità o di<br />
una persona o un tutore designato dalla legge”.<br />
La volontà dell’incapace legale, se questi si trovi ad essere capace<br />
di intendere e di volere al momento dell’atto <strong>medico</strong>, prevale<br />
rispetto a quella del suo legale rappresentante: si pensi<br />
all’ipotetico contrasto tra la volontà del genitore o del tutore e<br />
quella del minore “quasi” diciottenne che abbia acquisto una<br />
sufficiente maturità di giudizio.<br />
In realtà questa è una questione ancora molto discussa:<br />
l’orientamento di apertura a un’adeguata valorizzazione del<br />
consenso informato del minore espresso dal CNB (Comitato
Nazionale per la Bioetica) ha trovato parziale risonanza<br />
sopranazionale nella Convenzione sui diritti dell’uomo e della<br />
Biomedicina di Strasburgo 21 , secondo cui per la realizzazione di<br />
un intervento <strong>medico</strong>-chirurgico devono concorrere il consenso<br />
del minore che abbia la capacità di darlo e l’autorizzazione del<br />
suo rappresentante, dell’autorità, di una persona o un tutore<br />
designato dalla legge, pur con attribuzione di maggiore<br />
determinazione al parere del minore in rapporto all’età e al suo<br />
grado di maturità.<br />
Su posizioni di minore ampiezza si attesta il Codice<br />
Deontologico che ribadisce che il consenso del minore.<br />
dell’interdetto e dell’inabilitato agli intervento diagnostici e<br />
terapeutici, nonché al trattamento dei dati sensibili, deve essere<br />
espresso dal legale rappresentante, pur prevedendo l’obbligo del<br />
<strong>medico</strong> di dare informazione al minore e di tenere conto della<br />
sua volontà, compatibilmente con l’età e la capacità di<br />
comprensione, nel rispetto dei diritti del legale rappresentante.<br />
Art. 37 - Consenso del legale rappresentante -<br />
“Allorché si tratti di minore, di interdetto, il consenso […], deve<br />
essere espresso dal rappresentante legale.
Il <strong>medico</strong>, nella caso in cui sia stato nominato dal giudice<br />
tutelare un amministratore di sostegno deve debitamente<br />
informarlo e tenere nel massimo conto le sue istanze.<br />
In caso di opposizione da parte del rappresentante legale al<br />
trattamento necessario e indifferibile a favore di minori o di<br />
incapaci, il <strong>medico</strong> è tenuto a informare l'autorità giudiziaria; se<br />
vi è pericolo per la vita o grave rischio per la salute del minore e<br />
dell’incapace, il <strong>medico</strong> deve comunque procedere senza ritardo<br />
e secondo necessità alle cure indispensabili”.<br />
È certo comunque che non è capace chi abbia meno di 14 anni e<br />
il consenso potrà essere prestato dal legale rappresentante,<br />
sempre però nell’interesse del rappresentato; non è pertanto<br />
valido un consenso dato al compimento di un’ attività<br />
intrinsecamente dannosa per l’incapace.<br />
Necessario nel rapporto col minore è riuscire a valutare la sua<br />
“competenza”, i cui elementi fondamentali sono la capacità di<br />
decidere, il ragionamento, la previsione delle conseguenze.<br />
Nel documento del CNB si legge: “…il consenso è in qualche<br />
modo concepibile tra 7 e 10-12 anni ma sempre non del tutto<br />
autonomo e da considerare insieme con quello dei genitori.
Solo entrando nell’età adolescenziale si può pensare che il<br />
consenso diventi progressivamente autonomo.”<br />
È chiaro quindi che, grazie a questa valorizzazione della volontà<br />
del minore nelle scelte relative alla sua persona e salute, si deve<br />
ritenere che il consenso dei genitori o del tutore non sia sempre<br />
sufficiente da solo al compimento di atti medici che incidono<br />
sull’integrità personale del minorenne.<br />
Oltre all’ipotesi di incapacità legale va ricordata anche<br />
l’incapacità naturale: si tratta di tutte quelle condizioni che, a<br />
prescindere dalla capacità legale, consentono di escludere che il<br />
soggetto possa prestare un valido consenso; sono riconducibili<br />
sia a situazioni transitorie - uso di sostanze stupefacenti o alcool -<br />
sia a stati patologici di maggiore permanenza, come un grave<br />
stato di decadimento psico-fisico che di fatto privano il soggetto<br />
dell’attitudine ad intendere il significato dell’atto che compie.<br />
Consiglio d’Europa: Convenzione sui diritti dell’uomo e<br />
sulla biomedicina Oviedo, 4 aprile 1997 13 .<br />
Cap. II art. 6 - Consenso - Tutela delle persone che non hanno la<br />
capacità di dare il consenso.<br />
“Quando, secondo la legge, un maggiorenne non ha, a causa di<br />
un handicap mentale, di una malattia o per un motivo similare,
la capacità di dare il consenso ad un intervento, questo non può<br />
essere effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante,<br />
dell’autorità o di una persona o tutore designato dalla legge. La<br />
persona interessata, nella misura possibile, deve essere coinvolta<br />
nella procedura di autorizzazione”.<br />
In caso di disaccordo tra i <strong>legali</strong> rappresentanti dell’incapace, il<br />
<strong>medico</strong> deve ricorrere all’autorità giudiziaria al fine dei necessari<br />
provvedimenti.<br />
Oltre che personale il consenso deve essere esplicito: il paziente<br />
deve manifestarlo in modo chiaro, univoco e non condizionato;<br />
questo aggettivo presuppone autentica libertà sia in senso<br />
giudico che morale.<br />
La prima riguarda un consenso non viziato dalla violenza, dalla<br />
minaccia e dall’inganno, la seconda attiene alla volontà e alla<br />
coscienza su cui non devono gravare violenza, pressioni o<br />
suggestioni psicologiche.<br />
La forma del consenso è libera. Salvo disposizione di legge (per<br />
trapianti di organi e donazione di sangue è tassativamente<br />
scritto), è sufficiente che il consenso sia espresso oralmente. La<br />
forma orale, tra l’altro, ben si addice alla relazione fiduciaria tra
<strong>medico</strong> e paziente per evitare ogni forma di spersonalizzazione e<br />
burocratizzazione della relazione di cura.<br />
In ogni caso il consenso scritto è da ritenere un dovere morale<br />
del <strong>medico</strong> in tutti i casi in cui le prestazioni diagnostico-<br />
terapeutiche per la loro particolare natura (il rischio che<br />
comportano, la durata del trattamento, le implicazioni personali<br />
e familiari, le eventuali alternative al trattamento…) sono tali da<br />
rendere opportuna una manifestazione univoca e documentata<br />
della volontà del paziente.<br />
Il modulo del consenso scritto deve essere allegato alla cartella<br />
clinica e ne fa parte integrante oltre alle annotazioni da parte del<br />
<strong>medico</strong> delle ragioni delle sue proposte diagnostiche e<br />
terapeutiche.<br />
È importante ricordare che una cartella clinica ben redatta può<br />
costituire un supporto difensivo al contrario di una compilata in<br />
maniera insufficiente che rischia di diventare un atto di accusa in<br />
relazione a ciò che non vi risulta annotato.<br />
In alternativa al modulo in cui sono riassunte tutte le spiegazioni<br />
e le informazioni date al paziente può essere usato il verbale<br />
testimoniato, sempre però sottoscritto dal paziente. Si tratta di<br />
un consenso di cui rimane nella cartella clinica un’ indicazione
scritta indiretta, cioè viene riportato che al paziente è stata<br />
fornita una corretta e adeguata informazione e che egli ha<br />
acconsentito alla terapia.<br />
È importante che il <strong>medico</strong>, anche in presenza di modulo di<br />
consenso scritto, non rinunci mai alla comunicazione e al<br />
rapporto diretto col paziente, sviluppando il più possibile le sue<br />
capacità di ascolto e di dialogo, oltre che di sensibilità<br />
psicologica.<br />
2.2.2 Revoca del consenso<br />
Il paziente ha la facoltà di revocare il consenso. Questo può<br />
verificarsi ancor prima dell’inizio della prestazione medica<br />
oppure quando questa ha già avuto inizio: in questo caso<br />
rimane lecita la parte che è stata posta in essere prima della<br />
revoca.<br />
Se la revoca interviene durante il trattamento , l’azione non<br />
dovrebbe essere proseguita: ma se il <strong>medico</strong> non può<br />
tecnicamente interrompere la condotta, il suo operato sarà<br />
ugualmente lecito, poiché in questo caso la revoca non può<br />
avere alcuna efficacia giuridica.
Se l’interruzione, materialmente possibile, espone il paziente a<br />
danno grave e imminente, l’eventuale prosecuzione, malgrado<br />
la revoca del consenso, può essere scriminata dallo stato di<br />
necessità (art. 54 del C.P. : “Non è punibile chi ha commesso il<br />
fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare […] altri<br />
dal pericolo attuale di un danno grave alla persona […]”).<br />
A conclusione del discorso non va comunque dimenticato che la<br />
revoca del consenso è espressione del diritto<br />
all’autodeterminazione del paziente e in quanto tale dovrebbe<br />
essere rispettato.<br />
2.2.3 Trattamento <strong>medico</strong> in difetto di consenso del<br />
paziente: responsabilità<br />
La violazione del consenso del paziente pone il problema della<br />
responsabilità penale del sanitario anche a prescindere dalle<br />
conseguenza fauste o infauste dell’intervento. Secondo la nostra<br />
giurisprudenza, in ipotesi di trattamento arbitrario (ovvero non<br />
consentito) incidente sull’integrità fisica del paziente, il <strong>medico</strong> è<br />
responsabile di:<br />
violenza privata ( intervento del professionista contro la<br />
volontà dell’assistito - art. 610 C.P. - )
sequestro di persona (art. 605 C.P.)<br />
lesioni personali volontarie (intervento del professionista<br />
intrinsecamente lesivo della persona assistita ad esito fausto, ma<br />
posto in essere senza il consenso della persona quando sia<br />
consapevole - art. 582 C.P. -)<br />
omicidio preterintenzionale ( o oltre l’intenzione, quando<br />
dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso<br />
più grave di quello voluto dall’agente - art. 584 C.P. - ).<br />
Il consenso informato è manifestazione della libera scelta di ogni<br />
persona sulla propria salute e sulla propria vita, una scelta che<br />
sia libera non solo formalmente (assenza di costrizioni) ma sia il<br />
frutto di una libera consapevolezza raggiunta attraverso<br />
un’informazione offerta in modo corretto e competente da<br />
medici tanto esperti tecnicamente quando capaci di ricostruire i<br />
propri percorsi decisionali e coinvolgere il paziente nei passaggi<br />
decisivi, il tutto in una realtà di comunicazione la più ricca e<br />
profonda possibile.<br />
Il consenso informato perciò non è solo una strumento per<br />
sollevarsi dalle responsabilità connesse alla professione sanitaria<br />
ma è un modo per rendere partecipe delle eventuali<br />
responsabilità derivate dalla terapia la persona assistita oltre che
espressione di profondo rispetto del paziente e della sua<br />
volontà, il quale in questo modo si assume le proprie<br />
responsabilità relative agli eventi non graditi che possono<br />
derivare dalla terapia.<br />
2.3 IL CONSENSO INFORMATO IN ODONTOIATRIA<br />
Quanto detto precedentemente non può che valere anche per<br />
l’attività odontoiatrica: l’odontoiatra libero professionista, quale<br />
esercente di un servizio di pubblica necessità ai sensi dell’art. 359<br />
del Codice Penale, non può esimersi dall’obbligo di acquisire il<br />
consenso del soggetto che a lui si rivolge e dall’obbligo di una<br />
preventiva e adeguata informazione.<br />
L’attività odontoiatrica, nella pratica quotidiana, non espone a<br />
pericolo la vita del paziente ma è innegabile la presenza di un<br />
“rischio odontoiatrico” del quale è necessario informare il<br />
paziente che presterà o meno il suo consenso sapendo quali<br />
sono le situazioni rischiose in cui può incorrere.<br />
Perciò, oltre al consenso implicito nella richiesta di una<br />
prestazione sanitaria, è sempre bene richiedere, soprattutto nelle<br />
attività rientranti nella chirurgia orale (estrazioni dentarie,
impianti protesici), il consenso informato specifico e consapevole<br />
del paziente.<br />
Quando si parla di rischio, infatti, ci si riferisce anche a quelle<br />
terapie che potenzialmente possono condurre a complicazioni o<br />
a esiti negativi che per alcuni trattamenti possono anche essere<br />
permanenti.<br />
I danni permanenti relativi a trattamenti chirurgici odontoiatrici<br />
sono principalmente legati a problemi neurologici qualora<br />
vengano interessati i nervi che decorrono nel distretto oro-<br />
facciale. La valutazione si basa sull’anamnesi e l’esame obiettivo<br />
per documentare durata, grado e miglioramenti di sintomi e<br />
segni: il paziente potrebbe lamentare un deficit sensitivo<br />
soggettivo (anestesia, ipoestesia, dolore neuropatico) oppure<br />
manifestare conseguenze come alterazioni del gusto, morsicature<br />
del labbro e della lingua, scialorrea, limitazione della vita di<br />
relazione.<br />
In quest’ottica in odontoiatria il rischio è quasi sempre presente,<br />
trattandosi di attività prevalentemente chirurgica (attività che<br />
implica non solo una diagnosi, ma anche, spesso, un<br />
trattamento): è quindi una condotta colposa il non rilevare<br />
l’anamnesi medica del paziente per quanto concerne il rischio
durante le cure odontoiatriche. L’anamnesi deve, quindi, essere<br />
accurata, non tralasciando aspetti importanti delle eventuali<br />
patologie di base del paziente. Alcune possono essere una<br />
controindicazione assoluta, altre relativa al trattamento<br />
odontoiatrico (cardiopatie, fenomeni allergici,…).<br />
Ciò che è oggetto di rischio deve essere, quindi, necessariamente<br />
oggetto di informazione. L’ampiezza e la profondità<br />
dell’informazione sono da rapportarsi al tipo di terapia da<br />
intraprendere: il dovere di informare impone all’odontoiatra di<br />
soffermarsi maggiormente su quelle situazioni in cui la terapia<br />
comporta un’ aggressione più profonda dell’integrità fisica del<br />
paziente (avulsione dentaria, impianti,…). Ma non solo questo.<br />
Anche una banale ablazione del tartaro potrebbe mettere a<br />
rischio il paziente (cardiopatici non compensati, emofiliaci, in<br />
terapia con anticoagulanti,…) ma di certo è la chirurgia che<br />
comporta un aumentato stress e che quindi potrebbe causare<br />
portare delle conseguenza più gravi soprattutto per pazienti già<br />
affetti da patologie che compromettono in maniera importante<br />
il loro organismo.<br />
L’informazione dovrà essere ancora più rigorosa in quei casi,<br />
non frequenti nella pratica, in cui l’intervento non è fine a sé
stesso ma “ rientra in un più ampio disegno terapeutico, come<br />
ad esempio una estrazione o una regolarizzazione alveolare nel<br />
corso di una riabilitazione protesica, oppure una serie di<br />
estrazioni o una frenulectomia nel quadro di una terapia<br />
ortognatodontica, oppure una bonifica del cavo orale prima<br />
dell’inserimento di impianti…” 33 .<br />
Alcune delle discipline odontoiatriche per la loro particolarità<br />
sono più esposte a rischio di contenzioso; basti pensare all’<br />
anestesia locale, entrata ormai nella pratica quotidiana, che, pur<br />
essendo di facile esecuzione nasconde in se dei pericolosi rischi<br />
per il paziente se non effettuata in maniera adeguata e con i<br />
dovuti accorgimenti. Il rischio più grave è quello dello shock<br />
anafilattico dovuto all’intolleranza al farmaco utilizzato o alla<br />
sensibilità allergica.<br />
L’anestesia deve essere eseguita con molta cautela soprattutto<br />
nei pazienti diabetici e cardiopatici: queste due patologie hanno<br />
per molto tempo rappresentato una controindicazione<br />
all’anestesia locale ma in realtà, usando il farmaco più adeguato<br />
ed evitando l’uso di adrenalina ( associata all’anestetico per il<br />
suo effetto vasocostrittore), si evita di incorrere in conseguenze<br />
indesiderate.
La violazione delle norme di diligenza, prudenza e perizia<br />
nell’esecuzione del trattamento anestetico può essere fonte di<br />
responsabilità penale per l’odontoiatra, soprattutto in assenza<br />
del consenso del paziente, alla luce dei rischi cui può risultare<br />
esposta l’integrità fisica del paziente.<br />
Una situazione di malpractice può dipendere da una condotta<br />
errata (montaggio errato dello strumentario, mancata<br />
aspirazione dopo infissione dell’ago per verificare se è entrato in<br />
un’ arteria, iniezione troppo rapida, sovradosaggio) e da una<br />
tecnica errata, oppure essere conseguenza della mancanza di<br />
farmaci di emergenza ( ossigeno, benzodiazepine, adrenalina,<br />
cortisonici).<br />
La giurisprudenza più volte si è soffermata sulle varie ipotesi di<br />
responsabilità dopo errato trattamento anestetico, stigmatizzano<br />
una serie di condotte colpose: il mancato esame anamnestico del<br />
paziente ( omettendo di valutare le controindicazione generali ),<br />
l’intossicazione da anestesia, l’omessa vigilanza dopo l’anestesia.<br />
Ma anche altre discipline odontoiatriche sono esposte al rischio<br />
di contenzioso, come ad esempio l’ortognatodonzia, la<br />
chirurgia, l’implantoprotesi e la protesi.
Nell’ortognatodonzia gli aspetti giuridici di maggiore interesse<br />
sono quelli legati da un lato alla legittimazione ad esprimere il<br />
consenso, dall’altro alla eventuale necessità di estrarre elementi<br />
dentari sani. Sotto il primo profilo è importante ricordare che di<br />
solito il paziente ortognatodontico è minore di età ed è perciò<br />
necessario il consenso del genitore o del legale rappresentante.<br />
Ciò ovviamente non significa ignorare la volontà del minore e<br />
neppure non informarlo.<br />
Spesso il trattamento ortodontico si protrae nel tempo e<br />
richiede una grande collaborazione da parte del paziente e dei<br />
genitori e comporta particolari difficoltà per chi ne subisce le<br />
conseguenze; in considerazione poi del fatto che il consenso è<br />
sempre successivamente revocabile, è consigliabile per eventuali<br />
e future contestazioni, non solo che sia specifico ma anche in<br />
forma scritta.<br />
Un problema molto discusso è quello dell’estrazione dei denti<br />
sani per raggiungere un miglioramento dell’allineamento degli<br />
elementi dentari. È bene intraprendere questa pratica solo se,<br />
dopo aver effettuato tutti gli specifici esami, si arriva alla<br />
conclusione che l’estrazione è l’unica via da percorrere e la<br />
disgnazia non può essere corretta in nessun altro modo.
Qualora ciò non sia vero e l’estrazione causi dei problemi al<br />
paziente, l’odontoiatra sarà chiamato a rispondere in caso di un<br />
eventuale contenzioso, di menomazione permanente<br />
dell’integrità fisica perché l’estrazione di un dente sano<br />
rappresenta un indebolimento permanente dell’organo della<br />
masticazione, nonché di lesioni personali gravi.<br />
Nei trattamenti conservativo-protesici il rischio di contenzione è<br />
legato soprattutto a un non raggiungimento del risultato<br />
previsto nel caso di un restauro, soprattutto in zona estetica, o<br />
dell’applicazione di una protesi esteticamente e/o<br />
funzionalmente non corretta.<br />
Senza dubbio la disciplina odontoiatrica più a rischio è la<br />
chirurgia e, di conseguenza, l’implantologia. Pur essendo<br />
fondamentale per qualunque branca, il consenso informato è<br />
essenziale per le pratiche chirurgiche: il paziente deve sapere<br />
quali sono i rischi e le conseguenze ( dolore, gonfiore,<br />
impossibilità di alimentarsi ) legati all’intervento chirurgico che<br />
dovrà affrontare e deve impegnarsi rispettare categoricamente le<br />
indicazioni post-chirurgiche che gli da il suo odontoiatra ( igiene<br />
orale, alimentazione, farmaci, controlli periodici,…) perché è<br />
anche da queste che dipende la buona riuscita dell’intervento.
Il sanitario che si accinge ad affrontare un intervento chirurgico<br />
deve conoscere alla perfezione lo stato di salute generale del<br />
paziente perché questi interventi potrebbero portare ad uno<br />
stress fisico che persone con patologie sistemiche quali ad<br />
esempio cardiopatie, diabete, problemi ematici e della<br />
coagulazione potrebbero non sopportare. Anche un banale<br />
intervento odontoiatrico può avere ripercussioni generali<br />
importanti.<br />
Inoltre il paziente deve essere informato sul periodo di<br />
convalescenza che dovrà affrontare e che gli potrebbe impedire<br />
di praticare le sue attività quotidiane a seconda dell’importanza<br />
dell’intervento: se ciò non fosse l’odontoiatra potrebbe essere<br />
poi chiamato a rispondere di un eventuale danno patrimoniale<br />
da lucro cessante subito dal paziente che non ha potuto<br />
attendere alle sue mansioni lavorative a causa dei postumi<br />
dell’intervento.
2.3.1 Aspetti generali del consenso informato in<br />
odontoiatria<br />
Prima di intraprendere una qualsiasi cura odontoiatrica è<br />
necessario che sussista, da un lato, la richiesta del paziente e,<br />
dall’altro, un consenso consapevole in relazione a ciò che si<br />
andrà a operare sia in termini diagnostici che terapeutici.<br />
L’odontoiatra deve assolvere all’obbligo di informare il paziente<br />
con particolare scrupolo e attenzione.<br />
I mezzi di informazione sono sempre più veloci e le fonti sempre<br />
più accessibili (internet). L’informazione che si cerca è sempre<br />
maggiore, ma il sanitario ha il dovere di integrare e rendere<br />
accettabili, sotto il profilo umano, insostituibile da nessuno dei<br />
mezzi di comunicazione esistenti, tutti i risvolti clinici sulle<br />
terapie che si dovranno praticare. Il pubblico infatti sta<br />
ricevendo in questi ultimi anni, un’accresciuta informazione da<br />
parte dei mass-media sulle possibili e alternative terapeutiche e<br />
sui pregressi in campo scientifico.<br />
Tutto ciò però determina anche un aumento della fiducia nei<br />
mezzi della medicina e della chirurgia può indurre il paziente a<br />
diminuire la sua fiducia nel sanitario soprattutto quando la<br />
terapia non produce l’effetto desiderato, credendo che ciò sia da
addebitarsi al <strong>medico</strong>: i messaggi, a volte del tutto fuorvianti<br />
(dubbi e tutt’altro che certi), trasmessi sulla pubblicità sanitaria<br />
rischiano di creare nel paziente aspettative sovente ingiustificate<br />
o erronee attese di risultato. Per questo l’informazione deve<br />
essere precisa e chiara, oltre che comprensibile e adeguata al<br />
grado di cultura dell’interlocutore, onde evitare incomprensioni<br />
tra le parti destinate a sfociare in liti giudiziarie.<br />
L’informazione deve necessariamente tenere conto della<br />
particolarità dell’odontoiatria (ad esempio in caso di un restauro<br />
conservativo non è sufficiente il consenso generico del paziente<br />
ma bisogna, ad esempio, renderlo partecipe della scelta del<br />
materiale, estetico o meno, che andremo ad utilizzare); il<br />
paziente “…deve poter acconsentire ad una piuttosto che ad<br />
un’altra soluzione sulla base di un’adeguata informazione resa<br />
dall’odontoiatra sulle varie possibilità, sui rischi, benefici e sulle<br />
possibili alternative. Il paziente può decidere il tipo di terapia,<br />
solo dopo aver vagliato le possibilità, i rischi, le complicanze e le<br />
possibili alternative. Se ad una paziente le superfici masticanti dei<br />
premolari e molari inferiori vengono realizzate in metallo, cosa<br />
che non avrebbe assolutamente accettato se preventivamente
informata, avrà buone possibilità di risarcimento in un eventuale<br />
contenzioso.” 39 .<br />
Nella chirurgia orale e nell’implantologia ci sono molte più<br />
situazioni a rischio con possibili complicazioni e l’odontoiatra<br />
deve trasmettere un’accurata ed esauriente informazione, per<br />
permettere al paziente di esprimere un consenso consapevole,<br />
libero.<br />
A titolo di esempio possiamo far riferimento a quegli interventi<br />
chirurgici necessari ma non urgenti (urgenti sono quelli legati ad<br />
una patologia acuta in atto), considerati non indispensabili ma<br />
comunque opportuni: estrazione ottavi inclusi, apicectomie,<br />
inserimento di impianti.<br />
In questi casi l’informazione dell’odontoiatra deve<br />
necessariamente estendersi anche alle conseguenze poco<br />
gradevoli, per quanto temporanee, costituite dall’impossibilità di<br />
parlare agevolmente o dalla possibilità di tumefazioni<br />
antiestetiche di non immediata risoluzione: solo quando il<br />
paziente ha ricevuto queste informazioni può rilasciare un<br />
consenso consapevole e quindi valido.<br />
In difetto, l’odontoiatra potrebbe seriamente esporsi ad una<br />
azione di danni per inadempimento contrattuale: la violazione
del dovere di informare in maniera chiara ed esaustiva assume<br />
rilevanza dal punto di vista civilistico tutte le volte che da tale<br />
inadempimento sia conseguito un danno (risarcibile) per il<br />
paziente.<br />
In questo caso l’onere della prova incombe sul paziente, nel<br />
senso che è quest’ultimo che deve dimostrare i danni patiti, il<br />
nesso eziologico tra il danno e la terapia odontoiatrica, e di<br />
essersi sottoposto alla terapia stessa solo perché non gli erano<br />
stati prospettati i relativi rischi. Ma se un paziente non<br />
adeguatamente informato si ritrova ad esempio a non far fronte<br />
a impegni di lavoro prefissati nei giorni successivi all’intervento e<br />
per questo subisce un danno professionale di natura economica (<br />
“lucro cessante”, ossia un mancato guadagno), potrebbe<br />
agevolmente dimostrare che se fosse stato informato degli<br />
eventuali inconvenienti - gonfiore, tumefazione, difficoltà di<br />
parola – avrebbe rifiutato per il momento l’intervento.<br />
Il consenso deve essere prestato dal paziente solo dopo una<br />
completa ed esauriente informazione medica riguardo tutti gli<br />
aspetti favorevoli e sfavorevoli delle possibili complicanze della<br />
terapia che verrà effettuata, senza addentrarsi nei particolari<br />
tecnici sa non espressamente richiesti ma mettendo in risalto che
le tecniche e i materiali adottati sono conformi ai protocolli<br />
internazionali più accettati.<br />
2.3.2 L’importanza della documentazione clinica in<br />
odontoiatria<br />
Nell’ archivio che ogni odontoiatra dovrebbe avere per i suoi<br />
pazienti, è necessario raccogliere diversi documenti. Il primo è la<br />
scheda sulla privacy e di consenso al trattamento dei dati<br />
personali, come da obbligo del garante, poi la scheda di<br />
anamnesi, redatta durante la prima visita, nella quale sono<br />
raccolte tutte le informazioni generali sullo stato di salute del<br />
paziente: malattie del cuore, emorragiche, allergiche, del sistema<br />
nervoso, oltre che informazioni sulla salute dentarie e sulle<br />
precedenti cure odontoiatriche.<br />
Le scheda di anamnesi fa parte della cartella clinica dove viene<br />
poi trascritto, a seconda dei dati raccolti in precedenza e delle<br />
richieste del paziente, il piano di trattamento prescelto:<br />
l’odontoiatra però dovrà informare il paziente sui trattamenti<br />
alternativi e specificare i rischi e i benefici di quella che andrà ad<br />
attuare. Iniziata la terapia, la cartella clinica deve rappresentarne<br />
il diario cronologico in quanto vi si possono annotare gli esiti
delle sedute, anestetici utilizzati, i materiali, le reazioni del<br />
paziente dopo l’uso degli stessi, le eventuali assenza del paziente<br />
nel corso della terapia. È buona norma registrare anche le<br />
complicazioni emerse durante il trattamento e le precauzioni<br />
suggerite al paziente nella fase successiva, compresa la necessità<br />
delle visite periodiche di controllo.<br />
Necessari nella documentazione sono le radiografie (endorali,<br />
panoramiche, TC, Dentascan), modelli di studio di inizio e fine<br />
cura e valutazioni fotografiche. Non va sottovalutata<br />
l’importanza della scheda di preventivo, in cui vanno riportate<br />
le caratteristiche del lavoro da svolgere e i costi globali del<br />
trattamento: questo perché in ipotesi di controversia<br />
sull’onorario pattuito la mancanza di specifiche documentazioni<br />
rende ardua per l’odontoiatra la prova del suo effettivo<br />
ammontare.<br />
Una documentazione corretta e aggiornata è anche simbolo di<br />
un estrema professionalità dell’odontoiatra che svolge un lavoro<br />
preciso e affidabile col suo paziente; in più annotare tutte le fasi<br />
nei minimi dettagli, documentare il proprio lavoro con una<br />
buona iconografia e una cartella clinica precisa sono d’aiuto<br />
all’operatore in caso di contenzioso quale prova del suo
operato; una cartella clinica redatta in modo distratto e<br />
negligente potrebbe essere invece usata come elemento negativo<br />
nella valutazione dell’operato del dentista. Infatti, il giudizio del<br />
magistrato, non conoscendo le parti in causa, si basa solo sulla<br />
documentazione esibita dalle parti. Un errore professionale non<br />
esime dalla colpa, anche in presenza del consenso informato e<br />
della documentazione appropriata, ma, in caso di richiesta<br />
pretestuosa, sarà la prova documentata che il sanitario ha agito<br />
secondo scienza e coscienza.<br />
3. IL DANNO BIOLOGICO<br />
La figura del danno biologico è venuta creandosi nel corso degli<br />
anni ad opera della giurisprudenza e si è affiancata alle figure del<br />
danno patrimoniale e del danno morale previste dalla legge. Il<br />
danno patrimoniale si verifica nel momento in cui vi è un danno<br />
che colpisce la sfera patrimoniale del soggetto e viene risarcito ai<br />
sensi dell'art. 2043 del Codice civile ( Risarcimento per fatto<br />
illecito: “ Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri<br />
danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire<br />
il danno “. ). Nel danno patrimoniale posso essere individuate<br />
due sottocategorie: il danno emergente, cioè il danno che emerge
dalle conseguenze del fatto stesso, e il lucro cessante, nel caso in<br />
cui il danno provochi al soggetto una diminuzione della sua<br />
attività produttiva protratta nel tempo. Il danno morale, invece,<br />
viene a sussistere tutte le volte in cui non vi sia un danno<br />
patrimoniale ma comunque una specifica disposizione di legge a<br />
carattere penale così come stabilito dall'art. 2059 del Codice civile<br />
( Danno non patrimoniale: “ Il danno non patrimoniale deve<br />
essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge “). Il danno<br />
biologico o danno alla salute viene in considerazione anche in<br />
totale assenza di un danno patrimoniale o di un illecito penale; è<br />
espressione del diritto alla salute e come diritto inviolabile di<br />
rilevanza costituzionale va sempre risarcito nel momento in cui<br />
viene leso.<br />
I tipi di danno sono:<br />
danno composito: se gli esiti permanenti di una lesione<br />
corrispondono a più voci, riferite a un organo o apparato<br />
contenute in tabella, si rileva un danno composito; il valore di<br />
danno deve fare riferimento alla globale riduzione dell’integrità di<br />
un determinato distretto anatomo-funzionale;
danno plurimo monocromo: è il danno permanente formato<br />
da lesioni plurime monocrome che interessano più organi o<br />
apparati;<br />
menomazioni preesistenti: è la definizione del danno che<br />
interessa organi o apparati già sede di patologia o di esiti di<br />
patologia. La giurisprudenza ha individuato i caratteri essenziali<br />
della figura del danno biologico "nella menomazione dell'integrità<br />
psicofisica della persona in sé e per sé considerata, in quanto<br />
incidente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione, che<br />
non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si<br />
collega alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto<br />
nell'ambiente in cui la vita si esplica, ed aventi rilevanza non solo<br />
economica, ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica"<br />
(Cass. 90/7101; Cass. Sez. Lav. 88/5033; Corte di Cassazione<br />
Civile n.2883 del 1988). L'individuazione del contenuto del<br />
danno biologico e la sua conseguente differenza dal danno<br />
morale o patrimoniale, è stata ben espressa dalla Corte<br />
Costituzionale sentenza n.184 del 1986. Sebbene la Corte<br />
Costituzionale abbia stabilito la non coincidenza tra le due<br />
definizioni di danno, la Cassazione n. 1130 del 1985 ha espresso il<br />
concetto per cui il danno biologico, come menomazione
dell'integrità psicofisica della persona, costituisce un danno<br />
ingiusto di natura patrimoniale, in quanto colpisce un valore<br />
essenziale che fa parte integrante di quel complesso di beni di<br />
esclusiva e diretta pertinenza del danneggiato.<br />
3.1 CONTENUTI DEL DANNO BIOLOGICO<br />
Il danno alla salute deve essere risarcito in ogni caso di danno alla<br />
persona, mentre il danno morale e quello patrimoniale per<br />
perdita di capacità lavorativa e di reddito lo saranno solo se,<br />
quanto al primo, derivi da un atto illecito che abbia carattere<br />
penale, quanto al secondo sia dimostrata la effettiva diminuzione<br />
patrimoniale. La figura del danno alla salute si venne così<br />
individuando come figura a sé stante appunto come tertium genus<br />
del danno. La lesione che produce il danno alla salute riguarda il<br />
"valore uomo", per le attitudini non lucrative ed i servizi resi a se<br />
stessi (vestirsi, aver cura della propria persona, camminare,<br />
guidare ecc.) che la lesione ostacola, impedisce o rende comunque<br />
difficoltosa, e per le ripercussioni negative in ogni ambito in cui si<br />
svolge la personalità dell'uomo. La lesione alla salute è prova di<br />
per sé dell'esistenza del danno, ma non della sua entità, che va<br />
provata ai fini del quantum. "Il bene della salute costituisce, come
tale, oggetto di autonomo diritto primario assoluto, sicché il<br />
risarcimento dovuto per la sua lesione non può essere limitato alle<br />
conseguenze che incidono soltanto sull'idoneità a produrre<br />
reddito, ma deve autonomamente comprendere il c.d. danno<br />
biologico – in cui vanno ricomprese quelle forme di danno non<br />
incidenti sulla capacità di produrre reddito – inteso come la<br />
menomazione dell'integrità psicofisica della persona in sé e per sé<br />
considerata, in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua<br />
dimensione, che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre<br />
ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali<br />
riguardanti il soggetto nel suo ambiente di vita ed aventi rilevanza<br />
non solo economica ma anche biologica, sociale, culturale ed<br />
estetica" (Cass. Civile n.7101 del 1990). Nel corso degli anni in<br />
questa categoria del danno alla salute sono venuti inserendosi<br />
diverse tipologie di danno da quello alla vita di relazione, inteso<br />
come danno che incide negativamente sull'esplicazione di attività<br />
diverse da quella lavorativa normale, come le attività sociali e<br />
ricreative (Cass. Civile n.9170 del 1994) a quello del danno alla<br />
sfera sessuale, consistente nella menomazione anatomo-funzionale<br />
del soggetto, idonea a modificarne le preesistenti condizioni<br />
psicofisiche, e quindi ad incidere negativamente sulla sfera
individuale (Cass. Civile n.6536 del 1990) al danno estetico come<br />
lesione delle funzioni naturali dell'uomo nella sua dimensione<br />
(Cass. civile n.411 del 1990). Volendo sintetizzare quelli che la<br />
giurisprudenza ha inteso indicare come sintomi dell'esistenza di un<br />
danno biologico possiamo indicare:<br />
modificazione dell'aspetto esteriore, ossia dei caratteri<br />
morfologici della persona;<br />
riduzione dell'efficienza psicofisica, ossia ridotta possibilità di<br />
utilizzare il proprio corpo;<br />
riduzione della capacità sociale, ossia dell'attitudine della<br />
persona ad affermarsi nel consorzio umano mediante la sua vita<br />
di relazione con gli altri;<br />
riduzione della capacità lavorativa generica, ossia dell'attitudine<br />
dell'uomo al lavoro in generale;<br />
perdita di chances lavorative o lesione del diritto alla libertà di<br />
scelta del lavoro;<br />
maggior fatica nell'espletamento del proprio lavoro, senza<br />
perdita di guadagno;<br />
usura delle forze lavorative di riserva, quando non renda<br />
necessario il prepensionamento.
3.2 IL DANNO PSICHICO<br />
Questa figura di danno, ancora in corso di definizione ad opera<br />
della dottrina e della giurisprudenza, si differenzia dal danno<br />
prettamente fisico, possibile oggetto di risarcimento per danno<br />
biologico, dal momento che esso non ha una manifestazione<br />
esteriore tangibile, ma solamente una manifestazione di tipo<br />
comportamentale. La lesione fisica lascia sempre una traccia<br />
tangibile, la lesione psichica invece ha delle manifestazioni di<br />
carattere nervoso e psichico che non sempre hanno delle<br />
ripercussioni sul corpo del soggetto. Occorrerà quindi una analisi<br />
di differente tipologia sul soggetto affetto da patologia di<br />
carattere psichico al fine di accertare se e in quale misura tali<br />
manifestazioni di comportamento costituiscano menomazione nel<br />
senso tecnico-giuridico del termine, ossia nella sua accezione<br />
<strong>medico</strong> legale, per poi risalire dalla menomazione alla lesione<br />
psichica ed al fatto illecito. Certamente dovrà essere preso in<br />
considerazione il fattore effetto, ovvero la ripercussione che tale<br />
danno sta avendo sulla vita del soggetto che si pretende aver<br />
subito la lesione.<br />
La menomazione psichica consiste nella riduzione, temporanea o<br />
permanente, di una o più funzioni psichiche della persona, la
quale, incidendo sul valore uomo globalmente inteso, impedisce<br />
alla vittima di attendere in tutto o in parte alle sue ordinarie<br />
occupazioni di vita.<br />
Ciò che risulta difficile per l'interprete è di individuare il nesso<br />
causale, che deve essere sempre presente nel rapporto causa-<br />
effetto, tra danno psichico e fatto lesivo.<br />
3.3 CRITERI DI VALUTAZIONE DEL DANNO<br />
L'onere della prova che incombe su colui che agisca in giudizio per<br />
il risarcimento del danno alla persona, assume contenuti diversi in<br />
relazione alla natura del danno del quale si pretende il<br />
risarcimento, a seconda che si tratti di danno biologico o di danno<br />
patrimoniale in senso stretto. Dato che non sempre il danno alla<br />
salute si viene a trovare in concomitanza con un danno<br />
patrimoniale, ma dato che si è pur sempre in presenza di un<br />
danno, è sorta la necessità di trovare dei criteri equilibrati,<br />
generici e sempre applicabili per poter quantificare in termini<br />
economici il risarcimento per il danno subito. Poiché il danno<br />
biologico si identifica con l'evento dannoso e si qualifica dunque<br />
come danno-evento, una volta dimostrata la lesione, si è anche<br />
dimostrata l'esistenza del danno biologico, in quanto il fatto
costitutivo del diritto al risarcimento del danno si identifica con la<br />
lesione stessa, pur permanendo la necessità di provare l'entità<br />
della menomazione dell'integrità psicofisica subita. In questo caso<br />
il tema probatorio è circoscritto all'esistenza di una lesione<br />
personale e di una menomazione a questa conseguente.<br />
Per quanto riguarda la prova questa dovrà basarsi su di una<br />
perizia <strong>medico</strong>-legale che accerti il grado di invalidità subito dal<br />
soggetto leso. Ultimamente, dato che spesso la menomazione<br />
viene quantificata dal <strong>medico</strong> in termini di percentuale di<br />
invalidità (invalidità intesa come incapacità psicofisica di attendere<br />
alle normali attività della vita quotidiana), molti tribunali hanno<br />
elaborato una tabella, che tenendo conto del grado di invalidità e<br />
dell'età dell'individuo, indica una cifra che può venire considerata<br />
come base di partenza per quantificare il quantum del<br />
risarcimento. Non costituiscono tuttavia una certezza per il<br />
soggetto che ha subito un danno biologico, ma possono essere<br />
considerate, in buona misura, un criterio abbastanza preciso.
TABELLA DEL DANNO BIOLOGICO DI LIEVE ENTITA'<br />
(art. 139 del Dlgs 209/2005)<br />
(Tabella aggiornata al D.M. 24/6/2008, pubblicato sulla G.U.del 30 giugno 2008)<br />
Punti di<br />
invalidità<br />
Età<br />
1 2 3 4 5 6 7 8 9<br />
1 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />
2 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />
3 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />
4 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />
5 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />
6 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />
7 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />
8 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />
9 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />
10 720,95 1586,09 2595,42 3748,94 5407,13 7353,69 9588,64 12111,96 14923,67<br />
11 717,35 1578,16 2582,44 3730,20 5380,09 7316,92 9540,69 12051,40 14849,05<br />
12 713,74 1570,23 2569,47 3711,45 5353,05 7280,15 9492,75 11990,84 14774,43<br />
13 710,14 1562,30 2556,49 3692,71 5326,02 7243,38 9444,81 11930,28 14699,81<br />
14 706,53 1554,37 2543,51 3673,96 5298,98 7206,62 9396,86 11869,72 14625,19<br />
15 702,93 1546,44 2530,53 3655,22 5271,95 7169,85 9348,92 11809,16 14550,57<br />
16 699,32 1538,51 2517,56 3636,47 5244,91 7133,08 9300,98 11748,60 14475,96<br />
17 695,72 1530,58 2504,58 3617,73 5217,88 7096,31 9253,03 11688,04 14401,34<br />
18 692,11 1522,65 2491,60 3598,98 5190,84 7059,54 9205,09 11627,48 14326,72<br />
19 688,51 1514,72 2478,63 3580,24 5163,80 7022,77 9157,15 11566,92 14252,10<br />
20 684,90 1506,79 2465,65 3561,49 5136,77 6986,01 9109,20 11506,36 14177,48<br />
21 681,30 1498,86 2452,67 3542,75 5109,73 6949,24 9061,26 11445,80 14102,86<br />
22 677,69 1490,92 2439,69 3524,00 5082,70 6912,47 9013,32 11385,24 14028,25<br />
23 674,09 1482,99 2426,72 3505,26 5055,66 6875,70 8965,37 11324,68 13953,63<br />
24 670,48 1475,06 2413,74 3486,51 5028,63 6838,93 8917,43 11264,12 13879,01<br />
25 666,88 1467,13 2400,76 3467,77 5001,59 6802,16 8869,49 11203,56 13804,39<br />
26 663,27 1459,20 2387,79 3449,02 4974,56 6765,39 8821,54 11143,00 13729,77<br />
27 659,67 1451,27 2374,81 3430,28 4947,52 6728,63 8773,60 11082,44 13655,15<br />
28 656,06 1443,34 2361,83 3411,54 4920,48 6691,86 8725,66 11021,88 13580,54<br />
29 652,46 1435,41 2348,86 3392,79 4893,45 6655,09 8677,71 10961,32 13505,92<br />
30 648,86 1427,48 2335,88 3374,05 4866,41 6618,32 8629,77 10900,76 13431,30<br />
3.3.1 Criteri di valutazione del danno dentario
Per valutare correttamente l’entità del danno alla persona<br />
conseguente alla perdita dentaria totale o parziale, è necessario<br />
esaminare i vari fattori correttivi quali lo stato anteriore, il<br />
coefficiente di antagonismo, il danno dentario specifico, la<br />
possibilità di masticazione, il tipo di protesi e l’attività<br />
professionale.<br />
Lo stato anteriore della dentatura rappresenta il parametro che<br />
permette di definire il danno rispetto alla reale situazione clinica<br />
del soggetto. La situazione va graduata in base alla preesistenza di<br />
lesioni cariose, paradontopatie, situazioni malocclusive che<br />
possono ridurre il valore dei singoli elementi. Tuttavia<br />
l’importanza di una singola unità alveolo-dentaria potrà essere<br />
anche notevolmente aumentata rispetto ai valori proposti se, per<br />
motivi connessi alla funzione di supporto di protesi, la sua<br />
presenza ha un significato fondamentale nel vicariare altri<br />
elementi dentari, svolgendo quindi funzioni superiori a quelle che<br />
normalmente le competono (supporto di uno scheletrato,…).<br />
L’incidenza dello stato anteriore sulla valutazione del danno<br />
dentario non può essere valutata in percentuali fisse, poiché si<br />
deve adeguare alla variabilità della realtà clinica, determinabile di<br />
volta in volta con riferimento a parametri clinici, quali, per
esempio, l’indice di placca, l’altezza dell’osso alveolare o la<br />
mobilizzazione degli elementi. Si deve inoltre tener presente che<br />
l’obiettivazione dello stato anteriore è, in genere, molto<br />
complessa per la scarsezza della documentazione clinica pre-<br />
trattamento al momento della valutazione del danno.<br />
Il coefficiente di antagonismo è stato sempre valutato<br />
considerando il concetto di “coppia masticatoria” e non di<br />
“trigono dentario”, più corretto dal punto di vista dell’occlusione<br />
fisiologica.<br />
L’incidenza del danno dentario specifico sulla capacità lavorativa<br />
del soggetto è molto importante ai fini della valutazione del<br />
danno. E’ ostacolato infatti l’esercizio di quelle professioni che<br />
richiedono l’integrità degli elementi dentari (soprattutto quelli<br />
frontali) come i suonatori di strumenti musicali a fiato e quelle in<br />
cui l’uso della favella costituisce strumento preminente di lavoro<br />
(avvocati, insegnanti, rappresentanti di commercio, cantanti) ed<br />
infine quelle in cui anche il pregiudizio estetico può configurare<br />
una menomazione specifica (attori, fotomodelle).<br />
Va sottolineato che la sostituzione con protesi non reintegra<br />
completamente le funzioni del dente perduto e non ripristina lo<br />
“stato anteriore” del soggetto leso. Secondo alcuni autori la forza
masticatoria esplicabile dopo l’applicazione di una protesi<br />
varierebbe da 1/10 ad 1/6 di quella naturale per la protesi totale<br />
rimovibile, mentre per quella fissa sarebbe di circa 1/2. Inoltre la<br />
protesizzazione non elimina alcune conseguenze inevitabili<br />
causate dalla perdita del dente come il riassorbimento locale<br />
dell’osso alveolare. Per alcuni Autori l’impianto assolverebbe<br />
invece anche a questa funzione 13 .<br />
Infine, per un corretto risarcimento del danno nelle lesioni<br />
dentarie, è necessario prendere in considerazione le cosiddette<br />
“spese future”, che, come danno emergente, assumono una<br />
rilevanza monetaria a volte esorbitante rispetto a quella<br />
dell’effettivo danno alla persona, in funzione delle spese<br />
necessarie al rimedio funzionale cui il leso si è sottoposto o dovrà<br />
sottoporsi.<br />
4. CONFINE TRA ERRORE E COMPLICANZA
Anche al <strong>medico</strong>, come a qualsiasi altro soggetto, si applica il<br />
principio per il quale egli risponde in sede penale e civile<br />
dell’eventuale danno che arrechi a terzi. Risponde in caso di<br />
comportamento imperito, imprudente, negligente o in caso di<br />
inosservanza di norme e regolamenti cui il sanitario è tenuto ad<br />
attenersi. Ciò che acquista rilievo ed è oggetto di analisi è l’ipotesi<br />
colposa, per la valutazione della cui responsabilità occorre<br />
individuare l’esistenza degli elementi costitutivi del danno civile<br />
ossia l’evento, l’elemento c.d. soggettivo (la colpa appunto) il<br />
nesso causale e infine il danno.<br />
Perché la colpa medica possa acquistare rilievo in sede giuridica,<br />
occorre che al comportamento colposo consegua un danno,<br />
lesioni o morte del paziente. Inoltre, perché il danno sia<br />
attribuibile all’erroneo agire del sanitario, con la conseguente<br />
affermazione di responsabilità per colpa, occorre dimostrare il<br />
collegamento causale tra i due eventi.<br />
“Non è sempre agevole in una professione che affronta una<br />
materia biologica, assolutamente imprevedibile per autonoma ed<br />
individuale reazione, non solo ad uno stimolo patogeno, ma<br />
anche all’azione di un farmaco, dimostrare tale rapporto causale,<br />
per cui se l’argomento è tema di accanite e costanti dispute in
dottrina, esso rileva anche nelle aule giudiziarie laddove si spazia<br />
tra teoria dell’efficienza, ovvero dell’idoneità, e teoria<br />
condizionalistica; l’esasperazione di questa diversa impostazione<br />
giuridica è prevalente in ambito penale, laddove in civile,<br />
l’impossibilità a comprovare da parte del <strong>medico</strong> il suo corretto<br />
operato porta a sentenze che hanno inserito nel diritto il principio<br />
di una riconosciuta responsabilità in base alla sola presunzione di<br />
colpa”.<br />
Il comportamento <strong>medico</strong> ritenuto censurabile è caratterizzato dal<br />
verificarsi di un evento avverso, il quale di per sé non sempre<br />
configura un errore ma più spesso è l’effetto di una complicanza<br />
che non consegue necessariamente ad un comportamento<br />
colposo.<br />
Il danno che configura colpa medica e responsabilità professionale<br />
è invece quello che consegue ad un errore: quest’ultimo può<br />
essere scusabile o inescusabile e solo di quest’ultimo il sanitario<br />
risponde in sede giudiziaria.<br />
A questo punto è d’obbligo fare una distinzione tra l’errore<br />
<strong>medico</strong> e la complicanza.<br />
Si definisce “errore <strong>medico</strong>” un’omissione di intervento, o un<br />
intervento inappropriato, a cui consegue un evento avverso
clinicamente significativo. Rientra nella definizione il concetto che<br />
non tutti gli eventi avversi sono dovuti ad errori, ma solo quelli<br />
evitabili. La stima della frequenza degli errori è difficile: uno degli<br />
ostacoli maggiori è il timore di conseguenze amministrative o<br />
<strong>medico</strong>-<strong>legali</strong>, che spinge chi ha commesso un errore a negarlo e<br />
comunque a non comunicarlo; inoltre, non sempre è facile<br />
stabilire se un evento avverso sarebbe stato evitabile (e dunque<br />
dovuto a errore) oppure no.<br />
L’ostacolo alla dichiarazione degli errori è il timore di<br />
provvedimenti punitivi o di conseguenze <strong>medico</strong>-<strong>legali</strong>; sarebbe<br />
dunque necessario un sistema che consentisse di mantenerli<br />
confidenziali.<br />
La complicanza invece è un evento negativo che può anche non<br />
dipendere necessariamente dal comportamento sbagliato<br />
dell’operatore sanitario.<br />
Gli studi sull’errore in medicina si concentrano prevalentemente<br />
sugli eventi avversi consecutivi a trattamenti inappropriati o<br />
sull’omissione di interventi necessari; si tratta cioè di errori<br />
terapeutici. Gli errori di diagnosi conducono a eventi avversi in<br />
modo indiretto, per conseguenti interventi terapeutici sbagliati o<br />
per omissione o ritardo di interventi necessari. L’idea tradizionale
che l’errore è dovuto alla colpa individuale di chi lo commette<br />
genera due effetti negativi. Primo, chi commette un errore tende a<br />
nasconderlo, e non certo a dichiararlo spontaneamente; secondo,<br />
nella prevenzione degli errori si ignora la corresponsabilità, spesso<br />
preminente, delle cause remote. Nella concezione attuale si<br />
distinguono tre livelli causali degli errori medici:<br />
• cause remote;<br />
• cause immediate, dovute all’errore del singolo operatore;<br />
• insufficienza o fallimento dei meccanismi che avrebbero dovuto<br />
impedire le conseguenze negative dell’errore. L’errore quindi non<br />
deve essere attribuito solo e unicamente alla persona che l’ha<br />
commesso ma concorrono al verificarsi di questo difetti<br />
organizzativi, carenze strutturali e di attrezzature, carico di lavoro<br />
eccessivo o maldistribuito, mancata supervisione, cattiva<br />
comunicazione fra operatori e altri fattori. Anche i difetti di<br />
competenza clinica e di esperienza dei singoli operatori derivano<br />
in parte da errori a monte, quali la mancanza di programmi di<br />
educazione continua e il cattivo coordinamento fra operatori<br />
esperti e novizi.<br />
Cause remote di errore in medicina<br />
1. Carico di lavoro eccessivo
2. Supervisione inadeguata<br />
3. Struttura edilizia dell’ambiente di lavoro o tecnologie<br />
inadeguate<br />
4. Comunicazione inadeguata fra operatori<br />
5 Competenza o esperienza inadeguate<br />
6. Ambiente di lavoro stressante<br />
7. Recente e rapida modificazione dell’organizzazione di lavoro<br />
Da BMJ 1998;316:1154-7 (18)BOX 1<br />
BOX 2<br />
Cause immediate di errore in medicina dovute all’operatore<br />
1. Omissione di un intervento necessario<br />
2. Errori per scarsa attenzione, negligenza<br />
3. Violazioni di un procedimento diagnostico o terapeutico<br />
appropriato<br />
4. Inesperienza in una procedura diagnostica o terapeutica<br />
invasiva definita<br />
5. Difetto di conoscenza<br />
6. Insufficiente competenza clinica<br />
7. Insufficiente capacità di collegare i dati del paziente con le<br />
conoscenze acquisite<br />
8. Prescrizione:<br />
a. ricetta illeggibile<br />
b. spiegazioni insufficienti e compliance insufficiente<br />
Da BMJ Publ Group 1995:31-54, sintesi (16) e da BMJ 1998;316:1154-7 (18)<br />
4.1 PREVENZIONE DI ERRORI E COMPLICANZE
Per evitare il verificarsi di complicanze legate all’intervento è<br />
opportuno innanzitutto fare una buona diagnosi utilizzando tutti<br />
gli strumenti a disposizione, per accertarsi che non ci siano<br />
condizioni sistemiche o locali che possano influire negativamente<br />
sull’operato del professionista.<br />
Un’ attenta pianificazione del trattamento e un’esecuzione<br />
dell’intervento precisa e coerente con le linee guida relative ad<br />
esso concorrono al raggiungimento dello scopo voluto senza il<br />
verificarsi di complicanze.<br />
È importante però ricordare che le complicanze possono<br />
verificarsi anche nel periodo postoperatorio quindi è compito<br />
dell’operatore informare il paziente degli accorgimenti che<br />
dovrà seguire una volta dimesso e monitorare l’andamento della<br />
situazione clinica periodicamente.<br />
Per quanto riguarda l’errore invece le strategie di prevenzione<br />
devono essere pluridirezionali.<br />
È stata sottolineata recentemente l’importanza di una migliore<br />
conoscenza della tipologia degli errori medici, per ottenere la<br />
quale sarebbe necessario istituire sistemi che consentano ai<br />
medici di riportare i propri errori in anonimo e con la garanzia<br />
della riservatezza.
Nell’attuale ottica sistemica di riduzione dell’errore la strategia<br />
più semplice di prevenzione appare quella di progettare sistemi<br />
che proteggano gli operatori dagli errori cognitivi, rendendoli<br />
più visibili e intercettabili.<br />
Partendo dal presupposto che gli errori non possono essere del<br />
tutto debellati, la loro riduzione è tuttavia conseguibile<br />
attraverso opportune modifiche di sistema:<br />
riduzione della complessità dei compiti: eliminazione delle<br />
tappe non necessarie, miglioramento delle informazioni,<br />
uniformazione delle procedure;<br />
ottimizzazione del sistema informativo: adozione di liste di<br />
controllo, protocolli, procedure scritte;<br />
introduzione di procedure automatizzate finalizzate al<br />
miglioramento qualitativo del sistema;<br />
progettazione ed introduzione di barriere protettive: fisiche,<br />
procedurali (eliminazione delle sostanze pericolose), culturali<br />
(eliminazione delle abbreviazioni con obbligo di redazione di<br />
una prescrizione completa);<br />
la costruzione e il mantenimento di una cultura della<br />
sicurezza;
limitazione dei danni: pronto riconoscimento dell’errore e sua<br />
visibilità, prevenzione dell’eventuale danno, monitoraggio delle<br />
situazioni a rischio.<br />
5. LINEE GUIDA IN IMPLANTOLOGIA: LA<br />
DOCUMENTAZIONE DEL CASO E LA COMUNICAZIONE COL<br />
PAZIENTE: DALLA PRIMA VISITA AI RICHIAMI<br />
L’implantoprotesi, nell’ultimo decennio, ha avuto una grande<br />
diffusione. Sono tanti gli operatori che si dedicano a questa<br />
specialità e sempre di più i pazienti che vi ricorrono in alternativa<br />
alla protesi convenzionale. L’ampia diffusione di questa metodica<br />
rende necessario uniformare, oltre ai protocolli operativi, anche il<br />
modo di comunicare col paziente e la gestione della cartella<br />
clinica. Tutto ciò è mirato ad avere sempre sotto controllo tutte le<br />
fasi cliniche. L’esperienza operativa ci consente di prevenire e<br />
trattare i problemi chirurgici e protesici, ma una corretta gestione<br />
della documentazione, sia iconografica che clinica, rende possibile<br />
una migliore comunicazione e facilita la gestione di un eventuale<br />
contenzioso. Le linee guida possono essere riassunte<br />
schematicamente:
informazione al paziente sull’implantologia in generale<br />
durante la prima visita (presupposti, fasi cliniche chirurgiche e<br />
protesiche, periodicità e importanza dei controlli) e sui possibili<br />
fallimenti e loro cause;<br />
adattabilità dell’implantologia al singolo caso: illustrare<br />
benefici, rischi e possibili alternative protesiche, fare un’ accurata<br />
anamnesi generale e odontoiatrica, valutare lo stato di salute,<br />
l’eventuale assunzione di farmaci, l’abitudine al fumo; a questo<br />
punto si procede con l’esame obiettivo stomatologico che<br />
permette di valutare lo stato dei tessuti molli, lo stato e il numero<br />
degli elementi presenti, le condizioni dell’articolazione<br />
temporomandibolare. L’obbiettivo di questa due fasi preliminari è<br />
informare sulle possibilità del trattamento implanto-protesico,<br />
ponendo in giusto risalto i benefici e le possibilità di fallimento.<br />
Una volta deciso di intraprendere il trattamento implanto-<br />
protesico è bene fare degli esami utili alla documentazione clinica:<br />
impronte di studio, fotografie intraorali, dei settori frontali e<br />
laterali e delle particolari zone di interesse clinico, radiografie<br />
(OPT, endorali, TC con dentascan o RMN secondo la complessità<br />
del caso o della zona d’intervento).
Obiettivo di questa fase è documentare il caso in maniera<br />
completa: ciò aiuta sia nella comunicazione con il paziente sia<br />
nella preparazione della fase chirurgica.<br />
fase prechirurgica: realizzare modelli di studio e ceratura<br />
diagnostica, compilare il consenso informato personalizzato e<br />
dettagliato con le varie fasi, illustrare al paziente la diagnosi con le<br />
componenti cliniche ed estetiche e le fasi dell’intervento, istruire<br />
sulle norme da osservare prima dell’intervento, consegnare una<br />
copia del consenso informato, far sottoscrivere la copia da<br />
conservare, consegnare la ricetta con le prescrizioni<br />
farmacologiche e le norme post-intervento. È buona norma, la<br />
sera dopo l’intervento e nei giorni seguenti, informarsi sulla salute<br />
del paziente e sul buon andamento della convalescenza.<br />
richiami postchirurgici da effettuare ogni mese per i controlli<br />
obiettivi e radiografici fino alla fase protesica. Ad ogni controllo è<br />
opportuno riportare sul diario clinico le osservazioni quali: il<br />
mantenimento di una corretta igiene orale, il buon andamento<br />
dei processi di guarigione, eventuali complicanze e prescrizioni<br />
farmacologiche…<br />
fase protesica: alla consegna del provvisorio sono utili le<br />
raccomandazioni sul tipo di igiene e sulle precauzioni da
osservare. È importante documentare con foto e rx la fase<br />
protesica. I controlli prima del definitivo devono essere eseguiti<br />
periodicamente e annotate sul diario clinico le osservazioni.<br />
richiami dopo la fase protesica: alla consegna del definitivo<br />
il paziente deve essere invitato ai controlli periodici, che devono<br />
avvenire, nel suo interesse, secondo i protocolli attuali, dopo il<br />
primo mese, dopo 3 mesi e ogni 6 mesi.<br />
L’ obbiettivo è far capire al paziente l’importanza della terapia<br />
terminata e che solo il rispetto delle prescrizioni e la puntualità<br />
nei controlli sono necessari alla durate nel tempo e a prevenire e<br />
a trattare in modo semplice e immediato eventuali problemi.<br />
6. MALPRACTICE E MEDICINA DIFENSIVA
La malpractice medica è “la cattiva condotta per scarsa abilità o<br />
negligenza che provoca danni al paziente” (The American<br />
Heritage Dictionary).<br />
È necessario riconoscere che, a monte della questione della<br />
malpractice (mala praxis = cattiva condotta) e della crescente<br />
problematicità della sua gestione, c’è una crisi del rapporto<br />
fiduciario alla base della relazione fra paziente e <strong>medico</strong> e di<br />
quello, più in generale, dei cittadini nei confronti della sanità,<br />
pubblica e privata.<br />
Se i messaggi dei media, da una parte, alimentano nei cittadini<br />
grandi aspettative circa i traguardi sempre più avanzati raggiunti<br />
dalla medicina in ogni settore, se crescono il consenso e la<br />
partecipazione ad iniziative solidaristiche anche di massa a<br />
sostegno della ricerca, d’altro canto, gli stessi mezzi di<br />
comunicazione danno sempre più frequentemente spazio e risalto<br />
a notizie di cronaca nelle quali i pazienti sono vittime di errori<br />
medici di grande gravità, spesso del tutto ingiustificabili. Tutto ciò<br />
getta, comprensibilmente, il mondo degli utenti dei servizi sanitari<br />
in uno stato di profondo disorientamento.<br />
Ma anche per i professionisti della sanità, compressi tra la ricerca<br />
delle migliori cure per il paziente, le disposizioni spesso
paralizzanti degli organi di amministrazione in un regime di tagli<br />
alla spesa sempre più invasivi, la fallibilità umana e la litigiosità in<br />
aumento, il momento è incerto e sicuramente difficile. Lo<br />
testimoniano l'incremento del numero di denunce presso<br />
l’autorità giudiziaria contro i medici per i loro presunti errori (le<br />
cifre per l’Italia, secondo un’indagine dell’ANIA vanno dalle<br />
17.000 denunce dei medici nel 1996 alle 28.000 del 2006, con un<br />
aumento del 66%") e la continua pressione di stampa e<br />
televisione, a volte, responsabili di operazioni a carattere<br />
marcatamente scandalistico.<br />
Il tema della malpractice sanitaria, dunque, è fatto di due aspetti<br />
inscindibili: quello del paziente, che sente diminuire drasticamente<br />
la fiducia nei confronti della sanità e dei medici e teme che sia<br />
negato il proprio diritto costituzionale alla tutela della salute e<br />
quello del <strong>medico</strong>, per il quale essere sottoposto ad un giudizio<br />
produce danni pesanti, perfino incancellabili dal punto della<br />
credibilità professionale, anche nel caso di una piena assoluzione.<br />
Tra i medici italiani oggi in Italia, molto più che in passato, la<br />
paura di un contenzioso dilaga. Infatti l'87,6% di essi ritiene che il<br />
rischio di ricevere un esposto o una denuncia da parte dei pazienti<br />
sia oggi più elevato. Questa percentuale, quasi plebiscitaria,
emerge dall'indagine “Medici in difesa, prima ricerca del<br />
fenomeno in Italia: numeri e conseguenze”, commissionata<br />
dall'Ordine dei medici della Provincia di Roma e condotta su 800<br />
camici bianchi attraverso dei questionari. A stupire di più sono i<br />
dati scorporati per provenienza dei medici o specialità. Infatti a<br />
sentirsi potenzialmente “a rischio” è il 93,8% di chi lavora negli<br />
ospedali pubblici, soprattutto gli anestesisti (96,8%), i chirurghi<br />
(98,9%) e il totale di ortopedici e ginecologi. La percezione del<br />
rischio è tale che solo il 6,7% dei sanitari si sente di escludere la<br />
probabilità di una denuncia a suo carico. I timori maggiori, rivela<br />
lo studio, toccano i giovani medici fino ai 34 anni e gli uomini in<br />
generale. Le paure di vedersi citare in tribunale sono tali da far<br />
ritenere all'89,8% dei medici molto rischioso, oggi, affidarsi alla<br />
sola analisi clinica e non anche a quella tecnologica, per formulare<br />
una diagnosi. Da qui il proliferare di prestazioni mediche e<br />
ricoveri, oltre che di ricette di farmaci, con l'obiettivo di non<br />
assumersi troppe responsabilità.<br />
Queste dinamiche sono alla base del prodursi del meccanismo<br />
perverso noto come “medicina difensiva”.<br />
Questo meccanismo è costituito dalla sistematica e consapevole<br />
prescrizione di farmaci, procedure terapeutiche o accertamenti
diagnostici non necessari alla salute del paziente (si parla in questo<br />
caso di tipologia positiva o commissiva), ovvero dalla tendenza<br />
ad evitare prestazioni ad alto rischio (tipologia negativa od<br />
omissiva), al solo fine di prevenire denunce giudiziarie, ma con<br />
ovvie ripercussioni negative, non solo sulla salute del paziente, ma<br />
anche sul piano dei costi.<br />
Secondo la definizione di Fiori “la medicina difensiva è<br />
identificabile in una serie di decisioni attive od omissive,<br />
consapevoli ma non di rado inconsapevoli o non specificatamente<br />
meditate, che non obbediscono al criterio essenziale del bene del<br />
malato nel rispetto di un equilibrato rapporto costo beneficio,<br />
bensì all’intento di evitare accuse per non aver effettuato tutte le<br />
indagini e tutte le cure conosciute o al contrario per aver<br />
effettuato trattamenti gravati da alto rischio di insuccessi e<br />
complicanze” 25 .<br />
Nella sua versione negativa-omissiva, questa pratica, diffusissima<br />
all’estero, arriva a spingersi al progressivo abbandono di<br />
particolari specializzazioni, considerate troppo rischiose. Dal<br />
punto di vista dei pazienti, ciò significa, nei casi con bassa<br />
probabilità di successo o con alto tasso di rischiosità, vedersi<br />
negato addirittura il diritto alla cura.
Anche in assenza di dati e stime ufficiali che traccino con certezza i<br />
confini del fenomeno, è opinione comune che negli ultimi anni le<br />
accuse di negligenza professionale in campo sanitario siano<br />
aumentate vertiginosamente.<br />
La causa dell’aumentata litigiosità non è, però, da ricercarsi nella<br />
riduzione della qualità delle prestazioni professionali del sanitario.<br />
Sicuramente è aumentata la coscienza dei pazienti e la loro<br />
attenzione nei confronti del personale sanitario; ma si ritiene che<br />
in alcuni casi le aspettative dei pazienti nei confronti della<br />
medicina possano essere eccessive, e quindi deluse. Il paziente,<br />
insomma, non si considera più oggetto di trattamenti terapeutici,<br />
ma soggetto titolare di diritti che egli vuole vedere garantiti nel<br />
proprio interesse ed in quello della collettività.<br />
D’altro canto, al di là degli esiti in merito alla effettiva<br />
responsabilità, il procedimento giudiziario provoca di per sé ai<br />
medici spesso seri danni sul piano dell’immagine, sul piano<br />
economico e anche su quello morale.<br />
In tale quadro, le Compagnie Assicuratrici mostrano un chiaro<br />
fenomeno di progressivo allontanamento dal settore sanitario.<br />
Infatti, è evidente il fenomeno di riduzione del numero di
Compagnie che operano polizze assicurative professionali per i<br />
medici e per le strutture sanitarie.<br />
L’insieme di questi fattori ha generato lo stravolgimento del<br />
rapporto <strong>medico</strong>-paziente, ora pervaso da reciproca diffidenza,<br />
tanto da sembrare ormai diffuso il principio che la salute dei<br />
cittadini debba essere salvaguardata più da un controllo assiduo<br />
della magistratura che dalla professionalità del <strong>medico</strong>.<br />
Opinione comune è che la causa dell’aumento delle denunce per<br />
malpractice sanitaria vada ricercata nella carenza di rapporto di<br />
fiducia tra <strong>medico</strong> e paziente. Diventa così di primaria importanza<br />
favorire le condizioni di una ritrovata fiducia verso i medici da<br />
parte dei pazienti.<br />
In tale contesto, per porre un freno al contenzioso dilagante e<br />
offrire un aiuto concreto ai medici e pazienti, l'Ordine Provinciale<br />
di Roma dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri ha avviato, in<br />
via sperimentale, il Progetto Accordia (di cui parleremo meglio in<br />
seguito), incentrato sulla costituzione di uno Sportello di<br />
Conciliazione come strumento per migliorare il rapporto <strong>medico</strong>-<br />
paziente,tutelando, da una parte, il decoro e l'immagine del<br />
professionista e dall'altra la salute del cittadino.
D’altronde, il decreto istitutivo dell’Ordine (D.Lgs.C.P.S. 13<br />
settembre 1946, n. 233 Ricostituzione degli Ordini delle<br />
professioni sanitarie e per la disciplina dell'esercizio delle<br />
professioni) elenca, all’articolo 3, lett. 9, tra le funzioni spettanti<br />
al Consiglio direttivo di ciascun Ordine proprio quella di<br />
“interporsi, se richiesto, nelle controversie fra sanitario e sanitario,<br />
o fra sanitario e persona o enti a favore dei quali il sanitario abbia<br />
prestato o presti la propria opera professionale, per ragioni di<br />
spese, di onorari e per altre questioni inerenti all'esercizio<br />
professionale, procurando la conciliazione della vertenza e, in<br />
caso di non riuscito accordo, dando il suo parere sulle<br />
controversie stesse”.<br />
6.1 IL “PROGETTO ACCORDIA”<br />
Per far fronte al fenomeno degenerativo della litigiosità, dal forte<br />
impatto sociale, l'Ordine Provinciale di Roma dei Medici<br />
Chirurghi e degli Odontoiatri ha lanciato, in via sperimentale, la<br />
costituzione di uno Sportello di Conciliazione, allo scopo di<br />
accogliere ed esaminare gratuitamente le denunce dei cittadini per<br />
indirizzarle a una soluzione bonaria e di trasmettere le domande<br />
di conciliazione, che presentassero una serie di requisiti, alla
Camera di Conciliazione istituita dall'Ordine degli Avvocati di<br />
Roma e dalla Corte di Appello di Roma, così da ottenere una<br />
proposta di composizione in tempi estremamente brevi se<br />
paragonati a quelli della giustizia ordinaria: novanta giorni a<br />
fronte di numerosi anni.<br />
Lo Sportello ha raccolto le esperienze dei cittadini in relazione al<br />
loro rapporto con la sanità, soffermandosi, in particolare, sulle<br />
segnalazioni di errori e carenze delle prestazioni mediche nonché<br />
eventuali testimonianze di episodi di buona sanità; ha costituito<br />
un punto informativo sul mondo sanitario offrendo sia ai medici<br />
sia ai cittadini la possibilità di risolvere in via amichevole le<br />
controversie tra loro insorte tramite la conciliazione.<br />
Il progetto, realizzato per la prima volta in Italia, ha avuto<br />
carattere assolutamente innovativo.<br />
I principali elementi di novità sono rappresentati:<br />
dalla convergenza di due ordini professionali in un programma<br />
di tutela diffusa dei diritti (tanto quelli dei pazienti, quanto quelli<br />
dei medici);<br />
dall’approccio teso al dialogo, alla consulenza e all’incontro e<br />
non all’esasperazione della conflittualità;
dalla disponibilità di Compagnie di Assicurazione di primaria<br />
importanza che, accettando di intraprendere un percorso che va<br />
ben al di là delle tradizionali logiche assicurative, hanno stipulato<br />
una convenzione con l’Ordine dei Medici, in base alla quale esse<br />
si sono impegnate a partecipare al progetto Accordia quando<br />
fosse interpellato un <strong>medico</strong> loro assicurato.<br />
Lo Sportello di Conciliazione è stato aperto a tutti i cittadini che<br />
ritenessero di essere rimasti vittima di episodi di malasanità la cui<br />
responsabilità fosse imputabile esclusivamente al <strong>medico</strong>.<br />
Obiettivo primario del progetto è stato, infatti, quello di creare<br />
un punto di ascolto e di raccolta delle segnalazioni dei pazienti,<br />
nel quale essi potessero confidarsi e confrontarsi con personale<br />
specializzato, competente e motivato, sugli aspetti concreti della<br />
negligenza professionale sanitaria.<br />
Attore importante del progetto è stata la Commissione Tecnica,<br />
composta da quattro membri effettivi, due avvocati e due medici<br />
<strong>legali</strong> alla quale è spettato il compito di valutare le richieste<br />
pervenute allo Sportello, esprimendo un parere sulla possibilità di<br />
procedere ad una definizione amichevole della controversia.<br />
In particolare, le domande di conciliazione dovevano rispettare<br />
alcune
caratteristiche, quali:<br />
riguardare il rapporto professionale <strong>medico</strong>-paziente, con<br />
espressa esclusione di strutture pubbliche o private eventualmente<br />
coinvolte nel rapporto di lavoro;<br />
le liti dovevano avere natura civilistica e quindi sono state<br />
escluse tutte le controversie di natura penale;<br />
il valore della richiesta di risarcimento non doveva superare i<br />
25.000 euro;<br />
le controversie oggetto della conciliazione non dovevano<br />
essere state precedentemente denunciate con formale lettera di un<br />
legale o sottoposta all’Autorità Giudiziaria Ordinaria.<br />
In caso di riscontro positivo da parte della Commissione Tecnica,<br />
il paziente e il <strong>medico</strong> hanno avuto la possibilità incontrarsi con<br />
un Conciliatore nominato dalla Camera di Conciliazione, organo<br />
istituito dall'Ordine degli Avvocati di Roma e dalla Corte di<br />
Appello di Roma con lo scopo di favorire una rapida<br />
conciliazione preventiva delle liti, evitando il ricorso automatico<br />
all' Autorità Giudiziaria Ordinaria.<br />
La procedura di conciliazione è basata su una Convenzione<br />
stipulata tra la Camera di Conciliazione di Roma e l'Ordine<br />
Provinciale di Roma dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri,
orientata alla definizione extragiudiziaria delle controversie tra i<br />
medici iscritti all'Ordine di Roma e i cittadini, al fine di migliorare<br />
il rapporto <strong>medico</strong>-paziente, tutelando da una parte il decoro e<br />
l'immagine del professionista e dall'altra i diritti del cittadino.<br />
Inoltre, la Convenzione prevede che la risoluzione delle<br />
controversie tra il <strong>medico</strong> e il paziente gratuitamente ed in tempi<br />
brevi (massimo novanta giorni dalla presentazione delle domande<br />
di conciliazione).<br />
È fondamentale sottolineare che tutto il meccanismo messo in<br />
moto da Accordia ha una base di adesione puramente volontaria.<br />
Il <strong>medico</strong> o la compagnia assicuratrice, infatti, sono liberi di<br />
aderire o meno al progetto e anche, nel caso di adesione, la<br />
proposta di conciliazione avanzata in sede di Camera di<br />
Conciliazione può essere rifiutata, tanto dal <strong>medico</strong>, quanto dal<br />
paziente e non preclude in alcun modo la possibilità, da parte di<br />
entrambi, se insoddisfatti, di ricorrere alla giustizia ordinaria.<br />
I servizi dello Sportello sono totalmente gratuiti, poiché i costi<br />
sono sostenuti dall'Ordine Provinciale di Roma dei Medici<br />
Chirurghi e degli Odontoiatri e dalle Compagnie Assicuratrici che<br />
hanno aderito al progetto.
Le uniche spese a carico del cittadino sono quelle relative agli<br />
onorari del legale da cui egli decida eventualmente di farsi<br />
assistere.<br />
I tempi della procedura sono serrati, per permettere una veloce<br />
risoluzione del problema. Infatti, entro 30 giorni dal contatto, lo<br />
Sportello verifica la completezza della documentazione e la<br />
disponibilità del <strong>medico</strong> a partecipare alla procedura conciliativa.<br />
In seguito, la domanda presentata dal cittadino, unitamente al<br />
carteggio fornito dal sanitario, viene trasmessa alla Commissione<br />
Tecnica, che la esamina, valutandone la fondatezza e<br />
l'ammissibilità secondo i requisiti stabiliti dalla Convenzione per la<br />
conciliazione ed esprime entro 30 giorni un parere sulla possibilità<br />
di procedere alla definizione amichevole della controversia.<br />
Nell’ipotesi in cui le parti non giungano ad un accordo, il<br />
Conciliatore redige un verbale di mancato accordo, precisandone<br />
le ragioni. Le parti rimangono, pertanto, libere di procedere in<br />
altro modo ed eventualmente di adire l'Autorità Giudiziaria<br />
Ordinaria.<br />
Si evince dai primi sommari dati acquisiti che il progetto è riuscito<br />
nel suo intento di realizzare un luogo di ascolto, di incontro e di<br />
mediazione tra le legittime aspettative dei cittadini e i problemi
concreti affrontati quotidianamente dal <strong>medico</strong> nell'esercizio della<br />
professione.<br />
Inoltre, la conciliazione si è rivelata una soluzione tecnica che, pur<br />
garantendo il risarcimento degli eventuali danni, indirizza il<br />
conflitto sulla via dell’accordo e della pacificazione tra <strong>medico</strong> e<br />
paziente, senza che si verifichi una rottura dei rapporti.<br />
Si tratta di risultati che incoraggiano a proseguire l’esperienza,<br />
certo con indispensabili correttivi, ma anche con significativi<br />
ampliamenti, sempre in collaborazione con l’Ordine degli<br />
Avvocati, la Camera di Conciliazione e le Compagnie Assicuratrici.
7. CASI CLINICI<br />
Caso 1<br />
Paziente di 40 aa.<br />
Si presenta alla osservazione con una protesi definitiva in lega<br />
aurea-ceramica eseguita circa 15 anni prima. L’obiettivo richiesto<br />
era di ricreare la condizione naturale con impianti osteointegrati<br />
nelle zone edentule al fine di ottenere una riabilitazione con<br />
elementi singoli.<br />
La pLa paziente, aveva<br />
eseguito, presso un altro sanitario, degli innesti ossei nelle zone<br />
edentule per correggere l’atrofia marcata. Nonostante tale<br />
procedura, il guadagno osseo non era stato eccellente (Rx).<br />
Il chirurgo ha comunque inserito gli impianti in dette zone, con il<br />
risultato di un elevato inestetismo in corrispondenza della zona<br />
2.1,2.2.
Insoddisfatta del risultato<br />
ha richiesto il risarcimento<br />
per il danno subito,<br />
poiché ha dovuto ricorrere di<br />
nuovo allo stesso tipo di<br />
protesi fissa preesistente. Il<br />
tribunale ha parzialmente<br />
accolto la richiesta,<br />
valutando una carenza di<br />
consenso informato e<br />
condannando il sanitario alla sola restituzione della parcella<br />
riguardante la terapia implantoprotesica, laddove non aveva avuto<br />
successo, ma non accogliendo la tesi dei danni, in quanto non c’era<br />
stato un esito peggiorativo dal precedente stato.<br />
Caso 2
Paziente di 55 aa,<br />
l’obiettivo della terapia era di inserire impianti in zona 4.5, 4.6 a<br />
supporto di una protesi fissa (rx). Per un errore chirurgico, gli<br />
impianti erano stati inseriti<br />
parzialmente nel canale<br />
mandibolare, ma durante la<br />
preparazione del sito era<br />
stato sezionato il n.<br />
mandibolare, con<br />
conseguente parestesia.<br />
La rimozione delle<br />
fixture non aveva sortito<br />
alcun effetto sulla ripresa<br />
della sensibilità a<br />
distanza di 4 anni, per<br />
cui la paziente chiedeva<br />
il risarcimento dei danni.<br />
Il giudice accoglieva la<br />
richiesta, condannando il<br />
dentista per imperizia e
imprudenza, per l’errore tecnico e per negligenza per non aver<br />
prescritto tutte le indagini radiologiche necessarie. Inoltre<br />
nell’ammontare dei danni è stato quantificato un 6% di invalidità,<br />
per la lesione del nervo alveolare, in primis e per la necessità di<br />
ricorrere ad una terapia protesica diversa da quella stabilita, stante<br />
l’impossibilità all’inserimento di nuovi impianti nella stessa zona<br />
per la vasta distruzione ossea creata dalla rimozione obbligatoria<br />
delle fixture.
CONCLUSIONI<br />
Gli operatori sanitari e soprattutto gli odontoiatri devono chiarire<br />
a loro stessi e ai loro pazienti, che è l’etica la colonna portante<br />
della loro professione.<br />
Una qualsiasi manovra diagnostica e terapeutica che eseguono su<br />
un paziente dovrebbe essere sempre preceduta dalla domanda se<br />
tale procedura è sostenibile e indicata. Il modo più semplice per<br />
capirlo in tutta onestà è porsi la domanda se essi stessi si<br />
sottoporrebbero a quanto propongono oppure no. Spesso gli<br />
odontoiatri si sono dedicati a cavilli e orpelli marginali della loro<br />
professione perdendo di vista il rapporto etico e morale con i<br />
pazienti. Questo terreno va sicuramente recuperato e in fretta,<br />
poiché il rapporto tra <strong>medico</strong> e paziente si basa sulla reciproca<br />
fiducia. Per dare tale fiducia ai nostri pazienti bisogna sapersi<br />
comportare in modo corretto.<br />
Da un articolo pubblicato su Andkronos salute del 24 settembre<br />
2008 emerge che il 60% dei medici, in una o più occasioni, ha<br />
prescritto farmaci o a eseguito dei trattamenti in un'ottica di<br />
medicina difensiva.
Questo uno dei dati che emerge dall'indagine “Medici in difesa,<br />
prima ricerca del fenomeno in Italia: numeri e conseguenze”,<br />
commissionata dall'Ordine dei medici della Provincia di Roma e<br />
condotta su 800 camici bianchi attraverso questionari. Solo il<br />
39,3% dei medici intervistati, infatti, dichiara di non essere mai<br />
stato spinto a compilare ricette dalla paura di incorrere in guai<br />
giudiziari. Il 41,3%, invece dichiara di non averlo fatto quasi mai<br />
(uno o due casi su 10), il 13,6% talvolta (3-4 casi su 10) e il 5,8%<br />
spesso, cioè oltre 4 volte su 10.<br />
1 2 3 4<br />
1. 39,3% - mai<br />
2. 41,3% - 1/2 casi su 10<br />
3. 13,6% - 3/4 casi su 10<br />
4. 5,8% oltre 4 casi su 10<br />
Questi dati appaiono sconcertanti ma non sono altro che il<br />
risultato dell’alterato rapporto di fiducia <strong>medico</strong>-paziente che si è<br />
andato modificando in questi ultimi anni: da una parte, a causa
dell’informazione talora non corretta o troppo superficiale dei<br />
mass media, i pazienti alimentano delle speranze nei confronti<br />
delle nuove tecnologie che spesso vengono deluse il che li porta<br />
ad aprire una lotta contro il <strong>medico</strong> che, secondo la loro ottica,<br />
non è riuscito a dargli il risultato voluto; dall’altra i medici hanno<br />
perso di vista il lato umanitario della loro professione basato su<br />
un rapporto di ascolto e di fiducia nei confronti delle persone che<br />
gli stanno davanti, di dialogo e di comprensione, allontanando<br />
così i pazienti e facendo aumentare in loro la diffidenza. I<br />
contenziosi hanno spesso alla base una mancata comunicazione<br />
tra <strong>medico</strong> e paziente, il quale abbandonato a se stesso non<br />
esiterà e citarlo in giudizio nel momento in cui non vedrà<br />
soddisfatte le sue aspettative.<br />
D’altro canto invece, un <strong>medico</strong> che instaura un buon dialogo con<br />
paziente, che gli spiega tutte le eventuali complicanze e gli<br />
eventuali insuccessi della terapia che stanno per intraprendere, che<br />
ascolte le sue esigenze e le sue preoccupazioni si troverà davanti<br />
un paziente informato e consapevole e sicuramente predisposto<br />
ad accettare e capire l’eventuale esito negativo della terapia senza<br />
attribuire la colpa di non aver fatto a aver fatto male al<br />
professionista.
Il modo migliore per concludere questo lavoro è senz’altro citare<br />
questa massima:<br />
“… se ti proponi come un Dio, non ti lamentare se quando<br />
piove se la prendono con te…” (Anonimo)
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