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NUMERO QUINDICI - SETTEMBRE 2010<br />

PERDERE E RITROVARE LA BUSSOLA


NUMERO QUINDICI - SETTEMBRE 2010<br />

PERDERE E RITROVARE LA BUSSOLA


Massimo Mari<br />

STA’ LONTANO DA ME!<br />

La paura è una emozione che appartiene alla natura<br />

umana; probabilmente senza di essa la nostra<br />

specie si sarebbe estinta. Essa appartiene alla storia,<br />

ma spesso nel suo vissuto presente condiziona<br />

la visione del futuro. Accanto al desiderio colpisce<br />

la soggettiv<strong>it</strong>à dei vissuti esperienziali: il rimuovere<br />

questi due elementi (paura e desiderio) e la loro<br />

relazione fa perdere la percezione dell’autentic<strong>it</strong>à<br />

di se stessi. Non c’è paura senza desiderio né desiderio<br />

senza paura; entrambi, pertanto, cost<strong>it</strong>uiscono,<br />

come ci insegna il nostro amico e maestro<br />

Umberto Curi, due facce della stessa medaglia<br />

(un’endiade). Il desiderio è l’aspetto consapevole<br />

della pulsione, così come la paura lo è della resistenza;<br />

sappiamo che non vi è pulsione nell’ES che<br />

non abbia resistenze nel Super-Io (non vi è sogno<br />

senza censura).<br />

Come tutte le emozioni ed i sentimenti, la paura<br />

ha una radice complessa e solo per una minima<br />

parte consapevole al soggetto che la prova; l’analisi<br />

ben condotta di questa radice permette alla<br />

persona di poterla comprendere e modificare nella<br />

direzione e nell’intens<strong>it</strong>à, non permette in nessun<br />

modo una sua eliminazione, salvo la perd<strong>it</strong>a<br />

appunto della soggettiv<strong>it</strong>à della persona stessa.<br />

Alcune volte ci accadono percorsi esistenziali rigidi<br />

che, per vari motivi, non riescono ad accogliere<br />

con la dovuta flessibil<strong>it</strong>à la paura come altre emozioni<br />

e sentimenti. Li spostiamo, li rimuoviamo, li<br />

trasformiamo nel loro contrario, li pervertiamo,<br />

ecc. Ovviamente, quando ciò avviene, c’è sempre<br />

un corollario clinico in noi stessi, nella nostra<br />

famiglia, nella ist<strong>it</strong>uzione dove lavoriamo, nella<br />

comun<strong>it</strong>à a cui apparteniamo. In altre parole cercheremo<br />

stili di v<strong>it</strong>a, relazioni amorose, amicali,<br />

gen<strong>it</strong>oriali che mantengano rigidamente il difficile<br />

equilibrio imposto dalla nostra confl<strong>it</strong>tual<strong>it</strong>à latente;<br />

analogamente cercheremo il lavoro, lo studio,<br />

lo stile di relazioni, più consoni a tale equilibrio;<br />

inconsciamente utilizziamo la nostra famiglia e lo<br />

stile di gen<strong>it</strong>orial<strong>it</strong>à, fratellanza, filiazione, coniugal<strong>it</strong>à,<br />

parentela più funzionale a questo fragile e<br />

rigido equilibrio interno; ugualmente la nostra appartenenza<br />

alla comun<strong>it</strong>à selezionerà la mil<strong>it</strong>anza<br />

pol<strong>it</strong>ica che meglio rispecchi una società che non<br />

turbi la nostra tranquill<strong>it</strong>à.<br />

D’altro canto è esperienza di tutti i giorni vedere<br />

come proprio su questa paura si costruiscano delle<br />

strategie di marketing (ad es. la paura del contatto<br />

e la virtualizzazione delle relazioni, dice il nostro<br />

amico Bifo) oppure che si cavalchino, promuovendole,<br />

paure ataviche per restaurare misure autor<strong>it</strong>arie,<br />

sadicamente total<strong>it</strong>arie (razzismo, riapertura<br />

di strutture manicomiali, depauperizzazione culturale<br />

e sociale ecc.).<br />

Accade di frequente che la paura di stare vicini ad<br />

una persona per come è, e non per come vorremmo<br />

che fosse, scateni in noi una reazione di fuga:<br />

perché essere vicini all’altro per come è presuppone<br />

che noi possiamo essere vicini a noi stessi per<br />

come siamo (con tutte le nostre paure e confl<strong>it</strong>ti<br />

più o meno rimossi). Quando questo si verifica in<br />

persone che hanno un ruolo gen<strong>it</strong>oriale, educativo,<br />

terapeutico, tutoriale o più in generale da “care<br />

giver”, è fatale la fantasia di mandare il nostro assist<strong>it</strong>o<br />

o congiunto in una comun<strong>it</strong>à-collegio-affido<br />

ecc... che abbia il massimo della qual<strong>it</strong>à assistenziale,<br />

ma lontano da noi: “per il suo bene!”•<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 3


Paolo Ripanti<br />

4<br />

LA MORTE PER NIENTE<br />

La morte di una persona, di un giovane uomo,<br />

che avviene non per causa diretta di una malattia<br />

mortale, quale può essere cancro o un accidente<br />

cardiovascolare, colpisce e coglie impreparati.<br />

Come è stato possibile? E’ stato fatto di tutto per<br />

scongiurare un epilogo così tragico e improvviso?<br />

Si poteva tentare qualcosa? Si poteva intervenire<br />

diversamente? Ci sono state delle omissioni? E’<br />

MIA LA COLPA O ERA DESTINO?<br />

Queste ed altre domande si affacciano nella mente<br />

delle persone che sono venute a contatto con<br />

una vicenda simile, in quanto parenti, amici od<br />

operatori. Sono domande che affiorano in modo<br />

naturale e sincero e che difficilmente possono trovare<br />

risposta se non, alla fine, nella consapevolezza<br />

che si muore anche per una malattia psichiatrica,<br />

per un disagio cioè che non è obiettivabile, che<br />

sfugge ad indagini diagnostiche strumentali, che<br />

non sembra avere motivazioni concrete e che per<br />

questo risulta difficilmente comprensibile, perché<br />

di fatto non si trova NIENTE.<br />

‘Malati di niente’, espressione paradossale, provocatoria,<br />

ma carica di un peso enorme, nonostante<br />

il suo vuoto di significato a cui finge di alludere.<br />

Un peso tanto più difficile da sopportare, perché<br />

è un peso ‘di niente’, di un qualcosa che non può<br />

essere facilmente raccontabile, quasi indicibile.<br />

Un peso poi che grava sui familiari e gli amici, ma<br />

anche sugli operatori e su tutti coloro che si impegnano<br />

in questo campo.<br />

Purtroppo chi ha esperienza di psichiatria sa che i<br />

pazienti possono morire; chi inizia ad occuparsi di<br />

psichiatria forse lo fa anche per il folle tentativo di<br />

essere al di là della morte, di sfuggirla o di negarla.<br />

Chi vive nel mondo della psicosi, in effetti, sembra<br />

poter fermare il tempo, susc<strong>it</strong>ando un fascino<br />

arcano che inev<strong>it</strong>abilmente emana dalla sua persona,<br />

che sembra al di là di tutto, finché qualcosa<br />

rompe l’equilibrio e introduce il cambiamento.<br />

Solo che il cambiamento non sempre è compatibile<br />

con la v<strong>it</strong>a. Dopo qualche anno di esperienza<br />

ci si imbatte con i tentativi di suicidio, con i suicidi<br />

riusc<strong>it</strong>i, con i comportamenti pericolosi, re<strong>it</strong>erati<br />

ed autodistruttivi. Allora ci si accorge che si sta<br />

seguendo qualcuno che cammina sul filo di un rasoio<br />

oppure che si è entrati in un terr<strong>it</strong>orio di temporanea<br />

ed apparente immobil<strong>it</strong>à, dove il cambiamento,<br />

quando riesce, mette sì in movimento<br />

una v<strong>it</strong>a bloccata con tutti i suoi sentimenti, ma<br />

ciò che viene liberato non è solo energia pos<strong>it</strong>iva,<br />

perché a volte si sprigionano anche dolori intollerabili.<br />

Quando si segue qualcuno su questi percorsi,<br />

l’evento tragico va messo in preventivo, mentre<br />

i nostri sentimenti, primo la paura, vanno allertati:<br />

così, forse, si riesce a tenere in v<strong>it</strong>a qualcuno dei<br />

nostri pazienti per un giorno o per un anno o per<br />

chissà quanto, anche se nessuno se ne accorgerà<br />

e potrà ringraziarci per questo.<br />

Quando, al contrario, qualcuno muore, allora sì<br />

che ce ne accorgeremo e se ne accorgeranno. Le<br />

domande formulate all’inizio diventeranno accuse<br />

da parte di chi non accetta la possibil<strong>it</strong>à della<br />

morte anz<strong>it</strong>empo, di una morte ‘per niente’, perché<br />

non si è compreso che quel niente è un dolore<br />

talmente insopportabile a cui si vuole sfuggire anche<br />

a costo della propria v<strong>it</strong>a. Quando si cerca di<br />

curare una persona, questa e la sua famiglia debbono<br />

mettersi in gioco con gli operatori, essendo<br />

consapevoli che la v<strong>it</strong>a vissuta comporta dei rischi,<br />

che si può ‘morire in battaglia’, basta che valga la<br />

pena di combatterla questa battaglia per tentare<br />

di vincerla. Non esistono alternative se non quella<br />

di Paride e Afrod<strong>it</strong>e: la seconda rendeva invisibile<br />

ed impalpabile il primo, che non poteva essere né<br />

ucciso né fer<strong>it</strong>o, ma che rinunciava a priori a combattere<br />

realmente, a mettersi in gioco e dunque a<br />

vivere compiutamente. Confrontarsi con le possibil<strong>it</strong>à<br />

di v<strong>it</strong>a e di morte dei nostri pazienti significa<br />

confrontarsi con le nostre possibil<strong>it</strong>à e dunque<br />

sopportare l’incertezza e la paura.<br />

Come ci ha mostrato Stefano Benni, tutto ciò rimanda<br />

ad antiche paure infantili rappresentate<br />

dall’immagine della ‘porta chiusa’. Cosa o chi c’è<br />

dietro di essa? Qualsiasi cosa ci sia, sembra minacciarci<br />

perché ignota. Se la porta si apre, o meglio,<br />

se la apriamo noi, tratteniamo il respiro, rabbrividiamo<br />

sentendola cigolare e poi, quando scopriamo<br />

che dietro di essa non è nascosto nulla di<br />

pericoloso o che addir<strong>it</strong>tura non c’è niente, allora<br />

la paura si dilegua. Ma per tollerare quella paura,<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


che rimanda alla capac<strong>it</strong>à di simbolizzazione, di<br />

immaginazione, anche di cose terribili, abbiamo<br />

dovuto eserc<strong>it</strong>are il nostro coraggio e la nostra<br />

capac<strong>it</strong>à di credere nel prossimo. Certo aprire la<br />

porta può significare invadere un altro mondo e<br />

forse chi lo ab<strong>it</strong>a ha altrettanta paura di noi e se ne<br />

vuole stare solo. Per questo dovremo attendere il<br />

momento giusto, magari quando vediamo filtrare<br />

una luce sotto il battente. Sicuramente dovremo<br />

bussare più di una volta e non sempre avremo<br />

risposta, non sempre ci verrà detto “avanti!”. Però<br />

alla fine ci toccherà entrare e ciò che vedremo e<br />

sentiremo potrebbe essere bello o brutto, atteso o<br />

sconvolgente e comunque sia, dopo che avremo<br />

parlato, usciremo di nuovo richiudendo la porta.<br />

Chi rimane dentro sa che noi esistiamo, sa che<br />

torneremo a trovarlo, sa che può uscire e venirci<br />

lui a trovare. La porta però deve essere richiusa e<br />

ripristinare un’area di oscur<strong>it</strong>à e di ignoto che ci<br />

lascia inquieti, perché colui che abbiamo vis<strong>it</strong>ato è<br />

di nuovo solo e può decidere qualsiasi cosa, è fuori<br />

del nostro potere, anzi noi siamo in suo potere.<br />

Allora la tentazione è quella di sost<strong>it</strong>uire le oscure<br />

porte di legno con porte trasparenti, un infallibile<br />

sistema di videosorveglianza che ci ev<strong>it</strong>i l’esercizio<br />

del coraggio e ci permetta di ev<strong>it</strong>are la paura. Possiamo<br />

scrutare dentro ogni stanza, illuminare tutto<br />

di una luce penetrante che non risparmia nessun<br />

dettaglio, in modo da avere sotto controllo la v<strong>it</strong>a,<br />

che non sarà più tale, perché, senza accorgercene,<br />

l’avremo distesa su un tavolo anatomico.•<br />

IN MEMORIA DI CLAUDIO<br />

Claudio, un nostro compagno di viaggio, “s’è perso” come l’ “Andrea” di De André, ucciso non dalla “m<strong>it</strong>raglia”<br />

ma dalle asprezze della v<strong>it</strong>a, trad<strong>it</strong>o dalla sua attrazione verso ciò che è oscuro e pericoloso. Però<br />

non si può dire o sapere, per questo, che non volesse più vivere, anche se forse non conosceremo mai la<br />

ver<strong>it</strong>à fino in fondo. Quello che sappiamo per certo è che faceva parte della nostra v<strong>it</strong>a e che per questo<br />

sarà sempre presente nella nostra anima e nei nostri ricordi, come lo sarà nei ricordi di quelli che gli volevano<br />

bene. Questo è ciò che pensiamo, anche se, ogni volta che parliamo di lui e ci guardiamo intorno,<br />

sentiamo il vuoto che ha lasciato. Ci manca il timbro profondo della sua voce, sempre pronta a incoraggiare<br />

i compagni, a spronarli, a trovare in loro scrigni nascosti a custodia di sentimenti preziosi. Questo<br />

era Claudio: un uomo grande e fragile che credeva negli altri, poco in se stesso. Un grande e luminoso<br />

girasole, reciso dal destino in un giorno di febbraio, quando l’estate era ancora troppo lontana.•<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 5


FREDDO POLARE<br />

Diana<br />

Il mio freddo polare è iniziato con la mia nasc<strong>it</strong>a. Sono nata per sbaglio<br />

o forse no, so soltanto che il batt<strong>it</strong>o del mio cuore non era stato<br />

“programmato” dai miei gen<strong>it</strong>ori.<br />

In questi ultimi giorni ho cominciato a risentire quel freddo pungente,<br />

che per anni mi ha portata a cercare “coperte”, cuori da amare e<br />

caldi abbracci, come droghe, senza le quali mi sentivo sprofondare<br />

in una incontrollabile “astinenza”. Non ho mai toccato né una foglia<br />

di marijuana né visto il bianco puro della cocaina né calata nello<br />

stomaco una pillola del finto paradiso. Sono cresciuta così, con la<br />

mia droga d’amore.<br />

Circa una settimana fa mia madre mi ha telefonato per farmi una<br />

vis<strong>it</strong>a qui alla struttura SRR. Sono circa dieci anni che non la frequento,<br />

dopo che insieme a mio padre ha superato il lim<strong>it</strong>e accettabile<br />

perché io potessi restare in quella mia casa di famiglia nella quale<br />

ho sofferto per tanti anni. Me ne sono andata di casa nel settembre<br />

del 2000 e da quel giorno non sono più tornata. Mia madre è arrivata<br />

alle 6 del pomeriggio insieme alla sorella. Era strana, triste, anche<br />

se apparentemente sorridente. Mi ha chiesto se potevamo passare<br />

la Pasqua insieme, io e lei… Mio padre si è rifatto una v<strong>it</strong>a e ab<strong>it</strong>a<br />

con la sua compagna in un’altra c<strong>it</strong>tà già da cinque anni.<br />

Il problema è che ancora una volta ho risent<strong>it</strong>o tutto il freddo del<br />

mondo. E’ come se mia madre avesse portato insieme a lei la sua<br />

scia di polvere di gelo e me la avesse avvolta attorno. Questo “regalo”,<br />

che lei mi fa ogni volta che la rivedo, mi rimane sempre dentro<br />

le ossa per giorni prolungati, fino a che cresce la mia astinenza ed è<br />

così che cado nel mio stato di depressione. Mi sento triste, sfior<strong>it</strong>a,<br />

senza più un briciolo di stima per me stessa e le mie gambe, che in<br />

fondo sono forti e dr<strong>it</strong>te e sanno anche correre. Improvvisamente<br />

diventano fragili come se fossero fatte di un vetro sottilissimo. E me<br />

le sento scheggiarsi in mille scaglie che mi fanno sanguinare la pelle.<br />

E’ un freddo polare quello che ho sent<strong>it</strong>o lunedì scorso, come se<br />

attraversassi delle distese di ghiaccio… Vedo un iceberg, ma solo<br />

la sua piccola punta che emerge dal mare del nord. E’ la parte buona<br />

che conosco di mia madre, tutto il resto di lei è sommerso. Mia<br />

madre non si fa conoscere. Non conosce forse la sua sofferenza personale<br />

ed è inev<strong>it</strong>abile che chieda ogni volta a me di sciogliere tutta<br />

quella massa imponente che lei nasconde sotto le sue acque. In<br />

fondo, chi ha avuto accanto nella sua v<strong>it</strong>a di bambina sola e poco<br />

amata, se non me?... Ma lei non sa che io sono solo sua figlia, una<br />

figlia profondamente fer<strong>it</strong>a.<br />

Con profondo dolore, cara Mamma, lascio la tua parte fer<strong>it</strong>a e ibernata<br />

sotto quel mare del nord e, mentre mi allontano con le lacrime<br />

6<br />

Notizie<br />

Flash<br />

“Perdere e r<strong>it</strong>rovare la bussola a<br />

Capo Horn” è il t<strong>it</strong>olo dell’intervista<br />

rilasciata dalla redazione di Capo<br />

Horn a Gloria Fiorentini, giornalista<br />

di “Jesi e la sua valle”, e pubblicata sul<br />

n. 6 del 27 marzo 2010 del quindicinale<br />

locale.<br />

Nell’amb<strong>it</strong>o del Festival di teatro<br />

educazione scena e pedagogia in<br />

Italia (TESPI) 2010, II edizione, si è<br />

svolto a Serra San Quirico lo spettacolo<br />

teatrale “La ver<strong>it</strong>à… facile a<br />

dirsi!”, rappresentato da frequentatori<br />

e educatori del Centro Sollievo<br />

di Jesi con la regia di Daniele Boria<br />

dell’Ass. Teatro Giovani al termine di<br />

un laboratorio teatrale di un anno.<br />

L’arrivo a Jesi di Ugo Lopez, di Radio<br />

La Colifata di Buenos Aires (vedi intervista<br />

qui nella sezione Orientarsi),<br />

ha dato l’occasione ad alcuni operatori<br />

della comun<strong>it</strong>à sociale Soteria di<br />

vis<strong>it</strong>are a Torino, il 18/01/10, il Caffé<br />

Basaglia, locale dove lavorano utenti<br />

del DSM. Qui è stato proiettato il<br />

materiale video “Colifato”, in cui si<br />

mostra la v<strong>it</strong>a degli osp<strong>it</strong>i dell’ospedale<br />

neuropsichiatrico “Borda” della<br />

cap<strong>it</strong>ale argentina e dove si racconta<br />

di come la radio La Colifata, che trasmette<br />

dal suo interno, abbia svolto<br />

un ruolo importante per cercare di<br />

superare l’isolamento tipico di queste<br />

ist<strong>it</strong>uzioni favorendone alla fine<br />

una sua umanizzazione. E’ stato mostrato,<br />

inoltre, il video musicale di<br />

Manu Chao, dove il musicista franco-spagnolo<br />

canta e suona assieme<br />

agli osp<strong>it</strong>i dell’ospedale. Successivamente<br />

si è aperta la discussione<br />

su come difendere la “legge 180” e<br />

allargarne la sua portata tram<strong>it</strong>e una<br />

rete sociale e internazionale.<br />

Il 24 luglio 2010 è convolata a giuste<br />

e splendide nozze la nostra luminosa<br />

operatrice Marzia Brugnoni. La<br />

toccante cerimonia si è svolta presso<br />

la chiesa di Tabano, dove Marzia<br />

e il fortunato sposo Diego, si sono<br />

promessi eterno amore.<br />

Anche l’estate 2010 ha visto i soggiorni<br />

in roulotte di <strong>Asiamente</strong> sul<br />

Monte San Vicino, per stare fuori...<br />

dalla canicola jesina e dall’afa della<br />

Vallesina.•<br />

che non trattengo ormai da una v<strong>it</strong>a, ti guardo là imponente, in fon- Flash<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


do bella, forte e fiera per quello che tu hai voluto o inconsapevolmente hai scelto di essere… E cerco di<br />

accettare che mi sarai sempre tanto lontana. Io ora torno all’SRR, mi aspettano i ragazzi della struttura,<br />

gli infermieri, i dottori Antonella e Paolo e gli educatori. La mia v<strong>it</strong>a non può più essere accanto a te,<br />

Mamma, anche se so che tu vorresti che io vivessi al freddo senza sentirlo, accanto alla tua punta emergente<br />

dal mare, ma io non posso… Ti seguirò da lontano. Io torno al sole o comunque almeno ci sto<br />

provando, perché amo il calore e la v<strong>it</strong>a. Ciao mamma.•<br />

CONTRO INTERNET<br />

Andrea Gasparrini<br />

Sono per<strong>it</strong>o informatico dal 2005, ma da sempre sono stato un grande appassionato di informatica ed<br />

un grande navigatore del web.<br />

Dai tempi dei miei primi approcci con la Rete con linea e modem analogico sono passati 15 anni. Da<br />

allora il sistema si è notevolmente evoluto ed ha ampliato talmente i suoi servizi da indurre, in molti di<br />

noi che lo utilizziamo, una vera e propria dipendenza. Direi che questo processo ha avuto un balzo in<br />

avanti negli anni 2000 con la comparsa sempre più pervasiva dei ‘social network’. Chi, oggi, non ha mai<br />

sent<strong>it</strong>o parlare di Facebook’? I social network sono diventati un fenomeno dei nostri tempi, l’oggetto di<br />

discussione e di studio dei salotti tv o radiofonici, a volte uno strumento di impegno pol<strong>it</strong>ico, un modo<br />

per vincere la noia, contattare persone e conoscerle. Probabilmente la possibil<strong>it</strong>à di poter comunicare<br />

via mon<strong>it</strong>or con migliaia di ‘naviganti’, uomini e donne, ha promesso, semplicemente accendendo un pc,<br />

di rompere la propria sol<strong>it</strong>udine, di vivere avventure, di trovare l’amore, ecc.<br />

Ecco, io ho cap<strong>it</strong>o che tutto ciò è, però, soltanto una pura illusione, frutto di un mondo virtuale che non<br />

esiste nella realtà. Social network come “Badoo” oppure “My space” oppure “Tw<strong>it</strong>ter” o “Meetic” alla fine<br />

non sono altro che delle specie di agenzie matrimoniali, dove uomini e donne accedono per cercare di<br />

trovare qualcuno, spesso anche solo per scopi sessuali. Ma, lo voglio ripetere, è tutta un’illusione, anzi<br />

mi sono convinto che, almeno questi tipi di social network, siano gest<strong>it</strong>i da impostori e truffatori. Per<br />

dimostrarvelo vi racconto la mia ultima esperienza telematica.<br />

Avevo ‘conosciuto’, sia su Meetic che su Badoo, due ragazze, che asserivano di ab<strong>it</strong>are nella provincia di<br />

Ancona. Piano piano mi sono reso conto che, invece, esse vivevano in Russia. Cominciarono a mandarmi<br />

le loro foto: erano bellissime! Come bellissime erano le loro numerose amiche! Tutte erano stanche del<br />

loro paese che non le riservava futuro e dove erano oggetto delle attenzioni di uomini rozzi e maneschi,<br />

quasi sempre ubriachi. Come vorrebbero venire a vivere in Italia, a casa mia, con me che, al contrario<br />

dei loro connazionali, sono un bel ragazzo, sono gentile, posso osp<strong>it</strong>arle perché ho una grande casa! E<br />

allora tu sei gasato, perdi la capac<strong>it</strong>à di cr<strong>it</strong>ica e ti dai da fare per farle arrivare: ti senti un cavaliere ed<br />

il loro salvatore. Poi, quando arrivano i giorni della partenza, ti dicono che non hanno denaro per raggiungerti,<br />

che il nostro sogno è destinato a infrangersi... a meno che tu non getti il cuore oltre l’ostacolo<br />

e soprattutto getti i denari necessari per il viaggio. Io non l’ho fatto, ho compreso l’imbroglio, ma altri più<br />

sprovveduti si sono fatti truffare e non hanno visto più i loro soldi né, tantomeno, le bellissime ragazze.<br />

Avete cap<strong>it</strong>o che imbrogli fanno su Internet? Quanto era più sano e pul<strong>it</strong>o il vecchio Videotel, servizio<br />

più prim<strong>it</strong>ivo che mai, però, mai mi ha trad<strong>it</strong>o! E non basta... potrei parlarvi degli hacker, criminali informatici<br />

che vi spiano on line, che guardano nella vostra posta elettronica, che possono rubare i vostri<br />

soldi e... ma questa è un’altra storia e magari un’altra lettera.•<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 7


8<br />

L’ARGENTINA È COME<br />

L’ITALIA, MA PIÙ GRANDE<br />

Intervista a Ugo Lopez, già grafico in una tipografia di Buenos Aires, dove i companeros morivano di saturnismo,<br />

e poi sindacalista, dove altri companeros si arricchivano e non pensavano più alla tutela dei lavoratori.<br />

E poi la corruzione di una società sempre più egoista e disperata e poi la ‘fuga’ dietro le mura quasi tombali<br />

dell’ospedale psichiatrico Borda, finché, grazie anche a Radio La Colifata, ha cominciato a lanciare segnali di<br />

speranza, che ha portato fino a noi.<br />

A cura del Gruppo Scr<strong>it</strong>tura<br />

Foto di Laura Zappelli<br />

INTERVISTA A UGO LOPEZ DI RADIO LA COLIFATA<br />

Dici che L’Argentina è come l’Italia. Perché?<br />

Perché la stragrande maggioranza dei discendenti degli immigrati è di origine <strong>it</strong>aliana con tutti i difetti e<br />

le qual<strong>it</strong>à dei loro avi. Il dialetto porteno, chiamato “lunfardo”, è dunque pieno di parole <strong>it</strong>aliane. In quegli<br />

anni, 1900, gli immigrati vennero distribu<strong>it</strong>i in varie regioni perché non si concentrassero troppo, ma<br />

ciononostante ci sono delle zone che brulicano di argentini di origine <strong>it</strong>aliana, come ad esempio a Mar<br />

del Plata.<br />

Tu eri venuto nel nostro paese già cinque anni fa. Hai riscontrato differenze rispetto al tuo primo<br />

viaggio?<br />

Del mio primo viaggio in Italia ho ricordi nebulosi, dato che non stavo molto bene a livello mentale ed<br />

ero in trattamento psicofarmacologico ed in più il soggiorno era durato solo cinque giorni. Ricordo che<br />

dovevamo vis<strong>it</strong>are Roma. Da noi si dice che chi non conosce Roma, non conosce l’Italia. Feci un reportage<br />

sull’anima di Nerone, dove ponevo all’imperatore la domanda impossibile ed inev<strong>it</strong>abile: “Perché<br />

hai bruciato Roma?” e mi davo risposte immaginarie del tipo: “Perché era brutta e la voleva rifare!” oppure:<br />

“Perché gli ha preso la colifata!”. Naturalmente, la risposta non si saprà mai. Adesso, in questo mio<br />

secondo viaggio, riesco a capire meglio in cosa consiste il supporto che date ai malati mentali e ciò mi<br />

interessa particolarmente, perché r<strong>it</strong>engo che molte vostre esperienze possano essere riproposte in Argentina.<br />

Com’è la condizione dei malati nel tuo paese?<br />

Da noi, in Argentina, i malati stanno peggio, perché ancora c’è il manicomio, soprattutto i manicomi<br />

femminili sono particolarmente trascurati. La gente è internata, abbandonata a se stessa sia dallo Stato<br />

sia dalla famiglia. Non esiste un reale tentativo di recupero. Tutto ciò comunica un grande senso di tristezza,<br />

anche perché, una volta entrate, le persone diventano effettivamente irrecuperabili. Il manicomio<br />

è come un “pueblo”.<br />

Cosa fanno gli internati dentro il manicomio durante la giornata?<br />

Vengono offerte loro delle attiv<strong>it</strong>à, ma queste non sono inser<strong>it</strong>e in una strategia di recupero o di reinserimento<br />

sociale o lavorativo. Non c’è alcun recupero e tutto si basa sulla psicofarmacologia, essendo gli<br />

psichiatri preparati solo ad un approccio biologico della malattia mentale. E’ vero che esistono anche<br />

degli psicologi dentro gli ospedali psichiatrici, ma sono in numero assolutamente insufficiente.<br />

Qual è la modal<strong>it</strong>à più comune di ricovero?<br />

Il ricovero avviene prevalentemente su base volontaria oppure su iniziativa della famiglia. Il problema<br />

è che, anche se spesso la crisi non è particolarmente grave, essa trova solo un’unica risposta consistente,<br />

appunto, nel ricovero. A forza di affrontare i problemi psichici in questo modo, alla fine ci si ab<strong>it</strong>ua<br />

alle mura dell’ospedale, alla loro protezione. Quando sono entrato nel manicomio di Buenos Aires, an-<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


INTERVISTA A UGO LOPEZ DI RADIO LA COLIFATA<br />

ch’io ho sub<strong>it</strong>o questo processo<br />

di adattamento e, ben presto,<br />

ho sviluppato la paura di uscire<br />

e di affrontare la società. Una<br />

volta qualcuno nel Borda aveva<br />

messo una freccia puntata verso<br />

la c<strong>it</strong>tà, che informava che là, in<br />

quella direzione, era il (vero) manicomio!<br />

I ricoverati possono avere permessi<br />

d’usc<strong>it</strong>a dall’ospedale?<br />

Sì, ci sono permessi d’usc<strong>it</strong>a nei<br />

padiglioni, dove la porta è semiaperta.<br />

Esistono però anche<br />

reparti chiusi. In realtà ci sono<br />

tentativi di rinnovamento da<br />

parte del manicomio, ma, secondo<br />

me, sono tentativi di facciata,<br />

che non possono andare in Ugo in vis<strong>it</strong>a agli studenti di una classe dell’Ist<strong>it</strong>uto d’Arte<br />

profond<strong>it</strong>à. Esistono delle leggi,<br />

alcune che vanno nella giusta direzione, come la 448, ispirata alla legge Basaglia, a cui però ancora non<br />

si dà reale attuazione. Come in Italia la s<strong>it</strong>uazione non è uguale dappertutto, per cui noi vediamo che<br />

il distretto di Buenos Aires (la cap<strong>it</strong>ale) è in r<strong>it</strong>ardo rispetto alle altre tre grandi province del paese: San<br />

Louis, Rio Negro e la Pampa.<br />

Come mai non si riesce a far passare una pol<strong>it</strong>ica omogenea della psichiatria in tutti i distretti del<br />

Paese?<br />

Secondo me ci sono delle resistenze di una parte della psichiatria, quella maggiormente orientata in<br />

senso biologico, che si è alleata con le lobby farmaceutiche per frenare le riforme di orientamento basagliano.<br />

Tra l’altro, chi contrasta la piena attuazione della riforma della tutela della salute mentale trova un<br />

terreno favorevole, perché il cambiamento rimanda al nuovo, di cui si temono sviluppi imprevisti e non<br />

ben conosciuti. Dunque lo status quo tende a perpetuarsi, garantendo il privilegio di pochi a scap<strong>it</strong>o<br />

dei più: tutto ciò, naturalmente, crea favor<strong>it</strong>ismi ed alimenta la corruzione e lo spreco. Da noi esistono<br />

fasce di popolazione, soprattutto bambini, che sono letteralmente denutr<strong>it</strong>i. Sto parlando di milioni di<br />

persone! Alcuni sostengono che una strada percorribile è quella di procedere con le privatizzazioni,<br />

anche se, come ho appena detto, la corruzione e l’ingiustizia sociale rischiano di essere favor<strong>it</strong>e da un<br />

sistema simile. Altri combattono queste idee e queste prassi: queste persone rappresentano posizioni<br />

pol<strong>it</strong>iche per cui, ad esempio, la medicina non può essere privatizzata, essendo un bene pubblico, è<br />

come l’acqua!<br />

Che cosa pensi sia utile portare in Argentina dell’esperienza che qui da noi hai fatto della tutela<br />

della salute mentale?<br />

Il trattamento umanistico. Là i medici sono costretti a lavorare in più strutture, altrimenti non guadagnano<br />

a sufficienza. Lavorano contemporaneamente in ospedali pubblici, cliniche del sindacato, cliniche private,<br />

lavorano nel campo dell’assistenza agli anziani, hanno ambulatori privati... Vedo che qui in Italia gli<br />

operatori “stanno” con i pazienti: questa almeno è stata la mia esperienza a Soteria e al Servizio Sollievo/<br />

Centro Diurno. Ci vuole pazienza e disponibil<strong>it</strong>à. E ce ne vuole tanta! Il malato psichico è difficile da supportare<br />

e gli operatori devono essere molto preparati. Per fare questo occorrono, pertanto, molte risorse<br />

e dunque anche molti investimenti economici. Purtroppo, e per me è diventato un fatto esistenziale, il<br />

denaro tende a corrompere tutto e tutti. Per questo me ne sono andato dal sindacato: se fossi rimasto<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 9


10<br />

INTERVISTA A UGO LOPEZ DI RADIO LA COLIFATA<br />

Ugo Lopez e lo psicologo Alfredo Olivero, accanto alla traduttrice e all’educatrice<br />

Susana, incontrano gli studenti di alcune scuole jesine nella sala<br />

consiliare del Comune di Jesi.<br />

sarei ricco come i miei compagni!<br />

C’è un sistema che alimenta<br />

la corruzione...<br />

... E come si alimenta la corruzione?<br />

Più c’è sottosviluppo, più c’è<br />

ignoranza, meno c’è cultura e<br />

più c’è corruzione! L’Argentina<br />

è un esempio di come un sistema<br />

socio-pol<strong>it</strong>ico, impregnato di<br />

malcostume e di individualismo,<br />

possa devastare una nazione.<br />

Perché anche voi qui in Italia volete<br />

percorrere questa strada?<br />

Già, perché?...<br />

Io, nonostante tutto, sono ottimista.<br />

Credo che il progresso<br />

tecnologico ci possa dare forza<br />

per essere più liberi. Nonostante<br />

la mia s<strong>it</strong>uazione economica<br />

non sia florida, ho attraversato<br />

l’oceano, ho lasciato l’Argentina<br />

e sono qui da voi in Italia. Ogni tanto mi pizzico per essere sicuro di non stare sognando!<br />

... Dunque non bisogna disperare?<br />

Infatti. Noi Colifati, nel 2007, ci siamo incontrati a Buenos Aires in un grande abbraccio per lavorare per la<br />

pace. Rappresentavamo le radio libere gest<strong>it</strong>e da malati psichici di tante nazioni: Argentina, Italia, Brasile,<br />

Cile, Messico e Uruguay. Abbiamo parlato di pace sociale e pace mentale. E noi siamo Colifati!... Perché i<br />

governi, che sono cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>i da persone equilibrate, non riescono a fare altrettanto?<br />

Adios, Ugo…<br />

Arrivederci, vi aspetto a Buenos Aires!•<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


MA LA NUVOLA DI FANTOZZI<br />

Francesca Ventura<br />

ESISTE VERAMENTE?<br />

Quello delle previsioni meteorologiche è un tema<br />

caro a Capo Horn, che deve pur fornire qualche<br />

indicazione ai suoi intrepidi naviganti che si<br />

avventurano nelle sue infide e tormentate acque.<br />

Finora si è serv<strong>it</strong>o della consulenza di chi fa uso<br />

di strumenti in gran parte empirici, ma questa<br />

volta può disporre addir<strong>it</strong>tura del contributo<br />

veramente scientifico di un’amica, docente di<br />

agrometeorologia all’Univers<strong>it</strong>à di Bologna. Non<br />

se l’abbia a male il nostro Meteomoro.<br />

Non so voi, ma nella mia esperienza di agrometeorologo<br />

ci sono i colleghi che in ascensore o<br />

alla macchina del caffè, chiedono: “Ma quando<br />

smetterà di piovere? Ma quando tornerà a piovere?<br />

Ma che tempo farà nei prossimi giorni?”.<br />

Come se fossi io a fare le previsioni meteorologiche.<br />

Soprattutto, quando la fine della primavera<br />

si avvicina, le domande si concentrano<br />

sulle condizioni del fine settimana.<br />

Io vivo a circa 100 km dal mare, ad una distanza<br />

che permette di andare a prendere un po’<br />

di sole e tornare in giornata e, quando la bella<br />

stagione si avvicina, in molti ne hanno voglia.<br />

Ma non sempre le cose vanno come dovrebbero<br />

e mi cap<strong>it</strong>a, il lunedì, di sentirmi dire: “Ma<br />

perché piove sempre nei fine settimana ed è<br />

bello il lunedì?”. Ebbene, a me questa domanda<br />

la fanno spesso e talvolta me la sono posta<br />

anche io. E così ho deciso di darmi una risposta,<br />

ma una risposta da agrometeorologo, basata<br />

sui dati.<br />

Innanz<strong>it</strong>utto ho scelto un set di dati adatto.<br />

Poiché la domanda mi viene posta a Bologna,<br />

e non al mare, e poiché i questionanti non si<br />

muovono di qui se il tempo è brutto o incerto,<br />

le vere condizioni meteorologiche al mare non<br />

sono importanti. Ho deciso così di analizzare<br />

un data set di Bologna, poiché è evidentemente<br />

qui che nell’esperienza dei miei interlocutori<br />

fa bello o brutto tempo nel fine settimana. E<br />

METEO<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 11


dunque ho preso i dati della stazione agrometeorologica<br />

della azienda sperimentale della Facoltà<br />

di Agraria, nel comune di Cadriano, lim<strong>it</strong>rofo a<br />

Bologna. La stazione è stata installata nel 1952 e<br />

ho considerato i dati di precip<strong>it</strong>azione dal 1952 al<br />

2008. Per ciascun anno ho contato il numero di<br />

giorni di pioggia rispetto al numero totale annuo<br />

di giorni lavorativi. Successivamente ho contato,<br />

per ciascun anno, il numero di giorni di fine settimana<br />

(sabato e domenica) con pioggia, rispetto al<br />

numero totale annuo di giorni di fine settimana.<br />

Se, come i miei colleghi pensano, effettivamente<br />

l’effetto “nuvola di Fantozzi” esistesse, io dovrei<br />

trovare una percentuale più alta nel secondo caso<br />

piuttosto che nel primo. E invece no, in entrambi<br />

i casi i conteggi mi danno una percentuale pari a<br />

34%. Ma alcuni dei miei colleghi, i più pignoli, potrebbero<br />

obbiettare che se durante l’inverno piove<br />

o meno nei fine settimana a loro non interessa,<br />

ma è d’estate che vorrebbero andare al mare. E mi<br />

sembrerebbe una osservazione molto opportu-<br />

12<br />

NON CIATTO PIU’!<br />

Assiduo ciattatore da studente, Massimiliano Colocci, ora, divenuto psicologo, ci fa scoprire diversi aspetti<br />

di un tipo di comunicazione assai diffuso tra i giovani, parlando della sua esperienza passata con un amico,<br />

che lo ha intervistato.<br />

A cura di Jean Luca Ciccoli<br />

METEO<br />

na! Per poter rispondere dunque in maniera più<br />

completa, ho deciso di far di nuovo correre il mio<br />

programmino conta-giorni-di-pioggia, concentrandomi<br />

però solo sui mesi di maggio, giugno,<br />

luglio, agosto e settembre. E dunque ho di nuovo<br />

fatto contare il numero di giorni di pioggia, feriali<br />

e festivi, rispetto al numero totale di giorni di<br />

pioggia, feriali e festivi. In questo caso ho trovato<br />

rispettivamente le percentuali di 26% e 27%, non<br />

identiche, ma sostanzialmente uguali. Inoltre, dal<br />

momento che se si è in ballo, è sempre meglio ballare:<br />

ho controllato se in questi 56 anni di dati si è<br />

manifestata una qualche tendenza, all’aumento o<br />

alla diminuzione, delle due percentuali suddette.<br />

Esse si sono mantenute sostanzialmente costanti<br />

nel tempo. A questo punto, non so voi, ma io<br />

quando incontrerò i miei colleghi in ascensore o<br />

alla macchina del caffè e mi chiederanno perché<br />

piove sempre nei fine settimana, saprò cosa rispondere.•<br />

COMUNICAZIONE VIRTUALE<br />

Cos’è la chat line C6?<br />

E’ uno spazio virtuale di aggregazione, in cui si incontrano alcune migliaia di persone da ogni parte d’Italia<br />

e talvolta anche dall’estero, comunicando reciprocamente in tempo pressoché istantaneo.<br />

Ci sono persone addette al controllo?<br />

In essa c’è una redazione e ci sono delle figure animatrici, chiamate Atlantis o Virgilio, che tuttavia sono<br />

prive delle funzioni di filtro, tipiche invece dei moderatori: ciò fa sì che possa entrare chiunque, anche le<br />

persone maleducate, scorrette e irrispettose.<br />

Da quando ti sei iscr<strong>it</strong>to?<br />

Dal mese di settembre del 2002, quando ero ancora studente.<br />

Quali furono le ragioni della tua iscrizione?<br />

Beh, principalmente, un senso di profonda sol<strong>it</strong>udine e di grande delusione e di amarezza, che in quell’anno<br />

provai per lungo tempo in segu<strong>it</strong>o a vicende della mia v<strong>it</strong>a privata.<br />

Queste tue motivazioni sono poi cambiate?<br />

Sì, a poco a poco, osservando i contenuti pressoché costantemente superficiali delle chattate, per non<br />

dire assai spesso francamente banali e scontate, ho tentato energicamente di dare un mio personale<br />

contributo.<br />

Quando e perché tali motivazioni sono mutate?<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


COMUNICAZIONE VIRTUALE<br />

Essenzialmente dopo poco tempo, allorché mi sono accorto chiaramente del tratto prevalente di finzione<br />

che domina questa sfera virtuale.<br />

Che tipo di contributo hai tentato di veicolare?<br />

In numerose occasioni ho provato a stimolare le persone presenti a cimentarsi in dibatt<strong>it</strong>i, che richiedessero<br />

l’espressione di un punto di vista personale su temi di una qualche valenza psicologica, storica,<br />

sociale, pol<strong>it</strong>ica, religiosa e culturale.<br />

Che bilancio ne hai tratto?<br />

Il bilancio non è confortante, purtroppo. Se dovessi quantificare, almeno 8 volte, se non 9, su 10 si è<br />

rivelato un buco nell’acqua, nel senso che non ho trovato sufficiente disponibil<strong>it</strong>à. Anzi, la cosa più frequente<br />

è stata quella di essere attaccato tram<strong>it</strong>e sarcastiche prese in giro od offese del tutto gratu<strong>it</strong>e sul<br />

piano personale.<br />

Sei riusc<strong>it</strong>o a creare qualche contatto significativo con qualcuno/a?<br />

In questi anni avrò contattato centinaia di persone in pubblico e alcune decine in privato, ma soltanto<br />

con cinque persone il tentativo ha avuto buon es<strong>it</strong>o. Con una di loro ho avuto una relazione per un paio<br />

d’anni, con due di loro mi sono incontrato dal vivo e siamo diventati buoni amici. Con la terza persona<br />

c’è grandissima stima, rispetto e affetto, pur non essendoci ancora incontrati.<br />

Perché le persone entrano in chat?<br />

Direi che i motivi principali in ordine di importanza possono essere:<br />

1) la ricerca di sesso facile;<br />

2) la scarica selvaggia delle frustrazioni accumulate;<br />

3) il terrore della sol<strong>it</strong>udine e, quindi, il bisogno di sentirsi parte di un gruppo;<br />

4) la volontà di evadere dal noioso grigiore quotidiano.<br />

Cosa pensi della chat?<br />

Quello di tutti gli strumenti, che, di per sé, non sono né buoni né cattivi, ma dipende sempre dal tipo di<br />

uso che ne fanno gli utenti. Potenzialmente essa potrebbe allargare molto la possibil<strong>it</strong>à di un dialogo<br />

costruttivo e di un reciproco arricchimento culturale ed esistenziale. Nei fatti, ahimè, alimenta frequentemente<br />

invece le tendenze peggiori alla maldicenza, alla fals<strong>it</strong>à e alla cattiveria.<br />

Sei d’accordo con chi afferma che la chat è uno specchio fedele della realtà?<br />

Credo che non sia solo uno specchio fedele, ma anche una sorta di potente cassa di risonanza, che<br />

incentiva la tendenza a nascondersi dietro ident<strong>it</strong>à f<strong>it</strong>tizie e fomenta in modo abnorme la dimensione<br />

della fantasia, a discap<strong>it</strong>o della verifica nell’incontro con la persona reale, nel mondo reale.<br />

Perché hai deciso di non parteciparvi più?<br />

Perché tutto ha un lim<strong>it</strong>e. Come tentativo finale ho anche provato per qualche giorno a creare uno spazio<br />

privato virtuale, nel quale inv<strong>it</strong>are uomini e donne, che avessero piacere di confrontarsi in un dialogo<br />

autentico e pieno di significati. Purtroppo anche questa ultima cosa si è rivelata illusoria, sia per l’esiguo<br />

numero di utenti interessati sia soprattutto per l’oggettiva lim<strong>it</strong>atezza nel comunicare per iscr<strong>it</strong>to tra più<br />

persone contemporaneamente su temi impegnativi.•<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 13


Paolo Ripanti<br />

Attualmente giacciono in Parlamento vari disegni<br />

di legge che si propongono di operare una<br />

revisione della legge 180, già inglobata nella legge<br />

n°833/78 di Riforma San<strong>it</strong>aria Nazionale. Tali<br />

proposte sembrano far parte di un progetto più<br />

generale, che tenta di imporre un modello forte e<br />

autor<strong>it</strong>ario ad una società sempre più disorientata<br />

ed impaur<strong>it</strong>a.<br />

A questo propos<strong>it</strong>o è sufficiente pensare ad ist<strong>it</strong>uzioni<br />

quali il carcere e gli ospedali psichiatrici giudiziari<br />

(OPG o manicomi criminali), emblematici<br />

esempi di forza e di totalizzazione dell’individuo,<br />

che presentano analogie e aspetti ident<strong>it</strong>ari con<br />

i vecchi ospedali psichiatrici, meglio noti al grande<br />

pubblico come manicomi e finalmente chiusi<br />

dal 1978. I risultati di queste ist<strong>it</strong>uzioni, che di fatto<br />

si fondano sulla segregazione e sulla repressione<br />

dei comportamenti devianti, sono tutt’altro che<br />

incoraggianti: da un lato il carcere, anzi le varie<br />

strutture carcerarie sparse in tutt’Italia, rappresentano<br />

quasi sempre una fucina di suicidi e di nuovi<br />

delinquenti, dall’altro gli OPG hanno anch’essi<br />

analoghe difficoltà. Entrambi sono una sorta di<br />

discarica di uman<strong>it</strong>à abbandonata, a cielo aperto.<br />

La legge prevede che gli ist<strong>it</strong>uti di pena e cura (gli<br />

OPG) non debbano soddisfare un bisogno di vendetta<br />

delle v<strong>it</strong>time né fondarsi su precetti ‘taglionici’,<br />

ma al contrario hanno l’obbligo di riabil<strong>it</strong>are<br />

chi ha sbagliato e abbia pagato con la detenzione,<br />

in modo da poter essere recuperato alla società.<br />

E i Servizi di Salute mentale, nati dopo la chiusura<br />

dei manicomi? In un incontro, avvenuto presso il<br />

Senato della Repubblica, C<strong>it</strong>tadinanzattiva e il Tribunale<br />

per i Dir<strong>it</strong>ti del Malato hanno presentato<br />

un rapporto dal t<strong>it</strong>olo “ I c<strong>it</strong>tadini valutano i servizi”,<br />

in cui viene evidenziato come l’assistenza psichiatrica<br />

in generale sul terr<strong>it</strong>orio <strong>it</strong>aliano sia di qual<strong>it</strong>à<br />

dign<strong>it</strong>osa in termini di strutture, accessibil<strong>it</strong>à,<br />

informazione, sicurezza ed integrazione socio-san<strong>it</strong>aria,<br />

nonostante vi siano in certi casi forti differenze<br />

fra regione e regione, fra centro e periferia.<br />

14<br />

PROPOSTE DI MODIFICA DELLA LEGGE 180<br />

COME GUARIRE PER<br />

DISPOSIZIONE DI LEGGE<br />

Dopo trent’anni e più dall’applicazione della legge<br />

‘Basaglia’, questo rapporto è uno dei tanti esempi<br />

da cui si può evincere che il lavoro degli operatori<br />

ed il peso sopportato dalle famiglie sono i due<br />

elementi che hanno determinato il miglioramento<br />

della psichiatria in Italia, nonostante le esigue<br />

risorse finanziarie ad essa dedicate. Ma allora viene<br />

da chiedersi: “Che bisogno c’è di un intervento<br />

legislativo, se i servizi operano tutto sommato<br />

bene e se le famiglie continuano a mantenere un<br />

ruolo di umana responsabil<strong>it</strong>à nell’accudimento<br />

dei propri sfortunati congiunti?”<br />

Un abbozzo di risposta è formulata nell’apertura<br />

di quest’articolo, anche se ciò non significa che la<br />

legge attuale (la ex-180) sia un totem intoccabile.<br />

In effetti essa, essendo una legge quadro, nel<br />

corso degli anni è stata riemp<strong>it</strong>a di contenuti e<br />

significati sempre più puntuali attraverso il lavoro<br />

del Parlamento stesso, ma anche attraverso le proposte<br />

di molte Regioni, che hanno fatto e fanno<br />

tutt’ora da traino per altre s<strong>it</strong>uazioni momentaneamente<br />

più arretrate. E ciò è potuto accadere<br />

per una naturale evoluzione di processi iniziati<br />

tanti anni fa, che hanno coinvolto ampi strati di<br />

popolazione: basti solo pensare che la legge 180<br />

veniva approvata dalle Camere anche per la spinta<br />

di un referendum popolare indetto dai radicali.<br />

Oggi, tutto ciò sembra incredibilmente lontano e<br />

la società meno disposta a mettersi in gioco per<br />

chi è diverso e quindi potenzialmente pericoloso,<br />

per cui si vorrebbe dare risposta alle paure del<br />

presente con un r<strong>it</strong>orno alle soluzioni autor<strong>it</strong>arie<br />

del passato, senza dirlo apertamente però. Eccezione<br />

non nobile a questo discorso è la proposta<br />

di legge Guzzanti, la cui brutal<strong>it</strong>à si unisce a dichiarati<br />

autor<strong>it</strong>arismi e ad altrettanta ignoranza<br />

circa la compless<strong>it</strong>à della malattia mentale. Come<br />

dire: “Gli è scappata!”. Naturalmente, però, in questa<br />

sede, ci interessa più esaminare altre proposte,<br />

quali quella a prima firma dell’onorevole Ciccioli<br />

(“Disposizioni in materia di assistenza san<strong>it</strong>aria”)<br />

che, temiamo, possa essere sostenuta tanto dalla<br />

maggioranza quanto anche da ampi settori del-<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


l’opposizione e che quindi rischia di diventare<br />

legge dello Stato. Tale proposta, muovendosi nel<br />

contesto della legge attuale, avanza alcune modifiche<br />

ed aggiunte. Cercheremo di esaminarne alcune,<br />

da noi r<strong>it</strong>enute più significative.<br />

La prima riguarda (a) “un approccio più vicino al<br />

modello medico” (nella Premessa). Ora, il ripristino<br />

della central<strong>it</strong>à di tale modello e quindi della<br />

central<strong>it</strong>à dell’ospedale e dunque della central<strong>it</strong>à<br />

della psicofarmacoterapia appare un’operazione<br />

di ingiustificato riduzionismo, che nega le altre<br />

dimensioni del disagio psichico (vedi anche Capo<br />

Horn n°5/2003 “I confini della psichiatria”, reperibile<br />

anche nel s<strong>it</strong>o www.asiamente.<strong>it</strong>), che porterà<br />

ad una dilatazione dei costi della Psichiatria.<br />

Naturalmente, se già nella premessa alla legge si<br />

parla di modello medico, l’attenzione si sposta rapidamente<br />

sulle modal<strong>it</strong>à di ricovero, dove ai legislatori<br />

sfugge l’aggettivo “coatto” del buon tempo<br />

andato (dei manicomi).<br />

Accanto al ricovero per le “acuzie”, che può essere<br />

fatto secondo precise disposizioni di legge già<br />

esistenti con la modal<strong>it</strong>à del TSO (vedi Capo Horn<br />

n° 1/2001 “Da criminali a persone libere”, reperibile<br />

anche su asiamente.<strong>it</strong>), di cui però si vuole allungare<br />

la durata a trenta giorni (b – art 3 comma7)<br />

fin da sub<strong>it</strong>o (mentre attualmente dura 7 giorni,<br />

ma la sostanza temporale cambia poco, perché<br />

entrambi sono e sarebbero rinnovabili, a giudizio<br />

medico, ma, attenzione, eseguibile anche in cliniche<br />

private), viene pensato anche un ricovero per<br />

s<strong>it</strong>uazioni “croniche”, dove non c’è la volontarietà<br />

da parte del paziente, con un bel riduzionismo<br />

medico che divide l’esistenza nel disagio mentale<br />

in “acuti e cronici”, come se avessero la bronch<strong>it</strong>e.<br />

Questo tipo di ricovero si chiama (c), all’art. 3, comma<br />

11, Trattamento San<strong>it</strong>ario Obbligatorio Prolungato<br />

(TSOP), della durata di sei mesi, rinnovabile<br />

con scopo dichiarato di “avviare processi terapeutico-riabil<strong>it</strong>ativi”.<br />

Sì, avete letto bene, la riabil<strong>it</strong>azione diventa un<br />

processo terapeutico coatto: come poi si concilieranno<br />

le prospettive di autonomia con la costrizione<br />

resta un mistero; come si impedirà alle persone<br />

(ricoverate, osp<strong>it</strong>ate, imprigionate) di scappare a<br />

gambe levate diventerà una questione di edilizia<br />

carceraria, di ipnosi o altre magiche capac<strong>it</strong>à di<br />

suggestione con le quali ottenere l’agognato convincimento.<br />

Una struttura come “<strong>Asiamente</strong>” di via<br />

Contuzzi e tutti gli altri servizi pubblici riabil<strong>it</strong>ativi<br />

PROPOSTE DI MODIFICA DELLA LEGGE 180<br />

esistenti in Italia, caratterizzati da grande apertura<br />

verso l’esterno, risulteranno inadeguati: si dovranno<br />

costruire ermetici edifici che, probabilmente,<br />

sorgeranno grazie all’iniziativa imprend<strong>it</strong>oriale e,<br />

dato che è prevista la possibil<strong>it</strong>à anche di osp<strong>it</strong>are<br />

TSO di 30 giorni per acuti, i pazienti in crisi, tra<br />

ospedale per diagnosi e cura e riabil<strong>it</strong>azione forzata,<br />

verosimilmente in cliniche private, saranno<br />

fuori dalla circolazione per un bel pezzo (E CHI S’E<br />

VISTO S’E’ VISTO!)<br />

Qualora, invece, ci fosse una volontarietà da parte<br />

del paziente ‘cronico’ di seguire le cure indicate, lo<br />

zelo dei legislatori si accontenterà di proporre, all’art.3<br />

comma 12, (d) il Contratto Terapeutico Vincolante<br />

(CTV) o contratto di Ulisse, per cui vengono<br />

presi degli accordi formalizzati con l’équipe curante,<br />

accordi che avrebbero forza di legge. Il nostro<br />

paziente, come Ulisse, si vincola volontariamente<br />

in previsione di sue future follie (non è prevista la<br />

possibil<strong>it</strong>à che uno possa cambiare opinione). Se il<br />

paziente rifiuta le terapie, vuole interrompere una<br />

residenza in comun<strong>it</strong>à, salta le vis<strong>it</strong>e di controllo<br />

dal medico, ecc., l’équipe è già legalmente autorizzata<br />

a costringerlo al rispetto della cura. Il fatto<br />

è, però, che bisogna che qualcuno materialmente<br />

lo leghi all’albero maestro della nave. Ma allora<br />

che vantaggio si avrebbe da questo CTV a norma<br />

di legge, rispetto all’esecuzione del vecchio e mai<br />

amato, ma a volte necessario TSO, già previsto dalla<br />

legge 180? Forse il CTV potrebbe andar bene in<br />

qualcuna di quelle strategie paradossali utilizzate<br />

dai terapeuti sistemici in casi particolari. Ma come<br />

si fa a pensare di normare con leggi dello Stato decisioni<br />

terapeutiche e quindi strettamente tecniche,<br />

dove la scienza e la conoscenza del medico e<br />

dello psicologo debbono essere protagoniste?<br />

La risposta che sorge spontanea è: demagogia,<br />

fumo negli occhi, ostentazione di forza e rigore,<br />

inutili e di facciata. Anche perché la conseguenza<br />

di questi provvedimenti, quali il TSOP e il CTV,<br />

che la legge vorrebbe introdurre e che coinvolgono<br />

l’intervento, oltre che dei medici, di giudici<br />

e amministratori di sostegno in un esercizio di<br />

inopportuna muscolar<strong>it</strong>à giudiziario-legislativa,<br />

di fronte a “gravi o protratte violazioni del paziente”,<br />

non avrebbero poi (per fortuna) conseguenze<br />

alcuna. Ma c’è bisogno di un Giudice Tutelare per<br />

stabilire che un progetto terapeutico è destinato<br />

a fallire, se non si riesce ad ottenere un minimo<br />

di collaborazione (magari anche solo sporadica<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 15


e temporanea) da parte di chi ne ha bisogno e<br />

che ciò che può indurre un paziente recalc<strong>it</strong>rante<br />

a collaborare per rimettere in moto la propria<br />

v<strong>it</strong>a non è l’imperio della legge, ma la forza della<br />

realtà, realtà che l’utente tende a negare, perché<br />

questa è l’essenza della sua malattia e con questa<br />

bisogna confrontarsi, senza illusorie scorciatoie<br />

legali?<br />

Del resto, perché stupirsi, visto che si vuol costringere<br />

il medico ad effettuare, (e) all’art.7, vis<strong>it</strong>e domiciliari<br />

con scadenze stabil<strong>it</strong>e dalla legge e non<br />

da opportun<strong>it</strong>à clinico-terapeutiche? In realtà le<br />

vis<strong>it</strong>e domiciliari sono uno strumento estremamente<br />

utile, ma la sua util<strong>it</strong>à non risponde ad ottusi<br />

parametri quant<strong>it</strong>ativi: si fanno quando sono<br />

opportune, non per un dannoso assistenzialismo<br />

o perché una norma l’impone meccanicamente al<br />

medico.<br />

L’art.8 (f ) riguarda i “dir<strong>it</strong>ti dei familiari”; il comma<br />

1 rec<strong>it</strong>a che il medico psichiatra è tenuto a riferire<br />

sullo stato di salute mentale del paziente e sulle<br />

cure necessarie a: coniuge, gen<strong>it</strong>ori, fratelli o sorelle<br />

che si occupano dello stesso. Notiamo che il<br />

paziente non sempre è interdetto o è un minore,<br />

anzi queste condizioni sono le meno frequenti. Il<br />

paziente è un adulto responsabile nella maggior<br />

parte dei casi e ha dir<strong>it</strong>to ad una privacy. Il medico<br />

in questi casi deve chiedere sempre il permesso al<br />

proprio assist<strong>it</strong>o prima di comunicare ad altri notizie<br />

riservate che riguardano la sua salute. Ciò non<br />

toglie che va sempre ricercata una collaborazione<br />

dei familiari, un loro coinvolgimento attivo nei<br />

processi di terapia della malattia mentale, anche<br />

perché questa, spesso, è diffusa al sistema della famiglia<br />

e perché, comunque, quasi sempre la famiglia<br />

resta una risorsa preziosa per la terapia.<br />

Nel comma 2 dello stesso articolo si dice che nei<br />

casi in cui la convivenza con la persona malata<br />

comporti dei rischi per l’incolum<strong>it</strong>à fisica del malato<br />

stesso o dei familiari, il DSM trova una soluzione<br />

idonea alle esigenze della persona affetta.<br />

Verrebbe da dire che ciò è ovvio. Ma è altrettanto<br />

ovvio per le forse più numerose s<strong>it</strong>uazioni analoghe,<br />

dove non c’è nessun malato mentale in ballo?<br />

Avete mai sent<strong>it</strong>o parlare di violenza all’interno di<br />

una relazione di coppia oppure all’interno di una<br />

relazione gen<strong>it</strong>ore – figlio? Perché si sente l’esigenza<br />

di specificare quanto sopra, se non mossi<br />

da un pregiudizio nei confronti di chi è psicotico<br />

o depresso?<br />

16<br />

PROPOSTE DI MODIFICA DELLA LEGGE 180<br />

L’art 6., finalmente, tocca un problema che ancora<br />

non si è riusc<strong>it</strong>i ad affrontare adeguatamente<br />

e che riguarda (g) i rapporti tra DSM e Ministero<br />

della Giustizia. Come abbiamo sopra accennato,<br />

gli OPG versano in una s<strong>it</strong>uazione tragica, dato<br />

che la Commissione Parlamentare d’Inchiesta,<br />

guidata dal senatore Saccomanno, ha stabil<strong>it</strong>o<br />

che una sola (Castiglion delle Stiviere di Mantova)<br />

delle sei strutture presenti sul terr<strong>it</strong>orio nazionale<br />

è conforme agli standard igienico-san<strong>it</strong>ari, curativi<br />

ed assistenziali, mentre in tutte le altre (Aversa,<br />

Napoli, Castiglion Fiorentino, Barcellona Pozzo di<br />

Gotto e Reggio Emilia), versano nel degrado e nella<br />

sporcizia. In tutto in questi ist<strong>it</strong>uti sono rinchiusi<br />

1500 persone, molte delle quali, secondo uno dei<br />

membri della commissione, il senatore Marino,<br />

potrebbero essere dimissibili. Dunque, nel caso<br />

degli OPG, la legge di riforma della psichiatria è<br />

stata quasi del tutto disattesa e quindi siamo d’accordo<br />

con le proposte dei legislatori, che all’’art.6<br />

– comma 1, quando affermano che le Asur, su cui<br />

insistono le case circondariali, debbono attivare<br />

adeguate risorse del DSM competente per operazioni<br />

di assistenza. E’ chiaro che finché, per i malati<br />

di mente autori di reati, persiste una riconosciuta<br />

“pericolos<strong>it</strong>à sociale”, i processi di cura e di riabil<strong>it</strong>azione<br />

avranno insuperabili lim<strong>it</strong>i. A meno che<br />

non si realizzi ciò che viene proposto al comma<br />

2 dello stesso articolo e cioè la realizzazione di<br />

percorsi di trattamento alternativi all’invio in OPG,<br />

da realizzare con la partecipazione della rete dei<br />

servizi esterni al carcere, che avranno l’onere di assicurare<br />

la custodia degli autori di reato, mentre<br />

gli oneri della cura invece saranno a carico del Ministero<br />

della Salute.<br />

Infine alcune osservazioni riguardo alla proposta<br />

di spendere il 7% di quota destinato (h) ai Livelli<br />

Essenziali di Assistenza: attualmente tale spesa si<br />

aggira attorno al 3.5%, anche se vi sono importanti<br />

differenze in tutto il terr<strong>it</strong>orio nazionale. Dunque<br />

di per sé si chiede un raddoppio della spesa a vantaggio<br />

della psichiatria, ma noi, ancora, non siamo<br />

favorevoli perché questa maggiori risorse finanziarie<br />

(che difficilmente il governo e le forze pol<strong>it</strong>iche<br />

accoglieranno) verranno bruciate per una<br />

dilatazione di costi legata al taglio dato alla proposta<br />

di legge basata sulla central<strong>it</strong>à del modello<br />

ospedaliero, sulla re-ist<strong>it</strong>uzionalizzazione e su una<br />

privatizzazione della tutela della salute mentale a<br />

tutto svantaggio dei malati.•<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


IL LAVORO E LA CRISI<br />

FANNULLONI!<br />

La svolta neo-liberista dei primi anni ‘80 è a capo di una rivoluzione in senso autor<strong>it</strong>ario nei rapporti economici,<br />

pol<strong>it</strong>ici e sociali, che ha portato al disprezzo del lavoro, ad un disastro finanziario epocale e alla crisi<br />

della democrazia.<br />

Claudio Sbaffi<br />

Non è questo il periodo in cui sulla ribalta dell’opinione pubblica troviamo il mondo del lavoro. Su di<br />

esso grava una specie di ostracismo, che lo rende invisibile e indicibile. Del resto, non può pretendere<br />

visibil<strong>it</strong>à e parola se la ribalta e i riflettori non sono suoi: giornali in mano all’una o all’altra impresa, televisioni<br />

direttamente o indirettamente all’attuale governo.<br />

E sapete allora cosa deve sentirsi dire il mondo del lavoro, sparso nella rete postindustriale delle imprese<br />

disseminate sul terr<strong>it</strong>orio, il mondo della scuola, quello della san<strong>it</strong>à, cioè i settori chiave della nostra<br />

v<strong>it</strong>a sociale? Un liquidatorio e oltraggioso “Fannulloni!”<br />

che, lanciato al culmine di un disastro<br />

finanziario epocale, significa inventare con massima<br />

impront<strong>it</strong>udine un capro espiatorio su cui<br />

dirottare ogni responsabil<strong>it</strong>à, perseverando così<br />

con protervia ostinazione, senza un cedimento<br />

né un minimo ravvedimento, sulla stessa via che<br />

ha condotto alla catastrofe. E’ la stoccata finale<br />

made in Italy contro quel poco che è rimasto<br />

del lavoro garant<strong>it</strong>o e sindacalizzato: i lavoratori,<br />

se non vogliono essere tacciati, denunciati o<br />

sospettati di fannullaggine ed essere licenziati o<br />

rimanere disoccupati, devono abbandonare quei<br />

“parass<strong>it</strong>i” dei sindacati, rinunciare certi “privilegi”<br />

(leggi paghe eccessive. Sic!) e accettare contratti<br />

singoli, anziché collettivi, in modo che ciascuno,<br />

accedendo ad un nuovo stachanovismo, possa<br />

provare tutto il proprio mer<strong>it</strong>o (in lotta e competizione<br />

contro gli altri lavoratori) e la propria produttiv<strong>it</strong>à<br />

(come se questa dipendesse dal singolo<br />

lavoratore e non dall’organizzazione generale d’impresa), finché, inev<strong>it</strong>abilmente, non verrà cacciato via<br />

come “esubero” per un nuovo conclamato dissesto.<br />

E’ questo il lavoro considerato come peso morto, zavorra, vizio, costo, che alla fine viene ammesso e tollerato<br />

solo in forma di massima docil<strong>it</strong>à, dedizione e obbedienza e di minima remunerazione, completamente<br />

adattato e funzionale ad un sistema economico mobile, fluido e globalizzato. D’altro canto, di<br />

fronte a questo disprezzato mondo del lavoro, di quelli che vivono di una paga, è cresciuto a dismisura<br />

il celebratissimo e abbagliante mondo della ricchezza, in particolare di manager, cooptati nel club dei<br />

proprietari milionari “per imprese legate non alla produzione ma alla Borsa, non al mercato del prodotto<br />

ma a quello del t<strong>it</strong>olo, non all’investimento nella fabbrica ma al taglio di interi settori e reparti (e<br />

licenziamenti di personale a volte di alta e unica specializzazione) per guadagnare denaro col denaro.<br />

Si assisteva alla scomparsa di strutture e alla dispersione di popolazioni di intere c<strong>it</strong>tà industriali, per<br />

inventare fondi, e poi nuovi tipi di fondi, e poi fondi dei fondi, con valori e quotazioni fissati dall’euforia<br />

dello scambio, non dal rapporto fra ‘cielo e terra’ (…), per dire ‘finanza e fabbrica’” (1) .<br />

Cioè, viene abbandonata la cosiddetta economia reale, quella industriale, dove contano ancora le per-<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 17


18<br />

IL LAVORO E LA CRISI<br />

sone, i luoghi, i mezzi, e decolla un’immensa economia di carta, mossa da intrigate e oscure speculazioni<br />

finanziarie. E’ stata questa la svolta dei primi anni ‘80, impressa dal neo-liberismo di Reagan – Thatcher,<br />

che mise fine alla lunga fase del Keynesismo e del Welfare State, chiudendo così il sipario sull’America<br />

sociale di Roosevelt. E quindi al grido di “Meno Stato, più privato!”, che stava diventando “Niente Stato,<br />

solo mercato!”, cioè “Tutto il potere ai privati!” (taglio delle tasse ai redd<strong>it</strong>i alti contro i cr<strong>it</strong>eri di progressiv<strong>it</strong>à,<br />

trasparenza zero, bilanci falsificati, privatizzazioni, liberalizzazioni varie, evasione fiscale), che però<br />

non ha comportato il rilancio della produttiv<strong>it</strong>à, bensì l’incuria e l’abbandono di settori sociali importanti<br />

(le scuole, gli ospedali, i trasporti pubblici) nel raccapricciante disinteresse per il destino delle persone<br />

(lavoratori, utenti, consumatori), si è giunti ad una crisi economica mondiale col tracollo finanziario di<br />

Wall Street del 2008.<br />

Ancora una volta le v<strong>it</strong>time sono in basso: risparmiatori defraudati, acquirenti indeb<strong>it</strong>ati, lavoratori licenziati<br />

(figure che spesso coincidono), mentre in alto c’è chi in gran fretta toglie il campo e nasconde le<br />

tracce, come il celebre film “Prendi i soldi e scappa” di Woody Allen aveva comicamente profetizzato. E<br />

la cosa sorprendente è che lo Stato, che prima era stato respinto e sottoposto ad una cura dimagrante<br />

per il taglio delle tasse ai ricchi, ora debba correre in soccorso dell’economia (privata), offrendo quant<strong>it</strong>à<br />

enormi di denaro (pubblico, cioè il denaro derivato dalle tasse dei c<strong>it</strong>tadini e dunque, in parte soverchiante,<br />

dei lavoratori): a banche, per ev<strong>it</strong>are la bancarotta, a imprese, perché producono ricchezza ed<br />

occupazione, ma al lavoro, per il posto che scompare e il salario troppo modesto, a lui no, perché, per<br />

lui sì, si andrebbe “fuori mercato” e ciò sarebbe un intervento scandalosamente “socialista”. Si crea così il<br />

nuovo ordine del “Più Stato e più mercato”, in cui lo Stato però non è più lo Stato sociale ma lo Stato dei<br />

ricchi, schierato sempre, come a celebrare una vendetta dopo i nefasti del Welfare State, contro quella<br />

parte riottosa, detta lavoro, e inoltre premuroso a dimenticare e sorvolare sui responsabili e le vere cause<br />

del disastro finanziario.<br />

Se questa è la s<strong>it</strong>uazione generale, così come l’ho desunta dal libro c<strong>it</strong>ato di Furio Colombo: da un parte<br />

un potere economico enorme e incontrollabile, che agisce liberamente e impone su tutto e tutti la sua<br />

volontà (teoria del mercato senza regole), dall’altra parte un potere pol<strong>it</strong>ico debole e inadeguato, autoreferenziale,<br />

quando non succube e strumentale al primo o addir<strong>it</strong>tura coincidente (la casta, la corte) (2) ,<br />

tanto che finiscono per essere premiati proprio quei “pol<strong>it</strong>ici” che mimano in arroganza e cinismo lo stile<br />

autor<strong>it</strong>ario del potere economico, e la specie dei “caporali” ha rifatto la sua comparsa in tanti amb<strong>it</strong>i, allora<br />

si pone fortemente la questione democratica, ovvero la questione dei dir<strong>it</strong>ti civili.<br />

La democrazia, che non è tirannia della maggioranza<br />

(3) , non sussiste senza il rispetto dei dir<strong>it</strong>ti civili,<br />

cioè di qualcosa che è cost<strong>it</strong>utivo dell’essere<br />

c<strong>it</strong>tadino e che quindi non è negoziabile e comprimibile,<br />

pena il venir meno del c<strong>it</strong>tadino stesso,<br />

che regredisce a sudd<strong>it</strong>o, servo, schiavo, v<strong>it</strong>tima.<br />

La pol<strong>it</strong>ica democratica è strettamente correlata<br />

con la libertà umana, che non la può sacrificare<br />

sull’altare dello sviluppo storico (oggi la “modernizzazione”)<br />

o di altri sedicenti “valori”, perché<br />

scomparirebbe il suo stesso concetto per lasciare<br />

il posto al concetto di storia e di necess<strong>it</strong>à in senso<br />

deterministico. Mentre il significato di libertà,<br />

dopo l’insegnamento di Kant e la tragica dimostrazione<br />

dei regimi total<strong>it</strong>ari, sta non soltanto<br />

nella libertà di opinione (il dir<strong>it</strong>to di ascoltare<br />

e di essere ascoltati), ma anche nel concetto di<br />

spontane<strong>it</strong>à, cioè nella facoltà umana di iniziare<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


IL LAVORO E LA CRISI<br />

qualcosa di nuovo, propria dell’agire (4) . La definizione dell’uomo libero che agisce in modo spontaneo,<br />

distinto dall’uomo subalterno che agisce in modo meccanico, è ben sintetizzata da un esponente del<br />

liberalismo classico: “Qualsiasi cosa che non promana dalla libera scelta dell’uomo, o che deriva soltanto<br />

da ordini e istruzioni, non penetra nella<br />

sua essenza, bensì resta aliena alla<br />

sua natura; egli non la eseguirà con le<br />

sue vere energie, ma solo per esattezza<br />

meccanica” (5) .<br />

Ben ne sapeva qualcosa di questa libertà<br />

Franco Basaglia, di cui oggi, 29<br />

agosto 2010, commemoriamo il trentesimo<br />

anniversario della morte. Un<br />

periodo estremamente lontano ci<br />

divide da lui, soprattutto perché, proprio<br />

a cominciare dai primi anni ‘80,<br />

prese il via la svolta autor<strong>it</strong>aria sopra<br />

descr<strong>it</strong>ta; di conseguenza, dopo pochi<br />

anni dalla sua prematura morte, sul<br />

suo nome, che negli anni ‘70 circolava<br />

negli ambienti di “sinistra” quanto<br />

quello di Herbert Marcuse, è caduto il<br />

silenzio ed è spar<strong>it</strong>o dagli scaffali delle<br />

librerie, come ebbe da constatare<br />

il filosofo Pier Aldo Rovatti (6) . A quella<br />

libertà Basaglia poté dare e seppe<br />

dare un’impronta marcatamente pol<strong>it</strong>ica,<br />

grazie alle circostanze favorevoli<br />

di una società ancora immersa nella cultura ampiamente rooseveltiana, che in Italia per “l’esistenza di<br />

movimenti di lotta di base ha permesso il collegamento tra la questione psichiatrica e la problematica<br />

della lotta di classe” (7) . Senza più questo collegamento, è facile che prendano piede nuove forme di internamento,<br />

che rispondono più alle esigenze dell’organizzazione sociale che ai bisogni della gente (8) ,<br />

o si elevino proposte di revisione della “legge 180” con TSO di lungo periodo per favorire e leg<strong>it</strong>timare il<br />

processo di re-ist<strong>it</strong>uzionalizzazione appunto in conten<strong>it</strong>ori più piccoli (9) .<br />

In quanto lavoratori, impiegati, educatori, insegnanti, operatori dei servizi pubblici e privati, sembra oggi<br />

di vivere in una fase pre-pol<strong>it</strong>ica. Rispetto al periodo di Basaglia, sicuramente oggi è richiesto loro molto<br />

più coraggio per “scappare” di casa, allontanandosi dalla propria esistenza privata, e lottare contro chi<br />

tenta di espropriarli del lavoro e della v<strong>it</strong>a.•<br />

(1) Furio Colombo, La paga. Il destino del lavoro e altri destini, il Saggiatore, Milano 2009, p. 99<br />

(2) v. Sergio Rizzo, Gian Antonio Stella, La casta, Rizzoli, Milano 2007; Maurizio Viroli, La libertà dei servi, Roma-Bari 2010<br />

(3) v. Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, in Gustavo Zagrebelskj, Imparare la democrazia, Einaudi, Torino 2007,<br />

pp. 145-156<br />

(4) v. Hannah Arendt, Che cos’è la pol<strong>it</strong>ica?, in Gustavo Zagrebelskj, op. c<strong>it</strong>., pp. 157-165<br />

(5) Wilhelm von Humboldt, Saggio sui lim<strong>it</strong>i dell’attiv<strong>it</strong>à dello Stato, 1792, in Noam Chomsky, Il governo del futuro, Tropea,<br />

Milano 2009, p. 11<br />

(6) v. Pier Aldo Rovatti, Torniamo a Basaglia, in Repubblica, 31 maggio 1995<br />

(7) Basaglia, Scr<strong>it</strong>ti II: 1968-1980, Einaudi, Torino 1981, p.482<br />

(8) v. Basaglia, ibidem<br />

(9) v. Maria Grazia Giannichedda, Introduzione, in Franco Basaglia, L’utopia della realtà, Einaudi, Torino 2005<br />

• Vignette di Altan sulla crisi in mostra alla VII edizione del Collecchio Video Film Festival<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 19


SONO DA QUARANT’ANNI UN<br />

MALATO DI NIENTE<br />

Alfredo Baldini<br />

Sono da quarant’anni<br />

un “malato di niente”.<br />

Ho sessantatre anni e<br />

per circa quarant’anni<br />

sono vissuto in una<br />

stanza dipinta di nero<br />

e con la luce spenta:<br />

questa è la condizione<br />

di un malato cronico.<br />

Sub<strong>it</strong>o dopo la morte<br />

di mio padre e di<br />

mia madre, nel 1998,<br />

sprofondai in una crisi<br />

paurosa. Mi fecero<br />

rivolgere al CSM. La<br />

dottoressa Pesaresi,<br />

psichiatra, mi aiutò.<br />

Anzi mi costrinse a<br />

venire fuori a fatica<br />

dal “niente” in cui ero<br />

affogato. Per un malato<br />

cronico non vi è<br />

guarigione, perché il<br />

percorso della malattia<br />

è circolare con alti<br />

e bassi, però, se non<br />

c’è aiuto, si affoga.<br />

Ora il CSM mi somministra<br />

le medicine e<br />

ho contatti periodici<br />

con la psichiatra, la<br />

dottoressa Pesaresi,<br />

e prima ancora li avevo<br />

avuti con il dottor<br />

Ripanti, psichiatra.<br />

Entrambi mi parlarono<br />

del Centro Sollievo,<br />

ma io ero troppo<br />

ab<strong>it</strong>uato alla stanza e<br />

non riuscivo ad usci-<br />

20<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


e. E poi un giorno decisi. Andai al Centro e un’educatrice mi diede un foglio con specificate le attiv<strong>it</strong>à<br />

settimanali. Venni a contatto con altri malati, tutti più giovani, tranne due e me compreso.<br />

Un giorno, nell’amb<strong>it</strong>o del gruppo di Capo Horn diretto dal dottor Ripanti, la discussione si avventurò<br />

nella trattazione della teoria del “Big ben”, dove io mi lanciai in una mia teoria personale sull’origine dell’universo.<br />

Mi venne chiesto di scriverla e di consegnarla. E così feci il giovedì successivo, fornendo una<br />

base di discussione per tutti i miei compagni del giornale. Un giorno sentii che dovevo ancora scrivere:<br />

entrai nella sala e chiesi a Violetta un foglio e una penna e scrissi sull’uomo isola (malato di mente) e<br />

il continente (società normale). Gli educatori insistevano: dovevo scrivere, perché le mie idee potessero<br />

essere conosciute e soprattutto potessero servirmi a dialogare con il prossimo. A questo forse mi<br />

spingevano anche le teorie di gruppo condotte dalla psicologa Trosini. Fu così che cominciai a scrivere<br />

brevi articoli, fu così che riuscivo a stare in compagnia degli altri frequentatori del Centro. Certo, solo per<br />

poche ore, perché quarant’anni di pareti della stanza mi erano e sono sempre attorno, ma scrivere era<br />

diventato il mio modo di comunicare.<br />

A volte, rare volte, incominciai a sorridere dentro me stesso. Alla sera, nel letto, visualizzavo nella mente i<br />

volti dei miei compagni, i loro nomi, e mi sentivo meno solo. Gli educatori del Centro Sollievo, nel periodo<br />

estivo ci portano anche al mare. Racconto un episodio… Erano trantacinque anni che non andavo<br />

al mare, perché mi vergognavo di essere solo, mentre gli altri erano in compagnia. Quel giorno Laura,<br />

un’educatrice, mi inv<strong>it</strong>ò ad andare in acqua, quando una leggera onda mi capovolse e in meno di un<br />

metro e mezzo stavo per affogare, ma per fortuna Laura mi tirò su. Sono alto circa un metro e novanta,<br />

ma in poca acqua stavo affogando, perché con quarant’anni di pietre sopra la testa un “malato di niente”,<br />

se non vi è qualcuno che non lo aiuta, affoga nel proprio mare.<br />

Ho scr<strong>it</strong>to in fretta e in maniera succinta sul Centro, comunque faccio presente a coloro che si sono scandalizzati<br />

per un pugno di euro spesi per un convegno di dottori, che con quella somma di denaro non<br />

avrebbero risanato neanche una cellula della mia mente malata. Non è l’euro che fa uscire dalla stanza,<br />

ma una mano che apre la porta e prende la tua.•<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 21


22<br />

LE PAURE DELL’UOMO<br />

Maria ci parla delle paure dell’uomo con la semplic<strong>it</strong>à e l’immediatezza di una persona che, pur senza conoscenze<br />

specifiche, è attenta a ciò che ci succede intorno, nonostante i problemi personali e quotidiani con cui<br />

ogni persona deve confrontarsi e provare a risolvere. Come sempre nei suoi articoli non manca mai di parlare<br />

delle proprie esperienze e sentimenti e dunque, in questo caso, delle sue paure con la consueta generos<strong>it</strong>à,<br />

valido antidoto contro l’egoismo delle nostre società.<br />

Maria Rimoldi<br />

Molte sono le paure che attanagliano l’uomo! Dalla<br />

paura della sol<strong>it</strong>udine alla paura del buio, dalla<br />

paura di perdere il lavoro, in questo momento di<br />

crisi economica, alla difficoltà delle persone ad arrivare<br />

con la pensione minima a fine mese. Molte<br />

persone, soprattutto anziane, hanno difficoltà<br />

economiche, soprattutto se devono pagare anche<br />

i farmaci. Le paure delle malattie interessano molte<br />

persone (vedi depressione, ricoveri ospedalieri,<br />

interventi chirurgici ed altro).<br />

Io ho un figlio che è preoccupato di perdere il lavoro.<br />

Lavora nel maceratese per una d<strong>it</strong>ta di cred<strong>it</strong>o<br />

al consumo e da vari mesi, siccome le banche<br />

non danno più cred<strong>it</strong>i, rischia di perdere il posto<br />

di lavoro. Il lavoro non c’è e va in ufficio a “scaldare<br />

la sedia”, ma se lo mettono in cassa integrazione<br />

prenderà solo l’80% dello stipendio. Se l’agenzia<br />

finanziaria dichiara fallimento, mio figlio ha intenzione<br />

di cercare un socio e con la sua esperienza<br />

forse potrà trovare un altro lavoro.<br />

C’è chi soffre di attacchi di panico, come è successo<br />

a me vari anni fa. Venivo da Moie a Jesi con la<br />

mia Visa rossa. Ero al posto di guida e al mio fianco<br />

c’era mio mar<strong>it</strong>o. Non sono stata mai una brava<br />

autista, avevo grosse difficoltà soprattutto per il<br />

parcheggio. Improvvisamente ho frenato ed ho<br />

detto a mio mar<strong>it</strong>o che avevo paura a proseguire<br />

nella guida. Da quella volta non ho guidato più.<br />

C’è la paura della povertà e della fame, che interessa<br />

i paesi del Terzo Mondo: comporta mancanza<br />

d’acqua e di cibo e molti muoiono per disidratazione<br />

e mancanza di viveri. L’organizzazione FAO<br />

manda aiuti in cibarie, ma il problema povertà rimane<br />

irrisolto!<br />

Ho avuto un padre DITTATORE. In casa bisognava<br />

fare solo ed esclusivamente quello che decideva<br />

lui. Trattava male la mia mamma ed io soffrivo<br />

molto per questo.<br />

Avevo tanta PAURA a rimanere sola con lui. Da mio<br />

padre non ho mai sent<strong>it</strong>o affetto. A volte, vista l’atmosfera<br />

pesante in famiglia, pensavo di farla fin<strong>it</strong>a<br />

bevendo l’inchiostro! Provai a fuggire da casa, ma<br />

la mamma mi seguì e, quando le ebbi detto che<br />

non sentivo alcun sentimento da parte di mio padre,<br />

lei mi rispose: “ Maria, io ti voglio bene!” e così<br />

r<strong>it</strong>ornai sui miei passi.<br />

Da piccola, intorno ai tre o quattro anni, siccome la<br />

mia mamma lavorava, fui affidata ad una famiglia,<br />

vicina di casa: per me era una “Zia Albina ” e una<br />

“Nonna Marietta”. Zia Albina non aveva avuto figli<br />

suoi, per cui mi voleva un mondo di bene. Io pure<br />

le volevo molto bene. Tutte le mattine, siccome ero<br />

molto delicata di salute, mi dava un tuorlo d’uovo<br />

sbattutto con lo zucchero. Quando nacque mio<br />

fratello, la mamma mi portò in famiglia con loro:<br />

per me fu un trauma, perché ero gelosa di mio fratello<br />

e soprattutto avevo paura di mio padre.•<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


INTERVISTA AL DR. BUCCI<br />

MANTENERE LE COSE<br />

IMPORTANTI<br />

Intervista al dr. Piersandro Bucci, medico e psichiatra, ma soprattutto figura storica della psichiatria jesina,<br />

che lascia il DSM a conclusione di una carriera intensamente vissuta.<br />

A cura del Gruppo Scr<strong>it</strong>tura<br />

Come si sente nella sua nuova dimensione di pensionato?<br />

Mi sento un po’ vivo e un po’ morto. Mi viene da pensare che più un’intervista stiamo facendo una seduta<br />

spir<strong>it</strong>ica. Mi sento in una sorta di pre-morte o di socializzazione della morte. Mi viene da pensare al<br />

“Libro tibetano dei morti”, oppure all’antico Eg<strong>it</strong>to, alle mummie...<br />

Però lei ha un aspetto tutt’altro che funereo! Diciamo questo, per fornire ai nostri lettori una sua<br />

immagine più articolata.<br />

Ciò non toglie che quando è ora, bisogna che uno se ne vada. La morte, il pensionamento: di ogni cosa<br />

che finisce bisogna accettare il termine. Quando rinnovi la casa qualcosa devi buttare via, non tutto però:<br />

la cose importanti vanno conservate, altrimenti la pena è la demenza. E’ questa la funzione della memoria,<br />

che non è solo registrazione degli eventi, ma è anche cuore e attaccamento. Tutto ciò apparentemente<br />

è bizzarro, perché tu ricorderai cose che una volta r<strong>it</strong>enevi poco importanti, dimenticando al contrario<br />

nozioni, fatti, avvenimenti valutati allora fondamentali. Occorre cambiare prospettiva!<br />

Quali sono le cose più importanti che ha acquis<strong>it</strong>o nell’esercizio della sua professione?<br />

La prima cosa che ho imparato, e che ora rimpiango, è il senso di umiltà che ho sviluppato svolgendo il<br />

mio lavoro; poi la curios<strong>it</strong>à, che si fonda però sulle nozioni teoriche e sullo studio; e infine la pazienza, che<br />

consente di avvicinarsi all’altro con piacere, nonostante occorra sforzarsi non poco.<br />

Come sta adesso?<br />

Adesso ho scoperto, dopo quaranta giorni di ferie, che è bello anche non fare niente. Ho scoperto nuove<br />

dimensioni della ricchezza che ha a che fare con la libertà: sono ricco, perché il tempo finalmente è mio.<br />

La libertà del tempo consiste nella possibil<strong>it</strong>à di occuparlo con spir<strong>it</strong>o diverso. Per superare la sensazione<br />

di ”non servire più”, recuperi e reincontri il tempo, potendo spendere qualche soldo anche se non hai più<br />

la gioventù.<br />

Ci fa pensare ad una poesia dell’Antologia di Spoon Rivers di Egdar Lee Masters...<br />

... E ai “M<strong>it</strong>i del nostro tempo” di Umberto Galimberti.<br />

E’ riusc<strong>it</strong>o a definire i “Malati di niente”?<br />

All’inizio ciò che interessa è l’enigma della mente umana. Devo dire che ho scoperto una cosa: le persone,<br />

che venivano da me, mi hanno nutr<strong>it</strong>o intellettualmente. Per il resto, quello che sapevo sulla mente<br />

attraverso gli studi è rimasto e non posso sostenere di aver scoperto niente; ma per quello che ho appena<br />

detto, invece, capisco che il mio lavoro è straordinario. E’ straordinario perché, eserc<strong>it</strong>ando, ho sempre<br />

ricevuto: la gente viene da te con sincer<strong>it</strong>à, spogliandosi e mostrandosi nella propria uman<strong>it</strong>à. Inoltre,<br />

dopo tutto questo, ti porta anche regali, concreti, reali, il che all’inizio della mia carriera mi imbarazzava<br />

moltissimo. Ma come: voi mi date così tanto in termini affettivi ed esperienziali e poi, non contenti,<br />

mi fate anche doni, regali? Una volta mi hanno pure regalato un orologio d’oro! Poi, con l’esperienza,<br />

ho cap<strong>it</strong>o che esiste anche un bisogno del paziente di dimostrarti concretamente riconoscenza, che<br />

va rispettato. “Da Dio viene tutto, Dio è colui che dona”: questo è ciò che prescrive la Cabala o Cabalà,<br />

la sapienza mistica e spir<strong>it</strong>uale racchiusa nella Bibbia ebraica. La sapienza della ver<strong>it</strong>à è il carattere più<br />

profondo della Cabalà. E’ un precetto di sapienza che ho compreso grazie al mio rapporto con i pazienti:<br />

spesso si fa più fatica ad accettare che a dare. Se hai una casa (mentale) pul<strong>it</strong>a ed in ordine puoi accettare<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 23


24<br />

INTERVISTA AL DR. BUCCI<br />

ciò che ti viene dato. Esiste una relazione circolare tra l’accettare e il dare: e l’accettare, in ultima analisi,<br />

è un atto di generos<strong>it</strong>à.<br />

Quali sono i suoi progetti futuri?<br />

Quello di mantenere i “regali” ricevuti, però allo stesso tempo non vorrei essere troppo ingordo e monotono<br />

e non accostarmi mai, finalmente, a qualcosa di diverso. Pertanto, mi piacerebbe continuare a<br />

lavorare, però vorrei fare anche dei viaggi. Non è un caso che i pensionati li trovi o dal medico, perché<br />

vogliono rimandare il più possibile il Grande Viaggio oppure, più ottimisticamente, nelle agenzie di viaggi.<br />

Mi piacerebbe riprendere anche un mio antico interesse per lo yoga, rivolgendomi questa volta ad un<br />

maestro, perché certe discipline, certe esperienze, si imparano tram<strong>it</strong>e una trasmissione diretta.<br />

Esistono ancora i maestri?<br />

Io mi domando ancora un’altra cosa. Noi siamo in grado di accettare l’insegnamento di un maestro? Abbiamo<br />

l’umiltà per fare questa operazione? Poi il maestro va pagato e quando lui ti ha detto delle cose<br />

abbiamo la forza di prenderle e farle nostre?<br />

Ci fa pensare al tempo arcaico delle scuole dei filosofi greci eppure, appena fino all’inizio del novecento,<br />

Gurdjieff scriveva dei suoi incontri con uomini straordinari...<br />

Quando incontri un uomo fuori dell’ordinario devi essere in grado di accettare la sua offerta di collaborazione<br />

par<strong>it</strong>aria. Ecco io, a suo tempo, non accettai quest’offerta, che un maestro come Alfredo Canevaro<br />

mi aveva fatto, perché credevo di non essere all’altezza e quindi buttai via un’esperienza importante.<br />

Quando ci viene data un’opportun<strong>it</strong>à, ci viene fatto un dono e purtroppo spesso ci creiamo dei vincoli<br />

e condizionamenti, perché non sappiamo accettare il dono in una sorta di falsa modestia. Anche la bellezza<br />

è un dono che va accettato...<br />

Quali ricordi porta nel suo cuore?<br />

E’ difficile da dire, perché il ricordo è il r<strong>it</strong>orno al cuore, al sentimento, mentre quando fai lo psichiatra<br />

tendi ad essere troppo razionale e si crea una divisione tra cuore e razional<strong>it</strong>à. Questi due fanno fatica<br />

a comunicare, perché uno parla spagnolo e l’altro inglese. Alla fine mi porterò dietro il ricordo di coloro<br />

che ho conosciuto: con molte di queste persone nel corso degli anni sono invecchiato, come se con loro<br />

avessi vissute delle v<strong>it</strong>e parallele con, ogni tanto, degli scambi importanti tra le due rette. Penso di aver<br />

indotto qualche imprinting pos<strong>it</strong>ivo, come ci ha dimostrato Lorentz, stando insieme alla gente, di cui già<br />

comincio a provare un poco di nostalgia.<br />

Si rimprovera qualcosa?<br />

Beh, ho sempre fatto aspettare la gente… E pensare che io odio fare le file! Al mio ambulatorio c’era un<br />

brulichio di uman<strong>it</strong>à ed io ero sempre indaffarato, di conseguenza non riuscivo a rispettare gli orari di<br />

appuntamento, facendoli attendere a lungo. Ma forse quello non era tempo sprecato, perché mentre<br />

si incavolavano per le lunghe attese intanto condividevano i loro problemi e la loro sol<strong>it</strong>udine. Devo<br />

anche aggiungere che io non ho mai accettato di fare ‘la persona seria’, perché fondamentalmente sono<br />

sempre stato un grande istrione.<br />

E’ ottimista o pessimista sul futuro della psichiatria?<br />

Qualcuno dice che quando nasciamo siamo immersi in un mare di angoscia e di psicosi. Mi sembra che<br />

oggi ci siano stati tanti progressi sia a livello farmacologico sia riguardo alle gente stessa, che è più colta,<br />

più libera da problemi di mera sopravvivenza. I manicomi sono stati chiusi ed io mi r<strong>it</strong>engo fortunato<br />

che questo sia accaduto dopo appena un anno che avevo iniziato a lavorare. Certo all’inizio ci sono state<br />

grandi difficoltà, ma adesso posso dire che ne valeva la pena. Certo le cose potrebbero anche cambiare,<br />

si potrebbe anche tornare al passato, è difficile poter prevedere e programmare il futuro, a meno di non<br />

essere un dio o di mettersi a divinare responsi...<br />

Per molti anni lei ha diretto il Centro di Salute Mentale di Jesi. Quale consiglio darebbe al suo<br />

successore?<br />

Aver il coraggio di non fare niente o, meglio, di fare il meno possibile, perché il servizio va avanti da solo.<br />

Comp<strong>it</strong>o del coordinatore è quello di mettere dove c’è poco e di togliere dove c’è troppo. Con il tempo<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


INTERVISTA AL DR. BUCCI<br />

s’impara. Infine, essere consapevoli che non si costruisce una piramide da solo.<br />

Ha dei rimpianti?<br />

Sì, certo! Ogni venti anni cambi famiglia, ogni trenta quarant’anni cambi lavoro, ogni dieci anni cambi<br />

cagnolino... Come fai a non avere rimpianti? Come fai, ad esempio, a non rimpiangere una giornata passata<br />

qui con voi? Io e molti miei colleghi della mia generazione abbiamo sempre lavorato sull’urgenza,<br />

mentre avrei voluto lavorare di più sui processi di accompagnamento dei percorsi esistenziali, come ad<br />

esempio si fa nella riabil<strong>it</strong>azione.<br />

Termina qui l’intervista con il dr. Bucci, ma non termina la riflessione che essa ha susc<strong>it</strong>ato, riflessione che<br />

potrà essere nutr<strong>it</strong>a dalle tante opere a cui domande e risposte sembravano rimandare più o meno esplic<strong>it</strong>amente,<br />

di cui diamo una parziale e soggettiva bibliografia:<br />

Il libro Tibetano dei Morti; Nemesi Medica di Ivan Illich; Alla scoperta dell’antico Eg<strong>it</strong>to di Brian Fagan; Le<br />

montagne dei faraoni di Zahi Hawass; Antologia di Spoon River di Egdar Lee Master; I m<strong>it</strong>i del nostro Tempo<br />

di Umberto Galimberti; Incontri con uomini straordinari di Georges Gurdjieff; La chimera di Sebastiano Vassalli;<br />

La bellezza e l’inferno di Roberto Saviano; L’anello di re Salomone di Konrad Lorentz; I King. Il libro dei<br />

Mutamenti.•<br />

Marisa<br />

DALLA LOMBARDIA<br />

ALLE MARCHE<br />

Ho sessantatré anni. Sono mamma felice di tre figli<br />

e nonna fortunata di un nipotino, Franco, che<br />

è la gioia di casa. Io sono originaria dell’interland<br />

milanese, Nerviano, a 15 Km da Milano. Milano<br />

non è stata una c<strong>it</strong>tà di mio gradimento, perché<br />

troppo caotica: le persone ti guardano, ma non<br />

ti vedono, prese dalla loro v<strong>it</strong>a. Ho ab<strong>it</strong>ato in un<br />

paesotto, case vecchie e fatiscenti, persone grette<br />

e ignoranti.<br />

Ho conosciuto mio mar<strong>it</strong>o il 12 ottobre del 1970,<br />

alla discoteca “Il Sole”, in Piazza Duomo. Era una<br />

giornata soleggiata e, per l’occasione, mi ero preparata<br />

con una mise di pantaloni e una maglietta,<br />

che faceva vedere un ampio decolté. Mi ero truccata<br />

ed ero bionda, capelli lunghi giù sulle spalle.<br />

Io sono molto miope, porto gli occhiali, ma quella<br />

domenica fatidica me li ero tolti e, ovviamente, ci<br />

vedevo poco… Appena mi sedetti ad un tavolo<br />

con una mia collega, dopo due minuti questa mi<br />

dà una gom<strong>it</strong>ata e mi dice: “Guarda che bel ragazzo!”<br />

Il ragazzo mi si avvicina, mi fa un inchino e mi<br />

dice: “Signorina, permette un ballo?” Non credevo<br />

ai miei occhi e mi sembrava un miracolo che aves-<br />

se scelto proprio me!<br />

Il primo ballo fu un lento ed il secondo fu uno<br />

shake. Il “bel ragazzo” mi chiese come mi chiamavo.<br />

Quando dissi “Marisa”, gli sfuggì un’esclamazione,<br />

dicendo: “Che nome comune!” ed aggiunse<br />

con enfasi: “ Io mi chiamo Fabio.”<br />

Siamo stati assieme tutto il pomeriggio, parlando<br />

di noi due e Fabio mi raccontò che gli era morto<br />

un fratello di vent’anni, di leucemia virale acuta, l’8<br />

giugno del 1966. Si era parlato della possibil<strong>it</strong>à<br />

di fare un trapianto di midollo: Fabio era compatibile<br />

e disposto ad aiutare il fratello , ma non si<br />

fece nulla, perché Elvio, fratello minore di Fabio, si<br />

spense un pomeriggio, dopo aver scostato il lenzuolo<br />

e mostrato a Fabio, che gli teneva la mano, il<br />

suo corpo pieno di ematomi. Per Fabio la perd<strong>it</strong>a<br />

del fratello fu un trauma e ancora oggi, parlandone,<br />

si emoziona. Al momento di separarci, il “bel<br />

ragazzo” mi chiese il mio numero di telefono, che<br />

scrisse su una scatola di fiammiferi. Io gli feci notare<br />

che, quando avesse buttato la scatola, sarebbe<br />

rimasto senza il mio numero di telefono. Invece il<br />

lunedì sera, con mia grande meraviglia, mi chiamò<br />

e ci prendemmo accordi per andare al cinema il<br />

sabato successivo. Io mi ero messa le ciglia finte,<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 25


ma una mi si staccò, evidentemente l’avevo messa<br />

male. Al r<strong>it</strong>orno ci scambiammo un lungo e tenero<br />

bacio: non riuscivamo a distaccarci!... Fabio ab<strong>it</strong>ava<br />

a Vimercate, dove lavorava all’IBM come programmatore<br />

ed aveva messo a punto un programma<br />

guadagnandosi una medaglia d’oro. Fulvio è molto<br />

intelligente. Il sabato pomeriggio lo trascorrevamo<br />

nel suo appartamento e fu lì che facemmo<br />

l’amore per la prima volta! Una sera lo presentai<br />

ai miei familiari e, quando uscimmo da casa, lui si<br />

accese una sigaretta ed io capii che si era emozionato.<br />

Una domenica decidemmo di andare a<br />

Torino, al salone dell’automobile, perché Fabio<br />

voleva cambiare macchina, aveva la Cinquecento.<br />

Ci recammo al parco Valentino: eravamo seduti su<br />

una panchina a baciarci, quando ci raggiunse una<br />

signora che ci disse di allontanarci. Durante il viaggio,<br />

Fabio, guardandomi negli occhi, mi disse: “Tesorino,<br />

mangia la brioscina!” e pensai che fosse un<br />

ragazzo dolce. Ci recammo a Lugano in Svizzera e<br />

gli chiesi se mi facesse guidare la sua Cinquecento:<br />

evidentemente si accorse che non ero una brava<br />

autista, perché tenevo la mano sul freno a mano! A<br />

Lugano prendemmo una cioccolata, guardammo<br />

le vetrine piene d’oro e passeggiammo in un parco.<br />

Io portavo un bel soprab<strong>it</strong>o e, siccome tenevo<br />

una mano in tasca, Fabio mi disse con mia sorpresa:<br />

“Marisa, ti si rovina il soprab<strong>it</strong>o!?” Io gli risposi:<br />

”devi avere un carattere tormentato!” E, dalla sua<br />

reazione di sorpresa, capii che lo era veramente;<br />

poi mi strinse a sé e mi diede un bacio. Un giorno<br />

mi disse che voleva farmi un regalino: io scelsi un<br />

fermacapelli, mi accontentavo di poco. Finalmente<br />

arrivò il giorno che mi volle regalare l’anello di<br />

fidanzamento, a Milano, in Galleria, piena di sfavillanti<br />

negozi, tutti molto chic.<br />

Entrammo in una gioielleria ed io acquistai un<br />

anello in oro bianco, su cui era montato un brillante,<br />

di cui conservo ancora il certificato di purezza<br />

al 100% e che costò 500 mila lire. Fabio mi parlò<br />

della sua mamma, dicendomi che era una brava<br />

sarta. Una domenica pomeriggio decidemmo di<br />

passare una settimana a casa dei futuri suoceri, a<br />

Moie, nelle Marche. Alla stazione, mentre aspettavamo<br />

che il treno partisse, Fulvio mi guardava con<br />

due occhi dolci e un po’ malinconici, che mi fecero<br />

pensare ad un cucciolo. Quando scendemmo<br />

dal treno, c’erano i miei futuri suoceri e, se devo<br />

essere sincera, l’aspetto della mamma mi lasciò<br />

26<br />

delusa. E non mi sbagliavo, perché mi diede successivamente<br />

molto filo da torcere. Durante quel<br />

primo soggiorno a Moie, ero andata in campagna<br />

ed avevo raccolto un mazzo di tulipani spontanei.<br />

Quando li vide, mia suocera mi apostrofò dicendomi:<br />

“Ma i fiori sporcano!” Sempre durante il<br />

primo soggiorno, la mia futura suocera al mattino<br />

andava in campagna di buon’ora, dove aveva delle<br />

gabbie con i conigli, e tornava a casa alle dieci.<br />

Non mi preparava nemmeno un caffè per colazione<br />

ed io non sapevo dove tenesse la moka ed<br />

il caffè stesso. Devo riconoscere che mia suocera<br />

aveva una qual<strong>it</strong>à: era una grande lavoratrice, faceva<br />

appunto la sarta, però era molto nervosa e<br />

picchiava spesso i figli, tanto è vero che Fabio ogni<br />

tanto doveva scappare di casa. Quando le chiesi<br />

perché picchiava i figli, mi rispose: “Perché sono<br />

nervosa!” Io invece non ho mai picchiato i miei tre<br />

figli! Una volta, dovendo io venire io a Jesi per fare<br />

un prelievo di sangue, le affidai Andrea, che aveva<br />

poco più di un anno. Era estate e faceva molto<br />

caldo. Al r<strong>it</strong>orno vedo mia suocera che zappava<br />

come una forsennata nell’orto e, dietro a lei, c’era il<br />

piccolo Antonio, tutto sudato, che piangeva a più<br />

non posso. Durante quel soggiorno a Moie scrissi<br />

una lettera molto romantica al mio futuro mar<strong>it</strong>o.<br />

Ci sposammo il 31 maggio del ’71. Io avevo un<br />

ab<strong>it</strong>o bianco molto bello, che metteva in mostra la<br />

mia silhouette, pesavo 53 kg, ed un cappello cuc<strong>it</strong>o<br />

artigianalmente, che mi era costato parecchio.<br />

Durante la cerimonia non ero emozionata, mentre<br />

Fabio e la mamma mostravano in viso un’espressione<br />

tirata.<br />

All’interno delle fedi, in oro bianco, c’era scr<strong>it</strong>to il<br />

nome del partner e la data. Facemmo il viaggio di<br />

nozze in Jugoslavia. Il cielo era sempre terso, d’un<br />

azzurro intenso, mentre il mare di un verde smeraldo.<br />

Mangiavamo quasi sempre pesce. Al r<strong>it</strong>orno<br />

viaggiammo su un traghetto e ci fermammo per<br />

qualche giorno dai miei suoceri. Un giorno sentii<br />

la mia suocera dire a mio mar<strong>it</strong>o con fare risent<strong>it</strong>o<br />

che non sapevo fare niente. Mi aveva già etichettata<br />

senza conoscermi! Era vero, però io pensavo<br />

che nessuno nasca maestro e che con la volontà<br />

e l’intelligenza si riesca a fare parecchio. Avevo<br />

proprio ragione sul carattere di mia suocera, che si<br />

mostrò dura, tirchia, gelosa, nevrastenica e molto,<br />

molto invadente. La conoscevano tutti come tirchia<br />

in tutto il paese.•<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


Pamela Focante<br />

I MIEI PUNTINI SULLE I<br />

Ho fatto una scoperta un circa due anni fa, che ha<br />

cominciato a susc<strong>it</strong>armi molta paura. Ho scoperto<br />

di aver vissuto per molto tempo con… i puntini<br />

sulle i. Quel puntino sopra quella lettera così dr<strong>it</strong>ta<br />

e ferma l’ho disegnato nel corso della mia v<strong>it</strong>a<br />

sempre più forte, calzando la penna, tanto che un<br />

cerchietto perfetto o quasi perfetto stava diventando.<br />

Tutto questo duro lavoro per rendermi perfetta<br />

e intransigente verso me stessa e gli altri e<br />

le ingiustizie, un bel giorno è andato scemando e<br />

non è stata sub<strong>it</strong>o una bella sensazione per una<br />

come me, cresciuta con il m<strong>it</strong>o della figlia perfetta.<br />

Le mie tranquillizzanti i con i puntini sopra hanno<br />

cominciato a non avere più la stessa sembianza. I<br />

puntini li sentivo che si stavano sbiadendo o magari<br />

erano mezzi storti o non allineati alla lettera<br />

e giorno dopo giorno ho allentato le corde ed è<br />

usc<strong>it</strong>a una vocale nuova dal suono africano, indiano,<br />

peruviano, giapponese… Il mio <strong>it</strong>aliano perfetto<br />

non è stato più lo stesso da quel momento<br />

in poi.<br />

Tutto è cominciato nel febbraio del 2008. Stavo<br />

cercando nuovi contatti per uscire di casa, visto<br />

che passavo le giornate ad imbottirmi di ansiol<strong>it</strong>ici<br />

e aggrapparmi alle coperte arrotolata sul divano.<br />

Avevo letto su un s<strong>it</strong>o internet che a Jesi c’era un<br />

gruppo di ragazzi che si erano un<strong>it</strong>i per formare<br />

una cosiddetta “piattaforma virtuale”, dove scambiarsi<br />

idee, diventare “amici” e soprattutto lottare<br />

conto il sistema economico e sociale marcio nel<br />

quale stiamo vivendo. Ho cominciato a frequentare<br />

di persona questo gruppo, ma mi accorgevo<br />

sempre più che, nonostante le loro battaglie fossero<br />

piene di senso, io da parte mia mi sentivo<br />

sempre più strana. In loro era già nata da tempo<br />

la gemma dell’odio e me ne resi conto una sera<br />

in particolar modo. Resami conto di questo, mi è<br />

stato difficilissimo distaccarmi da quelli che io già<br />

chiamavo “i miei amici”. Mi ero affezionata molto a<br />

tutti loro ed avevo iniziato con loro a lottare per<br />

un mondo migliore e poco non era. Ma purtroppo<br />

quei ragazzi e quelle ragazze capivo che in fondo<br />

in fondo erano presi solo dalla rabbia; sentivo le<br />

loro fer<strong>it</strong>e e la loro voglia di riscatto che andavano<br />

ben oltre le lotte per svegliare le coscienze ad-<br />

dormentate e divulgare la ver<strong>it</strong>à sulla s<strong>it</strong>uazione<br />

disastrosa della pol<strong>it</strong>ica <strong>it</strong>aliana; con il tempo ho<br />

cap<strong>it</strong>o che alla radice del loro profondo impegno<br />

per la lotta alla corruzione globale c’erano storie<br />

di famiglie difficili e ognuno di loro soffriva profondamente<br />

per s<strong>it</strong>uazioni personali.<br />

Per parecchio tempo, circa un anno dalla mia usc<strong>it</strong>a<br />

dal gruppo, sono sincera, ho odiato ognuno di<br />

loro, tanto forte l’odio quanto il bene che avevo<br />

voluto loro e che continuavo a nutrire. Ma pian piano,<br />

anche grazie alla psicoterapia, che faccio ormai<br />

da più di sedici anni, ho cominciato lentamente a<br />

spostare l’attenzione su me stessa, a vedere quei<br />

miei amici per quelli che erano: ed erano e sono<br />

solo dei giovani arrabbiati. Le mie i ora sono senza<br />

più quei puntini sopra così ingombranti, sono<br />

quasi spar<strong>it</strong>i e vivo molto meglio. Questo mondo<br />

non è giusto, i pol<strong>it</strong>ici sono arroganti e senza scrupoli,<br />

ci hanno distrutto il sogno per un futuro, un<br />

lavoro stabile, una speranza per dar da mangiare al<br />

frutto di un amore, hanno distrutto l’ambiente cementificando<br />

ogni angolo di paradiso. Tutto vero,<br />

tutto inequivocabilmente vero, ma un punto non<br />

funzionava nella lotta dei miei cari amici: nel loro<br />

sangue era entrato l’odio. Tutto quell’odio, per una<br />

come me che ama aiutare gli altri, che mette l’amicizia<br />

al primo posto forse ancor prima dell’amore,<br />

che ama punti forti di contatto e confronto, che<br />

costruisce ponti di solidarietà o almeno ci prova,<br />

non ha fatto altro che abbruttirmi e avvelenarmi<br />

il cuore. Allora lottare sì, lottare sempre contro<br />

le prepotenze e le ingiustizie, ma ho imparato la<br />

lezione: la lotta più efficace è quella che si fa con<br />

il cuore libero e l’aiuto verso se stessi e gli altri è<br />

quello senza i puntini sulle i, perché quei puntini<br />

pesano e nessuno credo possa prendere il volo,<br />

forse neanche un’aquila reale con un carico sulle<br />

ali piena di puntini sulle i. Prima o poi cadrebbe<br />

a terra, sbranata poi da un branco di quadrupedi.<br />

Preferisco essere un delfino, preferisco comunicare<br />

e se anche i delfini hanno delle i molto acute nei<br />

loro richiami, sono però lì a dirci qualcosa e non<br />

a rimproverarci. Loro sì, che sono intelligenti. Ecco<br />

vorrei essere un delfino, magari con le mie i, ma<br />

senza troppi puntini. Voglio nuotare libera. Spero<br />

di riuscirci un giorno.•<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 27


S<br />

SPECIAE<br />

CONVEGNO SULLA PAURA<br />

Organizzato dalla rassegna “Malati di niente” 2010, un convegno sul tema della paura, svoltosi da marzo a<br />

maggio in quattro incontri, tenuti da prestigiosi rappresentanti del mondo intellettuale presso l’Aula Magna<br />

della Fondazione Colocci, ad eccezione del primo incontro tenutosi presso il Palazzo della Signoria. La ricchezza<br />

di spunti, osservazioni e riflessioni obbligava la loro raccolta nelle sintesi dei nostri curatori.<br />

LA PAURA NELL’ARTE E<br />

NELLA LETTERATURA<br />

Stefano Benni, scr<strong>it</strong>tore e poeta, ha parlato della paura come di un sentimento fondamentale per la psiche<br />

dell’uomo e di come questa permea l’arte e letteratura da sempre. Ha parlato inoltre di tante altre cose che<br />

non è possibile rendere in un articolo e che dunque non troverete nelle righe sottostanti: la menzogna, il<br />

dilatarsi dell’informazione che ci ingoia nell’attual<strong>it</strong>à e ci fa perdere la profond<strong>it</strong>à storica delle fals<strong>it</strong>à, di cui<br />

avremo coscienza magari solo tra 20-30 anni, e poi la TV che ci guarda e Internet bifronte, grande possibil<strong>it</strong>à<br />

di libertà e anima turpe del commercio, la grande menzogna creata dalla tecnologia e da essa smascherata,<br />

che cioè la comunicazione mediatica possa essere “La Comunicazione” e renda inutile il contatto umano.<br />

Benni ci risponde con Arthur Rimbaud, che dice: “Trovo sacro il disordine che sento dentro di me”. Quando non<br />

si riesce più a comunicare, il disordine di Rimbaud ci abbandona, come la giovinezza, lasciandoci ai nostri<br />

conformismi.<br />

A cura di Pamela Focante e Paolo Ripanti<br />

Foto di Laura Zappelli<br />

Benni inizia il suo intervento mettendo sub<strong>it</strong>o in chiaro che la paura è<br />

un sentimento fondamentale della nostra affettiv<strong>it</strong>à, che dunque non<br />

va negato o rimosso, ma al contrario va rivendicato. Dobbiamo essere<br />

in grado di poter ‘scegliere’ la nostra paura, altrimenti altri ci imporranno<br />

paure che non ci appartengono.<br />

Entrando poi più specificamente nel tema, che è quello del ruolo della<br />

Paura nell’Arte e nella Letteratura, lo scr<strong>it</strong>tore bolognese sottolinea<br />

come ogni volta che ci avviciniamo ad una lettura che ci spaventa<br />

emerge una nostra personalissima paura, diversa da lettore a lettore.<br />

Dentro al meccanismo, dentro al sortilegio che collega l’autore al<br />

lettore, c’è un mistero che è nato dall’incontro di due immaginazioni.<br />

Pertanto, non dobbiamo mai pensare che, quando stiamo leggendo<br />

un libro, noi consumiamo in modo passivo l’immaginazione dello scr<strong>it</strong>tore. Siamo lettori ‘unici’, proprio<br />

perché l’immaginazione di ciascuno di noi è unica, costru<strong>it</strong>a negli anni ed ogni lettore, nel leggere, viene<br />

toccato nella sua ‘ombra’, cioè nella sua parte di personal<strong>it</strong>à più oscura e misconosciuta. L’’ombra’ di<br />

ognuno di noi sarà toccata in modo diverso e da parti diverse della narrazione, susc<strong>it</strong>ando così personali<br />

paure diverse oppure non susc<strong>it</strong>andole affatto. Dunque lo scr<strong>it</strong>tore con la sua opera tenta di far emergere<br />

la paura e, quando ci riesce, riesce a comunicare i suoi sentimenti per stupire e attrarre il lettore.<br />

L’Inferno di Dante vuole spaventarci anche se è un Inferno etico, è un viaggio inquietante. Vathek di<br />

Beckford è altrettanto spaventoso, è anch’esso un viaggio, delirante, che porta il protagonista sempre<br />

all’Inferno (mussulmano), ma sicuramente si tratta di inferni diversi, susc<strong>it</strong>ando ognuno sentimenti diversi<br />

nei lettori.<br />

La Paura può essere discorsiva, se ne possiamo parlare con qualcuno, mentre è ossessiva quando non<br />

28<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


S<br />

CONVEGNO SULLA PAURA<br />

SPECIAE<br />

riusciamo a condividerla realmente con nessuno. In Edgard Allan Poe, nota Stefano Benni, troviamo tutte<br />

le diverse gradazioni della paura, da quella discorsiva a quella ossessiva fino alla ‘paura di sparizione’,<br />

cioè alla paura in cui si resta soli.<br />

La Paura è legata all’Immaginazione, per questo non spaventa tutti e non spaventa allo stesso modo,<br />

dipendendo da cosa la paura va a sfiorare della nostra ‘ombra’, come sopra si diceva. Per questo, ad esempio,<br />

ci sono paure chiamate fobie, come la paura dei ragni o aracnofobia: Benni ci dice che lui non ha di<br />

queste paure, nutrendo molto più spavento per le decisioni che prendono i nostri pol<strong>it</strong>ici.<br />

Tutto ciò è poeticamente espresso nell’’Aleph’,<br />

celebre e misterioso racconto di Borges,<br />

dove immaginazione e paura, appunto, si tirano<br />

l’una all’altra, dove l’aleph, ovvero uno<br />

dei punti dello spazio che contengono tutti<br />

i punti’ ovvero ‘il luogo dove si trovano, senza<br />

confondersi, tutti i luoghi della terra, visti<br />

da tutti gli angoli’ ovvero, dice Benni, l’archivio<br />

reale e poi mentale che ci circonda.<br />

E’ una storia che tutti conosciamo, ma che<br />

tutti viviamo in una maniera unica attraverso<br />

la nostra immaginazione. L’hapax, parola<br />

di origine greca, è una forma linguistica che<br />

significa parola o espressione che compare<br />

una sola volta, in un testo o nell’opera di un<br />

autore o nel sistema letterario di una lingua.<br />

Fondamentalmente gli hapax sono parole rare.<br />

Benni dice che, se parliamo della favola di Capuccetto Rosso, l’aleph raprresenta la conoscenza uguale<br />

per tutti dello svolgimento della favola ma, se chiedessimo ad ognuno che cosa gli piace o meno di essa,<br />

avremmo risposte diverse, parole rare: questo è l’hapax. E’ così che il lettore è l’immaginatore unico, il<br />

modo di scrivere e di leggere è unico, il modo di sorprendersi, spaventarsi o fuggire da un’opera d’arte<br />

è assolutamente unico.<br />

Gaston Bachelard, filosofo francese, ha dedicato la seconda parte della sua ricerca ad uno studio approfond<strong>it</strong>o<br />

dell’immaginario poetico. Nel Dormeur éveillé dichiara che la nostra appartenenza al mondo<br />

delle immagini è più forte, più cost<strong>it</strong>utiva del nostro essere rispetto alla nostra appartenenza al mondo<br />

delle idee. Per questo incoraggia i suoi lettori al fantasticare, alla r^everie, al lasciarsi andare ad evocazioni<br />

ispirate dalla ‘fiamma di una candela’. Dunque Bachelard, nota Benni, ha cercato di analizzare la<br />

paura in modo scientifico, perché in lui ci sono dei principi fisici, delle parole, delle leggi che governano<br />

il mondo, di cui fa parte il mondo dell’immaginazione. Un esempio ne è il verbo es<strong>it</strong>are.<br />

Capuccetto Rosso di fronte al Lupo es<strong>it</strong>a (chi ha veramente di fronte?) e la sua es<strong>it</strong>azione non è altro che<br />

questo bellissimo movimento della paura, che genera un’emozione tutta da vivere in modo personale e<br />

autentico, nonostante possa essere incomprensibile e contradd<strong>it</strong>oria. Dunque, nel mondo della paura, si<br />

es<strong>it</strong>a perché esso è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o di una sostanza sconosciuta.<br />

Al contrario, nel mondo dei cartoni animati, dell’onnipotenza plastica, la qual<strong>it</strong>à che balza agli occhi è il<br />

meraviglioso, dove mai si muore e dove il lieto fine è la regola. Tutto ciò, però, si paga con l’annullamento<br />

della componente personale, perché non esiste più la paura e tutto può risolversi, come per Willy Il<br />

Coyote. E’ un mondo che va accettato così com’è... senza es<strong>it</strong>are, dunque senza paura.<br />

Secondo Benni l’abil<strong>it</strong>à dello scr<strong>it</strong>tore, la sua arte è viva e presente là dove riesce a mantenere nel lettore<br />

quella tensione in continua evoluzione, che risuona nella sua immaginazione, tanto da spingerlo a<br />

rileggere più volte lo stesso racconto, che però viene connotato di volta in volta di spunti sempre diversi.<br />

Rileggere dei testi significa es<strong>it</strong>are su di essi: dunque la lettura stessa contiene un’altra es<strong>it</strong>azione perché<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 29


S<br />

SPECIAE<br />

CONVEGNO SULLA PAURA<br />

il testo si trasforma, come ad esempio succede a Benni quando legge e rilegge i Del<strong>it</strong>ti di via della Morgue<br />

in Allan Poe. Si es<strong>it</strong>a sull’assassino che , forse, non è umano. A sua volta l’investigatore è razionale, ma<br />

nello stesso tempo è delirante, così il lettore es<strong>it</strong>a ed ha paura.<br />

C’è poi la paura del buio. Benni rileva che in 50-60 anni il mondo è cambiato da quando lui era bambino<br />

e viveva in un paese di montagna. Da allora l’uomo illumina sempre di più le sue notti, dove un tempo<br />

meglio si annidava la paura che derivava dall’assenza di luce, cioè dal buio. Oggi vige il contrario del buio,<br />

c’è troppa luce, tutto é visibile, niente è lasciato all’immaginazione. Benni racconta che lui è nato al lume<br />

di candela e che, quando questa si spegneva per un colpo di aria, il buio r<strong>it</strong>ornava sovrano e con esso la<br />

paura. Ben diversa è la paura che si prova quando si sa che in un attimo si può accendere la luce premendo<br />

l’interruttore! E poi c’è quella striscia di luce che filtra da sotto la porta chiusa, ma che è destinata ad<br />

aprirsi: si ha paura di chi o cosa può uscire. Alien fa paura finché non si vede! Le tracce fanno paura più<br />

del suo proprietario. Una volta, nell’epoca delle candele, la nostra<br />

razional<strong>it</strong>à era lim<strong>it</strong>ata all’alone di luce che frenava il buio e<br />

l’ignoto. Oggi c’é una luce che fa svanire completamente il buio<br />

e l’immaginazione è come distesa su un tavolo operatorio, dove<br />

tutto deve essere completamente illuminato e dove il buio non<br />

deve esistere. Ciò comporta che tutto ciò che facciamo è visto da<br />

altri come nel romanzo di Phillip Dick “A scanner darkly” (Scrutare<br />

nel buio), dove il protagonista vive in una casa dove tutto<br />

è ripreso da telecamere e scrutato da altri. Lo scr<strong>it</strong>tore scherza<br />

sulle cose che gli fanno paura così da esorcizzarle. Benni dice che<br />

parla spesso dei pol<strong>it</strong>ici, di cui ha paura, per questo motivo!<br />

Anche il Potere (cioè il pol<strong>it</strong>ico) ha paura di certi linguaggi che<br />

possano renderlo ridicolo. Il Potere ha bisogno del linguaggio<br />

della propaganda, in modo da creare un corto circu<strong>it</strong>o tra potere<br />

e informazione: ciononostante quelle 2-3 persone che non<br />

lo hanno in simpatia e su cui la propaganda ha fall<strong>it</strong>o, non può<br />

tollerarle, lui che tollera tutto. Questa è la grande paura di chi ha<br />

il potere: la paura di perdere il controllo.<br />

E poi c’è la paura dell’amore, del piacere, dell’avverarsi dei propri sogni.<br />

Poi ci sono le paure ingiustificate. In un paese del bergamasco, dove la Lega ha l’89% dei voti, non c’è un<br />

immigrato: “Ma allora di che cosa hanno paura?”, si chiede provocatoriamente Benni. Oppure: nell’immaginario<br />

pubblico gli albanesi sono più pericolosi degli operatori finanziari che hanno distrutto le nostre<br />

economie! Viviamo in un mondo dove tutti ti dicono tante volte che ‘devi avere paura’ di qualcuno o<br />

qualcosa ed allora la paura si pietrifica nel pregiudizio. Kubrik, con film come Full Metal Jacket, Arancia<br />

Meccanica, Shining, ha sempre parlato di paure venti anni prima degli altri, che poi sono le paure che<br />

gli altri ci impongono. La paura dei diversi, la paura delle responsabil<strong>it</strong>à: occorre che esse siano rappresentate<br />

dal punto di vista artistico, perché uno scr<strong>it</strong>tore deve<br />

parlare contro il Potere, non potendo lim<strong>it</strong>arsi a scrivere solo<br />

di costume. L’ultima paura lanciata dai media è la paura della<br />

fine del mondo: fare film, libri sulla fine del mondo non è<br />

certo la responsabil<strong>it</strong>à che Benni vorrebbe dagli artisti, se in<br />

queste opere non si tenta di dare un contributo alla risoluzione<br />

dei problemi che stanno alla base delle tante catastrofi,<br />

che si abbattono sul pianeta a causa dell’inquinamento<br />

ambientale e dei mutamenti climatici indotti dalle attiv<strong>it</strong>à<br />

dell’uomo.•<br />

30<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


S<br />

CONVEGNO SULLA PAURA<br />

SPECIAE<br />

IL MITO DELLA PAURA<br />

Il professor Umberto Curi, filosofo, ha già partecipato ad eventi organizzati dal DSM di Jesi, essendosi creata<br />

una collaborazione che va oltre il mero interesse speculativo per i grandi temi generali che interessano l’Uomo.<br />

La sua esposizione, apparentemente semplice e lineare, rende ragione della compless<strong>it</strong>à del pensiero greco<br />

e della sua attual<strong>it</strong>à, soprattutto in rapporto a problematiche che hanno a che fare con la salute mentale,<br />

con l’angoscia e la paura, sentimenti questi ultimi che sembrano pervadere sempre di più le nostre società.<br />

A cura di Pamela Focante e Paolo Ripanti<br />

Foto di Laura Zappelli<br />

“Il m<strong>it</strong>o della paura”, t<strong>it</strong>olo dell’intervento di Curi, si presta a due interpretazioni: I- la paura è, in realtà,<br />

m<strong>it</strong>o, cioè funzione di carattere letterario, il che equivale a dire che la paura non c’è; II- il termine ‘m<strong>it</strong>o’ è<br />

adoperato nel suo significato etimologico, secondo cui mythos sta per ‘racconto’, ‘narrazione’.<br />

In tutta la fase arcaico-classica, ‘mythos’ e ‘logos’ (parola, discorso, pensiero) sono termini perfettamente<br />

equivalenti: Curi sottolinea come, in origine, non ci fosse contrapposizione tra il ‘discorso logico’, il cui<br />

contenuto è vero (logos) e il discorso fantastico (mythos). Quando Ulisse, da astuto falsificatore della<br />

realtà, come ce lo descrive Omero, fa un discorso, il suo discorso è mythos, perché vende discorsi fantastici;<br />

come quando, sempre nel poema omerico, è<br />

il re di Troia Priamo a parlare, questa volta però<br />

con assoluta ver<strong>it</strong>à. Sempre si tratta di racconto,<br />

narrazione che, indifferentemente, può essere<br />

vero o falso.<br />

Parlare, dunque, del ‘m<strong>it</strong>o della paura’ vuol significare<br />

parlare dei modi diversi di come è<br />

stata raccontata la paura, non importa se siano<br />

falsi o veri. Esistono tante narrazioni nel mondo<br />

greco che evocano la paura, ma Curi prima propone<br />

un problema di base riguardo a questo<br />

sentimento. La paura ha soltanto connotazioni<br />

negative? Siamo sicuri di questo? Oppure la<br />

paura è un’emozione profondamente ambivalente<br />

dove, accanto allo stato a volte paralizzante<br />

che induce, emerge un qualcosa di più complesso?<br />

In amb<strong>it</strong>o filosofico, Curi ci ricorda che per Kant, filosofo tedesco, “La paura è la voce di Dio alla quale<br />

tutti gli animali obbediscono”. Kant intende dire che la paura è un comune denominatore che unisce<br />

tutti gli esseri viventi, piante, animali e uomini. E’ dunque un’esperienza che sembrerebbe naturale, ma<br />

che naturale non è, almeno per Kant. Infatti, se “la paura è la voce di Dio a cui tutti gli esseri viventi obbediscono”,<br />

essa non è mai una scelta bensì un’emozione che s’impone. La paura, dunque, sentimento<br />

d’origine sovrannaturale che ci sovrasta, pretende obbedienza: essa rimanda a scenari che oltrepassano<br />

la condizione umana e con cui ci può mettere in comunicazione.<br />

A questo punto Curi nota che ciò che dice Kant aumenta i nostri interrogativi riguardo alla paura. In<br />

amb<strong>it</strong>o psicologico, la paura viene descr<strong>it</strong>ta come un istinto primordiale, innato negli uomini, ad esso<br />

connaturato: essa non appartiene ad un’epoca degli uomini piuttosto che a un’altra, ma fa parte del processo<br />

di generazione dell’uman<strong>it</strong>à. Essa è, inoltre, un meccanismo di difesa che stimola (processo generativo<br />

e non solo degenerativo) una risposta (e la risposta è aggressiva, cioè distruttiva). Per questo Curi<br />

dice che la paura deve essere elaborata per la sua cost<strong>it</strong>utiva ambivalenza, racchiudendo in sé aspetti<br />

negativi (di sofferenza) e, nello stesso tempo, pos<strong>it</strong>ivi (di generazione).<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 31


S<br />

SPECIAE<br />

CONVEGNO SULLA PAURA<br />

Però, il Nostro non può essere soddisfatto né dalla ricerca filosofica kantiana né da quella psicologica,<br />

perché lo statuto della paura rimane ancora irrisolto. Curi, a questo punto, propone un percorso alternativo<br />

che risale alla tradizione occidentale e che utilizza lo strumento del m<strong>it</strong>o.<br />

I greci identificavano la paura con una semidivin<strong>it</strong>à, ‘Phobos’, che si accompagna sempre a ‘Deimos’, il<br />

‘Terrore’. I due personaggi sono inseparabili,<br />

sono un’endiade. Nella cultura latina essi si<br />

traducono in Pavor e Metus ed anche per i<br />

latini l’espressione è indisgiungibile (Pavor<br />

ac Metus). Curi attira l’attenzione sul fatto<br />

che i m<strong>it</strong>i veicolano concetti estremamente<br />

attuali e per questo sono ancora presenti e<br />

vivi nella v<strong>it</strong>a moderna e nelle scienze. Basti<br />

pensare alle ricerche sul sistema solare dove,<br />

anni fa, sono stai scoperti i due satell<strong>it</strong>i di<br />

Marte, chiamati appunto Phobos e Deimos.<br />

Qual è la personal<strong>it</strong>à di quest’endiade? Si<br />

tratta di due fratelli gemelli, figli di Afrod<strong>it</strong>e<br />

(Venere per i latini), dea dell’amore, della bellezza,<br />

della fecond<strong>it</strong>à e della procreazione.<br />

Come può la paura essere figlia dell’amore? Chi è il padre dei gemelli? Afrod<strong>it</strong>e è sposa di Efesto (Vulcano<br />

per i latini), ma ha una relazione sessuale con Ares (Marte), che significa ‘danno’, ‘violenza’. Dunque la<br />

paura è figlia dell’amore e della violenza, della bellezza e della guerra. Nel codice genetico della paura<br />

compaiono entrambi i gen<strong>it</strong>ori, l’una come forza che unisce, l’altro come energia di massima repulsione<br />

e di divisione. Come fanno a stare assieme? In realtà nella tradizione culturale occidentale la sintesi di<br />

amore e guerra non è eccezionale, ma caratterizza tutto lo sviluppo del suo pensiero. Freud, dopo che<br />

ebbe in cura molti pazienti che avevano combattuto la prima guerra mondiale, mutò opinione riguardo<br />

all’energia che spinge la v<strong>it</strong>a degli uomini. Non più solo il principio del piacere, ‘Eros’, ma anche la<br />

pulsione di morte, ‘Thanatos’ (Al di là del principio del piacere, 1919). Ci sono altri fratelli dei due terribili<br />

gemelli, continua Curi: Eros, Anteros (l’amore non corrisposto) e Armonia. Quest’ultima, anch’essa figlia<br />

della bellezza e della devastazione della guerra, ci fa comprendere come due principi diversi possano<br />

armonizzarsi in un unico soggetto. Secondo il filosofo Massimo Cacciari, l’Occidente ha sempre avuto<br />

grandi difficoltà a pensare all’Armonia (e all’Amore) come sintetizzati in un equilibrio instabile, dinamico<br />

tra due principi opposti, in costante tensione e confl<strong>it</strong>to. In questo senso, la guerra, nella sua opposizione<br />

all’amore, diventa, secondo Curi, un principio trasformatore funzionale alla creazione di nuovi ordini:<br />

tutto ciò è scr<strong>it</strong>to nella genealogia m<strong>it</strong>ologica, a partire dalla fondamentale relazione gen<strong>it</strong>ale, sessuale<br />

e generatrice.<br />

In tale contesto m<strong>it</strong>ologico compare anche una delle figure più inquietanti ed enigmatiche della m<strong>it</strong>ologia<br />

greca, Medusa. E’ sempre stata raffigurata fin dall’antich<strong>it</strong>à e sue rappresentazioni si possono ammirare<br />

anche nei dipinti pompeiani. La Medusa è sempre r<strong>it</strong>ratta di fronte e non di profilo, come vuole la<br />

convenzione classica; ed è sempre accompagnata nelle rappresentazioni da Phobos e Deimos, perché la<br />

Medusa susc<strong>it</strong>a paura e terrore. Ella era figlia di due divin<strong>it</strong>à marine, Ceto e Forco, ed aveva due sorelle,<br />

Steno ed Euriale: tutte e tre erano chiamate Gorgoni, due erano immortali, mentre Medusa era mortale,<br />

ma aveva una tale ‘forza nello sguardo’ che pietrificava chiunque la guardasse negli occhi. Per provocare<br />

questo prodigio o catastrofe, non aveva bisogno di forza né di eserc<strong>it</strong>are violenza... solo lo sguardo!<br />

A questo punto Curi paragona il potere della Medusa all’occhio osservatore, scrutatore, al quale noi<br />

tutti siamo esposti. E’ un occhio pericoloso che ci tiene in soggezione, senza bisogno di utilizzare una<br />

coercizione violenta: la TV, le sue telecamere sparse in tutto il pianeta ed anche nello spazio, Internet e<br />

tutti gli altri innumerevoli mass media, strumenti che consentono di guardare in senso attivo, cioè di<br />

32<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


S<br />

CONVEGNO SULLA PAURA<br />

SPECIAE<br />

scrutare con forza, appunto come l’antica Medusa. Forse un giorno ci renderanno schiavi? Del resto, non<br />

è un caso forse che al catechismo ci hanno insegnato, fin da bambini, di un dio che esiste, tutto vede, pur<br />

mantenendosi invisibile? George Orwell in “1984” parla del Grande Fratello e del suo occhio elettronico<br />

che domina gli uomini spiandoli in qualsiasi momento. La consapevolezza di essere spiati ci priva della<br />

nostra libertà, riducendoci a schiavi. La storia della Medusa si conclude tragicamente con l’intervento<br />

di Perseo, che riuscì a mozzarle il capo guardandola indirettamente nel proprio scudo, lucido come uno<br />

specchio. Nel famoso quadro di Caravaggio che rappresenta la Medusa c’è un elemento ined<strong>it</strong>o rispetto<br />

a tutte le altre rappresentazioni della Gorgone. L’essere favoloso non solo è bello e terribile, tanto da<br />

incutere spavento, ma è esso stesso spaventato. Che l’artista abbia rappresentato ciò che vedeva Perseo<br />

attraverso lo scudo levigato come uno specchio mentre le mozzava il capo? Con la morte della Medusa<br />

non cessa, però, il potere dello sguardo, che continuerà a pietrificare i malcap<strong>it</strong>ati che lo incontreranno.<br />

Perseo donò infatti la testa mozzata alla dea Atena, che lo affisse sul suo scudo per terrorizzare i nemici<br />

in battaglia. Ma perché lo sguardo della Medusa pietrifica? Da dove trae origine il suo potere, che archetipicamente<br />

si protrae fino ai giorni nostri? Qual è il suo segreto? La risposta che si dà e ci dà il filosofo è<br />

da ricercare nella duplic<strong>it</strong>à, nella doppiezza della Medusa e del suo terribile sguardo.<br />

Infatti la Medusa, secondo alcune fonti, è sempre stata un mostro orrendo con serpenti al posto dei<br />

capelli, con ali d’oro, denti simili a zanne di cinghiale, le mani trasformate in pezzi di bronzo, il corpo<br />

ricoperto di scaglie e poi... quello sguardo! Ma nelle versioni più recenti (Pindaro, Ovidio) la Medusa era<br />

stata considerata una fanciulla bellissima e... spaventosa allo stesso tempo. Era profondamente umana<br />

e bestiale contemporaneamente, aveva tratti femminili, accanto ad altri maschili, era giovane e vecchia.<br />

Rappresenta l’ambivalenza irresoluta ed assoluta. Anche Phobos è simbolo della duplic<strong>it</strong>à: perché generato<br />

da Ares e Afrod<strong>it</strong>e, per il gemello Deimos, per la sua genetica di attrazione e repulsione. Entrambi<br />

portano la paura: dunque la paura non è univoca, ma doppia. Esiste un altro contesto in cui appare Phobos,<br />

nella “Poetica” di Aristotele, appena venti pagine: in quest’opera si può comprendere l’origine ed<br />

il significato della tragedia greca. Da Aristotele sappiamo che l’aspetto essenziale della tragedia non è<br />

dato dai pianti e dalle scene di disperazione, perché ciò che è caratteristico è l’elemento strutturale che<br />

ha a che vedere con la costruzione del racconto: da una condizione di felic<strong>it</strong>à del protagonista si passa<br />

con un rivolgimento radicale (metabolé), inatteso ma verosimile, ad una condizione di infelic<strong>it</strong>à (il nodo<br />

tragico o nemocoré). Aristotele ci mostra un esempio di queste improvvise e fortissime emozioni che<br />

provocano la tragedia greca, utilizzando l”Edipo re” di Sofocle.<br />

Edipo diventa re di Tebe, perché ha ucciso il padre, Laio, senza<br />

saperlo. Sposa la regina , Giocasta, vedova di Laio, senza sapere<br />

che è sua madre. Dal racconto emerge un terribile senso di<br />

angoscia e di paura per gli spettatori che si identificano con la<br />

figura di Edipo: la paura di essere sovrastati da qualcosa che<br />

non si può controllare, perché è un qualcosa che noi potremmo<br />

aver commesso, ma di cui non abbiamo consapevolezza,<br />

ma solo la percezione attraverso un pesante senso di colpa.<br />

Dopo la paura, dal racconto emergono anche i sentimenti della<br />

compassione e della pietà: da questo nodo cruciale emerge<br />

la catarsi, vale a dire la purificazione: in quei momenti di massima<br />

tensione emotiva possiamo finalmente liberarci di Deimos<br />

e Phobos. Curi conclude che i due contesti creati dal pensiero<br />

greco, quello m<strong>it</strong>ologico della Medusa, accompagnata dai due<br />

gemelli della paura e del terrore, e quello filosofico di Aristotele<br />

e della tragedia, certamente non danno una risposta defin<strong>it</strong>iva,<br />

ma ci rendono più consapevoli della compless<strong>it</strong>à dell’emozione<br />

paura, che contiene in sé anche una valenza costruttiva.•<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 33


S<br />

SPECIAE<br />

PAURA E VIRTUALIZZAZIONE<br />

DELL’ESPERIENZA<br />

Franco Berardi, scr<strong>it</strong>tore e filosofo, analizza in un interessante incontro, il rapporto tra comunicazione sociale<br />

e forme della v<strong>it</strong>a e della sensibil<strong>it</strong>à quotidiana da un punto di vista ecologico ed estetico.<br />

A cura di Paolo Ripanti<br />

Foto di Laura Zappelli<br />

CONVEGNO SULLA PAURA<br />

Secondo Berardi la società attuale sta vivendo una fase di ridefinizione del rapporto fra due dimensioni:<br />

quella della pol<strong>it</strong>ica, dell’agire pol<strong>it</strong>ico e sociale e quella che si interessa della psiche tram<strong>it</strong>e scienze a<br />

impronta psicodinamica, quali la psicoanalisi. Queste due dimensioni, pur essendo autonome, dalla fine<br />

dell’Ottocento e per tutto il Novecento hanno avuto momenti di interazione e di scambio. Anzi, oggi<br />

sembra che relazioni pol<strong>it</strong>iche, sociali, linguistiche si connettano sempre di più con l’interior<strong>it</strong>à psichica<br />

e con le sue forme di sofferenza psicopatologica, evidenziando come l’affettiv<strong>it</strong>à giochi, comunque, un<br />

ruolo basilare. Berardi inizia la sua analisi partendo dal contributo di Sigmund Freud, espresso nel libro<br />

“Il disagio della civiltà”, dove si sostiene che i miglioramenti portati dal progresso e dalla civiltà nell’amb<strong>it</strong>o<br />

della qual<strong>it</strong>à della v<strong>it</strong>a delle persone comportano delle rinunce, che riguardano la pienezza della<br />

comunicazione e la possibil<strong>it</strong>à per l’uomo di esprimere adeguatamente la propria corpore<strong>it</strong>à. La civiltà,<br />

secondo Freud, comporta pertanto una repressione della sfera libidica, intesa nella sua accezione più<br />

ampia, non legata cioè solo alla sessual<strong>it</strong>à, ma a tutta la sfera desiderante dell’uomo. La civiltà implica<br />

necessarie lim<strong>it</strong>azioni. Questa intuizione di Freud ha avuto una funzione interpretativa e conosc<strong>it</strong>iva importantissima<br />

per tutto il Novecento, periodo durante il quale ci si è confrontati con i confl<strong>it</strong>ti provocati<br />

dalla repressione del desiderio nell’amb<strong>it</strong>o della sfera sociale.<br />

Tutto ciò si palesa soprattutto negli anni ‘60 e ‘70 quando emerge acutamente la percezione di un grave<br />

disagio nell’amb<strong>it</strong>o della comunicazione: si comincia dunque a parlare di ‘incomunicabiltà’, cioè di una<br />

progressiva rarefazione delle capac<strong>it</strong>à di parlarsi, di una ‘desertificazione’, dice Berardi, della comunicazione,<br />

intesa in senso affettivo pieno, come capac<strong>it</strong>à di ‘metter in comune’. Al riguardo Berardi propone<br />

di utilizzare l’espressiv<strong>it</strong>à artistica, perché questa è in grado di cogliere prima di altri sensori i segnali<br />

che emergono dal tessuto sociale. Il cinema, ad esempio, degli anni ‘60 di Bergman e Antonioni ha caratterizzato<br />

la sensibil<strong>it</strong>à di quell’epoca. Film come “Persona” e “Deserto rosso” sottolineano il tema della<br />

crescente difficoltà del comunicare tra persone coinvolte nel processo sociale. La sospensione della comunicazione<br />

come effetto, dunque, della repressione che la civiltà ha operato sulla sfera desiderante:<br />

questa è la percezione che si ha del rapporto fra psichismo collettivo e civiltà per tutto il Novecento.<br />

Prendendo spunto dal libro “L’uomo senza inconscio” di Massimo Recalcati, Berardi arriva finalmente a<br />

parlare del nostro tempo. Nel libro, Recalcati si occupa di ripensare l’impostazione freudiana della civiltà<br />

del disagio, per dire che nella pratica psicoanal<strong>it</strong>ica, ma anche in quella psichiatrica e nelle relazioni in<br />

generale, non ci si imbatte più tanto in fenomeni di blocco della comunicazione e in una fenomenologia<br />

nevrotica, ma in forme di esplosione psicotica del comportamento. Ciò coincide con un inf<strong>it</strong>tirsi sempre<br />

più rapido e caotico della sfera comunicativa, un’accelerazione del mondo dei segnali degli stimoli. Secondo<br />

Berardi ci troviamo di fronte ad una trasformazione che riguarda l’agire sociale, pol<strong>it</strong>ico, oltre che<br />

terapeutico, che è tutta da comprendere. Come possiamo avvicinarci a questa nuova fenomenologia di<br />

comportamento contemporaneo? Ancora una volta il campo di riferimento può essere la produzione<br />

e il consumo di arte, che ci può permetter di capire questa nuove emergenze, almeno nei loro aspetti<br />

più significativi. Berardi fa riferimento ad alcune produzioni artistiche contemporanee, che dal punto di<br />

vista di una produzione di massa sarebbero marginali, ma che tuttavia sono molto significative, perché<br />

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Capo Horn 15 - settembre 2010


S<br />

CONVEGNO SULLA PAURA<br />

SPECIAE<br />

ci danno il ‘sentimento del tempo’. Dall’analisi di queste opere è possibile trarre elementi che ci aiutano<br />

ad individuare nuove concezioni della genesi della sofferenza contemporanea, da cui dedurre un nuovo<br />

agire pol<strong>it</strong>ico e nuovi strumenti terapeutici.<br />

Il film del cineasta coreano Kim Ki Duk, Time, è per Berardi una buona traccia. Inizia con una storia<br />

d’amore tra due giovani, entrambi molto belli. Ad un certo punto della loro storia lei comincia a nutrire<br />

una paura insopportabile: quella di perdere il<br />

suo compagno, perché si è convinta che quando si<br />

ama si inizia una ricerca, la ricerca dell’altro. Se il suo<br />

uomo cerca l’altro, lei non è l’oggetto del suo amore,<br />

dunque la giovane si pone il problema di diventare<br />

quest’altro, per non perderlo. E’ un film che esce da<br />

schemi usuali, dove i dialoghi sembrano tratti da un<br />

fotoromanzo, pieni di luoghi comuni e di banal<strong>it</strong>à,<br />

ma in realtà è una banal<strong>it</strong>à voluta e sotto di essa<br />

possiamo intravedere una notevole profond<strong>it</strong>à filosofica.<br />

A questo punto lei vuole diventare l’altro<br />

e va dal chirurgo estetico. Si tratta di un film sulla<br />

chirurgia estetica, ma qui l’estetica non è ricercata<br />

come adeguamento del sé ad un ideale di bellezza, ma è intesa come cura di un problema di ident<strong>it</strong>à.<br />

Dopo l’operazione lei si ripresenta da lui, che non la riconosce: per lui lei non è più l’oggetto del desiderio,<br />

ma è appunto un altro che non sa definire, che gli sfugge. Inizia il dramma del non riconoscersi. Inizia<br />

una ricerca e mentre lei torna dal chirurgo, anche lui decide di cambiare i suoi connotati, iniziando così<br />

un’analoga ricerca dell’oggetto perfetto del desiderio, dell’altro perfetto, che, naturalmente, non ha mai<br />

fine.<br />

Ancora un altro film, questa volta di Gus Van Sant sulla psicopatologia adolescenziale. Elephant racconta<br />

una storia vera, dove si parla del massacro avvenuto nella scuola di Columbine nel 1999 (film del<br />

2003) negli USA. Due ragazzi armati di m<strong>it</strong>ra ammazzano tredici persone tra studenti ed insegnanti, con<br />

fredda determinazione, apparentemente senza alcun motivo. Non ci sono accelerazioni nel film né vengono<br />

prospettate ipotesi esplicative sul perché della strage: il film è un agghiacciante documentario dei<br />

fatti accaduti nella realtà. La proiezione si conclude con gli ultimi tredici minuti che vedono i due ragazzi<br />

vest<strong>it</strong>i di nero che uccidono a caso con il sottofondo musicale di “Per Elisa” di Beethoven.<br />

Berardi nota che anche se questo è un episodio estremo, in questi ultimi dieci anni non è stato però<br />

eccezionale. In Finlandia un giovane ha fatto la stessa cosa, uccidendo otto persone per poi suicidarsi:<br />

aveva una maglietta con la scr<strong>it</strong>ta “L’uman<strong>it</strong>à è sopravvalutata”. Nel North Carolina un giovane sud coreano<br />

entra in una scuola, uccide dei coetanei poi torna a casa, registra una sorta di dichiarazione sulla<br />

sua orrenda impresa, esce di nuovo per ammazzare altre persone per un totale di 33 v<strong>it</strong>time innocenti.<br />

Esistono poi innumerevoli altri episodi di omicidio, che in realtà si rivelano essere suicidi mascherati. Berardi<br />

sostiene che tutti questi fatti di cronaca fanno parte di una sintomatologia estrema che va indagata,<br />

perché sfugge al campo della nevrosi freudiana caratterizzata da una sofferenza interiore, in quanto<br />

ci si trova di fronte ad un’esplosione comportamentale, in cui la sofferenza si segnala con clamore e con<br />

grande espressiv<strong>it</strong>à ed aggressiv<strong>it</strong>à, è ipercomunicante e psicotica.<br />

Per Berardi questo cambiamento dell’espressiv<strong>it</strong>à della sofferenza è da ricercare nella tecnologia della<br />

comunicazione, attraverso cui si sono formate le ultime generazioni. A partire dagli anni ‘80 il senso dell’incomunicabil<strong>it</strong>à<br />

lascia il posto ad un ambiente tecnocomunicativo e una sensibil<strong>it</strong>à che Berardi definisce<br />

con due approssimazioni: prima videoelettronica e poi connettiva. Tutto ciò era stato anticipato da<br />

Marshall Mc Luhan già nel 1964 nell’opera Understanding Media, dove mostra come si sia passati dalla<br />

dimensione discorsiva, alfabetica, dalla trasmissione scr<strong>it</strong>ta o orale di una forma di sapere fondata sulla<br />

trasmissione di contenuti in sequenza ad una forma configurazionale. Quando cioè la tecnologia della<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 35


S<br />

SPECIAE<br />

CONVEGNO SULLA PAURA<br />

comunicazione passa dalla dimensione sequenziale alla dimensione configurazionale, per cui i pensieri,<br />

la sensibil<strong>it</strong>à passano dalla dimensione della cr<strong>it</strong>ica a quella della simultane<strong>it</strong>à m<strong>it</strong>ologica. Di conseguenza<br />

la ragion pol<strong>it</strong>ica cambia: la cr<strong>it</strong>ica è la capac<strong>it</strong>à di distinzione tra il vero e il falso ad esempio e<br />

ciò richiede un tempo lento. Quando invece il tempo si accorcia, la dimensione cr<strong>it</strong>ica viene a mancare,<br />

non c’è possibil<strong>it</strong>à di distinzione cr<strong>it</strong>ica: l’accelerazione della comunicazione è talmente elevata che distinguere<br />

il vero dal falso è impossibile. C’è un’indistinzione, per cui si può solo aderire a configurazioni<br />

m<strong>it</strong>iche che ci seducono, ma non permettono una cr<strong>it</strong>ica. Questa, secondo Berardi, è la forma collettiva<br />

del pensiero attuale. Il tempo di esposizione dell’enunciato è così breve che ci è resa impossibile la<br />

cr<strong>it</strong>ica. La ragion pol<strong>it</strong>ica si dissolve, perché è venuto meno il tempo della comprensione cr<strong>it</strong>ica. Questo<br />

per la pol<strong>it</strong>ica.<br />

E la sofferenza psichica come si manifesta in questa dimensione nuova? Anche nella dimensione psichica<br />

possiamo vedere dei mutamenti: un esempio è rappresentato dall’attentato dell’11 settembre, che<br />

oltre a provocare la morte di migliaia di persone è stato anche un suicidio in cui 19 giovani terroristi, di<br />

fatto, si sono anch’essi ammazzati per compiere la loro azione. Secondo Berardi, gli attentatori non erano<br />

mossi da motivazioni religiose e ciò che va indagata è la loro volontà suicidaria che sottende un desiderio<br />

di morte. Altro esempio: la pol<strong>it</strong>ica della guerra preventiva di Bush, che Berardi definisce il “dottor<br />

Bush”, è una pol<strong>it</strong>ica di morte. Usa la guerra per curare una s<strong>it</strong>uazione di instabil<strong>it</strong>à pol<strong>it</strong>ica che alimenta il<br />

terrorismo come se fosse una malattia. La cura di questa malattia consiste nella diffusione della violenza<br />

attraverso la guerra: così, però, non si fa altro che diffondere il desiderio di morte e quindi di suicidio.<br />

Analogamente anche Putin è un dottore pazzo, che di fronte al suicidio delle cecene dice che perderanno,<br />

perché non hanno futuro: ma è evidente che chi si ammazza non crede nel futuro! Purtroppo non ci<br />

sono solo i terroristi che praticano il suicidio: basti pensare alle 146 persone suicidatesi nell’arco di due<br />

anni presso la Telecom France e la Peugeot, dopo la pol<strong>it</strong>ica di razionalizzazione, di precarizzazione, di<br />

mobbing, in una qualche maniera utilizzata dal padronato francese per mettere a regime i lavoratori<br />

francesi. Basti pensare ai tanti operai <strong>it</strong>aliani che, non avendo più nulla da perdere, mettono in gioco la<br />

loro v<strong>it</strong>a o, quantomeno, minacciano di farlo salendo sui tetti delle fabbriche, incatenandosi ai cancelli,<br />

perché è l’ultima cosa preziosa che è loro rimasta: la v<strong>it</strong>a e questo è l’unico modo per ottenere attenzione<br />

dai media. E che dire della psicopatologia della v<strong>it</strong>a quotidiana attuale? Delle la crisi di panico o dei<br />

disturbi dell’attenzione? Berardi propone di spiegarli<br />

come disturbi da mettere in relazione con un ambiente<br />

dove la tecnologia della comunicazione è profondamente<br />

mutata. “Ma cos’è il panico?”, si chiede il relatore.<br />

Per i greci è “pan”, il tutto, il rapporto con l’universo: è<br />

un’ecc<strong>it</strong>azione estrema della sfera sensibile che va oltre<br />

l’elaborazione cosciente. Ma perché il rapporto con<br />

l’universo, con la natura, fonti di stimoli e dati sensoriali<br />

pressoché infin<strong>it</strong>a, è diventato patologico? Perché deve<br />

essere sedato e curato? La risposta che si e ci dà Berardi<br />

è che tutto ciò è in relazione con l’effetto dell’accelerazione,<br />

della connettivizzazione e della derealizzazione.<br />

Le nuove generazioni si sono e si stanno formando in un<br />

ambiente dove la tecnologia della comunicazione, dei media ha inf<strong>it</strong>t<strong>it</strong>o in modo drammatico gli stimoli<br />

informativi e sensibili che raggiungono la nostra mente, che non è più in grado di elaborarli. Si produce,<br />

pertanto, un’accelerazione della risposta, finché non subentra stanchezza, esaurimento ed ab<strong>it</strong>udine<br />

allo stimolo. Per quanto riguarda la connettivizzazione, Berardi ipotizza che l’ambiente di v<strong>it</strong>a attuale si<br />

presti sempre meno a quella che lui chiama “la congiunzione dei corpi”, corpi di persone cioè che possono<br />

ben intendersi nella sfera dell’analogico, dove l’incontro ha il significato della ricerca dell’altro e dove<br />

però, a differenza di quanto succede nel film Time prima ricordato, c’è la capac<strong>it</strong>à di tollerare l’incertezza,<br />

36<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


S<br />

CONVEGNO SULLA PAURA<br />

SPECIAE<br />

il non sapersi sempre cosa dirsi esattamente e dove ci sarà la pazienza di doverlo scoprire. Questi, dice<br />

Berardi, “sono i corpi umani da sempre”, che riconoscono il senso della comunicazione, che cercano di<br />

capirsi nell’incontro con gli strumenti che da sempre conosciamo, quali la capac<strong>it</strong>à di socializzazione,<br />

l’attrazione erotica, ecc. L’ingresso della comunicazione dig<strong>it</strong>ale prevede la “desensibilizzazione del sistema<br />

segmentario”, cioè la perd<strong>it</strong>a di quelle abil<strong>it</strong>à sopraccennate, per cui i corpi che si incontrano devono<br />

essere compatibilizzati, come se fossero computer, altrimenti non potranno “interfacciarsi”, cioè non<br />

potranno scambiare dati, non potranno comunicare. Un altro testo c<strong>it</strong>ato da Berardi è quello scr<strong>it</strong>to dalla<br />

filosofa Luisa Muraro nel libro “L’ordine simbolico della madre”, dove ci spiega che l’accesso all’universo<br />

della comprensione passa attraverso la fiducia del corpo della madre, per cui una parola, ad esempio<br />

‘orologio’, corrisponde ad un oggetto, ed io lo so che questo è così, cioè che il segno corrisponda all’oggetto<br />

perché mi é stato garant<strong>it</strong>o dal rapporto con il corpo parlante della madre. E’ l’affettiv<strong>it</strong>à che ci<br />

garantisce il rapporto tra il segno e il significato. E’ affettivo l’accesso al linguaggio. Questo lo sapevano<br />

già gli psicoanalisti, nota ancora Berardi, che passa a parlarci di un altro libro dal t<strong>it</strong>olo “La macchina che<br />

parla e che mostra” dell’antropologa Rose Goldsen, dove si sottolinea come l’uomo, ormai da vari decenni,<br />

stia allevando una generazione che imparerà più parole da una macchina che non dalla madre. Berardi<br />

credeva, qualche anno fa, che fosse la tv la macchina che alleva le nuove generazioni ed invece oggi<br />

sostiene che il riferimento è la macchina connettiva<br />

estesa, che informa non solo la tecnologia della comunicazione,<br />

ma anche il mondo del lavoro, la sfera<br />

dell’affettiv<strong>it</strong>à stessa. Così viene cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a una nuova<br />

psiche umana: un linguaggio che perde rapporto<br />

con l’affettiv<strong>it</strong>à, con la corpore<strong>it</strong>à e che si basa sulla<br />

sfera linguistica ed informatica e che così perde quel<br />

grado di sicurezza dell’interpretazione che la genesi<br />

affettiva garantiva, già fin dal rapporto primordiale<br />

con la madre. Per quanto riguarda l’ultimo punto,<br />

c<strong>it</strong>ato da Berardi, la derealizzazione, questa si giustifica<br />

per il processo di allontanamento del corpo dell’altro<br />

dalla sfera di comunicazione, che sost<strong>it</strong>uisce il<br />

contatto diretto attraverso i nostri sensi con gli strumenti<br />

dig<strong>it</strong>ali. A questo propos<strong>it</strong>o basta pensare al grande sviluppo avuto dai social network, al dilagare<br />

delle immagini a flussi sempre più massicci, alla pornografia via web, dove il rapporto sessuale è esplorato<br />

con minuzia ossessiva: tutto ciò in un progressivo allontanarsi del corpo dell’altro. L’inf<strong>it</strong>tirsi delle immagini<br />

ci allontana dalla realtà che diventa virtuale: con questa tecnologia della comunicazione l’Uomo<br />

si viene a trovare in un ambiente asintotico, dove cioè le immagini si avvicinano progressivamente, ma<br />

dove non è mai consent<strong>it</strong>o il reciproco toccarsi. Viene trasmessa attraverso le immagini un’ecc<strong>it</strong>azione<br />

desiderante (rapporti sessuali compresi), che rappresentano purtroppo solo un desiderio patogeno che<br />

mai si compie. Questo determina un sentimento di impotenza, di inutil<strong>it</strong>à all’impegno che, ogni tanto,<br />

viene interrotto da esplosioni comportamentali psicotiche e dal senso di morte e di suicidio. A questo<br />

propos<strong>it</strong>o Berardi c<strong>it</strong>a il libro “Realismo cap<strong>it</strong>alista” di Mark Fisher, che analizza quella che l’autore chiama<br />

“l’impotenza reflessiva” degli studenti inglesi, che vivono troppo le esperienze virtualizzate e troppo<br />

poco conoscono il loro corpo, la loro affettiv<strong>it</strong>à, il loro erotismo. Nasce allora la sfiducia, la convinzione<br />

che non ci siano alternative ai loro problemi, perché così tutti pensano e, come in una profezia che si<br />

autodetermina, cadono in una spirale viziosa senza usc<strong>it</strong>a.<br />

Berardi conclude sostenendo che non si tratta, però, di combattere le nuove tecnologie della comunicazione,<br />

perché non sarebbe possibile né utile; sarebbe opportuno, invece, all’interno di questa condizione<br />

di dig<strong>it</strong>alizzazione e virtualizzazione dell’esperienze, di fare in modo che l’accelerazione sia felice e la<br />

virtualizzazione introduca alla conoscenza dei corpi e non la renda dolorosamente impossibile.•<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 37


S<br />

SPECIAE<br />

CONVEGNO SULLA PAURA<br />

PAURA E SPERANZA NEL<br />

MONDO DEL LAVORO<br />

Secondo il prof. Enzo Spaltro, medico e libero docente in psicologia del lavoro, sentimenti come la Paura o la<br />

Speranza hanno giocato e giocano tutt’ora ruoli determinanti nella costruzione delle società umane.<br />

A cura di Paolo Ripanti<br />

Foto di Laura Zappelli<br />

Nei secoli la paura è stata sempre utilizzata per assoggettare le classi produttive. Del resto, è anche<br />

facendo leva su questo sentimento, che si sono conquistati terr<strong>it</strong>ori immensi, con la violenza e la sopraffazione,<br />

come ad esempio fecero gli Spagnoli con la conquista del Nuovo Mondo. In questo caso la<br />

paura non era solo legata a problematiche psicologiche, ma riguardava la preoccupazione per la salute<br />

fisica: non dobbiamo dimenticare che gli Inca sono stati distrutti dal vaiolo, prima che dai conquistatori<br />

spagnoli.<br />

Secondo Spaltro, il miglior antidoto del malessere e della paura che lo sostiene è il benessere: “ABBIAMO<br />

BISOGNO DI UN PENSIERO FORTE, BELLO E POSITIVO!”. E per questo vale la pena rischiare con profondi<br />

cambiamenti nei nostri modi ab<strong>it</strong>uali di pensare. Se noi non siamo contenti della s<strong>it</strong>uazione attuale, bisogna<br />

comprendere quali sono le premesse di questa s<strong>it</strong>uazione e poi tentare di modificarle per avere<br />

risultati diversi, cioè migliori. Non è sufficiente, pertanto, basarsi su sentimenti pos<strong>it</strong>ivi in modo generico,<br />

perché non si faranno progressi. Il nostro benessere,<br />

secondo Spaltro, consiste nella capac<strong>it</strong>à<br />

di esprimersi. Imparare a parlare, a dire<br />

le cose, per uscire dal mondo dell’indicibile.<br />

L’indicibile presenta due corni: l’ineffabile e<br />

l’infame.<br />

In questa s<strong>it</strong>uazione di crisi parlare di benessere<br />

può rivelarsi indicibile e cioè ineffabile,<br />

che è il non detto pos<strong>it</strong>ivo; infame è il<br />

non detto negativo. Dobbiamo affacciarsi al<br />

mondo dell’esprimibile, perché il Potere, che<br />

spesso ci opprime, si eserc<strong>it</strong>a attraverso la capac<strong>it</strong>à<br />

di impedire o produrre cambiamento,<br />

ma sempre passa attraverso la sua capac<strong>it</strong>à<br />

di inibire l’espressione. Per individuare una<br />

modal<strong>it</strong>à funzionale ad una libera possibil<strong>it</strong>à<br />

di espressione, Spaltro c<strong>it</strong>a alcuni concetti riguardanti il lavoro, la speranza, la promessa, la bellezza e il<br />

perdono, tutti collegati fra loro.<br />

Per quanto concerne il lavoro, gli antichi greci non avevano parole adatte a descriverlo; lo stesso i latini<br />

per i quali la parola ‘labor’ significava sofferenza e ciò ci fa capire come una volta il lavoro avesse diverse<br />

connotazioni. Dunque il mondo del lavoro, come oggi lo conosciamo, ha una storia recente iniziata con<br />

la rivoluzione industriale verso la fine del diciottesimo secolo.<br />

Speranza, promessa, bellezza e perdono hanno dialetticamente i loro opposti: paura, minaccia, bontà e<br />

vendetta. Queste coppie di opposti agiscono dialetticamente nel tessuto sociale e quindi influenzano<br />

anche il mondo del lavoro. Spaltro nota che quando prevalgono sentimenti di colpevolezza, che derivano<br />

da quello più fondamentale della paura, si hanno delle conseguenze che portano ad alcuni risultati<br />

38<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


S<br />

CONVEGNO SULLA PAURA<br />

SPECIAE<br />

negativi, che sono la destrutturazione del tempo, la perd<strong>it</strong>a del socio, i comportamenti espiatori auto<br />

pun<strong>it</strong>ivi, la ricostruzione dell’un<strong>it</strong>à e il r<strong>it</strong>orno al grande uomo (che ci salverà), la scarsificazione del valore<br />

(sono valide le cose che sono scarse, hanno poco valore quelle che sono abbondanti). E’ necessario che<br />

si passi, dunque, dal prevalere della colpevolezza al prevalere della speranza che deriva dall’ansietà (di<br />

soddisfare i bisogni di tutti). Come è necessario che si torni ad un’economia dell’abbondanza, perché è<br />

l’abbondanza e non la penuria che deve fare il valore. Purtroppo in tempi relativamente recenti si sono<br />

affermate economie basate sulla scarsificazione, portando come corollario la fame che, in tempi più antichi,<br />

non esisteva. Infatti, studi archeologici<br />

hanno dimostrato che, ad esempio, anche<br />

gli schiavi a Pompei erano ben nutr<strong>it</strong>i. Come<br />

erano ben nutr<strong>it</strong>i gli operai (non schiavi!)<br />

che costruirono le piramidi in Eg<strong>it</strong>to. Sembra<br />

incredibile, ma oggi, in epoca moderna,<br />

nelle grandi c<strong>it</strong>tà assistiamo al dramma di<br />

chi patisce la fame. Si butta la frutta o altri<br />

prodotti alimentari, che diventando scarsi<br />

acquisiranno valore. Occorre battere questa<br />

società che utilizza la scarsificazione, perché<br />

è una società che porta la fame e quindi si<br />

fonda sul malessere.<br />

Le società che creano abbondanza si fondano<br />

invece sulla speranza, bellezza, perdono<br />

e lavoro, consentendo un aumento dell’orizzonte<br />

temporale, che non è permesso a società che non sono in questa condizione. Questo significa<br />

poter programmare il futuro, ad esempio essere in grado di acquistare un biglietto aereo sei mesi prima<br />

risparmiando grandi somme. Difficilmente da noi si fa questo, perché la paura di non poter utilizzare il<br />

biglietto al momento opportuno ci fa acquistare il biglietto poco prima della partenza, spendendo quattro<br />

volte di più. Spaltro continua dicendo che la speranza ci dà appartenenza, maggiore capac<strong>it</strong>à progettuale.<br />

Dunque abbiamo bisogna di bellezza e poi di valorizzare la moltiplicazione (l’abbondanza), non<br />

la scarsificazione! Questo è quello che dobbiamo trasmettere a chi ci governa, perchè il potere lasciato<br />

a se stesso eserc<strong>it</strong>a il proprio ruolo decidendo il processo di imposizione della scarsificazione ai mercati.<br />

Una società fondata sul benessere ha, pertanto, una dimensione di sviluppo nel futuro. Speranza, promessa,<br />

bellezza, perdono e lavoro hanno tutte in comune l’idea del futuro. A questo propos<strong>it</strong>o Spaltro<br />

c<strong>it</strong>a Memoria del fuoco di Eduardo Galeano, dove viene detto che il benessere è come l’orizzonte: più ti<br />

avvicini, più esso si allontana! Però la tensione verso l’orizzonte futuro mette l’uomo in movimento, lo<br />

induce a progredire. Un’altra cosa che i sentimenti pos<strong>it</strong>ivi, che sottendono il benessere, hanno in comune<br />

è il concetto di persona. Ora, dal punto di vista etimologico, la parola vuol dire maschera: si usava in<br />

teatro perché dentro il suo spessore legnoso c’era una specie di megafono: persona = “per sonum”. Non<br />

esistendo i microfoni, si doveva dare comunque forza alla voce. Torna il discorso del benessere come<br />

espressione: la maschera di legno per il teatro migliorava il suono della voce, permetteva l’espressione<br />

dell’attore (e quindi il suo benessere). Un altro esempio di speranza viene da spiro, respiro, lo spirare del<br />

vento; spiro ha a che fare con il soffio, con l’anima.<br />

Con il terrore non si ottengono risultati: basta vedere i risultati della campagna contro il fumo che ha<br />

tentato di terrorizzare, ma che non è serv<strong>it</strong>a a niente. Gli infortuni del lavoro non sono diminu<strong>it</strong>i nella<br />

loro ent<strong>it</strong>à dal 1950 ad oggi, nonostante siano cambiate le leggi. E allora cosa fare? Bisogna creare s<strong>it</strong>uazioni<br />

di gradevolezza, bisogna creare un mondo migliore e, anche se la ragione ci induce al pessimismo,<br />

occorre seguire Albert Einstein, che r<strong>it</strong>eneva che “solo chi è talmente pazzo da credere di poter creare<br />

un mondo migliore, sarà capace poi di realizzarlo”.<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 39


S<br />

SPECIAE<br />

CONVEGNO SULLA PAURA<br />

Un altro punto che Spaltro sottolinea essere alla base del malessere sociale consiste nella forbice che<br />

esiste tra ricchi e poveri. Grazie alla rivoluzione industriale del XVIII secolo, fu possibile ridurre notevolmente<br />

il divario fra i chi aveva troppo e chi non aveva quasi niente. In pratica il lavoro estende l’uso del<br />

denaro (che prima era appannaggio solo dei nobili), consentendo gradualmente l’abolizione della fame.<br />

Tutto ciò coincise con la nasc<strong>it</strong>a del sindacato, della psicologia in Europa, mentre in America coincise<br />

con la fine della schiav<strong>it</strong>ù (nel 1883 il Brasile è l’ultimo paese ad abolire la schiav<strong>it</strong>ù). Il lavoro abolisce la<br />

fame, perché anche i poverissimi, se debbono lavorare, debbono potersi nutrire adeguatamente. Oggi<br />

si torna a parlare di fame, soprattutto nelle grandi aree urbane: lì la forbice è molto ampia e questo è<br />

particolarmente vero in Italia, in grandi c<strong>it</strong>tà come Napoli, dove la forbice è massima, mentre in altri stati<br />

come la Svezia e l’Olanda il divario tra poveri e ricchi è minore. Le società si sviluppano se la forbice si<br />

riduce: se chi sta bene non riesce a far star meglio chi sta male, se chi sta male riuscirà a far star peggio<br />

chi sta bene. Pertanto, Spaltro ci fa notare che non è solo un problema etico ma anche di mero interesse.<br />

Ciò è ben descr<strong>it</strong>to nel libro “La misura dell’anima” di Richard Wilkinson. Dunque Spaltro vede il lavoro<br />

come mezzo per ridurre la forbice. D’altra parte i sindacalisti si dovranno rendere conto che in futuro il<br />

lavoro sarà sempre più di tipo precario, ma il problema del lavoro non è la sua precarizzazione, quanto<br />

il fatto che i compensi sono eccessivamente bassi. Spaltro, sottolineando come il lavoro stia sempre più<br />

cambiando, si chiede se addir<strong>it</strong>tura tale attiv<strong>it</strong>à verrà chiamata in altro modo. L’ansietà che ci dà la globalizzazione<br />

è la speranza che ancora la scuola non ci dà, dove l’insegnamento ancora è troppo legato<br />

alla paura di non fare risultato, perché pretende, con regole del gioco fisse (basti pensare agli esami, alle<br />

votazione, ecc.), di sfornare giovani preparati. In realtà occorrono altre prospettive, che diano soprattutto<br />

speranze: c’è necess<strong>it</strong>à di poter conferire premi, e non di punizioni, che diano agli studenti autentiche<br />

motivazioni.<br />

Se è vero che la divers<strong>it</strong>à è quella che conta e cioè conta l’accettazione della divers<strong>it</strong>à, come la mettiamo<br />

con la diseguaglianza? Che differenza c’è tra par<strong>it</strong>à e uguaglianza? Se è vero che le donne sono state<br />

le prime che hanno cercato per anni di sviluppare il concetto di par<strong>it</strong>à di dir<strong>it</strong>ti con gli uomini, poi però<br />

si sono dovute fermare, perché si sono rese conto che occorrono anche altre par<strong>it</strong>à tra i vari soggetti<br />

sociali, ad esempio la par<strong>it</strong>à con i disabili, oppure tra cooperative A e cooperative B, dove vengono a<br />

crearsi due diversi mercati del lavoro. A questo punto, riguardo alla divers<strong>it</strong>à, Spaltro ricorda alcuni fatti:<br />

il giuramento di Obama il 20-01-09: “Noi siamo qui oggi perché abbiamo scelto la speranza rispetto alla<br />

paura, l’un<strong>it</strong>à d’intenti rispetto al confl<strong>it</strong>to e alla discordia”.<br />

E’ così che il confl<strong>it</strong>to deve essere trattato da una democrazia, altrimenti subentra la discordia e la vendetta.<br />

In quest’ottica Spaltro consiglia di leggere “Spingendo la notte più in là”, un libro scr<strong>it</strong>to da Mario Calabresi,<br />

figlio del commissario Calabresi, ucciso da ignoti in segu<strong>it</strong>o alla tragica vicenda di Giuseppe Pinelli,<br />

l’anarchico ingiustamente accusato della strage di piazza Fontana e<br />

volato da una finestra, mentre era sotto custodia della polizia. Calabresi<br />

fu provato che non era a Milano la notte in cui Pinelli precip<strong>it</strong>ò<br />

dalla finestra del suo commissariato, per cui un altro innocente perdette<br />

la v<strong>it</strong>a a causa di campagne di odio e di vendetta, che in quegli<br />

anni attraversavano il nostro Paese. E’ questo un esempio dove si<br />

vede come il senso della vendetta, che serpeggia nei tessuti sociali<br />

e che prevale sullo spir<strong>it</strong>o di cooperazione, aggravi i confl<strong>it</strong>ti senza<br />

risolverli. Nel libro scr<strong>it</strong>to da Mario Calabresi, che appare spinto ed<br />

influenzato dalla madre Gemma, c’è una madre che inv<strong>it</strong>a invece a<br />

non odiare, per non ipotecare il futuro, soprattutto in base a false o<br />

troppo lim<strong>it</strong>ate premesse. E’ importante che il sentimento della speranza<br />

prevalga su quello della vendetta, a cominciare dalle questioni<br />

apparentemente secondarie fino a quelle r<strong>it</strong>enute fondamentali, e<br />

40<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


S<br />

CONVEGNO SULLA PAURA<br />

SPECIAE<br />

che tale spir<strong>it</strong>o diventi strumento di educazione per le nuove generazioni che andranno a costruire le<br />

società del futuro.<br />

Da Milano Spaltro ci porta nelle Marche, a Recanati, dove era nato Giacomo Brodolini, poi Ministro del<br />

Lavoro ed estensore della legge n°300, approvata il 21 maggio 1970, che diede v<strong>it</strong>a allo Statuto dei Lavoratori.<br />

Spaltro ricorda come fosse, allora, una legge osteggiata da tutti, mentre oggi se ne celebra il<br />

quarantesimo anniversario. A Milano, nel 1969 nessuno voleva presentare la legge, perché tutti (part<strong>it</strong>i,<br />

sindacati, studenti, imprend<strong>it</strong>ori) erano contro. E certo non poteva farlo il suo autore, che era morto in<br />

quell’anno. Fu così che andò il nostro relatore, che ‘non c’entrava niente’ e che ricorda bene i fischi. Ma i<br />

fischi ed il livore servono a poco: ciò che serve è una logica di cooperazione, perché con la vendetta non<br />

si costruisce niente.<br />

Un esempio fattivo di collaborazione Spaltro lo ha vissuto a Napoli assieme a centinaia di disoccupati,<br />

alcuni anni fa. Scaltro e la sua equipe trattarono circa 4000 disoccupati (su 6000 inv<strong>it</strong>ati) per i quali l’unico<br />

intervento in corso da parte delle autor<strong>it</strong>à era un sussidio di 200 euro mensili, cifra che naturalmente<br />

non risolveva una s<strong>it</strong>uazione fortemente cr<strong>it</strong>ica. Come si può dare loro speranza, bellezza, perdono se<br />

il lavoro veniva escluso a priori dall’équipe, perché era al di fuori della sua competenza? Come si fa ad<br />

ev<strong>it</strong>are che prevalgano i sentimenti più negativi? Eppure le persone che hanno partecipato sono riusc<strong>it</strong>e<br />

ad esprimersi e a elaborare una lista di bisogni, richieste, necess<strong>it</strong>à, che comunque trovavano ascolto, un<br />

ascolto che aveva come comune denominatore la rinasc<strong>it</strong>a di questi sentimenti pos<strong>it</strong>ivi di cui prima si<br />

accennava. Se su 100 persone 5 o 6 riuscivano a realizzare qualcosa, questo era importantissimo, perché<br />

la speranza di un futuro migliore si espandeva a macchia d’olio anche alle altre persone. Teniamo presente<br />

che queste persone spesso avevano difficoltà ad esprimersi, per cui è stato ancora più importante<br />

che esse avessero avuto un’ ‘audience’, che ci fosse qualcuno disposto ad ascoltarle. Parlare, scrivere, muoversi,<br />

il ‘gruppale’, organizzare ed organizzarsi<br />

e, soprattutto ascoltare: queste<br />

sono ‘le belle relazioni’ che includono<br />

la speranza del futuro. Nei gruppi che<br />

vennero segu<strong>it</strong>i, gruppi da 100 che poi<br />

vennero suddivisi in gruppi da venti, le<br />

persone all’inizio non si conoscevano<br />

fra loro: ma fu nel gruppo che imparavano<br />

a conoscersi attraverso l’ascolto.<br />

Chi parlava riceveva rispetto e anche<br />

chi parlava molto poco, una volta fin<strong>it</strong>o<br />

il proprio intervento, veniva gratificato<br />

da attenzione ed anche applausi. Quelle<br />

persone, fondamentalmente, impararono<br />

ad ascoltare, ad essere ascoltate<br />

e alla fine ad esprimersi, in questo caso<br />

nella loro preoccupazione e sofferenza.<br />

Ma come possiamo misurare l’andamento della speranza, bellezza e perdono e del lavoro? Un indice<br />

importante è la speranza di v<strong>it</strong>a: il Giappone ha l’indice più alto con 82 anni di età, l’Italia è in buona posizione<br />

con 78 – 79 anni, ma con una grossa forbice tra uomine e donne, con maggiore speranza di v<strong>it</strong>a<br />

per le seconde. Un altro indice è il redd<strong>it</strong>o, con la Svizzera al 1° posto, segu<strong>it</strong>a dagli USA, l’Italia è in una<br />

posizione media. Il redd<strong>it</strong>o però non è correlato con la speranza di v<strong>it</strong>a, vale a dire ci sono paesi ricchi<br />

con PIL (Prodotto Interno Lordo) elevato, dove però la gente muore prima rispetto a paesi più poveri.<br />

La speranza di v<strong>it</strong>a in Italia è molto alta, anche grazie al nostro Sistema San<strong>it</strong>ario Nazionale che, è Spaltro<br />

a sostenerlo, è uno dei migliori del mondo, nonostante tante cose ancora non funzionino. A questo<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 41


SPECIAE<br />

S<br />

CONVEGNO SULLA PAURA<br />

propos<strong>it</strong>o basta pensare agli USA e alla battaglia che il neo presidente Obama ha dovuto intraprendere<br />

per far accettare un sistema san<strong>it</strong>ario appena simile al nostro. Altri indici c<strong>it</strong>ati da Spaltro sono la fiducia<br />

internazionale (quanto i vari Stati stanziano per l’estero), la Salute Mentale, l’obes<strong>it</strong>à, gli abbandoni scolastici<br />

e la condizione femminile.<br />

Che cosa si può fare? Spaltro dice che molti paesi coltivano dei sogni, delle utopie che cercano di realizzare<br />

e che quando si concretizzano si capisce, dopo, che non erano poi veramente delle utopie.<br />

Il sogno olandese, ad esempio, si basa su due concetti: il redd<strong>it</strong>o minimo garant<strong>it</strong>o, la creazione di terr<strong>it</strong>orio.<br />

Dando un redd<strong>it</strong>o minimo garant<strong>it</strong>o già fin dall’adolescenza, si restringe la forbice di discriminazione<br />

economica e quindi si aumenta lo sviluppo della società. Lo si vede dando 400 euro al mese da 16<br />

anni fino ai 30 anni; poi il redd<strong>it</strong>o viene portato a 720 euro. I giovani olandesi dunque hanno ben presto<br />

l’opportun<strong>it</strong>à di andare fuori di casa, con implicazioni enormi in termini di conquista dell’autonomia<br />

e di maturazione. Spaltro ci fa notare, per contro, come in Italia ci siano alcune regioni che si basano<br />

sui cassaintegrati, dove queste persone vengono assunte solo in nero per delle attiv<strong>it</strong>à che sono svolte<br />

egualmente in nero. Con i soldi che vengono spesi per la cassa integrazione (che vanno a vantaggio solo<br />

di alcune aziende e, quindi, non certo a vantaggio di tutti i lavoratori e che favoriscono l’assistenzialismo<br />

e interessi privati non sempre lec<strong>it</strong>i), Spaltro suggerisce di creare un sistema simile a quello olandese.<br />

Perché nessuno, in Italia, sembra interessato? Perché nessuno va a studiare quelle esperienze? L’altro<br />

punto degli olandesi è tutto specifico della particolare morfologia di quella nazione e consiste nella possibil<strong>it</strong>à<br />

di creare nuove terre, ogni dieci anni svuotando i bassi fondali delle loro coste che poi verranno<br />

protetti con sistemi di dighe. Il sogno brasiliano inizia tra il 2004/2006 con la seconda presidenza di Lula,<br />

che decide per primo di combattere e abolire la fame da un terr<strong>it</strong>orio di enorme estensione ma anche di<br />

grandi ricchezze. Poi dare al suo popolo un’educazione di base, debellare l’aids e la malaria, proteggere<br />

l’infanzia, lottare contro le morti infantili femminili, dove le bambine<br />

morivano molto di più spesso rispetto ai maschi, perché per esse non<br />

si spendevano denari per le medicine. Questo programma sembra sia<br />

stato effettivamente realizzato. Il sogno sudafricano. Di fronte ad un<br />

cambio di regime, dove esisteva una forbice enorme tra bianchi e neri,<br />

il sogno realizzato è stato quello di rinunciare alla vendetta da parte<br />

dei neri, che avevano conquistato il potere, nei confronti dei bianchi a<br />

vantaggio del perdono. Viene sanc<strong>it</strong>o il principio per cui la vendetta<br />

non paga: insegnare il perdono che ci permette di riappropriarci del<br />

nostro futuro: questo è stato il sogno realizzato del Sud Africa.<br />

Per concludere Spaltro vuole credere anche in un sogno <strong>it</strong>aliano che ha descr<strong>it</strong>to in un volume, “Sinistra”,<br />

in cui il relatore dichiara la sua appartenenza pol<strong>it</strong>ica. Quali sono le cose da fare per realizzare speranza,<br />

bellezza e perdono e dare lavoro, si chiede Spaltro? Le prime cose da fare, secondo Spaltro, possono essere<br />

anche apparentemente banali e non fondamentali come, ad esempio, rinnovare completamente la<br />

segnaletica stradale. Sembra una cosa di poco conto, ma ci vorrebbero una decina d’anni e l’importante<br />

che venga fatta! Poi, naturalmente un redd<strong>it</strong>o minimo e massimo garant<strong>it</strong>o, un eserc<strong>it</strong>o che non possa<br />

uscire dal terr<strong>it</strong>orio nazionale, come esiste in Svizzera, deputato solo alla difesa nazionale. La lotta agli<br />

infortuni sul lavoro; un’educazione e un’alimentazione pacifista. A questo propos<strong>it</strong>o Spaltro nota che<br />

fino a pochi anni fa venivamo nutr<strong>it</strong>i con una dieta quasi da ‘cannibali’ con estratti di fegato o di cervello:<br />

mangiare visceri di animali sicuramente non inclina alla collaborazione pacifica ma all’aggressiv<strong>it</strong>à.<br />

Le proposte di nuove promesse di Spaltro (speranza, bellezza, perdono....) portano a certi risultati che<br />

si concretizzano poi nella cultura del benessere, anzi del bell’essere, perché, come diceva Dostoevskij, “è<br />

la bellezza che salverà il mondo”, che poi, in altri termini, vuol dire avere bisogno di una cultura sabatica.<br />

Il sabato è l’orientamento verso il futuro, la domenica rappresenta il momento della bilancio e il giorno<br />

dopo si torna a lavorare o a scuola. Noi, come diceva Leopardi, abbiamo bisogno del sabato, che ci fa<br />

stare bene. E’ la cultura sabatica che dobbiamo realizzare!•<br />

42 42<br />

Capo Horn Horn 15 - settembre 2010


S<br />

RIFLESSIONI OBLIQUE<br />

SUL CALCIO<br />

Il torneo “La testa nel pallone”, svoltosi a Lecce dal 7 al 12 giugno, ha offerto anche l’occasione<br />

per un’intervista a Roman Filippovic, il recente acquisto del Presidente Mirkovic dalla<br />

Dinamo di Samarcanda per tre quintali di Armony, ma soprattutto esteta e lieve teorico di<br />

un calcio minore e recond<strong>it</strong>o.<br />

A cura di Paolo Ripanti<br />

E’ vero che c’è tanta dimensional<strong>it</strong>à sociale nel calcio di <strong>Asiamente</strong>, anzi qualcuno<br />

dice troppa? E che cosa significa?<br />

Penso che il nostro team abbia fatto affiorare le contraddizioni ins<strong>it</strong>e nella tensione agonistica<br />

delle altre squadre, rendendole manifeste.<br />

In che cosa consistono queste contraddizioni e come è possibile superarle, se sono<br />

superabili? Come si connettono con il<br />

calcio sociale di <strong>Asiamente</strong>?<br />

Ma queste contraddizioni fondamentalmente<br />

consistono nella fin<strong>it</strong>ezza della<br />

v<strong>it</strong>toria, perché una volta conquistata, la<br />

v<strong>it</strong>toria, la tensione sub<strong>it</strong>o scema, un po’<br />

come avviene dopo il co<strong>it</strong>o quando subentra<br />

una stanchezza dolce e profonda...Tutto<br />

ciò mi fa pensare a Fernando<br />

Couto, grande difensore portoghese che<br />

ha mil<strong>it</strong>ato fino a pochi anni fa in serie A<br />

nelle fila della Lazio, al suo prolungato e,<br />

Filippo mentre osserva e chiacchiera con un pescatore<br />

di Gallipoli intento a controllare e riparare le reti.<br />

TORNEO “LA TESTA NEL PALLONE” - LECCE<br />

appunto, stanco tramonto calcistico, accompagnato<br />

da un’incipiente calvizie...<br />

Roman, ad esser sinceri, facciamo<br />

fatica a seguire questa tua associazione e, comunque, non ci risulta che l’ottimo<br />

Fernando abbia sofferto di un’incipiente calvizie, anzi noi in tv lo abbiamo visto<br />

sempre con la sua fluente capigliatura corvina...<br />

Sì, a livello fenomenico è vero, ma a me piace pensarlo calvo, così da giustificare la mia<br />

teoria associativa co<strong>it</strong>o-couto-testosterone-calvizie e poi così rimandare le mie catene<br />

teoretiche associative ad una grande ala destra del calcio <strong>it</strong>aliano, forse drammaticamente<br />

in r<strong>it</strong>ardo con i tempi in cui operò, cioè a Pierino Fanna, che era innegabilmente<br />

calvo! Ma torniamo alle vostre domande, altrimenti le mie risposte rischiano di sembrare<br />

surreali ed oblique. Il calcio di <strong>Asiamente</strong> si affranca dall’immediatezza dell’hic et nunc,<br />

del qui ed ora, superando la fin<strong>it</strong>ezza, cui sopra accennavo, tipica delle altre squadre. Ciò<br />

avviene perché esso affonda le sue radici nel passato della memoria dei campetti di fango<br />

di periferia, rigati con il biancone di gesso, mentre il profumo dei toscani si spande<br />

dagli spalti....<br />

Roman, siamo confusi, ci troviamo di fronte ad un filosofo, ad un poeta o ad en-<br />

trambi?<br />

Il calcio è anche poesia, basti pensare a Umberto Saba e alle descrizioni che egli fa del<br />

La gazzella dello sport<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 43


S<br />

44 La<br />

TORNEO “LA TESTA NEL PALLONE” - LECCE<br />

pubblico sugli spalti e dei giocatori prima del fatale fischio d’inizio del match. Basti pensare<br />

alle radioline che accompagnano i tifosi, al gracchiare dei loro transistor. Il calcio,<br />

forse, è anche una delle ultime rappresentazioni sacre dei nostri tempi, come diceva<br />

Pier Paolo Pasolini, ma nello stesso tempo il calcio di <strong>Asiamente</strong> ha il potere di essere<br />

visionario, proiettandosi nel futuro con guizzi e traiettorie che inev<strong>it</strong>abilmente, almeno<br />

questo è l’auspicio, portano all’irreversibil<strong>it</strong>à del gol e, non ultimo, alla possibil<strong>it</strong>à del<br />

riscatto.<br />

Perché, si può pareggiare?<br />

Sì, in teoria ma, storicamente, ad un’analisi sincronica e diacronica, il pareggio, che interpreto<br />

come una forma di riscatto sociale, di rivinc<strong>it</strong>a dei più deboli nei confronti di<br />

chi detiene il potere, si è verificato solamente con la manina di dio di Diego Armando<br />

contro l’opulenta Albione nei mondiali del ‘78. Del resto il pareggio per il calcio di <strong>Asiamente</strong><br />

è come un Limbo, un’impasse, una paralisi spazio-temporale. Prova ne è che nel<br />

secondo incontro di quella grande corrida che è la manifestazione leccese de “La testa<br />

nel pallone”, quando eravamo ancora bloccati su uno scialbo 0 a 0, che sminuiva la nostra<br />

concezione metafisica del calcio, Cristian si è inventato un comunardo di faccia, lasciando<br />

di stucco tutto l’attacco avversario.<br />

Un comunardo?...<br />

Se poi mi fate altre domande, magari ve lo spiego...<br />

D’accordo. Quali sono le figure che ti hanno ispirato calcisticamente? Con chi ti<br />

paragoni o identifichi quando calchi il terreno di gioco?<br />

Quando sono in campo penso a Comunardo Niccolai ed alla pulsione tesi-ant<strong>it</strong>esi che<br />

viene a crearsi tra il nome proprio, Comunardo, di chiara ispirazione libertaria, ed il cognome,<br />

Niccolai, che rimanda a Niccolò Machiavelli e dunque all’esercizio del potere. La<br />

pulsione dinamica tra libertà e potere qui, secondo me, si riduce ad un avv<strong>it</strong>amento tra<br />

opposti, senza possibil<strong>it</strong>à di sintesi superiori. Niccolai era famoso anche per i suoi impareggiabili<br />

autogol - per questo prima ho ricordato il bel ‘comunardo’ di faccia di Cristian -<br />

che esprimevano un bisogno recond<strong>it</strong>o del giocatore, che andava interpretato da un allenatore<br />

di grandi capac<strong>it</strong>à<br />

intellettuali.<br />

Chi altri, se non<br />

Manlio Scopigno,<br />

l’indimenticabile<br />

allenatore-filosofo?<br />

Scopigno, con<br />

tanto di sigaro e<br />

wiskey riuscì a portare<br />

il Cagliari, allora<br />

una provinciale, allo<br />

scudetto, grazie sì<br />

al ‘mostro’ Gigi Riva,<br />

già Rombo di Tuono,<br />

ma anche grazie<br />

agli autogol di Comunardo,<br />

che erano<br />

delle reti bellissi-<br />

La squadra di <strong>Asiamente</strong>, rinforzata dal sesso femminile, coglie non casualmente<br />

la prima v<strong>it</strong>toria contro la squadra siciliana di Barcellona. Qui assieme<br />

le squadre sono in posa davanti ai fotografi.<br />

me e tanto bastava,<br />

dopo un attimo di<br />

gazzella dello sport<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


S<br />

La formazione di <strong>Asiamente</strong> sub<strong>it</strong>o dopo la premiazione, con Cristian<br />

che stringe la coppa e con l’oriundo rumeno Mirzan, acquisto del<br />

presidente Mircovic.<br />

TORNEO “LA TESTA NEL PALLONE” - LECCE<br />

sbandamento, a dare la<br />

carica alla compagine! Comunardo<br />

era, è Amsicora,<br />

il m<strong>it</strong>ico guerriero sardo.<br />

Certo, quando sono in<br />

campo, come faccio a non<br />

pensare anche ai Grandi<br />

Basettoni del calcio totale<br />

olandese? Johann Cruijff,<br />

Johannes ‘Johann’ Jacobus<br />

Neeskens, Rudolp Joseph<br />

‘Ruud’ Kroll, Willem<br />

‘De Kromme’ (‘Lo Storto’)<br />

van Hanegem, Nicolaas<br />

Jhonny Reep e tanti altri.,<br />

senza peraltro dimenticare<br />

i Grandi Teutonici, che<br />

rispondono ai nomi di<br />

Paul Bre<strong>it</strong>ner, Gerd Muller,<br />

Uwe Seeler, Hans Schnellinger. E per concludere, penso ulteriormente a Luciano Bianciardi,<br />

scr<strong>it</strong>tore e giornalista, che sapeva di sport ed a cui stava antipatico il fuorigioco,<br />

perché lim<strong>it</strong>ava l’estro ed il gol con i mezzucci della linea di difesa, rendendo così la v<strong>it</strong>a<br />

agra, calcisticamente parlando.<br />

Certo, Roman Filippovic pensa molto quando è in campo, essendo un calciatore intellettuale.<br />

Speriamo che trovi anche il tempo di correre un po’ dietro la palla...•<br />

La gazzella dello sport<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 45


46 46<br />

IL RACCONTO<br />

PRANZO DI NOZZE<br />

A cura del Gruppo Scr<strong>it</strong>tura da un racconto di Marta<br />

Il giorno del mio matrimonio fall<strong>it</strong>o, nel 1985, io avevo vent’anni, mio mar<strong>it</strong>o vent’uno. Dopo la cerimonia<br />

La nostra casa ci avrebbe atteso in campagna, come voleva la mental<strong>it</strong>à antica, di cui mio suocero era<br />

detentore incontrastato. Per questo, oggi, io vi racconterò soprattutto del mio pranzo di nozze, in modo<br />

che tutto sarà chiaro ed evidente.<br />

La tavola era stata imband<strong>it</strong>a sotto un grande tendone, capace di proteggere dai raggi del sole di un arido<br />

settembre ben trecento inv<strong>it</strong>ati. Nella cucina della nostra casa erano giunte delle cuoche, che avrebbero<br />

cucinato quello che mio padre e mio suocero avevano promesso di fornire: carne nostrale, maiale,<br />

agnello, oche, anatre, gallucci e polli ruspanti... e la mucca di mio suocero! Ne ammazzava una all’anno.<br />

Ricordo che quel giorno mio padre mantenne la promessa, portando la sua parte di bendidio, però in<br />

tavola, dopo le immancabili tagliatelle, lasagne e risotti vari, arrivò ben altro. La carne, di anonimo maiale<br />

industriale e c<strong>it</strong>tadino, al palato non risultava del sapore atteso, genuino e casereccio, come era stato<br />

promesso a noialtri sposi novelli e a tutta la truppa dei famelici trecento inv<strong>it</strong>ati. Anche le altre pietanze<br />

lasciarono i conv<strong>it</strong>ati delusi e soprattutto gli amici di mio padre manifestarono grande indignazione,<br />

perché era evidente che i piatti serv<strong>it</strong>i non erano quelli attesi. Dove si erano cacciati i preziosi volatili e<br />

i m<strong>it</strong>i manzi di campagna? Che ne era stato del maiale allevato nel porcile del padre di mio mar<strong>it</strong>o? La<br />

risposta non sarebbe tardata ad arrivare, perché, mentre il pranzo ancora infuriava, una mia rapida ispezione<br />

al capace congelatore della cucina mostrò in modo inequivocabile qual era stato l’algido destino<br />

delle vivande nuziali. La figuraccia a quel punto non poteva più essere scongiurata e, quasi a suggello<br />

ed a presagio di sventura di quello che sarebbe stato il destino del nostro matrimonio, si verificò pure il<br />

fatto del tovagliolo della sposa, cioè del mio tovagliolo. Successe che mia cognata lo utilizzò per pulire<br />

accuratamente le narici del suo figlioletto. Questo era troppo, la misura era colma, tanto che la cugina di<br />

mia madre esclamò: ”Brutta zozzona, osi pulire il naso con il fazzoletto della sposa? Se non avevi nient’altro,<br />

potevi usare il tuo vest<strong>it</strong>o per il naso di tuo figlio!”<br />

Fu così che mio suocero si mangiò per un anno intero, anche io e mio mar<strong>it</strong>o a dire il vero, tutti quei<br />

sapor<strong>it</strong>i gallucci e tutta la corte degli altri mammiferi. Ma la loro dolcezza non riuscì ad attenuare l’onta<br />

del pranzo adulterato.<br />

PS Mia cognata, quella civetta, non contenta di come si era comportata il giorno del pranzo delle mie<br />

nozze, ha continuato ad impicciarsi del mio matrimonio, come se fosse il naso del figlio, per altri quindici<br />

anni, finché non ci siamo separati, non prima però di aver fatto una cosa molto bella: due splendide<br />

figlie!•<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


Maria Grazia Circolani<br />

IL PRANZO DELLA<br />

DOMENICA<br />

IL RACCONTO<br />

Ore 12,30. Un profumo di sugo invade tutta la cucina, tutto è pronto in tavola, la tv manda le notizie del<br />

giorno e nessuno parla in religioso silenzio. Tutti ci sediamo, ognuno al proprio posto, i bambini accanto<br />

ai loro gen<strong>it</strong>ori, aspettando con impazienza i loro regalini, che scarteranno a fine pranzo. La tv è accesa<br />

e cattura attenzioni, ma la pubblic<strong>it</strong>à ci riconduce a noi e così ora tutti parlano tra loro freneticamente,<br />

passandosi le vivande fumanti e ingurg<strong>it</strong>ando il primo, il secondo, il dolce, la frutta…<br />

“Il caffè corretto!”qualcuno grida. ”Ma ti fa male, hai da guidare la macchina! E se ti fanno la prova del<br />

palloncino?” ” Ma va!...”<br />

Il tempo scorre veloce. Ognuno ha i suoi programmi per il pomeriggio: chi vuole andare al cinema, chi<br />

a portare a spasso il cane, chi infine a trovare i parenti. Velocemente ci si saluta, dandosi appuntamento<br />

alla prossima domenica. Percorro la strada di casa e ripenso alla giornata trascorsa. Una lieve malinconia<br />

mi fa pensare che la domenica in fondo è un giorno come tutti gli altri giorni.•<br />

Marisa<br />

IL MIO PRIMO AMORE<br />

Era una splendida giornata soleggiata, il 10 giugno ’66. Io e la mia compagna di banco decidemmo di<br />

marinare la scuola con due ragazzi: il ragazzo della mia amica ed un suo amico argentino, Juan Carlos,<br />

che studiava ingegneria e agronomia e che aveva fatto un viaggio premio in vari stati europei, per poi<br />

fermarsi per tre mesi dai suoi zii in Italia. Come lo vidi, fui colp<strong>it</strong>a dalla sua dolcezza. Era moro ed aveva<br />

delle macchie bianche sulle braccia per mancanza di melanina: si trattava della v<strong>it</strong>iligine. Juan Carlos ci<br />

soffriva molto per questo, ma non l’aveva mai detto alla mamma per non darle un dispiacere: io apprezzai<br />

la sua sensibil<strong>it</strong>à.<br />

Con una Cinquecento ci recammo al Lago Maggiore, per vis<strong>it</strong>are Villa Taranto e il suo grande giardino<br />

con piante e fiori di ogni genere. La mia amica era venuta a casa mia per prepararci agli esami di Stato<br />

di ragioneria: di giorno studiavamo, la sera andavamo in una discoteca, dove facevamo le ore piccole.<br />

Ballavamo il lento con le canzoni dei Beatles e Juan Carlos mi teneva abbracciata con molta tenerezza.<br />

Capii che era il ragazzo che faceva per me. Le canzoni erano molto belle: quella che preferivo era una<br />

romantica dal t<strong>it</strong>olo”Michelle”. Diceva: “Michelle, mio amore, sono parole che vanno molto bene assieme.<br />

Io ho bisogno, ho bisogno di te, ho bisogno di vederti. Oh, quanto significhi per me! Io ti dirò le uniche<br />

parole che conosco e che tu capisci: ti amo, ti amo, ti amo!” Quando Juan Carlos cercava di baciarmi, io<br />

mi allontanavo, perché pensavo di non essere capace di baciare. Ero proprio un’imbranata. L’ultima sera<br />

mi buttai e ci baciammo a dir poco per un quarto d’ora: fu un’emozione indicibile… La mattina dopo<br />

avevo le labbra gonfie!<br />

Ci frequentammo per tutta l’estate, poi, quando ripartì dal porto di Genova, lo raggiunsi, ci baciammo<br />

a lungo e Juan Carlos mi disse di aspettarlo. Per tre anni siamo stati in corrispondenza, tanto che avevo<br />

comperato un dizionario spagnolo per tradurre le sue lettere. L’anno successivo r<strong>it</strong>ornò per specializzarsi<br />

alla Sorbona. La vigilia di Natale mi telefonò e passammo il Natale assieme. Fu il Natale più bello della<br />

mia v<strong>it</strong>a, così pure fu altrettanto bella la notte di Capodanno!<br />

In una sua lettera mi chiese se lo volevo sposare, però io non me la sentivo di andare in Argentina, paese<br />

povero e con crisi di governo (vedi “desaparecidos”). Ho ancora davanti gli occhi l’ultima volta che lo vidi,<br />

con rammarico, perché era lui l’uomo adatto per me. E a volte me lo sogno ancora!•<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 47


V<strong>it</strong>torio Lannutti<br />

48<br />

ROCK E PSICHIATRIA<br />

CONTINUA A BRILLARE<br />

DIAMANTE PAZZO<br />

“Shine on you crazy diamond” è una delle più belle<br />

canzoni del rock. È il brano principale di “Wish<br />

you were here”, il disco che i Pink Floyd vollero dedicare<br />

a Syd Barrett, il diamante pazzo. Barrett è<br />

stato il fondatore, il primo cantante-ch<strong>it</strong>arrista del<br />

quartetto inglese, che alla fine degli anni ’60, in<br />

piena epoca hippy, fece un uso eccessivo di Lsd.<br />

La sua passione per l’acido lisergico gli costò cara:<br />

nel giro di pochissima anni, infatti, divenne uno<br />

psicotico cronico e ciò gli impedì di continuare<br />

la carriere di artista. Barrett fece parte del gruppo<br />

soltanto per i primi due album. A sost<strong>it</strong>uirlo<br />

fu chiamato David Gilmour, che era suo amico e<br />

che lo aiutò a pubblicare due dischi solisti, prima<br />

che si r<strong>it</strong>irasse defin<strong>it</strong>ivamente a v<strong>it</strong>a privata,<br />

perso nei suoi deliri, in stato vegetativo, finché<br />

non è morto nel 2006.<br />

Questa lunga introduzione sul più famoso<br />

rocker, che ha avuto importanti problemi psichiatrici,<br />

dimostra che il connubio tra il mondo<br />

della musica rock ed il disagio mentale è molto<br />

più stretto di quanto si immagini. È un legame<br />

molto saldo, fatto di interscambi continui e di<br />

vasi comunicanti sempre aperti. Nel mondo del<br />

rock una delle frasi diventate famose ed ormai<br />

retoriche è “una v<strong>it</strong>a salvata dal rock!”. Di episodi e<br />

di testi riguardanti il disagio mentale ce ne sono<br />

tantissimi, compresi purtroppo i suicidi. Ma andiamo<br />

con ordine e partiamo dalle cose più spiacevoli,<br />

per poi rallegrarci con un aneddoto simpatico.<br />

Alcuni mesi fa, purtroppo<br />

a distanza di tre mesi<br />

l’uno dall’altro, hanno<br />

scelto di lasciarci due<br />

importanti, anche se<br />

non conosciuti dal grande<br />

pubblico, cantautori<br />

Usa: Vic Chesnutt e Mark<br />

Linkous. Il primo all’inizio<br />

della sua carriera, in<br />

segu<strong>it</strong>o ad un incidente<br />

Syd Barret<br />

stradale, perse l’uso delle<br />

gambe. Nonostante ciò,<br />

non si perse d’animo e registrò tanti bei dischi,<br />

anche supportato da molti amici, tra cui Michael<br />

Stipe dei R.E.M.. Ma la forza d’animo, che lo ha caratterizzato<br />

per tanti anni, deve infine aver ceduto<br />

alla depressione, che lo ha portato alla dipart<strong>it</strong>a<br />

lo scorso Natale. Mark Linkous, invece, era il leader<br />

degli Sparklehorse, interessante band, ded<strong>it</strong>a<br />

ad un ottimo pop rock introspettivo, che dal 1995<br />

al 2009 ha prodotto sei dischi oltre ad una bella<br />

manciata di Ep. I suicidi di Linkous e Chesnutt<br />

Discografia essenziale di “Psichiatric” Rock:<br />

Daniel Johnston: Fear yourself (Gammon, 2003)<br />

Pink Floyd: Wish you were here (Harvest 1975)<br />

Vic Chesnutt: The salesman and Bernadette (Cap<strong>it</strong>ol, 1998)<br />

Sparklehorse: Distorted ghost Ep (Odeon, 2000)<br />

Pere Ubu: The modern dance (Geffen, 1978)<br />

Roberto Vecchioni: Il re non si diverte (CGD, 1973)<br />

Giorgio Gaber: Far finta di essere sani (Carosello, 1973)<br />

Fabrizio De Andrè: Non all’amore, non al denaro,<br />

né al cielo (Ricordi, 1971)<br />

Francesco De Gregori: Terra di nessuno (CBS, 1987)<br />

CCCP: Affin<strong>it</strong>à - divergenze fra il compagno Togliatti e noi<br />

del conseguimento della maggiore età<br />

(Attak punk/Virgin, 1985)<br />

purtroppo sono solo gli ultimi in ordine di tempo,<br />

dato che in questa categoria si possono c<strong>it</strong>are, tra<br />

i più famosi, Kurt Cobain, cantante e ch<strong>it</strong>arrista dei<br />

Nirvana, che nel 1994 decise di terminare una v<strong>it</strong>a<br />

di sofferenze e di continue depressioni e Ian Curtis,<br />

storico leader della band inglese new wave Joy<br />

Division.<br />

Continuiamo a tenere in considerazione Linkous,<br />

perché la sua generos<strong>it</strong>à ha permesso ad un altro<br />

artista, che invece soffre di disturbo bipolare, di rilanciare<br />

la propria carriera dopo momenti bui. Si<br />

tratta di Daniel Johnston, grande appassionato<br />

dei Beatles, al punto che avrebbe voluto essere<br />

lui stesso nel quartetto di Liverpool. Johnston tra<br />

gli anni ’80 e ’90 ha prodotto tantissima musica,<br />

sinceramente di scarsa qual<strong>it</strong>à, dato che era molto<br />

disordinata e registrata malissimo. Dopo una profonda<br />

crisi, che lo ha portato a fare uso di droghe<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


e ad un tentativo di suicidio, si è ripreso. Così nel<br />

2003, grazie al prezioso supporto di Linkous, ha<br />

pubblicato uno dei dischi più belli di quell’anno:<br />

“Fear yourself”, t<strong>it</strong>olo emblematico, dato che significa<br />

paura di te stesso. Johnston suona un ottimo<br />

pop rock mai ridondante, ed innovativo. Linkous<br />

ha aiutato Johnston anche per altri due dischi, tra<br />

i quali lo stupendo “Lost and found”.<br />

Un altro artista, che ha sempre avuto seri problemi<br />

psichiatrici, paranoia e schizofrenia, è David Thomas<br />

che, nonostante<br />

o forse proprio grazie<br />

ai suoi disturbi,<br />

ha pubblicato 20 dischi<br />

con i Pere Ubu, il<br />

gruppo che ha fondato<br />

trent’anni fa,<br />

oltre ad una quindicina<br />

di cd ed ep che<br />

ha prodotto con altri<br />

progetti. Thomas,<br />

con i suoi Pere Ubu,<br />

è stato uno degli ar-<br />

Daniel Johnston<br />

tefici e dei principali esponenti della new wave<br />

Usa e ha sempre fatto musica poco codificabile e<br />

straniante.<br />

Passando all’Italia, a parte il successo sanremese<br />

di Simone Cristicchi con “Ti regalerò una rosa”, è indispensabile<br />

c<strong>it</strong>are cinque canzoni che trattano in<br />

varie forme il tema del disagio mentale. Partiamo<br />

da due brani molto commoventi e toccanti. Il primo<br />

è di Roberto Vecchioni, che nel 1973, nell’album “Il<br />

re non si diverte”, pubblicò la canzone “Sabato stelle”,<br />

nella quale il cantautore milanese immaginava<br />

un dialogo con una donna ricoverata in un mani-<br />

ROCK E PSICHIATRIA<br />

comio. Il secondo è di Francesco De Gregori, che<br />

su “Terra di nessuno” del 1987 pubblicò “I matti”, un<br />

efficacissimo testo descr<strong>it</strong>tivo sulla condizione di<br />

v<strong>it</strong>a di chi vive il disagio mentale. Sempre nel 1973,<br />

Giorgio Gaber pubblicava uno dei primi dischi del<br />

suo teatro-canzone: “Far finta di essere sani”, nel<br />

quale non parlava esplic<strong>it</strong>amente di psichiatria,<br />

ma della difficoltà dell’individuo di adeguarsi alle<br />

mode e alle esigenze consumistiche della società.<br />

Il Signor G portò questo spettacolo anche nell’ospedale<br />

psichiatrico di Voghera. Anche Fabrizio<br />

De André si è cimentato con l’argomento in “Non<br />

all’amore né al denaro né al cielo”, l’album del 1971<br />

nel quale ha omaggiato “L’antologia” di Spoon River,<br />

nel quale è presente il brano “Un matto (dietro<br />

ogni scemo c’è un villaggio)”. In questo testo il<br />

buon vecchio Faber canta il desiderio di un individuo<br />

che aveva la pretesa di imparare la Treccani<br />

a memoria e per questo fu rinchiuso in un manicomio.<br />

Per concludere questa carrellata <strong>it</strong>aliana è<br />

doveroso c<strong>it</strong>are “Tavor Valium Serenase” dei CCCP.<br />

Questa canzone non è uno spot pubblic<strong>it</strong>ario dei<br />

tre psicofarmaci più usati dagli psichiatri, ma un<br />

urlo disperato ed una rivendicazione di un altro<br />

stile di v<strong>it</strong>a, cantato da Giovanni Lindo Ferretti, ex<br />

educatore del manicomio di Reggio Emilia, che<br />

nella prima metà degli anni ’80 fondò i CCCP, il più<br />

importante gruppo punk <strong>it</strong>aliano.<br />

Per concludere, torniamo in Usa e questa volta<br />

parliamo di un artista famoso. Si tratta di Bruce<br />

Springsteen che, in piena guerra del Vietnam, per<br />

ev<strong>it</strong>are l’arruolamento, si finse matto e riuscì a non<br />

andare nell’inferno vietnam<strong>it</strong>a. Qualche volta fare<br />

il matto può salvare la v<strong>it</strong>a. •<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 49


Giordano Cotichelli<br />

50<br />

CINEMA E PSICHIATRIA<br />

SÌ, SI PUÒ FARE!<br />

Dalla recensione di alcuni film sulla follia, caratterizzati da sensibil<strong>it</strong>à ed uman<strong>it</strong>à, alla rievocazione di alcuni<br />

personaggi che già agli inizi della psichiatria si sono distinti per l’approccio uman<strong>it</strong>ario.<br />

In genere la recensione di un film si dovrebbe scrivere<br />

in vista della sua prossima usc<strong>it</strong>a o a ridosso<br />

di questa. Se il film è bello si può fare anche dopo.<br />

Se poi è bello ed importante, ogni momento è<br />

giusto. Sto parlando del film del 2008 con Claudio<br />

Bisio: “Si può fare”, il cui tema tratta delle cooperative<br />

sociali nate dietro l’impulso dei cambiamenti<br />

previsti dalla legge 180 del 1978. I personaggi<br />

del film sono immaginari, ma ispirati ad una storia<br />

vera. Anzi, alle tante storie vere che presero forma<br />

dalle speranze accese dalla riforma e dalla sperimentazione<br />

della riabil<strong>it</strong>azione e del reinserimento<br />

proprio grazie le cooperative. Claudio Bisio nel<br />

film sostiene il ruolo di sindacalista fall<strong>it</strong>o, incapace<br />

di mediare: fuori posto nelle nuove compatibil<strong>it</strong>à<br />

aziendali e la perduta confl<strong>it</strong>tual<strong>it</strong>à operaia, r<strong>it</strong>rova<br />

comunque un equilibrio fra coloro che dalla società<br />

sono stati defin<strong>it</strong>i squilibrati. Non è un tecnico,<br />

un medico, un infermiere o un professionista dell’assistenza,<br />

ma fa appello alla sua uman<strong>it</strong>à, chiama<br />

“soci” i pazienti, ci prova, si impegna. Come si dice,<br />

ci mette del “suo”, anche sbagliando, con conseguenze,<br />

ad un certo punto del film, drammatiche.<br />

Entrerà in confl<strong>it</strong>to con lo psichiatra della struttura,<br />

per poi r<strong>it</strong>rovarselo alleato. Il filo conduttore è<br />

l’utopia del “si può fare”: mettere in evidenza che il<br />

cambiamento si può gestire, creare, condurre, non<br />

prima di averlo sognato ed inventato.<br />

Non è la prima volta che il grande schermo affronta<br />

le questioni della salute mentale. Molto spesso<br />

lo ha fatto in termini abbastanza drammatici, altre<br />

volte un po’ didascalici. Riscatto e redenzione?<br />

No, sensibil<strong>it</strong>à e uman<strong>it</strong>à. Un po’ come quelle che<br />

si hanno nel film del 2003 “Prendimi l’anima”, di<br />

Roberto Faenza. Trasposizione cinematografica<br />

della storia vera di Sabina Spielrein, giovane ebrea<br />

russa, ricoverata in una clinica psichiatrica a Zurigo,<br />

dove incontra e si innamora dello stesso Jung.<br />

Il film parla della loro storia di amore, ma parla<br />

anche di come, in un tempo non certo facile, una<br />

donna riesca ad affermarsi, a diventare lei stessa<br />

psicoanalista, a vincere su ogni tipo di pregiudizio:<br />

di genere, pol<strong>it</strong>ico, razziale, medico, per rimanere<br />

sconf<strong>it</strong>ta però dall’unica e sola grande follia dell’uman<strong>it</strong>à:<br />

la guerra. Verrà uccisa dagli invasori nazisti<br />

in Russia nel 1942.<br />

Infine non si può non ricordare il famoso: “Qualcuno<br />

volò sul nido del cuculo”, di Milo_ Forman del<br />

1975 in cui non si narra di nessun momento storico<br />

particolare, o di personaggio realmente esist<strong>it</strong>o,<br />

ma di una persona come tante, un po’ sbruffona,<br />

ribelle se si vuole. Un rubagalline condannato (il<br />

film si svolge negli USA degli anni ’70) a passare<br />

alcune settimane in una clinica psichiatrica, per<br />

curarsi della sua psicopatologia delinquenziale. Il<br />

suo ribellismo individualista lo porterà ad estremi<br />

risultati, non prima però di aver fatto assaporare<br />

un po’ di libertà ai suoi compagni di disavventura.<br />

La cinematografia ci dà lo spunto per poter parlare<br />

di figure con caratteristiche innovative simili,<br />

proprio per l’approccio uman<strong>it</strong>ario, che tuttavia<br />

è possibile individuare già agli inizi della storia<br />

della psichiatria. Molti ricordano in propos<strong>it</strong>o la<br />

figura del medico francese Philippe Pinel, che alla<br />

fine del XVIII secolo sperimentò quella che venne<br />

chiamata la terapia morale, un’antesignana della<br />

psicoterapia. Forse pochi sanno che prima di lui si<br />

impegnò per una psichiatria più umana un <strong>it</strong>aliano,<br />

Vincenzo Chiarugi. Ma ancor prima, come ispiratrice<br />

diretta di Pinel, va ricordata la figura di Jean<br />

Baptiste Pussin.<br />

Pussin è considerato in Francia uno dei più importanti<br />

predecessori della professione infermieristica<br />

e della stessa concezione moderna di cura ed<br />

assistenza in psichiatria. Ricoverato nel 1771 per<br />

un’aden<strong>it</strong>e tubercolare all’ospedale di Bicêtre (vicino<br />

Parigi) all’età di 26 anni, riesce a guarire e ad<br />

entrare come lavorante fino a diventare guardiano<br />

“dei folli”. Da sub<strong>it</strong>o si distingue per i suoi metodi<br />

uman<strong>it</strong>ari e spesso usa liberare i pazienti dalle catene,<br />

uno dei mezzi di contenzione maggiormente<br />

usati a quel tempo. Cerca di relazionarsi con gli in-<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


ternati in modo da stimolare le risorse intellettuali<br />

presenti; scrive annotazioni, i risultati ottenuti e di<br />

volta in volta, quando la direzione dell’Ospedale<br />

ha bisogno di personale nuovo, favorisce la scelta<br />

fra gli ex alienati, partendo dal presupposto che<br />

questi siano sensibili ed anche in parte esperti<br />

delle problematiche assistenziali che dovranno<br />

affrontare. Farà la conoscenza, nel 1793, del nuovo<br />

direttore Philippe Pinel che, osservandone il<br />

modo di lavorare, gli chiederà quali siano i risultati<br />

della liberazione dalle catene dei pazienti ag<strong>it</strong>ati.<br />

Egli risponderà: “Si calmano”. Quando Pinel verrà<br />

trasfer<strong>it</strong>o all’Ospedale di Salpêtrière, vorrà l’infermiere<br />

vicino a sé nella sperimentazione dei nuovi<br />

modelli di cura. Tutto ciò avviene quando ancora<br />

il XVIII secolo deve finire, ma sotto la spinta delle<br />

idee illuministe della rivoluzione francese. L’unic<strong>it</strong>à<br />

e l’importanza della figura di Pussin è sottolineata<br />

dal fatto che in Francia egli sia considerato<br />

un antesignano della professione infermieristica:<br />

diversi Ist<strong>it</strong>uti di Formazione in Scienze Infermieristiche<br />

(IFSI) gli sono int<strong>it</strong>olati.<br />

Pussin e Pinel, Chiarugi… ed anche l’inglese Conolly,<br />

che nel 1838 presso il manicomio provinciale<br />

di Hanwell comincia anche lui a sperimentare<br />

trattamenti “non-restraint”, senza far uso della<br />

contenzione. E tanti altri ancora sono coloro che<br />

hanno detto “Si può fare”, assieme a tanti altri di<br />

cui non è stata lasciata memoria, ieri come oggi.<br />

L’IMPERFEZIONE<br />

Imperfettamente sono conosciuto,<br />

come imperfettamente mi conosco…<br />

ma sono conosciuto.<br />

Imperfettamente conosco il prossimo,<br />

come imperfettamente il prossimo si conosce…<br />

ma è conosciuto.<br />

Imperfettamente conosco ciò che mi circonda,<br />

come ciò che mi circonda imperfettamente si<br />

conosce…<br />

ma è conosciuto.<br />

Imperfettamente conosco la mia anima,<br />

come la mia anima imperfettamente si<br />

conosce…<br />

CINEMA E PSICHIATRIA<br />

O, meglio, non si conoscono i nomi, ma i risultati<br />

sì: quelli che hanno costru<strong>it</strong>o e costruiscono ogni<br />

giorno un sistema di cure e di assistenza dinamico<br />

ed umano, funzionale alle esigenze di chi sta male<br />

e dei loro familiari.<br />

Facile in questi casi la retorica ed allora forse è<br />

anche giusto segnalare esempi di “Si può fare” un<br />

po’ discutibili. Uno su tutti: quello che cap<strong>it</strong>ava nel<br />

1821 all’Ospedale San Lazzaro di Reggio Emilia,<br />

dove il direttore Antonio Galloni pensava che gli<br />

strumenti migliori di cura e sedazione fossero, fra<br />

i tanti, quello di far indossare finte divise mil<strong>it</strong>ari,<br />

far eseguire marcette e present’arm ed imbracciare<br />

finti fucili al fine di “resettare” nella disciplina<br />

e nell’ordine il “disordine” mentale presente. Non<br />

sono noti i risultati di questo “role playing” mil<strong>it</strong>arista,<br />

ma sono facilmente immaginabili, e non si dovrebbero<br />

allontanare di molto dalla visione di chi,<br />

ancora oggi, pensa che il disagio mentale sia una<br />

questione di disordine, di caos, di anarchia mentale<br />

da combattere con maggiore rigid<strong>it</strong>à, ordine,<br />

disciplina e magari allungando i tempi di ricovero,<br />

internamento e di trattamento san<strong>it</strong>ario. A questa<br />

prospettiva discutibilissima non resta che rispondere<br />

con la voglia del “Si può fare” e la dign<strong>it</strong>à del<br />

considerare chi ha bisogno del nostro aiuto come<br />

dei soci con cui appunto lavorare assieme. E’ difficile,<br />

certo, ma… si può fare!•<br />

ma è conosciuta.<br />

Imperfettamente conosco chi è sopra di me,<br />

ma, chi è sopra di me, è PERFETTO.<br />

La perfezione conosce se stessa<br />

e conosce perfettamente ogni cosa.<br />

Ogni cosa tornerà nella perfezione da cui è stata<br />

allontanata<br />

e la perfezione sarà una cosa sola.<br />

E il balbettio del mondo e la sua confusione<br />

torneranno ad essere nel nulla,<br />

in ciò che non esiste, da cui sono scatur<strong>it</strong>i.<br />

Alfredo Baldini<br />

POESIA<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 51


ARMONIA<br />

Equilibrio e seren<strong>it</strong>à<br />

amica e compagna di viaggio<br />

costante e allo stesso tempo sfuggente.<br />

Quel non so che<br />

che ci fa agire liberi da paure<br />

che ci aiuta ad essere noi stessi<br />

a mantenere i nostri sentimenti<br />

liberi<br />

dalle angosce del passato<br />

e dai pensieri del futuro.<br />

Raggiungerla ci vuole una v<strong>it</strong>a.<br />

Un’altra per mantenerla.<br />

E’ armonia.<br />

Maria Grazia Circolani<br />

SCENDO E POI VADO A PIEDI<br />

E vi era un treno che, da tempi dimenticati, andava sui binari, logori, in una direzione retta.<br />

A volte i binari che aveva sul suo cammino si rompevano.<br />

E allora, vi erano operai che intervenivano, in modo che il treno continuasse la sua corsa.<br />

Poi venne un tempo in cui una mente oscura fece deviare il treno su altri binari, nuovi<br />

e il nuovo percorso si svolgeva su un panorama completamente diverso, strano e imprevedibile.<br />

E, poiché io ero su quel treno, mi chiesi:<br />

“Vale la pena di andare in una nuova direzione?<br />

Che senso ha, se prima due più due faceva quattro e ora, come vedo nel nuovo panorama, dicono<br />

che così non è più?<br />

Che senso ha andare in una nuova direzione, che è tutta da costruire?<br />

E questa nuova retta, dove porta?<br />

E se porta, come pensavo, non nel caos, ma addir<strong>it</strong>tura in tanti nuovi caos, a che vale?<br />

Ma come si può scendere da un treno in corsa?”<br />

E allora pensai: “Tiro il freno di emergenza, scendo e vado a piedi pei cazzi miei.”<br />

Alfredo Baldini<br />

52<br />

POESIA<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


ARREDO URBANO<br />

JESI, CITTÀ D’ARTE?...<br />

OCCHIO AI PARTICOLARI<br />

Ezio Bartocci<br />

Tutto cambia, che ci piaccia o no. Cambiamo<br />

noi, cambiano le cose e i luoghi che prendono<br />

forma e li vediamo mutare lentamente o<br />

fin troppo velocemente. Cambia anche ciò<br />

che non vediamo, troppo distante dal nostro<br />

sguardo o perché non è di nostro interesse.<br />

Per questo, nonostante la maestos<strong>it</strong>à<br />

di scalinate, piazze e porticati o di facciate di<br />

palazzi, possono avvenire modifiche, utilizzi,<br />

arredi impropri e discutibili, ma ignorati<br />

dalla maggior parte della gente. Nel piccolo<br />

la distrazione è ancora più facile. Penso ad<br />

alcune figurette dozzinali e di pessimo gusto, collocate alcuni anni fa nelle edicole vuote da decenni o<br />

in alcuni angoli strategici della c<strong>it</strong>tà. Passandoci davanti mi chiedo: “Si possono considerare qualificanti<br />

o sono solo merce da quattro soldi, priva di alcun valore estetico e senza alcuna energia? Al loro posto<br />

non era meglio il vuoto? Nei casi più cr<strong>it</strong>icabili, si può chiederne la sost<strong>it</strong>uzione, se non la rimozione?”.<br />

E mi chiedo ancora: “Aldilà della figuretta in quanto tale, la sua ricollocazione va letta come segno di<br />

marcatura di un terr<strong>it</strong>orio, che vuol essere recuperato anche visivamente e mediante varie manifestazioni<br />

folcloristiche, com’è successo con la riproposta popolare del Palio di San Floriano?”. Forse, chi non<br />

si è accorto della loro assenza in passato, non nota la loro presenza oggi. Eppure i segni hanno sempre<br />

un significato, anche se troppa gente non li degna di considerazione, tant’è che per molti potrebbero<br />

sparire letteralmente parti delle c<strong>it</strong>tà e non se ne accorgerebbero.<br />

Sto pensando questo mentre cerco una mia vecchia pubblicazione int<strong>it</strong>olata Organic<strong>it</strong>tà”, ed<strong>it</strong>a da Carucci<br />

nell’’82, e un catalogo di una mostra di progetti dell’arch<strong>it</strong>etto<br />

De Carlo esposti a San Floriano, che ricordo d’aver<br />

conservato. Li ho promessi in prest<strong>it</strong>o a Claudio insieme a<br />

un mio breve scr<strong>it</strong>to. Fortunatamente li trovo entrambi quasi<br />

sub<strong>it</strong>o. In “Organic<strong>it</strong>tà” affermavo che “si dovrebbe vivere<br />

attivamente e consapevolmente l’ambiente per correggerlo,<br />

modificarlo, in una riappropriazione collettiva, civica, societaria”.<br />

Gli anni Settanta e i primi anni Ottanta sono stati<br />

quelli di maggiore attenzione e partecipazione sociale: erano<br />

frequenti le iniziative pubbliche e artistiche che inv<strong>it</strong>avano<br />

all’orientamento e al dibatt<strong>it</strong>o intorno alle trasformazioni<br />

possibili, al riuso di spazi arch<strong>it</strong>ettonici e urbanistici.<br />

San Floriano, l’ex chiesa allora sede espos<strong>it</strong>iva, già destinata<br />

a diventare aud<strong>it</strong>orium, forniva a De Carlo e al suo staff, nel<br />

1985, la possibil<strong>it</strong>à di valutare la trasformazione della piazza<br />

anche in funzione del futuro utilizzo della ex Chiesa. Aldilà<br />

della fattibil<strong>it</strong>à o meno di ogni progetto, mi sembra che si<br />

debba giudicare sempre pos<strong>it</strong>ivamente una iniziativa basata<br />

sul coinvolgimento della gente, la stimolazione reciproca tra<br />

un maestro riconosciuto in arch<strong>it</strong>ettura e i c<strong>it</strong>tadini.<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010 53


54<br />

<br />

ARREDO URBANO<br />

Ma oggi e ormai da troppi anni queste pratiche sono desuete;<br />

i pol<strong>it</strong>ici preferiscono assecondare le tendenze e i<br />

gusti della maggioranza degli elettori, tenendo meno conto<br />

delle esigenze minor<strong>it</strong>arie. E più alta è la considerazione<br />

dell’elettorato di tipo numerico, più si investe in “panem<br />

et circenses”, tagliando altrove. La pol<strong>it</strong>ica in linea generale,<br />

purtroppo, è poco considerata come possibile servizio<br />

sociale e affermazione di un ideale, ma più un luogo dove<br />

”mal che vada, saranno quelli che restano fuori a star peggio”.<br />

Quella mattina, quando ci siamo incontrati con Claudio in<br />

Piazza Federico II, da poco riaperta al traffico dopo la chiusura<br />

per lavori che sembravano interminabili, entrambi<br />

abbiamo espresso cr<strong>it</strong>iche su molte trasformazioni recenti<br />

della c<strong>it</strong>tà, dovendo constatare, risiedendo in centro, l’impoverimento<br />

e il degrado. La Jesi delle belle promesse, che<br />

mi aveva attratto sul finire degli anni Settanta, da alcuni<br />

anni non è più la stessa. È una c<strong>it</strong>tà con poche idee, pochi<br />

personaggi di riferimento e sempre meno imprend<strong>it</strong>ori<br />

disposti a investire qui. Non basta vantarsi di aver dato i<br />

natali a questo e a quel personaggio illustre, tanto più se<br />

manca la determinazione per celebrarlo come converrebbe.<br />

Qualche esempio? Mi lim<strong>it</strong>o ai due più importanti: Federico II e Pergolesi, due figure diversamente<br />

grandi e affascinanti.<br />

Che il grande imperatore sia nato qui nella Piazza a lui int<strong>it</strong>olata e di recente “riqualificata”, è stato scr<strong>it</strong>to<br />

e ripetuto su tutto il suo perimetro, delineato da lastre di marmo rosa (incise al pantografo), ai margini<br />

dei sampietrini della stessa, separate da una tenda stilizzata e in parte occultate da una grande aiuola<br />

circolare di marmo bianco, dove si ripete la dic<strong>it</strong>ura ripassata in nero, anche in arabo. Entrambe le scr<strong>it</strong>te<br />

per fortuna sono meno vistose rispetto all’iscrizione latina, posta alla base del timpano del duomo<br />

sin dai tempi della riedificazione della chiesa, a perenne<br />

memoria di Rambaldus Magagninus. Lo spazio appena risistemato,<br />

ibrido per via di vari elementi arch<strong>it</strong>ettonici discordanti,<br />

non dà l’idea di un progetto a monte, rispettato<br />

dall’inizio alla fine. Le polemiche tra i due progettisti, usc<strong>it</strong>e<br />

nei giornali e protrattesi fino agli ultimi giorni prima dell’inaugurazione<br />

(panchine sì panchine no, aiuola con fiori<br />

o con albero), hanno rafforzato l’impressione di poca chiarezza,<br />

che non giova a un’opera di riqualificazione. Infine<br />

la lapide nuova, che non poteva mancare all’angolo della<br />

Piazza: quella precedente, scr<strong>it</strong>ta in più lingue, iniziava<br />

con “la leggenda”… per car<strong>it</strong>à! L’attuale, seppure solo in<br />

<strong>it</strong>aliano, porta incisi i t<strong>it</strong>oli imperiali di Federico e anche il<br />

logo della d<strong>it</strong>ta locale che lavora e commercializza i marmi.<br />

Segno dei tempi? Forse: nel suo genere è la cosa più<br />

originale. Il monumento a Federico II non è molto distante:<br />

scendendo via delle Terme, è collocato in quell’angolo appena<br />

dietro le mura, conosciuto a Jesi come “il Montirozzo”.<br />

Seppure un po’ nascosto, il bronzo di tal Robazza è imponente<br />

e baldanzoso, quasi come un eroe dei colossal dei<br />

tempi d’oro di Cinec<strong>it</strong>tà. Ormai da qualche anno è accantonato<br />

lì e aspetta il trasferimento in un luogo più in vista.<br />

Qualche c<strong>it</strong>tadino ha scr<strong>it</strong>to ai giornali dicendo che è una<br />

Capo Horn 15 - settembre 2010


ARREDO URBANO<br />

vergogna che la statua dell’imperatore<br />

sia tenuta così in<br />

disparte, ma nessuno ha replicato<br />

che, volendo ricordare<br />

un personaggio di tale valore,<br />

sarebbe stato opportuno<br />

scegliere anz<strong>it</strong>empo un luogo<br />

giusto, progettare la collocazione,<br />

trovare i fi nanziamenti<br />

necessari e rivolgersi ad uno<br />

scultore di cui potersi vantare.<br />

Nessun oggetto d’arredo urbano<br />

e tantomeno un monumento<br />

può essere considerato<br />

un oggetto-regalo. Anche se a<br />

donarlo è un ente come la Provincia,<br />

come quello collocato<br />

davanti all’ex Sima. Sarebbe<br />

stato doveroso cr<strong>it</strong>icare l’operazione, quantomeno inusuale, e rest<strong>it</strong>uire l’oggetto al m<strong>it</strong>tente. Ma anche<br />

questa struttura per molti è invisibile, inesistente, incr<strong>it</strong>icabile.<br />

Ma passiamo al secondo esempio: Pergolesi. Il suo monumento, esegu<strong>it</strong>o dal Lazzerini, pur essendo una<br />

composizione un po’ teatrale e di maniera, è accettabile. Se non altro, aveva le carte in regola: un com<strong>it</strong>ato<br />

aveva proposto per tempo un concorso e scelto il bozzetto vincente, che rispetto agli altri era il<br />

migliore e in linea con il gusto dei tempi. Inaugurato un secolo fa, pur senza far gridare al capolavoro,<br />

si inseriva discretamente nello spazio della c<strong>it</strong>tà che gli era stato dedicato. Da allora sono passati cento<br />

anni. Quest’anno, per i trecento anni dalla nasc<strong>it</strong>a del grande compos<strong>it</strong>ore, sono tante le iniziative in calendario,<br />

non solo nel suo Teatro: per la comunicazione e la promozione degli eventi qualcuno ha pensato<br />

di ingabbiare i programmi dentro cornici d’epoca. Una trovata che sa di “già visto!”, che non ha niente<br />

a che vedere né con la musica né con la c<strong>it</strong>tà né con la creativ<strong>it</strong>à di Pergolesi. E’ una “furbata” discutibile,<br />

come tante tipiche di questi tempi, poco rappresentativa, quasi quanto poco rappresentativo è il leone<br />

della nuova insegna del Comune. Ma chi se ne accorge e a chi volete che interessi?•<br />

PuB(bl)IZZ<strong>it</strong>à<br />

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Capo Horn 15 - settembre 2010 55

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