20.05.2013 Views

Appunti Diritto Pubblico - lucio.brignoli@padania

Appunti Diritto Pubblico - lucio.brignoli@padania

Appunti Diritto Pubblico - lucio.brignoli@padania

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

APPUNTI DI ISTITUZIONI DI DIRITTO PUBBLICO<br />

Bin / Petruzzella, anno 2004<br />

Università degli Studi di Milano<br />

Facoltà di Scienze Politiche<br />

Corso di Scienze dell’Amministrazione


1. Oggetto e funzione del diritto pubblico<br />

La distinzione tra i vari diritti (ex. pubblico e privato) non si basa sulla fonte della "normativa" (ex. in<br />

entrambi i casi lo Stato) ma sull'oggetto cui il diritto viene applicato.<br />

Quindi DIRITTO PUBBLICO tratta, oltre che dell'organizzazione dei pubblici poteri, dei rapporti tra l'autorità<br />

pubblica ed i privati. Invece il DIRITTO PRIVATO tratta dei rapporti tra soggetti privati posti in posizione di<br />

parità tra loro.<br />

<strong>Diritto</strong> <strong>Pubblico</strong>:<br />

• diritto costituzionale;<br />

• diritto amministrativo;<br />

• diritto ecclesiastico;<br />

• diritto tributario<br />

• diritto penale;<br />

<strong>Diritto</strong> Privato:<br />

• diritto civile;<br />

• diritto commerciale;<br />

• diritto del lavoro;<br />

• diritto industriale;<br />

• diritto di famiglia;<br />

L'insegnamento del diritto pubblico è costituito dai principi del diritto costituzionale e amministrativo:<br />

• organizzazione costituzionale;<br />

• organizzazione della PA;<br />

• fonti del diritto;<br />

• provvedimenti amministrativi;<br />

• libertà e diritti costituzionali<br />

• organizzazione della giustizia (giustizia costituzionale);


2. Lo Stato: politica e diritto<br />

Il potere politico è quella specie di potere sociale che si basa sulla possibilità di ricorrere in ultima istanza alla<br />

forza legittima per imporre la propria volontà.<br />

Il potere sociale è la capacità di influenzare il comportamento di altri individui.<br />

A seconda del tipo di mezzo sono stati distinti tre tipi di potere sociale:<br />

• potere economico (ex. capitale);<br />

• potere ideologico (ex. sacerdoti);<br />

• potere politico (che usa la forza per affermarsi);<br />

Non sempre nella società si è avuta la concentrazione della forza in un unico potere e non sempre nella<br />

storia questi poteri sono stati distinti tra loro (e neppure oggi lo sono!).<br />

2.1. Legittimazione<br />

Il potere politico si basa non solamente sulla forza (ultima istanza), ma ha anche un principio di<br />

giustificazione. Secondo Weber tre sono i tipi di potere legittimo:<br />

a) il potere tradizionale (sacralità);<br />

b) potere carismatico (leader);<br />

c) potere legale-razionale (diritto);<br />

Quindi anche il potere politico (in Europa e America a partire dalle Rivoluzioni Amercana -1787- e Francese -<br />

1789) non agisce libero da vincoli giuridici, ma è esso stesso sottoposto al diritto a tutela delle libertà dei<br />

cittadini contro gli abusi di chi detiene il potere (costituzionalismo).<br />

Il principio di legalità, la separazione dei poteri, le diverse libertà costituzionali sono i principali mezzi giuridici<br />

attraverso cui si è affermato il costituzionalismo.<br />

La legittimazione legale-razionale è oggi superata dalla legittimazione per consenso conseguente la<br />

democratizzazione degli Stati operata -in larga scala- a partire dal XX secolo.<br />

La costituzione "democratica" si caratterizza per:<br />

• la rigidità;<br />

• la giustizia costituzionale;<br />

• i diritti sociali;<br />

• i referendum;<br />

• la regolamentazione dei mercati;<br />

• l'indipendenza del giudiziario;<br />

La più recente evoluzione porta il diritto costituzionale ad adeguarsi contemporaneamente alla dimensione<br />

sovra-nazionale dell'economia e al ruolo determinante degli enti locali (Regioni e Comuni) nello svolgimento<br />

di fondamentali compiti dello Stato.<br />

2.2. Lo Stato<br />

Stato è il nome dato ad una particolare forma storica di organizzazione del potere politico, che esercita il<br />

monopolio della forza legittima in un determinato territorio e si avvale di un apparato amministrativo.<br />

Lo stato moderno nasce in Europa tra il XV e il XVII secolo e si differenzia dalle precedenti forme di<br />

organizzazione del potere politico per la presenza di due caratteristiche: a) una concentrazione del potere di


comando legittimo nell'ambito di un determinato territorio in capo ad un'unica istanza; b) la presenza di<br />

un'organizzazione amministrativa in cui opera una burocrazia professionale.<br />

La parola "stato" compare con il significato politico moderno per la prima volta nel Principe di Macchiavelli<br />

nel 1513.<br />

2.2.1. La nascita dello Stato moderno<br />

La spinta alla concentrazione del potere politico nello Stato è nata come reazione alla dispersione del potere<br />

tipica del sistema feudale.<br />

La base del sistema feudale era costituita dal rapporto vassallo/signore. I rapporti di potere erano di<br />

carattere personale e privato e c'era coincidenza tra la proprietà privatistica del feudo e il potere di comando<br />

sugli individui che a quel feudo erano collegati.<br />

Il rapporto poteva ripetersi e stratificarsi su svariati livelli. Verticisticamente comunque si aveva una sorta di<br />

"sopra-signore" che si fregiava del titolo di rex, princeps o dux e che rivendicava a sé poteri di comando più<br />

ampi rispetto al "contratto feudale" relativamente a un territorio determinato e non a fondi realmente di<br />

"proprietà".<br />

La società non era composta da individui ma da comunità minori tra loro combinate: la famiglia, il clan, le<br />

corporazioni, le sette o confessioni ecc…ecc...<br />

Non esisteva un diritto univoco ma una molteplicità di sistemi giuridici che a volte si sovrapponevano fra<br />

loro.<br />

Nello stesso contesto le comunità principali (i ceti o ordini) operavano come custodi delle consuetudini o<br />

leggi tradizionali attraverso i parlamenti o stati generali medievali. Il consenso di queste assemblee era<br />

vincolante per autorizzare l'imposizione tributaria.<br />

Tra gli elementi che contribuirono a modificare questo sistema sicuramente trovano spazio le guerre di<br />

religione che si verificarono in Europa. A due secoli di guerre e di povertà, l'organizzazione sociale rispose<br />

con l'affermazione dello Stato moderno, con la concentrazione della forza legittima e quindi con l'ordine<br />

sociale.<br />

2.2.2. Sovranità<br />

Lo Stato moderno si caratterizza per la sovranità, ovvero per disporre di un apparato centralizzato che ha il<br />

monopolio della forza legittima in un determinato territorio.<br />

La sovranità può essere vista con due chiavi di lettura:<br />

1) supremo potere di comando che non trova eguali nell'ambito del determinato territorio proprio dello<br />

Stato;<br />

2) indipendenza da altri Stati;<br />

Stabilito il concetto e la funzione di sovranità, diventa necessario individuare chi, nell'ambito dello Stato, ne<br />

sia depositario:<br />

a) lo Stato come persona giuridica;<br />

b) la nazione;<br />

c) il popolo;<br />

Su queste tre grandi correnti ideologiche si è diviso per secoli il pensiero politico occidentale:<br />

a) Stato. Geber, Orlando. In grado di aumentare il valore dell'unità nazionale dando carattere di<br />

oggettività allo Stato, pone lo Stato come punto di mediazione tra il re e il popolo;<br />

b) Nazione. Rivoluzione Francese, Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino: "la sovranità<br />

popolare appartiene alla Nazione da cui emanano tutti i poteri". Presupponeva l'eliminazione dei ceti


e degli ordini nella società, immaginando il corpo sociale come unico e indistinto in grado di<br />

esprimere una volontà sola più forte e più "vera" di quella del re.<br />

c) Sovranità popolare. Rosseau. Volontà generale del popolo sovrano inteso come insieme dei cittadini<br />

riuniti in un Ente collettivo. Supera il concetto di rappresentanza.<br />

Fino a questo punto dell'evoluzione dello Stato moderno non si arriva a teorizzare un limite superiore alla<br />

sovranità, una legge fondamentale capace di vincolare il potere sovrano.<br />

2.2.3. La sovranità si evolve<br />

Con il secondo dopoguerra si è avuta una generale affermazione del principio della sovranità popolare.<br />

La vigente costituzione afferma che: "la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti<br />

della Costituzione" - art. 1, comma 2.<br />

Ma diversamente da quanto previsto da Rosseau la sovranità generalmente non viene esercitata<br />

direttamente, ma attraverso il sistema rappresentativo. Inoltre la sovranità popolare non è intesa in termini<br />

assoluti, ma inserita nei limiti di una costituzione rigida. Allo scopo di garantire la salvaguardia e il rispetto<br />

del dettame costituzionale viene istituito un livello giuridico nuovo con la Corte Costituzionale.<br />

Questa sarebbe la risposta dell'organizzazione statuale all'evoluzione pluralistica della politica e della società.<br />

Infatti il sistema dei limiti e dei principi fornisce garanzie alle minoranze e stabilisce dei diritti fondamentali, o<br />

inalienabili, o minimi.<br />

Le forme costituzionali evolvono oltre nel bilanciamento dei vari poteri tra loro fino a prevedere che la Corte<br />

Costituzionale non diventi arbitro politico di dispute politiche. Queste forme costituzionali si dicono bilanciate<br />

oppure si dice costituzionalismo dei contrappesi.<br />

2.2.4. Sovranità e organizzazione internazionale<br />

Tradizionalmente la sovranità "esterna" non riconosce limiti se non quelli derivanti da Trattati (contratti fra<br />

Stati). Questa concezione trova il suo apogeo nella prima metà del Novecento e la sua fine con l'ultima<br />

guerra mondiale.<br />

Anche "esternamente" quindi la tendenza è quella di limitare la sovranità dello Stato. Il processo si è avviato<br />

con la firma del trattato istitutivo dell'ONU nel 1945, con la finalità del mantenimento della pace e della<br />

sicurezza internazionale, e poi con la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo approvata nel 1948. Anche<br />

se lo stesso trattato istitutivo dell'ONU fonda l'organizzazione sulla sovrana eguaglianza di tutti i suoi<br />

membri, escludendo quindi l'ingerenza nelle questioni interne de singolo Stato.<br />

Maggiore la limitazione per la sovranità dello Stato per quanto riguarda la creazione delle organizzazioni<br />

sovra-nazionali europee.<br />

2.2.5. Territorio<br />

La sovranità è esercitata dallo Stato in un determinato territorio. La precisa delimitazione del territorio è<br />

condizione essenziale per garantire allo Stato l'esercizio della sovranità e per assicurare l'indipendenza<br />

reciproca degli Stati.<br />

Secondo le regole del diritto internazionale il territorio di uno Stato è costituito da:<br />

• terraferma;<br />

• mare continentale;<br />

• piattaforma continentale;<br />

• spazio atmosferico sovrastante;


• acque interne<br />

• navi e aeromobili battenti bandiera quando si trovino in aree internazionali;<br />

• sedi diplomatiche;<br />

Terraferma: è la porzione di territorio delimitata dai confini sulla base di trattati internazionali.<br />

Mare continentale: è la fascia di mare costiero interamente sottoposta alla sovranità dello Stato. Secondo la<br />

convenzione internazionale di Montego Bay (Giamaica) del 1982 il mare territoriale termina a 12 miglia<br />

marine dalla costa. L'italia recepisce questa regola all'art. 2 del codice della navigazione.<br />

Piattaforma continentale: è costituita dal cosiddetto zoccolo continentale, e cioè quella parte del fondo<br />

marino di profondità costante che circonda le terre emerse. La regola ormai generalmente accettata è che gli<br />

Stati possano riservare a sé l'utilizzazione esclusiva delle risorse naturali estraibili dalla piattaforma, purché<br />

sia garantita la libertà delle acque.<br />

2.2.6. Cittadinanza<br />

La cittadinanza è uno status a cui la Costituzione riconnette una serie di diritti e di doveri. Essa è condizione<br />

per l'esercizio dei diritti connessi alla titolarità della sovranità (diritti politici), ma è anche il fondamento di<br />

alcuni doveri costituzionali.<br />

La Costituzione italiana stabilisce che nessuno possa essere privato della cittadinanza per motivi politici (art.<br />

22).<br />

La cittadinanza può essere acquisita o perduta secondo quanto previsto dalla legge 91/02:<br />

a) ius sanguinis: acquista cittadinanza il figlio, anche adottivo, di almeno un genitore con cittadinanza;<br />

b) ius soli: acquista cittadinanza colui che è nato in italia da genitori apolidi o ignoti, oppure che non<br />

possa vedersi riconoscere lo ius sanguinis dalle leggi dello Stato cui essi appartengono;<br />

c) su richiesta dell'interessato;<br />

I casi previsti per il punto c) sono:<br />

1) dal coniuge di un cittadino italiano dopo 3 anni di matrimonio o almeno 6 mesi di permanenza nel<br />

territorio;<br />

2) dallo straniero che possa vantare un ascendente in linea retta di secondo grado che sia cittadino<br />

italiano per nascita;<br />

3) dallo straniero con maggiore età, adottato da cittadino italiano e residente nel territorio nazionale da<br />

almeno 5 anni all'adozione;<br />

4) dallo straniero che abbia prestato servizio alle dipendenze dello Stato per almeno cinque anni;<br />

5) dal cittadino di uno degli Stati membri della CE, dopo almeno 4 anni di residenza nel territorio;<br />

6) dall'apolide dopo almeno 5 anni di residenza;<br />

7) dallo straniero dopo almeno 10 anni di regolare residenza in italia;<br />

2.2.7. Cittadinanza UE<br />

Il Trattato sull'Unione Europea del 1992 (Maastricht) ha introdotto l'istituto della cittadinanza dell'Unione.<br />

Presupposto per la cittadinanza dell'Unione è la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza<br />

dell'Unione "completa la cittadinanza nazionale e non la sostituisce".<br />

Tra i diritti garantiti a livello comunitario dalla cittadinanza dell'Unione troviamo:<br />

a) "il diritto di circolare liberamente ne territorio degli Stati membri [...]";<br />

b) "tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro [...]";<br />

c) diritto di petizione al Parlamento europeo e il diritto di rivolgersi al mediatore europeo;<br />

d) diritto di elettorato passivo ed attivo alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiede e alle<br />

elezioni del parlamento europeo nello Stato membro in cui risiede.


Il diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni comunali è garantiro ai cittadini comunitari secondo<br />

quanto previsto dal decreto lgs 197/1996 tramite l'iscrizione in apposite liste elettorali. L'elettorato passivo è<br />

limitato alle cariche di consigliere comunale e assessore, con l'esclusione quindi della carica di Sindaco e di<br />

Vice-Sindaco.<br />

2.2.8.1. Lo Stato apparato: apparato burocratico<br />

Lo Stato si differenzia da altre organizzazioni politiche che pure hanno realizzato il monopolio della forza<br />

legittima in un determinato territorio (es. Comuni storici) per la presenza di un apparato organizzativo servito<br />

da una burocrazia professionale.<br />

L'organizzazione è stabile nel tempo ed ha carattere impersonale perché esiste e funziona sulla base di<br />

regole prestabilite.<br />

Il funzionamento dell'apparato presuppone la presenza di una burocrazia professionale formata da soggetti<br />

che "per vivere" prestano la loro opera professionale a favore dello Stato eseguendo compiti amministrativi<br />

nel rispetto di regole tecniche.<br />

Le origini di questa burocrazia professionale si collocano nel secolo XVI nei principali paesi europei:<br />

Inghilterra, Francia, Spagna e Austria.<br />

Le burocrazie sono nate per soddisfare esigenze scaturite dalle lotte della corona contro le baronie locali:<br />

1) creare corpi militari più forti di qualsiasi altro potere interno;<br />

2) rendere disponibili attraverso l'imposizione tributaria ingenti risorse con cui mantenere gli eserciti.<br />

L'apparato statale civile e militare dello Stato assoluto era alle dipendenze della corona, che concentrava la<br />

titolarità delle funzioni pubbliche, mentre nello Stato liberale si trova alle dipendenze degli organi di poteri<br />

posti al vertice.<br />

2.2.8.2. Lo Stato apparato: persona giuridica<br />

Per inquadrare giuridicamente la realtà dell'apparato statale, la dottrina giuridica tedesca del secolo scorso<br />

impiegò la nozione di personalità giuridica.<br />

Ciascun ordinamento giuridico individua con norme specifiche le proprie figure soggettive, attribuendo loro la<br />

capacità di agire in modo giuridicamente rilevante e di costruire centri di imputazione di effetti giuridici.<br />

Quindi oltre alle persone fisiche, l'ordinamento giuridico può attribuire la soggettività giuridica a entità<br />

materiali.<br />

Obiettivo di questa costruzione giuridica era quello di garantire impersonalità e obiettività alla volontà dello<br />

Stato. Questa mentalità non è presente in Gran Bretagna, dove non si intende una volontà unica per lo<br />

Stato, ma le singole volontà dei suoi organismi.<br />

Anche oggi spesso si dice che lo Stato ha personalità giuridica, ma si tratta di un'affermazione falsa.<br />

Giuridicamente, lo Stato non agisce mai unitariamente, ma attraverso singoli e specifici enti, organismi o<br />

apparati. Pure la responsabilità civile non riguarda l'intero Stato, ma un suo determinato organo.<br />

Quindi la descrizione più corretta di Stato può essere:<br />

• "organizzazione disaggregata", cioè "un congiunto organizzato di amministrazioni diverse".<br />

2.2.8.3. Lo Stato apparato: enti pubblici<br />

Lo Stato non esaurisce il mondo dei "pubblici poteri". Accanto ad esso esistono numerosi e diversi enti<br />

pubblici come le Regioni, le Province e i Comuni, tutti dotati di personalità giuridica.


In termini generali, gli ENTI PUBBLICI posso essere definiti:<br />

• "come quegli apparati costituiti dalle comunità per il perseguimento dei propri fini, i quali sono<br />

riconosciuti come persone giuridiche o comunque come soggetti giuridici”.<br />

Gli enti pubblici, a differenza dei soggetti di natura privatistica, sono istituiti per il soddisfacimento di<br />

interessi ritenuti comuni ad una determinata comunità (INTERESSI PUBBLICI), e non per particolari interessi<br />

leciti.<br />

Nel modello ottocentesco c'era una visione unitaria dell'interesse pubblico e gli enti pubblici erano considerati<br />

satelliti dello Stato medesimo, e cioè degli strumenti per realizzare l'interesse pubblico statale.<br />

Oggi invece l'affermazione della democrazia pluralista ha modificato notevolmente il quadro. Infatti il<br />

pluralismo ha comportato che numerosi interessi assurgessero a interessi pubblici e come tali venissero<br />

affidati alla cura di un apparato statale o di un ente pubblico specifico.<br />

Si è venuta a creare quindi una moltitudine di interessi pubblici spesso tra loro in conflitto, per cui oggi si<br />

parla di eterogeneità degli interessi pubblici.<br />

Inoltre ad alcuni enti rappresentativi delle collettività territoriali (Regioni, Province, Comuni) viene<br />

riconosciuta autonomia politica. Succede così che i loro organi vengono eletti direttamente dai cittadini e<br />

possono esprimere maggioranze e indirizzi diversi da quelli dello Stato.<br />

2.2.8.4. Lo Stato apparato: potestà pubblica<br />

Lo Stato e gli enti pubblici sono collocati dalle norme giuridiche in una posizione di supremazia rispetto ai<br />

soggetti privati. Per tale ragione gli effetti giuridici degli atti da essi compiuti, ed in primo luogo l'obbligo di<br />

osservarli, derivano esclusivamente dalla loro manifestazione di volontà, essendo irrilevante il consenso o il<br />

dissenso dell'interessato.<br />

Questo potere di determinare unilateralmente effetti giuridici nella sfera dei destinatari dell'atto,<br />

indipendentemente dal loro consenso, prende il nome di POTESTA' PUBBLICA o di POTERE DI IMPERIO.<br />

Le potestà pubbliche però, a partire dallo Stato di diritto, devono essere attribuite dalla legge e devono<br />

essere esercitate in modo conforme al modello legale. Al di fuori di quanto previsto espressamente dalla<br />

legge, un'autorità pubblica non può esercitare alcuna potestà.<br />

Diversa è la posizione dei soggetti privati che sono collocati su un piano di parità giuridica e possono<br />

provvedere da sé e liberamente a disciplinare i propri rapporti, nel rispetto dei limiti stabiliti dalla legge.<br />

2.2.8.5. Lo Stato apparato: uffici e organi<br />

La burocrazia opera secondo un particolare disegno organizzativo che prefigura lo svolgimento di determinati<br />

servizi, a ciascuno dei quali è preposta una o più persone, e che ha una sua assegnazione di beni strumentali<br />

e di risorse finanziarie.<br />

L'unità strutturale elementare dell'organizzazione si chiama ufficio.<br />

Naturalmente ciascun apparato per adempiere i suoi compiti deve poter instaurare rapporti giuridici con altri<br />

soggetti. A tal fine l'apparato deve servirsi di una particolare categoria di uffici che prendono il nome di<br />

organi:<br />

• "l'organo è l'ufficio particolarmente qualificato da una norma come idoneo ad esprimere la volontà<br />

della persona giuridica e ad imputarle l'atto e i relativi effetti. La persona giuridica può avere<br />

parecchi uffici: solo alcuni hanno l'attitudine (giuridica) a compiere atti giuridici (cioè a manifestare<br />

la volontà dell'ente all'esterno). Questi ultimi sono organi, gli altri sono uffici puramente e<br />

semplicemente.


Degli organi si usano molte classificazioni:<br />

1) organi rappresentativi, i cui titolari sono eletti direttamente dal corpo elettorale o che comunque<br />

sono istituzionalmente collegati ad organi elettivi;<br />

2) organi burocratici, cui sono preposte persone che professionalmente prestano la loro attività in<br />

modo pressoché esclusivo a favore dello Stato o di altri enti pubblici, senza alcun rapporto con il<br />

corpo elettorale;<br />

3) organi attivi, decidono per l'apparato di cui sono parte;<br />

4) organi consultivi, danno pareri agli organi attivi;<br />

5) organi di controllo, devono verificare la conformità alla norme (legittimità) o l'opportunità (merito) di<br />

atti compiuti da altri organi.<br />

I pareri espressi da organi consultivi possono essere di 3 tipi:<br />

a) parere facoltativo, se l'organo deliberativo ha la facoltà di richiederlo ma non l'obbligo;<br />

b) parere obbligatorio, qualora essi debbano essere obbligatoriamente richiesti;<br />

c) parere vincolante, che devono essere obbligatoriamente seguiti dall'organo che decide;<br />

2.2.8.5. Lo Stato apparato: uffici e organi<br />

La figura degli ORGANI COSTITUZIONALI è stata elaborata dalla dottrina per indicare gli organi dotati delle<br />

seguenti caratteristiche:<br />

1) necessari dello Stato;<br />

2) indefettibili dello Stato (modificandone la natura si modifica la stessa dello Stato);<br />

3) strutturati alla base secondo il dettame Costituzionale;<br />

4) in condizione di parità giuridica con gli altri organi costituzionali;<br />

Quindi si può affermare che:<br />

• "gli organi costituzionali si differenziano dagli altri non soltanto per una diversità di funzioni, ma<br />

soprattutto per una differenza di posizione, poiché solo essi individuano lo Stato in un determinato<br />

momento storico".


3. Forme di Stato<br />

3.1. Forma di Stato e forma di governo<br />

Con l'espressione FORMA DI STATO si intende:<br />

• "il rapporto che corre tra le autorità dotate di potestà di imperio e la società civile, nonché l'insieme<br />

dei principi e dei valori a cui lo Stato ispira la sua azione".<br />

Invece con l'espressione FORMA DI GOVERNO si intendono:<br />

• "i modi in cui il potere è distribuito tra gli organi principali di uno Stato-apparato e l'insieme dei<br />

rapporti che intercorrono tra essi".<br />

3.2.1. Evoluzione delle forme di Stato: Stato assoluto<br />

Lo STATO ASSOLUTO è la prima forma dello STATO MODERNO.<br />

Nacque in Europa tra il 1400 e il 1500 e si affermò nei due secoli successivi.<br />

Si caratterizzava per l'esistenza di un potere sovrano attribuito interamente al RE, o meglio alla CORONA,<br />

che si distingue dal primo perché non era una persona fisica ma un organo dello Stato.<br />

Nello STATO ASSOLUTO il potere sovrano era concentrato nelle mani della CORONA che perciò era titolare<br />

sia della funzione legislativa che di quella esecutiva, mentre il potere giudiziario era esercitato da Corti e<br />

Tribunali formati da giudici nominati dal RE.<br />

La VOLONTA' DEL RE era la fonte primaria del diritto ed aveva quindi efficacia di legge: "quod principi<br />

placuit legis habet vigorem". Il suo potere assoluto non incontrava limiti legali (era quindi "legibus solutus")<br />

e non poteva essere condizionato dai sudditi. Ciò perché il potere regio non derivava da scelte umane, ma<br />

era ritenuto di origine divina.<br />

L'ASSOLUTISMO regio si affermò pienamente in quei paesi dove riuscì a limitare drasticamente il peso delle<br />

corporazioni e della nobiltà feudale. In alcuni paesi si affermò l'assolutismo illuminato, secondo cui il compito<br />

del Sovrano era quello di promuovere il benessere della popolazione. Al riguardo si parla anche di STATO DI<br />

POLIZIA per intendere uno Stato caratterizzato dalla finalità di accrescere il benessere della popolazione e<br />

che, spinto da tale finalità, si incaricava di avviare, dirigere e regolare molte attività sociali.<br />

Pertanto lo STATO ASSOLUTO era uno Stato onnipresente, anche nella sfera economica. L'economia statale<br />

era detta di MERCANTILISMO e si basava sull'idea per cui la grandezza del RE dipendeva dalla prosperità<br />

economica dello Stato che pertanto doveva promuovere le industrie per produrre beni da vendere all'estero<br />

e sottrarre risorse ad altri paesi. Lo Stato istituì manifatture e monopoli e sviluppò un efficace sistema<br />

tributario.<br />

3.2.2. Evoluzione delle forme di Stato: nascita dello Stato liberale<br />

Lo STATO LIBERALE è una forma di stato che nasce tra la fine del settecento e la prima metà dell'ottocento,<br />

in seguito alla crisi dello Stato assoluto, dello sviluppo del modo di produzione capitalistico e<br />

dell'affermazione della borghesia.<br />

I CARATTERI STRUTTURALI che definiscono la forma dello STATO LIBERALE sono:<br />

1) la base sociale ristretta ad un'unica classe;<br />

2) il principio di libertà;<br />

3) il principio di rappresentatività;<br />

4) lo STATO DI DIRITTO;


Documenti fondamentali nella costituzione dello STATO DI DIRITTO furono:<br />

a) Francia: Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (1789);<br />

b) Inghilterra: Declaration of Rights e Bill of Rights (1689);<br />

c) Stati Uniti: Dichiarazione di Indipendenza (1776);<br />

3.2.3. Evoluzione delle forme di Stato: Stato liberale ed economia di<br />

mercato<br />

Un importante fattore che ha promosso l'organizzazione del potere politico tipica dello Stato liberale è stato<br />

l'avvento di un'economia di mercato connessa ad un modo di produzione capitalistico.<br />

L'ECONOMIA DI MERCATO si basa sul libero incontro tra domanda ed offerta di un determinato bene.<br />

Questo tipo di economia è basata sul massimo decentramento visto che l'equilibrio generale del mercato è la<br />

risultante di un enorme numero di contratti conclusi tra singoli individui.<br />

Lo Stato assoluto creava ostacoli alla nuova economia, per esempio, con il particolarismo giuridico. La nuova<br />

economia aveva bisogno di:<br />

1) certezza dei diritti di proprietà;<br />

2) piena libertà contrattuale;<br />

3) uguaglianza formale dei contraenti;<br />

4) abolizione dei privilegi, dei monopoli pubblici e di tutte le restrizioni sulla circolazione delle merci;<br />

5) la prevedibilità degli effetti giuridici.<br />

Pertanto le nuove modalità di produzione della ricchezza e l'esigenza di garanzia della libertà contro le<br />

tentazioni assolutistiche condussero all'affermazione di una società civile distinta e separata dallo Stato. Lo<br />

Stato assoluto rendeva la società oggetto di gestione politica, invece lo STATO LIBERALE doveva riconoscere<br />

e garantire la capacità della società civile di autoregolarsi e di sviluppare autonomamente i propri interessi.<br />

In questa prospettiva si può cogliere il collegamento tra due tendenze giuridiche tipiche dello STATO<br />

LIBERALE: le codificazioni costituzionali e le CODIFICAZIONI CIVILI. Quest'ultime esemplificative dalla<br />

tendenza a racchiudere in un unico codice civile le regole sui rapporti tra privati, in modo tale da formare un<br />

corpo sistematico e coerente di REGOLE GENERALI, ASTRATTE e CERTE. Il modello di questo nuovo modo<br />

di legiferare era il Codice Napoleonico del 1805.<br />

3.2.4. Evoluzione delle forme di Stato: i caratteri dello Stato liberale<br />

Il modello "STATO LIBERALE" è caratterizzato dai seguenti tratti essenziali:<br />

1) finalità politico costituzionale GARANTISTICA. Lo Stato è considerato uno strumento per la tutela<br />

delle libertà e dei diritti degli individui;<br />

2) concezione dello STATO MINIMO. Uno Stato che si astiene dall'intervenire nella sfera economica;<br />

3) principio di LIBERTA' INDIVIDUALE. Lo Stato riconosce e tutela la libertà personale, la proprietà<br />

privata, la libertà contrattuale, la libertà di pensiero e di stampa, la libertà religiosa e la libertà di<br />

domicilio; ma si tratta solo di libertà individuali. Quindi lo Stato liberale esclude qualunque<br />

diaframma tra sé e i singoli cittadini, definendo un sistema giuridico che presuppone una società<br />

formata da individui eguali di fronte alla legge.<br />

4) separazione dei poteri. Lo Stato liberale affida la tutela dei diritti individuali ad una peculiare tecnica<br />

di organizzazione: la separazione dei poteri per cui il potere politico viene suddiviso in soggetti<br />

istituzionali diversi e che si controllano reciprocamente;<br />

5) principio di legalità. La tutela dei DIRITTI è affidata alla LEGGE. La sua caratterizzazione come<br />

STATO DI DIRITTO significa che ogni limitazione della sfera di libertà riconosciuta a ciascun<br />

individuo deve avvenire per mezzo della legge. Questa funzione garantistica della legge si basa su<br />

due premesse:<br />

a) la legge abbia i caratteri della generalità e dell'astrattezza;


) la legge sia formata dai rappresentanti della Nazione ai cui membri si applica (principio<br />

rappresentativo).<br />

c) le assemblee legislative dello Stato liberale rappresentano l'intera "nazione" o l'intero<br />

"popolo".<br />

3.2.5. Evoluzione delle forme di Stato: nascita dello Stato di democrazia<br />

Lo Stato di democrazia pluralista si afferma a seguito di un lungo processo di trasformazione dello Stato<br />

liberale che porta all'allargamento della sua base sociale, per cui lo STATO MONOCLASSE si trasforma in<br />

STATO PLURICLASSE.<br />

Esso si fonda sul riconoscimento e la garanzia delle pluralità dei gruppi, degli interessi, delle idee, dei valori<br />

che possono confrontarsi nella società ed esprimere la loro voce nei Parlamenti.<br />

Nel passaggio dallo Stato liberale a quello di democrazia pluralista l'ampliamento "quantitativo" della base<br />

elettorale provoca anche una profonda trasformazione "qualitativa". 3 principali trasformazioni hanno<br />

determinato il modo di essere dello Stato di democrazia pluralista:<br />

1) l'affermazione dei partiti di massa, che organizzano la partecipazione politica di milioni di elettori;<br />

2) la configurazione degli organi elettivi come luogo di confronto e di scontro di interessi eterogenei;<br />

3) il riconoscimento di diritti sociali come strumenti di integrazione nello Stato di gruppi sociali più<br />

svantaggiati;<br />

3.3.1. Stato di democrazia pluralista: i partiti politici di massa<br />

I PARTITI nello stato liberale erano ristretti gruppi di persone, legati da grande omogeneità economica e<br />

culturale. Agivano principalmente dentro il Parlamento. In regime di suffragio limitato, tipico dell'età liberale,<br />

per essere eletti erano sufficienti i voti di poche centinaia di elettori, che spesso conoscevano personalmente<br />

il candidato.<br />

L'estensione del diritto di voto ha richiesto che venisse organizzata la partecipazione politica di milioni di<br />

elettori, portando a conoscenza di questi ultimi i candidati ed i loro programmi.<br />

Con l'introduzione del suffragio universale perciò sono nati e si sono affermati i moderni PARTITI DI MASSA,<br />

caratterizzati da una solida struttura organizzativa che ha consentito loro di essere radicati nella società e di<br />

diventare strumenti di mobilitazione popolare e di integrazione delle masse nelle istituzioni politiche. I partiti<br />

di massa danno vita ad una BUROCRAZIA di PARTITO. Nell'ambito dell'organizzazione interna di partito si<br />

realizza prevalentemente la selezione della classe politica, dando luogo a quella che è stata definita la<br />

"parlamentarizzazione dei dirigenti di partito".<br />

C'è un altro fenomeno che ha condotto all'affermazione dei partiti di massa: il conflitto sociale. I partiti ed i<br />

sindacati sono diventati organizzazioni di lotta per il miglioramento delle condizioni di vita delle classi<br />

economicamente più deboli.<br />

Con lo Stato di democrazia pluralista i partiti politici diventano capaci di controllare e dirigere l'azione del<br />

Parlamento e del Governo.<br />

3.3.2. Stato di democrazia pluralista: alternative allo Stato di democrazia<br />

nel XX secolo<br />

Nei paesi in cui l'avvento della DEMOCRAZIA DI MASSA non si era accompagnato alla diffusa accettazione<br />

dei valori del pluralismo e della tolleranza da parte delle forze politiche, la crisi di queste ultime sfociò<br />

nell'affermazione di forme statuali basate sulla negazione del pluralismo e sull'identificazione del PARTITO<br />

UNICO con lo Stato (STATO TOTALITARIO).


Lo Stato assumeva l'attributo della totalitarietà - nel senso che la collettività si integrava in modo totale nello<br />

Stato - e quindi pertanto poteva occuparsi di tutti gli aspetti della vita sociale ed individuale, anche grazie<br />

alla soppressione delle tradizionali libertà liberali.<br />

Un'altra alternativa alla democrazia pluralista che ha conosciuto il '900 è stata rappresentata dallo STATO<br />

SOCIALISTA (ex URSS). Questa forma trova origine nella DITTATURA DEL PROLETARIATO, con la quale si<br />

sarebbe dovuto eliminare la classe antagonista al proletariato, cioè la borghesia, in vista dell'annullamento<br />

del potere statale nella società senza classi né conflitti sociali.<br />

3.3.3. Stato di democrazia pluralista: affermazione dello Stato sociale<br />

I principi dello Stato di democrazia pluralista hanno trovato conferma al termine del secondo conflitto<br />

mondiale in tutte le aree di influenza politica e culturale delle potenze alleate diverse dall'URSS.<br />

Questa fase costituzionale vede garantite dal diritto, insieme alle libertà liberali - ovvero le tradizionali libertà<br />

negative -, anche le diverse manifestazioni del pluralismo politico, sociale, religioso, culturale ed in<br />

particolare riconosce il ruolo costituzionale dei partiti politici.<br />

Storicamente gli Stati di democrazia pluralista sono sorti in contesti sociali e politici caratterizzati dalla LOTTA<br />

DI CLASSE, cui hanno cercato di dare uno sbocco pacifico attraverso un compromesso politico che sta alla<br />

base delle loro Costituzioni e delle loro politiche.<br />

Il problema principale quindi è stato quello di "tenere insieme la società" (COESIONE SOCIALE) formata da<br />

classi sociali e individui cui il mercato e la nascita attribuiscono posizioni economiche molto differenti.<br />

Da tutto ciò è derivato un ruolo dello Stato che è profondamente diverso da quello tipico dello Stato liberale,<br />

e che ha fatto parlare di STATO SOCIALE o di STATO DEL BENESSERE o di WELFARE STATE. In questo<br />

modo lo Stato supera l'individualismo liberale e sviluppa forme di SOLIDARIETA' tra gli individui e i gruppi<br />

sociali.<br />

Pertanto lo Stato di democrazia pluralista ha visto, sia pure con intensità diversa da Paese a Paese, lo<br />

sviluppo di forme variegate di intervento pubblico nell'economia e nella società, che danno luogo ad un<br />

sistema ad ECONOMIA MISTA.<br />

Le diverse forme dell'interventismo statale che sono prevalse nel periodo di massimo successo dello Stato<br />

sociale (1950-1980) possono essere ricondotte ora al governo del ciclo economico (POLITICHE DI TIPO<br />

KEYNESIANO) ora all'intento di ridurre le disuguaglianza di reddito tra individui e tra gruppi (POLITICHE DI<br />

TIPO REGOLATIVO o POLITICHE DI TIPO REDISTRIBUTIVO).<br />

3.3.4. Stato di democrazia pluralista: omogeneità e differenze<br />

Nelle seconda metà del '900 l'area occidentale dell'Europa, Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia,<br />

Nuova Zelanda, Giappone e Israele formano un complesso di ordinamenti costituzionali ispirati a principi<br />

sostanzialmente uniformi, tipici delle così dette DEMOCRAZIE OCCIDENTALI.<br />

La sufficiente omogeneità di questi ordinamenti consente di elaborare il modello "STATO DI DEMOCRAZIA<br />

PLURALISTA"; tutto ciò non deve far sottovalutare come tra gli Stati riconducibili al modello permangono<br />

alcune differenze.<br />

Una delle più significative di tali differenze è quella relativa al ruolo ed ai caratteri dei PARTITI POLITICI.<br />

Infatti mentre in Europa l'esperienza politica e costituzionale è rimasta contrassegnata dal fondamentale<br />

ruolo dei partiti politici di massa, gli Stati Uniti hanno conosciuto un modello diverso di partito, senza una<br />

complessa organizzazione e senza una classe dirigente di professionisti. Il ruolo del partito statunitense<br />

(sostanzialmente sono due) è quello di dare al candidato una macchina elettorale. Il ruolo pluralista del<br />

partito nello scenario politico americano è svolto dall'associazionismo e dalle lobby.


Un'altra importante differenza riguarda il grado di condivisione dei valori fondanti il tipo di Stato, quindi<br />

l'omogeneità o l'eterogeneità della cultura politica. In taluni paesi (tra cui l'italia) la società è divisa in settori<br />

sociali separati per ragioni etniche, linguistiche, religiose o ideologiche. Nei paesi "omogenei" il dibattito<br />

politico si incentra sulle modalità di ripartizione del reddito nazionale e comunque il regime economico, nei<br />

paesi "eterogenei" il conflitto è tra modelli alternativi di società e di regime politico. Parte di questa seconda<br />

categoria è venuta meno con la dissoluzione del blocco sovietico.<br />

Una terza notevole differenza riguarda le modalità di INTERVENTO DELLO STATO nell'economia e nella<br />

società. In alcuni Paesi si è verificata una, per così dire, "predominanza economica privatistica" mentre in<br />

altri, tra cui l'italia, una "predominanza economica pubblicistica". A partire dagli anni '90 questa differenza ha<br />

iniziato sostanzialmente a livellarsi nella direzione privatistica per il prevalere di un'economia di mercato<br />

concorrenziale.<br />

A seguito del crollo del modello socialista si è sviluppata un'ondata di democratizzazione con una<br />

conseguente diffusione di Costituzioni ispirate al modello di Stato di democrazia pluralista.<br />

3.3.5. Stato di democrazia pluralista: tra società post-classista e<br />

globalizzazione<br />

Lo Stato di democrazia pluralista ha dovuto affrontare alcune importanti cambiamenti nel corso degli ultimi<br />

due decenni:<br />

1) società post-classita;<br />

2) crisi fiscale;<br />

3) globalizzazione;<br />

4) integrazione europea.<br />

La crisi della divisione di classe ha creato una crisi dell'ideologia (soprattutto marxista) che ha diminuito<br />

fortemente la capacità dei partiti di dare ordine agli interessi ed alle domande particolaristiche attraverso una<br />

sintesi politica. Così che i singoli gruppi sociali tendono a riversare le domande sugli organi costituzionali -<br />

parlamenti - chiedendo provvedimenti favorevoli ai propri interessi. Tutte queste richieste, avendo un costo<br />

per lo Stato, hanno gravato sul bilancio dello stesso che si è quindi trovato nella condizione di cedere al<br />

potere di pressioni dei singoli gruppi.<br />

A partire dagli anni '70 si è parlato di crisi fiscale dello Stato per indicare la tendenza alla crescita della spesa<br />

pubblica, per coprire la quale la pressioni fiscale è cresciuta fino a livelli così elevati da portare alla ribellione<br />

i ceti più colpiti. Da questo è scaturita una prima spinta al riordino dello Stato sociale e dei suoi costi. Ben<br />

presto è arrivata un'altra spinta allo Stato in questa direzione: la globalizzazione.<br />

La globalizzazione ha determinato una serie di conseguenze nelle politiche dello Stato:<br />

1) mobilità delle imprese. Eccessiva pressione fiscale equivale a fuga di capitali;<br />

2) crisi della logica keynesiana. Il sostegno alla domanda interna finisce per beneficiare la produzione<br />

"esterna", senza sensibili effetti sull'occupazione e l'inflazione;<br />

3) flessibilità del lavoro. Minori vincoli legali nel rapporto di lavoro per compensare il GAP di<br />

competitività rispetto ai paesi dove il modello del welfare non è così avanzato.<br />

Inoltre nei paesi UE, con l'avvio dell'unione monetaria gli Stati hanno accettato una serie di vincoli alla<br />

propria politica economica che hanno imposto una sensibile riduzione della spesa pubblica.<br />

In questo scenario i diritti sociali diventano "diritti finanziariamente condizionati". L'esigenza quindi di<br />

maggior rigore finanziario conduce alla ricerca di forme di razionalizzazione e riordino dello Stato sociale e di<br />

nuove modalità di soddisfacimento dei diritti sociali che costino meno al bilancio statale. Si assiste così al<br />

tentativo di adeguare lo Stato alle esigenze della competitività internazionale, garantendo però almeno pari<br />

opportunità ai suoi cittadini, trasformandolo in STATO SOCIALE COMPETITIVO.<br />

Questo insieme di elementi dovrebbe portare lo Stato nella direzione del "principio di sussidiarietà":<br />

1) trasferimento della gestione di servizi agli enti locali che posso svolgere questi compiti con maggiore<br />

efficienza e controllo. SUSSIDIARIETA' VERTICALE;


2) attribuzione di compiti propri dello stato a particolari associazioni senza scopo di lucro (ONLUS o<br />

terzo settore) che possono svolgere questi compiti con minori costi e più motivazione rispetto alla<br />

struttura burocratica dell'amministrazione pubblica;<br />

e anche a demandare ad un livello sovra-nazionale alcuni compiti di tutela sociale.<br />

3.3.6. Stato di democrazia pluralista: caratteri<br />

Sulla base di alcune caratteristiche fondamentali si può definire il modello di Stato di democrazia pluralista:<br />

1) si basa sul SUFFRAGIO UNIVERSALE, la SEGRETEZZA e LIBERTA' del VOTO, ELEZIONI PERIODICHE<br />

e PLURIPARTITISMO. Quindi rendono possibile la presenza di una molteplicità di interessi, idee,<br />

valori, gruppi sociali attraverso la garanzia di esistenza e sviluppo. L'insieme di queste garanzie<br />

rientra nel PRINCIPIO DI TOLLERANZA. E' possibile, come nel caso della Costituzione Italiana, che<br />

per tutelare pluralismo e tolleranza vengano vietate certe organizzazioni politiche che operano<br />

contro i principi democratici. La XXII disposizione transitoria della Costituzione italiana vieta la<br />

ricostituzione sotto qualsiasi forma del partito fascista;<br />

2) il pluralismo costituzionalmente garantito non è solo di idee e di valori, ma è anche pluralismo di<br />

formazioni sociali e di formazioni politiche. Il pluralismo trova la sua garanzia nel riconoscimento<br />

costituzionale di alcune libertà tra cui: di associazione, di formazione dei partiti politici, sindacali,<br />

religiose. In questo senso si realizza una profonda differenza rispetto allo Stato liberale le cui<br />

Costituzioni garantivano le libertà del singolo individuo rispetto allo Stato e prevedevano un rapporto<br />

diretto tra cittadino e Stato, escludendo che tra l'uno e l'altro si inserisse il diaframma rappresentato<br />

dalle formazioni collettive;<br />

3) attraverso il pluralismo dei centri di potere, che obbliga lo Stato a confrontarsi con se medesimo e<br />

garantisce una maggiore partecipazione dei cittadini all'attività dello Stato;<br />

4) negando l'esistenza di un interesse generale o bene comune unico e assoluto con una propria<br />

consistenza oggettiva. Lo schema di questo modello è piuttosto quello di un "politeismo dei valori"<br />

riconosciuto, in maniera a tratti contraddittoria, nelle stesse Costituzioni. Per esempio da una parte<br />

di riconosce l'uguaglianza formale - a prescindere quindi dal reddito - di fronte alla legge, salvo poi<br />

affermare la necessità di realizzare un'eguaglianza sostanziale. Oppure mentre si tutela la proprietà<br />

privata e l'iniziativa economica, allo stesso tempo si riconoscono i diritti sociali. Queste<br />

contraddizioni, o spazi di interpretazione sono poi oggetto di un bilanciamento operato<br />

principalmente dalle Corti costituzionali;<br />

5) assicurazione delle libertà di manifestazione del pensiero e pluralismo di accesso ai mezzi di<br />

informazione. In questo spazio si forma la SFERA PUBBLICA che, pur non coincidendo propriamente<br />

con il circuito elettorato-partito-parlamento, riesce ad operare quella pressione sulle istituzioni che<br />

riesce a condizionare le scelte.<br />

3.4. Rappresentanza politica<br />

Nella nozione di RAPPRESENTANZA POLITICA confluiscono due significati che si collegano a contesti storici<br />

diversi:<br />

1) "rappresentanza" significa "agire per conto di" e perciò esprime un rapporto tra rappresentante e<br />

rappresentato, per cui il secondo, per un atto di volontà chiamato MANDATO, dà al primo il potere di<br />

agire nel suo interesse nel limite del mandato;<br />

2) "rappresentanza" significa anche far vivere in un determinato ambito qualche cosa che<br />

effettivamente in quel contesto non c'è. La dottrina tedesca preferisce perciò usare il vocabolo<br />

"rappresentazione". La rappresentanza in questa accezione non presuppone l'esistenza di un<br />

rapporto tra il rappresentato e il rappresentante, il quale invece dispone di una situazione di potere<br />

autonoma rispetto al primo.<br />

L'accezione moderna della rappresentanza politica, nata con la rivoluzione francese, è la seconda, mentre il<br />

primo significato risale ai parlamenti medievali. I parlamenti medievali, dove erano rappresentati gli ordini, le<br />

corporazioni e i territori erano incentrati sulla RAPPRESENTANZA DI INTERESSI che legava il rappresentante,<br />

per esempio, alla sua corporazione e al mandato imperativo che questa gli aveva assegnato.


La società liberale avendo cancellato, insieme allo Stato assoluto, i corpi intermedi (ordini, corporazioni,<br />

gruppi, chiese, comunità, città e territori) ha introdotto una rappresentanza diversa da quella di interessi. La<br />

rappresentanza quindi doveva andare a comporre un organismo istituzionale, il parlamento, che fosse a<br />

baluardo contro ogni tentazione assolutistica del governo ma che al contempo gestisse i cambiamenti indotti<br />

nello Stato dall'evoluzione economica nella direzione desiderata dal gruppo sociale economicamente<br />

dominante, quello borghese.<br />

Una formulazione di queste esigenze si ha nella costituzione francese del 1791: la sovranità non apparteneva<br />

né al Re né al Popolo, ma alla Nazione, un'entità astratta da cui emanavano tutti i poteri. La Nazione, che<br />

coincideva con il bene comune, agiva tramite il parlamento che la rappresentava.<br />

Da questa impostazione discendono alcune conseguenze:<br />

a) i parlamentari erano scelti per volere della Nazione, quindi dovevano essere i più idonei nella tutela<br />

del bene comune. Questa considerazione giustifica allora la possibilità per la Nazione, e quindi per la<br />

Costituzione o per il Parlamento, di stabilire, al pari di qualsiasi altra funzione pubblica, la<br />

consistenza e le caratteristiche dell'elettorato attivo. SUFFRAGIO LIMITATO;<br />

b) se i parlamentari dovevano rappresentare l'interesse generale, allora non potevano curare interessi<br />

territoriali;<br />

c) e allo stesso tempo e di conseguenza non potevano avere un mandato imperativo da parte del<br />

rappresentato;<br />

Quindi caratteristica comune alle Costituzioni, Statuti, Dichiarazioni liberali è quella di VIETARE IL MANDATO<br />

IMPERATIVO.<br />

Il divieto di mandato imperativo non preclude però che un soggetto politico, l'eletto, debba rispondere ad un<br />

altro soggetto politico, l'elettorato, sulla propria RESPONSABILITA' POLITICA e possa pagare un eventuale<br />

giudizio negativo da parte degli elettori con la perdita del proprio potere.<br />

Anzi, nello ambito dello Stato di democrazia pluralista questo concetto assume un ruolo centrale nel<br />

funzionamento dello Stato. Lo Stato liberale aveva introdotto il concetto che il Governo era politicamente<br />

responsabile nei confronti del Parlamento, lo Stato di democrazia pluralista rende Governo e Parlamento<br />

entrambi dotati di responsabilità politica direttamente nei confronti del corpo elettorale.<br />

3.4.1. Nello Stato di democrazia pluralista<br />

Per la presenza di una composizione sociale differenziata che può esprimersi integralmente nel sistema<br />

politico mediante il suffragio universale, ecco che nello Stato di democrazia pluralista da una parte numerosi<br />

ed eterogenei gruppi sociali, con le associazioni che li rappresentano, premono sullo Stato per ottenere una<br />

soddisfazione immediata dei loro bisogni mediante la proiezione dei molteplici interessi nelle aule<br />

parlamentari con il rischio di bloccare queste ultime nella propria attività a causa della conflittualità di<br />

interessi contrapposti, mentre dall’altra parte, proprio per l’eterogeneità della base sociale dello Stato, viene<br />

indebolita la legittimazione di tipo legale-razionale e la legittimità dello Stato che può rappresentare la<br />

volontà prevaricatrice di una parte su un’altra.<br />

Il problema di fondo è quello che viene definito GOVERNABILITA’ (o governance in inglese), ovvero la<br />

capacità del sistema di decidere rimanendo legittimato dalla sovranità popolare. Il problema è affrontata<br />

dalla combinazione dei due aspetti fondamentali della rappresentanza politica in rapporti tra loro variabili<br />

secondo la soluzione adottata dai singoli stati:<br />

1) la rappresentanza come rapporto con gli elettori;<br />

2) la rappresentanza come situazione di potere autonomo;<br />

Alcuni tipi rappresentativi delle soluzioni possibili sono:<br />

a) lo STATO DEI PARTITI. Da una parte partiti sociali di integrazione assicurano il collegamento stabile<br />

con gli elettori, dall’altro i partiti intesi come strutture in grado di trascendere le volontà individuali<br />

sintetizzando politicamente le rivendicazioni della base in maniera organica e coerente al contesto.<br />

In questo sistema i soggetti della rappresentanza politica non sono più i parlamentari ma i partiti,<br />

tramite la re-introduzione del mandato imperativo, di origine partitica.


Ex. La costituzione italiana prevede come riconosciuto dalla Corte Costituzionale “il divieto del<br />

mandato imperativo [il quale determina che] il parlamentare è libero di votare secondo gli indirizzi<br />

del suo partito, ma è anche libero di sottrarsene; nessuna norma potrebbe legittimamente disporre<br />

che derivino conseguenze a carico del parlamentare per il fatto che egli abbia votato contro le<br />

direttive del partito”.<br />

Un altro aspetto da considerare è quello della rappresentatività dei partiti, ovvero: in una società con<br />

una precisa divisione tra poche categorie sociali (capitale/lavoro – borghesia/proletariato) è facile<br />

che ciascun individuo si rispecchi nel partito di riferimento della classe sociale cui appartiene. Con un<br />

legame di identificazione così forte nella piramide della burocrazia del partito diventa anche realistico<br />

pensare che il parlamento, ovvero l’insieme di tutti i partiti rappresentativi, sia lo specchio dell’intera<br />

società. Nello Stato di democrazia pluralista moderno la tendenza pluralistica esasperata sta<br />

allontanando il sistema politico da questo modello causandone una crisi profonda, la cui soluzione<br />

può essere trovata solamente in un equilibrio tra sovranità e governabilità diverso;<br />

b) il RAFFORZAMENTO DEL GOVERNO e l’INVESTITURA POPOLARE DIRETTA DEL SUO CAPO. Un altro<br />

tipo di equilibrio può essere ottenuto rafforzando le prerogative del potere esecutivo e<br />

controbilanciandone la portata con l’investitura popolare del medesimo. In questa maniera<br />

l’esecutivo è posto al riparo da pressioni particolari ed è legittimato a governare nell’interesse<br />

generale. Il parlamento quindi diventa cinghia di trasmissione delle istanze dal basso verso l’alto e<br />

delle scelte dall’alto verso il basso;<br />

c) gli ASSETTI NEOCORPORATIVI. Un’altra modalità per adeguare la rappresentatività alla complessità<br />

sociale consiste nella creazione di assetti neo-corporativi. Già durante la crisi dello Stato liberale<br />

erano state sviluppato teorie corporativistiche (ex. Stato fascista), ma nello Stato di democrazia<br />

pluralista questo termine assume un significato diverso. La differenza di base sta nel fatto che le<br />

associazioni di riferimento per le categorie sociali non sono “create” dallo Stato ma si sviluppano<br />

autonomamente e vengono chiamate per la loro “spontanea” rappresentatività dal governo con lo<br />

scopo di mediare le scelte economiche;<br />

d) la RAPPRESENTANZA TERRITORIALE che si ottiene mediante la creazione di una seconda camera a<br />

base territoriale, in cui cioè sono direttamente rappresentati gli interessi degli Stati membri o delle<br />

Regioni;<br />

e) la SOTTRAZIONE della decisione al circuito rappresentativo, cioè l’esclusione della regolamentazione<br />

e del controllo di determinati settori dai poteri del sistema di rappresentanza politica e quindi<br />

l’attribuzione degli stessi ad autorità amministrative indipendenti, slegate dal circuito democratico;<br />

3.4.2. Democrazia diretta e democrazia rappresentativa<br />

Tra le modalità assunte dal costituzionalismo contemporaneo per fronteggiare la crisi della rappresentatività,<br />

particolare importanza assume il ricorso agli istituti di DEMOCRAZIA DIRETTA. Attraverso questi istituti si<br />

affida direttamente al corpo elettorale l’esercizio di alcune funzioni immediatamente efficaci nell’ordinamento<br />

statale. Questo tipo di soluzione si muove nella direzione di colmare la distanza tra rappresentati e<br />

rappresentanti dovuta alla perdita di legittimità del potere politico come portatore dell’interesse generale.<br />

Gli istituti della democrazia diretta possono essere raggruppati in:<br />

1) l’iniziativa legislativa popolare;<br />

2) la petizione;<br />

3) il REFERENDUM;<br />

L’INIZIATIVA LEGISLATIVA è attribuita ad un certo numero di elettori (50.000 secondo la Costituzione<br />

italiana). La PETIZIONE consiste in una determinata richiesta che i cittadini possono rivolgere agli organi<br />

parlamentari o di Governo per sollecitare determinate attività. Riveste quindi una funzione propulsiva senza<br />

alcun effetto giuridico.


Il più importante strumento di democrazia diretta è il REFERENDUM che consiste in una consultazione<br />

dell’intero corpo elettorale produttiva di effetti giuridici. Il referendum può essere, secondo la Costituzione<br />

italiana:<br />

a) di revisione costituzionale;<br />

b) abrogativo di una legge già approvata dalle camere;<br />

c) consultivo;<br />

Nella maggior parte degli altri Stati europei vige anche il referendum legislativo, ovvero che promuove o<br />

approva leggi direttamente per volontà popolare, anche senza una precedente discussione nell’ambito dei<br />

parlamenti rappresentativi.<br />

3.5.1. La separazione dei poteri: il modello liberale<br />

Il principio della separazione dei poteri è stato elaborato dal costituzionalismo liberale con l’obiettivo di<br />

limitare il potere politico per tutelare la libertà degli individui. Montesquieu nel 1748 teorizzava che i poteri<br />

pubblici dovessero essere tre e distinti tra loro:<br />

1) potere legislativo;<br />

2) potere esecutivo;<br />

3) potere giudiziario;<br />

Gli aspetti caratterizzanti di questa dottrina politica sono riconducibili a 3 punti:<br />

a) l’attribuzione ad ogni potere in senso soggettivo, cioè come complesso, di 1 funzione pubblica ben<br />

individuata e distinta dalle funzioni attribuite agli altri poteri;<br />

b) l’impossibilità per il medesimo potere di avocare a sé più di una funzione pubblica;<br />

c) il bilanciamento delle funzioni pubbliche in maniera tale da permettere a ciascuna di verificare le<br />

altre. CHECKS AND BALANCES;<br />

L’ordinamento costituzionale statunitense è stato quello in cui il principio della separazione dei poteri ha<br />

trovato la più coerente applicazione. La forma presidenziale statunitense prevede che il Presidente e il<br />

Congresso siano eletti separatamente ed esercitino funzioni distinte. Così il Congresso non può sfiduciare il<br />

Presidente ma neppure il Presidente può sciogliere le camere.<br />

Diverso quanto avviene in Europa, dove la dottrina politica si è sviluppata in maniera molto meno rigida:<br />

a) infatti con la forma di governo parlamentare affermatasi già nell’ottocento nel Regno Unito potere<br />

esecutivo e legislativo si sono trovati legati a doppio filo, dipendendo il primo dalla fiducia del<br />

secondo e approvando il secondo le leggi su indicazione del primo;<br />

b) situazione questa che ha portato a una commistione di poteri al punto che il potere esecutivo emana<br />

regolamenti che contengono norme giuridiche generali (di competenza quindi del potere legislativo),<br />

mentre il potere legislativo approva la legge di Bilancio senza introdurre novità giuridiche (in linea<br />

teorica competenza dell’organo esecutivo);<br />

Fondamenti concettuali di queste teorie sulla separazione dei poteri nello Stato liberale sono la PREMINENZA<br />

DELLA LEGGE e la SEPARAZIONE DELLO STATO DALLA SOCIETA’.<br />

3.5.2. La separazione dei poteri nelle democrazie pluraliste<br />

Nei sistemi politici europei attuali si afferma una quarta funzione, che è la FUNZIONE DI INDIRIZZO<br />

POLITICO. Consiste sostanzialmente nella determinazione delle linee fondamentali di sviluppo<br />

dell’ordinamento e della politica interna ed esterna dello Stato e nella cura della loro coerente attuazione.<br />

Nella maggior parte degli Stati di democrazia pluralista la suddetta funzione si è venuta gradualmente a<br />

concentrare nell’organo di governo. Esso ha infatti risorse di legittimazione e di organizzazione che gli<br />

consentono di assumere il suddetto ruolo di guida del sistema.<br />

Vi è inoltre la tendenza affermatasi in alcuni Stati, tra cui l’italia, per cui l’amministrazione non può più essere<br />

considerata né come apparato né come organizzazione unitaria. Nel dettato costituzionale è infatti prevista la


separazione tra politica e amministrazione, ossia tra la sfera che governa e la burocrazia, cioè la dirigenza<br />

pubblica. Inoltre l’amministrazione scomponendosi in una pluralità di apparati più o meno interdipendenti<br />

ciascuno dei quali con attribuito un preciso interesse è spesso conflittuale al proprio interno, non potendosi<br />

quindi ritenere un’organizzazione unitaria.<br />

Altre evoluzioni rispetto al modello liberale sono:<br />

a) la funzione legislativa non si caratterizza più per la produzione di norme giuridiche generali e<br />

astratte. Infatti frequentemente la legge assume i caratteri del concreto provvedere, ossia contiene<br />

prescrizioni che si riferiscono a soggetti determinati ed a situazioni concrete, sicché si parla di<br />

LEGGE-PROVVEDIMENTO. Lo sviluppo di questo tipo di strumento è riconducibile all’affermazione<br />

dello Stato sociale che interviene nei rapporti economici e sociali;<br />

b) la funzione giurisdizionale non è più dichiarativa rispetto a principi generali ma sussiste in un<br />

rapporto di valutazione e integrazione discrezionale della norma, anche in considerazione della<br />

sovrapposizione di vari livelli legislativi (Regione, Stato, UE);<br />

A questi si somma ancora un’altra nuova funzione, quella di GARANZIA GIURISDIZIONALE DELLA<br />

COSTITUZIONE, realizzata nei confronti di tutti gli altri poteri. In Italia questa funzione è demandata al<br />

Presidente della Repubblica.<br />

3.6.1. Regola di maggioranza: definizioni<br />

La regola di maggioranza che caratterizza il funzionamento dello Stato liberale e della democrazia pluralistica<br />

assume significati e funzioni diverse:<br />

a) PRINCIPIO FUNZIONALE, la tecnica attraverso cui un collegio può decidere;<br />

b) PRINCIPIO DI RAPPRESENTANZA, il mezzo attraverso cui si eleggono le assemblee;<br />

c) PRINCIPIO DI ORGANIZAZZIONE POLITICA, il criterio attraverso cui si strutturano i rapporti tra i<br />

partiti politici nel Parlamento;<br />

a) La regola della maggioranza è lo strumento attraverso cui ampie collettività e organi collegiali<br />

possono adottare una decisione. La regola opposta è quella dell’UNANIMITA’ che richiede il consenso<br />

di tutti i membri del collegio. L’affermazione della regola di maggioranza presuppone l’eguaglianza di<br />

tutti i membri del collegio e quindi che il voto di ciascuno di essi sia dotato del medesimo valore di<br />

quello degli altri. Il rovescio della medaglia del sistema della maggioranza è nell’utilizzo che può<br />

esserne fatto da chi la detiene, che per esempio può adottare provvedimenti che eliminino la<br />

minoranza. Si parla allora di TIRANNIA DELLA MAGGIORANZA;<br />

La Costituzione italiana prevede alcuni meccanismi per limitare gli abusi della maggioranza:<br />

1) la rigidità della Costituzione stessa;<br />

2) l’attribuzione alla Corte costituzionale il compito di verifica della legittimità costituzionale<br />

delle leggi dello Stato;<br />

3) la previsione che alcune deliberazioni siano tenute anche con maggioranze diverse da quella<br />

semplice. Vi è la maggioranza SEMPLICE (maggior numero di voti), la maggioranza<br />

ASSOLUTA (la metà più uno degli aventi diritto) e la maggioranza QUALIFICATA (per<br />

esempio 2/3 del collegio);<br />

4) l’attribuzione di determinate facoltà a gruppi di membri del Parlamento di ridotte dimensioni,<br />

che si traduce in potere di condizionamento procedurale per le minoranze;<br />

5) la sottrazione di certe decisioni al circuito dell’indirizzo politico, tramite per esempio la<br />

creazione di Autorità;<br />

6) il decentramento politico;<br />

b) la regola di maggioranza come tecnica per deliberare ed i limiti che essa incontra presuppongono<br />

comunque che una maggioranza e delle minoranze politiche si siano già formate ed esistano<br />

all’interno delle aule parlamentari. Nella seconda accezione, intesa come principio di rappresentanza,<br />

la regola di maggioranza diventa lo strumento utilizzato per eleggere il Parlamento: in ciascun<br />

collegio è eletto il candidato che ottiene più voti;<br />

c) pertanto la regola di maggioranza come regola elettorale è particolarmente coerente con una<br />

determinata concezione delle elezioni e del funzionamento della democrazia. Secondo questa


concezione le elezioni hanno il compito principale di assicurare la formazione di una maggioranza<br />

politica stabile e coesa di un Governo autorevole in grado di esprimere un indirizzo politico coerente<br />

per l’intero mandato. Al corpo elettorale spetta quindi di eleggere una maggioranza e di giudicarne<br />

l’operato nel successivo turno elettorale;<br />

3.6.2. Democrazie maggioritarie e democrazie consociative<br />

Anche sistemi elettorali che non sono basati sulla regola di maggioranza possono riuscire ad esprimere<br />

maggioranze stabili e Governi autorevoli (Spagna e Germania). Perciò più che la distinzione tra ordinamenti<br />

basati sui diversi principi di rappresentanza (maggioritario o proporzionale), è un’altra distinzione che<br />

assume importanza sulle dinamiche di funzionamento dei diversi sistemi democratici.<br />

In particolare occorre distinguere tra DEMOCRAZIE MAGGIORITARIE (UK, Germania, Francia, Spagna,<br />

Canada e in un certo qual modo gli US) e le DEMOCRAZIE CONSOCIATIVE (Belgio e Olanda).<br />

Nelle democrazie maggioritarie la regola di maggioranza diventa PRINCIPIO DI ORGANIZZAZIONE dei<br />

rapporti tra soggetti politici (3° accezione). In questi casi la contrapposizione esiste durante le elezioni, dove<br />

il corpo elettorale è posto di fronte all’alternativa secca tra due candidati alla carica di Capo del governo o tra<br />

due partiti o coalizioni di partiti, e continua dopo le elezioni, per cui si crea una distinzione funzionale tra la<br />

maggioranza politica ed il Governo, da essa sostenuto, in cui si concentrano i poteri di indirizzo. La<br />

minoranza assume la FUNZIONE DI OPPOSIZIONE. In questi sistemi si può realizzare l’ALTERNANZA<br />

CICLICA dei partiti nei ruoli di maggioranza e opposizione.<br />

Diversamente le democrazie consociative tendono a incentivare l’accordo tra i principali partiti al fine di<br />

condividere il controllo del potere politico. I partiti a livello elettorale competono ciascuno per conto proprio<br />

per conquistare tanti seggi in parlamento quanta la forza politica di cui dispongono. Dopo le elezioni non si<br />

crea una distinzione funzionale tra maggioranza e minoranza, piuttosto i partiti tendono ad utilizzare la<br />

rispettiva forza (numeri) per negoziare tra loro e raggiungere compromessi politici. Le minoranze non sono<br />

opposizione ma sono associate al potere politico perché partecipano alla formazione delle decisioni.<br />

3.6.3. Le minoranze permanenti<br />

Non vi sono solamente le minoranze politiche, ma esistono alcune MINORANZE PERMANENTI, che si creano<br />

sulla base di differenziazioni stabili presenti nella società e dovute a fattori religiosi, etnici o linguistici. Le<br />

Costituzioni delle democrazie pluraliste si preoccupano di difendere l’esistenza di queste minoranze e delle<br />

loro tradizioni culturali. La Costituzione italiana prevede:<br />

1) il divieto di discriminazione in ragione dell’utilizzo di una lingua diversa da quella nazionale;<br />

2) il divieto di discriminazioni in ragione della religione professata;<br />

3) il divieto di discriminazione in ragione dell’appartenenza all’una o all’altra razza;<br />

3.7. Stato unitario, federale e regionale<br />

La separazione dei poteri ed i limiti alla regola di maggioranza possono realizzarsi non solo a livello<br />

orizzontale, ma anche a livello verticale. Per questo si distingue tra STATO UNITARIO (centralista) e STATO<br />

COMPOSTO.<br />

Lo Stato unitario ha caratterizzato a lungo l’esperienza europea (con le eccezioni di Germania e Svizzera),<br />

mentre il tipo di Stato composto ha caratterizzato l’esperienza degli Stati Uniti. Da alcuni anni anche in<br />

Europa il modello dello Stato composto ha avuto successo in due variante:<br />

1) Stato federale;<br />

2) Stato regionale;<br />

I caratteri tipici dello STATO FEDERALE sono:


a) l’esistenza di un ordinamento statale federale, con una Costituzione federale e alcune Costituzioni di<br />

enti politici territoriali (Stati membri in USA, Brasile e Australia; Lander in Germania e Austria;<br />

Province in Canada e Argentina; Regioni in Belgio);<br />

b) la previsione da parte della Costituzione federale di una ripartizione di competenze tra i livelli;<br />

c) l’esistenza di un Parlamento bicamerale, in cui una delle due camere rappresenta gli Stati membri;<br />

d) la partecipazione degli Stati membri alla revisione costituzionale e la presenza di una Corte<br />

costituzionale per risolvere le controversie tra i vari livelli;<br />

Lo STATO REGIONALE ha queste caratteristiche principali:<br />

a) la presenza di una Costituzione statale che riconosce e garantisce l’esistenza di enti territoriali dotati<br />

di autonomia politica e di un proprio Statuto (non Costituzione);<br />

b) l’attribuzione costituzionale alle Regioni di competenze legislative e amministrative, una<br />

partecipazione assai limitate alle funzioni statali e in particolar modo alla revisione costituzionale; la<br />

mancanza di una Camera delle Regioni e l’attribuzione alla Corte costituzionale del compito di<br />

risolvere i conflitti tra Stato e Regioni con preminenza per gli interessi dello Stato;<br />

Un'altra distinzione dello Stato composto è quella tra federalismo duale e federalismo cooperativo.<br />

3.8.1. Unione europea: definizioni<br />

L’UNIONE EUROPEA (UE) è una struttura istituzionale che è tradizione descrivere ricorrendo ad una<br />

metafora: “un tempio greco che poggia su tre pilastri”.<br />

Il pilastro centrale è quello della Comunità economica (CE) che comprende le 3 comunità originarie (CEE,<br />

CECA, EURATOM). I due pilastri laterali sono costituiti dalla politica estera e dalla sicurezza comune (PESC) e<br />

dalla cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni (CGAI).<br />

La differenza sostanziale tra il primo pilastro e gli altri due si evidenza nei processi decisionali. Infatti<br />

nell’ambito della CEE la maggior parte delle decisioni non richiedono l’unanimità degli Stati, mentre per la<br />

PESC e il CGAI è richiesto il voto unanime di tutti gli Stati membri.<br />

Con il Trattato di Amsterdam è stato introdotto il principio della cooperazione rafforzata che consente agli<br />

Stati membri di instaurare forme di collaborazione specifiche, quindi un sistema a geometria variabile o a<br />

due velocità.<br />

Quindi: l’UE si fonda sulle 3 comunità pre-esistenti, si aggiunge a queste ed utilizza le loro istituzioni per<br />

l’esercizio delle sue funzioni e per il perseguimento degli obiettivi previsti dal Trattato.<br />

3.8.2. L’organizzazione<br />

L’organizzazione comunitaria si articola in diverse istituzioni:<br />

a) il CONSIGLIO EUROPEO è l’organo di impulso dell’UE, chiamato a definire gli orientamenti politici<br />

generali. E’ composto dai capi di Stato (o di Governo) membri e dal Presidente della Commissione. E’<br />

tenuto ad informare il Parlamento europeo dei risultati di ogni sua riunione;<br />

Il CONSIGLIO è l’organo titolare del potere di adottare gli atti normativi e del compito di coordinare<br />

le politiche generali di tutti gli Stati membri. E’ composto da un rappresentate per ogni Stato<br />

(secondo l’ambito di competenza) ed è presieduto da ciascuno dei suoi membri a rotazione per un<br />

periodo di 6 mesi ciascuno. Le deliberazioni del Consiglio sono generalmente assunte a maggioranza<br />

semplice anche se in alcuni casi il Trattato CE prevede la maggioranza qualificata calcolata con un<br />

meccanismo di voto ponderato che attribuisce un peso diverso ad ogni Stato. In casi particolari è<br />

richiesta l’unanimità. Al Consiglio è affiancato il COMITATO DEI RAPPRESENTANTI PERMANENTI<br />

(COREPER), organo composto dai rappresentanti permanenti degli Stati membri, incaricato di<br />

preparare il lavoro del Consiglio;<br />

b) la COMMISSIONE si può considerare come il centro dei processi di decisione e come l’organo di<br />

propulsione dell’ordinamento comunitario. Dispone di poteri d’iniziativa normativa (su indirizzo del<br />

Consiglio), di poteri di decisioni amministrativa e di regolamentazione e di poteri di controllo nei


confronti degli Stati membri. La commissione esercita un controllo indiretto sugli Stati membri circa il<br />

rispetto del <strong>Diritto</strong> europeo tramite le segnalazioni di soggetti privati, creando così un rapporto<br />

trilatero (Commissione, Amministrazioni nazionali, privati).<br />

Rilevante è il ruolo della Commissione nella gestione dei finanziamenti comunitari, ne stabilisce<br />

l’ammontare e la ripartizione.<br />

La Commissione è composta da 20 membri (attualmente 1 per l’italia), che durano in carica 5 anni,<br />

designati in accordo con gli Stati membri. La nomina del Presidente e dei componenti coinvolge<br />

direttamente il Parlamento, che dapprima esprime il proprio parere (vincolante) sul Presidente e poi<br />

con un voto distinto sull’intera Commissione;<br />

c) il PARLAMENTO EUROPEO è composto dai rappresentanti dei popoli degli Stati membri, eletti in<br />

ciascun Stato, per 5 anni e a suffragio universale e diretto. Il PE è un organo rappresentativo e<br />

dotato di legittimazione democratica, ma non è titolare del potere di adottare atti normativi. Con il<br />

Trattato di Amsterdam sono stati rafforzati i poteri del PE, che ora è pienamente partecipe del<br />

processo di formazione degli atti normativi attraverso procedure di codecisione (diritto di veto sulle<br />

proposte della Commissione) e cooperazione. Il PE dispone di un potere di iniziativa indiretta tramite<br />

la Commissione. Il PE è titolare dei poteri di controllo verso la Commissione tramite commissioni<br />

temporanee di inchiesta, interrogazioni, mozioni di censura e voto di fiducia iniziale;<br />

d) la CORTE DI GIUSTIZIA è l’organo giurisdizionale comunitario, chiamato ad assicurare il rispetto del<br />

diritto nell’interpretazione ed applicazione del Trattato. E’ composto da 15 giudici e può giudicare<br />

anche l’azione degli Stati membri per quanto relativo il <strong>Diritto</strong> europeo. La Corte è coadiuvata dal<br />

tribunale di primo grado le cui sentenze possono essere impugnate di fronte alla Corte;<br />

e) la CORTE DEI CONTI è l’organo di controllo contabile della Comunità;<br />

f) il COMITATO ECONOMICO E SOCIALE è un organo consultivo del Consiglio, della Commissione e del<br />

PE. E ‘ composto dai rappresentanti delle diverse categorie economiche ed esprime pareri obbligatori<br />

ove richiesto dal Trattato;<br />

g) il COMITATO DELLE REGIONI è un organo consultivo del Consiglio, della Commissione e del PE. E’<br />

composto dai rappresentanti delle collettività regionali e locali, delle quali esprime le istanze a livello<br />

comunitario;<br />

Le attribuzioni della Comunità europea e dell’UE sono solo quelle espressamente previste dal Trattato, e<br />

riguardano campi rilevantissimi: la libera circolazione di merci, lavoratori, capitali e servizi; la disciplina della<br />

concorrenza; l’agricoltura; i trasporti; la politica monetaria (ed economica); l’occupazione; ecc…<br />

Il principio di tassatività delle attribuzioni è parzialmente temperato in almeno due casi:<br />

1) la CE può esercitare i poteri necessari al raggiungimento degli scopi del Trattato, pur se questo non<br />

li prevede espressamente (principio di autointegrazione);<br />

2) la CE, secondo quanto stabilito dalla Corte di Giustizia, può adottare tutte le misure necessarie,<br />

anche quelle non previste, per ottenere un esercizio efficace ed adeguato di una competenza<br />

attribuitale;<br />

Il Trattato UE prevede anche il principio di proporzionalità (mezzi commisurati agli obiettivi) e di sussidiarietà<br />

(competenze variabili a seconda dell’efficacia).


4. Forme di governo<br />

4.1.1. Stato liberale: la monarchia costituzionale<br />

Le forme di governo conosciute dallo Stato liberale sono la MONARCHIA COSTITUZONALE, il GOVERNO<br />

PARLAMENTARE e il GOVERNO PRESIDENZIALE.<br />

La MONARCHIA COSTITUZIONALE è la forma di governo che si afferma nel passaggio dallo Stato assoluto<br />

allo Stato liberale. Questa forma si caratterizza per la netta separazione dei poteri tra il Re e il Parlamento, il<br />

primo esecutivo il secondo legislativo. Il Re resta all’apice dello Stato, può sanzionare l’attività legislativa del<br />

Parlamento, nominare i giudici, concedere grazie e sciogliere il Parlamento. Da una parte il principio<br />

monarco-ereditario, dall’altra il principio elettivo e man mano che questo equilibrio nella società si sposta a<br />

favore della Borghesia il sistema tende sempre più alla forma di Governo parlamentare.<br />

Abbiamo un Governo parlamentare quando compare una terza istituzione: il Governo o Gabinetto, distinto<br />

dal re e dal Parlamento, a quest’ultimo legato dalla fiducia.<br />

4.1.2. Parlamentarismo dualista e monista<br />

La forma di governo parlamentare si è affermata nello Stato liberale attraverso un lento processo storico, al<br />

di là delle previsioni formali dei documenti costituzionali. Essa ha conosciuto due fasi distinte. Il sistema<br />

parlamentare delle origini era un PARLAMENTARSIMO DUALISTA:<br />

a) il potere esecutivo era ripartito tra il Capo dello Stato e il Governo (esecutivo bicefalo);<br />

b) il Governo doveva avere una doppia fiducia, quella del re e quella del Parlamento;<br />

c) a garanzia dell’equilibrio tra potere esecutivo e potere legislativo, al Capo dello Stato era<br />

riconosciuto il potere di scioglimento anticipato del Parlamento, come contrappeso alla responsabilità<br />

politica del Governo;<br />

Con la graduale affermazione della Borghesia e dei suoi interessi si è vista l’affermazione del<br />

PARLAMENTARISMO MONISTA, in cui il governo ha la fiducia solo dal Parlamento e il Capo dello Stato è<br />

relegato a un ruolo di garanzia e quindi estraneo al circuito della decisione politica.<br />

Il meccanismo attraverso cui questa mutazione è avvenuta è stato individuato nella prassi della<br />

CONTROFIRMA. Nata come attestazione della volontà del Monarca che controfirmava gli atti del proprio<br />

ministro, è diventata una prassi formale e di garanzia.<br />

Il parlamentarismo monista ha ovviamente conosciuto varianti da paese a paese. Le principali possono<br />

essere riassunte:<br />

a) in GB è prevalso il ruolo di direzione politica del Governo sulla base di una forte maggioranza<br />

parlamentare determinata dalla presenza di due soli grandi partiti;<br />

b) in Francia invece con la III repubblica (1875) è prevalso il ruolo dell’Assemblea a causa della<br />

debolezza dei Governi retti da maggioranze frammentate;<br />

4.2. Forme di governo nella democrazia pluralista<br />

Abbastanza complesso in sistemi di democrazia pluralista determinare con esattezza il tipo di forma di<br />

governo cui appartengono senza entrare nello specifico del sistema politico e soprattutto partitico. Quando<br />

parliamo di SISTEMA DI PARTITI intendiamo riferirci essenzialmente al numero di partiti ed al tipo di<br />

rapporto che si instaura tra di essi.<br />

Per esempio la Scienza politica ha classificato i sistemi politici tenendo anche conto del tipo di aggregazioni<br />

che sono possibili tra i singoli partiti, cioè del potenziale di coalizione dipendente in larga parte dalla cornice<br />

ideologica di riferimento.


Mettiamo il caso che in un sistema vi siano partiti definiti ANTISISTEMA, il quadro che ne risulta è<br />

ideologicamente polarizzato e il sistema può essere definito SISTEMA MULTIPOLARE. In questi casi<br />

difficilmente a livello elettorale può operare la regola di maggioranza per la formazione di un Governo<br />

stabile. Mancando frizioni così forti, pur avendo un sistema multipartitico, è facile che l’equilibrio vada a<br />

stabilirsi su una forma BIPOLARE.<br />

La conclusione è che in uno Stato di democrazia pluralista, tra forma di governo e sistema politico esiste un<br />

rapporto di condizionamento reciproco.<br />

4.3.1 Il sistema parlamentare e le sue varianti: caratteri<br />

La forma di governo parlamentare si caratterizza per l’esistenza di un RAPPORTO DI FIDUCIA tra Governo e<br />

Parlamento dove il primo rappresenta solo un’emanazione del secondo. Nel caso di sistemi bicamerali, è<br />

importante stabilire se entrambi hanno il potere di sfiducia e comunque, nel caso negativo, quale dei due.<br />

Nell’ultimo dopoguerra, allo scopo di evitare la debolezza manifestata dal parlamentarismo e identificata<br />

come una delle cause del totalitarismo europeo, ha preso corpo una tendenza alla RAZIONALIZZAZIONE DEL<br />

PARLAMENTARISMO. Ovvero alla trasformazione in codice scritto, contenuto nelle carte costituzionali, delle<br />

prassi sviluppatesi nel sistema parlamentare.<br />

Questo generi di intervento nelle costituzioni è rintracciabile più che altrove nella Costituzione tedesca del<br />

1949, dove al Capo del Governo, chiamato Cancelliere federale, si attribuisce la centralità politica. Il<br />

Cancelliere è eletto su proposta del Presidente federale con votazione a maggioranza, ma senza alcuna<br />

discussione, dalla Camera. Se questo non ottiene la maggioranza la Camera ha 14 giorni di tempo per<br />

eleggerne un altro a maggioranza assoluta. Se entro questo termine non viene trovata una maggioranza<br />

assoluta, il Presidente può confermare alla carica di Cancelliere il candidato più votato oppure sciogliere la<br />

Camera. Un’altra particolarità è quella della SFIDUCIA COSTRUTTIVA, che consiste nella possibilità per la<br />

Camera politica di sfiduciare un Cancelliere solo se contestualmente è in grado di eleggere a maggioranza<br />

assoluta un successore. Per queste peculiarità per indicare la forma di Governo tedesca si usa il termine<br />

CANCELLIERATO.<br />

4.3.2. Il sistema parlamentare e le sue varianti: maggioritario e<br />

compromissorio<br />

Il PARLAMENTARISMO MAGGIORITARIO (o a PREVALENZA DEL GOVERNO) si caratterizza per la presenza di<br />

un sistema politico bipolare, con due partiti o due coalizioni, fra loro alternativi. Le elezioni permettono di<br />

dare vita ad una maggioranza politica, il cui leader assume la carica di Primo Ministro, godendo quindi di una<br />

forte investitura popolare. Il Governo ha il sostegno della maggioranza che di regola lo sostiene fino alla fine<br />

della legislatura (Governo di legislatura).<br />

Il Governo dispone così dell’appoggio della maggioranza che può dirigere per ottenere l’approvazione<br />

parlamentare dei disegni di legge che propone (Governo come comitato direttivo del Parlamento). Alla<br />

maggioranza si contrappone il partito o la coalizione di partiti che costituisce l’OPPOSIZIONE<br />

PARLAMENTARE. Il sistema si contraddistingue per la pratica dell’ALTERNANZA ciclica dei partiti nei ruoli di<br />

maggioranza e di opposizione. Questo concetto è così radicato in GB che è stato istituzionalizzato il<br />

GABINETTO OMBRA, contrapposto a quello governativo, composto dai leader destinati divenire ministri in<br />

caso di rovesciamento al successivo turno elettorale.<br />

Diversa è la situazione nelle società divise da fratture profonde nelle quali per evitare l’esplosione violenta di<br />

conflitti e le tendenze disgregatrici, deve essere ricercato l’accordo tra le parti politiche sull’indirizzo e la sua<br />

realizzazione. In tali tipi di democrazia si è adottata una forma di governo parlamentare di tipo diverso, che<br />

prende il nome di parlamentarismo a prevalenza del Parlamento o addirittura di parlamentarismo<br />

compromissorio.


Il PARLAMENTARISMO A PREVALENZA DEL PARLAMENTO è caratterizzato da un sistema politico che opera<br />

seguendo un modulo multipolare. Sono i partiti dopo le elezioni a concludere accordi attraverso cui si forma<br />

la maggioranza politica e si individua la composizione del Governo e la persona che dovrà assumere la carica<br />

di primo ministro. Questo tipo di sistema parlamentare si caratterizza per la debolezza e l’instabilità del<br />

Governo, mentre cresce il ruolo del Parlamento con cui il Governo per mantenere la fiducia è costretto a<br />

contrattare il contenuto delle leggi.<br />

In certi sistemi la procedura parlamentare è regolata in modo tale da favorire la ricerca del compromesso tra<br />

maggioranza e minoranza. In questo caso il sistema può essere denominato PARLAMENTARISMO<br />

COMPROMISSORIO.<br />

4.4.1. Presidenzialismo<br />

La FORMA DI GOVERNO PRESIDENZIALE è quella il cui Capo dello Stato:<br />

a) è eletto dall’intero corpo elettorale nazionale;<br />

b) non può essere sfiduciato da un voto parlamentare durante il suo mandato che ha una durata<br />

prestabilita;<br />

c) presiede e dirige i Governi da lui nominati;<br />

L’esperienza storico-costituzionale in cui la forma di governo presidenziale ha avuto la sua realizzazione di<br />

maggior successo è quella degli USA. Qui il Presidente e il Vice-Presidente sono eletti per un mandato di 4<br />

anni (massimo 2 mandati con l’emendamento XXII del 1951) attraverso una procedura che solo formalmente<br />

è a doppio grado: in ogni Stato sono eletti gli “elettori presidenziali” (in numero uguale a deputati e senatori<br />

dello Stato medesimo), i quali successivamente sono riuniti in un collegio ad hoc (Electoral College) che<br />

procede alla scelta del Presidente e del Vice. Ma poiché i due grandi partiti nazionali, attraverso delle<br />

convenzioni, hanno già scelto i propri candidati, nel momento in cui gli elettori votano per gli “elettori<br />

presidenziali” sanno già che questi ultimi al momento della successiva elezione nel collegio presidenziale si<br />

limiteranno a votare per i candidati scelti dai rispettivi partiti.<br />

Il Presidente degli Stati Uniti gode della forte legittimazione politica che deriva dall’investitura popolare<br />

diretta. Il Presidente ha alle sue dipendenze l’amministrazione dello Stato federale e nomina i suoi<br />

collaboratori, che non possono essere parlamentari.<br />

Non esiste neppure un organo chiamato “governo”: i collaboratori (Segretari di Stato) quando sono riuniti<br />

formano il cosiddetto Gabinetto, privo di qualsiasi rapporto con l’Assemblea. Tra i collaboratori presidenziali<br />

assume particolare rilievo la figura del Segretario di Stato, posto al vertice del Dipartimento di Stato e<br />

incaricato delle relazioni esterne. Tra le attribuzioni presidenziali grande rilievo hanno quelle relative alla<br />

politica estera e alle forze armate.<br />

Di fronte al Presidente c’è il Parlamento che prende il nome di CONGRESSO, che ha struttura bicamerale. Le<br />

due camere sono: il SENATO, formato da due rappresentanti per ogni Stato membro, e vengono<br />

parzialmente rinnovati ogni due anni; la CAMERA DEI RAPPRESENTANTI, formata su base nazionale in modo<br />

proporzionale alla popolazione degli Stati da deputati con mandato biennale.<br />

Il CONGRESSO è titolare del potere legislativo, approva il bilancio annuale, necessario affinché<br />

l’amministrazione sia autorizzata a spendere, può mettere in stato di accusa il Presidente (impeachment) per<br />

tradimento, corruzione o altri gravi reati, e in tal caso il giudizio finale spetta al Senato.<br />

Congresso e Presidente sono reciprocamente indipendenti e, attraverso meccanismi costituzionali, hanno<br />

potere di verifica l’uno sull’altro e viceversa. Il Presidente ha il potere di veto sospensivo sulle leggi<br />

approvate dal Congresso – il quale può superare il veto tramite voto a maggioranza qualificata dei 2/3 – e il<br />

Congresso ha il potere di approvare le nomine Presidenziali alle più alte cariche e la facoltà, con sanzioni<br />

penali, di convocare funzionari dell’amministrazione per esercitare un controllo sulla politica del Presidente.<br />

Il sistema americano è determinato da un dualismo paritario tra Presidente e Parlamento, contrapposto al<br />

monismo tipico dei sistemi europei.


4.5.1. Semipresidenzialismo<br />

La FORMA DI GOVERNO SEMIPRESIDENZIALE si caratterizza per i seguenti elementi costitutivi:<br />

a) il Capo dello Stato è eletto direttamente dal corpo elettorale dell’intera nazione e dura in carica per<br />

un periodo prestabilito;<br />

b) il Presidente è indipendente dal Parlamento, perché non ha bisogno della sua fiducia, tuttavia non<br />

può governare da solo, ma deve servirsi di un Governo, da lui nominato;<br />

c) il Governo deve avere la fiducia del Parlamento;<br />

In tale sistema c’è una struttura diarchica o bicefala del potere di governo, che, infatti, ha due teste: il<br />

Presidente della Repubblica e il Primo Ministro. Questa struttura duale del potere di governo, con le sue due<br />

teste, consente diversi equilibri nella forma di governo, che può vedere la prevalenza ora del Presidente ora<br />

del Governo. Perciò è opportuno distinguere forme di governo semipresidenziali:<br />

1. a Presidente forte (Francia);<br />

2. a prevalenza del Governo (Austria, Irlanda, Islanda);<br />

Nella Costituzione della V Repubblica francese il Presidente gode di importanti poteri, molti dei quali possono<br />

essere esercitati senza bisogno della controfirma del Governo:<br />

• nominare il Primo Ministro e, su proposta di quest’ultimo, nomina e revoca dei ministri;<br />

• indire referendum su ogni progetto di legge concernente l’organizzazione dei poteri pubblici;<br />

• sciogliere l’Assemblea Nazionale;<br />

• inviare messaggi al Parlamento;<br />

• deferire al Consiglio Costituzionale una legge prima della sua promulgazione e nominare 3 membri di<br />

quest’organismo;<br />

• presiedere il Consiglio dei Ministri;<br />

• adottare tutte le misure necessarie per la salvaguardia dell’indipendenza e dell’integrità della<br />

Nazione e per il rispetto degli impegni internazionali qualora fossero minacciati in maniera grave e<br />

immediata;<br />

Ma il ruolo di direzione politica del Presidente si è basato piuttosto che sull’esercizio dei suddetti poteri,<br />

principalmente sull’autorità politica che gli deriva dall’elezione popolare diretta e dal controllo della<br />

maggioranza parlamentare (che facilmente coincide con la maggioranza che ha espresso il Presidente).<br />

Il Presidente e il Parlamento sono formati attraverso due distinti procedimenti elettorali che fino al 2000 si<br />

svolgevano anche in periodi distinti. Questo può portare talvolta alla situazione definita COABITAZIONE in<br />

cui la maggioranza che esprime il Presidente non coincidere con la maggioranza parlamentare. La<br />

coabitazione espone il sistema semipresidenziale a rischi di conflitti paralizzanti tra le due teste del potere di<br />

governo.<br />

Nei sistemi semipresidenziali in cui prevale la componente parlamentare-governativa il ruolo di Presidente si<br />

riduce a quello di garanzia. Ciò è dovuto alle caratteristiche del sistema politico, più che a norme<br />

costituzionali. Nello specifico:<br />

• la bipolarizzazione del sistema politico che vede due schieramenti contrapporsi, i cui leader sono<br />

candidati alla carica di Primo Ministro;<br />

• alla coincidenza nella medesima persona della carica di Primo Ministro e di leader della maggioranza;<br />

• alla regola convenzionale per cui i partiti candidano alla Presidenza personalità politiche di secondo<br />

piano;<br />

Chiamare questi sistemi semipresidenziali è un po’ fuorviante. In effetti, eccezion fatta per l’elezione diretta<br />

del Presidente che ha un ruolo di garanzia, questa sistemi ricalcano il modello del regime parlamentare.<br />

4.6.1. Altre forme di governo contemporanee<br />

La forma di governo NEOPARLAMENTARE:<br />

a) il rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento;<br />

b) l’elezione popolare diretta del Primo Ministro;<br />

c) l’elezione contestuale di Primo Ministro e Parlamento;


d) il “Governo di Legislatura”, per cui un’eventuale crisi con le dimissioni del governo comporta lo<br />

scioglimento del Parlamento;<br />

Quella neoparlamentare è una forma di governo elaborata dalla dottrina con l’intenzione di raggiungere<br />

l’investitura popolare del Primo Ministro e la stabilità del Governo. L’unico esempio storico di forma di<br />

governo riconducibile a questo tipo è Israele dopo la riforma costituzionale del 1992. Anche se a differenza<br />

del modello manca la contestualità delle elezioni del Primo Ministro e del Parlamento e il meccanismo<br />

elettorale, basato sul sistema proporzionale, è tale da creare frammentazione politica.<br />

La forma di governo DIRETTORIALE, adottata solamente dalla Confederazione elvetica, si caratterizza per la<br />

presenza, accanto al Parlamento, di un DIRETTORIO, formato da 5 membri, eletto ma non revocabile<br />

dall’Assemblea, che svolge contemporaneamente le funzioni di Governo e di Capo dello Stato. Ciò impone<br />

che Governo e Capo dello Stato abbiano una struttura collegiale in cui siano rappresentate le diverse<br />

componenti etniche e linguistiche che vivono nell’ambito della Confederazione.<br />

4.7.1. La legislazione elettorale<br />

Nella legislazione elettorale confluiscono tre diverse componenti:<br />

a) le norme che definiscono l’area della CITTADINANZA POLITICA, ossia l’insieme delle norme che<br />

stabiliscono i soggetti che godono dell’elettorato attivo;<br />

b) le regole sul SISTEMA ELETTORALE, che stabiliscono il meccanismo attraverso cui i voti espressi<br />

dagli elettori si trasformano in seggi parlamentari;<br />

c) la LEGISLAZIONE ELETTORALE DI CONTORNO, quindi le modalità di svolgimento delle campagne<br />

elettorali, di finanziamento della politica e di eleggibilità e compatibilità;<br />

4.7.2. L’elettorato attivo e passivo<br />

Per quanto riguarda il primo dei profili indicati, si è visto come il passaggio dallo Stato liberale a quello di<br />

democrazia pluralista ha comportato l’introduzione del suffragio universale.<br />

L’art. 48 della Costituzione italiana afferma che sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che abbiano<br />

raggiunto la maggiore età. Questa norma disciplina il cosiddetto ELETTORATO ATTIVO, ovvero la capacità di<br />

votare.<br />

La legge fissa il raggiungimento della maggiore età per esercitare il diritto di voto, ma prescrive allo stesso<br />

tempo un età diversa per l’elezione dei membri del Senato. La Costituzione stabilisce i casi in cui il cittadino<br />

perde la capacità di votare:<br />

1) incapacità civile;<br />

2) effetto di sentenze penali irrevocabili ove previsto;<br />

3) indegnità morale;<br />

Tra le cause di indegnità morale rientrano secondo la legge coloro che hanno un fallimento in corso, che<br />

sono sottoposti a misure di prevenzione da parte delle forze di polizia e che sono sottoposti all’interdizione<br />

temporanea dai pubblici uffici.<br />

L’articolo 48.2 pone alcuni principi circa il diritto di voto:<br />

1) è personale. Vietato quindi il voto per procura;<br />

2) è eguale;<br />

3) è libero. Lo Stato punisce ogni ingerenza o corruzione;<br />

4) è segreto. Al fine di garantirne la libertà;<br />

5) è dovere civico. Non giuridico;<br />

Con la revisione costituzionale del 2000/2001 anche i cittadini italiani residenti all’estero possono esercitare<br />

la capacità di voto al di fuori dei confini dello Stato. E’ stato quindi istituita una “circoscrizione estero” per<br />

l’elezione di 12 deputati e 6 senatori.


Altra cosa è l’ELETTORATO PASSIVO, che consiste nella capacità di essere eletto. La Costituzione fissa due<br />

limiti anagrafici all’elettorato passivo:<br />

1) il compimento del 25° anno per la Camera dei Deputati;<br />

2) il compimento del 40° anno per il Senato;<br />

Per il resto rinvia alla capacità elettorale attiva e alle condizioni di eleggibilità.<br />

4.7.3. Ineleggibilità e incompatibilità parlamentari<br />

L’INELEGGIBILITA’ PARLAMENTARE consiste in un impedimento giuridico a costituire un valido rapporto<br />

elettorale per chi si trova in una delle cause ostative previste dalla legge.<br />

L’INCOMPATIBILITA’ invece è quella della situazione giuridica in cui il soggetto, validamente eletto, non può<br />

cumulare nello stesso tempo la funzione di parlamentare con altra carica.<br />

Diverso è il fondamento giuridico che sta alla base delle due figure:<br />

1) ineleggibilità: mirano a garantire la libertà di voto e la parità di chances tra i candidati;<br />

2) incompatibilità: sono volte ad assicurare l’imparziale esercizio delle funzioni connesse alla carica<br />

elettiva;<br />

Diversi sono gli effetti di queste istituti:<br />

1) ineleggibilità: determina la nullità dell’elezione;<br />

2) incompatibilità: producono la decadenza del titolare della carica elettiva qualora non faccia venire<br />

meno la causa. Quindi possono essere rimosse attraverso l’opzione;<br />

La norma costituzionale sulle ineleggibilità e incompatibilità parlamentari (art. 65.1) rimanda alla legislazione<br />

ordinaria la determinazione delle relative cause. Tuttavia trattandosi di limitazioni ad un diritto fondamentale,<br />

la Corte Costituzionale ha sempre affermato che l’eleggibilità è la regola e l’ineleggibilità l’eccezione a cui si<br />

può far luogo solo in presenza di validi e ragionevoli motivi.<br />

Le cause di ineleggibilità parlamentari così come normate dal d.P.R. 361/1957 (e successive modifiche)<br />

sono:<br />

1) titolari di cariche di governo di enti locali, funzionari pubblici, alti ufficiali;<br />

2) soggetti aventi rapporti di impiego con Governi esteri;<br />

3) soggetti aventi peculiari rapporti economici con lo Stato;<br />

A queste categorie vanno aggiunti i magistrati inferiori a cui non viene data la possibilità di candidarsi in<br />

collegi comprendenti anche solo una porzione della giurisdizione dei propri uffici, salvo il caso le dimissioni<br />

dall’ufficio precedano di almeno sei mesi l’accettazione di candidatura.<br />

Le cause di ineleggibilità pervenute nel corso del mandato elettivo prendono il nome di INELEGGIBILITA’<br />

SOPRAVVENUTE e vengono considerate alla stregua di incompatibilità.<br />

Figura diversa dalle due viste fin qui è l’INCANDIDABILITA’, introdotta nel 1992, che consiste in una<br />

inidoneità funzionale assoluta non rimovibile dall’interessato. La legge introdotta soprattutto contro i reati di<br />

tipo mafioso è stata ammorbidita dalla Corte Costituzionale limitandola alle sentenze definitive e<br />

introducendo la sospensione dalla carica fino a questo momento.<br />

4.7.4. Disciplina delle campagne elettorali<br />

In un sistema democratico, la libertà di scelta dell’elettore e la parità di chances dei candidati costituiscono<br />

principi irrinunciabili (artt. 48-50 della Cost.). Una parte importante della legislazione elettorale di contorno<br />

ha proprio l’obiettivo di disciplinare la fase che precede la votazione vera e propria con l’obiettivo di<br />

assicurare che il voto sia la genuina espressione della scelta popolare e l’eguaglianza di opportunità dei<br />

candidati.


Con la legge 515/93 e poi con la legge 28/00 anche nell’ordinamento della Repubblica si è proceduto alla<br />

disciplina dell’accesso all’informazione in campagna elettorale. Si parla di parità di accesso ai mezzi di<br />

informazione, del regime delle spese elettorali per i singoli candidati e i raggruppamenti, di limiti alla<br />

diffusione di messaggi elettorali e di un sistema sanzionatorio relativo (“par condicio”). Con la modifica del<br />

2000 viene introdotto il principio di parità di accesso all’informazione anche al di fuori della campagna<br />

elettorale e l’obbligatorietà per i mezzi di informazione pubblica di offrire programmi di comunicazione<br />

politica.<br />

4.7.5. Il finanziamento della politica<br />

La politica ha costi crescenti nelle odierne democrazie pluralistiche. In una democrazia basata<br />

sull’eguaglianza di tutti i cittadini occorre evitare che solo chi detiene il controllo di ingenti risorse<br />

economiche possa conquistare la titolarità del potere politico. Da qui la tendenza ad introdurre forme di<br />

FINANZIAMENTO PUBBLICO dei partiti e dei candidati, in modo da assicurare a tutti i soggetti politici pari<br />

opportunità nella competizione elettorale.<br />

Risale alla legge 157/1999 (modificata nel 2002) l’ultima revisione della normativa relativa al finanziamento<br />

pubblico dei partiti in italia. Questo dispositivo prevede:<br />

a) il rimborso delle spese elettorali sostenute da partiti e movimenti politici per le elezioni del<br />

Parlamento, Parlamento Europeo, Consigli Regionali e per le consultazioni referendarie a carico del<br />

bilancio dello Stato nella misura, per ogni anno di legislatura, di un euro per elettore della Camera<br />

dei Deputati;<br />

b) il riparto dei fondi secondo criteri diversi in base al tipo di competizione elettorale. Per la Camera il<br />

fondo è ripartito in maniera proporzionale tra i gruppi che abbiano superato l’1%;<br />

4.7.6. I sistemi elettorali<br />

Il SISTEMA ELETTORALE è il meccanismo attraverso cui i voti espressi dagli elettori si trasformano in seggi.<br />

Il sistema elettorale si compone di 3 parti:<br />

1) il tipo di scelta che spetta all’elettore. A seconda della disciplina elettorale adottata, può essere una<br />

scelta categorica o ordinale;<br />

2) la dimensione del COLLEGIO, nel cui ambito viene preso in considerazione il voto per la ripartizione<br />

dei seggi. Si distingue in collegio unico per l’intero territorio nazionale (il caso del Knesset Israeliano)<br />

oppure in più collegi che suddividono il territorio ed esprimono ciascuno un numero predeterminato<br />

di eletti. Se gli eletti sono più di uno si parla di collegio PLURINOMINALE, altrimenti UNINOMINALE.<br />

Già questi fattori permettono di distinguere tra sistemi selettivi (collegi piccoli con pochi eletti) o<br />

proiettivi (collegi grandi con molti eletti);<br />

3) la FORMULA ELETTORALE, che è il meccanismo attraverso cui si procede sulla base dei voti al<br />

riparto dei seggi;<br />

Tenendo conto della formula elettorale, i sistemi elettorali si distinguono in maggioritari e proporzionali:<br />

a) nei SISTEMI ELETTORALI MAGGIORITARI il seggio in palio è attributo a chi ottiene la maggioranza<br />

dei voti. In questo caso i voti confluiti su altri candidati rispetto a quello risultato maggioritario non<br />

contano nulla ai fini dell’attribuzione dei seggi. Si distingue se la maggioranza richiesta è ASSOLUTA,<br />

e la votazione si svolge su due turni di cui il secondo, eventuale, di ballottaggio, oppure è RELATIVA,<br />

e quindi su turno unico.<br />

b) I SISTEMI ELETTORALI PROPORZIONALI sono quelli in cui i seggi in palio sono distribuiti a seconda<br />

della quota di voti ottenuta da ciascuna lista che abbia superato una percentuale minima detta<br />

QUOZIENTE ELETTORALE. Una volta attribuiti i seggi a ciascuna lista, i candidati eletti risulteranno<br />

in base al meccanismo di voto che può essere a preferenza (singola o multipla) per cui risultano<br />

eletti i candidati della medesima lista più votati oppure solo sul contrassegno, presupponendo che la<br />

lista dei candidati sia preordinata dal partito (LISTA BLOCCATA).<br />

Le formule elettorali proporzionali sono accomunate dal fine di ripartire i seggi tra le liste concorrenti in<br />

proporzione ai voti conseguiti da ciascuna di esse. Numerose sono però le formule attraverso cui tale<br />

risultato è raggiunto. Le più utilizzate sono il metodo d’Hont e il metodo del quoziente.


Il METODO D’HONT funziona nel modo seguente: il totale dei voti riportati da ciascuna lista nel collegio<br />

prende il nome di CIFRA ELETTORALE. La cifra elettorale è divisa per 1, per 2 e così via fino al numero di<br />

seggi da ripartire, quindi si scelgono fra i QUOZIENTI così ottenuti i più alti in numero eguale ai deputati da<br />

eleggere e si collocano in una graduatoria decrescente.<br />

Il METODO DEL QUOZIENTE funziona nel modo seguente: il totale dei voti validi riportati da tutte le liste<br />

costituisce la CIFRA DEL QUOZIENTE GENERALE, viene divisa per il numero di seggi ottenendo il<br />

QUOZIENTE ELETTORALE; si divide quindi la CIFRA ELETTORALE DI CIASCUNA LISTA per il quoziente<br />

elettorale, il risultato corrisponde al numero di seggi attribuito alla lista.<br />

Un sistema maggioritario ha un EFFETTO SELETTIVO, nel senso che l’accesso alle aule parlamentari viene<br />

consentito esclusivamente a chi ottiene più voti nei collegi, cioè solo alle forze politiche maggiori. Viceversa<br />

un sistema proporzionale garantisce l’accesso al Parlamento anche alle minoranze politiche, avendo come<br />

obiettivo quello di fotografare la realtà del paese. Quindi quest’ultimo sistema si definisce con EFFETTO<br />

PROIETTIVO. In alcuni sistemi proporzionali la selettività viene introdotta mediante la CLAUSOLA DI<br />

SBARRAMENTO (Sperrklausel) in virtù della quale possono accedere alla ripartizione dei seggi solo quelle<br />

liste che abbiano superato uno sbarramento. In Germania questo sbarramento è fissato al 5% a livello<br />

nazionale. Un altro modo di coniugare formule proporzionali ed effetto selettivo è l’introduzione di un<br />

PREMIO DI MAGGIORANZA.<br />

Si può quindi osservare che il sistema elettorale influenza l’assetto del sistema politico, e quindi il<br />

funzionamento del Governo. Il sistema elettorale nello specifico influenza il numero di partiti e i rapporti di<br />

forza tra loro. Da queste considerazioni deriva la teoria dell’INGEGNERIA COSTITUZIONALE, ovvero dalla<br />

possibilità di modificare un sistema politico, e tutto ciò che ne consegue, introducendo una norma piuttosto<br />

di un’altra.<br />

4.7.7. Il sistema elettorale in italia<br />

Sino al 1993 le due Camere del parlamento erano elette con un sistema proporzionale. Il meccanismo<br />

elettorale italiano assicurava la sopravvivenza delle forze politiche, evitava la concentrazione di potere nelle<br />

forze maggioritarie e spingeva verso ampi accordi nell’ambito parlamentare. In sostanza un parlamentarismo<br />

compromissorio.<br />

Con il referendum elettorale del 1993, con oltre il 90% di voti favorevoli, è stato introdotto il sistema<br />

elettorale maggioritario, trasformando il paese in una DEMOCRAZIA MAGGIORITARIA.<br />

La disciplina per l’ELEZIONE DELLA CAMERA dei deputati prevede che 475 seggi (poco più del 75%) siano<br />

attribuiti in altrettanti collegi uninominali, mentre i restanti, meno 12 ora attribuiti alla circoscrizione estero,<br />

siano attribuiti con il sistema proporzionale. Per realizzare questo meccanismo il territorio nazionale è stato<br />

diviso in 26 circoscrizioni elettorali a cui è attribuito un certo numero di seggi in base alla popolazione, di<br />

questi il 75% uninominali e il restante proporzionale. Il voto si esprime mediante due schede separate, una<br />

per l’uninominale con i cognomi e nomi dei candidato per il collegio e i contrassegni collegati e una per il<br />

proporzionale con il contrassegno di tutti i gruppi che partecipano alla competizione elettorale in quella<br />

circoscrizione.<br />

L’UFFICIO CENTRALE CIRCOSCRIZIONALE presso la Corte d’Appello del capoluogo proclama eletto per<br />

ciascun collegio uninominale il candidato che abbia ottenuto il maggior numero di voti validi. Proclama poi gli<br />

eletti nella quota proporzionale secondo il seguente meccanismo: viene calcolata la cifra elettorale<br />

circoscrizionale di ogni lista che risulta essere la somma di tutti i voti validi espressi in tutte le sezioni<br />

elettorali della circoscrizione per ciascuna lista sottratta, per ciascun collegio uninominale facente parte della<br />

circoscrizione ove sia risultato eletto un candidato appartenente alla lista in esame, di un numero di voti pari<br />

a quello conseguito dal primo dei non eletti in quel collegio aumentato di una unità. Questo sistema viene<br />

definito SCORPORO ed è finalizzato a rendere più proporzionale il risultato della ripartizione dei seggi.<br />

L’UFFICIO CENTRALE NAZIONALE, costituito presso la Corte di Cassazione, determina la CIFRA ELETTORALE<br />

NAZIONALE di ciascuna lista, risultante dalla somma delle cifre elettorali circoscrizionali. Si stabiliscono le<br />

liste che non abbiano superato la CLAUSOLA DI SBARRAMENTO del 4% a livello nazionale, escluse dal


iparto conseguente, e si procede alla ripartizione seguendo il METODO DEL QUOZIENTE. I resti eventuali<br />

sono attribuiti con il metodo dei più forti resti.<br />

Leggermente diverso è il metodo adottato per l’ELEZIONE DEL SENATO. Poco più di ¾ dei seggi (pari a 232)<br />

sono attribuiti con il sistema maggioritario, mentre la parte restante è attribuita con metodo proporzionale<br />

nell’ambito di ciascuna Regione. 6 seggi sono attribuiti alla circoscrizione estero.<br />

Il Senato è eletto su base regionale e a ciascuna Regione è attribuito un numero di seggi in base alla<br />

popolazione residente. ¾ di questi sono individuati in collegi uninominali, i restanti in quota proporzionale su<br />

di un’unica circoscrizione elettorale comprendente l’intero territorio nazionale.<br />

L’elettore dispone di un voto che può attribuire ad uno dei candidati del collegio uninominale e al<br />

contrassegno collegato. Ogni candidato a collegio uninominale deve dichiarare il collegamento ad altri<br />

candidati della stessa Regione (almeno 3) per costituire un gruppo e partecipare al riparto proporzionale.<br />

La proclamazione degli eletti uninominali avviene allo stesso modo della Camera, mentre per la quota<br />

proporzionale si procede come segue: l’UFFICIO ELETTORALE REGIONALE determina la cifra elettorale di<br />

ciascun gruppo sulla base del voti validi espressi a favore della stessa in tutte le sezioni della Regione<br />

sottratti dei voti ottenuti dai candidati del medesimo gruppo risultati eletti in collegi uninominali. Espletata<br />

questa funzione, tramite il metodo d’Hont, viene divisa la cifra elettorale in funzione dei seggi da attribuire e<br />

si individuano i quozienti più elevati ottenuti dai candidati in graduatoria decrescente e sempre pari al<br />

numero di seggi a disposizione.<br />

A ciascun gruppo spettano tanti seggi quanti sono i quozienti compresi nella suddetta graduatoria e vengono<br />

ripartiti all’interno del medesimo gruppo sulla base della CIFRA INDIVIDUALE, ovvero in base a una<br />

graduatoria decrescente che tenga conto solo del risultato percentuale del candidato nel singolo collegio.<br />

Ovviamente non partecipano al riparto i candidati risultati eletti in quota uninominale.<br />

4.7.8. Le elezioni del Parlamento europeo<br />

Le elezioni del Parlamento europeo sono svolte a partire dal 1979 sulla base di leggi elettorali diverse per<br />

ciascuno Stato. In italia è regolato dalla legge 18/78, unico esempio di norma elettorale ancora puramente<br />

proporzionale. I seggi a disposizione sono ripartiti su 5 macro-circoscrizioni in base al metodo del quoziente<br />

e i resti vengono trattati con il metodo dei resti più alti.<br />

4.7.9. La verifica dei poteri e il contenzioso elettorale<br />

La VERIFICA DEI POTERI è lo specifico procedimento che ciascuna camera svolge per controllare la<br />

regolarità delle operazioni elettorali. A decidere se convalidare o meno la tornata elettorale è la GIUNTA PER<br />

LE ELEZIONI che fa la sua proposta all’Assemblea cui spetta la decisione definitiva e non impugnabile. Nel<br />

caso delle elezioni regionali il meccanismo è analogo ma le deliberazioni del Consiglio in materia sono<br />

impugnabili di fronte alla magistratura ordinaria. Diverso per il Parlamento europeo nel qual caso la legge<br />

attribuisce al TAR del Lazio l’arbitrato per le controversie elettorali e alla Corte d’Appello competente le<br />

determinazioni in materia di incompatibilità e ineleggibilità.


5.0. L’organizzazione costituzionale in italia<br />

5.1. La forma di governo: fiducia e maggioranza<br />

La FORMA DI GOVERNO ITALIANA delineata dalla Costituzione è una forma di GOVERNO PARLAMENTARE A<br />

DEBOLE RAZIONALIZZAZIONE.<br />

La razionalizzazione costituzionale del rapporto di fiducia (art. 94) è diretta a garantire la STABILITA’ DEL<br />

GOVERNO. La Costituzione contempla la MOZIONE DI SFIDUCIA, precisando che deve essere motivata e<br />

votata per APPELLO NOMINALE. Quest’ultima norma è volta ad impedire l’azione dei cosiddetti FRANCHI<br />

TIRATORI. La stessa mozione deve essere firmata da almeno 1/10 dei deputati e non può essere messa in<br />

discussione prima che siano trascorsi 3 giorni dalla data di presentazione.<br />

Il voto contrario di una delle due camere non comporta la sfiducia (art. 94.4). Tuttavia la richiamata<br />

razionalizzazione della fiducia non ha mai operato e quindi non ha dato alcun contributo alla stabilità di<br />

Governo, in quanto nell’esperienza repubblicana le crisi di Governo sono nate non già a seguito della<br />

presentazione di una mozione di sfiducia bensì a causa della rottura degli accordi tra i partiti che davano vita<br />

alla maggioranza di governo.<br />

L’ordinamento costituzionale non prevede soltanto l’istituto della sfiducia, ma anche quello della fiducia,<br />

ovvero della palese accettazione da parte del Parlamento dell’esecutivo nominato entro 10 giorni dal suo<br />

giuramento tramite voto nominale (art. 94.3). Si configura una MAGGIORANZA POLITICA che non è più solo<br />

aritmetica al fine delle votazioni parlamentari, ma una maggioranza stabile che si aggrega attorno ad un<br />

determinato indirizzo politico e che pertanto si impegna politicamente a realizzarlo.<br />

Infatti la Cost. fa esplicito riferimento a una MOZIONE DI FIDUCIA motivata, il che prefigura un accordo<br />

politico con un indirizzo politico, e al voto nominale palese, ovvero una precisa assunzione di responsabilità<br />

dei singoli parlamentari e dei gruppi nei confronti del corpo elettorale. Così in un Parlamento di partiti, come<br />

quello italiano, si crea una divisione fondamentale tra la maggioranza politica e la minoranza (o le<br />

minoranze) che presuppone nella sostanza che il rapporto di fiducia lega il Governo solo alla maggioranza<br />

piuttosto che all’intero Parlamento.<br />

La QUESTIONE DI FIDUCIA può essere posta da un governo in carica su sua iniziativa relativamente a un<br />

DdL per richiederne l’approvazione parlamentare. Nel caso il DdL posto in votazione con la questione di<br />

fiducia dovesse essere bocciato dal Parlamento, lo stesso Governo verrebbe automaticamente sfiduciato.<br />

5.2. Trasformazione del sistema politico e della forma di governo<br />

La realtà socio-politica ideologizzata e divisa geograficamente ha dato origine ad un SISTEMA POLITICO A<br />

MULTIPARTITISMO ESASPERATO, intendendosi non solo un elevato numero di partiti ma anche una<br />

notevole distanza politica tra loro. Esisteva una convenzione tacita (CONVENTIO AD EXCLUDENDUM), per<br />

esempio, che ha escluso per molti anni taluni partiti dalla formazione dei governi: quei partiti estremi,<br />

sull’una e sull’altra ala, non erano ritenuti utilizzabili. Le caratteristiche del sistema politico impedivano<br />

l’affermazione di una democrazia maggioritaria e richiamavano sempre più una democrazia consociativa.<br />

In questo contesto:<br />

a) erano impraticabili sia la dinamica bipolare del sistema politico, con la contrapposizione<br />

maggioranza-minoranza, sia l’investitura popolare diretta del Governo;<br />

b) erano esclusi dalle maggioranze i due poli estremi; i governi si imperniavano sempre sulla DC a<br />

causa della sua forza parlamentare e delle sue caratteristiche ideologiche e sociali tali da renderla<br />

compatibile con qualsiasi altro partito;<br />

c) le maggioranza venivano formate dopo la consultazione elettorale e potevano finire per attrarre<br />

anche l’80% delle forze parlamentari con una netta tendenza consociativa;


A cavallo tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 il sistema politico è mutato. Con il cammino di<br />

unificazione europea cominciavano a farsi sentire i vincoli internazionali per una finanza pubblica “sana”, su<br />

cui non si è più potuto riversare il costo economico e sociale del compromesso politico tra i partiti e i gruppi<br />

sociali. La fine dei blocchi contrapposti e la fine della guerra fredda, sancita con il crollo del Muro di Berlino,<br />

ha iniziato il processo di crisi delle ideologie. Il rifiuto del vecchio consociativismo politico ha fatto il resto<br />

portando con il Referendum del 1993, che nella forma modificava soltanto la legge elettorale, a una nuova<br />

forma di governo nel paese.<br />

La riforma maggioritaria del sistema elettorale ha di fatto portato a un sistema bipolare tendente al<br />

parlamentarismo maggioritario, dove i partiti sono cambiati, il loro numero ridotto rispetto al passato e<br />

condizionamento ideologico sfumato.<br />

5.3. La formazione della coalizione<br />

La Costituzione prevede che una maggioranza governi il paese. In un sistema pluripartitico come quello<br />

italiano nessun singolo gruppo politico gode della maggioranza assoluta dei seggi al Parlamento, quindi la<br />

maggioranza sarà necessariamente formata attraverso l’accordo tra più partiti ovvero sarà una COALIZIONE.<br />

Pertanto il Governo che si basa sulla fiducia di un’unica forza politica si chiamerà GOVERNO MONOCOLORE,<br />

su più forze politiche tra loro coalizzate GOVERNO DI COALIZIONE.<br />

Diverso è se le COALIZIONI sono costituite DAVANTI AL CORPO ELETTORALE oppure in SEDE<br />

PARLAMENTARE.<br />

5.4. Le crisi di governo<br />

La CRISI DI GOVERNO consiste nella presentazione delle dimissioni del Governo causate dalla rottura del<br />

rapporto di fiducia tra il Governo da una parte ed il Parlamento dall’altra. Tradizionalmente si suole<br />

distinguere le CRISI PARLAMENTARI dalle CRISI EXTRA-PARLAMENTARI. Le prime sono motivate<br />

dall’approvazione di una mozione di sfiducia o dalla mancata approvazione della fiducia e sono quindi atti<br />

giuridicamente obbligatori. Le seconde sono motivate dalle volontarie dimissioni dell’esecutivo per ragioni<br />

interne alla maggioranza che lo sostiene. Simile è il caso delle dimissioni del solo Presidente del Consiglio.<br />

Nella storia repubblicana italiana la maggior parte delle crisi sono state extra-parlamentari, cioè consumate<br />

al di fuori del dibattito pubblico parlamentare. Per ovviare questa mancanza di trasparenza politica, a partire<br />

dagli anni ’80 ci fu il tentativo da parte dei Presidenti della Repubblica definito della<br />

PARLAMENTARIZZAZIONE DELLE CRISI. Ovvero dell’obbligo per il governo volontariamente dimissionario di<br />

presentarsi a una delle due camere per motivare la sue scelte.<br />

L’assenza di prassi e convenzioni che assicurino un certo grado di durata alle coalizioni influisce sulla<br />

STABILITA’ DEL GOVERNO. Il potere dei partiti di recedere dagli accordi di maggioranza aprendo la crisi ha<br />

determinato la notevole instabilità dei governi italiani.<br />

Anche se non esplicitamente previsto dal trattato Costituzionale (art. 94 parla di sfiducia all’intero governo),<br />

la prassi parlamentare ha finito per accettare la possibilità della SFIDUCIA INDIVIDUALE nei confronti di un<br />

singolo ministro.<br />

5.5. Il Governo<br />

Il GOVERNO è un organo costituzionale complesso formato dal Presidente del Consiglio dei Ministri e<br />

dall’organo collegiale Consiglio dei Ministri. Il Governo esercita una quota rilevante dell’attività di indirizzo<br />

politico, della funzione esecutiva oltre che a poteri normativi.


Oltre ai delicati equilibri su cui si regge la forma di governo, altri fattori in grado di influenzarne ruolo e<br />

funzioni sono:<br />

• la spinta verso il decentramento, o federalismo, o sussidiarietà;<br />

• la tendenza a ridurre la presenza pubblica nell’economia di mercato;<br />

• il trasferimento di importanti funzioni economiche al livello comunitario della UE;<br />

5.5.1. Le regole giuridiche del Governo<br />

Il diverso atteggiarsi del ruolo del Governo, e delle sue modalità di formazione e di funzionamento, è stato<br />

reso possibile dall’elasticità della disciplina costituzionale che lo riguarda:<br />

• formazione del governo, artt. 92.2, 93 e 94: Presidente della Repubblica nomina il Presidente del<br />

Consiglio e i ministri, questi ultimi su indicazione del Presidente del Consiglio. L’intero Governo giura<br />

nelle mani del Capo dello Stato ed entro 10 giorni si presenta alle camere per ottenere la fiducia. La<br />

fiducia è accordata e revocata mediante mozione motivata votata per appello nominale;<br />

• struttura, art. 92.1: cita soltanto gli organi governativi necessari, ovvero Presidente del Consiglio e<br />

Ministri che assieme danno vita al Consiglio dei Ministri, non escludendo possano esserne creati altri.<br />

Gli organi governativi non necessari sono, per esempio, la Vice-presidenza del Consiglio, i ministri<br />

senza portafoglio, i sottosegretari di Stato, i comitati interministeriali e il Consiglio di gabinetto;<br />

• funzionamento, art. 95: il quale rinvia poi alla LEGGE SULL’ORDINAMENTO DELLA PRESIDENZA DEL<br />

CONSIGLIO DEI MINISTRI approvata solamente nel 1988 (legge 400/88) e ulteriormente<br />

regolamentata con il D.Lgs. 300 e 303 del 1999;<br />

• rapporti con la PA, artt. 95, 97 e 98;<br />

5.5.2. Unità e omogeneità del Governo<br />

Il problema cruciale del sistema parlamentare è come assicurare l’unità ed omogeneità del governo. In tale<br />

sistema il Governo si configura come un soggetto politicamente unitario, responsabile politicamente nella sua<br />

unità per l’indirizzo politico che segue e capace di dare attuazione coerente a tale indirizzo, sia nell’attività<br />

che nei rapporti con gli altri organi costituzionali.<br />

Per evitare la possibilità che il sistema si evolvesse nella direzione di un governo forte, i costituenti previdero<br />

che (art. 95):<br />

1. il Presidente del Consiglio dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile;<br />

2. il Presidente del Consiglio mantiene l’unità dell’indirizzo politico ed amministrativo del Governo,<br />

promuovendo e coordinando l’attività dei ministeri;<br />

3. i ministri rispondono collegialmente per gli atti del Consiglio dei ministri e individualmente per gli atti<br />

dei loro ministeri;<br />

Conseguenza di questa impostazione sono 3 principi di organizzazione di Governo:<br />

1. il principio della responsabilità politica di ciascun ministro;<br />

2. il principio della direzione politica collegiale, incentrata sul CdM;<br />

3. il principio della direzione politica monocratica, basata sui poteri del Presidente del Consiglio;<br />

Il reale equilibrio tra questi principi e sistemi non è indicato sulla carta costituzionale, ma è stabilito di volta<br />

in volta dal contesto politico maturato.<br />

5.5.3. La formazione del Governo<br />

La formazione del Governo nelle democrazie pluralistiche può avvenire secondo modalità diverse riconducibili<br />

a due tipi:<br />

• le DEMOCRAZIE MEDIATE, in cui i partiti sono, dopo le elezioni, i reali detentori del potere di<br />

decidere struttura e programma di Governo;<br />

• le DEMOCRAZIE IMMEDIATE, in cui esiste la sostanziale investitura popolare diretta del capo del<br />

Governo.


La forma di governo parlamentare prevista dalla Costituzione esclude che il corpo elettorale possa<br />

formalmente scegliere il Presidente del Consiglio, ma la disciplina costituzionale (artt. 92, 93, 94) è<br />

compatibile con entrambe le modalità.<br />

Nella prassi repubblicana è nata nel corso degli anni una figura non prevista dalla costituzione, cioè quella<br />

dell’INCARICO PER LA FORMAZIONE DEL GOVERNO. Incarico assegnato al potenziale Presidente del<br />

Consiglio dal Presidente della Repubblica affinché il primo fosse nelle condizioni di garantirsi una<br />

maggioranza parlamentare e l’assenso dei partiti sulla nomina dei ministri.<br />

5.5.4. Consultazioni e incarico per la formazione del Governo<br />

Dopo l’apertura della crisi di Governo, il Presidente della Repubblica procede alle CONSULTAZIONI – non<br />

previste dalla costituzione – con cui si apre il PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE DEL GOVERNO. Nel giro<br />

delle consultazioni il Presidente della Repubblica incontra i presidenti dei gruppi parlamentari, i leader dei<br />

partiti, i presidenti delle Camere, gli ex-Presidenti della Repubblica e altre personalità ritenuti rilevanti ai fini<br />

della mediazione politica (soprattutto fino all’introduzione della legge elettorale maggioritaria).<br />

L’incarico è conferito oralmente dal Presidente della Repubblica e, di regola, viene accettato con riserva. La<br />

riserva viene sciolta solo dopo che l’incaricato è in grado di presentare la lista dei ministri e il programma di<br />

Governo con il consenso della maggioranza parlamentare.<br />

Questo meccanismo nasce da un particolare interpretazione ormai consuetudinaria della Costituzione (art.92)<br />

in cui si intende che il nome del Presidente del Consiglio e la lista dei ministri debbano essere presentati<br />

contemporaneamente dal Capo dello Stato.<br />

5.5.5. La lista dei ministri, la nomina e il giuramento<br />

Fino a quando la forma di governo ha operato sulla base di coalizioni formate dopo le elezioni, l’attività<br />

dell’incaricato è stata essenzialmente un’attività di mediazione tra i partiti, cui spettava il potere sostanziale<br />

in ordine alla formazione della coalizione, alla scelta dei ministri ed all’individuazione dei contenuti<br />

fondamentali del programma di Governo, svuotando sostanzialmente del proprio contenuto l’art. 92 della<br />

Costituzione.<br />

Esaurita l’attività dell’incaricato e formata la lista dei ministri, il Presidente della Repubblica NOMINA con<br />

proprio decreto il Presidente del Consiglio e quindi, su proposta di quest’ultimo, i ministri. Entro 24 ore<br />

(mediamente) i nominati prestano GIURAMENTO nelle mani del Presidente della Repubblica.<br />

Con il giuramento il Governo è immesso nell’esercizio delle proprie funzioni, in attesa della fiducia<br />

parlamentare. Teoricamente nel lasso di tempo che trascorre tra il primo e il secondo evento, il Governo<br />

dovrebbe limitarsi ad atti di ordinaria amministrazione, come se si trattasse di un governo uscente.<br />

5.5.6. I rapporti tra gli organi del Governo<br />

Per garantire l’unità e l’omogeneità del Governo, la Costituzione fa leva sulla competenza collegiale del<br />

Consiglio dei Ministri a determinare la politica generale del Governo (PRINCIPIO COLLEGIALE) e sulla<br />

competenza del Presidente del Consiglio a dirigere questa politica e mantenere l’unità dell’indirizzo politico e<br />

amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri (PRINCIPIO MONOCRATICO).<br />

Il rispettivo bilanciamento di questi due principi è volto a contrastare gli eccessi di autonomia<br />

autoreferenziale dei ministri (e ministeri), salvaguardandone comunque le competenze proprie. La<br />

costituzione individua esplicitamente solo questi strumenti per il raggiungimento di questo fine:<br />

• il potere del Presidente del Consiglio di proporre al Capo dello Stato la lista dei ministri da nominare;


• il potere di indirizzare DIRETTIVE POLITICHE E AMMINISTRATIVE ai ministri in attuazione della<br />

politica generale del Governo;<br />

• la competenza del Consiglio dei Ministri a deliberare sulle questioni che riguardano la politica<br />

generale dei Governo;<br />

Essendo, nella logica dell’accordo di coalizione, i ministri referenziali ad un partito di Governo risulta<br />

abbastanza chiaro che, avendo a disposizione queste sole prerogative costituzionali, il ruolo del Presidente<br />

del Consiglio, che è stato anche colui che ha mediato per costruire la coalizione, il punto di equilibrio e l’unità<br />

del Governo, risulta fortemente indebolito rispetto all’autonomia dei singoli ministri.<br />

Con la legittimazione popolare introdotta dal sistema elettorale maggioritario, la capacità unificante del<br />

Presidente del Consiglio è cresciuta. Seppure in misura inferiore la mediazione continua ad avvenire non tra<br />

il Presidente del Consiglio e il Consiglio dei Ministri, ma tra i partiti, il Capo del Governo e i ministri.<br />

Comunque e a prescindere, il Presidente del Consiglio non dispone della facoltà di intervenire direttamente<br />

sulla condotta dei singoli ministri. Lo strumento della REVOCA DI UN MINISTRO non è mai stato utilizzato,<br />

sebbene giuridicamente lecito.<br />

5.5.7. L’unità dell’indirizzo politico e amministrativo (L. 400/88)<br />

Con la legge 400/88 si ha la prima razionalizzazione degli strumenti di garanzia dell’unità politica e<br />

amministrativa del Governo:<br />

1) concentrazione delle decisioni relative alla politica generale del Governo nel Consiglio dei Ministri – le<br />

più importanti: a) conflitti di attribuzione; b) iniziativa della fiducia; c) impegni programmatici; d)<br />

DdL; e) decreti legge e legislativi e regolamenti; f) azioni contro altri enti dello Stato; g) politica<br />

internazionale e trattati militari; h) rapporti con la religione; i) le nomine di valenza nazionale;<br />

2) attribuzione al Presidente del Consiglio dei poteri relativi al funzionamento del Consiglio dei Ministri;<br />

3) attribuzione al Presidente del Consiglio di poteri strumentali rispetto al coordinamento delle attività<br />

dei ministri, tra cui: a) sospende atti ministeriali; b) adotta le delibere in attuazione alle direttive<br />

generali del CdM; c) può istituire Comitati di ministri con il compito di esaminare in via preliminare<br />

questioni di comune competenza;<br />

5.5.8. La Presidenza del Consiglio dei Ministri<br />

Per lo svolgimento dei suoi compiti il Presidente del Consiglio dispone di una struttura amministrativa di<br />

supporto, cioè la PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI. Alla presidenza sovraintende un<br />

SEGRETARIATO GENERALE.<br />

5.5.9. Gli organi governativi non necessari<br />

La legge 400/88 ha razionalizzato varie figure di ORGANI GOVERNATIVI NON NECESSARI che erano state<br />

utilizzate dalla prassi precedente:<br />

a) il VICE-PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI che si configura principalmente come una<br />

carica onorifica;<br />

b) il CONSIGLIO DI GABINETTO, per coadiuvare il PdC nell’esercizio delle sue competenze;<br />

c) i COMITATI INTERMINISTERIALI, di due tipi: o per legge o tramite Decreto del PdC. I primi<br />

deliberano in via definitiva sulle materie di competenza;<br />

d) i MINISTRI SENZA PORTAFOGLIO, non preposti a un ministero, svolgono funzioni loro delegate dal<br />

PdC;<br />

e) i SOTTOSEGRETARI DI STATO, coaudiuvano il ministro o il PdC. Sono collaboratori non facenti parti<br />

il CdM. Il Sottosegretario assume le sue funzioni solo dopo il giuramento al PdC;<br />

f) i VICEMINISTRI, ovvero quei sottosegretari cui vengono conferite deleghe relative all’intera<br />

competenza di una o più aree dipartimentali o di più direzioni generali. Possono partecipare al CdM<br />

su richiesta del PdC e del Ministro di riferimento senza diritto di voto;


g) i COMMISSARI STRAORDINARI DI GOVERNO, nominati al fine di realizzare specifici obiettivi in<br />

relazione a programmi del Governo o del Parlamento;<br />

5.5.10. Gli strumenti per l’attuazione dell’indirizzo<br />

Le linee generali dell’indirizzo politico e amministrativo di Governo sono espresse nel PROGRAMMA DI<br />

GOVERNO. Per attuare il suo indirizzo il Governo ha a disposizione una molteplicità di strumenti giuridici:<br />

a) la direzione dell’amministrazione statale;<br />

b) i poteri di condizionamento della funzione legislativa del Parlamento riguardo la programmazione dei<br />

lavori;<br />

c) i poteri normativi di cui è direttamente titolare il Governo, tramite provvedimenti aventi forza di<br />

legge (decreti legge e decreti legislativi);<br />

5.5.11. Settori della politica governativa<br />

Vi sono alcuni settori dell’indirizzo politico che formano oggetto di discipline giuridiche particolari ed in cui si<br />

sviluppano prassi che sostanzialmente concentrano nel Governo il potere decisionale. Sotto questo profilo<br />

meritano di essere ricordati:<br />

a) la POLITICA DI BILANCIO E FINANZIARIA. Questo indirizzo fa capo al MINISTERO DELL’ECONOMIA<br />

E DELLE FINANZE;<br />

b) la POLITICA ESTERA;<br />

c) la POLITICA COMUNITARIA;<br />

d) la POLITICA MILITARE, principalmente rimesso al Governo. La Costituzione ha disciplinato il REGIME<br />

DI EMERGENZA BELLICA con gli artt. 78 e 87 secondo i quali le Camere deliberano lo Stato di guerra<br />

e conferiscono al Governo i poteri necessari, il Capo dello Stato dichiara lo stato di guerra e assume<br />

il comando delle forze armate;<br />

e) la POLITICA INFORMATIVA E DI SICUREZZA. Il PdC può apporre il SEGRETO DI STATO su tutti gli<br />

atti, i documenti, le notizie e le attività la cui diffusione sia idonea a recare danno all’integrità dello<br />

Stato democratico;<br />

5.5.12. Gli organi ausiliari<br />

Gli ORGANI AUSILIARI sono quegli organi cui sono attribuite funzioni di ausilio nel confronti di altri organi, le<br />

quali sono prevalentemente riconducibili a compiti di iniziativa, di controllo e consultivi. Gli organi previsti<br />

dalla Costituzione sono:<br />

a) il CONSIGLIO NAZIONALE DELL’ECONOMIA E DEL LAVORO (art. 99 e in attuazione legge 936/86) è<br />

composto di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive in misura che tengano conto della<br />

loro importanza numerica e qualitativa. I Componenti del CNEL sono 111 oltre al Presidente, di cui<br />

12 rappresentanti del mondo accademico e 99 delle categorie produttive. Sono nominati dal<br />

Presidente della Repubblica su indicazione del CdM e durano in carica 5 anni. La legge 936/86<br />

attribuisce al CNEL la consulenza nei confronti del Governo e delle Camere e l’iniziativa legislativa in<br />

materia economica sociale;<br />

b) il CONSIGLIO DI STATO (art. 100) è organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo ed<br />

organo giurisdizionale di appello della giustizia amministrativa. Si articola in 7 sezioni (4 consultive e<br />

3 giurisdizionali);<br />

c) la CORTE DEI CONTI (art. 100.2) esercita:<br />

1) il controllo preventivo di legittimità su alcuni atti delle amministrazioni statali nonché il controllo<br />

sulla gestione delle amministrazioni in genere (dallo Stato agli EELL);<br />

2) il controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. Sugli esiti del controllo la Corte dei<br />

conti riferisce in Parlamento;<br />

3) partecipa al controllo sulla gestione finanziaria degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria,<br />

anche qualora trasformati in SpA in cui lo Stato risulti azionista prevalente;<br />

4) la funzione giurisdizionale in materia di responsabilità dei pubblici funzionari, di giudizi di conto,<br />

di giudizi in materia di pensioni;


5.6. Il Parlamento, la sua struttura e il bicameralismo perfetto<br />

La struttura del Parlamento può essere bicamerale o monocamerale. La Costituzione italiana ha optato per la<br />

prima alternativa, la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica. La Costituzione (artt. 55-82) ha<br />

optato per un BICAMERALISMO PERFETTO (o paritario), con due Camere dotate delle medesime funzioni,<br />

aventi lievissime differenze strutturali ed ha previsto un lievissimo – e vago – aggancio del Senato al<br />

territorio regionale (art. 57).<br />

Ciascuna Camera può votare la fiducia – o la sfiducia – (art. 94), ma entrambe debbono esprimersi sul<br />

medesimo testo perché il Parlamento lo approvi (art. 70):<br />

• “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”;<br />

Le differenziazioni principali risiedono nella composizione, sia numerica (Camera 630, Senato 315) sia<br />

qualitativa (fino a 5 senatori a vita di nomina del Presidente della Repubblica, almeno 40 anni di anzianità<br />

per essere eletti senatori, 24 deputato e 25 per votare i senatori, 18 i deputati). La durata della<br />

LEGISLATURA è la medesima, ovvero 5 anni.<br />

Il risultato di questa impostazione del bicameralismo paritario è l’appesantimento del processo decisionale<br />

parlamentare.<br />

5.6.1. Il Parlamento in seduta comune<br />

La Costituzione ha previsto anche il PARLAMENTO IN SEDUTA COMUNE, ovvero un organo collegiale<br />

composto da tutti i parlamentari per lo svolgimento di alcune particolari funzioni. E’ considerato un organo<br />

imperfetto, perché non padrone del proprio ordine del giorno e viene infatti riunito per specifici compiti<br />

definiti dalla Costituzione:<br />

1) l’elezione del Presidente della Repubblica (cui partecipano anche i delegati delle Regioni);<br />

2) l’elezione dei 5 giudizi costituzionali;<br />

3) l’elezione di un terzo dei componenti il CSM;<br />

4) la votazione dell’elenco dei cittadini dal quale si sorteggiano i membri “aggregati” alla Corte<br />

Costituzionale per giudicare sulle accuse costituzionali;<br />

5) la messa in stato di accusa del Presidente della repubblica;<br />

E’ presieduto dal Presidente della Camera e vi si applica il medesimo regolamento.<br />

5.6.2. I regolamenti e il ruolo del Parlamento<br />

Tanto l’organizzazione interna del Parlamento quanto lo svolgimento delle sue funzioni trovano la loro<br />

disciplina fondamentale nel testo costituzionale e nei regolamenti parlamentari. A questi ultimi la<br />

Costituzione demanda la disciplina del funzionamento interno di ciascuna Camera e la disciplina del<br />

procedimento legislativo.<br />

Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi membri.<br />

5.6.3. L’organizzazione interna delle Camere: Presidenti e Uffici di<br />

Presidenza<br />

Ciascun ramo del Parlamento ha un’organizzazione complessa, dove agiscono diversi organi: il presidente<br />

d’assemblea, l’ufficio di presidenza, le commissioni, i gruppi parlamentari, la conferenza dei capigruppo.<br />

I due PRESIDENTI DELL’ASSEMBLEA rappresentano rispettivamente la Camera dei deputati e il Senato della<br />

Repubblica e hanno il compito di regolare l’attività di tutti i loro organi facendo osservare il regolamento. Il


Presidente della Camera presiede il Parlamento in seduta comune, il Presidente del Senato supplisce il<br />

Presidente della Repubblica ai sensi dell’art. 86 della Costituzione. Entrambi devono essere sentiti dal Capo<br />

dello Stato prima di procedere allo scioglimento delle Camere.<br />

Successivamente all’elezione dei Presidenti, le Camere provvedono all’elezione dei vice-presidenti, dei<br />

deputati e senatori questori e dei segretari, che costituiscono l’Ufficio di Presidenza.<br />

5.6.4. I gruppi parlamentari<br />

Un ruolo fondamentale nell’organizzazione di ciascuna camera è svolto dai GRUPPI PARLAMENTARI. Ovvero<br />

le unioni dei membri di una Camera che si costituiscono con un organizzazione stabile e disciplina di gruppo.<br />

La Costituzione si limita negli artt. 72 e 82 a stabilire che le commissioni devono rispecchiare la consistenza<br />

dei gruppi parlamentari nella Camera di riferimento.<br />

Entro pochi giorni dall’insediamento delle Camere tutti i parlamentari devono dichiarare il gruppo cui<br />

intendono appartenere. Quei parlamentari che non aderiscono ad alcun gruppo parlamentare confluiscono<br />

nel GRUPPO MISTO.<br />

Tale disciplina si spiega alla luce del ruolo fondamentale che hanno i gruppi parlamentari nel funzionamento<br />

del Parlamento. Quest’ultimo più che un organo formato dai singoli parlamentari, come avveniva<br />

nell’Ottocento, è un’istituzione che si basa per il suo funzionamento sulla dimensione collettiva,<br />

rappresentata dai gruppi parlamentari. Almeno con due risultati:<br />

1) rafforzare il collegamento tra i partiti e il Parlamento;<br />

2) salvaguardare l’efficienza decisionale del Parlamento;<br />

In questa prospettiva si inseriscono le previsioni regolamentari che attribuiscono poteri significativi ai<br />

presidenti dei gruppi parlamentari:<br />

a) i presidenti dei gruppi danno vita alla CONFERENZA DEI PRESIDENTI DEI GRUPPI PARLAMENTARI<br />

che ha poteri determinanti sull’organizzazione dei lavori dell’Assemblea;<br />

b) alla Camera i presidenti dei gruppi possono azionare tutta una serie di poteri procedurali che<br />

altrimenti necessiterebbero della richiesta da parte di un certo numero di parlamentari;<br />

c) al gruppo è attribuito il potere di designare i membri che faranno parte delle commissioni<br />

parlamentari;<br />

I presidenti dei gruppi vengono sentiti dal Capo dello Stato nel corso delle consultazioni per la risoluzione<br />

delle crisi di Governo. I PARTITI POLITICI sono, sotto il profilo giuridico, delle semplici associazioni private<br />

non riconosciute e come tali non possono essere consultate dalla massima carica dello Stato nel<br />

procedimento di formazione di un’altra istituzione chiave: il Governo. I gruppi diventano perciò l’unica<br />

proiezione dei partiti sul piano delle istituzioni.<br />

5.6.5. Commissioni parlamentari e Giunte<br />

Le COMMISSIONI PARLAMENTARI sono organi collegiali che possono essere permanenti o temporanei,<br />

monocamerali o bicamerali. La costituzione sia delle Giunte che delle Commissioni deve avvenire in modo da<br />

rispecchiare la proporzione dei vari gruppi parlamentari.<br />

Le commissioni parlamentari temporanee (art. 82 della Costituzione) assolvono compiti specifici e durano in<br />

carica il tempo stabilito per l’adempimento della loro particolare funzione. Le commissioni permanenti sono<br />

invece organi necessari di ciascuna Camera, titolari di importanti poteri nell’ambito del procedimento<br />

legislativo. Esercitano funzioni di indirizzo, controllo e informazione anche in sede consultiva.<br />

Ciascuna commissione permanente ha competenza in una determinata materia.<br />

Le COMMISSIONI BICAMERALI sono formate in parte eguale da rappresentanti delle due Camere. La<br />

Costituzione prevede espressamente una sola commissione bicamerale (art. 126): quella per le questioni<br />

regionali, modificata dalla riforma del Titolo V del 2001.


Sono state nel corso degli anni istituite commissioni bicamerali con poteri di controllo, di indirizzo e vigilanza:<br />

• il Comitato per i servizi di sicurezza;<br />

• la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi;<br />

Le GIUNTE sono organi collegiali previsti dai regolamenti parlamentari per l’esercizio di funzioni diverse da<br />

quelle legislative e di controllo:<br />

a) per l’esercizio di compiti di garanzia della corretta osservanza del regolamento e di elaborazione di<br />

proposte di modifica dello stesso (giunta per il regolamento);<br />

b) per la verifica dell’assenza di cause di ineleggibilità e di incompatibilità e per la garanzia delle<br />

prerogative parlamentari (giunta delle elezioni e giunta delle autorizzazioni a procedere);<br />

5.6.6. Il funzionamento del Parlamento: durata e regole decisionali<br />

La durata in carica delle due Camere è pari a 5 anni. La stessa Costituzione prevede che le funzioni della<br />

Camera dei deputati e del Senato possano essere esercitate anche al di là del termine di scadenza nel caso<br />

della prorogatio (art. 61.2) o della proroga con legge (art. 60.2) disposta solo in caso di guerra.<br />

La PROROGATIO è un istituto in virtù del quale l’organo scaduto non cessa di esercitare le sue funzioni fino a<br />

quando non si sia provveduto al suo rinnovo.<br />

Per la VALIDITA’ DELLE SEDUTE del Parlamento la Costituzione richiede la maggioranza dei componenti,<br />

cioè significa che il numero legale (quorum strutturale) della seduta si raggiunge con la partecipazione alla<br />

stessa della metà più uno dei deputati o dei senatori. Per la VALIDITA’ DELLE DELIBERAZIONI è richiesta,<br />

salvo diverse previsioni costituzionali, la maggioranza dei presenti (quorum funzionale).<br />

I regolamenti di Camera e Senato dettano disposizioni differenti circa il computo delle ASTENSIONI. Alla<br />

Camera sono computati ai fini del numero legale, ma sono considerati non presenti nel computo della<br />

maggioranza richiesta per l’approvazione. Al Senato chi è intenzionato ad astenersi si allontana fisicamente<br />

dall’aula, così da raggiungere un risultato analogo a quello ottenuto alla Camera.<br />

In ordine alle modalità di voto, la regola generale è quella del VOTO PALESE, l’eccezione è il VOTO<br />

SEGRETO.<br />

Per regola generale le sedute delle Camere sono pubbliche.<br />

5.6.7. Le prerogative parlamentari<br />

Con l’espressione PREROGATIVE PARLAMENTARI si fa riferimento agli istituti, che in deroga al diritto<br />

comune, mirano a salvaguardare il libero e ordinato esercizio delle funzioni parlamentari, ponendole al riparo<br />

dai condizionamenti che altri poteri dello Stato potrebbero esercitare.<br />

Le prerogative non sono privilegi dei singoli, ma garanzie dell’indipendenza del Parlamento, con la<br />

conseguenza che sono irrinunciabili e indisponibili da parte del singolo parlamentare.<br />

L’art. 68 della Costituzione prevede due distinti istituti:<br />

1) l’INSIDACABILITA’ in qualsiasi sede (penale, civile, disciplinare) per le opinioni espresse e i voti dati<br />

nell’esercizio delle funzioni parlamentari;<br />

2) l’IMMUNITA’ PENALE, in virtù della quale il parlamentare non può essere sottoposto a misure<br />

restrittive della libertà personale o domiciliare senza la previa autorizzazione della Camera di<br />

appartenenza;<br />

La prima ha efficacia anche al termine del mandato, la seconda termina con la legislatura.


5.6.8. Gli interna corporis<br />

Le prerogative dei parlamentari si fondano sull’esigenza di garantire l’autonomia e l’indipendenza<br />

costituzionale delle Camere.<br />

Ogni Camera è quindi dotata di AUTONOMIA NORMATIVA, di AUTONOMIA CONTABILE, e di AUTODICHIA,<br />

ossia della giurisdizione esclusiva per ciò che riguarda i ricorsi relativi ai rapporti di lavoro con i dipendenti.<br />

La medesima esigenza sta alla base del principio di insindacabilità degli INTERNA CORPORIS ACTA, che<br />

consiste nella sottrazione a qualsiasi controllo esterno degli atti e dei procedimenti che si svolgono all’interno<br />

delle assemblee parlamentari.<br />

5.6.9. La funzione legislativa del Parlamento<br />

L’art. 70 della Cost. afferma che “la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Gli<br />

articoli dal 71 al 74 descrivono la modalità con cui viene esercitata la funzione.<br />

La QUESTIONE DI FIDUCIA può essere posta su qualsiasi deliberazione tranne quelle relative al<br />

funzionamento interno delle Camere stesse.<br />

Con l’approvazione della questione di fiducia su un provvedimento, viene confermata la fiducia all’esecutivo,<br />

viene deliberato il testo del provvedimento e vengono respinti automaticamente tutti gli emendamenti<br />

presentati al testo. Così la questione di fiducia diventa anche un espediente per accelerare il procedimento<br />

parlamentare.<br />

5.6.10. La funzione parlamentare di controllo<br />

La FUNZIONE PARLAMENTARE DI CONTROLLO si concretizza in singoli istituti di diritto parlamentare il cui<br />

comune denominatore è quello di essere diretti a far valere la responsabilità politica del Governo nei<br />

confronti del Parlamento:<br />

• l’INTERROGAZIONE è una domanda che un parlamentare rivolge, per iscritto, al Governo avente ad<br />

oggetto la veridicità o meno di un determinato fatto;<br />

• nell’INTERPELLANZA l’interpellante chiede, per iscritto, di conoscere quale sia l’intenzione politica del<br />

Governo, in riferimento a un fatto o a una determinata situazione, date – queste ultime – per<br />

scontate;<br />

I regolamenti parlamentari dispongono che il Governo può dichiarare di non poter rispondere – motivando –<br />

oppure può differire la risposta, indicando la data entro cui fornirà una risposta. L’interrogazione può<br />

chiedere di ricevere risposta scritta.<br />

Nel corso degli anni ’80 sono state introdotte nel nostro ordinamento le INTERROGAZIONI A RISPOSTA<br />

IMMEDIATA. Si tratta di interrogazioni aventi ad oggetto una sola domanda la quale fa riferimento ad un<br />

argomento di rilevanza generale, urgente e di particolare attualità politica.<br />

5.6.11. Atti parlamentari di indirizzo<br />

I regolamenti parlamentari prevedono degli atti che mirano a indirizzare l’attività del Governo:<br />

• la MOZIONE può essere presentata da un presidente di gruppo o da 10 deputati o da 8 senatori. Il<br />

fine è quello di determinare una discussione e una deliberazione su questioni che incidono<br />

sull’attività di Governo;<br />

• la RISOLUZIONE può essere proposta anche in commissione. Ha come fine quello di manifestare un<br />

orientamento o un indirizzo. La risoluzione al pari della mozione condiziona l’indirizzo governativo.


5.6.12. Le inchieste parlamentari<br />

La Costituzione attribuisce a ciascuna Camera la facoltà di istituire COMMISSIONI D’INCHIESTA su materie di<br />

pubblico interesse, con poteri e limiti dell’autorità giudiziaria (art. 82 Cost.).<br />

L’oggetto dell’inchiesta deve riguardare una “materia di pubblico interesse”. L’indagine può essere parallela a<br />

quella della magistratura ordinaria e non vengono escluse collaborazioni.<br />

La conclusione della commissione non è però un giudizio, ma soltanto una relazione. O meglio più relazioni,<br />

una di maggioranza e una o più di minoranza. La commissione d’inchiesta può porre il SEGRETO<br />

FUNZIONALE sull’indagine o su una parte, rimarcando ancora l’autonomia costituzionale delle Camere.<br />

La commissione d’inchiesta è formata in modo da rispecchiare la proporzione parlamentare e integrata, nella<br />

prassi, dalla rappresentatività in modo tale che tutti i gruppi siano presenti.<br />

5.6.13. Parlamento e Comunità europea<br />

L’appartenenza dell’italia alla Comunità Europea, pone al Parlamento due fondamentali esigenze:<br />

• la prima è quella di recepire le direttive comunitarie in tempi ragionevoli, evitando di determinare la<br />

responsabilità dello Stato per la mancata immissione nell’ordinamento interno;<br />

• la seconda è avere cognizione degli indirizzi europei sui grandi temi e dei progetti di atto normativo<br />

prima che essi siano approvati dagli organi comunitari;<br />

La legge 86/1989 (c.d. legge La Pergola) ha introdotto uno strumento annuale, la LEGGE COMUNITARIA per<br />

recepire le direttive che non presentano particolari difficoltà di attuazione. Per le altre il recepimento avviene<br />

tramite legge ad hoc.<br />

La legge comunitaria prevede due canali di recepimento:<br />

• il recepimento immediato attraverso disposizioni contenute nella stessa legge comunitaria;<br />

• la delega al Governo, quando occorre predisporre una normativa di particolare complessità con il<br />

parere delle commissioni parlamentari competenti;<br />

• l’autorizzazione al Governo ad attuare in via regolamentare le direttive;<br />

Il regolamento della Camera ha istituito una SESSIONE COMUNITARIA in modo da affrontare<br />

contestualmente i problemi del recepimento e le questioni di indirizzo sulla formulazione dei provvedimenti<br />

comunitari.<br />

5.6.14. Il processo di bilancio: finanza pubblica nella costituzione<br />

La disciplina delle entrate e quella della spesa costituiscono i due aspetti della finanza pubblica. Entrambi i<br />

profili formano oggetto di un’essenziale disciplina costituzionale. Per quanto concerne le entrate sono stabiliti<br />

due principi fondamentali.<br />

Il primo è quello secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro<br />

capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività” (art. 53 della Cost.). Ciò<br />

significa che l’IMPOSIZIONE FISCALE non è proporzionale al reddito, ma PROGRESSIVA. Questo significa che<br />

la percentuale di reddito prelevata dal fisco cresce al crescere del reddito.<br />

L’altro principio fondamentale è quello della riserva di legge secondo cui “nessuna prestazione personale o<br />

patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” (art. 23 della Cost.).<br />

5.6.15. Il processo di bilancio: spesa pubblica<br />

In materia di spesa la Costituzione pone alcuni fondamentali principi:


a) in primo luogo stabilisce che ogni anno il Governo redige un bilancio preventivo, che il Parlamento<br />

deve approvare con legge (art. 81.1). Il BILANCIO PREVENTIVO è un documento contabile nel quale<br />

vengono rappresentate le entrate e le uscite sulla base delle leggi già approvate, senza la possibilità<br />

di contabilizzare nuove entrate o nuove uscite. Secondo la Costituzione (art. 81.3) la legge del<br />

parlamento con cui è approvato il bilancio non può stabilire nuovi tributi o nuove spese. La legge di<br />

approvazione del bilancio comporta un vincolo giuridico a carico del Governo. Nel caso in cui il<br />

Parlamento non arrivi ad approvare il bilancio preventivo entro il 31 dicembre, il Parlamento può<br />

autorizzare il Governo a ricorrere all’ESERCIZIO PROVVISORIO. La Costituzione fissa in 4 mesi la<br />

durata massima dell’esercizio provvisorio (art. 81.2).<br />

b) La Costituzione disciplina la legislazione che prevede nuove spese: ogni legge che importi nuove e<br />

maggiori spese “deve indicare i mezzi per farvi fronte” (art. 81.4). Questa disposizione introduce<br />

l’OBBLIGO DI COPERTURA DELLE LEGGI DI SPESA. Per evitare di innalzare la pressione fiscale e per<br />

garantire la copertura alle spese, lo Stato può far ricorso all’INDEBITAMENTO DEL TESORO DELLO<br />

STATO tramite l’emissione di obbligazioni. Con la normativa sulla finanza pubblica dell’UE che punta<br />

ad evitare disavanzi di bilancio eccessivi la politica delle obbligazioni ha subito un arresto. La CE ha<br />

stabilito che un disavanzo non è eccessivo e quindi la finanza pubblica è sana se: a) il disavanzo non<br />

supera la soglia del 3% sul PIL e b) il debito pubblico non supera la soglia del 60% del PIL.<br />

5.6.16. Il processo di bilancio: crisi fiscale e razionalizzazione<br />

L’art. 81 della Costituzione pone i precetti essenziali sulla DECISIONE DI BILANCIO, poi completati da leggi<br />

ordinarie. Nel dibattito sulla programmazione degli anni ’60 e ’70 è emersa l’esigenza di uno strumento di<br />

politica economica e fiscale che consentisse il riesame delle decisioni di spesa per conformarle agli obiettivi di<br />

politica economica.<br />

La riforma della contabilità del 1978 ha introdotto la LEGGE FINANZIARIA per la riconsiderazione globale dei<br />

flussi finanziari di cui poteva essere corretto l’andamento.<br />

La legge finanziaria è disegnata come un strumento potenzialmente omnicomprensivo, con il compito di<br />

distribuire le risorse nuove per il futuro e di razionalizzare scelte passate, libera quindi di produrre qualunque<br />

effetto finanziario.<br />

5.6.17. Il processo di bilancio: il contenuto tipico della finanziaria<br />

La preoccupazione per i limiti della crescita, per l’incertezza sulle risorse future per sostenere lo Stato sociale<br />

e la necessità di contenere l’espansione della spesa pubblica, ha portato all’abbandono della legge finanziaria<br />

omnicomprensiva. Le novelle del 1988 e del 1999 danno nuova articolazione al ciclo del bilancio:<br />

• prima che il Governo presenti il disegno di legge di bilancio di previsione e il disegno di legge<br />

finanziaria, viene trasmesso alla Camere, entro il 30 giugno, il DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE<br />

ECONOMICA E FINANZIARIA (DPEF) che delinea preventivamente i contenuti essenziali della legge<br />

finanziaria con riferimento all’indebitamento netto di tutte le amministrazioni dello Stato, così come<br />

richiesto dalla UE;<br />

• in autunno inizia la SESSIONE DI BILANCIO con la discussione della LEGGE FINANZIARIA e dei<br />

disegni di legge collegati. L’approvazione del DPEF da parte del Parlamento limita il Governo durante<br />

l’esame della finanziaria non essendo più ammissibili emendamenti che possano incidere sui saldi, e<br />

rendendo recepibili quindi solo emendamenti compensativi;<br />

• considerato che la LEGGE FINANZIARIA è un procedimento privilegiato con tempi rigorosamente<br />

scanditi, onde evitare che potesse contenere anche deliberazioni diverse da quelle di bilancio, si è<br />

precisato il contenuto tipico della legge;<br />

• a completamento della manovra c’è un BILANCIO PLURIENNALE, approvato con apposito articolo<br />

della legge di bilancio che espone separatamente a) l’andamento delle entrate e delle spese in base<br />

alla legislazione vigente e b) la previsione sull’andamento delle entrate e delle spese tenendo conto<br />

degli interventi programmati nel DPEF;


5.6.18. Il processo di bilancio: legge e regolamento parlamentare<br />

Il corpus della normativa regolamentare è segnato da 3 fondamentali direttrici:<br />

• la concentrazione procedurale, al fine di razionalizzare il vaglio parlamentare e di evitare l’esercizio<br />

provvisorio;<br />

• il ruolo preminente della commissione bilancio;<br />

• i tempi certi della procedura uniti ai limiti sul contenuto della legge;<br />

I Presidenti delle due Camere debbono vigilare esercitando il potere di stralcio e un controllo<br />

sull’ammissibilità degli emendamenti.<br />

5.6.19. Il processo di bilancio: verifica della copertura<br />

Si è stabilita con la sovrapposizione delle normative una persistente asimmetria tra le regole che sono state<br />

poste per scandire la sessione di bilancio e i meccanismi riscontro sulla copertura delle leggi di spesa. Infatti<br />

per la decisione di bilancio le procedure parlamentari sono conformate sulle linee guida contenute nel DPEF.<br />

Non così può dirsi per le regole sulla corretta quantificazione e copertura degli oneri finanziari delle nuove<br />

leggi di spesa. A oggi la violazione della linee del DPEF per la copertura di una legge ordinaria può essere<br />

sanzionata in Parlamento solo nel caso il Governo e la maggioranza intendano farlo.<br />

Restano comunque i vincoli esterni: il Presidente della Repubblica in sede di promulgazione, la Corte dei<br />

Conti e la Corte Costituzionale possono avere occasione di richiamare le Camere al rispetto dell’art. 81.4<br />

della Costituzione.<br />

5.7. Presidente della Repubblica<br />

5.7.1. Capo dello Stato e forma di governo<br />

Nei sistemi parlamentari il CAPO DELLO STATO può assumere ruoli politico-costituzionali differenti, che<br />

oscillano tra i due estremi dell’organo di garanzia costituzionale e dell’organo governante. La diversità di<br />

ruolo è dovuta alle differenze di disciplina costituzionali ed ai caratteri del sistema politico.<br />

La razionalizzazione del parlamentarismo operata dalla Costituzione italiana ha previsto (titolo II part I, artt.<br />

83 ss.) un Presidente della Repubblica, distinto e autonomo dal Governo, dotato di poteri propri, che è “il<br />

Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale” (art. 87.1). Ma la Costituzione non dice quale deve essere il<br />

complessivo ruolo del Presidente della Repubblica, limitandosi:<br />

a) a fissare alcune caratteristiche dell’organo, ovvero lo sgancio dalla maggioranza parlamentare e<br />

l’ampia rappresentatività;<br />

b) ad attribuirgli alcuni poteri. I più importanti: nominare il PdC, sciogliere anticipatamente le Camere,<br />

rinviare le leggi e nominare alcune cariche;<br />

c) a porre sicuri limiti all’esercizio degli stessi poteri, che consistono principalmente nell’obbligo che i<br />

suoi atti siano controfirmati (art. 89) dal Governo, che quindi esercita un controllo sul Capo dello<br />

Stato che non può quindi agire in totale contrapposizione alla maggioranza, e dalla fiducia<br />

parlamentare ai governi, che non possono quindi divenire “presidenziali”;<br />

d) a sancire e garantire la sua irresponsabilità politica (art. 89);<br />

Determinati gli argini costituzionali entro cui può operare il Presidente della repubblica, il concreto ruolo può<br />

variare a seconda dei mutevoli equilibri della forma di governo e del sistema politico. Più precisamente:<br />

• se la coalizione si forma dopo le elezioni ed i rapporti tra i partiti sono instabili, il ruolo del Capo dello<br />

Stato si espande e a lui compete la scelta dei PdC e lo scioglimento delle Camere;<br />

• se invece i rapporti tra i partiti sono stabili il Capo dello Stato si limiterà a esercitare i suoi poteri per<br />

garantire il rispetto di alcuni valori costituzionali;


5.7.2. Elezione del Presidente della Repubblica<br />

Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune, integrato dai delegati regionali<br />

eletti dai rispettivi Consigli (3 per ciascuna Regione, 1 per la Valle d’Aosta) in modo da garantire la<br />

rappresentanza delle minoranza (art. 83.1 Cost.). La presenza dei delegati regionali dovrebbe rafforzare la<br />

caratterizzazione del Presidente della repubblica come “rappresentante dell’unità nazionale” (art. 87).<br />

I requisiti per essere eletto Presidente della Repubblica sono indicati dall’art. 84 della Costituzione:<br />

cittadinanza italiana, compimento del 50° anno di età ed il godimento dei diritti civili e politici. Inoltre la<br />

Costituzione dispone l’incompatibilità dell’ufficio di Presidenza con qualsiasi altra carica.<br />

All’elezione si procede per iniziativa del Presidente della Camera che, 30 giorni prima della scadenza del<br />

mandato presidenziale, convoca il Parlamento in seduta comune e i delegati regionali per l’elezione del<br />

nuovo Presidente (art. 85.2). Analoga iniziativa è assunta dal Presidente della Camera entro 15 giorni nelle<br />

ipotesi di impedimento permanente, morte o dimissioni del Presidente della Repubblica (art. 86.2).<br />

Nel caso in cui le Camere siano sciolte o manchino meno di 3 mesi alla loro cessazione, l’elezione del<br />

Presidente della Repubblica avviene entro 15 giorni dalla riunione delle nuove camere (art. 85.3).<br />

L’elezione del Presidente della Repubblica avviene a scrutinio segreto e con la maggioranza dei 2/3<br />

dell’Assemblea; dopo il terzo scrutinio è richiesta solo la maggioranza assoluta. Il Presidente della Repubblica<br />

presta giuramento al Parlamento in seduta comune. Il mandato presidenziale decorre dalla data del<br />

giuramento e dura per un periodo di 7 anni. Alle dipendenze esclusive del Presidente è posta una struttura<br />

amministrativa, chiamata SEGRETARIATO GENERALE DELLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA.<br />

La cessazione della carica presidenziale avviene per:<br />

• conclusione del mandato (non esiste un vincolo costituzionale per la rielezione, ma la pressi lo ha<br />

sempre escluso);<br />

• morte;<br />

• impedimento permanente;<br />

• dimissioni;<br />

• decadenza per effetto della perdita di uno dei requisiti di eleggibilità;<br />

• destituzione, disposta per effetto alla sentenza di condanna pronunciata dalla Corte costituzionale<br />

per i reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione;<br />

Nei casi di dimissioni, scadenza naturale del mandato, impedimento permanente, il Presidente della<br />

repubblica diviene di diritto senatore a vita (art. 59.1).<br />

5.7.3. La controfirma ministeriale<br />

La Costituzione stabilisce che “nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato<br />

dai Ministri proponenti che ne assumono la responsabilità” ed aggiunge che “gli atti che hanno valore<br />

legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri”<br />

(art. 89).<br />

La CONTROFIRMA è, quindi, la firma apposta da un membro del Governo sull’atto adottato e sottoscritto dal<br />

Presidente della Repubblica; essa è requisito di validità dell’atto e la sua apposizione rende irresponsabile il<br />

Presidente per l’atto adottato, trasferendo la relativa responsabilità in capo al Governo.<br />

Secondo l’interpretazione affermatisi nella dottrina e nella prassi, vi sono atti formalmente adottati dal Capo<br />

dello Stato anche se il contenuto è deciso dal Governo (ATTI FORMALMENTE PRESIDENZIALI<br />

SOSTANZIALMENTE GOVERNATIVI) e altri che sono adottati dal Presidente della Repubblica e di cui egli<br />

stesso decide i contenuti (ATTI FORMALMENTE E SOSTANZIALMENTE PRESIDENZIALI).<br />

A queste due categorie di atti presidenziali, se ne aggiunge una terza costituita dagli ATTI COMPLESSI, il cui<br />

contenuto è deciso dall’accordo tra il Presidente della Repubblica e il Governo.


La controfirma riguarda tutti gli atti presidenziali (ad eccezione delle dimissioni) quale che sia il tipo cui<br />

appartengano. La Costituzione fa riferimento per la controfirma al ministro proponente. Ma qualora si tratti<br />

di atti formalmente e sostanzialmente presidenziali e quindi manchi il proponente, una prassi consolidata ha<br />

affidato la controfirma al ministro competente per materia.<br />

5.7.4. Le irresponsabilità del Presidente<br />

Secondo la Costituzione il Presidente della Repubblica è irresponsabile. Non può essere chiamato a<br />

rispondere sul terreno della responsabilità politica e infatti non è previsto nessun meccanismo che consenta<br />

di realizzare la rimozione anticipata dalla carica.<br />

Per quanto concerne la responsabilità giuridica del Presidente della repubblica, occorre distinguere gli atti<br />

posti in essere nell’esercizio delle sue funzioni da quelli che adotta come qualsiasi cittadino. Per i primi la<br />

Costituzione prevede esclusivamente una responsabilità penale per i reati di alto tradimento e attentato alla<br />

Costituzione. Diverso è il regime degli atti e dei comportamenti non riconducibili all’esercizio delle funzioni<br />

presidenziali. L’opinione prevalente ritiene che il Capo dello Stato sia penalmente responsabile per i fatti<br />

commessi e qualificabili come reati, anche se (nel silenzio costituzionale) l’azione penale sarebbe<br />

improcedibile per tutta la durata del mandato. Mentre sarebbe civilmente responsabile al pari di qualsiasi<br />

altro cittadino.<br />

5.7.5. La soluzione delle crisi di governo: nomina del PdC<br />

Per la soluzione delle crisi di Governo il Capo dello Stato dispone di due poteri: il potere di nomina del<br />

Presidente del Consiglio (art. 92) e il potere di sciogliere anticipatamente le Camere (art. 88).<br />

La funzione di intermediazione politica del Presidente della Repubblica, preminente fino al 1993, si basa su<br />

due pilastri:<br />

• il primo è dato dal dritto costituzionale, con la facoltà di nominare il Governo comunque vincolato<br />

alla successiva accettazione da parte del Parlamento;<br />

• il secondo è prodotto dal sistema politico, con la formazione di coalizioni post-elettorali frutto di<br />

laboriose trattative tra i partiti dove il Presidente della Repubblica poteva inserirsi attraverso gli<br />

strumenti delle consultazioni e del mandato esplorativo;<br />

5.7.6. La soluzione delle crisi: lo scioglimento anticipato del Parlamento<br />

Le considerazione precedenti sul diverso atteggiarsi del ruolo del Capo dello Stato a seconda degli equilibri<br />

della forma di governo permettono di inquadrare correttamente il potere di SCIOGLIMENTO ANTICIPATO<br />

DEL PARLAMENTO. Le disposizioni costituzionali (art. 88) prevedono che:<br />

a) il Capo dello Stato può sciogliere entrambe le Camere o anche una sola di esse;<br />

b) prima di sciogliere le Camere deve sentire i loro Presidenti che esprimono un parere obbligatorio ma<br />

non vincolante;<br />

c) questo potere non può essere esercitato negli ultimi 6 mesi del mandato presidenziale, salvo<br />

coincida con gli ultimi 6 mesi della legislatura (SEMESTRE BIANCO);<br />

Non risulta però chiaro come questo atto si configuri: se un potere presidenziale, un atto del Governo, che<br />

controfirma, oppure un atto complesso, frutto della mediazione tra il Capo dello Stato e il Governo. In<br />

concreto questo dipende dalla forma di Governo. Nel parlamentarismo maggioritario la decisione sostanziale<br />

di sciogliere anticipatamente il Governo si è spostata, di fatto e anche di diritto, in capo al Governo stesso.<br />

5.7.7. Lo scioglimento anticipato del Parlamento: esperienza italiana<br />

Il fatto che la forma di governo italiana abbia per lungo tempo operato come parlamentarismo<br />

compromissorio, spiega perché lo scioglimento è stato considerato un atto complesso e duumvirale. Se ogni


tentativo del Capo dello Stato di individuare una maggioranza però falliva e le sue arti maieutiche non<br />

riuscivano a superare la conflittualità paralizzante dei partiti, l’unica via che restava era lo scioglimento delle<br />

Camere.<br />

Quindi i presupposti dello scioglimento sono individuati nell’impossibilità del Parlamento di funzionare<br />

correttamente in quanto incapace di formare una maggioranza di qualsiasi tipo (SCIOGLIMENTO<br />

FUNZIONALE). Sostanzialmente allora il Presidente della Repubblica certifica la volontà delle forze politiche<br />

di porre fine alla legislatura, quindi la decisione è riconducibile alle forze politiche stesse come una sorta di<br />

AUTOSCIOGLIMENTO.<br />

5.7.8. Dopo lo scioglimento, l’ordinaria amministrazione<br />

Una volta che è deciso lo scioglimento del Parlamento, a seguito di una crisi di Governo, quale Governo<br />

dovrà restare in carica e “gestire” le elezioni: il Governo dimissionario oppure uno nuovo nominato dal PdR?<br />

La soluzione ritenuta preferibile è che il decreto di scioglimento sia controfirmato dal Governo dimissionario<br />

che resta in carica per “l’ordinaria amministrazione”.<br />

5.7.9. Atti formalmente e sostanzialmente presidenziali<br />

Gli atti formalmente e sostanzialmente presidenziali sono i seguenti:<br />

a) gli atti di nomina, con cui il PdR nomina:<br />

• 5 senatori a vita (art. 59.2) nel complesso del Senato e non, come interpretato da Pertini e<br />

Cossiga, per ciascun Presidente della Repubblica;<br />

• un terzo dei giudici costituzionali (art. 135.1), con decreto controfirmato dal PdC come<br />

formalizzazione giuridica dell’atto senza alcun intervento sostanziale;<br />

b) il rinvio delle leggi. Il PdR con un messaggio motivato può rinviare una legge alle Camere per una<br />

nuova deliberazione;<br />

c) i messaggi presidenziali. Il PdR può inviare messaggi “liberi”, cioè non vincolati nel contenuto, alle<br />

Camere (art. 87);<br />

d) esternazioni atipiche, ovvero tutte quelle manifestazioni pubbliche del pensiero presidenziale i cui<br />

destinatari sono generalmente l’opinione pubblica che ovviamente non necessitano di controfirma;<br />

e) la convocazione straordinaria delle Camere (art. 62), che è diretta a garantire il funzionamento delle<br />

istituzioni costituzionali contro eventuali prevaricazioni della maggioranza;<br />

5.7.10. Atti formalmente presidenziali e sostanzialmente governativi<br />

Gli atti formalmente presidenziali e sostanzialmente governativi sono i seguenti:<br />

a) l’emanazione degli atti governativi aventi valore di legge e cioè i decreti legge, i decreti legislativi e i<br />

regolamenti del Governo, che assumono la forma del decreto presidenziale;<br />

b) l’adozione, con la forma del DECRETO PRESIDENZIALE (d.P.R.), dei più importanti atti del Governo,<br />

ed in particolare della nomina dei funzionari di Stato. Con la legge 13/91 il numero di dPR è stato<br />

drasticamente ridotto anche attraverso l’introduzione di un nuovo tipo di atto, il DECRETO DEL<br />

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (D.P.C.M.) o dei ministri (D.M.);<br />

c) la promulgazione delle leggi è attribuita al Capo dello Stato, che deve provvedervi entro un mese<br />

dall’avvenuta approvazione parlamentare, salvo il minor tempo richiesto dalle Camere stesse sul<br />

presupposto dell’urgenza (votata a maggioranza assoluta da entrambe le Camere). La formula di<br />

promulgazione:<br />

• accerta che la legge è stata approvata nel medesimo testo da entrambi i rami del<br />

Parlamento;<br />

• manifesta la volontà di promulgare la legge;<br />

• ne ordina la pubblicazione nella raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica<br />

italiana;<br />

• obbliga chiunque ad osservarla e farla osservare come legge dello Stato;


d) la ratifica dei trattati internazionali, predisposti dal Governo ed eventualmente autorizzati dal<br />

Parlamento, l’accreditamento dei rappresentanti diplomatici esteri, la dichiarazione dello stato di<br />

guerra previa deliberazione delle Camere – che attribuisce al Capo dello Stato il comando delle forze<br />

armate e la presidenza del Consiglio supremo di difesa.<br />

e) La concessione della grazia e la commutazione delle pene che un tempo costituivano, insieme<br />

all’amnistia ed all’indulto tipiche manifestazioni del potere del Capo dello Stato di riduzione delle<br />

sanzioni penali, tendono a diventare espressione di un potere sostanzialmente governativo. Con la<br />

legge costituzionale 1/92 l’amnistia e l’indulto sono stati sottratti interamente al Capo dello Stato e<br />

ormai la stessa GRAZIA e la COMMUTAZONE DELLA PENA sono state attratte nell’orbita governativa,<br />

com’è comprovato dalla formulazione della proposta da parte del ministro di grazie e giustizia, cui la<br />

legislazione ordinaria conferisce il compito di svolgere la fase istruttoria;<br />

f) La Costituzione infine affida al Capo dello Stato i poteri:<br />

• di autorizzare la presentazione alle Camere dei disegni di legge governativi;<br />

• di indire le elezioni delle nuove Camere fissandone la prima riunione e di indire i referendum<br />

popolari;<br />

• di conferire le onorificenze della Repubblica;<br />

• di emanare il decreto di scioglimento dei Consigli regionali e la rimozione del Presidente della<br />

Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge (art. 126);<br />

5.7.11. Atti come Presidente del Consiglio supremo di Difesa e CSM<br />

In talune fattispecie il Capo dello Stato opera come Presidente di un organo collegiale e gli atti posti in<br />

essere in tale veste si fondono con la volontà del collegio con la conseguenza che questi atti non richiedono<br />

la controfirma.<br />

Al Capo dello Stato è attribuita la presidenza del CONSIGLIO SUPREMO DI DIFESA. E’ un organo di cui<br />

fanno stabilmente parte il PdC, alcuni ministri (esteri, interni, tesoro, difesa, industria, commercio) e il Capo<br />

di stato maggiore della difesa. La titolarità sostanziale dei poteri militari e di difesa è del Governo, che<br />

risponderà politicamente dinanzi al Parlamento dell’esercizio di detti poteri. Il Presidente della Repubblica ha<br />

il potere di convocazione, di formazione dell’ordine del giorno, di nomina e revoca del segretario del<br />

Consiglio.<br />

Per quel che concerne la presidenza del Consiglio superiore della magistratura, comunemente si ritiene che<br />

l’attività presidenziale si fonda con quella del collegio, con la conseguenza che si hanno atti del Presidente<br />

del Consiglio superiore e non atti del Presidente della Repubblica e per questa ragione la controfirma non è<br />

necessaria.<br />

Per quanto attiene ai provvedimenti che attengono allo status giuridico dei magistrati ordinari, essi<br />

assumono la forma di dPR controfirmati dal Ministro della Giustizia, conformemente a quanto deliberato dal<br />

CSM. In questo caso la prassi riconosce al Capo dello Stato un generico potere di rinvio ove ravvisi mere<br />

irregolarità formali nello svolgimento del procedimento per il conferimento degli incarichi direttivi.<br />

5.7.12. La supplenza del Presidente della Repubblica<br />

Tutte le volte in cui il PdR non può adempiere le sue funzioni, queste sono esercitate dal Presidente del<br />

Senato (art. 86 Cost.). La SUPPLENZA è un istituto che consente la continuità delle funzioni presidenziali<br />

anche nell’ipotesi nella quale il Capo dello Stato non possa adempierle a causa di un impedimento.<br />

Nel caso di impedimento permanente, così pure di morte o di dimissioni, scatta sempre la supplenza del<br />

Presidente del Senato, ma in questo caso il Presidente della Camera avvia il procedimento per l’elezione del<br />

nuovo PdR.<br />

L’accertamento dell’impedimento temporaneo è dichiarato dallo stesso Capo dello Stato.


6. Regioni e governo locale<br />

6.1. Regioni e EELL nella storia istituzionale italiana<br />

6.1.1. Dalla costituzione alla riforma<br />

La Costituzione italiana aveva previsto uno Stato regionale e autonomista. Doveva basarsi su Regioni di<br />

AUTONOMIA POLITICA (art. 115 Cost.), cioè sulla capacità di darsi un proprio indirizzo politico nonché di<br />

autonomia legislativa (art. 117) e amministrativa nella materie costituzionali (art. 118). Strumentalmente<br />

all’esercizio di quanto detto era attribuita l’autonomia finanziaria (art. 119).<br />

Le Regioni cui veniva applicata questa disciplina erano 15, e ad esse si aggiungevano altre 5 Regioni dotate<br />

di una diversa autonomia, più ampia e definita nei suoi contenuti dallo statuto di ciascuna di esse, approvato<br />

con legge costituzionale.<br />

Le Regioni disciplinate direttamente dalla Costituzione sono denominate REGIONI ORDINARIE, le altre<br />

REGIONI SPECIALI. Condizioni di ulteriore specificità sono state inoltre attribuite alle Province autonome di<br />

Trento e Bolzano.<br />

Infine la Costituzione riconosceva l’autonomia di enti territoriali di livello inferiore a quello regionale, i comuni<br />

e le province. L’autonomia di questi EELL doveva essere disciplinata da leggi generali dello Stato.<br />

Nonostante il dettato costituzionale, le Regioni ordinarie sono state istituite nel 1970. L’esercizio effettivo<br />

delle funzioni da parte delle Regioni richiedeva che lo Stato, con legge (DECRETI DI TRASFERIMENTO),<br />

trasferisse loro le funzioni amministrative, insieme al personale e alle risorse correlate.<br />

Il concreto trasferimento di funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni è avvenuto prima nel 1972 e poi<br />

nel 1977, ma si è trattato di un trasferimento parziale perché i ministeri hanno conservato numerose<br />

competenze nell’ambito delle materie che la Costituzione affidava alle Regioni.<br />

Un cambiamento nella ripartizione delle funzioni amministrative c’è stata con la legge 59/97 detta Bassanini,<br />

che introduceva questo principio: alle Regioni ed agli EELL dovevano essere attribuite tutte le funzioni e i<br />

compiti amministrativi relativi alla cura e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità nonché<br />

compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori. Prima del 1997 la Regione esercitava esclusivamente<br />

le funzioni amministrative delegate dallo Stato, con la legge Bassinini in linea teorica si realizzava<br />

un’interpretazione evolutiva dell’art. 118 della Costituzione in virtù della quale le funzioni amministrative<br />

venivano attribuite interamente agli EELL anche nelle materie in cui lo Stato aveva titolarità della funzioni<br />

legislativa.<br />

Anche i decreti legislativi successivi hanno avviato un processo di riorganizzazione dello Stato in senso<br />

regionalista e autonomista. Questo processo, avviato a Costituzione invariata, presentava forti dubbi di<br />

compatibilità con l’ordinamento costituzionale. Nel 2001 il Parlamento ha approvato una legge costituzionale<br />

di riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione. L’idea della riforma è stata quella di disegnare<br />

una Repubblica delle autonomie articolata su più livelli territoriali di governo, ciascuno dotato di autonomia<br />

costituzionalmente garantita. La riforma costituzionale del 1999 aveva invece modificato la forma di governo<br />

regionale, introducendo l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e ampliando l’autonomia<br />

statutaria in materia di forma di governo.<br />

6.1.2. Ripartizione delle competenze<br />

La Costituzione (come modificata nel 2001) prevede che la Repubblica sia articolata in Comuni, Province,<br />

Città metropolitane, Regioni e Stato, tutti dotati costituzionalmente di autonomia. Questa autonomia si<br />

traduce in autonomia statutaria nell’ambito dei principi fissati dalla Costituzione (art. 114.2).


In un sistema in cui è prevista la parità di rango (equiordinanze) degli enti, la legge statale e la legge<br />

regionale sono pure pariordinate – la prima ha quindi perduto la posizione di prevalenza che aveva nel<br />

precedente sistema. Lo Stato avrebbe perduto quindi la potestà legislativa generale, e potrebbe legiferare<br />

solamente nelle materie individuate dalla Costituzione ed espressamente riservate a lui. La legge statale e<br />

regionale sono sottoposte agli stessi vincoli rispetto alla Costituzione e all’ordinamento comunitario e agli<br />

obblighi internazionali.<br />

L’art. 117 attribuisce allo Stato una POTESTA’ LEGISLATIVA ESCLUSIVA solamente nelle materie previste<br />

dalla Costituzione (affari esteri, immigrazione, ordine pubblico, difesa, cittadinanza, giurisdizione, moneta,<br />

risparmio, finanza). In questi campi vi è l’esclusione di interventi legislativi regionali (art. 117.2), ma in tutte<br />

le altre materie non espressamente riservate allo Stato, quest’ultimo non potrebbe più legiferare, salvo che<br />

per determinare i principi fondamentali nelle materia contenute in un altro elenco (art. 117.3).<br />

Il nuovo testo ha previsto una POTESTA’ LEGISLATIVA CONCORRENTE in determinate materia (lavoro,<br />

professioni, tutela della salute, protezione civile, previdenza complementare e integrativa, governo del<br />

territorio). Per tutto il resto, la Regione ha una POTESTA’ LEGISLATIVA RESIDUALE che spazia in tutte le<br />

materie non espressamente riservate allo Stato o ricomprese nella potestà concorrente.<br />

Il testo originario della Costituzione operava secondo il PRINCIPIO DEL PARALLELISMO DELLE FUNZIONI,<br />

mentre l’impostazione data con la legge Bassanini, e con la conseguente riforma costituzionale in senso<br />

regionalista, si basa sui principi di SUSSIDIARIETA’, DIFFERENZIAZIONE, ADEGUATEZZA indirizzando la PA<br />

verso sempre più l’amministrazione locale.<br />

Anche il nuovo testo ha mantenuto le 5 Regioni speciali, mentre per le Regioni ordinarie sono previsti<br />

strumenti per ottenere FORME ULTERIORI DI AUTONOMIA rispetto a quelle previste dalla disciplina<br />

costituzionale relativamente alle materie concorrenti. Tale ampliamento potrà essere disposto per la singola<br />

regione su iniziativa della stessa con legge dello Stato.<br />

6.2. I raccordi tra i diversi livelli territoriali<br />

Negli Stati federali o comunque a forte decentramento politico si pone il problema dei RACCORDI TRA I<br />

DIVERSI LIVELLI TERRITORIALI. La riforma costituzionale del 2001 non ha previsto quel meccanismo di<br />

raccordo presente in numerosi Stati federali che è la Camera delle regioni dove lo Stato negozia con le<br />

regioni la ripartizione delle attribuzioni. Attualmente quindi i due raccordi principali sono la Commissione<br />

bicamerale integrata e il sistema della conferenza tra lo Stato e gli EELL.<br />

6.2.1. La Commissione bicamerale integrata<br />

Il principale strumento di raccordo previsto dalla Costituzione è la COMMISSIONE PARLAMENTARE PER LE<br />

QUESTIONI REGIONALI, introdotta dalla Costituzione del 1948 che l’ha configurata come commissione<br />

bicamerale composta di deputati e senatori con compiti consultivi limitati essenzialmente all’ipotesi di<br />

scioglimento anticipato dei Consigli regionali.<br />

Con la riforma costituzionale del 1999 si è previsto lo scioglimento dei consigli o la rimozione del Presidente<br />

della Giunta con dPR motivato solo con atti contro la Costituzione o gravi violazioni di legge oppure per<br />

ragioni di sicurezza nazionale. Il decreto di scioglimento o rimozione può essere adottato solamente sentita<br />

la Commissione bicamerale integrata.<br />

Con la riforma del 2001 vi è stata l’attribuzione di rilevanti funzioni di raccordo alla Commissione:<br />

a) i regolamenti parlamentari possono prevedere la partecipazione di rappresentanti delle Regioni, delle<br />

Province autonome e degli EELL;<br />

b) quando un PdL concernente materie in regime di competenza concorrente oppure relativo<br />

all’autonomia finanziaria di entrata o spesa abbia ricevuto parere negativo dalla Commissione<br />

bicamerale e la commissione competente all’esame non abbia recepito l’osservazione, le parti del<br />

testo bocciate dalla Bicamerale possono essere deliberate solo con la maggioranza assoluta<br />

dell’Assemblea;


6.2.2. Il sistema delle conferenze e la Stato-Regione<br />

Il SISTEMA DELLE CONFERENZE è stato creato prima della riforma istituzionale del 2001 e continua ad<br />

operare nella direzione del principio di leale collaborazione creato dalla giurisprudenza costituzionale. Il<br />

PRINCIPIO DELLA LEALE COLLABORAZIONE formulato con la sentenza della Corte Costituzionale 242/97<br />

“deve governare i rapporti tra lo Stato e le Regioni nelle materie e in relazione alle attività in cui le rispettive<br />

competenze concorrono o si intersechino imponendo un contemperamento dei rispettivi interessi”.<br />

Tra i congegni più rilevanti per assicurare l’attuazione del principio di leale collaborazione ed il raccordo tra<br />

Stato e Regioni vi è la CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO STATO, LE REGIONI E LE<br />

PROVINCIE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO, a cui è stata affiancata anche la CONFERENZA STATO,<br />

CITTA’ E AUTONOMIE LOCALI. Entrambe possono essere riunite assieme nella CONFERENZA UNIFICATA.<br />

Questi organismi sono sedi di confronto tra il Governo e le Regioni (1°), il Governo e gli EELL (2°) o ancora<br />

tra Governo, Regioni e EELL (3°). Questo parere non è giuridicamente vincolante.<br />

6.2.3. Altri tipi di raccordo<br />

La Costituzione (riforma 2001) prevede altre forme di raccordo su alcune competenze in capo alle Regioni<br />

ponendo lo Stato in una posizione di coordinamento, ovvero attribuendo allo Stato l’esclusività della<br />

programmazione e del coordinamento di alcune materie e lasciando quindi alle Regioni la regolazione della<br />

materia nell’ambito della cornice. Rientrano in questa categoria per esempio: 1) la determinazione dei livelli<br />

essenziali per le prestazioni riguardanti diritti sociali o civili, 2) la tutela della concorrenza; 3) il<br />

coordinamento informativo della PA.<br />

Un’altra forma di raccordo riguarda l’esercizio del POTERE ESTERO delle Regioni ed i rapporti delle stesse<br />

con l’UE. Lo Stato conserva potestà legislativa esclusiva in ordine a “politica estera e rapporti internazioni”,<br />

“rapporti dello Stato con l’UE” e “diritto d’asilo” nonché “condizione giuridica dei cittadini non appartenenti<br />

all’UE”. Tuttavia nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati o intese con<br />

enti territoriali esteri nelle forme e nei casi disciplinati dalle leggi dello Stato (art. 117.9).<br />

Il Governo inoltre gode del POTERE SOSTITUTIVO nei confronti degli organi delle Regioni e degli EELL. Può<br />

quindi surrogarsi ad essi in casi di particolare urgenza, gravità o inadempienza.<br />

6.3. I rapporti tra le Regioni e gli EELL<br />

Il testo originario della Costituzione del 1948 stabilisce che “la Repubblica riconosce e promuove le<br />

autonomie locali” (art. 5) e demanda a leggi generali il compito di determinare principi e modalità di questa<br />

autonomia (art. 128).<br />

L’accelerazione del processo di sviluppo degli EELL si è avuta nel corso degli anni ’90 con la legge 142/90,<br />

l’elezione diretta di Sindaci e Presidenti di Provincia e l’approvazione del T.U. degli EELL nel 2000. La nuova<br />

disciplina si basa sui seguenti principi:<br />

• il COMUNE è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove<br />

lo sviluppo;<br />

• la PROVINCIA è l’ente locale intermedio tra Comune e Regione, il quale rappresenta la propria<br />

comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e coordina lo sviluppo;<br />

• i comuni e le province hanno autonomia statutaria, normativa, organizzativa e amministrativa,<br />

nonché impositiva e finanziaria nell’ambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi della finanza<br />

pubblica;<br />

• la generalità dei compiti e delle funzioni va attribuita ai Comuni e alle Province, con esclusione delle<br />

funzioni che richiedono l’unitario esercizio a livello regionale;


Accanto a queste figure la riforma costituzionale del 2001 ha introdotto le CITTA’ METROPOLITANE. Nelle<br />

aree metropolitane il Comune capoluogo e gli altri ad esso uniti da contiguità territoriale possono decidere di<br />

costituirsi in città metropolitana. Quest’ultima acquisisce le funzioni della Provincia ed assume un<br />

ordinamento differenziato determinato con proprio statuto.<br />

Con la revisione del 2001 la condizione degli EELL è cambiata profondamente. Prima di questa data<br />

l’autonomia degli enti locali risultava sostanzialmente “decostituzionalizzata”. Vi è così la garanzia<br />

dell’autonomia di ciascuno di tali enti del potere di darsi autonomamente un proprio STATUTO. L’art. 118<br />

stabilisce che le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni e coerentemente con questa previsione lo<br />

stesso articolo stabilisce che i Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di FUNZIONI<br />

PROPRIE. Lo Stato però conserva la potestà legislativa esclusiva per quanto riguarda legislazione elettorale,<br />

organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane.<br />

Per quanto riguarda i raccordi tra la Regione e gli enti locali, la Costituzione prevede che in ogni Regione lo<br />

statuto preveda il CONSIGLIO DELLE AUTONOMIE LOCALI, in cui siedono i rappresentanti degli enti locali, il<br />

quale deve funzionare come organo con funzioni consultive.<br />

6.4. Finanza regionale e finanza locale<br />

L’art. 119 riconosce e garantisce l’AUTONOMIA FINANZIARIA, sia sul versante delle entrate che su quello<br />

delle spese, a favore di Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni. Questo comporta:<br />

a) i suddetti enti devono avere entrate proprie e il potere di concorrere a determinarne la quantità e la<br />

composizione;<br />

b) devono poter stabilire liberamente come spendere le risorse di cui dispongono, che possono<br />

provenire da tributi propri o da trasferimenti dello Stato;<br />

Lo Stato non ha comunque rinunciato al potere d’intervento nella finanza locale, infatti l’art. 117 prevede che<br />

l’armonizzazione dei bilanci pubblici e il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario siano<br />

materia concorrente dove lo Stato può fissare la cornice generale. Lo Stato mantiene competenza esclusiva<br />

nella perequazione delle risorse finanziarie.<br />

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno anche un proprio PATRIMONIO, attribuito<br />

secondo i principi generali fissati con legge dello Stato e possono ricorrere all’INDEBITAMENTO, ma<br />

solamente per finanziare spese di investimento e non la spesa corrente.<br />

6.5. La forma di governo regionale<br />

La legge costituzionale 1/99 ha modificato gli articoli da 121 a 126 della Costituzione introducendo una<br />

forma di governo regionale basata sull’ELEZIONE POPOLARE DIRETTA DEL PRESIDENTE DELLA REGIONE.<br />

Più precisamente è stata individuata una forma di governo transitoria, vigente fino a quando la Regione<br />

attraverso il proprio statuto individuerà autonomamente la propria forma di governo e la propria legge<br />

elettorale, in armonia con la Costituzione.<br />

6.5.1. La forma di governo antecedente<br />

Prima della riforma le Regioni avevano una forma di governo parlamentare a predominanza assembleare,<br />

per effetto della disciplina costituzionale, degli statuti e del sistema proporzionale. Questa architettura<br />

politica creava governi regionali instabili e deboli. Con l’elezione diretta dei Sindaci e la crescita della loro<br />

forza politica data dalla legittimità popolare e dalla stabilità di governo, le Regioni si erano trovate deboli e<br />

schiacciate tra lo Stato che non devolveva competenze legislative e i Sindaci che premevano per guadagnare<br />

spazio nell’amministrazione del locale.<br />

Il primo tentativo per rafforzare il Governo regionale si è avuto nel 1995 con la riforma del SISTEMA<br />

ELETTORALE DELLE REGIONI ORDINARIE. Questo sistema, pur basato sul proporzionale, prevede:


• un premio di maggioranza alla lista o alla coalizione che ottiene più voti a livello regionale;<br />

• la caratterizzazione delle liste regionali attraverso il capolista designato per la Presidenza della<br />

Giunta (meccanismo che da designazione è stato trasformato nel 1999 in elezione diretta);<br />

• l’introduzione di una clausola di sbarramento;<br />

• riduzione delle preferenze a una;<br />

6.5.2. La c.d. “forma di governo transitoria”<br />

La riforma costituzionale del 1999 ha dato l’avvio ad un mutamento della forma di governo regionale, la<br />

quale dovrà essere definita dagli Statuti regionali. Nel frattempo è in vigore una disciplina transitoria che ha<br />

innestato l’elezione diretta del Presidente della Giunta sulla precedente legge elettorale.<br />

Secondo quanto previsto nel 1999 da una parte c’è il CONSIGLIO REGIONALE, eletto, titolare della funzione<br />

legislativa e del potere di fare proposte alle Camere, dall’altra il PRESIDENTE DELLA REGIONE, eletto<br />

direttamente. Il Presidente rappresenta la Regione, dirige la politica della Giunta e ne è responsabile,<br />

promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali, dirige le funzioni amministrative. La GIUNTA REGIONALE<br />

è l’organo esecutivo della Regione, i cui membri sono nominati e revocati dal Presidente della Regione come<br />

previsto dalla Costituzione.<br />

Le relazioni tra il Consiglio regionale ed il Presidente e la Giunta sono riconducibili al modello della forma di<br />

governo neoparlamentare. Il Consiglio può esprimere la sfiducia motivata al Presidente, sottoscritta almeno<br />

da 1/5 dei membri del consiglio e votata con maggioranza assoluta. La mozione può essere discussa solo 3<br />

giorni dopo la presentazione della stessa e la sua approvazione comporta la decadenza del Presidente, della<br />

Giunta e del Consiglio stesso con conseguenti elezioni per il rinnovo degli organi.<br />

L’assetto descritto della forma di governo regionale è previsto dalla Costituzione, che però affida allo Statuto<br />

di ciascuna Regione la competenza a determinare, in armonia con la Costituzione stessa, la forma di governo<br />

e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento (art. 123.1).<br />

In attesa dei nuovi Statuti regionali, resta in vigore la disciplina transitoria che ha introdotto le seguenti<br />

innovazioni:<br />

• sono candidati alla Presidenza della Regione i capolista delle liste regionali;<br />

• è proclamato eletto Presidente della Regione il candidato che ha conseguito il maggior numero di<br />

voti validi a livello regionale;<br />

• il Presidente della Regione fa parte del Consiglio regionale;<br />

• entro dieci giorni dalla proclamazione il Presidente della Regione nomina i componenti della Giunta,<br />

tra i quali un vice-presidente;<br />

• se il Consiglio approva una mozione di sfiducia, entro 3 mesi si procede all’indizione di nuove<br />

elezioni;<br />

6.5.3. Il margine delle scelte statutarie<br />

Secondo l’art. 123 della Costituzione ogni Regione ha uno Statuto che ne determina la forma di governo e i<br />

principi fondamentali di organizzazione funzionamento. Il sistema che viene a crearsi può così essere<br />

sintetizzato:<br />

a) la Costituzione fissa un criterio generale di elezione a suffragio universale e diretto del Presidente;<br />

b) in questo contesto il rapporto tra Presidente e Consiglio è retto dal principio “simul stabunt, simul<br />

candent”;<br />

c) il Consiglio potrebbe sempre votare una mozione di sfiducia contro il Presidente e questa possibilità<br />

non sarebbe derogabile dallo Statuto;<br />

d) le Regioni, nell’esercizio della potestà statutaria, potrebbero scostarsi da questo modello al punto da<br />

abbandonare l’elezione diretta del Presidente;<br />

e) qualora invece decidesse di mantenere l’attuale sistema transitorio, dovrebbe attenersi alla disciplina<br />

dell’art. 126 della Costituzione, compreso i casi di morte, impossibilità, rimozione, dimissioni;


6.6. La forma di governo degli EELL<br />

La forma di Governo del Comune e della provincia è stata modellata sulla legge 81/93, modificata dalla legge<br />

265/99. Tale forma di governo si basa sull’ELEZIONE POPOLARE DEL SINDACO E DEL PRESIDENTE DI<br />

PROVINCIA e su una combinazione tra sistema proporzionale e premio maggioritario a seconda del numero<br />

di abitanti dell’ente.<br />

Il Sindaco e il Presidente della Provincia durano in carica 5 anni e non possono ricoprire più di 2 mandati<br />

consecutivi (salvo che uno dei due abbia avuto durata inferiore ai 2 anni 6 mesi e 1 giorno).<br />

Nei Comuni FINO A 15.000 ABITANTI, ogni candidato Sindaco deve essere collegato ad una lista di candidati<br />

a consigliere comunale. L’elettore può esprimere un voto per il candidato Sindaco e per la lista ad esso<br />

collegata e una preferenza per uno dei candidati consiglieri della medesima lista. E’ eletto il Sindaco che<br />

ottiene il maggior numero di voti validi (maggioranza relativa). La lista del Sindaco eletto ottiene 2/3 dei<br />

seggi disponibili, mentre i rimanenti sono ripartiti tra le altre liste con formula proporzionale, applicando il<br />

metodo d’Hondt.<br />

Nei Comuni CON OLTRE I 15.000 ABITANTI, il candidato Sindaco deve essere collegato ad una o più liste di<br />

candidati alla carica di consigliere. L’elettore dispone di 1 voto per il candidato Sindaco e di 1 voto per la lista<br />

dei candidati consiglieri e può esprimere una preferenza per uno dei candidati della lista votata. Questo<br />

meccanismo viene detto di VOTO DISGIUNTO. E’ eletto il candidato Sindaco che otterrà la metà più 1 dei<br />

voti validi (maggioranza assoluta). Se nessun candidato raggiunge la maggioranza assoluta si procede con<br />

un secondo turno di ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti. Al<br />

secondo turno è eletto il candidato che ottiene il maggior numero di voti. La ripartizione dei seggi avviene<br />

con sistema proporzionale attraverso il metodo d’Hondt, ma al fine di assicurare maggiore stabilità e una<br />

maggioranza ampia al Sindaco è prevista l’attribuzione di un premio di maggioranza alle liste collegate al<br />

candidato Sindaco eletto.<br />

Più precisamente:<br />

a) qualora un candidato alla carica di Sindaco sia eletto al 1° turno, nel caso le liste a lui collegate non<br />

abbiano raggiunto la soglia del 60%, ma abbia ottenuto almeno il 40% dei voti validi, è comunque<br />

assegnato il 60% dei seggi in Consiglio Comunale. Non si dà però luogo all’attribuzione del premio di<br />

maggioranza qualora un altro gruppo di liste abbia superato il 50%;<br />

b) qualora un candidato alla carica di Sindaco sia eletto al 2° turno, al gruppo di liste a lui collegate,<br />

che non abbiano già conseguito il 60%, è assegnato il 60% dei seggi in Consiglio Comunale. Vale la<br />

stessa clausola conclusiva del punto a);<br />

Il procedimento per l’elezione del Presidente di Provincia e del Consiglio provinciale è molto simile a quello<br />

previsto per le elezioni comunali nei Comuni con più di 15.000 abitanti.<br />

Per tutte le elezioni degli EELL è prevista una clausola di sbarramento fissata al 3%.<br />

7. L’amministrazione pubblica<br />

7.1. Pluralismo amministrativo<br />

L’amministrazione dello Stato liberale seguiva un sistema organizzativo unitario (MODELLO MINISTERIALE),<br />

con una forte struttura piramidale, una vera e propria GERARCHIA AMMINISTRATIVA. In questo sistema<br />

amministrativo non c’era spazio per l’autonomia degli enti locali che venivano definiti dalla dottrina giuridica<br />

ENTI AUTARCHICI, ovvero potevano perseguire interessi propri a condizione che fossero anche interessi<br />

dello Stato che per fare questo esercitava penetranti controlli sull’attività degli EELL.<br />

Nell’odierno Stato di democrazia pluralista l’uniformità dell’amministrazione è stata da tempo abbandonata a<br />

favore di un sistema in cui sono seguiti diversi schemi di organizzazione. Così l’amministrazione si pluralizza<br />

quando si articola in centri amministrativi distinti e portatori di interessi divergenti.


7.2. Il governo e la PA<br />

Ciascun MINISTRO è preposto ad uno dei grandi rami dell’Amministrazione statale che prende il nome di<br />

MINISTERO. Il ministero quindi ha una duplice funzione, di decisione dell’indirizzo e di applicazione dello<br />

stesso.<br />

Il vecchio modello di organizzazione della PA è stato abbandonato in italia a partire dal 1993, quando<br />

l’impostazione dei ministeri fu basata sul principio della SEPARAZIONE TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE:<br />

agli organi di governo gli indirizzi e la verifica, ai dirigenti amministrativi l’adozione dei provvedimenti e la<br />

gestione della struttura per la realizzazione degli indirizzi.<br />

Quindi il ministro definisce obiettivi, priorità e programmi da attuare ed emana delle direttive generali cui i<br />

dirigenti devono conformarsi, seguendone obiettivi, modalità e standard che devono garantire secondo il<br />

principio della responsabilità dirigenziale.<br />

Nel caso l’ufficio o il livello preposto al raggiungimento di quel determinato obiettivo dovesse fallire nella sua<br />

missione, il ministro potrebbe revocare l’incarico ai livelli dirigenziali responsabili di quel settore della PA.<br />

7.3. I principi costituzionali sull’amministrazione<br />

Esistono dei principi costituzionali comuni a tutte le amministrazioni:<br />

a) la LEGALITA’ DELLA PA e la riserva di legge in materia di organizzazione. Il primo principio non è<br />

palesato nella Costituzione ma si evince dalla divisione dei poteri e da alcune disposizioni<br />

costituzionali. Il principio di legalità è la sottoposizione dell’amministrazione alla legge, ma non alla<br />

stregua di un cittadino privato che deve rispettare i limiti della legge ma nell’ambito di essi è libero di<br />

agire come meglio crede.<br />

Per la PA è la legge stessa che oltre a determinare i limiti, determina anche la modalità di azione<br />

nell’ambito di essi. Quindi la PA esercita delle opzioni nell’ambito della discrezionalità amministrativa<br />

che la legge le concede.<br />

Per quanto concerne invece l’organizzazione degli uffici pubblici, la Costituzione pone una riserva di<br />

legge relativa, ovvero limita il campo di intervento legislativo alla definizione dei principi rinviando le<br />

scelte nel dettaglio a regolamenti organizzativi. Questo consente alla PA di essere potenzialmente più<br />

flessibile;<br />

b) l’IMPARZIALITA’ DELLA PA (art. 97), vieta di effettuare discriminazioni tra soggetti non sorrette da<br />

alcun fondamento razionale e perciò arbitrarie. L’imparzialità sta alla PA come l’eguaglianza sta allo<br />

Stato;<br />

c) il BUON ANDAMENTO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE (art. 97), che richiede un’attività<br />

amministrativa che risponda ai canoni di EFFICIENZA ed EFFICACIA. In questo senso la legge<br />

241/90 secondo cui “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da<br />

criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità”;<br />

d) il principio del CONCORSO PUBBLICO per l’accesso al rapporto di lavoro con le PA (art.97.3);<br />

e) il DOVERE DI FEDELTA’, che è sancito per tutti i cittadini, e che si specifica nel dovere di adempiere<br />

le pubbliche funzioni con disciplina e onore, prestando giuramento quando richiesto. La stessa<br />

Costituzione attribuisce alla legge la competenza ad introdurre limiti al diritto di iscrizione ai partiti<br />

politici per i magistrati, militari di carriera, funzionari e agenti di Polizia e i diplomatici all’estero (art.<br />

98.3);<br />

f) il principio della SEPARAZIONE TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE. La Costituzione non formula il<br />

suddetto principio, ma afferma che “nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di<br />

competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari” (art. 97.2);<br />

g) la RESPONSABILITA’ PERSONALE DEI DIPENDENTI PUBBLICI, che esclude ogni forma di immunità<br />

per gli atti da essi compiuti in violazione dei diritti (art. 28);<br />

h) dopo la riforma del Titolo V, l’amministrazione pubblica deve essere una AMMINISTRAZiONE<br />

LOCALE. L’art. 118 della Costituzione stabilisce che le funzioni amministrative sono attribuite ai<br />

Comuni;


7.4. I principi sul procedimento amministrativo<br />

L’attività delle pubbliche amministrazioni prima di adottare il provvedimento amministrativo, vede la<br />

confluenza di svariati altri atti preparatori del provvedimento finale. Quindi esistono svariati atti<br />

amministrativo-strumentali rispetto all’adozione del provvedimento finale. In questo si dice che siamo in<br />

presenza di un PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO. Quest’ultimo può essere definito come una sequenza di<br />

atti preordinati all’adozione del provvedimento finale.<br />

Il procedimento amministrativo si articola quindi nelle seguenti fasi:<br />

1) la fase dell’iniziativa, aperta con l’istanza del soggetto interessato ad ottenere il provvedimento<br />

finale, oppure dell’iniziativa della stessa amministrazione (quindi d’ufficio);<br />

2) la fase istruttoria, in cui si accertano gli elementi di fatto e di diritto su cui si dovrà basare la<br />

decisione dell’amministrazione. In questa fase vengono raccolti i pareri di altre amministrazionl<br />

interessate all’oggetto dell’istanza, detti NULLA OSTA;<br />

3) la fase costitutiva, in cui si adotta il provvedimento vero e proprio;<br />

4) la fase integrativa dell’efficacia, che si ha quando il provvedimento per diventare produttivo di effetti<br />

giuridici deve essere seguito da qualche adempimento ulteriore. In tal caso il provvedimento è<br />

perfetto alla sua adozione, ed efficace dopo il compimento degli adempimenti di legge (ex.<br />

pubblicazione);<br />

In italia, dopo un lungo dibattito, è stata approvata una LEGGE GENERALE SUL PROCEDIMENTO<br />

AMMINISTRATIVO (legge 241/90). Tale legge stabilisce che l’attività amministrativa deve conformarsi ai<br />

seguenti principi:<br />

a) l’amministrazione persegue i fini stabiliti dalla legge (principio di legalità) ed opera sulla base di<br />

criteri di economicità, di efficiacia, e di pubblicità. Alla luce di tali esigenze, è stato introdotto il<br />

divieto per l’amministrazione di chiedere al privato adempimenti o introdurre incombenze che non<br />

siano strettamente imposte da esigenze istruttorie;<br />

b) il procedimento deve necessariamente concludersi entro tempi certi. Qualora l’amministrazione non<br />

ne determina la tempistica, essa è di 30 giorni;<br />

c) ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato, con l’eccezione degli atti normativi e di<br />

quelli di contenuto generale. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni<br />

giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze<br />

dell’istruttoria;<br />

d) l’amministrazione ha il dovere di provvedere e il procedimento deve comunque terminare con un<br />

provvedimento espresso;<br />

e) ogni procedimento deve avere un funzionario responsabile;<br />

f) la partecipazione dei soggetti privati interessati al procedimento che si realizza attraverso vari<br />

istituti. La partecipazione al provvedimento si realizza attraverso la presentazione di memorie scritte<br />

o documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare prima di adottare il provvedimento;<br />

g) la semplificazione amministrativa che comporta la ricerca della massima snellezza operativa, della<br />

conclusione in tempi certi e rapidi, della riduzione degli oneri imposti ai privati. Tra le previsioni di<br />

legge dirette a realizzare la semplificazione si possono citare: 1) il silenzio-assenso e 2) la denuncia<br />

di inizio attività da parte di un privato qualora sussistano i presupposti a norma di legge;<br />

La legge sul procedimento amministrativo ha anche previsto un’ampia garanzia del DIRITTO DI ACCESSO ai<br />

documenti amministrativi. Questo diritto viene riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di<br />

situazioni giuridicamente rilevanti. Il diritto di accesso è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato o<br />

istruttorio, a tutela degli interessi dello Stato e della riservatezza di terzi.<br />

7.5. I contratti della PA<br />

Le pubbliche amministrazioni per il raggiungimento dei loro fini possono servirsi degli strumenti offerti dal<br />

diritto privato, ed in particolare dei contratti. Alla persona giuridica è riconosciuta la stessa capacità dei<br />

soggetti privati.<br />

I contratti della PA si possono distinguere in CONTRATTI ATTIVI E PASSIVI: con i primi acquisisce delle<br />

entrate, mentre i secondi comportano delle spese.


Tra i contratti della PA rivestono notevole importanza quelli di APPALTO PUBBLICO, che sono contratti<br />

conclusi dall’amministrazione con un privato, che quindi opera con una propria organizzazione e con gestione<br />

delle attività richiesta a proprio rischio in cambio di un corrispettivo pattuito. L’oggetto del contratto può<br />

essere la realizzazione di un opera, la fornitura di beni o la prestazione di servizi. Nel primo caso si parla di<br />

appalto di opere, nel secondo di beni e nel terzo di servizi.<br />

L’attività contrattuale della PA è sottoposta a regole speciali, soprattutto nella scelta del contraente privato.<br />

Le procedure di scelta sono state strutturate ai fini di garantire pubblicità e concorrenza e vengono definiti<br />

PROCEDIMENTI AD EVIDENZA PUBBLICA.<br />

7.5. I servizi pubblici<br />

L’attività amministrativa diversa da quella che utilizza gli strumenti del diritto privato, si distingue in<br />

FUNZIONE PUBBLICA e SERVIZIO PUBBLICO. La prima si caratterizza per i poteri autoritativi, esercitati<br />

unilateralmente con conseguenze giuridiche al destinatario a prescindere dal suo consenso; la seconda si<br />

svolge senza l’uso dei poteri autoritativi, anche se è l’adempimento di un obbligo di legge a tutela di interessi<br />

generali.<br />

Un regime particolare è previsto per i SERVIZI PUBBLICI LOCALI per cui la riforma del 2001 attribuisce la<br />

competenza della materia, già normata da leggi dello Stato, alle Regioni.


8. Fonti del diritto: nozioni generali<br />

8.1. Fonti di produzione<br />

8.1.1. Definizioni<br />

Nel linguaggio giuridico la parola fonte indica gli strumenti di produzione del diritto. La definizione<br />

tradizionale è: “l’atto o il fatto abilitato dall’ordinamento giuridico a produrre norme giuridiche, cioè a<br />

innovare l’ordinamento giuridico stesso”.<br />

È una definizione ricorsiva, ovvero circolare: è l’ordinamento giuridico a indicare i modi in cui si forma e si<br />

rinnova l’ordinamento giuridico.<br />

8.1.2. Norme di riconoscimento<br />

Gli ordinamenti moderni si istituiscono attraverso un processo costituente.<br />

Ciò significa che è la stessa costituzione a indicare gli atti che possono produrre il diritto attraverso una<br />

struttura gerarchica, la quale indica le FONTI PRIMARIE, ovvero il livello appena inferiore alla fonte<br />

costituzionale, che a loro volta regolano le FONTI SECONDARIE, ovvero il livello gerarchicamente successivo<br />

dall’alto verso il basso.<br />

Le norme di un ordinamento giuridico che indicano le fonti abilitate a innovare l’ordinamento stesso si<br />

chiamano usualmente NORME DI RICONOSCIMENTO.<br />

8.2. Fonti di cognizione: pubblicazione e ricerca<br />

8.2.1. Definizioni<br />

Le FONTI DI COGNIZIONE del diritto non sono altro che gli strumenti attraverso cui si viene a conoscere le<br />

fonti di produzione.<br />

In italia vi sono fonti di cognizione ufficiali (GAZZETTA UFFICIALE G.U.) oppure private.<br />

Altre fonti ufficiali sono i Bollettini ufficiali delle Regioni (B.U.R.) e la Gazzetta ufficiale della Comunità<br />

europea (GUCE).<br />

8.2.2. Pubblicazione ufficiale e entrata in vigore<br />

Il testo che viene pubblicato sulle fonti ufficiali ha molta importanza, perché quel testo ENTRA IN VIGORE.<br />

Infatti tutti gli atti normativi devono essere pubblicati su una fonte ufficiale perché i cittadini e gli organi<br />

preposti all’applicazione del diritto lo possano conoscere.<br />

Trascorsi 15 giorni dalla data di pubblicazione (questo periodo viene detto VACATIO LEGIS) in cui gli effetti<br />

della legge sono sospesi, l’atto diviene pienamente obbligatorio e vige la presunzione di conoscenza della<br />

legge (“IGNORANTIA LEGIS NON EXCUSAT”) e l’obbligo del giudice di applicarla senza bisogno che siano le<br />

parti a provarne l’esistenza (“IURA NOVIT CURIA”).


8.3. Fonti-atto e fonti-fatto<br />

8.3.1. Definizioni<br />

Le fonti di produzione si distinguono in due categorie: le FONTI-ATTO (o ATTI NORMATIVI) o le FONTI-<br />

FATTO (o FATTI NORMATIVI).<br />

Le fonti-atto sono parte degli ATTI GIURDICI, quindi comportamenti consapevoli e volontari che danno<br />

luogo a effetti giuridici. Gli atti normativi, rispetto all’insieme più ampio degli atti giuridici, hanno due<br />

caratteristiche specifiche:<br />

a) quanto agli effetti giuridici, gli atti normativi hanno la capacità di porre norme vincolanti per tutti;<br />

b) quanto ai comportamenti, questi devono essere imputabili a soggetti cui lo stesso ordinamento<br />

riconosce il potere di porre in essere tali atti. Quindi l’agire volontario di un organo a ciò abilitato<br />

dall’ordinamento seconda la norma di riconoscimento;<br />

Quindi la definizione tradizionale può essere letta anche così: la fonte-atto (atto normativo) è l’espressione di<br />

volontà normativa di un soggetto cui l’ordinamento attribuisce l’idoneità di porre in essere norme giuridiche.<br />

Le fonti-fatto sono invece una categoria residuale e sono le altre fonti che l’ordinamento riconosce perché<br />

esistenti. Appartengono alla categoria dei FATTI GIURDICI che producono conseguenze per l’ordinamento.<br />

Quindi dagli atti normativi discendono norme vincolanti per tutti, dai fatti giuridici non necessariamente,<br />

poiché le fonti-fatto creano conseguenze giuridiche solo per il soggetto del fatto, ovvero per l’evento<br />

determinatosi.<br />

8.3.2. Tipicità degli atti normativi<br />

Perché la volontà normativa sia vincolante deve essere riconoscibile, deve manifestare da quale fonte di<br />

riconoscimento deriva la sua potestà normativa. La tipica forma dell’atto è data da una serie di elementi<br />

quali l’intestazione dell’autorità emanante (ex. Decreto ministeriale), il nome proprio dell’atto (nomen juris,<br />

ex. Decreto-legge) e il procedimento per la formazione dello stesso, ovvero la sequenza ordinata di atti fino<br />

al risultato finale.<br />

Dal punto di vista redazionale l’atto è suddiviso in ARTICOLI, e questi a loro volta in COMMI. Gli articoli,<br />

spesso corredati da una RUBRICA che ne indica l’argomento, possono essere raggruppati in CAPI, e questi a<br />

loro volta in TITOLI e PARTI.<br />

8.3.3. Le consuetudini<br />

Una volta si poteva dire che la fonte-fatto per eccellenza fosse la CONSUETUDINE. Oggi la consuetudine è<br />

quasi scomparsa, in ordinamenti che si ispirano alla codificazione. Vi sono ancora alcuni richiami, per<br />

esempio nel codice civile relativamente agli usi contrattuali, ma comunque di scarsa rilevanza data la<br />

difficoltà oggettiva di determinare l’esistenza degli usi.<br />

Le c.d. CONSUETUDINE INTERPRETATIVE invece sono altra cosa rispetto alla consuetudine. Infatti non sono<br />

comportamenti sociali ma costanti interpretazioni delle disposizioni di legge da parte degli interpreti. Non<br />

sono pertanto fonti di diritto, ma di interpretazione del diritto.<br />

Nel diritto costituzionale molti autori accennano alle consuetudini, ma anche qui si rischia di fare una grande<br />

confusione. Perlopiù si tratterebbe di CONSUETUDINI “FACOLTIZZANTI”: sono quelle che consentono<br />

comportamenti che le disposizioni scritte non vietano esplicitamente.<br />

La Costituzione all’art. 10.1 (dove stabilisce che “l’ordinamento italiano si conforma alle norme del diritto<br />

internazionale generalmente riconosciute”) fa riferimento alle CONSUETUDINI INTERNAZIONALI.


Fonti-fatto, oltre alla consuetudine, sono per il nostro ordinamento tutte quelle che producono norme<br />

richiamate dal nostro ordinamento stesso ma non prodotte dai nostri organi. Le norme comunitarie sono da<br />

considerarsi, per esempio, fonti-fatto per il nostro ordinamento, fonti-atto per l’ordinamento comunitario.<br />

Considerazioni similari valgono per le NORME DI DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO.<br />

8.4. Tecniche di rinvio ad altri ordinamenti<br />

8.4.1. Il rinvio ad altri ordinamenti<br />

Il PRINCIPIO DI ESCLUSIVITA’, che è espressione della sovranità dello Stato, attribuisce a questo il potere<br />

esclusivo di riconoscere le proprie fonti, e quindi di indicare i fatti e gli atti che producono l’ordinamento. Le<br />

norme di ordinamenti di Stati diversi, possono valere all’interno dell’ordinamento dello Stato soltanto se le<br />

disposizioni di questo lo consentono.<br />

Per consentire alle norme prodotte da fonti di altri ordinamenti si opera attraverso la tecnica del RINVIO. Si<br />

distinguono due tecniche di rinvio, “fisso” e “mobile”.<br />

8.4.2. Il rinvio “fisso”<br />

Il RINVIO FISSO (detto anche RINVIO MATERIALE o RECETTIZIO) è il meccanismo con cui una disposizione<br />

dell’ordinamento statale richiama un determinato atto in vigore in altro ordinamento. Eventuali variazioni<br />

all’atto cui si rinvia non produrranno effetti nell’ordinamento sino a un nuovo recepimento.<br />

8.4.3. Il rinvio “mobile”<br />

Il RINVIO MOBILE (detto anche RINVIO FORMALE o NON-RECETTIZIO) è il meccanismo con cui una<br />

disposizione dell’ordinamento statale richiama non uno specifico atto di un altro ordinamento ma una fonte<br />

di esso.<br />

8.5. La funzione dell’interpretazione<br />

L’atto normativo è un documento scritto, dotato di determinate caratteristiche formali. Come tutti i testi<br />

scritti, l’atto normativo è articolato in ENUNCIATI, che rappresentano l’unità linguistica minima portatrice di<br />

un significato completo. Tramite gli enunciati si esprime la volontà normativa del legislatore. Per la loro<br />

caratteristica imperativa, gli enunciati degli atti normativi si chiamano DISPOSIZIONI.<br />

Due cose distinte sono l’INTERPRETAZIONE e l’APPLICAZIONE del diritto. Si dice che usualmente<br />

l’applicazione del diritto consiste nell’applicazione di una norma generale e astratta a un caso particolare e<br />

concreto secondo lo schema del SILLOGISMO, che in questo caso si dice GIUDIZIALE.<br />

La NORMA però è il frutto dell’interpretazione delle disposizioni.<br />

8.6. Le antinomie e tecniche di risoluzione<br />

ANTINOMIE si chiamano i contrasti tra norme. E’ il compito dell’interprete risolvere le antinomie,<br />

individuando la norma applicabile al caso. Talvolta, con un’interpretazione sistematica, è possibile risolvere le<br />

antinomie, cioè attribuendo alle disposizioni in gioco un significato che le renda compatibili.


Qualora un’interpretazione sistematica non risolve le antinomie di taluni provvedimenti, quattro sono i criteri<br />

stabiliti dall’ordinamento per la risoluzione delle contraddizioni: il criterio cronologico, il criterio gerarchico, il<br />

criterio di specialità e quello della competenza.<br />

8.6. Il criterio cronologico e l’abrogazione<br />

8.6.1. Definizioni<br />

Il CRITERIO CRONOLOGICO dice che in caso di contrasto tra 2 norme si deve preferire quella più recente<br />

(LEX POSTERIOR DEROGAT PRIORI).<br />

La prevalenza della nuova norma sulla vecchia si esprime attraverso l’ABROGAZIONE che sancisce il termine<br />

dell’EFFICACIA della norma posteriore.<br />

L’efficacia è una figura generale del diritto e consiste nell’idoneità di un fatto, un atto o un negozio giuridico<br />

a produrre effetti giuridici.<br />

8.6.2. Efficacia delle norme e principio di irretroattività delle leggi<br />

L’efficacia di una norma è la sua applicabilità come regola dei rapporti giuridici. La norma diventa efficace<br />

quando la disposizione entra in vigore. Vige il PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITA’ per gli atti normativi, come<br />

disposto nelle Preleggi, ma non a livello costituzionale, dove è previsto solo per le norme penali<br />

incriminatrici.<br />

8.6.3. Effetti temporali dell’abrogazione<br />

Il principio di irretroattività vale anche per l’abrogazione. Se questa è effetto prodotto dal nuovo atto sulle<br />

norme precedenti, opera in mancanza di disposizioni contrarie solo per il futuro. La norma abrogata quindi<br />

sarà la norma che il giudice dovrà applicare per i vecchi rapporti intercorsi fino all’entrata in vigore della<br />

nuova normativa. Si dice che l’abrogazione opera EX NUNC (da ora).<br />

8.6.4. Tipi di abrogazione<br />

L’art. 15 delle Preleggi elenca tre ipotesi di abrogazione:<br />

a) per dichiarazione espressa dal legislatore (ABROGAZIONE ESPRESSA);<br />

b) per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti (ABROGAZIONE IMPLICITA);<br />

c) perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore (ABROGAZIONE<br />

TACITA);<br />

L’abrogazione espressa è il contenuto tipico di una disposizione e possiede una valenza ERGA OMNES.<br />

L’abrogazione implicita non è disposta dal legislatore ma dall’interprete (ex. un giudice) che risolve<br />

l’antinomia. Ma l’interprete non può eliminare la disposizione anteriore, perché è una fonte-atto.<br />

Quindi l’abrogazione implicita è temporalmente identica a quella espressa, ma non spazialmente, poiché se<br />

le disposizione del legislatore valgono erga omnes, le interpretazioni valgono nel singolo giudizio (INTER<br />

PARTES).<br />

L’abrogazione tacita è in tutto simile negli effetti all’abrogazione implicita e si differenzia soltanto<br />

nell’argomentazione che non riguarda il singolo enunciato ma il dispositivo nel complesso.


8.6.5. Abrogazione, deroga e sospensione<br />

Diversa dall’abrogazione è la DEROGA. La deroga nasce da un contrasto tra norme di tipo diverso, nel senso<br />

che la norma derogata è una norma generale, mentre la norma derogante è una norma particolare: è<br />

semplicemente un’eccezione alla regola. La norma derogata non perde efficacia (come nel caso di un<br />

abrogazione) ma viene limitato il suo campo di applicazione.<br />

Simile alla deroga è la SOSPENSIONE dell’applicazione di una norma.<br />

8.7. Il criterio gerarchico e l’annullamento<br />

8.7.1. Definizioni<br />

Il CRITERIO GERARCHICO dice che in caso di contrasto tra due norme si deve preferire quella che nella<br />

GERARCHIA DELLE FONTI occupa il posto più elevato (LEX SUPERIOR DEROGAT LEGI INFERIORI). La<br />

Costituzione (art. 134) disegna implicitamente una gerarchia dove la Costituzione prevale sulla legge e<br />

analogamente le Preleggi disegnano una gerarchia dove la legge prevale sul regolamento e questo sulle<br />

consuetudini.<br />

La prevalenza della norma superiore su quella inferiore si esprime attraverso l’ANNULLAMENTO.<br />

L’annullamento è l’effetto di una DICHIARAZIONE DI ILLEGITTIMITA’ che un giudice pronuncia nei confronti<br />

di un atto che quindi perde VALIDITA’. La validità è una figura generale del diritto e consiste nella<br />

conformità alle norme che lo disciplinano, un caso ristretto della LEGITTIMITA’.<br />

I vizi possono essere di due tipi: FORMALI o SOSTANZIALI. I vizi formali riguardano la competenza<br />

dell’organo che lo ha emanato e il procedimento seguito e quindi riguardano l’atto nel suo complesso. I<br />

secondi riguardano i contenuti normativi di una disposizione, cioè le norme che producono antinomie con<br />

altre disposizioni.<br />

Il criterio cronologico opera sulla fisiologia dell’ordinamento (crescita) mente il criterio gerarchico opera sulla<br />

patologia dell’ordinamento, appunto i vizi.<br />

8.7.2. Effetti dell’annullamento<br />

In linea generale quando un giudice dichiara l’illegittimità di un atto normativo, questa dichiarazione ha<br />

effetti generali (erga omnes). Al contrario dell’abrogazione, l’annullamento opera anche per il passato (EX<br />

TUNC) solo per quei RAPPORTI ancora PENDENTI (o aperti). I RAPPORTI ESAURITI (chiusi) non possono più<br />

essere dedotti davanti a un giudice. I rapporti possono chiudersi per PRESCRIZIONE, DECADENZA del diritto,<br />

per volontà cioè ACQUIESCENZA oppure in GIUDICATO.<br />

8.8. Il criterio della specialità<br />

8.8.1. Definizioni<br />

Il CRITERIO DELLA SPECIALITA’ dice che in caso di contrasto tra due norme si deve preferire la norma<br />

speciale a quella generale, anche se questa è successiva (LEX SPECIALIS DEROGAT LEGI GENERALI; LEX<br />

POSTERIOR GENERALIS NON DEROGAT LEGI PRIORI SPECIALI)<br />

La preferenza per la norma speciale non si esprime né con riferimento all’efficacia della norma (come per<br />

l’abrogazione), né con riferimento alla sua validità (come per l’annullamento). Le norme in conflitto<br />

rimangono entrambe efficaci e valide e l’interprete opera solamente una scelta di quale norma applicare;


l’altra norma semplicemente non è applicata. La deroga è quindi l’effetto tipico della prevalenza della norma<br />

speciale su quella generale.<br />

8.8.2. Rapporti tra il criterio di specialità e gli altri<br />

La deroga è però solo uno dei possibili esiti di un conflitti tra norma generale e norma speciale. Ecco il<br />

quadro delle relazioni che riassume le cose già dette in precedenza:<br />

a) se la norma generale è successiva, e la norma generale e la norma particolare hanno parità<br />

gerarchica: è preferita la norma speciale (DEROGA);<br />

b) se la norma generale è successiva, e la norma generale è superiore alla norma speciale: è preferita<br />

la norma generale superiore (ILLEGITTIMITA’);<br />

c) se la norma generale è successiva, e la norma generale è inferiore alla norma speciale: è preferita la<br />

norma speciale superiore (ILLEGITTIMITA’);<br />

d) se la norma speciale è successiva, e la norma generale e la norma particolare hanno parità<br />

gerarchica: è preferita la norma speciale (DEROGA);<br />

e) se la norma speciale è successiva, e la norma generale è superiore alla norma speciale: è preferita la<br />

norma generale superiore (ILLEGITTIMITA’);<br />

f) se la norma speciale è successiva e la norma generale è inferiore alla norma speciale: è preferita la<br />

norma speciale superiore (ILLEGITTIMITA’);<br />

8.8.3. Regola e eccezione: problemi di interpretazione<br />

Il criterio di specialità opera esclusivamente tra norme, e appartenendo alle tecniche dell’interpretazione<br />

opera inter partes. L’eccezione e quindi la deroga può essere disciplinata dalla stessa disposizione che pone<br />

la regola, ma in questi casi non si parlerebbe di applicazione del criterio della specialità ma di tecnica di<br />

redazione legislativa con validità erga omnes.<br />

Le eccezioni siano esse espresse o interpretate non possono essere lette in senso estensivo. Quindi se la<br />

norma speciale va preferita alla norma generale, questa preferenza vale solo nei casi espressamente indicati<br />

dalla norma speciale senza l’estensione a casi analoghi.<br />

8.9. Il criterio della competenza<br />

8.9.1. Definizioni<br />

Il CRITERIO DI COMPETENZA non si presta a una definizione stringente in forma di regola per l’interprete,<br />

questo perché esso non è un criterio prescrittivo ma esplicativo: serve cioè a spiegare come è organizzato<br />

attualmente il sistema delle fonti.<br />

Il problema dell’individuazione delle competenze nasce dal sistema costituzionale italiano, basato su di una<br />

costituzione rigida che ha previsto vi siano più fonti di diritto non necessariamente organizzate in scala<br />

gerarchica. La gerarchia delle fonti quindi non basta più a darci il quadro esatto del sistema, perché vi sono<br />

suddivisioni non spiegabili in termini di “forza” ma di competenza.<br />

8.9.2. Effetti dell’applicazione<br />

Se dovessimo utilizzare il criterio di competenza, non come schema esplicativo, ma come regola con cui<br />

risolvere i conflitti tra norme, dovremmo dire che prescrive di dare preferenza alla norma competente.<br />

Benché il criterio di competenza, in quanto prescrizione diretta all’interprete, non sembri dunque avere una<br />

propria consistenza, autonoma dagli altri criteri, esso è tuttavia assunto dalla Corte Costituzionale come


criterio che deve guidare i giudici in alcune situazioni, come nei rapporti tra atti statali e regionali o contrasti<br />

con le normative europee.<br />

8.10. Riserve di legge e principio di legalità<br />

8.10.1. Definizioni<br />

La RISERVA DI LEGGE è lo strumento con cui la Costituzione regola il concorso delle fonti nella disciplina di<br />

una determinata materia: perciò è una regola circa l’esercizio della funzione legislativa. E’ dunque evidente<br />

che la riserva di legge acquista un significato preciso soltanto dove vi sia una Costituzione rigida perché solo<br />

in questo caso i limiti posti dalla Costituzione alla funzione legislativa possono imporsi al legislatore.<br />

Diverso significato ha il PRINCIPIO DI LEGALITA’. Esso affonda le sue radici nello Stato di diritto, della cui<br />

definizione è un elemento integrante. Il principio di legalità prescrive che qualsiasi potere pubblico si fonda<br />

su una previa norma attributiva della competenza: la sua ratio è di assicurare un uso regolato, non<br />

arbitrario, controllabile e giustiziabile del potere.<br />

La riserva di legge si presenta come l’espressione dell’estensione della legalità alla stessa attività legislativa.<br />

8.10.2. Tipologie<br />

Il meccanismo della riserva opera in modi diversi:<br />

a) le RISERVE A FAVORE DI ATTI DIVERSI DALLA LEGGE sono rare e si tratta di:<br />

• riserve a favore della legge costituzionale. L’art. 138 introduce un particolare procedimento per<br />

la revisione costituzionale. Alle leggi formate con questo procedimento è riservata la disciplina di<br />

alcune materie, tra cui l’approvazione degli Statuti regionali;<br />

• riserve a favore dei regolamenti parlamentari;<br />

b) la RISERVA DI LEGGE FORMALE ORDINARIA impone che sulla materia intervenga il solo atto<br />

legislativo prodotto attraverso il procedimento parlamentare con l’esclusione quindi degli altri atti<br />

equiparati alla legge formale stessa. La ratio di questa riserva è quella di riservare all’approvazione<br />

parlamentare quelle leggi che rappresentano strumenti tramite i quali il Parlamento può controllare il<br />

Governo. Ad esempio tutti gli atti con forza di legge approvati dal Governo devono essere<br />

confermati, o prima o dopo, dal Parlamento;<br />

c) le riserve di legge in senso stretto prescrivono la materia da esse considerata sia disciplinata dalla<br />

legge ordinaria e dalle fonti equiparate, escludendo o limitando l’intervento di atti di livello<br />

gerarchico inferiore alla legge, cioè dei regolamenti amministrativi. A seconda dei rapporti tra legge<br />

e regolamento i distinguono due tipi di riserve di legge:<br />

• la RISERVA ASSOLUTA esclude qualsiasi intervento di fonti sub-legislative dalla disciplina della<br />

materia, che, pertanto, dovrà essere integralmente regolata dalla legge formale ordinaria o da<br />

atti ad essa equiparata. Ad esempio l’art. 13.2 prevede l’arresto “nei soli casi previsti dalla legge”<br />

(riserva di legge assoluta) e poi aggiunge “per atto motivato dell’autorità giudiziaria” (RISERVA<br />

DI GIURISDIZIONE);<br />

• la RISERVA RELATIVA non esclude che alla disciplina della materia concorra anche il<br />

regolamento amministrativo, ma richiede che la legge disciplini preventivamente almeno i<br />

principi a cui il regolamento deve attenersi. Ad esempio l’art. 97.1 dispone che “i pubblici uffici<br />

sono organizzati secondo disposizioni di legge”, quindi impone due vincoli: il primo al legislatore<br />

che deve normare l’attività degli uffici pubblici, il secondo al Governo che deve utilizzare gli uffici<br />

pubblici come disposto dal legislatore;<br />

d) le RISERVE RINFORZATE sono un meccanismo con cui la Costituzione non si limita a riservare la<br />

disciplina di una materia alla legge, ma pone ulteriori vincoli al legislatore. Si possono distinguere:<br />

1) le riserve rinforzate per contenuto si hanno in quei casi in cui la Costituzione prevede che una<br />

determinata regolamentazione possa essere fatta dalla legge ordinaria soltanto con contenuti<br />

particolari:


• l’art. 14.3 consente al legislatore di dettare regole speciali, meno rigide, per le perquisizioni<br />

domiciliari ma soltanto per motivi di sanità o incolumità pubblica oppure ai fini economici e<br />

fiscali;<br />

• l’art. 16.1 consente al legislatore di limitare la libertà di circolazione ma solo con regole che<br />

dispongano “in generale per motivi di sanità o di sicurezza”;<br />

• l’art. 43 consente allo Stato “a fini di utilità generale” di nazionalizzare le imprese solo<br />

individuando “determinate imprese o categorie di imprese”;<br />

2) le riserve rinforzate per procedimento prevedono invece che la disciplina di una determinata<br />

materia debba seguire un procedimento aggravato rispetto al normale procedimento legislativo:<br />

• l’art. 7 prevede che i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica possano essere modificati previo<br />

accordo tra entrambe le parti;<br />

• l’art. 8 prevede una situazione simile per le intese che il Governo può raggiungere con i<br />

rappresentanti dei culti “acattolici”;<br />

• il nuovo art. 116.3 prevede che con legge formale a maggioranza assoluta, sulla base di<br />

intesa fra lo Stato e la Regione interessata e iniziativa della stessa, sentiti gli enti locali si<br />

possano riconoscere a determinate regioni “forma e condizioni particolari di autonomia”<br />

riguardanti alcune specifiche materie;


9. La Costituzione<br />

9.1. Significati di Costituzione<br />

Negli ordinamenti giuridici moderni la fonte posta al vertice della gerarchia delle fonti è la costituzione. Il<br />

termine COSTITUZIONE è però impiegato nel linguaggio dei giuristi con significati notevolmente diversi:<br />

a) in un primo uso, costituzione indica gli elementi che caratterizzano un determinato sistema politico,<br />

come è fatto e funziona. Una funzione quindi descrittiva. Assumendo questo punto di vista ogni<br />

società ha una costituzione;<br />

b) oppure costituzione indica un manifesto politico. La Costituzione così intesa non è un dato ma è un<br />

documento, il documento fondamentale che segna il trionfo di un ideale e sancisce la vittoria di una<br />

visione politica. Proiettato al futuro, programmi e speranze;<br />

c) la Costituzione è anche un testo normativo, una fonte del diritto;<br />

Allora questo termine è usato in senso descrittivo dai sociologi e dai politologi, come manifesto politico dagli<br />

storici e dai filosofi mentre i giuristi lo utilizzano nella sua accezione di testo normativo. Ma per conoscere un<br />

testo bisogna prima interpretarlo e valutare in che misura è oggettivante, oggi, e in quale misura è<br />

espressione di una specifica interpretazione voluta dai costituenti, ieri.<br />

9.2. Potere costituente e poteri costituiti<br />

Se tutti i sistemi politici hanno una costituzione in senso descrittivo, non tutti hanno un testo normativo<br />

chiamato Costituzione. Il documento costituzionale è una conquista relativamente recente spinta dal<br />

movimento costituzionalista voluta coma manifesto politico tradotto in testo normativo con regole giuridiche.<br />

Per il giurista positivista, che si occupa del diritto costituito, la fase storica preliminare alla posizione del<br />

diritto importa relativamente. L’emanazione della Costituzione segna il passaggio tra due fasi storiche e tra<br />

due situazioni giuridiche differenti. Con la Costituzione si esaurisce il potere costituente ed inizia il potere<br />

costituito. Nel linguaggio giuridico il POTERE COSTITUENTE è definito un potere libero.<br />

Non meno importante è il riconoscimento esterno che si esprime attraverso la pratica del RICONOSCIMENTO<br />

INTERNAZONALE. Per il diritto internazionale l’affermarsi e la legittimazione di uno Stato è un fenomeno non<br />

spiegabile in termini di diritto: lo Stato si legittima da sé.<br />

Riflettendo sulle condizioni storiche che hanno determinato le costituzioni moderne che si può cogliere il<br />

significato di ripartizione tra costituzioni flessibili e rigide.<br />

9.3. Costituzioni flessibili e rigide<br />

9.3.1. Definizioni<br />

La distinzione tra COSTITUZIONI FLESSIBLI e COSTITUZIONI RIGIDE è generalmente spiegata così: sono<br />

flessibili le costituzioni che non prevedono un procedimento particolare per la loro modificazione, ma<br />

consentono che questa avvenga attraverso la normale attività legislativa, rigide quelle che dispongono per la<br />

modificazione del testo un particolare procedimento.<br />

Per le prime non esiste una forma di controllo costituzionale delle leggi, poiché se la legge dispone<br />

diversamente dalla Costituzione è quest’ultima a modificarsi. Per le seconde invece è prevalente la<br />

Costituzione.


Le Costituzioni flessibili sono tipiche del ‘800, rigide del ‘900.<br />

9.3.2. Nozione di Costituzione flessibile<br />

Il senso delle Costituzione dell’800 era quello di sancire il passaggio dalla titolarità assoluta del potere del Re<br />

a una procedura di codecisione con il Parlamento. Sostanzialmente sancivano le modalità del procedimento<br />

legislativo, il quale poteva poi portare nel merito anche a negare le libertà fondamentali. Esse erano<br />

manifesti politici e per lo più atti non normativi.<br />

Come si vede la nozione di Costituzione flessibile ha qualche margine di ambiguità. E’ flessibile nella parte in<br />

cui non pretende di essere una regola giuridica, o almeno una regola capace di imporsi sulle leggi; ma è più<br />

che rigida nella parte in cui attribuisce la sovranità alla legge e al suo procedimento di formazione. Per<br />

questo le costituzioni flessibili sono abbastanza brevi: le dichiarazioni di inviolabilità dei diritti si configurano<br />

come enunciazione di un manifesto senza che posseggano forza regolativa se non quella di vietare quanto<br />

vietato dalla legge.<br />

9.3.3. Nozione di Costituzione rigida<br />

Le Costituzioni rigide pretendono che tutte le loro disposizioni abbiano forza regolativa e siano trattate come<br />

regole inderogabili. La rigidità è una caratteristica fissa delle costituzione del ‘900, ma la prima Costituzione<br />

moderna è quella degli Stati Uniti -rigida- del 1787.<br />

Quello che la costituzione rigida vuole garantire è che la parte che ottiene la maggioranza (sia essa una<br />

componente politica, sociale, religiosa o territoriale) non si impossessi definitivamente e non minacci<br />

l’esistenza delle minoranze. Quindi ogni Costituzione rigida è frutto di un compromesso, che è<br />

necessariamente lunga perché ogni componente accetta l’accordo a condizione che i suoi interessi siano<br />

tutelati dal testo costituzionale, che è necessariamente a sua volta garantito da un giudice cui è attribuita la<br />

facoltà di assicurare il rispetto del compromesso. Le garanzie sono di due tipi: il procedimento di revisione<br />

costituzionale e il controllo di legittimità delle leggi.<br />

9.4. La Costituzione italiana<br />

9.4.1. Genesi<br />

La Costituzione italiana repubblicana entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Essa fu approvata dall’Assemblea<br />

costituente, eletta contemporaneamente al referendum istituzionale.<br />

Il fatto che il testo finale della Costituzione sia stato approvato con quasi il 90% dei voti di un’assemblea<br />

politicamente divisa spiega alcune caratteristiche della stessa. E’ una Costituzione lunga perché frutto di un<br />

ampio compromesso, una somma di istanze. E’ una Costituzione aperta poiché non individua il punto di<br />

equilibrio tra i diversi interessi.<br />

9.4.2. Contenuti<br />

La Costituzione italiana del 1948 si compone di parti diverse. Inizia con i Principi fondamentali: 12 articoli<br />

che elencano principi anche in contrapposizione tra loro.<br />

Che la repubblica si fondi sul lavoro (art. 1) e il medesimo sia un diritto fondamentale (art. 4) sono<br />

affermazioni di carattere essenzialmente politico, che ispirano l’ordinamento giuridico ma che non possono<br />

avere piena attuazione se non tramite una legislazione ordinaria che individui gli strumenti per operare in tal<br />

senso. Così il riconoscimento delle autonomie locali (art. 5), la tutela delle minoranze (art. 6) e la


valorizzazione del patrimonio, nel senso lato, della nazione (art. 9) sono compiti assegnati al legislatore e<br />

non al giudice che non ha mezzi per assolverle.<br />

Quindi il giudice non può promuovere iniziative volte alla realizzazione dei principi ma può impugnare le leggi<br />

che non si muovono nella direzione descritta nel testo. Una funzione negativa, di limite, è quindi attribuita a<br />

tutte le affermazioni di principi, o NORME PROGRAMMATICHE.<br />

L’avvento della Corte Costituzionale ha fatto perdere di significato la distinzione tra NORME PRECETTIVE e<br />

NORME PROGRAMMATICHE.<br />

Una seconda parte della Costituzione (Parte prima – Diriti e doveri dei cittadini) pone le garanzie delle libertà<br />

individuali (Titolo I – Rapporti civili), dei diritti sociali (Titolo II – Rapporti etico-sociali) e delle libertà<br />

economiche (Titolo III – Rapporti economici), nonché i modi in cui il popolo esercita la sovranità (Titolo IV –<br />

Rapporti politici).<br />

Segue poi una parte (Parte II – Ordinamento della Repubblica) dedicata alla organizzazione costituzionale<br />

dello Stato, alla disciplina della PA (Titolo III, sezione II) e della magistratura (Titolo IV), delle Regioni e<br />

delle autonomie locali (Titolo V) e delle garanzie costituzionali (Titolo VI).


10. Le fonti dell’ordinamento italiano: Stato<br />

10.1. Costituzione e leggi costituzionali<br />

10.1.1. Definizioni<br />

La Costituzione della Repubblica italiana del 1948 rappresenta il vertice della gerarchia delle fonti<br />

dell’ordinamento. Essa è quindi il fondamento validità delle fonti primarie di cui detta la disciplina. Stabilisce<br />

il procedimento per essere modificata, detto di REVISIONE COSTITUZIONALE.<br />

10.1.2. Leggi costituzionali: procedimento<br />

La Costituzione italiana predispone un procedimento di formazione della LEGGE COSTITUZIONALE che si<br />

concretizza così come disposto dall’art. 138 tramite due deliberazioni successive da parte di ciascuna<br />

Camera, quindi 4 deliberazioni in tutto sul medesimo testo. La prima deliberazione è a maggioranza relativa.<br />

In questa fase le Camere possono approvare qualsiasi emendamento e il progetto è destinato a fare la spola<br />

tra Camera e Senato (NAVETTE) fino a quando il medesimo testo non sarà approvato da entrambe le<br />

camere. Nella seconda votazione non è possibile approvare emendamenti al testo votato in precedenza.<br />

Nella seconda approvazione si aprono due strade distinte: se il consenso raggiunge i 2/3 la revisione è<br />

approvata e promulgata, se il consenso si limita alla maggioranza assoluta la revisione viene pubblicizzata e<br />

sottoposta a referendum confermativo. Il referendum può essere chiesto da 500.000 elettori o da 1/5 dei<br />

membri di una Camera o da 5 Consigli Regionali. Nel referendum costituzionale non è richiesto alcun<br />

quorum.<br />

Il doppio binario della revisione costituzionale è finalizzato a rendere possibile una modifica del testo con un<br />

consenso simile a quella costituente senza dare alle minoranze un potere di veto troppo forte.<br />

10.1.3. I limiti della revisione costituzionale<br />

Non tutta la Costituzione è revisionabile. Vi è un limite esplicito posto dall’art. 139: “la forma repubblicana<br />

non può essere oggetto di revisione costituzionale”.<br />

Valutando la condizioni storiche di approvazione della Costituzione si dovrebbe ritenere questo limite legato<br />

alla sola forma dello Stato, quindi il carattere elettivo del Capo dello Stato. Invece è prevalsa<br />

un’interpretazione estensiva tale da comprendere anche il carattere democratico, i diritti inviolabili e l’unità<br />

dello Stato. La Corte costituzionale ha avallato questa tesi.<br />

10.2. Legge formale ordinaria e atti con forza di legge<br />

10.2.1. Definizioni<br />

La LEGGE FORMALE è l’atto normativo prodotto dalla deliberazione delle Camere e promulgato dal PdR. E’<br />

stata, soprattutto in passato, la fonte del diritto per eccellenza. Attraverso questo procedimento sono<br />

formate sia le leggi ordinarie che le leggi costituzionali. Il processo di revisione costituzionale non è altro che<br />

una forma aggravata del procedimento di formazione delle leggi ordinarie.<br />

Con il termine LEGGE FORMALE si indica sia la legge con valore costituzionale, sia quella appena inferiore, la<br />

legge ordinaria.


Gli atti con forza di legge sono invece atti normativi che non hanno la forma di legge (non sono deliberati<br />

dalle Camere e promulgati dal PdR), ma sono equiparati alla legge ordinaria, ovvero occupano la stessa<br />

posizione gerarchica oppure hanno la stessa FORZA ATTIVA (di abrogazione) e PASSIVA (di essere<br />

abrogate). Possono quindi sostituirsi alla legge ordinaria laddove la Costituzione non ponga una riserva di<br />

legge formale. Le LEGGI FORMALI ORDINARIE e gli atti con forza di legge costituiscono assieme le FONTI<br />

PRIMARIE.<br />

10.2..2. Tipicità e tassatività delle fonti primarie<br />

“La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere” dice l’art. 70, mentre gli articoli dal 71<br />

al 74 dettano la disciplina di massima del procedimento di formazione della legge formale. Gli atti con forza<br />

di legge rappresentano un’eccezione. Come deroga alla regola costituzionale, essi non possono essere<br />

previsti da fonti che non abbiano il rango costituzionale. Infatti sono gli stessi articoli successivi della<br />

Costituzione a indicare le eccezioni, cioè gli atti con forza di legge:<br />

• art. 75: il referendum abrogativo delle leggi;<br />

• art. 76: il decreto legislativo delegato;<br />

• art. 77: il decreto-legge;<br />

• art. 78: i decreti del Governo in caso di guerra<br />

• il decreto di attuazione degli Statuti regionali;<br />

Eventuali innovazioni all’elenco possono essere introdotte soltanto con legge costituzionale. Questo principio<br />

si traduce nel divieto alla legge ordinaria di creare fonti con essa concorrenziali.<br />

10.3. Procedimento legislativo<br />

10.3.1. Definizioni<br />

Il PROCEDIMENTO è una serie coordinata di atti rivolti ad uno stesso risultato finale: la legge formale. Gli<br />

atti di cui dispone il procedimento legislativo sono:<br />

• l’iniziativa legislativa;<br />

• la deliberazione legislativa delle Camere;<br />

• la promulgazione;<br />

10.3.2. L’iniziativa legislativa<br />

L’INIZIATIVA LEGISLATIVA consiste nella presentazione di un PROGETTO DI LEGGE ad una Camera. Nel<br />

linguaggio tecnico si chiamano DISEGNI DI LEGGE se di iniziativa del Governo, PROPOSTE DI LEGGE negli<br />

altri casi.<br />

Un progetto di legge consta di 2 parti:<br />

• il testo dell’articolato;<br />

• la relazione che accompagna l’articolato e che ne illustra gli scopi e le caratteristiche;<br />

L’iniziativa legislativa è riservata ad alcuni soggetti tassativamente indicati dalla Costituzione all’art. 71.1:<br />

a) iniziativa governativa. Il Governo è l’unico soggetto che ha potere di iniziativa su tutte le materie. La<br />

formazione del disegno di legge è organizzata partendo dall’iniziativa ministeriale, la deliberazione<br />

del CdM, l’autorizzazione del PdR e la presentazione alla Camera;<br />

b) iniziativa parlamentare. Ogni deputato e ogni senatore può presentare progetti di legge alla Camera<br />

di appartenenza, salvo per le materie riservate al Governo (artt. 81 e 77.2);<br />

c) iniziativa popolare. L’art. 71.2 prevede che un progetto di legge possa essere presentato da 50.000<br />

elettori. Valgono i limiti dell’iniziativa governativa;<br />

d) iniziativa regionale. L’art. 121.2 riconosce ai Consigli Regionali il potere di presentare progetti di<br />

legge alle Camere;


e) iniziativa del CNEL. Al CNEL l’articolo 99.1 attribuisce l’iniziativa legislativa senza stabilire limiti;<br />

L’iniziativa legislativa non crea mai un obbligo per la Camera di deliberare. Il progetto di legge presentato è<br />

stampato e distribuito ai membri della Camera; che la discussione sia posta all’odg dipende dalla Conferenza<br />

dei capigruppo. La pratica dell’INSABBIAMENTO non è un fenomeno patologico ma una scelta politica.<br />

10.3.3. L’approvazione delle leggi<br />

L’art. 72.1 vieta che un progetto di legge sia discusso direttamente dalla Camera senza prima essere stato<br />

esaminato dalla commissione permanente competente. In relazione alle diverse funzioni che svolgono la<br />

commissione e l’aula, si distinguono 3 procedimenti principali:<br />

a) procedimento ordinario (per COMMISSIONE REFERENTE). Spetta al Presidente della Camera<br />

individuare la commissione competente per materia dove si procede alla discussione del testo e alla<br />

votazione degli EMENDAMENTI. Per facilitare questi passaggi è possibile creare un comitato tecnico<br />

ristretto. Il testo viene approvato insieme ad una relazione finale, viene nominato un relatore con<br />

l’incarico di riferire in aula e anche la minoranza può esprimere uno o più relatori di minoranza.<br />

In aula la discussione procede per 3 letture: la prima di discussione generale può concludersi con un<br />

odg di non passaggio agli articoli causando la bocciatura del PdL; la seconda prevede la discussione<br />

articolo per articolo; la terza che consiste nell’approvazione finale dell’intero testo di legge;<br />

b) procedimento per COMMISSIONE DELIBERANTE (o LEGISLATIVA). E’ una particolarità del nostro<br />

ordinamento, ereditata dal fascismo prevista dall’art. 72.3. Consente alla commissione di assorbire<br />

tutte e 3 le fasi che ordinariamente competono all’aula. Data la particolarità di questo procedimento<br />

vi sono molte garanzie:<br />

• alcune materie sono escluse. L’art. 72.4 esclude le leggi costituzionali, elettorali, di<br />

delegazione legislativa, di ratifica dei trattati internazionali, di approvazione dei bilanci. Per<br />

queste materie vi è una RISERVA DI ASSEMBLEA;<br />

• per la composizione che l’art. 72.3 dispone secondo il criterio di rappresentanza<br />

proporzionale;<br />

• quanto all’assegnazione della proposta alla commissione, essa è insindacabile al Senato<br />

sottoposta al veto alla Camera. In qualsiasi momento il PdL è rimesso all’Assemblea su<br />

richiesta del Governo o di un 1/10 dei deputati o della commissione stessa (1/5 dei membri);<br />

c) procedimento per COMMISSIONE REDIGENTE. Questo procedimento è una via di mezzo tra i primi<br />

due, non previsto dalla Costituzione ma dai regolamenti parlamentari con significative differenze tra<br />

Camera e Senato. Questo procedimento sgrava l’aula della discussione degli emendamenti<br />

riservando all’Assemblea la votazione finale. Anche per questo procedimento valgono i limiti previsti<br />

per la commissione deliberante;<br />

I regolamenti delle Camere prevedono inoltre procedure abbreviate per PdL dichiarati urgenti. Terminato<br />

l’esame dalla prima Camera l’esame passa all’altra che è libera di apportare qualsiasi emendamento al testo<br />

già approvato pena il ritorno alla Camera precedente per l’analisi delle parti emendate.<br />

10.3.4. La promulgazione delle leggi<br />

Conclusa la fase dell’approvazione, la legge è perfetta ma non ancora efficace. L’efficacia è data dalla<br />

PROMULGAZIONE da parte del PdR. E’ il Governo che deve trasmettere la legge al PdR che deve<br />

promulgarla entro 30 giorni.<br />

Il PdR svolge un controllo formale e sostanziale: ha il potere di rinviare la legge alle Camere, con un<br />

messaggio motivato. Non perfettamente definibili sono i motivi per cui il Presidente può disporre il RINVIO<br />

DELLA LEGGE. E’ pacifico che lo possa fare per illegittimità costituzionale e non per merito politico, ma tra<br />

questi due poli vi è un’ampia area residuale e non definibile cui si dà convenzionalmente il nome di MERITO<br />

COSTITUZIONALE.<br />

L’atto di promulgazione o il messaggio di rinvio devono essere controfirmati dal Governo e il rinvio può<br />

essere compiuto una volta sola. L’art. 74.2 prevede che “se le Camere approvano nuovamente la legge,


questa deve essere promulgata”. Il potere di rinvio non è quindi un potere di veto, ma una forma di controllo<br />

con riesame.<br />

10.4. Leggi a procedura rinforzata<br />

10.4.1. Definizioni<br />

Non tutte le leggi sono uguali, poiché attraverso il meccanismo della riserva di legge, e in particolare, della<br />

riserva di legge rinforzata, la Costituzione ha frantumato l’unicità tipologica della legge ordinaria e ha creato<br />

alcune figure che si discostano dal tipo. Nella disciplina di alcune materie ha previsto procedimenti più<br />

complessi di formazione della legge (LEGGI RINFORZATE), in altri ha posto la disciplina data da<br />

provvedimenti di legge in una particolare collocazione gerarchica (LEGGI ATIPICHE):<br />

a) per lo più le leggi rinforzate sono tali non perché sia rafforzato il procedimento parlamentare<br />

prescritto, ma perché è reso più complesso il procedimento di formazione del PdL;<br />

b) le riforme costituzionali degli ultimi anni manifestano la tendenza ad introdurre leggi rinforzate che<br />

incidono proprio sul procedimento di formazione della legge;<br />

c) i procedimenti rinforzati sono procedimenti specializzati per produrre leggi specializzate. Sono atti<br />

che hanno competenza riservata e limitata e possono essere spiegati tramite l’introduzione del<br />

criterio di competenza. Nel sistema delle fonti si distinguono sia per forza attiva (possono abrogare<br />

solo leggi che hanno quello specifico contenuto) e passiva (possono essere abrogate solo da leggi<br />

con quello specifico procedimento). Il che significa che le leggi rinforzate sono anche a loro esempi<br />

di leggi atipiche.<br />

10.4.2. Fonti atipiche<br />

Non appartengono interamente al tipo della legge ordinaria quegli atti legislativi che pur avendo la stessa<br />

forma della legge, hanno una posizione particolare nel sistema delle fonti per quanto riguarda la loro “forza”.<br />

Sono ipotesi eterogenee, che non consentono di parlare di FONTI ATIPICHE come di una categoria precisa e<br />

connotata da caratteristiche univoche. Due sono le ipotesi principali:<br />

a) sono atipiche perché dotate di una forza passiva potenziata per via dell’esclusione del referendum<br />

abrogativo secondo l’art. 75.2;<br />

b) sono atipiche le cosiddette LEGGI MERAMENTE FORMALI, ovvero alcuni atti formali con forma di<br />

legge (coperti dalla riserva di legge formale) che non hanno un contenuto normativo tipico delle<br />

leggi. Gli esempi maggiori sono le leggi di bilancio e la ratifica dei trattati internazionali:<br />

• sono approvati con leggi sia il BILANCIO DI PREVISIONE che il RENDICONTO CONSUNTIVO.<br />

La questione se la LEGGE DI APPROVAZIONE DEL BILANCIO DI PREVISIONE sia meramente<br />

formale è stato un problema dibattuto per almeno un secolo, poiché sostenevano taluni che<br />

non apportando norme giuridiche non necessitava dell’approvazione parlamentare. Come<br />

nelle altre costituzioni moderne, l’art. 81.3 vieta che con la legge di bilancio siano stabiliti<br />

nuovi tributi e nuove spese. La tipologia delle entrate e il quantum delle spese, nonché le<br />

voci di spesa e il limite relativo devono essere già decisi da leggi sostanziali. Ecco l’atipicità<br />

del bilancio di previsione, dove la legge che lo approva non può modificare la legislazione<br />

vigente e quindi la forza attiva di questo atto è azzerata. Ma la legge di bilancio è atipica<br />

anche per la forza passiva: ha durata annuale, può essere variata da apposite leggi ma non<br />

abrogata in toto e neppure sottoposta a referendum;<br />

• è autorizzata con legge formale anche la ratifica dei TRATTATI INTERNAZIONALI che sono<br />

di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o comportano variazioni del<br />

territorio od oneri alle finanze o modificazioni delle leggi secondo l’art. 80. Gli altri trattati<br />

non necessitano dell’approvazione legislativa e posso essere perfezionati dal solo Governo. Il<br />

Parlamento dunque partecipa alla formazione dei trattati attraverso la LEGGE DI<br />

AUTORIZZAZIONE ALLA RATIFICA. Per questa ragione la legge di autorizzazione alla ratifica<br />

è atipica: non ha forza attiva, non innova le leggi ordinarie, e quella passiva non è di chiara<br />

definizione: può essere abrogata un’autorizzazione al compimento di un atto quando questo<br />

è già stato compiuto? Va tuttavia aggiunto che nella maggior parte dei casi la formula di<br />

autorizzazione è seguita dall’ordine di esecuzione, cioè dalla formula che serve a produrre


effetti giuridici nel nostro ordinamento. Un’assimilazione dell’ordine di esecuzione al regime<br />

della norma di autorizzazione si è compiuta attraverso la giurisprudenza costituzionale e la<br />

prassi parlamentare. La Corte costituzionale ha esteso all’ordine di esecuzione due regole, la<br />

riserva di assemblea per estendere le garanzie anche nell’esecuzione dei trattati stipulati in<br />

via semplificata e l’esclusione del referendum abrogativo per estendere alle leggi che danno<br />

esecuzione ad un trattato un esclusione che altrimenti avrebbe poco senso se riferita solo<br />

alla norma di autorizzazione. Le Camere hanno anche previsto l’inemendabilità all’ordine di<br />

esecuzione.<br />

10.5. Legge di delega e decreto legislativo delegato<br />

10.5.1. Definizioni<br />

La LEGGE DI DELEGA è la legge con cui le Camere possono attribuire al Governo il proprio potere legislativo.<br />

Il DECRETO LEGISLATIVO (o DECRETO DELEGATO) è il conseguente atto con forza di legge emanato dal<br />

Governo in esercizio della delega conferitagli dalla legge.<br />

10.5.2. La legge di delega<br />

La delega di funzioni legislative al Governo è un’eccezione stabilita dall’art. 70 della costituzione. L’art. 76<br />

delimita il potere di delega con vincoli, il cui mancato rispetto costituisce un vizio di costituzionalità:<br />

a) la delega può essere conferita esclusivamente con legge formale, ovvero la legge di delega è<br />

coperta dalla riserva di legge secondo la procedura ordinaria;<br />

b) la delega è conferita solo al Governo inteso nella sua collegialità del CdM, e non ai singoli ministeri o<br />

comitati interministeriali;<br />

c) la legge di delega deve contenere (art. 76) le indicazioni minime o contenuti necessari;<br />

d) e deve restringere l’ambito tematico della funzione delegata, indicando un oggetto definito;<br />

e) inoltre deve indicare l’ambito temporale della delega, cioè prevedere un tempo limitato entro il quale<br />

il decreto deve essere emanato. Se il limite temporale eccede i 2 anni, il Governo è tenuto a<br />

presentare insieme alla legge delega lo schema di decreto delegato;<br />

f) infine deve restringere l’ambito della discrezionalità del Governo, indicando i principi e criteri direttivi<br />

che servono alla guida per l’esercizio della delega.<br />

Nella prassi legislativa più recente ha perso di importanza l’enunciazione dei principi direttivi preferendo la<br />

previsione di passaggi procedurali scadenzati con determinati organi parlamentari o commissioni ad hoc.<br />

10.5.3. Il decreto legislativo delegato<br />

Il potere esecutivo esercita le proprie funzioni attraverso la forma del decreto. Quanto ai decreti emanati in<br />

forza della legge di delega la loro formazione segue questo procedimento:<br />

• proposta del Ministro competente;<br />

• deliberazione del CdM;<br />

• eventuali adempimenti ulteriori;<br />

• eventuale deliberazione definitiva del CdM sentiti i soggetti consultati;<br />

• emanazione da parte del PdR (art. 87.5);<br />

Di tutte le fasi procedimentali deve essere data indicazione nella premessa del decreto. L’art. 14 della legge<br />

400 introduce una novità nel nomen juris dei decreti delegati che vengono pubblicati sulla GU come decreti<br />

legislativi (d.lgs.) con la stessa numerazione progressiva delle leggi.<br />

Il d.lgs. deve essere promulgato dal PdR entro la scadenza dei termini previsti dalla legge delega e su di<br />

esso il PdR esercita un controllo pari a quello esercitato sulle leggi formali.


10.5.4. Deleghe accessorie e testi unici<br />

Spesso la delega legislativa non costituisce il principale contenuto della legge approvata dal Parlamento, ma<br />

un suo completamento. Capita cioè che nelle norme finali di una legge di riforma, il Parlamento deleghi il<br />

Governo ad emanare norme di attuazione, coordinamento o transitorie.<br />

Una particolare delega è quella che autorizza il Governo a coordinare le leggi esistenti in una certa materia<br />

raccogliendole in un TESTO UNICO.<br />

10.6. Decreto legge e legge di conversione<br />

10.6.1. Definizioni<br />

Il DECRETO-LEGGE è un atto con forza di legge che il Governo può adottare in casi straordinari di necessità<br />

e urgenza, entra in vigore immediatamente dopo la pubblicazione ma gli effetti prodotti sono provvisori se il<br />

Parlamento non li converte in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione. La disciplina del decreto legge è<br />

contenuta nell’art. 77 della Costituzione e nell’art. 15 della legge 400/88.<br />

Il decreto-legge non può essere emanato nelle materie coperte da riserva d’Assemblea e non può conferire<br />

deleghe legislative.<br />

10.6.2. Procedimento<br />

Il decreto-legge deve essere deliberato dal CdM, emanato dal PdR e immediatamente pubblicato sulla GU.<br />

Vale per il decreto-legge quanto detto per il decreto delegato sulla stesura della premessa, con l’aggiunta<br />

che l’articolo 15 della legge 400/88 prevede che sia pubblicato “con la denominazione di decreto-legge e con<br />

l’indicazione nel preambolo delle circostanze straordinarie di necessità e urgenza che ne giustificano<br />

l’adozione, nonché dell’avvenuta deliberazione del CdM” e contenere la clausola di presentazione al<br />

Parlamento.<br />

Lo stesso decreto-legge spesso stabilisce il giorno d’entrata in vigore e in quello stesso giorno deve essere<br />

presentato alle Camere (art. 77.2 Cost.) anche se sciolte. Presentando il decreto–legge il Governo chiede al<br />

Parlamento di produrre la legge di conversione, di cui il decreto è l’allegato. Inizia così un procedimento<br />

legislativo che deve concludersi, promulgazione compresa, entro il termine di 60 giorni.<br />

Il regolamento del Senato prevede il parere obbligatorio espresso preliminarmente della commissione affari<br />

costituzionali sulla sussistenza dei requisiti di urgenza e necessità. La commissione deve esprimersi in 5<br />

giorni, e in caso di parere negativo deve esprimersi l’assemblea entro altri 5 giorni. Alla Camera è stato<br />

eliminato il passaggio in commissione sostituendolo con:<br />

• una relazione del Governo che descrive le ragioni di urgenza e necessità e gli effetti previsti<br />

dall’attuazione del decreto relativamente a queste;<br />

• l’assegnazione alla commissione referente che può chiedere al Governo di integrare gli elementi<br />

forniti nella relazione;<br />

• la sottoposizione del disegno di legge, oltre alla Commissione referente, al Comitato per la<br />

legislazione;<br />

10.6.3. Decadenza del decreto non convertito<br />

I decreti-legge, se non convertiti in legge entro 60 giorni, “perdono efficacia sin dall’inizio”. La perdita di<br />

efficacia del decreto-legge è chiamata DECADENZA e costituisce un fenomeno unico nell’ambito delle fonti<br />

del diritto, diverso dall’abrogazione e dall’annullamento. Infatti la decadenza travolge tutti gli effetti prodotti<br />

dal decreto-legge, probabilmente anche lo stesso giudicato.


La situazione che si crea è paradossale: quando il decreto entra in vigore esso è pienamente efficace e va<br />

applicato, ma se decade tutto ciò che si è compiuto in forza di esso è come se fosse stato compiuto senza<br />

una base legale, arbitrariamente.<br />

E’ evidente che la situazione che si crea a seguito della decadenza è in molti casi insostenibile e talvolta non<br />

è neppure possibile ripristinare la situazione pre-esistente.<br />

L’art. 77 della Costituzione appresta due strumenti attraverso i quali è possibile dare una risposta:<br />

a) la LEGGE SANATORIA degli effetti del decreto-legge decaduto. Si tratta di una legge riservata alle<br />

Camere senza che però queste vi siano tenute avente come scopo quello di regolare i rapporti<br />

giuridici sorti;<br />

b) l’altro strumento è individuabile in questo inciso dell’art. 72.2 “il Governo adotta, sotto la sua<br />

responsabilità, provvedimenti provvisori”. Per responsabilità non si intende tanto quella politica,<br />

implicita, quanto quella giuridica.<br />

Tre tipi di responsabilità possono essere imputate ai ministri:<br />

1) penale, ove vi sia dolo;<br />

2) civile;<br />

3) amministrativo-contabile, di un eventuale DANNO ERARIALE;<br />

Se il decreto-legge è adottato per varare una disciplina complessa, per il quale il procedimento legislativo<br />

ordinario sarebbe stato troppo dispersivo, è assai improbabile che 60 giorni bastino all’esame parlamentare.<br />

Così è invalsa la prassi della REITERAZIONE DEL DECRETO-LEGGE alla scadenza dei 60 giorni il Governo<br />

emana un nuovo decreto-legge con la retroazione degli effetti alla data del primo decreto-legge reiterato.<br />

Con una sentenza del 1996 la Corte Costituzionale ha posto un argine (quasi) definitivo alla reiterazione.<br />

10.6.4. La legge di conversione e gli effetti degli emendamenti<br />

La legge 400 ha offerto al problema una risposta univoca al problema degli emendamenti ai decreti-legge:<br />

“le modifiche eventualmente apportate in sede di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello<br />

della pubblicazione della legge di conversione, salvo che quest’ultima non disponga diversamente”.<br />

Ma come indicato più volte dalla Corte costituzionale gli emendamenti aggiuntivi avranno efficacia solo con<br />

l’approvazione della legge di conversione, ma per gli emendamenti soppressivi si verifica la non conversione<br />

di una parte del decreto determinando la decadenza ex tunc.<br />

Lo stesso accade per gli emendamenti sostitutivi.<br />

10.7. Altri decreti con forza di legge<br />

Altri decreti con forza di legge sono utilizzati nel nostro ordinamento.<br />

Trattandosi di fonti primarie sono previsti anche questi in Costituzione all’art. 78 e negli Statuti delle Regioni<br />

ad autonomia speciale.<br />

10.7.1. Decreti emanati dal Governo in caso di guerra<br />

L’art. 78 della Costituzione dispone che “le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i<br />

poteri necessari”.<br />

La dottrina ritiene che tra i poteri conferiti all’esecutivo vi possa essere anche una sorta di delega anomala al<br />

Governo, cui deve essere concesso il potere di emanare norme con forza di legge derogando le normali<br />

procedure.<br />

Questi atti potrebbero essere autorizzati a sospendere alcune garanzie costituzionali. Si tratta di atti extra<br />

ordinem.


10.7.2. Decreti legislativi di attuazione degli Statuti speciali<br />

Gli Statuti delle Regioni speciali, che sono leggi costituzionali, prevedono che all’attuazione dello Statuto e<br />

trasferimento delle funzioni, dei mezzi e delle risorse provveda con un decreto legislativo, emanato da PdR<br />

previa deliberazione del CdM su proposta di una COMMISSIONE PARITETICA.<br />

10.8. Regolamenti parlamentari (e di altri organi costituzionali)<br />

10.8.1. Definizioni<br />

Il REGOLAMENTO PARLAMENTARE è l’atto cui l’art 64 della Cost. riserva la disciplina dell’organizzazione e<br />

del funzionamento di ciascuna Camera. Approvato a maggioranza assoluta e pubblicato in GU. Nonostante il<br />

nome regolamento, i regolamenti parlamentari sono fonti primarie. Attraverso essi si manifesta l’autonomia<br />

delle Camere e la loro indipendenza rispetto agli altri poteri dello Stato e all’altra Camera.<br />

10.8.2. I regolamenti parlamentari nel sistema delle fonti<br />

La definizione della FORZA DI LEGGE è di tipo relazionale: si definisce la qualità di determinati atti con<br />

riferimento al tipo di relazioni che essi hanno con un altro atto. Ma i regolamenti delle Camere non hanno<br />

relazioni con le altre fonti primarie, se non quella della reciproca esclusione<br />

10.8.3. Regolamenti degli altri organi costituzionali<br />

Anche gli altri organi costituzionali sono dotati della stessa autonomia del Parlamento?<br />

a) il Governo sicuramente no poiché la fonte dei suoi regolamenti sono leggi formali ordinarie;<br />

b) il PdR adotta dei regolamenti su proposta del Segretario Generale della Presidenza, ma si tratta di<br />

semplici strumenti di gestione e non di fonti normative. L’indipendenza del PdR costituisce non il<br />

fondamento di un potere normativo, ma un limite all’ambito di applicazione delle leggi e delle altre<br />

fonti;<br />

c) anche per la Corte costituzionale non c’è un’esplicita previsione in Costituzione, che pone una riserva<br />

di legge costituzionale per la disciplina della proposizione dei giudizi di legittimità e delle garanzie di<br />

indipendenza della Corte (art. 137.1) ed una riserva di legge ordinaria per la costituzione e il<br />

funzionamento della stessa. E’ proprio la legge ordinaria a prevedere che la Corte possa approvare<br />

un regolamento per il proprio funzionamento;<br />

10.9. Il referendum abrogativo come fonte<br />

10.9.1. Definizioni<br />

Il REFERENDUM è la richiesta fatta al corpo elettorale di esprimersi direttamente su una determinata<br />

questione. Esso è dunque uno strumento di democrazia diretta, una delle forme in cui la Costituzione<br />

prevede che il popolo eserciti la sua sovranità, senza l’interposizione di rappresentanti.<br />

Se nel nostro ordinamento il principio è che la sovranità popolare si esprime tramite la rappresentanza<br />

elettiva, il referendum appare come una deroga. Imprudente è stato il costituente ad affidare alla legge<br />

ordinaria, e quindi al sistema rappresentativo, la disciplina del referendum.<br />

La Costituzione prevede soltanto 4 tipi di referendum. Nell’ambito delle fonti statali, accanto al referendum<br />

costituzionale e a quello confermativo previsto per alcune fonti rinforzate, una funzione effettivamente<br />

normativa la svolge il referendum abrogativo.


Il REFERENDUM ABROGATIVO è lo strumento con cui il corpo elettorale può incidere direttamente<br />

sull’ordinamento giuridico attraverso l’abrogazione di leggi o atti con forza di legge dello Stato, oppure di<br />

singole disposizioni. Come affermata dalla Corte costituzionale (sent. 29/87) è un atto-fonte dell’ordinamento<br />

dello stesso rango della legge ordinaria.<br />

10.9.2. Procedimento<br />

Il referendum abrogativo richiede un procedimento lungo e difficile, disciplinato dalla legge 352/70. L’art. 75<br />

della Cost. prevede che esso possa essere proposto da 500.000 elettori o da 5 Consigli regionali: il<br />

procedimento quindi si differenzia per un primo tratto in ragione di chi richiede il referendum:<br />

a) richiesta popolare: l’iniziativa parte dai promotori, almeno 10, che depositano il quesito. Entro 3 mesi<br />

devono essere raccolte 500.000 firme;<br />

b) richiesta regionale: i Consigli di almeno 5 Regioni devono approvare la richiesta a maggioranza<br />

assoluta indicando ovviamente il quesito;<br />

Le richieste vanno depositate tra il 1° gennaio e il 30 settembre, non nell’anno precedente la scadenza<br />

legislativa e nei 6 mesi successivi alla convocazione dei comizi elettorali.<br />

a) presso la Cassazione si costituisce l’Ufficio centrale per il referendum. Entro il 15 dicembre si chiude<br />

la fase di valutazione assunta con ordinanza;<br />

b) i quesiti dichiarati legittimi vengono trasmessi alla Corte costituzionale per il giudizio di ammissibilità<br />

secondo la Costituzione. La Corte decide entro il 10 febbraio dell’anno successivo;<br />

c) se la Corte dichiara ammissibile il quesito il PdR deve fissare il giorno della votazione tra il 15 aprile e<br />

il 15 giugno. Gli elettori troveranno sulla scheda il quesito e potranno votare con un sì o con un no;<br />

d) l’Ufficio centrale accerta che alla votazione abbia preso parte la maggioranza degli aventi diritto al<br />

voto e solo allora procede alla conta dei voti proclamando il risultato. Se i “no” superano i “sì” lo<br />

stesso quesito non potrà essere riproposto per 5 anni;<br />

e) se il risultato è favorevole all’abrogazione, il PdR decreta l’avvenuta abrogazione e il d.P.R. è<br />

pubblicato immediatamente sulla GU. Tuttavia il PdR può ritardare su richiesta del Governo fino a 60<br />

giorni l’entrata in vigore dell’abrogazione;<br />

In due casi le procedure sopra descritte si interrompono:<br />

• in caso di scioglimento anticipato delle Camere;<br />

• nel caso in cui prima dello svolgimento del referendum, la legge venga abrogata. L’Ufficio centrale<br />

dichiara che le operazioni non hanno più corso;<br />

10.10. Regolamenti dell’esecutivo<br />

10.10.1. Definizioni<br />

Con il termine REGOLAMENTO si designano atti normativi difficilmente riconducibili a tipologie unitarie. Il<br />

termine è utilizzato per indicare le più svariate tipologie di atto normativo. In alcuni casi regolamento<br />

designa atti tipici, fonti dell’ordinamento giuridico generale: è questo il caso dei regolamenti dell’esecutivo.<br />

La tradizionale definizione dei REGOLAMENTI DELL’ESECUTIVO come atti sostanzialmente legislativi ma<br />

formalmente amministrativi rispecchia bene l’attuale realtà. Quale spazio normativo possa occupare il<br />

regolamento dell’esecutivo dipende dalla legge: questo perché il regolamento esecutivo è una FONTE<br />

SECONDARIA, sottoposta nella gerarchia delle fonti alla fonte primaria, le leggi ordinarie e gli atti con forza<br />

di legge.<br />

10.10.2. Fondamento normativo<br />

La Costituzione non disciplina i regolamenti dell’esecutivo, anche se all’art. 87.5 attribuisce al PdR<br />

l’emanazione di questi. La riforma del titolo V ha introdotto un’importante innovazione (art. 117.6): ha<br />

stabilito il PRINCIPIO DI PARALLELISMO TRA FUNZIONE LEGISLATIVE E FUNZIONI REGOLAMENTARI,


limitando la potestà del Governo di emanare regolamenti nelle sole materie nelle quali lo Stato ha potestà<br />

legislativa.<br />

Mentre per le fonti primarie il sistema è chiuso, in quanto la tipologia degli atti è compiutamente e<br />

tassativamente elencata dalla Costituzione, lo stesso non vale per le fonti secondarie. Inoltre mentre esiste<br />

uno spazio costituzionalmente garantito per le leggi e gli atti equiparati, non v’è invece uno spazio garantito<br />

per i regolamenti dell’esecutivo.<br />

La disciplina generale del potere regolamentare del governo è contenuta:<br />

a) nelle Preleggi;<br />

b) nell’art. 17 della legge 400/88;<br />

Le Preleggi dedicano ai regolamenti 2 articoli:<br />

• art. 3 “il potere regolamentare del Governo è disciplinato da leggi di carattere costituzionale [leggi<br />

ordinarie]”;<br />

• art. 3 “il potere regolamentare di altre autorità è esercitato nei limiti delle rispettive competenze, in<br />

conformità con leggi particolari”;<br />

• art. 4 “i regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi”, mentre<br />

“altre autorità non possono nemmeno dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal<br />

Governo”;<br />

Quest’impostazione è ripresa dalla legge 400/88 con l’aggiunta che per i regolamenti governativi è attribuita<br />

una funzione normativa generale al Governo, mentre per i regolamenti ministeriali occorre che il potere di<br />

emanare un tale regolamento sia attribuito esplicitamente dalle leggi ordinaria.<br />

10.10.3. Procedimento<br />

I regolamenti governativi vengono deliberati, su proposta di uno o più ministri, dal CdM, previo parere<br />

obbligatorio ma non vincolante del Consiglio di Stato. Il regolamento viene poi emanato con DECRETO DEL<br />

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA. L’atto a questo punto è perfetto ma non ancora efficace, almeno non<br />

prima di aver superato il vaglio della Corte dei conti e quindi essere pubblicato sulla GU.<br />

I regolamenti ministeriali sono emanati dal Ministro (DECRETO MINISTERIALE) sempre previo parere del<br />

Consiglio di Stato. Con lo stesso provvedimento, ma con DECRETO INTERMINISTERIALE sono emanati i<br />

regolamenti che riguardano più ministeri. Sono entrambi soggetti alla verifica della Corte dei conti e<br />

pubblicati sulla GU.<br />

10.10.4 Tipologia<br />

La legge 400 distingue diverse tipologie di regolamento governativo:<br />

a) REGOLAMENTI DI ESECUZIONE delle leggi. Sono regolamenti che il Governo adotta anche senza<br />

una specifica autorizzazione legislativa. Possono avere funzione applicative e interpretativa. Qualora<br />

la materia fosse coperta da riserva di legge ordinaria, comunque il Governo ha la facoltà di<br />

deliberare un regolamento esclusivamente esecutivo che non integri la fattispecie legislativa;<br />

b) REGOLAMENTI D’ATTUAZIONE, qualora espressamente previsti dalle leggi da attuare;<br />

c) REGOLAMENTI INDIPENDENTI, sono emanati nelle materie in cui manchi la disciplina delle leggi o di<br />

atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge. Sono<br />

una figura molto discussa che configura un potestà normativa residuale rispetto alle leggi ordinarie e<br />

alle riserve di legge, ma riguardano sostanzialmente un aspetto estremamente marginale<br />

dell’ordinamento;<br />

d) REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZONE, sono un residuato pre-repubblicano di quando il Governo<br />

plasmava direttamente l’organizzazione della PA. Oggi quest’ambito rientra nella riserva di legge e<br />

pertanto questi regolamenti si configurano come regolamenti di esecuzione;


10.10.5 Delegificazione<br />

Tramite l’art. 17.2 della legge 400 è introdotto il fenomeno dei REGOLAMENTI DELEGATI o AUTORIZZATI.<br />

La particolarità di questi regolamenti è quella di declassare le leggi precedenti in materia. Infatti l’assenza di<br />

una riserva di regolamentazione amministrativa ha portato il legislatore ad occuparsi di aspetti marginali che<br />

hanno reso ipertrofico l’ordinamento. La DELEGIFICAZIONE si propone come rimedio all’ipertrofia<br />

dell’ordinamento mediante declassamento delle leggi a regolamento.<br />

Non potendo un fonte secondaria abrogare una fonte primaria, la legge ordinaria che definisce la stesura dei<br />

regolamenti stabilisce l’abrogazione di altre leggi ordinarie all’approvazione dei regolamenti medesimi.


11. Le fonti comunitarie<br />

11.1. Il sistema delle fonti comunitarie<br />

11.1.1. Definizione<br />

Così come la Comunità europea è un’istituzione complessa e in divenire, anche il sistema delle fonti che<br />

formano l’ordinamento giuridico comunitario non è semplice da disegnare.<br />

La distinzione fondamentale da cui muovere è tra il diritto convenzionale e il diritto derivato. Le fonti del<br />

DIRITTO CONVENZIONALE consistono nei trattati con cui la Comunità europea è stata istituita e<br />

successivamente modificata e sviluppata. Nel trattato CE sono disciplinati gli organi della Comunità e i loro<br />

poteri normativi: questi si esprimono attraverso atti normativi che costituiscono il DIRITTO DERIVATO.<br />

I trattati sono una fonte gerarchicamente sovraordinata al diritto derivato ed un apposito organo<br />

giurisdizionale, la CORTE DI GIUSTIZIA DELLA CE, è istituita dai trattati per garantire questa prevalenza<br />

gerarchica.<br />

11.1.2. <strong>Diritto</strong> derivato: tipologia delle fonti comunitarie<br />

Le fonti del diritto derivato si distinguono in atti vincolanti e non vincolanti. Degli atti non vincolanti è detto<br />

rapidamente: sono le RACCOMANDAZIONI CE, inviti agli Stati a conformarsi ad un certo comportamento e i<br />

pareri, che esprimono il punto di vista di un organo su un determinato oggetto, che ogni organo della<br />

Comunità europea può emanare.<br />

Sono invece pienamente atti normativi le fonti vincolanti. Essi si distinguono in 3 tipologie, profondamente<br />

diverse in linea di principio:<br />

a) REGOLAMENTI CE: hanno le caratteristiche che sono tipiche, all’interno del nostro ordinamento,<br />

della legge. Hanno portata generale, sono obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente<br />

applicabili in ciascuno degli Stati membri. La DIRETTA APPLICABILITA’, che significa che non è né<br />

necessario né ammesso un atto dello Stato che né ordini l’esecuzione nell’ordinamento dello Stato;<br />

b) DIRETTIVE CE: sono atti normativi che hanno come destinatario lo Stato membro e lo vincolano per<br />

quanto riguarda il risultato da raggiungere, ferma restando la competenza degli organi nazionali in<br />

merito alla forma e ai mezzi;<br />

c) DECISIONI CE: hanno caratteristiche che sono tipiche del provvedimento amministrativo. Sono<br />

obbligatorie in tutti i loro elementi e sono direttamente applicabili ma hanno portata particolare<br />

poiché si rivolgono a soggetti specifici, a una singola personalità giuridica;<br />

11.1.3. <strong>Diritto</strong> derivato: tipologia delle fonti comunitarie<br />

La DIRETTA APPLICABILITA’ è una qualità di determinati atti comunitari che producono immediatamente i<br />

loro effetti giuridici nell’ordinamento nazionale senza la interposizione di un atto normativo nazionale.<br />

Diversa concettualmente la nozione di EFFETTO DIRETTO. Essa non riguarda gli atti ma le norme ed è<br />

perciò una nozione non definita dal legislatore ma dall’interprete.<br />

La Corte di giustizia ha ritenuto che dove una disposizione comunitaria possa esprimere una norma chiara,<br />

precisa e non condizionata dall’intervento del legislatore nazionale, questa deve essere applicata<br />

direttamente senza attendere l’attuazione nazionale. Il singolo che ne abbia interesse potrà invocare la<br />

norma comunitaria e lo Stato membro non potrà opporsi invocando la mancata attuazione dell’atto


comunitario: che lo Stato membro non possa giovarsi della propria inadempienza è applicazione dell’antica<br />

massima EX INIURIA IUS NON ORITUR.<br />

Se incrociamo la caratteristica tipologica che in astratto connota alcuni atti-fonte – diretta applicabilità – con<br />

la caratteristica che in concreto connota determinate norme – efficacia diretta – possiamo avere 4<br />

possibilità:<br />

a) norme direttamente efficaci (self-executing) espresse da atti direttamente applicabili: sono le norme<br />

che caratterizzano i regolamenti CE;<br />

b) norme non direttamente efficaci espresse da atti direttamente applicabili: vi sono alcuni regolamenti<br />

CE che definiscono un quadro normativo che deve essere attuato o da altri regolamenti CE o da<br />

norme nazionali;<br />

c) norme direttamente efficaci espresse da atti non direttamente applicabili: sono per lo più divieti posti<br />

da direttive dettagliate o dagli stessi Trattati, così come interpretati dalla Corte di giustizia;<br />

d) norme non direttamente efficaci espresse da atti non direttamente applicabili: sono le norme che di<br />

regola derivano dalle direttive CE. Esse non sono in grado di far sorgere posizioni soggettive<br />

azionabili senza un preventivo intervento attuativo del legislatore nazionale;<br />

11.2. Rapporti tra norme comunitarie e norme interne<br />

11.2.1. Limitazione di sovranità e deficit normativo<br />

La Corte di giustizia ha dichiarato che l’effetto normativo diretto comporta la prevalenza del diritto<br />

comunitario su quello interno, comportandone quindi l’abrogazione.<br />

Se la legge è la manifestazione più tipica della sovranità, la prevalenza del diritto comunitario sulle leggi<br />

nazionali segna dunque la perdita di una porzione di sovranità nazionale, conseguente all’adesione all’UE.<br />

In quasi tutti gli altri Stati europei, l’adesione alla Comunità europea prima e l’accettazione delle sue<br />

trasformazioni più salienti poi, sono state accompagnate da riforme costituzionali. In italia no. L’unica fonte<br />

che disciplina l’adesione dell’italia è la legge di ratifica del Trattato di Roma e l’ordine di esecuzione ad esso<br />

relativo. Ma la legge di ratifica è una legge meramente formale e l’ordine di esecuzione una formula<br />

stereotipata, entrambi fonti primarie sub-costituzionali: bastano a disporre una cessione di sovranità?<br />

Secondo la Corte costituzionale sì, poiché l’art. 11 della Costituzione consente in condizioni di parità alla<br />

limitazione di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri pace e giustizia fra le Nazioni. Con questa<br />

interpretazione – abbastanza tirata – della Corte costituzionale si è legittimata l’appartenenza dell’italia<br />

all’UE. Uno dei risultati di questa prassi è la mancanza di una vera disciplina dei rapporti tra l’ordinamento<br />

interno e quello comunitario. Ciò ha consentito che l’intera disciplina fosse elaborata dalla giurisprudenza<br />

costituzionale.<br />

11.2.2. Il cammino comunitario della Corte costituzionale<br />

In un primo tempo la Corte costituzionale ha applicato il solo criterio cronologico per dirimere i conflitti tra<br />

leggi nazionali e comunitarie, con la conseguenza che una più recente legislazione interna poteva abrogare<br />

una più forte legislazione europea. La Corte di giustizia europea, impegnata ad estendere il potere della<br />

Comunità, ritenne queste scelte delle infrazioni sanzionabili. Così la Corte costituzionale iniziò ad applicare il<br />

criterio gerarchico la cui conseguenza fu l’impugnazione di leggi interne per violazione dei regolamenti<br />

comunitari di fronte alla Corte stessa che, non reggendo il carico di lavoro, lasciò per lungo tempo valide<br />

norme nazionali in contrasto con regolamenti comunitari.<br />

Per risolvere entrambe le problematiche viste sopra, la Corte costituzionale sviluppa una teoria riassunta<br />

nella sentenza 170/1984 (Granital o La Pergola):<br />

a) l’ordinamento comunitario e l’ordinamento italiano sono due ordinamenti giuridici autonomi e<br />

separati, ognuno dotato di un proprio sistema di fonti (TEORIA DUALISTICA);


) la normativa comunitaria non entra a far parte dell’ordinamento interno, né viene assoggettata al<br />

sistema delle leggi. Non può esistere un vero e proprio conflitto tra le fonti interne e quelle<br />

comunitarie, perché ognuna è valida e efficace nel proprio ordinamento;<br />

c) con la ratifica e l’ordine di esecuzione del Trattato il legislatore italiano ha riconosciuto la<br />

competenza della Comunità europea ad emanare norme giuridiche in determinate materie. Queste<br />

norme non si impongono direttamente nell’ordinamento interno non perché abbiano forza di legge,<br />

ma per la forza attribuita ad esse dal Trattato. E’ quindi quest’ultimo a segnare la ripartizione di<br />

competenza tra i 2 ordinamenti e il regime giuridico delle proprie fonti;<br />

d) i conflitti tra norme che eventualmente sorgano vanno risolti dal giudice italiano applicando il criterio<br />

di competenza. Il giudice deve accertare se, in base al Trattato, sia competente su di una data<br />

materia l’ordinamento comunitario o nazionale. Così la norma interna se non competente non viene<br />

abrogata, né dichiarata illegittima, ma semplicemente non applicata.<br />

11.2.3. Contrasto tra norme interne e comunitarie: il quadro attuale<br />

Il quadro attuale che si ricava dalla sentenza 170/1984 e successive è il seguente:<br />

a) contrasto tra legge ordinaria e norme CE self-executing, si applica la legge comunitaria e non si<br />

applica quella ordinaria. Questa regola è rivolta a tutti i soggetti dell’applicazione del diritto, non solo<br />

agli organi giudiziari, ma anche alle strutture dell’amministrazione pubblica, aprendo una falla<br />

nell’applicazione del principio di legalità della PA;<br />

b) contrasto tra legge ordinaria e norme CE non self-executing: finché la norma comunitaria non è<br />

attuata è la vecchia normativa ordinaria a dover essere applicata, mentre una volta attuata sarà<br />

applicata la nuova normativa ordinaria. Eventuali illegittimità nell’applicazione della norma CE<br />

nell’ordinamento interno potranno essere sollevate dal Giudice di fronte alla Corte;<br />

c) contrasto tra norme sub-legislative e norme CE: in questo caso non siamo più nell’ambito del criterio<br />

di competenza e della non-applicazione, ma si tratta di una questione gerarchica tra il regolamento<br />

interno e la legge formale dell’ordine di esecuzione. E’ chiaro che il contrasto viene risolto con la<br />

prevalenza della legge relativa al Trattato e quindi della norma CE, ma è altrettanto chiaro che non<br />

vi è alcuna possibilità di confronto tra il regolamento interno e il regolamento CE, poiché<br />

quest’ultimo non fa parte dell’ordinamento.<br />

d) contrasto tra norme costituzionali e norme comunitarie: la Corte costituzionale ha ammesso che le<br />

norme comunitarie possono comportare deroghe alle norme costituzionali di dettaglio, ma non ai<br />

principi fondamentali. Con questa impostazione la Corte costituzionale ha voluto aprire la strada<br />

all’ampliamento dei poteri UE senza la necessità di revisioni costituzionali. Nel caso una norma<br />

comunitaria muovesse contrariamente a un principio della Costituzione, l’ordine di esecuzione del<br />

Trattato dovrebbe essere impugnato davanti alla Corte costituzionale. In nessun caso può essere<br />

impugnato il dettato costituzionale, mentre la norma CE può essere portata solo davanti alla Corte di<br />

Giustizia europea, che è comunque un organismo estraneo all’ordinamento interno.<br />

11.2.4. I giudici e l’amministrazione di fronte al diritto comunitario<br />

La teoria dualistica che la Corte costituzionale (ma non solo quella italiana) ha assunto come premessa per<br />

intendere i rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamento nazionale, affonda le sue radici in una<br />

visione tradizionale della natura della Comunità europea: un’organizzazione comune creata da Stati sovrani<br />

con strumenti di diritto internazionale. Ma nel suo sviluppo la Comunità ha elaborato strumenti, relazioni,<br />

poteri spesso simili a quelli tipici degli Stati federali.<br />

L’aspetto paradossale della concezione dualistica è che abbiamo due ordinamenti autonomi e distinti per<br />

quanto riguarda la legislazione, ma uniti per quanto riguarda l’applicazione del diritto. Così giudici e<br />

amministratori sono servitori di due padroni.<br />

I giudici possono anche utilizzare lo strumento del RINVIO PREGIUDIZIALE alla Corte di giustizia della CE per<br />

ottenere indicazioni sulla validità di una norma derivata dai Trattati oppure sull’interpretazione delle<br />

disposizioni comunitarie.


11.2.5. L’attuazione delle norme comunitarie<br />

Dall’introduzione del 1989 della legge “La Pergola” per l’attuazione delle norme comunitarie, si è avuto un<br />

processo di delegazione e delegificazione. Delegazione al Governo per i regolamenti comunitari, al pari dei<br />

regolamenti interni e delegificazione con l’accorpamento in un’unica legge comunitaria annuale l’adozione di<br />

tutti i provvedimenti richiesti dall’UE e la possibilità per le Regioni di applicare direttamente alcuni atti della<br />

CE.


12. Le fonti delle autonomie<br />

12.1. Statuti regionali<br />

12.1.1. Definizioni<br />

Tutte le Regioni hanno uno Statuto, ma gli statuti sono di tipo diverso: si distinguono le Regioni a Statuto<br />

speciale da quelle a Statuto ordinario.<br />

Per le Regioni a Statuto speciale è lo Statuto stesso che ne fonda l’autonomia, fissandone limiti e modi,<br />

derogando il Titolo V della Costituzione e in particolare l’art. 117. Gli STATUTI DELLE REGIONI SPECIALI<br />

sono adottati con legge costituzionale.<br />

Diversa è la funzione degli STATUTI DELLE REGIONI ORDINARIE, per cui le forme e condizioni di autonomia<br />

sono definite in Costituzione. Con la legge costituzionale 1/1999 è attribuita agli Statuti ordinari la facoltà di<br />

definire integralmente la forma di governo della Regione, compresa la legge elettorale.<br />

12.1.2. Procedimento di formazione<br />

Lo Statuto delle Regioni speciali è una legge costituzionale un po’ particolare, perché:<br />

a) è derogabile attraverso delle leggi regionali in alcune sue parti, per esempio riguardo la forma di<br />

governo;<br />

b) la revisione degli Statuti non sono sottoposte a referendum costituzionale, essendo sufficiente il<br />

parere vincolante della Regione stessa;<br />

Lo Statuto delle Regioni ordinarie ha subito una radicale riforma:<br />

a) l’art. 123 della Costituzione così come riformato nel 2001 dispone che lo Statuto sia approvato a<br />

maggioranza assoluta dal Consiglio Regionale, con due deliberazioni successive adottate a distanza<br />

almeno di 2 mesi.<br />

b) il Governo può impugnare lo Statuto dinanzi alla Corte costituzionale entro 30 giorni dalla sua<br />

pubblicazione sul BUR. Entro 3 mesi dalla sua pubblicazione, un cinquantesimo degli elettori della<br />

Regione oppure un quinto dei componenti il Consiglio Regionale possono chiedere un referendum<br />

approvativo, o sospensivo. Lo Statuto non è promulgato fino a che non supera anche la fase<br />

referendaria. Nel periodo compreso tra la pubblicazione e la promulgazione, la prima ha solo valore<br />

notiziale.<br />

12.1.3. Natura e funzione degli Statuti ordinari<br />

Gli Statuti delle Regioni ordinarie sono quindi leggi regionali rinforzate cui è riservata la disciplina della forma<br />

di governo regionale, dei principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento della medesima, del<br />

diritto di iniziativa legislativa e di referendum, la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.<br />

Se prima della riforma del 2001 lo Statuto doveva mantenersi nell’ambito della legislazione statale,<br />

successivamente si è posto come limite il solo puntuale rispetto del dettato Costituzionale.<br />

Così le leggi dello Stato non possono incidere sugli Statuti per quanto riservato alle Regioni al pari delle leggi<br />

regionali, gerarchicamente subordinate.


12.2. Leggi regionali<br />

12.2.1. Definizioni<br />

La LEGGE REGIONALE è una legge ordinaria formale. La forma della legge le è data dal procedimento<br />

(iniziativa, deliberazione e promulgazione), la collocazione tra le fonti primarie è garantita dalla Costituzione<br />

nell’ambito delle competenze esclusive e concorrenti e perché sottoposta al controllo di legittimità della Corte<br />

costituzionale.<br />

Alle leggi regionali sono del tutto equiparate le LEGGI PROVINCIALI emanate dalla Province di Trento e<br />

Bolzano.<br />

12.2.2. Procedimento<br />

Il procedimento di formazione della legge regionale è disciplinato in minima parte dalla Costituzione, in parte<br />

dallo Statuto e per il resto dal regolamento interno del Consiglio Regionale. Il procedimento si svolge in<br />

queste fasi:<br />

• iniziativa: oltre alla Giunta e ai Consiglieri regionali, l’iniziativa spetta agli altri soggetti individuati<br />

dagli Statuti;<br />

• approvazione in Consiglio regionale: è generalmente previsto il ruolo delle Commissioni consiliari in<br />

sede referente, anche se taluni Statuti prevedono anche una funzione redigente. Sono in genere<br />

previste le 3 letture in assemblea e la legge è approvata almeno con maggioranza relativa, salvo<br />

maggioranze rinforzate previste dai singoli statuti. Ad essi spetta anche il compito di definire la<br />

modalità di partecipazione al processo del Consiglio delle autonomie;<br />

• promulgazione: da parte del Presidente della Regione mediante pubblicazione sul BUR;<br />

Allo Stato è consentito solo d’impugnare le leggi regionali successivamente alla loro pubblicazione, senza<br />

alcuna possibilità di veto preventivo.<br />

12.2.2. Estensione della potestà legislativa regionale<br />

La riforma del titolo V del 2001 ha mutato l’autonomia legislativa delle Regioni. In una costituzione federale<br />

in senso stretto vengono elencati i poteri ceduti dagli Stati contraenti il patto allo Stato centrale, mentre in<br />

una costituzione regionale troviamo elencati i poteri devoluti dal centro agli enti territoriali. Quest’ultimo è il<br />

caso della nostra Costituzione.<br />

Il precedente testo costituzionale elencava le materie su cui le Regioni ordinarie avevano potestà legislativa<br />

(concorrente) aggiungendo che leggi ordinarie potevano stabilirne di altre (potestà attuativa). L’art. 117 così<br />

come approvato nel 2001 stabilisce:<br />

c) un elenco di materie dove viene esercitata POTESTA’ ESCLUSIVA DELLO STATO (art. 117.2 Cost.);<br />

d) un elenco di materie su cui le Regioni hanno POTESTA’ LEGISLATIVA CONCORRENTE (art. 117.3),<br />

per cui lo Stato determina i PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA MATERIA mentre il resto della<br />

disciplina compete alle Regioni;<br />

e) una clausola residuale per cui tutte le materie non comprese nei due elenchi precedenti spettano alle<br />

Regioni per quanto riguarda la potestà legislativa (POTESTA’ LEGISLATIVA RESIDUALE DELLE<br />

REGIONI);<br />

Questo è lo schema generale. Alcuni degli aspetti problematici di questo testo sono:<br />

a) gli obblighi internazionali. Mentre in precedenza solo lo Stato aveva il c.d. POTERE ESTERO per<br />

sottoscrivere impegni giuridici e la legislazione regionale doveva necessariamente adeguarsi a<br />

quanto deliberato in sede nazionale, questo testo (art.117.1) sembra parificare il legislatore<br />

regionale e statale vincolando entrambi al rispetto degli OBBLIGHI INTERNAZIONALI. Inoltre<br />

secondo l’art. 117.9 le Regioni hanno la facoltà, nell’ambito dei limiti fissati da una legge statale, di<br />

stipulare accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad un altro Stato. Questa situazione


porterebbe inevitabilmente a vincolare l’ordinamento statale agli accordi esteri di una singola<br />

Regione;<br />

b) le interferenze delle leggi statali nelle materie regionali. Tra le competenze esclusive dello Stato ve<br />

ne sono diverse che tagliano le materie di competenza regionale. Ad esempio la tutela della<br />

concorrenza, l’ordinamento civile e penale, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni<br />

concernenti i diritti civili e sociali, le funzioni fondamentali degli enti locali. Inoltre pure tra le materie<br />

concorrenti ve ne sono alcune “trasversali” alle competenze di Stato e Regioni come il governo del<br />

territorio. La possibilità di intrusione dello Stato nelle aree di competenza regionale ha creato una<br />

grande quantità di conflitti di attribuzione di competenza a cui la Corte costituzionale è chiamata a<br />

dare una risposta. Così la legge costituzionale 3/2001 ha determinato che le leggi statali che<br />

intervengono in materie di competenza concorrente siano sottoposte al parere della Commissioni<br />

bicamerale integrata, parere del quale le Camere potranno discostarsi solo deliberando a<br />

maggioranza assoluta;<br />

c) la successione delle leggi nel tempo. Resta dubbio come potrà lo Stato imporre alle regioni il rispetto<br />

delle proprie leggi, specie delle nuove leggi che fissano i principi fondamentali nelle materie di<br />

competenza concorrente (LEGGE CORNICE), in presenza di precedenti leggi regionali;<br />

d) potestà legislativa delle Regioni speciali. I vecchi Statuti speciali restano formalmente in vigore ma<br />

sono legati alla vecchia impostazioni ovvero alla clausola residuale a favore dello Stato creando una<br />

situazione paradossale dove alle Regioni speciali verrebbero negate potestà devolute alle Regioni<br />

ordinarie. Il Titolo V riformato a tal riguardo si limita a dire che sino all’adeguamento dei rispettivi<br />

statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto<br />

speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di<br />

autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite. A ciò si aggiunge un’ulteriore complicazione<br />

prevista dall’art. 116.3 consente con una legge ordinaria rinforzata di concedere a singole Regioni<br />

ordinarie “forme e condizioni particolari di autonomia” in materia di organizzazione della giustizia di<br />

pace, di istruzione, di tutela dell’ambiente e dei beni culturali;<br />

12.3. Regolamenti regionali<br />

Le riforme costituzionali hanno profondamente inciso sulla funzione regolamentare delle Regioni, sia per ciò<br />

che riguarda la competenza degli organi, sia per l’estensione del potere.<br />

a) la Costituzione, che non si preoccupa di disciplinare i regolamenti dello Stato, dettava invece, prima<br />

della riforma del 2001, una norma relativa ai REGOLAMENTI REGIONALI, per cui il potere<br />

regolamentare era attribuito al Consiglio e non alla Giunta. Ovviamente riferito alle Regioni ordinarie,<br />

poiché quelle straordinarie erano e sono regolamentate dallo Statuto. Come con la revisione del<br />

2001 avverrà anche con le Regioni ordinarie il cui Statuto disciplinerà titolarità e modi della potestà<br />

regolamentare.<br />

b) la riforma costituzionale ha poi introdotto il principio del parallelismo tra funzioni legislative e<br />

funzioni regolamentari, limitando la potestà del Governo di emanare regolamenti alle sole materie<br />

sulle quali lo Stato ha potestà legislativa esclusiva e riservando alle Regioni il potere regolamentare<br />

in tutte le altre materie;<br />

c) nella gerarchia delle fonti dell’ordinamento regionale il regolamento è sottoposto alle leggi, le quali<br />

sono sottoposte allo Statuto, che allora stabilisce anche la competenza normativa tra leggi e<br />

regolamenti. Essendo quindi gli Statuti diversi da Regione a Regione, il risultato di questa riforma<br />

potrà essere visto solo quando questi verranno promulgati e differirà nell’ambito del territorio<br />

nazionale;<br />

12.4. Fonti degli enti locali<br />

12.4.1. Le fonti locali nel sistema delle fonti<br />

La riforma del Titolo V ha modificato anche la posizione costituzionale degli enti locali e delle loro fonti<br />

normative. La pariordinazione degli enti locali, delle Regioni e dello Stato quali componenti la Repubblica<br />

(art. 114.1) ha riflessi sul sistema delle fonti.


L’art. 114.2 attribuisce rilevanza costituzionale agli STATUTI DEGLI ENTI LOCALI, mentre l’art. 117.6<br />

riconosce ad essi “potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento<br />

delle funzioni loro attribuite”.<br />

Quindi il fondamento degli EELL è nella Costituzione, ma è la legge ordinaria a determinarne competenze e<br />

modalità. Alla legge statale in via esclusiva è attribuita la competenza di stabilire la legislazione elettorale, gli<br />

organi di governo e le funzioni fondamentali degli EELL. Per la restante parte sia la legge statale che<br />

regionale concorre alla definizione dei compiti degli EELL.<br />

12.4.2. Statuti<br />

La legge 142/90, assorbita nel TUEL (d.lgs. 267/2000), prevede che Comuni e Province si dotino di uno<br />

Statuto che deve dettare le norme fondamentali sull’organizzazione dell’ente. Il TUEL svolge la funzione<br />

legislativa ordinaria di definizione dei compiti, competenze e modalità degli EELL.<br />

12.4.3. Regolamenti<br />

“Nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo Statuto, il comune e la provincia adottano regolamenti<br />

nelle materie di propria competenza ed in particolare per l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni<br />

e degli organismi di partecipazione, per il funzionamento degli organi e degli uffici per l’esercizio delle<br />

funzioni” (art. 7 TUEL).<br />

Il regolamento è lo strumento normativo tipico degli EELL, serve non soltanto all’organizzazione dell’ente ma<br />

anche a disciplinare le materie di competenza dell’ente stesso. E’ una fonte secondaria.


13. Gli atti e i provvedimenti amministrativi<br />

13.1. Atti normativi, atti amministrativi e provvedimenti<br />

13.1.1. Definizioni<br />

Le fonti del diritto, e in particolare gli atti normativi, pongono regole generali e astratte. Gli individui e i loro<br />

comportamenti sono invece particolari e concreti, è compito dei soggetti che si occupano dell’APPLICAZIONE<br />

DEL DIRITTO applicare le norme giuridiche, generali e astratte, ai casi specifici e concreti.<br />

La PA agisce attraverso ATTI AMMINISTRATIVI. Sono atti giuridici in quanto comportamenti consapevoli e<br />

volontari che danno luogo a effetti giuridici e tramite essi vengono esercitati i poteri attribuiti dalla legge,<br />

sulla base del principio di prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato.<br />

La categoria degli atti amministrativi è molto vasta e generica e ricomprende gli atti amministrativi dello<br />

Stato, delle Regioni e degli EELL, gli ATTI DI PROGRAMMAZIONE, le DIRETTIVE AMMINISTRATIVE o anche i<br />

MERI ATTI AMMINISTRATIVI privi di rilevanza esterna ma attraverso cui si snoda il processo amministrativo.<br />

Quindi gli atti amministrativi che producono effetti esterni e quindi influiscono sulle situazioni giuridiche dei<br />

soggetti cui sono destinati, si chiamano PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI. Generalmente i provvedimenti<br />

amministrativi sono il risultato del procedimento amministrativo.<br />

13.1.2. Caratteri del provvedimento amministrativo<br />

I provvedimenti amministrativi hanno in comune alcune caratteristiche:<br />

a) UNILATERALITA’ e AUTORITARIETA’. Con questi termini si indica il particolare potere che distingue<br />

l’autorità amministrativa, che agisce unilateralmente senza il consenso del destinatario, e<br />

autoritariamente per la prevalenza dell’interesse pubblico che persegue;<br />

b) TIPICITA’. Con questo termine si indicano le conseguenze dell’applicazione del principio di legalità.<br />

L’amministrazione può esercitare poteri autoritativi solo se la legge glieli conferisce: la legge deve<br />

precisare che tipo di provvedimento l’amministrazione può emanare (NORMATIVITA’) e indicare<br />

quale interesse pubblico lo giustifichi, quali siano i presupposti per la sua emanazione, attraverso<br />

quale procedimento debba essere formato e quali effetti esso produca;<br />

c) ESECUTIVITA’ e ESECUTORIETA’. Con questi termini si indica l’idoneità dei provvedimenti<br />

amministrativi ad essere direttamente esecutivi, senza la necessità di un preventivo intervento del<br />

giudice (esecutività), nonché la capacità che la legge riconosce talvolta all’amministratore di portare<br />

direttamente in esecuzione coattiva determinati provvedimenti (esecutorietà);<br />

13.2. Tipologia dei provvedimenti amministrativi<br />

Se classifichiamo i provvedimenti amministrativi dal punto di vista degli interessi del privato che ne è<br />

destinatario, la grande divisione passa tra i PROVVEDIMENTI FAVOREVOLI e i PROVVEDIMENTI<br />

SFAVOREVOLI. La distinzione è intuitiva:<br />

a) i primi ampliano la sfera giuridica del privato (PROVVEDIMENTI AMPLIATIVI, per mezzo di<br />

AUTORIZZAZIONI o CONCESSIONI, AMMISSIONI, ESONERI, ESENZIONI o INCENTIVI);<br />

b) i PROVVEDIMENTO SFAVOREVOLI sono quelli che incidono negativamente nella sfera giuridica del<br />

privato, comportando una limitazione parziale o totale di un diritto (ORDINI, DIVIETI,<br />

ESPROPRIAZIONI, REQUISIZIONI oppure SANZIONI AMMINISTRATIVE).


13.3. Discrezionalità amministrativa<br />

L’attività di applicazione delle leggi da parte della PA è solo raramente un’attività di semplice esecuzione<br />

della legge, priva di qualsiasi margine di valutazione di opportunità. Non tanto per quanto riguarda le<br />

ATTIVITA’ VINCOLATE, quanto per il margine di discrezionalità nel perseguimento dell’INTERESSE<br />

PUBBLICO.<br />

Un soggetto privato è libero di comportarsi come ritiene nel rispetto delle leggi (LICEITA’ ovvero vincolo<br />

negativo), mentre un soggetto pubblico è vincolato strettamente alle leggi: che lo istituisce, ne definisce le<br />

finalità, gli obiettivi e l’interesse pubblico che deve perseguire. Non potendo però la legge prevedere tutto<br />

quanto necessario alla PA per raggiungere l’interesse pubblico definito, l’attività della PA non è più solo di<br />

mera esecuzione ma richiede delle scelte, legittime se orientate verso l’interesse pubblico definito<br />

(LEGITTIMITA’ DELL’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA)<br />

Lo spazio di scelta che la legge attribuisce alla PA si chiama DISCREZIONALITA’ AMMINISTRATIVA e può<br />

riguardare il se, quando, quanto e come. All’amministrazione è prescritto di rispettare le prescrizioni di legge,<br />

svolgendo un’adeguata ISTRUTTORIA per poi procedere alla valutazione degli elementi acquisiti comparando<br />

gli interessi in gioco e quindi al loro bilanciamento. Il criterio che presiede la valutazione è il PRINCIPIO DI<br />

PROPORZIONALITA’ che significa:<br />

1) congruità del provvedimento al raggiungimento del fine;<br />

2) massima limitazione del sacrificio di altri interessi pubblici;<br />

3) massima limitazione del sacrificio di interessi privati;<br />

4) massima efficacia degli strumenti adottati in un rapporto tra risultati-costi;<br />

Nella motivazione deve trasparire la razionalità e la ragionevolezza del procedimento e del ragionamento che<br />

ha guidato l’amministrazione nell’uso del potere discrezionale. Ed è proprio la motivazione l’oggetto<br />

principale su cui appunta l’attenzione del giudice chiamato a sindacare la legittimità dell’atto.<br />

13.4. Vizi del provvedimento amministrativo<br />

13.4.1. Definizioni<br />

I vizi del provvedimento amministrativo ne compromettono la validità. Le nozioni di EFFICACIA e di<br />

VALIDITA’ si applicano anche ai provvedimento amministrativi.<br />

I casi di invalidità – detti anche VIZI DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO – vanno distinti in due ampie<br />

categorie. I casi di nullità dell’atto amministrativo da quelli di illegittimità.<br />

La nullità è causata da motivi gravi che gli impediscono di perfezionare la sua formazione:<br />

• perché emesso da un soggetto sprovvisto di autorità amministrativa;<br />

• perché l’oggetto dell’atto è indeterminato o inidoneo, o il contenuto è illecito;<br />

• perché la volontà del soggetto agente è viziata da violenza fisica;<br />

• perché manca di forma essenziale, quando tale forma è prescritta dalla legge;<br />

L’ILLEGITTIMITA’ dell’atto amministrativo copre l’intera area del contrasto tra l’atto e le norme vigenti che si<br />

inserisce tra le ipotesi della nullità e quelle della mera IRREGOLARITA’.<br />

13.4.2. Ipotesi di illegittimità dell’atto amministrativo<br />

Per tradizione, i vizi di legittimità degli atti amministrativi sono divisi in 3 categorie:<br />

a) INCOMPETENZA: si ha quando il provvedimento è emanato da un’amministrazione che ha potestà<br />

sulla materia, ma da un organo incompetente (INCOMPETENZA RELATIVA);<br />

b) VIOLAZIONE DI LEGGE: è il puntuale contrasto tra il provvedimento con qualsiasi norma giuridica<br />

vigente. Questa categoria è da intendersi in senso residuale rispetto alla prima e all’ultima;


c) ECCESSO DI POTERE: è il vizio specifico della discrezionalità amministrativa. Esso quindi non può<br />

colpire gli atti vincolati della PA, ma nasce dalla volontà del giudice di annullare i provvedimenti<br />

amministrativi che, pur non presentando vizi di incompetenza o violazione di legge, si<br />

manifestassero chiaramente viziati nel ragionamento e nelle valutazioni attraverso le quali si è<br />

formata la volontà dell’organo amministrativo.<br />

13.4.3. Figure sintomatiche dell’eccesso di potere<br />

Le FIGURE SINTOMATICHE DELL’ECCESSO DI POTERE sono le ipotesi tipiche di difetti nel processo di<br />

formazione delle scelte discrezionali della PA:<br />

a) SVIAMENTO DI POTERE. Quando un provvedimento, previsto per un determinato interesse, viene<br />

impiegato per un fine del tutto diverso. Si viola quindi la tipicità del provvedimento;<br />

b) TRAVISAMENTO DEI FATTI. Quando un provvedimento si basa su un’erronea ricostruzione delle<br />

circostanze;<br />

c) CONTRADDITORIETA’ INTERNA o EVIDENTE ILLOGICITA’. Quando un provvedimento si basa su<br />

premesse inconsistenti o peggio contradditorie;<br />

d) DISPARITA’ DI TRATTAMENTO. E’ la violazione del principio di uguaglianza;<br />

e) VIZI DELLA MOTIVAZIONE. Di per sé l’assenza della motivazione nei processi discrezionali<br />

costituisce violazione di legge e dalla motivazione il giudice può eventualmente rintracciare sintomi<br />

dell’eccesso di potere che ha portato alla decisione;<br />

f) VIOLAZIONE DELLE PRASSI AMMINISTRATIVE. Quando un’amministrazione, senza un’adeguata<br />

motivazione, si discosta da circolari, direttive o dalla costante interpretazione;<br />

g) INGIUSTIZIA MANIFESTA. Quando per esempio avviene una lesione della proporzionalità tra<br />

infrazione e sanzione;<br />

Questa serie di figure servono a dotare il giudice degli strumenti per verificare la validità degli atti<br />

amministrativi senza entrare nel MERITO AMMINISTRATIVO, che non è competenza della magistratura ma<br />

dell’organo politico.<br />

E’ importante notare che, essendo il procedimento che porta al provvedimento composta anche da numerosi<br />

atti amministrativi, se un vizio colpisce anche uno solo degli atti che concorrono alla determinazione del<br />

provvedimento quest’ultimo perde interamente di validità (INVALIDITA’ DERIVATA).<br />

13.4.4. L’autotutela<br />

La PA che emana un provvedimento viziato può, prima che esso venga annullato da un giudice, utilizzare<br />

alcuni strumenti per riparare i vizi. Si parla in questi casi di SANATORIA. Se l’atto è viziato per incompetenza,<br />

può essere RATIFICATO anche dopo la pubblicazione dall’organo competente. Se è viziato il procedimento<br />

dell’atto, tale procedimento può essere CONVALIDATO mediante il completamento con l’atto mancante.<br />

Ovviamente non tutti i vizi sono sanabili. In questi casi l’amministrazione può procedere, in AUTOTUTELA,<br />

emanando un ulteriore provvedimento: l’ANNULLAMENTO D’UFFICIO. Inoltre il Governo dispone di un potere<br />

di ANNULLAMENTO D’UFFICIO di ogni atto amministrativo emanato da qualsiasi autorità amministrativa in<br />

nome di uno specifico interesse pubblico.<br />

13.5. Tutela nei confronti dei provvedimenti amministrativi<br />

13.5.1. Definizioni<br />

La tutela degli interessi del privato può seguire due strade: il ricorso amministrativo e il ricorso<br />

giurisdizionale. Il RICORSO AMMINISTRATIVO è un’istanza che il privato rivolge all’amministrazione per<br />

chiedere l’annullamento o la revoca di un provvedimento illegittimo o inopportuno; il RICORSO


GIURSDIZIONALE è lo strumento con cui il privato impugna il provvedimento illegittimo di fronte al giudice,<br />

rivolgendosi ad un organo terzo.<br />

13.5.2. Ricorsi amministrativi<br />

Vi sono 4 tipi di ricorso amministrativo:<br />

a) il RICORSO GERARCHICO PROPRIO è un rimedio riconosciuto in via generale attraverso il quale il<br />

privato può chiedere all’organo gerarchicamente superiore, a quello che ha emanato l’atto<br />

impugnato, l’annullamento, la revoca o la riformulazione del provvedimento entro 30 giorni<br />

dall’avvenuta notifica del provvedimento. Se entro 90 giorni dal ricorso, l’amministrazione non<br />

risponde il ricorso si intende rigettato;<br />

b) il RICORSO GERARCHICI IMPROPRIO è un rimedio fruibile solo ove previsto dalla legge;<br />

c) il RICORSO IN OPPOSIZIONE è un rimedio anch’esso fruibile solo qualora previsto per legge e<br />

consiste nel ricorrere al medesimo organo che ha adottato il provvedimento impugnato dal privato.<br />

Anche in questo caso vale il silenzio-rigetto entro 90 giorni;<br />

d) il RICORSO STRAORDINARIO AL CAPO DELLO STATO è una soluzione estrema praticabile solo<br />

quando non vi sia altra possibilità di ricorso o in alternativa al ricorso giurisdizionale. Può essere<br />

presentato anche a 120 giorni dalla notificazione dell’atto e la decisione sul ricorso è imputabile al<br />

parere obbligatorio del Consiglio di Stato;<br />

13.5.3. Il ricorso giurisdizionale<br />

Il privato, destinatario di un provvedimento illegittimo, non ha alcuna necessità di ricorrere in via<br />

amministrativa, perché può impugnare il provvedimento direttamente davanti al giudice. L’art. 113 della<br />

Costituzione garantisce “contro gli della PA, è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli<br />

interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria e amministrativa” aggiungendo poi che “tale<br />

tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate<br />

categorie di atti”.<br />

La Costituzione stessa ha anche stabilito che la maggior parte delle vertenze tra privati cittadini e la PA non<br />

fossero attribuite di competenza alla magistratura ordinaria, ma a un giudice speciale, chiamato GIUDICE<br />

AMMINISTRATIVO. Sostanzialmente quando cittadino e PA stanno sullo stesso piano la competenza è del<br />

giudice ordinario, quando il conflitto è tra interesse pubblico e privato, la competenza è del giudice<br />

amministrativo.<br />

13.5.4. <strong>Diritto</strong> soggettivo e interesse legittimo<br />

Secondo la nozione tradizionale si ha un DIRITTO SOGGETTIVO quando un determinato bene o vantaggio è<br />

garantito dall’ordinamento giuridico. Quando il privato subisce una compressio del diritto soggettivo, in nome<br />

della prevalenza dell’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione, l’ordinamento gli garantisce<br />

l’interesse alla legittimità dell’atto. Questa situazione prende il nome di INTERESSE LEGITTIMO.<br />

Riformulando la distinzione del capitoletto precedente, qualora la PA abbia agito priva di autorità la<br />

magistratura competente è quella ordinaria, invece qualora la PA abbia agito con autorità la magistratura<br />

competente è quella amministrativa.


14. Diritti e libertà<br />

14.1. Libertà e diritti costituzionalmente garantiti<br />

14.1.1. Definizioni<br />

Una delle componenti essenziali presenti in tutte le costituzioni moderne è la disciplina dei diritti e delle<br />

libertà. Essa costituisce un elemento fondamentale per la definizione della forma di stato.<br />

È necessario introdurre alcune nozioni:<br />

a) si parla generalmente di SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE per indicare sia le posizioni<br />

giuridiche attive o di vantaggio (libertà e diritti) che le posizioni giuridiche di passive o di svantaggio<br />

(obblighi e doveri). Le posizioni attive si suddividono generalmente in LIBERTA’ e in DIRITTI. Libertà<br />

generalmente intese in senso negativo (i paletti) e diritti in senso positivo (la pretesa di);<br />

b) un’altra distinzione assai comune è tra DIRITTI ASSOLUTI e DIRITTI RELATIVI. Assoluti non vuol<br />

dire illimitati, ma erga omnes. Possono essere i DIRITTI DELLA PERSONA (libertà personale,<br />

domicilio, privacy) oppure DIRITTI REALI (la proprietà), e hanno quindi come oggetto una libertà il<br />

cui esercizio non richiede prestazioni di terzi quanto piuttosto l’astensione. Così l’effetto erga omnes<br />

è essenzialmente un divieto di interferenza per gli altri soggetti. Al contrario i diritti relativi per<br />

essere fatti valere da parte di determinati soggetti richiedono una prestazione di terzi: questi sono i<br />

DIRITTI SOCIALI;<br />

c) si può inserire anche la distinzione tra DIRITTI INDIVIDUALI E DIRITTI FUNZIONALI, ovvero tra i<br />

diritti (individuali) a vantaggio del singolo e i diritti (funzionali) attribuiti al singolo a vantaggio della<br />

comunità. Nel primo caso la libertà personale, nel secondo la proprietà;<br />

14.1.2. Strumenti di tutela<br />

La vera novità delle costituzioni moderne è sicuramente, oltre ad aver ampliato l’elenco dei diritti con quelli<br />

sociali, è di aver potenziato gli strumenti di garanzia dei diritti classici. I congegni di protezione dei diritti e<br />

delle libertà sono ovviamente diversi e diversi sono i piani su cui operano. Eccone i principali:<br />

a) la riserva di legge;<br />

b) la riserva di giurisdizione è un meccanismo che rafforza la riserva di legge, prevedendo l’intervento<br />

del giudice per l’autorizzazione alla restrizione delle libertà;<br />

c) la tutela giurisdizionale per cui “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e<br />

interessi legittimi”;<br />

d) la responsabilità del funzionario come stabilito dall’art. 28 della Costituzione si concretizza nella<br />

prassi in forme di responsabilità penale e amministrativa per i funzionari della PA e la responsabilità<br />

civile solidale dello Stato;<br />

e) il sindacato di legittimità costituzionale, ovvero la Corte costituzionale;<br />

14.2. Principio di eguaglianza<br />

L’art.3 della Costituzione enuncia il PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA e ne dà una formulazione complessa. Esso<br />

esprime il principio di eguaglianza formale, nonché una serie di specifici divieti di discriminazione, e il<br />

principio di eguaglianza sostanziale.<br />

a) la formulazione tradizionale del principio di EGUAGLIANZA FORMALE prescrive che si devono trattare<br />

in modo eguale situazioni eguali e in modo diverso situazioni diverse. Questa enunciazione è rivolta<br />

essenzialmente al legislatore cui vieta di creare privilegi o discriminazioni ingiustificate. Questo


concetto è all’origine del controllo di RAGIONEVOLEZZA delle leggi, che è diventato lo schema che<br />

domina larga parte dei giudizi della Corte costituzionale;<br />

b) il NUCLEO FORTE DEL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA vieta distinzioni “di sesso, di razza, di lingua, di<br />

religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Questo non comporta il divieto<br />

assoluto per il legislatore di introdurre differenziazioni nel senso che ammette una legislazione<br />

positiva (o premiale) nella misura necessaria ad impedire discriminazioni di fatto;<br />

c) il PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA SOSTANZIALE punta esattamente a “rimuovere gli ostacoli di ordine<br />

economico e sociale” che impediscono l’eguale godimento dei diritti e delle libertà con un<br />

programma d’intervento volto a eliminare gli handicap sociali attraverso la legislazione positiva. Il<br />

punto di equilibrio tra eguaglianza formale e sostanziale è da ricercarsi nel giudizio di<br />

ragionevolezza, non è determinato in Costituzione ed è una mediazione tra gli eccessi della dura lex<br />

(formale) e della REVERSE DISCRIMINATION (sostanziale);<br />

14.3. L’applicazione delle garanzie costituzionali<br />

14.3.1. Cittadini e stranieri<br />

In certi casi la Costituzione riconosce a tutti la tutela dei diritti, in altri casi solo ai cittadini (vedi quelli<br />

politici). Il problema che qualcuno vorrebbe porre è se e in quale misura i diritti costituzionali destinati ai<br />

cittadini possono essere estesi agli stranieri.<br />

Questa estensione non è automatica poiché l’art. 3.1 della Costituzione fa esplicito riferimento ai cittadini<br />

dello Stato.<br />

Va preso in considerazione l’art. 10.2 per lo STATUS GIURIDICO DELLO STRANIERO pone una riserva di<br />

legge rinforzata: “la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei<br />

trattati internazionali”. E’ sulla base di questa disposizione che si possono giustificare estensioni dei diritti<br />

fondamentali agli stranieri anche nei casi in cui la Costituzione sembrerebbe riservarli ai soli cittadini.<br />

La Corte costituzionale attraverso un doppio meccanismo ha esteso l’applicazione delle garanzie riconosciute<br />

agli stranieri in base ai trattati internazionali sull’interpretazione dell’art. 2 dove parla di diritti inviolabili nel<br />

senso di diritti dell’uomo e non solo del cittadino. Con alcune precisazioni:<br />

a) nell’applicazione l’estensione dei diritti opera solo per quelli definibili inviolabili sulla base della<br />

Costituzione. Per altri diritti, vale il contenuto delle Preleggi dove stabiliscono che lo straniero possa<br />

godere dei diritti civili del cittadino dello Stato a condizione di reciprocità, ovvero che nello Stato di<br />

provenienza dello straniero vengano riconosciuti gli stessi diritti ai cittadini italiani;<br />

b) l’eguaglianza dello straniero nel godimento dei diritti inviolabili è un principio, non una regola<br />

tassativa. Questo significa che non è vietato prevedere per il legislatore particolari norme per le i<br />

cittadini stranieri presenti sul territorio;<br />

14.3.2. L’evoluzione delle nozioni costituzionali<br />

Tutte le disposizioni costituzionali impiegano termini tecnici che necessitano di una definizione. Ognuno di<br />

questi termini presenta rilevanti problemi di definizione. Sono termini tecnici perché impiegati usualmente<br />

dai tecnici di diritto e spesso dalla legislazione precedente alla Costituzione, ma questo non significa affatto<br />

che la nozione costituzionale che essi evocano debba essere ancorata agli usi terminologici in voga al<br />

momento dell’entrata in vigore della Costituzione.<br />

La Corte costituzionale ha sistematicamente respinto l’idea che le nozioni costituzionali siano pietrificate,<br />

ossia che esse debbano essere intese nel senso cui venivano impiegate dai giuristi o dalla legislazione<br />

precedente.


14.3.3. L’anacronismo legislativo<br />

Se l’area di beni o degli interessi protetti dalla Costituzione è in continua mutazione, ciò significa che la<br />

disposizione legislativa che la Corte ha ritenuto un giorno non contrastante con le garanzie sancite da una<br />

disposizione costituzionale può risultare con essa compatibile.<br />

E’ il c.d. ANACRONISMO LEGISLATIVO, cui spesso la Corte si richiama per modificare precedenti sentenze di<br />

rigetto, mutando indirizzo interpretativo. L’anacronismo può essere causato da diverse ragioni.<br />

14.3.4. L’evoluzione indotta dal diritto internazionale<br />

Sempre più spesso, la Corte costituzionale fa uso delle convenzioni internazionali per aggiornare il significato<br />

delle disposizioni costituzionali. Ma salvo l’improbabile ipotesi che sia una norma di rango costituzionale a<br />

dare esecuzione ad un trattato, le norme di questo non hanno mai potuto costituire un parametro della<br />

validità delle leggi ordinarie, non essendo ad esse superiori nella gerarchia delle fonti.<br />

Questa situazione ha reso particolarmente problematica l’applicazione delle convenzioni internazionali che<br />

tutelano i diritti umani, e soprattutto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La stessa<br />

giurisprudenza della Corte di Strasburgo, fonte interpretativa della CEDU, lascia traccia nelle motivazioni<br />

della Corte costituzionale e diviene perciò un fattore di interpretazione dinamica delle disposizioni<br />

costituzionali sui diritti. Nonostante questo la Corte costituzionale ha mostrato scarse aperture nella direzione<br />

del riconoscimento di uno status differenziato della CEDU rispetto ad altri trattati e ancora meno nel senso di<br />

riconoscere a tutti i trattati in rango costituzionale.<br />

Un mutamento potrebbe aversi a seguito della modifica dell’art. 117 introdotta dalla riforma costituzionale<br />

del 2001 che prevede il vincolo degli obblighi internazionali per il legislatore nazionale e regionale.<br />

14.3.5. Bilanciamento dei diritti<br />

Il BILANCIAMENTO DEI DIRITTI è una tecnica impiegata in genere da tutte le corti costituzionali per<br />

risolvere questioni di costituzionalità in cui si registri un contrasto tra diritti o interessi diversi.<br />

I diritti e le libertà costituzionali sono espressi come PRINCIPI. I principi sono un tipo di NORMA GIURIDICA,<br />

che si distingue dalle REGOLE, perché dotati di un elevato grado di genericità e non sono quindi<br />

circostanziati. In quanto principi, i diritti sono affermati in modo assoluto, senza gerarchie o precedenze.<br />

Si possono individuare almeno 3 ipotesi generali di conflitto tra interessi (o diritti):<br />

a) concorrenza tra soggetti diversi nel godimento dello stesso diritto: le risorse sono limitate, quindi c’è<br />

un problema di regolazione della concorrenza;<br />

b) concorrenza tra interessi individuali non omogenei;<br />

c) concorrenza tra interessi individuali e interessi collettivi;<br />

14.3.6. I nuovi diritti<br />

La tecnica del bilanciamento degli interessi consente alla Corte di prendere in considerazione anche interessi<br />

che non hanno uno specifico riconoscimento in Costituzione. Spesso vengono chiamati NUOVI DIRITTI, per<br />

indicare l’assenza di una specifica disciplina costituzionale.<br />

Parte della dottrina ha ritenuto che questi ultimi abbiano un fondamento nell’art. 2 della Costituzione. La<br />

disposizione “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo” è letta come un CATALOGO<br />

APERTO DEI DIRITTI, ossia una formula in bianco che consente di importare nel sistema dei diritti tutelati<br />

dalla nostra Costituzione tutti quegli interessi che l’evoluzione della coscienza sociale porta ad accreditare. La<br />

logica ideologica di questa impostazione si muove sulla base dell’idea che i diritti preesistano al diritto e che<br />

quindi quest’ultimo non debba fare altro che recepirli.


La Corte costituzionale è stata in passato assai ferma a negare la lettura aperta dell’art. 2, ritenendo i diritti<br />

inviolabili quelli di cui trattano gli articoli successivi (CATALOGO CHIUSO DEI DIRITTI).<br />

14.4. I diritti nella sfera individuale<br />

14.4.1. Definizioni<br />

La logica usata dalla Costituzione per scrivere le garanzie dei diritti procede secondo una logica precisa, che<br />

presuppone uno schema di classificazione:<br />

• artt. 13-16, diritti legati all’individuo;<br />

• artt. 17-21, diritti legati all’attività pubblica degli individui;<br />

• artt. 29-34, diritti di solidarietà sociale;<br />

• artt. 35-47, diritti economici;<br />

• artt. 48- 51, diritti politici;<br />

I diritti legati alla sfera personale sono costruiti a spirale partendo dall’HABEAS CORPUS (art. 13), ovvero la<br />

libertà della persona, la sua tutela fisica. Essendo gli spazi di garanzia di ciascuna libertà adiacenti e talvolta<br />

sovrapposti, ed essendo che l’intensità della tutela varia attenuandosi man mano che ci si allontano dal<br />

centro della spirale, ecco che è indispensabile decidere se una certa situazione reale ricada sotto la garanzia<br />

accordata da questo o da quell’articolo della Costituzione.<br />

14.4.2. La libertà personale<br />

14.4.2.1. Definizioni<br />

Nella sua accezione più ristretta e storica la LIBERTA’ PERSONALE coincide con la libertà dagli arresti, ossia<br />

con l’HABEAS CORPUS. Il nucleo fondamentale della libertà personale è dunque la libertà fisica, la<br />

disponibilità della propria persona in termini quantitativi e qualitativi.<br />

Tra i vari livelli di limitazione quantitativa della libertà personale, quelli minori sono considerati prestazioni<br />

imposte e non rientrano sotto la tutela costituzionale (le impronte digitali per esempio). Il concetto<br />

qualitatitativo, superando il concetto della violenza fisica, riscontra in qualsiasi coercizione che leda la dignità<br />

della persona e ne comporti la degradazione giuridica la violazione del diritto.<br />

Alla luce di questo, ancor più che l’elemento fisico, ciò che contraddistingue la violazione della libertà<br />

personale è il livello di degradazione giuridica.<br />

14.4.2.2. Strumenti di tutela<br />

Gli strumenti di tutela della libertà personale predisposti all’art. 13.2 sono i più forti che la Costituzione<br />

preveda: riserva assoluta di legge e di giurisdizione.<br />

Inoltre l’art. 111 prevede che contro tutti i provvedimenti giurisdizionali che incidono sulla libertà personale<br />

sia sempre ammesso ricorso davanti alla Corte di cassazione.<br />

L’art. 13.3 prevede un’eccezione, coperta da riserva di legge, per cui le autorità di PS possano adottare<br />

provvedimenti restrittivi provvisori comunicati all’autorità giudiziaria entro 48 ore e nello stesso lasso di<br />

tempo da essa convalidati. Se non convalidati si intendono revocati e privi di ogni effetto.


14.4.2.3. Restrizioni e pene<br />

Sono diversi i principi, non solo l’art. 13.2, che operano per l’individuazione del tipo di restrizione cui può<br />

essere sottoposta la libertà personale:<br />

a) il divieto di ogni violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizione (art. 13.3);<br />

b) “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla<br />

rieducazione del condannato” (art. 27.3);<br />

c) l’esclusione della pena di morte come corollario dell’art. 27.3;<br />

d) la giurisprudenza più recente della Corte costituzionale ha allargato il giudizio di ragionevolezza<br />

anche alla misura delle pene, cioè alla proporzione che deve sussistere tra gravità della pena e<br />

gravità del reato;<br />

14.4.2.4. Trattamenti sanitari obbligatori<br />

Per TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATORIO si intende ogni tipo di attività diagnostica o terapeutica<br />

imposta all’individuo. Qualora il trattamento abbia finalità di PS ricade sotto l’art. 13, qualora invece abbia<br />

finalità sanitarie ricade sotto l’art. 32.2 dedicato alla tutela della salute. Il regime di garanzia accorda la<br />

riserva di legge ma non di giurisdizione. L’obbligo imposto per legge di sottoporsi a trattamento medico deve<br />

essere motivato esclusivamente da esigenze di tutela della salute pubblica. Per la salute individuale prevale<br />

la libertà di scelta individuale.<br />

14.4.3. La libertà di domicilio<br />

14.4.3.1. Definizioni<br />

Secondo una definizione classica il DOMICILIO è la proiezione spaziale della persona.<br />

Secondo l’ordinamento giuridico vi sono più definizioni del domicilio. Il codice civile lo intende il luogo in cui<br />

essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi, distinguendola dalla RESIDENZA che invece è il<br />

luogo dove la persona ha dimora abituale. La DIMORA invece è una realtà di fatto che indica il luogo dove la<br />

persona soggiorna occasionalmente.<br />

Per il diritto penale il domicilio è l’abitazione e ogni “altro luogo di privata dimora”. Chi violi il domicilio<br />

“contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s’introduce clandestinamente o<br />

con l’inganno” incorre in una sanzione penale.<br />

Quindi il significato attribuibile a domicilio riferendosi all’art. 14 della Costituzione è quello del codice penale.<br />

Anche se la Corte costituzionale ha mostrato disponibilità nell’estendere la norma al di là di questa norma<br />

per includervi anche ambiti estranei come può essere l’automobile.<br />

14.4.3.2. Strumenti di tutela<br />

Come la libertà personale, anche il domicilio è inviolabile (art. 14.1). Al domicilio si estendono le medesime<br />

garanzie previste per la libertà personale, ossia riserva di legge assoluta e di giurisdizione per atti di<br />

ispezione, perquisizione e sequestro (art. 14.2). La libertà di domicilio è garantita non solo alle persone<br />

fisiche ma anche a quelle giuridiche (società o associazioni).<br />

Il codice di procedura penale ci fornisce la definizione dei termini ispezione, perquisizione e sequestro come<br />

mezzi di ricerca della prova penale:<br />

1. ISPEZIONE, per “accertare le tracce e gli effetti materiali del reato”;<br />

2. PERQUISIZIONE, serve per la ricerca di cose pertinenti al reato;<br />

3. SEQUESTRO, successivo alla perquisizione per l’ottenimento della cosa cercata;


Per le procedure di emergenza vale quanto detto relativamente all’art. 13.3 sulla libertà personale.<br />

14.4.3.3. Leggi speciali<br />

L’art. 14.3 ammette eccezioni alla disciplina generale ma solo con particolari limiti riguardo l’oggetto e la<br />

finalità e comunque con riserva di legge rinforzata. La legge può consentire questo tipo di azioni solo per<br />

motivi di sanità, incolumità pubblica o per fini economici e fiscali. Allora la PA potrà procedere all’accesso al<br />

domicilio anche senza la previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria.<br />

14.4.4. La libertà di corrispondenza e comunicazione<br />

14.4.4.1. Definizioni<br />

L’art. 15 della Costituzione tutela la libertà e la segretezza di ogni forma di comunicazione a partire da quella<br />

più tradizionale, ovvero la corrispondenza.<br />

A differenza della libertà di pensiero, che è una libertà pubblica, la libertà di comunicazione è primariamente<br />

una libertà personale e privata. La segretezza è perciò l’elemento che caratterizza la disciplina di questo<br />

articolo.<br />

Estendendo la tutela costituzionale riferita alla corrispondenza, si può sintetizzare che l’art. 15 tutela la<br />

segretezza di ogni comunicazione realizzata attraverso strumenti idonei a garantire la segretezza stessa del<br />

messaggio. Viene punito anche l’impedimento nelle comunicazioni, telefoniche o informatiche.<br />

14.4.4.2. Strumenti di tutela<br />

La libertà e la segretezza della corrispondenza sono tutelate attraverso il doppio meccanismo della riserva di<br />

legge e giurisdizione.<br />

14.4.5. La libertà di circolazione<br />

14.4.5.1. Definizioni<br />

Molto vicina alla libertà personale è la LIBERTA’ DI CIRCOLAZIONE E SOGGIORNO. La prima comprende la<br />

seconda, ma la differenziazione tra le due libertà sta nell’assenza nella violazione della seconda del carattere<br />

coercitivo e degradante. Infatti la legge può disporre limitazione alla circolazione delle persone soltanto in via<br />

generale e non contro un singolo, e sempre e comunque per motivi di sanità e sicurezza.<br />

La libertà di circolazione comprende sia la libertà di espatrio che la libertà di scelta del luogo di esercizio<br />

delle proprie attività economiche. L’art. 16.2 sottopone la LIBERTA’ DI ESPATRIO agli obblighi di legge. La<br />

libertà di scelta del luogo di esercizio delle proprie attività economiche è stata rafforzata dalla UE con il<br />

DIRITTO DI STABILIMENTO ampliato all’intero territorio della Comunità per ciascun cittadino comunitario.<br />

14.4.5.2. Strumenti di tutela<br />

La libertà di circolazione è garantita ai cittadini da una riserva di legge rafforzata per contenuto, ma non da<br />

riserva di giurisdizione.


Secondo alcune sentenze della Corte costituzionale la locuzione “in via generale” esprime il principio di<br />

eguaglianza e non limita il raggio di azione dei provvedimenti di restrizione della circolazione alle categorie di<br />

cittadini escludendo che possano essere adottati nei confronti di singoli.<br />

Allora questo termine non starebbe ad indicare l’ORDINE PUBBLICO IN SENSO MATERIALE (incolumità<br />

fisica), ma l’ORDINE PUBBLICO IN SENSO IDEALE (morale). Questo in ogni caso non può riguardare ragioni<br />

politiche (art. 16.1).<br />

14.5. I diritti nella sfera pubblica<br />

14.5.1. Definizioni<br />

I diritti che attengono alla sfera pubblica dell’individuo sono posti a tutela della dimensione sociale della<br />

persona. Essa si esprime nella direzione della libertà di espressione, di riunione e di associazione.<br />

E’ chiaro che queste libertà sono strettamente connesse all’iniziativa politica, o meglio l’attività politica si<br />

svolge per mezzo di esse. Quindi le norme sui diritti pubblici dell’individuo garantiscono la sfera degli<br />

interessi sociali e il buon funzionamento del dibattito democratico.<br />

14.5.2. La libertà di riunione<br />

14.5.2.1. Definizioni<br />

Per RIUNIONE si intende la compresenza volontaria di più persone nello stesso luogo. E’ la volontà di stare<br />

insieme per uno scopo comune a distinguere una riunione da altre forme di assembramento.<br />

14.5.2.2. Condizioni di legittimità e scioglimento delle riunioni<br />

La condizione che pone la Costituzione al diritto di riunione è che essa si svolga “pacificamente e senza<br />

armi”. L’interesse che l’art. 17.1 vuole tutelare è l’ORDINE PUBBLICO in senso materiale. A questa la legge<br />

aggiunge anche il possesso di ARMI IMPROPRIE, ovvero gli strumenti utilizzabili per l’offesa alla persona<br />

secondo le circostanze, e l’uso di caschi protettivi o altri mezzi che non rendano identificabile la persona.<br />

14.5.2.3. Tipologie di riunione e preavviso<br />

A seconda del luogo in cui si svolgono, le riunioni si distinguono in riunioni in luogo privato, riunioni in luogo<br />

aperto al pubblico e riunioni in luogo pubblico.<br />

I LUOGHI APERTI AL PUBBLICO sono quelli in cui l’accesso del pubblico è soggetto a modalità determinate<br />

da chi ne ha la disponibilità.<br />

LUOGHI PUBBLICI sono infine quelli ove ognuno può transitare liberamente. La libertà di riunione può<br />

divenire in contrasto con la libertà di circolazione qualora si trasformasse in BLOCCO STRADALE, punito con<br />

sanzione penale.<br />

Solo per le riunioni in luogo pubblico l’art. 17.2 prevede l’obbligo del preavviso, almeno 3 giorni prima al<br />

questore (responsabile della PS), ma non di autorizzazione. Il questore può vietare preventivamente la<br />

riunione ma soltanto per le classiche ragioni di eccezionalità (art. 17.2).


14.5.3. La libertà di associazione<br />

14.5.3.1. Definizioni<br />

Per ASSOCIAZIONE s’intendono quelle formazioni sociali che hanno base volontaria ed un nucleo, sia pure<br />

embrionale, di organizzazione e di tendenziale stabilità. La disciplina dell’art. 18 della Costituzione si rivolge a<br />

tutte le associazioni, in qualsiasi forma, tuttavia successivamente la stessa Costituzione detta norme<br />

specifiche per le associazioni religiose, i sindacati e i partiti politici.<br />

14.5.3.2. Strumenti di tutela<br />

L’art. 18.1 pone 3 garanzie alla libertà di associazione:<br />

f) La prima garanzia riguarda l’adesione all’associazione che deve essere libera, anche se la Corte<br />

costituzionale ha dichiarato compatibile con l’art. 18.1 tutta una serie di ASSOCIAZONI<br />

OBBLIGATORIE cui è necessario aderire per svolgere determinate attività. Queste associazioni sono<br />

ibridi tra il soggetto privato e l’ente pubblico (ordini professionali, federazioni sportive e consorzi<br />

obbligatori). Lo statuto dell’associazione può regolare ma mai impedire il diritto di recesso del socio;<br />

g) la seconda garanzia riguarda l’istituzione dell’associazione, che può avvenire senza autorizzazione;<br />

h) la terza garanzia, costituita dalla riserva di legge rinforzata, dove dice “per fini che non vietati al<br />

singolo dalla legge penale”. Così le associazioni possono fare tutto ciò che fanno i singoli;<br />

14.5.3.3. Le associazioni vietate<br />

L’art. 18.2 vieta solo due tipi di associazione (cui si aggiunge il divieto di riorganizzare in qualsiasi forma il<br />

disciolto partito fascista. Si tratta di associazioni segrete e di associazioni paramilitari:<br />

a) “si considerano ASSOCIAZIONI SEGRETE, come tali vietate dall’art. 18 della Costituzione, quelle che,<br />

anche all’interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete<br />

congiuntamente finalità e attività sociali ovvero rendendo sconosciuti, in tutto o in parte ed anche<br />

reciprocamente, i soci, svolgono attività diretta ad interferire sull’esercizio degli organi costituzionali,<br />

di amministrazioni pubbliche, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di<br />

interesse nazionale”. La legge P2 sanziona penalmente l’appartenenza ad associazioni segrete e<br />

risolve finalmente il problema di come si deve procedere allo scioglimento: ci deve essere una<br />

sentenza irrevocabile che accerti l’esistenza dell’associazione segreta cui segue un DPCM che ne<br />

ordina lo scioglimento e la confisca dei beni;<br />

b) il secondo tipo di associazioni vietate dall’art. 182 sono le ASSOCIAZIONI PARAMILITARI, ossia<br />

quelle che perseguono anche indirettamente scopi politici mediante organizzazioni di carattere<br />

militare. Due condizioni devono verificarsi perché diventi applicabile il divieto costituzionale: che<br />

l’associazione persegua uno scopo politico, di per sé lecito, e che abbia un’organizzazione, una<br />

struttura di tipo militare, anch’essa di per sé lecita. Con questa norma la Costituzione intende<br />

impedire la ricomparsa delle squadre, dei partiti militarizzati che sono in antitesi con il metodo<br />

democratico con cui deve essere determinata la politica nazionale (art. 49). L’associazione paramilitare<br />

per essere tale non necessita di essere di per sé armata, e non sono necessarie neppure<br />

azioni di violenza o minaccia, basta la struttura militare dedita a fini politici;<br />

14.5.4. La libertà religiosa e di coscienza<br />

14.5.4.1. Definizioni<br />

La LIBERTA’ DI COSCIENZA è la libertà di coltivare profonde convinzioni interiori e di agire di conseguenza.<br />

La Costituzione non regola i processi interiori ma solo le manifestazioni esteriori, quindi le azioni. Di libertà di


coscienza la Costituzione non parla esplicitamente come fa con la libertà di pensiero e di culto, ma risulta<br />

implicito tra i diritti di libertà.<br />

14.5.4.2. Strumenti di tutela<br />

La libertà di coscienza e la libertà religiosa sono tutelate attraverso un ricco strumentario:<br />

a) il divieto di discriminazione sancito dal principio di eguaglianza;<br />

b) l’eguaglianza tra le confessioni religiose, quindi non solo dei singoli ma anche delle formazioni<br />

sociali. Così “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”: eguale libertà<br />

ed eguale trattamento (art. 8 Cost.);<br />

c) la libertà di culto, garantita dall’art. 19 della Costituzione, ovvero il “diritto di professare liberamente<br />

la propria fede”;<br />

d) l’OBIEZIONE DI COSCIENZA, cioè il rifiuto da parte dell’individuo di compiere atti, prescritti<br />

dall’ordinamento, contrari alle proprie convinzioni.<br />

14.5.5. La libertà di manifestazione del pensiero<br />

14.5.5.1. Definizioni<br />

La LIBERTA’ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO consiste nella libertà di esprimere le proprie idee e di<br />

divulgarle ad un numero indeterminato di destinatari. Siccome la circolazione delle idee è il presupposto della<br />

democrazia, questa libertà (detta anche LIBERTA’ DI ESPRESSIONE) è da sempre considerata la pietra<br />

angolare del sistema democratico.<br />

Nessuna selezione può essere compiuta tra le idee quanto a scopi, contenuti o circostanze. Un passaggio<br />

specifico della Costituzione tutela la LIBERTA’ DI INSEGNAMENTO (art. 33.1).<br />

14.5.5.2. Limite del buon costume<br />

L’unico limite che l’art. 21 pone alla libertà di espressione è il BUON COSTUME, la cui definizione è variabile<br />

nel tempo come il concetto di pudore che verrebbe leso da quelle manifestazioni che oltrepassano, appunto,<br />

il buon costume.<br />

14.5.5.3. I reati d’opinione<br />

Nella legge penale vi sono alcuni reati che si realizzano attraverso l’espressione del pensiero con cui quindi<br />

l’art. 21 della Costituzione dovrebbe contrastare.<br />

La Corte costituzionale invece ha lasciato nell’ordinamento buona parte di questi reati di opinione con le<br />

seguenti motivazioni:<br />

a) pensiero e azione, ovvero la distinzione tra cose pensiero e cose è gia principio di azione.<br />

Quest’argomentazione vale per i reati come l’ISTIGAZIONE, l’APOLOGIA di delitti, la PUBBLICAZIONE<br />

DI NOTIZIE FALSE O TENDENZIOSE, dove fatta salva dall’art. 21 la libertà di pensare queste<br />

fattispecie di reati in astratto, demanda al giudice di valutare se l’espressione possa generare azioni<br />

pericolose;<br />

b) pensiero e offese, ovvero la libertà di espressione non può giungere al punto di offendere l’onore<br />

altrui. E’ il caso dell’INGIURIA e della DIFFAMAZIONE.<br />

E neppure quello di istituzioni riconosciute come possono essere lo Stato o la religione. E’ questo<br />

invece il caso del VILIPENDIO e dell’OLTRAGGIO;


14.5.5.4. Mezzi di comunicazione<br />

La libertà di espressione è garantita a tutti, e tutti possono esprimere il loro pensiero “con la parola, lo scritto<br />

e ogni altro mezzo di diffusione” (art. 21.1 Cost.). Il problema è che i mezzi di diffusione del pensiero più<br />

efficaci non sono disponibili per tutti, per ragioni di disponibilità, di organizzazione e di costi. Per questo oggi<br />

si ritiene che la libertà di pensiero comprenda anche la LIBERTA’ DI INFORMAZIONE, ovvero il diritto passivo<br />

di essere informati. Da qui nascono le leggi anti-trust che collegano la libertà di espressione, la libertà di<br />

comunicazione alla libertà di iniziativa economica.<br />

14.5.5.5. Il regime della stampa<br />

Dato il periodo storico in cui fu scritta, la Costituzione disciplina soltanto la STAMPA. Il regime della stampa è<br />

caratterizzato dal divieto di sottoporre la stampa a controlli preventivi. E’ invece ammesso il SEQUESTRO,<br />

cioè un provvedimento di ritiro successivo alla pubblicazione. Il sequestro è circondato da garanzie molto<br />

rigide:<br />

a) riserva di legge assoluta. Il sequestro è possibile in due ipotesi: 1. qualora prefiguri reati<br />

espressamente previsti dalla LEGGE SULLA STAMPA, quale per esempio l’APOLOGIA DEL FASCISMO<br />

2. nel caso di violazione delle norme di responsabilità prescritte dalla legge sulla stampa, per<br />

esempio il divieto di anonimato della stampa e l’iscrizione del direttore responsabile di ciascuna<br />

testata all’ALBO DE GIORNALISTI;<br />

b) riserva di giurisdizione, con le eccezioni previste per la libertà personale e analoghe;<br />

14.5.5.6. Il regime della radiotelevisione<br />

In assenza di regole costituzionali specifiche, è stato compito della Corte costituzionale elaborare i principi<br />

che devono ispirare la disciplina della radiotelevisione. Ed è stato su sollecitazione della giurisprudenza<br />

costituzionale che il SISTEMA RADIOTELEVISIVO è passato dal regime di monopolio pubblico al sistema<br />

misto attuale.<br />

14.6. I diritti sociali<br />

14.6.1. Definizione<br />

Per DIRITTI SOCIALI comunemente s’intendono i diritti dei cittadini a ricevere determinate prestazioni dagli<br />

apparati pubblici: sono i diritti caratteristici dello Stato sociale. Non v’è dubbio che i diritti sociali siano<br />

espressi in Costituzione come programmi la cui attuazione è rinviata all’attività successiva degli organi<br />

pubblici. Questi diritti sono ispirati ad esigenze di eguaglianza sostanziale e quindi dal principio di solidarietà<br />

espresso dagli artt. 2 e 3.2 della Costituzione.<br />

I diritti sociali non sono facilmente applicabili ipso facto, devono essere relazionati alla programmazione<br />

economica ma non sono solo spunti programmatici: sono una garanzia, poiché pur essendo comprimibili, per<br />

esempio per esigenze di bilancio, non lo sono in termini assoluti e poi, comunque, godono di una difesa<br />

giurisdizionale.<br />

14.6.2. Strumenti di tutela<br />

La Costituzione non predispone particolari strumenti di tutela per i diritti sociali: i riferimenti alla legge, alla<br />

Repubblica e allo Stato sono sostanzialmente equivalenti e stanno a significare che questi compiti gravano<br />

sulla PA, o più in generale sugli apparti pubblici. E’ attraverso la legislazione ordinaria che questi diritti<br />

vengono organizzati in prestazione e in servizi: gli strumenti di tutela di cui dispone il cittadino sono quelli<br />

comuni apprestati dall’ordinamento.


14.6.3. I servizi sociali<br />

Lo strumento con cui i diritti sociali sono resi concreti è costituito dalla rete dei SERVIZI SOCIALI. Si tratta di<br />

un complesso di servizi di cui si occupa un ramo del diritto detto legislazione sociale.<br />

I principali meccanismi attraverso cui si svolge la protezione della sicurezza sociale sono i seguenti:<br />

a) la PREVIDENZA SOCIALE. Tutela i lavoratori ed i loro familiari dai rischi derivanti dalla perdita del<br />

lavoro a causa di malattie o infortuni oppure consente di godere di una pensione al termine del<br />

periodo lavorativo. Ciò a fronte di una contribuzione obbligatoria da parte del lavoratore lungo tutto<br />

l’arco della vita lavorativa e proporzionata alla retribuzione percepita, di cui sono beneficiari alcuni<br />

enti pubblici;<br />

b) l’ASSISTENZA SANITARIA. E’ l’insieme dei servizi di prevenzione e di cura attraverso cui viene<br />

assicurato il diritto alla salute. A tal fine dal 1978 è stato istituito il SSN Servizio Sanitario Nazionale a<br />

cui ogni cittadino è obbligatoriamente iscritto. I suoi servizi sono erogati attraverso le ASL Aziende<br />

Sanitarie Locali con ambito sovracomunale e autonomia imprenditoriale. Da esse dipendono anche<br />

molti ospedali;<br />

c) l’ASSISTENZA SOCIALE. Una recente riforma ha istituito il sistema integrato di interventi e servizi<br />

sociali, alla cui realizzazione partecipano lo Stato, le Regioni e gli EELL;<br />

14.6.4. Il diritto all’istruzione<br />

L’art. 34 della Costituzione pone due principi: il principio di eguaglianza nell’accesso alla scuola e il diritto<br />

all’istruzione. L’istruzione è anche un dovere, per ciò che riguarda la scuola dell’obbligo.<br />

Ma poiché la scuola è anche d’obbligo e comunque è garantita a chiunque, anche a chi non possiede i<br />

requisiti economici per gravarsi dei costi della medesima, nascono il principio della gratuità della scuola<br />

dell’obbligo e del sistema del DIRITTO ALLO STUDIO per gli altri livelli.<br />

14.6.5. La libertà della scuola<br />

L’art. 33.1 tutela quella particolare forma di espressione del pensiero che è l’insegnamento, sia esso inteso<br />

come insegnamento scolastico che come qualsiasi altra forma di trasmissione del sapere.<br />

I commi successivi regolano la LIBERTA’ DELLA SCUOLA, imperniata sul principio del pluralismo scolastico.<br />

Accanto alla scuola pubblica, la cui istituzione è obbligatoria per lo Stato, è sancita la libertà delle scuole<br />

private che godono di libertà ideologica e sono quindi ORGANIZZAZIONI DI TENDENZA.<br />

Queste ultime scuole devono essere organizzate senza oneri per lo Stato.<br />

Con la legge 62/2000 si istituisce il SISTEMA NAZIONALE DI ISTRUZIONE.<br />

Le scuole non-statali , per rientrare a fare parte di questo sistema devono rispettare alcuni requisiti:<br />

• che l’insegnamento sia improntato ai principi di libertà della Costituzione;<br />

• che l’iscrizione sia aperta a tutti coloro che ne accettino il progetto educativo;<br />

• che le attività extra-curricolari che esigono l’adesione ad una determinata ideologia o confessione<br />

non siano obbligatorie;<br />

• che vengano istituiti organi collegiali di partecipazione democratica;<br />

• che il personale docente sia fornito del titolo di abilitazione e si applichino i contratti collettivi<br />

nazionali;


14.7. I diritti nella sfera economica<br />

14.7.1. Definizioni<br />

I diritti nella sfera economica sono quelli compresi nella Costituzione economica, cioè il Titolo terzo della<br />

prima parte. In esso vengono dettati principi in materia di lavoro (artt. 35-38,46), di organizzazione<br />

sindacale (artt. 39-40), di impresa e di proprietà (artt. 41-44).<br />

14.7.2. Libertà sindacale<br />

L’art. 39 non è stato mai applicato, salvo il primo comma che sancisce la LIBERTA’ DI ORGANIZZAZIONE<br />

SINDACALE. Essendo l’organizzazione sindacale una particolare associazione sarebbe bastata la tutela<br />

dell’art. 18 della Costituzione, la quale invece prefigura un modello sindacale quasi corporativo dove il<br />

sindacato che accetta un organizzazione democratica acquisisce personalità giuridica e stipula con lo<br />

strumento delle rappresentanze unitarie CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO con efficacia normativa.<br />

I sindacati italiani hanno sempre rifiutato quest’impostazione pur di non essere obbligati a pesare nelle<br />

rappresentanze unitarie per il numero di iscritti rispettivi e non per gli accordi politici. Ad oggi sono semplici<br />

soggetti di diritto privato.<br />

14.7.3. <strong>Diritto</strong> di sciopero<br />

Lo SCIOPERO è la sospensione collettiva temporanea delle prestazioni di lavoro rivolta alla tutela di un<br />

interesse dei lavoratori: è un diritto nel senso che chi sciopera non può subire conseguenze negative sul<br />

piano penale, civile o disciplinare (a parte la sospensione della retribuzione).<br />

Lo sciopero tutelato dall’art. 40 è solo quello dei lavoratori dipendenti, non quello politico, o dei datori di<br />

lavoro (SERRATA) o dai liberi professionisti. Comunque anche queste manifestazioni sono libere e garantite<br />

se non dall’articolo 40 dalle altre libertà riconosciute dalla prima parte della Costituzione.<br />

L’art. 40 rinvia alle leggi la regolazione e i limiti del diritto di sciopero. Ma anche questa disposizione è stata<br />

fino ad oggi disattesa ed esiste solo la disciplina del diritto di sciopero nei SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI<br />

(legge 146/90).<br />

14.7.4. La libertà di iniziativa economica<br />

L’articolo 41 sancisce la LIBERTA’ DI INIZIATIVA ECONOMICA ed è stato a lungo al centro di complessi<br />

dibattiti dottrinali poiché pone un principio di bilanciamento tra l’iniziativa economica privata e l’interesse<br />

collettivo. L’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare<br />

danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.<br />

In questo articolo, forse più che ogni altra disposizione costituzionale, sembra scorgersi l’ambiguità di un<br />

compromesso tra l’ideologia capitalista e quella socialista.<br />

Con l’espansione della CE, l’affermazione di principi come la libera circolazione dei capitali, delle merci e dei<br />

lavoratori, le regole di concorrenza, il divieto di aiuti pubblici al settore privato hanno allontanato<br />

gradualmente l’economia dalla concezione del dirigismo pubblico.<br />

Anche l’art. 43 sembra destinato all’obsolescenza. Esso consente la NAZIONALIZZAZIONE o addirittura la<br />

COLLETTIVIZZAZIONE di determinate imprese o categorie di imprese attraverso una riserva di legge<br />

rafforzata per contenuto (servizi pubblici essenziali). Sulla base di questa norma si è compiuta l’unica


nazionalizzazione repubblicana, quella delle imprese produttrici di energia elettrica cha ha dato vita all’ENEL,<br />

e sono stati per anni giustificati i monopoli pubblici nell’economia del paese.<br />

14.7.5. La proprietà privata<br />

Anche nell’art. 42 si manifesta la difficile coesistenza di due differenti ideologie sulla questione della<br />

proprietà privata e della sua funzione sociale. La riserva di legge rinvia al legislatore di trovare i punti di<br />

equilibrio tra la proprietà privata e gli interessi generali.<br />

L’art. 42 regola anche l’ESPROPRIAZIONE, “la proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e<br />

salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”. Essa è una manifestazione della prevalenza<br />

dell’interesse pubblico su quello privato. Questa tematica è oggetto del diritto amministrativo.<br />

14.7.6. Il mercato nella Costituzione<br />

Lo Stato liberale e lo Stato di democrazia pluralista storicamente sono stati accoppiati all’esistenza di<br />

un’economia di mercato. Lo Stato sociale è intervenuto correggendo e compensando il mercato, per<br />

raggiungere finalità sociali o per contrastare crisi economiche, dando luogo ad un’economia mista. In cui il<br />

ruolo dello Stato si è progressivamente esteso attraverso vari strumenti.<br />

Attraverso l’insieme di questi strumenti si è affermato almeno fino agli ’80 il DIRIGISMO ECONOMICO<br />

secondo cui lo Stato deve intervenire nell’economia orientandola e dirigendola per il conseguimento dei suoi<br />

obiettivi politici e sociali.<br />

Secondo alcuni interpreti la Costituzione economica si impernierebbe sul principio del dirigismo economico,<br />

volto a raggiungere i fini sociali prescelti dal legislatore. Seguendo questa interpretazione, la pubblicizzazione<br />

dell’economia italiana costituirebbe la coerente attuazione della Costituzione. Se questa opinione fosse<br />

fondata, il Trattato UE sarebbe in conflitto con la Costituzione. Ma non è così.<br />

14.7.7. Il mercato nel trattato CE<br />

Il Trattato CE, nell’individuare i compiti della Comunità, esordisce affermando che essi realizzano “mediante<br />

l’instaurazione di un mercato comune” (art. 2) e che l’azione della Comunità comporta la creazione di “un<br />

mercato interno caratterizzato dall’eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione<br />

delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali”.<br />

Alla creazione di un mercato unico europeo si è giunti utilizzando 3 strumenti previsti dai Trattati: 1) la<br />

libertà di circolazione delle merci, dei lavoratori, dei servizi e dei capitali; 2) il divieto degli aiuti finanziari; 3)<br />

la disciplina della concorrenza.<br />

Ma il diritto comunitario non si limita a garantire un mercato unico, basato sul principio della libertà di<br />

concorrenza, ma ha posto le premesse giuridiche per la drastica riduzione, se non proprio l’eliminazione, dei<br />

monopoli pubblici o legati a diritti di esclusiva.<br />

Il mercato unico è stato completato dalla creazione di una moneta unica (euro), nonché dalla definizione e<br />

dalla conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche gestite direttamente da<br />

istituzioni comunitarie, il Sistema europeo di banche centrali (SEBC) indipendente sia dalle istituzioni<br />

nazionali che da quelle comunitarie.<br />

La politica monetaria e la politica del cambio devono avere l’obiettivo principale di mantenere la stabilità dei<br />

prezzi e di sostenere le politiche economiche generali della Comunità conformemente al principio di<br />

un’economia di mercato ed in libera concorrenza.


14.7.8. La rilettura della Costituzione economica<br />

Benché sia opinione comune che la Costituzione economica sia stata svuotata dal Trattato europeo, è<br />

necessario ricordare che:<br />

a) la garanzia dell’iniziativa economica privata (art. 41.1) comprende il pluralismo competitivo;<br />

b) quindi la Costituzione può essere letta nel senso della tutela della concorrenza, così come il<br />

monopolio pubblico (art. 43) sia una possibilità da esercitare qualora impercorribili altre vie;<br />

c) i servizi pubblici essenziali (art. 43) sui quali la legge può creare un diritto di esclusiva devono essere<br />

intesi in senso restrittivo;<br />

d) i programmi e i controlli sull’iniziativa economica (art. 41) vanno considerati strumentali al<br />

raggiungimento di fini sociali, anche attraverso la garanzia del controllo della Corte costituzionale;<br />

Quanto alla giurisprudenza costituzionale può osservarsi che già nel 1982 la Corte ha affermato che la libertà<br />

di concorrenza “integra la libertà di iniziativa economica” che spetta nella stessa misura a tutti gli<br />

imprenditori, ed è diretta “alla protezione della collettività” in quanto l’esistenza di una pluralità di<br />

imprenditori in concorrenza tra loro giova a migliorare la qualità dei prodotti ed a contenere i costi.<br />

14.7.9. Le autorità amministrative indipendenti<br />

La tendenza a ricondurre le attività economiche ai soggetti privati ed a realizzare un mercato concorrenziale,<br />

in attuazione dei valori comunitari, sta alla base dell’istituzione delle cosiddette AUTORITA’<br />

AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI. Con questa formula si comprendono alcune istituzioni che:<br />

a) sono indipendenti rispetto al Governo ed al suo indirizzo politico;<br />

b) svolgono funzioni di controllo e di arbitraggio in certi settori economici;<br />

c) servono a garantire l’osservanza di regole generalmente riconducibili a valori comunitari, in primo<br />

luogo a quello della realizzazione di un mercato concorrenziale;<br />

Lo Stato da “imprenditore” si trasforma in “regolatore”, che in attuazione dei principi e valori comunitari fissa<br />

le regole limitatrici dell’iniziativa economica a tutela degli interessi collettivi. Pertanto i titolari di tali autorità<br />

non sono nominati dal Governo e durano in carica per un periodo predeterminato e hanno garantita una<br />

retribuzione elevata. Tali autorità, pur non appartenendo alla giurisdizione ne seguono spesso i moduli, e i<br />

loro atti sono sottoposti a controllo da parte degli organi giurisdizionali.<br />

L’Antitrust è un organo collegiale costituito dal Presidente e da 4 membri nominati con determinazione<br />

adottata d’intesa dai Presidenti di Camera e Senato. L’Autorità ha il compito di garantire il diritto di iniziativa<br />

economica, contro quei comportamenti delle imprese che producono una limitazione della concorrenza. I<br />

comportamenti vietati sono stabiliti dalla legge e rispondono alla seguente tipologia:<br />

a) intese restrittive della libertà di concorrenza;<br />

b) abuso di posizione dominante del mercato;<br />

c) operazioni di concentrazione restrittive della libertà di concorrenza;<br />

All’Autorità garante della concorrenza si aggiungono altre figure con potere regolamentare come la CONSOB.<br />

14.8. I diritti nella sfera politica<br />

Politici sono i diritti riconosciuti ai cittadini di partecipare alla vita politica e alla formazione delle decisioni<br />

pubbliche. Attraverso di essi si realizza il principio della sovranità popolare, enunciato dall’art. 1.2 della<br />

Costituzione. Questa disposizione richiama le altre norme costituzionali che fissano “forme” e “limiti”<br />

dell’esercizio della sovranità da parte del popolo: ossia i DIRITTI POLITICI elencati negli att. 48-51.<br />

La Costituzione riserva questi diritti ai soli cittadini, legando la titolarità dei diritti politici allo status di<br />

membro della collettività. I diritti politici si possono perdere, come conseguenza della perdita della capacità<br />

di agire (infermità mentale per esempio) oppure in seguito ad una condanna per gravi reati.


L’INTEDIZIONE DAI PUBBLICI UFFICI, che comprende tra l’altro la perdita dell’elettorato attivo e passivo e<br />

di ogni incarico pubblico, è una pena accessoria che accompagna le condanne più gravi. Inoltre una<br />

SOSPENSIONE DEI DIRITTI POLITICI è prevista per i falliti e i sottoposti a misure di prevenzione, a libertà<br />

vigilata o simili.<br />

14.9. I doveri costituzionali<br />

14.9.1. I doveri dei cittadini<br />

La Costituzione contiene vari riferimenti ai doveri dei cittadini, ma per lo più si tratta di principi non<br />

facilmente traducibili in regole di comportamento. Difficile è anche l’interpretazione del dovere di fedeltà alla<br />

Repubblica previsto dall’art. 54.1. Quindi i doveri costituzionali si riducono essenzialmente a due: il DOVERE<br />

DI DIFESA DELLA PATRIA (art. 52.1) e il DOVERE DI PAGARE LE TASSE (art. 53.1).


15. L’amministrazione della giustizia<br />

15.1. Giudici ordinari e giudici speciali<br />

Il sistema giudiziario italiano si caratterizza per la contestuale presenza di più giurisdizioni: sono istituiti i<br />

giudici ordinari, i giudici ordinari, i giudici amministrativi, i giudici contabili, i giudici tributari e i giudici<br />

militari. La competenza dei giudici appena richiamati è stabilita dalla legge secondo criteri differenti che<br />

tengono conto o della materia su cui la giurisdizione va esercitata o della posizione giuridica vantata dal<br />

soggetto di diritto.<br />

I GIUDICI ORDINARI amministrano la giustizia civile e penale attraverso organi giudicanti e organi<br />

requirenti. Gli ORGANI GIUDICANTI CIVILI si dividono in organi di primo grado (giudice di pace e tribunale)<br />

e di secondo grado (corte d’appello). Anche tra gli ORGANI GIUDICANTI PENALI vi sono organi di primo<br />

grado e organi di secondo grado.<br />

Gli ORGANI REQUIRENTI sono i PUBBLICI MINISTERI (PM), che esercitano l’azione penale e agiscono nel<br />

processo a cura di interessi pubblici. L’OBBLIGO DELL’AZIONE PENALE (art. 112 Costituzione) significa che il<br />

PM non può discrezionalmente avviare o non avviare la propria azione a seconda del crimine, ma è tenuto ad<br />

intraprendere la sua azione sempre e comunque in presenza di una notizia criminis.<br />

I GIUDICI AMMINISTRATIVI sono i tribunali amministrativi regionali, istituiti uno in ciascuna Regione ed<br />

eventualmente articolati in sezioni, e il Consiglio di Stato. Così al giudice ordinario spettano le controversie in<br />

materia di diritti soggettivi, al giudice amministrativo in materia di interessi legittimi.<br />

Il CONSIGLIO DI STATO assomma a sé oltre ai poteri giurisdizionali (giudice d’appello amministrativo) anche<br />

poteri consultivi.<br />

La CORTE DEI CONTI opera attraverso sezioni regionali e centrali. La Corte dei conti esercita la giurisdizione<br />

in tema di responsabilità dei pubblici amministratori qualora abbiano recato un danno economico ai soggetti<br />

pubblici dai quali dipendono.<br />

I GIUDICI TRIBUTARI esercitano la giurisdizione nelle controversie fra i cittadini e l’amministrazione<br />

finanziaria dello Stato. I GIUDICI MILITARI esercitano la giurisdizione secondo quanto stabilito dalla legge.<br />

In tempo di pace, sui reati commessi dagli appartenenti alle forze armate.<br />

15.2. Principi costituzionali in tema di giurisdizione<br />

15.2.1. Principio di precostituzione del giudice<br />

La Costituzione pone alcuni principi fondamentali in tema di giurisdizione. In primo luogo, il PRINCIPIO<br />

DELLA PRECOSTITUZIONE DEL GIUDICE (detto anche PRINCIPIO DEL GIUDICE NATURALE): “nessuno può<br />

essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge” (art. 25 Costituzione).<br />

E pure posto il divieto di istituite GIUDICI SPECIALI, cioè organi che sono formati fuori dall’ordinamento<br />

giudiziario (art. 102). Portata generale hanno le disposizioni costituzionali che vogliono che la giustizia sia<br />

amministrata in nome del popolo (art. 101), che immaginano una partecipazione popolare della stessa<br />

giurisdizione (art. 102.3), che impongono al giudice la sola soggezione alla legge (art. 101.1) stabilendo che<br />

la disciplina dell’ordinamento giudiziario sia rimessa alla competenza della legge, e che sempre la legge<br />

assicuri l’indipendenza delle giurisdizioni speciali e del PM (art. 108).


A ciò si aggiunge che secondo la Costituzione i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati e che<br />

contro le decisioni dei giudici ordinari è ammesso ricorso alla Corte di cassazione che rappresenta il più alto<br />

grado di giudizio.<br />

La CORTE DI CASSAZIONE si configura come giudice di legittimità, cioè competente a riconoscere le sole<br />

violazioni delle legge compiute dagli organi giurisdizionali di grado inferiore. La Corte di cassazione si<br />

configura come organo di chiusura del sistema giudiziario a cui le disposizioni dell’ordinamento giudiziario<br />

affidano la funzione di NOMOFILACHIA, cioè la soluzione delle questione interpretative più controverse al<br />

fine di indirizzare l’attività giurisdizionale degli organi giudicanti e requirenti.<br />

15.2.1. <strong>Diritto</strong> di difesa e giusto processo<br />

La Costituzione garantisce il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri interessi e interessi legittimi e<br />

afferma che la difesa è “un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento” (art. 24). La tutela<br />

giurisdizionale di diritti e interessi legittimi è azionabile sia nei confronti di soggetti privati che nei confronti<br />

dello Stato e di altri enti pubblici (art. 113).<br />

La garanzia del DIRITTO DI DIFESA, unitamente al principio del giudice naturale precostituito per legge<br />

dovrebbe fondare la necessità che il processo si caratterizzi:<br />

1) per il CONTRADDITORIO fra le parti, il quale esige che vi sia un confronto dialettico paritario tra le<br />

parti processuali lungo lo svolgimento di tutte le fasi;<br />

2) per la PARZIALITA’ e la TERZIARIETA’ DEL GIUDICE, la cui decisione può essere accettata dalle parti<br />

e dalla società in quanto provenga da un soggetto competente ad applicare e interpretare il diritto in<br />

modo imparziale e quindi autonomo rispetto agli opposti interessi delle parti che affrontano la<br />

contesa;<br />

Questi principi, a seguito della legge 2/1999, si trovano ora chiaramente formulati nel nuovo testo dell’art.<br />

111. Quest’ultimo richiamando alcune indicazioni contenute nel V emendamento della Costituzione<br />

americana, ha consacrato la formula del GIUSTO PROCESSO. Più precisamente, i primi due commi dell’art.<br />

111 stabiliscono che: 1) la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge; 2) ogni<br />

processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e<br />

imparziale.<br />

Il nuovo testo stabilisce altresì che la legge deve assicurare la RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO.<br />

15.3. Lo status giuridico dei magistrati ordinari<br />

15.3.1. L’accesso alla magistratura<br />

La Costituzione, in continuità con l’esperienza prerepubblicana, stabilisce che la nomina a magistrato debba<br />

avvenire per concorso (art. 106.1 Costituzione).<br />

In linea di massima, colui che aspiri a diventare un magistrato, deve superare un concorso a cui consegue la<br />

nomina ad uditore giudiziario. La carriera dei magistrati ordinari si svolge automaticamente per via degli<br />

automatismi che rendono l’avanzamento dei magistrati scontato. Questa scelta è stata giustificata sul<br />

presupposto che la Costituzione all’art. 107.3 afferma che “i magistrati si distinguono fra loro solo per<br />

diversità di funzioni”.<br />

15.3.2. Indipendenza, autonomia e inamovibilità magistratura ordinaria<br />

Le disposizioni costituzionali si soffermano sulla magistratura ordinaria proclamando l’autonomia e<br />

l’indipendenza del potere giudiziario. L’art. 104.1 afferma che “la magistratura costituisce un ordine<br />

autonomo indipendente da ogni altro potere”.


L’AUTONOMIA DELL’ORDINE GIUDIZIARIO è una garanzia destinata ad esplicare i suoi effetti all’interno<br />

dell’ordine giudiziario stesso e fa sì che ogni magistrato possa determinarsi autonomamente senza ricevere<br />

alcun condizionamento da altri magistrati appartenenti all’ordine. L’INDIPENDENZA DELL’ORDINE<br />

GIUDIZIARIO è riferita al potere giudiziario nel suo complesso, ma si tratta di una garanzia costituzionale<br />

destinata ad esplicare i suoi effetti anche in riferimento all’esercizio concreto della funzione giurisdizionale, in<br />

quanto tutela ogni magistrato da tutti quei condizionamenti che possono provenire da poteri diversi da<br />

quello giudiziario.<br />

L’art. 107.1 afferma che “i magistrati sono inamovibili”. Ciò significa che senza il loro consenso non possono<br />

essere trasferiti ad una sede diversa da quella che occupano. L’ordinamento prevede la possibilità che il<br />

magistrato possa essere trasferito ad altra sede solo con un provvedimento del Consiglio superiore della<br />

magistratura (CSM).<br />

15.3.3. Consiglio superiore della magistratura<br />

A garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura la Costituzione ha previsto il CONSIGLIO<br />

SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA (CSM). Si è voluto così evitare che il Governo utilizzasse strumenti<br />

amministrativi relativi alla carriera e allo status del magistrato per condizionarne l’autonomia. Il CSM è<br />

composto da (art. 104.2):<br />

• 3 membri di diritto: il PdR, il Presidente della Cassazione e il Procuratore Generale della Corte di<br />

Cassazione;<br />

• di membri eletti dai magistrati ordinari che devono rappresentare i 2/3 del Collegio (membri togati);<br />

• dei cosiddetti membri laici, che costituiscono il restante terzo, e che sono eletti dal Parlamento in<br />

seduta comune tra gli appartenenti alle seguenti categorie: professori universitari in materie<br />

giuridiche e avvocati che esercitino la professione da almeno 15 anni;<br />

Nel 2002 è stata approvata una riforma della composizione del CSM e delle modalità di elezione (legge<br />

44/02). Attualmente i membri togati sono sedici, i membri laici 8 per un totale di 27 membri. L’elezione dei<br />

magistrati avviene nel modo seguente:<br />

1) in un collegio unico nazionale 2 seggi per magistrati esercitanti presso la Corte di Cassazione o la<br />

Procura Generale della medesima;<br />

2) in un collegio unico nazionale 4 seggi per PM;<br />

3) in un collegio unico nazionale 10 seggi per giudici;<br />

Votano con 3 schede tutti i magistrati (tranne gli uditori) e risultano eletti i candidati con il maggior numero<br />

di voti per ciascun collegio in base ai seggi disponibili.<br />

La titolarità dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati è attribuita al ministro della giustizia. La<br />

decisione a seguito dell’avvio di un procedimento disciplinare, spetta all’apposita SEZIONE DISCIPLINARE<br />

istituita in seno al CSM e tale decisione viene poi sottoposta all’intero plenum.<br />

La RESPONSABILITA’ DISCIPLINARE opera in caso di violazione dei doveri connessi al corretto esercizio della<br />

funzione giurisdizionale e di lesione del prestigio dell’ordine. I magistrati ordinari sono sottoposti anche alla<br />

responsabilità civile e penale.<br />

Gli atti del CSM assumono la veste di decreti del PdR e sono sottoposti al sindacato del giudice<br />

amministrativo ove vengano impugnati con apposito ricorso giurisdizionale. Il Giudice competente è il Tar del<br />

Lazio e in appello il Consiglio di Stato. L’esigenza di assicurare anche l’indipendenza dei giudici speciali ha<br />

spinto il legislatore a prevedere degli organi collegiali modellati sull’esempio del CSM.<br />

15.3.4. Il Ministro della giustizia<br />

Prima della Costituzione del 1948, il ministro di grazie e giustizia aveva rilevanti poteri in materia di<br />

ordinamento giudiziario, di status, di carriera e ciò pregiudicava l’autonomia e l’indipendenza della<br />

magistratura. La Costituzione del 1948 segna una svolta fondamentale perché sposta in capo al CSM la gran<br />

parte di questi poteri. Ormai il Ministro della giustizia si limita a:


1) curare l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia (art. 110);<br />

2) promuovere l’azione disciplinare;<br />

3) partecipare al procedimento di conferimento degli UFFICI DIRETTIVI insieme al CSM sulla base di<br />

una leale collaborazione;<br />

4) esercitare poteri di sorveglianza ed attività ispettive nei confronti degli uffici giudiziari;


16. Giustizia costituzionale<br />

16.1. Che cos’è la giustizia costituzionale<br />

16.1.1. Definizioni<br />

Per GIUSTIZIA COSTITUZONALE s’intende un sistema di controllo giurisdizionale del rispetto della<br />

Costituzione. La giustizia costituzionale è la principale garanzia della rigidità della Costituzione: consente di<br />

reagire a determinate infrazioni della Costituzione rivolgendosi in determinati modi ad un determinato<br />

giudice.<br />

16.1.2. Il modello italiano<br />

Il modello italiano di giustizia costituzionale è prevalentemente orientato verso un giudizio successivo,<br />

accentrato, ad accesso indiretto. Successivo perché investe leggi già in vigore, accentrato perché è svolto da<br />

un unico organo – la Corte costituzionale – ed indiretto perché i cittadini non possono ricorrere direttamente<br />

alla Corte, ma questa può essere investita del caso solo da un giudice. Con alcune eccezioni:<br />

• esiste anche una forma di sindacato preventivo, per esempio sugli statuti regionali (prima della<br />

riforma del Titolo V del 2001 anche per tutte le leggi regionali) da parte del Governo e sui<br />

regolamenti amministrativi governativi e ministeriali da parte della Corte dei conti;<br />

• esiste anche l’istituto del sindacato diffuso sulle leggi, ma solo come strumento sussidiario in<br />

assenza della Corte costituzionale, che demanda ai giudici ordinari la soluzione delle controversie<br />

sull’applicazione delle leggi e della Costituzione;<br />

• esiste anche il giudizio in via diretta, ma come strumento riservato allo Stato, nei confronti della<br />

legge regionale, e alla Regione, nei confronti dello Stato o di un’altra Regione.<br />

16.1.3. L’estensione del principio di legalità ai conflitti “politici”<br />

Il giudizio di legittimità costituzionale delle leggi è uno strumento attraverso il quale viene estesa<br />

l’applicazione del principio di legalità anche alla funzione legislativa: non più sovrana, ma fondata,<br />

disciplinata e limitata da una previa norma della Costituzione rigida. L’art. 134 elencano le funzioni riservate<br />

alla Corte costituzionale, ne enumera le funzioni:<br />

• sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti con forza di legge,<br />

dello Stato e delle regioni nell’ambito della riserva di legge posta dalla Costituzione;<br />

• sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato;<br />

• sui conflitti di attribuzione tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni;<br />

• sulle accuse al PdR. Per quanto riguarda la responsabilità dei Ministri, con la legge costituzionale<br />

1/1989 anch’essi rispondono alla magistratura ordinaria e non più alla Corte costituzionale.<br />

• il giudizio di ammissibilità dei referendum;<br />

16.2. La Corte costituzionale<br />

16.2.1. Composizione<br />

Come raggiungere la neutralità della Corte costituzionale rispetto al dibattito politico e alle maggioranze che<br />

si formano nel Parlamento o nel paese? Questo è il problema che si pongono tutte le Costituzioni moderne.<br />

La risposta può essere:


• la neutralità è innanzitutto rispetto alla politica in genere. E’ quindi nella qualità tecnico-giuridica del<br />

loro lavoro che si fonda la legittimazione dei giudici costituzionali. È la stessa Costituzione ad<br />

indicarne i requisiti: “magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria e<br />

amministrativa, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo vent’anni<br />

di esercizio” (art. 135.2);<br />

• la neutralità deve essere assicurata anche rispetto alle parti e questa si rispecchia nelle modalità di<br />

nomina della Corte. In Germania metà sono nominati dalla Camera eletta a suffragio universale e<br />

metà dalla Camera delle Regioni (Lander), negli Stati Uniti sono nominati da Presidente con<br />

l’approvazione del Senato, espressione degli Stati membri. In Italia invece l’organizzazione Regionale<br />

non si riflette nella Corte, privilegiando l’equilibrio tra poteri dello Stato, tra maggioranza e<br />

minoranza. Il sistema di nomina della Corte costituzionale è così previsto: a) 5 dal Parlamento in<br />

seduta comune a scrutinio segreto e con la maggioranza di 2/3 dei componenti. Al 3° scrutinio la<br />

maggioranza necessaria scende ai 3/5 dei componenti; b) 5 dal PdR; c) 5 dalle supreme<br />

magistrature ordinaria e amministrativa, di cui 3 dalla Cassazione ed uno ciascuno il Consiglio di<br />

Stato e la Corte dei conti;<br />

• la neutralità è anche verso interessi sia pubblici che privati. Negli Stati Uniti la carica di giudice della<br />

Corte suprema è vitalizia, in Italia i giudici durano in carica 9 anni e il loro mandato non è<br />

rinnovabile, sono soggetti a una severo regime di incompatibilità che riguarda anche la professione e<br />

non possono svolgere attività inerente ad una associazione o partito politico.<br />

16.2.2. Status del giudice costituzionale e prerogative della Corte<br />

Ricco è il complesso di garanzie attraverso il quale la Costituzione e le leggi cercano di assicurare la<br />

neutralità della Corte costituzionale e dei suoi giudici:<br />

a) immunità e improcedibilità: “i giudici della Corte costituzionale non sono sindacabili, né possono<br />

essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni” e inoltre<br />

godono della stessa immunità personale dei parlamentari;<br />

b) inamovibilità: i giudici della Corte costituzionale non possono essere rimossi ne sospesi dal loro<br />

ufficio se non a seguito di una deliberazione della stessa Corte, presa a maggioranza dei 2/3 dei<br />

presenti, o per sopravvenuta incapacità o ancora per il mancato svolgimento delle funzioni per sei<br />

mesi;<br />

c) convalida delle nomine: spetta alla stessa Corte con delibera a maggioranza assoluta la convalida<br />

della nomina dei suoi membri;<br />

d) trattamento economico: almeno pari del massimo grado della magistratura ordinaria con la garanzia<br />

del reinserimento nell’attività professionale al termine del mandato;<br />

e) autonomia finanziaria e normativa: la Corte amministra un proprio bilancio e alcuni strumenti<br />

normativi per regolare il proprio funzionamento;<br />

f) autodichia: competenza esclusiva nel giudizio dei ricorsi in materia di impiego dei propri dipendenti;<br />

16.2.3. Funzionamento<br />

I giudici della Corte durano in carica 9 anni e il rinnovo della Corte è graduale. Il mandato ha inizio dal<br />

giuramento e non può essere prorogato oltre il periodo già detto, neanche per coprire la vacatio fino alla<br />

surroga.<br />

La Corte per funzionare richiede un quorum di 11 su 15 e le sue decisioni devono essere deliberate dai<br />

giudici presenti a tutte le udienze in cui si è svolto il giudizio. Per i soli giudizi si accusa è previsto il regime<br />

della prorogatio. Il Presidente è un giudice della Corte, eletto dalla Corte a maggioranza assoluta con<br />

scrutinio segreto. Il suo mandato è triennale e rinnovabile e a lui spetta di:<br />

• fissare il ruolo delle udienze e delle adunanze in camera di consiglio e di convocare la Corte;<br />

• designare il giudice incaricato dell’istruzione della causa e introdurla di fronte alla Corte;<br />

• designare il giudice incaricato di redigere il progetto di motivazione della decisione, che dovrà poi<br />

essere approvato dalla Corte;<br />

• presiedere il collegio giudicante e dirigerne i lavori;<br />

• votare per ultimo ed esprimere il voto decisivo in caso di parità;


Le decisioni che la Corte emana sono di due tipi: sentenze e ordinanze. La Corte giudica in via definitiva con<br />

sentenza. Tutti gli altri provvedimenti di sua competenza sono adottati con ordinanza”.<br />

16.3. Il controllo di costituzionalità delle leggi<br />

16.3.1. Atti sindacabili<br />

La Corte costituzionale giudica “sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti,<br />

aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni” (art.134.1). Questa disposizione apparentemente chiara ha<br />

posto alcuni delicati problemi interpretativi:<br />

a) innanzitutto che cosa si intenda per legge: se solo le fonti primarie o anche le leggi costituzionali. La<br />

Corte costituzionale ha chiarito che l’interpretazione corretta è quella che ricomprende nell’ambito<br />

della sua giurisdizione le fonti primarie e quelle anche gerarchicamente superiori, sia per quanto<br />

concernente VIZI FORMALI che MATERIALI;<br />

b) l’applicabilità della giurisdizione della Corte anche alle leggi approvate precedentemente all’entrate in<br />

vigore della Costituzione che ha istituito la Corte stessa. Con la sentenza 1/1956 viene stabilito che<br />

per le leggi promulgate prima dell’adozione della Costituzione repubblicana possa essere esercitata<br />

dalla Corte un giudizio solo relativamente ai vizi materiali e non formali;<br />

c) l’indicazione leggi esclude le fonti-fatto dalla giurisdizione della Corte, quindi le consuetudini e le<br />

norme comunitarie per esempio;<br />

16.3.2 Il parametro del giudizio<br />

Per PARAMETRO di giudizio s’intende il termine di confronto impiegato nel giudicare la legittimità degli atti<br />

legislativi. Il parametro è dato in primo luogo dalle disposizioni costituzionali e delle leggi costituzionali, e poi<br />

dalle fonti sub-costituzionali quali le leggi quadro o la legislazione nazionale rispetto a quella regionale.<br />

Si parla invece di PARAMETRO INTERPOSTO quando si fa riferimento alle fonti esterne all’ordinamento, che<br />

non hanno rango costituzionale, ma la cui violazione comporta implicitamente la violazione di norme<br />

costituzionali.<br />

16.3.3. Giudizio incidentale<br />

L’art. 137 della Costituzione rimanda ad una legge costituzionale la determinazione delle condizioni, delle<br />

forme, dei termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale e ad una legge ordinaria la disciplina<br />

della costituzione e del funzionamento della Corte.<br />

E’ detto GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE in quanto la questione di legittimità costituzionale sorge nel corso di<br />

un procedimento giudiziario (GIUDIZIO PRINCIPALE o A QUO), come incidente processuale che comporta la<br />

sospensione del giudizio e la remissione della questione di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale.<br />

È un giudizio successivo e concreto, perché la legge viene in rilievo al presupposti, è tenuto a sollevare la<br />

questione dinanzi alla Corte costituzionale, né le parti possono opporsi.<br />

L’art. 1 della legge cost. 1/1948 e l’art. 23 della legge 87/1953 prevedono che la QUESTIONE DI<br />

LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE debba essere sollevata “nel corso di un giudizio” e “dinanzi ad una autorità<br />

giurisdizionale”. Il giudice deve verificare la sussistenza di 2 requisiti:<br />

a) che la questione sia rilevante per la risoluzione del giudizio in corso. La RILEVANZA consiste in un<br />

legame di strumentalità, di PREGIUDIZIALITA’, tra la questione di legittimità costituzionale e il<br />

giudizio a quo;<br />

b) che non sia manifestamente infondata. La NON MANIFESTA INFONDATEZZA mira a verificare che la<br />

questione di legittimità prima facie abbia un minimo di fondamento giuridico, sussista un ragionevole<br />

dubbio;


Qualora il giudice ritenga che questi requisiti sussistano, emette un ORDINANZA DI RINVIO (o REMISSIONE)<br />

che sospende il giudizio principale e introduce il giudizio costituzionale fino alla pronuncia della Corte. Le<br />

parti in giudizio a quo possono costituirsi in giudizio con il loro avvocato, ma la loro partecipazione è<br />

puramente facoltativa: si tratta di un GIUDIZIO A PARTI EVENTUALI, nel senso che queste non incidono nel<br />

processo costituzionale. Infatti quest’ultimo ha carattere oggettivo perseguendo l’obiettivo di stabilire la<br />

legittimità costituzionale delle leggi e solo indirettamente di tutelare le situazioni giuridiche a quo.<br />

16.3.4. Il giudizio in via principale<br />

Il GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE (o d’azione) può essere proposto con ricorso da parte dello Stato contro le<br />

leggi regionali o da parte della Regione contro le leggi statali o di altre Regioni. Questo tipo di procedimento<br />

è denominato in via principale poiché la questione viene posta direttamente con una procedura ad hoc; è<br />

astratto in quanto le leggi sono impugnate a prescindere da un singolo caso di applicazione; è disponibile<br />

dato che i soggetti legittimati non sono tenuti ad instaurarlo potendo addivenire ad una soluzione di natura<br />

politica.<br />

Con la riforma del 2001 al Titolo V della Costituzione, per quanto riguardante i ricorsi, è stata mantenuta<br />

l’impostazione per cui lo Stato non è tenuto a dimostrare l’INTERESSE A RICORRERE mentre la Regione deve<br />

dimostrare l’invasione della sfera di competenza attribuita dalla Costituzione.<br />

L’atto introduttivo del giudizio in via principale è il RICORSO e deve essere deliberato entro 60 giorni dalla<br />

pubblicazione della legge ed entro 10 dalla deliberazione depositato presso la cancelleria della Corte<br />

costituzionale.<br />

16.3.5. Tipologia delle decisioni della Corte<br />

Le decisioni della Corte costituzionale possono essere suddivise in 3 grandi famiglie:<br />

a) decisioni di inammissibilità;<br />

b) decisioni di rigetto;<br />

c) decisioni di accoglimento;<br />

16.3.5.1. Decisioni di inammissibilità<br />

La Corte pronuncia l’INAMMISSIBILITA’ DELLA QUESTIONE quando manchino i presupposti per procedere<br />

ad un giudizio di merito. Ciò può accadere:<br />

a) quando manchino i requisiti soggettivi e oggettivi per la legittimazione a sollevare la questione<br />

costituzionale;<br />

b) quando sia carente l’oggetto del giudizio, ossia quando l’atto impugnato non rientra tra quelli indicati<br />

dall’art. 134. Se tale difetto è macroscopico, ovvero nel caso di MANIFESTA INAMISSIBILITA’ lo<br />

stralcio avverrà in camera di consiglio senza bisogno di un’udienza pubblica e dichiarata per mezzo<br />

di un’ordinanza;<br />

c) quando manchi il requisito di rilevanza. Se vi è una semplice carenza di motivazione, la Corte, con<br />

ordinanza, ordinerà la RESTITUZIONE DEGLI ATTI al giudice a quo, perché riconsideri la rilevanza.<br />

Altrettanto accadrà nel caso di JUS SUPERVENIENS, ovvero quando la disposizione impugnata è<br />

stata abrogata nel frattempo, poiché la Corte restituirà gli atti al giudice a quo cui spetta il giudizio<br />

se applicare la norma nuova o quella abrogata;<br />

d) quando l’ordinanza di remissione manchi di indicazioni sufficienti ed univoche per definire la<br />

questione;<br />

e) quando siano stati compiuti errori meramente procedurali;<br />

f) quando la questione sottoposta alla Corte comporti “una valutazione di natura politica” o un<br />

sindacato “sull’uso del potere discrezionale del Parlamento”, esplicitamente esclusi dal controllo della<br />

Corte;


16.3.5.2. Sentenza di rigetto (e ordinanze di manifesta infondatezza)<br />

Con la sentenza di RIGETTO la Corte dichiara non fondata la questione prospettata dall’ordinanza di<br />

remissione. La Corte non dichiara legittima la legge impugnata, ma si limita a respingere l questione<br />

sollevata dal giudice a quo. Per questa ragione la sentenza di rigetto non ha effetti erga omnes, e nessuna<br />

preclusione subiscono altri giudici e neppure lo stesso giudice in altro processo.<br />

Nel caso una questione sollevata sia già stata affrontata in precedenza dalla Corte, quest’ultima con<br />

un’ordinanza in CAMERA DI CONSIGLIO ne dichiara la MANIFESTA INFONDATEZZA.<br />

16.3.5.3. Sentenze di accoglimento<br />

Con la sentenza di ACCOGLIMENTO la Corte dichiara l’ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE della disposizione<br />

impugnata. Opera quindi erga omnes con un effetto assimilabile all’annullamento sempre mediante sentenza<br />

e non ordinanza.<br />

La sentenza ha valore costitutivo nel senso che, anche se il contrasto con la Costituzione è sorto sicuramente<br />

prima, è solo con la sentenza che esso è accertato e la legge invalidata. Tuttavia gli effetti della sentenza di<br />

accoglimento operano ex tunc, poiché questa si traduce in un ordine rivolto ai soggetti dell’applicazione di<br />

non applicare la norma illegittima per tutti i rapporti in corso e non solo per quelli futuri. Sono esclusi<br />

chiaramente i rapporti giuridici ormai chiusi o esauriti.<br />

Un rapporto è ancora PENDENTE e non ESAURITO qualora non sia ancora passato in GIUDICATO, oppure<br />

qualora l’oggetto del rapporto non sia passato in PRESCRIZIONE oppure superato i termini che ne<br />

comportano la DECANDENZA. Con l’eccezione però che una sentenza di accoglimento, anche di fronte a una<br />

sentenza irrevocabile di condanna penale, ne sospende l’esecutività e tutti gli effetti penali. Questo anche<br />

alla luce di norme più generali che impediscono di essere puniti per un fatto considerato da una legge<br />

posteriore un reato.<br />

16.3.5.4. Sentenze interpretative di rigetto<br />

Le SENTENZE INTERPRETATIVE DI RIGETTO sono le decisioni con cui la Corte dichiara infondata la<br />

questione di legittimità costituzionale, non perché il dubbio di legittimità sollevato dal giudice non si<br />

giustificato, ma perché esso si basa su una cattiva interpretazione della disposizione impugnata.<br />

La Corte costituzionale ha da sempre affermato un preciso canone d’interpretazione delle leggi: nel caso in<br />

cui la stessa disposizione possa essere interpretata in modi diversi, l’interprete deve scegliere<br />

l’INTERPRETAZIONE CONFORME A COSTITUZIONE, ossia ricavarne la norma compatibile con la costituzione.<br />

È in fondo una variante del criterio dell’INTERPRETAZIONE SISTEMATICA, per il quale alla disposizione deve<br />

essere attribuito il significato che meglio faccia il sistema con le altre norme dell’ordinamento. La Cassazione<br />

e i giudici ordinari si sono dimostrati compatti nel negare efficacia vincolante alle interpretazioni conformi alla<br />

Costituzione delle leggi con cui la Corte costituzionale motiva le sentenza interpretative di rigetto. Ciò ha<br />

indotto la Corte a farne un uso limitato e a conformarsi all’interpretazione prevalente, al così detto DIRITTO<br />

VIVENTE.<br />

16.3.5.5. Sentenze manipolative di accoglimento<br />

Le sentenze di accoglimento sono dette manipolative, interpretative od anche normative quando il loro<br />

dispositivo non si limita alla semplice dichiarazione di illegittimità della legge o delle singole sue disposizioni,<br />

ma l’illegittimità è dichiarata “nella parte in cui” la disposizione significa o non significa qualcosa, ossia per la<br />

norma che essa esprime.<br />

E’ un genus che comprende species diverse. Eccone le principali:


a) SENTENZE DI ACCOGLIMENTO PARZIALE. Con esse la Corte dichiara illegittima la disposizione per<br />

una parte solo del suo testo;<br />

b) SENTENZE ADDITIVE. Sono decisioni con cui la Corte dichiara illegittima la disposizione nella “parte<br />

in cui non” prevede ciò che invece sarebbe costituzionalmente necessario;<br />

c) SENTENZE SOSTITUTIVE. Sono le decisioni con cui la Corte dichiara l’illegittimità di una disposizione<br />

legislativa “nella parte in cui prevede X anziché Y”.<br />

16.4. I conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato<br />

16.4.1. Definizioni<br />

I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA POTERI DELLO STATO sono lo strumento con cui un potere dello Stato<br />

può agire davanti alla Corte per difendere le parole “attribuzioni costituzionali” compromesse dal<br />

comportamento di un altro potere dello Stato.<br />

Se la Costituzione rigida è un modo per regolare la maggioranza, i rapporti tra Stato e Regioni e garantire le<br />

libertà fondamentali, lo è anche per garantire la forma di governo e regolare i rapporti tra le istituzioni che<br />

compongono lo Stato. Il conflitto di attribuzioni è lo strumento predisposto dalla Costituzione per affrontare<br />

la violazione di queste regole e per trasformare in giuridici quei conflitti che senza Costituzione rigida erano<br />

politici.<br />

Il riparto dei POTERI, intesi come complesso di organi concorrenti all’esercizio della medesima funzione, non<br />

si limita ai classici 3 ma è molto più complesso e questi sono i soggetti che possono sollevare i conflitti di<br />

attribuzione. Il termine ancora più esatto per definire questo ruolo è però quello di ATTRIBUZIONE, poiché<br />

hanno un potere tutti i soggetti che costituzionalmente hanno un ruolo, ovvero un’attribuzione<br />

costituzionale.<br />

16.4.2. Oggetto del conflitto<br />

Il conflitto può sorgere sia da un atto di “usurpazione” di potere, con cui un organo svolge una attribuzione<br />

spettante all’organo di un altro “potere”, sia del comportamento di un organo che intralci il corretto esercizio<br />

delle competenze altrui.<br />

Quando entrambi i soggetti in causa rivendicano a sé l’attribuzione ad emanare un dato atto, si verifica una<br />

VINDICATIO POTESTATIS. Invece quando si ha la contestazione del modo in cui un soggetto ha esercitato<br />

attribuzioni che sono incontestabilmente sue, poiché da ciò deriva un impedimento all’esercizio delle<br />

attribuzioni spettanti al ricorrente, si hanno CONFLITTI DI MENOMAZIONE O INTERFERENZA.<br />

Il conflitto di attribuzione ha una funzione tipicamente residuale, poiché può essere attivato solo qualora non<br />

vi sia altro strumento di tutela giurisdizionale.<br />

16.4.3. Il giudizio<br />

Vi sono poteri strutturalmente costituiti da un unico organo (ORGANI-POTERE), ma vi sono anche poteri<br />

costituiti da più organi e per questi ultimi si pone il problema di chi sia legittimato a stare in giudizio. Il<br />

problema è risolto dall’art. 37.1 della legge 87/1953 per la quale il conflitto sorge “tra organi competenti a<br />

dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono”.<br />

Il giudizio viene introdotto dal ricorso presentato dalla parte che si ritiene lesa direttamente alla Corte<br />

costituzionale, senza notificazione alla controparte. Il ricorso deve contenere l’esposione sommaria delle<br />

ragioni del conflitto e l’indicazione delle norme costituzionali che regolano la materia.<br />

La particolarità di questo giudizio è che esso inizia con una decisione della Corte circa l’ammissibilità del<br />

conflitto, assunta in camera di consiglio, con una semplice DELIBERAZIONE. Se il ricorrente rinuncia al


icorso e se la rinuncia è accettata dalle altre parti, la Corte dichiara “estinto il processo”. La Corte può anche<br />

dichiarare che ritiene”cessata la materia del contendere” sulla base di atti e comportamenti delle parti e<br />

chiudere il giudizio.<br />

Un’eventuale sentenza non agisce erga omnes nei confronti di altri poteri circa l’attribuzione di quella<br />

funzione, ma agisce erga omnes qualora comporti l’annullamento di atti ritenuti in conseguenza alla<br />

sentenza illegittimi.<br />

16.5. Il giudizio<br />

I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA STATO E REGIONE sono lo strumento con cui vengono risolte le<br />

controversie che sorgono tra Stato e Regione o tra Regioni. A differenza dei conflitti di attribuzione che<br />

avvengono tra organi dello stesso ente (lo Stato), siamo di fronte in questo caso a conflitti tra enti. L’atto di<br />

qualsiasi organo dello Stato o della Regione può comportare il conflitto con la Regione o dello Stato, tranne<br />

gli atti legislativi regolati in via principale.<br />

Il conflitto è introdotto da un ricorso. Condizione di ammissibilità del ricorso è l’INTERESSE A RICORRERE: il<br />

ricorrente deve dimostrare di aver subito una lesione attuale (non potenziale) e concreta (non solo teorica)<br />

della sua competenza. Nel caso in cui l’interesse a ricorrere venga meno, la Corte dichiara “cessata la<br />

materia del contendere”.<br />

In giudizio sono legittimati a stare solo il Presidente del Consiglio dei ministri e il Presidente della Giunta<br />

regionale.<br />

16.6. Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo<br />

Il giudizio di ammissibilità è introdotto d’ufficio con l’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum che<br />

dichiara la legittimità della richiesta di referendum. La Costituzione non aveva previsto un controllo<br />

sull’ammissibilità del referendum. Esso fu introdotto dalla legge cost. 1/1953 che ha affidato alla Corte<br />

costituzionale il compito di giudicare se le richieste di referendum abrogativo presentate a norma dell’art. 75<br />

siano ammissibili ai sensi del comma secondo dell’articolo stesso, rinviando la disciplina procedurale alla<br />

legge ordinaria che regola del referendum.<br />

L’art. 75.2 pone pochi casi di esclusione del referendum. Esso non è ammesso per:<br />

• leggi tributarie;<br />

• leggi di bilancio;<br />

• leggi di amnistia e di indulto;<br />

• leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali;<br />

Ulteriori motivi di inammissibilità elaborati e impiegati dalla giurisprudenza della Corte sono i seguenti:<br />

a) sono sottratti a referendum la Costituzione e le leggi costituzionali, ma anche le leggi rinforzate<br />

come pure quelle a contenuto costituzionalmente vincolato oppure quelle la cui abrogazione<br />

pregiudicherebbe il funzionamento dello Stato in parti vitali;<br />

b) sono sottratte a referendum tutte le leggi che attengono alla manovra finanziaria e anche le leggi<br />

che servono all’esecuzione dei trattati;<br />

c) sono pure inamissibili i referendum il cui quesito non abbia una matrice razionalmente unitaria, cioè<br />

non sia omogeneo (COERENZA ED UNIVOCITA’ DEL QUESITO);<br />

16.7.1. La giustizia politica<br />

Con l’espressione GIUSTIZIA POLITICA si suole fare riferimento a quelle funzioni che la Corte costituzionale<br />

esercita quando giudica sulle accuse promosse contro il PdR, nella fattispecie di alto tradimento o attentato<br />

alla Costituzione commesse nell’esercizio delle sue funzioni (gli unici due su cui può essere chiamato a<br />

rispondere).


È messo in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri e<br />

giudicato dalla CORTE COSTITUZONALE IN COMPOSIZIONE INTEGRATA da 16 membri tratti a sorte dalla<br />

lista dei cittadini eleggibili alla carica di senatore.<br />

16.7.2. I cosiddetti reati ministeriali<br />

Prima della modifica intervenuta con la legge costituzionale 1/1989 anche i REATI MINISTERIALI rientravano<br />

nella cosiddetta giustizia politica. A seguito del referendum popolare del 1987 con cui venivano abrogate le<br />

disposizioni relative alla cosiddetta COMMISSIONE INQUIRENTE, è stato modificato l’art. 96 della<br />

Costituzione investendo la magistratura ordinaria della competenza a giudicare.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!