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Il bambino che giocava sempre - a VERARE

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IL BAMBINO CHE GIOCAVA SEMPRE 1<br />

Adriano Voltolin<br />

Quando viene portato da me Luigi ha otto anni. E’ stato indirizzato all’Istituto da un<br />

servizio sociale a causa di una situazione difficile a scuola. <strong>Il</strong> <strong>bambino</strong> ha scoppi di aggressività<br />

violenta e addirittura talvolta sono dovuti intervenire degli inservienti per trattenerlo. Un gruppo di<br />

genitori ha inviato una lettera allarmata al responsabile scolastico dicendosi preoccupato per i propri<br />

figli.<br />

<strong>Il</strong> <strong>bambino</strong> era già stato visto sia da una neuropsichiatra privata <strong>che</strong> al reparto di neuropsichiatria<br />

infantile di un centro ospedaliero. La diagnosi della neuropsichiatra era piuttosto allarmante e<br />

metteva sull’avviso di un alto rischio di rotture psicoti<strong>che</strong>. L’ospedale parlava più genericamente di<br />

disturbi del linguaggio e di tipo depressivo nella condotta quotidiana.<br />

Luigi si presenta senza eccessivo impaccio, ha un bel viso, appare leggermente sovrappeso. Quando<br />

gli chiedo se sa perché la madre lo ha portato qui mi dice di no, ma aggiunge <strong>che</strong> gli ha detto <strong>che</strong><br />

l’avrebbe portato da un “signore con i capelli bianchi”, “vecchio”. Faccio la fantasia <strong>che</strong> la madre<br />

abbia voluto rassicurare se stessa ed il <strong>bambino</strong> vedendo nell’analista una figura di uomo anziano<br />

rassicurante, un padre/nonno. Quando gli chiedo delle maestre e gli dico <strong>che</strong> la mamma mi ha detto<br />

<strong>che</strong> non va d’accordo soprattutto con una, non riesce a dire nulla e, protettivamente, si augura <strong>che</strong><br />

entrambe rimangano an<strong>che</strong> per il prossimo anno.<br />

Gli chiedo se ha piacere di disegnare, mi dice di sì e mi chiede cosa deve disegnare. Gli dico se<br />

vuole disegnare se stesso. Si rappresenta visto di fronte, a braccia allargate, la bocca è deformata a<br />

destra come in un sogghigno, le due mani appaiono diverse e la sinistra appare come raddoppiata e<br />

conta complessivamente otto dita. <strong>Il</strong> corpo è s<strong>che</strong>matico e suddiviso nettamene in due parti da una<br />

linea <strong>che</strong> potrebbe essere il bordo di un maglione lungo. I piedi appaiono divaricati, alla Charlot 2 , e<br />

sembrano due tozzi mattoni. Quando disegna poi la madre la rappresenta di lato con le braccia<br />

distese e le mani <strong>che</strong> paiono tenersi mentre le dita si incrociano. Lo s<strong>che</strong>ma del corpo è abbastanza<br />

analogo a quello del disegno precedente. Mi viene da pensare <strong>che</strong> la mamma abbia, per Luigi, una<br />

parte nascosta. Noto poi <strong>che</strong> quando la signora paga la seduta, mi allunga i soldi quasi di soppiatto,<br />

nascondendo il gesto al figlio.<br />

<strong>Il</strong> <strong>bambino</strong> ha una storia famigliare e personale piuttosto travagliata. E’ nato da un parto gemellare<br />

ed ha due fratelli, un maschio ed una femmina maggiori di svariati anni ed abbastanza problematici.<br />

La sua gemella è una bambina. <strong>Il</strong> padre, <strong>che</strong> a sua volta aveva avuto, a diciassette anni, una diagnosi<br />

di disturbo di personalità, avrebbe preferito <strong>che</strong> la gravidanza della moglie non venisse portata a<br />

termine, ma questa non aveva voluto “per motivi religiosi”. Una volta nati i gemelli, il padre<br />

avrebbe voluto dare il maschio in adozione mentre la madre sentiva <strong>che</strong> “fare” due bambini in una<br />

volta “non era da tutti”. La prima infanzia di Luigi era trascorsa senza <strong>che</strong> particolari problemi<br />

venissero evidenziati, ma già al primo anno delle elementari degli scoppi d’ira e di aggressività si<br />

erano manifestati. Gli insegnanti avevano poi messo in rilievo una difficoltà del <strong>bambino</strong> nell’uso<br />

del carattere corsivo. Un giorno, un anno più tardi, venne trovato con delle forbici in tasca, forbici<br />

<strong>che</strong> gli servivano “per difendersi”.<br />

1 Articolo pubblicato in "Costruzioni Psicoanaliti<strong>che</strong>" edita a Milano da Franco Angeli.<br />

2 L’associazione con Charlot era venuta an<strong>che</strong> a Salomon Resnik in occasione di un colloquio con un <strong>bambino</strong><br />

gravemente autistico. La divergenza nei piedi – scrive Resnik – il <strong>bambino</strong> mostra <strong>che</strong> non riesce ad integrare il<br />

principio di non contraddizione in un contesto dialettico ed armonico (Salomon Resnik L’esperienza psicotica Bollati<br />

Boringhieri, Torino 1986, pag.148).


Quando aveva cinque anni era morta la nonna materna presso la quale stava quando la mamma era<br />

al lavoro. Un mese più tardi era morto il padre <strong>che</strong>, nel frattempo, si era ammalato. Del <strong>bambino</strong><br />

aveva allora iniziato a prendersi cura con solerzia la zia materna, senza figli, <strong>che</strong> diverrà un po’ una<br />

vice-madre e <strong>che</strong> lo accompagnerà poi <strong>sempre</strong> alle sedute.<br />

Due aspetti del lavoro clinico<br />

<strong>Il</strong> <strong>bambino</strong> rimarrà in terapia per circa otto mesi a due sedute la settimana quindi per circa cinquanta<br />

sedute complessive considerando la sospensione per le vacanze di Natale. <strong>Il</strong> lavoro con Luigi sarà<br />

caratterizzato da due aspetti fondamentali <strong>che</strong> appaiono indispensabili per una valutazione del<br />

lavoro fatto.<br />

<strong>Il</strong> primo riguarda il modo di Luigi di stare in relazione con la seduta e con l’analista. <strong>Il</strong> <strong>bambino</strong>, sin<br />

dalle prime sedute, mostrava di preferire comunque il gioco con la dama. Spessissimo le sedute<br />

erano dedicate per una parte a questo gioco e per l’altra, via via più cospicua ed importante, ad una<br />

elaborazione sua personale del gioco del’oca <strong>che</strong> si trovava sull’altro lato della scatola. A dama il<br />

<strong>bambino</strong> dimostrava una capacità di attenzione e di previsione assai notevole e bastava una mia<br />

piccola disattenzione perché lui vincesse. Via via <strong>che</strong> proseguivano le sedute, la propensione di<br />

Luigi per il gioco si era fatta assoluta. Entrava nella stanza d’analisi, andava a prendere la dama <strong>che</strong><br />

era riposta su un ripiano della libreria e mi chiedeva di giocare. Solo un paio di volte si fece, dietro<br />

mia proposta, il “disegno insieme” 3 . Le parole lo stufavano presto e Luigi mostrava di apprezzare la<br />

mia disponibilità a giocare senza forzarlo a fare altro. Sottolineavo talvolta aspetti del suo modo di<br />

giocare, come la voracità nel “mangiare” le pedine ed il piacere narcisistico di “fare damone”: il<br />

<strong>bambino</strong> non pareva ascoltare le mie osservazioni, ma non ci volle molto per rendersi conto <strong>che</strong> in<br />

realtà non gli sfuggivano affatto: l’impressione <strong>che</strong> ne avevo è <strong>che</strong> le parole si manifestassero a lui<br />

come il lato visibile e scontato – si ricordi la mamma di cui di vede un lato solo – di una realtà la<br />

cui sostanza aveva un altro spessore ed un’altra natura.<br />

<strong>Il</strong> gioco non appariva affatto un evitamento dell’analista e del contatto con la seduta: come accade<br />

tra due amici <strong>che</strong> giocano frequentemente tra di loro, apriva lo spazio di comunicazione e di<br />

osservazioni apparentemente “di servizio”, ma <strong>che</strong> via via diventavano un modo di stare insieme 4 .<br />

Luigi, in tutti i mesi di lavoro, non ebbe mai scoppi d’ira, ma era chiaramente infastidito quando,<br />

dovendomi spiegare qual<strong>che</strong> cosa, ad esempio le regole di un gioco, si accorgeva di non riuscire a<br />

farlo in maniera chiara abbastanza da consentirmi di capire. Una mia domanda lo rendeva<br />

insofferente e tendeva a tagliare via rapidamente.<br />

La seconda caratteristica del lavoro fu il progressivo instaurarsi di una relazione di fiducia ed an<strong>che</strong><br />

di affetto. <strong>Il</strong> non sentirsi rimproverato, giudicato o an<strong>che</strong> solo pungolato da parte mia, lo portava ad<br />

una progressiva relazione abitabile. Un giorno attese <strong>che</strong> io aprissi la porta della stanza d’analisi<br />

appostato appena fuori, di fianco allo stipite. Era contento del piccolo s<strong>che</strong>rzo fattomi ed an<strong>che</strong> di<br />

più nel vedere <strong>che</strong> mostravo di apprezzarlo e di riderne assieme a lui. Quando la madre decise, per<br />

suoi motivi, di interrompere il lavoro terapeutico, Luigi diede a vedere di dissimulare non tanto la<br />

preoccupazione, ma piuttosto il rincrescimento di perdere un amico. Più volte mi chiese se poteva<br />

tornare a trovarmi e fu molto contento quando gli dissi <strong>che</strong> poteva venire ed an<strong>che</strong> telefonarmi se lo<br />

avesse desiderato e gli diedi, scritto su un foglietto, il mio numero dicendogli <strong>che</strong> la mamma lo<br />

3 Per la tecnica del “disegno insieme” si veda Adriano Voltolin “L’oppositività del paziente nelle prime fasi del lavoro<br />

analitico con bambini. Due casi” in Costruzione psicoanaliti<strong>che</strong> a.VII n.14/2007, pag.16 nota 7<br />

4 Un procedimento non molto diverso ci ha descritto Laura Bellisario nel trattamento di una bambina psicotica <strong>che</strong> per<br />

molti mesi entrava nella stanza e si metteva a manipolare oggetti apparentemente incurante dell’analista <strong>che</strong> l’attendeva<br />

seduta sulla moquette e <strong>che</strong> si limitava ad esserci senza tentare minimamente di entrare in contatto con lei. (Laura<br />

Bellisario “Autismo e stati di chiusura della mente” in Sergio Marsicano (a cura di) I nuovi pazienti della psicoanalisi<br />

Franco Angeli, Milano 1995, pag. 97).


aveva, ma <strong>che</strong> potevo an<strong>che</strong> darlo an<strong>che</strong> espressamente a lui. Ciò <strong>che</strong> Luigi sentiva non era lo<br />

sviluppo di una relazione di vicinanza se non in modo relativo nel senso dei numeri algebrici:<br />

avvertiva <strong>che</strong> l’analista non cercava di entrare intrusivamente nel suo modo di essere e di pensare;<br />

gli appariva buono per la semplice – ma non tautologica - ragione <strong>che</strong> non gli sembrava cattivo e<br />

minaccioso. Non gli servivano armi, come le forbici, per proteggersi. Verso la fine del sesto mese di<br />

lavoro, per la prima volta, Luigi, mentre usciva, mi salutò pronunciando il mio nome: “Ciao,<br />

Adriano” e non più solo “Ciao”. In qual<strong>che</strong> modo cominciava ad accettare la mia presenza come<br />

qual<strong>che</strong> cosa non solo di non minaccioso, ma di vivo. <strong>Il</strong> mese dopo la madre manifestò la sua<br />

intenzione di interrompere il lavoro terapeutico: la relazione tra le due cose non potè essere<br />

osservata in maniera sufficiente, ma è assai probabile <strong>che</strong> da discorsi fatti in famiglia il <strong>bambino</strong><br />

avesse colto l’intenzione della madre.<br />

<strong>Il</strong> mondo interno<br />

Durante le sedute preliminari Luigi aveva disegnato un albero con un grosso tronco ed una corona<br />

di foglie piuttosto contenuta. Nel tronco vi era un buco, collocato verso l’alto, <strong>che</strong> – dicea il<br />

<strong>bambino</strong> – era la casa di uno scoiattolo <strong>che</strong> era disegnato ai piedi dell’albero. Lo scoiattolo,<br />

raccontava Luigi, era in giro per cercare del cibo: aveva un fiammifero legato alla coda <strong>che</strong> gli<br />

serviva per accendere una candela quando doveva farsi luce. Sull’albero – era notte – vi erano dei<br />

gufi. Vi erano an<strong>che</strong> altri scoiattoli, aggiungeva il <strong>bambino</strong>, ed erano tutti alla ricerca di cibo; se<br />

questi invece non vi erano, lo scoiattolo sarebbe stato solo.<br />

DISEGNO 1<br />

Al sesto mese di analisi, nell’arco di due sedute consecutive, Luigi fece due disegni. <strong>Il</strong> primo era il<br />

“fantasma spaventabambini”.<br />

DISEGNO 2<br />

<strong>Il</strong> grande fantasma <strong>che</strong> sta alle spalle del <strong>bambino</strong> appare una figura dilatata e priva di confini,<br />

enorme e minacciosa. Gli occhi sono asimmetrici e la bocca è vagamente porcina. Da questa escono<br />

una serie di nuvole circolari <strong>che</strong> appaiono parole tanto roboanti quanto prive di senso, vuote. <strong>Il</strong><br />

<strong>bambino</strong> viene investito e mutilato da questa alluvione orale – il braccio destro è dimezzato rispetto<br />

al sinistro – ma si salva, sostiene Luigi – per mezzo del salvagente <strong>che</strong> è disegnato ai suoi piedi.<br />

L’interpretazione <strong>che</strong> diedi sottolineava il pericolo dal quale il <strong>bambino</strong> si sentiva minacciato e <strong>che</strong><br />

lo spaventava, ma an<strong>che</strong> la possibilità <strong>che</strong> egli aveva di proteggersi e salvarsi attraverso un oggetto<br />

esterno, il salvagente - <strong>che</strong> probabilmente rappresentava l’analisi - del quale era in grado di<br />

avvalersi.<br />

Alla seduta successiva il <strong>bambino</strong> disegnò un “villaggio subacqueo”.<br />

DISEGNO 3<br />

Ciò <strong>che</strong> viene rappresentato è un autobus <strong>che</strong> assomiglia in realtà ad un mezzo blindato e privo di<br />

aperture. Vi è una porta, ma appare simile alle aperture chiuse ermeticamente <strong>che</strong> vi sono nei


sommergibili. Dei pesci nuotano intorno all’autobus/villaggio <strong>che</strong> ha delle ruote con le quali si può<br />

muovere sul fondo e <strong>che</strong> lancia fiamme e gas dai tubi di scarico.<br />

Nei tre disegni Luigi rappresentava assai bene la propria situazione interna <strong>che</strong> appariva<br />

estremamente critica – a rischio di rotture psicoti<strong>che</strong>, come aveva diagnosticato la neuropsichiatra –<br />

perché vi era una parte del <strong>bambino</strong> <strong>che</strong> si protegge va dalle aggressioni di potenti nemici esterni – i<br />

gufi, la notte, il buio – mettendosi dentro un solido riparo: l’interno del fusto dell’albero,<br />

l’autobus/sommergibile. E’ bene in evidenza nei disegni an<strong>che</strong> la parte capace di Luigi: non<br />

mancano il coraggio di uscire dalla tana alla ragionevole ricerca di cibo e comunque i rifugi non<br />

sono totalmente chiusi all’esterno. <strong>Il</strong> guscio protettivo è an<strong>che</strong> provvisto di meccanismi interni di<br />

sicurezza simili a quelli delle pentole a pressione: se l’angoscia diviene troppo minacciosa, essa può<br />

venire espulsa analmente di modo <strong>che</strong> le condizioni di vivibilità all’interno del rifugio tornino ad<br />

essere accettabili. Lo scarico anale della tensione era ben mostrato da Luigi in seduta quando<br />

mostrava di innervosirsi sbuffando in presenza di quel <strong>che</strong> avvertiva come una mia richiesta di<br />

maggiore precisione nello spiegarmi qualcosa. In una seduta aveva voluto giocare a scacchi, ma non<br />

conosceva a sufficienza an<strong>che</strong> quelle regole elementari <strong>che</strong> consentono di muovere correttamente i<br />

pezzi. Si era molto irritato quando avevo sottolineato il fatto e si era poi rasserenato, dopo aver<br />

sbuffato ed avermi accusato di non sapere e di non capire niente, quando aveva visto <strong>che</strong> non<br />

insistevo oltre. La mia non insistenza era stata allora subito ricambiata da lui a suo modo: dopo<br />

avermi ribadito, nella seduta successiva, <strong>che</strong> suo fratello aveva detto <strong>che</strong> aveva ragione lui, non<br />

andò più a prendere il gioco degli scacchi.<br />

Durante tutti i mesi di lavoro avevo potuto entrare in relazione con lui perché, in qual<strong>che</strong> modo,<br />

avevo la funzione di un buon oggetto esterno <strong>che</strong> garantisce la possibilità di tornare a rifugiarsi<br />

dentro alla struttura patologica narcisistica. Gli scoppi d’ira irrefrenabile a scuola mostravano <strong>che</strong>,<br />

quando la relazione con un oggetto esterno protettivo veniva impedita, ci si doveva alleare con il<br />

tiranno interno <strong>che</strong> consentiva di annullare il dolore attraverso la collusione con la parte<br />

onnipotente di sé 5 .<br />

Un rifugio sicuro<br />

L’autobus/sommergibile e la tana nell’albero rappresentano dei modi parziali e provvisori di stare in<br />

relazione con il mondo. Le case-grotte di Matera sono un esempio, al livello di una psicologia<br />

sociale psicoanalitica, di un rapporto di diffidenza verso un mondo ed una natura esterni troppo più<br />

potenti di colui <strong>che</strong> vi si rifugia e sostanzialmente ostili (i gufi nel commento di Luigi al proprio<br />

disegno). La casa-grotta è un posto buono per proteggersi e dal quale si può uscire, come lo<br />

scoiattolo, per procurarsi, guardinghi, del cibo. La relazione con il mondo esterno può essere<br />

mantenuta al solo scopo di sopravvivenza, per proteggersi in realtà dal rischio di catastrofe<br />

psicotica. Ciò <strong>che</strong> è all’esterno della tana potrebbe allagare quest’ultima – l’autobus/sommergibile –<br />

è completamente sottacqua – e distruggere la forma di sopravvivenza, patologica, <strong>che</strong> in qual<strong>che</strong><br />

modo questa assicura.<br />

La chiusura totale del rifugio e la conseguente separazione radicale dal mondo circostante ci riporta<br />

all’esempio attraverso il quale Freud ci illustra l’essenza della psicosi autistica. In Precisazioni sui<br />

due principi dell’accadere psichico egli afferma difatti <strong>che</strong>, al fine di conservare il principio di<br />

piacere senza sottoporlo a quello di realtà, è necessario il completo svincolamento psichico dai<br />

genitori: L’analogia <strong>che</strong> Freud impiega per illustrare questo stato mentale è quella di un uccellino<br />

rinchiuso nel guscio con la sua provvista di alimenti, e per il quale la cura materna si limita alla<br />

5 Si veda al proposito Donald Meltzer “Terrore, persecuzione, paura: disamina delle angosce paranoidi” in Elizabeth<br />

Bott Spillius (a cura di) Melanie Klein e il suo impatto sulla psicoanalisi oggi vol. I, Astrolabio Roma 1995, pag.255


produzione di calore 6 . La situazione mentale di Luigi appare quantitativamente diversa da quella<br />

illustrata da Freud, ma strutturalmente – e lo vedremo più avanti quando sarà più chiara la<br />

complessissima procedura attraverso la quale poteva ammettere <strong>che</strong> qual<strong>che</strong> cosa entrasse dentro di<br />

lui – non appare dissimile. L’unico modo di proteggersi dalla distruttività di un mondo esterno<br />

ostile è quello di ridurne l’impatto al minimo indispensabile; tendenzialmente a zero.<br />

John Steiner è forse l’autore <strong>che</strong> si è occupato in modo più sistematico di quelli <strong>che</strong> ha felicemente<br />

chiamato psichic retreat e <strong>che</strong> definisce come un luogo in cui stare relativamente tranquillo,<br />

protetto contro le tensioni, nei periodi in cui ogni contatto con l’analista è vissuto come una<br />

minaccia 7 . Nel breve periodo nel quale Luigi rimase in trattamento fu solo possibile raggiungere, da<br />

parte sua, una sufficiente fiducia in un analista non minaccioso, ma non si ebbe, ovviamente, modo<br />

di affrontare la questione transferale maggiormente complessa di una relazione negoziale. <strong>Il</strong> suo<br />

modo di rapportarsi all’analista fu del tipo a suo tempo descritto da Clifford M. Scott come quello<br />

di un <strong>bambino</strong> <strong>che</strong> col gioco poteva mostrare un contenuto molto più complicato di quello <strong>che</strong><br />

avrebbe potuto esprimere a parole 8 . Luigi, contrariamente al <strong>bambino</strong> descritto da Scott, parlava,<br />

ma la sua interazione verbale era abbastanza stereotipata: mi ricordava i madonnari, quei<br />

disegnatori da strada <strong>che</strong> dipingono meravigliose madonne sui marciapiedi, ma dei quali si dice <strong>che</strong><br />

in realtà non sappiano affatto dipingere o disegnare e <strong>che</strong> siano in grado concretamente di<br />

riprodurre in modo perfetto quell’unico disegno: soggetti cioè <strong>che</strong> funzionerebbero solamente per<br />

identificazioni parziali scisse. Steiner vede in coloro <strong>che</strong> utilizzano dei rifugi mentali siffatti il<br />

dispiegarsi di strutture difensive <strong>che</strong>, incapaci di sopportare l’angoscia causata dall’avvicinarsi alla<br />

posizione depressiva, si rifugiano in quelle <strong>che</strong> Rosenfeld ha chiamato relazioni oggettuali<br />

narcisisti<strong>che</strong> 9 . <strong>Il</strong> rifugio della mente, <strong>sempre</strong> secondo Steiner, è un luogo <strong>che</strong> da sensazioni<br />

claustrofobi<strong>che</strong> se vi si è rinchiusi dentro, ma il cui abbandono comporta crisi d’angoscia<br />

insostenibili 10 . Un sogno di un paziente di Betty Joseph illustra assai bene questo stato mentale: il<br />

paziente sogna di trovarsi in una specie di lungo anfratto, quasi una caverna dove vi erano dei<br />

briganti <strong>che</strong> avevano preso prigioniero lui ed altri 11 .<br />

Molto felicemente Rey ha definito, riprendendo il concetto di Winnicott di oggetto transizionale,<br />

spazio marsupiale quello spazio di non separazione completa dalla madre <strong>che</strong> dovrebbe preludere<br />

ad una completa autonomizzazione 12 . Luigi mostrava, nei suoi disegni, come una madre interna<br />

solamente in parte conosciuta e sentita come propensa ad emettere suoni/pensieri vuoti, ma non<br />

abitabili – si pensi ai disegni – non consenta di allontanarsi serenamente, ma nemmeno di esserle<br />

interni in maniera non angosciosa. Hanna Segal ha fatto la supposizione <strong>che</strong> pazienti <strong>che</strong><br />

costruiscono un sistema difensivo di tipo fantastico abbiano subito in età infantile una catastrofe a<br />

causa della quale l’Io sia stato inondato da impulsi distruttivi ed autodistruttivi 13 . <strong>Il</strong> disegno<br />

dell’autobus sottacqua pare rappresentare esattamente la situazione descritta nel lavoro della Segal.<br />

Meltzer, nella sua revisione della propria teoria precedente sull’autismo, coglie qual<strong>che</strong> cosa <strong>che</strong> il<br />

lavoro svolto con Luigi pare avallare. La sua idea, sostenuta dalla teoria di Bion di<br />

contenuto/contenitore, è <strong>che</strong> nella relazione madre/<strong>bambino</strong> 14 :<br />

6<br />

Sigmund Freud Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico in OSF vol. VI, Boringhieri, Torino 1974,<br />

pag.454-455 nota 4<br />

7<br />

John Steiner I rifugi della mente Bollati Boringhieri, Torino 1996, pag.17<br />

8<br />

Clifford M. Scott “Concetto psicoanalitico dell’origine della depressone” in Melanie Klein, Paula Heimann, Roger<br />

Money- Kyrle Nuove vie della psicoanalisi <strong>Il</strong> Saggiatore, Milano 1966, pag.83<br />

9<br />

Herbert Rosenfeld Comunicazione e interpretazione Bollati Boringhieri, Torino 1989<br />

10<br />

John Steiner op. cit., pag.78<br />

11<br />

Betty Joseph “Drogarsi di quasi-morte” in Melanie Klein e il suo impatto sulla psicoanalisi oggi op. cit., pag.333<br />

12<br />

J. H. Rey Liberté et processus de pensée psychotique cit. in . Steiner op. cit., pag.77<br />

13<br />

Hanna Segal “<strong>Il</strong> sistema delusorio come difesa contro il riemergere di una situazione catastrofica” in Costruzioni<br />

psicoanaliti<strong>che</strong> n.19/2010, pag.46<br />

14<br />

Donald Meltzer Studi di metapsicologia allargata. Applicazioni clini<strong>che</strong> del pensiero di Bion Cortina, Milano 1987,<br />

pag.138


Una volta trovato questo oggetto-contenitore ricettivo <strong>che</strong> gli consente di resistere all’impulso di sfuggire al dolore delle<br />

sue esperienze mentali rovesciando la funzione alfa, il neonato è assalito da tre problemi: 1) l’oggetto non è <strong>sempre</strong><br />

presente quando ne ha bisogno; 2) qual<strong>che</strong> volta l’oggetto non riesce a svolgere la sua funzione in modo soddisfacente;<br />

3) la sua bellezza è allo stesso tempo emozionante e angosciante. La tendenza naturale del neonato (derivata da livelli<br />

primitivi di tropismo unidimensionale) è quella di scindere l’oggetto in buono e cattivo, ma ciò scinde an<strong>che</strong> lui steso in<br />

parti <strong>che</strong> sono attratte da quegli oggetti e con essi si identificano sia quando sono internalizzati (identificazione<br />

introiettiva), sia quando sono penetrati (identificazione proiettiva), sia quando ambedue le operazioni avvengono<br />

contemporaneamente.<br />

La protezione <strong>che</strong> la psicosi autistica può dare rispetto alla sofferenza imposta dal funzionamento<br />

della funzione alfa non è necessariamente <strong>sempre</strong> assoluta, ma si può articolare in maniera diversa e<br />

con gradazioni diverse in funzione della risposta soggettiva del neonato alla funzione del<br />

contenitore ed alle difficoltà <strong>che</strong> al neonato si presentano proprio in relazione allo svilupparsi di<br />

questa funzione. <strong>Il</strong> risultato <strong>che</strong> Meltzer ne trae è <strong>che</strong> nel quadro delle psicosi infantili è necessario<br />

distinguere quel <strong>che</strong> dieci anni prima aveva definito autismo infantile precoce: a parte i casi di<br />

autismo vero e proprio, Meltzer distingue le psicosi geografi<strong>che</strong> confusionali, gli insuccessi primari<br />

di sviluppo mentale e gli insuccessi dell’adattamento mentale postnatale 15 . La differenza più<br />

sostanziale <strong>che</strong> Meltzer nota rispetto alla formulazione precedente è <strong>che</strong> questi stati non sono<br />

determinati dall’assenza materna, bensì dalla sua presenza 16 <strong>che</strong> pone al <strong>bambino</strong> le questioni prima<br />

esposte. Contrariamente all’idea di Bettelheim di una fortezza vuota 17 , Meltzer è qui più vicino<br />

all’idea di Lacan <strong>che</strong> il <strong>bambino</strong> autistico non stia rinchiuso in una fortezza <strong>che</strong> è vuota in quanto lo<br />

isola dai tormenti del mondo, ma in una grotta entro la quale la mafia (nell’accezione molto<br />

interessante, an<strong>che</strong> sul piano di una psicologia sociale psicoanalitica, <strong>che</strong> ne da Rosenfeld),<br />

sottomettendolo, lo protegge dal troppo di angoscia <strong>che</strong> gli verrebbe dal mondo esterno 18 .<br />

<strong>Il</strong> piccolo Luigi, come tutti i pazienti riportati in letteratura <strong>che</strong> soffrono di una patologia borderline<br />

del tipo rifugio della mente, non era rinchiuso in un oggetto unisensuale e la relazione sensoriale<br />

con il mondo appariva conservata in maniera sufficiente (an<strong>che</strong> se, in occasione di un disturbo<br />

provocato da un intervento odontoiatrico, la noncuranza del <strong>bambino</strong> appariva eccessiva e, quindi,<br />

non del tutto chiara), ma il richiamo di un rifugio interno entro il quale proteggersi appariva così<br />

forte da far temere una definitiva richiusura entro la quale allora an<strong>che</strong> la relazione sensoriale<br />

avrebbe potuto essere perduta. In alcuni casi in verità può avvenire an<strong>che</strong> una perdita della relazione<br />

sensoriale a fronte della conservazione di una pseudocapacità di scambi, sia pure stereotipati, con<br />

l’ambiente circostante. Luigi, come scrive Meltzer a proposito del fallimento dell’adattamento<br />

postnatale, sembrava, se incalzato da richieste <strong>che</strong> gli apparivano insopportabili, essere stato<br />

strappato dal paradiso terrestre, il quale non è un giardino di piaceri, ma piuttosto di assenza di<br />

dolore. Essi [i bambini in questo stato mentale A.V.] sono insensibili alla bellezza del mondo<br />

esterno, vivono le sue sensazioni solo come un bombardamento, lo respingono e desiderano solo di<br />

sentirsi nuovamente rinchiusi, di sentirsi bagnati, inerti, protetti contro la forza di gravità 19 .<br />

L’organizzazione criminale e la funzione alfa negativa<br />

Durante una seduta Luigi volle descrivermi la nuova casa <strong>che</strong> avrebbe dovuto andare ad abitare<br />

assieme alla sua famiglia comprendendo in questa an<strong>che</strong> la zia ed altri personaggi non meglio<br />

definiti. <strong>Il</strong> <strong>bambino</strong> non riusciva apparentemente a spiegare con chiarezza come era fatta questa<br />

casa, chi l’avrebbe abitata, la disposizione dei locali e così via. Tentò an<strong>che</strong> di disegnarla, ma la<br />

confusione espositiva trovava una perfetta corrispondenza nel disegno. In realtà tutto ciò <strong>che</strong><br />

15 Idem, pag.136<br />

16 Idem, pag.139<br />

17 Bruno Bettelheim La fortezza vuota Garzanti, Milano1987<br />

18 Si veda al proposito Antonio Di Ciaccia “<strong>Il</strong> <strong>bambino</strong> autistico e l’Altro” in Isabella Ramaioli, Domenico Cosenza,<br />

Pietro Bossola (a cura di) Jacques Lacan e la clinica contemporanea Franco Angeli, Milano 2003<br />

19 Donald Meltzer Studi di metapsicologia allargata op.cit., pag.140


apparteneva alla sua famiglia interna appariva come una realtà confusa: in un disegno rappresentò<br />

montagne, fiori, spiagge tutti all’interno delle mura merlate di un castello; in basso a sinistra vi era<br />

una freccia <strong>che</strong> indicava una grossa bomba 20 . La confusione – <strong>che</strong> appariva regolarmente in<br />

spiegazioni e disegni – non era affatto da attribuire a ritardi di ordine linguistico (in verità il<br />

<strong>bambino</strong> parlava abbastanza correttamente), ma alla rappresentazione di una situazione interna dove<br />

l’indistinzione promiscua appariva come una struttura difensiva. Se veniva forzato ad essere più<br />

chiaro Luigi immediatamente si innervosiva.<br />

Steiner sostiene <strong>che</strong> l’organizzazione “contiene” l’angoscia offrendosi come un protettore, e lo fa<br />

secondo modalità perverse 21 . L’organizzazione <strong>che</strong> protegge, è evidente in Luigi ed è chiaramente<br />

esposto da Steiner, lo fa erigendo una barriera contro esigenze di chiarezza e distinzione (funzione<br />

alfa) e spingendo anzi in senso opposto verso l’indistinzione magmatica (viene messa in atto cioè<br />

una funzione alfa negativa). <strong>Il</strong> carattere di perversione non è dato qui, come comunemente inteso,<br />

dalla fissazione a stadi dello sviluppo psicosessuale di tipo pregenitale, ma dall’impiego di<br />

sentimenti il cui sviluppo non è di tipo evolutivo, bensì regressivo. Steiner, diversamente da<br />

Money-Kyrle secondo il quale il perverso si differenzia del nevrotico in quanto la sua sessualità<br />

viene espressa largamente nella sua forma originaria pregenitale 22 , pare più in accordo con la<br />

Chasseguet Smirgel secondo la quale nel perverso si assiste alla riconduzione all’indifferenziato ed<br />

al magmatico, a qual<strong>che</strong> cosa quindi <strong>che</strong> assomiglia al progressivo disfacimento dei cibi nella loro<br />

singolarità e differenziazione nel processo digestivo e intestinale e nella loro trasformazione in<br />

materia fecale: vi è in sostanza una riconduzione, da parte del perverso, all’indifferenziato ed al<br />

magmatico 23 . L’essenza della perversione, come aveva mostrato Freud nel lavoro sul feticismo, è<br />

quella di porre una falsa verità <strong>che</strong> ponga al riparo dall’insostenibilità di quella autentica 24 . Essa<br />

appare da un punto di vista bioniano come l’effetto di un’inversione della funzione del pensiero. Ce<br />

ne da un’importante testimonianza lo scrittore ungherese Imre Kertész il quale, deportato nei lager<br />

nazisti, testimonia di aver sentito, nei momenti più disperati, l’essere confinato in uno spazio<br />

ristrettissimo insieme agli altri prigionieri malati, in una confusione di braccia, gambe e teste, come<br />

una paradossale protezione contro l’orrore della disciplina del campo di concentramento 25 .<br />

L’indistinzione fecale o il mucchio di malati di Kertész, al pari della confusa casa di Luigi, ci<br />

mostrano come la difesa contro l’angoscia <strong>che</strong> può provenire dal confronto con la posizione<br />

depressiva appare come un funzionamento organizzato nel quale il male costituito<br />

dall’organizzazione – la segregazione, la prigionia, lo sfruttamento esposti nel sogno del paziente<br />

della Joseph – appare comunque preferibile a quello <strong>che</strong> dovrebbe essere affrontato se lo sviluppo<br />

mentale promosso dalla funzione alfa proseguisse. Come si è detto in precedenza, Rosenfeld, sulla<br />

scorta del sogno di un suo paziente <strong>che</strong>, progredendo nell’analisi, teme di dover affrontare<br />

l’angoscia depressiva, propone l’idea di una banda criminale di tipo mafioso interna <strong>che</strong> protegge<br />

dalla realtà più complessa 26 . <strong>Il</strong> gruppo criminale mafioso, <strong>che</strong> nel lessico interno si chiama non a<br />

caso famiglia, come ha benissimo mostrato Saviano 27 nel suo notissimo libro sulle organizzazioni<br />

criminali camorristi<strong>che</strong>, ha una capacità di protezione dei suoi membri e delle loro famiglie, an<strong>che</strong><br />

quando questi sono carcerati a causa dell’attività criminale promossa dall’organizzazione, <strong>che</strong> il<br />

miglior welfare invidierebbe. La condizione per essere protetti è quella di servire gli scopi<br />

dell’organizzazione criminale; ciò <strong>che</strong> non si può fare è tradire il pactum sceleris. Se ciò avvenisse,<br />

20 An<strong>che</strong> una paziente di Salomon Resnik descrive il proprio spazio interno come una fortezza circolare, un antico<br />

torrione medioevale <strong>che</strong> ha la funzione di far sentire la paziente isolata dal mondo,,,più sicura (Salomon Resnik, op.cit.,<br />

pag. 149<br />

21 John Steiner I rifugi della mente op. cit., pag. 26<br />

22 Roger Mney-Kyrle Scritti 1927-1977 Bollati Boringhieri, Torino 2002, pag.65<br />

23 Janine Chasseguet Smirgel Creatività e perversione Cortina, Milano 1987<br />

24 Sigmund Freud Feticismo OSF vol.X, Boringhieri, Torino 1978<br />

25 Imre Kertész Essere senza destino Feltrinelli, Milano 2004<br />

26 Herbert Rosenfeld “Un approccio clinico alla teoria degli istinti di vita e di morte” in Elizabeth Bott Spillius (a cura<br />

di) Melanie Klein e il suo impatto sulla psicoanalisi oggi op. cit., pag.267<br />

27 Roberto Saviano Gomorra Mondadori, Milano 2006


come nel sogno del paziente di Rosenfeld, si verrebbe atrocemente puniti dalla stessa<br />

organizzazione in quanto, per i suoi canoni, si diverrebbe un infame.<br />

Questioni di transfert<br />

In questo quadro è evidente <strong>che</strong> la posizione dell’analista appare come quella di un pericoloso<br />

agente del mondo esterno – si pensi, per rimanere nel quadro dell’analogia con la mafia, al rapporto<br />

complesso di un pentito importante come Tommaso Buscetta rispetto al giudice Falcone – <strong>che</strong> di<br />

fatto minaccia il paziente proponendogli di passare dall’altra parte della barricata.<br />

Ho già detto come per tutto il corso del lavoro con Luigi dovetti <strong>sempre</strong> evitare l’interpretazione<br />

<strong>che</strong>, an<strong>che</strong> se superficiale, veniva avvertita con un moto di fastidio e di rifiuto. La mia attenzione a<br />

non essere né sollecitante né, tantomeno, invadente, ebbe gradatamente una risposta positiva<br />

giacché Luigi cominciò lentamente a fidarsi del fatto <strong>che</strong> l’analista e la stanza d’analisi non<br />

costituivano una minaccia e <strong>che</strong> lui veniva rispettato per quello <strong>che</strong> era senza venire forzato a<br />

comportarsi differentemente. Dopo qual<strong>che</strong> mese mostrava molta soddisfazione nel venire, una<br />

volta mi propose una serie di indovinelli <strong>che</strong> aveva trovato in un giornalino per bambini, rideva<br />

divertito quando io non indovinavo e si congratulava quando invece ci riuscivo. Mi mostrava la sua<br />

solidarietà dicendomi <strong>che</strong> an<strong>che</strong> lui, come me, non era riuscito ad indovinarne taluni. Coglie<br />

sicuramente un aspetto importante Antonio Di Ciaccia quando sostiene <strong>che</strong> prima di parlare di<br />

terapia, di analisi o di altro, è necessario un incontro. Un incontro…con una presenza “viva” 28 con<br />

pazienti di questo tipo. Quello <strong>che</strong> l’analista lacaniano chiama presenza viva è la figura di un<br />

analista <strong>che</strong>, secondo Steiner, privilegia la necessità del paziente di farsi comprendere piuttosto <strong>che</strong><br />

quella di comprendere. L’analista inglese propone quindi, nell’ambito del transfert di privilegiare<br />

rispetto alle interpretazioni centrate sul paziente quelle centrate sull’analista 29 : le prime sono<br />

quelle <strong>che</strong> tendono a chiarire al paziente ciò <strong>che</strong> lui pensa o fantastica, mentre le seconde<br />

privilegiano i timori del paziente riguardo all’analista e la sua rappresentazione inter na di<br />

quest’ultimo. Luigi mostrava di apprezzare i miei tentativi di proporgli in forma paradossale e<br />

s<strong>che</strong>rzosa l’immagine <strong>che</strong> lui si faceva di me o di se stesso all’interno della relazione di transfert. Fu<br />

molto contento quando un giorno – lui era un po’ in ritardo a causa del treno – mi aveva visto dietro<br />

il vetro della finestra e mi aveva salutato con il braccio con contentezza: io avevo ricambiato il suo<br />

saluto e gli avevo detto <strong>che</strong> era stato contento di vedermi mentre lo attendevo. Un’altra volta era<br />

arrivato sudato ed assetato perché aveva fatto una partita a pallacanestro prima di venire in seduta:<br />

rilevai la cosa dicendogli <strong>che</strong> l’orario della seduta lo aveva costretto ad una corsa e si sentiva quindi<br />

un po’affannato.<br />

L’opportunità di non interpretare sollecitando una pulsione epistemofilica peraltro scarsa o<br />

scarsamente sviluppata, è condivisa dalla comunità analitica. Oltre a Steiner e Di Ciaccia, an<strong>che</strong><br />

Betty Joseph sottolinea come l’interpretazione precoce pone il paziente di fronte alla constatazione<br />

<strong>che</strong> l’analista possiede delle capacità di mettersi in contatto con alcune parti di sé <strong>che</strong> lui invece non<br />

ha 30 .<br />

Talvolta il ripetersi nelle sedute del consueto gioco mi dava la sensazione di un’analisi <strong>che</strong> non<br />

stesse procedendo e della necessità di fare qual<strong>che</strong> cosa <strong>che</strong> favorisse un’uscita da quella <strong>che</strong> veniva<br />

sentita come un’impasse. Sentimenti di frustrazione e di impotenza possono facilmente essere<br />

riscontrati con pazienti di questo tipo; in effetti si potrebbe pensare <strong>che</strong> in questi momenti l’analista<br />

è messo nelle condizioni mentali abituali per il paziente <strong>che</strong> si sente di fronte a qualcuno <strong>che</strong> non è<br />

penetrabile dalla identificazione proiettiva. Tali sentimenti potrebbero portare alternativamente o a<br />

colludere con la parte malata portando avanti indefinitamente un’analisi/caverna nella quale il<br />

paziente si sente sicuro da minacce provenienti dall’analista, ma senza <strong>che</strong> si verifichi progresso<br />

28 Antonio Di Ciaccia op. cit., pag.57<br />

29 John Steiner, op. cit., pag. 169<br />

30 Betty Joseph Equilibrio e cambiamento psichico Cortina, Milano 1991, pag.99


alcuno, oppure a provocare nel paziente una reazione difensiva energica entro la quale l’analista<br />

sarebbe vissuto come il rappresentante del mondo esterno minaccioso <strong>che</strong> deve e può essere tenuto<br />

a bada attraverso il ricorso alle risorse dell’organizzazione criminale interna. Di queste alternative ci<br />

danno un resoconto Edna O’Shaughnessy e lo stesso Steiner. Scrive la prima 31 :<br />

Lavorai molto su questa situazione transferale ripetitiva e, in senso lato, immutabile. Ci furono delle sedute in cui il<br />

signor M mi portò quasi alla disperazione. La mia disperazione nasceva dalla preoccupazione per l’immobilità<br />

dell’analisi: mi chiedevo se fosse il caso di andare avanti. Ma si trattava an<strong>che</strong> della disperazione del paziente proiettata<br />

dentro di me, <strong>che</strong> analizzai: egli si sarebbe aggrappato all’analisi e l’avrebbe posseduta (non parlava più di andarsene),<br />

l’avrebbe usata perfidamente per accrescere la sua onnipotenza e il suo narcisismo, senza mai però permetterle di<br />

muoversi e di diventare viva, con la conseguenza <strong>che</strong> an<strong>che</strong> lui non si sarebbe mai sentito vivo.<br />

Steiner invece coglie nella reazione di una paziente alla quale aveva interpretato il suo aver<br />

dapprima perduto l’assegno nella borsetta e l’averlo poi compilato in modo incompleto come un<br />

sentimento ambivalente nei suoi confronti, il fatto di aver favorito la lotta narcisistica della paziente<br />

contro la sua parte maggiormente propensa ad un’alleanza terapeutica. Vediamo quindi – dice<br />

Steiner – come io divenissi parte dell’organizzazione patologica e svolgessi un ruolo essenziale nel<br />

mantenerla 32 .<br />

<strong>Il</strong> lungo gioco<br />

Dopo i primi due o tre mesi di sedute, gradatamente Luigi aveva cominciato ad orientarsi su un<br />

gioco <strong>che</strong> di fatto prendeva in maggiore considerazione la relazione tra di noi rispetto a quanto<br />

avviene comunemente nelle partite a dama. L’elaborazione definitiva delle regole del gioco richiese<br />

alcune settimane giacché il <strong>bambino</strong> le perfezionava gradatamente. Era, di fatto, un progetto di<br />

relazione <strong>che</strong> via via gli si faceva più chiaro. Nella sua formulazione finale il gioco consisteva in<br />

questo. Si lanciava un dado e si avanzava, nel gioco dell’oca, di tante caselle quante ne indicava il<br />

dado lanciato; quando si arrivava al traguardo bisognava arrivarci in modo preciso: se, per esempio,<br />

mancavano tre caselle all’arrivo ed il dado diceva cinque, si arrivava al traguardo e si arretrava di<br />

due ed era così fino a quando il lancio del dado indicava esattamente il numero di caselle mancanti<br />

all’arrivo. Quando uno dei due era arrivato alla casella finale poteva tracciare un segmento dei sei<br />

totali <strong>che</strong> componevano un rettangolo entro il quale era iscritta una sorta di croce di San Giorgio. I<br />

segmenti erano a loro volta inscritti in un cerchio vuoto sottostante <strong>che</strong> era stato precedentemente<br />

tracciato. Quando il disegno composto dai sei tratti era completato – ognuno aveva diritto a<br />

comporre gradatamente un suo riquadro – si poteva inscrivere un circolino (Luigi) od un<br />

rettangolino (Adriano) entro un grande cerchio <strong>che</strong> rappresentava, pensò durante una seduta Luigi,<br />

una testa. Gli piacque molto quando suggerii <strong>che</strong> stavamo mettendo dei pensieri nella testa; gli<br />

apparve però allora necessario suddividere i simboli/pensiero suoi da quelli miei. Come si può<br />

vedere dal disegno 4, la massa dei simboli/pensiero rigidamente divisi, da luogo a qualcosa <strong>che</strong><br />

ricorda sia un elmo con la celata alzata, sia un cranio/teschio con la bocca aperta e vuota.<br />

DISEGNO 4<br />

Come si è già sottolineato, Luigi comincia ad elaborare questo gioco quando la relazione con<br />

l’analista si fa meno preoccupata e quest’ultimo appare meno mi naccioso (l’”uomo vecchio”). <strong>Il</strong><br />

presentarsi di una relazione più morbida costringeva Luigi ad articolare un processo entro il quale<br />

31 Edna O’Shaughnessy “Studio clinico di un’organizzazione difensiva” in Elizabeth Bott Spilllius op. cit., pag.322<br />

32 John Steiner “Organizzazioni patologi<strong>che</strong> e posizioni schizoparanoide e depressiva” in Elizabeth Bott Spillius op. cit.,<br />

pag.353


inserirla. Durante le sedute di “perfezionamento” del sistema vi era il momento della competizione,<br />

i lanci dei dadi per arrivare alla meta (Luigi si complimentava cavallerescamente con me quando<br />

arrivavo all’ultima casella) e quello della collaborazione, la compilazione dei complessi protocolli.<br />

La fase di gioco/competizione era cioè segmentata in momenti elementari, i singoli tratti. Questi<br />

tratti, <strong>che</strong> in quanto tali non erano ulteriormente scomponibili, dovevano poi essere ricomposti in un<br />

quadro complessivo ciascuno composto da sei tratti. E’ da notare <strong>che</strong> la serie di cerchi vuoti predisegnati<br />

da Luigi sono assai simili all’altra serie di cerchi vuoti <strong>che</strong> fuoriescono, nel disegno 2,<br />

dalla bocca del “fantasma spaventabambini”. Le parole vuote e minacciose del fantasma possono<br />

riempirsi di contenuti se prima questi sono sufficientemente analizzati, segmentati e infine<br />

ricomposti. A questo punto si è però in presenza di entità depotenziate della loro pericolosità<br />

originaria, ma <strong>che</strong> fluttuano nel vuoto senza <strong>che</strong> appaiano in alcun modo definite. <strong>Il</strong> piccolo erede di<br />

Spinoza costruisce cioè delle monadi (i tratti) <strong>che</strong> possono essere uniti con altre monadi per<br />

costituire dei corpi (i rettangoli con la croce di San Giorgio), ma manca poi loro un’anima, la<br />

sostanza spinoziana. L’anima è trovata da Luigi con grande soddisfazione quando gli interpreto<br />

l’inserimento dei rettangoli, convertiti a questo punto in cerchietti e rettangolini marcati da una<br />

lettera, in un cerchio come l’inserimento di pensieri dentro una testa. Quando, disegnando<br />

all’interno della “testa” i primi simboli, Luigi si accorge <strong>che</strong> si possono mescolare tra di loro<br />

andando a formare un grumo indistinto, traccia una linea divisoria ben evidente sopra la quale<br />

stanno i simboli/pensiero <strong>che</strong> provengono dalle sue vittorie e sotto la quale stanno invece i<br />

simboli/pensiero <strong>che</strong>, oltre le trasformazioni subite, sono marchiati con il mio segno. Come in un<br />

prevedibile s<strong>che</strong>rzo di un destino altrettanto prevedibile, l’insopportabilità di una vicinanza<br />

eccessiva tra pensieri/simbolo miei e suoi produce un disegno nel quale se non vi sono più cerchi<br />

vuoti emessi dalla bocca dello “spaventabambini”, vi è una bocca vuota pronta ad inghiottire<br />

nuovamente pensieri destinati però a non produrre nulla giacché non possono essere digeriti, cioè<br />

sottoposti ad un processo elaborativo <strong>che</strong> prevede il contatto e la reciproca contaminazione. Luigi,<br />

in termini kleiniani, mette qui in mostra come il fallimento nel raggiungimento della posizione<br />

depressiva causato da un timore eccessivo di contaminazione riporta a meccanismi di separazione<br />

della posizione schizoparanoide in cui un pensiero autentico non esiste e l’oralità ha una funzione<br />

compensatoria. Ciò <strong>che</strong> viene inghiottito dalla testa/s<strong>che</strong>letro non serve, in questo meccanismo, a<br />

far sviluppare carne, muscoli e pensieri, ma solo a rafforzare la struttura ossea periferica <strong>che</strong> non<br />

contiene nulla e <strong>che</strong> non possiede nemmeno l’ornato della carne: quasi una duplicazione della<br />

figura del cavaliere inesistente entro la cui armatura, ci racconta Calvino, non vi è <strong>che</strong> il vuoto.<br />

Considerazioni<br />

<strong>Il</strong> gioco tanto complesso e raffinato di Luigi riporta, nel vivo del quadro clinico, ad importanti<br />

questioni - <strong>che</strong> non sono solo clini<strong>che</strong> - con le quali la psicoanalisi, a partire da Freud, si è<br />

confrontata e si sta confrontando. E’ ben evidente come il nucleo dell’operazione compiuta dal<br />

paziente consiste nel prendere un oggetto – la pericolosa presenza dell’analista – smontarlo nei suoi<br />

elementi minimi per rimontarlo infine secondo una grammatica ed una sintassi completamente<br />

diverse.<br />

Meltzer ha descritto la propensione all’autismo come una reazione del <strong>bambino</strong> all’assenza mentale<br />

della madre, alla sua impenetrabilità alle proiezioni e quindi alla sua incapacità o impossibilità a<br />

funzionare come un buon contenitore 33 . Si è visto nell’anamnesi familiare di Luigi come la sua<br />

nascita fosse sentita dalla madre come un obbligo religioso e poi come soddisfazione narcisistica.<br />

Ripetutamente Meltzer sottolinea come un’evoluzione autistica avvenga prevalentemente con<br />

bambini assai intelligenti e come gli esiti dell’operazione di smontaggio autistico siano spesso una<br />

grande capacità ed intelligenza operativa, una memoria-ancora ed uno sviluppo abnorme di abilità<br />

33 Donald Meltzer Esplorazioni sull’autismo Bollati Boringhieri, Torino 1977 pag.25


isolate. Come si è visto, in Luigi erano molto evidenti il primo ed il terzo sintomo e possedeva<br />

an<strong>che</strong>, seppure non al livello discusso con il caso di Kim Peek 34 , una memoria assai ragguardevole.<br />

<strong>Il</strong> modo attraverso il quale il <strong>bambino</strong> autistico riesce a proteggersi è quello, ben evidente nel gioco<br />

di Luigi, di smontare il contenitore materno in una serie di singoli elementi non ulteriormente<br />

scomponibili e tutti quanti controllabili. La segmentazione, sottolinea Melzer, non avviene secondo<br />

l’esperienza ed il pensiero – alla maniera cioè secondo la quale, secondo Roland Barthés, si giunge<br />

al piacere della lettura – ma secondo linee di frammentazione <strong>che</strong> obbediscono al principio<br />

dell’annullamento del pericolo. Una vittoria nel gioco dell’oca doveva essere controllata affinché<br />

non emergessero in modo eccessivo dei sentimenti di invidia e di tipo distruttivo. Lo smontaggio<br />

della vittoria nei suoi elementi minimi, il tassello unario per la costruzione del rettangolo (più o<br />

meno come un “quindici” al gioco del tennis costituisce un tassello per aggiudicarsi eventualmente<br />

un game) e la contentezza per la vittoria-propria/congratulazioni-con-l’avversario, formavano due<br />

oggetti ben distinti. L’oggetto contentezza, come quello dell’invidia, potevano da Luigi essere<br />

mantenuti in limiti convenienti e sobri proprio attraverso la conversione del punto in un elemento<br />

contabile. Scrive Meltzer 35 :<br />

Un oggetto <strong>che</strong> è stato segmentato o smontato è un oggetto <strong>che</strong> è stato ridotto in piccole porzioni semplificate…Questi<br />

segmenti di oggetto possono allora essere tenuti separati e controllati uno per uno in modo onnipotente.<br />

Lo smontaggio ha lo scopo di rendere un’esperienza priva di significato attraverso la sua riduzione<br />

in frammenti al di sotto del senso comune e di impedirle di funzionare come una “forma simbolica”<br />

per ridurla ad un funzionamento di tipo causale e meccanico 36 . Con un’analogia suggestiva Meltzer<br />

suggerisce <strong>che</strong> il funzionamento autistico sia simile a quello di un plotone di soldati <strong>che</strong> arrivi ad<br />

uno stretto ponte sul quale non si può transitare mantenendo la formazione. L’ufficiale potrebbe<br />

ordinare di scioglierla, ogni soldato passerebbe allora per conto proprio e al di la si ricostituirebbe<br />

una formazione.<br />

La reiterazione del gioco della dama durata per almeno quattro mesi mostra quanto Luigi utilizzasse<br />

il gioco non come esperienza piacevole ed interessante, ma come chiusura verso un maggiore<br />

scambio con l’analista. Doveva servire a tastare l’analista, la sua pelle psichica. <strong>Il</strong> gioco in sé, come<br />

dimostra an<strong>che</strong> la modificazione del gioco dell’oca, non era un oggetto penetrabile dalla curiosità:<br />

poteva essere condotto meccanicamente ed an<strong>che</strong> con grande abilità, ma non consentiva alcuna<br />

identificazione proiettiva. Come si è visto l’oggetto/analista, per Luigi, diveniva buono quando<br />

cessava di essere minaccioso/cattivo e così tutti gli oggetti esterni.<br />

Freud nel Notes magico pone in rilievo come l’inconscio vada a conoscere il mondo come<br />

attraverso delle antenne <strong>che</strong> vengono ritratte non appena l’eccitamento è eccessivo 37 . Nel lavoro<br />

sulla Negazione Freud afferma <strong>che</strong> non si tratta tanto di stabilire se un oggetto, una cosa (ein Ding)<br />

possa o meno essere accolto nell’Io, quanto se questa stessa cosa esista nel mondo interno e possa<br />

quindi, o meno, essere ritrovata (wiedergefunden) nel mondo esterno. <strong>Il</strong> non-reale (das<br />

Nichtsreale), la rappresentazione (la phantasy nel linguaggio kleiniano) appartengono solo al<br />

mondo interno (ist nur innen), il resto appartiene invece an<strong>che</strong> al mondo esterno (auch im Draussen<br />

vorhanden) 38 . Freud recide qui un nodo decisivo nella storia del pensiero filosofico soprattutto<br />

medioevale e lo fa con un’argomentazione implicita per certi versi non dissimile da quella degli<br />

averroisti radicali: il soggetto conosce solamente quel <strong>che</strong> le sue facoltà interne gli consentono di<br />

conoscere, il resto, die andere, il Reale, non potendo essere introiettato, o è respinto, messo fuori<br />

pulsionalmente, oppure negato attraverso il giudizio. Se osassimo dire di conoscere tutto, aveva<br />

34<br />

Adriano Voltolin “Memoria e teoria delle trasformazioni” in Costruzioni psicoanaliti<strong>che</strong> n.19/2010<br />

35<br />

Donald Melter Esplorazioni sull’autismo, op. cit., pag. 191<br />

36<br />

Idem, pag.247<br />

37<br />

Sigmund Freud Nota sul “Notes magico” in OSF vol.X, op. cit. pag.64<br />

38<br />

Sigmund Freud La negazione in OSF vol.X, op. cit., pag.199


detto Boezio di Dacia, dovremmo sostenere di conoscere perfettamente la sostanza divina e tutta la<br />

sua potenza 39 .<br />

<strong>Il</strong> gioco di Luigi mostra bene come la sua costruzione difensiva doveva servire a proteggerlo da un<br />

esterno troppo minaccioso proprio in quanto Reale, quindi non conoscibile attraverso la proiezione.<br />

L’oggetto esterno non penetrabile non esiste dentro: si può allora negarne onnipotentemente<br />

l’esistenza come nella psicosi paranoica, oppure rifugiarsi in una grotta mentale come nel caso di<br />

Luigi. La negazione conserva in effetti la medesima strategia – non consentire <strong>che</strong> qual<strong>che</strong> cosa di<br />

potenzialmente nemico entri: Boezio dice pressoché <strong>che</strong> l’opera di Dio sarà certamente tutta<br />

meravigliosa, ma <strong>che</strong> ciò <strong>che</strong> non possiamo avvertire lo possiamo solo accettare per fede: con le<br />

nostre, certamente ridotte, lo dirà an<strong>che</strong> Bion, capacità di percezione possiamo solamente negarne<br />

quindi l’esistenza – ma ci preserva da una distorsione patologica in quanto eccessiva. La realtà<br />

esterna va gradatamente accettata in dipendenza dalla capacità di sopportarne internamente il peso<br />

(debbo poter sopportare una frustrazione enorme per accettare <strong>che</strong> il seno <strong>che</strong> nutre non è al mio<br />

interno. I bambini ruminatori studiati da Eugenio Gaddini non erano in effetti in grado di sopportare<br />

questa consapevolezza e morivano per l’impossibilità di alimentarsi 40 ).<br />

<strong>Il</strong> caso di Luigi, così come tutta l’argomentazione di Meltzer sulla psicosi, mette inoltre in forse<br />

l’idea della Klein di un oggetto buono preesistente. Avevo già messo in rilievo come<br />

l’affermazione da parte della Klein <strong>che</strong> le funzioni dell’Io esistano sin dall’inizio della vita non sia<br />

conciliabile con la tesi secondo la quale è l’angoscia a promuovere una scissione dell’oggetto e<br />

quindi dell’Io 41 . Un oggetto diviene buono man mano <strong>che</strong> si mostra scarsamente o per niente<br />

minaccioso secondo un adattamento <strong>che</strong> Freud aveva individuato ne L’Io e l’Es 42 . La tesi quindi di<br />

Betty Joseph secondo la quale vi sono pazienti <strong>che</strong> fanno fatica a mettersi in contatto con gli oggetti<br />

buoni interni 43 andrebbe almeno parzialmente corretta; come ha mostrato Hanna Segal in un suo<br />

caso (e personalmente ne ho incontrato uno anch’io) esistono pazienti nei quali il terrore<br />

dell’oggetto buono è tale <strong>che</strong> questo non può mai essere creato e ancor meno stabilizzato al proprio<br />

interno, ma viene attaccato e distrutto non appena il paziente ha percezione di una sua possibile<br />

esistenza 44 . In qual<strong>che</strong> modo an<strong>che</strong> i casi di sindromi autisti<strong>che</strong> descritte da Meltzer e lo stesso caso<br />

di Luigi mostrano come, per poter essere accettato, un oggetto deve venire smontato e quindi<br />

privato della penetrabilità <strong>che</strong> lo renderebbe un contenitore e quindi una funzione alfa in atto.<br />

L’ultima considerazione riguarda l’operazione di smontaggio dell’oggetto nelle sindromi autisti<strong>che</strong>.<br />

Come si è sottolineato Luigi mostrava segni di innervosimento se gli chiedevo di spiegarmi meglio<br />

qual<strong>che</strong> cosa <strong>che</strong> non avevo capito: la relazione psichiatrica con la quale era arrivato da me parlava<br />

di difficoltà nella costruzione della frase sia pure in presenza di una competenza lessicale sufficiente<br />

e della tendenza a leggere dapprima silenziosamente le parole per acquisirne meglio il significato.<br />

Nel gioco da lui inventato si può osservare come i singoli passaggi di un gioco da tavolo vengano<br />

ridotti ad elementari figure geometri<strong>che</strong> <strong>che</strong> poi si compongono in rettangoli per andare a riempire<br />

dei cerchi vuoti.<br />

L’operazione del capire presuppone <strong>sempre</strong> qual<strong>che</strong> cosa <strong>che</strong> è assente: lo ha lucidamente spiegato<br />

Mario Cirlà a proposito dell’ascolto musicale 45 :<br />

Capire la musica significa svolgere un’operazione attiva e costante della mente, e cioè, essenzialmente percepire i<br />

rapporti <strong>che</strong> legano un suono all’altro secondo le leggi dell’armonia…si tratta di sentire la necessità della loro<br />

39<br />

Boezio di Dacia Sull’eternità del mondo Unicopli, Milano 2003, pag.131<br />

40<br />

Eugenio Gaddini “La ruminazione nell’infanzia” Cortina, Milano 1989<br />

41<br />

Adriano Voltolin Melanie Klein Bruno Mondadori, Milano 2003, pagg.115-116<br />

42<br />

Sigmund Freud L’Io e l’Es in OSF vol.IX, Boringhieri, Torino 1977, pag.488<br />

43<br />

Betty Joseph “<strong>Il</strong> paziente difficile da raggiungere” in Elizabeth Bott Spillius (a cura di) op. cit.<br />

44<br />

Hanna Segal “What is therapeutic and counter therapeutic in psychoanalysis?” in Yesterday, Today and Tomorrow<br />

Routledge, London 2007<br />

45<br />

Mario Cirlà “L’oblio dell’immemorabile: capire la musica” in Costruzioni psicoanaliti<strong>che</strong> n.19/2010, pag.68-69


successione ed il loro conglobamento in un superiore organismo sonoro, per quella specie di vittoria sul tempo, o<br />

meglio, di conservazione del tempo <strong>che</strong> è la musica<br />

La necessità della successione è qual<strong>che</strong> cosa <strong>che</strong> può essere riportato, in psicoanalisi, alla<br />

preconcezione del seno, cioè a qual<strong>che</strong> cosa <strong>che</strong> non c’è ma <strong>che</strong> avverrà. Se manca l’incontro della<br />

bocca con il capezzolo l’assenza di questo ci dice Bion, tenderà a divenire un oggetto persecutorio,<br />

il no-breast. Nel caso di Luigi vediamo <strong>che</strong> l’attacco non è portato tanto al morfema linguistico, ma<br />

alla sua inserzione in un sistema <strong>che</strong> rende comprensibile an<strong>che</strong> il singolo morfema. I silenzi,<br />

sottolinea Cirlà, vanno uditi; e questo vale sia per l’ascolto musicale <strong>che</strong> per la relazione transferale<br />

nella seduta. Se ci immaginiamo i silenzi come dei buchi nel tessuto sonoro, essi sono usati<br />

nell’ascolto musicale come orifizi attraverso i quali inserire proiettivamente l’attesa del suono<br />

successivo. Lo smontaggio dell’oggetto è fatto precisamente per rimediare alla sua impenetrabilità;<br />

si tratta di costruire, da parte del paziente, un sistema diverso nel quale l’oggetto (das Ding l’aveva<br />

chiamato Freud ne La negazione e Lacan si è soffermato con grande acutezza sulla scelta di questo<br />

termine da parte di Freud) possa essere sistemato. Ma si è allora, almeno potenzialmente, al punto<br />

di partenza. Avevo in effetti imparato <strong>che</strong> se avessi chiesto a Luigi <strong>che</strong> cosa significasse il gioco, la<br />

sua reazione sarebbe stata di grande agitazione ed insofferenza. Possiamo pensare al gioco di Luigi<br />

come al tentativo di liberarsi in ogni modo di quel gioco di opposizioni e di tempi <strong>che</strong>, secondo De<br />

Saussure, rende tale il linguaggio e <strong>che</strong> sta, per Adorno, alla base del lavoro di Schönberg 46 :<br />

<strong>Il</strong> predominio della dissonanza sembra distruggere i rapporti relazionali “logici” all’interno della tonalità, cioè le<br />

relazioni semplici di accordi perfetti.<br />

L’operazione di Schönberg conduce però ad esiti drammatici e paradossali giacché:<br />

In questo però la dissonanza resta ancora più razionale della consonanza: essa pone infatti dinanzi agli occhi in maniera<br />

articolata seppure complessa la relazione dei suoni in essa presenti, invece di conseguirne l’unità mediante un impasto<br />

“omogeneo”, cioè distruggendo i momenti parziali <strong>che</strong> contiene.<br />

<strong>Il</strong> linguaggio, come la musica e la pittura, non può astrarre dall’attività di proiezione e di<br />

introiezione del soggetto. Sulla scorta di quanto abbiamo visto sostenere da parte di Freud, è solo<br />

teoricamente possibile separare drasticamente ciò <strong>che</strong> è dentro da quel <strong>che</strong> è fuori. Costruire un<br />

oggetto mentale <strong>che</strong> sia impermeabile all’attività proiettiva/introiettiva è impossibile per il malato<br />

alla stessa maniera per la quale è impossibile, sottolinea Adorno, costruire ciò <strong>che</strong> sarebbe un<br />

assurdo assoluto: l’opera d’arte totale 47 . Essa diviene statica, non conosce più la storia 48 , così<br />

come diviene inerte, afasica, la bocca della testa rappresentata nel disegno 4, così come era inerte e<br />

afasica la bocca del fantasma spaventabambini. L’organizzazione patologica interna, la banda<br />

mafiosa, non ha in effetti alcuna velleità schönberghiana, non mira a creare un sistema espressivo<br />

alternativo, una melodia rivoluzionaria, ma solo a favorire, come fa appunto la mafia cinese, a far<br />

lavorare lo schiavo/paziente per il profitto della sola organizzazione patologica.<br />

Sintesi<br />

Sulla base dei concetti di autismo nella formulazione di Meltzer e di rifugio della mente (Steiner),<br />

l’autore propone il caso di un <strong>bambino</strong> di otto anni <strong>che</strong>, visto per circa cinquanta sedute, propone un<br />

complicato gioco attraverso il quale smonta qual<strong>che</strong> cosa <strong>che</strong> avviene nel mondo esterno per<br />

proporne un rimontaggio <strong>che</strong> possa essere tollerato dalla sua mente. L’organizzazione patologica<br />

46 Theodor W. Adorno Filosofia della musica moderna Einaudi, Torino 2002, pag.61<br />

47 Idem, pag.72<br />

48 Idem, pag.62


<strong>che</strong> il <strong>bambino</strong> costruisce ha la doppia funzione di proteggerlo da una realtà insostenibile da un lato<br />

e di proporgli un funzionamento onnipotente dall’altro. <strong>Il</strong> paziente, in questo stato, non essendo in<br />

grado di sostenere l’impatto con il mondo, si rifugia nell’organizzazione patologica <strong>che</strong> si comporta<br />

come una mafia mentale (Rosenfeld).<br />

Parole chiave: autismo, rifugio mentale, organizzazione patologica.<br />

Summary<br />

According to the concepts of autism by Meltzer and psychic retreat by Steiner, the author proposes<br />

the case of a child aged eight, in analysis for about fifty sessions. During the sessions the little boy<br />

created a particular play: he disassembled something coming from the external world and<br />

reassembled it in a way tolerable by his mind. The pathological organisation in the mind has a<br />

double function: protect himself from the aggression of the external word and permit him an<br />

omnipotent functioning. The patient, in this state of the mind, doesn’t tolerate the impact with the<br />

world, put himself inside the pathological organisation felt as mafia gang (Rosenfeld).<br />

Key words: autism, psychic retreat, pathological organisation

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