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Ricerca Sanitaria Finalizzata - anno 2003 - Regione Piemonte

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Direzione Sanità Pubblica<br />

Progetti finanziati nell’<strong>anno</strong> <strong>2003</strong><br />

Relazioni finali<br />

(sintesi)<br />

Torino, Marzo 2007


Questa pubblicazione riporta le relazioni finali sintetiche dei progetti finanziati con il bando<br />

dell’<strong>anno</strong> <strong>2003</strong>.<br />

Tali relazioni sono state predisposte direttamente dai responsabili del progetto e solo in qualche<br />

raro caso si sono resi necessari alcuni adattamenti formali irrilevanti rispetto alla sostanza del<br />

lavori.<br />

Gli interessati ad approfondire specifici temi trattati possono, oltre ad attivare contatti diretti con i<br />

ricercatori, accedere alla consultazione del testo integrale dei progetti, previa autorizzazione da<br />

parte della Direzione Sanità Pubblica - Settore Igiene e Sanità Pubblica - (e-mail<br />

sanita.pubblica@regione.piemonte.it).<br />

Redazione a cura:<br />

Direzione Sanità Pubblica<br />

Direttore regionale: Dr. Vittorio Demicheli<br />

Settore Igiene e Sanità Pubblica:<br />

Dirigente responsabile: Dr.ssa Michela Audenino<br />

Coordinamento editoriale:<br />

Dr.ssa Elisa Luparia<br />

La responsabilità dei dati scientifici e tecnici è degli autori.<br />

Riproduzione a cura del Centro Stampa della <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong>


Ogni <strong>anno</strong> la <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> destina una significativa somma di circa 3.000.000,00=<br />

Euro alla <strong>Ricerca</strong> <strong>Sanitaria</strong> <strong>Finalizzata</strong>, attività impegnativa, qualificante e promettente<br />

nel garantire una buona sanità e, almeno indirettamente, nel promuovere salute.<br />

La marcia verso questo traguardo di tutela e di promozione della salute è variegata e<br />

multiforme, è caratterizzata da progetti e da stili operativi che comprendono ricerche<br />

analitiche biomolecolari, esplorazione di meccanismi patogenetici, identificazione di<br />

marcatori diagnostici e prognostici, valutazioni di efficacia di farmaci e validazione di<br />

protocolli terapeutici, ricerche epidemiologiche tese alla valutazione di rischi attribuibili a<br />

fattori eziologici psico-sociali, ambientali e alimentari.<br />

La specifica attività di ricerca rappresenta dunque, insieme alla buona organizzazione<br />

generale di sistema e alla formazione/informazione, un fattore ed una componente<br />

cardine per perseguire una buona qualità ed una migliore efficacia degli interventi di<br />

assistenza e di prevenzione.<br />

Il sostegno alla ricerca continuerà ad essere un obiettivo strategico delle politiche<br />

sanitarie e sociali della nostra <strong>Regione</strong>, nonostante le inderogabili riduzioni di<br />

finanziamenti.<br />

Questa quarta relazione sulle ricerche completate si propone di documentare e<br />

socializzare il lavoro svolto, consentendo ad ogni lettore interessato libere ed<br />

interlocutorie riflessioni sull’efficacia e sull’appropriatezza delle singole ricerche.<br />

Tramite questa pubblicazione si intende anche favorire un informato e coerente dialogo<br />

sociale che coinvolga gli attori professionali ed anche i cittadini che rappresentano gli<br />

utenti finali del sistema sanitario pubblico.<br />

Da parte dell’Assessorato Tutela della Salute e Sanità va un sentito grazie a tutti i<br />

protagonisti di questa attività: a partire ovviamente dai ricercatori che h<strong>anno</strong> prodotto gli<br />

studi e dai docenti dell’Università che si sono impegnati come referee, fino ai Tecnici ed<br />

esperti della Commissione di valutazione e ai Dirigenti e Funzionari dell’Assessorato.<br />

È, come sempre, una scommessa sulla intelligenza sociale e sulla produttività sociale.<br />

L’Assessore alla Tutela della Salute e Sanità<br />

Mario VALPREDA


Filoni tematici<br />

I progetti di ricerca e di indagine ammessi al finanziamento regionale sono riconducibili ai<br />

seguenti filoni tematici:<br />

.<br />

FILONE TEMATICO A<br />

PREVENZIONE E FATTORI DI RISCHIO IN PATOLOGIA UMANA ED ANIMALE<br />

1) La prevenzione delle malattie infettive dell’uomo e degli animali. (16)<br />

2) Indagini sui fattori di rischio nelle malattie degenerative e tumorali. (45)<br />

3) Prevenzione negli ambienti di vita e di lavoro. (12)<br />

4) Prevenzione delle patologie collegate agli stili di vita. (18)<br />

5) Prevenzione in ambito di salute mentale. (10)<br />

6) <strong>Ricerca</strong> collegata con la tutela del benessere sugli animali da produzione,di affezione e per la<br />

sperimentazione. (2)<br />

FILONE TEMATICO B<br />

SICUREZZA ALIMENTARE<br />

1) Contributi alla sicurezza alimentare nell’ambito del controllo della produzione di alimenti. (12)<br />

2) Metodologia per la ricerca dei residui volontari ed involontari negli alimenti. (3)<br />

3) Prevenzione delle patologie collegate all’alimentazione. (13)<br />

FILONE TEMATICO C<br />

STUDIO, SPERIMENTAZIONE E VALUTAZIONE IN ORGANIZZAZIONE SANITARIA,<br />

DIAGNOSTICA, TERAPIA E RIABILITAZIONE<br />

1) Nuove tecnologie in tema di organizzazione sanitaria, diagnostica, follw up, terapia e riabilitazione<br />

delle malattie. (74)<br />

2) Appropriatezza, efficienza ed equità delle prestazioni sanitarie. (21)<br />

FILONE TEMATICO D<br />

STUDI EPIDEMIOLOGICI IN PATOLOGIA UMANA ED ANIMALE<br />

1) Indagini epidemiologiche sulle malattie degenerative e tumorali. (13)<br />

2) Indagini epidemiologiche sulle malattie infettive. (12)<br />

3) Indagini epidemiologiche per la prevenzione delle malattie allergiche (3)<br />

4) Applicazione della medicina basata sulle prove di efficacia (EBM) alla organizzazione sanitaria,<br />

diagnostica, terapia e riabilitazione. (10)<br />

I numeri riportati in parentesi indicano il numero di progetti finanziati per filone tematico.<br />

IV


Maria Cesarina Abete<br />

Sviluppo di un metodo basato sulla spettroscopia IR per rintracciare tessuti ossei di specie<br />

animali diverse in mangimi ................................................................................................................ 1<br />

Massimo Aglietta<br />

Identificazione di possibili meccanismi di resistenza al trattamento con Herceptin in pazienti con<br />

carcinoma mammario.......................................................................................................................... 3<br />

Emanuele Albano<br />

Caratterizzazione di nuovi marcatori immunologici della progressione della malattia<br />

aterosclerotica ...................................................................................................................................... 5<br />

Roberto Albera<br />

Potenziali evocati uditivi automatici nello screening della sordità congenita nei centri di terapia<br />

intensiva neonatale............................................................................................................................... 7<br />

Oscar Argentero<br />

Il fattore umano negli infortuni sul lavoro......................................................................................... 9<br />

Pier Angelo Argentero<br />

Sperimentazione di un osservatorio regionale per le infezioni acquisite nelle strutture sanitarie11<br />

Roberto Arione<br />

Stesura, diffusione ed implementazione di procedure per la prevenzione di eventi avversi<br />

nell’ASO S. Giovanni Battista........................................................................................................... 13<br />

Maria Carmen Azzolina<br />

Stesura, divulgazione ed implementazione di Linee Guida per la prevenzione ed il trattamento<br />

delle Lesioni da Decubito................................................................................................................... 16<br />

Francesco Baccino<br />

Suscettibilità all’epatocancerogenesi in relazione all’espressione di molecole coinvolte<br />

nell’apoptosi........................................................................................................................................ 18<br />

Piero Balbo<br />

Le polmoniti acquisite in comunità nella ASL 13, dal territorio all'ospedale: proposta di gestione<br />

integrata .............................................................................................................................................. 20<br />

Emiliana Ballocchi<br />

Indagine epidemiologica su Leptospira spp ed altre patologie presenti nelle nutrie nel<br />

comprensorio del Basso Sesia ........................................................................................................... 22<br />

Federico Balzola<br />

Enterocolite autistica: studio clinico e laboratoristico di una nuova sindrome............................ 24<br />

Franco Balzola<br />

Fattori di rischio nell’incidenza di carcinoma del colon-retto in soggetti affetti da obesita’ di<br />

grado medio-elevato........................................................................................................................... 26<br />

Cristiana Barbera<br />

Identificazione di casi di celiachia attraverso sintomi tipici e atipici e nelle patologie a rischio. 28<br />

Alberto Bardelli<br />

Il ruolo dei cancerogeni ambientali nell'insorgenza di instabilità genomica dei tumori ............. 30<br />

Giuseppina Barrera<br />

Carcinoma del colon: regolazione della crescita da parte di prodotti della perossidazione lipidica<br />

e di ligandi dei PPAR ......................................................................................................................... 32<br />

V


Ettore Bartoli<br />

Fattori predittivi di resistenza insulinica e patologia degenerativa nel NIDDM: influenza di età e<br />

climaterio............................................................................................................................................. 34<br />

Simona Bastonero<br />

Un nuovo marker per lo screening prenatale delle anomalie cromosomiche: l’osso nasale fetale36<br />

Mario Bazzan<br />

Razionalizzazione di diagnosi e cura delle sindromi mieloproliferative Ph- mediante creazione di<br />

un sito web dedicato ........................................................................................................................... 38<br />

Silvio Bellino<br />

Il disturbo borderline di personalità: caratterizzazione della comorbilità ed esito del trattamento<br />

a lungo termine ................................................................................................................................... 40<br />

Giorgio Bellomo<br />

Antiaterogenicità delle HDL ed abitudini alimentari: studio negli studenti dell’Università del<br />

<strong>Piemonte</strong> Orientale............................................................................................................................. 42<br />

Graziella Bellone<br />

Espressione di SKI e SNON come indice di rischio di evoluzione neoplastica nell'esofago di<br />

Barrett ................................................................................................................................................. 44<br />

Chiara Benedetto<br />

Prevenzione della preeclampsia con eparina a basso peso molecolare in gravide portatrici di<br />

trombofilie........................................................................................................................................... 46<br />

Bruno Bergamasco<br />

Valutazione dell’efficacia della terapia chirurugica nella riabilitazione dei pazienti parkinsoniani<br />

in fase avanzata................................................................................................................................... 48<br />

Mauro Bergui<br />

Sviluppo ed applicazioni cliniche della risonanza magnetica funzionale ...................................... 50<br />

Maria Grazia Bernengo<br />

La sifilide nel nuovo millennio........................................................................................................... 52<br />

Laura Berta<br />

Effetto delle onde d'urto sui fibroblasti umani nell'induzione dei processi riparativi: implicazioni<br />

terapeutiche......................................................................................................................................... 54<br />

Emma Bertuzzi<br />

“Legami familiari” <strong>Ricerca</strong>-intervento per la prevenzione ed il trattamento dei disturbi<br />

relazionali precoci............................................................................................................................... 56<br />

Piero Bestagini<br />

Screening del cervico-carcinoma nelle donne fra 25 e 64 anni delle ASL13-14: programmi<br />

spontanei, organizzati o assenti ......................................................................................................... 58<br />

Betta Pier-giacomo<br />

Fattori di rischio biomolecolari nel cancro del polmone................................................................. 60<br />

Alberto Biglino<br />

Incidenza e fattori di rischio delle batteriemie nosocomiali catetere-correlate in <strong>Piemonte</strong>....... 62<br />

Elisabetta Bignamini<br />

Micobatteri non-tubercolari e Fibrosi Cistica: indagine di prevalenza e studio caso-controllo<br />

retrospettivo ........................................................................................................................................ 65<br />

Bartolomeo Biolatti<br />

Effetti del trattamento con desametazone a dosi terapeutiche ed anabolizzanti sul sistema<br />

immunitario del bovino...................................................................................................................... 67<br />

VI


Giuseppe Boccuzzi<br />

Individuazione precoce di markers ematici di d<strong>anno</strong> ossidativo nel diabete mellito ................... 69<br />

Filippo Bogetto<br />

Sintomatologia depressiva e tipizzazione clinica della schizofrenia in fase acuta: implicazioni per<br />

la prevenzione..................................................................................................................................... 71<br />

Gianni Bona<br />

Ruolo dell'analisi genetica e biochimica di ghrelina nella valutazione di obesi semplici e con<br />

sindrome di Prader-Willi................................................................................................................... 73<br />

Renato Bonardi<br />

Le epatiti tossiche tra i lavoratori dell’industria plastica: indagine epidemiologica nell’area<br />

torinese ................................................................................................................................................ 75<br />

Luca Bonfanti<br />

Il coniglio come modello di plasticità strutturale nel sistema nervoso dei mammiferi adulti ..... 78<br />

Alberto Borraccino<br />

Valutazione dei determinanti del ritardo alla diagnosi nei pazienti con deficit patologico di<br />

ormone della crescita ......................................................................................................................... 80<br />

Amalia Bosia<br />

Le basi molecolari e gli indicatori della insulino-resistenza ........................................................... 82<br />

Giovanni Botta<br />

Impiego della telepatologia nella diagnostica fetoplacentare finalizzata alla costituzione di un<br />

registro epidemiologico...................................................................................................................... 84<br />

Salvatore Bozzaro<br />

Meccanismo d’azione del gene Nramp1 nella resistenza alle infezioni e identificazione di<br />

mutazioni geniche deleterie ............................................................................................................... 86<br />

Enrico Bracco<br />

Identificazione di molecole interattrici del recettore per il fattore di crescita delle cellule<br />

staminali: c-kit/SCFR ........................................................................................................................ 88<br />

Gianni Boris Bradac<br />

Trombolisi intra-arteriosa nello stroke ischemico acuto: creazione di una rete regionale di<br />

selezione pazienti ................................................................................................................................ 90<br />

Paolo Branca<br />

Metodica per la determinazione quantitativa del colorante liposolubile Sudan I nei prodotti<br />

contenenti peperoncino...................................................................................................................... 91<br />

Enrico Brignardello<br />

Potenziamento della terapia radiometabolica del carcinoma tiroideo mediante pre-trattamento<br />

differenziante...................................................................................................................................... 94<br />

Guido Brizio<br />

“Benessere animale": alternativa all'eccessiva medicalizzazione dell'allevamento cunicolo...... 96<br />

Sandra Brunelleschi<br />

Recettori PPAR-gamma in monocito/macrofagi umani: loro rilevanza nell'aterosclerosi, in<br />

particolare nei fumatori..................................................................................................................... 98<br />

Benedetto Bruno<br />

Ricostituzione anticorpale dopo trapianto allogenico di cellule emopoietiche e prevenzione delle<br />

infezioni ............................................................................................................................................. 100<br />

VII


Graziella Bruno<br />

Incidenza di retinopatia diabetica nella coorte di popolazione del registro diabete tipo 1 della<br />

provincia di Torino........................................................................................................................... 102<br />

Alfredo Brusco<br />

Biologia dei metalli pesanti in linee e modelli cellulari di malattie neurodegenerative ereditarie104<br />

Carlo Buffa<br />

Analisi clinico-epidemiologica, biochimica e molecolare delle malattie da prioni dell'uomo in<br />

<strong>Piemonte</strong>............................................................................................................................................ 106<br />

Massimiliano Bugiani<br />

Incidenza dell’infezione TB latente in lavoratori della sanità...................................................... 107<br />

Giovanni Bussolati<br />

Espressione di mRNA per CgA in neoplasie prostatiche CgA-negative all’immunoistochimica.<br />

Correlazione con la sierologia ......................................................................................................... 109<br />

Federico Bussolino<br />

Diagnosi e terapia delle metastasi epatiche: un approccio proteomico ....................................... 111<br />

Anna Maria Cacciatore<br />

Studio di coorte storico sui lavoratori dello stabilimento Michelin di Cuneo: incidenza dei tumori<br />

delle vie urinarie ............................................................................................................................... 113<br />

Ennio Cadum<br />

Predisposizione di un modello previsionale per l’identificazione delle ondate di calore e<br />

valutazione epidemiologica .............................................................................................................. 115<br />

Maria Costanza Calia<br />

L'interfunzionalità comunicativa nella partnership tra Ospedale e Hospice ............................. 117<br />

Ferdinando Canavese<br />

Il criptorchidismo quale fattore di rischio di infertilità e di tumori testicolari .......................... 119<br />

Pier Luigi Canonico<br />

La farmacogenomica/genetica come strumento diagnostico/terapeutico nelle cefalee............... 120<br />

Roberto Cantello<br />

Potenziali evocati motori e diagnostica della malattia di Parkinson............................................ 122<br />

Rosa Angela Canuto<br />

Dieta e prevenzione del tumore del colon: ruolo degli acidi grassi linoleico coniugato e<br />

docosaesaenoico ................................................................................................................................ 124<br />

Maria Teresa Capucchio<br />

Espressione del sistema Plasminogeno-Plasmina (PG-PL-PA) e PrP cellulare nella ghiandola<br />

mammaria e nel latte bovino ........................................................................................................... 126<br />

Maria Caramelli<br />

Progetto pilota per un piano di monitoraggio per la ricerca di tessuto nervoso negli ambienti di<br />

macellazione ...................................................................................................................................... 128<br />

Pietro Caramello<br />

Studio di suscettibilità e farmacodinamico dei ceppi di P.falciparum importati........................ 131<br />

Nicola Carlone<br />

Attivita’ antimicotica e immunomodulante di fitoterapici nei confronti di lieviti agenti di<br />

candidosi............................................................................................................................................ 133<br />

VIII


Laura Cavallarin<br />

La filiera avicola piemontese: contaminazione da ocratossina A e individuazione di un marker<br />

per l’allevamento biologico.............................................................................................................. 135<br />

Federica Cavallo<br />

Prevenzione dei carcinomi squamosi della cavità orale mediante vaccinazione a DNA:<br />

sperimentazione preclinica.............................................................................................................. 137<br />

Maria Rita Cavallo<br />

Realizzare il governo clinico attraverso i percorsi diagnostico terapeutico assistenziali........... 139<br />

Paolo Cavallo Perin<br />

Sindrome metabolica: nuovi marcatori di d<strong>anno</strong> endoteliale ...................................................... 141<br />

Pietro Cazzola<br />

Contenimento dell’ingresso di radionuclidi nella catena alimentare: applicazioni in campo... 143<br />

Luisella Cesari<br />

Modello di intervento per promuovere una sana alimentazione e l’attività fisica in bambini e<br />

adolescenti in soprappeso ................................................................................................................ 145<br />

Maria Pia Chianale<br />

Informatizzazione e lettura dei dati provenienti dai bilanci di salute dei Pediatri di Libera Scelta<br />

............................................................................................................................................................ 147<br />

Livio Chiandussi<br />

Studio sull’utilizzo di markers ormonali nella predizione e razionalizzazione della risposta ai<br />

farmaci antipertensivi...................................................................................................................... 149<br />

Roberto Chiarle<br />

La nuova tecnologia dell’"Interferenza a piccoli RNA" per l'eliminazione di proteine oncogeniche<br />

nei linfomi umani.............................................................................................................................. 151<br />

Elena Chiarpotto<br />

Effetto della restrizione calorica sul processo di fibrosi durante l’invecchiamento e in patologie ad<br />

esso associate..................................................................................................................................... 153<br />

Laura Chiavacci<br />

La sorveglianza della Brucellosi bovina in <strong>Piemonte</strong>: elaborazione di uno strumento di analisi<br />

decisionale ......................................................................................................................................... 155<br />

Adriano Chiò<br />

Gruppo multidisciplinare per la SLA: valutazione dell'efficacia dell'organizzazione di un modello<br />

di cure palliative ............................................................................................................................... 157<br />

Giovannino Ciccone<br />

Determinanti individuali, sociali e ambientali di ospedalizzazione nella coorte dei bambini e dei<br />

genitori SIDRIA ............................................................................................................................... 159<br />

Tiziana Civera<br />

Caratterizzazione mediante PFGE di ceppi di Listeria monocytogenes isolati da alimenti e<br />

mappatura regionale........................................................................................................................ 161<br />

Donato Colangelo<br />

Telomerasi e virus e come marcatori prognostici e diagnostici delle neoplasie polmonari umane<br />

............................................................................................................................................................ 163<br />

Rosanna Coppo<br />

Rete Regionale <strong>Piemonte</strong>se di insufficienza d’organo in età pediatrica: diagnosi, cura, trapianto e<br />

follow-up domiciliare ....................................................................................................................... 165<br />

IX


Giorgio Cortesina<br />

Basi precliniche per un vaccino a DNA contro recidive di carcinomi squamosi HER-2/neu positivi<br />

............................................................................................................................................................ 167<br />

Paolo Cotogni<br />

L’apporto di lipidi nella prevenzione dell’evoluzione del d<strong>anno</strong> polmonare acuto in pazienti in<br />

alimentazione artificiale................................................................................................................... 169<br />

Sandra D'Alfonso<br />

Associazione genetica della Sclerosi Multipla con polimorfismi del gene MOG (myelin<br />

oligodendrocyte glycoprotein) ......................................................................................................... 171<br />

Paola Dalmasso<br />

Le diseguaglianze di salute nell’infanzia e nell’adolescenza in <strong>Piemonte</strong>.................................... 173<br />

Rosa D'ambrosio<br />

Il Profilo di salute della città di Torino........................................................................................... 175<br />

Oliviero Danni<br />

Protezione da parte di estrogeni sull'induzione di beta-secretasi (BACE) indotta da stress<br />

ossidativi............................................................................................................................................ 178<br />

Antonella De Francesco<br />

Qualita' di vita dei pazienti in nutrizione parenterale domiciliare (NPD) di lunga durata e dei loro<br />

caregivers familiari........................................................................................................................... 180<br />

Mario De Marchi<br />

Studio pilota di geni implicati nella suscettibilità al carcinoma prostatico................................. 182<br />

Lucia Decastelli<br />

Modello di valutazione dell’assicurazione della qualita’ dei risultati dei laboratori di<br />

autocontrollo ..................................................................................................................................... 184<br />

Paola Defilippi<br />

Studio dell'adattore p130Cas nelle preneoplasie e nei tumori della mammella: meccanismo<br />

molecolare e studio in vivo............................................................................................................... 186<br />

Maurizio Degiuli<br />

Gastrectomia D2 VS D1 nel trattamento del carcinoma gastrico. studio prospettico multicentrico<br />

randomizzato..................................................................................................................................... 188<br />

Marcello Dei Poli<br />

Espressione di Endoglina come fattore di rischio di recidiva nel carcinoma dell'esofago......... 189<br />

Vittorio Demicheli<br />

Revisione sistematica sull’efficacia e sicurezza della vaccinazione antinfluenzale degli anziani e<br />

dei bambini........................................................................................................................................ 191<br />

Paola Di Giulio<br />

Studio prospettico sull'appropiatezza dei ricoveri in hospice ...................................................... 193<br />

Marco Di Monaco<br />

Vitamina D e recupero funzionale dopo frattura prossimale di femore...................................... 196<br />

Giovanni Di Perri<br />

Ruolo dei test rapidi per HIV e lue associati all'approccio sindromico in una popolazione a rischio<br />

di MST............................................................................................................................................... 198<br />

Maria Flavia Di Renzo<br />

Fattori genetici di predisposizone al carcinoma renale: ricerca e studio funzionale di mutazioni<br />

dei geni MET e fumarasi.................................................................................................................. 201<br />

X


Irma Dianzani<br />

Fattori genetici di rischio per lo sviluppo del mesotelioma maligno da esposizione all'amianto203<br />

Umberto Dianzani<br />

<strong>Ricerca</strong> di marcatori immunologici utili nella valutazione prognostica della sepsi ................... 205<br />

Savina Ditommaso<br />

In tema di infezioni ospedaliere: valutazioni teorico pratiche del lavaggio delle mani ............. 207<br />

Marilena Durazzo<br />

Effetti di un intervento alimentare nel decorso della steatosi epatica e steatoepatite non alcolica<br />

............................................................................................................................................................ 209<br />

Giorgio Emanuelli<br />

Ruolo delle cicloossigenasi 1 e 2 nella trasformazione neoplastica dei polipi del colon ............. 211<br />

Carola Eva<br />

Ruolo del NPY e della sua interazione con il GABA nella farmacologia dell’etanolo ............... 214<br />

Claudio Fabris<br />

Toxoplasmosi: costruzione di una rete per la sorveglianza dell’infezione nella gravida e nel<br />

neonato (Prosecuzione) .................................................................................................................... 216<br />

Fabrizio Faggiano<br />

Fattibilità di uno studio controllato e randomizzato sull'acido folico per la prevenzione delle<br />

gravidanze Down.............................................................................................................................. 218<br />

Secondo Fassino<br />

Prevenzione della cronicizzazione nell’anoressia. Studio dei predittori precoci mediante f-rmi e<br />

test neuropsicologici......................................................................................................................... 220<br />

Elisabetta Fea<br />

Valutazione della diffusione di alimenti contenenti sostanze ad azione estrogenica<br />

commercializzati in <strong>Piemonte</strong> ......................................................................................................... 222<br />

Riccardo Ferracini<br />

Nuovo modello clinico per la quantificazione dell’attivazione degli osteoclasti da parte delle<br />

cellule metastatiche. ......................................................................................................................... 224<br />

Ezio Ferroglio<br />

Indagine sul reale status dell'echinococcosi/idatidosi in <strong>Piemonte</strong> .............................................. 226<br />

Giorgio Fezia<br />

Indagine sierologica sulla presenza di infezione da BIV (Bov Immunodeficency Virus) in bovini<br />

da latte in <strong>Piemonte</strong>.......................................................................................................................... 228<br />

Dario Fontana<br />

<strong>Ricerca</strong> di nuovi markers e antigeni di possibile utilità diagnostica mediante approccio<br />

proteomico nei tumori urologici...................................................................................................... 230<br />

Ettore Fontana<br />

Prevalenza di Listeria monocytogenes nel gorgonzola della <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong>......................... 232<br />

Marco Forni<br />

Espressione dell’MGMT (enzima riparazione DNA) nei gliomi maligni e correlazione con la<br />

risposta alla chemioterapia.............................................................................................................. 234<br />

Paola Francia Di Celle<br />

Utilizzo della Real Time PCR per la quantificazione della MMR in pazienti con LLC-B sottoposti<br />

a terapia con Campath-1 ................................................................................................................. 236<br />

XI


Gianluca Gaidano<br />

Varianti polimorfiche dei geni di riparazione del dna nei linfomi non-Hodgkin B: implicazioni<br />

patogenetiche e cliniche.................................................................................................................... 238<br />

Alberto Gambino<br />

Modello sperimentale di Acute Pain Service a basso costo dell'A.O. S. G. Battista di Torino.. 240<br />

Armando Genazzani<br />

Nuove strategie terapeutiche: la calcineurina come bersaglio nella terapia delle malattie<br />

cardiache e neurodegenerative........................................................................................................ 242<br />

Massimo Geuna<br />

Trapianto allogenico non mieloablativo di cellule staminali nel carcinoma colorettale: studio<br />

dell’assetto immunologico................................................................................................................ 244<br />

Dario Ghigo<br />

<strong>Ricerca</strong> di test per predire la tossicità di materiali fibrosi e di modalità di detossificazione delle<br />

fibre di asbesto .................................................................................................................................. 246<br />

Valeria Ghisetti<br />

Diagnosi rapida di infezioni da patogeni emergenti ...................................................................... 248<br />

Maria Michela Gianino<br />

Indagine conoscitiva sulla diffusione dell'attività di Risk Management nelle Aziende Sanitarie<br />

<strong>Piemonte</strong>si ......................................................................................................................................... 250<br />

Marilena Gili<br />

Sviluppo e validazione di metodi per la determinazione quantitativa di coccidiostatici e<br />

avilamicina in mangimi.................................................................................................................... 252<br />

Giorgio Gilli<br />

Applicazione di campionatori passivi e test biologici nella valutazione dei rischi in ambiente<br />

produttivo.......................................................................................................................................... 254<br />

Maria Teresa Giordana<br />

Validazione di un nuovo metodo di indagine nella diagnosi delle leucodistrofie dell'adulto: il<br />

proteoma della mielina..................................................................................................................... 256<br />

Maria Gabriella Giuffrida<br />

Indagini epidemiologiche sull’insorgenza di allergie ad alimenti geneticamente modificati..... 258<br />

Mariella Goria<br />

Approfondimenti diagnostici ed epidemiologico-molecolari della tubercolosi da M.bovis<br />

nell'uomo e negli animali ................................................................................................................. 260<br />

Maria Ausilia Grassi<br />

Profilo microbiologico di verdure di IV gamma destinate alla ristorazione collettiva............... 263<br />

Carla Grattarola<br />

Infezione da Brucella suis nel cinghiale in <strong>Piemonte</strong>: studio della diffusione in due Ambiti<br />

Territoriali di Caccia........................................................................................................................ 265<br />

Andrea Graziani<br />

Studio dell’espressione di Diacilglicerolo cinasi in tumori epiteliali mediante real time RT-PCR.<br />

............................................................................................................................................................ 267<br />

Dario Gregori<br />

Sviluppo e validazione di modelli previsivi di mortalità in pazienti con diabete di tipo II........ 269<br />

Giorgio Gribaudo<br />

Analisi dei meccanismi dello sviluppo del d<strong>anno</strong> vascolare associato all'infezione con<br />

Citomegalovirus................................................................................................................................ 271<br />

XII


Bartolomeo Griglio<br />

Indagine sulla sicurezza delle carni vendute al dettaglio, in relazione alle differenti tipologie di<br />

vendita ............................................................................................................................................... 273<br />

Gabriella Gruden<br />

Inadeguato trattamento e tardivo riferimento al nefrologo dei pazienti con nefropatia diabetica:<br />

cause e rimedi ................................................................................................................................... 276<br />

Ornella Guardamagna<br />

L’utilità della dieta nell’iperlipemia familiare combinata in età pediatrica............................... 278<br />

Giovanni Carlo Isaia<br />

Fattori di rischio dell'osteoporosi postmenopausale ed incidenza di osteoporosi secondarie nella<br />

popolazione piemontese ................................................................................................................... 280<br />

Ciro Isidoro<br />

Espressione di Catepsina D e di FLIP nella progressione dei linfomi non-Hodgkin: utilità nella<br />

diagnosi e nel follow up.................................................................................................................... 282<br />

Thomas Oliver Jefferson<br />

Revisione sistematica sulla efficacia e sicurezza della vaccinazione contro il Morbillo, la Parotite e<br />

la Rosolia........................................................................................................................................... 284<br />

Simonetta Kerim<br />

Studio di marcatori biologici di progressione e prognosi nel carcinoma prostatico localmente<br />

avanzato. ........................................................................................................................................... 286<br />

Marco Ladetto<br />

Riarrangiamenti non neoplastici di BCL-2: un possibile nuovo fattore di rischio per la genesi del<br />

linfoma follicolare............................................................................................................................. 289<br />

Santo Landolfo<br />

Ruolo dei Papillomavirus (HPV) nella patogenesi dei tumori del distretto testa/collo (HNSCC)291<br />

Maria Agnese Latino<br />

Prevenzione delle infezioni da Chlamydia trachomatis nella popolazione giovanile. ................ 293<br />

Giorgio Leigheb<br />

Studio del meccanismo di azione di analoghi della vitamina D3 nella terapia della psoriasi.... 295<br />

Maurizio Leone<br />

Farmaci per la prevenzione ed il trattamento delle crisi epilettiche da sospensione alcolica: una<br />

revisione Cochrane........................................................................................................................... 297<br />

Antonio Liuzzi<br />

Valutazione dell'arteriopatia periferica in pazienti con obesità grave con sindrome metabolica299<br />

Grazia Lomolino<br />

Revisione sistematica efficacia procedure di lavaggio delle mani per la prevenzione delle infezioni<br />

nosocomiali........................................................................................................................................ 301<br />

Mauro Maccario<br />

Iperaldosteronismo primario nell’ipertensione resistente: prevalenza ed effetti sul d<strong>anno</strong><br />

aterosclerotico precoce..................................................................................................................... 303<br />

Corrado Magnani<br />

Analisi statistica ed epidemiologica dei trends temporali di incidenza dei tumori infantili...... 305<br />

Fabio Malavasi<br />

Anticorpi monoclonali murini e ricombinanti per la diagnosi e la terapia in vivo di lesioni<br />

neoplastiche....................................................................................................................................... 307<br />

XIII


Paolo Manzini<br />

Il donatore di sangue anti-HBc: rischio di trasmissione dell’epatite B con la donazione. ......... 309<br />

Chiara Marinacci<br />

Epidemiologia della disoccupazione nella provincia di Torino .................................................... 311<br />

Luca Marozio<br />

Definizione di protocolli specifici per l'assistenza alla gravidanza in donne extracomunitarie 313<br />

Aldo Martelli<br />

Rischio biologico negli alimenti: studio e applicazione di metodi analitici biotecnologici......... 315<br />

Maria Giovanna Martinotti<br />

Contaminazione ambientale da Aspergillus spp. e incidenza di aspergillosi invasiva in pazienti<br />

ematologici......................................................................................................................................... 317<br />

Massimo Massaia<br />

Ruolo del sistema immunitario nella prevenzione e controllo dell'infezione da aspergillo nei<br />

pazienti oncoematologici.................................................................................................................. 319<br />

Marco Massobrio<br />

Kallikreina Umana 6 (hK6): un nuovo biomarker sierico per screening e prognosi del cancro<br />

ovario ................................................................................................................................................. 321<br />

Lina Matera<br />

Preparazione a scopo terapeutico di vaccino cellulare semiallogenico contro carcinoma prostatico<br />

............................................................................................................................................................ 322<br />

Giuseppe Matullo<br />

Polimorfismi ed espressione dei geni della riparazione del dna in relazione alla prognosi e alla<br />

chemiosensibilita’ ............................................................................................................................. 324<br />

Margherita Meda<br />

Naturale è sempre salutare? Curarsi da soli con le piante officinali è una soluzione o un problema<br />

in più? ................................................................................................................................................ 326<br />

Adalberto Merighi<br />

Correlazione fra condizioni di stabulazione e sviluppo postnatale del sitema nervoso centrale in<br />

animali da esperimento .................................................................................................................... 327<br />

Giuseppe Migliaretti<br />

Asma e inquinamento nella popolazione pediatrica: riduzione dei ricoveri legata ad una<br />

diminuzione dell’esposizione ........................................................................................................... 329<br />

Roberto Miniero<br />

Obesità infantile in <strong>Piemonte</strong>: informatizzazione e percorsi diagnostico-terapeutici comuni nelle<br />

strutture ospedaliere ........................................................................................................................ 331<br />

Francesco Monaco<br />

Strumento di valutazione informatizzato delle prestazioni riabilitative neuromotorie e<br />

muscoloscheletriche.......................................................................................................................... 332<br />

Guido Monga<br />

Il ruolo dei polyomavirus umani e di SV40 nella insorgenza e nello sviluppo dei tumori del<br />

sistema nervoso centrale .................................................................................................................. 334<br />

Franco Mongini<br />

Analisi dei fattori di rischio delle cefalee e del dolore facciale in una comunità di lavoro ........ 337<br />

Giuseppe Montrucchio<br />

Valutazione del ruolo della trombopoietina come fattore di rischio nell'epatocarcinoma e<br />

nell'epatoblastoma............................................................................................................................ 339<br />

XIV


Bruno Morra<br />

Trattamento integrato della patologia allergica naso-sinusale .................................................... 341<br />

Maria Adele Moschella<br />

Rapporto tra atopia e malattia manifesta tra gli alunni delle Scuole Medie Inferiori del Verbano-<br />

Cusio-Ossola ..................................................................................................................................... 343<br />

Carmine Munizza<br />

Reti sociali ed utilizzo dei servizi sanitari e psichiatrici................................................................ 345<br />

Roberto Mutani<br />

Strategie integrative ed alternative nella terapia della sindrome delle apnee ostruttive nel sonno.<br />

............................................................................................................................................................ 347<br />

Roberto Navone<br />

Follow-up delle diagnosi citologiche di "ascus-agus" nello screening per il cervico-carcinoma349<br />

Carlo Nebbia<br />

L’approccio proteomico come metodo alternativo per evidenziare trattamenti con anabolizzanti<br />

in bovini da carne............................................................................................................................. 351<br />

Emanuela Noris<br />

Produzione di vaccini edibili per la prevenzione delle infezioni da Papillomavirus umano ..... 353<br />

Francesco Novelli<br />

Un approccio innovativo nell'identificazione di antigeni tumorali: l'analisi serologica del<br />

proteoma ........................................................................................................................................... 355<br />

Fabio Orlandi<br />

Valutazione del marker di malignità tiroidea galectina-3 in ELISA su eluato da citoaspirato<br />

tiroideo e su siero.............................................................................................................................. 357<br />

Maria Orlando<br />

<strong>Ricerca</strong> sull’incidenza della guarigione dei minori sintomatici correlata al miglioramento della<br />

funzione genitoriale.......................................................................................................................... 359<br />

Giancarlo Orofino<br />

Inserimento della prevenzione HIV nella cura di persone HIV positive: applicazione di linee<br />

guida internazionali ......................................................................................................................... 361<br />

Piero Paccotti<br />

Approccio integrato allo studio della struttura e funzione muscolare: rilievi genetici, biochimici<br />

ed elettromiografici .......................................................................................................................... 363<br />

Gian Franco Pagano<br />

La razionalizzazione della dieta da sola puo’ controllare la sindrome metabolica e il rischio<br />

cardiovascolare connesso?............................................................................................................... 365<br />

Augusta Palmo<br />

Studio prospettico su supplementazione in antiossidanti nei soggetti in nutrizione parenterale<br />

domiciliare long-term....................................................................................................................... 367<br />

Pierino Panarisi<br />

La famiglia in un sistema aziendale: il caregiver come risorsa nelle cura al paziente con problemi<br />

cronici invalidanti............................................................................................................................. 369<br />

Massimiliano Panella<br />

Sperimentazione di un modello di gestione integrata del paziente schizofrenico....................... 371<br />

Marzio Panichi<br />

Studio epidemiologico delle morsicature canine e identificazione di nuove strategie di prevenzione<br />

in <strong>Piemonte</strong> ....................................................................................................................................... 373<br />

XV


Maurizio Parola<br />

Terapia antifibrotica sperimentale cellulo-mirata nella prevenzione delle epatopatie croniche376<br />

Adele Parziale<br />

Ruolo dei polimorfismi del recettore 1 per la melanocortina e del recettore della vitamina D nel<br />

rischio di melanoma ......................................................................................................................... 379<br />

Barbara Pasini<br />

Studio dei fattori genetici di rischio nell'adenocarcinoma gastrico famigliare: una malattia<br />

ereditaria multifattoriale? ............................................................................................................... 381<br />

Guido Pastore<br />

Matrimoni e prole nelle persone, residenti in <strong>Piemonte</strong>, guarite da un tumore maligno insorto in<br />

eta’ pediatrica ................................................................................................................................... 383<br />

Alberto Paudice<br />

Studio pilota per il follow-up degli esiti a lungo termine di un gruppo di pazienti psichiatrici.385<br />

Angelo Penna<br />

Costruzione e applicazione di un percorso integrato tra ospedale e territorio nella gestione dello<br />

scompenso cardiaco.......................................................................................................................... 387<br />

Alberto Piazza<br />

Fattori di rischio genetici associati all'aterosclerosi coronarica e alla restenosi......................... 389<br />

Pavilio Piccioni<br />

Utilizzo di varie fonti informative nello studio della prevalenza di ASMA e BPCO nella città di<br />

Torino ................................................................................................................................................ 391<br />

Antonio Piga<br />

Validazione di uno strumento EBM per l'utilizzo ottimale delle risorse Internet dedicate alla<br />

prevenzione ....................................................................................................................................... 393<br />

Lorenzo Pinessi<br />

Cefalea a grappolo e stili di vita: indagine sui fattori di rischio ambientali e genetici............... 396<br />

Enrico Pira<br />

Modelli per lo studio del comportamento fisiopatologico della cute, a contatto con materiali tessili<br />

utilizzati come DPI ........................................................................................................................... 399<br />

Mario Pirisi<br />

Ferro, determinanti genetici e progressione fibrotica nell’epatite cronica C ............................. 401<br />

Valerio Podio<br />

Miglioramento dell’attivita’ antalgica della terapia radiometabolica in pazienti con metastasi<br />

ossee ................................................................................................................................................... 403<br />

Giuseppe Poli<br />

Colesterolo ossidato e marcatori di risposta infiammatoria nei pazienti a rischio vascolare.... 405<br />

Antonio Ponzetto<br />

Il carcinoma epatocellulare e infezione da virus dell'epatite C. Identificazione di fattori di rischio<br />

associati.............................................................................................................................................. 407<br />

Carola Ponzetto<br />

I sarcomi a piccole cellule: nuove prospettive diagnostiche e terapeutiche................................. 408<br />

Maria Prat<br />

Anticorpi monoclonali contro il recettore Met nella prevenzione e terapia di infezioni da Listeria<br />

monocytogenes .................................................................................................................................. 410<br />

XVI


Michele Presutti<br />

Costruzione e applicazione di un sistema di indicatori per la misurazione della qualita’<br />

dell’assistenza domiciliare ............................................................................................................... 412<br />

Giulio Preti<br />

Studio dei fattori che regolano interfaccia tessuti-impianti per terapia di supporto in pazienti con<br />

traumi o neoplasie ............................................................................................................................ 414<br />

Vito Marco Ranieri<br />

Ventilazione non invasiva (CPAP) per prevenire l’insufficienza respiratoria acuta nel paziente<br />

chirurgico: studio randomizzato..................................................................................................... 415<br />

Daniele Regge<br />

Ruolo della colonscopia virtuale nell’identificare lesioni neoplastiche in soggetti con rischio<br />

familiare o personale........................................................................................................................ 417<br />

Corrado Rendo<br />

Continuità assistenziale in gravidanza, parto e puerperio e individuazione di percorsi differenziati<br />

e flessibili........................................................................................................................................... 419<br />

Gabriella Restagno<br />

Ottimizzazione della diagnosi molecolare di mutazioni causa di sordità congenita mediante<br />

tecnologie miniaturizzate................................................................................................................. 421<br />

Umberto Ricardi<br />

Radioterapia stereotassica ipofrazionata del carcinoma broncogeno non a piccole cellule in stadio<br />

I .......................................................................................................................................................... 423<br />

Lorenzo Richiardi<br />

Incidenza del tumore del testicolo in <strong>Piemonte</strong> e aree del Sud Europa: trend temporali e<br />

differenze geografiche...................................................................................................................... 425<br />

Franco Ripa<br />

Lo sviluppo degli indicatori professionali per il miglioramento della performance clinica e della<br />

qualità................................................................................................................................................ 427<br />

Menico Rizzi<br />

Studi strutturali e funzionali di NadN di Haemophilus influenzae: un potenziale candidato per lo<br />

sviluppo di un vaccino...................................................................................................................... 429<br />

Patrizia Robino<br />

Identificazione di Helicobacter enterici in specie aviari e nell'uomo con metodi tradizionali e<br />

biomolecolari .................................................................................................................................... 431<br />

Rodolfo Rocca<br />

Neurolisi plesso celiaco nella palliazione del dolore neoplastico: confronto della tecnica<br />

radiologica e ecoendoscopica........................................................................................................... 433<br />

Giovanni Rolla<br />

Valore predittivo di asma della misura di NO nell’aria espirata nei pazienti rinitici con sintomi<br />

simil-asmatici.................................................................................................................................... 435<br />

Sergio Rosati<br />

Sviluppo di nuovi test sierologici gE-ELISA per il controllo della Rinotracheite Infettiva del<br />

Bovino (IBR)..................................................................................................................................... 437<br />

Floriano Rosina<br />

Ruolo dei polimorfismi dei geni immunoregolatori nella risposta alla terapia antivirale<br />

nell’epatite cronica C ....................................................................................................................... 439<br />

XVII


Daniela Rossi<br />

Integrazione della “memoria artificiale” nella cartella clinica per studio, diagnosi e terapia delle<br />

malattie rare...................................................................................................................................... 441<br />

Ferdinando Rossi<br />

Protezione e riparazione di circuiti nervosi mediante trapianti cellulari in modelli di patologie<br />

neurodegenerative ............................................................................................................................ 442<br />

Filiberto Rossi<br />

I Giovani contro il doping................................................................................................................ 444<br />

Stefano Rosso<br />

Prevenzione dei tumori cutanei: sviluppo di un test biochimico per l'individuazione di gruppi ad<br />

alto rischio ......................................................................................................................................... 446<br />

Giuseppe Ru<br />

Stima di denominatori della popolazione canina su un area pilota: aggiustamento dei dati di<br />

anagrafe a fini sanitari ..................................................................................................................... 448<br />

Roberto Russo<br />

Criteri di appropriatezza di prestazioni ambulatoriali utili a definire contratti tra ASL e strutture<br />

accreditate ......................................................................................................................................... 450<br />

Giuseppe Saglio<br />

<strong>Ricerca</strong> di marcatore molecolare per l’identificazione di pazienti affetti da Policitemia Vera e<br />

Trombocitemia Essenziale. .............................................................................................................. 452<br />

Mauro Salizzoni<br />

Valutazione del reflusso gastroesofageo non acido mediante impedenziometria intraluminale<br />

esofago-gastrica................................................................................................................................. 454<br />

Bruna Santini<br />

Gli acidi grassi strutturali nella dieta dei bambini in età scolare: valutazione qualitativa e<br />

quantitativa dell’apporto ................................................................................................................. 455<br />

Claudio Santoro<br />

Identificazione e clonaggio di nuovi auto-antigeni associati al diabete mellito di tipo1 (T1DM)457<br />

Alberto Sartoris<br />

Infezione e stati carenziali quali fattori predisponenti l'insorgenza della malattia degenerativa e<br />

neoplastica ORL ............................................................................................................................... 459<br />

Luca Scaglione<br />

Valutazione dell'uso della profilassi antitrombotica nei pazienti con fibrillazione atriale nonvalvolare<br />

............................................................................................................................................ 461<br />

Giorgio Vittorio Scagliotti<br />

Farmacogenetica della risposta ai derivati del platino in pazienti affetti da carcinoma polmonare<br />

............................................................................................................................................................ 463<br />

Maria Pia Schieroni<br />

Progetto per la mobilizzazione pazienti degenti per il miglioramento dell’outcome e il<br />

contenimento della spesa sanitari.................................................................................................... 465<br />

Giuseppe Scielzo<br />

Determinazione delle dosi assunte da operatori, pazienti famigliari e popolazione nell'impiego<br />

terapeutico di iodio 131.................................................................................................................... 468<br />

Leandra Silvestro<br />

Prevenzione dell’obesita’ in eta’ pediatrica: correlazione fra alimentazione e metabolismo<br />

ormonale nel primo <strong>anno</strong>................................................................................................................. 470<br />

XVIII


Fabiola Sinigaglia<br />

Fattori di rischio trombotico: indagini sul meccanismo d’azione di estrogeni, progestinici e<br />

colesterolo.......................................................................................................................................... 472<br />

Piero Sismondi<br />

DNA microarray dedicati per la diagnosi di diverse forme cliniche di carcinoma mammario 474<br />

Vincenzo Soardo<br />

Sicurezza alimentare e prodotti fitosanitari. Elaborazione di un percorso formativo per gli addetti<br />

alla vendita........................................................................................................................................ 476<br />

Bruno Sona<br />

Bio-sicurezza negli allevamenti suinicoli: verifica dell’attuale situazione, valutazione e<br />

proposizione di un piano di adeguamento...................................................................................... 478<br />

Giovanni Succo<br />

Nuovi percorsi diagnostici in rinologia pediatrica ........................................................................ 481<br />

Nicola Surico<br />

Ipotiroidismo subclinico da carenza iodica in gravidanza. Valutazione nella popolazione novarese<br />

............................................................................................................................................................ 483<br />

Luca Tamagnone<br />

Semaforine e loro recettori come obiettivo diagnostico e terapeutico nel trattamento dei tumori<br />

umani................................................................................................................................................. 485<br />

Martina Tarantola<br />

Studio di alcuni parametri correlati allo stress nel vitellone........................................................ 487<br />

Corrado Tarella<br />

Lunghezza del telomero come marker di istopatogenesi nelle patologie linfoproliferative mature<br />

della serie........................................................................................................................................... 489<br />

Pierpaolo Terragni<br />

ARDS e ventilazione oscillatoria ad alta frequenza nella prevenzione della VILI: analisi delle<br />

immagini TAC .................................................................................................................................. 491<br />

Luciana Tessitore<br />

p27 Kip1 , un nuovo marcatore delle lesioni preneoplastiche colorettali......................................... 493<br />

Mauro Torchio<br />

Le linee guida computerizzate come strumento di supporto alla decisione interattivo con la<br />

cartella clinica................................................................................................................................... 495<br />

Pier-angelo Tovo<br />

Impiego di TaqMan PCR per la diagnosi precoce, il follow-up e la terapia di bambini con<br />

infezione perinatale da HCV ........................................................................................................... 497<br />

Anna Chiara Trompeo<br />

Influenza dell'analgesia e della sedazione sullo svezzamento del paziente dal ventilatore in<br />

Terapia Intensiva ............................................................................................................................. 499<br />

Mariella Trovati<br />

Modelli organizzativi per l'automonitoraggio glicemico nel diabete di tipo 2: valutazione del<br />

rapporto costi-benefici. .................................................................................................................... 501<br />

Giancarlo Ugazio<br />

Monitoraggio delle particelle ultrafini nell’ambiente di vita e di lavoro, indoor e outdoor...... 503<br />

Giovanni Vacca<br />

Trattamento farmacologico dello shock cardiogeno ..................................................................... 504<br />

XIX


Sergio Vai<br />

Individuazione precoce dei difetti congeniti diagnosticabili in epoca neonatale ........................ 506<br />

Adriano Vanni<br />

Determinazione di prodotti tossici di trasformazione di fitofarmaci nei controlli sulla sicurezza di<br />

prodotti alimentari ........................................................................................................................... 508<br />

Franco Veglio<br />

Dosaggio degli steroidi ibridi serici e urinari nella diagnosi differenziale dell’iperaldosteronismo<br />

primitivo............................................................................................................................................ 511<br />

Alessandro Vercelli<br />

Neuroprotezione nella retina ischemica e glaucomatosa .............................................................. 513<br />

Elisabetta Versino<br />

Tubercolosi a Torino nel XXI secolo: ruolo dei determinanti socio ambientali ......................... 514<br />

Alessandro Vigo<br />

Utilità della Polisonnografia nel percorso diagnostico-assistenziale di patologie pediatriche<br />

(OSAS, ALTE, Prematuranza)........................................................................................................ 516<br />

Marco Vincenti<br />

Sviluppo di metodi analitici per l'individuazione e la quantificazione di microinquinanti negli<br />

alimenti.............................................................................................................................................. 519<br />

Elsa Viora<br />

Valutazione dell’appropriatezza dell’ecografia in gravidanza dopo adeguata preparazione degli<br />

operatori............................................................................................................................................ 521<br />

Pierantonio Visentin<br />

Benchmarking sulla sicurezza delle attività sanitarie e di ricerca ............................................... 523<br />

Enrico Zanalda<br />

Patologia mentale e disabilita' sociale: "un modello di intervento per la prevenzione e la<br />

riabilitazione in ambito lavorativo"................................................................................................ 526<br />

Maria Maddalena Zanone<br />

Espressione della nefrina nell’endotelio delle isole pancreatiche: ruolo nel diabete di tipo 1 e nel<br />

trapianto di isole ............................................................................................................................... 529<br />

Gian Paolo Zara<br />

La Farmacogenetica per l’individualizzazione della terapia e la prevenzione delle reazioni avverse<br />

da farmaci.......................................................................................................................................... 531<br />

Alessandro Zennaro<br />

Valutazione dell’intervento terapeutico residenziale: indicatori di esito clinico e verifica di qualità<br />

dell’intervento................................................................................................................................... 533<br />

Paolo Zola<br />

Ossigenazione tumorale e COX2: fattori predittivi di risposta alla chemioterapia e di prognosi nel<br />

cervicocarcinoma.............................................................................................................................. 535<br />

Carla Maria Zotti<br />

Le infezioni chirurgiche nel post-parto: studio di incidenza su parti cesarei e parti vaginali... 537<br />

XX


Maria Cesarina Abete Filone tematico B3<br />

Sviluppo di un metodo basato sulla spettroscopia IR per rintracciare<br />

tessuti ossei di specie animali diverse in mangimi<br />

Istituto Zooprofilattico Sperimentale del <strong>Piemonte</strong>, Liguria e Valle D’Aosta<br />

Centro di referenza nazionale per la sorveglianza e il controllo degli alimenti per gli animali<br />

Il lavoro di ricerca ha riguardato studi basati sulla spettroscopia vibrazionale sia del vicino<br />

(NIR) che del medio (MIR) infrarosso. Lo studio, condotto a livello molecolare, sulla struttura<br />

di costituenti di origine animale quali farine di carne e ossa, ha consentito di sfruttare<br />

specifiche proprietà di questi materiali per la messa a punto di un metodo innovativo d’analisi<br />

per la loro individuazione in matrici complesse quali gli alimenti ad uso zootecnico.<br />

Tale esigenza nasce dal fatto che la metodica ufficiale per la ricerca di costituenti animali nei<br />

mangimi, prevalentemente frammenti ossei, risulta essere basata su valutazioni soggettive<br />

condizionate dall’esperienza dell’operatore; l’identificazione del costituente animale avviene<br />

infatti tramite riconoscimento visivo al microscopio ottico da parte di un operatore esperto<br />

senza alcun supporto di un dato analitico oggettivo. Si deve inoltre sottolineare che la<br />

normativa di riferimento, che vieta la somministrazione di farine animale di qualsiasi origine<br />

zoologica ai ruminanti, consente l’utilizzo di farine di pesce per i non ruminanti (suini, pesci<br />

pollame) e questo comporta la necessità di poter distinguere frammenti ossei di specie animali<br />

differenti in modo accurato.<br />

Studi precedenti h<strong>anno</strong> dimostrato che la spettroscopia NIR, in particolare una sua<br />

applicazione innovativa definita microscopia FT-NIR, è in grado di discriminare in modo<br />

accurato un frammento osseo da un frammento vegetale e minerale. Tale applicazione<br />

prevede infatti un microscopio interfacciato allo spettrometro di configurazione classica,<br />

coniugando le potenzialità della microscopia ottica (possibilità di analizzare singoli<br />

frammenti), a quelle di un analisi strumentale. I campioni (mangimi), vengono trattati con<br />

tetracloroetilene, secondo metodica ufficiale (D.M. 9/9/2004). Sul sedimento più pesante,<br />

ottenuto per separazione gravimetrica dal trattamento con il solvente, viene condotta l’analisi<br />

NIR. La prima parte dello studio ha riguardato la messa a punto della metodica in microscopia<br />

NIR per la ricerca di frammenti ossei al fine di un’applicazione nella routine. La metodologia<br />

è stata pensata e sviluppata come metodo di screening in grado di fornire una risposta in<br />

termini di presenza - assenza di costituente animale nel mangime. Tale tecnica non si è<br />

dimostrata capace tuttavia di identificare con la stessa accuratezza frammenti ossei di specie<br />

animali differenti. Da qui la necessità di un metodo complementare, parimenti oggettivo, che<br />

potesse dare indicazioni più precise sulla specie zoologica di appartenenza a partire dal<br />

singolo frammento osseo.<br />

E’ noto che il tessuto osseo è costituito da una parte organica costituita sostanzialmente dalle<br />

fibrille di collagene, e da una matrice inorganica, principalmente idrossiapatite, nella quale le<br />

fibrille sono immerse. Gli spettri NIR presentano solo bande originate da sovratoni dei legami<br />

-CH, -OH, - NH, -SH e bande di combinazione di vibrazioni fondamentali di questi gruppi<br />

funzionali e di quelle dei legami C=O e C=C, pertanto la spettroscopia NIR ha assorbimenti<br />

riferibili soltanto alla materia organica mentre è “silente” per la parte inorganica. Dal<br />

momento che la struttura della parte organica del tessuto osseo non varia significativamente al<br />

variare della specie animale, ottenendo infatti spettri NIR di tessuti ossei di specie animali<br />

1


diverse poco differenziati tra loro, si è ritenuto di studiare la matrice inorganica al fine di<br />

evidenziare rilevanti caratteristiche strutturali utili per il riconoscimento della specie animale.<br />

Tale studio è stato condotto mediante l’applicazione della spettroscopia del medio infrarosso<br />

(MIR), essendo una tecnica semplice, e in grado di indagare la struttura inorganica del tessuto<br />

osseo.<br />

Per questo studio sono stati ottenuti frammenti ossei di specie animali da farine pure di carne<br />

e ossa di specie bovina, aviaria (pollo), suina ed ittica (farina di pesce misto), per<br />

sedimentazione con solvente ad alta densità (tetracloetilene), seguendo la stessa procedura per<br />

l’analisi dei campioni ufficiali. Successivamente sono stati acquisiti gli spettri nella regione<br />

spettrale del medio infrarosso (MIR) in riflettanza totale attenuata (ATR) sia sulle polveri,<br />

ottenute dalla macinazione di una grande quantità di differenti frammenti, così da ottenere<br />

spettri indicativi della composizione media dei tessuti ossei, sia su singoli frammenti con cella<br />

micro-ATR, come applicazione ai campioni reali.<br />

Studi sui frammenti ossei tal quali h<strong>anno</strong> evidenziato lievi ma significative differenze fra gli<br />

andamenti degli spettri MIR di frammenti ossei di specie animali diverse. Tali differenze si<br />

evidenziano particolarmente nella regione spettrale compresa tra 1250-850 cm-1, che si<br />

riferisce agli assorbimenti dovuti ai gruppi fosfato e carbonato che costituiscono la matrice<br />

minerale. Oltre ad uno studio spettrale nel range considerato, dall’insieme dei dati ottenuti e’<br />

stato desunto un primo criterio di identificazione basato sul valore del rapporto delle intensità<br />

delle componenti spettrali a 1030, 960 e 870 cm-1. Tale studio ha messo in evidenza che<br />

frammenti ossei di origine ittica risultano facilmente distinguibili dai frammenti ossei delle<br />

altre specie animali.<br />

Difficoltà permangono nella distinzione fra le altre specie animali. Un primo trattamento dei<br />

dati con tecniche di elaborazione chemiometrica quali l’analisi delle componenti principali<br />

(PCA), la regressione delle componenti principali (PCR) e la cluster analisi (CA), ha portato<br />

alle medesime conclusioni.<br />

Al termine della ricerca un’ulteriore approfondimento bibliografico ha messo in evidenza che<br />

semplici trattamenti fisici quali la calcinazione dei frammenti ossei, potrebbero mettere in<br />

evidenza differenze e caratteristiche strutturali fra tessuti ossei di differente origine animale.<br />

2


Massimo Aglietta Filone tematico C1<br />

Identificazione di possibili meccanismi di resistenza al trattamento con<br />

Herceptin in pazienti con carcinoma mammario<br />

U.O.A. Oncologia Medica ed Ematologica - Candiolo<br />

L’attività di ricerca nell’ambito dello studio della resistenza al trattamento con trastuzumab di<br />

carcinomi mammari iperesprimenti HER2 si è articolata in due parti:<br />

1) Continuazione di Herceptin in pazienti in progressione dopo un iniziale regime<br />

contenente Herceptin in pazienti con carcinoma mammario HER2 positivo.<br />

Osservazioni precliniche indicano che Herceptin potrebbe essere efficace anche in presenza di<br />

progressione di malattia rallentando la crescita tumorale, h<strong>anno</strong> portato alla formulazione di<br />

ipotesi cliniche di “prosecuzione” di tale trattamento. Mackey (2002), Fountzilas (<strong>2003</strong>),<br />

Tripathy (2004) h<strong>anno</strong> evidenziato su limitate casistiche retrospettive, che la prosecuzione di<br />

un trattamento con Herceptin da solo o in combinazione con altri farmaci citostatici dopo<br />

progressione in corso di un regime iniziale contenente Herceptin è fattibile e sicuro in pazienti<br />

con carcinoma mammario avanzato HER2 positivo. Come conseguenza, nonostante l’assenza<br />

di studi prospettici randomizzati, numerosi oncologi considerano la prosecuzione di Herceptin<br />

dopo una progressione come un approccio ragionevole nella pratica clinica corrente.<br />

METODI<br />

Da un database di 165 pazienti con carcinoma mammario HER2 positivo (HercepTest 2/3+ o<br />

FISH +) abbiamo identificato 120 pazienti progrediti durante o dopo un iniziale trattamento<br />

con un regime contenente Herceptin.<br />

RISULTATI<br />

Undici pazienti h<strong>anno</strong> sospeso il trattamento con Herceptin prematuramente a causa di<br />

tossicità o di una decisione personale (durata media del trattamento 3 settimane, range 1-9<br />

settimane). Dei restanti 109 pazienti, 19 h<strong>anno</strong> ricevuto solo terapia di supporto; 31 h<strong>anno</strong><br />

proseguito Herceptin; 59 h<strong>anno</strong> sospeso Herceptin e ricevuto chemioterapia (52) o<br />

endocrinoterapia (7). Al tempo dell'ultima analisi, 76 pazienti sono deceduti (follow-up<br />

mediano 17 mesi; range 1,2-60,8). I pazienti in progressione di malattia che avevano potuto<br />

ricevere terapia aggiuntiva h<strong>anno</strong> avuto andamenti clinici simili, indipendentemente dall’aver<br />

continuato o no Herceptin dopo la progressione. Dato l’alto costo del trattamento con<br />

Herceptin, la strategia terapeutica in questa tipologia di pazienti necessita probabilmente di<br />

una ulteriore valutazione in studi prospettici randomizzati.<br />

2) Valore prognostico e predittivo dell’espressione e dell’attivazione di membri e ligandi<br />

della famiglia di EGFR in carcinomi mammari umani iperesprimenti HER2.<br />

Evidenze precliniche e cliniche provenienti dalla nostra istituzione e da altri gruppi,<br />

suggeriscono che l’attivazione delle vie di trasduzione del segnale mediate da membri della<br />

famiglia dell’EGFR potrebbero avere un ruolo nello sviluppo di resistenza “ab initio” o<br />

acquisita nel trattamento con regimi contenenti Herceptin. Per indagare ulteriormente questo<br />

problema, abbiamo selezionato tessuti neoplastici provenienti da una serie di pazienti<br />

3


consecutivi con carcinoma mammario metastatico iperesprimente HER2 e trattate con<br />

Herceptin da solo o in associazione a qualunque chemioterapia per valutare:<br />

i) Il valore prognostico e predittivo di una positività immunoistochimica (analisi<br />

semiquantitativa con score da 0+ a 3+) per TGFa, EGFR, EGFR fosforilato,<br />

HER2, HER2 fosforilato, HER3, HER4, HER4 fosforilato, e l’impatto sulla<br />

risposta tumorale, il tempo a progressione e la sopravvivenza globale.<br />

ii) Dove il tessuto neoplastico fosse stato disponibile prima e dopo la progressione, se<br />

TGFa, EGFR, EGFR fosforilato, HER2, HER2 fosforilato, HER3, HER4, HER4<br />

fosforilato, potessero essere implicati nello sviluppo di resistenza acquisita.<br />

METODI:<br />

Analisi immunoistochimiche per TGFa, EGFR, EGFR fosforilato, HER2, HER2 fosforilato,<br />

HER3, HER4, HER4 fosforilato su tumori primitivi sono state eseguite su 63 pazienti dei 120<br />

pianificati e su cinque metastatasi (4 metastasi epatiche e un neoplasia controlaterale)<br />

cresciute durante il trattamento con un regime terapeutico contenente Herceptin. Il valore<br />

predittivo della risposta tumorale sarà studiato con un’analisi univariata con un test Chi<br />

Quadrato; il valore prognostico dell’espressione sarà studiato con un’analisi univariata di<br />

sopravvivenza libera da progressione e sopravvivenza globale utilizzando il metodo di Kaplan<br />

Meyer.<br />

RISULTATI PRELIMINARI: la prevalenza di TGFa, EGFR, EGFR fosforilato, HER2 e<br />

HER2 fosforilato HER3, HER4, HER4 fosforilato nei tessuti neoplastici analizzati è risultata<br />

sovrapponibile a quella della letteratura.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

Valabrega G, Montemurro F, Sarotto I, Petrelli A, Rubini P, Tacchetti C, Aglietta M,<br />

Comoglio PM, Giordano S. TGFalpha expression impairs Trastuzumab-induced HER2<br />

downregulation. Oncogene. 2005; 24:3002-10<br />

Montemurro F, Redana S, Valabrega G, Aglietta M. Controversies in breast cancer: adjuvant<br />

and neoadjuvant therapy. Expert Opin Pharmacother. 2005; 6:1055-72<br />

4


Emanuele Albano Filone tematico A2<br />

Caratterizzazione di nuovi marcatori immunologici della progressione<br />

della malattia aterosclerotica<br />

Università “A. Avogadro” del <strong>Piemonte</strong> Orientale<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Alcuni recenti studi indicano che la presenza di anticorpi verso lipoproteine a bassa densità<br />

(LDL) modificate per ossidazione costituiscono un fattore predittivo della evoluzione di<br />

patologie aterosclerotiche. Tuttavia, le possibili applicazioni cliniche del dosaggio tali<br />

anticorpi sono piuttosto limitate a causa della loro scarsa caratterizzazione dal punto di vista<br />

della specificità antigenica.<br />

OBIETTIVO DEL PROGETTO<br />

Scopo del presente progetto è di ottenere una migliore caratterizzazione della risposta<br />

anticorpale associata alla malattia aterosclerotica al fine di sviluppare test immunologici utili<br />

per la valutazione della evolutività della malattia.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Per questo studio sono stati reclutati presso la Divisione di Chirurgia Vascolare dell’Ospedale<br />

Maggiore della Carità in Novara 30 pazienti con aterosclerosi conclamata e 30 soggetti di<br />

controllo omogenei per sesso ed età ma senza evidenze di patologie aterosclerotiche il cui<br />

siero è stato utilizzato per la valutazione tramite tests immunoenzimatici (enzyme-linked<br />

immunosorbent assay, ELISA) della presenza di reattività anticorpale verso antigenici<br />

generati dalla reazione di albumina umana con prodotti terminali della perossidazione lipidica<br />

quali malondialdeide (MDA), 4-idrossinonenale, (HNE), nonché verso fosfolipidi<br />

(cardiolipina, fosfatidilcolina) e LDL ossidate. Sebbene il gruppo di soggetti vasculopatici<br />

dimostrasse titoli di anticorpi verso tutti gli antigeni testati significativamente maggiori dei<br />

soggetti di controllo la percentuale di individui con valori superiori al 95° percentile dei<br />

controlli risultava relativamente bassa (circa 20-25%) ad eccezione che nei test dove venivano<br />

impiegate come antigeni LDL ossidate (percentuale di positivi pari al 44%). Ciò indica che la<br />

specificità antigenica degli anticorpi verso le LDL ossidate non coinvolge ne gli addotti<br />

aldeidici a proteine ne la presenza di anticorpi verso fosfolipidi ossidati. Tuttavia, alla luce di<br />

alcune recenti osservazioni in modelli animali di aterosclerosi si è osservato che i pazienti con<br />

aterosclerotici presentavano una specifica reattività anticorpale (53% di positivi) nei riguardi<br />

di addotti formati dalla reazione fra fosfatidilcolina ossidata ed albumina umana (OxPC-<br />

HSA). Una simile reattività (54% di positivi) era anche presente in un gruppo di 40 pazienti<br />

con coronaropatia ischemica. Inoltre in entrambi i gruppi si evidenziava una buona<br />

correlazione fra i titoli di anticorpi verso OxPC-HSA e quelli verso LDL ossidate (r=0.83;<br />

p


utilizzando 1-arachidonil-2-steatoril-fosfatidilcolina ossidata. h<strong>anno</strong> evidenziato che<br />

l’incubazione dei sieri umani con fosfoglicerocolina riduce di circa il 35% la capacita di<br />

legame degli anticorpi. Al contrario, l’esposizione dei sieri ad addotti formati dalla reazione<br />

fra HSA ed acido arachidonico ossidato riduceva del 62% la reattività nei riguardi di OxPC-<br />

HSA. Inoltre si è osservato che mentre i sieri di pazienti con vasculopatia aterosclerotica<br />

riconoscono in maniera analoga arachidonil-OxPC-HSA ed HSA complessata con acido<br />

arachidonico ossidato, non presentano invece reattività verso linoleil-Ox-PC ed addotti fra<br />

HSA ed acido linoleico ossidato. Da questi dati era possibile concludere che gli anticorpi<br />

diretto verso OxPC-HSA riscontrati in alta frequenza nei soggetti con vasculopatia<br />

aterosclerotica riconoscono principalmente composti generati dalla reazione di aminoacidi<br />

con prodotti derivati dallo ossidazione dell’acido arachidonico presente in specifiche forme di<br />

fosforilcolina. A tale proposito recenti ricerche del gruppo di Salamon h<strong>anno</strong> evidenziato che<br />

la reazione tra i gruppi aminici di lisina ed i prodotti ossidazione di arachidonilfosfatidilcolina<br />

o linoleil-fosfatidilcolina genera composti alchil-pirrolici caratterizzati da una<br />

diversa struttura del sostituente alchilico a seconda dell’acido grasso da cui originano (Kaur et<br />

al. Chem Res Toxicol 1997;10:1387-96). Su questa base è possibile ipotizzare che gli addotti<br />

riconosciuti dagli anticorpi presenti nei sieri dei pazienti con aterosclerosi abbiano la struttura<br />

di 2-(carbossipentil)-pirrolo.<br />

Ulteriori informazioni sulla struttura chimica degli antigeni in studio è venuta da esperimenti<br />

condotti utilizzando come donatore di gruppi aminici rispettivamente poli-lisina o poliarginina.<br />

Si è osservato infatti che mentre il 50% dei sieri utilizzati ha dimostrato di avere<br />

titoli di anticorpi verso poli-lisina complessata con acido arachidonico ossidato superiori al<br />

95° percentile dei sieri di controllo, questa percentuale sale al 89% se si utilizza poli-arginina<br />

complessata con acido arachidonico ossidato. Ciò suggerisce che la possibile presenza di due<br />

gruppi di anticorpi di cui uno verosimilmente diretto verso strutture 2-(carbossipentil)pirroliche<br />

legate a lisina ed un altro, con maggiore specificità per la vasculopatia<br />

aterosclerotica, capace di riconoscere addotti per ora non ancora identificati, complessati con<br />

arginina.<br />

CONCLUSIONI<br />

Queste osservazioni indicano che gli anticorpi diretti verso i prodotti generati dall’ossidazione<br />

della fosfatidilcolina possano costituire un nuovo marcatore per valutare il coinvolgimento di<br />

reazioni immunitarie verso le LDL ossidate nella progressione della malattia aterosclerotica<br />

6


Roberto Albera Filone tematico C1<br />

Potenziali evocati uditivi automatici nello screening della sordità<br />

congenita nei centri di terapia intensiva neonatale<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Fisiopatologia Clinica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

L’ipoacusia congenita bilaterale grave e gravissima ha una prevalenza di 1/1000. Questo<br />

valore può aumentare anche di 10 volte se si considerano i neonati con fattori di rischio per la<br />

sordità (vedi classificazione dalla Joint Committee of Infant Hearing). Inoltre studi in<br />

letteratura riportano una frequenza di sordità dovuta a neuropatia uditiva significativamente<br />

maggiore nei neonati ricoverati nelle unità di terapia intensiva. Rientrano nel quadro della<br />

neuropatia uditiva quei casi in cui il d<strong>anno</strong> è a livello delle cellule ciliate interne o della<br />

giunzione cito-neurale. Questi quadri patologici non sono diagnosticabili con il solo utilizzo<br />

delle emissioni otoacustiche poiché il pattern caratteristico di queste consiste nella presenza<br />

delle emissioni otoacustiche in assenza dei potenziali evocati uditivi del tronco encefalico. La<br />

registrazione dei potenziali evocati uditivi del tronco (ABR) in modo tradizionale prevede<br />

l’utilizzo di uno strumento voluminoso ed ingombrante; l’intensità dello stimolo è regolabile a<br />

piacere e parte da 90 dB nHL e il risultato deve essere refertato da un medico specialista. I<br />

progressi in campo tecnologico degli ultimi 10 anni h<strong>anno</strong> permesso la realizzazione di<br />

strumenti di piccole dimensioni, portatili, in grado di registrare i potenziali evocati uditivi del<br />

tronco in modalità automatica (AABR) con uno stimolo di 35 dB HL di intensità.<br />

OBIETTIVO del PROGETTO<br />

Scopo del nostro studio è stato quello di valutare l’affidabilità di questi nuovi strumenti di<br />

screening.<br />

METODI<br />

Al fine di eseguire lo studio abbiamo valutato 200 bambini, reclutati nelle unità di terapia<br />

intensiva del S. Anna e del Regina Margherita, nel periodo da ottobre <strong>2003</strong> a ottobre 2004.<br />

Questi 200 casi sono stati sottoposti alla registrazione delle emissioni otoacustiche e<br />

dell’ABR, sia in modalità automatica con lo strumento Accu-Screen della MADSEN, sia in<br />

modalità tradizionale con lo strumento MK 22 dell’AMPLIFON, al fine di valutare<br />

l’affidabilità dello strumento automatico.Non si sono verificate discordanze tra le registrazioni<br />

dell’ABR ottenute con lo strumento convenzionale dell’AMPLIFON e quelle ottenute con<br />

Accu Screen della MADSEN. L’AABR si è dimostrato un test affidabile e di facile utilizzo; i<br />

risultati sono di immediata comprensione e non necessitano dell’interpretazione da parte del<br />

medico specialista. L’utilizzo di questo strumento risulta indispensabile per le neonatologie<br />

che eseguono lo screening audiologico nei neonati a rischio ma può essere anche ampiamente<br />

utilizzato per lo screening nei neonati fisiologici. In questo modo i casi risultati positivi allo<br />

screening con le emissioni otoacustiche possono essere sottoposti all’AABR prima di essere<br />

inviati ai centri audiologici per gli accertamenti di II livello, diminuendo notevolmente i costi<br />

dello screening.<br />

7


RISULTATI<br />

Dai dati raccolti tra gennaio 2002 e gennaio 2005 dal nostro centro, che svolge attività<br />

diagnostica di II livello, utilizzando l’AABR da circa 2 anni, 12 bambini sono risultati sordi; 4<br />

erano neonati a rischio e 8 fisiologici. In 10 casi (83%) il sospetto era presente fin dalla prima<br />

fase dello screening (emissioni otoacustiche assenti). In 2 casi (17%) una ipoacusia di grave<br />

entità è stata diagnosticata a 14 e a 12 mesi dopo la nascita, durante il follow-up, impostato<br />

per pregressa infezione intrauterina da citomegalovirus. Attualmente sono in corso di<br />

valutazione 3 bambini in cui l’esame ABR, eseguito in modalità automatica utilizzando Accu<br />

Screen della MADSEN, è risultato positivo.<br />

8


Oscar Argentero Filone tematico A3<br />

Il fattore umano negli infortuni sul lavoro<br />

ASL 8 - Servizio Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

L’indagine psicologica, finalizzata allo studio della relazione tra percezione del rischio ed<br />

infortuni sul lavoro, ha evidenziato il peso di alcune variabili cognitive nella percezione del<br />

rischio stesso. Si è rilevato, tra l’altro, come la percezione del rischio sia influenzata dalla<br />

convinzione di poterlo controllare o evitare, dalle valutazioni circa il suo grado di pericolosità,<br />

dalle opinioni riferite alla personale esposizione ai diversi fattori di rischio e dal livello di<br />

conoscenze possedute; sussiste, tuttavia, un certo grado di disaccordo sia sulla natura delle<br />

relazioni tra tali variabili sia sul peso che assumono nel determinare un evento infortunistico.<br />

OBIETTIVI E METODI<br />

La presente ricerca si pone l’obiettivo di esaminare la percezione del rischio infortunistico nel<br />

settore tipografico, prendendo in considerazione sia alcune determinanti cognitive, sia<br />

elementi riferiti alle personali esperienze professionali.<br />

Il contesto organizzativo nel quale si è svolta l’indagine è un’industria tipografica del nord<br />

Italia che produce per conto terzi cataloghi, libri e riproduzioni d’arte; il personale è composto<br />

globalmente da 700 dipendenti. Lo studio si focalizza sulla popolazione operaia dello<br />

stabilimento, ripartita in sei diversi reparti, caratterizzati da specifici processi produttivi:<br />

reparto Lastre, Rotocalco, Roto-offset, Confezioni, Impianti e Manutenzione.<br />

Agli operai dell’azienda è stato distribuito un questionario finalizzato alla rilevazione delle<br />

percezioni riferite alle seguenti aree: pericolosità dei fattori di rischio presenti nel proprio<br />

luogo di lavoro, frequenza degli infortuni, esposizione personale, possibilità di controllare i<br />

fattori di rischio, formazione ricevuta; era inoltre presente una sezione dedicata alla raccolta<br />

dei dati socio-anagrafici e degli eventi infortunistici subiti. I fattori di rischio inclusi nel<br />

questionario sono stati ricavati da una precedente indagine pilota qualitativa, realizzata in<br />

collaborazione con il Servizio di Prevenzione e Protezione aziendale e con i Rappresentanti<br />

dei Lavoratori per la Sicurezza, che ha permesso di evidenziare i 6 principali fattori di rischio<br />

comuni a tutti i reparti produttivi e 4 specifici per ciascuno di questi. Le modalità di risposta<br />

al questionario prevedevano valutazioni espresse su scala Likert a 7 punti. I dati raccolti sono<br />

stati sottoposti ad analisi descrittive, della varianza, correlazionali e fattoriali. I soggetti<br />

coinvolti nella ricerca risultano 350 con caratteristiche socio-demografiche diverse con<br />

prevalenza di soggetti di sesso maschile, di età compresa nella fascia 41-50 anni, con<br />

anzianità lavorativa in azienda superiore a 10 anni.<br />

RISULTATI Dalle analisi condotte sono emerse percezioni di rischio infortunistico<br />

significativamente diverse tra i reparti presi in considerazione, riconducibili alle peculiarità<br />

tecnologiche e produttive di ciascuna realtà. In sintesi, dai risultati emersi appare evidente<br />

come la percezione dei rischi infortunistici si differenzi in base alle specifiche caratteristiche<br />

delle lavorazioni presenti nei diversi reparti ed alle specifiche mansioni svolte dagli operai,<br />

rispecchiando le differenti conoscenze e le esperienze professionali dei soggetti coinvolti<br />

nell’indagine. I risultati ottenuti evidenziano alcune correlazioni significative riguardanti i<br />

9


fattori pericolosità, frequenza ed esposizione che risultano essere fra di loro fortemente<br />

associati (p


Pier Angelo Argentero Filone tematico A1<br />

Sperimentazione di un osservatorio regionale per le infezioni acquisite<br />

nelle strutture sanitarie<br />

Asl 5 U. O. n A Interdipartimentale<br />

Prevenzione delle Infezioni Ospedaliere<br />

OBIETTIVO GENERALE<br />

Costruire e sperimentare un modello per la sorveglianza delle Infezioni della Ferita<br />

Chirurgica.<br />

OBIETTIVI SPECIFICI:<br />

1. Definire la frequenza delle infezioni della ferita chirurgica in interventi riguardanti le<br />

Ernie, il Colon, protesi ortopediche di anca e di ginocchio.<br />

2. Valutare la variabilità presente tra i diversi centri come base di attivazione di specifici<br />

interventi preventivi.<br />

3. Descrivere e analizzare le modalità assistenziali relative agli interventi oggetto di studio e<br />

le procedure di controllo delle infezioni messe in atto (preparazione del paziente, uso di<br />

antibiotici).<br />

4. Disporre di una base dati per valutare l’efficacia di interventi di prevenzione e controllo.<br />

MATERIALI E METODI<br />

In seguito alla consultazione della bibliografia disponibile, delle linee guida del CDC sul<br />

controllo delle SSI, di programmi e schede di sorveglianza adottati in altre Regioni Italiane<br />

(Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna) e in altri Paesi (Francia, Gran Bretagna), sono stata<br />

impostati il protocollo, la scheda raccolta dati, la guida alla compilazione della scheda. Il<br />

protocollo e la scheda sono state oggetto di discussione e revisione da parte di operatori<br />

regionali. Gli interventi da includere nello studio e la durata della sorveglianza sono stati<br />

scelti in base a numerosità degli interventi condotti in <strong>Piemonte</strong> nel <strong>2003</strong>, incidenza attesa di<br />

infezione della ferita chirurgica, confronto con altre sorveglianze. Valutando il numero di<br />

interventi attesi, la frequenza di infezione per classe di rischio e i relativi intervalli di<br />

confidenza, è stata prevista una durata della sorveglianza pari a 6 mesi, con un follow-up a 30<br />

giorni per gli interventi di chirurgia generale e a 30, 90 e 365 giorni per gli interventi<br />

ortopedici. Il protocollo e la scheda sono state presentate alle ASL del <strong>Piemonte</strong> nel corso di<br />

due riunioni effettuate nei mesi di giugno e luglio presso il Dipartimento di Sanità Pubblica e<br />

Microbiologia dalla <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> (Direzione Sanità Pubblica). H<strong>anno</strong> aderito allo studio<br />

19 ASL (compresa l’ASL di Aosta), per un totale di 30 Presidi ospedalieri, 6 Aziende<br />

Sanitarie Ospedaliere, la Casa di Cura “Ospedale Cottolengo”.<br />

La sorveglianza è stata avviata il 15 settembre 2004. A fine dicembre gli Ospedali partecipanti<br />

h<strong>anno</strong> provveduto ad inviare all’ASL 5, presso l’Ospedale di Rivoli, la prima parte delle<br />

schede raccolta dati riguardanti gli interventi effettuati entro il 30 novembre 2004. Tale invio<br />

ha permesso sia di effettuare un controllo dell’accuratezza posta alla compilazione delle<br />

schede, sia di iniziare il caricamento dei dati. Poiché il numero di interventi sorvegliati in due<br />

mesi è risultato inferiore all’atteso, nel corso di una riunione svoltasi il 24 febbraio 2005, in<br />

cui sono stati presentati alcuni dati preliminari, è stato proposto agli Ospedali partecipanti di<br />

11


prolungare il periodo di sorveglianza a 8 mesi per poter raggiungere risultati statisticamente<br />

significativi. Ha aderito a tale proposta il 92% degli Ospedali. La sorveglianza si è conclusa<br />

nei mesi di maggio/giugno e l’invio delle schede raccolta dati è avvenuto nel periodo lugliosettembre<br />

2005. L’invio delle schede si è protratto fino al mese di dicembre.<br />

RISULTATI<br />

E’ attualmente in corso presso il Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Università di Torino la<br />

registrazione dei dati su supporto informatico per mezzo di un programma di lettura ottica<br />

delle schede; i dati sar<strong>anno</strong> elaborati utilizzando il programma EpiInfo versione 3.3.2. Dati i<br />

tempi di realizzazione del progetto da parte degli Ospedali le elaborazioni del materiale<br />

pervenuto sono preliminari e l’analisi è descrittiva. Sono disponibili i dati relativi agli<br />

interventi di chirurgia generale: sono pervenute 5311 schede, 4398 riguardanti interventi di<br />

ernia, 913 riguardanti interventi sul colon. Interventi di ernia: il 90% dei pazienti è di sesso<br />

maschile, l’età media è pari a 59 anni (mediana 62), il 73% degli interventi è stato condotto in<br />

regime di Day Surgery. Nel 94% dei casi l’intervento è classificato come pulito, nell’84% con<br />

indice NNIS pari a 0 e nel 16% pari a 1; nell’85% dei casi è stata posizionata una protesi.<br />

E’ stata somministrata profilassi antibiotica nel 72% dei casi, nel 78% in camera operatoria<br />

meno di 60 minuti prima dell’intervento (nel 15% in corsia meno di 120 minuti prima); la<br />

profilassi non è proseguita nel periodo post-operatorio nell’83% dei casi. Il follow up è stato<br />

completato a 30 giorni nell’86% dei casi (nel 97% con telefonata). Sono state diagnosticate 43<br />

infezioni del sito chirurgico su 4236 interventi (1%, IC95% 0.7%-1.4%), 29 su 3162<br />

interventi di classe NNIS=0 (0.9%, IC95% 0.6%-1.3%), 10 su 577 interventi con NNIS=1<br />

(1.7%, IC95% 0.9%-3.3%). Il 95% delle infezioni si è manifestata dopo la dimissione, in<br />

media dopo 13 giorni (mediana 8), nell’87% dei casi con localizzazione superficiale (13%<br />

profonda). Interventi sul colon: il 57% dei pazienti è di sesso maschile, l’età media è pari a 69<br />

anni (mediana 71). Nel 68% dei casi l’intervento è classificato come pulito/contaminato e nel<br />

20% contaminato, nel 4% con indice NNIS M, nel 31% pari a 0 e nel 40% a 1.<br />

E’ stata somministrata profilassi antibiotica orale nel 5% dei casi, nel 96% profilassi per via<br />

endovenosa, nell’80% in camera operatoria meno di 60 minuti prima dell’intervento (nel 9%<br />

in corsia meno di 120 minuti prima); la profilassi è proseguita nel periodo post-operatorio nel<br />

64% dei casi, in media per 6 giorni. Il follow up è stato completato a 30 giorni nell’83% dei<br />

casi (nel 90% con telefonata). Sono state diagnosticate 70 infezioni del sito chirurgico su 872<br />

interventi (8%, IC95% 6.4%-10.1%), 3 su 35 interventi con NNIS=M (8.6%, IC95% 1.8%-<br />

23.1%), 11 su 249 interventi di classe NNIS=0 (4.4%, IC95% 2.2%-7.8%), 16 su 315<br />

interventi con NNIS=1 (5.1%, IC95% 3.0%-8.3%), 26 su 164 interventi con NNIS=2 (15.9%,<br />

IC95% 10.6%-22.4%). Il 74% delle infezioni si è manifestata durante il ricovero, in media<br />

dopo 12 giorni (mediana 10), nell’57% dei casi con localizzazione superficiale, 25%<br />

profonda, 18 Organ/Space. Per quanto riguarda gli interventi ortopedici, sono pervenute<br />

schede relative a circa 2000 interventi, di cui l’80% di protesi d’anca.<br />

Le schede sono in fase di registrazione e è ancora in corso il follow-up a 12 mesi di almeno<br />

due terzi degli interventi osservati; non è quindi attualmente possibile l'elaborazione dei dati,<br />

né descrittiva né analitica. I dati elaborati sar<strong>anno</strong> restituiti ai Centri sotto forma di Report,<br />

presentati nel corso di una riunione e sar<strong>anno</strong> oggetto di pubblicazione.<br />

12


Roberto Arione Filone tematico C2<br />

Stesura, diffusione ed implementazione di procedure per la prevenzione<br />

di eventi avversi nell’ASO S. Giovanni Battista<br />

ASO S. Giovanni Battista – Struttura Complessa<br />

Direzione <strong>Sanitaria</strong> Molinette e Servizi di Collegamento<br />

OBIETTIVO<br />

L’obiettivo principale del progetto era la riduzione di eventi avversi legati alla non<br />

osservanza, assenza o incompletezza di procedure nell’ambito della gestione globale del<br />

paziente ospedalizzato.<br />

La metodologia utilizzata prevedeva per i principali eventi avversi occorsi presso la nostra<br />

Azienda:<br />

• stesura di precise procedure (basate sulle Linee Guida Nazionali ed Internazionali);<br />

• condivisione con gruppi di esperti e successivamente con gli operatori;<br />

• distribuzione delle procedure ad ogni Struttura Complessa.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Dai dati raccolti, in riferimento al triennio 2000-2002 ed al <strong>2003</strong>, tramite l’analisi delle<br />

richieste di indennizzo della Struttura Complessa (SC) Patrimonio e degli indennizzi<br />

effettivamente erogati sono state individuate le principali categorie di rischio presenti, per le<br />

quali è stata eseguita apposita ricerca bibliografica e valutati gli interventi effettuati in altri<br />

ospedali. Le aree di possibile intervento individuate sono state:<br />

Danni legati ad intervento chirurgico in senso stretto<br />

- Lesioni dentarie durante intubazione. Gruppo di lavoro in corso per stesura procedura<br />

- Ustioni da elettrobisturi. Gruppo di lavoro in corso per stesura procedura<br />

- Difetti estetici. Gruppo di lavoro in corso per stesura procedura<br />

- Lesioni nervose. Procedura già elaborata, è stata presentata in data 17 febbraio 2005<br />

- Corpi estranei. Gruppo di lavoro in corso per stesura procedura<br />

Danni legati ad intervento chirurgico in senso lato e a mancanza di attenzione e<br />

sorveglianza<br />

Smarrimenti. Procedura già elaborata, è stata presentata in data 17 febbraio 2005<br />

Danni legati a trasporto o a mancanza di sorveglianza<br />

- Problemi di trasporto: per quanto concerne le cadute è già stata elaborata una procedura<br />

che sarà presentata in data 22 marzo 2005<br />

Legati a terapia emotrasfusiva (HCV,HBV, AIDS): è in fase di attivazione un gruppo di<br />

lavoro con i colleghi Banca del Sangue per valutare mezzi di accertamento e diagnosi su<br />

sangue e determinare la accuratezza e precisione dei test<br />

Infezioni (Aspergillosi, Legionellosi, Pseudomonas):<br />

13


- è presente in Direzione <strong>Sanitaria</strong> apposito Ufficio dove le Infermiere addette al Controllo<br />

delle Infezioni h<strong>anno</strong> il compito di sorvegliare l’occorrenza di infezioni ospedaliere<br />

- è in atto una campagna di sensibilizzazione degli Operatori per un più frequente lavaggio<br />

delle mani e per la scelta di tipologie di disinfezione (“Progetto Igiene delle Mani”)<br />

- sono già stati attivati diversi corsi di formazione per i dipendenti (es. infezione da HIV)<br />

- si sta progettando un’azione multinodale (tramite l’ausilio di poster, e-mail, conferenze e<br />

corsi) finalizzate ad aumentare la compliance al lavaggio delle mani e degli strumenti<br />

diagnostici (fonendoscopi)<br />

All’interno del Dipartimento Direzione <strong>Sanitaria</strong> “Molinette” e Servizi di collegamento è stata<br />

istituita una Struttura Complessa che si occupa dell’analisi e della prevenzione degli eventi<br />

sfavorevoli, nell’ottica del miglioramento continuo della qualità.<br />

Nell’ambito di tale SC è stato impostato un sistema di autoanalisi tra gli operatori (revisione<br />

del percorso, valutazione random di cartelle cliniche e infermieristiche, audit clinico).<br />

E’ stato inoltre strutturato un sistema di “voluntary reporting” tramite il quale un’apposita<br />

Commissione Aziendale valuta gli eventi avversi generali, quelli prevedibili e quelle<br />

situazione di rischio presunto o di “quasi errore” verificatisi all’interno dell’Azienda.<br />

A tale scopo è stata elaborata una specifica scheda (“Scheda di Rilevazione Spontanea di<br />

Eventi Sfavorevoli nella Pratica Clinica”) tramite la quale è possibile segnalare, in modo<br />

anonimo il verificarsi di errori o di quasi errori da parte degli operatori sanitari.<br />

Tale scheda è stata presentata dal Direttore della SC Qualità e Risk Management, in sessione<br />

plenaria a tutti i Responsabili delle Unità Operative, in presenza del Direttore Generale e del<br />

Direttore Sanitario ed al fine di ottenere una maggiore capillarità di diffusione, è stata<br />

presentata alle singole riunioni di Dipartimento ed nel corso di una successiva seduta plenaria<br />

è stato presentato il Data Base Informatico in cui i dati vengono inseriti e le modalità di<br />

elaborazione.<br />

Nel corso di un’ulteriore riunione in aula magna sono state presentate le procedure<br />

attualmente elaborate (correzione di mal posizionamento, cadute etc.) che st<strong>anno</strong> per essere<br />

distribuite all’interno dell’Azienda. Sono tuttora in corso riunioni di Reparto e di<br />

Dipartimento nel corso delle quali sono discusse attività di Risk Management e le “Schede di<br />

Rilevazione Spontanea di Eventi Sfavorevoli nella Pratica Clinica”.<br />

È stata inoltre avviata un’accurata analisi del contenzioso con gli utenti sin dalla fase della<br />

segnalazione in Direzione Generale, Direzione <strong>Sanitaria</strong> o all’Ufficio Relazioni con il<br />

Pubblico: le segnalazioni che riferiscono ipotetici errori medici, deficit di assistenza, di<br />

comunicazione, di organizzazione vengono attentamente esaminati dal Risk Manager (o nei<br />

casi più complessi da una Commissione Tecnica appositamente deliberata) che:<br />

1. richiede ulteriori chiarimenti agli operatori interessati ed ai responsabili di SC;<br />

2. rivede la documentazione clinica;<br />

3. studia attentamente il caso;<br />

4. propone al Direttore Generale una risposta per l’utente.<br />

In casi particolari vengono consultati il medico legale, la SC Patrimonio e/o la SC Legale.<br />

EVENTI FORMATIVI ORGANIZZATI IN AZIENDA<br />

- “Il Risk Management Aziendale” 05/05/04 e 21/09/04;<br />

14


- “Dall’Accreditamento Istituzionale al Risk Management al Miglioramento della Qualità<br />

nella pratica Clinico – assistenziale”, 14/12/04<br />

- “Qualità e Risk Management nell’ASO S. Giovanni Battista: presentazione procedure”,<br />

17/02/2005<br />

BIBLIOGRAFIA PRODOTTA<br />

- “L’attività di valutazione e gestione del rischio in un’Azienda Ospedaliera” M.<br />

Rapellino, I.M. Raciti, M.C. Azzolina, A. Scarmozzino, R. Durando, E. Guglielmi, R.<br />

Arione, P. Panarisi – presentato alla VII Conferenza Nazionale degli Ospedali per la<br />

Promozione della Salute – Torino 21-22 novembre <strong>2003</strong><br />

- “Analisi e Prevenzione del rischio nell’ASO San Giovanni Battista” M. Rapellino, I.M.<br />

Raciti, M.C. Azzolina, A. Scarmozzino, R. Arione, P. Panarisi; pubblicato su Torino<br />

medica <strong>anno</strong> XV – numero 1 gennaio 2004<br />

- “Dall’analisi dei rischi in ospedale alla gestione dei gruppi di lavoro per la stesura di<br />

procedure per le azioni correttive” L. Tessa, A. Todisco, M. Gulino, I.M. Raciti, M.C.<br />

Azzolina, M. Rapellino - presentato al Congresso nazionale A.N.M.D.O. – Sorrento<br />

(Napoli) 23-24-25 settembre 2004<br />

- “Esperienza di “Incident Reporting dell’ASO S. Giovanni Battista di Torino” M.<br />

Rapellino, M. Gulino, M.C. Azzolina, I.M. Raciti, M. Gessa, R. Broda, N. Demontis, R.<br />

Arione, P. Panarisi presentato al Congresso nazionale A.N.M.D.O. – Sorrento (Napoli) 23-<br />

24-25 settembre 2004<br />

15


Maria Carmen Azzolina Filone tematico C1<br />

Stesura, divulgazione ed implementazione di Linee Guida per la<br />

prevenzione ed il trattamento delle Lesioni da Decubito<br />

ASO S. Giovanni Battista – Struttura Complessa<br />

Direzione <strong>Sanitaria</strong> Molinette e Servizi di Collegamento<br />

OBIETTIVO DEL PROGETTO<br />

Riduzione di incidenza e prevalenza delle Lesioni da Decubito (LDD) attraverso la<br />

formazione del personale, al fine di rendere omogeneo il comportamento degli operatori nella<br />

gestione dei pazienti a rischio di LDD, con conseguente riduzione dei rischi correlati<br />

all’allettamento, aumento degli standard assistenziali e del comfort del paziente.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Al fine di raggiungere l’obiettivo sono state svolte le seguenti attività:<br />

• istituzione di una Commissione multidisciplinare coordinata da Direzione <strong>Sanitaria</strong> e<br />

Ufficio Controllo Qualità Progetti composta da: un epidemiologo (componente del<br />

gruppo EBM aziendale), un farmacista, un geriatra, un fisiatra, un dietologo, un chirurgo<br />

vascolare, un chirurgo plastico, un diabetologo, un dermatologo, un fisioterapista, un<br />

infermiere professionale. La Commissione si è occupata di effettuare una revisione della<br />

letteratura nazionale ed internazionale e di elaborare una bozza del “Manuale prevenzione<br />

e Trattamento LDD”.<br />

• Formalizzazione e standardizzazione della modalità di richiesta per il noleggio superfici<br />

antidecubito dinamiche e letti speciali al fine di predisporre in modo tempestivo e mirato<br />

l’ausilio più appropriato per prevenire l’insorgenza delle LDD. La prescrizione degli<br />

ausili è affidata al coordinatore infermieristico, il quale compila apposita scheda che oltre<br />

a contenere i dati anagrafici include alcuni dati clinici (peso, altezza, diagnosi, condizioni<br />

cliniche, presenza di lesioni).<br />

• Attuazione del seguente piano formativo accreditato ECM: -<br />

a) corso di I livello: seminari su “Prevenzione e trattamento LDD” rivolti a tutti gli<br />

infermieri e gli OSS dell’Azienda a cui h<strong>anno</strong> partecipato circa 800 operatori;<br />

b) corso di II livello “Valutazione, monitoraggio e trattamento LDD” rivolto ai referenti<br />

dei reparti esposti a maggior rischio cui h<strong>anno</strong> partecipato 30 operatori.<br />

• Affiancamento degli operatori, da parte dell’Ufficio Controllo Qualità Progetti in base alle<br />

criticità dei pazienti.<br />

• Supporto agli operatori nel definire il piano di cura personalizzato in base ai problemi<br />

assistenziali (es. piano nutrizionale, piano di mobilizzazione, integrazione con ausili<br />

speciali).<br />

• Attivazione di un progetto pilota che prevede in via sperimentale l’utilizzo di letti<br />

ergonomici con superfici antidecubito allo scopo di ridurre l’insorgenza di LDD e le spese<br />

di noleggio per letti speciali. Il progetto è articolato in due fasi:<br />

1. monitoraggio dei pazienti trattati con le nuove unità funzionali letto + materasso per<br />

dimostrare:<br />

16


- riduzione del fabbisogno delle giornate di noleggio;<br />

- risoluzione problematiche relative al carico di lavoro del personale, correlato alla<br />

movimentazione manuale dei pazienti ed ai rischi connessi.<br />

2. Elaborazione dati e razionale per procedere all’investimento del denaro attualmente<br />

speso dall’ASO per il noleggio.<br />

• Stampa e distribuzione di:<br />

- “Manuale per la prevenzione ed il trattamento delle Lesioni da Decubito” in formato<br />

tascabile da distribuire a tutto il personale medico ed infermieristico dell’ASO.<br />

- Brochure per pazienti e familiari: “prevenzione e cura delle lesioni da Decubito.<br />

Assistenza a domicilio”.<br />

Sono ancora in corso di elaborazione:<br />

- Linee Guida integrali per ogni Unità Operativa;<br />

- Flow-chart agli operatori di supporto, ai degenti ed ai loro familiari.<br />

- schede - raccolta dati per misurare l'andamento del fenomeno e l'efficacia del trattamento<br />

assistenziale;<br />

- brochure contenenti le scale di valutazione per la prevenzione ed il trattamento delle<br />

LDD;<br />

- poster illustrati da affiggere presso le singole Unità Operative (UU.OO.) contenenti il<br />

piano di prevenzione ed i protocolli di trattamento.<br />

È inoltre in corso di elaborazione la strutturazione di due poster illustrati da distribuire a tutte<br />

le UU.OO. di degenza e di Day Hospital con lo scopo di:<br />

- orientare gli operatori a definire il piano di cure in base ad un algoritmo appositamente<br />

elaborato ed alle raccomandazioni descritte;<br />

- guidare gli operatori alla selezione del protocollo di trattamento idoneo in base alle<br />

caratteristiche della lesione ed agli obiettivi assistenziali.<br />

Sono state elaborate due schede per il monitoraggio del paziente portatore di LDD e per<br />

l’approvvigionamento del materiale di medicazione da utilizzare.<br />

• Indagini epidemiologiche al fine di stimare la prevalenza del fenomeno e l’andamento nel<br />

corso degli anni.<br />

RISULTATI<br />

I pazienti sono classificati in base alla scala Braden, misura di rischio ampiamente accreditata<br />

ed utilizzata a livello internazionale. Nel 2002 su 978 degenti valutati, la prevalenza è risultata<br />

del 23,8%, il numero di lesioni 464, di cui il 46% dal II al IV stadio. Il 14 aprile 2005<br />

l’indagine è stata nuovamente effettuata: su 948 degenti valutati, la prevalenza è risultata del<br />

22,2%, il numero di lesioni 388, di cui il 53,7% dal II al IV stadio. ·attivazione di un progetto<br />

di monitoraggio del trattamento delle LDD attraverso un sistema, gestito dalla Direzione<br />

<strong>Sanitaria</strong> in collaborazione con la Farmacia, che si è occupato di formare un gruppo di<br />

infermieri specializzati, dotati di strumenti tecnologici per la diagnosi ed il monitoraggio delle<br />

LDD.<br />

Sono stati inoltre elaborati specifici protocolli di trattamento che prevedono l’utilizzo di<br />

medicazioni avanzate presenti nel Prontuario Terapeutico Ospedaliero ed acquisite<br />

dall’Azienda tramite specifiche gare d’appalto.<br />

17


Francesco Baccino Filone tematico A2<br />

Suscettibilità all’epatocancerogenesi in relazione all’espressione di<br />

molecole coinvolte nell’apoptosi<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina e Oncologia Sperimentale<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il carcinoma epatocellulare rappresenta la quinta causa di morte nei portatori di tumore e<br />

rappresenta circa il 5% dei casi totali di cancro nel mondo; in alcune regioni dell’Africa e<br />

dell’Asia, causa fino al 70% delle morti totali per cancro. La maggior parte dei casi di HCC al<br />

momento della diagnosi si trova già in uno stadio avanzato, il che rende conto del tasso di<br />

mortalità a 5 anni superiore al 95%. A differenza di altre neoplasie umane, l’eziologia<br />

dell’HCC è in buona parte nota; infatti, il rischio aumenta nettamente in associazione ad<br />

infezioni da virus dell’epatite e all’assunzione di aflatossine con la dieta. L’insorgenza<br />

dell’HCC è un processo multifasico associato a modificazioni dell’espressione genica<br />

dell’ospite. Numerose osservazioni condotte sia in modelli animali che nell’uomo<br />

sottolineano l’importanza dell’assetto genico individuale nel determinare la suscettibilità al<br />

cancro. La morte per apoptosi è un processo modulato sia positivamente che negativamente<br />

dall’espressione di geni conservati nel corso della filogenesi e regolato dall’attività di fattori<br />

pro- ed antiapoptotici. Alterazioni della regolazione del processo apoptotico sono alla base sia<br />

della cancerogenesi che della resistenza del tumore ai chemioterapici. La comprensione dei<br />

meccanismi attraverso i quali le cellule tumorali o trasformate sfuggono alla morte per<br />

apoptosi potrebbe fornire una chiave per la comprensione dei rapporti che intercorrono tra la<br />

genetica del cancro e la sensibilità ai trattamenti, e potrebbe costituire il punto di partenza per<br />

un approccio razionale alla progettazione di nuovi farmaci e di nuovi protocolli terapeutici.<br />

OBIETTIVI E METODI<br />

Scopo della ricerca è stato l’analisi di vie di segnalazione coinvolte nel controllo della morte e<br />

della sopravvivenza cellulare in relazione alla suscettibilità alla epatocancerogenesi chimica<br />

nel ratto e in linee cellulari, umane e di ratto, di derivate da epatocarcinomi. In particolare,<br />

l’attenzione focalizzata sulla misurazione dell’espressione e dell’attività di molecole coinvolte<br />

nella trasduzione dei segnali a valle del recettore 1 del TNF.<br />

Le analisi sono state effettuate su campioni di fegato di controllo e di lesioni neoplastiche<br />

avanzate ottenute da ratti Fischer 344 (geneticamente suscettibili alla cancerogenesi chimica)<br />

e BFF1 (geneticamente resistenti), e su cellule in coltura HTC (epatoma di ratto), e HepG2 e<br />

Huh7 (epatomi umani) in condizioni basali e dopo trattamento con TNF in associazione a<br />

cicloesimide. L'espressione delle molecole coinvolte nella trasduzione dei segnali di morte e<br />

dei fattori pro- ed anti-apoptotici associati alla via mitocondriale di attivazione dell'apoptosi è<br />

stata analizzata mediante western blotting, l’attivazione dei fattori di trascrizione NF-kB e<br />

AP-1 è stata valutata mediante EMSA.<br />

RISULTATI<br />

Epatocarcinomi di ratto. In lesioni neoplastiche avanzate ottenute mediante il protocollo di<br />

Solt e Farber in ratti F344 e BFF1, rispettivamente suscettibili e resistenti<br />

all’epatocancerogenesi chimica, l’analisi dell’espressione di alcune proteine coinvolte nella<br />

18


trasduzione del segnale derivante da TNF-R1 non ha dimostrato differenze tra i due ceppi di<br />

ratto. Al contario, tra tessuto neoplastico e fegato normale sono state riscontrate differenze<br />

significative che nel loro complesso dimostrano un assetto anti-apoptosi nei tumori rispetto al<br />

fegato di controllo. Questo dato è in accordo con il riscontro, negli epatocarcinomi,<br />

dell’attivazione costitutiva del fattore pro-sopravvivenza NF-kB. Resta da chiarire in quale<br />

fase del processo di epatocancerogenesi si attuino le variazioni di espressione osservate,<br />

nonché, per quanto concerne l’attivazione di NF-kB, quali siano i suoi effettori e quali i geni<br />

bersaglio.<br />

Linee cellulari derivate da epatocarcinomi. Una scarsa predisposizione all’apoptosi è stata<br />

anche dimostrata nella linea cellulare HTC, derivata da un epatoma di ratto. In queste cellule<br />

infatti, il trattamento con TNF, associato a cicloesimide, non determina morte apoptotica<br />

caspasi-dipendente; la citotossicità della citochina è piuttosto mediata dal comparto<br />

vacuolare-acido e da stress ossidativo. La trasduzione del segnale apoptogeno da attivazione<br />

di TNFR1 è stata anche valutata su due linee di epatocarcinoma umano, le HepG2,<br />

assimilabili a epatociti di controllo, e le Huh7, esprimenti costitutivamente una forma mutata<br />

di p53 e caratterizzate da maggiore malignità fenotipica. L’analisi comparativa dei<br />

meccanismi coinvolti nell’attuazione dell’apoptosi nelle due linee cellulari ha dimostrato<br />

complessivamente una minor suscettibilità delle cellule Huh7. Queste cellule inoltre,<br />

diversamente dalle HepG2, ma analogamente agli epatocarcinomi di ratto, sono caratterizzate<br />

dall’attivazione costitutiva di NFkB.<br />

Epatociti isolati da ratti suscettibili e resistenti all’epatocancerogenesi. Esperimenti<br />

preliminari h<strong>anno</strong> dimostrato l’importanza dell’attivazione di NF-kB nel condizionare la<br />

suscettibilità all’apoptosi anche in epatociti isolati da fegato di ratto F344. Infatti, inibitori<br />

dell’attivazione del fattore di trascrizione, quali la gliotossina, potenziano efficacemente<br />

l’effetto del TNF.<br />

CONCLUSIONI<br />

Nel complesso i dati finora ottenuti h<strong>anno</strong> dimostrato, tra tessuto normale e lesioni<br />

neoplastiche avanzate, cosi’ come tra le diverse linee di epatoma, alcune differenze nella<br />

segnalazione a valle di TNFR1 il cui significato sarà approfondito in futuro.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

P.Costelli, P.Aoki, B.Zingaro, N.Carbó, P.Reffo, F.J.Lopez-Soriano, G.Bonelli, J.M.Argilés,<br />

F.M.Baccino (<strong>2003</strong>) Cell Death Differ 10:997-1004.<br />

R.A.Canuto, G.Muzio, M.Maggiora, A.Trombetta, G.Martinasso, R.Autelli, P.Costelli, G.<br />

Bonelli, F.M.Baccino (<strong>2003</strong>) J Lipid Res 44:56-64<br />

M.Bossola, M.Muscaritoli, P.Costelli, G.Grieco, G.Bonelli, F.Pacelli, F.Rossi Fanelli, G.B.<br />

Doglietto, F.M.Baccino (<strong>2003</strong>) Ann Surgery 237:384-389<br />

M.Muscaritoli, P.Costelli, M.Bossola, G.Grieco, G.Bonelli, R.Bellantone, G.B.Doglietto,<br />

F.Rossi Fanelli, F.M.Baccino (<strong>2003</strong> Nutrition 19:936-939<br />

P.Costelli, M.Muscaritoli, M.Bossola, R.Moore-Carrasco, S.Crepaldi, G.Grieco, R.Autelli,<br />

G.Bonelli, F.Pacelli, F.J.Lopez-Soriano, J.M.Argilés, G.B.Doglietto, F.M.Baccino, F.Rossi<br />

Fanelli (2005) Int J Oncol 26:1663-1668<br />

P.Costelli, P.Reffo, F.Penna, R.Autelli, G. Bonelli, F.M. Baccino (2005). Int J Biochem Cell<br />

Biol 37:2134-2146 7 R.Autelli, S.Crepaldi, D.De Stefanis, M.Parola, G.Bonelli, F.M.Baccino<br />

(2005) Apoptosis 10:777-786<br />

19


Piero Balbo Filone tematico D2<br />

Le polmoniti acquisite in comunità nella ASL 13, dal territorio<br />

all'ospedale: proposta di gestione integrata<br />

A.O. Maggiore della Carità– Novara<br />

METODI E RISULTATI<br />

Nel periodo dal 1/10/2004 al 30/09/2005 sono state ricoverate 672 CAP negli Ospedali<br />

dell'ASL 13. Di queste sono state prese in considerazione solo le 348(51,8%) CAP<br />

ospedalizzate nell'azienda Ospedaliera Maggiore della Carità di Novara. 259 pazienti (74%)<br />

sono stati ricoverati nella U.O.A. di Pneumologia , 89 pazienti(25%) sono stati ricoverati in<br />

altri reparti medici, 8 pazienti (2,3%)in UTI. L'età media dei pazienti era di 71,3 anni,<br />

183(52,6%) avevano un'età >75 anni. 87(25%)erano fumatori, 6(17,5%) ex fumatori. Solo<br />

111(31,9%) erano stati precedentemente vaccinati contro l'influenza, nessuno contro il<br />

pneumococco. 31(8,9%) erano stati sottoposti a domicilio a terapia antibiotica(in assenza di<br />

diagnosi radiologicamente confermata di polmonite).<br />

Tale terapia veniva modificata o potenziata durante la degenza. 10%(30,2%) presentavano<br />

all'ingresso in ospedalealterazioni dello stato mentale. 257(73,9%) avevano una FR>30/min,<br />

87(32,5%) una FC>125/min, 225(64,7%) avevano una PaO2


mediante survey telefonico le condizioni cliniche e la sopravvivenza. Nè il controllo a 30<br />

giorni nè il survey telefonico modidficvano la diagnisi di dimissione o aggiungevano morti da<br />

imputare alla polmonite. Era pertanto possibile far coincidere la mortalità per polmonite con<br />

la mortalità intraospedaliera. La mortalità intraospedaliera era di 54 pazienti (15,5%) e si<br />

distribuiva come segue a seconda delle classi di gravità:Classe II-III:1 (1,7%), Classe IV:10<br />

(18,5%), Classe V: 43 (79,6%). Solo 4 pazienti deceduti provenivano da una Casa Protetta.<br />

Inoltre l'appartenenza ad una determinata classe di rischio condizionava in percentuale diversa<br />

il rischio di morte:Classe II-III 1/72 (1,3%), Classe IV 10/106 (9,4%), Classe V 43/170<br />

(25,3%). Si sottolinea che solo 1 paziente (12,5%) degli 8 ricoverati in UTI andava incontro a<br />

morte per shock settico. Tra i fattori più importanti associati al rischio di morte oltre all'età<br />

(età media dei pazienti deceduti con età >75 anni (75,9%) era 85,9 anni) ed alle comorbilità,<br />

una particolare menzione nella nostra casistica merita il versamento pleurico presente in circa<br />

il 50% dei pazienti.<br />

CONCLUSIONI<br />

Il presente studio dimostra come grazie ad un percorso preferenziasle i pazienti affetti da<br />

sospettta polmonite, inviati dal medico di famiglia in ospedale, siano stati ricoverati in base<br />

alla gravità della malattia. Infatti solo l'8% dei pazienti di classe II e stao ricoverato con<br />

evidente riduzione dei ricoveri inutili. I pazienti , per la prima volta, sono stati stratificati<br />

secondo le classi di rischio (PSI), trattati tempestivamente con protocolli omogenei ,<br />

probabilmente a vantaggio di una maggiore efficacia terapeutica valutabile come riduzione<br />

dela degenza media e come sostanziale assenza di ricadute/riospedalizzazioni per la stessa<br />

malattia. Il tasso di guarigione, l'assenza di ricadute/riospedalizzazioni, ed il tasso di mortalità<br />

a 30 giorni non si discostano da quelli pubblicati nelle piu autorevoli rassegne internazionali.<br />

La mancanza di una Unità di Terapia Intermedia Respiaratoria (UTIR) con la possibilità di<br />

sottoporre i pazienti a ventilazione incruenta (NIV), ha impedito di trattare in modo più<br />

incisivo i " Grandi Vecchi" che , se affetti concomitanetmente da insufficienza respiratoria e<br />

versamento pleurico, h<strong>anno</strong> uan elevata probabilità di morire nonostante l'ottimizzazione del<br />

trattamento farmacologico.<br />

21


Emiliana Ballocchi Filone tematico D2<br />

Indagine epidemiologica su Leptospira spp ed altre patologie presenti<br />

nelle nutrie nel comprensorio del Basso Sesia<br />

Istituto Zooprofilattico Sperimentale del <strong>Piemonte</strong>, Liguria e Valle D’Aosta<br />

Sezione di Vercelli<br />

INTRODUZIONE<br />

La nutria (Myocastor coypus) è un grosso roditore originario del sud America. Un adulto può<br />

raggiungere il peso di 12 Kg e la lunghezza di 50 cm, 80 con la coda. E' un animale erbivoro,<br />

prettamente acquicolo, dotato di zampe posteriori palmate, che predilige acque a bassa<br />

velocità di scorrimento e che può ingerire vegetali sino al 25% del suo peso/giorno.<br />

Introdotta in Italia nel 1928 a cura dell'Istituto di coniglicoltura di Alessandria e utilizzata<br />

negli anni '70/'80 quale animale da pelliccia (il cosiddetto castorino) si è ben adattata al nostro<br />

clima tanto che i soggetti sfuggiti alla cattività o liberati quando non più richiesti dal mercato<br />

si sono notevolmente riprodotti facilitati dalla mancanza di antagonisti naturali; solo i cuccioli<br />

possono essere predati da volpi o da uccelli rapaci. La nutria è considerata specie<br />

indesiderabile sul territorio per l'origine esotica, per le interferenze negative alle biocenosi<br />

autoctone (alterazione fitocenosi palustri e distruzione dei siti di nidificazione dell'avifauna<br />

locale e migratoria) e per i problemi economici che la sua presenza comporta (danni ai canali<br />

d'irrigazione delle coltivazioni di riso per l'abitudine a scavare tane profonde anche 2 m, con<br />

ingressi di 50 cm circa e danni diretti a diverse colture delle quali si ciba e a piante ad alto<br />

fusto la cui corteccia in inverno è viene utilizzata come alimento). Per contenere il numero<br />

delle nutrie sul territorio le Amministrazioni Provinciali h<strong>anno</strong> la possibilità di attivare<br />

abbattimenti (art.19 L.157/92 e art. 29 LR70/96).<br />

MATERIALI E METODI<br />

Alla sezione di Vercelli dell'IZS PLV da settembre 2004 a novembre 2005 sono pervenute 87<br />

nutrie del comprensorio del Basso Sesia; una parte è stata catturata con gabbie metalliche,<br />

contenenti carote e mele, poste in prossimità di argini di canali irrigui; una parte dei soggetti è<br />

stata abbattuta dalle guardie provinciali in ottemperanza della delibera della giunta provinciale<br />

di Vercelli del 11/12/2000; una piccola parte era costituita da soggetti rinvenuti morti ai lati di<br />

strade dal personale del parco Lame del Sesia e dell'ASL di Vercelli.<br />

I soggetti sono stati pesati e sessati; su tutti è stato eseguito un esame necroscopico e<br />

parassitologico per ecto ed endo-parassiti (su materiale fecale prelevato da più punti del tubo<br />

gastroenterico, sia a fresco che per arricchimento con solfato di zinco). I campioni di<br />

diaframma e massetere di 55 soggetti di peso superiore a 3Kg sono stati sottoposti a ricerca di<br />

larve di Trichinella dopo digestione artificiale con lo strumento Tricomatic 35. Su materiale<br />

prelevato da intestino tenue e cieco di 35 soggetti sono state effettute ricerche di Salmonella<br />

con prearricchimento in acqua peptonata,arricchimento selettivo in brodo selenite e<br />

Rappaport,semina su terreno differenziale XLT4 e ricerca di Campylobacter con<br />

arricchimento in Campylobacter broth, semina su CCDA,in microaerofilia. Sul siero di<br />

sangue prelevato dal cuore o da cava addominale di 57 soggetti si è proceduto alla ricerca di<br />

anticorpi anti-Leptospira (metodo della microagglutinazione,utilizzando 8 sierovarianti di<br />

L.interrogans-ballum, bratislava, canicola, copenhageni, grippotyphosa, hardjo,<br />

icterohaemorragiae, pomona e tarassovi e si è attribuito un valore di significatività a partire<br />

22


dal titolo di 1:100) e alla ricerca anticorpi anti-Brucella abortus (metodo di<br />

sieroagglutinazione rapida con antigene al rosa bengala e fissazione del complemento con<br />

antigene Brucella abortus)<br />

RISULTATI E CONSIDERAZIONI<br />

Es.necroscopico. Tutti i soggetti erano in buono stato di nutrizione; due terzi erano maschi<br />

(peso max 7Kg), un terzo femmine (max 6.5Kg); femmine con feti a termine(n°max feti 5)<br />

sono state recapitate a marzo e ad agosto; feti nei primi stadi di gestazione erano al massimo<br />

8, anche a stadi diversi di gestazione, a conferma di quanto citato da altri ricercatori circa la<br />

possibilità di riassorbimento fetale e/o prolungamento della gestazione a seconda del clima e<br />

della disponibilità di cibo. Il contenuto dello stomaco presentava esclusivamente vegetali.<br />

Es.parassitologico. Non sono stati rinvenuti parassiti esterni, facili da osservare in<br />

allevamenti a secco. Quattro soggetti presentavano lesioni epatiche imputabili in un caso a<br />

Cisticerchi, in un altro a Fasciola, in 2 a Capillaria hepatica; nessuna lesione da coccidiosi<br />

epatica. Sul materiale prelevato da lume intestinale sono stati osservati: Guardia (in 5<br />

soggetti),oocisti di Coccidi (in 11), uova di cestodi (in 10) e nematodi gastro-intestinali (in<br />

50), con infestazioni più lievi negli adulti che nei giovani, dove in qualche caso erano<br />

associati ad enterite. In generale le infestazione non erano in nessun caso così gravi come si<br />

osserva negli allevamenti da pelliccia.<br />

<strong>Ricerca</strong> Trichinella. Ha sempre dato esito negativo. Secondo studi condotti in allevamenti di<br />

nutria essa può essere infestata in percentuale maggiore rispetto ai suidi, alla stregua dei quali<br />

è considerata (O.ACIS 27/4/1958 art.1); essendo la nutria selvatica erbivora è meno esposta al<br />

rischio di infestazione.<br />

<strong>Ricerca</strong> Salmonella e Campylobacter h<strong>anno</strong> sempre dato esito negativo. La nutria<br />

d'allevamento è considerata animale sensibile a salmonella, mentre come selvatico sembra<br />

esserlo meno, malgrado condivida un ambiente abitato da ratti. Si è pensato di aggiungere<br />

anche la ricerca di campilobatteri in quanto ormai sono, insieme a salmonella, la principale<br />

causa di enteriti nell'uomo per ingestione di alimenti di origine animale, di acque e vegetali<br />

contaminati.<br />

<strong>Ricerca</strong> Brucella Ha sempre dato esito negativo; il dato è confortante visto che l'ambiente<br />

della nutria può essere condiviso da animali domestici e dall'uomo.<br />

<strong>Ricerca</strong> Leptospira Ha dato esito positivo in 5 soggetti(8.7%); 4 sono risultati positivi per la<br />

sierovariante bratislava, 2 per icterohaemorragiae e copenhageni. La mancata correlazione tra<br />

positività sierologica e riscontro di lesioni renali potrebbe anche questa volta confermare il<br />

ruolo della nutria quale portatore di Leptospira, inoltre la positività sierologica potrebbe<br />

rappresentare un indice della presenza di questo microorganismo nell'ambiente.<br />

CONCLUSIONI<br />

Da diversi anni agli sforzi per la conservazione della specie a rischio di estinzione si sono<br />

affiancati studi sul ruolo di animali selvatici alloctoni nell’epidemiologia di malattie<br />

infettive/infestive. Sulla nutria sono stati effettuati studi di patologie coinvolgenti<br />

prevalentemente soggetti di allevamenti da pelliccia, mentre pochi sono quelli su nutrie<br />

selvatiche. E’importante continuare con la sorveglianza delle malattie parassitarie, batteriche<br />

e virali che potenzialmente potrebbero essere responsabili di epizoozie in altri animali<br />

selvatici,in animali domestici e nell’uomo che condividono lo stesso habitat.<br />

23


Federico Balzola Filone tematico A5<br />

Enterocolite autistica: studio clinico e laboratoristico di una nuova<br />

sindrome<br />

ASO San Giovanni Battista di Torino<br />

U.O.A.D.U. Gastro-Epatologia<br />

INTRODUZIONE<br />

L’autismo e più in generale i Disturbi Pervasivi di Sviluppo (DPS) costituiscono un problema<br />

socio-sanitario di grande importanza con una prevalenza di 10-20 su 10000. L’eziologia di tali<br />

disturbi è tuttora sconosciuta, viene riconosciuta una genesi multifattoriale con una rilevante<br />

componente genetica. All’interno nei DPS è inoltre segnalata una elevata prevalenza di<br />

disturbi gastroenterologici associati, con stime che variano tra il 9% ed il 45% dai pazienti<br />

affetti da DPS. Questi venivano tuttavia per la maggior parte sottovaluti o non riconosciuti per<br />

le difficoltà di comunicazione di questa categoria di pazienti. La descrizione della presenza di<br />

una malattia infiammatoria cronica intestinale in un sottogruppo di pazienti affetti da autismo<br />

è stata fatta per la prima volta nel 1998 dal Wakefield et al. Tale riscontro ha suscitato un<br />

acceso dibattito scientifico sulle possibili relazioni tra il disturbo autistico e disturbi<br />

gastrointestinali. Secondo alcuni autori la disfunzione a livello intestinale potrebbe essere uno<br />

dei fattori causali del disturbo autistico, secondo altri i due disturbi potrebbero essere<br />

espressione di uno stesso meccanismo eziopatogenetico che causerebbe un’alterazione<br />

multisistemica.<br />

SCOPO DELLO STUDIO<br />

Lo scopo del nostro studio è stato quello di identificare una coorte di pazienti autistici con<br />

caratteristiche cliniche suggestive per patologie intestinali per la successiva valutazione e<br />

caratterizzazione di una patologia cronica intestinale.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Sono giunti consecutivamente alla nostra osservazione 65 pazienti con disturbi<br />

neuropsichiatrici e gastroenterologici dei quali 41 soddisfavano i criteri di inclusione dello<br />

studio (diagnosi di autismo secondo il DSM-IV, sintomatologia gastroenterologica, non altre<br />

condizioni patologiche associate). Di questi, 11 pazienti maschi (età media 16 anni, range 4-<br />

30) h<strong>anno</strong> accettato il protocollo proposto e sono stati pertanto inseriti nello studio. Dopo gli<br />

accertamenti di primo livello (esami ematochimici, fecali ed urinai ed ecografia addome<br />

superiore ed intestinale) sono stati sottoposti ad esofago-gastro-duoedenoscopia e colonscopia<br />

con biopsie multiple in narcosi ed enteroscopia con videocapsula nei soli pazienti adulti.<br />

RISULTATI<br />

Gli esami di primo livello h<strong>anno</strong> messo in evidenza la presenza di anemia in 2 pazienti e<br />

sangue occulto fecale in 3 soggetti. Gli accertamenti endoscopici h<strong>anno</strong> rivelato all’esofagogastro-duodenoscopia<br />

la presenza di gastrite in 4 pazienti, esofagite in uno e duodenite in uno.<br />

L’esame istologico del materiale prelevato con le biopsie ha mostrato un’infiammazione<br />

cronica dello stomaco e del duodeno in 7 pazienti (64%). Alla colonscopia sono state<br />

24


iscontrate alterazioni della mucosa intestinale in un paziente (ulcerazioni aftoidi e perdita del<br />

pattern vascolare), mentre un’iperplasia nodulare linfoide era presente nell’ileo terminale di 5<br />

pazienti (45%). L’esame istologico ed immunoistochimico dei tessuti biopsiati ha mostrato<br />

una colite microscopica con infiltrazione di linfociti intarepiteliari ed eosinofili, atrofia della<br />

mucosa e iperplasia dei noduli follicalari linfoidi in tutti i pazienti indagati (100% dei casi). A<br />

livello dell’ileo terminale è stata evidenziata un’infiammazione cronica con iperemia e<br />

accorciamento dei villi in 7 soggetti (64%). L’esplorazione dell’intero intestino tramite<br />

videocapsula ha dimostrato in tutti e 5 i pazienti alterazioni infiammatorie specifiche di vario<br />

grado di intensità (aree di sanguinamento ed iperemia con erosioni mucose e ulcere o aree<br />

iperemiche o lesioni atipiche tipo vasculitico) sia nel digiuno che nell’ileo, localizzate in<br />

maniera discontinua per l’intero tratto del piccolo intestino.<br />

CONCLUSIONI<br />

Lo studio condotto per la prima volta in Italia, sebbene su un gruppo limitato di pazienti, ha<br />

riprodotto i dati pubblicati da altri autori all’estero, confermando la presenza di una malattia<br />

infiammatoria cronica intestinale associata al disturbo autistico. Gli accertamenti effettuati<br />

h<strong>anno</strong> dimostrato la presenza di lesioni macroscopiche sia nel tratto gastroenterico superiore<br />

che in quello inferiore nel 54,5% dei pazienti ed alterazioni microscopiche evidenziate con<br />

l’esame istologico nel 73% dei soggetti nel tratto gastroenterico superiore, nel 64% nell’ileo<br />

terminale, nel 100% del colon. Tutti i pazienti osservati h<strong>anno</strong> mostrato un coinvolgimento<br />

macroscopico e/o microscopico. I dati ottenuti con la video-capsula rappresentano inoltre le<br />

prime immagini al mondo di un interessamento panintestinale di tale patologia. L’efficacia<br />

delle terapia farmacologia sulla patologia intestinale ed i suoi riflessi sulla patologia<br />

neuropsichiatria sar<strong>anno</strong> oggetto di prossimi studi. I risultati ottenuti sono stati presentati nel<br />

2005 a 2 congegni di gastroenterologia, uno nazionale ed uno internazionale, segnalati<br />

preliminarmente su una rivista internazionale nello stesso <strong>anno</strong> e sono in fase di pubblicazione<br />

più estesa nei prossimi mesi.<br />

PUBLICAZIONI<br />

F. Balzola, D.Clauser, A. repici, V. Barbon, A.Sapino, C.Barbera, PL.Calvo, M.Gandione,<br />

R.Rigardetto, M.Rizzetto. Autistic enterocolitis: confirmation of a new inflammatory bowel<br />

disease in an Italian cohort of patients.Digestive and Liver Disease PO2.87, S137.Vol 37.<br />

Supplement N.1 March 2005<br />

Balzola F, Barbon V, Repici A, Rizzetto M, Clauser D, Gandione M, Sapino A. Panenteric<br />

IBD-like disease in a patient with regressive autism shown for the first time by the wireless<br />

capsule enteroscopy: another piece in the jigsaw of this gut-brain syndrome Am J<br />

Gastroenterol. 2005 Apr;100(4):979-81.<br />

Balzola F, Daniela C, Repici A, Barbon V, Sapino A, Barbera C, Calvo PL, Gandione M,<br />

Rigardetto R, Rizzetto M. Autistic enterocolitis: confirmation of a new inflammatory bowel<br />

disease in an Italian cohort of patients. Gastroenterology<br />

25


Franco Balzola Filone tematico D1<br />

Fattori di rischio nell’incidenza di carcinoma del colon-retto in soggetti<br />

affetti da obesita’ di grado medio-elevato<br />

Istituto Auxologico Italiano<br />

OBIETTIVI<br />

Obiettivo generale del progetto era verificare l’ipotesi di lavoro che la resistenza insulinica e<br />

l’obesità rappresentino fattori di rischio per l’insorgenza di carcinoma colorettale e, in caso di<br />

risposta affermativa, valutare il grado di interdipendenza di questi due fattori.<br />

Obiettivi dettagliati erano rappresentati da:<br />

1. assemblaggio di una coorte di pazienti residenti in <strong>Piemonte</strong> ed in Lombardia affetti da<br />

obesità ricoverati (in regime di degenza ordinaria e di Day-Hospital) presso l’Ospedale<br />

San Giuseppe (Piancavallo, VB) nel periodo 1995-2002. Sono stati arruolati nello studio i<br />

pazienti ambosessi di età superiore ai 18 anni (30 anni nella versione originaria del<br />

progetto) nella cui scheda di dimissione ospedaliera (SDO) dall’Ospedale San Giuseppe<br />

fosse presente una diagnosi di “obesità”,<br />

2. raccolta ed inserimento dati in database informatizzato adatto alle successive analisi<br />

statistiche;<br />

3. pulizia del database (eliminazione casi doppi, errori di codifica ecc.);<br />

4. linkage con i database delle SDO delle Regioni <strong>Piemonte</strong> e Lombardia e rilevazione degli<br />

eventi di ricovero negli anni successivi con diagnosi di “carcinoma del colon” e<br />

“carcinoma del retto”;<br />

5. analisi statistica dei dati.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Assemblaggio della coorte (attività 1): si premette che i criteri di assemblaggio sono stati<br />

modificati rispetto al progetto originario su indicazione dei Colleghi epidemiologi includendo<br />

anche pazienti extra <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> e Lombardia nonchè pazienti di età compresa tra i 18<br />

ed i 30 anni, allo scopo di aumentare gli anni-uomo di osservazione e di potere allargare in<br />

futuro gli obiettivi della ricerca ad altre patologie<br />

La coorte arruolata ha le seguenti caratteristiche:<br />

N. Pazienti<br />

arruolati<br />

Età Media M (%) F (%)<br />

26<br />

Insulinemia disponibile<br />

(%)<br />

<strong>anno</strong> 1996 814 45.9 28 72 65<br />

<strong>anno</strong> 1997 1577 46.5 21 79 73<br />

<strong>anno</strong> 1998 1652 47.6 21 79 88<br />

<strong>anno</strong> 1999 1721 47.8 21 79 92<br />

<strong>anno</strong> 2000 1600 48.9 22 78 99<br />

<strong>anno</strong> 2001 1680 50.5 21 79 98<br />

<strong>anno</strong> 2002 1784 51.4 27 73 98


La percentuale media di provenienza dalle Regioni <strong>Piemonte</strong> e Lombardia è del 69%.<br />

Raccolta ed inserimento dati (attività 2): l’accertamento del grado di informatizzazione già<br />

disponibile dei dati richiesti dalla ricerca è stato piuttosto lungo e laborioso, in quanto ha<br />

richiesto la conversione in ambiente tecnico specialistico esterno di un database anagrafico<br />

già esistente presso l’Istituto in un formato adeguato agli scopi dello studio (Access). E’ stato<br />

tuttavia possibile recuperare al 100% i parametri anagrafici (nome, cognome, sesso, data<br />

ricovero, luogo di nascita e di residenza, codice fiscale, codice patologia principale e<br />

secondaria secondo ICD-IX) dall’<strong>anno</strong> 1997 in poi. Per quanto riguarda i dati clinici (peso,<br />

altezza, indice di massa corporea, circonferenza vita, circonferenza fianchi, fumo di sigaretta,<br />

consumo di alcool, glicemia, uricemia, insulinemia, HOMA, colesterolo totale, colesterolo<br />

LDL, colesterolo HDL, trigliceridi, utilizzo di antidiabetici orali, pressione arteriosa<br />

diastolica e sistolica).<br />

Pulizia database (attività 3)<br />

E’ stata completata ed il database è stato consegnato all’Istituto di Epidemiologia dei Tumori<br />

– Centro Prevenzione Oncologica – Università di Torino.<br />

Linkage con i database delle SDO delle Regioni <strong>Piemonte</strong> e Lombardia e rilevazione<br />

degli eventi di ricovero (attività 4): questa attività è in corso presso l’Istituto di<br />

Epidemiologia dei Tumori – Centro Prevenzione Oncologica – Università di Torino.<br />

Analisi statistica dei dati (attività 5)<br />

Questa verrà effettuata non appena conclusa la attività 4.<br />

RISULTATI<br />

La realizzazione del progetto permetterà di:<br />

1. valutare la incidenza di carcinoma colo-rettale associata all’obesità;<br />

2. stimare l’impatto relativo dell’insulino-resistenza e dell’eccesso ponderale sullo sviluppo<br />

di tale patologia.<br />

Una stima di rischio attribuibile basata su dati locali sarà estremamente utile per la<br />

pianificazione di strategie di prevenzione del carcinoma colo-rettale nei soggetti a rischio.<br />

27


Cristiana Barbera Filone tematico B3<br />

Identificazione di casi di celiachia attraverso sintomi tipici e atipici e<br />

nelle patologie a rischio.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze pediatriche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La celiachia, finora considerata malattia rara, si è rivelata in realtà una delle più frequenti<br />

patologie croniche autoimmuni di cui sono noti sia l'agente scatenante sia il terreno genetico<br />

predisponente. Nonostante queste premesse a tuttoggi la malattia risulta sottodiagnosticata e<br />

le sue temibili complicanze (in ordine di gravità, neoplasie, infertilità, osteoporosi, carenze<br />

nutrizionali) che non sarebbero insorte se la diagnosi fosse stata tempestiva si manifestano<br />

raggiunta l'età adulta. Con l'età si accresce anche il rischio di malattie autoimmuni ma su<br />

questo il tempismo diagnostico sembra ininfluente. Considerato l'estremo polimorfismo della<br />

malattia, la diagnosi di celiachia atipica non è sempre semplice e solo avendo presenti le<br />

possibili manifestazioni è possibile eseguire i test diagnostici che indirizzano verso una<br />

conclusione diagnostica certa.<br />

OBIETTIVO<br />

Il nostro studio aveva come obiettivo il recupero del maggior numero di diagnosi di celiachia<br />

attraverso la diffusione tra i pediatri di base di una scheda contenente le principali<br />

manifestazioni e le principali patologie a cui la celiachia si associa per facilitarne la<br />

individuazione precoce.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Per il ridotto organico del nostro Servizio (le borsiste che si sono avvicendate si sono dovuti<br />

impiegare anche nella assistenza e in altre ricerche riguardanti questa malattia) e per la non<br />

riuscita attivazione dei pediatri di base la scheda è stata applicata secondo la metodologia<br />

prevista solo nell’ASL n 8 dove è primario il copresentatore del progetto Prof Umberto De<br />

Vonderweid. Presso quella Azienda sono stati identificati 17 celiaci su 881 sieri esaminati dal<br />

novembre 2002 al marzo 2004. In quella realtà l'Odds Ratio di celiachia ottenuto con la<br />

scheda è risultato superiore a 4 con differenza statisticamente significativa rispetto al valore<br />

teorico atteso. All’interno della nostra struttura la attività di informazione è stata svolta<br />

sfruttando al massimo le risorse disponibili:<br />

a) attraverso la informazione dei pazienti già diagnosticati (esortandoli allo screening dei<br />

consanguinei di I°, a maggior rischio di essere a loro volta affetti);<br />

b) attraverso la azione educativa a riconoscere la malattia nelle sue varie forme tipiche,<br />

atipiche ed extraintestinali rivolta agli: studenti di medicina del corso di Laurea, studenti<br />

infermieri afferenti al diploma universitario di pediatria odontoiatri, specializzandi in<br />

Pediatria;<br />

c) attraverso Convegni divulgativi destinati a medici di base pediatri e medici generici,<br />

neurologi, medici laboratoristi, biologi, tecnici di laboratorio.<br />

28


Grazie a questo sforzo attuato soprattutto attraverso la collaborazione con la associazione AIC<br />

(Associazione Italiana Celiaci) il numero di nuove diagnosi/<strong>anno</strong> è passato progressivamente<br />

da 74 nel 2000 a 130 nel 2004 e nel 2005. Il nostro Servizio di gastroenterologia, Centro di<br />

riferimento per Torino e parte della Provincia per l’esecuzione della biopsia digiunale, tappa<br />

conclusiva dell’iter diagnostico per la celiachia, rappresenta un “Osservatorio” per il<br />

monitoraggio delle caratteristiche epidemiologiche e cliniche della malattia in età pediatrica.<br />

L’analisi della casistica ottenuta nel periodo del progetto di ricerca ha dimostrato,<br />

analogamente a quanto segnalato in altre popolazioni pediatriche, un incremento di diagnosi<br />

per screening familiare, l'aumento di forme presenti in pazienti sempre meno sospetti di<br />

malattia perché nei percentili più alti di altezza e peso e con modestissimi sintomi<br />

gastrointestinali. La percentuale di celiaci diagnosticati per esempio a seguito di Dolori<br />

Addominali Ricorrenti, una delle patologie più comuni in età pediatrica è risultata pari al<br />

16%, quella degli anemici con resistenza al trattamento marziale intorno all'8%.<br />

Curiosamente si è riscontrata nel tempo anche una tendenza alla riduzione di incidenza di<br />

dermatite erpetiforme che pure è considerata la manifestazione cutanea di celiachia.<br />

Proponiamo che l’utilizzo della scheda rimanga attivo e che la sua diffusione venga estesa a<br />

tutti i pediatri di base di Torino e Provincia e ci offriamo di effettuare una verifica costante<br />

della medesima scheda, basata sui dati in letteratura e sull’esperienza del nostro<br />

"osservatorio".<br />

29


Alberto Bardelli Filone tematico A2<br />

Il ruolo dei cancerogeni ambientali nell'insorgenza di instabilità<br />

genomica dei tumori<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Oncologiche - I.R.C.C. di Candiolo<br />

OBIETTIVI<br />

La popolazione piemontese è esposta ad una serie di cancerogeni presenti negli ambienti<br />

lavorativi, nella dieta, oppure associati a specifici stili di vita (tabagismo, alcolismo etc).<br />

L’interazione con queste sostanze è associata all’insorgenza e alla progressione delle<br />

patologie neoplastiche. Diverse ricerche sperimentali ed epidemiologiche suggeriscono che<br />

tra i più importanti fattori di rischio per i tumori vi sono sostanze capaci di interagire con il<br />

DNA. Come risultato si ritiene che gli individui esposti possano sviluppare alcune forme di<br />

instabilità genetica fra cui l’instabilità cromosomica (CIN) e quella dei microsatelliti (MIN)<br />

che favoriscono lo sviluppo di neoplasie. Questo progetto si propone di chiarire attraverso<br />

quali meccanismi molecolari l’esposizione ai cancerogeni ambientali causa l’insorgenza di<br />

instabilità genetica nei tumori umani.<br />

MATERIALI E METODI<br />

In linea con gli obiettivi del progetto abbiamo creato un database di cancerogeni ambientali<br />

rilevanti da un punto di vista epidemiologico. Abbiamo quindi deciso di concentrare la nostra<br />

attenzione sulle ammine eterocicliche e i nitrosocomposti che sono fra i più rappresentativi<br />

per quello che riguarda l’esposizione della popolazione piemontese. Abbiamo analizzato una<br />

serie di linee cellulari corrispondenti a vari tessuti umani fra cui colon e vescica come modelli<br />

sperimentali per lo studio della relazione fra esposizione ai cancerogeni e insorgenza di<br />

instabilità genetica. Si è quindi verificato che le linee cellulari fossero geneticamente stabili e<br />

adatte all’analisi sperimentale proposta. Da un lato abbiamo valutato il livello di aneuploidia<br />

dei diversi cloni utilizzando tecniche citogenetiche classiche in modo da escludere la presenza<br />

di instabilità di tipo CIN. Dall’altro i livelli di instabilita nucleotidica (MIN) sono stati<br />

misurati utilizzando un sequenziatore automatico per valutare la sequenza di alcuni regioni<br />

del genoma che sono soggette a rimodellamento (microsatelliti). Queste indagini h<strong>anno</strong><br />

dimostrato che le linee cellulari prescelte erano adatte allo studio avendo un corredo<br />

cromosomico diploide e assenza di instabilità di tipo microsatellitare.<br />

Le linee cellulari sono state esposte a differenti dosaggi della forma attiva dei cancerogeni in<br />

modo da identificare i corrispondenti effetti biologici. Si sono quindi stabilite le<br />

concentrazioni in grado di determinare un d<strong>anno</strong> genetico ed il corrispondente effetto<br />

citotossico.<br />

Le linee cellulari sono state ripetutamente trattate con i cancerogeni in modo da generare cloni<br />

resistenti, utilizzando una strategia sperimentale da noi precedentemente messa a punto. In<br />

particolare abbiamo utilizzato fra gli altri composti 4-aminobiphenyl (4-ABP) e N-Methyl-N'-<br />

Nitro-N-Nitrosoguanidine (MNNG).<br />

Questi approcci ci h<strong>anno</strong> consentito di ottenere una serie di linee cellulari nelle quali<br />

l’esposizione ai carcinogeni ha indotto una specifica resistenza in modo analogo a quanto<br />

accade a seguito dell’interazione con i cancerogeni ambientali.<br />

30


Infine le cellule trattate con i cancerogeni sono state sottoposte ad analisi molecolare in modo<br />

da valutare se l’esposizione a specifiche sostanze chimiche fosse correlata con l’insorgenza di<br />

diversi meccanismi di instabilità genetica, che sono alla base della progressione delle<br />

neoplasie. A questo scopo abbiamo verificato sia la presenza di instabilità cromosomica (tipo<br />

CIN) sia quella di microsatelliti (tipo MIN).<br />

RISULTATI<br />

I risultati ottenuti sono stati estremamente interessanti. Abbiamo infatti scoperto che<br />

l’esposizione al carcinogeno 4-aminobiphenyl (4-ABP) determina l’insorgenza d’instabilità di<br />

tipo cromosomico ma non quella di tipo microsatellitare. Al contrario l’esposizione a N-<br />

Methyl-N'-Nitro-N-Nitrosoguanidine (MNNG) determina l’insorgenza di instabilità dei<br />

microsatelliti ma non quella di tipo cromosomico.<br />

Questi risultati sono di particolare rilevanza in quanto stabiliscono un legame di causa-effetto<br />

fra esposizione a cancerogeni ambientali e sviluppo di instabilità genetica. I modelli cellulari<br />

generati rappresentano un’importante tappa per comprendere le cause molecolari del ruolo dei<br />

carcinogeni ambientali nello sviluppo delle neoplasie. Potrebbero inoltre consentire lo<br />

sviluppo di nuovi metodi di screening molecolare dei osggetti esposti<br />

31


Giuseppina Barrera Filone tematico A4<br />

Carcinoma del colon: regolazione della crescita da parte di prodotti della<br />

perossidazione lipidica e di ligandi dei PPAR<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina e Oncologia Sperimentale – Sezione di Patologia Generale<br />

I risultati ottenuti durante il biennio <strong>2003</strong>-2005 h<strong>anno</strong> dimostrato l’efficacia dei ligandi dei<br />

PPAR gamma (15d-PGJ2 e rosiglitazone) da soli o in associazione con il 4-idrossinonenale,<br />

uno dei principali prodotti della perossidazione lipidica, nel modulare il differenziamento,<br />

l’apoptosi e l’espressione di alcuni geni correlabili a questi processi, nelle cellule di<br />

carcinoma del colon umane CaCo-2. Il lavoro sperimentale è stato condotto esaminando,<br />

durante il primo <strong>anno</strong> di finanziamento, l’efficacia dei ligandi dei PPAR nell’indurre i<br />

suddetti fenomeni a livello fenotipico, mentre nel secondo <strong>anno</strong> è stata esaminata<br />

l’espressione genica.<br />

AZIONE DEI LIGNADI DEI PPARγ SU DIFFERENZIAMENTO E APOPTOSI<br />

NELLE CELLULE CaCO-2<br />

Proliferazione delle cellule CaCo-2 trattate con i ligandi dei PPAR γ. La proliferazione<br />

cellulare è stata valutata esponendo le cellule a differenti concentrazioni di due ligandi dei<br />

PPARγ, 15d-PGJ2 e rosiglitazone.<br />

I risultati ottenuti dimostrano che entrambi i composti sono in grado di inibire la crescita<br />

cellulare in maniera dose dipendente. La 15d-PG J2 sembra più attiva del rosiglitazone. Infatti<br />

i rispettivi valori di IC50 a 96 ore erano di 34 microM per la 15d-PG J2 e di 189 microM per<br />

il rosiglitazone.<br />

Citotossicità acuta dei ligandi dei PPAR γ. Per escludere che la risposta anti-proliferativa<br />

potesse essere dovuta a citotossicità acuta è stato effettuato un test specifico in cui le cellule<br />

sono state incubate per un tempo breve (due ore) con diverse concentrazioni dei due ligandi e<br />

con fenolo e cloruro di benzalconio, utilizzati come controlli positivi. L'analisi dei risultati<br />

ottenuti da questo esperimento, porta ad escludere un effetto citotossico della 15d-PG J2 e del<br />

rosiglitazone.<br />

Differenziamento delle cellule CaCo-2. Il differenziamento cellulare delle CaCo-2 è stato<br />

valutato mediante il numero di Domes dopo il trattamento con rosiglitazone e 15d-PGJ2 in un<br />

range di dosi variabili da 50 a 200 µM per il rosiglitazone e da 10 a 100µM per la<br />

prostaglandina. Il rosiglitazone ha fatto registrare un significativo aumento del<br />

differenziamento alle concentrazioni di 50 e 80 µM dopo 48 ore dal trattamento, quasi<br />

paragonabile a quello osservato dopo trattamento con butirrato di sodio, noto agente<br />

differenziante per questa linea cellulare ed utilizzato quale controllo positivo. La 15d-PGJ2<br />

invece non induceva un significativo aumento del differenziamento delle cellule CaCo-2<br />

Apoptosi<br />

Si è anche voluto verificare la possibilità che la riduzione della proliferazione cellulare<br />

potesse esser dovuta a morte per apoptosi. Abbiamo allora esaminato la fluorescenza delle<br />

cellule trattate secondo lo stesso schema utilizzato per misurare il differenziamento,<br />

utilizzando il test del TUNEL. Il trattamento con 15d-PGJ2 alle concentrazioni di 12.5 e 25<br />

µM e con rosiglitazone alle concentrazioni di 80-100 µM inducevano un significativo<br />

aumento delle cellule apoptotiche 24 ore dopo il trattamento (15-20% di cellule in apoptosi).<br />

32


Trattamento con 4-idrossinonenale. Durante il secondo <strong>anno</strong> di esecuzione del progetto è<br />

stata dapprima esaminata l’interazione tra 15d-PGJ2 (10 µM) e rosiglitazone (80 µM) con 4idrossinonenale<br />

(HNE), uno dei più attivi prodotti della perossidazione lipidica,<br />

somministrato alle colture cellulari mediante il protocollo dei trattamenti ripetuti alla dose di 1<br />

µM. Le concentrazioni di rosiglitazone (80 µM) e di 15d-PG J2 (10 µM), utilizzate in<br />

associazione al trattamento con HNE, sono state scelte sulla base degli esperimenti in cui era<br />

valutata la proliferazione cellulare. Tali concentrazioni erano capaci di inibire per circa il 50%<br />

la proliferazione delle cellule CaCo-2. L’HNE da sola inibisce la proliferazione cellulare di<br />

circa il 70% dopo 3 giorni, non induce differenziamento ma induce apoptosi nel 13-20% delle<br />

cellule CaCo-2, 24 ore dopo l’inizio del trattamento. Il trattamento simultaneo con HNE e<br />

rosiglitazone 80 µM oppure con HNE e 15d-PG J2 10 µM non evidenzia alcun effetto<br />

sinergico tra le sostanze sui diversi parametri considerati.<br />

AZIONE DEI LIGNADI DEI PPARγ SULL’ESPRESSIONE GENICA NELLE<br />

CELLULE CaCo-2.<br />

Espressione dell’oncogene c-myc. L’oncogene c-myc è notoriamente coinvolto nel controllo<br />

della proliferazione cellulare del differenziamento e dell’apoptosi. Per questo motivo abbiamo<br />

voluto verificare la sua espressione in seguito al trattamento con diverse concentrazioni di<br />

rosiglitazone, 15d-PG J2 e HNE. Il rosiglitazone inibisce l’espressione della proteina MYC a<br />

partire dalla concentrazione di 25 µM a 48-72 ore dalla sua aggiunta, tale inibizione è più<br />

precoce con dosi più alte. La 15d-PG J2 provoca un transitorio aumento di espressione di cmyc<br />

seguito da una costante inibizione a partire dalle 48 ore dalla sua aggiunta.<br />

Anche HNE ha una duplice azione sull’espressione della proteina MYC: dapprima, a 8 ore si<br />

assiste ad un aumento della proteina MYC seguito da una drastica riduzione a partire dalle 24<br />

ore. Quando si somministrato insieme il rosiglitazone, alla concentrazione di 80 µM e l’HNE<br />

il quadro di inibizione è sovrapponibile a quello ottenuto dopo trattamento con la sola HNE.<br />

Allo stesso modo trattando le cellule con 15d-PG J2 e HNE, l’azione bifasica sull’espressione<br />

di c-myc è paragonabile a quella ottenuta con la sola HNE.<br />

Espressione delle cicline D1 e D2. La ciclina D1 è inibita dalla sola HNE 48 ore dopo la sua<br />

aggiunta, mentre l’espressione della ciclina D2 non è modificata nelle cellule trattate con<br />

l’aldeide. Il trattamento con diverse dosi di rosiglitazone così come con diverse dosi di 15d-<br />

PG J2 non modificano l’espressione di ciclina D1 e D2.<br />

Espressione di p21. L’espressione dell’inibitore del ciclo cellulare p21 è aumentata dopo<br />

trattamento con rosiglitazone e 15d-PG J2 a partire dalle 24 ore. Anche l’HNE induce<br />

l’espressione dell’inibitore p21, in analogia a quanto già osservato in altri modelli cellulari.<br />

Tuttavia il trattamento contemporaneo con HNE e 15d-PG J2 o con HNE e rosiglitazone non<br />

ha evidenziato un sinergismo o un effetto additivo sull’incremento di espressione di p21, né<br />

un’anticipazione nel tempo della comparsa dell’aumento.<br />

Espressione di BAX L’espressione del gene proapoptotico bax è presente nelle cellule CaCo-<br />

2 24 ore dopo il trattamento con 15d-PG J2, rosiglitazone e HNE. Non si osserva effetto<br />

cumulativo o sinergico quando il trattamento con HNE è eseguito in associazione con uno dei<br />

due ligandi.<br />

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Ettore Bartoli Filone tematico A2<br />

Fattori predittivi di resistenza insulinica e patologia degenerativa nel<br />

NIDDM: influenza di età e climaterio<br />

Università del <strong>Piemonte</strong> Orientale “Amedeo Avogadro”<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

Gli studi eseguiti con la metodica dello “split hydronephrotic kidney” h<strong>anno</strong> dimostrato<br />

l’importanza delle proteine Rho, componenti della infiammazione e rilevanti nei fenomeni di<br />

rigetto, nel determinare e deviare in senso patologico le risposte vascolari del glomerulo<br />

renale (1,2).<br />

Gli studi eseguiti mediante isolamento e cultura dei glomeruli in vitro sono terminati.<br />

Quelli relativi allo sviluppo del modello sperimentale sono stati oggetto di una tesi di<br />

Laurea (3), e quelli vertenti sull’azione della Ciclosporina A su Endoteline e Angiotensine<br />

sono stati ultimati e la relativa pubblicazione è stata inviata per stampa (4).<br />

Dall’impegno complessivo derivato dallo studio dei fattori infiammatori del mesangio<br />

glomerulare e loro controllo con Ciclosporina A ed altri farmaci, nonché dallo studio delle<br />

interconnessioni fra meccanismi infiammatori del mesangio e patologia renale del Diabete<br />

Mellito, si sono sviluppate altre pubblicazioni, alcune delle quali in stampa (5-8).<br />

Le pubblicazioni vertenti direttamente sull’influenza del climaterio e dell’età avanzata sulla<br />

resistenza insulinica sono state inviate a riviste scientifiche dalle quali verr<strong>anno</strong> sottoposti<br />

all’iter per la pubblicazione a stampa (9, 10). Questi studi h<strong>anno</strong> dimostrato che la<br />

Ciclosporina esercita il proprio effetto tossico liberando endotelina dal glomerulo e che<br />

l'endotelina, a sua volta, recluta l'attivazione delle angiotensine, determinando vasocostrizione<br />

ed insufficienza renale.<br />

I nostri studi h<strong>anno</strong> inoltre dimostrato come diabete e intolleranza al glucosio compaiano<br />

repentinamente in corrispondenza del periodo climaterico nella donna, dove vengono<br />

diagnosticati mediante i test di ISIgly e di HOMA-IR. L’incidenza delle anomalie in questo<br />

periodo è significativamente maggiore nelle femmine rispetto ai maschi e rispetto a quella di<br />

tutte le altre età della vita.<br />

Perciò concludiamo che lo screening per diabete, sindrome metabolica, intolleranza al<br />

glucosio dovrebbe essere eseguito, nella donna, tra i 45 ed i 55 anni di età per ottenere una<br />

efficace prevenzione<br />

PUBBLICAZIONI<br />

1. Cavarape A, Endlich N, Assaloni R, Bartoli E, Steinhausen M, Parekh N, Endlich K. Rho-<br />

Kinase inhibition blunts renal vasoconstriction induced by distinct signaling pathways in<br />

vivo. J. Am. Soc. Nephrol., 13; 37-45, <strong>2003</strong>.<br />

2. Cavarape A, Bauer J, Bartoli E, Endlich K, Parekh N. Effects of Ang II AVP and TxA2<br />

in renal vascular bed: role of rho-kinase. Nephrol Dial Trasplant, 18, 1764-1769, <strong>2003</strong>.<br />

3. Colli E. Nuovo modello di glomerulonefrite acuta sperimentale ex vivo nel ratto:<br />

valutazione dell’adesione dei polimorfonucleati nello sviluppo del d<strong>anno</strong> glomerulare.<br />

34


Tesi di Laurea, Sessione autunnale <strong>2003</strong>, Università del <strong>Piemonte</strong> Orientale “Amedeo<br />

Avogadro”, Facoltà di medicina e Chirurgia.<br />

4. Sainaghi PP, Castello L, Bergamasco L, Letizia G, Bartoli E. Pathways of Cyclosporine A<br />

effects in pig glomeruli isolated in vitro. Inviato per pubblicazione<br />

5. Carnevale Schianca GP, Rossi A., Sainaghi PP, Maduli E, Bartoli E. The significance of<br />

impaired fasting glucose versus impaired glucose tolerance: importance of insulin<br />

secretion and resistance. Diabetes Care, 26,1333-1337, <strong>2003</strong>.<br />

6. Sainaghi PP, Castello L, Maduli E, Rossi A, Carnevale Schianca GP, Bartoli E. Il valore<br />

predittivo della glicemia a digiuno nello screening dell’intolleranza glicidica e del rischio<br />

cardiovascolare associato. Ann Ital Med Int, 17, suppl 2, 90S (N° 227), 2002.<br />

7. Fra GP, Avanzi GC, Bartoli E. Remission of refractory lupus nephritis with a protocol<br />

including rituximab. Lupus 12, 783-787, <strong>2003</strong>.<br />

8. Bartoli E, Fra GP. Micofenolato o ciclofosfamide nella nefrite lupica. Att Congresso<br />

Interannuale della Società Italiana di Allergologia e Immunologia Clinica, Firenze, 22-25<br />

Settembre 2004, pp 193.<br />

9. Carnevale Schianca P,, Rapetti L, Castello L, Bartoli E. Insulin sensitivity: gender<br />

difference in subjects with normal glucose tolerance. Inviato per pubblicazione<br />

10. Carnevale Schianca P, Sainaghi PP, Bartoli E. The different significance of indeces of<br />

insulin resistance. Inviato per pubblicazione<br />

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Simona Bastonero Filone tematico C1<br />

Un nuovo marker per lo screening prenatale delle anomalie<br />

cromosomiche: l’osso nasale fetale<br />

A.S.O. O.I.R.M. S. Anna<br />

Centro di Ecografia e Diagnosi Prenatale<br />

Lo screening delle anomalie cromosomiche, in particolare della sindrome di Down, si è basato<br />

negli ultimi decenni, oltre che sull’età materna, sullo studio di diversi parametri biochimici<br />

nel secondo trimestre, uniti a parametri ecografici biometrici specifici.<br />

L’obiettivo dei diversi programmi di screening è quello di ridurre al minimo possibile i<br />

cosiddetti falsi positivi, gravide a cui offrire la diagnosi prenatale invasiva, e incrementare la<br />

detection rate, il numero assoluto di feti affetti individuati con screening e diagnosi prenatale<br />

invasiva.<br />

Il metodo più diffuso anche in Italia è oggi il «Triplo test» (o tri-test), che è nato<br />

dell’associazione della sindrome di Down a bassi valori di alfa-fetoproteina e di estriolo non<br />

coniugato e a alti valori di gonadotropina corionica nel siero materno. Questo metodo ci<br />

consente di calcolare anche il rischio stimato di difetti del tubo neurale, che comprende una<br />

varietà di malformazioni che v<strong>anno</strong> dall’anencefalia alla spina bifida e che sono correlati con<br />

un elevato valore di AFP nel siero materno. Nell’esperienza del gruppo torinese dell’Ospedale<br />

Sant’Anna (relativa a circa 60.000 test effettuati) il tri-test, eseguito a 16 settimane di età<br />

gestazionale, ha una percentuale di falsi positivi (false positive rate) dell’8-9 %.<br />

E’ argomento di discussione quale sia la migliore politica di screening da attuare, come prima<br />

scelta, o quale nuova scelta eventualmente da modificare rispetto a quanto finora realizzato, in<br />

funzione delle diverse risorse tecnologiche, umane, economiche, delle diverse situazioni<br />

sociali, in funzione delle diverse valutazioni bioetiche, tenendo presente che tutte le<br />

metodiche invasive comportano una percentuale di perdite fetali, dell’ordine dello 0,5 – 1,5%.<br />

Il nostro Centro ha partecipato alla fase di ricerca clinica di un nuovo metodo di screening, il<br />

Test Integrato che consente di ottenere una alta detection rate (92%) con la riduzione del<br />

numero di falsi positivi (3,4%) e quindi di donne che h<strong>anno</strong> effettuato la diagnosi invasiva. I<br />

dati sperimentali, ottenuti in gran parte su una popolazione a rischio, segnalano che un nuovo<br />

marcatore ecografico, l’osso nasale, potrebbe diminuire ulteriormente i falsi positivi con un<br />

mantenimento/miglioramento della sensibilità.<br />

Allo scopo di valutare l’associazione tra assenza dell’osso nasale all’esame ecografico e<br />

rischio di feto affetto da trisomia 21 sono state reclutate tutte le gravide che, presso il nostro<br />

Centro, h<strong>anno</strong> effettuato il test integrato e/o il prelievo di villi coriali a 11-14 settimane e che<br />

h<strong>anno</strong> effettuato il tri-test e/o l’amniocentesi a 15-19 settimane di età gestazionale.<br />

VALUTAZIONE DELL’OSSO NASALE A 11-14 SETTIMANE DI GRAVIDANZA IN<br />

UNA POPOLAZIONE NON SELEZIONATA<br />

Obiettivo: valutare l’associazione tra assenza dell’osso nasale all’esame ecografico e rischio<br />

di feto affetto da trisomia 21 a 11 – 14 settimane di gravidanza.<br />

Materiali e metodi: la valutazione dell’ossificazione dell’osso nasale è stata effettuata su<br />

1906 feti, afferiti al Centro di Ecografia e Diagnosi Prenatale dell'Ospedale S. Anna per<br />

effettuare lo screening ecografico e biochimico (test integrato) del primo trimestre oppure la<br />

36


diagnosi prenatale invasiva. Per la valutazione del profilo fetale e della presenza assenza<br />

dell’osso nasale è stato seguito un protocollo standardizzato.<br />

Risultati: una scansione corretta dell’osso nasale è stata ottenuta in 1752 feti su 1906<br />

(91.9%), in 154 casi (8.1%) il profilo fetale non è stato visualizzato correttamente. Tra i 1752<br />

feti nei quali è stato possibile ottenere una scansione adeguata, abbiamo registrato 36 casi di<br />

osso nasale fetale assente o ipoplastico (2.05%). Il cariotipo era normale in 1733 feti; in 19<br />

casi abbiamo registrato un cariotipo patologico. L’osso nasale era presente in 1709 feti<br />

(98.6%) sui 1733 con cariotipo normale e assente in 24 casi (1.4%). Nei feti con aneuploidia<br />

l’osso nasale era ipoplastico o assente in 12 su 19 casi (63%); tra i dieci feti affetti da<br />

sindrome di Down l’osso nasale era ipoplastico o assente in 8 casi.<br />

Conclusioni: la nostra esperienza conferma l’efficacia della valutazione della lunghezza<br />

dell’osso nasale per migliorare lo screening della trisomia 21, anche in una popolazione non<br />

selezionata.<br />

VALUTAZIONE DELL’OSSO NASALE A 15 – 19 SETTIMANE DI GRAVIDANZA<br />

IN UNA POPOLAZIONE A RISCHIO<br />

Obiettivo: misurare la lunghezza dell’osso nasale all’esame ecografico e valutarne<br />

l’associazione con il rischio di feto affetto da trisomia 21 a 15 – 19 settimane di gravidanza.<br />

Materiali e metodi: è stata effettuata la misurazione dell’osso nasale su 198 gravidanze<br />

afferite al Centro di Ecografia e Diagnosi Prenatale dell'Ospedale S. Anna per effettuare<br />

l’amniocentesi. Abbiamo inoltre valutato il rapporto tra la lunghezza dell’osso nasale in<br />

relazione con il valore dal diametro biparietale. Per la valutazione del profilo fetale e della<br />

presenza assenza dell’osso nasale è stato seguito un protocollo standardizzato.<br />

Risultati: il cariotipo era normale in 190 feti e in 8 casi patologico. L’osso nasale era presente<br />

in 189 feti (99.5%). L’osso nasale è risultato assente in un solo caso con cariotipo normale<br />

(5.3%) e in 2 casi dei 5 feti affetti da sindrome di Down (60%). L’osso nasale è risultato<br />

ipoplastico in 3 feti con cariotipo normale (1.57%) e in un caso dei 5 feti affetti da trisomia<br />

21.<br />

Conclusioni: è risultato che 166 feti su 190 sani (87.3%) presentavano rapporto BPD/NBL ≤<br />

a 9, mentre solo 24 (12.7%) presentavano rapporto BPD/NBL > di 9. Tra gli 8 feti con<br />

cariotipo patologico 6 presentavano rapporto BPD/NBL ≤ a 9 e 2 presentavano rapporto<br />

BPD/NBL > di 9; di questi 2 feti uno era portatore di una trisomia 21 e l’altro di trisomia 18.<br />

La nostra esperienza conferma l’efficacia della valutazione dell’osso nasale per migliorare lo<br />

screening della trisomia 21 anche nel secondo trimestre. In conclusione gli studi condotti nel<br />

nostro centro in accordo con i dati presenti in letteratura, dimostrano che l’assenza/ipoplasia<br />

dell’osso nasale correla significativamente con un aumentato rischio di avere un feto affetto<br />

da trisomia 21 e se i nostri studi e quelli condotti negli altri centri dovessero essere validati da<br />

studi successivi su campioni più numerosi, la valutazione della presenza/assenza dell’osso<br />

nasale potrebbe essere introdotta in un nuovo protocollo di screening sia nel primo sia nel<br />

secondo trimestre di gravidanza. In tutti i feti è stata visualizzata una scansione del profilo<br />

fetale con identificazione dell’osso ansale e sua misurazione.<br />

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Mario Bazzan Filone tematico C1<br />

Razionalizzazione di diagnosi e cura delle sindromi mieloproliferative Ph-<br />

mediante creazione di un sito web dedicato<br />

Ospedale Evangelico Valdese<br />

SOC di Ematologia e Malattie Trombotiche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Si è costituito circa 3 anni fa in modo informale il GRUPPO PIEMONTESE PER LO<br />

STUDIO E LA CURA DELLE MALATTIE MIELOPROLIFERATIVE Ph- (GPMMPh-)<br />

formato da medici specialisti provenienti da numerosi Centri <strong>Piemonte</strong>si. Sin dalle prime<br />

riunioni si è evidenziata l'esigenza di creare un archivio comune per la raccolta dei dati clinici<br />

e di laboratorio dei pazienti affetti da TROMBOCITEMIA ESSENZIALE, nell'ambito di un<br />

sito WEB dedicato a tale patologia. In seguito a diversi incontri fra specialisti è stato definito<br />

un progetto che individuasse gli elementi da raccogliere nel database elettronico e le<br />

caratteristiche del sito WEB.<br />

MATERIALI E METODI<br />

1. E’ stato creato e validato nel corso del 2004 un archivio elettronico con campi contenenti<br />

cenni anamnestici, comorbidità, fattori di rischio trombofilici, caratteristiche cliniche,<br />

istologiche e laboratoristiche alla diagnosi, complicanze correlate, terapia e dati circa il<br />

follow-up del paziente. Un Medico volontario ha proceduto all'inserimento dei dati di<br />

alcuni pazienti-test grazie al materiale messo a disposizione da alcuni Reparti di<br />

Ematologia di Torino (Ospedale Valdese e Ospedale S. Luigi). Contemporaneamente è<br />

stato acquistato un dominio per la registrazione di un sito web ed si è proceduto a creare<br />

un'infrastruttura caratterizzata da pagine grafiche e di animazione Macromedia Flash,<br />

piattaforma di accoglienza del data-base, interfaccia grafica per l'inserimento e<br />

l'aggiornamento dei dati clinici. Si è proceduto inoltre allo sviluppo di un software per la<br />

gestione del data-base, degli accessi riservati degli utenti, di un generatore di<br />

password/username d'accesso, per moduli di registrazione riservati e sistemi di secure<br />

servering.<br />

2. E’ stato creato il sito web (www.gruppotepiemonte.com), inizialmente con caratteristiche<br />

di consultazione, contenente dati di letteratura consultabili, previa registrazione, da<br />

pazienti e medici. Nell’ambito dello stesso sito è in fase di attuazione un Forum che<br />

raccolga le esperienze e le esigenze degli utenti.<br />

3. E’ stata creata un'area riservata ai medici contenente il data base per la raccolta dei dati<br />

clinici (criptato sui dati sensibili secondo le leggi sulla tutela della privacy). E’ stato<br />

individuato un borsista che ha messo a punto il sistema informatico precedentemente<br />

progettato, adeguandolo alle esigenze del compilatore ed eliminando le difficoltà tecniche<br />

insorte. Sono stati inseriti ad oggi i dati clinici di circa 230 pazienti (con diagnosi di<br />

Trombocitemia Essenziale a partire dal 2000) sul database online.<br />

I pazienti provengono da: Unità di Ematologia e Trombosi Ospedale Cellini, Divisione<br />

Universitaria di Medicina Interna Ospedale S. Luigi, Divisione Universitaria e<br />

Ospedaliera di Ematologia Ospedale S, Giovanni Battista, Divisione Universitaria di<br />

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Ematologia Osp Maggiore di Novara, Divisione di Ematologia Ospedale di Alessandria,<br />

Unità di Ematologia Ospedale Mauriziano, Divisione di Medicina Interna OIRM-S.Anna.<br />

CONCLUSIONI<br />

La creazione di questo sito WEB dedicato alla Trombocitemia Essenziale e la messa a punto<br />

del data base online consentir<strong>anno</strong> ai vari Specialisti Ematologi <strong>Piemonte</strong>si di proseguire<br />

l'inserimento delle nuove diagnosi e di aggiornare quelle già inserite. Inoltre i dati già a<br />

disposizione online permetter<strong>anno</strong> di sviluppare progetti epidemiologici, clinici e di follow-up<br />

nell’ambito di tale patologia.<br />

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Silvio Bellino Filone tematico A5<br />

Il disturbo borderline di personalità: caratterizzazione della comorbilità<br />

ed esito del trattamento a lungo termine.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Neuroscienze<br />

Nell’ambito del nostro progetto di ricerca, abbiamo approfondito la caratterizzazione della<br />

comorbilità del disturbo borderline di personalità (DBP). La frequente comorbilità tra DBP e<br />

disturbo depressivo maggiore (DDM) ha infatti aperto un acceso dibattito tra i ricercatori,<br />

portando a due posizioni antitetiche: da un lato, l’ipotesi che i due disturbi siano<br />

manifestazioni di un comune meccanismo fisiopatologico; dall’altro, l’ipotesi che essi non<br />

costituiscano una associazione con caratteristiche peculiari, ma possano semplicemente<br />

coesistere. Abbiamo quindi condotto uno studio di confronto delle caratteristiche cliniche del<br />

DDM fra due sottogruppi di pazienti depressi con DBP o con altri disturbi di personalità.<br />

I soggetti sono stati valutati con un’intervista semistrutturata per le caratteristiche cliniche,<br />

l’Intervista Clinica Semistrutturata per i Disturbi Psichici Asse I/II, CGI, scale di Hamilton<br />

per depressione e ansia (HAM-D, HAM-A), scala di Zung per la depressione autovalutata,<br />

SOFAS e DIS Sheehan per il funzionamento socio-relazionale.<br />

L’analisi statistica dei dati raccolti su 119 soggetti indica che i pazienti borderline depressi, in<br />

confronto a pazienti depressi con altri disturbi di personalità, presentano caratteristiche<br />

cliniche peculiari:<br />

un esordio più precoce del DDM;<br />

una maggiore gravità dei sintomi depressivi autovalutati;<br />

una maggior frequenza di comportamenti autolesionistici e tentativi suicidiari;<br />

un decorso clinico più sfavorevole, con maggior compromissione del funzionamento<br />

socio-relazionale;<br />

una maggiore frequenza di disturbi dell’umore fra i parenti di I° grado.<br />

Sulla base dei risultati sopra riportati, il nostro studio suggerisce quindi che la frequente<br />

associazione tra DBP e depressione maggiore è caratterizzata da connotazioni cliniche<br />

distintive e, in accordo con i recenti sviluppi della letteratura, permette di sostenere l’ipotesi<br />

che i due disturbi siano manifestazioni differenti di un comune meccanismo fisiopatologico<br />

sottostante e possano essere inquadrati in una comune entità psicopatologica.<br />

L'individuazione di questa peculiare associazione clinica comporta rilevanti ripercussioni<br />

sulla gestione del paziente borderline ed evidenzia l'importanza di delineare interventi<br />

terapeutici mirati e di valutarne l'efficacia.<br />

Abbiamo quindi sviluppato il nostro programma di ricerca procedendo in uno studio pilota in<br />

aperto su efficacia e tollerabilità nel DBP di un nuovo stabilizzatore dell’umore,<br />

l’oxcarbazepina, cheto-derivato della carbamazepina con minor effetto di induzione<br />

enzimatica epatica, somministrato alla dose di 800-1300 mg/die per 3 mesi. I soggetti sono<br />

stati valutati al baseline, a 4 e 12 settimane attraverso CGI e BPRS per la psicopatologia<br />

globale, HAM-D e HAM-A, il questionario TCI per il temperamento e il carattere, l’AQ per<br />

l’aggressività, il BPD-Severity Index, l’IIP-64 per i problemi interpersonali e SAT-P per la<br />

qualità della vita.<br />

A 3 mesi è stata condotta un’analisi di regressione per individuare i fattori predittivi di<br />

risposta. Dall’analisi dei dati ottenuti sul nostro campione di 17 pazienti emerge l’efficacia del<br />

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farmaco su: psicopatologia globale, sintomi d’ansia e alcune manifestazioni nucleari del DBP,<br />

quali le difficoltà interpersonali, l’impulsività, l’instabilità affettiva e gli scoppi di rabbia.<br />

L’efficacia su impulsività/aggressività conferma le indicazioni delle linee guida dell’APA per<br />

altri stabilizzatori dell’umore. Per quanto riguarda invece la tollerabilità, non è stato registrato<br />

nessun caso di iponatremia clinicamente significativa (cut-off: Na+ sierico ≤ 125 mmol/l), nè<br />

casi di drop-out per effetti avversi, mentre in una minoranza di pazienti sono stati riscontrati<br />

effetti collaterali minori, quali sonnolenza, vertigini, nausea e cefalea.<br />

I risultati del nostro studio suggeriscono pertanto che l’oxcarbazepina può costituire un<br />

farmaco efficace e sicuro nel trattamento dei pazienti con DBP. E’ proseguito il reclutamento<br />

dei pazienti borderline per lo studio di confronto fra due modalità di trattamento:<br />

farmacoterapia con stabilizzatori dell’umore (acido valproico, 800-1300 mg/die, come<br />

indicato dalle linee guida APA) versus terapia combinata con acido valproico e psicoterapia<br />

interpersonale.<br />

Lo studio è stato condotto per 6 mesi e i pazienti sono stati valutati al baseline, a 12 e 24<br />

settimane con: CGI, HAM-D, HAM-A, BPDSI, il SAT-P e l’IIP-64. L’analisi statistica sul<br />

campione di 35 soggetti prospetta i vantaggi della terapia combinata, soprattutto in termini di<br />

miglioramento degli aspetti psicopatologici nucleari del disturbo, in particolare l’instabilità<br />

delle relazioni interpersonali. I pazienti che h<strong>anno</strong> completato la fase iniziale dei due studi<br />

(con oxcarbazepina e di confronto acido valproico e terapia combinata) e sono stati<br />

considerati responder sono osservati in uno studio di follow-up di 12 mesi, in cui viene<br />

proseguito il trattamento in corso. L’assessment viene ripetuto con le scale sopraelencate ad<br />

intervalli regolari di 3 mesi. I dati sono attualmente in fase di raccolta e sar<strong>anno</strong> sottoposti ad<br />

analisi statistica, al fine di stimare l’ulteriore progressione della risposta a lungo termine.<br />

Negli ultimi mesi dell’attività di ricerca è stato intrapreso uno studio di confronto fra terapia<br />

combinata con antidepressivi Inibitori Selettivi del Reuptake della Serotonina (SSRI) e<br />

psicoterapia interpersonale a frequenza settimanale e SSRI in monoterapia in un gruppo di<br />

pazienti con DBP e episodio depressivo maggiore lieve-moderato. I pazienti sono stati trattati<br />

per 6 mesi e valutati a 12 e 24 settimane con CGI, BPRS, HAM-A/D, SAT-P e IIP-64. La<br />

valutazione è stata ripetuta dopo la fine del trattamento, a 6 e 12 mesi di follow-up. I risultati<br />

preliminari dello studio indicano la superiorità della terapia combinata in termini di<br />

miglioramento della depressione e di cambiamento di alcuni fattori relativi alla qualità di vita<br />

e alle relazioni interpersonali. Il completamento di questo studio ha richiesto l’attribuzione di<br />

una consulenza a uno psicologo clinico.<br />

I risultati descritti sono stati pubblicati o sono in fase di pubblicazione su riviste scientifiche<br />

nazionali e internazionali e sono stati presentati in recenti congressi di psichiatria. Inoltre, gli<br />

strumenti di valutazione impiegati in queste indagini sono attualmente impiegati di routine<br />

nella valutazione clinica e terapeutica dei pazienti borderline che afferiscono alla SCDU di<br />

Psichiatria dell’Università di Torino e sono a disposizione dei centri clinici della <strong>Regione</strong><br />

<strong>Piemonte</strong> che si occupano di questa patologia, come percorso di inquadramento diagnostico e<br />

di misurazione dell’outcome ad alto livello di specializzazione.<br />

41


Giorgio Bellomo Filone tematico A4<br />

Antiaterogenicità delle HDL ed abitudini alimentari: studio negli studenti<br />

dell’Università del <strong>Piemonte</strong> Orientale<br />

Università del <strong>Piemonte</strong> Orientale – Novara<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

OBIETTIVI<br />

Fra gli obiettivi della ricerca proposta vi era la caratterizzazione della attività della<br />

paraoxonasi e della sua attività nei confronti dell’ossidazione delle lipoproteine in un gruppo<br />

estremamente omogeneo di controllo (studenti universitari dell’università del <strong>Piemonte</strong><br />

Orientale già precedentemente caratterizzati per quanto concerne i fattori di rischio<br />

cardiovascolare, le abitudini di vita e le abitudini alimentari).<br />

METODI E RISULTATI<br />

La ricerca è stata completata mediante caratterizzazione del polimorfismo dei geni della<br />

paraoxonasi di tipo I (PON-I) e della paraoxonasi di tipo II (PON-2). Sono state anzitutto<br />

implementate le metodiche per la caratterizzazione di tali polimorfismi mediante Real-Time-<br />

PCR. Per quanto riguarda PON-I sono stati presi in considerazione la sostituzione<br />

metionina/leucina in corrispondenza del codone 55 e la sostituzione glutamina/arginina in<br />

posizione 192. Per quanto riguarda PON-2 è stata presa in considerazione la sostituzione<br />

cisteina/serina in corrispondenza del codone 311. Sono stati selezionati questi polimorfismi in<br />

rapporto alle segnalazioni della letteratura del maggior rischio aterogeno nei portatori di tali<br />

mutazioni.<br />

Per quanto concerne PON-I/192 è stata riscontrata una prevalenza del 43.75 % di wild-type,<br />

del 42,18 % di eterozigoti e del 14,07 % di omozigoti mutati. Per quanto riguarda PON-I/55 è<br />

stata riscontrata una prevalenza del 56, 22 % di omozigoti wild-type, del 10,93 % di<br />

eterozigoti e del 32,85 di omozigoti mutati. Per quanto riguarda PON-II/311 è stata riscontrata<br />

una prevalenza del 62,50 % di omozigoti wild-type, del 29,68 % di eterozigoti e del 7,82 % di<br />

omozigoti mutati. Non è stata riscontrata alcuna correlazione fra i polimorfismi di PON<br />

indagati ed i parametri presi in considerazione nella prima parte dello studio condotto, fra cui<br />

il quadro lipidico, l’ossidabilità delle lipoproteine a bassa densità (LDL), l’ossidabilità delle<br />

lipoproteine ad alta densità (HDL), l’inibizione della ossidazione delle LDL ad opera delle<br />

HDL, la riduzione dei lipoperossidi formati ad lipoidrossidi, il contenuto in antiossidanti del<br />

plasma e delle singole classi di lipoproteine.<br />

Non è stato possibile evidenziare, come d’altro canto era da aspettarsi, alcuna correlazione fra<br />

le abitudini alimentari ed il polimorfismo genico per PON.<br />

Sulla scorta di tali risultati sembra possibile concludere che il polimorfismo genico della<br />

paraoxonasi, di per sé non sia da mettere in correlazione diretta con la maggiore o minore<br />

suscettibilità delle lipoproteine all’ossidazione, quanto, invece, ad altri steps del<br />

multifattoriale processo aterosclerotico. I risultati ottenuti non sembrano peraltro precludere<br />

altre possibili interpretazioni. In effetti gli studi di metaanalisi non indicano correlazioni<br />

semplici fra polimorfismo di PON (PON-I in particolare) e la presenza di malattia<br />

aterosclerotica coronarica. Al momento attuale sembra che lo status di PON-I (attività e<br />

concentrazione) sia più decisamente correlato con la malattia aterosclerotica.<br />

42


In accordo con i risultati ottenuti nella presente ricerca, un recente studi prospettico ha<br />

dimostrato che l’attività di PON-I piuttosto che il polimorfismo genico sia un fattore di rischio<br />

indipendente per la malattia aterosclerotica coronarica (Mackness M e Mackness B –<br />

Paraoxonase I and atherosclerosis: is the gene or the protein more important ? Free<br />

Radic.Biol.Med. 37, 1317-1323, 2004).<br />

Fra i fattori in grado di modificare l’espressione genica della PON-I vi è sicuramente la<br />

presenza di uno status infiammatorio cronico. L’innesco di una reazione di fase acuta è<br />

associata con una riduzione della espressione della PON-I e della sua attività, così come della<br />

diminuzione della produzione di Apoproteina AI e di HDL. Una analisi preliminare condotta<br />

sul campione di soggetti in esame nel corso di questo studio ha dimostrato come esista una<br />

correlazione inversa fra livelli di proteina C reattiva (misurata con metodi ultrasensibili) e<br />

livelli di colesterolo HDL e di apoproteina AI, così pure come con l’attività della paraoxonasi.<br />

Non sono stati, al contrario, riscontrate correlazioni significative fra contenuto in antiossidanti<br />

ed attività della paraoxonasi.<br />

L’evoluzione naturale della ricerca fino ad ora condotta sarà quella di verificare se, in<br />

rapporto al polimorfismo genico di PON-I, i suoi livelli di attività siano condizionati in modo<br />

differente dalla presenza di uno stato infiammatorio. E’ da segnalare, infine, un importante<br />

aspetto metodologico, emerso nel corso della presente ricerca, che potrebbe inficiare gran<br />

parte dei risultati e degli studi fino ad ora pubblicati. Nella valutazione della attività<br />

enzimatica della paraoxonasi viene misurata la capacità di tale enzima nel metabolizzare due<br />

suoi substrati naturali, il paraoxon ed il fenilacetato. Questo tipo di attività, tuttavia, non<br />

appare avere alcuna relazione con l’attività anti-aterogena della paraoxonasi stessa. I risultati<br />

ottenuti nel corso della presente ricerca dimostrano chiaramente (come dettagliato nelle<br />

relazioni precedenti) che l’attività protettiva della paraoxonasi consista nella riduzione dei<br />

lipoperossidi a lipoidrossidi. Questa attività non presenta alcuna correlazione significativa con<br />

l’attività di idrolisi del paraoxon e del fenilacetato. E’ quindi facilmente ipotizzabile che tutti i<br />

risultati ottenuti fino ad ora siano da re-interpretare misurando l'esclusiva attività antiaterogena<br />

della paraoxonasi.<br />

CONCLUSIONI<br />

I risultati ottenuti complessivamente nel corso della presente ricerca h<strong>anno</strong> permesso di<br />

concludere che:<br />

1. le abitudini alimentari, l’introito di antiossidanti, la concentrazione plasmatica e<br />

lipoproteica degli stessi antiossidanti, la suscettibilità all’ossidazione delle LDL e delle<br />

HDL, l’effetto protettivo delle HDL nei confronti dell’ossidazione delle LDL, la<br />

concentrazione e l’attività della paraoxonasi ed il suo polimorfismo genico siano del tutto<br />

sovrapponibile agli stessi parametri riscontrabili nella popolazione generale.<br />

2. Lo sviluppo di nuovi metodi per lo studio in vitro dei meccanismi di ossidazione delle<br />

lipoproteina ha permesso di evidenziare come, fino ad ora, si sia seguito un approccio<br />

metodologico non corretto per la valutazione dell’attività anti-aterogena delle HDL legata<br />

alla paraoxonasi.<br />

3. Una ulteriore analisi, peraltro in corso, sul materiale raccolto permetterà di trarre<br />

conclusioni molto più affidabili di quelle riportate in letteratura sui fattori in grado di<br />

modificare la concentrazione e l’attività della paraoxonasi e di correlare tale impatto al<br />

polimorfismo genico della PON stessa permettendo di confermare o di smentire il<br />

coinvolgimento genico e biochimico di PON nel processo di ossidazione delle<br />

lipoproteine.<br />

43


Graziella Bellone Filone tematico A2<br />

Espressione di SKI e SNON come indice di rischio di evoluzione<br />

neoplastica nell'esofago di Barrett<br />

Università degli Studi Di Torino<br />

Dipartimento di Fisiopatologia Clinica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

L’importanza della diagnosi di esofago di Barrett (EB) ha assunto un significato clinico<br />

considerevole in base all’osservazioni che ogni <strong>anno</strong> l’1% dei pazienti affetti sviluppa un<br />

carcinoma dell’esofago con un rischio da 30 a 125 volte maggiore rispetto alla popolazione<br />

generale. Il cancro si evolve da una lesione preneoplastica con una sequenza di alterazioni<br />

genetiche che f<strong>anno</strong> acquisire alle cellule la capacità di proliferare senza stimolo esogeno, di<br />

resistere ai segnali inibitori di crescita e di evitare l’apoptosi che fisiologicamente elimina le<br />

cellule con vasti danni genetici. Il ruolo del TGF-beta nel processo cancerogenetico dei<br />

tumori epiteliali è stato per lungo tempo elusivo. Ora si sa che la via di trasduzione del<br />

segnale innescata dal fattore viene interrotta dalla famiglia di oncoproteine Ski/SnoN.<br />

Presumibilmente la disregolazione di questo evento è uno dei meccanismi alla base di un’<br />

alterata risposta cellulare al messaggio mediato da TGF-beta nelle cellule epiteliali. Rimane<br />

da stabilire quando e come questi segnali oncogenici vengono attivati nel passaggio da stato<br />

precanceroso a tumore conclamato.<br />

OBIETTIVO<br />

Lo scopo dello studio era quello di stabilire se modificazioni quantitative di Ski e SnoN<br />

possano costituire marcatori precoci del potenziale evolutivo neoplastico soprattutto nei<br />

pazienti portatori di EB negli stadi iniziali di complicanza displastica.<br />

METODI<br />

Sono stati sottoposti ad indagine endoscopica 127 pazienti, osservati consecutivamente. Al<br />

reclutamento si è provveduto a multipli prelievi bioptici per la conferma istologica, la<br />

tipizzazione e la valutazione della eventuale presenza di displasia. Le biopsie sono state<br />

effettuate sui quattro quadranti, iniziando longitudinalmente dalla giunzione gastroesofagea e<br />

ogni 2 cm fino al margine superiore della linea Z. Ai pazienti è stata altresì effettuata una pHmetria<br />

della 24 ore per valutare il reflusso acido. L’indagine istologica ha confermato la<br />

presenza di metaplasia intestinale in sede esofagea (EB) in 87 pazienti (69 maschi e 18<br />

femmine, età media 61,6 anni) di tipo I (5/86) di tipo IIA (30/86) di tipo IIB (50/86). Presenza<br />

di displasia a basso grado è stata osservata nel 16,28% dei casi, di displasia indeterminata<br />

nell’8%,14% e di displasia ad alto grado nel 4,65%. Gli altri 40 pazienti, ai quali è stata<br />

invece diagnosticata esofagite di grado variabile da I a III secondo Savary-Miller, sono stati<br />

usati come gruppo di controllo.<br />

RISULTATI<br />

I risultati definitivi del nostro studio si sono dimostrati particolarmente interessanti perché<br />

h<strong>anno</strong> ribaltato l’ipotesi iniziale attesa, basata sull’asserzione che Ski e SnoN, in qualità di<br />

44


antagonisti del segnale antiproliferativo innescato da TGF-beta, potesse essere iperespresso<br />

nell’esofago di Barrett destinato ad evolvere in senso neoplastico.<br />

L’analisi immunoistochimica infatti ha evidenziato che il tessuto esofageo normale del gruppo<br />

di controllo (40/40 casi) esprime discreti livelli di Ski e SnoN. Nei pazienti affetti da EB,<br />

invece, si è osservato una progressiva diminuzione dell’espressione degli antigeni passando<br />

dalla base verso l’apice della mucosectomia in particolare da ghiandole metaplastiche a<br />

displastiche. Fortemente positive sono risultate le ghiandole metaplastiche, con riduzione o<br />

completa assenza di espressione nelle ghiandole displastiche. Tutti e 4 gli adenocarcinomi su<br />

EB sono risultati non esprimere né Ski né SnoN. L’intensità e la localizzazione di colorazione<br />

ottenuta con i due anticorpi anti-Ski e anti-SnoN sono risultate sovrapponibili (Figura 1).<br />

L’analisi statistica effettuata mediante test di Spearman ha evidenziato una stretta correlazione<br />

tra intensità di espressione di entrambi le molecole e grado di metaplasia e di displasia.<br />

L’analisi molecolare quantitativa dell'espressione di Ski e SnoN mediante real-time RT-PCR<br />

sugli stessi campioni bioptici di tessuto fresco è stata deludente. Infatti le lesioni displastiche<br />

nell’esofago di Barrett sono circoscritte ad aree molto ristrette e pertanto usando il tessuto in<br />

toto, non sempre è stato possibile confermare i risultati dell’immunoistochimica. Anche il<br />

tentativo di utilizzare l’ibridazione in situ è fallito a causa della degradazione dell’RNAm<br />

molto frequente nei tessuti fissati in formalina ed inclusi in paraffina.<br />

CONCLUSIONI<br />

Per quanto i risultati siano stati diametralmente oppositi a quelli attesi, il nostro studio ha<br />

fornito la nuova ed interessante informazione che nell’EB destinato ad evolvere in senso<br />

neoplastico viene persa l’espressione delle molecole che antagonizzano il segnale di TGFbeta,<br />

Ski e SnoN. Questo risultato, dal punto di vista clinico è molto importante, dal momento<br />

che sono stati identificati due marcatori che permetterebbero di identificare precocemente i<br />

pazienti affetti da EB con maggior rischio neoplastico. Questo riscontro consentirebbe di<br />

impostare interventi terapeutici precauzionali appropriati, che dovrebbero portare ad una<br />

riduzione significativa dell’incidenza di adenocarcinomi dell’esofago con evidente vantaggio<br />

sul piano individuale e sociale.<br />

Lo studio ha anche un’importante valenza dal punto di vista biologico. Infatti, mentre i fattori<br />

clinici che possono influenzare lo sviluppo di EB sono praticamente noti, gli eventi<br />

biomolecolari sono per lo più sconosciuti. In qualità di inibitore della proliferazione epiteliale<br />

il TGF-beta è stato inizialmente considerato come fattore antitumorale. Tuttavia la risposta a<br />

questo fattore è altamente condizionata dal tipo di bersaglio cellulare e dipendente da possibili<br />

interazioni di proteine della cascata intracitoplasmatica innescata da TGF-beta con altre vie di<br />

trasduzione del segnale. Pertanto il nostro studio ha aperto un nuovo filone di ricerca sul ruolo<br />

del TGF-beta nella biologia dell’epitelio dell’esofago, che merita di essere ulteriormente<br />

sviluppato.<br />

Un manoscritto è in preparazione, in attesa di inserire analisi di correlazione con i dati<br />

clinicopatologici più approfonditi in fase di esecuzione.<br />

45


Chiara Benedetto Filone tematico D4<br />

Prevenzione della preeclampsia con eparina a basso peso molecolare in<br />

gravide portatrici di trombofilie<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Discipline Ginecologiche e Ostretiche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La preeclampsia (PE) è tuttora una delle più comuni complicanze della gravidanza (5-10%) e<br />

una delle principali cause di mortalità e morbilità materna e perinatale. La malattia compare<br />

dopo le 20 settimane di età gestazionale, sebbene le alterazioni fisiopatologiche<br />

caratteristiche, dovute soprattutto al fallimento dell'invasione trofoblastica nelle arterie spirali,<br />

abbiano inizio già nel primo trimestre di gravidanza. Nonostante la precisa eziologia della<br />

sindrome non sia ancora nota, è ormai accertato che alcune condizioni patologiche ne<br />

aumentano il rischio e ne peggiorano la gravità. In particolare, è stato dimostrato anche da<br />

studi condotti dal nostro gruppo che gli stati trombofilici congeniti aumentano l’incidenza sia<br />

di preeclampsia grave sia di sue complicanze materne e perinatali.<br />

Le due mutazioni trombofiliche più frequenti nella nostra popolazione sono la mutazione<br />

G1691A del fattore V e la mutazione G20210A del fattore II, la cui prevalenza complessiva è<br />

del 5% circa. E’ stato suggerito da studi osservazionali e case-reports che nelle donne<br />

trombofiliche con precedenti complicanze ostetriche la profilassi antitrombotica in successive<br />

gravidanze potrebbe ridurre l'incidenza delle recidive o almeno limitarne la gravità.<br />

OBIETTIVO<br />

Per tale motivo ci siamo proposti di valutare l'efficacia della profilassi con eparina a basso<br />

peso molecolare e aspirina a basse dosi nel prevenire la ricorrenza di complicanze ostetriche,<br />

materne e perinatali, in gravide portatrici di mutazioni trombofiliche e con precedenti<br />

anamnestici di esiti sfavorevoli della gravidanza.<br />

METODI<br />

A tutt’oggi sono state incluse nello studio complessivamente 62 gravide portatrici di<br />

mutazioni del fattore II e V della coagulazione, con pregressa preeclampsia o sue<br />

complicanze, selezionate tra le donne afferenti agli ambulatori del Dipartimento di Discipline<br />

Ginecologiche e Ostetriche, Cattedra C, di Torino entro le 12 settimane di gestazione. Le<br />

gravide incluse sono state assegnate in modo randomizzato ai 2 bracci di trattamento previsti:<br />

• n. 31 soggetti sono stati assegnati al trattamento con enoxaparina (4000 U/die sc) e<br />

aspirina a basse dosi (100 mg/die per os);<br />

• n. 31 soggetti sono stati assegnati al trattamento con aspirina a basse dosi (100 mg/die per<br />

os), che viene considerato come trattamento di controllo.<br />

Nel braccio trattato con enoxaparina + ASA a basse dosi il 78 % delle gravidanze (n.24) sono<br />

giunte al termine senza complicanze materne e/o feto neonatali. In questo braccio si sono<br />

verificati 3 aborti spontanei precoci, in tre soggetti si è manifestata una forma di preeclampsia<br />

lieve/moderata, che in due pazienti ha richiesto comunque l’espletamento pretermine del<br />

parto. In una paziente si è verificato un parto pretermine idiopatico a 36 settimane<br />

46


conseguente a rottura prematura delle membrane amniocoriali, comunque in assenza di<br />

complicanze ipertensive della gravidanza. Nel braccio di controllo trattato con ASA a basse<br />

dosi solo il 44 % delle gravidanze (n.14) sono giunte al termine senza complicanze materne<br />

e/o feto neonatali. Nei restati casi si sono registrati 4 aborti spontanei precoci, 8 casi di<br />

preeclampsia lieve/moderata in sei dei quali è stato necessario espletare il parto a < 37<br />

settimane di età gestazionale, 4 casi di preeclampsia grave precoce di cui 3 con iposviluppo<br />

fetale ed espletamento del parto a < 32 settimane, e 1 caso di morte intrauterina del feto.<br />

In nessuno dei soggetti inclusi in ciascun braccio si sono verificati effetti collaterali gravi<br />

dovuti al farmaco impiegato, anche se in due soggetti trattati con enoxaparina si sono avuti<br />

fugaci rush cutanei di probabile natura allergica. Non si sono manifestate complicanze<br />

tromboemboliche. Sebbene all’inizio dello studio si ritenesse necessario un campione più<br />

numeroso, la differenza di incidenza di esiti perinatali sfavorevoli nei due bracci conferisce<br />

allo studio un potere statistico attuale del 95%. Risulta evidente che i soggetti trattati con solo<br />

ASA a basse dosi h<strong>anno</strong> un rischio significativamente più elevato di ricorrenza di<br />

complicanze gestazionali vascolari, in particolare di preeclampsia, rispetto a quelli sottoposti<br />

a trattamento con eparina basso peso molecolare (p=0.009; OR, 95%CI: 4.16, 1.38-12.50).<br />

RISULTATI<br />

I risultati del nostro studio indicano che:<br />

• nei soggetti con pregressa preeclampsia grave o sue complicanze è indicato lo screening di<br />

mutazioni trombofiliche;<br />

• il trattamento profilattico con eparina a basso peso molecolare in gravide con pregressi<br />

eventi perinatali sfavorevoli portatrici di mutazioni trombofiliche riduce<br />

significativamente l’incidenza di ricorrenze di patologie ostetriche.<br />

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Bruno Bergamasco Filone tematico C1<br />

Valutazione dell’efficacia della terapia chirurugica nella riabilitazione dei<br />

pazienti parkinsoniani in fase avanzata.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Neuroscienze<br />

Sono stati analizzati due gruppi di pazienti affetti da malattia di Parkinson confrontabili per<br />

sesso, età, durata di malattia e complicanze motorie. Ciascun gruppo era composto da 20<br />

pazienti (11 maschi, 9 femmine) con età media di 63 anni, con una media di 17 anni di<br />

malattia e 10 anni di complicanze motorie. Il primo di questi due gruppi è stato avviato all’iter<br />

di selezione per l’intervento di stimolazione cerebrale profonda (SCP) del nucleo subtalamico<br />

(NST). Nel secondo gruppo sono stati invece inseriti pazienti con caratteristiche omogenee al<br />

primo, ma non avviati all’iter di selezione per la SCP e seguiti tramite visite ambulatoriali. I<br />

20 pazienti selezionati sono stati sottoposti ad intervento di SCP del NLT: al momento del<br />

ricovero pre-operatorio, oltre alla routine d’esami pre-intervento, sono stati somministrati:<br />

• il protocollo CAPIT (Core Assestment Program for Intracranial Transplantation),<br />

composto da quattro parti di cui la prima valuta le capacità cognitive del paziente, la<br />

seconda la capacità di svolgere le normali attività della vita quotidiana, la terza prevede<br />

una valutazione motoria, la quarta raccoglie dati anamnestici inerenti le fluttuazioni e le<br />

complicanze motorie inerenti la patologia. Il protocollo CAPIT pre-operatorio viene<br />

somministrato in due momenti: paziente in assenza di farmaci e dopo l’assunzione di una<br />

dose massimale di L-Dopa;<br />

• la scala PDQ-39 che valuta la qualità della vita del paziente affetto da malattia di<br />

Parkinson;<br />

• Test neuropsicologici (abilità visuo-spaziale, funzioni esecutive frontali).<br />

I pazienti sono stati rivalutati dopo tre mesi dall’intervento e successivamente ogni 6 mesi e,<br />

ad ogni controllo, sono stati nuovamente somministrati gli stessi test pre-operatori. Il<br />

protocollo CAPIT nel post-operatorio è stato eseguito in 4 fasi: con la sola stimolazione del<br />

NST, in assenza di stimolazione e farmaci, dopo dose massimale di L-dopa, con dose<br />

massimale di terapia associata alla stimolazione del NST.<br />

Sono state inoltre considerate le terapie farmacologiche e riabilitative prima e dopo<br />

l’intervento, il numero di visite ambulatoriali, il grado di soddisfazione e la qualità della vita<br />

dei caregivers. I dati così ottenuti sono stati elaborati tramite test statistici (test T per dati<br />

appaiati, test di Mann-Whitney) ed è stata osservata una differenza statisticamente<br />

significativa del miglioramento motorio nel post-operatorio (valutato con la UPDRS III), nel<br />

miglioramento nelle attività quotidiane (UPDRS II) ed una riduzione significativa della<br />

terapia dopaminergica (da una media di 751 mg di L-dopa nel pre-operatorio a una media di<br />

243 mg durante il follow-up). Nel gruppo di pazienti operati inoltre viene riferito un<br />

miglioramento sia dal paziente sia dai caregivers in termini di qualità della vita (con associato<br />

miglioramento nei questionari PDQ-39). Nel corso del follow-up, i pazienti operati h<strong>anno</strong><br />

seguito un ciclo di riabilitazione motoria solo nel corso dell’immediato periodo postoperatorio.<br />

Il secondo gruppo di pazienti non sottoposti a intervento è stato anch’esso seguito tramite<br />

visite ambulatoriali e sono stati somministrati gli stessi test del primo gruppo (UPDRS II, III<br />

48


valutati con i pazienti in assenza di terapia e dopo dose massimale di L-Dopa). La prima<br />

valutazione è stata seguita da successivi controlli, il primo dopo 3 mesi e i successivi ogni 6<br />

mesi. Questi pazienti, non candidati all’intervento di SCP, seguivano una terapia<br />

farmacologica e un programma di riabilitazione motoria.<br />

I dati ottenuti dall’osservazione di questi pazienti sono stati elaborati e non h<strong>anno</strong> dimostrato<br />

nessun miglioramento significativo nei risultati dei test somministrati. E’ stato riferito un<br />

iniziale beneficio dovuto alle terapie riabilitative ed un successivo aumento della terapia<br />

farmacologica con progressiva riduzione del beneficio e necessità di ripetere i cicli di terapia<br />

fisica anche con ricoveri in strutture specializzate.<br />

Infine abbiamo confrontato i due gruppi di pazienti, analizzando i punteggi nei diversi items<br />

ottenuti valutando i pazienti in assenza di terapia e stimolazione, con dose sovramassimale di<br />

terapia nei pazienti non operati e con la sola stimolazione nei pazienti operati. Dall’analisi dei<br />

dati è emerso che nei pazienti sottoposti ad SCP vi è un miglior controllo dei sintomi motori e<br />

non motori, un miglioramento nella qualità della vita (anche del caregiver) e nei test di<br />

valutazione cognitiva. Questo porta ad un minore uso di farmaci, minor numero di ricoveri e<br />

minore necessità di terapie riabilitative che si osserva nei pazienti operati rispetto ai pazienti<br />

non operati.<br />

49


Mauro Bergui Filone tematico C1<br />

Sviluppo ed applicazioni cliniche della risonanza magnetica funzionale<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Neuroscienze<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La sinergia tra l’evoluzione tecnologica e la sperimentazione clinica ha consentito negli ultimi<br />

anni di realizzare un forte sviluppo delle tecniche di imaging diagnostico funzionale. Tra<br />

queste, particolare importanza, riveste la risonanza magnetica funzionale (fMRI), che utilizza<br />

sequenze di acquisizione estremamente rapide per monitorare l’attivazione cerebrale<br />

responsabile dello svolgimento da parte del paziente di specifici compiti (motori, sensoriali,<br />

ecc.).<br />

L’utilità di tale strumento diagnostico è molto ampia: dalla possibilità di trarre informazioni<br />

su alcune patologie neurologiche alla pianificazione di interventi di neurochirurgia senza il<br />

danneggiamento di specifiche aree funzionali, dallo studio di meccanismi di apprendimento<br />

alla riorganizzazione della funzionalità a seguito di un intervento. La realizzazione delle<br />

mappe di attivazione cerebrale avviene tramite un’accurata elaborazione statistica delle<br />

immagini acquisite con apparecchiature per risonanza magnetica, con la collaborazione di<br />

diverse figure professionali (neurologi, radiologi, psicologi, fisici sanitari, esperti di<br />

statistica).<br />

L’A.S.O. “San Giovanni Battista” di Torino la S.C.D.U. di Neuroradiologia e la S.C. di Fisica<br />

<strong>Sanitaria</strong> collaborano da circa due anni nella realizzazione di studi di fMRI<br />

sull’apprendimento di compiti motori e nell’ottimizzazione dell’utilizzo dell’imaging fMRI<br />

come strumento diagnostico prechirurgico. Numerosi aspetti della metodica di risonanza<br />

magnetica funzionale sono stati sviluppati e ottimizzati nel corso nell’ambito di questo<br />

progetto. La somministrazione di stimoli di tipo uditivo e visivo avviene con l’utilizzo di<br />

strumentazione compatibile con l’alto campo magnetico dell’apparecchiatura (occhiali<br />

dedicati con connessione a fibra ottica e speciali auricolari). Questi dispositivi sono pilotati da<br />

un software che trasmette gli stimoli con una temporizzazione programmata. La<br />

sincronizzazione della somministrazione degli stimoli con l'acquisizione delle immagini è<br />

stata ottimizzata variando alcuni dei parametri di scansione dell’apparecchiatura RM.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Sono stati preparati alcuni modelli di presentazione per studi di vario tipo (coinvolgenti le<br />

aree cerebrale preposte a compiti di tipo visivo, uditivo, cognitivo). Una parte del lavoro<br />

svolto è stato finalizzato alla valutazione e al miglioramento della qualità delle immagini. Le<br />

sequenze di acquisizione utilizzate per questo tipo di studi richiedono tempi molto brevi di<br />

esecuzione (pochi secondi per l’acquisizione di un intero volume cerebrale) che possono<br />

alterare le normali condizioni di funzionamento dell’apparecchiatura. La verifica della<br />

stabilità temporale e spaziale dei segnali forniti, con l'acquisizione di immagini su opportuni<br />

fantocci, ha permesso di effettuare scelte migliori nelle procedure di post processing alle quali<br />

sono sottoposte le immagini per l'estrazione delle informazioni funzionali.<br />

Sono stati implementati in particolare alcuni programmi di elaborazione che h<strong>anno</strong> consentito<br />

di valutare l'entità e l'affidabilità del segnale funzionale sia per compiti motori che per alcuni<br />

primi esperimenti con compiti cognitivi. L’entità della variazione di segnale conseguente<br />

50


all’attivazione cerebrale è compresa nell’intervallo 1-5 % per gli studi motori e 1-2 % per gli<br />

studi cognitivi. L’accurata elaborazione statistica realizzata e la valutazione del rapporto<br />

segnale rumore consentono di stabilire la significatività delle mappe funzionali realizzate.<br />

Inoltre lo studio delle zone di attivazione per compiti motori in soggetti sani di riferimento ha<br />

permesso di ottenere delle immagini che presentano una struttura di attivazione perfettamente<br />

coerente con la nota organizzazione cerebrale, ulteriore conferma della correttezza dei risultati<br />

ottenibili con la metodica.<br />

Stiamo valuatndola possibilità di integrare le informazioni relative al rapporto segnale rumore<br />

temporale con la presentazione finale delle mappe di inferenza statistica, in modo da limitare<br />

l’insorgenza di artefatti legati a disturbi nel segnale acquisito. La metodica così sviluppata e<br />

ottimizzata è stata applicata per la rappresentazione di mappe di attivazione ottenute in<br />

pazienti candidati ad interventi neurochirurgici di asportazione di lesioni.<br />

E' attualmente in corso uno studio che consentirà di valutare il significato prognostico in<br />

patologie neurodegenerative, in particolare come diagnosi precoce in pazienti non ancora<br />

sintomatici.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

I risultati ottenuti sono oggetto delle seguenti pubblicazioni:<br />

"MOTOR AND COGNITIVE EXPERIENCES WITH LOW FIELD BOLD FMRI"<br />

A Boghi, M Bergui, O. Rampado, P Mortara, and GB Bradac. Neurologia e Neuroradiologia,<br />

Dipartimento di Neuroscienze, Università di Torino, SCDO Fisica <strong>Sanitaria</strong> Ospedale San<br />

Giovanni Battista, Torino.<br />

Lavoro presentato al XX° Congresso nazionale A.I.N.R. 22 - 25 settembre 2004, Milano.<br />

“IS 1 TESLA ENOUGH EXPERIENCES WITH LOW FIELD FMRI”<br />

A Boghi, P. Mortara, M. Bergui, F. Avidano, C. Manzone, M. Coriasco, O. Rampado P.<br />

Caroppo, L. Orsi, G.B. Bradac, R. Mutani. Neurologia e Neuroradiologia, Dipartimento di<br />

Neuroscienze, Università di Torino, SCDO Fisica <strong>Sanitaria</strong> Ospedale San Giovanni Battista,<br />

Torino.<br />

Lavoro presentato al XXXV Congresso della Società Italiana di Neurologia, 25 - 29 settembre<br />

2004, Genova.<br />

“VALUTAZIONE AUTOMATIZZATA DI PARAMETRI DI QUALITÀ PER<br />

APPLICAZIONI DI RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE CON<br />

UN’APPARECCHIATURA DA 1 TESLA”<br />

O. Rampado, M. Coriasco, A. Boghi, M. Bergui, R. Ropolo<br />

Lavoro inviato al congresso nazionale AIFM (Verona 15-17 giugno 2005)<br />

“FUNCTIONAL MAGNETIC RESONANCE IMAGING AT 1.0 T DURING MOTOR<br />

AND COGNITIVE TASKS”<br />

Lavoro inviato alla rivista Neuroradiology<br />

“LINEA GUIDA PER LA REALIZZAZIONE DI UNO STUDIO STANDARD DI<br />

RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (FMRI)” A cura di Osvaldo Rampado,<br />

Mario Coriasco, Andrea Boghi. (Ad uso interno).<br />

51


Maria Grazia Bernengo Filone tematico A1<br />

La sifilide nel nuovo millennio.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana<br />

In seguito al recente incremento dei casi di sifilide in Italia e nel mondo è stato effettuato uno<br />

studio di sorveglianza epidemiologica sui pazienti affetti da sifilide recente afferenti ai centri<br />

MST della Rete di Sorveglianza Regionale dall00’aprile <strong>2003</strong> al dicembre 2004.<br />

CARATTERISTICHE dei PAZIENTI con SIFILIDE RECENTE<br />

Nel periodo esaminato sono stati osservati 217 casi di sifilide recente: 184 casi di sifilide I-II<br />

(79 forme primarie, 105 forme secondarie) e 33 casi di sifilide sierologica recente. L’età<br />

mediana è risultata 39 aa; le donne straniere sono più giovani (27 aa) delle donne italiane (38<br />

aa) mentre tra gli uomini l’età è sovrapponibile (stranieri: 37 aa; italiani: 39 aa). Il sesso<br />

prevalente è quello maschile con rapporto F/M pari a 1:7. Tra gli uomini il 46% si dichiara<br />

eterosessuale, 39% omosessuale e 15% bisessuale. Tutte le donne si dichiarano eterosessuali e<br />

7 donne riferiscono di essere prostitute (età mediana 32 aa, tutte italiane tranne una donna<br />

francese e 3 sieropositive già note). Il 29% degli uomini eterosessuali riferisce rapporti con<br />

prostitute. I pazienti non italiani sono l’8% provenienti da: Europa dell’Est (7 casi), Sud<br />

America e Nord Africa (6 casi) e Francia (2 casi). Il test HIV è stato proposto a tutti i nuovi<br />

casi di sifilide eccetto 17 pazienti HIV-positivi mentre tre persone h<strong>anno</strong> rifiutato il test. Tra i<br />

197 pazienti che h<strong>anno</strong> eseguito il test 6 sono risultati positivi per un totale complessivo di<br />

11% di HIV-positivi tra i pazienti con sifilide recente.<br />

DINAMICA di DIFFUSIONE<br />

La maggioranza riferisce di aver contratto l’infezione da sconosciuti: 35% da singolo partner<br />

occasionale e 40% da partner occasionali multipli, seguiti dal 19% che riferisce il contagio dal<br />

partner stabile ed il 6% che ignora la fonte di contagio. Tra le donne la metà contrae<br />

l’infezione dal partner stabile mentre tra i maschi il 79% si contagia da partner occasionali.<br />

Tra gli omobisessuali e le prostitute è stato talvolta impossibile individuare il caso fonte per<br />

l’elevata promiscuità di questa popolazione. La via di trasmissione riferita risulta essere il<br />

rapporto non protetto genitale ed oro-genitale negli eterosessuali mentre negli omobisessuali i<br />

rapporti oro-genitali non protetti sono riferiti più frequentemente dei rapporti ano-genitali.<br />

Tra i pazienti con forme sintomatiche l’84% riferisce di essersi contagiato in Italia, l’80% in<br />

<strong>Piemonte</strong>, il 5% riferisce di essersi contagiato all’estero: 5 stranieri al ritorno dal paese<br />

d’origine e 6 italiani in vacanza o in viaggio di lavoro e l’11% ignora il luogo di contagio. Lo<br />

studio del luogo e delle modalità di contagio ha permesso di identificare come circuiti<br />

significativi i locali gay - bar, discoteca, sauna, cinema - (38 casi), la prostituzione di strada<br />

(17 casi) e internet (10 casi). I motivi di visita dei pazienti giunti alla nostra osservazione sono<br />

stati: 80% presenza di lesioni cutanee; 11% inviati dal partner affetto; 7% esami sierologici;<br />

2% visita per altra MST. Circa un terzo delle donne si presenta inviata dal partner affetto da<br />

sifilide, mentre l’84% degli uomini accede per la presenza di lesioni genitali o cutanee<br />

visibili. Il periodo di contagiosità, compreso tra la comparsa di lesioni e la diagnosi, è stato in<br />

media di 35 giorni. La metà dei pazienti giunti alla nostra osservazione riferisce precedenti<br />

visite mediche: 45% dal medico generico; 22% in ospedale/PS; 33% dallo specialista. Tra<br />

52


questi una diagnosi corretta di sifilide è stata posta nel 32%. Solo 3 persone si sono<br />

autotrattate con antibiotici non prescritti da medici.<br />

“CONTACT-TRACING”<br />

E’ stato possibile rintracciare il partner fonte, definito come il più probabile responsabile del<br />

contagio del paziente, nel 18% dei casi che riferiscono rapporti con partner occasionali e nel<br />

46% dei casi che riferiscono rapporti esclusivi con il partner stabile. Durante il periodo di<br />

contagiosità, in presenza di lesioni genitali o cutanee, il 64% dei pazienti con sifilide ha<br />

continuato ad avere rapporti non protetti: il 65% col partner stabile e 35% con partner<br />

occasionali.<br />

Per agire sulla catena di contagio tutti i pazienti trattati sono stati invitati ad inviare i partner<br />

con cui h<strong>anno</strong> avuto rapporti negli ultimi 6 mesi (partner esposti). Il colloquio ha permesso di<br />

identificare l’85% dei partner stabili esposti e l’11% dei partner occasionali esposti. Tra i<br />

partner stabili esposti, individuati e visitati è stata riscontrata la sifilide nel 43% ed è stato<br />

somministrato il trattamento on-site. Ai pazienti risultati non affetti è stata offerta la<br />

possibilità di controlli periodici per 2 mesi o la terapia preventiva accettata dalla stragrande<br />

maggioranza.<br />

CONCLUSIONI<br />

La popolazione osservata è costituita prevalentemente da uomini, equamente ripartiti tra<br />

omobisessuali ed eterosessuali, nella grande maggioranza italiani, di età media, tra i quali<br />

l’11% risulta sieropositivo per l’HIV.<br />

Tra gli eterosessuali lo scambio di sesso per denaro interessa il 25% delle donne ed il 29%<br />

degli uomini. Probabilmente vi è una sottostima del fenomeno prostituzione per la reticenza<br />

degli uomini a dichiararsi clienti e per la difficoltà di accedere ai Centri MST da parte delle<br />

prostitute. Dai dati emerge che il mondo omo-bisessuale e della prostituzione dovrebbero<br />

essere i primi circuiti da sensibilizzare tramite l’informazione sanitaria e l’offerta di visita ed<br />

esami sierologici per sifilide ed HIV. Sono invece scarse le informazioni sulla dinamica di<br />

diffusione tra gli eterosessuali estranei alla prostituzione.<br />

I rapporti sessuali non protetti sono la via di trasmissione della malattia. L’assenza di<br />

protezione dei rapporti può essere imputata ad ignoranza o a scarsa consapevolezza della<br />

sifilide ma anche ad un’errata concezione sul sesso sicuro per cui si presuppone che i rapporti<br />

oro-genitali siano a basso rischio.<br />

Il luogo di contagio più frequentemente riferito è risultato il territorio regionale a conferma<br />

che l’infezione è prevalentemente autoctona. Sebbene sia documentabile una certa mobilità, la<br />

sifilide d’importazione sembra poco rappresentata e confinata alle varie comunità etniche<br />

(soprattutto rumeni e moldavi) e non vi è contatto tra la popolazione straniera e italiana se non<br />

attraverso la prostituzione. Il contact-tracing si è rivelato uno strumento utile che ha permesso<br />

di identificare i partner-fonte ed esposti ed effettuare una diagnosi precoce seguita da<br />

trattamento tempestivo. Il recupero dei partner è stato efficace in caso di coppie stabili mentre<br />

si è rivelato scoraggiante in caso di rapporti con partner occasionali. L’alta percentuale di<br />

partner esposti contagiati ci impone di pensare ad alternative al counseling per questi pazienti<br />

come il contact-tracing eseguito da un operatore sanitario su indicazioni del paziente.<br />

53


Laura Berta Filone tematico C1<br />

Effetto delle onde d'urto sui fibroblasti umani nell'induzione dei processi<br />

riparativi: implicazioni terapeutiche<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Fisiopatologia Clinica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Lo studio si proponeva di valutare in vitro l’effetto delle onde d’urto ad alta energia (Low<br />

Energy Shock Waves, LESW) su culture di fibroblasti umani al fine di chiarire i meccanismi<br />

di azione e di suggerire modalità di esercizio più puntuali nel trattamento di patologie<br />

osteotendinee.<br />

OBIETTIVI E RISULTATI<br />

Obiettivo 1. Verifica dell’effetto in vitro sulla sopravvivenza e sulla curva di crescita di<br />

fibroblasti umani sottoposti a trattamento con onde d'urto mediante un generatore<br />

piezoelettrico (Piezoson 100, Richard Wolf, Knittlingen, Germania) con livelli di energia<br />

applicata rispettivamente di 0.22 - 1 mJ/mm2 e numero di colpi erogati compreso tra 300 e<br />

1500; frequenza 4 colpi al secondo. Nei fibroblasti umani non sussiste differenza significativa<br />

tra i due livelli di energia, mentre il numero di colpi è il fattore discriminante per definire la<br />

percentuale di sopravvivenza. Nei fibroblasti, 1000 colpi erogati a energia di 0,22 mJ/mm2<br />

consentono di coniugare il massimo stimolo proliferativo con la maggiore percentuale di<br />

sopravvivenza. Il picco di crescita avviene tra il 6° e il 9° giorno, sia nei fibroblasti trattati che<br />

nei non trattati.<br />

Obiettivo 2. Verifica dell’espressione genica del TGFβ-1, del Collageno I e del Collageno III.<br />

Nei fibroblasti non trattati l’espressione genica del TGFβ-1 incrementa progressivamente sino<br />

al 9° giorno per poi decrescere dal 9° al 13° giorno. Andamento analogo è riscontrabile per<br />

l’espressione del Collageno I e del Collageno III che raggiungono la massima espressione: il<br />

primo nella 9° giornata, il secondo nella 13° giornata. Nei fibroblasti trattati con onde d’urto<br />

nella condizione definita ottimale - 1000 colpi a energia di 0,22 mJ/mm2 - l’espressione del<br />

TGFβ-1 è sfasata rispetto a quella osservata nei fibroblasti non trattati, con una crescita dal 6°<br />

al 13° giorno. Estremamente significativa risulta l’espressione del Collageno I in incremento<br />

progressivo dal 6° giorno, con un massimo che perdura dal 9° giorno sino al 13° giorno.<br />

L’espressione del Collageno III risulta quantitativamente ancora più significativa rispetto a<br />

quella del Collageno I con un massimo al 9° giorno e con valori elevati che perdurano ancora<br />

al 13° giorno.<br />

Obiettivo 3. Verifica dei protocolli precedenti su culture di osteoblasti umani. Negli<br />

osteoblasti la percentuale di sopravvivenza dipende sia dal livello di energia che dal numero<br />

di colpi. Negli osteoblasti, 300 colpi a energia 0,11 mJ/mm2 consentono di coniugare un<br />

elevato stimolo proliferativo con la maggiore percentuale di sopravvivenza. Il trattamento con<br />

onde d’urto induce un incremento significativo della espressione genica del TGF-β1 negli<br />

osteoblasti.<br />

54


I dati sopra riportati confermano l’ipotesi che esiste una sensibilità specifica per tipo di cellula<br />

al trattamento con onde d’urto. Nelle culture cellulari testate fibroblasti e osteoblasti umani<br />

presentano diversa sensibilità al trattamento con onde d’urto. Nei fibroblasti, in particolare, è<br />

stata confermata l’attivazione da parte delle onde d’urto del TGFβ-1 come nodo cruciale di<br />

stimolo proliferativo e differenziativo e, soprattutto, un’azione specifica sul Collageno III.<br />

L’incremento così significativo della espressione genica del Collageno III osservato nei<br />

fibroblasti trattati rispetto ai non trattati - e in modo più prolungato nel tempo - è indice di una<br />

significativa induzione della produzione di matrice extracellulare, momento fondamentale dei<br />

processi riparativi di ogni tipo di tessuto. E’ stato così confermato a livello cellulare il dato<br />

clinico di recupero rapido di lesioni osteotendinee sottoposte a trattamento con onde d'urto ad<br />

alta energia.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

I dati più significativi del programma di studio sono stati oggetto delle seguenti<br />

comunicazioni a Convegni Scientifici:<br />

“Effetto delle onde d’urto (ESW) sulla citotossicità e sulla proliferazione e/o differenziazione<br />

in vitro di osteoblasti e fibroblasti umani”; Laura Berta, Annamaria Fazzari, Enrica Patrizia<br />

Maurici, Anna Ficco, Marina Berta*, Roberto Frairia. Comunicazione al V Congresso<br />

Nazionale della Società Italiana di Terapia con Onde d’Urto (SITOD), Verona, maggio 2004.<br />

“Extracorporeal shock waves promote growth of osteoprogenitor cells” Martinazzo G. Rizzo<br />

F. Canuto R.A., Muzio G., Berta L., Bassi F., and Frairia R. Comunicazione all’ International<br />

College of Prosthodontists, Creta, maggio 2005.<br />

55


Emma Bertuzzi Filone tematico A5<br />

“Legami familiari” <strong>Ricerca</strong>-intervento per la prevenzione ed il trattamento<br />

dei disturbi relazionali precoci<br />

ASL 5 – Dipartimento Territoriale Continuità delle Cure<br />

UOS Psicologia<br />

OBIETTIVI e RISULTATI<br />

1- Creazione di un gruppo d’intervento<br />

Il lavoro di rete avviato sul Distretto con differenti figure professionali sanitarie e sociali ha<br />

condotto alla creazione dell’Equipe Distrettuale Disturbi Relazionali Precoci (drp) 0-3 anni<br />

“Semi di Senapa” con compiti di:<br />

a) osservazione ed analisi del fenomeno;<br />

b) attivazione e sviluppo delle capacità di rilevazione degli indicatori di drp negli operatori a<br />

contatto con i genitori dei bambini dagli 0 ai 3 anni;<br />

c) ricezione delle segnalazioni provenienti dal territorio, attivazione della rete di sostegno e<br />

cura diretta/indiretta attraverso il confronto sui casi rilevati e/o segnalati.<br />

Il gruppo di lavoro è coordinato da uno psicologo attraverso incontri mensili cui partecipano i<br />

rappresentanti di diverse professioni sanitarie e sociali, del territorio/ospedale. Il lavoro<br />

d’equipe ha portato dal mese di Ottobre 2004 al Dicembre 2005 i seguenti risultati: 20<br />

segnalazioni con successive 8 prese in carico dirette del Servizio di Psicologia, 4 del Servizio<br />

Sociale, 8 tramite monitoraggio indiretto e lavoro di rete. Inoltre su 20 segnalazioni ricevute<br />

dall’Equipe distrettuale drp, 14 sono giunte dall’Ospedale di Susa, le restanti dal Consultorio,<br />

PLS, Servizio Sociale.<br />

2- Formazione degli operatori sanitari.<br />

Si è realizzata attraverso due corsi di formazione: uno in due edizioni (mesi Nov/Dic ’04) e<br />

con accredito ECM dal titolo: “I drp genitore-bambino nella fascia d’età 0-3 anni”. Ha visto la<br />

partecipazione di circa 40 operatori sanitari del D5 Susa e del D1 Collegno. Molti tra i<br />

partecipanti si sono in seguito impegnati nel lavoro di rete prodotto dall’Equipe Distrettuale<br />

del D5 e del D1. In data 3/12/’05 si è poi svolta una giornata di formazione rivolta ai PLS e<br />

ospedalieri dell’ASL5 intitolato: “Screening dei drp”, che ha visto la partecipazione di 45<br />

medici pediatri.<br />

3- Integrazione operativa con l’UOC Nido-Pediatria e l’UOC Ostetricia-Ginecologia.<br />

Si è realizzata attraverso il lavoro di rete dell’Equipe Distrettuale drp ed il lavoro svolto dalla<br />

ricercatrice incaricata, attraverso la ricerca specificata al punto 4. Inoltre l’ADI ha ricevuto 10<br />

richieste di sostegno e monitoraggio relazionale Genitori-bambino a fronte di n. 1 richieste<br />

precedenti l’avvio della ricerca.<br />

56


4- Data l’assenza di elementi che definissero l’incidenza sulla popolazione del D5 dei nuclei a<br />

rischio psico-sociale e della depressione Post-partum, sono stati avviati due filoni di ricerca<br />

quantitativa:<br />

a) somministrazione dell’Intervista sul rischio psico-sociale (Ammaniti e coll. 1999) -<br />

ott 04 / ott 05 - per la definizione quantitativa del campione all’interno del quale poter<br />

individuare le famiglie a doppio rischio, alle mamme consenzienti dell’UOC<br />

Ostetricia-Ginecologia dell’Ospedale di Susa nei giorni seguenti il parto. I risultati<br />

emersi sono di seguito riassunti.<br />

Sono state intervistate 210 donne, il 40% delle quali, pari a 83 donne, sono risultate a<br />

rischio psicosociale. Dai dati e grafici prodotti si evince che nella nostra realtà locale<br />

non rappresentano fattori di rischio significativi i seguenti elementi: l’età delle donne<br />

intervistate, l’età dei padri, lo stato d’immigrato (una donna italiana su tre è a rischio<br />

come una donna immigrata su tre), la presenza dei padri che è risultata una costante<br />

anche nelle situazioni a rischio, il grado d’istruzione, l’occupazione lavorativa ed il<br />

supporto sociale e famigliare che sono risultati positivi. L’83% delle donne intervistate<br />

appariva poco o per nulla sofferente, nessuna è stata valutata molto sofferente. La<br />

sofferenza manifesta non si è quindi rivelata un dato utile ai fini valutativi, in quanto<br />

spesso non sembra rispecchiare la realtà del vissuto individuale. Infine, abbiamo<br />

rilevato che tutte le donne intervistate si sono affidate a medici privati o pubblici<br />

durante la gravidanza. Tale elemento sottolinea la non rilevanza del dato nel verificarsi<br />

dell’evento rischio.<br />

Sono invece risultati fattori significativi nella determinazione del rischio psico-sociale:<br />

i vissuti di violenza (il 46% delle donne a rischio ha riferito vissuti di violenza), la<br />

presenza di situazioni stressanti nell’<strong>anno</strong> precedente il parto (il 77% delle madri a<br />

rischio ha riportato di aver vissuto esperienze stressanti), la presenza di eventi<br />

stressanti nella storia individuale con particolare riferimento all’infanzia e<br />

all’adolescenza (il 60% delle donne a rischio ha ricordato esperienze stressanti<br />

significative), la storia psichiatrica (il 76% riferisce situazioni patologiche personali o<br />

nelle famiglie d’origine propria o del partner).<br />

b) In collaborazione con il Dipartimento d’Igiene e Prevenzione è stata somministrata<br />

la Scala di Edimburgo alle mamme nel corso della prima vaccinazione dei<br />

neonati.<br />

Il campione della seconda ricerca è composto da 411 donne di cui 181 residenti in Alta<br />

Valle di Susa e 230 in Bassa Valle di Susa. Il 13% dei test è stato annullato perché<br />

incompleto, ne deriva la presenza di 357 test validi. Il 12,8% delle madri che h<strong>anno</strong><br />

accettato di partecipare alla ricerca ed i cui test erano validi è risultato sofferente: su<br />

un totale di 357 donne, 46 presentano sintomi significativi.<br />

E’ risultato quindi un dato leggermente superiore ai dati riportati nella letteratura<br />

nazionale che valutano intorno al 10% della popolazione l’incidenza della depressione<br />

post-partum. Si sottolinea che è stato raggiunto un ulteriore risultato complessivo, non<br />

prevedibile a priori. Infatti la ricerca, da esperienza pilota in atto sul D5, ha prodotto<br />

un coinvolgimento metodologico e operativo a livello di tutti e cinque i Distretti<br />

dell’ASL 5, che ha portato il Dipartimento Materno Infantile ed il Dipartimento<br />

Territoriale per la continuità delle cure, nel quale rientra l’UOS Psicologia, a proporre<br />

alla Direzione Aziendale quale Progetto Obiettivo Interdipartimentale per gli anni<br />

2005/2006/2007 il Progetto “RILEVAZIONE e DIAGNOSI PRECOCE dei<br />

DISTURBI RELAZIONALI PRECOCI GENITORE-BAMBINO nella FASCIA 0-3<br />

ANNI”, già in corso d’opera nel 2005.<br />

57


Piero Bestagini Filone tematico A2<br />

Screening del cervico-carcinoma nelle donne fra 25 e 64 anni delle<br />

ASL13-14: programmi spontanei, organizzati o assenti<br />

ASL 13 – ASL 14 A. O. Maggiore - Novara<br />

Dipartimento Interaziendale per lo Screening<br />

Lo scopo dell’indagine era di valutare la copertura reale della popolazione delle ASL13 e 14<br />

(dipartimento di screening regionale n.6) in ordine alla prevenzione dei tumori del collo<br />

dell’utero tramite pap-test tradizionale. Essendo l’adesione al programma SERENA<br />

particolarmente bassa (27%) si sono volute indagare anche le motivazioni.<br />

MATERIALE E METODI<br />

Il campionamento viene fatto in modo probabilistico con LC del 5% e Varianza del 50%<br />

(massima per una distribuzione binomiale). Con queste caratteristiche la numerosità del<br />

campione era stabilita in 522 unità suddivisa proporzionalmente fra aderenti e non aderenti al<br />

primo round secondo il programma organizzato, in modo da avere un campione<br />

autobilanciato. Vengono effettuate 498 interviste valide (162 aderenti e 336 non aderenti a<br />

SERENA) con un lieve sbilanciamento (circa 5%) del numero di quelle delle aderenti rispetto<br />

alle non aderenti di cui si è tentuto conto in fase di elaborazione statistica tramite test di<br />

correlazione per ranghi (Kendall; software SPSS).<br />

RISULTATI<br />

Il campione è costituito da donne per il 70% nate nell’area dell’Italia nord-occidentale e per il<br />

19% immigrate dal sud-isole. Il 90% risiede nell’attuale comune di residenza da 20 anni. La<br />

quasi totalità delle donne è in possesso di un titolo di studio, il 64.3% di scuola dell’obbligo.<br />

L’83% circa è sposata o convive con un partner. Solo il 38% è occupata al di fuori delle<br />

attività domestiche. Circa un terzo è pensionato. L’età media è di 52.4 anni.<br />

Se analizziamo l’aderenza a SERENA in ordine a fattori socio-economici, non riscontriamo<br />

differenze statisticamente significative fra aderenti e non: tali fattori quindi sembra non<br />

incidano sulla scelta o meno di aderire al programma Regionale. Il 95% del campione<br />

intervistato dichiara di aver effettuato nella vita almeno un pap-test, e il 62% l’ha fatto solo<br />

fuori dal programma regionale. Del 32.5% che ha aderito al programma regionale, il 31%<br />

aveva fatto un pap-test anche fuori da SERENA. C’è una quota pari al 5% delle donne che<br />

non h<strong>anno</strong> mai fatto un pap-test in vita loro. Se consideriamo però da quanto tempo è stato<br />

effettuato l’ultimo pap-test, notiamo che il 31% l’ha fatto da più di tre anni o non ricorda.<br />

Una consistente frazione di donne (17,5%) ha effettuato l’ultimo pap-test solo fuori SERENA<br />

e l’ha fatto da più di tre anni (o non ricorda) e sommando anche le donne che non h<strong>anno</strong> mai<br />

fatto un pap-test si arriva a un 23% di popolazione obiettivo non coperta da prevenzione.<br />

SERENA ha poi arruolato un 17% di donne che avevano fatto l’ultimo pap-test da più di tre<br />

anni. Si può quindi riassumere che la copertura della popolazione femminile 25-69enne in<br />

termini di prevenzione del carcinoma del collo dell’utero raggiunge il 77%, dato<br />

sovrapponibile a quello dello studio Torinese del 1992.<br />

58


L’effetto positivo del programma regionale si estende al 17% circa della popolazione<br />

obiettivo, avendo arruolato una frazione che era completamente estranea alla prevenzione e<br />

una che l’aveva praticata saltuariamente. Mentre il 50% delle donne intervistate dice di essersi<br />

rivolto al medico privato nell’esecuzione dell’ultimo pap-test fuori SERENA, ben il 38% si è<br />

rivolto alle strutture pubbliche. Se analizziamo solo le donne non aderenti a SERENA il dato<br />

non varia di molto: rispettivamente costituiscono il 54 e il 36%. Se analizziamo la frequenza<br />

con cui riferiscono di fare il pap-test fuori SERENA, notiamo che solo il 7% accetta un<br />

periodismo triennale, mentre il 54% lo effettua ogni 1-2 anni, contro un 32% che lo effettua<br />

irregolarmente o con un periodismo superiore ai 3 anni. Se selezioniamo coloro che si<br />

rivolgono al medico privato, il periodismo a meno di tre anni sale al 67%, ma il 27% riferisce<br />

comunque una frequenza irregolare.<br />

Dall’analisi degli items che cercano di individuare specificamente i motivi della scarsa<br />

aderenza al programma regionale, appare che delle 336 donne intervistate e non aderenti al<br />

programma, ben 116 (34.5%) dichiarano di non aver ricevuto l’invito e 36 (10.7%) non<br />

ricordano di averlo ricevuto. Considerando tali quote sul totale delle intervistate risulterebbe<br />

che almeno il 23.3% degli inviti non giungono a destinazione. Dai nostri archivi relativi alle<br />

lettere inesitate, la percentuale, per quanto alta, non supera i 5-8%. Il dato riferito dalle<br />

interviste potrebbe essere quindi sovrastimato, ma permane come un punto critico da meglio<br />

analizzare.<br />

Le non aderenti che h<strong>anno</strong> ricevuto l’invito (=180) non lamentano problemi di accessibilità.<br />

Fra i motivi di non adesione, il 40% circa della voce “altro” comprende donne che non h<strong>anno</strong><br />

mai effettuato un pap-test nella loro vita o lo svolgono molto saltuariamente perché si sentono<br />

bene o temono l’esito dell’esame; un altro 15% è da attribuirsi a donne isterectomizzate che<br />

non ritengono utile la prevenzione. Sembra in complesso che i motivi di non adesione siano<br />

legati ad abitudini preventive consolidate e alla percezione di essere già seguiti altrove, più<br />

che alla sfiducia nel programma regionale. Bisogna considerare che l’89% circa delle non<br />

aderenti ha effettuato il suo primo pap-test da più di 5 anni, e il 57% da più di 10. Fra queste<br />

abitudini consolidate c’è quindi da evidenziare anche una certa saltuarietà dei controlli.<br />

Un 5%, che non ha mai fatto pap-test in vita sua né con SERENA né fuori, è costituito da<br />

donne timorose, o tranquille del proprio benessere, o sfiduciate nella prevenzione, o invalide e<br />

affette da altre malattie che assorbono le maggiori attenzioni sulla salute.<br />

Delle 162 aderenti a SERENA, è stata valutata la qualità percepita del servizio. Per il 92% il<br />

luogo del prelievo era comodo, per il 99% anche l’orario era comodo; il 92% non lamenta<br />

attese al consultorio. Il 65% delle donne dichiara che non voleva telefonare, e quelle che<br />

h<strong>anno</strong> telefonato non h<strong>anno</strong> avuto difficoltà a trovare la linea telefonica libera nel 79% dei<br />

casi; tutte dichiarano cortesia da parte delle centraliniste. Solo il 10% ha lamentato un pap-test<br />

doloroso, e il 95% ha confermato al cortesia delle ostetriche e dei medici. L’attesa dell’esito è<br />

stata lunga solo per il 15% delle donne; l’esito è risultato comunque chiaro per la quasi<br />

totalità dei casi. Per l’81% delle donne la partecipazione del proprio medico di medicina<br />

generale è stata attiva.<br />

CONCLUSIONI<br />

La copertura preventiva del nostro dipartimento è nella media regionale; la scarsa adesione a<br />

SERENA è da attribuirsi ad abitudini preventive consolidate nel nostro territorio, anche se<br />

non sempre corrette. E’ possibile innalzare l’adesione verificando la effettiva consegna degli<br />

inviti e recuperando una importante quota di attività “spontanea” svolta nelle strutture<br />

pubbliche.<br />

59


Pier-giacomo Betta Filone tematico C1<br />

Fattori di rischio biomolecolari nel cancro del polmone<br />

Università del <strong>Piemonte</strong> Orientale<br />

Dipartimento di Oncologia – S.O.C. di Anatomia Patologica e Citopatologia<br />

PREMESSA<br />

In considerazione della notevole riduzione del finanziamento ottenuto, rispetto a quello<br />

richiesto il progetto di ricerca si è limitato agli aspetti preliminari inerenti la messa a punto<br />

delle metodiche e lo svolgimento di un’attività di tipo pilota. Sta proseguendo, comunque la<br />

raccolta dei campioni di tumore polmonare NSCLC e di soggetti con patologie respiratorie<br />

benigne (asbestosi, silicosi, BPCO) e soggetti sani, fumatori e non.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Dopo la richiesta di un consenso informato, ciascun soggetto é sottoposto a un prelievo di<br />

sangue e a un questionario per raccogliere informazioni su variabili demografiche, abitudine<br />

al fumo, esposizioni occupazionali e non, storia clinica. Il siero di questi soggetti è conservato<br />

a –80°C.<br />

Attività di laboratorio. E’ stata sviluppata una nuova tecnica che rende applicabile l’analisi<br />

di metilazione a quantità minime di DNA, come quelle presenti nel siero dei pazienti affetti da<br />

tumore. Il DNA è stato estratto da alcuni sieri congelati, successivamente è stato modificato<br />

tramite trattamento con sodio bisolfito che converte le citosine non metilate in uracile,<br />

lasciando inalterate quelle metilate permettendo, mediante l’utilizzo di due diversi set di<br />

primers specifici, di amplificarle selettivamente (Methylation Specific PCR). Il DNA viene<br />

poi amplificato mediante primers degenerati contenenti una sequenza specifica presente ad<br />

alta frequenza nel genoma che ammettono l’amplificazione simultanea in loci multipli. Siamo<br />

riusciti, dunque, ad amplificare il DNA dei sieri analizzati, in maniera tale da ottenerne una<br />

quantità tale da poter effettuare numerose analisi di metilazione per diversi geni testati, quali<br />

ad es RASSF1A, p16, DCR2, p73, ecc.<br />

Abbiamo quindi completato la messa a punto di una nuova tecnica, METH-DOP-PCR, che<br />

consente di realizzare un profilo di metilazione a partire da tracce di DNA presente, come<br />

DNA circolante, nei fluidi biologici. Il lavoro, che è in corso di pubblicazione sulla rivista<br />

“Laboratory Investigation”, si è articolato in diverse fasi.<br />

1. la prima fase è consistita nel disegno dei primers, modificando quelli già precedentemente<br />

utilizzati per la DOP-PCR standard. In questi nuovi primers abbiamo sostituito tutte le G<br />

con A per l’amplificazione del DNA non metilato, mentre nel primer per il target metilato,<br />

soltanto le G non seguite dalla C sono state sostituite dalle A. L’amplificazione del DNA<br />

modificato con bisolfito di sodio, consiste in una reazione a 2 steps a diverse temperature<br />

di annealing. Nel primo, a bassa stringenza, condotta a 25° il DNA target viene<br />

uniformemente amplificato in maniera non specifica per aumentare la resa del DNA<br />

“template”. Nel secondo step, a più alta stringenza, il DNA viene esponenzialmene<br />

amplificato. Per determinare lo stato di metilazione di sequenze specifiche, aliquote di<br />

DNA, amplificato mediante DOP, veniva sottoposto a PCR utilizzando primers e<br />

condizioni di reazione identiche a quelle impiegate per l’MSP diretta. Abbiamo<br />

dimostrato, mediante l’utilizzo di diluizioni seriali di DNA che la MET-DOP- PCR<br />

60


ichiede una quantità di DNA di partenza, almeno 25 volte inferiore a quella occorrente<br />

per una MSP standard.<br />

2. Abbiamo in seguito dimostrato la fedeltà di amplificazione mediante DOP-PCR<br />

confrontando il pattern di metilazione ottenuto mediante digestione con enzimi di<br />

restrizione (BRE) di DNA amplificato mediante DOP-PCR e quello di DNA amplificato<br />

mediante MSP e acquisendo, con le due tecniche, risultati pressochè identici.<br />

3. Abbiamo inoltre valutato l’accuratezza di questa tecnica confrontando i risultati ottenuti<br />

con MET-DOP-PCR e con MSP classica, sullo stato di metilazione di diversi geni in<br />

campioni costituiti da linee cellulari e da frammenti di tessuto tumorale polmonare.<br />

4. Abbiamo infine validato tale tecnica per alcuni geni (RASSF1A, TA-p73, deltaN-p73,<br />

MGMT, CDKN2A, DCR2) sui sieri e sui corrispondenti tessuti tumorali di una decina di<br />

pazienti. Durante questo studio preliminare, condotto essenzialmente a scopo<br />

metodologico, nell’ambito dei vari geni analizzati abbiamo ottenuto risultati<br />

particolarmente interessanti riguardanti lo stato di metilazione di P73.<br />

Tali risultati, insieme ad altri (H. Uramoto et al. Clin. Cancer Res. 10; 6905, 2004),<br />

recentemente pubblicati che potevano essere associati ai nostri, ci h<strong>anno</strong> spinto nella<br />

direzione di approfondire ed estendere l’analisi focalizzandola, in particolare sullo stato di<br />

metilazione di questo gene. P73, un gene che codifica una proteina con omologie<br />

strutturali e funzionali alla p53, è stato identificato come gene oncosoppressore<br />

particolarmente importante nel neuroblastoma in cui è stata anche identificata una forma<br />

troncata del gene, deltaNp73, il cui prodotto è in grado di inattivare funzionalmente p53 e<br />

TA p73, agendo pertanto da oncogene. Sebbene non sia stata osservata la presenza di<br />

mutazioni o amplificazione genica è stata rilevata, nel tumore del polmone, un’aumentata<br />

espressione di p73 che, fino a poco tempo fa, non era stata ricondotta ad una forma<br />

specifica della proteina. Solo recentemente è stato pubblicato un lavoro (H. Uramoto et al.<br />

Clin. Cancer Res. 10; 6905, 2004) in cui veniva dimostrata un’alta espressione, nei<br />

NSCLC, specificamente attribuibile a deltaN-p73 peraltro correlata ad una peggiore<br />

prognosi.<br />

I nostri dati preliminari, mentre non evidenziavano un’alterazione dello stato di<br />

metilazione di TA-p73, rivelavano un’alta frequenza de demetilazione di deltaN-p73,<br />

suggerendo che l’espressione di deltaN-p73 potesse essere controllata dalla metilazione<br />

del promotore di tale gene. Allo stato attuale, abbiamo analizzato lo stato di metilazione di<br />

deltaN-p73 in 32 casi ottenendo un’ incidenza di casi in cui il gene presenta demetilazione<br />

di circa il 75%.<br />

Prospettiva futura di questo studio è rappresentata da:<br />

• analisi immunoistochimica della proteina nelle sezioni di tessuto degli stessi tumori<br />

analizzati per la metilazione allo scopo di capire se la demetilazione di P73 osservata è<br />

associata all’overespressione della proteina;<br />

• analisi dei dati di follow up per verificare l’eventuale esistenza di correlazione tra la<br />

demetilazione di deltaN- P73 e la prognosi del paziente.<br />

61


Alberto Biglino Filone tematico A1<br />

Incidenza e fattori di rischio delle batteriemie nosocomiali cateterecorrelate<br />

in <strong>Piemonte</strong><br />

A.s.l. 19 – Dipartimento di Medicina<br />

Struttura Organizzativa Complessa di Malattie Infettive a Direzione Universitaria<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Le batteriemie rappresentano circa il 15% del totale delle infezioni nosocomiali, con<br />

un’incidenza variabile tra 1,5 e 18,5 casi / 1000 ricoveri (da 26 a 67 casi / 1000 ricoveri nelle<br />

Unità di Terapia Intensiva. In Italia non esistono dati di incidenza raccolti in modo<br />

sistematico, a livello nazionale o regionale, sulle batteriemie nosocomiali. Si è ritenuto<br />

pertanto opportuno avviare uno studio pilota della durata di 12 mesi sulle principali strutture<br />

ospedaliere del territorio piemontese, avente quali obiettivi la valutazione del tasso di<br />

incidenza delle batteriemie nosocomiali, lo studio dei fattori che ne favoriscono l’insorgenza<br />

-con particolare attenzione al tasso di utilizzo dei dispositivi endovasali- e degli agenti<br />

eziologici con relativi patterns di antibiotico-resistenza.<br />

MATERIALI E METODI<br />

A partire dal 1° ottobre 2004 è iniziata la raccolta prospettica dei dati relativi alle emocolture<br />

eseguite nei 22 ospedali piemontesi aderenti allo studio, all’interno dei quali venivano<br />

sorvegliate le seguenti aree di degenza: Rianimazione e Terapie Intensive Specialistiche<br />

(UTIC + 1 Centro Ustionati) definite nel complesso come Unità di Terapia Intensiva (UTI);<br />

Medicina d’Urgenza; Chirurgia Generale; Medicina Interna (incluse Nefrologia, Geriatria,<br />

Ematologia se presenti) per un totale di 1982 posti letto su 4037 regionali dedicati alle aree<br />

predette. Per la raccolta dei dati sono state utilizzate due schede: la prima relativa ai dati<br />

clinico-anamnestici (segni di sepsi / shock settico, localizzazioni infettive d’organo/apparato,<br />

condizioni immunodeprimenti, dispositivi endovasali, cateterismo urinario a permanenza,<br />

recenti interventi chirurgici, tipo e durata di terapie antibiotiche precedenti) dei ricoverati<br />

adulti cui si fosse reso necessario effettuare almeno una emocoltura (comprendente almeno 2<br />

sets di flaconi) per la comparsa, oltre la 48 a ora dal ricovero, di febbre e/o segni clinicostrumentali<br />

di sepsi o altro processo infettivo acuto non presente all’ingresso in ospedale; la<br />

seconda, relativa a tutti i ricoverati nelle unità predette cui fosse stato posizionato un<br />

dispositivo endovasale centrale, contenente quesiti sul tipo di dispositivo (estemporaneo /<br />

impiantabile; tipo di materiale; numero di vie; impregnazione con sostanze antibatteriche),<br />

sulle modalità di inserzione (sito di inserzione; elezione / urgenza) e sulla durata di utilizzo<br />

(per gli estemporanei, si è considerato il tempo intercorso tra inserzione e rimozione; per gli<br />

impiantabili il numero di giorni di ricovero in cui era stato utilizzato il dispositivo). Le<br />

schede, erano inviate al Centro coordinatore al termine della degenza dei pazienti.<br />

L’isolamento di germi da uno o più sets di emocoltura prelevati nell’ambito di ogni episodio<br />

febbrile o settico è stata riferita a batteriemia o a inquinamento secondo i criteri dei Centers<br />

for Disease Control eliminando ai fini del conteggio gli isolamenti ripetuti del medesimo<br />

germe nell’ambito dello stesso episodio (ridondanze). In caso di presenza di dispositivo<br />

endovasale, veniva sempre prelevato almeno un set di 2 flaconi dal dispositivo<br />

contemporaneamente ad un analogo prelievo periferico, al fine di rilevare -ove possibile- la<br />

correlazione tra il germe causa di batteriemia e il germe colonizzante il dispositivo in base ai<br />

relativi tempi di crescita batterica<br />

62


RISULTATI<br />

Nell’arco dei dodici mesi di svolgimento dello studio, sono stati ricoverati nei 1982 postiletto<br />

oggetto di sorveglianza 51.519 pazienti, per un totale di 515.617 giornate di degenza. In<br />

tale periodo sono state elaborate 1667 schede di raccolta dati, corrispondenti ad altrettanti<br />

episodi febbrili o clinicamente compatibili con batteriemia (v. criteri delineati nel paragrafo<br />

precedente) nel corso dei quali sono state effettuate 2127 emocolture (comprendenti il<br />

prelievo di almeno 2 “sets”, ciascuno dei quali costituito da un flacone per aerobiosi e uno<br />

per anaerobiosi) sulle 5873 effettuate nel periodo di osservazione in tutti i reparti degli<br />

ospedali oggetto di studio. I 1667 episodi si sono verificati in 1371 pazienti di età media 67 ±<br />

15 anni (mediana 71 anni; range 14-99; maschi 798, femmine 573) che presentavano febbre<br />

associata o meno a segni clinici di SIRS o d<strong>anno</strong> d’organo (1082 casi, pari al 79%), sola<br />

febbre (245 casi, 18%) o sintomi mal definiti (44 casi). Sono risultate positive 1105<br />

emocolture delle 2127 eseguite, di cui 531 (48%) riferibili a inquinamenti, 114 (10,4%) non<br />

significative in quanto effettuate unicamente da dispositivo, mentre 460 (41,6%) -secondo i<br />

criteri prima specificati- corrispondevano a vere batteriemie dalle quali, eliminate le<br />

ridondanze, sono stati isolati 711 ceppi batterici. Il 51% delle batteriemie si è verificato in<br />

UTI (Rianimazioni, UTIC, Centro Ustioni), il 33% in strutture di Medicina, il 16% in<br />

Chirurgia.<br />

Incidenza. L’incidenza di batteriemie nosocomiali è risultata pari a 8,9 casi/1000 ricoverati<br />

(37,5 nelle UTI; 4,99 nelle Medicine; 4,97 nelle Chirurgie Generali), corrispondenti a 0,89<br />

casi /1000 giorni-paziente (3,9 nelle UTI; 0,45 nelle Medicine; 0,64 nelle Chirurgie).<br />

Fattori di rischio: 180 batteriemie (39%) erano associate a presenza di un dispositivo<br />

endovasale centrale, con incidenza pari a 2,37 casi /1000 giorni-dispositivo (2,98 nelle UTI;<br />

1,81 nelle Chirurgie generali; 1,64 nelle Medicine. L’intensità media di utilizzo dei dispositivi<br />

endovasali è risultata pari a 0,14 (0,90 nelle UTI). Escludendo i portatori di dispositivi<br />

endovasali, si sono osservate 55 batteriemie (12%) in presenza di cateterizzazione urinaria a<br />

permanenza, 16 (3%) in pazienti sottoposti a recente intervento chirurgico e 9 (2%) in<br />

presenza di polmonite nosocomiale o ventilazione controllata quali unici fattori di rischio;<br />

infine, in 41 pazienti (9%) nessun fattore di rischio era evidenziabile ad eccezione di<br />

condizioni immunodeprimenti (diabete scompensato, cirrosi, neutropenia, emopatie,<br />

immunosoppressori), mentre ai restanti 159 casi (35%) non è stato possibile attribuire una<br />

causa univoca, essendo presenti più fattori tra quelli citati, o nessuno di essi. La mortalità<br />

grezza osservata durante il ricovero nei pazienti studiati è risultata pari al 26,6% (365/1371),<br />

contro il 10,1% (5162/50158) nei restanti pazienti, ricoverati nello stesso periodo nei<br />

medesimi reparti, ma non valutati in quanto non rispondenti ai criteri di inclusione.<br />

Dati microbiologici. Tra i 711 stipiti isolati dalle 460 batteriemie, figurano: 135 Stafilococchi<br />

coagulasi-negativi (19%); 127 S. aureus (18%); 102 K-E-S (14%); 92 Candide (13%), di cui<br />

72 C.albicans e 20 Candida “non albicans”; 61 E.coli (8,5%); 58 Pseudomonas spp (8%); 54<br />

Enterococcus spp. (7,6%); 9 Streptococchi (Viridanti in massima parte) (1,2%); 6 Proteus<br />

spp (0,84%), oltre a 67 altri germi (9,4%), tra cui 16 Citrobacter spp.; 10 Bacteroides<br />

fragilis; 8 S. maltophilia; 6 A. baumanii.<br />

Patterns di resistenza. Analizzando tutti i 711 ceppi batterici isolati da batteriemie, sono<br />

risultati oxacillino-resistenti l’81% degli Stafilococchi coagulasi-negativi ed il 46% dei ceppi<br />

di S. aureus; era invece resistente a Cefalosporine di III generazione (β-lattamasi a spettro<br />

esteso) il 34% dei germi appartenenti al gruppo K-E-S e l’11,5% di E. coli; infine il 24% e il<br />

29% di Pseudomonas spp. erano rispettivamente resistenti a Carbapenemi e a Ciprofloxacina.<br />

Analisi genotipica dei ceppi isolati. Sono stati analizzati mediante PFGE (Pulsed-field Gel<br />

Electrophoresis) 64 ceppi di S. aureus e S. epidermidis isolati da 32 delle 149 batteriemie<br />

catetere-associate. In 26 di tali pazienti sono stati esaminati almeno 2 ceppi (rispettivamente<br />

63


da sangue e da catetere), mentre in 6 pazienti era disponibile solo un ceppo per paziente. Dei<br />

26 pazienti con isolamento di almeno 2 ceppi, i risultati PFGE sono stati i seguenti:<br />

• in 21/26 pazienti (80.8%) i ceppi avevano uguale profilo (sangue – catetere), indice di<br />

correlazione assoluta tra il germe colonizzante il dispositivo e quello in causa nella<br />

batteriemia;<br />

• in 4/26 pazienti (15.4%) i ceppi presentavano diverso profilo, e quindi non erano correlati;<br />

• in 1 paziente il ceppo da emocoltura aveva profilo uguale a quello isolato da<br />

broncoaspirato, ma diverso da quello isolato da catetere.<br />

CONCLUSIONI<br />

I dati presentati in estrema sintesi, riferiti all’intero periodo previsto di osservazione di un<br />

<strong>anno</strong>, indicano che le batteriemie nosocomiali in <strong>Piemonte</strong> presentano un’incidenza globale<br />

sensibilmente più elevata rispetto ai più recenti dati della letteratura (8,9 vs. 3,5) mentre il<br />

tasso di incidenza in funzione della durata del ricovero si è rivelato di poco superiore (0,89 vs<br />

0,6/1000 giorni-paziente). Nelle terapie intensive partecipanti al nostro studio, l’incidenza<br />

(37/1000 ricoveri; 3,9/1000 giorni-paziente) si è rivelata simile o lievemente inferiore rispetto<br />

ai dati del sistema NINSS mentre nei restanti reparti si segnala una sostanziale<br />

sovrapponibilità. Per ciò che concerne le batteriemie CVC-associate, benchè il dato di<br />

incidenza osservato (2,7/1000 giorni-catetere) sia comparabile con quello della letteratura, si<br />

rileva nella nostra casistica una differenza di 1,5 volte tra il tasso riscontrato in reparti<br />

intensivistici e nei reparti medico-chirurgici, a fronte di un tasso di utilizzo dei dispositivi<br />

endovasali cinque volte superiore nelle UTI rispetto alle altre strutture: è dunque ipotizzabile<br />

una meno attenta gestione delle linee venose centrali nei reparti non intensivistici. In ogni<br />

caso, i nostri dati confermano il ruolo fondamentale dei dispositivi endovasali come fattori di<br />

rischio di batteriemie nosocomiali (40% dei casi); inoltre l’analisi molecolare dei ceppi di<br />

Stafilococco ha dimostrato la stretta correlazione (80% di identità) tra i germi isolati dai<br />

dispositivi e dal sangue periferico. Emerge infine come un eccesso di rischio di batteriemia<br />

nosocomiale sia correlabile a fattori diversi dai dispositivi centrali; appare rilevante il ruolo<br />

del cateterismo urinario a permanenza, cui risulta imputabile il 12% degli episodi<br />

batteriemici verificatisi in pazienti privi di qualsiasi altro fattore di rischio, ed in misura<br />

minore (9% dei casi) la presenza, quale unico fattore di rischio, di comorbidità (diabete<br />

scompensato, alcolismo, tossicodipendenza, insufficienza renale cronica, cirrosi, asplenia,<br />

trapianto organo / midollo, neutropenia; terapie immunosoppressive). Le altre pratiche<br />

invasive correlate a batteriemia (interventi chirurgici o ventilazione meccanica), come pure la<br />

presenza di gravi infezioni concomitanti in altre sedi (polmoniti nosocomiali, infezioni di<br />

cute e parti molli) si sono rivelate di scarsa importanza quali unica fonte di batteriemia; esiste<br />

invece una rilevante proporzione (35%) di pazienti in cui la batteriemia non è riconducibile a<br />

specifici fattori di rischio, ma al fatto stesso di essere ricoverati. Per ciò che riguarda i dati<br />

microbiologici, si segnala l’importanza preminente di Stafilococchi ed altri Gram-positivi tra<br />

gli agenti causali (responsabili di più del 50% degli episodi batteriemici, con il 46% dei ceppi<br />

di S. aureus meticillino-resistenti), oltre alla preoccupante frequenza di Enterobatteri<br />

produttori di ß-lattamasi a spettro esteso, resistenti a Cefalosporine di III generazione, e di<br />

Pseudomonas resistenti a Carbapenemi e Ciprofloxacina. Particolare allarme suscita l’elevata<br />

frequenza di fungemie da Candida (un quarto delle quali sostenute da Candide “nonalbicans”),<br />

che si collocano al quarto posto in ordine di importanza dopo S. aureus, CoNS e<br />

Klebsiella / Enterobacter quali agenti eziologici, da correlare con l’intensità e durata di<br />

utilizzo dei chemioantibiotici e con altri fattori di rischio quali la nutrizione parenterale<br />

totale.<br />

64


Elisabetta Bignamini Filone tematico D2<br />

Micobatteri non-tubercolari e Fibrosi Cistica: indagine di prevalenza e<br />

studio caso-controllo retrospettivo<br />

Azienda Ospedaliera O.I.R.M S. Anna<br />

Centro di Riferimento Regionale Fibrosi Cistica <strong>Piemonte</strong> e Valle D’Aosta<br />

IDENTIFICAZIONE DEL CAMPIONE<br />

I soggetti partecipanti a questo studio sono stati selezionati tra tutti pazienti affetti da Fibrosi<br />

Cistica (FC) afferenti al Centro di Riferimento Regionale Fibrosi Cistica <strong>Piemonte</strong> e Valle<br />

d’Aosta - OIRM-S.Anna - Torino. Come principale criterio di inclusione è stata utilizzata la<br />

capacità di produrre spontaneamente un campione valido di escreato. Sono stati identificati 90<br />

pazienti con età superiore ai 6 anni, nati entro il 1998 (47 femmine e 43 maschi).<br />

DETERMINAZIONE DEI PARAMETRI DI INTERESSE<br />

Sono state analizzate le cartelle cliniche dei pazienti selezionati, le schede di controllo<br />

periodico, le schede di controllo annuale e le schede di dimissione ospedaliera (SDO),<br />

corrispondenti al periodo 1.1.2002-31.12.2004. Per ogni paziente sono stati analizzati i<br />

seguenti parametri:<br />

Irreversibili<br />

a) Mutazioni genetiche del gene CFTR.<br />

b) Stato di funzionalità pancreatica<br />

c) Presenza di colonizzazione batterica cronica.<br />

Reversibili (valutazione annuale)<br />

d) terapia topica di mantenimento<br />

e) terapia corticosteroidea (№ dei cicli e № dei giorni per ogni paziente)<br />

f) terapia antibiotica(№ dei cicli e № dei giorni per ogni paziente).<br />

g) Ricoveri Ospedalieri per Riacutizzazione Respiratoria o per altri motivi (№ di ricoveri e №<br />

dei giorni per ogni paziente).<br />

I dati ottenuti sono stati immessi in una base di dati su supporto elettronico. I pazienti<br />

effettivamente inclusi nello studio sono 81 (41 femmine e 40 maschi), di nove soggetti non<br />

erano disponibili i dati necessari e sufficienti da utilizzare nel nostro studio. Tra questi<br />

soggetti, 40 erano in grado di produrre escreato in modo spontaneo e su di essi abbiamo<br />

condotto l’indagine.<br />

DETERMINAZIONI MICROBIOLOGICHE<br />

Dal momento che non è possibile l’identificazione dei micobatteri non tubercolari presso il<br />

laboratorio aziendale, è stato contattato il laboratorio dell’Ospedale Amedeo di Savoia, nella<br />

persona della Dott.ssa Milano, che si è resa disponibile per l’esecuzione degli esami<br />

microbiologici. La determinazione microbiologica comprende l’esame microscopico diretto e<br />

colturale dell'escreato e la tipizzazione di specie dei Micobatteri. Il tempo necessario per<br />

ottenere i risultati dell’ esame colturale è di circa 6 settimane. Tenuto conto della laboriosità<br />

65


delle procedure diagnostiche e dei carichi di lavoro del laboratorio, non è possibile effettuare<br />

più di tre determinazioni al giorno. Dal momento che per ogni paziente vengono sottomessi 3<br />

campioni di escreato, si spediscono i campioni relativi ad un solo paziente ogni giorno<br />

concordato per l’indagine. Contemporaneamente alla spedizione dei campioni si provvede<br />

all’aggiornamento della base di dati elettronica con i seguenti dati:<br />

a) Funzionalità respiratoria, al momento del prelievo del campione (CV, FEV1 e MEF50<br />

valore assoluto e percentuale rispetto al teorico)<br />

b) Stato nutrizionale al momento del prelievo del campione. (peso e altezza riferiti alle curve<br />

di crescita teoriche)<br />

RISULTATI<br />

Finora sono stati analizzati i campioni di 36 soggetti dei 40 che producono escreato<br />

spontaneamente. Due pazienti sono risultati positivi per la ricerca di NTM.<br />

a) Il primo paziente, un maschio da 16 anni, aveva i tre esami microscopici negativi alla<br />

ricerca di NTM, ma due esami colturali dell’escreato sono risultati positivi per<br />

Micobacterium abscessus.<br />

b) L’altro paziente, una femmina da 13 anni, aveva un esame colturale dell’escreato positivo<br />

per Micobacterium fortuitum. Tutti gli altri esami sono risultati negativi.<br />

Trattandosi di due specie diverse, è stata esclusa la possibilità che i pazienti abbiano<br />

trasmesso l’infezione uno all’altro. I soggetti non sono stati messi sotto la terapia specifica,<br />

perché non rispondevano ai criteri raccomandati dall’American Thoracic Society per<br />

cominciare il trattamento e sono clinicamente asintomatici. I campioni dell’escreato di tutti gli<br />

altri pazienti sono risultati negativi sia alla ricerca di NTM all’esame microscopico che a<br />

quello colturale.<br />

CONCLUSIONI<br />

In considerazione di quanto sopra esposto, si può ipotizzare che per i nostri pazienti il rischio<br />

d’infezione da NTM è basso. I casi risultati positivi sono stati messi sotto controllo periodico<br />

per valutare l’evoluzione dell’infezione. In questo momento sono state poste le basi per una<br />

sorveglianza continua, che permette di stimare l'incidenza dell'infezione nella popolazione<br />

affetta da FC, di seguire nel tempo l'andamento del quadro clinico in termini di funzionalità<br />

respiratoria, di stato nutrizionale e microbiologico nei soggetti infettati ed, infine, di valutare<br />

il ruolo della trasmissione nosocomiale dell'infezione ed eventualmente di predisporre misure<br />

preventive.<br />

66


Bartolomeo Biolatti Filone tematico B1<br />

Effetti del trattamento con desametazone a dosi terapeutiche ed<br />

anabolizzanti sul sistema immunitario del bovino<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Patologia Animale<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il presente studio concepito come integrazione di un precedente progetto finanziato dalla<br />

<strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong>, rientra nel filone di ricerca che riguarda i trattamenti illeciti con<br />

desametazone. Scopo di tale studio era evidenziare eventuali alterazioni a seguito di<br />

trattamento con desametazone a dosi terapeutiche o anabolizzanti.<br />

MATERIALI E METODI<br />

A tal fine 32 vitelli a carne bianca di razza Frisona e/o Meticcia, allevati nelle medesime<br />

condizioni di stabulazione sono stati divisi in 3 diversi gruppi:<br />

• Gruppo K (13 capi) non trattati;<br />

• Gruppo A (11 capi) trattato con desametazone a dosi terapeutiche (5 mg/capo IM per 2<br />

somministrazioni a distanza di una settimana);<br />

• Gruppo B (11 capi) trattato con desametazone a dosi anabolizzanti (0.4mg/capo/giorno<br />

per via orale per 20 giorni).<br />

Per valutare l’azione del corticosteroide sulla morfologia del timo e sullo stato immunitario<br />

degli animali si è proceduto con la macellazione di 2 soggetti per gruppo ai tempi T0, T3, T7,<br />

T14, T30, T52. Al momento della macellazione tutti i soggetti sono stati sottoposti ad esame<br />

necroscopico. Tutti gli organi considerati potenziali bersagli dei corticosteroidi sono stati<br />

pesati e fotografati. Da ciascun vitello sono stati prelevati campioni di timo, surrene, fegato,<br />

prostata, ghiandole bulbo-uretrali e testicolo su cui sono state eseguite le analisi<br />

istopatologiche di routine.<br />

RISULTATI<br />

Istologicamente, è stato osservato che, nei soggetti del Gruppo A al tempo T7, il timo, in<br />

particolare la porzione toracica, presenta una atrofia diffusa della corticale ed un diradamento<br />

della midollare. Al tempo T14 la riduzione della corticale risulta essere più marcata. La<br />

situazione di normalità risulta essere completamente ripristinata al T52, ovvero 45 giorni dopo<br />

l’ultima somministrazione. Nel gruppo B, si osserva una lieve atrofia iniziale a livello<br />

corticale al T14. Al T52 il timo non presenta nessun tipo di lesione o alterazione riconducibili<br />

a trattamento. Non sono state riscontrate differenze statisticamente significative raffrontando i<br />

tre gruppi ad ogni tempo. E’ stato invece rilevato un trend statisticamente significativo nel<br />

tempo sia nel gruppo A (P=0,0222), come nel gruppo B (P=0,0222).<br />

I risultati dell’analisi citofluorimetrica del primo prelievo di sangue periferico eseguito sui<br />

bovini di controllo, sono stati utilizzati per l’ottimizzazione della metodica e dei protocolli di<br />

acquisizione ed analisi e per ottenere valori basali. I campioni di sangue periferico e di timo,<br />

adeguatamente processati e marcati con anticorpi monoclonali specifici per il bovino e diretti<br />

67


contro antigeni di superficie leucocitari e linfocitari (CD1, CD3, CD5, CD6, CD4, CD8 WC1,<br />

CD21, CD14, CD18, CD11b), sono stati acquisiti al citofluorimetro. L’analisi dei dati è<br />

tuttora in corso.<br />

Per quanto concerne la migrazione dei neutrofili è stato osservato che a seguito di<br />

stimolazione con PMA i neutrofili al tempo T7 presentavano una diminuzione della<br />

migrazione, statisticamente significativa (P=0,0397) nei soggetti del gruppo B rispetto ai<br />

soggetti di controllo. Ad una settimana di distanza (T14) la percentuale di cellule migrate<br />

aumenta in entrambi i gruppi sperimentali. Tale andamento, indicativo di una situazione di<br />

normalità, permane nel tempo fino al termine dell’esperimento. Lo stesso profilo è stato<br />

osservato a seguito di stimolazione con ZAS, anche in questo caso al tempo T7 si osserva una<br />

diminuzione statisticamente significativa (P=0.0238) nei soggetti del gruppo B.<br />

In merito all’apoptosi rilevata mediante citofluorimetria, in entrambi i gruppi sperimentali si<br />

rileva un aumento delle cellule apoptotiche al T14 rispetto ai soggetti di controllo. Al T30 la<br />

quantità di cellule apoptotiche risulta simile in tutti i soggetti in esame. La ricerca di cellule<br />

apoptotiche mediante colorazione TUNEL su sezioni istologiche rileva un aumento<br />

dell’apoptosi già al tempo T3, ovvero dopo solo tre giorni dall’inizio del trattamento sia nei<br />

soggetti appartenenti al gruppo A, trattati per via i.m., sia nei soggetti del gruppo B, trattati<br />

per os. Nonostante non sia stato possibile rivelare differenze statisticamente significative a<br />

causa dell’esiguo numero di capi per ciascun gruppo, questo aumento risulta essere molto<br />

elevato, soprattutto nel gruppo B, dove raggiunge una percentuale del 222,5% rispetto ai<br />

controlli. Al tempo T7 l’incremento rispetto al controllo continua ad essere molto elevato in<br />

entrambi i gruppi di trattamento, anche in questo caso l’apoptosi risulta essere più accentuata<br />

nei soggetti appartenenti al gruppo B, dove raggiunge una percentuale di aumento del 400%.<br />

Al T14 si continua ad avere un aumento della percentuale di apoptosi in entrambi i gruppi,<br />

anche se leggermente inferiore rispetto al tempo di macellazione precedente. In questo caso il<br />

gruppo B presenta una percentuale di area apoptotica leggermente inferiore rispetto al gruppo<br />

A. Al T32 l’apoptosi risulta essere notevolmente inferiore in entrambi i gruppi; nel gruppo A<br />

si può osservare una diminuzione rispetto ai controlli. Questa diminuzione persiste anche nel<br />

tempo T52, dove la percentuale di area positiva nei soggetti trattati appartenenti ad entrambi i<br />

gruppi sperimentali risulta simile a quella dei soggetti di controllo.<br />

In relazione ai dati ottenuti nello studio delle concentrazioni delle IgG determinate mediante<br />

Bovine IgG VET-RID kit (Bethyl Lab., Montgomery, AL, USA), ai tempi 0, 3, 7, 14, 31, 52,<br />

possiamo dire che non sono state evidenziate differenze statisticamente significative (test di<br />

Kruskall Wallis) nella produzione di immunoglobuline durante il periodo sperimentale, come<br />

confermato in letteratura da diversi autori.<br />

CONCLUSIONI<br />

In conclusione tutti i dati ottenuti f<strong>anno</strong> pensare che la somministrazione di desametazone a<br />

dosi anabolizzanti in vitelli a carne bianca induce modificazioni più marcate rispetto al<br />

trattamento con dosi terapeutiche. Questa ipotesi sembra essere sostenuta sia dalla ridotta<br />

capacità dei neutrofili di rispondere ad uno stimolo esterno, sia dalla maggiore apoptosi a<br />

carico del timo dei soggetti del gruppo B: A livello istologico si osservano delle modificazioni<br />

solo a carico del principale organo bersaglio ovvero il timo. In questo caso l’atrofia risulta<br />

maggiore nei soggetti appartenenti al gruppo trattato per via intramuscolare.<br />

68


Giuseppe Boccuzzi Filone tematico A2<br />

Individuazione precoce di markers ematici di d<strong>anno</strong> ossidativo nel<br />

diabete mellito.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Fisiologia Clinica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il diabete, la cui prevalenza è aumentata nel mondo occidentale dal 4 all'8% negli ultimi dieci<br />

anni, in rapporto al mutato stile di vita, è caratterizzato da elevata morbidità cardiovascolare,<br />

con mortalità coronarica molto più alta che nella popolazione non diabetica, anche in pazienti<br />

senza storia clinica di malattia aterosclerotica. Recenti evidenze sperimentali h<strong>anno</strong><br />

dimostrato che i radicali dell'ossigeno attivano le principali vie metaboliche che portano al<br />

d<strong>anno</strong> tessutale e sono coinvolti nei meccanismi molecolari alla base dell'insulino-resistenza:<br />

vi è ormai accordo generale sul ruolo primario del d<strong>anno</strong> ossidativo nelle complicanze<br />

croniche macro- e micro-vascolari del diabete. Tuttavia, a fronte di evidenze sperimentali<br />

incoraggianti, i trials clinici finora condotti con antiossidanti non h<strong>anno</strong> portato a risultati<br />

conclusivi. L'individuazione precoce e la misurazione dello sbilanciamento ossido/riduttivo è<br />

passaggio preliminare indispensabile per costruire trials clinici più accurati che valutino la<br />

reale efficacia del trattamento antiossidante.<br />

OBIETTIVO<br />

L’obiettivo del progetto era duplice: individuare biomarkers sensibili e di facile esecuzione in<br />

grado di misurare nel paziente diabetico lo stato ossido/riduttivo, e definire in quale misura le<br />

modificazioni dei biomarkers rilevabili nel compartimento ematico riflettano l'equilibrio<br />

redox tessutale e la reale presenza di d<strong>anno</strong> ossidativo.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Nel modello animale di diabete sperimentale (ratti maschi Wistar resi diabetici mediante una<br />

singola iniezione di STZ (50 mg/Kg i.v.)) è stato valutato lo stato ossidativo nel<br />

compartimento ematico ed in tessuti bersaglio del d<strong>anno</strong> ossidativo (encefalo, rene), i markers<br />

di perossidazione lipidica e di d<strong>anno</strong> cellulare, la produzione di mediatori del d<strong>anno</strong><br />

ossidativo e l'attivazione delle vie intracellulari di segnale ad effetto lesivo. La valutazione<br />

dell'equilibrio ossidativo nel compartimento ematico è stata effettuata sul plasma e sui<br />

mononucleati circolanti (PBMCs). I ROS sono stati determinati con metodo fluorimetrico<br />

(Ravindranath, 1994) e la generazione di H2O2 spettrofotometricamente (Zoccarato 1993); il<br />

contenuto degli antiossidanti, glutatione ridotto (GSH) mediante una cinetica enzimatica<br />

(Owens & Belcher,1965) e La SOD, con un metodo cinetico, descritto da Flohe ano Otting<br />

(1984); i prodotti finali della perossidazione lipidica, in termini di 4-idrossinonenale (HNE)<br />

con il metodo descritto da Esterbauer (1986); il TNFalfa ed i sui recettori solubili (sTNF-RI<br />

ed sTNF-RII) tramite analisi immunoenzimatica (ELISA).<br />

Sui PBMCs è stata inoltre valutato:<br />

1. il contenuto di ATP e l'attività dell'ATPasi Na/K-dipendente;<br />

69


2. l'espressione del fattore di trascrizione nucleare NFkB, i suoi livelli citosolici e i livelli<br />

citosolici del suo inibitore fisiologico IkB.<br />

In questa fase della sperimentazione è stata definita la corrispondenza fra le modificazioni dei<br />

parametri di ossidazione rilevabili nel sangue e l'entità del d<strong>anno</strong> tessutale indotto dalle specie<br />

radicaliche nel diabete sperimentale.<br />

RISULTATI<br />

I risultati ottenuti sono stati riportati in sede congressuale e sono stati oggetto di<br />

pubblicazione: - R. Mastrocola, F. Restivo, I. Vercellinato, O. Danni, E. Brignardello, M.<br />

Aragno, G. Boccuzzi. Oxidative and Nitoxidative Stress in Brain Mitichondria of Diabetic<br />

Rats. J. Endocrinology 186, 00-00, 2005. I.F. 3.319 - M. Aragno, R. Mastrocola, M G<br />

Catalano, E. Brignardello, O. Danni, G. Boccuzzi. Oxidative Stress Impairs Skeletal Muscle<br />

Repair in Diabetic Rats. Diabetes 53, 1082-1088, 2004. I.F. 8.848<br />

La seconda parte della ricerca era definire, in pazienti diabetici selezionati per durata e gravità<br />

della malattia, i tempi di comparsa e l'andamento dei markers ematici di squilibrio<br />

ossido/riduttivo per individuare quelli più sensibili e più specifici come indicatori di d<strong>anno</strong><br />

ossidativo tessutale. Definita la corrispondenza fra le modificazioni dei parametri di<br />

ossidazione rilevabili nel sangue e l’entità del d<strong>anno</strong> tessutale indotto dalle specie radicaliche<br />

nel diabete sperimentale (ratti con diabete indotto da streptozotocina), è stato dato l’avvio ad<br />

uno studio pilota condotto su pazienti con diagnosi certa di diabete mellito di tipo 2<br />

(American Diabetes Association, 2004), in esclusivo trattamento dietetico, privi di altri<br />

elementi caratterizzanti la sindrome metabolica (obesità, ipertensione arteriosa, dislipidemia)<br />

e senza interferenze farmacologiche, per definire un pannel il più completo possibile dei<br />

parametri ematici -plasma e mononucleati circolanti (PBMC)-:<br />

a) di insulino-resistenza;<br />

b) di stress ossidativo;<br />

c) di attivazione delle vie metaboliche che portano al d<strong>anno</strong> vascolare (AGE/RAGE);<br />

d) di attivazione di fattori di trascrizione redox-sensibili che modulano l’espressione genica<br />

di citochine pro-infiammatorie;<br />

e) di flogosi;<br />

f) di d<strong>anno</strong> endoteliale.<br />

I risultati già ottenuti h<strong>anno</strong> consentito di validare, nell’uomo, l’utilizzo di markers ematici di<br />

squilibrio ossido/riduttivo, di flogosi e di d<strong>anno</strong> endoteliale sensibili e specifici che<br />

permettano la corretta stratificazione del rischio cardiovascolare individuale nel paziente<br />

diabetico e di definire alcune delle vie di trasmissione del segnale lesivo e la sequenza di<br />

eventi che portano al d<strong>anno</strong> vascolare nel diabete. La prosecuzione del protocollo di studio,<br />

già stato sottoposto al Comitato Etico Regionale ed approvato Comm. Reg. Cod: AOGIBAT-<br />

II-2004-003, ha lo scopo di valutare l’efficacia del trattamento con il deidroepiandrosterone<br />

(DHEA) nel modificare i parametri ematici di stress ossidativo, i dati funzionali<br />

dell’endotelio, lo stato infiammatorio ed il grado di insulino-resistenza. L’effetto antiossidante<br />

del DHEA coinvolge meccanismi complessi non legati alla semplice attività “scavenger”: sia i<br />

dati ottenuti in vitro ed in modelli sperimentali animali, sia la segnalazione che nell’uomo che<br />

la somministrazione orale di DHEA migliora significativamente la sensibilità all’insulina e la<br />

funzione endoteliale (Kawano et al., <strong>2003</strong>; Villareal & Holloszy, 2004; Dhatariya et al.,<br />

2005), rappresentano il presupposto per la sua utilizzazione. La documentazione dell’efficacia<br />

del DHEA, steroide endogeno privo, alle dosi impiegate, di effetti collaterali rappresenterà il<br />

presupposto per la sua utilizzazione in trial clinici che prevedano un intervento farmacologico,<br />

in associazione ai presidi già conosciuti (alimentazione, attività fisica, ecc.), nella prevenzione<br />

del d<strong>anno</strong> ossidativo da iperglicemia cronica.<br />

70


Filippo Bogetto Filone tematico A5<br />

Sintomatologia depressiva e tipizzazione clinica della schizofrenia in fase<br />

acuta: implicazioni per la prevenzione<br />

Università Degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Neuroscienze – Sezione di Psichiatria<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La schizofrenia è un disturbo cronico clinicamente caratterizzato da sintomi positivi, negativi<br />

e cognitivi. Inoltre, nel suo decorso spesso insorgono quadri depressivi: sintomi depressivi<br />

quali prodromi di un episodio psicotico, sintomi depressivi durante l’episodio psicotico o dopo<br />

la sua remissione e, infine, sintomi depressivi quali effetti collaterali di un trattamento cronico<br />

con farmaci antipsicotici. La valutazione della depressione in corso di schizofrenia ha<br />

rilevanza clinica per il suo peso sulla prognosi, che sembra dipendere dallo stadio della<br />

malattia. La presenza della sintomatologia depressiva durante la fase acuta sarebbe associata<br />

ad una prognosi favorevole e alla remissione della sintomatologia acuta; viceversa, la<br />

comparsa durante il decorso cronico della schizofrenia sarebbe associata ad una maggiore<br />

gravità del quadro clinico complessivo e ad una compromissione funzionale più accentuata.<br />

Tali osservazioni h<strong>anno</strong> avuto importanti ricadute pratiche: h<strong>anno</strong> indotto la ricerca di<br />

strumenti più mirati di rilevazione e di quantificazione della sintomatologia depressiva in<br />

corso di schizofrenia indipendentemente dalle fasi del disturbo e lo studio dell’impatto di<br />

questi nuovi farmaci sui sintomi depressivi.<br />

OBIETTIVO<br />

L’ipotesi di lavoro che ci siamo proposti è la caratterizzazione clinico-nosografica e<br />

neurocognitiva della schizofrenia in fase acuta, la risposta al trattamento farmacologico, che<br />

verrà impostato in base a quanto suggerito in letteratura, e l’individuazione di elementi<br />

predittori dell’outcome. In particolare abbiamo valutato la presenza di sintomi depressivi e<br />

psicotici (deliri e allucinazioni) come fattori predittivi sugli aspetti neurocognitivi e<br />

funzionali.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Sono stati reclutati 70 soggetti schizofrenici, 34 in fase acuta e 36 in fase stabile in accordo<br />

con i criteri del DSM-IV-TR, presso SCDU Psichiatria, ASO S.Giovanni Battista di Torino,<br />

SCDO Psichiatria, ASO S. Giovanni Battista di Torino e Casa di Cura “Villa Cristina”.<br />

Gli strumenti di valutazione comprendono: intervista semistrutturata per la raccolta dei dati<br />

demografici, anamnestici e clinici generali; intervista strutturata per la diagnosi di schizofrenia<br />

secondo il DSM-IV (SCID); scale di valutazione e batterie neuropsicologiche specifiche per<br />

un’indagine più ampia possibile su tutte le dimensioni sintomatologiche (distorsione della<br />

realtà, impoverimento ideomotorio, disorganizzazione, affettività), sulle funzioni cognitive<br />

(memoria, attenzione, capacità di astrazione, funzioni visuo-percettive, visuo-costruttive),<br />

sulla depressione (Calgary Depression Scale for Schizophrenia) e sul funzionamento globale<br />

(sociale, occupazionale e qualità di vita). La terapia (neurolettici o antipsicotici atipici ed<br />

eventuale associazione con un inibitore selettivo del reuptake della serotonina) è stata scelta<br />

sulla base delle caratteristiche cliniche/neurocognitive dei soggetti.<br />

71


RISULTATI<br />

Nei pazienti stabili, nel modello di regressione logistica lineare con la CDSS come variabile<br />

dipendente, 4 variabili sono risultate significativamente correlate alla sintomatologia<br />

depressiva: le misure di outcome funzionale percepito dal soggetto (QLS, DISS), una misura<br />

di outcome funzionale valutato dall'operatore (SOFAS) e il genere, con una maggiore severità<br />

di sintomi depressivi nel genere maschile. Abbiamo valutato le correlazioni tra sintomi<br />

psicotici (deliri e allucinazioni) e funzioni cognitive (astrazione e flessibilità cognitiva,<br />

memoria verbale e visuo-spaziale, vigilanza e attenzione, e abilità visuo-spaziali). La<br />

distorsione della realtà è una dimensione psicopatologica grave presente nelle fasi acute.<br />

Applicando il test statistico di regressione lineare per la ricerca di variabili che potessero avere<br />

un valore predittivo nei confronti dei deliri e delle allucinazioni, abbiamo individuato nei<br />

pazienti schizofrenici stabili due variabili come principali predittori della sintomatologia<br />

delirante, la capacità di astrazione/flessibilità cognitiva e l’attenzione, e una variabile per la<br />

sintomatologia allucinatoria, la capacità di astrazione/flessibilità cognitiva. Nei pazienti acuti<br />

le allucinazioni sono correlate alla memoria verbale (numero di intrusioni).<br />

La sintomatologia depressiva è risultata significativamente più grave nei pazienti in fase acuta.<br />

La gravità della depressione è correlata alla consapevolezza di malattia e alla consapevolezza<br />

della necessità di un trattamento in fase acuta, mentre in fase stabile la sintomatologia<br />

depressiva risulta correlata alla consapevolezza delle conseguenze sociali. I dati preliminari,<br />

attualmente disponibili sul trattamento, suggeriscono che i pazienti trattati con gli antipsicotici<br />

atipici presentano un miglioramento dei sintomi depressivi e ansiosi più marcato rispetto ai<br />

pazienti trattati con i neurolettici. I risultati di questa ricerca suggeriscono l’importanza<br />

dell’identificazione della depressione, in quanto fattore rilevante sul funzionamento sociale<br />

dei pazienti e sulla loro consapevolezza di malattia, da cui l’opportunità di un adeguato e<br />

tempestivo intervento terapeutico.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

1. Rocca P., Bellino S., Marchiaro L., Patria L., Rasetti R., Bogetto F. La depressione nel<br />

corso della schizofrenia: indagine su un campione di soggetti schizofrenici con l’utilizzo<br />

di scale di valutazione specifiche. Giornale Italiano di Psicopatologia Vol. 9 (2):142-148,<br />

<strong>2003</strong>.<br />

2. Bellino S., Rocca P., Patria L., Marchiaro L., Rasetti R., Di Lorenzo R., Paradiso E.,<br />

Bogetto F. Relationships of age at onset with clinical features and cognitive functions of a<br />

sample of schizophrenic patients. Journal of Clinical Psychiatry 65: 908-914, 2004.<br />

3. Bogetto F., Rocca P. Attuali orientamenti in tema di diagnosi e trattamento della<br />

schizofrenia. Minerva Psichiatrica, Edizioni Minerva Medica 45:109-113, 2004.<br />

4. Marchiaro L., Lenoci F., Longo P., Montemagni C., Rigazzi C., Rocca P., Bogetto F.<br />

Naturalistic, retrospective comparison between atypical antipsychotics and depot<br />

neuroleptics in schizophrenic patients. The International Journal of<br />

Neuropsychopharmacology 7, Suppl. 1: S235, 2004.<br />

5. Marchiaro L., Bellino S., Marino F., Rasetti R., Rivoira E., Rocca P., Bogetto F.<br />

Caratteristiche della depressione in soggetti schizofrenici paranoidi e non paranoidi.<br />

Giornale Italiano di Psicopatologia, Vol. 10 Suppl.1: 251, 2004.<br />

6. Bogetto F., Rocca P. Depression and quality of life in the early corse of schizophrenia.<br />

World Psychiatry 3, Suppl.1:163, 2004. 7. Rocca P., Bellino S., Marchiaro L., Patria L.,<br />

Rasetti R., Bogetto F. Negative and depressive symptoms in schizophrenia: different<br />

effects on clinical features. Comprehensive Psychiatry (in press).<br />

72


Gianni Bona Filone tematico C1<br />

Ruolo dell'analisi genetica e biochimica di ghrelina nella valutazione di<br />

obesi semplici e con sindrome di Prader-Willi.<br />

Università del <strong>Piemonte</strong> Orientale “Amedeo Avogadro”<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La sindrome di Prader-Willi (PWS) è una della cause genetiche più comuni di obesità. Alcuni<br />

studi h<strong>anno</strong> dimostrato che i soggetti con PWS presentano a digiuno livelli di ghrelina più<br />

elevati rispetto a quelli di soggetti con obesità semplice. In questi pazienti l’aumento delle<br />

concentrazioni di ghrelina totale possono provocare la stimolazione dell’appetito attraverso il<br />

circuito ipotalamico NPY/AGRP, ma i meccanismi coinvolti restano sconosciuti.<br />

OBIETTIVO<br />

Il presente progetto ha lo scopo di valutare se il quadro fenotipico dei soggetti affetti da PWS<br />

possa essere influenzato da modificazioni nella secrezione della ghrelina totale ed acilata o da<br />

alterazioni genetiche a livello delle regioni codificanti e regolative del gene e di stabilire se<br />

queste alterazioni siano tipiche della PSW o se siano presenti anche in soggetti affetti da<br />

obesità semplice.<br />

METODI E RISULTATI<br />

In una prima fase della ricerca sono stati reclutati presso l’Istituto Auxologico Italiano di<br />

Piancavallo, presso l’Ospedale Pediatrico del “Bambin Gesù” di Roma e presso l’Ospedale<br />

Gaslini di Genova 30 soggetti affetti da PWS di età compresa fra i 2 e i 32 anni (13 bambini e<br />

17 adulti; 18 maschi e 12 femmine) e 90 soggetti di pari età e sesso affetti da sovrappeso o<br />

obesità semplice. Nel primo <strong>anno</strong> di attività sono stati raccolti per ciascun soggetto i dati<br />

anamnestici (età, sesso, andamento dell’accrescimento staturo-ponderale), antropometrici<br />

(statura, peso e stadi puberali) e sono stati eseguiti prelievi ematici a digiuno e dopo pasto<br />

standard di circa 290 kcal (200 ml di latte, 6 g di saccarosio e una brioche standard) per i<br />

dosaggi di ghrelina totale ed acilata e per l’estrazione del DNA genomico.<br />

I soggetti sono stati definiti obesi in base alle carte italiane di riferimento per il body mass<br />

index. Di tutti i soggetti con PWS sono stati raccolti dati sul cariotipo, sulla presenza di altri<br />

disordini endocrinologici, sul tipo e l’efficacia della dietoterapia in corso. I campioni di<br />

plasma per il dosaggio della ghrelina totale ed acilata, sono stati conservati a -80°C fino al<br />

momento della valutazione. La concentrazione di ghrelina totale è stata misurata tramite<br />

metodo RIA, dopo estrazione dei peptidi su colonnine C18. I livelli di ghrelina nella forma<br />

acilata sono stati determinati mediante dosaggio competitivo radioimmunometrico che utilizza<br />

un anticorpo specifico per la forma biologicamente attiva del peptide.<br />

La secrezione basale della ghrelina totale era 1,8 volte più elevata nei soggetti PWS rispetto ai<br />

soggetti obesi/sovrappeso di controllo. Normalmente i livelli plasmatici di ghrelina<br />

diminuiscono dopo pasto; nei 30 PWS studiati questa diminuzione è risultata statisticamente<br />

significativa solo nei bambini e non nei soggetti adulti.<br />

73


I livelli di ghrelina totale a digiuno erano significativamente più elevati nei 13 bambini PWS<br />

rispetto ai 17 adulti PWS, mentre non c’erano differenze dopo pasto standard. Nessuna<br />

differenza legata all’età era invece presente per quanto riguarda la secrezione di ghrelina<br />

acilata.<br />

Nel gruppo dei bambini PWS, 2 casi sono risultati normopeso e 11 obesi, mentre negli adulti<br />

PWS, solo un caso era normopeso e tutti gli altri presentavano un’obesità grave. Vista la bassa<br />

numerosità dei soggetti normopeso, non è stato possibile effettuare confronti tra i livelli di<br />

ghrelina dei soggetti normopeso ed obesi.<br />

L’analisi molecolare del gene della prepro-ghrelina ha permesso di riscontrare nei soggetti<br />

affetti da PWS la presenza di due polimorfismi già noti: la sostituzione C214A, all’interno<br />

dell’esone 2, in condizione di eterozigosi in 4 soggetti (Leu72Met) e in condizione di<br />

omozigosi in un soggetto (Met72Met) e la sostituzione A269T, all’interno dell’esone 3, in<br />

condizione di eterozigosi (Gln90Leu) in 2 soggetti. La sostituzione Arg51Gln a livello del 28°<br />

aminoacido della ghrelina matura non è stata riscontrata in alcun soggetto. Le frequenze<br />

alleliche di questi polimorfismi all’interno del gruppo dei PWS sono risultate sovrapponibili a<br />

quelle del gruppo dei soggetti affetti da soprappeso/obesità semplice con il mantenimento<br />

dell’equilibrio di Hardy-Weinberg.<br />

Nel secondo <strong>anno</strong> di attività è stata condotta l’analisi molecolare del promotore e le due UTR<br />

(Untranslated Region) della pre-pro-ghrelina. All’interno dell’ UTR-3’, dell’ UTR-5’ e della<br />

parte del promotore che dovrebbe contenere i siti di riconoscimento per i fattori di inizio della<br />

trascrizione e della traduzione, si sono riscontrati 2 polimorfismi: lo SNP 26802, che scambia<br />

una A con una C, posizionato a -501 bp da AUG (dove A=+1) e lo SNP 27647, che scambia<br />

una G con una A, posizionato a -604 bp dal sito di inizio della traduzione.<br />

Il polimorfismo SNP 26802 (A→C) è risultato in equilibrio di Hardy-Weinberg nei due gruppi<br />

analizzati, essendo le frequenze alleliche di C pari a 36% negli obesi e di 37% nei PWS. Il<br />

polimorfismo SNP 27647 (G→A), invece, è fortemente associato con il gruppo dei PWS, che<br />

mostra una frequenza allelica di A pari al 67% rispetto al gruppo di controllo dei soggetti<br />

obesi nei quali la frequenza dell’allele A è pari al 55%.<br />

Non si è evidenziata alcuna associazione significativa tra concentrazione plasmatica di<br />

ghrelina basale e a digiuno e presenza di polimorfismi sia delle regioni codificanti che<br />

regolative del gene della preparo-ghrelina.<br />

Sono in corso ulteriori studi volti a valutare le frequenza alleliche dei vari polimorfismi in<br />

soggetti normopeso e l’analisi molecolare del recettore della ghrelina, che potrebbe essere<br />

implicato nella regolazione del metabolismo energetico e del senso di sazietà.<br />

74


Renato Bonardi Filone tematico A3<br />

Le epatiti tossiche tra i lavoratori dell’industria plastica: indagine<br />

epidemiologica nell’area torinese<br />

ASO – San Giovanni Battista<br />

Dipartimento Medico – Chirurgico -Malattie dell’Apparato Dogerente e della Nutrizione<br />

OBIETTIVO<br />

Scopo del lavoro è valutare se l’esposizione a sostanze plastiche e solventi è correlabile con<br />

segni di epatopatia presenti in soggetti esposti o se tale d<strong>anno</strong> va attribuito ad altre cause<br />

(metaboliche, infettive, iatrogene ecc.) A tale scopo sono stati sottoposti a screening di<br />

funzionalità epatica tutti i dipendenti di uno stabilimento che opera nella lavorazione di<br />

materiali plastici, in particolare nella produzione di volanti per autovetture. I materiali<br />

impiegati in tale settori sono principalmente isocianati, polioli e solventi. Soprattutto questi<br />

ultimi h<strong>anno</strong> una azione tossica a livello epatico principalmente attraverso l’esposizione<br />

inalatoria. L’impiego di aspiratori e mezzi di protezione individuali, nonché i monitoraggi<br />

ambientali h<strong>anno</strong> ridotto in modo drastico i rischi lavorativi.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Sono stati valutati 205 dipendenti, di cui 35 impiegati (non esposti e quindi considerati gruppo<br />

controllo), la cui attività si svolge in locali separati da quelli di produzione e 170 operai<br />

esposti alle sostanze chimiche per 8 ore al giorno in modo continuativo per 18 mesi.<br />

Tutto il personale è stato sottoposto a:<br />

• anamnesi familiare;<br />

• farmacologia;<br />

• valutazione del consumo di alcool;<br />

• esame clinico comprendente determinazione del BMI e della circonferenza addominale;<br />

• Esami di gt, glicemia, creatininemia.<br />

I soggetti che presentavano alterazione anche di un solo parametro di funzionalità epatica<br />

(AST, ALT, gt) o epatomegalia alla visita medica venivano sottoposti ai seguenti ulteriori<br />

accertamenti:<br />

• Ecografia addome superiore;<br />

• Anti HCV, HbsAg;<br />

• Insulinemia;<br />

• Colesterolemia;<br />

• Trigliceridemia;<br />

• Ferritinemia;<br />

• EMA (antiendomisio);<br />

• AMA.<br />

75


Al primo controllo 52 soggetti di cui 45 esposti alle sostanze chimiche e 7 non esposti<br />

presentavano alterazioni degli indici di funzionalità epatica. Il gruppo dei non esposti non<br />

evidenzia, al secondo livello di accertamenti, marcatori virali o di autoimmunità ma, presenta<br />

alterazione dell’indice di HOMA (calcolato con la seguente formula: glicemia x insulinemia<br />

diviso 405). Viene accertata la diagnosi di steatosi epatica in tutti i soggetti, in 2 dei quali<br />

viene attribuita a consumo di alcool superiore ai 60g di alcool/die e a dislipidemia<br />

rispettivamente. I soggetti venivano invitati a seguire una dieta ipocalorica di 1400 calorie, ad<br />

abolire le bevande alcoliche e a seguire attività fisica per almeno 4 ore alla settimana.<br />

Dopo 6 e 12 mesi venivano ricontrollati i parametri bioumorali, BMI e circonferenza<br />

addominale. I pazienti che raggiungevano un calo ponderale di almeno il 5% del loro peso<br />

ottenevano la riduzione o la normalizzazione degli indici di funzionalità epatica. Il gruppo dei<br />

soggetti esposti è costituita da 130 uomini e 55 donne. I soggetti esposti (in totale 45) che<br />

presentano alterazioni degli indici di funzionalità epatica o epatomegalia sono stati<br />

ulteriormente indagati con i seguenti accertamenti:<br />

• Ecografia addome superiore;<br />

• AntiHCV, HBsAg,<br />

• Insulinemia,<br />

• colesterolemia,<br />

• trigliceridemia, ferritinemia,<br />

• EMA(antiendomisio),<br />

• AMA.<br />

Dagli accertamenti eseguiti sono emersi i seguenti risultati:<br />

• 3 casi di infezione da HCV;<br />

• 1 casi di infezione da HBV;<br />

• 1 caso di malattia celiaca;<br />

• 12 casi di consumo di alcol costante da anni, da 30 ai 60 g;<br />

• 4 casi di consumo alcolico di oltre i 60 g die;<br />

• 24 presentavano positività del test di Homa associato a BMI superiore a 25.<br />

I soggetti che presentavano alterazioni degli enzimi epatici o epatomegalia confermata<br />

ecograficamente e che operavano a diretto contatto con le sostanze potenzialmente<br />

epatotossiche venivano rimossi per 6 mesi dal loro posto di lavoro e ricontrollati. Uscivano<br />

dallo studio i pazienti affetti da infezione virale e da malattia celiaca. Tutti gli altri pazienti<br />

con sindrome metabolica venivano invitati a seguire una dieta ipocalorica di 1400-1600<br />

calorie in base al sesso e all’impegno lavorativo e a sospendere o ridurre il consumo di alcol.<br />

Dopo 6 mesi di dieta venivano ricontrollati gli indici di funzionalità epatica e sottoposti ad<br />

esame clinico per valutare BMI e circonferenza addominale.<br />

I pazienti rimossi dall’esposizione diretta non h<strong>anno</strong> presentato miglioramento dei parametri<br />

di funzionalità epatica. Sono ritornati pertanto al lavoro precedente lavoro e invitati a seguire<br />

una dieta ipocalorica da 1400-1600 calorie. Si è osservato che tutti i soggetti, anche quelli<br />

esposti in modo diretto ai potenziali tossici, che ottenevano con la dieta un calo di almeno 6-8<br />

Kg di peso presentavano la normalizzazione o la riduzione delle transaminasi.<br />

CONCLUSIONI<br />

Dal presente studio non sono emersi casi di epatite da tossici ambientali correlabili all’attività<br />

lavorativa. Viceversa sono state individuate cause differenti nel determinismo della steatosi e<br />

sufficienti a determinare il quadro biochimico rilevato. Inoltre nei pazienti individuati la sola<br />

76


sospensione protratta dell’attività lavorativa non ha dato modificazioni del profilo biochimico.<br />

In accordo con i più recenti dati della letteratura si conferma che la prima causa di citolisi<br />

epatica è, nei paesi industrializzati, la steatosi epatica quale manifestazione di sindrome<br />

metabolica.<br />

Si osserva da questo studio che oltre il 50% dei soggetti presenta obesità di vario grado e il<br />

25% ha segni bioumorali di epatopatia secondaria a sindrome metabolica. Inoltre il solo calo<br />

di peso è gia sufficiente a ridurre o normalizzare la citolisi o la colestasi.<br />

77


Luca Bonfanti Filone tematico A5<br />

Il coniglio come modello di plasticità strutturale nel sistema nervoso dei<br />

mammiferi adulti<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Morfofisiologia Veterinaria<br />

OBIETTIVO<br />

Nell’ambito del presente progetto sono stati chiariti gli aspetti morfologici e molecolari<br />

relativi alla genesi ed alla migrazione di cellule nella zona sottoventricolare (SVZ) e nel<br />

telencefalo del coniglio adulto. L’entità e le modalità della genesi di nuove cellule nell’SVZ<br />

del coniglio sono molto simili a quelle precedentemente descritte nei roditori da laboratorio,<br />

in quanto in tutte le specie è osservabile una cospicua migrazione degli elementi neogenerati<br />

verso il bulbo olfattivo. In aggiunta, nel coniglio abbiamo osservato catene di cellule situate<br />

all’esterno dell’SVZ, a diretto contatto con il parenchima cerebrale maturo (catene<br />

parenchimali).<br />

RISULTATI<br />

L’analisi immunocitochimica ha dimostrato che queste cellule sono in prevalenza precursori<br />

dei neuroni. Pertanto, un primo risultato originale ed innovativo di questa ricerca consiste<br />

nella dimostrazione che catene di neuroblasti originanti nell’SVZ adulta non sono sempre<br />

confinate al suo interno, bensì possono attraversare il parenchima cerebrale in zone<br />

sottocorticali. Il fatto che il coniglio sia l’unica specie di mammifero fino ad ora nota in cui è<br />

stato osservato questo fenomeno, giustifica l’interesse di un suo impiego come modello per lo<br />

studio della plasticità strutturale del sistema nervoso centrale (SNC).<br />

Lo studio è stato approfondito mediante analisi ultrastrutturale delle catene parenchimali e<br />

delle cellule che le compongono, confermando la loro natura di neuroblasti. La ricostruzione<br />

seriale di alcuni tratti dimostra inoltre che queste cellule sono unite tra loro a formare catene<br />

analoghe a quelle osservabili all’interno della SVZ, ma più grandi ed organizzate in modo<br />

meno compatto. Anche i rapporti con il tessuto circostante sono diversi, in quanto esse non<br />

appaiono circondate da cellule gliali di tipo astrocitario, risultando pertanto glia-indipendenti.<br />

Cio’ suggerisce che l’eventuale migrazione di precursori neuronali all’esterno dell’SVZ e a<br />

diretto contatto con il parenchima cerebrale sarebbe possibile. Questo rappresenta un’altra<br />

importante acquisizione in quanto si è sempre ritenuto che la migrazione in catene tipica del<br />

cervello adulto potesse avvenire soltanto all’interno di un’avvolgimento gliale. Il fatto che<br />

possa esistere in vivo una migrazione in catene ‘glia-indipendenti’ rende pensabile, per il<br />

futuro, una mobilizzazione endogena di precursori neuronali all’interno dell’encefalo dei<br />

mammiferi.<br />

Come primo passo in questa direzione, è stata testata in vivo l’eventuale presenza di<br />

migrazione nelle catene parenchimali, utilizzando doppie marcature delle cellule neogenerate<br />

(con BrdU somministrata per tempi di sopravvivenza variabili e marcatori neuronali). Questi<br />

esperimenti h<strong>anno</strong> dimostrato che all’interno delle catene parenchimali non esiste<br />

proliferazione locale, ma che alcune cellule neogenerate transitano al loro interno per<br />

raggiungere zone corticali e subcorticali. Pertanto la migrazione all’interno del parenchima<br />

cerebrale del coniglio esiste, anche se il tipo e l’entità sembrano assumere caratteristiche<br />

diverse da quella presente all’interno dell’SVZ.<br />

78


Nel corso di questo studio, anche se non previsto nell’ambito del progetto, è stata riscontrata<br />

una terza area germinativa all’interno del cervelletto del coniglio adulto. Questa parte del<br />

SNC, nota per essere caratterizzata dalla genesi postnatale di una categoria di neuroni<br />

(granuli), ma completamente sprovvista di fenomeni neurogenetici i tempi successivi,<br />

conferma l’esistenza di un’insolita plasticità nel sistema nervoso di questa specie animale. E’<br />

quindi possibile affermare che il coniglio può costituire un modello accattivante per lo studio<br />

dei fenomeni neurogenetici adulti dei mammiferi. Nell’ultima fase di questo progetto è stata<br />

analizzata l’eventuale presenza di cellule staminali neurali nell’SVZ del coniglio adulto, al<br />

fine di compararle con quelle già descritte nei roditori da laboratorio. I risultati ottenuti<br />

studiando in vivo la proliferazione cellulare nell’SVZ e la migrazione dei precursori verso il<br />

bulbo olfattivo, indicano che il processo di genesi continua in questa regione dell’encefalo del<br />

coniglio è perfettamente comparabile a quelle descritte nei roditori, suggerendo che anche<br />

l’SVZ del coniglio adulto contenga elementi di tipo staminale. Tuttavia la ricerca di cellule<br />

staminali in questa specie ha presentato alcune difficoltà relative al loro isolamento. In<br />

particolare, a parità di procedure sperimentali e quantità di tessuto prelevato, nel coniglio è<br />

stato ottenuto un numero inferiore di neurosfere, che preclude una sufficiente espansione in<br />

vitro. Studi futuri sar<strong>anno</strong> rivolti a chiarire le procedure metodologiche che v<strong>anno</strong> adottate per<br />

ottenere gli stessi risultati descritti per i roditori.<br />

CONCLUSIONI<br />

I risultati ottenuti nell’ambito del presente progetto indicano la presenza di una via di<br />

migrazione in forma di catene di precursori neuronali situate all'esterno della SVZ, in grado di<br />

collegare quest’area germinativa a regioni corticali. Inoltre, essi dimostrano la possibile<br />

esistenza di un nuovo tipo di migrazione sulla lunga distanza, diversa da quella oggi<br />

conosciuta all’interno delle zone neurogenetiche adulte, in quanto non legata alla presenza di<br />

strutture gliali, bensì in diretto contatto con il parenchima nervoso maturo.<br />

Entrambi questi punti sono di estrema importanza per la comprensione dei meccanismi che<br />

permettono lo spostamento di precursori neo-generati all'interno dell'encefalo adulto, e di una<br />

loro eventuale manipolazione in vista di una futura riparazione endogena delle patologie e<br />

lesioni nervose.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

F. Luzzati, P. Peretto, P. Aimar, G. Ponti, A. Fasolo, L. Bonfanti (<strong>2003</strong>) Glia-independent<br />

chains of neuroblasts through the subcortical parenchyma of the adult rabbit brain. Proc. Natl.<br />

Acad. Sci. USA 100:13036-13041.<br />

L. Bonfanti, F. Luzzati, G. Ponti, P. Peretto (2005) Adult neurogenesis in mammals: a<br />

comparative apptroach. Curr. Trends Neurol. (in press) Bonfanti L. & Ponti G. (2005)<br />

Tangential chains of neuroblasts in the subpial layer of the adult rabbit cerebellum. Vet. Res.<br />

Comm. (in press)<br />

L. Bonfanti (2004) Glia-independent chains of neuroblasts in the adult brain parenchyma.<br />

FENS Forum, Lisbona (conferenza su invito)<br />

G. Ponti, P. Peretto, L. Bonfanti (2004) A subpial germinal layer persists in the adult rabbit<br />

cerebellum after transformation of the postnatal EGL. Meeting of the International Society for<br />

Developmental Neuroscience, Edimburgh, UK (abstract)<br />

G. Ponti, P. Peretto, L. Bonfanti (2004) A neurogenetic layer sharing features with the<br />

forebrain SVZ persists in the adult rabbit cerebellum. Abstracts Society for Neuroscience San<br />

Diego, USA (abstract)<br />

79


Alberto Borraccino Filone tematico D1<br />

Valutazione dei determinanti del ritardo alla diagnosi nei pazienti con<br />

deficit patologico di ormone della crescita<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Sanità Pubblica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Si stima che l’incidenza di deficit staturale interessa, in Europa, un numero variabile di<br />

soggetti compreso tra 1 ogni 4000 e 1 ogni 10000 giovani in età inferiore ai 15 anni di età. Il<br />

deficit di GH è una patologia rara, per la quale sono ancora scarse stime attendibili intorno<br />

alla sua distribuzione (di tassi di Prevalenza) e impatto annuale (stime di Incidenza). Di fronte<br />

alla difficoltà di stimare prevalenza ed incidenza del fenomeno si discute però apertamente<br />

dell’efficacia della terapia sostitutiva, che interessa interamente la popolazione in età<br />

pediatrica. È in età pediatrica infatti che, proprio in relazione alle fasi di accrescimento<br />

fisiologico, la somministrazione di GH esogeno può consentire un corretto completamento<br />

dello sviluppo corporeo. Il deficit staturale, sospettato sulla base di una ridotta velocità di<br />

crescita in relazione all’età del soggetto, può essere trattato con GH esogeno. La massima<br />

efficacia terapeutica si raggiunge nei soggetti che giungono all’osservazione clinica in tempo<br />

utile per consentire loro di sfruttare l’intero accrescimento osseo. Il concetto di “tempo utile”<br />

non è rigorosamente definito in ambito clinico, anche a fronte delle più recenti consensus<br />

conference degli ultimi anni. Attualmente tale valutazione viene legata, in sede diagnostica<br />

allo sviluppo sessuale (SS), attraverso due parametri fondamentali la presenza di peluria<br />

pubica e lo sviluppo, volumetrico, della ghiandola mammaria, per il sesso femminile, e lo<br />

sviluppo dei genitali per il sesso maschile. La maggiore efficacia dal trattamento sostitutivo<br />

con GH si ottiene quando il soggetto si trova in uno stadio 1 o 2 secondo Tanner. Soggetti in<br />

stadio puberale più avanzato vengono trattati comunque ammettendo una ridotta efficacia del<br />

trattamento. La valutazione del deficit staturale viene affidata quasi interamente al pediatra, il<br />

quale, in caso di anomalie di sviluppo, richiede un approfondimento diagnostico presso un<br />

centro auxologico di riferimento dove, dopo accertamento di deficit di GH, viene impostato il<br />

protocollo terapeutico. Alcuni bambini giungono all’osservazione troppo tardi per poter<br />

beneficiare delle potenzialità della terapia.<br />

OBIETTIVO<br />

Obiettivo del presente lavoro è quello di descrivere la dimensione del fenomeno nella<br />

popolazione adolescente, stimare quale è la proporzione di soggetti, oggi in terapia, che però<br />

sono giunti in ritardo alla diagnosi di deficit di GH e descrivere tipologia e frequenza di<br />

ritardo diagnostico nella <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong>.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Dal 1 Gennaio 2000, è attivo un registro per la sorveglianza del deficit staturale della<br />

popolazione piemontese. Il registro GH (RGH), ha fornito l’elenco dei soggetti e dei centri<br />

regionali presso quali recuperare le informazioni utili. Dalla base dati regionale sono stati<br />

estratti tutti i casi diagnosticati e trattati con GH esogeno (periodo 2000-03). Sulla base della<br />

valutazione dello SS sono state identificate due categorie di soggetti secondo Tanner:<br />

1. in tp con una diagnosi occorsa in uno stadio di sviluppo


2. in tp con diagnosi occorsa in uno stadio di sviluppo >4 (ritardi di tipo 1).<br />

Per ogni centro, sono stai identificati i soggetti che, giunti all’osservazione con stadio<br />

puberale completo non sono stati inseriti in trattamento (ritardo di tipo2). Erano eleggibili i<br />

soggetti con deficit di GH in assenza di patologie concomitanti. Per tutti i soggetti eleggibili è<br />

stata effettuata una ricerca dei dati anagrafici. Ai genitori dei casi è stato somministrato un<br />

questionario telefonico. Obiettivo del questionario era identificare momento e modalità con le<br />

quali la famiglia aveva rilevato la patologia in oggetto di valutazione. Il questionario era<br />

organizzato in tre sezioni: una parte dedicata alle informazioni sociali e auxologiche della<br />

famiglia; una parte clinica dedicata alla modalità con cui i genitori sono venuti in contatto con<br />

il centro specialistico; una parte valutativa dedicata alla frequenza e tipologia delle visite<br />

pediatriche. Il questionario è stato somministrato telefonicamente alle famiglie ed imputato su<br />

software specifico.<br />

RISULTATI<br />

Sono stati considerati 859 pazienti (593 maschi). Tra questi erano in stadio puberale 1-3 un<br />

totale di 819 pazienti (il 73% circa in stadio puberale 1) e 35 individui (il 4% circa della<br />

popolazione trattata) in stadio puberale 4 o 5. L’età anagrafica media per i pazienti in stadio<br />

puberale 1-3 era di circa 11.5 anni contro un età media di 13.01 anni per i soggetti in stadio 4<br />

o 5. Dalla ricerca sistematica sono emersi un totale di 30 soggetti con probabile deficit di GH,<br />

in assenza di altre patologie significative, non trattati a causa dello sviluppo puberale<br />

terminato. Complessivamente sono state controllate per centro di appartenenza:<br />

Centro 1: esaminate 1500 schede, selezionati n° 2 soggetti;<br />

Centro 2: esaminate 1000 schede, selezionati n° 18 soggetti;<br />

Centro 3: esaminate 500 schede non è stato selezionato nessuno soggetto;<br />

Centro 5: esaminate 300 schede, selezionati n° 4 soggetti;<br />

Centro 6: esaminate 500 schede, non è stato selezionato nessun soggetto;<br />

Centro 8: esaminate 350 schede, selezionati n° 4 soggetti;<br />

Centro 9: esaminate 400 schede, non è stato selezionato nessun soggetto<br />

Centro 10: esaminate 300 schede, non è stato selezionato nessun soggetto;<br />

Centro 11: esaminate 500 schede, non è stato selezionato nessun soggetto;<br />

Centro 13: esaminate 200 schede, selezionati n° 2 soggetti.<br />

CONCLUSIONI<br />

I centri regionali che gestiscono unicamente la patologia dell’adulto non sono stati considerati<br />

nella ricerca. Discussione Le fasi di ricerca attiva dei soggetti non in terapia h<strong>anno</strong><br />

comportato un investimento in termini di tempo superiore alle attese. Inoltre, a differenza di<br />

quanto dichiarato dai responsabili nelle fasi preliminari allo studio, non tutti i centri<br />

dispongono di archivi (cartacei) dei pazienti con probabile deficit non inseriti in terapia. Da<br />

una analisi preliminare delle caratteristiche dei 30 soggetti recuperati ne emerge una<br />

sovrapponibilità quasi completa con i soggetti in terapia ma con sviluppo puberale 4 o 5. La<br />

somministrazione dei questionari, in relazione alle difficoltà ed ai tempi incontrati nella<br />

ricerca dei soggetti è attualmente in fase di completamento. La rispondenza è quasi del 100%,<br />

non sono rilevati rifiuti. Il numero dei soggetti non contattati è imputabile alla irreperibilità<br />

telefonica. Nella totalità dei casi ad accorgersi del problema sono sempre i genitori, solo dopo<br />

viene interpellatoli pediatra. Il fattore scatenante è sempre il confronto con i coetanei<br />

(compagni di scuola). Non sembra essere mai il pediatra o l’educatore a spingere il genitore<br />

ad un controllo. La maggior parte dei bambini con ritardo alla diagnosi è stata in cura con un<br />

pediatra che non misurava il bambino.<br />

81


Amalia Bosia Filone tematico A2<br />

Le basi molecolari e gli indicatori della insulino-resistenza<br />

Università degli Studi di Torino,<br />

Dipartimento di Genetica, Biologia e Biochimica<br />

FASE I – materiali e metodi<br />

In una prima fase della ricerca è stato valutato e confrontato il trasporto di glucoso, dopo<br />

stimolazione con citochine/LPS, in VSMC (vascular smooth muscle cells) insulino-sensibili e<br />

insulino-resistenti, sia umane, sia di ratto Zucker, al fine di verificare l’esistenza di un<br />

possibile coinvolgimento di NO nel meccanismo dell’insulino-resistenza. I ratti Zucker magri<br />

e obesi sono modelli noti di normale sensibilità all’insulina e di insulino-resistenza<br />

accompagnata da iperinsulinemia. Utilizzando VSMC di ratti Zucker normali, sensibili<br />

all’insulina, ed obesi, insulino-resistenti (fa/fa), si è osservato che nei ratti obesi, così come in<br />

VSMC umane insulino-resistenti, sono assenti sia il trasporto di glucoso che le fosforilazioni<br />

di PKB/Akt e di ecNOS indotte da insulina, il che testimonia condizione di resistenza<br />

all’insulina. In VSMC di ratti insulino-resistenti è presente il trasporto di glucoso indotto dal<br />

donatore di NO, GS-NO, e dall’analogo del cGMP, 8-Br-cGMP, il che indica che sia sGC<br />

(guanilato ciclasi solubile) che PKG (cinasi cGMP-dipendente)sono intatte e funzionanti.<br />

FASE I – risultati<br />

I risultati più rilevanti di questa parte dello studio sono che:<br />

1. la sintesi di NO ed il trasporto di glucoso indotti da citochine/LPS (24 ore di incubazione)<br />

in hVSMC e rVSMC sono significativamente potenziati nelle cellule insulino-resistenti;<br />

2. la pre-incubazione con il mix citochine/LPS, potenti insulino-mimetici, inibisce l'entrata<br />

di glucoso indotta da una successiva stimolazione con insulina.<br />

Questi risultati dimostrano che in cellule muscolari lisce vascolari insulino-resistenti le<br />

citochine/LPS inducono maggior aumento di attività ed espressione di iNOS e di trasporto di<br />

glucoso NO-dipendente. E’ possibile che l’aumentata espressione di IKKß e/o la sua<br />

maggiore attivazione in ratti Zucker fa/fa porti ad un’aumentata attivazione di NF-kB che è<br />

causata dalla fosforilazione e dalla conseguente degradazione proteolitica della proteina<br />

inibitrice IkB. La traslocazione di NF-kB al nucleo aumenta l’espressione del gene iNOS e<br />

quindi la sintesi di NO. Il trattamento di VSMC, ottenute da soggetti obesi o da ratti obesi<br />

insulino resistenti, con aspirina o salicilato, inibitori dell’attività di IKK, è in grado di<br />

correggere e revertire le mancate risposte metaboliche all’insulina (trasporto di glucoso e<br />

fosforilazione di Akt e ecNOS). Questo suggerisce un effetto anti-infiammatorio di aspirina e<br />

salicilato ed un potenziale legame tra infiammazione cronica subacuta, insulino-resistenza e<br />

complicanze aterosclerotiche.<br />

FASE II – materiali e metodi<br />

Nella seconda fase della ricerca, condotta su colture di VSMC di ratti Zucker insulinosensibili<br />

e insulino-resistenti, e’ stato evidenziato un ruolo di NO nel trasporto di glucoso<br />

indotto da statine ed un parallelismo tra stato di insulino-resistenza (in cui iNOS è<br />

iperespressa) ed effetto delle statine (capaci di aumentare la trascrizione di iNOS e creare “in<br />

vitro” una condizione di resistenza all’insulina).<br />

82


FASE II – risultati<br />

I nostri dati dimostrano che:<br />

1. il trattamento delle cellule insulino-sensibili ed insulino-resistenti con statine, farmaci<br />

inibitori di HMG-CoA riduttasi, causa aumento di attività e di trascrizione di iNOS, e<br />

potenzia l’effetto attivatore di citochine/LPS, in modo maggiore nelle cellule insulinoresistenti;<br />

2. il trattamento con statine induce trasporto di glucoso in modo NO-dipendente nei due tipi<br />

cellulari e potenzia l’effetto attivatore di citochine/LPS influenzando la risposta<br />

all’insulina;<br />

3. l’aumentata attività di iNOS e l’aumentato trasporto di glucoso causati da statine in cellule<br />

insulino sensibili e resistenti è revertita dalla presenza di mevalonato, che elimina l’effetto<br />

dell’inibizione di HMG-CoA riduttasi;<br />

4. la risposta all’insulina (trasporto di glucoso) dopo trattamento con mevalonato, è<br />

potenziata nelle cellule sensibili e ripristinata nelle resistenti.<br />

Il meccanismo di induzione della iNOS da parte di statine è ancora poco noto, ma le evidenze<br />

sperimentali f<strong>anno</strong> pensare a un diretto coinvolgimento di proteine G,GTPasi della famiglia<br />

Rho, e fattori di trascrizione come AP-1 e NF-kB (quest’ultimi direttamente responsabili<br />

dell’attivazione di fattori di trascrizione di iNOS). Le statine infatti funzionano bloccando la<br />

isoprenilazione di Rho e la sua conseguente traslocazione alla membrana plasmatica. Poiché è<br />

noto che le proteine Rho regolano negativamente la sintesi di NO, l’interruzione della via Rho<br />

aumenta la sintesi di NO indotta da stimoli infiammatori in vari tipi cellulari: infatti Rho non<br />

isoprenilata non regola negativamente la iNOS.<br />

Infine i nostri risultati mostrano che l’aumento della sintesi di NO indotta da citochine/LPS e<br />

statine è accompagnato, nelle stesse condizioni sperimentali, anche da un aumentato trasporto<br />

di glucoso, NO-mediato, che blocca la risposta all’insulina somministrata successivamente. E’<br />

da notare che si assiste ad un recupero dell’azione dell’insulina allorché, dopo trattamento con<br />

statine, si utilizza il mevalonato, anche nelle cellule insulino-resistenti. Inoltre il trasporto di<br />

glucoso è revertito dall’utilizzo di mevalonato, che corregge l’effetto dell’inibizione della<br />

HMG-CoA riduttasi. L’insulina mantiene attiva la HMG-CoA riduttasi e attiva le<br />

isopreniltransferasi, quindi promuove l’attività inibitrice di Rho. In questo studio è emersa<br />

un’analogia tra lo stato di insulino-resistenza e le modificazioni indotte da statine rispetto<br />

all’aumentata trascrizione di iNOS. Indirettamente questi esperimenti possono evidenziare<br />

l’importanza della prenilazione di proteine G, promossa da insulina, nel meccanismo<br />

dell’insulino-resistenza. E' possibile infatti che in VSMC insulino-sensibili incubate in<br />

presenza di statine e in VSMC insulino-resistenti ci sia una diminuzione dei livelli della<br />

proteina RhoA nella membrana plasmatica: la mancata isoprenilazione di Rho ed il mancato<br />

controllo negativo dell’induzione di iNOS potrebbe essere una delle basi molecolari<br />

dell’insulino-resistenza, reversibile in presenza di mevalonato.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

Aldieri E, Orecchia S, Ghigo D, Bergandi L, Riganti C, Fubini B, Betta PG, Bosia A. Simian<br />

virus 40 infection down-regulates the expression of nitric oxide synthase in human<br />

mesothelial cells. Cancer Res (2004) 64: 4082-4084.<br />

Doronzo G, Russo I, Mattiello L, Anfossi G, Bosia A, Trovati M. Insulin activates vascular<br />

endothelial growth factor in vascular smooth muscle cells: influence of nitric oxide and of<br />

insulin resistance. Eur J Clin Invest (2004) 34: 664-673.<br />

83


Giovanni Botta Filone tematico C1<br />

Impiego della telepatologia nella diagnostica fetoplacentare finalizzata<br />

alla costituzione di un registro epidemiologico<br />

ASO O.I.R.M. Sant’Anna<br />

U.O.A. Anatomia e Istologia Patologica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La perdita spontanea di gravidanza, le malattie del feto e della madre causa di esiti sfavorevoli<br />

della gravidanza e le patologie neonatali, acquisite e congenite, coinvolgono ogni <strong>anno</strong> in<br />

Italia almeno 100.000 soggetti. La loro molteplicità e frequente complessità diagnostica<br />

richiedono un elevato grado di esperienza del personale medico che le affrontano<br />

(anatomopatologi, ostetrici, neonatologi, genetisti medici, radiologi, ecc.). Questo grado di<br />

competenza non è facilmente raggiungibile se non in quei Centri che possono concentrare<br />

ampie casistiche. Tuttavia ogni Punto Nascita in Italia può registrare più o meno<br />

occasionalmente casi di patologia prenatale o neonatale, trovandosi, così, esposto ad una<br />

diagnostica a cui è spesso solo superficialmente preparato. L’errata o incompleta diagnosi in<br />

questo campo della medicina può produrre conseguenze assai rilevanti.<br />

OBIETTIVO<br />

Realizzazione di un’esperienza pilota per la standardizzazione delle procedure diagnostiche e<br />

tecniche utili alla costituzione di una Web Community a cui possano partecipare i Centri di<br />

Diagnostica delle Patologie del Feto, della Placenta e del Neonato, per lo scambio di pareri<br />

diagnostici (teleconsulto) e la condivisione di archivi dati ed immagini (know-how).<br />

MATERIALI E METODI<br />

La realizzazione del progetto è passata attraverso le seguenti fasi:<br />

1. realizzazione del programma che viene utilizzato dalle unità periferiche per la<br />

classificazione dei casi.<br />

2. Realizzazione del portale al quale confluiscono tutti i casi raccolti in periferia e che<br />

vengono utilizzati per la creazione di un biblioteca di casi didattici a disposizione degli<br />

operatori clinici e di quelle associazioni della società civile che vorr<strong>anno</strong> in seguito<br />

aderirvi (associazioni di genitori ?)<br />

Il flusso del progetto va analizzato in due distinte fasi, la prima è la creazione della banca dati<br />

e a questa fase partecipano le unità sanitarie periferiche accreditate dal progetto. La redazione<br />

del portale effettua una prima analisi del caso e decide se farlo rientrare nei casi didattici,<br />

perché di interesse generale, o se semplicemente avviarlo al percorso del tele-consulto<br />

attribuendolo ad un componente del comitato scientifico; pubblicazione del caso (se ritenuto<br />

di interesse generale); risposta personalizzata al proprietario del caso, da parte del comitato<br />

scientifico, sia che il caso sia stato inserito nei casi didattici sia in caso contrario. Nell’ipotesi<br />

in cui il caso sia ritenuto, oltre che di interesse generale, anche raro, viene inserito, oltre che<br />

tra i casi didattici, anche nell’atlante virtuale delle malformazioni.<br />

84


La seconda fase del progetto è la consultazione della banca dati. A questa fase possono<br />

partecipare sostanzialmente tutti coloro che ne abbiano interesse per scopi professionali<br />

(operatori della sanità).<br />

La componente informatica del progetto ha rivestito, come ovvio, un’importanza strategica e<br />

contemporaneamente l’impegno più gravoso in termini di tempi, articolandosi in sviluppo<br />

delle applicazioni e sicurezza dei dati. L’applicazione informatica, supporto del progetto, può<br />

essere suddivisa in due blocchi principali: applicazione locale e via web. La prima viene<br />

utilizzata dalle strutture sanitarie periferiche per la raccolta e la classificazione dei casi clinici.<br />

Le caratteristiche dell’applicazione, così come il layout delle form progettate per la raccolta<br />

dei dati scientifici dei casi catalogati, sono descritte nel paragrafo successivo (Programma<br />

Archimede). L’applicazione si compone sostanzialmente di due parti distinte: la parte di<br />

archiviazione multimediale (immagini, testi, filmati ecc,) e le form progettate per la raccolta<br />

dei dati scientifici.<br />

Applicazione Web. Si tratta dell’applicazione che verrà utilizzata dai fruitori dei servizi<br />

offerti dal portale su piattaforma internet. Alcune caratteristiche dell’applicazione sono<br />

contenute nel paragrafo Archimed.org.<br />

Programma Archimede. La logica di archiviazione è basata sulla classica struttura ad albero.<br />

I rami dell’albero, che sono denominati nodi. L’utente può variare la struttura dei nodi<br />

(crearne di nuovi, eliminare quelli già esistenti) per meglio adeguarla ad eventuali, nuove<br />

esigenze che potr<strong>anno</strong> insorgere durante l’evoluzione del progetto. La soluzione, essendo stata<br />

progettata con il criterio delle architetture open, offre la possibilità di generare i nodi<br />

importandoli da un qualunque data base purchè sia in possesso della tecnologia ODBC. In<br />

altre parole Archimede è in grado di acquisire informazioni (senza alcuna implementazione)<br />

dalle procedure utilizzate dalle varie strutture ospedaliere. Gli oggetti da archiviare possono<br />

essere acquisiti da file o direttamente da scanner, foto-camera digitale, da video-camera e più<br />

in generale da qualunque fonte che sia in possesso di una interfaccia digitale di<br />

comunicazione. Archimede è infatti in grado di colloquiare facilmente con qualsiasi<br />

strumento Hardware di ultima generazione. Agli oggetti, nel momento in cui vengono<br />

acquisiti per essere archiviati, vengono attribuite delle proprietà che vengono poi essere<br />

utilizzate in fase di ricerca.<br />

Aree del portale Archimede.org. Le Aree contenute nel portale e sono da considerare<br />

funzionali al nostro progetto sono:<br />

1. Area Riservata alle Consulenze Diagnostiche: attraverso questa sezione è possibile<br />

caricare le immagini e le specifiche dei casi clinici senza essere in possesso<br />

dell’applicazione locale Archimede.<br />

2. Area Didattica composta dalle seguenti sotto-aeree:<br />

• Atlante Virtuale: contiene un elenco di patologie a monte del quale è disponibile un<br />

“SEARCH ENGINE” per parole chiave. Dopo aver selezionato la patologia di interesse,<br />

comparirà una breve descrizione della patologia stessa, una breve bibliografia e una<br />

gallery di immagini Corsi.<br />

• Casi didattici: sono contenuti i casi trasmessi dal programma Archimede (solo alcuni casi<br />

esemplificativi).<br />

3. Area Registri (Epidemiologica): è un’area nella quale è possibile consultare la<br />

consuntivazione di tutti i casi raccolti raggruppati per patologia e aree geografiche.<br />

L’utilità di queste informazioni crescer<strong>anno</strong> proporzionalmente con lo sviluppo della<br />

banca dati.<br />

85


Salvatore Bozzaro Filone tematico A1<br />

Meccanismo d’azione del gene Nramp1 nella resistenza alle infezioni e<br />

identificazione di mutazioni geniche deleterie<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche<br />

Nramp1 agisce da esportatore di ferro dal fagolisosoma con un meccanismo di simporto<br />

alimentato dalla V-ATPasi<br />

E' generalmente accettato che Nramp1 trasporti metalli, in particolare ioni ferro, nei<br />

fagolisosomi, ma è dibattuto se esso pompi fuori dal lisosoma gli ioni insieme a protoni, o se<br />

importi nei lisosomi il ferro.<br />

Per determinare il meccanismo di trasporto, abbiamo purificato fagosomi da cellule controllo<br />

di Dictyostelium e mutanti knock-out per Nramp1, previamente generati in laboratorio. Il<br />

grado di purificazione dei fagosomi è stato chiarito con una batteria di anticorpi contro vari<br />

marcatori cellulari. I fagosomi isolati sono stati incubati con Fe radioattivo complessato con<br />

citrato ed è stata determinata la quantità di radioisotopo incorporato nei fagosomi.<br />

In assenza di ATP è stato riscontrato accumulo di ferro in fagosomi di cellule controllo, ma<br />

non in fagosomi isolati dai mutanti knock-out. Il trasporto di ferro nei mutanti è riscattato<br />

dalla trasfezione con un vettore contenente il gene Nramp1 fuso con la GFP. Ciò suggerisce<br />

che Nramp1 sia essenziale per il trasporto di ferro nei fagosomi. Se gli esperimenti sono<br />

eseguiti in presenza di ATP, l'ATP blocca il trasporto di ferro. Per chiarire meglio il<br />

meccanismo d'azione dell'ATP, i fagosomi sono stati pre-caricati con ferro prima di<br />

aggiungere ATP. In questo caso, l'ATP provoca un efflusso di ioni ferro dal fagosoma. Un<br />

risultato simile si ottiene se si innalza il pH nella sospensione contenente i fagosomi.<br />

Questi esperimenti ci portano a concludere che Nramp1 trasporta ioni ferro dai fagosomi al<br />

citosol, agendo da simporto, se viene attivato un gradiente protonico. In assenza del gradiente<br />

protonico, il ferro fluisce all'interno dei fagosomi. Gli esperimenti ci permettono anche di<br />

spiegare risultati diversi ottenuti da altri ricercatori sui macrofagi con esperimenti simili ai<br />

nostri, ma nei quali non era mai stato saggiato l'effetto di ATP. Ciò spiega la loro<br />

interpretazione del trasporto come antiporto. In effetti, abbiamo trovato anche noi che in<br />

assenza di ATP il ferro è importato nei fagosomi. I risultati suggeriscono anche che batteri<br />

patogeni possano interferire con la funzionalità di Nramp1 agendo non direttamente su di<br />

essa, ma neutralizzando la V-ATPasi.<br />

V-ATPasi e Nramp1 sono localizzati in compartimenti separati ma reclutati<br />

rapidamente nel fago-lisosoma.<br />

La funzione di Nramp1, descritta nel punto precedente, esige che la proteina si trovi nello<br />

stesso compartimento con la V- ATPasi. Per studiare la localizzazione intracellulare abbiamo<br />

utilizzato cellule trasfettate con Nramp1, o la subunità vatB della V-ATPasi, fuse con GFP.<br />

Abbiamo, inoltre, usato anticorpi contro la subunità vatA, contro comitina, vacuolina e Vti1 in<br />

esperimenti di co-immunofluorescenza. I risultati dimostrano, in sintesi, che Nramp1 e la V-<br />

ATPasi sono localizzate per lo più in compartimenti diversi in cellule in riposo. Nramp1 é<br />

localizzata in vescicole sparse nella cellule e in un cluster perinucleare che corrisponde al<br />

trans-Golgi, dove essa co-localizza con la comitina e con Vti1. La V-ATPasi é invece<br />

86


localizzata in lisosomi e nel vacuolo contrattile. A seguito di macropinocitosi o fagocitosi,<br />

entrambe le proteine sono reclutate rapidamente nel macropinosoma o fagosoma, dapprima la<br />

V-ATPasi e subito dopo Nramp1. E' molto probabile che Vti1 sia responsabile della fusione<br />

tra le vescicole contenenti Nramp1 e i fagosomi appena formati nella cellula. Nella via postlisosomica,<br />

Nramp1 identifica una stadio in cui le vescicole contengono Nramp1 e vacuolina,<br />

ma non la V-ATPasi.<br />

In relazione alle infezioni batteriche, dunque, i dati ottenuti permettono di concludere che la<br />

funzionalità di Nramp1 può essere compromessa, se i batteri patogeni neutralizzano la V-<br />

ATPasi o bloccano la fusione dei fagosomi con vescicole contenenti Nramp1.<br />

L'espressione costitutiva di Nramp1 protegge contro infezioni da legionelle e non da<br />

micobatteri.<br />

Nel tentativo di capire come i batteri patogeni neutralizzino Nramp1, ci siamo chiesti se una<br />

possibile via non possa essere la repressione dell'espressione del gene e, in tal caso, se<br />

l'espressione costitutiva di Nramp1 non possa proteggere le cellule da agenti infettivi.<br />

Gli esperimenti dimostrano che la Legionella reprime in maniera selettiva l'espressione di<br />

Nramp1, mentre non ha alcun effetto sulla subunità vatB della V-ATPasi, l'enzima chiave per<br />

l'acidificazione del fago-lisosoma. I micobatteri invece stimolano l'espressione di Nramp1.<br />

Abbiamo, quindi, studiato gli effetti dell'espressione costitutiva di Nramp1, trasfettando il<br />

gene fuso con GFP sotto il controllo di un promotore costitutivo. Legionelle e micobatteri<br />

sono in grado di crescere in cellule di Dictyostelium come nei macrofagi. In mutanti knockout<br />

per Nramp1 la crescita intracellulare dei batteri è favorita. Se Nramp1 è espresso<br />

costitutivamente, sia nel ceppo selvatico sia nel mutante knock-out, esso impedisce la crescita<br />

di legionelle. Al contrario, micobatteri crescono meglio in assenza di Nramp1, ma sono anche<br />

in grado di crescere se Nramp1 è espressa costitutivamente.<br />

Questi risultati suggeriscono che legionelle e micobatteri usano meccanismi diversi per<br />

neutralizzare l'azione di Nramp1, e che uno di questi passa per la repressione dell'espressione<br />

genica di Nramp1. E' possibile che la differenza tra micobatteri e legionelle sia dovuta a<br />

esigenze diverse per il ferro tra i due agenti patogeni.<br />

Valutazione degli effetti del ferro su fagocitosi e crescita intracellulare di batteri.<br />

Il ruolo di Nramp1 come trasportatore di ferro e il fatto che mutanti in Nramp1 siano più<br />

suscettibili a infezioni da batteri patogeni induce a supporre che il ferro sia importante per la<br />

funzionalità del fagolisosoma. Il ferro è un importante fattore di difesa contro le infezioni, ma<br />

nel contempo agisce da cofattore per molti fattori di virulenza batterica. Questo spiega come<br />

sia in caso di anemia che di emocromatosi si possa essere più sensibili alle infezioni.<br />

Abbiamo eseguito esperimenti preliminari per determinare il ruolo del ferro durante<br />

l'infezione da legionelle o micobatteri, incubando cellule controllo, mutanti knock-out e<br />

mutanti iperesperimenti Nramp1 con batteri in presenza di concentrazioni variabili di ferro<br />

oppure di deferoxamina, un chelante del ferro.<br />

In questi esperimenti, non ancora definitivi, non sono state osservate differenze tra i tre ceppi<br />

cellulari. Il ferro sembra avere un'azione inibente, ma l'effetto è paragonabile nei tre ceppi. I<br />

risultati ottenuti, ad eccezione di quelli descritti nell'ultima sezione, sono in corso di stampa in<br />

un articolo accettato dalla rivista Traffic.<br />

87


Enrico Bracco Filone tematico A2<br />

Identificazione di molecole interattrici del recettore per il fattore di<br />

crescita delle cellule staminali: c-kit/SCFR.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche<br />

OBIETTIVO<br />

Lo studio condotto durante questo periodo si prefigge come obiettivo finale la comprensione<br />

dei meccanismi molecolari attraverso i quali SCFR/c-kit -un membro dei recettori tirosina<br />

chinasi di classe III- media i segnali che controllano la crescita e il differenziamento nelle<br />

cellule della linea ematopoietica. Il bilanciamento di questi due processi (crescitadifferenziamento)<br />

è alla base di una corretta ematopoiesi. Per contro, uno sbilanciamento tra<br />

questi due processi comporta la comparsa di disordini a carattere neoplastico. A nostro avviso,<br />

una comprensione completa di come questo recettore trasmette segnali di diversa natura è<br />

possibile qualora si individuino le molecole coinvolte nella trasduzione del segnale a valle del<br />

recettore e attraverso la comprensione del loro ruolo giocato, dal recettore stesso, nel mediare<br />

diverse risposte cellulari. E’ abbastanza chiaro che una cellula della linea staminale<br />

ematopoietica per differenziare a linfocita piuttosto che macrofago seguirà percorsi<br />

differenziativi diversi i quali differir<strong>anno</strong> a loro volta da quelli che una cellula parzialmente<br />

differenziata intraprende per dare vita, per esempio, ad un clone leucemico. La comprensione<br />

dei “pathways” molecolari che portano allo sviluppo del clone leucemico può sicuramente<br />

fornire il razionale per nuovi approcci terapeutici mirati, disegnati sul singolo paziente.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Il nostro impegno è stato quindi rivolto all’identificazione di molecole coinvolte in queste vie,<br />

avvalendosi della tecnica del “Two-Hybrid System” (THS) dove, come esca per lo screening<br />

di una genoteca a cDNA umano di midollo osseo, è stata utilizzata la porzione citoplasmatica<br />

del SCFR. Siamo riusciti a preparare una esca funzionalmente attiva in lievito che consiste<br />

nella porzione citoplasmatica del SCFR con una mutazione puntiforme del codone 816<br />

(D816V) che la rende costitutivamente attiva. Terminata questa fase preliminare, abbiamo<br />

intrapreso lo screening estensivo di una genoteca a cDNA di midollo osseo umano<br />

analizzando complessivamente circa 1x107 cloni.<br />

I cloni positivi risultati a questo massiccio screening possono essere raggruppati<br />

essenzialmente in due grosse famiglie:<br />

a) quelli che codificano per proteine la cui interazione con c-kit è già stata ampiamente<br />

descritta in letteratura;<br />

b) molecole la cui interazione con il recettore risulta sconosciuta.<br />

Il primo gruppo rappresenta una sorta di controllo positivo indicando che il sistema ha<br />

funzionato con successo. Tra questi cloni abbiamo identificato per esempio la subunità<br />

regolativi della PI3K che probabilmente rappresenta l’interattore più “forte” di c-kit. I cloni<br />

che appartengono al secondo gruppo possono essere ulteriormente suddivisi in due<br />

sottocategorie:<br />

1. quelli che codificano per proteine la cui funzione è conosciuta;<br />

88


2. quelli che codificano per proteine la cui funzione è sconosciuta.<br />

La stragrande maggioranza dei cloni appartenenti alla “famiglia b” codificano per proteine<br />

che h<strong>anno</strong> una caratteristica strutturale comune rappresentata da un modulo capace di legare<br />

con elevata affinità le tirosine fosforilate (ex: SH2 o PTB). Questo dato indica che gli<br />

interattori che abbiamo pescato sono interattori che vengono reclutati soltanto quando il<br />

recettore è attivato, sia in seguito a stimolazione col proprio ligando che in seguito a<br />

mutazioni che lo rendono costitutivamente attivo in modo ligando-indipendente.<br />

Otto di questi interattori (Grb10, Slap, CSK, c-fgr, SH3BP2, ShcB, Nck beta e Spred) sono<br />

attualmente oggetto di studio più approfondito nel nostro laboratorio per confermarne<br />

l’interazione in cellule di mammifero, valutarne una eventuale modificazione posttraduzionale<br />

in seguito a reclutamento da parte del recettore (nel caso specifico siamo<br />

interessati a fosforilazioni in tirosina) ed una eventuale distribuzione sub-cellulare in vivo con<br />

la generazione di proteine di fusione con GFP.<br />

Di uno di questi interattori (un membro della famiglia di Sprouty) abbiamo anche iniziato a<br />

studiarne l'espressione genica in pazienti affetti da Leucemie Mieloidi Acute (LAM). Risultati<br />

preliminari indicano che l'espressione del gene in questione risulta significativamente regolata<br />

in modo negativo in pazienti a cui è stata diagnostica un esordio di LAM. Il dato acquista<br />

maggior peso se si considera è che la proteina codificata da questo gene è un modulatore<br />

negativo della cascata di trasduzione del segnale scatenato dall'attivazione di un RTK. Questo<br />

risultato aprirebbe nuove porte alla comprensione dei meccanismi molecolari che determinano<br />

la comparsa di neoplasie a carattere ematico quali per es: le LAM e di conseguenza la<br />

possibiltà di fornire le basi per sviluppare nuovi approcci terapeutici mirati, disegnati sul<br />

singolo paziente.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

1. “Absence of Spred1, a negative regulator of Ras/MAPK pathway, as a mechanism<br />

responsible for thye costitutive activation of RTK mediated signalling in acute leucemia”<br />

Cilloni D., Bracco E., Defilippi I., Messa F., Carturan S., Di Giovanni D., Arruga F.,<br />

Rosso V., Catalano R., Messa E., Morotti A., Serra A. and Saglio G. Blood(ASH Annual<br />

Meeting Abstract) 2005 106:Abstract 2287<br />

2. “A novel RasGEF involved in Dictyosteliyum chemotaxis and development” Arigoni M.,<br />

Bracco E., Kae H., Lusche D., Weeks G. and Bozzaro S. BMC Cell Biol. 2005 6:43 3<br />

3. “The NF-kB pathway blockade by the IKK inhibitor PS1145 can overcome Imatinib<br />

resistence” Cilloni D., Messa F., Aruga F., Defilippi I., Morotti A., Messa E., Carturan S.,<br />

Giugliano E., Pautasso M., Bracco E., Rosso V., Sen A., Martinelli G., Baccarani M. and<br />

Saglio G. Leukemia (2006) 20, 61–67. doi:10.1038/sj.leu.2403998<br />

4. “The clinically available histone deacetylase inhibitor valproate enhances IMATINIB<br />

induced growth arrest and apoptosis in IMATINIB sensitive and resistant chronic myeloid<br />

leukaemia cells” A Morotti, D Cilloni, F Messa, F Arruga, I Defilippi, S Carturan, R<br />

Catalano, V Rosso, A Chiarenza, C Pilatrino, A Guerrasio, R Taulli, E Bracco, M<br />

Pautasso, D Baraban, E Gottardi and G. Saglio Cancer 2006 106:1188-96.<br />

89


Gianni Boris Bradac Filone tematico C1<br />

Trombolisi intra-arteriosa nello stroke ischemico acuto: creazione di una<br />

rete regionale di selezione pazienti<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Neuroscienze<br />

METODI<br />

L’attività si è svolta in 2 fasi.<br />

1. Extraospedaliera<br />

I referenti per lo stroke degli ospedali Torinesi e dei centri vicini (entro i 50 Km) sono<br />

stati messi al corrente del trattamento, sia con incontri ad personam che in occasione di<br />

corsi monotematici sullo stroke tenuti presso il dipartimento di Neuroscienze e l’A.O. San<br />

Giovanni Battista. La possibilità di trattamento endovascolare è stata divulgata anche<br />

presso i medici di base attraverso comunicazioni sul bollettino dell’OdM di Torino.<br />

2. Intraospedaliera.<br />

E’ stato definito un percorso preferenziale per i pazienti all’interno dell’ospedale, che<br />

include sia le fasi pre che post-trattamento, definendo le competenze ed il timing di<br />

trasferimento dei malati. Il percorso intraospedaliero rimane ancora estremamente critico<br />

sia per l’assenza di una stroke-unit dedicata, sia per la scarsità di risorse, in particolare<br />

letti di Neurorianimazione<br />

RISULTATI<br />

Il tentativo di estendere ai pazienti di altri ospedali il trattamento è stato proficuo, tanto che<br />

nel corso dell’ultimo <strong>anno</strong> oltre il 70 % dei pazienti trattati proveniva da ospedali esterni.<br />

Rimane da megli definire il prercorso interno di questi malati.<br />

L'aumento dei trattamenti e la scarsità delle risorse pongono serissimi problemi di gestione<br />

del paziente durante ed immediatamente dopo la procedura<br />

90


Paolo Branca Filone tematico B2<br />

Metodica per la determinazione quantitativa del colorante liposolubile<br />

Sudan I nei prodotti contenenti peperoncino<br />

ARPA <strong>Piemonte</strong><br />

Polo Chimico Regionale Alimenti<br />

OBIETTIVO<br />

Con il presente lavoro ci si è proposti di mettere a punto un metodo analitico capace di<br />

rispondere ai requisiti richiesti dalla norma europea, ed in grado di raggiungere i limiti di<br />

rivelabilità previsti per la contaminazione degli alimenti a livello di contaminazione<br />

ambientale per tutte le molecole SUDAN.<br />

MATERIALI E METODI<br />

La preparazione del campione è legata alla matrice da analizzare.<br />

Polveri e prodotti secchi. A 5 grammi di peperoncino in polvere si addizionano 25 mL di<br />

acetonitrile, si agita per 1 ora. Dopo filtrazione si recupera la fase organica. Si porta a secco<br />

l’estratto su evaporatore rotante a temperatura del bagno < 60°C. Il residuo ripreso con 2 mL<br />

di acetonitrile viene filtrato su filtro da 0.20 micron e iniettato in HPLC.<br />

Salse e prodotti con alto contenuto di grasso. A 20 grammi di campione sminuzzato,<br />

addizionare 20 grammi di terra di diatomea, mescolare e trasferire il tutto in colonna<br />

cromatografica. Eluire con 150 mL di acetonitrile. Seccare con sodio solfato anidro, si filtra e<br />

si porta a secco; se l’estratto si presenta sottoforma di residuo secco si riprende con 2 mL di<br />

acetonitrile, si filtra su filtro da 0.20 micron e si inietta in HPLC. Se l’estratto presenta un<br />

residuo oleoso si procede alla sua purificazione mediante cromatografia a permeazione di geli.<br />

La purificazione, effettuata mediante cromatografia a permeazione di geli, permette la<br />

separazione dei coloranti Sudan I, II, III e IV dai lipidi coestratti. Parametri statistici relativi<br />

alla validazione del metodo Calibrazione La calibrazione avviene mediante standardizzazione<br />

esterna su 7 livelli di calibrazione da 0,1 a 1,0 mg/l.<br />

RISULTATI<br />

Calcolo ed espressione del risultato.<br />

Il responso analitico viene fornito direttamente dallo strumento in rapporto alla equazione<br />

della retta: x = ((y-a)/b)*f x = concentrazione analita y = area picco b = pendenza curva<br />

(slope) a = intercetta (vale 0 per curve forzate e passanti per l’origine) f = fattore di<br />

concentrazione<br />

Precisione e accuratezza.<br />

Sono stati valutati eseguendo 6 prove di ripetibilità su due livelli di concentrazione pari a 50<br />

µg/kg e 500 µg/kg. Nelle tabelle da 1 a 2 sono riportati i valori statistici ottenuti in fase di<br />

convalida per i due livelli di concentrazione, tali valori sono stati ottenuti previa verifica della<br />

normalità dei dati sottoposti ai test di Shapiro-Wilk al 5% e Dixon 1%.. La precisione del<br />

91


metodo, sulla scorta delle indicazioni ricavate dall’equazione di Horwitz per i livelli di<br />

concentrazioni indagati (CV%


Dove<br />

yi = valore del responso strumentale alla concentrazione i-esima<br />

yi = valore del responso strumentale estrapolato dalla curva di calibrazione<br />

n= numero di punti della curva di calibrazione<br />

Considerando la curva di calibrazione, i parametri statistici ad essa correlati sono riportati in<br />

tabella 3.<br />

Tabella 3: Parametri statistici della curva di calibrazione e calcolo dell’LOD ed LOQ<br />

Composto<br />

Coefficiente<br />

angolare<br />

Sy/x LODµg/kg LOQµg/kg<br />

Sudan I 0.9970 25194 5.7 56.6<br />

Sudan I 0.9974 21022 3.4 33.7<br />

Sudan I 0.9977 21800 8.4 84.0<br />

Sudan I 0.9951 19579 4.0 40.4<br />

Selettività e specificità<br />

Viene valutata in rapporto ai tempi di ritenzione dei singoli analiti e comparando lo spettro<br />

ottenuto dalla frammentazione.<br />

Incertezza<br />

L’incertezza viene calcolata ricorrendo al metodo empirico di Horwitz, tale relazione trova<br />

riscontro nella formula:<br />

CVR% = 2<br />

93<br />

(1 - 0.5logC)<br />

Dove CVR% è lo scarto tipo e C la concentrazione dell’analita espresso in g/100.<br />

Sulla scorta di tale indicazione, l’incertezza estesa, ad un grado di copertura del 95% (t=1.96)<br />

risulta essere per i due livelli di concentrazione indagati 23.5 e 174 µg/kg<br />

CONCLUSIONI<br />

Grazie all'esperienza acquisita sinora, il Polo Chimico Regionale Alimeti dell’ARPA del<br />

<strong>Piemonte</strong> è stata in grado di fornire un adeguato supporto analitico agli organismi di controllo,<br />

il metodo analitico proposto rispetta tutti i criteri di accettabilità e pertanto risulta validato ed<br />

è utilizzato in laboratorio con risultati soddisfacenti.


Enrico Brignardello Filone tematico C1<br />

Potenziamento della terapia radiometabolica del carcinoma tiroideo<br />

mediante pre-trattamento differenziante<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Oncologia – S. C. Endocrinologia Oncologica<br />

OBIETTIVO<br />

L’obiettivo dello studio era di verificare se, in pazienti già sottoposti a tiroidectomia totale per<br />

carcinoma della tiroide ed in attesa di ablazione del residuo tiroideo, l’assunzione di valproato<br />

nel mese precedente la somministrazione della dose terapeutica di 131-I poteva migliorare<br />

l’efficacia della terapia radiometabolica. L’ipotesi di lavoro era basata su risultati preliminari<br />

ottenuti dal nostro gruppo di ricerca “in vitro”, che sono stati pubblicati nel 2004 (J Clin<br />

Endocrinol Metab 89: 1006-1009, 2004). I dati dimostravano che l’acido valproico, farmaco<br />

abitualmente utilizzato come agente anticonvulsivante, antiemicranico e stabilizzatore del<br />

tono dell’umore, è in grado di aumentare significativamente l’espressione genica del NIS<br />

(Na/I Symporter) e l’internalizzazione dello iodio radioattivo in colture cellulari di carcinoma<br />

differenziato della tiroide. Ciò è dovuto all’attività inibitoria sull’enzima istone deacetilasi,<br />

che è propria dell’acido valproico, il che consente di migliorare il grado di differenziazione<br />

cellulare.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Sono stati arruolati 30 pazienti, suddivisi in due gruppi. Quindici pazienti (VPA +) h<strong>anno</strong><br />

assunto valproato alla posologia di 1 g / die (Depakin chrono 500 mg 2 cpr alla sera) nei<br />

trenta giorni precedenti il trattamento radiometabolico. Gli altri quindici pazienti (VPA -), che<br />

sono serviti come gruppo di controllo, sono stati trattati in modo convenzionale (cioè, senza<br />

assumere valproato prima della somministrazione di 131-I). La terapia con valproato è stata<br />

ben tollerata ed in nessun caso è stato necessario sospenderla, per intolleranza o per<br />

alterazione degli esami di laboratorio. In entrambi i bracci dello studio (VPA + e VPA -),<br />

alcuni pazienti h<strong>anno</strong> lamentato una sintomatologia soggettiva chiaramente riferibile<br />

all’ipotiroidismo iatrogeno. Questa condizione, necessaria per la buona riuscita del<br />

trattamento radiometabolico, è stata indotta mediante la sospensione della terapia sostitutiva<br />

con l-tiroxina nei 30 giorni precedenti la somministrazione della dose terapeutica di 131-I<br />

(cioè, per tutto il periodo di assunzione del valproato nel gruppo VPA +).<br />

RISULTATI<br />

I livelli sierici medi di acido valproico ottenuti nei pazienti del gruppo VPA + sono risultati di<br />

107 +/- 23,6 µg / ml, adeguati per ottenere l’effetto desiderato (inibizione della istone<br />

deacetilasi) e ben al di sotto della soglia di tossicità (200 µg/ml), che non è stata raggiunta in<br />

nessun caso. L’entità del parenchima tiroideo residuo dopo l’intervento di tiroidectomia<br />

totale, misurata ecograficamente e calcolata secondo la formula del modello ellissoidale, è<br />

risultata simile nei due gruppi e quindi ininfluente ai fini della captazione di 131-I. Anche il<br />

livello sierico di TSH, che può influenzare la percentuale di captazione dello iodio radioattivo<br />

da parte del residuo tiroideo, non è risultato significativamente diverso nei due gruppi. Infatti<br />

94


nella condizione di massimo ipotiroidismo iatrogeno indotto dalla sospensione della terapia<br />

sostitutiva con l-tiroxina (cioè il giorno del trattamento radioiodiometabolico con 131-I) il<br />

livello sierico di TSH è risultato 56,6 +/- 29,5 mUI/l nel gruppo trattato con valproato (VPA<br />

+) e 90,4 +/- 72,1 mUI/l nel gruppo di controllo (p = 0,211938). Anche la joduria / 24 ore,<br />

espressione del contenuto iodico dell’organismo (che può anch’esso modificare notevolmente<br />

la captazione del 131-I da parte del parenchima tiroideo residuo), è risultata del tutto<br />

sovrapponibile nei 2 gruppi.<br />

La capacità di concentrare lo iodio radioattivo nel parenchima tiroideo residuo non è risultata<br />

significativamente diversa nei due gruppi di pazienti. Rispetto alla dose totale somministrata,<br />

la captazione in loggia tiroidea è infatti risultata 2,54 +/- 1,71% nel gruppo trattato con<br />

valproato (VPA +) e 3,07 +/- 1,77% nel gruppo di controllo (media +/- deviazione standard; p<br />

= 0,53085). Lo studio ha cioè dimostrato che il pre-trattamento con acido valproico non<br />

aumenta la captazione dello iodio radioattivo (e quindi l’efficacia del trattamento<br />

radiometabolico per l’ablazione del residuo tiroideo) nei pazienti precedentemente sottoposti<br />

ad intervento chirurgico di tiroidectomia totale per carcinoma della tiroide.<br />

Il risultato ottenuto, che è contrario all’ipotesi di lavoro, è dovuto con ogni probabilità al il<br />

fatto che l’acido valproico, per il suo effetto inibitorio sull’istone deacetilasi, consente la redifferenziazione<br />

di cellule trasformate in senso neoplastico (e quindi il recupero di alcune loro<br />

caratteristiche funzionali, nel caso specifico, la capacità di concentrare lo iodio all’interno<br />

della cellula), ma non ha alcuna efficacia sui tireociti normali, quali sono quelli del residuo<br />

tiroideo di un paziente operato per carcinoma della tiroide, che sono già completamente<br />

differenziati. Non si può pertanto escludere in modo definitivo che gli interessanti risultati<br />

ottenuti “in vitro” possano essere traslati sul piano clinico. A tal fine, partendo dai risultati<br />

ottenuti, è stato disegnato ed avviato un nuovo studio clinico (condotto in collaborazione con<br />

la S.C. Medicina Nucleare dell’Ospedale SS. Antonio e Biagio di Alessandria) che ha<br />

l’obiettivo di verificare se il pre-trattamento con VPA può aumentare la capacità di<br />

concentrare lo iodio radioattivo nelle metastasi (quindi in cellule tumorali) di carcinoma<br />

tiroideo papillifero o follicolare, migliorando così l’efficacia del trattamento radiometabolico<br />

in questo sottogruppo di pazienti.<br />

95


Guido Brizio Filone tematico B1<br />

“Benessere animale": alternativa all'eccessiva medicalizzazione<br />

dell'allevamento cunicolo<br />

ASL 17 Fossano - Saluzzo – Savigliano<br />

Dipartimento di Prevenzione - Servizio Veterinario 17/2<br />

Area "C": Igiene degli Allevamenti e delle Produzioni Zootecniche<br />

MATERIALI E METODI<br />

Quattro allevamenti cunicoli del Saluzzese (A1-4) sono stati monitorati per 200 gg. da maggio<br />

a novembre 2004. Gli elementi raccolti in 8 sopralluoghi erano di tipo:<br />

• strutturale (planimetria, tipologia e capienza delle gabbie, sistemi di circolazione<br />

dell’aria);<br />

• ambientale (T°, UR, NH3, CO2, H2S al centro e presso gli estrattori);<br />

• gestionale (tipo genetico, mortalità, rimonta, peso di vendita, terapie, mangimi);<br />

• diagnostico (esami batteriologici, parassitologici, ricerca di Clostridi ed inibenti,<br />

necroscopie su complessive 61 carcasse (IZS-Cuneo), analisi dell’acqua (ARPA-Cuneo),<br />

analisi ematiche e di pelo su 146 soggetti in vita o deceduti (ISZ-Torino)).<br />

Le aziende adottano gabbie standard, ibridi commerciali, trattamenti vaccinali, antielmintici,<br />

ormonali e mangime medicato di routine (A2,3,4 anche zincobacitracina), smaltimento delle<br />

deiezioni con fossa bassa e raschiatore (A1,3,4) o fossa profonda (2), ventilazione forzata<br />

trasversale (3) o longitudinale (A1,2,4), acqua di pozzo (3) o acquedotto (1,2,4).<br />

RISULTATI<br />

Per A1 la mortalità monitorata è stata del 4%, l’intervallo interparto maggiore, con rimonta al<br />

96%/<strong>anno</strong> ed i soggetti sono macellati a 90 d (peso medio 3 Kg); per gli altri il ritmo<br />

riproduttivo è apparso più spinto, vendono prima (85 d a 2,7 kg) con mortalità oscillanti da<br />

1% (A4) a 6% (A2,3). Le 30 analisi ambientali h<strong>anno</strong> evidenziato valori conformi di T°(13°-<br />

25°) e UR (80-40%); tassi di NH3>10 ppm nel 50% dei rilievi a metà cap<strong>anno</strong>ne per A2 e A4,<br />

nel 25% per A3 e solo nel 12% per A1, ma valori medi costantemente superiori (spesso >20<br />

ppm) presso i ventilatori in funzione. Nel solo A3 l’NH3 ha superato 30 ppm per un errato<br />

regime di ventilazione intermittente programmata ad ore invece che su T° (prontamente<br />

corretto); in A4 il riposizionamento delle sonde ha migliorato l’efficienza del sistema.<br />

Globalmente i riscontri microclimatici più stabili, nonostante la variabilità stagionale, sono<br />

stati osservati in A1 strutturalmente più vecchio e polveroso; per A2 h<strong>anno</strong> inciso<br />

negativamente l’ampiezza ed altezza della struttura ed il tipo di fossa (trattata in itinere con un<br />

sanitizzante); per A4 una grande escursione termica del luogo e la struttura-tunnel.<br />

Relativamente alla CO2 valori>1300 ppm (peraltro conformi) si sono registrati in metà<br />

rilevazioni presso A2 e A3, mai in A1 e A4. L’H2S è stata costantemente conforme (


Gli allevatori h<strong>anno</strong> mostrato grande sensibilità per gli aspetti sanitari, con adeguamento della<br />

terapia antibatterica in funzione degli esiti di laboratorio, osservandosi una riduzione della<br />

mortalità ove elevata. Nel dettaglio:<br />

A1: 17 autopsie, 17 enterocolite enzootica, 7 broncopolmoniti, 1 polmonite, 1 endometrite; 16<br />

E. coli, 3 Proteus, 2 Clostridium perfringens, 6 Pasteurella multocida, 4 non identificati;<br />

A2: 6 autopsie, 6 enterite enzootica; 4 E. coli, 4 Clostridium spiriforme, 1 Citrobacter<br />

freundii, 1 Clostridium perfringens, 3 non identificati; 3 coccidi 4 saccaromicosi. <strong>Ricerca</strong><br />

inibenti: 1 positività;<br />

A3: 13 autopsie, 13 enterite enzootica, 1 tiflite emorragica, 3 broncopolmoniti, 1 polmonite;<br />

13 E. coli, 2 Proteus, 6 Pasteurella multocida, 1 non identificato; 2 coccidi, 4 saccaromicosi;<br />

A4: 25 autopsie, 19 enterite enzootica, 5 enteriti mucose, 2 polmoniti; 15 E. coli, 4 Proteus, 3<br />

Clostridium spiriforme, 1 Clostridium sordellii, 1 Clostridium perfringens, 1 Pasteurella<br />

multocida, 3 Staphylococcus aureus, 2 non identificati; 9 coccidi, 13 saccaromicosi.<br />

<strong>Ricerca</strong> inibenti: 4 positività. Secondo le attese il quadro degli antibiogrammi è apparso<br />

estremamente variegato, anche nello stesso allevamento: dei 14 antibatterici testati (anti<br />

Gram+ e Gram-) di comune impiego nella specie, nessuno ha dimostrato un’efficacia<br />

significativamente superiore. In particolare la resistenza alla bacitracina è stata elevata: 50%<br />

in A2, 65% in A3 e A4. Dall’indagine emerge la temuta correlazione fra fattori stressanti (A3:<br />

gas nocivi; A4 sbalzi termici) e patologie polifattoriali (enterite, dermatofitosi,<br />

broncopolmonite). Ne consegue che l’elevata mortalità da enterocolite nel coniglio trova<br />

come possibile difesa l’uso mirato ed alternato di antibiotici (sulfadimetossina, amminosidina,<br />

colistina, zincobacitracina attivi contro i Gram-) ed anticoccidici (Diclazuril e Robenidina),<br />

soli o in combinazioni multiple. Emerge peraltro chiaramente la tendenza all’uso improprio<br />

del farmaco, ma soprattutto il circolo vizioso creatosi fra trattamenti, patologia e mortalità<br />

(A3, A4). Uno studio originale condotto sul pelo di 151 soggetti ha evidenziato risultati<br />

innovativi per associare allo spettro NIR il presumibile stato di salute dell’individuo,<br />

codificato fra 1 morto e 2 vivo (R2 validazione=0,67) nonché sull’originalità dell’allevamento<br />

(R2 validazione =0,64). Una valutazione oggettiva del benessere in giovani soggetti sani,<br />

realizzata mediante parametri emo-gas, elettrolitici e metabolici, ha evidenziato situazioni<br />

significativamente diversificate. In primavera-estate sono incrementati Na+ (142 vs 139) ed<br />

urea (51 vs. 35) mentre sono ridotti divario anionico, pCO2 e glicemia (135 vs 144). Fra<br />

allevamenti sono comparse deviazioni relativamente a: Na+, Urea, divario anionico, HCO3-,<br />

Eccesso base (BEecf) e pCO2, confermate da un’originale analisi di spettrometria-NIR del<br />

micro-capillare (R2validazione=0,93). Variazioni multifattoriali di origine ambientale,<br />

compreso l’effetto genetica-allevamento, possono dunque incidere sugli apparati digerente<br />

(ingestione solida/liquida), escretorio (urina) e respiratorio (eliminazione di CO2) con riflessi<br />

sul livello energetico (glicemia) e specialmente di uremia. Il profilo del migliore allevamento<br />

(A1) potrà servire di riferimento ad altre situazioni prodromiche di tecnopatie e di enteriti,<br />

sempre incombenti.<br />

CONCLUSIONI<br />

In conclusione, una riduzione dei trattamenti antibiotici in questo allevamento neotecnologico<br />

(al 4° posto nella zootecnia italiana, ma al 1° nel mondo) è obiettivo ragionevole,<br />

purché lo stato di salute sia monitorato nelle fasi critiche (post-svezzamento, inizio lattazione)<br />

e purché le condizioni nutrizionali-ambientali (non sinonime di modernità, ma “parenti” del<br />

benessere) garantiscano un corretto stato fisiologico. L’augurio è che probiotici nuovi o<br />

rinnovati possano in futuro dare risultati efficaci (soluzione del problema) ed efficienti (costo<br />

sostenibile).<br />

97


Sandra Brunelleschi Filone tematico A4<br />

Recettori PPAR-gamma in monocito/macrofagi umani: loro rilevanza<br />

nell'aterosclerosi, in particolare nei fumatori<br />

Università degli Studi del <strong>Piemonte</strong> Orientale “Amedeo Avogadro”<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Monocito/macrofagi svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’aterosclerosi. I<br />

monociti circolanti aderiscono all’endotelio attivato e migrano nella parete arteriosa; quindi<br />

differenziano in macrofagi che esprimono i geni per i recettori “scavenger” che mediano<br />

l’uptake delle LDL ossidate. I recettori scavenger SR-A e CD36, espressi sulla superficie dei<br />

macrofagi, legano e internalizzano il colesterolo-LDL, con trasformazione dei macrofagi in<br />

“foam-cells” pro-aterogene. Peroxisome Proliferator-Activated Receptor-gamma (PPAR-g) è<br />

un recettore nucleare in grado di regolare il metabolismo lipidico e glucidico. E’ espresso nel<br />

tessuto adiposo e in diverse popolazioni cellulari, compresi monocito/macrofagi e “foam<br />

cells”. PPAR-g è attivato da ligandi endogeni (ad es., 15-deossi PGJ2, ox-LDL) e da ligandi<br />

sintetici, quali, ad es. gli antidiabetici orali della classe dei tiazolidindioni ed alcuni peculiari<br />

anti-infiammatori non steroidei. E’ stato ipotizzato che l’attivazione di PPAR-g in<br />

monocito/macrofagi sia in grado di esercitare un ruolo anti-aterogeno, ma le informazioni in<br />

letteratura sono ancora assai controverse e largamente incomplete.<br />

OBIETTIVO<br />

Obiettivo prioritario del progetto è stato quello di valutare l’espressione di PPAR-g nei<br />

monociti (M) e macrofagi (MDM: monocyte-derived macrophages, preparati dai monociti<br />

coltivati per 7-10 gg in RPMI 1640 arricchito con siero bovino al 20%) di pazienti con<br />

aterosclerosi documentata (fumatori, non fumatori ed ex-fumatori) confrontandola con quella<br />

di donatori sani di pari età ed analogo stile di vita. Questo progetto (che ha rappresentato la<br />

“base” per un successivo Progetto Cofin tuttora in corso, finanziato nel 2004, e di cui la<br />

scrivente è coordinatore nazionale) si proponeva, inoltre, di valutare l’espressione di<br />

scavenger receptors (soprattutto, CD36) e la liberazione di citochine pro-infiammatorie.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Sono stati valutati 15 donatori sani (8 non fumatori e 7 fumatori) e 31 pazienti (24 uomini e 7<br />

donne) afferenti alla Divisione di Cardiologia Universitaria dell’Ospedale Maggiore della<br />

Carità di Novara. Di questi, 7 pazienti presentavano infarto miocardio acuto, 4 pazienti angina<br />

stabile, 14 angina instabile e 4 ischemia silente. Alla coronarografia, 12 pazienti presentavano<br />

malattia monovasale, 5 pazienti malattia bivasale, 3 malattia trivasale e 4 malattia plurivasale.<br />

Ipertensione era presente in 25 pazienti, dislipidemia in 17 pazienti e diabete NIDDM in 8<br />

pazienti. Ovviamente, tutti i pazienti erano in terapia farmacologia. Inoltre, 5 pazienti erano<br />

fumatori, 12 ex-fumatori e 14 non fumatori. PPAR-g è stato valutato come proteina (Western<br />

blot), con lettura al Versadoc (BioRad, strumento in grado di valutare la chemiluminescenza<br />

direttamente dalla membrana di nitrocellulosa): le bande relative a PPAR-g e b-actina sono<br />

state quantificate e l’espressione di PPAR-g è stata valutata come rapporto PPAR-g/b-actina.<br />

In alcuni casi, l’espressione è stata valutata anche con real-time quantitativa.<br />

98


RISULTATI<br />

I risultati ottenuti dimostrano che:<br />

a) PPAR-gè costitutivamente espresso (rapporto PPAR-g/b-actina = 0.426 + 0.08; n = 8), nei<br />

monociti (M) isolati da donatori sani non fumatori. La sua espressione aumenta<br />

significativamente con la differenziazione a macrofagi: l’espressione basale di PPAR-g,<br />

già aumentata dopo 4 gg di differenziamento è assai rilevante (0.88 + 0.04; n = 8; p < 0.01<br />

vs M) negli MDM.<br />

b) Sia nei M che negli MDM, l’espressione di PPAR-g è significativamente aumentata<br />

quando le cellule sono cimentate con 15d-PGJ2 (5 uM, 6h) o con ciglitazone (50 uM, 6h):<br />

nei M, ciglitazone e 15d-PGJ2 aumentano di circa 2 volte l’espressione di PPAR-g. Negli<br />

MDM di donatore sano non fumatore, 15d-PGJ2 aumenta l’espressione di PPAR-g di<br />

circa 3 volte, il ciglitazone solo di 1.8 volte. Entrambi gli agonisti aumentano<br />

l’espressione di PPAR-g mRNA di circa 1.5 volte (n = 4; p < 0.05 vs M) negli MDM di<br />

donatore sano.<br />

c) L’espressione di PPAR-g sia basale che indotta da ligandi agonisti, è aumentata di 2 – 3<br />

volte nei monocito/macrofagi di fumatori sani, rispetto ai non fumatori.<br />

d) Agonisti PPAR-g inibiscono potentemente il “release” di citochine sia nei M che negli<br />

MDM, il ciglitazone dimostrandosi più potente (85% e 75% di inibizione della liberazione<br />

di TNF-a e di IL-6, rispettivamente) della 15d-PGJ2 (circa 60 % di inibizione della<br />

liberazione di TNF-a e circa 50% di inibizione della liberazione di IL-6). Come noto, M e<br />

MDM di fumatori sani liberano quantità significativamente più elevate di TNF-a rispetto<br />

ai non fumatori.<br />

e) 15d-PGJ2 aumenta l’espressione dello scavenger receptor CD36 negli MDM, soprattutto<br />

se ottenuti da fumatori sani, ma non nei M di non fumatori.<br />

f) Nei M di pazienti, l’espressione basale di PPAR-g, sempre ben documentabile, presenta<br />

una ampia variabilità (rapporto PPAR-g/b-actina = 0.93 + 0.3; n = 31) e non si osservano<br />

differenze, statisticamente significative, nell’espressione di questo recettore tra pazienti<br />

fumatori, non-fumatori ed ex-fumatori, probabilmente attribuibili alla scarsa numerosità<br />

(solo 5 pazienti) dei fumatori. Negli 8 pazienti con diabete non-insulino dipendente, il<br />

rapporto PPAR-g/b-actina è pari a 2.06 + 0.5 (p < 0.05 rispetto ai donatori sani): questa<br />

osservazione merita ulteriori approfondimenti.<br />

g) Al contrario, l’espressione di PPAR-g è significativamente aumentata negli MDM dei<br />

pazienti con coronaropatia rispetto ai donatori sani. Infatti, negli MDM ottenuti da<br />

donatori sani l’espressione di questo recettore è aumentata di 1.87 + 0.3 volte (n = 8), nei<br />

pazienti con coronaropatia l’incremento di espressione è anche di 12-15 volte.<br />

h) L’espressione basale di PPAR-g negli MDM ottenuti da pazienti non fumatori o exfumatori<br />

(significativamente aumentata rispetto al donatore sano) risulta più elevata di<br />

quella riscontrata nei pazienti fumatori; il dato, però, è “falsato” dall’esiguo numero di<br />

pazienti fumatori valutati.<br />

i) L’’espressione basale di PPAR-g negli MDM ottenuti da pazienti ipertesi è<br />

significativamente aumentata (p < 0.05) rispetto ai non-ipertesi; pazienti affetti da diabete<br />

e ipertensione (n = 5) presentano in assoluto la più elevata espressione di questo recettore<br />

(aumento di 18 + 4 volte).<br />

Lo studio sta proseguendo per aumentare la casistica e, dunque, consentire una migliore<br />

valutazione statistica per i fattori di rischio. Sono stati presentati 2 abstracts e 1 manoscritto è<br />

in preparazione Amoruso A, Gunella G, Vassanelli C, Brunelleschi S. Espressione del<br />

recettore PPAR-g in monocito/macrofagi di volontari sani, fumatori e non. IV Congresso<br />

Regionale della SISA, Milano 16.10.2004, pag. 3. Amoruso A, Viano I, Brunelleschi S.<br />

PPAR-g and CD-36 receptor expression in monocyte/macrophages of healthy smokers and<br />

non-smokers. XXIII Congresso Nazionale SISA, Palermo 26-29 novembre 2004; P51.<br />

99


Benedetto Bruno Filone tematico A1<br />

Ricostituzione anticorpale dopo trapianto allogenico di cellule<br />

emopoietiche e prevenzione delle infezioni<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento Assistenziale di Oncologia<br />

OBIETTIVO<br />

Valutazione della ricostituzione immunologica del compartimento B dopo trapianto<br />

allogenico non mieloablativo<br />

MATERIALI E METODI<br />

Pazienti e Donatori - Criteri di inclusione: pazienti di età inferiore ai 65 anni affetti da<br />

mieloma multiplo e sottoposti a trapianto non mieloablativo da donatore familiare<br />

(fratello/sorella non gemello) HLA-identico di età compresa tra i 12 e i 75 anni.<br />

Terapia e Trapianto Allogenico. I pazienti vengono sottoposti a cicli di chemioterapia di<br />

induzione tipo VAD e a trapianto autologo ai fini di ottenere un’iniziale riduzione della<br />

malattia. Viene poi eseguito il trapianto allogenico con regime di condizionamento non<br />

mieloablativo caratterizzato dalla somministrazione di irradiazione corporea totale (TBI) a<br />

basse dosi, 200 rads.<br />

Raccolta di PBSC dal donatore. Il protocollo di mobilizzazione di PBSC dal donatore<br />

prevede la somministrazione di G-CSF alla dose di 16µg/kg/die s.c. per 5 giorni consecutivi<br />

dal giorno -4 dal trapianto al giorno 0. La raccolta di PBSC allogeniche avviene tramite<br />

procedure di leucaferesi, eseguite nel pomeriggio del giorno -1 dal trapianto e al mattino del<br />

giorno 0. La prima raccolta viene conservata a 4° C per 24 ore circa. Al termine della seconda<br />

raccolta, il prodotto delle due raccolte viene unito in un’unica sacca, ed infusa nel ricevente,<br />

previa analisi citofluorimetrica del contenuto delle cellule CD34+ e CD3+.<br />

Citofluorimetria e nefelometria. L’assetto immunofenotipico dei linfociti B periferici è stato<br />

definito citofluorimetricamente attraverso l’espressione degli antigeni di superficie CD 19,<br />

CD20 su sangue midollare e periferico. I livelli di Ig sono stati valutati con metodo<br />

nefelometrico. La nefelometria è un metodo ottico di microanalisi che permette di dosare la<br />

concentrazione di sostanze finemente disperse in un liquido. Il principio su cui si basa<br />

consiste nel misurare comparativamente la quantità di luce dispersa dalla sospensione in<br />

esame. La misurazione nefelometrica viene eseguita mediante un fotometro. Il siero dei<br />

pazienti, ottenuto per centrifugazione, è stato fatto reagire con anti-sieri noti specifici per le<br />

varie classi di Ig. In base alla quantità di luce dispersa dagli immunoprecipitati formatisi, si è<br />

poi andati a misurare quante Ig erano presenti nei sieri prima del trapianto, dopo il trapianto e<br />

a 3, 6, 12 mesi post-trapianto. In contemporanea si è eseguito un quadro elettroforetico<br />

proteico per valutare l’assetto proteico nel siero dei pazienti. Inoltre, come parte integrante<br />

dello studio, è stata valutata con metodo ELISA la ricostituzione anticorpale specifica contro<br />

Tetano, Difterite e Poliovirus.<br />

Correlazioni cliniche Dati clinici e di laboratorio sono stati raccolti dalle cartelle cliniche.<br />

Sono state valutate possibili correlazioni tra ricostituzione anticorpale ed incidenza di<br />

complicanze trapiantologiche quali la GVHD. Inoltre, si è correlata la produzione anticorpale<br />

con la risposta della malattia post-trapianto dividendo i pazienti in due gruppi:<br />

100


a) ottenimento della remissione completa clinica post trapianto;<br />

b) non ottenimento della remissione.<br />

RISULTATI<br />

Diciotto pazienti affetti da mieloma multiplo sottoposti a trapianto allogenico non<br />

mieloablativo sono stati sinora valutati. La risalita dei linfociti B post trapianto è risultata<br />

simile a quello dei soggetti in eta’ neonatale e pediatrica. Nell’immediato periodo post<br />

trapianto i valori di linfociti B CD19-pos CD20-pos circolanti sono risultati mediamente<br />

molto bassi rispetto agli individui normali nei quali i valori di riferimento sono considerati dai<br />

50/µl ai 500/µl. Si è notato un graduale recupero che diventa pero’ consistente solo a due-tre<br />

anni dal trapianto non mieloablativo indicando un prolungato periodo di immunosoppresione.<br />

Il rialzo delle classi G, A ed M delle immunoglobuline segue l’andamento dei linfociti B.<br />

Rimane pero’ importante il fatto che lo stato della malattia mielomatosa, in remissione (RC) o<br />

non in remissione, ha giocato un ruolo fondamentale. Il recupero anticorpale è stato<br />

policlonale nei pazienti in RC ed è stato quindi qualitativamente più efficace. Inoltre, pur<br />

rimanendo tendenzialmente ai valori inferiori della norma, le IgG1 e IgG3 ricalcano la<br />

normale ontogenesi. Le IgG4 rimangono notevolmente ridotte rispetto ai valori normali<br />

durante tutto il periodo di osservazione. Nei pazienti che non h<strong>anno</strong> raggiunto la remissione è<br />

costituito in buona parte dalla componente monoclonale del mieloma. Inoltre, si nota la<br />

riduzione delle IgA ed IgM che caratterizza la retroinibizione della produzione delle<br />

immunoglobuline policlonali da parte del clone neoplastico. Inoltre, nei pazienti che h<strong>anno</strong><br />

raggiunto la RC, c’e’ un trend statistico per un aumento dell’incidenza di malattia da trapianto<br />

contro l’ospite (graft versus host disease, GVHD) (p=0.06) che denota la presenza di un<br />

potente effetto antitumorale, ma potrebbe anche confermare l’osservazione di alcuni autori<br />

dell’implicazione del compartimento cellulare B nella patogenesi della GVHD.<br />

In un sottogruppo di 10 pazienti si è valutata la risposta umorale specifica contro antigeni<br />

comuni prima e dopo vaccinazione contro il tossoide tetanico, la difterite ed i poliovirus. Si è<br />

notata una buona risposta a tutte le stimolazioni antigeniche sottolineando l’importanza di<br />

programmi di vaccinazione specifica post-trapianto avvenuti a circa un <strong>anno</strong> dal trapianto nei<br />

pazienti studiati<br />

CONCLUSIONI<br />

La ricostituzione del compartimento B nei pazienti affetti da mieloma sottoposti a trapianto<br />

allogenico non mieloablativo ricorda l’ontogenesi dei linfociti B. La ripresa del numero dei<br />

linfociti B post trapianto è graduale e raggiunge valori normali solo dopo parecchi mesi dal<br />

trapianto. Inoltre, il rialzo ricorda quello fisiologico notato nei neonati e nei soggetti in età<br />

pediatrica che h<strong>anno</strong> raggiunto la remissione della malattia. La ricostituzione anticorpale<br />

dipende fortemente dallo stato della malattia di base. Nel caso di malattia in remissione vi è<br />

un incremento policlonale delle immunoglobuline che segue quello dei linfociti B con<br />

recupero dei valori di IgG, IgA ed IgM. La vaccinazione si è rivelata utile per stimolare la<br />

produzione anticorpale contro difterite, tetano e poliovirus. Pur rimanendo tendenzialmente ai<br />

valori inferiori della norma, le IgG1 e IgG3 ricalcano la normale ontogenesi. Le IgG4<br />

rimangono notevolmente ridotte rispetto ai valori normali durante tutto il periodo di<br />

osservazione. Nel gruppo di pazienti studiato, la remissione completa ha portato ad un buon<br />

recupero della funzionalità umorale che ha ridotto significativamente gli episodi infettivi.<br />

Essi, salvo altre indicazioni cliniche, non necessitano di infusione di immunoglobuline a<br />

scopo profilattico con un notevole risparmio della spesa sanitaria.<br />

101


Graziella Bruno Filone tematico D1<br />

Incidenza di retinopatia diabetica nella coorte di popolazione del registro<br />

diabete tipo 1 della provincia di Torino<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina Interna<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Le complicanze oculari del diabete rappresentano la principale causa di cecità in età<br />

lavorativa nei paesi industrializzati. In uno studio condotto nella Provincia di Torino - basato<br />

sull’archivio delle indennità erogate per cecità - la retinopatia diabetica è risultata la seconda<br />

causa di cecità, preceduta solo dalla cataratta. La fotocoagulazione mediante laser si è<br />

dimostrata efficace nel ridurre la cecità conseguente a retinopatia in almeno il 60% dei casi,<br />

ma un numero ancora maggiore di pazienti ne potrebbe trarre beneficio se il trattamento fosse<br />

somministrato in stadi sufficientemente precoci della malattia. Tuttavia, la retinopatia ad alto<br />

rischio non causa sintomi visivi e quando questi ultimi si manifestano è spesso troppo tardi<br />

per correggerli. Un periodico programma di screening riduce il rischio di evoluzione in<br />

retinopatia proliferante.<br />

Il diabete tipo 1 interessa soggetti in giovane età nei quali le complicanze della malattia h<strong>anno</strong><br />

un elevato costo sociale e pesanti conseguenze sulla capacità lavorativa. Studi condotti negli<br />

Stati Uniti e in Europa h<strong>anno</strong> evidenziato come il 40% dei soggetti con diabete tipo 1 sia<br />

affetto da retinopatia diabetica non proliferante e il 10% da retinopatia proliferante. I<br />

principali fattori di rischio identificati sono il compenso glicemico e la durata di malattia.<br />

Secondo alcuni autori, inoltre, la retinopatia è associata a insulino-resistenza ed ad alterazioni<br />

del quadro lipidico. Tuttora controverso è invece il ruolo della durata di malattia nella fase<br />

prepuberale, definita da età < 11 anni nei maschi e


soggetti sono stati reclutati tramite la collaborazione dei servizi diabetologici di riferimento.<br />

Ogni soggetto è stato quindi invitato presso il Centro della Retina del Dipartimento di<br />

Medicina Interna dell’Università di Torino (Ospedale Molinette) dove sono state effettuate<br />

due fotografie retiniche. Uno specialista esperto nel settore ha provveduto quindi alla lettura e<br />

alla classificazione delle immagini. Rispetto all’esame del fondo dell’occhio, la fotografia<br />

consente una documentazione permanente e documentabile nel tempo; tale procedura è<br />

indispensabile per garantire la validità della lettura effettuata, secondo modalità standardizzate<br />

a livello internazionale.<br />

Sono stati desunti retrospetticamente dalla documentazione clinica di ogni caso della coorte i<br />

valori di HbA1c al fine di calcolare l’HbA1c individuale cumulativa media; sono inoltre stati<br />

valutati dati clinici attuali (pressione arteriosa, peso, circonferenza vita).<br />

Sono stati esaminati finora 346 soggetti con diabete mellito tipo 1, di età 26 ± 7 anni, durata<br />

di malattia 10± 3 anni. In questi, la prevalenza di retinopatia diabetica è risultata bassa (3.1%),<br />

con soli 2 casi affetti da retinopatia proliferante. Il compenso glicemico è mediamente<br />

risultato ottimo(HbA1c 7.2 ± 0.4). Nell’insieme, questi dati sottolineano l’elevata qualità della<br />

cura erogata ai diabetici nella nostra area geografica. Al completamento dell'analisi statistica,<br />

i dati verrano utilizzati per produrre una pubblicazione scientifica internazionale.<br />

103


Alfredo Brusco Filone tematico A2<br />

Biologia dei metalli pesanti in linee e modelli cellulari di malattie<br />

neurodegenerative ereditarie<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Genetica, Biologia e Biochimica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Tra i metalli pesanti, il cadmio (Cd) è stato recentemente coinvolto come inibitore diretto dei<br />

meccanismi di riparazione del DNA di tipo “mismatch repair” (MMR). In particolare si è<br />

dimostrato come nel lievito l’incubazione con concentrazioni di CdCl2 di 5 uM causi una<br />

ipermutabilità inibendo direttamente il sistema MMR. Sia nell’uomo che nel lievito, due<br />

distinti complessi eterodimerici si occupano di correggere i mismatch: MSH2/MSH6<br />

riconosce mismatch di singola base, mentre MSH2/MSH3 riconosce piccoli loop. E’ noto che<br />

mutazioni in uno dei geni di queste proteine causa un’instabilità genomica, visibile come<br />

instabilità dei microsatelliti, ed aumenta drasticamente l’incidenza di alcuni tumori umani,<br />

quali il tumore al colon. Mutazioni nei geni MMR sono la causa genetica principale di un<br />

gruppo di tumori noti come HNPCC (Hereditary Non Polyposis Colon Cancer). Queste forme<br />

di tumore sono ereditarie e vengono diagnosticate anche attraverso l’analisi dell’instabilità di<br />

marcatori microsatelliti, in particolare dei marcatori noti come BAT25, BAT26 e BAT40.<br />

OBIETTIVO<br />

Abbiamo deciso di verificare se il cadmio potesse influenzare l’instabilità di regioni<br />

microsatellite che si trovano espanse ed instabili nella trasmissione famigliare in patologie<br />

neurodegenerative. In particolare, abbiamo selezionato tre patologie, due dovute ad espansioni<br />

di una ripetizione codificante CAG (Atassia Spinocerebellare autosomica dominante di tipo<br />

SCA1 e SCA2), ed una dovuta all’espansione di una ripetizione GAA intronica (Atassia di<br />

Friedreich). Le SCA sono un gruppo di patologie neurodegenerative caratterizzate da atassia<br />

cerebellare progressiva, spesso associata ad altri sintomi neurologici. Le SCA sono<br />

geneticamente eterogenee, e comprendono al momento 23 sottotipi (SCA1-8, SCA10-22, 25 e<br />

SCA-FGF14). L’atassia di Friedreich (FA) è dovuta all’assenza della proteina fratassina,<br />

normalmente localizzata nei mitocondri. La sua funzione è legata al metabolismo del Ferro<br />

all’interno dei mitocondri ed al suo flusso attraverso la membrana mitocondriale.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Abbiamo esaminato il comportamento delle ripetizioni espanse in tre linee linfoblastoidi: una<br />

linea SCA1 con 50 ripetizioni CAG, una linea SCA2 con 42 ripetizioni CAG ed una linea FA<br />

con 550/800 ripetizioni GAA. E’ stata inoltre utilizzata una linea derivata da un soggetto sano<br />

come controllo. Le linee sono state divise in quattro aliquote: una non trattata, e tre trattate<br />

con una concentrazione crescente di CdCl2: 0, 2.5 uM, 5 uM, 50 uM. Le linee sono state<br />

recuperate dopo 48h, 96 h, 8 g, 16 g. Per ciascuna aliquota è stato estratto il DNA genomico<br />

usando il kit Nucleospin DNA extraction kit (Macherey-Nagel). L’instabilità delle regioni<br />

microsatellite è stata valutata mediante PCR fluorescente amplificando il marcatore BAT26,<br />

che contiene un omopolimero poly-A. Per ciascuna linea è stata inoltre amplificata la regione<br />

corrispondente alla ripetizione espansa. Gli amplificati delle regioni BAT26, SCA1 e SCA2<br />

104


sono stati corsi su sequenziatore automatico ABI 3100 avant e analizzati mediante il software<br />

Genescan ver 2.6 (Applied Biosystems). La ripetizione GAA del gene FRDA1 è stata invece<br />

verificata su gel di agaroso 0.6%-TBE 1X.<br />

RISULTATI<br />

L’instabilità del microsatellite BAT26 viene definita dall’aumento/diminuzione di almeno tre<br />

basi del picco principale. In nessuna linea, esaminata per i quattro tempi, corrispondenti a 2-4-<br />

8-16 divisioni, e tre concentrazioni crescenti di CdCl2 (2,5, 5, 50 uM), è stata verificata<br />

un’instabilità del microsatellite BAT26. Anche l’analisi delle ripetizioni CAG nei geni SCA1<br />

e SCA2 nelle rispettive linee con espansione, e della ripetizione GAA nella linea FA non<br />

h<strong>anno</strong> mostrato alcuna instabilità, confrontando la stessa linea nelle 16 aliquote diverse (4<br />

tempi, 4 concentrazioni di cadmio). Alla concentrazione di 50 uM di CdCl2 è stata notata una<br />

forte inibizione della crescita.<br />

CONCLUSIONI<br />

Lunghi tratti omopolimerici sono soggetti a errori di replicazione normalmente corretti dai<br />

sistemi MMR. Il CdCl2 è stato dimostrato essere coinvolto nell’inibizione di questi sistemi in<br />

lievito (Jin et al. <strong>2003</strong>). Il sistema utilizzato da questi autori evidenzia le mutazioni frameshift<br />

in un omopolimero di (A)14 nel gene Lys2, con effetti già visibili ad una dose di 0.5 uM e<br />

verificati fino 5 uM. L’effetto mutageno è proporzionale alla concentrazione di CdCl2, e<br />

passa da 10 a 2000 volte. A 12.5 uM la crescita del lievito è inibita. Abbiamo cercato di<br />

esaminare gli effetti mutageni del CdCl2 su linee linfoblastoidi contenenti ripetizioni di<br />

triplette instabili, che nei pazienti tendono a variare spontaneamente di numero sia a livello<br />

somatico che germinale. Siamo partiti dall’analisi di un omopolimero poly-A contenuto nel<br />

microsatellite BAT26, e normalmente utilizzato per verificare l’instabilità dovuta alla<br />

mancanza dei sistemi di riparo MMR in cellule umane. In nessun caso abbiamo potuto notare<br />

un’instabilità di BAT 26. Poiché è stato dimostrato che in vitro CdCl2 inibisce i sistemi<br />

MSH2-MSH6 in lisati di cellule umane (Clark e Kunkel, 2004), la mancanza di un effetto<br />

visibile su BAT26 è inatteso. E’ anche stato dimostrato che linee mancanti di MSH2 non<br />

aumentano in modo apprezzabile l’instabilità dei miscrosatelliti, in linea con l’ipotesi che<br />

CdCl2 inibisca direttamente questo complesso.<br />

I nostri dati e queste considerazioni suggeriscono che solo lunghi periodi di esposizione al<br />

CdCl2 permettano di vedere risultati apprezzabili sull’instabilità delle linee. Inoltre l’uso di<br />

ripetizioni GAA di 500-800 ripetizioni avrebbe dovuto evidenziare un effetto del metallo<br />

sull’instabilità anche lieve, poiché essendo così ampie, queste ripetizioni sono facilmente<br />

soggette ad errori di replicazione dovuti allo slittamento della polimerasi. E’ anche possibile<br />

che i sistemi di riparazione MMR umani, più complessi di quelli del lievito, ritardino l’effetto<br />

delle concentrazioni di cadmio utilizzate, che tuttavia non possono essere ulteriormente<br />

elevate per un effetto tossico diretto del metallo sulla crescita cellulare.<br />

Seguendo queste ipotesi, l’idea proposta da McMurray e Tainer (<strong>2003</strong>) che il Cadmio formi<br />

all’interno di ripetizioni CAG complessi con il DNA aumentandone l’instabilità non sembra<br />

tuttavia verosimile: ci saremmo attesi un effetto mutagenico marcato del Cadmio, molto più<br />

evidente nei casi di espansione CAG In conclusione riteniamo che l’effetto tossico del CdCl2<br />

sul sistema di riparazione MMR in cellule umane non sia visibile alle concentrazioni utilizzate<br />

entro le 16 replicazioni. Proponiamo quindi ulteriori esperimenti simili a quelli descritti ma di<br />

lungo termine (della durata di 6-8 mesi) per verificare l’effetto inibitore del metallo sui<br />

sistemi MMR e sull’instabilità dei microsatelliti.<br />

105


Carlo Buffa Filone tematico D1<br />

Analisi clinico-epidemiologica, biochimica e molecolare delle malattie da<br />

prioni dell'uomo in <strong>Piemonte</strong><br />

ASL3 di Torino<br />

UO di Neurologia<br />

Le malattie da prioni o encefalopatie spongiformi trasmissibili (EST) sono patologie<br />

neurodegenerative a prognosi infausta correlate al deposito di una proteina normalmente<br />

presente nei tessuti normali che assume una conformazione alterata e precipita nel tessuto<br />

nervoso.<br />

Le EST umane vengono classificate in forme sporadiche (malattia di Creutzfeldt-Jakob<br />

sporadica [sCJD], insonnia fatale sporadica [sFI]), genetiche (malattia di Creutzfeldt-Jakob<br />

genetica [gCJD], sindrome di Gerstmann-Straussler-Scheinker [GSS], insonnia fatale<br />

familiare [fFI]), acquisite o infettive (malattia di Creutzeldt-Jakob iatrogena [iCJD] e variante<br />

di CJD [vCJD] – quest’ultima forma epidemiologicamente correlata all’epidemia di<br />

encefalopatia spongiforme bovina (BSE) degli anni ’90. È noto che una percentuale variabile<br />

tra il 15 ed il 20% di tutte le malattie da prioni sono malattie ereditarie da riferire a mutazioni<br />

del gene PRNP codificante la proteina prionica endogena. Pertanto nell’ambito del corretto<br />

inquadramento diagnostico di queste malattie l’analisi di detto gene è un passo fondamentale.<br />

A ciò si aggiunge l’osservazione che il tipo biochimico di proteina prionica (cosiddetto 2B)<br />

che caratterizza la vCJD è spesso sovrapponibile a quello che si osserva in alcune forme<br />

genetiche e pertanto risulta importante eseguire l’analisi della sequenza del gene tutte le volte<br />

che il dato biochimico post-mortem è controverso.<br />

Dal 2002 è attivo presso l’A.S.L. 3 il Centro per la Diagnosi e l’Osservazione delle Malattie<br />

Prioniche dell’uomo (D.O.M.P.) che ha il ruolo di effettuare gli esami necessari alla diagnosi<br />

di certezza delle EST umane.<br />

Dal 2004 è stata implementata la metodica di sequenza diretta del gene PRNP per la ricerca<br />

delle mutazioni. Si tratta di un gene costituito da due esoni la cui ORF (Open Reading Frame)<br />

è contenuta nel secondo esone. Dal punto di vista metodologico viene effettuata una<br />

amplificazione del secondo esone mediante PCR ed il suo successivo sequenziamento. I dati<br />

vengono quindi analizzati mediante un software ad hoc. In presenza di mutazioni puntiformi il<br />

risultato viene comunque validato mediante PCR-RFLP.<br />

Al marzo 2006 sono stati studiati mediante sequenza dell’ORF 15 pazienti con sospetta EST.<br />

Sono stati idenficati 7 casi genetici (2 con mutazione E200K, 2 con mutazione V210I, 2 con<br />

mutazione P102L, 1 con mutazione D178N). L’esame è disponibile per tutte le strutture del<br />

servizio sanitario ed il tempo massimo di risposta è di circa 3 settimane lavorative. Nei<br />

prossimi mesi la metodica verrà integrata con la messa a punto della determinazione<br />

dell’aplotipo delle varie mutazioni rispetto al codon 129 del gene.<br />

106


Massimiliano Bugiani Filone tematico A1<br />

Incidenza dell’infezione TB latente in lavoratori della sanità<br />

A.S.L 4<br />

Struttura Complessa di Pneumologia B CPA<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il rischio tubercolosi è una importante problema per gli operatori sanitari: il controllo è basato<br />

sullo screening dell’infezione latente. Nel 2000 sono state introdotte linee guida regionali:<br />

obiettivo è misurare l’incidenza dell’infezione tubercolare (TB) in presidi/reparti con<br />

differenti livelli di rischio e l’impatto delle linee guida. Nel 2001 il test QuantiFERON®-TB<br />

(QFT) (prodotto dalla Cellestis Limited, Carnegie, Victoria, Australia) è stato approvato negli<br />

Stati Uniti dalla Food and Drug Administration (FDA) quale valido ausilio nella diagnosi<br />

dell’infezione TB latente. Si tratta di un test diagnostico in vitro che misura una parte della<br />

risposta immune cellulo-mediata al M. tuberculosis. Il test è basato sulla misurazione<br />

dell’interferone-gamma (IFN-γ) rilasciato dai linfociti sensibilizzati del sangue intero<br />

incubato per una notte con antigeni del Mycobacterium tuberculosis (MT) e con antigeni di<br />

controllo: obiettivo stimare la validità del Quantiferon TB GOLD nella diagnosi di infezione<br />

TB.<br />

OBIETTIVI METODI E RISULTATI<br />

Obiettivo I: stima dell’incidenza annua di infezione TB latente<br />

Metodi I: sono stati esaminati ed analizzati i risultati degli screening tubercolinici condotti<br />

sul personale di 3 ASL Torinesi tra il 1/1/1995 ed il 30/9/2004. Sono stati classificati i<br />

reparti/presidi per livello di rischio secondo i criteri dei CDC di Atlanta modificati dal<br />

Protocollo <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> e raggruppate le figure professionali per esposizione omogenea.<br />

La “cuticonversione” quale indice di infezione, è stata definita con criteri CDC: incremento di<br />

diametro del TST di 10 mm in 2 successivi controlli nei soggetti con precedente diametro di<br />

TST < 10 mm.<br />

Risultati I: su 300 TST test del 5%<br />

per alcuni reparti, Microbiologia, Veterinaria 5.2 (3.6-7.4). Riguardo all’<strong>anno</strong> fino al 2000 i<br />

tassi erano in media 3.0% annuo (1.8- 5.0), dopo il 2000 (<strong>anno</strong> di introduzione delle LG<br />

regionali) 0.5 (0.16- 1.6).<br />

Obiettivo II: validazione della metodica Quantiferon TB GOLD.<br />

Metodi II: è stata utilizzata la metodica Quantiferon TB GOLD (QFTG), basata su antigeni<br />

specifici (ESAT-6 e CFP-10). Previa approvazione del comitato etico ASL 4 su 421 persone è<br />

107


stato eseguito il test QFTG e il test alla tubercolina (TST). Complessivamente sono stati<br />

eseguiti 454 QFTG (33 sono in doppio). I soggetti appartenevano a tre categorie:<br />

1. pazienti affetti da Tubercolosi (18.5% del campione);<br />

2. persone ad alto rischio: immigrati, contatti di casi (43.6%);<br />

3. operatori sanitari (37.9%).<br />

Sono considerati positivi i risultati del TST-Mantoux con indurimento dell’area circostante<br />

alla somministrazione di diametro > 10 mm alla lettura dopo 48-72 ore e QFTG+ i test con<br />

risposta significativa al CFP-10, all’ESAT-6, al controllo positivo e nessuna risposta al<br />

controllo negativo.<br />

Risultati II: risulta positivo il 29.3% dei test QFTG,, il 36.1% nel gruppo 1, il 47.4% nel 2<br />

del 16.5% sono operatori sanitari. Sui 454 test eseguiti in doppio, TST e QFTG, il 35.7%<br />

risultano negativi ad entrambe, il 18.5% positivi ad entrambe Il 35.0% dei soggetti risultano<br />

TST-positivi/QFTG-negativi. Il 10.8% dei soggetti, infine, risultano TST- negativi /QFTGpositivi.<br />

La prevalenza di TST-positivi è del 53.5% mentre quella di QFTG-positivi è del<br />

29.3%.<br />

Per il gruppo degli operatori sanitari, infine, abbiamo le seguenti prevalenze: 36.0% di TSTpositivi<br />

e 12.8% di QFTG-positivi. Escludendo i soggetti BCG vaccinati la prevalenza di<br />

TST-positivi è del 56.3% mentre quella di QFTG-positivi è del 33.6%. Considerando, invece,<br />

i soggetti vaccinati la prevalenza di TST-positivi è del 52.6% mentre quella dei QFTGpositivi<br />

è del 7.9%. Se si considerano i candidati alla Terapia Preventiva (PT) troviamo un<br />

30% di indicazione alla terapia seguendo i risultati del test tubercolinico e un 8.4% di<br />

indicazione alla terapia preventiva seguendo i risultati del QFTG. (Concordanza = 73.09%, k=<br />

0.15, p


Giovanni Bussolati Filone tematico C1<br />

Espressione di mRNA per CgA in neoplasie prostatiche CgA-negative<br />

all’immunoistochimica. Correlazione con la sierologia.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana<br />

OBIETTIVO<br />

Il programma proposto prevedeva la valutazione dell’espressione di mRNA per<br />

Cromogranina A in neoplasie prostatiche CgA negative all’immunoistochimica e correlazione<br />

coi dati sierologici.<br />

Recentemente un’attenzione sempre maggiore è stata rivolta al carcinoma della prostata, in<br />

particolare alla differenziazione neuroendocrina dell’adenocarcinoma prostatico ed alla sua<br />

rilevanza clinica. Si è infatti ipotizzato che le cellule neuroendocrine possano avere una<br />

funzione regolatoria sia sulla crescita che sulla differenziazione del tessuto prostatico. Alcuni<br />

autori h<strong>anno</strong> evidenziato il fatto che adenocarcinomi con differenziazione neuroendocrina<br />

della prostata tendono a comportarsi in maniera più aggressiva. Il riconoscimento di tale<br />

differenziazione è quindi molto importante a complemento della diagnosi. I marcatori<br />

neuroendocrini, per esempio Cromogranina, possono essere titolati nel siero dei pazienti<br />

presso il Laboratorio Analisi, ma anche rilevati direttamente sul tessuto istologico delle<br />

biopsie e dei reperti operatori mediante tecniche di Immunoistochimica (per la valutazione<br />

dell’antigene del prodotto) e di RT PCR(per la valutazione del RNA messaggero) presso<br />

l’Anatomia Patologica.<br />

METODI E RISULATI<br />

Nella valutazione di tali parametri comparati in una serie di pazienti provenienti dalla<br />

Patologia Urologica è talvolta emersa una discrepanza tra i dati sierologici ed i dati<br />

immunoistochimici. Infatti alcuni pazienti con titolazione sierologia di Cromogranina sopra il<br />

valore soglia, presentavano una negatività o bassa positività immunoistochimica con<br />

anticorpo anti Cromogranina. E’ stata quindi messa a punto una metodica di amplificazione<br />

del segnale antigenico mediante l’impiego di Tyramide, secondo l’originale procedura<br />

descritta nel nostro laboratorio da Volante et al.<br />

E’ stata selezionata una casistica di pazienti con biopsia positiva per adenocarcinoma<br />

prostatico, titolazione sierologica alta per Cromogranina e negatività o bassa positività<br />

immunoistochimica per Cromogranina sul prelievo bioptico. Inoltre è stata messa a punto la<br />

metodica di RT PCR per la valutazione dell’RNA messaggero per Cromogranina.<br />

Sulla serie selezionata di biopsie prostatiche è stata fatta la valutazione della presenza di<br />

Cromogranina tissutale su sezioni seriate sia con la metodica di immunoistochimica<br />

tradizionale (con e senza microwave pretreatment), e successivamente con amplificazione del<br />

segnale con Tyramide. Il materiale residuo di ciascun campione è stato estratto per la<br />

valutazione dell’Rna Messaggero per la Cromogranina con metodica RT-PCR.<br />

Le stesse indagini sono state condotte su una serie di biopsie prostatiche negative per<br />

carcinoma, su epitelio di tipo transizionale della vescica (come controllo) e su tessuto<br />

neuronale e gangliare periprostatico, al fine di valutare eventuali interferenze nell’espressione<br />

109


della Cromogranina.<br />

Tutti i dati ottenuti sono stati correlati con i valori sierologici dei singoli casi, giungendo così<br />

a conclusioni che st<strong>anno</strong> per essere inviate per pubblicazione.<br />

In parallelo a questo studio sulla differenziazione neuro-endocrina del carcinoma prostatico<br />

sono state svolte indagini sulla ormono-dipendenza di questo tumore, in particolare sulla<br />

presenza di recettori per Ossitocina e sull’effetto di tale ormone sulla proliferazione di cellule<br />

neoplastiche. I risultati ottenuti prospettano l’impiego di analoghi dell’Ossitocina nel<br />

controllo della crescita del carcinoma.<br />

110


Federico Bussolino Filone tematico A2<br />

Diagnosi e terapia delle metastasi epatiche: un approccio proteomico<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Oncologiche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

I carcinomi del colon e del retto sono neoplasie a prognosi severa, spesso infausta, in<br />

relazione al loro potenziale metastatico al fegato, polmone o cervello. Per quanto riguarda le<br />

metastasi epatiche l’attuale chirurgia ne permette la resezione a patto di una diagnosi il più<br />

precoce possibile. Le tecniche istopatologiche o di radiodiagnostica sovente non consentono<br />

la precocità richiesta per il successo terapeutico, esigendo strumenti più sensibili. La terapia<br />

delle metastasi potrebbe inoltre avvantaggiarsi da una miglior conoscenza dell’interazione tra<br />

la cellula tumorale e il microambiente in cui si localizza.<br />

OBIETTIVO<br />

Lo scopo del progetto é stato quello di identificare nuovi e possibilmente specifici marcatori<br />

delle metastasi epatiche di colon-carcinoma utilizzando lo scrrening di una libreria fagica exvivo,<br />

dapprima su tessuto sano e successivamente sulla metastasi dello stesso paziente.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Abbiamo isolato la popolazione metastatizzata nel fegato mediante frazionamento tissutale da<br />

20 pazienti con tumore primitivo del colon o del retto e paragonata a tessuto epatico<br />

macroscopicamente indenne. Sono state utilizzate 3 librerie fagiche e in 9 esperimenti<br />

abbiamo osservato un arricchimento statisticamente significativo del legame dei fagi alla<br />

popolazione tumorale rispetto al tessuto normale. Da questo primo screening sono stati<br />

selezionati 7 peptidi.<br />

Successivamente i fagi codificanti per questi peptidi sono stati studiati nella loro capacità di<br />

legare 12 linee tumorali umane generate da tumori primitivi in varia sede o da metastasi. In<br />

questi esperimenti 2 peptidi h<strong>anno</strong> mostrato una grande e significativa specificità dal punto di<br />

vista statistico per la linea NCI-H630, derivata da una una metastasi epatica secondaria a un<br />

colon carcinoma. Successivamente la specificità di questo peptide é stata ulteriormente<br />

validata studiando il legame (100% di positività) su tessuto fresco di di casi di metastasi<br />

epatiche dell stessa origine. Utilizzando tessuto fresco, abbiamo testato con risultati negativi i<br />

seguenti altri tumori:<br />

- ovaio primitivo (6 casi),<br />

- metastasi all’ovaio (4 casi),<br />

- carcioma della mammella (8 casi).<br />

Stiamo ampliando la casistica reclutando tumori primitivi e secondari dei seguenti tessuti:<br />

polmone, pancreas, stomaco, cervello, rene, vescica e tiroide.<br />

La ricerca si sta ulteriormente sviluppando verso altri 2 obiettivi:<br />

1. messa a punto di un modello animale;<br />

111


2. identificazione della molecola espressa sulla membrana delle cellule tumorali che laga il<br />

petide o il fago specifico.<br />

Per la messa a punto del modello animale stiamo utilizzando l’inoculo nella milza, in topi<br />

nudi, di linee di carcioma del colon. Grazie al sistema portale la prima sede di diffusione é il<br />

fegato.<br />

Lo scopo di questo approccio é sia di ricapitolare in un modello più semplice quanto possa<br />

avvenire nell’uomo, sia di predisporre uno strumento per utilizzare il peptide come strumento<br />

diagnostico e come mezzo per veicolare selettivamente un farmaco nella sede della lesione.<br />

Risultati preliminari tuttavia suggeriscono che nel topo la selettività per la metastasi epatica é<br />

persa in quanto il peptide continua a non legare il tumore primitivo, ma lega anche metastasi<br />

polmonari, suggerendo come le caratteristiche dell’ospite modifichino e condizionino la<br />

risposta della cellula tumorale. Il peptide coniugato con tecnezio 199 si é dimostrato un<br />

capace di visualizzare le lesioni metastatiche in SPECT.<br />

Per quanto riguarda il punto l’identificazione del recettore (punto 2) stiamo utilizzando una<br />

tecnica proteomica. Le proteine presenti nelle membrane cellulari delle cellule tumorali delle<br />

metastasi epatiche sono state isolate, solubilizzate e sottoposte a cromatografia di affinità con<br />

il peptide. In questo mdo abbiamo isolato 9 proteine e sono in corso gli studi strutturali<br />

utilizzando la spettrometria di massa. Dati preliminari indicano il peptide lega una proteina di<br />

transmembrana simile a quella che lega “angioproietin-like protein”.<br />

112


Anna Maria Cacciatore Filone tematico A3<br />

Studio di coorte storico sui lavoratori dello stabilimento Michelin di<br />

Cuneo: incidenza dei tumori delle vie urinarie.<br />

ASL n. 15 Dipartimento di Prevenzione<br />

Servizio Prevenzione Sicurezza negli Ambienti di Lavoro<br />

MATERIALI E METODI<br />

Nel periodo compreso tra l’1 maggio 2004 ed il 28 febbraio 2005 l’Assistente di <strong>Ricerca</strong>, ha<br />

effettuato l’acquisizione dei dati relativi alle diagnosi di carcinoma transizionale delle vie<br />

urinarie presso la Struttura Complessa di Anatomia Patologica dell'ospedale San Lazzaro,<br />

presidio dell'Azienda <strong>Sanitaria</strong> Locale n. 18 di Alba - Bra. Ottenuti i dati di interesse per lo<br />

studio, l’Assistente di <strong>Ricerca</strong> ha inserito gli stessi nel data base specifico utilizzando il<br />

software a disposizione presso il Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di<br />

Lavoro dell’Azienda <strong>Sanitaria</strong> Locale n. 15 di Cuneo.<br />

RISULTATI<br />

La raccolta dei dati ha fornito i seguenti risultati: è stato esaminato il periodo compreso tra il<br />

1980 e tutto il 1997, con la rilevazione di un totale di n. 45263 referti distribuiti in n. 196<br />

volumi e l’individuazione di 881 diagnosi di interesse. Il numero medio annuale degli<br />

istologici ha mostrato un costante incremento; infatti, su base media triennale, tale dato è<br />

salito da un valore di 1404 (1980-82) a 1800 (1983-85) a 2012 (1986-88) a 2061 (1989-91) a<br />

2407/<strong>anno</strong> (1992-94). Questo valore ha manifestato un forte incremento in corrispondenza<br />

dell'ultimo triennio, con valori corrispondenti a 4967 nel 1995, 5317 nel 1996 e 5926 nel<br />

1997. Parallelamente, l'analisi delle diagnosi di neoplasia dell'epitelio transizionale delle vie<br />

urinarie è passato da 1,1% nel primo triennio considerato a 1,7% nel triennio 1994-97.<br />

Tali osservazioni, rispetto all'attività svolta dalla struttura complessa di Anatomia Patologica<br />

dell'A.S.L. 18, permettono di concludere che l'interesse nei confronti della patologia<br />

neoplastica transizionale delle vie urinarie sia cresciuta in misura relativamente superiore<br />

rispetto all'insieme delle altre istologie, con un incremento del 55%.<br />

Le nuove diagnosi, istologicamente accertate, acquisite presso l’Ospedale San Lazzaro si<br />

aggiungono pertanto all’archivio già presente presso il Servizio di Prevenzione e Sicurezza<br />

negli Ambienti di Lavoro dell’Azienda <strong>Sanitaria</strong> Locale n. 15 di Cuneo.<br />

Per completare la rilevazione finora condotta direttamente nelle Strutture di anatomia ed<br />

istologia patologica, e portare la rilevazione allo stesso livello di aggiornamento in tutti gli<br />

Ospedali di nostro interesse, sono stati utilizzati gli archivi informatizzati delle Schede di<br />

dimissione ospedaliera, in possesso della SCDU di Epidemiologia dei Tumori, Università<br />

degli Studi di Torino e ASO San Giovanni Battista di Torino. Sono stati estratti in particolare<br />

i record relativi ai ricoveri avvenuti negli istituti ospedalieri già oggetto della rilevazione<br />

diretta nelle Strutture di anatomia ed istologia patologica, con codice nosologico<br />

corrispondente ad una diagnosi di tumore maligno delle vie urinarie.<br />

L’estrazione include per tutti gli Ospedali in studio l’intero insieme di anni disponibili, vale a<br />

dire dal 1996 al <strong>2003</strong>. Il dataset così ottenuto sarà utile per:<br />

113


1. convalidare mediante i risultati della ricerca diretta quelli della ricerca basata su SDO,<br />

negli anni ed ospedali in cui vi è sovrapposizione delle due strategie di rilevazione da noi<br />

seguite;<br />

2. valutare di conseguenza se è possibile accodare direttamente al nostro archivio delle<br />

diagnosi i nuovi casi rilevati solo tramite la ricerca basata su SDO, oppure se occorre un<br />

ulteriore sforzo per recuperare la documentazione istologica a loro relativa.<br />

114


Ennio Cadum Filone tematico A3<br />

Predisposizione di un modello previsionale per l’identificazione delle<br />

ondate di calore e valutazione epidemiologica<br />

ARPA <strong>Piemonte</strong> – Area di Epidemiologia Ambientale<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Le condizioni di caldo estremo e l’impatto sulla salute sono un problema attuale specie dopo<br />

gli eventi dell’estate <strong>2003</strong>. Studi epidemiologici h<strong>anno</strong> identificato tra i soggetti più a rischio<br />

le persone affette da malattie cardio-respiratorie e gli anziani con ridotta capacità di<br />

termoregolazione. La possibilità di prevedere variazioni meteorologiche a breve periodo,<br />

consente la pianificazione e la gestione di interventi di prevenzione e riduzione del d<strong>anno</strong>.<br />

OBIETTIVO<br />

L’Area Previsione e Monitoraggio Ambientale e l’Epidemiologia Ambientale h<strong>anno</strong> condotto<br />

un progetto di analisi e studio di dati storici climatologici ed epidemiologici finalizzato alla<br />

realizzazione di un modello previsionale delle criticità dovute a condizioni meteorologiche<br />

avverse per la presenza di ondate di calore nella città di Torino.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Il progetto è stato così sviluppato:<br />

Analisi dei dati climatologici (1990-<strong>2003</strong>) per l’individuazione delle variabili meteorologiche<br />

che maggiormente influenzano al salute umana in condizioni di caldo estremo.<br />

Studio degli indici biometeorologici più utilizzati in letteratura per una valutazione del disagio<br />

fisiologico dovuto a condizioni di caldo estremo. Sulla base dei risultati della ricerca sono<br />

stati individuati come indici ottimali quattro diversi indici di “benessere”: Discomfort Index,<br />

Humidex, Heat Index e Heat Stress Index. L’HSI è un indice relativo che valuta la risposta<br />

fisiologica della popolazione alle variabili meteorologiche e che tiene conto delle peculiarità<br />

della zona in esame e dell’acclimatazione della popolazione. Gli studi effettuati nel progetto<br />

su questo indice ne h<strong>anno</strong> apportato migliorie e l’h<strong>anno</strong> implementato.<br />

Modello matematico per la valutazione dell’impatto delle ondate di calore sulla mortalità. Il<br />

modello è stato studiato per l’area di Torino di cui erano a disposizione i dati di mortalità. I<br />

parametri meteorologici utilizzati sono: temperatura massima, temperatura apparente massima<br />

e minima, numero di giorni consecutivi con temperatura apparente elevata, livello di ozono ed<br />

altri parametri meteorologici necessari al calcolo degli indici di “benessere” presi in esame.<br />

Scelta dell’albero decisionale più idoneo ad individuare i diversi livelli di rischio derivanti da<br />

condizioni meteorologiche di caldo estremo.<br />

Realizzazione “Bollettino previsionale delle ondate di calore per la città di Torino”. Sulla base<br />

degli studi meteorologici ed epidemiologici effettuati è stato realizzato un bollettino<br />

previsionale delle ondate di calore per Torino, sul quale vengono diverse informazioni:<br />

- METEOROLOGICHE: tipo di caldo, temperatura massima, umidità media giornaliera,<br />

temperatura apparente (massima e minima), livello di ozono massimo giornaliero ed<br />

indice sintetico di stress da calore (Heat Stress Index);<br />

- SANITARIE: numero di eventi sanitari in eccesso;<br />

115


- LIVELLI DI RISCHIO: “Nessun Allarme”, “Attenzione”, “Allarme” od “Emergenza”.<br />

Illustrazione di alcuni dei dati presenti nel bollettino<br />

“Eccesso di eventi sanitari”: intesi come numero di decessi giornalieri di persone con più di<br />

64 anni. L’eccesso è stato definito come differenza tra il numero di eventi atteso e il numero<br />

stimato dal modello. Gli eventi attesi giornalieri sono stati calcolati sulla base della serie<br />

storica maggio-settembre 1990-2002, con metodi di regressione non parametrica. Il modello<br />

multivariato ha poi suggerito i parametri da inserire nell’algoritmo di stima del numero di casi<br />

in eccesso, intorno ai quali sono state definite quattro classi possibili: nessuno, basso, medio o<br />

alto e tiene conto anche di variabili di input relative ai giorni precedenti la data di previsione:<br />

è stato infatti osservato frequentemente un intervallo di tempo tra le condizioni<br />

meteorologiche severe ed i conseguenti eccessi di mortalità.<br />

Livelli di Rischio, indice sintetico che unisce le informazioni meteorologiche e sanitarie<br />

previsionali. Il livello di rischio (0-1-2-3) è definito attraverso un albero decisionale che tiene<br />

conto dei valori di Heat Stress Index e dei valori assunti dagli indici di “benessere” nonché<br />

degli eccessi sanitari previsti dal modello. Il livello di rischio individuato può quindi derivare<br />

o da condizioni meteorologiche critiche o da un eccesso di eventi sanitari o da entrambi.<br />

Validazione e Test del modello revisionale. Prima di rendere operativa l’emissione quotidiana<br />

del Bollettino previsionale, il modello previsionale realizzato è stato testato sul periodo 1990-<br />

<strong>2003</strong>, in particolare sui dati meteorologici ed epidemiologici registrati durante l’estate <strong>2003</strong>.<br />

L’Heat Stress Index ha evidenziato la sua peculiarità di fornire informazioni aggiuntive<br />

rispetto gli altri più comuni indici biometeorologici in quanto valutando le condizioni<br />

meteorologiche estreme sulla base della climatologia locale permette di individuare situazioni<br />

estreme anche nei mesi meno caldi, quali maggio e settembre. In tali mesi temperature<br />

superiori al valore medio climatologico, seppur non proibitive, possono determinare disagio<br />

fisiologico alla popolazione anziana ed un incremento di morbilità e mortalità.<br />

Emissione quotidiana dei bollettini previsionali delle ondate di calore dal 1 giugno al 15<br />

settembre 2004.<br />

Analisi dei risultati. sono state effettuate diverse verifiche sul modello previsionale allo scopo<br />

di individuare eventuali sovrastime e/o sottostime del modello e apportare eventuali possibili<br />

migliorie. Tra le verifiche effettuate:<br />

- confronto tra valori di Heat Stress Index registrati e previsti a +24, +48, +72. Le previsioni<br />

sono risultate in buon accordo con gli osservati.<br />

- Confronto tra eventi sanitari in eccesso previsti ed osservati. Il modello previsionale ha<br />

dato buoni risultati.<br />

- Confronto tra livelli di rischio emessi ed eventi sanitari in eccesso registrati. Il modello<br />

mostrato dalle verifiche effettuate di avere buone performance previsionali.<br />

Studio dei risultati del 2004, e di possibili migliorie da apportare al modello, all’albero<br />

decisionale ed al layout dei bollettini in previsione del 2005.<br />

CONCLUSIONI<br />

Nell’estate 2004 non si sono verificate situazioni estreme come quelle verificatesi nel <strong>2003</strong>,<br />

ma la disponibilità di un bollettino previsionale si è comunque rivelata utile, come rilevato da<br />

indagini a posteriori effettuate mediante interviste con direzioni Sanitarie di Ospedali,Case di<br />

Cura e Assistenziali per anziani, e ai servizi socio-assistenziali, per mettere in opera misure<br />

preventive e interventi verso le popolazioni più a rischio, contribuendo, insieme a condizioni<br />

climatiche meno estreme, a ridurre l’impatto sulla salute delle ondate di calore<br />

116


Maria Costanza Calia Filone tematico C2<br />

L'interfunzionalità comunicativa nella partnership tra Ospedale e<br />

Hospice<br />

ASO S. Giovanni Battista<br />

Dipartimento Oncologico – S.C. Terapia del Dolore e Cure palliative<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Gli obiettivi e le azioni Le linee guida regionali inerenti l’applicazione delle cure palliative in<br />

<strong>Piemonte</strong> identificano nell’UOCP (Unità Operativa di Cure Palliative), la struttura di<br />

coordinamento della rete di cure palliative che si pone come “punto di sintesi e di svincolo fra<br />

cure specialistiche e cure primarie, garantendo continuità terapeutica, assistenziale e<br />

organizzativa…” (DGR 14/10/2002, n. 15-7336). Rispetto alle indicazioni precedenti, questa<br />

delibera contiene elementi di conferma ed elementi di novità. Vengono ribaditi come criteri di<br />

valore l’interdisciplinarietà e l’interfunzionalità nella cura del paziente in fase avanzata di<br />

malattia, confermando la necessità di una presa in carico globale, continua e competente.<br />

OBIETTIVO<br />

La ricerca si è posta come obiettivo quello di studiare e individuare elementi di forza e di<br />

debolezza del processo di comunicazione tra ospedale e hospice, sviluppando in due direzioni<br />

l’analisi:<br />

1. l’aspetto della comunicazione, relativo al trattamento e alla cura, tra i diversi operatori<br />

coinvolti;<br />

2. l’aspetto della comunicazione informativa verso i pazienti e i familiari.<br />

All’interno dell’ospedale, oltre alla Struttura Complessa di Terapia del Dolore e di Cure<br />

Palliative (UOCP), sono stati individuati i reparti di: Medicina Generale, Oncologia Medica e<br />

COES (Centro Oncologico ed Ematologico Subalpino). Gli hospice coinvolti sono quello di<br />

Busca presso l’ASL 15 di Cuneo e l’hospice gestito dalla Fondazione FARO presso<br />

l’Ospedale “S. Vito” di Torino.<br />

RISULTATI<br />

La ricerca ha evidenziato come la comunicazione scritta e orale è essenzialmente<br />

autoreferenziale, nel senso che dai documenti esaminati e dalle interviste svolte risulta molto<br />

chiaro cosa avviene all’interno delle singole strutture ma poco su come interagiscono.<br />

L’evidenza empirica di questa riflessione è data, anche, dall’esame dei materiali scritti censiti.<br />

In realtà dall’analisi dei diari e delle cartelle cliniche non è evidente il percorso di cura e di<br />

trattamento del paziente oncologico in fase terminale. Il percorso lo si desume dagli esami<br />

fatti e dai risultati ma non esiste l’esplicitazione del programma terapeutico che preveda<br />

l’intervento dei diversi reparti o di altre istituzioni. All’interno dei documenti clinici non sono<br />

evidenti le parti del sistema. Per essere più precisi il sistema lo si evince da una<br />

“comunicazione informativa”, quale:<br />

- la richiesta di esami strumentali o di consulenze e i referti segnano “la comunicazione” tra<br />

diversi reparti,<br />

- la lettera di dimissioni segna “la comunicazione” tra l’ospedale e l’hospice,<br />

- i materiali divulgativi con la descrizione del singole parti del sistema che “comunicano”<br />

l’esistenza e le funzioni delle diverse strutture;<br />

117


tuttavia non sembra esistere una programma terapeutico prodotto da una “comunicazione<br />

relazionale” tra le diverse parti.<br />

In più occasioni in questa ricerca si sono sottolineate le componenti fondamentali della<br />

comunicazione, quali il passaggio di informazione e la costruzione della relazione.<br />

Dall’analisi dei documenti e delle interviste realizzate è emerso come esiste con qualche<br />

difficoltà il passaggio unidirezionale dell’informazione da un reparto all’altro, più difficile da<br />

una struttura all’altra, ma del tutto inesistente lo scambio di informazioni (passaggi<br />

bidirezionali delle informazioni) tra le parti se non in casi particolari dove esiste una<br />

conoscenza personale del responsabile dell’altro reparto o dell’altra struttura. Date queste<br />

premesse, un sistema che basa la propria esistenza e funzionalità solo sul passaggio di<br />

informazioni non garantisce un buon servizio per il trattamento e la cura di pazienti così<br />

complessi come i malati oncologici in fase terminale. Il sistema per funzionare deve<br />

prevedere una comunicazione basata sulla costruzione e consolidamento delle relazioni<br />

personali tra gli operatori dei reparti e tra i responsabili delle strutture che costituiscono il<br />

sistema stesso. Per realizzare il passaggio da un “sistema informativo” ad un “sistema<br />

relazionale” per la cura del paziente oncologico in fase terminale si dovrebbero prevedere<br />

accordi e rispettare alcuni accorgimenti:<br />

1. comunicazione scritta:<br />

- prevedere accordi e atti tra i reparti e le istituzioni per definire i ruoli, le azioni e gli<br />

obiettivi per la progettazione del piano di cura e del trattamento secondo le indicazioni del<br />

DGR 14/10/2002, n. 15-7336;<br />

- prevedere un inserimento all’interno del sistema degli RSA e dei reparti di geriatria degli<br />

ospedali per ottimizzare l’invio dei paziente alle diverse strutture secondo le<br />

caratteristiche del caso;<br />

- prevedere all’interno della documentazione esistente specifiche sezioni che si riferiscono<br />

ai reparti e alle strutture facenti parte del sistema;<br />

- prevedere all’interno della cartella clinica la programmazione degli interventi previsti dai<br />

diversi reparti.<br />

2. Comunicazione orale<br />

- prevedere incontri mensili tra i responsabili dei reparti e delle strutture;<br />

- favorire, attraverso corsi di aggiornamento gli incontri tra operatori sanitari dei reparti e<br />

delle strutture, una diffusione più capillare attraverso momenti istituzionali delle cure<br />

palliative presso i vari presidi ospedalieri;<br />

- prevedere momenti istituzionali per promuovere la cultura delle cure palliative con la<br />

cittadinanza e con altre strutture socio-sanitarie (RSA, reparti di geriatria, ecc.) anche<br />

attraverso la diffusione delle brochure.<br />

CONCLUSIONI<br />

Questo lavoro di analisi della comunicazione di sistema ha indagato solo un piccolo segmento<br />

e quindi non consente generalizzazioni o traslazioni. Sono stati rilevati aspetti problematici o<br />

meglio critici al livello della fase di progettazione del sistema stesso. Le informazioni qui<br />

riportate rappresentano possibili elementi di riflessione relativi alla gestione del cambiamento<br />

del sistema in atto e prevedibile nel prossimo futuro. Si è in presenza di sistemi che<br />

confliggono e di interlocutori che si informano ma che non sono in relazione. Il passaggio da<br />

un sistema informativo ad un sistema relazionale lo si realizza se si favorisce e si progetta un<br />

sistema di contesto organizzativo, cioè un sistema di persone e di relazioni che supporti tale<br />

passaggio. L’efficacia e l’efficienza del sistema, come dimostra la ricerca condotta, è<br />

dimostrata dal grado di comunicazione che esiste tra le parti.<br />

118


Ferdinando Canavese Filone tematico A2<br />

Il criptorchidismo quale fattore di rischio di infertilità e di tumori<br />

testicolari<br />

A.S.O. O.I.R.M. S. Anna<br />

Ospedale Infantile Regian Margherita – Chirurgia Pediatrica B<br />

MATERIALI E METODI<br />

In base al finanziamento è stato possibile finanziare lo studio di 67 pazienti. E’ stata avviata e<br />

completata sugli archivi operatori e su quelli relativi alle degenze ordinarie la ricerca dei<br />

nominativi e degli indirizzi di pazienti operati in passato (anni 90’) per testicolo ritenuto che<br />

h<strong>anno</strong> raggiunto la maggiore età. Sono stai individuati 200 pazienti, ai quali è stata inviata una<br />

lettera di invito a partecipare allo studio.<br />

La parte operativa è iniziata a novembre 2004 e si è conclusa nel marzo 2005. In totale sono<br />

stati esaminati 18 pazienti, ricoverati in regime di day hospital presso U.O.di Endocrinologia<br />

dell’O.I.R.M: dove h<strong>anno</strong> effettuato dosaggio di FSH, LH testosterone plasmatici e<br />

consulenza chirurgica. H<strong>anno</strong> effettuato inoltre (17 pazienti) spermiogramma presso l’U.O. di<br />

Andrologia dell’Ospedale Sant’Anna in regime ambulatoriale.<br />

RISULTATI<br />

In generale i risultati sono poco significativi per le seguenti ragioni:<br />

1. la scarsa numerosità del campione (difficoltà di raggiungere pazienti dopo quasi 20 anni<br />

dal trattamento e probabile scarso interesse dei pazienti raggiunti);<br />

2. difficoltà di trarre conclusioni significative per il lungo periodo di follow-up - probabile<br />

vizio di selezione dei pazienti (si sono presentati prevalentemente quelli con problemi<br />

andrologici aggiuntivi, intervenuti durante il follow-up).<br />

Tenendo conto di questi limiti si evidenzia:<br />

- normalità degli esami ormonali in tutti i casi;<br />

- riduzione di volume del testicolo criptorchide in circa la metà dei casi;<br />

- oligoastenoteratozoospermia nel 41,1% dei casi;<br />

- astenoteratozoospermia nel 35,2% -astenospermia nell’11%;<br />

- azoospermia nel 5,8%;<br />

- normale spermiogramma nel 5,8%<br />

I risultati di questo studio sar<strong>anno</strong> integrati nel tempo con il raggiungimento dell’età adulta<br />

dei pazienti operati in passato. Sarà rilevante valutare la funzione testicolare in quelli operati<br />

prima dei due anni di vita poiché dati indiretti suggeriscono la possibilità di prevenire<br />

l’ipofertilità e ridurre il rischio carcinogenetico mediante questo trattamento precoce.<br />

119


Pier Luigi Canonico Filone tematico C1<br />

La farmacogenomica/genetica come strumento diagnostico/terapeutico<br />

nelle cefalee<br />

Università del <strong>Piemonte</strong> Orientale “Amedeo Avogadro”<br />

Dipartimento di Scienze Chimiche, Alimentari, Farmaceutiche e Farmacologiche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il sequenziamento del genoma umano, associato ad una miglior comprensione delle influenze<br />

genetiche nelle patologie e nella risposta ai farmaci, favorirà nel prossimo futuro lo sviluppo<br />

di protocolli farmacologici ottimizzati per i singoli pazienti, creando un risparmio<br />

considerevole allo stato, sia in termini economici, sia in termini sanitari. Infatti, un regime di<br />

terapia concepito su base genetica porterà ad un migliore utilizzo dei farmaci e quindi ad una<br />

aumentata efficacia terapeutica e ad una diminuzione degli effetti collaterali. Per dare un<br />

esempio dei possibili vantaggi che ne trarrebbe il sistema sanitario, basti pensare che negli<br />

Stati Uniti vi sono circa 18 milioni di ospedalizzazioni annue a causa degli effetti collaterali<br />

dei farmaci. Malgrado che le conoscenze attuali non permettano ancora una farmacogenetica<br />

ad ampio raggio, è fondamentale stabilire dei centri che siano in grado di recepire<br />

velocemente qualunque novità in questo campo e siano in grado di riversarne i frutti sul<br />

territorio. Per questo motivo, abbiamo proposto di creare un laboratorio di farmacogenetica<br />

ed, utilizzando l'expertise sulle cefalee proposta dal Centro UCADH, di cui facciamo parte, di<br />

studiare le possibili implicazioni farmacogenetiche nella terapia nei triplani.<br />

RISULTATI<br />

Per poter effettuare lo studio proposto, abbiamo messo a punto diverse metodiche che<br />

utilizzino la PCR per potere individuare single nucleotide polymorphisms (SNPs) nei geni di<br />

interesse. Nello specifico abbiamo generato protocolli che utilizzino la real-time PCR con<br />

probe fluorescenti e protocolli che utilizzano la capacità degli enzimi di restrizione di digerire<br />

sequenze specifiche all'interno di un amplificato. I pazienti sono stati reclutati dal Centro<br />

Cefalee dell'Ospedale Maggiore di Novara diretto dal Dott. Diego Bettucci, e dal centro<br />

Mondino di Pavia, dopo presentazione di domanda ai rispettvi Comitati Etici e previo<br />

consenso informato da parte dei pazienti.<br />

Al momento sono stati reclutati 90 pazienti, in terapia con farmaci per il trattamento acuto<br />

dell'attacco emicranico (triptani) e/o con farmaci per la prevenzione dell'attacco (flunarizina,<br />

amitriptilina). Abbiamo valutato 3 polimorfismi sul gene 5-HT1B: lo SNP T-261G e lo SNP<br />

A-161T, localizzati nella regione non codificante del gene e probabilmente responsabili del<br />

controllo della sua espressione, e G861C, localizzato sulla regione trascritta e che non risulta<br />

in una sostituzione aminoacidica (Val - Val). Gli ultimi due SNP non sembrerebbero essere<br />

associati con una variazione nella risposta clinica. Lo SNP T-261G, invece, merita un<br />

discorso a parte. Dall'analisi dei pazienti con risposta clinica nota sembrerebbe che i pazienti<br />

omozigoti GG in questa posizione sono altamente favoriti nella risposta ai triptani. Malgrado<br />

gli effetti collaterali sembrerebbero essere più frequenti in questa popolazione, la loro entità è<br />

risultata lieve e transitoria e quindi non influenza la terapia. Al momento, siamo in procinto di<br />

ultimare gli studi clinici per ampliare la nostra casistica. Inoltre, ci proponiamo di reclutare<br />

almeno altri 110 pazienti, per arrivare ad una casistica di 200.<br />

120


CONCLUSIONI<br />

Gli studi sin qui svolti h<strong>anno</strong> permesso di postulare che una componente genetica moduli la<br />

risposta ai triptani da parte di pazienti emicranici. D'altra parte, l'esiguità dei pazienti reclutati<br />

non pemette di trarre conclusioni certe. Per ovviare a questo si sta attivando una<br />

collaborazione e convenzione con l'Istituto Mondino di Pavia che dovrebbe reclutare oltre 200<br />

pazienti. Tale sbocco, permetterà, inoltre di poter presentare domanda di finanziamento per la<br />

continuazione del centro ed altri Enti, tra cui la Comunità Europea. Il lavoro svolto nel<br />

contesto di questo finanziamento ha permesso di aprire un filone i ricerca nuovo nel<br />

Dipartimento ed è servito per creare un laboratorio di farmacogenetica, che nel prossimo<br />

futuro potrebbe anche essere utilizzato come servizio per la Sanità. Ad esempio, la <strong>Regione</strong><br />

Toscana negli ultimi mesi ha inserito la genotipizzazione a scopi farmacogenetici nel suo<br />

nomenclatore tariffario. In ultimo, ci proponiamo di sottomettere questo lavoro per la<br />

pubblicazione nei prossimi mesi, quando la casistica sarà completa.<br />

121


Roberto Cantello Filone tematico C1<br />

Potenziali evocati motori e diagnostica della malattia di Parkinson<br />

Università del <strong>Piemonte</strong> Orientale “Amedeo Avogadro”<br />

Facoltà di Medicina e Chirurgia – Clinica Neurologica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La malattia di Parkinson (MP) è un processo neurodegenerativo cronico, caratterizzato dalla<br />

perdita di neuroni dopaminergici della sostanza nera. La conseguente disfunzione della via<br />

nigrostriatale altera il complesso circuito dei gangli della base determinando un’inadeguata<br />

attivazione delle aree motorie corticali. La stimolazione magnetica transcranica (TMS)<br />

permette di esplorare l’eccitabilità corticale. Infatti la TMS consente di eccitare a cranio<br />

intatto le aree motorie corticali, ottenendone risposte elettriche nei muscoli scheletrici,<br />

denominate Potenziali Evocati Motori (PEM). La misura dei PEM consente di determinare<br />

vari aspetti dell’eccitabilità del sistema corticospinale. La TMS è stata applicata allo studio<br />

della MP (Cantello et al 2002). Il periodo silente corticale (PS), un periodo di silenzio<br />

elettrico registrabile per alcune centinaia di millisecondi (ms) dopo il PEM in un muscolo<br />

tonicamente contratto, è stato ripetutamente trovato accorciato nella MP. Il PS esplora<br />

fenomeni inibitori corticali probabilmente mediati dal neurotrasmettitore GABA. Con la TMS<br />

è possibile misurare anche altri fenomeni corticali, quali l’“inibizione intracorticale a lunga<br />

latenza (LICI)”. Vi sono alcune indicazioni che la LICI sia alterata nella MP. Del resto, anche<br />

alla base della LICI si riconoscono meccanismi trasmettitoriali di tipo GABAergico. Con il<br />

presente studio si è voluto studiare l’eccitabilità corticale e i fenomeni inibitori GABAergici a<br />

lunga latenza (PS e LICI) in un gruppo di pazienti affetti da MP di recente diagnosi.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Abbiamo selezionato 18 pazienti (10 maschi e 8 femmine, età media 63,3±12,7 anni, range<br />

36-84 anni) con diagnosi di probabile MP idiopatica secondo i criteri clinici<br />

internazionalmente riconosciuti (Gelb et al 1999). Tutti i pazienti presentavano una sindrome<br />

parkinsoniana asimmetrica e nessuno aveva mai assunto in precedenza farmaci<br />

antiparkinsoniani. Tutti erano in uno stadio iniziale di malattia (stadiazione clinica secondo<br />

Hoehn & Yahr media 1,5±0,5). Tutti i pazienti sono stati studiati in fase off. Il punteggio<br />

medio dell’UPDRS III (off) era di 19,8±7,4. Abbiamo selezionato anche 10 soggetti sani di<br />

controllo (7 maschi e 3 femmine, età media 59,2±7,7 anni, range 47-66 anni). TMS La TMS è<br />

stata ottenuta mediante due stimolatori Magstim 200 connessi con un modulo Bistim. Gli<br />

stimoli magnetici sono stati erogati per mezzo di un coil focale “a otto” posizionato sullo<br />

scalpo in corrispondenza dell’area motoria della mano di entrambe gli emisferi. I PEM sono<br />

stati registrati dal muscolo I interosseo dorsale (FDI) durante contrazione muscolare (~20%<br />

dello sforzo muscolare massimale).<br />

In tutti i soggetti sono stati studiati i seguenti parametri di eccitabilità corticale: soglia di<br />

stimolazione durante contrazione muscolare (soglia attiva o AT), PEM massimale, periodo<br />

silente corticale (PS) e la cosiddetta inibizione corticale a lunga latenza (LICI). La AT era<br />

stabilita come la minima intensità (espressa come % della massima capacità dello stimolatore)<br />

in grado di evocare un PEM di circa 100 µV d’ampiezza in almeno il 50% di 10 stimoli<br />

consecutivi. Il PEM massimale è stato ottenuto usando stimoli magnetici pari a 200%AT.<br />

L’ampiezza dei PEM massimale veniva espressa come rapporto tra PEM e ampiezza<br />

122


dell’onda M ottenuta mediante stimolo elettrico sovramassimale del nervo motorio. Il PS è un<br />

periodo (espresso in ms) di silenzio elettrico che fa seguito ad un PEM ottenuto in un muscolo<br />

tonicamente contratto; è stato ottenuto mediante stimoli magnetici pari a 150%AT. La LICI è<br />

stata studiata mediante la tecnica del “doppio” stimolo, originalmente descritto da altri autori<br />

(Valls-Solè et al 1992, Claus et al 1992). In breve, uno stimolo magnetico (definito<br />

“condizionante”) è in grado di ridurre l’ampiezza del PEM ottenuto con un secondo stimolo<br />

magnetico (definito “test”) erogato tramite lo stesso coil e separato dal primo stimolo da un<br />

intervallo di tempo (intervallo interstimolo o ISI). Nel nostro studio abbiamo usato due<br />

stimoli magnetici di uguale intensità (150%AT) e abbiamo valutato i seguenti ISI: 50 ms, 100<br />

ms, 150 ms, 200 ms and 250 ms. Per ciascun ISI il PEM “condizionato” è stato espresso come<br />

rapporto con il PEM test.<br />

RISULTATI<br />

Tutti i risultati riportati sono espressi come Media ±1 Dev. St. I dati sono stati analizzati<br />

mediante ANOVA; per la significatività statistica è stato usato un test t con valore di<br />

significatività di p0,05). Il PEM massimale risultava di 0,42±0,13 e<br />

di 0,37±0,23 rispettivamente per l’emisfero più affetto e meno affetto nei pazienti<br />

parkinsoniani. Nei soggetti sani questo parametro era di 0,31±0,11 per l’emisfero dominante e<br />

0,46±0,09 per l’emisfero non dominante. Il PEM massimale risultava significativamente più<br />

ampio nell’emisfero affetto dei pazienti con MP rispetto all’emisfero dominante dei controlli<br />

(p=0,042). Lo studio della LICI ha permesso di evidenziare una differenza significativa<br />

limitatamente all’ISI 250 ms tra l’emisfero più affetto nei pazienti con MP (0,687±0,395%) ed<br />

entrambe gli emisferi dei controlli sani (emisfero dominante 1,048±0,222%, p=0,012;<br />

emisfero non dominante 1,035±0,208%, p=0,019). Abbiamo poi analizzato la relazione<br />

esistente tra PS e LICI. Abbiamo quindi suddiviso pazienti e controlli in base alla durata<br />

mediana del PS, ottenendo così per ciascun gruppo (emisfero più affetto, emisfero meno<br />

affetto, emisfero dominante, emisfero non dominate) due sottogruppi (PS > o < della<br />

mediana). La LICI era significativamente ridotta all’ISI 100 ms nei pazienti che presentano un<br />

PS di breve durata sia per l’emisfero più affetto (< mediana: 0,878±0,305%; > mediana:<br />

0,503±0,348%; p=0,029) che per quello meno affetto (< mediana: 0,783±0,328%; > mediana:<br />

0,490±0,213%; p=0,039).<br />

CONCLUSIONI<br />

Nel presente studio l’eccitabilità corticale non era significativamente diversa tra pazienti e<br />

controlli. Ciò potrebbe dipendere dall’esecuzione dello studio durante contrazione muscolare<br />

e dal conseguente uso di stimoli d’intensità “minore” (150%AT) rispetto ad analoghi studi<br />

presenti in letteratura. È stato comunque possibile stabilire una correlazione tra i fenomeni<br />

inibitori a lunga latenza. Infatti i pazienti con MP, in fase iniziale e senza terapia<br />

dopaminergica, che possiedono un PS di breve durata presentano anche una significativa<br />

riduzione della LICI all’ISI 100 ms. Tale correlazione è evidente in entrambe gli emisferi.<br />

Dunque, in un sottogruppo di pazienti affetti da MP in fase iniziale, l’inibizione corticale a<br />

lunga latenza risulta significativamente ridotta. Questo dato sembra inoltre concordare con<br />

l'ipotesi di una analoga genesi GABAergica di PS e LICI.<br />

123


Rosa Angela Canuto Filone tematico B3<br />

Dieta e prevenzione del tumore del colon: ruolo degli acidi grassi<br />

linoleico coniugato e docosaesaenoico<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina e Oncologia Sperimentale<br />

OBIETTIVO<br />

Nella presentazione del progetto sono stati posti 2 obiettivi:<br />

1. valutare gli effetti dei principali isomeri dell’acido linoleico coniugato (CLA) e dell’acido<br />

docosaesenoico (DHA) sullo sviluppo del tumore del colon, utilizzando la linea cellulare<br />

CaCo2;<br />

2. valutare il contenuto degli acidi grassi e, in particolare, del CLA e del DHA nel plasma e<br />

in campioni di tessuto tumorale prelevato da pazienti affetti da carcinoma del colon e, nel<br />

caso in cui sia disponibile materiale dopo l’analisi anatomo-patologica, anche su biopsie<br />

prelevate da pazienti affetti da poliposi;<br />

3. paragonare i risultati ottenuti sul plasma con quelli ottenuti in individui sani;<br />

4. paragonare i risultati ottenuti sul tessuto tumorale con quelli ottenuti su mucosa non<br />

neoplastica prelevata dagli stessi pazienti portatori del tumore.<br />

METODI<br />

Avendo a disposizione per alcuni pazienti campioni di tumore del colon e il plasma, ci si è<br />

concentrati sul secondo, terzo e quarto obiettivo, tenendo conto anche dell’entità del<br />

finanziamento ottenuto. Si è ritenuto importante esaminare la concentrazione percentuale<br />

degli acidi grassi nei tumori del colon in associazione con alcuni parametri di proliferazione e<br />

morte cellulare, in quanto diverse evidenze epidemiologiche e sperimentali mostrano che<br />

l’alimentazione ha un impatto sia positivo che negativo sul processo di cancerogenesi del<br />

colon e non è chiaro se i supplementi nutrizionali possano avere un ruolo nel trattamento<br />

adiuvante di tale tumore.<br />

RISULTATI<br />

Sono stati esaminati 12 pazienti e in generale si sono ottenuti i risultati di seguito descritti.<br />

1. l’analisi del contenuto di acidi grassi nei fosfolipidi del plasma per quanto riguarda i<br />

pazienti portatori dei tumori rispetto ad individui sani ha evidenziato un aumento degli<br />

acidi grassi saturi e una dimunzione degli acidi grassi poliinsaturi, in particolare del 18:2<br />

(acido linoleico) e del 20:4 (acido arachidonico).<br />

2. L’analisi del profilo degli acidi grassi dei fosfolipidi del carcinoma in rapporto con la<br />

corrispondente mucosa non neoplastica del colon ha evidenziato un aumento degli acidi<br />

grassi saturi e una dimunzione degli acidi grassi poliinsaturi, in particolare del 20:4 (acido<br />

arachidonico). Le diminuzioni sembrano in rapporto con il grado di deviazione del<br />

tumore. La diminuzione del 20:4 può essere spiegata con la presenza della COX-2 nella<br />

mucosa, dove normalmente non è espressa, oppure con il fatto di essere considerata un<br />

124


meccanismo di difesa utilizzato dal tumore per proteggersi dagli stress ossidativi e<br />

dall’apoptosi. I farmaci antiinfiammatori non steroidei, che inibiscono la COX-2, possono<br />

prevenire il tumore del colon e causare apoptosi, bloccando la sintesi di PGE2, che è<br />

considerata un fattore favorente lo sviluppo del tumore, e favorendo l’accumulo di acido<br />

arachidonico, che è, invece, un segnale di apoptosi.<br />

3. L’analisi del contenuto dei trigliceridi nella mucosa normale del colon e del carcinoma ha<br />

evidenziato una diminuzione massiva nel carcinoma rispetto alla mucosa normale.<br />

4. Dal momento che gli effetti degli acidi grassi sull’espressione genica possono essere<br />

mediati dai PPAR (peroxisome proliferator-activated receptor), recettori nucleari che<br />

agiscono come fattori di trascrizione, l’analisi in western blot ha messo in evidenza un<br />

aumento della isoforma gamma e una diminuzione della isoforma alfa. L’aumento<br />

dell’isoforma gamma potrebbe spiegare la diminuzione del fattore di trasduzione del<br />

segnale di proliferazione, pErk1,2. Infatti nei carcinomi del colon la proliferazione<br />

cellulare non è aumentata rispetto alla mucosa normale. La diminuzione della isoforma<br />

alfa potrebbe essere correlata ad una minore suscettibilità del tumore all’apoptosi e quindi<br />

ad una maggiore sopravvivenza delle cellule, fatto che con ogni probabilità contribuisce<br />

alla crescita tumorale.<br />

5. La minore suscettibilità all’apoptosi è confermata dall’aumento di alcune proteine antiapoptotiche,<br />

come bcl-2 e bcl-xL, che legandosi a proteine pro-apoptotiche ne<br />

impediscono l’azione. La presenza del PPARgamma nei tumori potrebbe indurre a mettere<br />

a punto un ligando di tale isoforma in grado di indurre il differenziamento delle cellule<br />

tumorali, mentre la mancanza del PPARalfa potrebbe indurre a trovare un induttore di tale<br />

isoforma in modo da indurre le cellule tumorali ad entrare in apoptosi.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

• Maggiora M., Bologna M., Cerù M.P., Possati L., Angelucci A., Cimini A., Miglietta A.,<br />

Bozzo F., Margiotta C, Muzio G, and Canuto R.A. An overview of the effect of linoleic<br />

and conjugated-linoleic acids on the growth of several human tumor cell lines. Intern. J.<br />

Cancer, 112: 909-919, 2004.<br />

• Muzio G., Biasi F., Canuto R.A. Tra lipidi, dieta e predisposizione genetica. La<br />

prevenzione della cancerogenesi. Torino Medica, 10, 49-55, 2004.<br />

• Canuto RA. Dieta e cancro: ruolo degli acidi grassi poliinsaturi (PUFA) nella prevenzione<br />

e progressione dei tumori. Meccanismi molecolari. Importanza dei fattori nutrizionali. In<br />

“Prevenzione della cancerogenesi: ruolo dei lipidi della dieta e della predisposizione<br />

genetica”. (RA Canuto and G Muzio editors), Stampa AGIT, Beinasco (Torino), aprile<br />

2004, pagg. 5-30.<br />

• Canuto Ra, Bertetto O, Maggiora M, Martinasso G, Napoletano R, Muzio G, Trombetta<br />

A. Susceptibility to apoptosis and fatty acid profile in human colon cancer in comparison<br />

with normal mucosa. Tumori (supplemento), 4, 23, 2005.<br />

125


Maria Teresa Capucchio Filone tematico B1<br />

Espressione del sistema Plasminogeno-Plasmina (PG-PL-PA) e PrP<br />

cellulare nella ghiandola mammaria e nel latte bovino<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Patologia Animale<br />

OBIETTIVO<br />

Il presente progetto si e’ posto come obiettivo la valutazione della localizzazione cellulare<br />

della PrPc e della possibile co-localizzazione di eventuali complessi PrPc-plasminogeno.<br />

METODI E RISULTATI<br />

A inizio della ricerca si è deciso di valutare l’interazione tra sistema PG-PL-PA e PrP<br />

dapprima su un modello cellulare in vitro e poi, in secondo luogo, in vivo, su campioni di<br />

tessuto mammario. Come modello in vitro è stata scelta una linea cellulare bovina<br />

rappresentata da cellule epiteliali di ghiandola mammaria bovina (BME-UV1) che mantiene le<br />

caratteristiche tipiche delle cellule epiteliali mammarie di bovino e che produce tutti i<br />

componenti del sistema plasminogeno-plasmina. A riguardo dell’identificazione a livello<br />

tissutale sono stati raccolti al macello n° 44 di campioni di tessuto mammario appartenenti ad<br />

animali in diverso periodo di lattazione (0-45 giorni; 45-90; 90-210; 210-300 e oltre 300<br />

giorni) che sono stati fissati in doppio sia in formalina per le indagini istologiche, che in una<br />

miscela di glutaraldeide 1%- paraformaldeide 4% per le ricerche ultrastrutturali. Sulle cellule<br />

BME-UV1 si è provveduto a individuare la localizzazione della PrPc mediante<br />

immunofluorescenza e immunoistochimica utilizzando anticorpi marcatori monoclonali<br />

(12F10, CEA; 248, INRA). Come è ben noto la PrPc è una sialoglicoproteina di membrana<br />

osservata in numerosi tipi cellulari oltre al sistema nervoso centrale, correlata ad organuli<br />

cellulari di tipo secretorio. Le nostre indagini h<strong>anno</strong> rivelato la presenza di questa proteina in<br />

particolare a livello di membrana citoplasmatica e questa localizzazione e’ stata confermata<br />

anche sui tessuti. Al fine di rendere maggiormente evidente la localizzazione della PrPc, la<br />

linea cellulare e’ stata incubata per tempi diversi e con diverse concentrazioni di PrP sintetica<br />

senza comunque ottenere risultati diversi da quelli precedentemente descritti.<br />

In secondo luogo le cellule in monostrato sono state incubate con PG a diverse concentrazioni<br />

(30, 50, 80 µg/ml) e per tempi diversi (10', 25', 40', 60'); si è quindi provveduto a valutare<br />

l’eventuale assorbimento del plasminogeno da parte delle cellule mediante impiego di<br />

immunofluorescenza utilizzando anticorpi antiplasminogeno 7336 (Pab, ABCAM) e 359<br />

(Mab, INRA). Tuttavia, le reazioni condotte non h<strong>anno</strong> permesso di identificare in alcun<br />

punto la localizzazione cellulare del plasminogeno, dato che lascia presumere che la sua<br />

attivazione in plasmina avvenga per semplice contatto con la superficie cellulare in tempi<br />

estremamente rapidi.<br />

Vista l’impossibilità di rilevare la presenza del plasminogeno sulle cellule, la ricerca è stata<br />

focalizzata a evidenziare la localizzazione di un altro componente del sistema PG-PL-PA,<br />

ovvero del recettore di tipo urokinasico per l’attivatore del plasminogeno (uPAR), comunque<br />

coinvolto nella reazione di conversione del plasminogeno in plasmina. Sulla linea cellulare si<br />

sono pertanto eseguite ulteriori indagini immunologiche utilizzando un anticorpo contro il<br />

recettore u-PAR umano garantito anche come marcatore dell’u-PAR bovino in<br />

immunoprecipitazione (n. 3936, DBA). Tale anticorpo anti u-PAR, però, non si è rivelato<br />

126


abbastanza specifico, in quanto né su sezioni di tessuto mammario bovino, né sulle cellule in<br />

coltura si è riscontrata alcuna marcatura del recettore oggetto dello studio. Data l’impossibilità<br />

di rinvenire in commercio altri anticorpi anti u-PAR specifici per il tessuto bovino, è stato<br />

prodotto un anticorpo policlonale diretto contro il recettore uPAR bovino. L’antigene u-PAR<br />

da inoculare è stato ottenuto in collaborazione con il Laboratorio di Virologia della Facoltà di<br />

Medicina Veterinaria ingegnerizzando ceppi di E. coli col gene codificante l’u-PAR bovino,<br />

la cui sequenza è nota e servendosi dell’m-RNA estratto dalla linea cellulare BME-UV1<br />

provvista come suddetto di recettore u-PAR. La proteina ottenuta e’ stata successivamente<br />

purificata ed utilizzata per inoculare alcuni conigli da cui è poi stato ricavato l’anticorpo<br />

specifico per il recettore u-PAR bovino in questione. Suddetto anticorpo, dopo un numero<br />

notevole di prove di laboratorio, ha permesso di ottenere buoni risultati dimostrandosi<br />

specifico per identificare il recettore bovino in vitro ed in vivo. Le indagini<br />

immunoistochimiche ed in immunogold h<strong>anno</strong> permesso di valutare la sua localizzazione<br />

cellulare prevalentemente citoplasmatica a carico delle cellule epiteliali alveolari ed in minor<br />

misura a livello di dotti e di cellule interstiziali. Molto interessante e’ stato il riscontro di un<br />

segnale positivo che aumenta con il procedere della lattazione fino a 9 mesi circa per poi<br />

ridursi leggermente. Relativamente alla co-localizzazione PrPc-PG, vista l’impossibilita’ di<br />

localizzare il PG l’indagine si e’ decisamente spostata come suddetto sul recettore. Purtroppo<br />

tutte le ricerche condotte in merito non h<strong>anno</strong> rivelato nessun tipo di interazione tra le due<br />

proteine che sembrano avere prevalentemente una diversa localizzazione cellulare: la PrPc pur<br />

essendo prodotta in sede citoplasmatica e’ risultata prevalentemente espressa a livello di<br />

membrana cellulare, mentre il recettore u-PAR e’ una proteina essenzialmente citoplasmatica,<br />

che presumibilmente raggiunge la membrana solo per tempi brevissimi al fine di consentire la<br />

conversione del plasminogeno in plasmina. La presenza di inibitori specifici fa si’ che il<br />

complesso recettore ed enzima dopo la conversione venga subito internalizzato dentro la<br />

cellula per essere degradato.<br />

Per quanto riguarda le indagini sul latte sono stati raccolti n° 70 campioni in un’azienda di<br />

Frisone. I campioni di latte appartenenti anch’essi alle diverse fasi di lattazione sono stati<br />

sottoposti a ripetute centrifugazioni onde separare le diverse frazioni (panna, siero, pellet di<br />

caseine e pellet di cellule somatiche). Test colorimetrici mediante l’uso di spettrofotometro<br />

sono stati eseguiti sul siero e sulle caseine al fine di determinare l’attivita’ della plasmino, del<br />

plasminogeno e dell’attivatore enzimatico del sistema (u-PA). Tutte le determinazioni h<strong>anno</strong><br />

rivelato un incremento dell’attivita’ con il procedere della lattazione con un massimo intorno<br />

al sesto-decimo mese analogamente a quanto osservato relativamente al recettore nei tessuti.<br />

Dopo questo periodo l’attivita’ del sistema diminuisce per poi presumibilmente risalire<br />

durante la lattazione successiva.<br />

Obiettivi futuri di questa ricerca sono l’esame di tessuti mammari affetti da mastite per<br />

valutare l’entita’ dell’incremento del sistema in caso di flogosi e l’esecuzione di indagini sul<br />

latte raccolto in un unico gruppo di animali campionati per tutta la lattazione al fine di<br />

accertare l’andamento del sistema nella lattazione tardiva spinta.<br />

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Maria Caramelli Filone tematico B3<br />

Progetto pilota per un piano di monitoraggio per la ricerca di tessuto<br />

nervoso negli ambienti di macellazione<br />

Istituto Zooprofilattico Sperimentale del <strong>Piemonte</strong>, Liguria e Valle D’Aosta<br />

Centro di Riferimento per le Encefalopatie Animali<br />

OBIETTIVO<br />

I provvedimenti adottati a livello comunitario per garantire la tutela della salute pubblica dal<br />

rischio BSE prevedono (Regolamento CE 1139/<strong>2003</strong>, che modifica il Regolamento 999/2001)<br />

che a partire dal 1° ottobre <strong>2003</strong> vengano introdotti sistemi diagnostici atti a rilevare la<br />

possibile contaminazione delle carni di spolpo, provenienti dalla testa di bovini e destinate al<br />

consumo umano, da parte di materiale specifico a rischio (SRM) non adeguatamente rimosso.<br />

Al fine di valutare l’affidabilità dei test diagnostici disponibili per questo monitoraggio, è<br />

stata effettuata la validazione di 2 sistemi ELISA per il rilievo del tessuto nervoso nelle carni.<br />

Il Ridascreen® Risk Material (RRM) è studiato per l’applicazione sui prodotti carnei mentre<br />

il Ridascreen® Risk Material 10/5 (RRM 10/5) è un metodo specifico per le carni di spolpo.<br />

In una seconda fase è stata valutata la presenza di “punti rischio” di contaminazione da SRM<br />

in diverse tipologie di impianti di macellazione sul territorio piemontese ed è stata verificata<br />

la presenza ed il grado di contaminazione da SRM nelle carni provenienti da disosso. E’ stato<br />

infine effettuato uno studio volto a una prima valutazione della presenza di tessuto nervoso in<br />

alcune tipologie di prodotti carnei.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Messa a punto e validazione dei test<br />

1. Preparazione dei campioni RRM 10/5:<br />

Preparazione dei campioni negativi: 503 campioni di muscolo profondo della coscia di 2<br />

bovini, morti in stalla le cui carcasse non sono state divise meccanicamente in mezzane e<br />

per questo considerati a minor probabilità di contaminazione.<br />

Preparazione dei campioni positivi: 568 omogenati di muscolo bovino ottenuti nelle stesse<br />

condizioni, cui sono stati aggiunti dosi crescenti di sistema nervoso centrale (SNC), in<br />

ragione dello 0.1%, 0.2% e 0.4%.<br />

Per validare il test RRM sono stati utilizzati 532 campioni negativi e 654 campioni<br />

positivi con una concentrazione di 0,5%, 1%, 2% di SNC.<br />

2. Scelta del cut-off: le letture sono state raggruppate in classi di valori di concentrazione per<br />

stabilire un cut-off e relativa sensibilità e specificità del metodo da applicare nell’ambito<br />

dei piani di monitoraggio. Partendo dalle classi di valori è stata ottenuta la relativa curva<br />

ROC (Receiver Operative Curve) per dati parametrici, con la quale è stato identificato il<br />

livello di concentrazione cut off che garantisce la miglior capacità discriminante in termini<br />

di specificità e sensibilità.<br />

3. Valutazione della reliability: scelto il valore ottimale di cut-off sono poi state valutate<br />

riproducibilità e ripetibilità dei due kit diagnostici, espresse come K di Cohen.<br />

128


Monitoraggio carni di spolpo<br />

Rilevamento punti di rischio e Campionamenti Sono stati visitati 5 macelli del territorio<br />

piemontese: è stata valutata e documentata fotograficamente la presenza di punti di rischio per<br />

la contaminazione da SRM della carne proveniente dallo spolpo delle teste lungo la catena di<br />

macellazione. E’ stato realizzato un piano di campionamento pilota finalizzato a verificare<br />

l’ipotesi di accumulo di SNC per passaggio dall coltello o banco di lavorazione alle teste. I<br />

prelievi sono poi stati eseguiti su 498 teste provenienti da impianti di macellazione a diversa<br />

capacità. La dimensione del campione è stata calcolata in modo da identificare almeno un<br />

caso positivo nel caso in cui la prevalenza di contaminazione fosse superiore o uguale allo<br />

0.6%. In tal caso ci si è consentiti un errore massimo del 2.6% nella successiva stima della<br />

prevalenza con una confidenza del 95%. Il test utilizzato è il RRM 10/5. Il campionamento è<br />

stato eseguito strofinando un tampone sulla superficie muscolare (circa 10 cm 2 ) a livello della<br />

linea di resezione della testa (decapitazione) alla fine delle operazioni di scuoiatura o, nel caso<br />

sia stato eseguito, alla fine del disosso.<br />

Monitoraggio prodotti carnei. Sono stati raccolti 500 campioni (in aliquote da 100 gr),<br />

suddivisi nelle seguenti categorie ripartite per fasce di prezzo: ripieno di pasta fresca, wurstel,<br />

hamburger, carni in scatola, mortadella ed omogeneizzati.<br />

RISULTATI<br />

Messa a punto e validazione dei test. Le aree delle curve ROC ottenute sono indicative di<br />

altissimi valori di sensibilità e specificità per entrambi i test. Nel punto di massimo valore di<br />

sensibilità e di minimo tasso di falsi positivi è stato individuato il cut-off che quindi risulta<br />

pari a 0.049 per il test RRM 10/5 corrispondente a Se=97.9% e Sp=97.4% e pari a 0.297 per il<br />

test RRM corrispondente a Se=99.5% e Sp=99.8%. Dopo aver stabilito il valore soglia, i test<br />

sono stati considerati di tipo qualitativo anche per condurre lo studio di reliability.<br />

Quest’ultima ha fornito i seguenti valori di k:<br />

Riproducibilità intra-operatore<br />

Test Operatore 1 Operatore 1<br />

RRM 10/5 0.78 (IC95%0.38-1.00) 1 (IC95%1.00-1.00)<br />

RRM 0.91 (IC95%0.73-1.00) 0.92 (IC95%0.76-1.00)<br />

Riproducibilità inter-operatore<br />

Test Giorno1 Giorno 1<br />

RRM 10/5 1 (IC95% 1.00-1.00) 0.78 (IC95% 0.38-1.00)<br />

RRM 0.92 (IC95% 0.76-1.00) 0.91 (IC95% 0.73-1.00)<br />

Monitoraggio carni di spolpo<br />

Nel corso dei sopralluoghi effettuati al macello sono stati individuati i seguenti punti di<br />

rischio: stordimento dell’animale con il proiettile (possibile inquinamento dei tessuti adiacenti<br />

il foro frontale); piano di lavoro nell’esecuzione delle procedure di prelievo dell’obex e<br />

apposizione del tappo nel foramen magnum; asportazione delle corna, apposizione del gancio,<br />

separazione dei masseteri (disosso), scuoiamento delle teste: eliminazione della pelle<br />

adiacente al foro frontale ed intorno ai masseteri, separazione tramite sega elettrica dello<br />

splancnocranio dal neurocranio (rischio di contaminazione delle carni di spolpo per incisione<br />

dell’occhio dell’animale), trasporto su carrello (rischio di contaminazione per distacco dei<br />

tappi), depilazione delle teste a mano e in centrifuga e successivo raffreddamento in vasca<br />

(testine rasate).<br />

129


I risultati del progetto pilota h<strong>anno</strong> dimostrato che non vi è una contaminazione crescente<br />

delle teste con SNC nella sequenza di macellazione, ma che risulta del tutto casuale. La<br />

prevalenza grezza è risultata pari a 14.7% (IC95% 11.7%-18.1%).<br />

Monitoraggio prodotti carnei La prevalenza grezza nei prodotti carnei è risultata pari al<br />

2.2% (IC95% 1.1-3.9) e i positivi erano tutti concentrati nel gruppo dei wurstel (prevalenza<br />

10.3, IC95% 5.7-20.1) eccetto uno tra le paste farcite (prevalenza 0.42, IC95% 0.1-2.3).<br />

CONCLUSIONI<br />

I metodi presi in esame dimostrano un elevato livello di validità e di precisione. Ciò li rende<br />

affidabili per l’applicazione in piani di monitoraggio per la ricerca di SRM nelle carni. I<br />

risultati preliminari indicano la potenziale presenza di contaminazione da SRM sia negli<br />

impianti di macellazione che nei prodotti carnei.<br />

130


Pietro Caramello Filone tematico D4<br />

Studio di suscettibilità e farmacodinamico dei ceppi di P.falciparum<br />

importati<br />

A.s.l. 3 – Ospedale Amedeo Savoia<br />

U.O.a. Malattie Infettive “divisione”<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La sorveglianza della suscettibilità agli antimalarici dei ceppi di P.falciparum può permettere<br />

di ottimizzare le strategie di prevenzione e trattamento della infezione nei viaggiatori diretti<br />

nei paesi di endemia malarica. Il trattamento della malaria si basa tradizionalmente<br />

sull’impiego del chinino; diversi studi h<strong>anno</strong> mostrato come i derivati dell’artemesinina<br />

possano ridurre la clearance dei parassiti, permettere una minore morbidità e ridurre gli effetti<br />

collaterali.<br />

OBIETTIVO<br />

Lo studio è consistito nella sorveglianza della suscettibilità “in vitro” a diversi chemioterapici<br />

dei ceppi di P.falciparum importati nel nostro paese, e in una valutazione farmacodinamica<br />

“in vivo” dei farmaci utilizzati in terapia della malaria da P.falciparum non complicata.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Studio di suscettibilità “in vitro”: la valutazione è stata condotta con il test “WHO Micro-test<br />

Mark III” che si basa sulla valutazione al microscopio della crescita dei plasmodi coltivati in<br />

presenza di concentrazioni differenti di farmaco; erano quindi calcolate la IC50 e la IC90 con<br />

il WHO Log-probit. Sono stati testati i seguenti farmaci: clorochina, meflochina, chinino,<br />

alofantrina, pironaridina e amodiachina.<br />

Studio di farmacodinamica “in vivo”: il trattamento non è stato randomizzato; i pazienti sono<br />

stati trattati, secondo il giudizio del Medico che aveva in cura il paziente, sulla base dello<br />

stato clinico, del livello di premunizione e della parassitemia con uno dei seguenti<br />

chemioterapici: chinino (e.v.), meflochina (os), beta-arthemeter (os o e.v.). Sono stati misurati<br />

i seguenti parametri: parassitemia alle ore 0, 6, 12, 24 e quindi ogni 24 ore sino alla<br />

negativizzazione; sono stati quindi calcolati il tempo per la riduzione della parassitemia del<br />

50%, 90% e 100% [PC(50), PC(90), e il tempo di clearance parassitaria PCT]; il tasso della<br />

riduzione parassitaria a 24 e 48 ore o Paraste Reduction Rate (PRR), la percentuale di pazienti<br />

con parassitemia non dimostrabile a 48 ore [PPUP(48)] ed il tempo necessario alla<br />

eradicazione della infezione.<br />

RISULTATI<br />

Tutte le infezioni erano acquisite in Africa. Tutti i pazienti sono stati curati con successo.<br />

Studio di suscettibilità “in vitro”: nel corso dello studio sono stati analizzati 94 isolati di<br />

P.falciparum. L’origine degli isolati era così ripartita: Africa orientale 10 (10,6 %); Africa<br />

occidentale 84 (89,4 %). I dati di suscettibilità sono riferiti ai primi 67 campioni esaminati;<br />

per gli altri 27 campioni l’analisi non è ancora completa. Le IC50 e le IC90 (micromol/L)<br />

131


sono state le seguenti per i diversi farmaci: clorochina: 0.129 e 0.648; amodiachina: 1.134 e<br />

5.445; meflochina: 0.38 e 0.868; chinino: 0.193 e 0.478; alofantrina: 3.27 e 25.35;<br />

pironaridina: 11.504 e 51.996. Le IC sono risultate maggiori per gli isolati ottenuti dall’Est<br />

Africa rispetto a quelli dell’Africa occidentale. Tutti i ceppi erano suscettibili a chinino e<br />

meflochina; resistenza alla clorochina si è osservata nel 14% dei ceppi (inferiore rispetto ai<br />

tassi osservati in occasione di precedenti ricerche condotte negli anni ’85-’90), alla<br />

amodiachina nel 33% dei casi (con cross-resistenza alla clorochina (r = 0.93; P < .0001); si è<br />

osservata anche bassa suscettibilità alla pironaridina (66,7%).<br />

Studio di farmacodinamica “in vivo”: sono stati studiati 99 casi di infezione malarica. 63<br />

pazienti (63,6%) erano immigrati dall’Africa [più del 50% (38) dalla Nigeria], mentre 33<br />

erano di nazionalità italiana. Trentasei pazienti sono stati trattati con chinino, 42 con<br />

meflochina, 21 con beta-arthemeter. I dati sono stati elaborati sino ad ora per i primi 73 casi:<br />

l’analisi farmacodinamica è stata focalizzata sul confronto tra il chinino e il beta-arthemeter.<br />

La clearance parassitaria [PC(50), PC(90), e PCT] è risultata più rapida per il beta-arthemeter<br />

rispetto al chinino: rispettivamente: 16.8, 42.6, e 72 h per chinino vs 7.9, 12.2, e 48 h per betaarthemeter;<br />

p: 0.02, < .0001, e .008, rispettivamente. Il numero di pazienti che ha ottenuto una<br />

PPUP(48) con il beta-arthemeter è stato maggiore rispetto al chinino (66.7 vs 9.1%, p < .003),<br />

mentre il PRR(24) è stato significativamente maggiore nel gruppo dei pazienti trattati con<br />

beta-arthemeter (617 vs 3.15, p = .0001). Il PRR(48) ed il tempo di eradicazione non erano<br />

misurabili nel gruppo del beta-arthemeter in quanto nella maggior parte dei casi la<br />

parassitemia era negatova prima delle 48 ore. Si sono osservate due recrudescenze nei<br />

pazienti trattati con beta-arthemeter trattati rispettivamente per 5 e 7 giorni.<br />

CONCLUSIONI<br />

Studio di suscettibilità “in vitro”: sulla base dei risultati osservati il chinino conferma la<br />

propria indicazione nel trattamento della malaria; la meflochina mantiene le indicazioni nel<br />

trattamento della malaria non complicata e nella profilassi in Africa.<br />

Studio di farmacodinamica “in vivo”: i parametri farmacodinamici della meflochina e del<br />

chinino sono risultati sovrapponibili a quelli pubblicati in letteratura. Il beta-arthemeter ha<br />

dimostrato una più rapida clearance parassitaria e parametri farmacodinamici migliori rispetto<br />

a quelli del chinino tanto da farlo considerare di prima scelta nella malaria non complicata;<br />

l’osservazione di due recrudescenze entro un mese dal trattamento consiglia di cosoministrare<br />

il beta-arthemeter alla meflochina.<br />

Altre attività svolte nel corso della sorveglianza e dell’analisi farmacodinamica ·<br />

collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità per una analisi genetica delle mutazioni<br />

(K67T e A220S) caratteristiche della resistenza alla clorochina; · collaborazione con la rete<br />

europea TropNet Europe per la sorveglianza delle malaria di importazione.<br />

PUBBLICAZIONI ·<br />

Caramello P et al. Chemosusceptibility analysis of Plasmodium falciparum imported malaria<br />

in Italy. Diagn Microbiol Infect Dis 2005 Jun;52(2):107-12 ·<br />

Caramello P et al. Pharmacodynamic analysis of antimalarials used in Plasmodium falciparum<br />

imported malaria in northern Italy Travel Med. 2005 May-Jun;12(3):127-32 · Severini C, …<br />

Caramello P, Canta F et al. Prevalence of pfcrt point mutations and level of chloroquine<br />

resistance in Plasmodium falciparum isolates from Africa. Infect Genet Evol. 2005 Sep 7<br />

132


Nicola Carlone Filone tematico C1<br />

Attivita’ antimicotica e immunomodulante di fitoterapici nei confronti di<br />

lieviti agenti di candidosi<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Nell’ultimo decennio l’aumento dell’incidenza delle micosi da Candida spp. rappresenta un<br />

problema terapeutico emergente e preoccupante. Negli ultimi anni si ha una maggior<br />

disponibilità di farmaci attivi verso i miceti, ma la farmaco-resistenza, la tossicità degli<br />

antimicotici e le problematiche associate alle terapie a lungo termine, st<strong>anno</strong> orientando la<br />

ricerca verso soluzioni alternative o di sostegno alla terapia classica con l’uso di fitoterapici.<br />

Benché diano minori effetti collaterali dei farmaci sintetici, i fitoterapici non sono innocui e la<br />

loro attività deve essere accompagnata da una valida base scientifica che ne garantisca<br />

validità, sicurezza, efficacia e uso adeguato. Poiché l’efficacia terapeutica di un agente<br />

antimicrobico non dipende solo dall’azione diretta sul microrganismo, ma anche<br />

dall’influenza esercitata sulle funzioni e sull’attività del sistema immune dell’ospite, è bene<br />

conoscere le interazioni che si instaurano tra miceti, fagocita e antimicrobico per favorire<br />

farmaci che siano in grado di stimolare i meccanismi di difesa dell’ospite. In questo studio si è<br />

valutata l’azione antimicotica di alcuni oli essenziali (OE) nei confronti di ceppi clinici di<br />

C.albicans e, successivamente, l’azione immunomodulante del timo, paragonandola a quella<br />

di fluconazolo (FLU), sui PMN isolati da soggetti sani verso C.albicans timo-sensibile.<br />

MATERIALI E METODI<br />

I ceppi di C.albicans, provenienti da pazienti afferenti agli Ospedali di Torino sono stati<br />

identificati c/o Lab. di Batteriologia e Micologia del Dip. di Sanità Pubblica e Microbiologia<br />

mediante il sistema API ID 32C. L’attività antimicrobica (MIC) degli OE (pino, salvia,<br />

garofano, timo, melissa, finocchio, lavanda) è stata eseguita in brodo RPMI 1640 (senza<br />

bicarbonato, contenente glutammina, MOPS 0.165mol/L, pH 7) secondo la metodica del<br />

CLSI. Le soluzioni degli OE al 40% sono state preparate in etanolo, mentre le successive in<br />

RPMI 1640 (range 2-0,0039%). Le prove sono state effettuate in piastre a 96 pozzetti,<br />

inoculando ogni pozzetto con 100microl della concentrazione di riferimento. L’inoculo<br />

fungino (5x10*6ufc/ml) è stato preparato da brodocolture di 24h in Sabouraud dextrose agar<br />

(SAB), incubato a 30°C e risospeso in RPMI 1640+MOPS. L’inoculo è stato diluito alla<br />

concentrazione di 5x10*4/ml in fisiologica. I due inoculi sono stati aggiunti ai pozzetti<br />

contenenti gli oli, la cui concentrazione finale è risultata variare dall’1 allo 0,0019%. Nel<br />

saggio sono stati inclusi un controllo di crescita (RPMI+lievito) e uno per il terreno RPMI.<br />

Test di fagocitosi. C.albicans (2x10*6ufc/ml), marcata con 3H-uracile in RPMI 1640, è stata<br />

aggiunta ai PMN (10*6cell/ml) e incubata a 37°C in agitazione per 30’, 60’e 90’.<br />

Parallelamente sono state preparate provette senza PMN contenenti lieviti marcati e RPMI<br />

1640. Ai vari tempi, i PMN sono stati centrifugati a 160g per 5’, risospesi in tampone e<br />

ricentrifugati per rimuovere i lieviti non fagocitati. Le cellule sono state sottoposte a lisi<br />

osmotica addizionando 1 ml di acqua distillata sterile per 5’. Aliquote di 100microl della<br />

sospensione sono state poste in vials contenenti 1 ml di liquido di scintillazione e lette con lo<br />

spettrofotometro a scintillazione liquida. La radioattività misurata è stata espressa come<br />

133


c.p.m./campione (colpi per minuto). L’attività fagocitaria è stata espressa ai vari tempi di<br />

osservazione come % di fagocitosi pari al rapporto percentuale tra i c.p.m. dei lieviti<br />

intraPMN e quelli dei lieviti in toto.<br />

Test di killing. Aliquote di 1 ml di lieviti (2x10*6 ufc) e di PMN(10*6 cellule) in RPMI 1640<br />

sono state incubate a 37°C in agitazione per 30’affinché avvenisse la fagocitosi. Dopo vari<br />

lavaggi per rimuovere i lieviti non fagocitati, un’aliquota di PMN è stata lisata per il<br />

conteggio al t0 dei lieviti fagocitati e sopravvissuti, dopo 30’di fagocitosi, all’azione litica dei<br />

PMN. 500microl del lisato sono stati diluiti e aliquote di 100microl sono state spatolate su<br />

SAB agar per la conta delle ufc. Le provette rimaste sono state incubate e la conta dei lieviti<br />

intracellulari è stata effettuata ai tempi stabiliti (tx=30’, 60’, 90’). L’attività di killing è stata<br />

espressa, ad ogni tempo, come Indice di Sopravvivenza (IS), definito dal rapporto tra la<br />

somma delle ufc/ml al t0 e al tx, e le ufc/ml al t0. Se il rapporto è uguale a 1, l’attività di<br />

killing è del 100%, mentre se è = o >2 non si ha effetto fungicida. Gli effetti del timo e del<br />

FLU sull’attività fagocitaria e fungicida intracellulare dei PMN sono stati valutati incubando i<br />

lieviti e i fagociti a 37°C in presenza di 0.03microg/ml di timo (MIC) e di 8microg/ml di FLU<br />

(picco sierico). I test di fagocitosi e di killing sono stati condotti secondo gli schemi<br />

precedenti. Ogni esperimento è stato effettuato in quadruplicato e confrontato con i sistemi di<br />

controllo senza farmaco. La valutazione statistica delle differenze tra i risultati delle prove<br />

eseguite con e senza farmaci è stata effettuata mediante il test di Tukey.<br />

RISULTATI<br />

I dati relativi all’attività antifungina degli OE, mediante la determinazione della MIC, con i 2<br />

diversi inoculi fungini, mostrano una ottima sensibilità dei ceppi di C.albicans studiati, alle<br />

due diverse concentrazioni, nei confronti di tutti gli OE saggiati. In particolare, timo,<br />

finocchio, garofano, lavanda h<strong>anno</strong> mostrato una attività maggiore (0.03-0.06 microg/ml)<br />

rispetto a pino, melissa e salvia (0.06-0.25microg/ml). Poichè il timo ha mostrato la MIC più<br />

bassa si è deciso di utilizzare questo olio per valutare la sua influenza sull’attività fagocitaria e<br />

microbicida paragonandola con quella del fluconazolo. I dati ottenuti mostrano che i PMN di<br />

controllo senza farmaco sono in grado di fagocitare le candide secondo valori che rimangono<br />

costanti nei 90’di osservazione e che si attestano intorno al 70%. In presenza di timo e di FLU<br />

l’attività fagocitaria subisce un leggero incremento soltanto ai 30’(75, 8% e 81,7%,<br />

rispettivamente; p


Laura Cavallarin Filone tematico B1<br />

La filiera avicola piemontese: contaminazione da ocratossina A e<br />

individuazione di un marker per l’allevamento biologico<br />

Consiglio Nazionale delle Ricerche<br />

Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari<br />

MATERIALI E METODI<br />

L’indagine é stata svolta nell’arco di due anni monitorando due allevamenti di galline ovaiole,<br />

uno convenzionale ed uno biologico e due allevamenti di polli da carne, uno convenzionale ed<br />

uno biologico. In ogni allevamento sono stati effettuati prelievi di campioni rappresentativi di<br />

alimenti e di sangue. I metodi adottati per la quantificazione di ocratossina A (OTA) nel siero<br />

(Zimmerli B. et al, 1995) e nel mangime (Entelwise A.C. et al., 2000), sono stati leggermente<br />

modificati per renderli compatibili con le strumentazioni presenti in laboratorio e con le<br />

matrici in esame. Sono stati definiti accuratezza e precisione dei metodi analitici prescelti,<br />

mediante contaminazione artificiale con quantità note (tre repliche per tre livelli di<br />

concentrazione) di OTA. Per ogni esperimento di contaminazione sono stati calcolati: la<br />

percentuale di recupero dell’OTA, la deviazione standard e la deviazione standard relativa.<br />

Per il siero, il recupero è risultato sempre al di sopra dell’80%, con una media pari a 83,3%. Il<br />

coefficiente di variazione (RSD) é risultato basso per tutti i livelli considerati (in media<br />

3,1%). Per le prove di contaminazione del mangime, la percentuale di recupero media<br />

ottenuta è stata pari al 80,6 ± 5,8% con un coefficiente di variazione medio del 7,3%. I<br />

coefficienti di variazione di tutti i livelli considerati rientrano nei range raccomandati. Si é<br />

quindi proceduto alla determinazione dell’OTA nei campioni di siero e di alimenti prelevati<br />

nelle diverse aziende.<br />

RISULTATI<br />

Dei 19 campioni di siero prelevati in aziende convenzionali, 13 sono risultati positivi con<br />

valore massimo di contaminazione pari a 0,118 ng OTA/ml siero. Nelle aziende biologiche, in<br />

13 dei 15 campioni analizzati è stata rivelata la presenza di OTA, con una contaminazione<br />

massima pari a 0,165 ng/ml siero. Nel mangime convenzionale, 7 campioni su 8 sono risultati<br />

positivi, con livelli massimi pari a 3,31 ng/g. I risultati ottenuti nei mangimi biologici<br />

riguardano solo 2 campioni, poiché non è stato possibile raccoglierne un numero superiore.<br />

L’OTA è stata rilevata in entrambi i campioni analizzati, con livelli massimi di 4,98 ng/g;<br />

analisi effettuate su glutine di mais e su un nucleo extraziendale, impiegati per la produzione<br />

del mangime completo biologico, h<strong>anno</strong> fatto registrare i livelli più elevati di OTA (9,18 e<br />

6,96 ng/g rispettivamente). Attualmente i livelli massimi di ocratossina A sono normati dal<br />

regolamento CE 472/92, che fissa il limite massimo nei cereali destinati al consumo umano in<br />

5 ng/g. Non esistono al momento normative che regolamentino la contaminazione in alimenti<br />

zootecnici. A causa del limitato numero di campioni a disposizione non è stato possibile<br />

elaborare statisticamente i dati.<br />

CONCLUSIONI<br />

E’ tuttavia possibile fare alcune considerazioni preliminari. I campioni di siero che h<strong>anno</strong><br />

mostrato i valori di contaminazione maggiore, sono provenienti da aziende biologiche, con<br />

135


livelli massimi di OTA pari a 0,165 ng/ml. La percentuale di campioni positivi è stata più alta<br />

nei campioni provenienti da animali di allevamenti biologici rispetto a quelli convenzionali<br />

(86,7% vs 68,4%). Il siero di polli da carne biologici sono risultati meno contaminati rispetto<br />

a quelli convenzionali (60% vs 71,4%). I sieri delle galline ovaiole biologiche h<strong>anno</strong> mostrato<br />

una percentuale di positività superiore a quella delle galline convenzionali (100% vs 66,7%).<br />

Per quanto riguarda gli alimenti, i campioni risultati positivi sono il 90%. I valori di<br />

contaminazione medi osservati sono stati di 0.88 ng/g per i mangimi convenzionali e di 3.17<br />

ng/g per i mangimi biologici. Il valore di contaminazione più elevato corrisponde al mangime<br />

delle galline ovaiole biologiche (4,98 ng/g), in cui successivamente sono stati riscontrati i<br />

livelli più alti di OTA nei sieri. I risultati ottenuti mostrano una diffusa presenza di OTA, a<br />

livelli molto bassi, nel siero di animali allevati sia in aziende biologiche che convenzionali,<br />

che rispecchia la diffusa contaminazione di OTA nei relativi mangimi. I dati indicherebbero<br />

maggiore incidenza e più alto livello di contaminazione negli allevamenti biologici, sia per<br />

quanto riguarda gli alimenti che il sangue degli animali. Per quanto riguarda l’individuazione<br />

di un marker per l’allevamento biologico, nella prima parte dell’attività di ricerca é stata<br />

messa a punto una metodica per la quantificazione, nell’uovo, dell’ antiossidante di sintesi<br />

butilidrossitoluene (BHT) di derivazione alimentare. La molecola é stata individuata come<br />

potenziale marker poiché l’allevamento biologico presuppone un disciplinare molto rigido per<br />

quanto riguarda la fonte di alimentazione ed esclude l’utilizzo di integratori di sintesi. Sono<br />

stati quindi analizzati campioni di uova provenienti dalle aziende tradizionali e biologiche per<br />

determinare il contenuto in BHT. Tutti i campioni sono risultati negativi. E’ possibile che tali<br />

sostanze non siano eliminate a livello del tuorlo da parte delle specie avicole. Se così fosse<br />

resta da definire quali tessuti possano rappresentare sedi di accumulo e in quale entità queste<br />

sostanze si possano accumulare. Per questo motivo é nostra intenzione effettuare una<br />

sperimentazione ad hoc che preveda l’alimentazione di galline ovaiole con diete<br />

supplementate artificialmente con antiossidanti e la verifica di eventuali trasferimenti di<br />

queste molecole nei diversi tessuti.<br />

136


Federica Cavallo Filone tematico C1<br />

Prevenzione dei carcinomi squamosi della cavità orale mediante<br />

vaccinazione a DNA: sperimentazione preclinica<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

I progressi ottenuti in campo oncologico negli ultimi anni non sono stati in grado di ridurre<br />

significativamente la mortalità legata al carcinoma squamoso della cavità orale (OSCC) che è<br />

rimasta per lo più stabile. La terapia normalmente adottata per gli OSCC, che prevede una<br />

combinazione di trattamenti chirurgici, radioterapici e chemioterapici, infatti non ha dato i<br />

risultati attesi e soprattutto non ha contribuito a migliorarne la prognosi estremamente<br />

infausta. I dati epidemiologici evidenziano la necessità di identificare e promuovere nuovi<br />

trattamenti farmacologici specifici per il carcinoma del cavo orale.<br />

OBIETTIVO<br />

Scopo della presente ricerca è stato valutare l’efficacia antineoplastica di una vaccinazione a<br />

DNA specifica diretta nei confronti della proteina p185 su uno dei modelli animali più<br />

utilizzati per lo studio degli OSCC.<br />

METODI E RISULTATI<br />

L’innovazione apportata dalla tecnica della vaccinazione a DNA deriva dal fatto che la<br />

molecola utilizzata per vaccinare non è direttamente il bersaglio della risposta immunitaria,<br />

bensì il DNA codificante la proteina antigenica. La scelta della proteina p185, recettore<br />

tirosin-chinasico della famiglia dell’epidermal growth factor codificata dal gene Her-2/neu, è<br />

motivata dal fatto che essa è iperespressa in circa il 60% dei casi di OSCC. Inoltre è stato<br />

dimostrato che questo antigene rappresenta un buon bersaglio per l’immunoterapia anche<br />

quando le stesse cellule che lo esprimono riducono drasticamente la loro capacità di esprimere<br />

le glicoproteine MHC I, per fenomeni di instabilità genetica. Lesioni neoplastiche ben<br />

apprezzabili sono state indotte nelle tasche buccali di criceti siriani, mediante inoculo nella<br />

sottomucosa, di cellule tumorali (HCPCI) derivate da un OSCC indotto chimicamente e<br />

forniteci dal Prof. D.T. Wong.<br />

Caratterizzazione della linea cellulare HCPCI per l’espressione della p185. L’espressione<br />

della p185 sulle cellule HCPCI è stata valutata mediante western blot. La presenza della<br />

banda a 185 kDa ha confermato l’espressione della proteina p185. Mediante tecniche<br />

immunoistochimiche si è valutata sia la localizzazione (prevalentemente di membrana) sia<br />

l’intensità (corrispondente al livello medio-alto nella valutazione anatomopatologica di cerbB2<br />

in campioni di carcinoma della mammella). Inoltre l’espressione di p185 è stata<br />

esaminata mediante analisi al FACscan: in questo caso è stato possibile dimostrare che il 98%<br />

delle cellule è p185+ ed il 92% di queste esprime p185 sulla membrana cellulare.<br />

Induzione tumorale mediante inoculo delle cellule HCPCI nel gruppo di controllo. Le<br />

cellule HCPCI sono state iniettate nella sottomucosa della tasca destra di 19 animali di<br />

controllo; 14 di essi (73.7%) h<strong>anno</strong> sviluppato delle lesioni neoplastiche, con un diametro<br />

compreso tra i 3 e gli 11 mm al momento del sacrificio. Di questi, 6 animali presentavano<br />

137


masse nodulari, tre delle quali ulcerate, mentre i rimanenti 8 presentavano lesioni similleucoplasiche<br />

di forma irregolare. In tutti i casi l’analisi istologica ha evidenziato la presenza<br />

di focolai multipli di cellule epiteliali neoplastiche localizzate nel tessuto connettivo. Sono<br />

state inoltre rilevate perle cornee, cellule atipiche con ipercromatismo e pleomorfismo ed<br />

alcune cellule multinucleate. In molti casi erano presenti foci di necrosi. L’origine epiteliale<br />

delle cellule infiltrate è stata confermata mediante immunoistochimica dall’espressione delle<br />

citocheratine. Le stesse cellule tumorali sono risultate positive anche per la p185, con una<br />

colorazione preferenzialmente di membrana. Le tasche dei 5 animali che al sacrificio non<br />

avevano sviluppato tumori presentavano, all’analisi istologica, un infiltrato infiammatorio con<br />

una capsula fibrosa tipica della reazione da corpo estraneo. In due animali è stato riscontrato<br />

un nodulo di fibre dense, contenente alcune cellule infiammatorie ma non cellule tumorali. La<br />

vaccinazione a DNA induce un’immunità protettiva contro le cellule HCPCI nei criceti<br />

siriani. Una significativa e specifica inibizione della crescita tumorale è stata riscontrata nei<br />

criceti immunizzati con i plasmidi p185EC-TM, 21 e 7 giorni prima dell’inoculo delle cellule<br />

tumorali HCPCI. Solo 7 dei 19 animali vaccinati (36.6%, p


Maria Rita Cavallo Filone tematico C2<br />

Realizzare il governo clinico attraverso i percorsi diagnostico terapeutico<br />

assistenziali<br />

Asl 10<br />

Struttura Complessa di Staff – <strong>Ricerca</strong>, Formazione e Qualità<br />

OBIETTIVO<br />

Il progetto si poneva principalmente i seguenti obiettivi:<br />

• realizzare inpratica quel governo clinico, di cui tanto si parla, attraverso la stesura,<br />

l’attuazione e la valutazione dei percorsi che il cittadino svolge nel sistema sanitario,<br />

attraverso i servizi messi a disposizione, come il continuum assistenziale per risolvere il<br />

suo bisogno di salute;<br />

• trasferire l’esperienza ad altre aziende che intendessero cimentarsi in tali attività.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Come da progetto i percorsi redatti, nel <strong>2003</strong> dagli specialisti dell’ASL 10 (K mammella e K<br />

colon, BPCO, Diabete, Scompenso Cardiaco, Depressione maggiore e Percorso nascita) sono<br />

stati oggetto di revisione in focus group con i Medici di Medicina Generale (MMG). Questi<br />

percorsi definiti “profili di cura” in quanto descrivevano il percorso del paziente nei soli<br />

momenti di cura delle strutture ospedaliere, sono stati trasformati in “profili di assistenza”<br />

descriventi il percorso effettivo del paziente sia in ospedale che negli ambulatori del MMG e a<br />

domicilio. I percorsi effettivi così descritti, sono stati confrontati con evidenze scientifiche di<br />

provata efficacia ottenute attraverso ricerche documentali realizzate dopo formazione mirata a<br />

far acquisire consapevolezza dell’importanza di utilizzare linee guida e competenze per la<br />

ricerca. Dal confronto si sono ottenuti i percorsi di riferimento intesi come percorsi ottimali,<br />

per la realtà locale in termini di efficacia ed efficienza, compatibilmente alle risorse<br />

disponibili.<br />

I percorsi di riferimento descritti con l’ausilio di un diagramma di flusso corredato da note<br />

esplicative, sono poi stati condivisi e successivamente diffusi a tutti gli operatori coinvolti e<br />

sono da inizio <strong>anno</strong> attuati in fase sperimentale per sei mesi. Tutte le fasi del progetto sono<br />

state sostenute da interventi formativi mirati ad acquisire elementi metodologici per la<br />

costruzione di un percorso ed in particolare per acquisire le necessarie abilità per descrivere<br />

sia l’intero percorso sia ogni episodio dello stesso evidenziando per ognuno le modalità di<br />

misura e monitoraggio dei risultati. In una serie di slide sono stati riportati gli elementi<br />

caratterizzanti la metodologia utilizzata per la stesura e tale materiale potrebbe essere<br />

utilizzato per esportare l’esperienza in altre aziende sanitarie.<br />

Nella fase di revisione dei percorsi effettivi e nella costruzione di quelli di riferimento i gruppi<br />

di lavoro, una volta evidenziati in diagramma di flusso gli episodi più significativi, li h<strong>anno</strong><br />

descritti tenendo presente come guida per la stesura delle note le nove categorie assistenziali<br />

proposte dalla Joint Commission declinate secondo le classiche domande per l’analisi di un<br />

processo: CHI, COME, COSA, DOVE,QUANDO e PERCHÈ. Le nove categorie assistenziali<br />

utilizzate come guida per garantire cure efficaci e sicure a tutti senza tralasciare aspetti che<br />

potrebbero essere determinanti sull’esito finale del trattamento sono:<br />

• valutazione del paziente;<br />

• educazione del paziente e/o della famiglia;<br />

139


• pianificazione del percorso e della dimissione;<br />

• esami;<br />

• interventi, procedure;<br />

• consulenze;<br />

• terapia;<br />

• nutrizione;<br />

• attività e sicurezza del paziente.<br />

Non sempre il risultato ottenuto risponde a questi requisiti tant’è che come azione correttiva il<br />

coordinatore di progetto ed i tutor dei gruppi h<strong>anno</strong> pensato che nella prossima revisione dei<br />

documenti di percorso, prevista post sperimentazione, fosse meglio far riformulare, le note<br />

descrittive degli episodi con matrici obbligate.<br />

Grosse difficoltà si sono incontrate inoltre nella definizione di uno specifico sistema di<br />

indicatori per il controllo dell’attuazione del percorso e delle performance, tant’è che<br />

l’obiettivo di realizzare un sistema di indicatori da utilizzare per redigere report di<br />

rendicontazione alla Direzione è stato raggiunto solo in parte. Nei documenti di descrizione<br />

dei percorsi di riferimento sono infatti riportati unicamente indicatori desunti dalle linee guida<br />

o già utilizzati da flussi informativi preesistenti. Sicuramente questi indicatori inseriti in un<br />

quadro sistemico come quello di un percorso forniscono informazioni preziose, ma sarebbe<br />

opportuno proseguire lo studio individuando per ogni percorso i punti critici e per ognuno gli<br />

opportuni indicatori mirati alla realtà locale. Non riuscendo almeno in questo momento a<br />

definire indicatori specifici, ma essendo nel contempo certi della necessità e dell’importanza<br />

di usare uno strumento di valutazione si è ipotizzato che potesse essere utile condurre degli<br />

audit specifici per percorso, realizzati con una metodologia simile a quella dell’audit clinico,<br />

che però non escludesse gli aspetti gestionali ed organizzativi. A tal proposito è stato<br />

realizzato uno percorso formativo e si è giunti a definire una modalità di audit, sperimentata<br />

nel percorso “diabete”, tale da permettere un reale monitoraggio del percorso.<br />

La metodologia di conduzione dell’audit è stata definita in un corso di formazione, realizzato<br />

nel mese di febbraio 2004, proprio con l’obiettivo di fornire competenze specifiche per la<br />

conduzione di questa attività. Tale metodologia prevede incontri specifici per ogni episodio<br />

condotti con la tecnica del focus group dal team dei professionisti che intervengono nello<br />

svolgimento delle attività. Scopo di ogni incontro è la verifica:<br />

• dello stato di applicazione del percorso analizzando concretamente dei “casi” mediante<br />

l’esame della documentazione sanitaria (cartelle, referti, schede terapia);<br />

• dell’appropriatezza del percorso;<br />

• dell’adeguatezza dei risultati ottenuti rispetto agli obiettivi di salute prefissati.<br />

Nel corso della sperimentazione si è evidenziato come sia importante che la conduzione del<br />

focus group sia affidata ad un facilitatore e che tale attività sia condotta a fronte di specifica<br />

check-list predefinita al momento della stesura del percorso. Il facilitatore ha il compito di:<br />

• concentrare l’attività del gruppo sul compito;<br />

• consentire una buona comunicazione fra i professionisti incoraggiando o stoppando la<br />

partecipazione a seconda dei casi;<br />

• supportarli con contributi metodologici di problem solving;<br />

• garantire il rispetto delle scadenze e delle modalità progettate per la conduzione dell’audit.<br />

Sono stati calendarizzati due audit per ogni percorso: uno all’inizio della sperimentazione di<br />

attuazione e uno al termine. Concludendo i risultati conseguiti con il progetto si considerano<br />

positivi e si valuta che soddisfino gli obiettivi che ci si era prefissati.<br />

140


Paolo Cavallo Perin Filone tematico A2<br />

Sindrome metabolica: nuovi marcatori di d<strong>anno</strong> endoteliale<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina Interna<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La patologia cardiovascolare (CVD) è la principale causa di mortalità e morbilità nei Paesi<br />

industrializzati. Ipertensione arteriosa, dislipidemia, diabete o intolleranza glicidica e obesità<br />

sono fattori di rischio cardiovascolare frequentemente associati. Tale associazione,<br />

denominata sindrome plurimetabolica (SPM) è un importante fattore indipendente di rischio<br />

cardiovascolare. La molecola di adesione ICAM-1, le Heat shock Proteins (HSP) e gli<br />

anticorpi diretti contro le HSP (aHSP) sono stati recentemente proposti come marcatori di<br />

d<strong>anno</strong> endoteliale. Inoltre, la formazione di addotti covalenti tra è 4-idrossi-nonenale (HNE) e<br />

le proteine del siero è considerata espressione di d<strong>anno</strong> ossidativo endoteliale.<br />

OBIETTIVO<br />

Scopo del presente studio era di misurare in soggetti affetti da SPM e non, i livelli circolanti<br />

di ICAM, Hsp60, Hsp70, Hsp27, anti-Hsp60 e anti-HSP70 e la presenza di addotti dell’HNE.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Casistica. Un totale di 1373 soggetti non diabetici, afferenti agli ambulatori di Medicina<br />

Generale di Casale Monferrato, sono stati sottoposti a screening per la diagnosi di SPM<br />

(gennaio 2005-febbraio 2006). Sono stati reclutati in modo consecutivo tutti i soggetti affetti<br />

da SPM secondo i criteri NCEP-ATPIII. Nel gruppo di controllo sono stati reclutati soggetti<br />

paragonabili per età e sesso ai casi e che non presentano nessuno dei criteri diagnostici della<br />

SPM. Sono stati esclusi i soggetti con età 70 anni, patologie infiammatorie/infettive,<br />

insufficienza renale o epatica, diabete, ed evidenza clinica di CVD. Sono stati raccolti i dati<br />

anamnesi e fisici (pressione arteriosa, circonferenza addominale, BMI, esame fisico<br />

cardiovascolare).<br />

Dosaggi. Un campione di sangue a digiuno è stato raccolto per la determinazione di glicemia,<br />

trigliceridemia, colesterolo totale e HDL e creatininemia. I livelli serici di sICAM-1, Hsp60,<br />

Hsp70, Hsp27, anti-HSP60 ed anti-Hsp70 sono stati misurati con metodica ELISA. La<br />

presenza di addotti proteine-HNE è stata condotta sul siero di 15 soggetti con SPM e 10 di<br />

controllo mediante immunoblotting e su 5 soggetti con SPM e 5 di controllo mediante<br />

elettroforesi bidimensionale.<br />

Risultati. Su un totale di 1373 soggetti sottoposti a screening 59 soggetti sono stati arruolati<br />

nello studio. Tra i soggetti reclutati l’85% presentava 3 criteri positivi per la SPM e il restante<br />

15% 4 criteri. I soggetti nel gruppo di controllo (C) (n=29) erano paragonabili ai casi (S)<br />

(n=59) per età (S:57,49 ± 0,9; C: 54,69 ± 1,28, media ± ESM) e sesso (S: 39M e 20F; C: 18M<br />

e 11F). Circonferenza addominale, pressione sistolica e diastolica, trigliceridi e glicemia<br />

erano significativamente più elevati nei soggetti con SPM che nei controlli, mentre i livelli di<br />

colesterolo HDL erano maggiori nei controlli. I livelli circolanti di Hsp60 erano misurabili<br />

solo in una minoranza dei soggetti studiati (S:12%, C:17%) e non vi era differenza<br />

141


significativa tra i due gruppi. Analogamente, non si sono riscontrate differenze significative<br />

tra soggetti con SPM e soggetti di controllo nei livelli serici degli anticorpi anti-Hsp60 [S:<br />

29,7 (4,4-348,6) vs C: 28,3 (4,56-305,2); mediana(range)].<br />

I livelli di Hsp70 erano misurabili in tutti i soggetti studiati [S:1,8 (0,0-7,3), C:1,4 (0,00-6,19)<br />

p=ns] e quelli degli anticorpi anti-Hsp70 erano più elevati nei controlli che nei soggetti con<br />

SPM [S: 178,6 (7,5-1132,8), C: 247,8 (91,20-5127,5) p=ns], ma tale differenza non<br />

raggiungeva la significatività statistica. I livelli di sICAM-1 erano significativamente<br />

maggiori nei soggetti con SPM [S: 245,8 (152,7-500); C: 199.9 (91,20-387,1) p=0.010],<br />

mentre i livelli di Hsp27 erano significativamente ridotti nei soggetti con SPM rispetto ai<br />

soggetti di controllo [S: 9,7. (0-132,0); C: 98,2 (0-1357,4) p=0,036], tuttavia l’analisi dei<br />

livelli di Hsp27 è stata eseguita solo in un sottogruppo di 37 soggetti (S:25, C:12).<br />

Nel controllo positivo e nei sieri SPM si sono individuate all’elettroforesi bidimensionale ~15<br />

addotti proteici dell’HNE: 10 spots di ~68 kDa ad elevata intensità e 5 spots di peso<br />

molecolare < 30 kD e di bassa intensità. I sieri di controllo ed il controllo negativo mostrano<br />

invece un minor numero di addotti visibili (5 spots con bassa intensità di ~68 kD e nessuno<br />

spot nell’area inferiore ai 30 kDa). Paragonando le nostre mappe con mappe delle banche<br />

proteiche, si può ipotizzare che IgA e transferrine siano tra le proteine che legano HNE nei<br />

sieri SPM.<br />

CONCLUSIONI<br />

Si sono riscontrare differenze significative tra i due gruppi nei livelli serici di ICAM-1 ed<br />

HSP27. L’ICAM-1, una molecola di adesione espressa dall’endotelio in risposta a citochine<br />

infiammatorie, è stata implicata nella patogenesi dell’aterosclerosi e studi prospettici h<strong>anno</strong><br />

dimostrato che i livelli circolanti di ICAM-1 sono un fattore predittivo indipendente di<br />

coronaropatia.<br />

L’associazione tra i livelli circolanti ICAM-1 e la presenza di SPM, dimostrata in questo<br />

studio, suggerisce che l’ICAM-1 possa essere un precoce marcatore di d<strong>anno</strong>/disfunzione<br />

endoteliale. L’Hsp27 è una proteina ad azione citoprottetiva, la cui espressione è ridotta a<br />

livello della placca aterosclerotica. Il riscontro di ridotti livelli circolanti di Hsp27 in soggetti<br />

con SPM, in assenza di patologia cardiovascolare conclamata, suggerisce che l’Hsp27 possa<br />

essere un indice precoce di ridotta protezione endoteliale. Infine, si può ipotizzare che la<br />

quantità elevata di addotti HNE-proteina nel siero di soggetti con SPM possa essere<br />

l’espressione di una produzione elevata di HNE da parte dell’endotelio in condizioni di stress<br />

ossidativo.<br />

SVILUPPI FUTURI<br />

Lo studio verrà completato misurando i livelli di Hsp27 in tutti i soggetti reclutati. Si eseguirà<br />

quindi un’analisi statistica univariata e multivariata al fine di stabilire se esistano associazioni<br />

tra i marcatori studiati e i tradizionali fattori di rischio cardiovascolare e quali siano i maggiori<br />

determinanti nelle variazioni dei livelli di sICAM-1 e Hsp27. Si prevede che ciò richiederà<br />

ancora circa un mese di lavoro. Una volta completato lo studio verrà inviato in forma di<br />

articolo originale alla rivista scientifica Diabetes Care, inoltre un estratto del lavoro svolto<br />

verrà presentato al European Association for the Study of Diabetes in aprile. Lo studio sugli<br />

addotti proteina-HNE verrà ampliato mediante analisi di un numero maggiore di casi e si<br />

procederà all’identificazione delle proteine che legano HNE.<br />

142


Pietro Cazzola Filone tematico B3<br />

Contenimento dell’ingresso di radionuclidi nella catena alimentare:<br />

applicazioni in campo<br />

Istituto Zooprofilattico Sperimentale del <strong>Piemonte</strong>, Liguria e Valle D’Aosta<br />

OBIETTIVO<br />

Le minacce terroristiche di questi ultimi tempi e l'incidente occorso a Chernobyl nel 1986, che<br />

provocò la contaminazione di vaste aree anche lontane dal luogo dell'incidente, evidenziano la<br />

necessità di disporre di piani di emergenza che consentano anche un intervento specifico nel<br />

settore veterinario e tali da prevenire, bloccare o ridurre l'ingresso dei radionuclidi nella<br />

catena alimentare attraverso impedendone l'arrivo all'uomo. Per l’organizzazione dei sistemi<br />

di intervento sanitario per la prevenzione di tale rischio ed in particolare dell’ingresso di<br />

radioisotopi nelle filiere produttive degli alimenti di origine animale, è stato iniziato un<br />

programma di collaborazione con i Veterinari dell'ASL 12, area C, di Biella, Dott.ri Luca Sala<br />

e Carlo Brini, con il Dott. Paolo Manzone, Fisico Sanitario ed E.Q., e con il Fisico Sanitario e<br />

Matematico Dott. Andrea Chiecchio costituendo un gruppo operativo con l'obiettivo della<br />

stesura di una bozza di piano di intervento sanitario specifico nel settore zootecnico per il<br />

territorio di competenza dell'Azienda <strong>Sanitaria</strong>.<br />

METODI E RISULTATI<br />

In cooperazione col gruppo si è completata la raccolta dei riferimenti bibliografici circa gli<br />

interventi di Protezione Civile e dei Servizi Veterinari come previsto nei Piani di Intervento<br />

già approntati nella nostra <strong>Regione</strong> e le documentazioni inerenti. Inoltre si è provveduto alla<br />

stesura di una prima bozza di documento che schematizza un programma preventivo di<br />

interventi volti a valutare la reale distribuzione, la tipologia e la consistenza numerica degli<br />

allevamenti presenti nella zona di competenza, le aree agricole correlate per la produzione di<br />

alimenti per gli animali nonché la formazione e l'organizzazione necessaria nei Servizi<br />

Veterinari territoriali. Si è infatti ritenuto prioritario stabilire quali parametri e qual tipo di<br />

informazione debbano essere rilevati preventivamente ed aggiornati regolarmente per<br />

costituire la base informativa immediatamente disponibile in caso di emergenza e che deve<br />

indirizzare le varie fasi della stessa.<br />

Sono state effettuate prove per la messa a punto di metodi per la determinazione della<br />

radioattività in scintillazione liquida su campioni di terra e di latte valutando<br />

comparativamente i risultati con quelli ottenuti in spettrometria gamma, metodo previsto<br />

ufficialmente per rilevare la contaminazione degli alimenti, dimostrando la possibilità di<br />

utilizzare questa tecnica per la valutazione generica del livello di contaminazione lasciando<br />

alla spettrometria l'identificazione dei radionuclidi e la loro quantizzazione.<br />

L'impiego razionale dei metodi dovrà essere previsto in funzione delle caratteristiche<br />

produttive del territorio, per ciò che concerne gli alimenti per animali, nonchè la disponibilità<br />

e distribuzione di attrezzature analitiche dei due tipi.<br />

Con lo sviluppo di tale programma si ritiene di poter prevedere tempi molto ridotti per<br />

l’ottenimento dei primi risultati analitici e funzionali dal momento in cui scatta il piano di<br />

intervento (identificazione delle aree contaminate, valutazione del rischio di ciascuna ed<br />

interventi di sequestro, bonifica o impiego controllato delle materie prime in tempi atti a<br />

garantire un livello di sicurezza accettabile).<br />

143


Per l'applicazione sul territorio dei metodi di intervento già proposti nella precedente ricerca<br />

finalizzato regionale "Controllo dell’ingresso di radionuclidi nello catena alimentare in coso<br />

di contaminazione ambientale" si è proseguito con lo studio dell’influenza del trattamento con<br />

liscivia acida degli strati superficiali del suolo per far scendere in profondità i radionuclidi<br />

sulla fertilità dei terreni; si è potuto dimostrare che tale operazione non cambia<br />

sostanzialmente le caratteristiche di fertilità né riduce la capacità germinativa dei semi di<br />

piante erbacee presenti al momento dell'irrorazione ma si rileva solamente un ritardo nella<br />

nascita delle piantine ed il raggiungimento tardivo della biomassa ottenibile.<br />

Un ulteriore lavoro sperimentale, mirato alla individuazione di un metodo per ridurre la<br />

contaminazione presente nel latte durante le operazioni di caseificazione, è stato allestito e<br />

concluso; la sperimentazione, nata a seguito delle necessità osservate nella gestione dei<br />

prodotti delle aziende agricole bielorusse ed ai problemi sanitari legati ai latticini, ha<br />

permesso di mettere a punto un protocollo in grado di bonificare l'alimento da Cesio 137 e<br />

Stronzio 90 facilmente applicabile in azienda.<br />

144


Luisella Cesari Filone tematico A4<br />

Modello di intervento per promuovere una sana alimentazione e l’attività<br />

fisica in bambini e adolescenti in soprappeso<br />

Asl 5 - Dipartimento di Prevenzione<br />

Servizio Igiene degli Alimenti e Nutrizione<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il preoccupante trend di sovrappeso e di obesità in età pediatrica, riportato dalla letteratura<br />

scientifica nazionale ed internazionale, rende necessari approcci innovativi all’educazione ad<br />

un corretto comportamento alimentare e, più in generale, ad uno stile di vita più salutare.<br />

L’ASL di Brescia - Palazzolo ha attivato un “Corso di addestramento teorico pratico ad una<br />

sana alimentazione per prevenire o trattare le oscillazioni del peso” rivolto agli adulti. Il<br />

presente è un progetto pilota rivolto alla popolazione con eccesso ponderale delle fasce di età<br />

comprese tra i 5 e gli 18 anni, impostato tenendo in considerazione le “prove di efficacia” in<br />

tema di educazione alimentare riportate dalla letteratura scientifica, e cioè:<br />

• per i bambini, interventi di educazione alimentare indirizzati a tutta la famiglia.<br />

• Per gli adolescenti, interventi rivolti ai ragazzi separatamente dai genitori.<br />

• Abbinamento a programmi di esercizio fisico.<br />

• Uso di sistemi visivi tridimensionali (dietetica per volumi), invece della pesatura, per una<br />

migliore memorizzazione delle porzioni e per evitare l’isolamento rispetto alla famiglia.<br />

• Attenzione alla percezione dei gusti<br />

Inoltre il progetto è stato supervisionato da DoRS – Centro Regionale Documentazione per la<br />

Promozione Salute, da un Medico Igienista e da un Sociologo del Dipartimento Sanità<br />

Pubblica Università di Torino alla luce del modello teorico di cambiamento dei<br />

comportamenti di Prochaska e Di Clemente.<br />

METODI<br />

Per controllare l’eccesso ponderale in età evolutiva appaiono prioritarie l’attività fisica e<br />

idonei consumi di ortaggi, frutta (almeno 400 g/die), snack (non più di 3/settimana con<br />

kcal>180 e lipidi>6g). Il percorso educativo - iniziato prima dell’approvazione del progetto -<br />

è durato 6 mesi, e si è svolto in 5 incontri di gruppo a cadenza mensile intervallati da 4<br />

incontri individuali. H<strong>anno</strong> partecipato 14 genitori (suddivisi in due gruppi) i cui bambini<br />

erano per il 64% (9) obesi e per il 36% (5) in soprappeso, e 8 ragazzi (1 gruppo), di cui 6<br />

(75%) obesi e 2 in soprappeso, inviati dai Medici e dai Pediatri convenzionati con l’ASL 5,<br />

cui l’iniziativa era stata presentata nel settembre 2004. All’accoglienza sono state effettuate<br />

visita medica ed anamnesi alimentare secondo la tecnica della dietetica per volumi e sono stati<br />

somministrati un questionario predisposto dalla Medicina dello Sport ed uno dal Servizio di<br />

Psicologia dell’Assistenza <strong>Sanitaria</strong> Territoriale (AST) dell’ASL 5 di Collegno. Tra gli<br />

incontri di gruppo, 3 sono stati gestiti dal Dietologo e dalla Dietista del Servizio Igiene<br />

Alimenti e Nutrizione per l’addestramento alla porzionatura, che ha utilizzato una tecnica<br />

basata sul confronto dei cibi con volumi di oggetti di uso comune (palla da tennis, CD ecc.) o<br />

della mano del soggetto stesso (pugno, palmo, dita ecc.), con prova pratica finale. Sono state<br />

usate strategie di educazione alla percezione del gusto amaro, per favorire il consumo di<br />

ortaggi e frutta, dopo suddivisione dei partecipanti in 3 categorie secondo la percezione del<br />

145


gusto amaro, seguendo le classificazioni di Drewnowski e Bartoshuck: supertaster, medium<br />

taster, non taster, con percezione rispettivamente elevata, intermedia, bassa. In base alla<br />

classificazione, ognuno riceveva consigli personalizzati, e presentava in seguito al gruppo le<br />

strategie attuate per aumentare i consumi di ortaggi e/o frutta. I 4 incontri individuali<br />

valutavano la compliance agli obiettivi personalizzati, assegnati volta per volta in base<br />

all’anamnesi alimentare. Gli ultimi 2 incontri di gruppo, gestiti 1 dagli Psicologi ed 1 dal<br />

Medico dello Sport, stimolavano alla riflessione rispettivamente sulle relazioni tra emozioni e<br />

cibo e sull’importanza dell’attività fisica discrezionale, oltre a quella sportiva.<br />

All’accoglienza, 9 bambini (64%) e 7 (87%) adolescenti svolgeva attività fisica extrascolatica<br />

strutturata; 10 bambini (71%) erano sedentari nel tempo libero, il 29% talvolta facevano<br />

giochi di movimento. Tra gli adolescenti, 4 (50%) preferiva attività sedentarie, 3 (37,5%) le<br />

alternava con il movimento, 1 preferiva attività di movimento.<br />

RISULTATI<br />

Dei 14 genitori e degli 8 ragazzi reclutati, rispettivamente il 50% ed il 75% ha partecipato a<br />

tutti e 3 gli incontri relativi all’alimentazione. Al termine del percorso educativo (6 mesi) si<br />

sono registrati 7 drop out (50%) nel gruppo genitori, nessuno nel gruppo ragazzi. I consumi di<br />

ortaggi e frutta sono risultati insufficienti: ·<br />

• al reclutamento in 7 adolescenti su 8 (87,5%) e 8 bambini su 14 (57%); ·<br />

• a fine percorso in 1 adolescente su 8 (12,5%) e 2 bambini su 7 (28%).<br />

I consumi di snack sono risultati eccessivi: ·<br />

• al reclutamento in 5 adolescenti su 8 (62,5%) e 12 bambini su 14 (86%); ·<br />

• a fine percorso in 3 adolescenti su 8 (37,5%) e 3 bambini su 7 (43%).<br />

Gli adolescenti ed i bambini obesi registravano a 6 mesi dall’accoglienza un calo ponderale<br />

(media+ds) rispettivamente del 6+2% e del 4+5%. Non è stato possibile valutare le eventuali<br />

variazioni di attività fisica.<br />

CONCLUSIONI<br />

La dietetica per volumi, per le sue caratteristiche di semplicità e facile comprensione appare<br />

nella nostra casistica utile alla promozione dei consumi di ortaggi e frutta ed al calo ponderale<br />

nei bambini e soprattutto negli adolescenti. Occorre invece rivalutare le strategie per<br />

promuovere un corretto apporto di snack in entrambe le fasce di età e per ridurre il numero dei<br />

drop out nei genitori dei piccoli. A tal fine sono stati effettuati una revisione dei materiali<br />

educativi presentati ai genitori dei bambini (Educatore DoRS) ed un intervento di counselling<br />

sul personale che ha condotto i gruppi (Sociologo Universitario), in vista della prosecuzione<br />

dell’attività con altri gruppi. DoRS inoltre ha evidenziato la necessità che i materiali utilizzati<br />

venissero raccolti per la ripetizione dell’attività in altre ASL del <strong>Piemonte</strong>. Il progetto è stato<br />

presentato al Laboratorio di valutazione in Promozione della Salute DoRS il 14 ottobre 2004.<br />

Grazie alla collaborazione dell’AST, al Convegno Nazionale SitI 2004, è stato inoltre<br />

presentato nel giugno 2005 ai Pediatri di Libera Scelta dell’ASL 5, per diffondere la tecnica<br />

fra i Medici del territorio e mettere a punto indicatori che alimentino un flusso informativo<br />

bidirezionale tra ASL e pediatri convenzionati. Il progetto ha sperimentato una nuova<br />

strategia per il controllo dell’eccesso ponderale in età evolutiva con un approccio di ricerca<br />

multidisciplinare, che ha preso in particolare considerazione gli aspetti educativi, grazie<br />

all’apporto di Dors e del Dipartimento Sanità Pubblica Università di Torino. Altra ricaduta<br />

importante è stata la creazione di una rete di collaborazione stabile tra diversi Servizi<br />

dell’ASL 5 di Collegno, nonostante le scarse risorse, e l’alleanza con i Pediatri di Libera<br />

Scelta.<br />

146


Maria Pia Chianale Filone tematico C2<br />

Informatizzazione e lettura dei dati provenienti dai bilanci di salute dei<br />

Pediatri di Libera Scelta.<br />

Asl 5 – Dipartimento territoriale per la Continuità delle Cure<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La raccolta informatizzata dei dati statistico-epidemiologici provenienti dai Bilanci di Salute<br />

effettuati dai 45 Pediatri di Libera Scelta dell’ASL 5 ha richiesto un notevole sforzo<br />

gestionale ed organizzativo nel coinvolgere figure professionali e modelli operativi complessi.<br />

Dalla ditta che scansisce per conto dell’Azienda le ricette e le richieste mediche abbiamo<br />

ottenuto un comodato d’uso per l’installazione e la manutenzione di un software di gestione<br />

(comprendente lettura ottica previa traduzione in codice a barre dei Bilanci di Salute e<br />

successiva rielaborazione in pagine Excell compattate in CD ROM) da inviare periodicamente<br />

alla Pediatria di Comunità per l’elaborazione dei dati finali. Questi sar<strong>anno</strong> visibili ai Medici<br />

A.S.T. per ciò che riguarda le loro competenze mentre alla Pediatria di Comunità è permesso<br />

l’accesso generale in qualità di gestore applicativo del sistema col compito di rielaborare i<br />

contenuti e correggere gli eventuali errori formali. La raccolta e l’invio dei Bilanci di Salute<br />

avviene a livello dei 5 Distretti dell’ASL 5 dove f<strong>anno</strong> ritorno una volta scansiti.<br />

METODI<br />

Pertanto col finanziamento erogato si è proceduto ad identificare i momenti strutturalmente<br />

carenti del progetto richiedendo per il 50% apparecchiature informatiche (allo scopo di servire<br />

come terminali periferici e rielaborazione dei dati pervenuti dalla scansione) con possibilità di<br />

correzione e nuovi inserimenti.<br />

Con il restante 50% si è cercato di non vanificare gli sforzi sopracitati finanziando un corso<br />

dallo stesso titolo del progetto con presentazione dello stesso in forma multimediale ed<br />

interattiva, inviti, locandine, schede plastificate e relative dispense rilegate e stampate a colori<br />

con CD ROM da consegnare ad ogni singolo Pediatra con breve manuale di compilazione. Il<br />

corso svoltosi in data 9 Ottobre 2004 a Collegno sede ASL è stato il momento formativo<br />

(amministrativo, tecnico, scientifico) dove sono stati illustrati i dati scansiti nel semestre<br />

2004.<br />

La formazione aveva come obiettivi generali quelli di:<br />

a) migliorare la qualità della compilazione dei Bilanci di Salute<br />

b) alimentare registro dei cronici<br />

c) costruire statistiche di popolazione che fornissero indicatori sullo stato di salute e sulla<br />

domanda di servizi<br />

d) appropriatezza degli invii al II livello.<br />

RISULTATI<br />

I Pediatri h<strong>anno</strong> risposto in maniera unanime al corso e si sono impegnati per una<br />

compilazione più accurata e precisa permettendo di: alimentare il registro sopracitato,<br />

costruire statistiche, grafici e torte percentili evocabili in tempo reale dal programma con % di<br />

147


alimentati al seno, % vaccinati, % con disturbi psicomotori e neurologici, % con problemi<br />

ortopedici, oculistici, odontoiatrici, % inviati al II livello in toto. La registrazione<br />

informatizzata dei Bilanci di Salute permette un costante confronto con la letteratura al fine<br />

d’inquadrare la maggiore o minore incidenza di patologie in un range statistico nazionale e ne<br />

determina le deviazioni standard per individuarne le possibili cause: dall’errore diagnostico a<br />

quello di trascrizione, alla maggiore incidenza in senso assoluto. La priorità data alla raccolta<br />

dati “patologie croniche rilevanti” serve per costruire una rete di servizi attivi ed integrati tra<br />

loro (partecipano al corso ed al progetto sia P.L.S. che ospedalieri) a significare che l’agenda<br />

della salute è il testimone della continuità delle cure tra ospedale e territorio.<br />

L’intero progetto è visitabile nell’intranet aziendale tramite accesso con password dai singoli<br />

distretti per quanto riguarda le loro competenze, mentre la gestione generale è affidata alla<br />

Pediatria di Comunità afferente al DTCC ASL 5. Il software permette report di tutti i Bilanci<br />

di Salute per periodo, per fasce d’età, per medico, per distretto e la possibilità di inserire<br />

manualmente nuove schede qualora eseguite in ospedale, in consultorio o dal Pediatra privato<br />

per il verificarsi di una carenza sul territorio. Le patologie croniche sono visibili con le<br />

medesime modalità sopracitate, anche per loro vale la possibilità d’inserimento manuale<br />

qualora provenissero da altre fonti. Il sofware permette altresì (sezione non ancora attivata) la<br />

gestione delle schede dal punto di vista amministrativo – contabile prevedendo il calcolo degli<br />

emolumenti per singolo pediatra e per distretto.<br />

Il progetto prevede alla fine di ogni <strong>anno</strong> solare l’invio dei dati al Responsabile Settore<br />

Programmazione <strong>Sanitaria</strong> Assessorato alla Sanità <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> ed un libro bianco di<br />

ritorno ai P.L.S. con report dell’attività da loro svolta. Così le varie voci che compongono i<br />

Bilanci di Salute possono diventare spunto importante per futuri corsi di formazione aventi<br />

per obiettivo la conoscenza e l’appropriatezza della compilazione di tutti i primi livelli, e la<br />

costruzione di una rete di collegamento con gli specialisti di II livello e le strutture<br />

ospedaliere.<br />

148


Livio Chiandussi Filone tematico C2<br />

Studio sull’utilizzo di markers ormonali nella predizione e<br />

razionalizzazione della risposta ai farmaci antipertensivi.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina e Oncologia Sperimentale<br />

MATERIALI E METODI<br />

Si sono esaminate le cartelle cliniche informatiche di circa 6000 pazienti ipertesi seguiti<br />

presso il Centro per la Cura e la Terapia dell’Ipertensione Arteriosa di Torino dal 1989 al<br />

<strong>2003</strong>. Ai fini dell’analisi statistica, sono stati inseriti in un programma software dedicato<br />

creato con programma DBASE3 i seguenti dati clinici:<br />

• valori pressori misurati durante le visite ambulatoriali ed al domicilio, in regime di wash<br />

out farmacologico e dopo impostazione di terapia antipertensiva;<br />

• durata dell’ipertensione arteriosa;<br />

• parametri antropometrici (peso, altezza, indice di massa corporea) ed abitudini di vita in<br />

grado di modificare il rischio cardiovascolare (con particolare attenzione al grado di<br />

tabagismo);<br />

• terapia antipertensiva intrapresa (categoria farmacologica, dosaggio) e sue modificazioni<br />

nel tempo;<br />

• dosaggio di attività reninica plasmatica ed aldosterone in clinostatismo ed ortostatismo.<br />

Si sono esaminati i dati clinici relativi ai singoli pazienti, con particolare riguardo ai livelli di<br />

attività reninica plasmatica (PRA) ed aldosterone, ai fini di escludere dalla successiva analisi<br />

statistica i soggetti affetti da iperaldosteronismo primitivo. Si sono selezionati circa 600<br />

pazienti con rapporto aldosterone plasmatico/attività reninica plasmatica >400. Tra questi,<br />

circa 200 sono risultati affetti da iperaldosteronismo primitivo, e sono stati pertanto esclusi<br />

dall’analisi successiva. Sono stati al contrario inclusi nell’analisi i pazienti con ipertensione<br />

arteriosa a bassa renina. I dati relativi agli altri soggetti sono stati analizzati tramite il software<br />

di analisi statistica SAS. Al fine di analizzare le variazioni temporali del compenso pressorio e<br />

dei regimi terapeutici dei soggetti afferenti al Centro tra il 1989 ed il <strong>2003</strong>, si sono suddivisi i<br />

pazienti in tre gruppi in base all’epoca di afferenza (1989-93, 1994-98, 1999-<strong>2003</strong>). Inoltre,<br />

per valutare l’effetto della PRA sulla risposta terapeutica ai diversi regimi terapeutici, si sono<br />

selezionati, tra i 3000 soggetti sottoposti a dosaggi ormonali, coloro in cui la valutazione della<br />

PRA era priva di interferenze farmacologiche (soggetti in wash out o trattati con calcioantagonisti/alfalitici).<br />

Secondo l’ipotesi di Laragh, i pazienti sono stati suddivisi in: soggetti con ipertensione<br />

volume-dipendente (a “bassa renina”, in presenza di una PRA=0.65 ng/mL/h),<br />

valutando nei 2 gruppi di soggetti la risposta pressoria alla monoterapia con farmaci ad azione<br />

prevalente sul sovraccarico di volume (diuretici, calcio-antagonisti, alfa-bloccanti) o sulle<br />

resistenze periferiche e sull’attività reninica (beta-bloccanti, antagonisti recettoriali dell’AT1,<br />

ACE-inibitori, farmaci ad azione centrale).<br />

I pazienti sono stati quindi suddivisi in 2 gruppi:<br />

a) trattati con un farmaco appropriato per il proprio assetto reninico<br />

149


) trattati con una farmaco inadatto all’assetto reninico.<br />

RISULTATI<br />

Dal 1989-93 al 1999-<strong>2003</strong> si sono osservati un significativo incremento dell’età (da 50.3<br />

anni±14.1 a 52.6±13.6), della percentuale di soggetti in terapia (da 75.7 a 77.3%) e del<br />

numero di farmaci per soggetto (da 1.35±1.1 a 1.50±1.18), ed una riduzione significativa dei<br />

valori pressori al momento dell’afferenza (PAS da 161.8±24.0 a 155.4±22.9, PAD da<br />

99.7±11.6 a 93.9±11.3) Si è significativamente ridotta la percentuale di pazienti trattati con<br />

ACE-inibitori (da 42.0 a 34.8%), farmaci ad azione centrale (da 6.2 a 4.9%) e<br />

calcioantagonisti (da 30.9 a 24.2%), a vantaggio dei bloccanti recettoriali dell’AT1 (da 0.1 a<br />

15.2), dei beta-bloccanti (da 18.3 a 26.2%) e degli alfa-bloccanti (da 7.8 a 14.7%). Non è<br />

mutato il consumo di diuretici (28.7%) e di vasodilatatori diretti (0.05%). I valori pressori in<br />

wash out non sono risultati significativamente diversi nei pazienti “a bassa renina” ng/mL/h -<br />

che rappresentavano il 41.7% del campione – rispetto ai pazienti “ad alta renina” – che<br />

costituivano circa il 58.3% (154.9/100.7 mmHg vs 152.9/98.9 mmHg). Risultati simili si sono<br />

osservati dopo il trattamento farmacologico (140.7/90.9 mmHg vs 141.7/90.4 mmHg). La<br />

riduzione dei valori pressori sistolici e diastolici è risultata simile nei pazienti trattati con<br />

farmaci in accordo (gruppo A) o in contrasto (gruppo B) con l’assetto reninico (riduzione di<br />

PAS 7.5% nel gruppo A, 7.6% nel gruppo B -p=0.91- riduzione di PAD 8.9% nel gruppo A,<br />

8.0% nel gruppo B -p=0.49). Tuttavia, il raggiungimento del compenso pressorio sistolico in<br />

monoterapia era più frequente nel gruppo A rispetto al gruppo B (43% e 31%<br />

rispettivamente), anche se la differenza non raggiungeva la significatività statistica (p=0.12).<br />

Il target pressorio diastolico veniva raggiunto con una frequenza maggiore mediante una<br />

monoterapia con farmaci ad azione prevalente sull’attività reninica piuttosto che con farmaci<br />

farmaci ad azione prevalente sul sovraccarico di volume, sia nei pazienti a “bassa renina”<br />

(55.3% vs 32.7%, p=0.03) che nei pazienti ad “alta renina” (47.2% vs 25.5%, p=0.02). Un<br />

trend simile si osservava per i valori pressori sistolici.<br />

CONCLUSIONI<br />

In conclusione il dosaggio della PRA non riveste una importanza determinante ai fini della<br />

scelta del trattamento antiipertensivo nel soggetto iperteso essenziale, poiché non sembra<br />

modificare in misura significativa la risposta pressoria alla monoterapia. Lo studio evidenzia<br />

inoltre, dal 1989 al <strong>2003</strong>, un miglioramento del compenso pressorio dei soggetti ipertesi al<br />

momento dell’accesso ad un centro specializzato, suggerendo un potenziamento delle<br />

strategie terapeutiche attuate dai Medici di Medicina Generale.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

I risultati emersi dalla ricerca h<strong>anno</strong> rappresentato l’oggetto delle seguenti pubblicazioni:<br />

• Leotta G., Rabbia F., Mulatero P., Naso D., Canadè A., Veglio F. Compenso pressorio e<br />

regimi terapeutici degli utenti di un centro per la cura dell’ipertensione arteriosa tra il<br />

1989 ed il <strong>2003</strong>. (Poster presentato al “XXII Congresso Nazionale” della “Società Italiana<br />

dell’Ipertensione Arteriosa”, Torino, 27-30 settembre 2005);<br />

• Leotta G., Rabbia F., Mulatero P., Naso D., Canadè A., Veglio F. Blood Pressure Control<br />

and use of Antihypertensive Agents in the Subjects Referred to a Hypertension Unit<br />

between 1989 and <strong>2003</strong>. High Blood Press Cardiovasc Prev 2005;12:115-7. Per la<br />

seguente pubblicazione è in corso il processo di revisione: - Leotta G, Rabbia F, Canadè<br />

A, Papotti G, Mulatero P, Veglio F. Impact of Hypertension Guidelines on hypertension<br />

management by primary care physicians (inviato all’American Journal of Hypertension il<br />

10/2/06).<br />

150


Roberto Chiarle Filone tematico C1<br />

La nuova tecnologia dell’"Interferenza a piccoli RNA" per l'eliminazione<br />

di proteine oncogeniche nei linfomi umani<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana<br />

Lo scopo principale del nostro progetto è stato quello di eliminare l’espressione della proteina<br />

di fusione oncogenica NPM-ALK attraverso un silenziamento stabile e specifico del gene con<br />

la metodica di “RNA interference” (RNAi).<br />

Gli obiettivi prefissati nel progetto erano tre:<br />

OBIETTIVO 1. selezione degli oligonucleotidi con specifica attività di rna interferenza per<br />

NPM-ALK.<br />

OBIETTIVO 2. conferma degli effetti biologici delle sequenze selezionate.<br />

OBIETTIVO 3. studio in vivo sulla crescita cellulare e sulla diffusione linfomatosa.<br />

OBIETTIVO 1.<br />

Dici<strong>anno</strong>ve oligonucleotidi sono stati disegnati come da piano sperimentale. Di questi, sei<br />

sono stati disegnati a cavallo della porzione di fusione tra il gene NPM e quello del ALK. I<br />

rimanenti riconoscono sequenze proprie della regione intracitoplasmatica della chinasi. Tutti<br />

gli oligonucleotidi sono stati clonati nel plasmide pSUPER sotto forma di “small hairpin<br />

RNA” (shRNA). Per studiare quale di queste sequenze potesse inibire o modulare<br />

l’espressione della proteina di NPM-ALK, abbiamo co-trasfettato le cellule 293T con un<br />

plasmide esprimente NPM-ALK, in cui l’espressione della proteina di fusione è controllata<br />

dal promotore del CMV, con il plasmide pSUPER in cui è stato clonato un singolo<br />

oligonucleotide per il gene NPM-ALK or ALK, con un rapporto di 1:4. In tal modo abbiamo<br />

dimostrato che nessuna delle sequenze a cavallo del punto di fusione era in grado di diminuire<br />

in modo significativo (>50%) l’espressione della chimera. In aggiunta siamo stati in grado di<br />

identificare un solo oligonucleotide (1 su 13, chiamato per semplicità ALK-A5) specifico per<br />

la regione citoplasmatica di ALK capace di abbassarne la sua espressione in maniera rilevante<br />

(>80%).<br />

OBIETTIVO 2.<br />

Per studiare gli effetti biologici dovuti alla diminuzione dell’espressione della fusione NPM-<br />

ALK, abbiamo usato una linea di fibroblasti murini (MEF) in cui l’espressione della proteina<br />

di fusione è regolata da un promotore inducibile da tetraciclina in maniera “tet-off”. In<br />

assenza di tetraciclina le cellule esprimono NPM-ALK che trasforma le MEF, rendendole<br />

capaci di crescere in soft agar e in topi immunocompromessi (nu/nu). In MEF positive per<br />

NPM-ALK, ALK-A5 è stato in grado non solo di abbatterne l’espressione proteica ma anche<br />

di bloccarne la trasformazione cellulare e la loro crescita in animali nu/nu. Per studiare gli<br />

effetti di shRNA contro l’ALK in cellule linfoidi umane derivate da malati con ALCL,<br />

abbiamo subclonato la cassetta esprimente shRNA (promotore H1 con ALK-A5) in un vettore<br />

retrovirale (EGFP-pSuperior). In tale modo, siamo riusciti ad infettare più del 40% delle<br />

151


cellule di molte linee umane di ALCL (Karpas 299, TS, DHL) e di alcune linee mancanti del<br />

gene di fusione come controllo (CEM, Jurkatt). L’introduzione di ALK-A5 shRNA via<br />

retrovirus è stata in grado di diminuire significativamente ma non completamente<br />

l’espressione di NPM-ALK. Nonostante ciò, ALK-A5, ma non le sequenze di controllo, può<br />

indurre un blocco della proliferazione (arresto parziale in G0-G1) che porta a uno svantaggio<br />

biologico delle cellule ALCL. Inoltre, in queste condizioni l’espressione di ALK-A5<br />

sensibilizza le cellule ALCL a stress cellulari o a chemioterapici. Infatti queste cellule, in<br />

presenza di percentuali subottimali e decrescenti di FCS o di dosi normalmente non tossiche<br />

di ciclofosfamide, v<strong>anno</strong> incontro a morte cellulare e/o ad un sostanziale rallentamento della<br />

crescita. Poichè questo potrebbe essere dovuto alla non completa inibizione di NPM-ALK a<br />

causa dei bassi livelli di espressione di ALK-A5 shRNA, abbiamo deciso di utilizzare una<br />

cassetta lentivirale. Come controllo abbiamo usato un oligonucleotide corrispondente ALK-<br />

A5, ma con 4 mutazioni nucleotidiche. Con questo sistema più del 98% delle cellule bersaglio<br />

può essere trasdotto con una espressione della EGFP molto più alta di quella ottenuta con<br />

preparazioni retrovirali. La specificità di ALK-5 è ancora una volta confermata dal fatto che<br />

nessun cambiamento si è verificato in cellule infettate con la sequenza di controllo. In questo<br />

sistema sperimentale con lentivirus le cellule di ALCL esprimenti ALK-A5 shRNA, a<br />

differenza dei controlli, v<strong>anno</strong> incontro a morte apoptotica e ad arresto del ciclo cellulare non<br />

appena i livelli della proteina NPM-ALK calano in maniera superiore all’80%, cioè in<br />

corrispondenza di 96 ore circa. Tali fenomeni biologici sono accompagnati da alterazioni dei<br />

livelli di espressione di proteine coinvolte in questi processi, come la diminuzione di survivin<br />

e l’attivazione di caspasi per quanto riguarda l’apoptosi e la diminuzione di ciclina A, ciclina<br />

B1, Retinoblastoma fosforilato e PCNA, cui corrispondono l’aumento di p27 e p21 per quanto<br />

riguarda il ciclo cellulare.<br />

OBIETTIVO 3.<br />

Con esperimenti in vivo abbiamo dimostrato che le cellule ALCL trasdotte con ALK-5, ma<br />

non con il controllo ALK-A6, iniettate (dopo 24 ore dalla trasduzione) in topi non sono in<br />

grado di crescere e generare xenotrapianti. Questi esperimenti sono stati ulteriormente<br />

confermati usando il costrutto inducile per l’espressione del shRNA ALK-A5. Infine abbiamo<br />

dimostrato che l’introduzione di preparazioni concentrate di lentivirus ALK-A5 in masse<br />

tumorali di animali trapiantati sono in grado di indurre morte cellulare e inibire la crescita<br />

neoplastica in vivo. I dati ottenuti con il vettore inducile ALK-A5A confermano che<br />

l’ablazione dell’ALK e’ seguita dall’apoptosi. Infatti l’attivazione del shRNA ALK-A5 in<br />

cellule neoplastiche costituenti larghe masse di tumori (>1cm), cresciute in animali<br />

immunocompromessi, porta la morte di queste ultime, e la guarigione degli animali<br />

trapiantati.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

1. CHIARLE R; SIMMONS WJ; CAI J; DHALL G; ZAMO A.; KARRAS J.; LEVY D.E.;<br />

INGHIRAMI G. (2005). Stat3 is required for ALK-mediated lymphomagenesis and<br />

provides a viable therapeutic target NATURE MEDICINE vol. 11 pp. 623-629.<br />

2. AMBROGIO C; VOENA C; MANAZZA AD; PIVA R; RIERA L; BARBERIS L;<br />

COSTA C; TARONE G; DEFILIPPI P; HIRSCH E; ERBA EB; MOHAMMED S;<br />

JENSEN ON; PALESTRO G; INGHIRAMI G.; CHIARLE R. (2005). p130Cas mediates<br />

the transforming properties of the anaplastic lymphoma kinase BLOOD vol. 106 pp.<br />

3907-3916<br />

3. PIVA R; CHIARLE R; MANAZZA A; TAULLI R; SIMMONS W; AMBROGIO C;<br />

D'ESCAMARD V; PELLEGRINO E; PONZETTO C; PALESTRO G; INGHIRAMI G.<br />

(2006). Ablation of oncogenic ALK is a viable therapeutic approach for anaplastic large<br />

cell lymphomas. BLOOD vol 107:689-97.<br />

152


Elena Chiarpotto Filone tematico B3<br />

Effetto della restrizione calorica sul processo di fibrosi durante<br />

l’invecchiamento e in patologie ad esso associate<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

A partire dalle ricerche di McCay e coll. (1935), numerosi studi h<strong>anno</strong> dimostrato che la<br />

restrizione calorica (RC), è in grado di fornire un’adeguata nutrizione, e mantiene molti<br />

processi fisiologici a livello giovanile anche in età molto avanzata, ritarda e rallenta la<br />

progressione di una serie di malattie età-associate, incluse diabete, malattie cardiovascolari e<br />

neoplasie, ed estende la durata massima di vita nei roditori di laboratorio. L’effetto antiinvecchiamento<br />

è stato osservato in diversi organismi, dagli invertebrati ai mammiferi, ma<br />

studi di osservazione suggeriscono che la RC abbia effetti benefici anche sulla longevità<br />

umana. Tuttavia, i meccanismi anti-invecchiamento della RC non sono ancora ben chiari. Un<br />

meccanismo potrebbe essere la protezione contro lo stress ossidativo ed il conseguente d<strong>anno</strong><br />

cellulare. In parallelo, in diversi organi è stata dimostrata una correlazione tra d<strong>anno</strong><br />

ossidativo e fibrosi. Nella fibrosi, i fibroblasti o cellule fibroblasto-simili sono attivate a<br />

proliferare e produrre elevati livelli di matrice extracellulare e collagene grazie all’azione di<br />

varie citochine, tra cui la più importante è il transforming growth factor beta1 (TGFbeta1).<br />

Alti livelli di TGFbeta1 sono stati riscontrati in patologie umane di organi differenti<br />

caratterizzate da marcata fibrosi. E’ importante sottolineare che la fibrosi può essere<br />

considerata come un indice significativo di invecchiamento tessutale.<br />

OBIETTIVO<br />

Dal momento che la RC si è dimostrata efficace contro il d<strong>anno</strong> ossidativo età-correlato e<br />

quest’ultimo potrebbe essere responsabile della fibrosi tessutale attraverso la stimolazione<br />

delle citochine fibrogeniche, abbiamo studiato se la RC possa prevenire la fibrosi inibendo le<br />

vie di segnale indotte dallo stress ossidativo ed il conseguente stimolo fibrogenico.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Si sono utilizzati ratti Sprague Dawley di diverse età (giovani: 3-6 mesi; adulti: 12-13 mesi;<br />

vecchi: 22-24 mesi). La RC è stata ottenuta mediante alimentazione a giorni alterni (EOD:<br />

Every Other Day) o con una dieta ristretta del 40% (40% RC). L’aorta è stata presa come<br />

tessuto di riferimento a causa dell’importanza delle alterazioni fibrosclerotiche di<br />

quest’organo nell’ambito dell’insorgenza delle malattie cardiovascolari. Pur non essendo il<br />

ratto un modello sperimentale particolarmente adatto allo studio del processo aterosclerotico,<br />

in quanto non sviluppa l’ateroma, la lesione caratteristica dell’aterosclerosi nell’uomo, si è<br />

comunque ritenuto che tale modello sperimentale fosse valido almeno per la parte relativa al<br />

processo di fibro-sclerosi, assimilabile all’uomo in quanto vede coinvolti molecole e<br />

meccanismi simili.<br />

153


RISULTATI<br />

Anzitutto abbiamo riscontrato un aumento significativo del d<strong>anno</strong> ossidativo, in termini di<br />

addotti fluorescenti tra aldeidi derivate dalla perossidazione lipidica e proteine tessutali<br />

(addotti HNE-proteine: aumento del 23%; addotti MDA-proteine: aumento del 36%), e della<br />

fibrosi, in termini di contenuto di TGFbeta1 (23 volte più elevato nelle aorte dei ratti di 24<br />

mesi rispetto a quelli di 6 mesi) e collagene (x 1,7 a 24 mesi) nelle aorte dei ratti anziani<br />

rispetto a quelle dei ratti giovani. La fibrosi età-correlata è associata a modificazioni della<br />

composizione cellulare della parete arteriosa, con una diminuzione dello spessore ed<br />

un’alterazione generale dello strato endoteliale, una diminuzione ed una distribuzione non<br />

uniforme dell’a-actina, ed un aumento delle cellule tipo miofibroblastiche vimentina-positive<br />

nei tessuti degli anziani. Tutti questi fenomeni sono protetti dalla RC comunque ottenuta<br />

(EOD: Every Other Day cioè alimentazione a giorni alterni; o 40% RC: dieta ristretta del<br />

40%).<br />

Per chiarire il/i possibile/i meccanismo/i responsabili dell’effetto antifibrotico della RC,<br />

abbiamo quindi studiato l’effetto della RC sulla via di segnale protein chinasi attivate da<br />

mitogeno (MAPK), implicata sia nell’espressione sia nelle trasduzione del segnale<br />

intracellulare del TGFbeta1. La chinasi Jun-N-terminale (JNK) e p38 mostrano un<br />

progressivo aumento di attività con l’età, ed ancora una volta la RC, comunque ottenuta,<br />

protegge da questo aumento età-correlato. Al contrario, le chinasi regolate da segnale<br />

extracellulare, ERK1 ed ERK2, non h<strong>anno</strong> mostrato alcuna modulazione da parte<br />

dell’invecchiamento e della RC. L’attività di legame al DNA di AP-1, e cioè del principale<br />

fattore di trascrizione redox-sensibile implicato nell’espressione di TGF beta1, aumenta con<br />

l’età (1,8 volte a 24 mesi) ed è ridotta dalla RC.<br />

Anche l’espressione della vimentina, un altro gene la cui trascrizione dipende da AP-1,<br />

aumenta con l’età e la RC protegge completamente questo effetto. Questi dati avvalorano<br />

ulteriormente l’ipotesi che un aumento dei processi ossidativi abbia un ruolo nell’abnorme<br />

deposizione di tessuto fibrotico in corso di diverse patologie umane caratterizzate da<br />

evoluzione in sclerosi e nell’invecchiamento. L’ipotesi da noi formulata è che la protezione<br />

esercitata dalla RC contro la fibrosclerosi possa essere dovuta alla diminuzione dello stress<br />

ossidativo, con conseguente calo di attività delle MAPK ed ipo-regolazione dell’espressione e<br />

del segnale del TGFbeta1. La iporegolazione da parte della RC delle vie di segnale e della<br />

fibrosi dipendenti dallo stress ossidativo potrebbe essere presa in considerazione nel<br />

trattamento delle patologie età-associate ad evoluzione sclerotica, aprendo nuovi orizzonti<br />

terapeutici in questo ambito.<br />

154


Laura Chiavacci Filone tematico D2<br />

La sorveglianza della Brucellosi bovina in <strong>Piemonte</strong>: elaborazione di uno<br />

strumento di analisi decisionale<br />

Istituto Zooprofilattico Sperimentale del <strong>Piemonte</strong>, Liguria e Valle D’Aosta<br />

Osservatorio Epidemiologico<br />

OBIETTIVO<br />

In <strong>Piemonte</strong> la brucellosi bovina, patologia causa di ingenti danni economici agli allevamenti<br />

e pericolosa zoonosi che può essere contratta a seguito di ingestione di alimenti contaminati o<br />

per contatto diretto con animali infetti, si può considerare eradicata nella maggior parte del<br />

territorio regionale, ma persiste il rischio di insorgenza di focolai in particolare in alcune aree.<br />

Nell’attuale situazione epidemiologica i test sierologici ufficiali segnalano talvolta come<br />

positivi dei capi che risultano poi essere dei falsi positivi. Per fornire uno strumento di aiuto e<br />

sopporto a chi deve prendere delle decisioni in caso di insorgenza di positività sierologiche<br />

per brucellosi è stato proposto il presente progetto che aveva per obiettivo di mettere a punto<br />

un albero decisionale che, a fronte di positività, indicasse quale scelta fosse più opportuno<br />

prendere, sulla base di informazioni disponibili e di dati oggettivi.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Per costruire un albero decisionale è necessario analizzare tutti gli elementi che concorrono al<br />

processo decisionale. In particolare è stato necessario prendere in considerazione:<br />

• le misure previste dalle normative in vigore.<br />

• Le caratteristiche dei test impiegati (sensibilità e specificità).<br />

• La situazione epidemiologica regionale (prevalenza) per aree geografiche della infezione e<br />

delle reattività aspecifiche; a tal fine sono stati utilizzati i dati storici degli ultimi 10 anni<br />

archiviati presso l’Osservatorio Epidemiologico (mappa di rischio).<br />

• I fattori di rischio di malattia a livello regionale: sono stati studiati attraverso uno studio<br />

caso-controllo che ha confrontato 41 schede epidemiologiche compilate dai veterinari<br />

ASR per i focolai di brucellosi confermati con l’esame batteriologico negli anni 2001-<br />

<strong>2003</strong> con le schede di 390 allevamenti ufficialmente indenni per brucellosi estratti<br />

casualmente tra quelli presenti in regione. Sono stati valutati come potenziali fattori,<br />

utilizzando la PROC LOGISTIC del software SAS, la localizzazione geografica, la<br />

tipologia di allevamento, la consistenza, la razza allevata, la movimentazione dei capi, il<br />

pascolo, l’alpeggio, il tipo di stabulazione, di fecondazione e di rimonta, la compresenza<br />

di altre specie animali.<br />

• L’intervista con un esperto di riferimento che ha seguito lo sviluppo della situazione<br />

epidemiologica regionale dal 1992 ha consentito di ‘ordinare’ e dare un peso ai fattori che<br />

si devono considerare quando si classifica un focolaio come tale; sono stati individuati, in<br />

ordine decrescente: esito dell’esame colturale e riprova degli esami sierologici, titolo<br />

anticorpale e numero di capi positivi, area geografica sede dell’allevamento, scambi<br />

commerciali e movimentazioni, vicinanza ad altri focolai.<br />

155


RISULTATI<br />

Mappa di rischio. La mappa del rischio è stata effettuata a livello di ASR. Questa unità<br />

territoriale è stata scelta perché da un punto di vista epidemiologico rappresenta un’area<br />

abbastanza omogenea rispetto alla morfologia del territorio e per la gestione degli<br />

allevamenti. Sono state individuate tre classi di rischio diverse:<br />

1. a basso-rischio: il rischio è rappresentato essenzialmente dall’introduzione di capi infetti<br />

provenienti da altre aree. Il rischio di introdurre un capo infetto non individuato dagli<br />

esami sierologici in zone con bassi scambi commerciali è pari a 1/100.000. Le ASR 11 12<br />

13 14 20 21 22 rientrano in questa classe.<br />

2. a basso-medio rischio: sono aree a forte commercializzazione e scambi. In queste aree il<br />

rischio di introdurre capi non individuati come infetti dalle prove ufficiali è 1/10.000. Le<br />

ASR 4 5 6 7 8 9 10 18 19 rientrano in queste area.<br />

3. a medio-alto rischio: sono aree in cui si sono avuti ancora di recente dei focolai di<br />

brucellosi. In queste aree il rischio è legato oltre alla possibile introduzione di capi anche<br />

al valore predittivo dei test (1/1000). Appartengono a questa classe le ASR 15 16 17/1<br />

17/2.<br />

Fattori di rischio: nel modello di regressione logistica sono stati confrontati 4 modelli; il<br />

modello migliore considera 5 fattori (pascolo, introduzione capi, tipologia produttiva,<br />

presenza di aborti e rimonta esterna) (Wald significativo p


Adriano Chiò Filone tematico C2<br />

Gruppo multidisciplinare per la SLA: valutazione dell'efficacia<br />

dell'organizzazione di un modello di cure palliative<br />

Università degli Studi di Torino - A.O. S. Giovanni Battista<br />

Dipartimento di Neuroscienze - II Divisione di Neurologia<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Lo studio si colloca nel quadro di un progetto finalizzato allo studio di un modello alternativo<br />

di cure palliative per pazienti con sclerosi laterale amiotrofica (SLA). I concetti fondamentali<br />

che ruotano attorno al moderno movimento riferito alle cure palliative si evidenziano<br />

attraverso una serie di principi, nozioni e caratteristiche assistenziali che sono ormai ben note<br />

alla comunità scientifica internazionale. Principalmente il programma di cure palliative ruota<br />

attorno a tre concetti fondamentali:<br />

1. l’idea della multidimensionalità dell’intervento allo scopo di fornire ogni tipo di risposta<br />

ai diversi bisogni del malato e della sua famiglia;<br />

2. l’impostazione dell’organizzazione del lavoro finalizzata all’efficacia dell’intervento;<br />

3. la costituzione di una équipe multidisciplinare composta da figure professionali e<br />

appartenenti alle diverse discipline mediche, paramediche, psicologiche, assistenziali e<br />

sociali.<br />

La traduzione in pratica di questi concetti si è realizzata a partire dal 1996 presso il<br />

Dipartimento di Neuroscienze della UOADU Neurologia 2 dell’Azienda dell’Ospedaliera S.<br />

Giovanni Battista di Torino che comprende un gruppo multidisciplinare per la Sclerosi<br />

Laterale Amiotrofica. Tramite una serie di sotto-programmi integrati l’equipe ha sviluppato<br />

una serie di piani terapeutici orientati verso il miglioramento della qualità della vita del<br />

paziente e della famiglia. L’insieme di tali programmi prevede procedure, prassi, tecniche,<br />

protocolli e un’organizzazione del lavoro che necessitano di strumenti di valutazione interna<br />

ed esterna dei processi riferiti alla cura e all’assistenza, verificati soprattutto in funzione di<br />

qualità della vita e attivati nei confronti del malato, dei familiari e del personale impegnato<br />

nella cura.<br />

OBIETTIVO<br />

Lo studio si configura come ricerca di valutazione dei molteplici fattori che influiscono sulla<br />

qualità della vita del paziente SLA. Tra le differenti modalità di valutazione standardizzata,<br />

nell’ambito delle cure palliative del malato affetto da una malattia inguaribile, lo STAS<br />

(Support Team Assessment Schedale) ha mostrato di avere un utile campo di impiego. Lo<br />

STAS è stato utilizzato nella ricerca come strumento multidimensionale per valutare i diversi<br />

sotto-programmi erogati dalla nostra struttura quali: ·<br />

• il programma di cura e assistenza;<br />

• il programma di comunicazione e informazione,<br />

• il programma di sostegno psicologico e accompagnamento;<br />

• il programma di prevenzione e preparazione;<br />

157


• il programma di sostegno al lutto.<br />

METODI E RISULTATI<br />

La diversità del contesto di applicazione dello STAS ha evidenziato la necessità di apportare<br />

allo strumento delle modifiche. A tal fine, presso la nostra struttura, abbiamo adottato una<br />

forma modificata dello strumento (secondo le indicazioni degli autori) in cui i cambiamenti<br />

apportati alla versione originale sono si sono basati soprattutto sulla necessità di adattare lo<br />

STAS alla particolare realtà del paziente sla. Ogni item viene misurato con una scala Likert a<br />

5 punti (da 0 a 4) in cui ai punteggi più alti corrispondono bisogni più elevati e a quelli più<br />

bassi bisogni limitati. Il punteggio scelto dall’équipe attraverso la discussione di gruppo non<br />

corrisponde alla media dei punteggi, ma ad un risultato condiviso dello staff. I dati sono<br />

completi e sono monitorati nel corso del processo terapeutico, permettendo un rapido<br />

feedback del lavoro svolto.<br />

Sono stati seguiti sperimentalmente, da ottobre ’04 a ottobre ’05, un totale di 30 pazienti con<br />

diagnosi SLA clinicamente definita superiore a sei mesi e di questi 4 sono deceduti. Nel corso<br />

della ricerca abbiamo avuto modo di constatare, che la comunicazione tra<br />

équipe/paziente/familia migliora durante il decorso della malattia. Tale dato riflette quanto è<br />

stato osservato sull’accresciuta consapevolezza del paziente in correlazione significativa con<br />

l’evolvere delle relazioni tra famiglia/paziente/équipe e sembra essere espressione di un<br />

dialogo aperto tra operatori sanitari e sistema familiare. Ci è sembrato importante che tale<br />

aspetto trovasse uno spazio di valutazione prioritario in quanto gli obiettivi di qualità che il<br />

nostro centro cerca di conseguire, oltre alla cura, sono l’informazione e la relazione che si<br />

instaurano con il paziente e con i famigliari.<br />

L’evolvere delle dinamiche relazionali è stato osservato attraverso la valutazione degli item<br />

“Consapevolezza del paziente, Consapevolezza della famiglia, Comunicazione paziente e<br />

famiglia, Comunicazione professionisti e paziente e Comunicazione professionisti e famiglia,<br />

Capacità di previsione e comunicazione con l’équipe”. Similmente, i ridotti livelli di<br />

ansia/stato emotivo/depressione del paziente e del familiare con l’aumentare della<br />

consapevolezza sono da mettere in relazione con la programmazione degli interventi:<br />

informazione/comunicazione elaborazione e sostegno psicologico, cure e ausili da utilizzare<br />

durante il decorso della malattia e assistenza e sostegno domiciliare nello stato avanzato. Nel<br />

primo stato della malattia (punteggio 3-4 di incertezza sulla malattia, aspettative non<br />

realistiche corrisponde a un punteggio 3-4 di ansia e stati emotivi per tutto il nucleo familiare)<br />

si assiste ad un progressivo decremento del punteggio dell’ansia, espressione di una<br />

accresciuta consapevolezza che induce il paziente e la sua famiglia ad un atteggiamento<br />

programmatorio a un’aumentata capacità di previsione degli eventi (il punteggio si riduce<br />

significativamente negli stati più avanzati della malattia p.


Giovannino Ciccone Filone tematico D1<br />

Determinanti individuali, sociali e ambientali di ospedalizzazione nella<br />

coorte dei bambini e dei genitori SIDRIA<br />

A.S.O. S. Giovanni Battista di Torino- Servizio di Epidemiologia<br />

CPO, Centro di Riferimento per la Prevenzione oncologica in <strong>Piemonte</strong><br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il progetto SIDRIA (Studi Italiani sui Disturbi Respiratori nell’Infanzia e l’Ambiente), studio<br />

trasversale di popolazione, si è svolto in 2 fasi. La prima è stata condotta nel 1994-95 in 10<br />

centri italiani, eterogenei per latitudine e livello di urbanizzazione. La seconda fase (2002) ha<br />

coinvolto 13 centri (di cui 8 già partecipanti alla prima fase) ed ha incluso circa 15.000<br />

bambini di età 6-7 anni e circa 10.000 di età 13-14 anni. Il centro di Torino ha partecipato ad<br />

entrambe le fasi dello studio, includendo oltre 2000 bambini (6-7 anni) e oltre 1100 ragazzi<br />

(13-14 anni) in ciascuna delle due fasi. SIDRIA ha consentito di stimare la prevalenza di<br />

patologie respiratorie e allergiche infantili, e di raccogliere per un cospicuo campione di<br />

bambini/ragazzi numerose informazioni su fattori di rischio individuali, sociali e ambientali.<br />

La grande quantità di dati raccolti e la numerosità dei soggetti coinvolti nello studio SIDRIA<br />

rappresentano un patrimonio informativo con notevoli potenzialità di utilizzo in una<br />

prospettiva di studio di coorte, il cui follow-up può essere condotto in modo efficiente<br />

attraverso procedure di record-linkage con archivi sanitari informatizzati.<br />

OBIETTIVO<br />

Obiettivo principale dello studio è stata la ricostruzione delle coorti dei bambini/ragazzi e dei<br />

rispettivi genitori inclusi nelle due fasi dello studio SIDRIA (1994 e 2002) nella città di<br />

Torino attraverso procedure di record-linkage con basi di dati facenti parte dello studio Studio<br />

Longitudinale Torinese (SLT); quest’ultimo raccoglie dati sui residenti nel comune di Torino<br />

dal 1971. I soggetti arruolati sono contenuti in un’anagrafe storica composta di più di 2<br />

milioni di soggetti. Gli individui descritti tramite l’Anagrafe comunale e i Censimenti ISTAT<br />

sono seguiti, tramite codice identificativi univoci nei vari esiti rilevati dalle banche dati<br />

presenti in SLT, tra cui le cause di morte (dal 1981) e le schede di dimissione ospedaliera (dal<br />

1995). Gli sviluppi successivi dello studio, in relazione alle risorse rese disponibili,<br />

prevedevano il completamento del follow up dei soggetti attraverso ulteriori archivi sanitari<br />

(es. prescrizioni farmaceutiche) e l’effettuazione di analisi sui possibili determinanti<br />

individuali, sociali e ambientali del rischio di ospedalizzazione nella coorte dei genitori<br />

inclusi nello studio SIDRIA torinese.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Le operazioni di linkage automatico sono avvenute in prima istanza costruendo, per ogni<br />

bambino/ragazzo incluso nello studio, il codice fiscale (CF) presente nell’Anagrafe: la<br />

strategia individuata per raggiungere il massimo livello di collegamento, con una verifica e<br />

una ricerca attiva, è costituita da una parte automatica e una manuale di ricerca attiva sui<br />

singoli record. Il risultato dell’operazione di linkage automatico ottenuto utilizzando l’intero<br />

codice fiscale e, per i non linkati, il CF costruito escludendo l’informazione del comune di<br />

nascita, è risultato pari a quasi il 90%. I record non linkati sono stati sottoposti parallelamente<br />

159


ad un ulteriore numero di passi automatici e ad una ricerca attiva tramite l’anagrafe del<br />

Comune di Torino. Un numero molto esiguo di soggetti (1-2%) è stato rintracciato solo grazie<br />

alla ricerca manuale. Il risultato finale delle procedure di linkage adottate è risultato<br />

globalmente pari ad oltre il 95%.<br />

Una volta costruite le due coorti dei bambini/ragazzi (relative al campione del 1994 e del<br />

2002), sono state quindi ricostruite le rispettive coorti dei genitori dei soggetti campionati. In<br />

totale, la coorte costituita nel 1994 a Torino risulta composta da 3370 bambini e ragazzi e da<br />

6418 genitori con informazioni anagrafiche complete. Nel 2002 la coorte è costituita da 3359<br />

bambini e adolescenti e da 6141 genitori. Ad ognuna delle coorti identificate sono state infine<br />

linkate tutte le informazioni disponibili derivanti dal questionario autocompilato SIDRIA e<br />

dall’archivio delle dimissioni ospedaliere (dal 1/1/1996 al 31/12/2004), e per la coorte di<br />

bambini/ragazzi del 2002 le informazioni derivate dall’archivio delle prescrizioni<br />

farmaceutiche relative al 2001. Le analisi statistiche condotte finora riguardano la coorte dei<br />

genitori dei bambini e ragazzi partecipanti a SIDRIA nel 1994, in modo da disporre di un<br />

periodo di follow-up relativamente lungo (nove anni). Attraverso l’utilizzo di diversi modelli<br />

di Cox è stato possibile stimare i rischi di ospedalizzazione (RR e intervalli di confidenza al<br />

95%, CI95%) in funzione delle condizioni di salute preesistenti (asma, rinite, bronchite), della<br />

abitudine al fumo, dell’occupazione, del livello di istruzione, di esposizioni ambientali.<br />

Infine, mediante l’utilizzo della banca dati farmaceutica del 2001, è stata condotta una analisi<br />

descrittiva del consumo di farmaci antiasmatici e antibiotici relativamente alla coorte di<br />

bambini a adolescenti del 2002, volta ad una prima valutazione del livello di appropriatezza<br />

del trattamento farmacologico dell’asma. Per la coorte di genitori del 1994, nell’arco di 9 anni<br />

di follow up (1996-2004) la stima del rischio di ricovero (almeno 1 ricovero per tutte le cause<br />

esclusi i parti) è risultata aumentata significativamente nelle femmine (RR=1.12 CI95% 1.03-<br />

1.21), all’aumentare dell’età (RR=1.11 CI95% 1.02-1.21 e RR=1.64 CI95% 1.43-1.89,<br />

rispettivamente per le classi di età 40-49 anni e 50 anni e più), nei fumatori (RR=1.11 CI95%<br />

1.01-1.22), e in presenza di preesistenti patologie respiratorie (asma: RR=1.16 CI95% 0.95-<br />

1.42; bronchite: RR=1.17 CI95% 0.99-1.39). Il rischio di ricovero è maggiore tra i soggetti<br />

non occupati (RR=1.43 CI95% 1.15-1.79) e nelle categorie occupazionali più basse (es.<br />

operai, RR=1.24 CI95% 1.03-1.49) rispetto alla categoria dirigenziale di riferimento. Nella<br />

coorte dei bambini/ragazzi del 2002 sono infine disponibili i primi risultati sul consumo dei<br />

farmaci: su 3178 bambini e ragazzi, il 57.2% h<strong>anno</strong> ricevuto almeno una prescrizione, e il<br />

47,4% almeno una prescrizione di un farmaco antiasmatico (beta-agonisti, antileucotrienici,<br />

anticolinergici, corticosteroidi, antistaminici, cromoglicati, derivati xantinici) o antibiotico. Il<br />

consumo di farmaci è risultato sempre superiore tra i bambini rispetto agli adolescenti, sia in<br />

generale (61.8% vs 47.3%) che per i farmaci più strettamente correlati alle patologie<br />

respiratorie (51.4% vs 38.8%).<br />

Lo studio ha fornito utili indicazioni per la prevista estensione del progetto su scala nazionale<br />

nei centri già partecipanti a SIDRIA ove sono disponibili archivi sanitari informatizzati di<br />

buona qualità. I primi risultati dello studio sono oggetto di una Tesi per il Master<br />

Universitario di II livello in Epidemiologia dell’Università di Torino. I risultati sar<strong>anno</strong><br />

oggetto di pubblicazione su riviste scientifiche.<br />

160


Tiziana Civera Filone tematico B1<br />

Caratterizzazione mediante PFGE di ceppi di Listeria monocytogenes<br />

isolati da alimenti e mappatura regionale.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Patologia Animale<br />

MATERIALI E METODI<br />

Nel corso del <strong>2003</strong> sono stati esaminati 90 ceppi di Listeria monocytogenes isolati, presso il<br />

Laboratorio Controllo Alimenti dell’IZS del <strong>Piemonte</strong>, Liguria e Valle d’Aosta, da campioni<br />

di carni e derivati (n=60), formaggi freschi e latticini (n=14), preparazioni gastronomiche<br />

(n=4), paste farcite (n=2), prodotti della pesca (n=3), tamponi ambientali (n=6) e 1 alimento<br />

non identificato. Tutti i campioni sono stati sottoposti ad analisi microbiologiche effettuate<br />

utilizzando il metodo normato AFNOR V08-055/1997.<br />

I ceppi di L. monocytogenes, previa estrazione del DNA mediante bollitura, sono stati<br />

sottoposti a PCR di conferma, utilizzando primers in grado di amplificare un frammento del<br />

gene prfA, seguendo il protocollo descritto nel Listeria Phase III Ring Trial (www.pcr.dk). Gli<br />

ampliconi sono stati risolti in elettroforesi su gel d’agarosio al 2.5%. I ceppi sono stati quindi<br />

caratterizzati mediante sierotipizzazione ed elettroforesi in campo pulsato (PFGE) seguendo il<br />

protocollo proposto da PulseNet. Il DNA genomico è stato digerito con gli enzimi di<br />

restrizione ApaI ed AscI e successivamente sottoposto ad elettroforesi. Le immagini dei<br />

profili ottenuti sono state analizzate con il software BioNumerics (Applied Maths) e<br />

normalizzate in base alle corse di almeno 3-5 standard per gel. I valori di similarità vengono<br />

calcolati tramite il metodo UPGMA con medie matematiche e coefficiente Dice dal software<br />

Bionumerics (1% optimization e 1,2% position tolerance per AscI, 1,4% position tolerance<br />

per ApaI). Per la sierotipizzazione si sono utilizzati Listeria Antisera "SEIKEN" (Denka<br />

Seiken, Tokyo, Japan) secondo il protocollo fornito dalla ditta produttrice.<br />

RISULTATI<br />

I primers h<strong>anno</strong> generato un frammento specifico di lunghezza pari a 274 bp in tutti i<br />

campioni. I risultati della PFGE h<strong>anno</strong> permesso di suddividere, in base ai profili di<br />

restrizione ottenuti, i 90 ceppi analizzati in 44 pattern di restrizione per ApaI e in 30 pattern di<br />

restrizione per AscI. Analizzando i profili di restrizione, è stato possibile raggrupparli,<br />

scegliendo come valore minimo di similarità l’80%, in 10 cluster per ApaI e 8 cluster per<br />

AscI. All’interno di uno stesso cluster è stato isolato un numero variabile di ceppi.. Il cluster<br />

più rappresentato comprende 34 ceppi prevalentemente isolati da carne, 2 ceppi isolati da<br />

formaggi e 2 da tamponi ambientali.<br />

Per quanto riguarda l’origine, 15 ceppi provenivano da campioni dell’ASL 18 Alba-Bra e 10<br />

ceppi dall’ASL 3 Torino, questi ultimi isolati da uno stesso prodotto a base di carne<br />

proveniente da altra regione. Un altro cluster ampiamente rappresentato comprende 18<br />

campioni provenienti da matrici e territori estremamente diversificati. In alcuni campioni sono<br />

stati evidenziati più pulsotipi, in particolare in alcuni formaggi (da 2 a 3) e in un wurstel ad<br />

uso industriale (n=9). Si tratta per lo più di campioni massivamente inquinati, come<br />

evidenziato dall’analisi microbiologica quantitativa (MPN). La sierotipizzazione ha permesso<br />

di individuare una prevalenza di isolati appartenenti a sierotipi 1/2c (circa 48%), 1/2a (circa<br />

29%). E’ stato possibile dividere gli isolati in 8 O:H sierotipi: 1/2a (10 carni, 8 formaggi e<br />

161


latticini, 3 pesce, 2 pasta alimentare, 2 preparazioni gastronomiche, 1 tampone ambientale);<br />

1/2b (4 carni, 2 preparazioni gastronomiche, 1 alimento non identificato); 1/2c (37 carni, 4<br />

tamponi ambientali, 2 formaggi e latticini); 3a (1 carne); 3b (1 carne); 3c (1 formaggi e<br />

latticini, 1 carne); 4a (1 carne); 4b/4e (3 carni, 3 formaggi e latticini, 1 tampone ambientale);<br />

4c (2 carni). I ceppi di L. monocytogenes isolati da carne sono per il 61% sierotipo 1/2c, 16%<br />

sierotipo 1/2a e 7% sierotipo 1/2b. Si è osservata inoltre la presenza del sierotipo 4b/4e nel<br />

5% dei campioni e la presenza di un ceppo di sierotipo 3a, 3b, 3c e 4a. Per quanto riguarda i<br />

formaggi si è osservata la presenza del sierotipo 1/2a e 4b/4e rispettivamente nel 58% e nel<br />

21% dei campioni.<br />

I risultati della sierotipizzazione sono simili a quelli riportati in letteratura per le matrici<br />

alimentari, con oltre l’84% degli isolati appartenenti al sierogruppo 1/2. Il sierogruppo più<br />

rappresentato è 1/2c, isolato principalmente in carni fresche e trasformate e negli ambienti di<br />

lavorazione. La combinazione dei risultati delle analisi sierologiche e dei profili di restrizione<br />

permettono di dividere i ceppi isolati in 2 principali gruppi. All’interno del gruppo più grande<br />

ricadono i ceppi aventi antigeni flagellari non ABC (sierotipo 1/2a, 1/2c, 3c). Il secondo<br />

gruppo, al quale appartengono i ceppi aventi antigeni flagellari ABC (1/2b, 3b, 4a, 4b/4e, 4c),<br />

contiene ceppi che risultano più distanti da un punto di vista filogenetico. Tale distribuzione è<br />

molto simile a quella già osservata da altri autori. Le tecniche utilizzate h<strong>anno</strong> dimostrato una<br />

buona riproducibilità in quanto i profili dei ceppi isolati nel corso dell’analisi di prima istanza,<br />

corrispondono a quelli provenienti dall’analisi di seconda istanza. Alcuni profili sembrano<br />

presentarsi con maggior frequenza, indipendentemente dalla matrice e dalla zona di<br />

provenienza. Tale rilievo può essere correlato a particolari caratteristiche di questi ceppi, quali<br />

un’estrema capacità di aderire alle superfici e resistere ai disinfettanti, già individuate da altri<br />

autori. Per la maggior parte dei ceppi non si è evidenziata una correlazione con il territorio di<br />

provenienza, anche se alcuni ceppi sono stati ritrovati più volte nell’ambito dello stesso<br />

territorio, in particolare per quanto riguarda l’ASL di Bra-Alba. Infatti molti ceppi<br />

provengono da un solo impianto di macellazione e da stabilimenti di trasformazione limitrofi,<br />

facendo presupporre che la carne fresca sia all’origine della presenza diffusa di pochi ceppi<br />

strettamente correlati su questo territorio.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

1. Caratterizzazione di Listeria monocytogenes: confronto fra due metodiche biomolecolari-<br />

Amplified Fragment Lenght Polymorphism (AFLP) e Pulsed Field Gel Electrophoresis<br />

(PFGE). Civera T., Bottero M.T., Lomonaco S., Grassi M.A., Decastelli L. 1 Forum<br />

interlaboratorio sulla Listeria Monocytogenes, Roma 11-12 ottobre 2004, pag.56-57. ·<br />

2. Tipizzazione di ceppi di Listeria monocytogenes isolati da alimenti ed industrie alimentari<br />

mediante PFGE - Lomonaco S., Civera T., Gallina S., Decastelli L. Atti VII Congresso<br />

Nazionale S.I.DI.L.V., Torino, 26-28 ottobre 1005, pag.6-7<br />

162


Donato Colangelo Filone tematico A2<br />

Telomerasi e virus e come marcatori prognostici e diagnostici delle<br />

neoplasie polmonari umane<br />

Università “A. Avogadro” del <strong>Piemonte</strong> Orientale<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il carcinoma del polmone è la prima causa di morte per cancro nei paesi industrializzati. Per i<br />

pazienti in stadio III e IV i fattori prognostici indicativi sono l’istotipo, il performance status,<br />

la presenza di metastasi e la loro localizzazione. Particolarmente importante, soprattutto per lo<br />

stadio avanzato IV, risulta la possibilità di effettuare diagnosi precoce e definire parametri e<br />

metodiche analitiche per ottenere un quadro prognostico affidabile, necessario per stabilire il<br />

regime terapeutico appropriato e la sua opportunità. La ricerca di tecniche d’indagine poco<br />

invasive, specifiche e sensibili, e l’ottimizzazione del rapporto costo-beneficio, sono i<br />

principali criteri da rispettare nello sviluppo di nuove metodiche diagnostiche.<br />

OBIETTIVO<br />

Ci è sembrato quindi interessante verificare, nel Laboratorio di Farmacologia dell’Università<br />

degli Studi del <strong>Piemonte</strong> Orientale, l’efficacia prognostica della misura dell’attività<br />

telomerasica, enzima coinvolto nello sviluppo tumorale, in campioni di lavaggi<br />

broncoalveolari (BAL) di pazienti con sospetta neoplasia polmonare, effettuati dal Dott.<br />

Balbo presso il reparto di Pneumologia dell’Ospedale Maggiore della Carità di Novara. In<br />

questo progetto abbiamo anche valutato se la determinazione dell’attività telomerasica potesse<br />

garantire alta sensibilità e specificità diagnostica e una possibile correlazione tra i suoi livelli<br />

e l’aggressività della patologia. Inoltre, abbiamo valutato l’attività della telomerasi in<br />

funzione della risposta ai differenti regimi terapeutici, soprattutto nei pazienti in stadio<br />

avanzato.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Sono state utilizzate tecniche di biologia molecolare (real-time PCR) e di immunoistochimica.<br />

I dati relativi ai trattamenti chemioterapici effettuati presso il reparto di Oncologia (Direttore<br />

Prof. Alabiso), sono stati correlati con quelli della telomerasi. I pazienti considerati sono stati<br />

54 (45 maschi e 9 femmine). Un primo dato importante indica che i risultati dell’analisi<br />

immunoistochimica dell’enzima contribuiscono notevolmente alla specificità diagnostica,<br />

limitatamente ai pazienti operati, e che nei campioni a bassa stadiazione di malattia (Ia) esiste<br />

una buona correlazione tra il referto anatomo-patologico ottenuto dalle metodiche tradizionali<br />

e l’analisi dell’attività telomerasica su BAL. E’ interessante sottolineare che la positività<br />

TRAP era indipendente dalla dimensione della neoplasia e che il tumore di tipo carcinoide ha<br />

dimostrato negatività telomerasica. La localizzazione apicale di 4 neoplasie ha dimostrato<br />

un’analisi broncoscopica e telomerasica negativa e sembra quindi che vi siano limiti<br />

anatomici e limiti strumentali che condizionano il prelievo di materiale significativo per<br />

l’analisi telomerasica. L’analisi di istotipi a stadiazione superiore ha permesso di evidenziare<br />

alcune potenzialità del dosaggio telomerasico e alcuni suoi limiti legati. Bisogna premettere<br />

che il numero dei pazienti esaminato per gli stadi IIb (2 casi), IIIa (1caso) e IIIb (5 casi), non<br />

163


era tale da permettere di trarre conclusioni definitive. L’analisi ha rilevato una patologia come<br />

il microcitoma (SCLC), mentre l’istotipo spinocellulare, sia nelle stadiazioni II che III, è<br />

risultato negativo al BAL, in contrasto con i dati ottenuti dai pazienti con lo stesso tipo di<br />

neoplasia con stadiazione Ia. I casi allo stadio IV (11/14, 79%) presentavano attività<br />

telomerasica misurabile e tra questi 5 erano ad alta, 2 a media, e 4 a scarsa positività. Questa<br />

metodica sembra quindi avere un significato diagnostico importante per tutte le differenti<br />

neoplasie allo stadio IV. Bisogna segnalare l’alta positività delle neoplasie bronchioloalveolari<br />

(2 casi), solitamente non facilmente diagnosticabili. Nei pazienti che avevano avuto<br />

indicazione al trattamento farmacologico, tutte le neoplasie di stadiazione IV che non<br />

esprimevano positività significativa per la telomerasi, indipendentemente dall’istotipo e dalla<br />

terapia farmacologica, avevano un decorso più favorevole. Questi pazienti h<strong>anno</strong> avuto una<br />

risposta obiettiva con stazionarietà della malattia (4/6, 67%).<br />

Se si prende in considerazione la positività telomerasica, si può osservare che tutti i pazienti<br />

telomerasi negativi o scarsamente positivi, indipendentemente dal tipo di patologia e dallo<br />

schema terapeutico, sopportano un numero di cicli chemioterapici superiore ed h<strong>anno</strong><br />

un’aspettativa di vita più lunga. Due pazienti classificati come molto positivi sono deceduti<br />

entro un mese dalla diagnosi, e non h<strong>anno</strong> portato a termine alcun ciclo chemioterapico. Si<br />

può quindi supporre che la positività telomerasica, più che alla diagnosi, sia collegata alla<br />

capacità invasiva della neoplasia stessa. Queste ipotesi sar<strong>anno</strong> comunque validate con studi a<br />

lungo termine. Il limitato numero di pazienti, anche in questo caso, non permette di fare<br />

ulteriori correlazioni.<br />

L’espressione dell’enzima telomerasi è regolata positivamente o negativamente a livello<br />

trascrizionale, mediante l’azione di fattori di trascrizione che agiscono direttamente sul suo<br />

promoter. Tra questi vi sono alcuni fattori virali che sono in grado di interagire direttamente<br />

sui suoi siti regolatori sul promoter, inducendone la trascrizione. Alcuni virus sono in grado di<br />

indurre un fenotipo cellulare immortale che predispone la cellula a fenomeni di<br />

trasformazione neoplastica.<br />

Il progetto proseguirà, quindi, indagando in modo approfondito se alcuni virus possono essere<br />

considerarsi fattori di rischio per l’insorgere di alcuni istotipi tumorali polmonari e se i dati<br />

ottenuti verr<strong>anno</strong> correlati con la stadiazione della patologia, il suo istotipo, l’abitudine al<br />

fumo, l’esposizione a particolari cancerogeni. Si valuterà complessivamente se vi siano dati<br />

per valutare la presenza di fattori di rischio predisponenti le varie patologie neoplastiche<br />

polmonari.<br />

Ricadute per il Servizio Sanitario Regionale: oltre ad aumentare le conoscenze di base sui<br />

meccanismi molecolari e fisiopatologici delle neoplasie polmonari, il dosaggio della<br />

telomerasi, fornendo un approccio prognostico innovativo a basso costo che si affianca alle<br />

metodiche diagnostiche tradizionali, potrebbe contribuire a migliorare il quadro anamnesico<br />

dei pazienti. Questo si rifletterebbe in una scelta più razionale della terapia da utilizzare<br />

(farmacologica, radioterapica o chirurgica), sull’ottimizzazione del tipo di associazioni<br />

chemioterapiche da utilizzare e quindi sui costi complessivi degli interventi terapeutici.<br />

164


Rosanna Coppo Filone tematico C1<br />

Rete Regionale <strong>Piemonte</strong>se di insufficienza d’organo in età pediatrica:<br />

diagnosi, cura, trapianto e follow-up domiciliare<br />

A.S.O. O.I.R.M. S. Anna<br />

Ospedale Infantile Regian Margherita – SC Nefrologia, Dialisi e Trapianto<br />

OBIETTIVO<br />

Il Progetto si è prefisso l’obiettivo di istituire in <strong>Piemonte</strong> una rete di informazioni relative ai<br />

bambini con insufficienza d’organo (rene, fegato, cuore e polmoni) dalla fase iniziale di<br />

rilievo della patologia cronica, all’identificazione dei casi progressivi in insufficienza<br />

funzionale d’organo più o meno avanzata, fino all’iscrizione in lista trapianto e/o al<br />

trattamento sostitutivo di dialisi per l’insufficienza renale cronica.<br />

MATERIALI E METODI<br />

E’ stata attivata la rete di funzionamento cominciando dalla periferia, coinvolgendo le Unità<br />

Materno-Infantili sul territorio regionale, in quanto deputate all’identificazione della casistica<br />

e alla sorveglianza del percorso diagnostico-terapeutico pre-trapianto. Sono stati individuati<br />

Referenti in ogni Unità Materno-Infantile e un Referente di Quadrante suddividendo il<br />

territorio della <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> in 4 grandi quadranti<br />

1. Torino, Pinerolo, Ivrea,ecc<br />

2. Novara, Verbania, Vercelli, Biella.<br />

3. Cuneo, Savigliano,ecc<br />

4. Asti, Alessandria, ecc.<br />

Sono state effettuate quattro riunioni con i Pediatri del territorio di ogni quadrante per<br />

illustrare il funzionamento della Rete con partecipazione di Nefrologi, Urologi, Cardiologi,<br />

Cardiochirurghi, Cardiorianimatori, Epatologi, Epatochirurghi e Pneumologi Pediatri<br />

dell’OIRM di Torino. E’ stata attivata la raccolta dati a scopo iniziale epidemiologico e di<br />

start-up della rete funzionale con la messa a punto di schede di raccolta dati per i vari organi<br />

in condizioni di insufficienza funzionale. Le schede contenevano notizie anagrafiche,<br />

territorio e Medico di competenza, organo interessato, patologia di base e grado<br />

dell’insufficienza funzionale. La raccolta delle schede inviate da medici del territorio è stata<br />

integrata con una ricerca capillare negli archivi dei reparti Specialistici relativi ai vari organi<br />

dei casi che erano direttamente afferiti all’Ospedale Regina Margherita. Le schede sono state<br />

inserite in un data-base informatico tipo Excel che ha permesso l’analisi statistica.<br />

RISULTATI<br />

Sono state raccolte, inserite in data-base ed elaborate 182 schede relative ad altrettanti<br />

soggetti con insufficienza cronica d’organo residenti nella <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong>. La<br />

distribuzione per quadranti mostrava, come atteso dalla numerosità della sua popolazione, una<br />

prevalenza del quadrante 1 (69%), con distribuzione simile fra gli altri quadranti (2: 9%, 3:<br />

15%, 4: 7%). Il rapporto M/F mostrava una leggera prevalenza del sesso maschile (1. 25).<br />

L’età media dei soggetti in insufficienza d’organo registrati era 12 anni (range 0-34). Di<br />

questi, 146 (80%) erano compresi nell’età pediatrica (


della <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong>. Ipotizzando totalità di completezza di raccolta, è possibile una stima<br />

di prevalenza di 238 casi di bambini in insufficienza d’organo /milione di popolazione<br />

pediatrica. Insufficienza d’organo grave è stata rilevata in 36 soggetti (20%) di cui 6 (3%)<br />

iscritti in lista attiva di trapianto d’organo. Analizzando i singoli organi, i casi di insufficienza<br />

di rene sono risultati 88 (49%), di cui pediatrici 68 (77%), insufficienza di fegato 39 (21%), di<br />

cui pediatrici 29 (74%), insufficienza di cuore 22 (12%), di cui pediatrici 21 (95%),<br />

insufficienza di polmone 33 (18%), di cui pediatrici 28 (85%).<br />

RENE La patologia di base dell'insufficienza renale cronica più frequente è stata<br />

l’ipodisplasia renale con uropatia malformativa (40 casi, 46% dei casi relativi al rene),<br />

maggiormente frequente nel maschio (9/1), seguita da ipodisplasia renale senza uropatia<br />

malformativa (17%), glomerulonefrite cronica (6%), rene policistico (5%), lupus eritematoso<br />

sistemico (3%), nefrite interstiziale idiopatica (3%), sindrome emolitico-uremica (2%),<br />

sindrome nefrosica congenita (1%), altre patologie 17%. La gravità dell'insufficienza,<br />

graduata secondo le linee guida internazionali, rilevava in 22 casi (25%) un quadro avanzato<br />

(7 pazienti in dialisi di cui 2 in lista trapianto attiva, 2 in fase avanzata di inserimento in lista,<br />

2 molto piccoli ed un bambino non idoneo al trapianto), in 24 casi (27%) un deficit funzionale<br />

di grado medio e in 42 (48%) di grado iniziale.<br />

FEGATO Le più frequenti patologie di base dell'insufficienza epatica cronica sono state<br />

l’atresia delle vie biliari (20%), l’epatite autoimmune (20%) e il morbo di Wilson (20%),<br />

seguiti dalla colangite sclerosante primitiva (15%), dalla glicogenosi (13%), dal deficit di<br />

alfa-1 antitripsina (3%), dalla fibrosi cistica (3%), dalla sindrome di Budd-Chiari (3%) e dalla<br />

trombosi della vena porta (3%). La gravità dell'insufficienza, graduata secondo le linee guida<br />

internazionali, rilevava in nessun caso un quadro avanzato, in 7 casi (18%) un deficit<br />

funzionale di grado medio e in 32 (82%) di grado iniziale.<br />

CUORE La patologia di base dell'insufficienza cardiaca cronica più frequente è stata la<br />

cardiomiopatia dilatativa (49%), seguita dalla cardiomiopatia congenita operata (27%), dalla<br />

cardiomiopatia ipocinetica post-chemioterapia (9%), dalla cardiomiopatia congenita nativa<br />

(5%), dal cuore univentricolare operato (5%) e dal ventricolo sinistro ipoplasico (5%). La<br />

gravità dell'insufficienza, rilevava in 5 casi (23%) un quadro avanzato, in 7 casi (32%) un<br />

deficit funzionale di grado medio e in 10 (45%) di grado iniziale.<br />

POLMONE La più comune patologia di base dell'insufficienza cardiaca cronica è stata la<br />

fibrosi cistica (91%), seguita dalla bronchiolite obliterante post-morbillo (3%),<br />

dall’emosiderosi polmonare (3%) e dalla pneumopatia interstiziale aspecifica fibrotica (3%).<br />

La gravità dell'insufficienza, graduata secondo parametri internazionali, rilevava in 9 casi<br />

(27%) un quadro avanzato, in 20 casi (61%) un deficit funzionale di grado medio e in 4 (12%)<br />

di grado iniziale.<br />

CONCLUSIONI<br />

La <strong>Ricerca</strong> ha ottenuto risultati significativi sotto molti profili.<br />

1. Ha permesso di rendere nota capillarmente a livello regionale l’attività delle equipes<br />

mediche e chirurgiche che curano le varie fasi funzionali dell’insufficienza d’organo<br />

favorendo l’istituzione e la futura funzione di un vero network regionale.<br />

2. Ha fornito dati epidemiologici sulla casistica raccolta d'insufficienza funzionale d’organo<br />

esordita in infanzia nella nostra <strong>Regione</strong> con distribuzione territoriale. Il confronto fra i<br />

dati rilevati e quelli attesi può fornire spunti di individuazione di casi che f<strong>anno</strong><br />

riferimento a Centri extra-regionali.<br />

3. Ha fornito un panorama della gravità del difetto funzionale rilevato attualmente, con<br />

spunti offerti alla politica sanitaria regionale per prevedere le necessità di trapianto nei<br />

giovani.<br />

166


Giorgio Cortesina Filone tematico C1<br />

Basi precliniche per un vaccino a DNA contro recidive di carcinomi<br />

squamosi HER-2/neu positivi<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Fisiopatologia Clinica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Scopo del progetto di ricerca è stato porre le basi precliniche per la messa a punto di un<br />

vaccino a DNA da usare nella prevenzione delle recidive di carcinomi squamosi del distretto<br />

cervico-facciale, HER-2/neu positivi, di stadio II-IV, del cavo orale, orofaringe, e laringe. La<br />

messa a punto di questo vaccino a DNA e la preparazione razionale di un protocollo di<br />

prevenzione delle recidive, che comunemente condizionano in maniera sfavorevole la<br />

prognosi di questi tumori, richiede un complesso studio preclinico basato sullo sviluppo di<br />

idonei modelli sperimentali in grado di mimare in maniera opportunamente riprogrammata gli<br />

eventi biologici della cellula neoplastica e le sue interazioni col sistema immunitario del<br />

paziente.<br />

OBIETTIVI<br />

1. Definire le condizioni per correggere la reattivita’ del paziente verso la molecola HER-<br />

2/neu al fine di indurre un’intensa risposta immunitaria.<br />

2. Valutare, mediante analisi immunoistochimica, la percentuale di tumori esprimenti la<br />

proteina p185 neu, su una casistica retrospettiva di 100 pazienti affetti da carcinoma<br />

squamoso del distretto cervico-facciale afferiti negli ultimi anni alla Clinica ORL II diretta<br />

dal Prof. Cortesina.<br />

METODI<br />

Il sistema sperimentale è costituito da linfociti umani ottenuti da donatori sani, su cui abbiamo<br />

definito le condizioni ottimali di attivazione in vitro della risposta specifica anti HER-2/neu.<br />

La mancanza o scarsa efficacia della presentazione degli antigeni tumorali da parte delle<br />

cellule presentanti l’antigene (APC) professioniste può costituire il problema principale nel<br />

generare una resistenza ai tumori mediata dai linfociti T. Adiuvanti naturali come citochine e<br />

chemochine possono stimolare le APC ad attivare i linfociti T più efficientemente. Partendo<br />

dal razionale che:<br />

1. l’HER-2/neu è una proteina self, tollerata dal sistema immunitario e la proteina di ratto<br />

cross-reattiva, omologa per l’88% con quella di uomo a livello aminoacidico, può fornire<br />

nuovi epitopi per i linfociti T helper in grado di coadiuvare una risposta specifica contro il<br />

vero bersaglio antigenico;<br />

2. la chemochina CCL16 si è dimostrata in grado di ottimizzare la presentazione degli<br />

antigeni tumorali da parte di APC in un modello murino,<br />

abbiamo allestito co-colture di linfociti T con cellule dendritiche (DC) autologhe caricate con<br />

cellule tumorali esprimenti l’HER-2/neu di ratto e successivamente indotte a maturare con la<br />

chemochina CCL16. Le DC sono state generate coltivando per 6 giorni con GM-CSF + IL-4<br />

cellule CD14+ separate dal sangue di donatori sani mediante bigliette magnetiche coniugate<br />

con anticorpi anti-CD14. Le DC immature così ottenute sono state caricate con cellule<br />

167


tumorali apoptotiche esprimenti l’HER-2/neu di ratto. Abbiamo anche utilizzato cellule<br />

tumorali umane Jurkat, HER-2/neu negative, trasfettate con DNA codificante la parte<br />

transmembrana-extracitoplasmatica della proteina HER-2/neu di ratto, che il Prof. Forni ha<br />

approntato in collaborazione con il Dr. Amici dell’Università di Camerino. Le DC caricate<br />

sono state indotte a maturare coltivandole per ulteriori 24 ore con stimoli classici, come l’IL-<br />

1β e il TNF-α, o con la chemochina CCL16. I linfociti attivati sono stati ristimolati per due<br />

volte, settimanalmente, nelle stesse condizioni. La risposta contro l’HER-2/neu umano è stata<br />

rilevata dopo la stimolazione primaria e le due ristimolazioni, valutando la generazione di:<br />

a) attività citotossica;<br />

b) linfociti T specifici producenti IFN-γ mediante ELISPOT.<br />

Abbiamo riscontrato un maggior numero di cellule producenti IFN- γ nelle colture di linfociti<br />

T attivati da DC caricate con gli antigeni tumorali e poi fatte maturare con CCL16, rispetto<br />

alla condizione in cui le DC caricate venivano fatte maturare con l’IL-1β e il TNF-α (100/105<br />

cellule verso 50/105 cellule rispettivamente, dopo 7 giorni di coltura e 200/105 cellule verso<br />

120/105 cellule rispettivamente dopo le due ristimolazioni). Inoltre i linfociti T CD8 ottenuti<br />

dalle co-culture allestite con le DC fatte maturare con CCL16 presentano una maggiore<br />

quantità di perforine e granzimi nel citoplasma, che dovrebbe correlare con una maggiore<br />

attività citotossica nei confronti delle cellule tumorali umane HER-2/neu +.<br />

Contemporaneamente, abbiamo condotto l’analisi dell’espressione di p185neu su fettine<br />

incluse in paraffina derivate da carcinomi primari squamosi del distretto cervico-facciale (anni<br />

1992-1997) mediante tecnica immunoistochimica utilizzando l’ anticorpo CB11 (Novocastra).<br />

Il metodo di valutazione dell’espressione di p185neu è stato il seguente: 0 =negativo, assenza<br />

di espressione o positività di membrana in meno del 10% delle cellule neoplastiche;<br />

1+=negativo, debole segnale solo in parte della membrana cellulare in più del 10% delle<br />

cellule neoplastiche; 2+=debolmente positivo, moderato segnale su tutta le membrana in più<br />

del 10% delle cellule neoplastiche; 3+=fortemente positivo, intenso segnale su tutta le<br />

membrana in più del 10% delle cellule neoplastiche.<br />

RISULTATI<br />

I risultati ottenuti dimostrano che è possibile:<br />

1. indurre una migliore reattività dei linfociti T CD4+ e CD8+ contro tumori umani HER-<br />

2/neu+ utilizzando cellule esprimenti l’HER-2/neu di ratto;<br />

2. potenziare l’induzione della reattività facendo maturare le DC con CCL16.<br />

Inoltre, i risultati dell’analisi immunoistochimica, effettuata fino ad oggi su 87 campioni<br />

inclusi in paraffina ottenuti da pazienti portatori di carcinomi del cavo orale (23%), orofaringe<br />

(8%), laringe (62%) ed ipofaringe (7%), stadio pT1 (14%), pT2 (33%), pT3 (35%), pT4<br />

(17%), ha dimostrato che la percentuale di tumori esprimenti la p185neu è del 37%<br />

considerando come positivi quelli classificati come 1+, 2+, 3+ verso gli 0, e del 22%<br />

considerando i 2+ e 3+ (0+=63%; 1+=15%; 2+=20%; 3+=2 %). Nel loro complesso i risultati<br />

ottenuti h<strong>anno</strong> consentito un avanzamento delle conoscenze per la messa a punto e<br />

valutazione dell’efficacia in vitro dei nuovi vaccini a DNA e costituiscono le premesse per un<br />

loro rapido utilizzo in clinica in pazienti operati di carcinomi squamosi stadio II-IV del cavo<br />

orale, dell’orofaringe e laringeali con evoluzione faringea, esprimenti Her2/neu (circa il 30%<br />

dei casi) che con una frequenza del 30-40% v<strong>anno</strong> incontro a recidive entro i tre anni<br />

dall’operazione chirurgica. Tali incoraggianti evidenze costituiscono pertanto la base di<br />

partenza per la messa a punto dei successivi protocolli clinici di vaccinazione per la<br />

prevenzione dei tumori HER-2/neu positivi.<br />

La messa a punto di nuove strategie terapeutiche per pazienti a grave rischio, come quelli con<br />

carcinomi squamosi, e la loro validazione in modelli preclinici in vitro, ha un’immediata ed<br />

importante ricaduta applicativa nella terapia dei tumori in generale.<br />

168


Paolo Cotogni Filone tematico B3<br />

L’apporto di lipidi nella prevenzione dell’evoluzione del d<strong>anno</strong><br />

polmonare acuto in pazienti in alimentazione artificiale.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina e Oncologia Sperimentale – S. C. Anestesia e Rianimazione<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

L’insufficienza respiratoria acuta (IRA) costituisce una condizione clinica frequente nei<br />

pazienti critici ricoverati nelle Unità di Terapia Intensiva e presenta un'elevata mortalità (dal<br />

34 al 59% negli ultimi 5 anni). Tuttavia, la mortalità è correlata più all’insufficienza di altri<br />

organi che alla gravità della malattia polmonare stessa. Nell’IRA la patogenesi e l’evoluzione<br />

del d<strong>anno</strong> polmonare acuto (da acute lung injury –ALI ad acute respiratory distress syndrome<br />

–ARDS) riconoscono come fattore fondamentale la presenza di un’intensa risposta<br />

infiammatoria a livello alveolare. Aumentati livelli alveolari di citochine pro-infiammatorie<br />

all’esordio dell’ALI, come il riscontro di uno squilibrio tra mediatori pro- ed antiinfiammatori,<br />

correlano con un’aumentata mortalità. Inoltre, la persistenza di un processo<br />

infiammatorio alveolare può determinare il passaggio dagli spazi alveolari danneggiati nella<br />

circolazione sistemica di citochine pro-infiammatorie che possono risultare importanti fattori<br />

patogenetici della disfunzione/insufficienza di altri organi. I pazienti con ALI presentano un<br />

elevato rischio di sviluppare una malnutrizione e per questo vengono sottoposti ad<br />

alimentazione artificiale. Quest’ultima prevede un apporto di lipidi pari al 30-35% delle<br />

calorie non-proteiche. Diversi autori h<strong>anno</strong> ipotizzato che la somministrazione di<br />

formulazioni lipidiche a minore concentrazione di acidi grassi polinsaturi (PUFA) omega-6<br />

(n-6) ed a maggiore concentrazione di PUFA omega-3 (n-3) possa essere una delle terapie<br />

non ventilatorie dei pazienti con ALI/ARDS. Il razionale è costituito dal dato che gli n-3 sono<br />

considerati agenti anti-infiammatori, mentre gli n-6 producono effetti pro-infiammatori. Il<br />

rapporto ottimale tra n-3 e n-6 nei programmi nutrizionali di pazienti con ALI/ARDS è ancora<br />

da determinare. Abbiamo precedentemente dimostrato che la somministrazione di PUFA in<br />

un rapporto 1:1 tra n-3 e n-6 riduce significativamente il rilascio di citochine proinfiammatorie<br />

(TNF-α, IL-6 e IL-8), nonché determina la maggiore secrezione della citochina<br />

anti-infiammatoria IL-10, da parte di cellule epiteliali umane (cellule alveolari di tipo II –<br />

A549) precedentemente stimolate con lipopolisaccaride (LPS). Al contempo, abbiamo<br />

osservato che nel caso di rapporti n-3/n-6 maggiormente sbilanciati a favore degli n-6 (1:4 e<br />

1:7) il rilascio di citochine pro-infiammatorie è significativamente aumentato rispetto ai<br />

controlli. In questa successiva fase della ricerca si sono effettuati esperimenti volti a<br />

consentire il progressivo passaggio dalla fase sperimentale a quella clinica. L’obiettivo<br />

primario di questo studio è di verificare se ci siano differenze nei livelli di citochine pro- ed<br />

anti-infiammatorie secrete da cellule alveolari umane stimolate con liquido di lavaggio<br />

bronco-alveolare (BALF) di pazienti con IRA grave, in relazione ad un diverso rapporto tra n-<br />

3 e n-6 nella somministrazione di PUFA.<br />

METODI<br />

Lo studio prospettico, randomizzato e controllato si è svolto nel laboratorio di Patologia<br />

Generale del Dipartimento di Medicina ed Oncologia Sperimentale dell’Università di Torino e<br />

nella Terapia Intensiva della SC Anestesia e Rianimazione 3 dell’Ospedale S. Giovanni<br />

Battista - Molinette, Università di Torino. Criteri di inclusione per la raccolta del BALF.<br />

169


Pazienti di età >18 anni, con IRA grave (rapporto PaO2/FiO2


Sandra D'Alfonso Filone tematico A2<br />

Associazione genetica della Sclerosi Multipla con polimorfismi del gene<br />

MOG (myelin oligodendrocyte glycoprotein)<br />

Università “A. Avogadro” del <strong>Piemonte</strong> Orientale<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La sclerosi multipla (SM) è una malattia autoimmune demielinizzante del sistema nervoso<br />

centrale alla cui suscettiblita contribuiscono fattori ambientali e genetici. L’unico fattore<br />

genetico dimostrato con certezza risiede nella regione HLA. L’associazione più forte è con<br />

HLA-DRB1*1501 (DR15). Tuttavia, nella regione HLA sono stati ipotizzati altri geni di<br />

suscettibilità ad SM. Infatti, è stata osservata un’associazione con marcatori che mappano a 3<br />

Mb telomerici a DR che sembrano avere un effetto indipendente o sinergico rispetto a DR.<br />

OBIETTIVO<br />

Per confermare e identificare geni HLA con effetto indipendente da DR nella popolazione<br />

dell’Italia continentale, abbiamo condotto uno studio di associazione intrafamiliare con 15<br />

marcatori della regione HLA localizzati fino a 7Mb telomerici al gene DR. Tra questi erano<br />

inclusi 4 microsatelliti tra classe I e HFE (emocromatosi) e 11 marcatori nel gene MOG<br />

(Myelin Oligodendrocyte Glycoprotein) comprendenti 2 microsatelliti localizzati<br />

rispettivamente al 5’ del gene e nel 3’UTR, e 9 SNP (Single Nucleotide Polymorphism) di cui<br />

5 nel promotore (nelle posizioni -1077, -918, -910, -875, -93), 1 variazione sinonima<br />

(Ser5Ser), 2 variazioni missenso (Val142Leu, Val145Ile) e una delezione di un aminoacido<br />

(del22Leu) nel peptide segnale. MOG e’ un gene candidato per suscettibilita’ ad SM per<br />

funzione (è un costituente della mielina) e per posizione (mappa nella regione HLA a circa 3<br />

Mb telomerico a DR proprio nella regione evidenziata dai precedenti studi).<br />

MATERIALI E METODI<br />

Per tutte queste variazioni e’ stato condotto uno studio di associazione caso-controllo su 273<br />

pazienti e 430 controlli e di associazione intra familiare su 210 famiglie simplex (il paziente e<br />

i suoi genitori). Lo studio di associazione intra-familiare è stato condotto con metodo TDT<br />

(Transmission Disequilibrium Test) che utilizza nuclei famigliari comprendenti un singolo<br />

paziente e i genitori (famiglie simplex o trios). Il principio su cui questo test è basato è quello<br />

di confrontare in numerose famiglie quante volte un dato allele è stato trasmesso o nontrasmesso<br />

dai genitori al paziente. Ogni allele ha, in base al caso, 50% di probabilità di essere<br />

trasmesso e 50% di non essere trasmesso. Una deviazione significativa dal rapporto 50:50<br />

indica associazione fra l’allele e la malattia. L’analisi delle famiglie permette anche di<br />

ricostruire le combinazioni aplotipiche dei polimorfismi esaminati.<br />

Casistica. Sono stati analizzati pazienti affetti da Sclerosi Multipla reclutati nel Centro di<br />

Sclerosi Multipla dell'Ospedale Maggiore della Carità di Novara e da centri clinici in altre<br />

regioni (Milano, Firenze, Roma, Bari). A tutti i pazienti, previo consenso informato, e’ stato<br />

prelevato un campione di sangue da cui e’ stato purificato il DNA con metodi standard. Sono<br />

stati raccolti i campioni di DNA di 483 pazienti di cui 210 con entrambi i genitori e 430<br />

controlli (studenti, personale dell'Università e ospedaliero, donatori di sangue).<br />

171


Tipizzazione degli SNP. E’ stata utilizzata la metodica commerciale ABI PRISM ®<br />

SNaPshot Multiplex (Applied Biosystems). I prodotti della reazione sono stati analizzati al<br />

sequenziatore automatico a 16 capillari.<br />

Tipizzazione dei microsatelliti. I diversi alleli che differiscono per peso molecolare sono<br />

stati discriminati mediante corsa elettroforetica sui capillari del sequenziatore di DNA a 16<br />

capillari (ABI PRISM® 3100 Genetic Analyzer). Lo stesso approccio e’ stato applicato anche<br />

per evidenziare la delezione di 3 nucleotidi (64-66) nell'esone 1 che provoca la delezione di<br />

un aminoacido (del22Leu) nel peptide segnale. I dati sono stati raccolti con il programma<br />

3100 Data Collection 1.0.1 e i frammenti misurati usando il software Genescan 3.7.<br />

Tipizzazione dell’allele HLA-DRB1*1501. E’ stato utilizzato un processo in due passaggi di<br />

amplificazione "nested" comprendente una prima amplificazione "generica" dell'esone 2 del<br />

gene DRB1 seguita da un'amplificazione specifica incentrata su sequenze caratteristiche<br />

dell'allele DRB1*1501.<br />

Analisi statistica. Le frequenze nei pazienti e nei controlli sono state paragonate per mezzo di<br />

tavole 2x2. La significatività statistica delle differenze e’ stata valutata con X² con correzione<br />

di Yates. Il LD tra gli alleli ai diversi polimorfismi e’ stato calcolato con il programma<br />

Arlequin 2.0. Per l’analisi di associazione intrafamiliare e’ stato utilizzato il “Transmission<br />

Disequilibrium Test” (TDT) con il programma TRANSMIT.<br />

RISULTATI<br />

L’analisi TDT in 210 famiglie trio ha evidenziatouna trasmissione preferenziale dell’allele<br />

Val142 (64% trasmissione, p=0.003) e -875A (70% trasmissione, p=0.034) rispettivamente<br />

nell’esone 3 e nella regione 5’ di MOG. Queste associazioni erano indipendenti da DR15.<br />

L’associazione di Val142 e’ stata confermata in uno studio caso-controllo su 273 pazienti e<br />

430 controlli: la frequenza dell’allele Val142 era significativamente piu’ frequente nei<br />

pazienti che nei controlli [0.831 vs 0.776, p=0.022, OR= 1.42 (1.05-1.92)]. Inoltre le<br />

frequenze genotipiche erano significativamente diverse (p= 0.036): in particolare, i pazienti<br />

mostravano un aumento significativo del genotipo omozigote Val142/ Val142 (0.68 vs 0.60,<br />

p=0.037, 3.17 (1.08-11.25). L’associazione con il polimofismo -875A/G non e’ stata<br />

confermata con lo studio caso controllo. L’analisi delle combinazioni aplotipiche degli alleli<br />

ai diversi loci esaminati non ha mostrato un’associazione significativa con la SM.<br />

CONCLUSIONI<br />

In conclusione e’ stata identificata l’associazione dell’allele MOG Val142 con la SM. Tale<br />

associazione e’ stata confermata in due casistiche indipendenti con due diversi studi di<br />

associazione (caso-controllo e associazione intrafamiliare) e inoltre conferma in una grande<br />

casistica un’osservazione precedentemente riportata in una piccolo gruppo di 59 pazienti<br />

italiani (J.Neuroimmunol 133: 241, 2002). Al contrario, nessuna altra di tutte le variazioni<br />

nucleotidiche note nella sequenza codificante e nel promotore di MOG sono risultate<br />

associate con la malattia.Questo lavoro avra’ i seguenti sviluppi futuri:<br />

1. Analisi del ruolo funzionale di questa variante nella patogenesi della SM.<br />

2. Analisi del coinvolgimento della variante Val142 con la gravita’ della malattia. E’ in<br />

corso il completamento della raccolta di informazioni cliniche per tutti i pazienti studiati.<br />

3. Correlazione tra la presenza della variante MOG Val 142 con la produzione di anticorpi<br />

anti-MOG.<br />

172


Paola Dalmasso Filone tematico A4<br />

Le diseguaglianze di salute nell’infanzia e nell’adolescenza in <strong>Piemonte</strong><br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Se lo stato di salute delle popolazioni dei Paesi industrializzati è andato progressivamente<br />

migliorando nel corso degli ultimi cinquant’anni, è stata tuttavia registrata l’esistenza di<br />

significative disuguaglianze sociali di mortalità e morbosità. Le disuguaglianze sociali nella<br />

salute sono presenti sin dall’infanzia e adolescenza e assumono una notevole rilevanza di per<br />

sé e in vista dell’impatto sulla vita adulta, nonché sulle opportunità di successo scolastico e<br />

lavorativo. Va inoltre sottolineato come queste fasi della vita costituiscano periodi critici nei<br />

quali si struttura l’assunzione di comportamenti e stili di vita correlati alla salute che si<br />

protraggono in età adulta. Un’associazione inversa con le condizioni socio-economiche è<br />

emersa sia per la mortalità infantile, in particolare con la sindrome da morte bianca (SIDS) e<br />

gli incidenti, sia con alcune patologie non letali che st<strong>anno</strong> sempre più segnalandosi quali<br />

problemi di salute pubblica emergenti, come ad esempio i disturbi mentali, tra cui i disordini<br />

alimentari. Le disuguaglianze sociali documentano l’esistenza di un potenziale di salute che<br />

potrebbe essere recuperato con opportuni interventi mirati ai gruppi sociali maggiormente<br />

sfavoriti. In questa prospettiva assume particolare importanza l’estensione delle analisi a<br />

nuove dimensioni di salute e il monitoraggio della loro associazione con le condizioni socioeconomiche<br />

individuali e contestuali.<br />

METODI E RISULTATI<br />

La presente ricerca, svolta in collaborazione tra il Dipartimento di Sanità Pubblica e il servizio<br />

Sovrazonale di Epidemiologia ASL 5, presenta un approccio multidisciplinare, coinvolgendo<br />

sociologi ed epidemiologi, e si prefigge di descrivere, in termini di disuguaglianze sociali, le<br />

condizioni di salute e gli stili di vita nell’infanzia e nell’adolescenza attraverso la<br />

valorizzazione di alcune basi dati attualmente esistenti. Diverse basi dati rispondono<br />

all’obiettivo di descrivere le dimensioni di salute nei bambini e negli adolescenti, ognuna con<br />

peculiari limiti e potenzialità.<br />

A questo scopo sono utilizzati lo studio longitudinale torinese (SLT), le schede di dimissione<br />

ospedaliera (SDO) della <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> e l’indagine “Health Behaviour in School-aged<br />

Children (HBSC). L’SLT, insieme a quello toscano, è l’unico studio longitudinale sulla salute<br />

attualmente disponibile in Italia e in quanto tale consente la conduzione di studi di coorte, la<br />

propagazione a livello individuale di attributi familiari e consente il linkage con altre fonti<br />

informative, come le SDO. Questa base dati tuttavia è limitata al solo Comune di Torino e<br />

non considera i comportamenti correlati alla salute per la cui analisi occorre ricorrere ad altre<br />

fonti informative. Attraverso i dati dell’SLT sono state arruolate le coorti di bambini e<br />

adolescenti (1-14 anni) che erano in questa fascia di età al momento dei censimenti ed è stata<br />

analizzata la loro esperienza di mortalità nei cinque anni successivi secondo le caratteristiche<br />

socio-economiche della famiglia di appartenenza. A tale scopo sono state considerate<br />

l’istruzione famigliare, la tipologia abitativa, la tipologia famigliare, il quartiere e l’area di<br />

nascita. La stima del rischio di mortalità è stata calcolata attraverso l’SMR (Rapporto<br />

Standardizzato di Mortalità) che esprime il rapporto tra il numero di morti osservato in un<br />

173


determinato gruppo ed il numero di morti atteso nello stesso gruppo se su questo agissero gli<br />

stessi tassi di mortalità specifici per alcune variabili di confondimento che agiscono su di una<br />

popolazione assunta come riferimento. L’SMR esprime infatti l’eccesso o il difetto di<br />

mortalità esistente tra un gruppo sociale e la popolazione di riferimento al netto delle<br />

influenze esercitate dalla diversa composizione per età e per le altre variabili di<br />

confondimento dei due gruppi. La disponibilità delle schede di dimissione ospedaliera<br />

permette di individuare i principali gruppi di cause di ricovero (eccetto i tumori) nel periodo<br />

1995-2001 nelle classi di età considerate (0-14 anni).<br />

Sono stati pertanto selezionati tutti i ricoveri di soggetti residenti nel Comune di Torino nel<br />

periodo considerato e della classe di età analizzata, con particolare attenzione per i disturbi<br />

psicologici e mentali, tra cui anoressia e bulimia. Effettuata tale operazione, la coorte così<br />

individuata è stata linkata con i dati socio-demografici disponibili grazie all’SLT ed è stata<br />

effettuata la stima del rischio relativo di sviluppare un determinato evento. L’HBSC è uno<br />

studio trasversale che nel 2002 ha rilevato informazioni dettagliate sui comportamenti a<br />

rischio per la salute in un campione nazionale rappresentativo di 11, 13 e 15enni e che<br />

consente di confrontare la loro associazione con le caratteristiche socio-economiche della<br />

famiglia (livello di istruzione, condizione occupazionale, professionale e tipologia familiare) e<br />

con quelle relative alla rete dei pari. Attraverso questa fonte informativa sono controllate<br />

alcune ipotesi sui meccanismi generativi delle disuguaglianze sociali in diversi<br />

comportamenti a rischio, tra cui l’abitudine al fumo, il consumo di alcolici, di droghe, i<br />

comportamenti sessuali e le abitudini alimentari.<br />

Sono stati confrontati i 15enni (categoria più numerosa) che dichiarano di fumare (o bere<br />

alcolici) tutti i giorni con il gruppo di pari età che invece è non fumatore (o non bevitore).<br />

Attraverso un’analisi logistica multivariata in cui il livello di istruzione più elevato tra i<br />

genitori è stato considerato indicatore di classe sociale, è emersa una relazione positiva tra<br />

istruzione dell’obbligo e rischio che i ragazzi fumino. Tale relazione è emersa anche<br />

nell’analisi relativa al consumo di alcolici, anche se risulta essere non statisticamente<br />

significativa.<br />

Tra i dati più interessanti, è stato rilevato quello relativo al divario tra l’effettivo peso<br />

corporeo e l’immagine di sé. In generale infatti sembra emergere un’insoddisfazione ed una<br />

inadeguatezza della propria immagine corporea che potrebbe essere sintomo di un malessere<br />

psicologico in parte probabilmente veicolato dai modelli culturali prevalenti, la cui adozione o<br />

meno potrebbe essere in parte spiegata dalle condizioni socio-economiche di partenza.<br />

Attualmente è in corso la stesura di un report conclusivo in cui sono riportate le analisi<br />

effettuate e che sarà nostra cura distribuire appena ultimato.<br />

174


Rosa D'Ambrosio Filone tematico D4<br />

Il Profilo di salute della città di Torino<br />

ASL 1 - Unità Operativa di Epidemiologia ed Educazione <strong>Sanitaria</strong><br />

OBIETTIVO<br />

Una ricerca-azione esplorativa sullo star bene, parte di un più ampio progetto presentato<br />

dall’Unità Semplice di Educazione <strong>Sanitaria</strong> del Dipartimento di Prevenzione di Torino per<br />

l’elaborazione e sperimentazione di interventi consapevoli nella comunità.<br />

METODI<br />

Sono stati svolti 10 focus group nel periodo ottobre-dicembre 2004. Sei con la popolazione: 1<br />

con uomini e 1 con donne da 65 anni in su; 2 con uomini e 2 con donne tra 35 e 64 anni,<br />

reclutati dal servizio stesso. Inoltre due gruppi con operatori, uno con dirigenti nei servizi alla<br />

persona- ospedalieri e territoriali ed infine uno con i politici della IV Commissione Sanità e<br />

Servizi Sociali del Comune di Torino. Si è puntato sull’espressione e condivisione di<br />

esperienze, per poi passare a individuare i problemi principali e suggerire le soluzioni<br />

possibili.<br />

RISULTATI<br />

Un dato sembra accomunare tutti i 10 focus group: la necessità di una trasformazione<br />

culturale che permetta di affrontare la vita quotidiana con strumenti adeguati.<br />

Star bene, indipendentemente da condizioni sociali e di vita diverse, comprende una o più<br />

dimensioni – fisica, psichica, ambientale o socio-economica – come sue pre-condizioni: una<br />

sorta di impliciti aut-aut verso la vita quotidiana. Al di là dell’età emergono delle differenze<br />

tra uomini e donne: le seconde tendono ad una maggiore attenzione all’ascolto di sé, degli<br />

altri e all’approfondimento. Inoltre, al di là delle condizioni sociali e del tipo di divisione del<br />

lavoro in famiglia, le donne sottolineano la diversa sensibilità culturale di genere nella vita<br />

quotidiana e, soprattutto i due gruppi tra 35 e 64 anni, affrontano almeno tre fasi difficili:<br />

“disegnarsi” ed esprimere il proprio disegno di sé, realizzarlo, mantenerlo. Comune a tutti i<br />

gruppi, seppure con intensità e forme diverse, è la consapevolezza del susseguirsi di<br />

cambiamenti dovuti in parte all’età, in parte a vicende di vita delle quali si cerca il senso. Nei<br />

due gruppi di donne tra 35 e 64 anni emerge la rilevanza della differenza tra una condizione di<br />

vita normale ed una affetta da malattia grave. In quest’ultima condizione, in entrambi i generi<br />

per questo gruppo d’età, alcuni indicano la dimensione spirituale come elemento determinante<br />

della gestione, caratterizzata per tutti da due strategie dominanti, combattere o accettare.<br />

Le relazioni sociali rivelano la loro centrale importanza per tutti. In positivo sono un efficace<br />

nutrimento alla propria esistenza. In negativo, le pre-definizioni della situazione date dagli<br />

altri sono un ostacolo nel gestire la malattia cronica o una disabilità; esse sono comuni sia<br />

nella cerchia familiare che nei rapporti con i professionisti della salute e più in generale.<br />

L’amicizia emerge come una forma di legame quasi onnipresente, plasmabile, flessibile ed<br />

adatta a Jsopportare e trascendere l’evolversi, a volte turbinoso, a volte stagnante, delle<br />

situazioni di vita. Per le donne tra i 35 ed i 64 anni, l’amicizia comprende la confidenza, la<br />

complicità e l’aiuto.<br />

175


In tutti i gruppi emergono insicurezza e forme di ansia e paura connesse ai più vari motivi ed<br />

esperienze. Tali condizioni sembrano lenite o del tutto assorbite da chi, uomo o donna,<br />

manifesti una propria fede spirituale. Si ha però anche difficoltà a riconoscere che di fatto un<br />

lato dell’insicurezza odierna sembra nascere dall’avere molte più opzioni rispetto al passato;<br />

ad esempio disporre di più conoscenze sulla salute aumenta l’incertezza sulla strada da<br />

percorrere, che resta sempre di più nelle mani del “paziente”.<br />

Priorità e forme di intervento<br />

Oltre a suggerimenti per l’azione, c’è in tutti i focus group una disponibilità variabile per<br />

forma ed intensità, a dare le energie a disposizione per il benessere della comunità. I nodi<br />

critici su cui c’è consenso tra i gruppi sono tre:<br />

1. verso il personale sanitario, necessità di maggior ascolto, più trasparenza e<br />

coinvolgimento dei pazienti per superare forme di “aiuto senza relazione”; promuovere<br />

una diagnostica più efficace, che riduca incertezze, trascuratezze od errori.<br />

2. porre maggiore attenzione alla formazione delle giovani generazioni.<br />

3. inadeguatezza della cultura del ceto dirigente per rispondere alle sfide odierne; ciò è<br />

connesso alla convinzione diffusa in modo pressoché generale che le risorse finanziarie ed<br />

umane non scarseggino. Per alcuni (uomini tra 35 e 64 anni) manca la passione e l’amore<br />

per fare le cose; altri sostengono che non vengono riconosciute le capacità di autogoverno<br />

della comunità, mantenendo, in una società complessa, una costosa ed inefficace cultura<br />

del controllo.<br />

Soluzioni:<br />

1. Selezione più efficace e formazione del personale sanitario (medici e infermieri, personale<br />

OTA) e volontario; un aiuto professionale su richiesta degli operatori per affrontare<br />

situazioni difficili sul piano emozionale.<br />

2. “fare una campagna a favore dell’essere”; formare gli insegnanti a vedere il bambino<br />

come essere umano e non “macchina per apprendere”; valorizzare il lavoro educativo dei<br />

genitori, aiutandoli a fare meglio.<br />

Tra gli ultra 65enni, le donne sono concordi su un punto prioritario: non finire nelle case di<br />

riposo, mentre gli uomini sollevano aspetti dell’organizzazione dell’assistenza sanitaria e<br />

sociale -ticket, liste di attesa -.; mentre sostengono che all’eccessiva spesa sanitaria e agli<br />

esami inutili contribuiscono le stesse persone ed i medici di base; gli uomini chiedono inoltre<br />

la valorizzazione delle abilità degli anziani in due sensi: trasmetterle ai giovani ciò che s<strong>anno</strong><br />

e arricchire la propria esperienza con nuove conoscenze.<br />

Operatori, dirigenti e politici dei servizi alla persona<br />

Armonia e senso di utilità sono i termini più usati per rimandare la propria immagine di star<br />

bene nei tre gruppi. Tra operatori e dirigenti emerge:<br />

a) un’immagine della medicina critica per tutti, medici e non: paternalista, sintomatologica e<br />

orientata all’acuzie, con difficoltà di ascolto e relazione, tecnologica;<br />

b) esperienza personale dell’operatore e del dirigente, anche della propria malattia, come<br />

risorsa preziosa, essa si manifesta come il fattore più profondo di comprensione delle<br />

situazioni, aiuta ad affinare la conoscenza ed a sviluppare l’attenzione.<br />

I politici rispetto allo star bene della popolazione individuano elementi contingenti e non. I<br />

primi sono connessi a condizioni specifiche: l’essere anziani con difficoltà economiche o di<br />

176


salute e senza adeguato aiuto, oppure famiglie senza reddito adeguato. I secondi sono<br />

connessi ad una cultura dell’avere.<br />

Priorità e forme dell’intervento<br />

Tra operatori e dirigenti emerge:<br />

a) la necessità di sviluppare l’ascolto dei pazienti, riconoscendone meglio le risorse.<br />

b) evitare che il paziente sia la pallina di un ping-pong tra servizi diversi;<br />

c) valorizzare l’esperienza personale, anche di malattia, per comprendere meglio i pazienti;<br />

d) alta dirigenza e politici appaiono inadeguati alle sfide di oggi, mentre le risorse non<br />

mancano del tutto, ma spesso sono impiegate male.<br />

Tra le soluzioni emerge la promozione di una formazione del personale efficace e la<br />

distribuzione selettiva delle risorse secondo il merito. Entrambi lamentano la diffusa assenza<br />

di vision, mission a volte solo formali o contraddittorie e una diffusa cultura della netta<br />

separatezza tra dire e fare, che nessuno mette in questione. Gli operatori esprimono la<br />

necessità di non essere lasciati soli; mentre i dirigenti lamentano che sovente le soluzioni ai<br />

problemi siano spesso malviste ed osteggiate.<br />

Per i politici i nodi sono due: stabilire delle priorità ed un metodo con cui costruire le politiche<br />

locali. Essi percepiscono una pressione sociale per far fronte all’incertezza, ma con sincerità<br />

affermano di non avere risposte pronte. Ostacoli quotidiani all’azione politica sono la<br />

burocrazia della P.A. ed una cultura economicista, che alloca le risorse per favorire il<br />

consenso elettorale. Il progetto Città Sane è visto da qualcuno come un’azione significativa<br />

che può andare in una nuova direzione.<br />

177


Oliviero Danni Filone tematico A5<br />

Protezione da parte di estrogeni sull'induzione di beta-secretasi (BACE)<br />

indotta da stress ossidativi<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina e Oncologia Sperimentale<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La malattia di Alzheimer (AD) è un disordine neurodegenerativo caratterizzato da un declino<br />

psico-fisico irreversibile e dalla comparsa di placche senili e grovigli neurofibrillari in regioni<br />

del cervello sensibili, che rappresentano le manifestazioni tipiche dell’AD. Un crescente<br />

numero di studi dimostra che le reazioni di tipo ossidativo giocano un ruolo centrale nella<br />

patogenesi dell’AD. Le strategie terapeutiche nell’AD derivano da due approcci. La<br />

valutazione del grado di neuropatia e delle anomalie biochimiche nel cervello è sempre stata<br />

la maggior sorgente di idee per la terapia. Studi epidemiologici e, più recentemente, studi dei<br />

fattori di rischio genetico h<strong>anno</strong> suggerito approcci di tipo farmacologico. Bisogna comunque<br />

osservare che la maggior parte dei trials clinici sono stati diretti contro i sintomi della<br />

malattia; solo recentemente sono stati eseguiti studi mirati a prevenire o ritardare la malattia.<br />

Recenti studi epidemiologici h<strong>anno</strong> evidenziato che le terapie a base di estrogeni ritardano la<br />

comparsa e la progressione dell’AD e migliorano le funzioni cognitive dei pazienti affetti. In<br />

ogni caso, rimane da risolvere la questione se questi effetti siano mediati da un loro globale<br />

effetto benefico sul metabolismo cerebrale o possano essere riferiti ad una loro specifica<br />

azione sui meccanismi biochimici coinvolti nella patogenesi dell’AD.<br />

OBIETTIVO<br />

Lo scopo di questa ricerca è quello di verificare se composti estrogenici siano capaci di<br />

prevenire l’induzione della BACE e quindi la produzione di frammenti tossici derivati dal<br />

taglio beta secretasico. Studi precedenti condotti nel nostro laboratorio h<strong>anno</strong> dimostrato che i<br />

prodotti aldeidici terminali della perossidazione lipidica sono in grado di aumentare i livelli<br />

proteici e l’attività di BACE, che è direttamente responsabile della produzione di b amiloide<br />

(Abeta).<br />

MATERIALI E METODI<br />

Per questa ricerca abbiamo scelto come modello sperimentale i neuroni NT2, derivati da una<br />

linea di teratocarcinoma umano, Ntera2/c1.D1, un modello sperimentale molto utilizzato per<br />

lo studio dell’APP e della patogenesi dell’AD. Noi abbiamo iniziato lo studio sull’eventuale<br />

neuroprotezione da parte degli estrogeni dal 17beta estradiolo, estrogeno dotato di attività<br />

antiossidante. La nostra attenzione è quindi stata posta sulla ricerca della più bassa<br />

concentrazione capace di ridurre significativamente la perossidazione lipidica. Per innescare<br />

la perossidazione lipidica sono stati utilizzati due classici sistemi pro-ossidanti quali<br />

Ascorbato/FeSO4 (500microM/5microM) e H2O2/FeSO4 (10microM/100microM) posti a<br />

contatto con le cellule per 3 e 6 ore. Tra i vari protocolli sperimentali trovati in letteratura<br />

abbiamo testato l’efficacia di due schemi di trattamento l’uno che prevedeva l’incubazione<br />

delle cellule con 17beta estradiolo alla concentrazione di 5 e 10 microM per 24 ore e un<br />

trattamento sub-cronico che prevedeva l’utilizzo dell’estrogeno alla concentrazione di 200nM<br />

per 6 giorni. Per questo secondo protocollo il terreno e quindi il 17beta estradiolo sono stati<br />

178


sostituiti ogni 48 ore. Entrambi i protocolli sperimentali si sono rivelati efficaci nel proteggere<br />

le cellule dalla perossidazione lipidica indotta dai due pro-ossidanti, anche se con un<br />

differente grado di efficacia. La perossidazione lipidica è stata valutata in termini di rilascio di<br />

sostanze reagenti con l’acido tiobarbiturico (TBARS), di 4-idrossinonenale (HNE), di<br />

produzione di cromolipidi fluorescenti e di specie radicaliche dell’ossigeno. Il 17beta<br />

estradiolo è stato capace di inibire significativamente la perossidazione lipidica sia posto a<br />

contatto con le cellule per 24 ore a concentrazioni dell’ordine del micromolare, sia per 6<br />

giorni alla concentrazione di 200 nM. Il protocollo che prevedeva l’esposizione delle cellule<br />

neuronali per 24 ore a concentrazioni più elevate, nell’ordine del micromolare, si è rivelato<br />

comunque molto più efficace nella protezione nei confronti degli agenti pro-ossidanti. Per<br />

valutare gli effetti del pre-trattamento estrogenico sui livelli proteici di BACE abbiamo<br />

utilizzato il trattamento sub-cronico, che ci permetteva cioè di lavorare con concentrazioni<br />

notevolmente più basse di estrogeno e più vicine a situazioni di tipo fisiologico, spesso infatti<br />

vengono utilizzate in letteratura concentrazioni molto elevate di estrogeni e quindi senza<br />

alcuna rilevanza fisiologica.<br />

RISULTATI<br />

I dati ottenuti con tecnica western blot, suggeriscono che il pretrattamento con il 17beta<br />

estradiolo posto a contatto delle cellule per 6 giorni alla concentrazione di 200nM, svolge una<br />

blanda e non significativa protezione sull’aumento dei livelli proteici di BACE mediato dai<br />

due sistemi proossidanti. Questi risultati suggericono che il benefico effetto della terapia<br />

estrogenica in vivo nei pazienti affetti da AD non sia da riferire ad un’azione di protezione<br />

sull’induzione, mediata dallo stress ossidativo, della beta secretasi.<br />

Nonostante questo risultato negativo sulla protezione del taglio beta secretasico, abbiamo<br />

valutato i livelli intracellulari e secreti di Abeta1-40 e Abeta1-42 nei neuroni NT2 esposti allo<br />

stress ossidativo con e senza pretrattamento con beta estradiolo. I risultati ottenuti h<strong>anno</strong><br />

dimostrato che mentre lo stress ossidativo è in grado di determinare un significativo aumento<br />

dei livelli intracellulari e secreti di beta proteina il pretrattamento con il beta estradiolo, pur<br />

non proteggendo l’aumento dei livelli di BACE, è capace di prevenire efficacemente tale iperproduzione.<br />

Per spiegare questo dato abbiamo valutato l’attività dell’ alfa secretasi come<br />

rilascio nel medium di coltura del frammento solubile dell’APP derivato dal taglio a<br />

secretasico, l’aAPPs. I risultati ottenuti suggeriscono che mentre lo stress ossidativo “shifta” il<br />

metabolismo cellulare verso il taglio beta secretasico e la produzione di beta amiloide a<br />

discapito del taglio fisiologico mediato dalla alfa secretasi, il pretrattamento con gli estrogeni<br />

è in grado di aumentare il taglio alfa secretasico proteggendo in questo modo l’iperproduzione<br />

di beta amiloide.<br />

I dati ottenuti sostengono l’ipotesi che i benefici della terapia estrogenica in vivo nei pazienti<br />

affetti da AD sia dovuta ad un effetto sul metabolismo dell’APP e la produzione di b<br />

amiloide, mediata però non da una protezione dell’induzione della beta secretasi quanto<br />

piuttosto da una induzione dell’a secretasi, con un netto decremento della produzione di beta<br />

proteina.<br />

179


Antonella De Francesco Filone tematico C1<br />

Qualita' di vita dei pazienti in nutrizione parenterale domiciliare (NPD) di<br />

lunga durata e dei loro caregivers familiari<br />

ASO S. Giovanni Battista<br />

SCDO di Dietetica e Nutrizione Clinica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La nutrizione parenterale domiciliare (NPD) è il trattamento sostitutivo di funzione d’organo<br />

nei pazienti con insufficienza intestinale, determinata da ampie resezioni intestinali e da danni<br />

anatomici funzionali estesi della parete intestinale. La NP si attua attraverso un catetere<br />

posizionato in una vena centrale. Le infusioni sono effettuate nelle ore notturne per facilitare<br />

il reinserimento socio-lavorativo del paziente e possono essere autogestite o richiedere l’aiuto<br />

di un caregiver. La dipendenza da tale sopporto nutrizionale artificiale diventa permanete per<br />

la maggiorparte dei paziente che supera i 2 anni di trattamento. In questo studio ci si è<br />

proposti di eseguire una valutazione della qualità di vita e dell’equilibrio psicorelazionale.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Il campione esaminato finora si compone di 21 pazienti (10 M,11 F), di età media 59 anni<br />

(r.30-76), in NPD da un tempo medio di 7 anni (r.1-17.) I suddetti sono stati sottoposti a<br />

colloqui psicodiagnostici, test sulla qualità di vita (Questionario sullo Stato di Salute SF36,<br />

Satisfaction profile/SAT-P, Scala di disabilità DISS di SHEEHAN, Scala di Valutazione del<br />

Funzionamento Sociale e Lavorativo SVFSL), scale specifiche per i vissuti depressivi<br />

(SCALA ZUNG e HAMILTON RATING SCALE FOR DEPRESSION), scale per<br />

evidenziare eventuali quote d’ansia libera (S.T.A.I., HAMILTON ANXIETY SCALE), test<br />

specifici per aspetti interpersonali (IIP32), test di personalità (TCI). Le due scale Hamilton<br />

(per la depressione e per l’ansia), nonché la scala di Valutazione del Funzionamento Sociale e<br />

Lavorativo prevedono, a differenza degli altri test utilizzati compilati con le risposte fornite<br />

dai soggetti in esame, la compilazione da parte dello psicologo e del medico di riferimento. I<br />

risultati ottenuti dai singoli pazienti nel SF36 e nel SAT-P sono stati confrontati con valori<br />

normativi ponderati per sesso ed età.<br />

RISULTATI<br />

SF36: - ATTIVITÀ FISICA Il 71% è nella norma, il 19% entro 2 dev.st., il 10% oltre 2 dev.<br />

st. - RUOLO E SALUTE FISICA (limitazioni nel vivere quotidiano conseguenti alla<br />

patologia fisica). L’86% è nella norma, il 5% entro 2 dev. st, il 9% oltre 2 dev.st. - DOLORE<br />

FISICO. Il 90% è nella norma, il 10% entro 2 dev.st. - Percezione della propria SALUTE<br />

GENERALE. Il 62% è nella norna, il 33% entro 2 dev.st - VITALITA’. L’86% è nella norma,<br />

il 14% entro 2 dev.st - ATTIVITA’ SOCIALI. Il 76% è nella norma, il 14% entro 2 dev.st, il<br />

10% oltre 2 dev.st - RUOLO E STATO EMOTIVO. L’81% è nella norma, 9,5% entro 2<br />

dev.st, 9,5% oltre 2 dev.st - SALUTE MENTALE. L’81% è nella norma, il 14% entro 2<br />

dev.st, il 5% oltre 2 dev.st. SAT-P: - FUNZIONALITA’ PSICOLOGICA. Il 100% è nella<br />

norma. - FUNZIONALITA’ FISICA. Il 76% è nella norma, il 24%entro 2 dev.st. - LAVORO<br />

(e situazione economica). Il 90% è nella norma, il 10% è entro 2 dev.st – SONNO /<br />

180


ALIMENTAZIONE/ TEMPO LIBERO. IL 100% è nella norma -<br />

FUNZIONALITA’SOCIALE. Il 90% è nella norma, il 10% entro 2 dev.st.<br />

La media del campione nella scala Diss di Sheean è di 2,41 ± 2,26. Ciò indica una leggera<br />

interferenza dei problemi legati alla NPD con la vita quotidiana (nelle sfere relazionali,<br />

familiari e lavorativa). La scala SVFSL, con media 70,14 ± 11,18, descrive un campione con<br />

qualche difficoltà nel funzionamento sociale, lavorativo, che in generale funziona bene,<br />

mantiene delle relazioni interpersonali significative. Vissuti depressivi: La Hamilton Rating<br />

Scale for depression, con media 14,36 ± 5,20, evidenzia una forma depressiva lieve del<br />

campione in esame. La scala Zung, con media 38,24 ± 8,26, rileva la volontà dei soggetti in<br />

esame di attribuirsi dei vissuti depressivi piuttosto rilevanti. Da ciò è possibile dedurre una<br />

buona consapevolezza e insight di patologia per ciò che concerne i vissuti depressivi da loro<br />

esperiti.<br />

Quote d’ansia libera: La Hamilton Anxiety Scale, con media 14,83 ± 7,48 (cut off di<br />

Patologia =18), rileva una moderata quota d’ansia libera; mentre lo S.T.A.I, nelle sue<br />

componenti ansia di stato con media 50,33 ± 9,24 (nella norma) e ansia di tratto con media<br />

46,19 ±10,06 (nella norma),(norma con media 50 ± 10) mette in evidenza una scarsa<br />

consapevolezza sui propri disturbi d’ansia da parte del campione e l’uso della negazione come<br />

difesa psichica. Aspetti interpersonali: Dai risultati derivanti IIP32 su 20 pazienti (1 è risultato<br />

non valido) si deduce che: il 40% dichiara di non avere nessuna difficoltà interpersonale (tra<br />

quelle in esame), il 50% di riscontrarne una, il 5% 2 e il 5% 3. Tra le difficoltà riscontrate il<br />

25% ha un problema con la necessità di mantenere un controllo sulla relazione con l’Altro; il<br />

10% è troppo centrato su Sé stesso e propenso a vendicare i torti subiti, il 10% ha una<br />

socialità piuttosto inibita; il 10% ha un problema di intrusività e di dipendenza con l’Altro; un<br />

altro 10% tende ad annullare i propri bisogni e necessità per soddisfare l’Altro in tutto; il 5%<br />

ha un atteggiamento poco risoluto, con scarsa fiducia in Sé stesso, un altro 5% è troppo<br />

accomodante nelle relazioni (nessuno dichiara di avere un atteggiamento troppo freddo e<br />

distante nella sua sfera interelazionale).<br />

TCI: - RICERCA DELLA NOVITA’ Il 14% è sopra la media, il 67% è sotto la media (il<br />

19% nella media) - EVITAMENTO DEL DANNO Il 33% è sopra la media (il 67% nella<br />

media) - DIPENDENZA DALLA RICOMPENSA Il 5% è sopra la media, il 7% è sotto la<br />

media (il 24% è nella media) - PERSISTENZA Il 10% è sopra la media, il 52% è sotto la<br />

media (il 38% è nella media) - AUTODIRETTIVITA’Il 33% è sopra la media, il 38% è sotto<br />

la media (il 29% è nella media) - COOPERATIVITA’ Il 10% è sopra la media, il 38% è sotto<br />

la media (il 52% è nella media) - TRASCENDENZA Il 28,5% è sopra la media, il 43% sotto<br />

la media (il 28,5% nella media). Inoltre esiste il rischio di presenza di disturbo di personalità<br />

nel 29% dei casi, mentre non vi sono indicazioni di immaturità nel campione in esame.<br />

CONCLUSIONE<br />

Le conclusioni di tale studio sono ancora preliminari in quanto la borsa di studio utilizzata per<br />

l’attuazione è stata erogata solo dal 1/7/2004; il campione finale dei pazienti. studiati sarà più<br />

numeroso (27 pz.) e sarà espletato il colloquio restituivo. Dai dati raccolti finora sembra<br />

comunque emergere la necessità di focalizzare l’attenzione terapeutica nell’ambito<br />

dell’approccio riabilitativo anche sugli aspetti psicosociali ed emozionali allo scopo di<br />

favorire un miglioramento generale della loro Qualità di Vita.<br />

181


Mario De Marchi Filone tematico A2<br />

Studio pilota di geni implicati nella suscettibilità al carcinoma prostatico<br />

ASO S. Luigi<br />

Struttura semplice dipartimentale di Genetica Medica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Si ritiene che numerosi fattori predisponenti sia genetici sia non genetici giochino un ruolo<br />

nell’insorgenza del carcinoma della prostata. Nonostante in studi sulla concordanza in coppie<br />

di gemelli la componente di suscettibilità genetica sia risultata maggiore che in altri tumori<br />

comuni quali in particolare il carcinoma del colon e della mammella, non è stato fino ad ora<br />

possibile riconoscere geni maggiori di suscettibilità paragonabili a quelli che in queste<br />

patologie consentono l’offerta di test genetici nelle famiglie ad alto rischio. Analisi di linkage<br />

dei casi familiari ha definito svariate regioni di suscettibilità al carcinoma prostatatico, dette<br />

HPC (Hereditary Prostate Cancer) localizzate su cromosomi diversi. La ricerca dei geni<br />

coinvolti potrebbe da una parte contribuire alla conoscenza dei meccanismi che d<strong>anno</strong> origine<br />

alla malattia, e d’altra parte fornire marcatori molecolari informativi che, integrati al test PSA,<br />

potrebbero migliorare la specificità dei programmi di screening e di diagnosi precoce. Il<br />

primo gene come “candidato” nella suscettibilità al carcinoma prostatico, ELAC2, è stato<br />

identificato nella regione HPC2 sul cromosoma 17p11 da Tavtigian et al.(2001). In questo<br />

gene, la cui funzione non è nota, sono state identificate rare mutazioni ad alta penetranza in<br />

famiglie ad alto rischio, mentre le due sostituzioni aminoacidiche Ser217Leu e Ala541Thr,<br />

presenti con elevata frequenza nella popolazione, sono risultate associate con il carcinoma<br />

sporadico solo in alcuni studi. Un secondo gene “candidato” è RNASEL, mappato nella<br />

regione di suscettibilità HPC1 sul cromosoma 1q23-25. Esso codifica per la ribonucleasi L,<br />

2’-5’-oligoadenilato-dipendente, un enzima espresso costitutivamente in forma latente, che<br />

media la risposta del sistema 2’-5’ adenilato indotta dall’interferone, attivando funzioni<br />

antivirali e proapoptotiche. Anche in questo gene sono state osservate mutazioni inattivanti in<br />

singole famiglie ad alto rischio Il poliformismo comune Arg462Gln è stato oggetto di<br />

numerosi studi di associazione con risultati contrastanti in popolazioni diverse. E’ comunque<br />

significativa la dimostrazione di una ridotta attività funzionale a carico dell’allele 462Glu Per<br />

quanto di nostra conoscenza, nessuno di questi polimorfismi è mai stato analizzato in pazienti<br />

Italiani con carcinoma prostatico.<br />

OBIETTIVO<br />

Questo studio pilota si proponeva di:<br />

1. attivare una collaborazione tra genetisti e urologi nel contesto interdisciplinare del Centro<br />

Prostata costituito presso L’ASO S.Giovanni Battista, in vista dei successivo progetto<br />

prospettico più esteso;<br />

2. verificare la presenza e la frequenza dei polimorfismi comuni dei tre geni ELAC2,<br />

RNASEL e MSR1 nella popolazione piemontese;<br />

3. costituire una raccolta di campioni di DNA utile sia per futuri studi su nuovi geni di<br />

suscettibilità.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Dopo la fase di avvio nei primi mesi del 2004 il reclutamento dei casi è avviata in maniera<br />

regolare nei diversi reparti di Urologia. Tutti i pazienti operati con diagnosi istologica di<br />

182


carcinoma prostatico vengono informati sugli obiettivi della ricerca e viene loro proposto un<br />

consenso informato. Sono stati a tutt’oggi raccolti campioni di sangue di più di 300 pazienti e<br />

ne è stato estratto il DNA genomico. Come controlli della popolazione sono stati utilizzati i<br />

campioni di DNA di 253 studenti di Medicina, che l’avevano volontariamente donato<br />

consentendone l’uso per scopi di didattica e ricerca. Tutti i campioni sono codificati e raccolti<br />

in osservanza delle norme sulla riservatezza dei dati genetici. In base ai dati più recenti della<br />

letteratura, invariabilmente negativi, l’analisi del gene MSR1 è stata procrastinata. La<br />

definizione del genotipo dei due polimorfismi RNASEL Arg462Gln e ELAC2 Ser217Leu è<br />

stata effettuata mediante amplificazione con PCR e analisi DHPLC, usando l’apparecchiatura<br />

WAVE della ditta Transgenomic nel laboratorio di Genetica medica presso l’ASO S.Luigi.<br />

RISULTATI<br />

Le frequenze geniche sono risultate: allele ELAC2 217Leu 0.28 nei pazienti e 0.315 nei<br />

controlli (n.s.), allele RNASEL 462Gln 0.4386 nei pazienti e 0. 3682 nei controlli(X2.8,<br />

p=0.033. Frequenze genotipiche ELAC2: SS 106 (49.1%), SL 99 (45.8%) e LL 11 (5.1%) tra<br />

i pazienti, SS 95 (44,6%), SL 102 (47,9%) e LL 16 (7,5%) tra i controlli. RNASEL RR 69<br />

(30,3%), RQ 118 (51.8%) QQ 41 (17,98%) tra i pazienti, e RR 100 (41,84%), RQ 102<br />

(42,67%), QQ 37 (15.48%). Tali valori sono in equilibrio di Hardy-Weinberg per i due geni in<br />

entrambi i gruppi. Mentre nel gene RNASEL l’allele 462 Gln dimostra una associazione<br />

modesta ma statisticamente significativa, il polimorfismo ELAC2 non è risultato associato<br />

con il carcinoma prostatico nella nostra popolazione. L’età di insorgenza non è risultata<br />

correlata con il polimorfismo RNASEL Arg462Gln, mentre gli omozigoti per l’allele comune<br />

217Ser nel gene ELAC2 avevano un’età media di insorgenza inferiore.<br />

CONCLUSIONI<br />

Questo studio pilota ha conseguito l’obiettivo di attivare la fattiva collaborazione tra i centri<br />

coinvolti e di costituire una rccolta di campioni utili per studi successivi. I risultati<br />

suggeriscono che il polimorfismo Arg462ln di RNASEL possa avere un ruolo modesto ma<br />

significativo nella suscettibilità alla malattia, in parziale accordo con studi precedenti in<br />

alcune popolazioni (Casey et al 2002, Wang et al 2002), mentre altri studi in diverse<br />

popolazioni h<strong>anno</strong> osservato un’associazione negativa (Wang et al 2002, Nakazato et al<br />

<strong>2003</strong>), ed altri ancora non h<strong>anno</strong> riscontrato deviazioni significative rispetto ai controlli<br />

(Maier et al 2005, Wilklund et al 2005).<br />

PUBBLICAZIONI<br />

1. Van Duist MM, Penachioni J, Giachino D, Zitella A, Destefanis P, Graziano ME, Cracco<br />

C, Scarpa R, Ferrando U, Fontana D, Tizzani A, De Marchi M “RNASEL Arg462Gln in<br />

Italian Prostate Cancer patients: preliminary results” Presentato al 7° Congresso nazionale<br />

della Società Italiana di Genetica Umana SIGU, Pisa 1-15 Ottobre 2004<br />

2. M.M. van Duist, D. Giachino, A. Zitella, P. DeStefanis, M.E. Graziano, C. Cracco, R.<br />

Scarpa, U. Ferrando, D. Fontana, A. Tizzani, M. De Marchi. “RNASEL Arg462Gln is<br />

significantly associated with Prostate cancer in the Italian population” presentato alla<br />

European Society of Human Genetics Conference, Praga 7-10 maggio 2005<br />

3. Van Duist MM, Giachino D, Zitella A, Destefanis P, Graziano ME, Cracco C, Scarpa R,<br />

Ferrando U, Fontana D, Tizzani A, De Marchi M “RNASEL Arg462Gln and ELAC2<br />

polymorphisms in Italian Prostate Cancer: a progress report” Riassunto inviato all’8°<br />

Congresso nazionale della Società Italiana di Genetica Umana SIGU, Cagliari, 28-30<br />

Settembre 2005<br />

183


Lucia Decastelli Filone tematico B1<br />

Modello di valutazione dell’assicurazione della qualita’ dei risultati dei<br />

laboratori di autocontrollo<br />

Istituto Zooprofilattico Sperimentale del <strong>Piemonte</strong>, Liguria e Valle D’Aosta<br />

OBIETTIVO<br />

L’obiettivo del progetto è stato la creazione di un modello di valutazione dell’assicurazione<br />

della qualità dei risultati microbiologici dei laboratori di autocontrollo attraverso la creazione<br />

di una check list che permetta la valutazione e l’individuazione di indicatori del corretto<br />

funzionamento del laboratorio e della assicurazione qualità dei risultati microbiologici.<br />

MATERIALI E METODI<br />

La pianificazione è così articolata:<br />

• creazione di una lista di riscontro idonea alla verifica del Sistema Qualità nei laboratori di<br />

autocontrollo che effettuano analisi microbiologiche.<br />

• Messa a punto di una lista di riscontro a partire da liste di riscontro di alcuni enti di<br />

certificazione.<br />

• Creazione di indicatori di efficacia.<br />

• Discussione preliminare con i responsabili dei laboratori di autocontrollo sui contenuti<br />

della stessa.<br />

• Riesame del piano di validazione.<br />

• Collaudo della lista con verifica in campo in laboratori che effettuano analisi<br />

microbiologiche.<br />

• Approvazione della lista di riscontro: “modello di valutazione dell’assicurazione della<br />

Qualità dei laboratori di autocontrollo”.<br />

Sono stati considerati come elementi in ingresso alla progettazione e allo sviluppo le<br />

norme ISO e leggi vigenti rappresentate da:<br />

- ISO 17025 “Requisiti generali per la competenza dei laboratori di prova e taratura”.<br />

- ISO serie 9000.<br />

- ISO 30012.<br />

- ISO 1901.<br />

- UNI 11097.<br />

- D. lvo 155/97.<br />

- D. lvo 120/92.<br />

- Check list per la valutazione dei laboratori (SINAL).<br />

- Lista di riscontro ORL<br />

Al fine di creare gli indicatori di efficacia sono stati considerati i seguenti parametri<br />

strutturali<br />

• Qualificazione del personale,<br />

• Adeguatezza strumentale.<br />

• Sensibilità, specificità e accuratezza dei metodi di prova microbiologici utilizzati<br />

(ufficiali, normati, con validazioni commerciali).<br />

184


• Qualifica dei fornitori.<br />

• Criteri di individuazione e di scelta dei reagenti impiegati.<br />

• Adeguatezza dei locali e condizioni ambientali.<br />

• Controllo delle attività non conformi.<br />

• Prove interlaboratorio o di valutazione (accuratezza, ripetibilità, riproducibilità).<br />

• Indicatori di efficacia.<br />

Gli elementi in uscita dalla progettazione e dallo sviluppo sono rappresentati dall’<br />

allestimento di una lista di riscontro così strutturata<br />

REQUISITI GESTIONALI<br />

- Organizzazione<br />

- Sistema qualità<br />

- Approvvigionamento di servizi e forniture<br />

- Reclami<br />

- Controllo delle registrazioni<br />

REQUISITI TECNICI<br />

- Personale<br />

- Metodi di prova e validazione dei metodi<br />

- Apparecchiature Riferibilità delle misure<br />

- Campionamento<br />

- Manipolazione dei campioni e degli oggetti sottoposti a prove<br />

- Assicurazione della qualità dei risultati in accordo con quanto riportato nella ISO 17025<br />

Sono stati identificati come fondamentali i seguenti indicatori:<br />

• Rapporto costo/qualità prestazione delle prove di tipo microbiologico, sia qualitative che<br />

quantitative.<br />

• Incidenza positività per tipo di prova e matrice.<br />

• Rapporto tra numero prove eseguite e quantitativo reagenti acquistati.<br />

• Rapporto tra numero prove eseguite e Kg.<br />

• Rifiuti Speciali smaltiti.<br />

• Rapporto tra numero prove eseguite e personale addetto (abilitazioni e iter formativo).<br />

• Rapporto tra numero accettazione e n. reclami dei clienti - Rapporto tra numero di prove e<br />

percentuale di positività.<br />

• Prove di confronto (circuiti di partecipazione, errori, prove interlaboratorio)<br />

185


Paola Defilippi Filone tematico A2<br />

Studio dell'adattore p130Cas nelle preneoplasie e nei tumori della<br />

mammella: meccanismo molecolare e studio in vivo<br />

Università degli Studi di Torino,<br />

Dipartimento di Genetica, Biologia e Biochimica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La nostra ricerca, che coniuga l’esperienza di biologi cellulari e molecolari con le competenze<br />

degli anatomo patologici e degli oncologi clinici, è incentrata sullo studio dell’espressione e<br />

del significato molecolare della proteina p130Cas nell’insorgenza e nella progressione del<br />

tumore alla mammella. L’adattatore p130Cas è una proteina ubiquitaria modulare identificata<br />

come il maggior substrato fosforilato dei virus oncogeni v-Src e v-Crk. La struttura modulare<br />

della proteina è caratterizzata da domini proteici che permettono l’aggancio con proteine della<br />

trasduzione del segnale e la formazione di un complesso multi-molecolare coinvolto nella<br />

proliferazione e nel movimento cellulare. Nel nostro laboratorio abbiamo dimostrato che nelle<br />

cellule di carcinoma mammario T47D p130Cas si complessa con la chinasi c-Src ed è<br />

coinvolto nell’attivazione della chinasi stessa in risposta agli estrogeni. La sovra-espressione<br />

di p130Cas induce l’attivazione di c-Src e di vie di segnalazione a valle.<br />

MATERIALI E METODI<br />

In questo progetto abbiamo:<br />

1. preparato e caratterizzato due anticorpi monoclonali contro p130Cas per l’uso diagnostico.<br />

2. Iniziato lo studio dell’espressione della proteina p130Cas in immunoistochimica su<br />

sezioni da biopsie di tessuto mammario sano e patologico.<br />

3. Prodotto un modello murino di topi transgenici per la sovra-espressione di p130Cas nella<br />

ghiandola mammaria: analisi dello sviluppo della ghiandola mammaria e dell’insorgenza<br />

di tumori.<br />

Preparazione degli anticorpi monoclonali: gli anticorpi monoclonali sono stati preparati nel<br />

topo immunizzando gli animali con una proteina ricombinante rivolta contro il dominio<br />

carbossi terminale della p130Cas. La proteina è stata preparata in due versioni:<br />

• come prodotto di fusione con la Glutatione-S-Transferasi (GST), purificata su colonna di<br />

glutatione ed usata per l’immunizzazione,<br />

• come prodotto di fusione con la Maltose Binding Protein (MBP), purificata su colonna di<br />

maltoso ed usata per lo screening ELISA dei cloni positivi.<br />

Abbiamo sinora caratterizzato due anticorpi specifici per p130Cas (mAb 1H9 e mAb 9D5),<br />

che abbiamo utilizzato nella messa a punto dello screening delle biopsie umane. I due cloni da<br />

noi prodotti (1H9 e 9D5) sono stati confrontati ad un anticorpo commerciale p27820 con<br />

risultati assolutamente paragonabili. Inoltre la specificità e stata testata su cellule ECV304<br />

(campione positivo) e MEF da Cas-/- (controllo negativo) coltivate in vitro, staccate con<br />

tripsina, centrifugate, fissate in formalina e incluse in paraffina. Le sezioni sono state colorate<br />

con l’anticorpo anti p130Cas 9D5 a 10 microgrammi/ml seguito da reazione PAP. La<br />

mancanza di segnale nelle cellule p130Cas -/- dimostra la specificità dell’anticorpo.<br />

186


Utilizzo degli anticorpi monoclonali anti p130Cas per l’analisi di biopsie tumorali. In<br />

collaborazione con la Prof.ssa A. Sapino abbiamo iniziato a valutare l’espressione di p130Cas<br />

con metodiche di immunoistochimica utilizzando l’anticorpo 9D5 su tessuti fissati e inclusi<br />

paraffina. Abbiamo finora valutato 100 biopsie da: mammelle umane normali in varie fasi di<br />

sviluppo mammelle con patologia benigna non evolutiva (fibroadenomi/ ectasie duttali)<br />

mammelle con patologia benigna proliferativa/preneoplastica (iperplasie) carcinomi mammari<br />

di diverso grado istologico ed istotipo ed evoluzione La casistica è in via di valutazione<br />

retrospettiva sul follow-up delle pazienti oncologiche.<br />

Preparazione del modello di topi transgenici: il cDNA codificante per la p130Cas murina è<br />

stato inserito a valle del promotore del Mouse Mammary tumor virus (MMTV), che veicola<br />

specificamente l’espressione della proteina nella ghiandola mammaria. Per distinguere la<br />

proteina esogena da quella naturale del topo, è stata inserita nel cDNA una corta sequenza di<br />

12 aminoacidi corrispondente all’epitopo Myc riconosciuto da un anticorpo specifico, già<br />

disponibile in laboratorio. Da una prima microiniezione del costrutto si sono generate due<br />

linee di topi espressori, che sono in via di definizione. Le ghiandole mammarie di topoline<br />

transgeniche sono state sezionate al terzo giorno di allattamento. Il tessuto è stato<br />

omogeneizzato e le proteine estratte in soluzione denaturante ed analizzate per SDS-PAGE<br />

elettroforesi e western blot con anticorpi anti myc per valutare l’espressione del trangene.<br />

Nella figura sono indicate tre linee indipendenti che sovra-esprimono p130Cas a livelli<br />

diversi.<br />

Caratterizzazione del fenotipo transgenico: il promotore MMTV è attivo nella ghiandola<br />

mammaria in fasi specifiche: a partire dal 12 giorno di gravidanza, con un picco al terzo<br />

giorno di allattamento, mentre l’espressione si spegne con l’involuzione della ghiandola al<br />

termine dell’allattamento. A questo punto del progetto le femmine delle linee positive sono<br />

state valutate al 3° giorno dopo il parto. Le ghiandole prelevate sono state analizzate per<br />

inclusione in “whole mount” per l’analisi della struttura complessiva dei lobuli epiteliali e<br />

montate in paraffina per l’analisi per immunoistochimica dell’espressione e della<br />

localizzazione di p130Cas e di vari marcatori proliferativi e di apoptosi.<br />

RISULTATI<br />

I risultati di questa prima analisi indicano che i topi transgenici per la proteina p130Cas<br />

presentano un’estesa iperplasia epiteliale. La sovra espressione di p130Cas altera quindi il<br />

profilo di proliferazione dell’epitelio ghiandolare. Ulteriori studi sono in corso per l’analisi<br />

biochimica e immunoistochimica di marcatori di proliferazione.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

Cabodi S., Tinnirello A., Di Stefano P., Bisaro B., Ambrosin E, Castellano I., Sapino A.,<br />

Arisio R., Cavallo F., Forni G., Glukhova M., Turco E., Silengo L., Altruda F., Turco E.,<br />

Tarone G. and Defilippi P. p130Cas as a new regulator of mammary epithelila cell<br />

proliferation, survival and HER2-Neu oncogene dependent breast tumorigenesis in via di<br />

accettazione sulla rivista internazionale Cancer Research<br />

187


Maurizio Degiuli Filone tematico C1<br />

Gastrectomia D2 VS D1 nel trattamento del carcinoma gastrico. studio<br />

prospettico multicentrico randomizzato<br />

ASO S. Giovanni Battista<br />

The disadvantages of D2 gastrectomy have been mostly related to splenopancreatectomy.<br />

Unlike two large European trials, the MRC and the Ducth trials, we have recently showed the<br />

safety of D2 dissection with pancreas preservation in a one-arm phase I-II trial. This new<br />

randomised trial was set up to compare postoperative morbidity and mortality and survival<br />

after D1 and D2 gastrectomy among the same experienced centres that participated into the<br />

previous trial.<br />

In a prospective multicenter randomised trial, D1 gastrectomy was compared to D2<br />

gastrectomy. Central randomisation was performed following a staging laparotomy in 253<br />

patients with potentially curable gastric cancer. Findings Of 253 patients randomised, 116<br />

were allocated to D1 and 137 to D2 gastrectomy. The two groups were comparable for age,<br />

sex, site, TNM stage of tumours, and type of resection performed. In particular, the average<br />

age was 64,21 and 61.65 in D1 and D2 patients respectively; D1 and D2 groups tumors were<br />

located in upper, medium and distal stomach in 10.3 and 9.8 %, 22.4 and 24.0 and 67.2 and<br />

64.9 % of the cases. There was a large amount of T1 tumors, which accounted for 38.8% of<br />

D1 pts and 27.0% of D2 patients. This difference was significant. Also the distribution of T2<br />

cases was significant different in the two groups of patients, being 41.6 % in D2 and 30.1 %<br />

in D1 patients. The type of gastrectomy performed was depending on the location of tumors;<br />

about 25% of patients in both arms received a total gastrectomy while the remnant 75% had a<br />

subtotal gastrectomy. The overall postoperative morbidity rate was 15.01%. Complications<br />

developed in 12.06% of patients after D1 and in 17.51% of patients after D2 gastrectomy.<br />

This difference was not statistically significant (p


Marcello Dei Poli Filone tematico A2<br />

Espressione di Endoglina come fattore di rischio di recidiva nel<br />

carcinoma dell'esofago<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Fisiopatologia Clinica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La prognosi del cancro dell’esofago è solitamente infausta, con una sopravvivenza a 5 anni<br />

inferiore al 10%. La terapia d’elezione è quella chirurgica. Tuttavia la recidiva è la principale<br />

causa di insuccesso. Si valuta che circa il 70% dei pazienti, dopo resezione completa,<br />

sviluppino rapidamente un tumore secondario e di questi il 75% muoia entro due anni. Dal<br />

punto di vista biologico, l’aggressività della neoplasia può dipendere dalla capacità, -<br />

precocemente acquisita- della cellula trasformata di staccarsi dal tumore primario, di entrare<br />

nel torrente circolatorio e di migrare, dando origine a metastasi a distanza. Studi sperimentali<br />

h<strong>anno</strong> dimostrato che la formazione di nuovi vasi è un fenomeno cruciale negli stadi iniziali<br />

della cancerogenesi, intimamente correlato con la progressiva crescita e diffusione tumorale.<br />

Recentemente è stato dimostrato che l’endoglina o CD105 (una glicoproteina omodimerica di<br />

membrana capace di legare con alta affinità due isoforme del Transforming Growth Factor<br />

beta1 e beta3), è preferenzialmente espressa dalle cellule endoteliali attivate o proliferanti, ma<br />

non da quelle quiescenti dei vasi precostituiti. Pertanto questa caratteristica dell’endoglina<br />

offre l’opportunità unica di valutare con maggior accuratezza l’angiogenesi associata e indotta<br />

dalla neoplasia, rispetto a marcatori panendoteliali come CD34.<br />

OBIETTIVO<br />

Il progetto di ricerca si proponeva di valutare l’espressione dell’endoglina, in confronto a<br />

quella di CD34, in pazienti affetti da carcinoma dell' esofageo, mettendo in relazione lo studio<br />

biomolecolare di questa proteina con l’andamento clinico della malattia al fine di stabilire il<br />

suo valore come indicatore di rischio di recidiva.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Sono stati studiati 47 casi di carcinoma dell’esofago (22 squamosi e 25 adenocarcinomi). Le<br />

caratteristiche clinicopatologiche dei pazienti sono riassunte nella Tabella 1. La durata del<br />

follow-up era compresa dalla data dell’intervento alla morte, alla fuoriuscita dallo studio o a<br />

giugno 2005. In questo lasso di tempo il 64.8% dei pazienti sono deceduti: di questi il 79.2%<br />

a causa della malattia e 20.8% per altre cause. 13 pazienti (27.6%) erano viventi liberi di<br />

malattia, ma 3 di questi (23.1%) h<strong>anno</strong> sviluppato una recidiva durante il periodo di follow<br />

up.<br />

RISULTATI<br />

L’analisi biomolecolare quantitativa eseguita mediante real-time RT-PCR, su campioni di<br />

tessuto neoplastico prelevati durante l’intervento chirurgico, ha dimostrato una<br />

iperespressione del trascritto per l’endoglina (fattore di iper-regolazione di 2,19) rispetto alla<br />

mucosa dell’esofago normale di controllo (p


tra i due tipi istologici del tumore (fattore di iper-regolazione per gli adenocarcinomi = 2,31;<br />

fattore di iper-regolazione per i carcinomi a cellule squamose = 2,07, p>0,05). E’ da notare<br />

che nella mucosa adiacente il tumore, il fattore di iper-regolazione sale, rispettivamente, a 3,4<br />

per gli adenocarcinoma e a 3, 31 per i carcinomi a cellule squamose. L’analisi<br />

immunoistochimica ha evidenziato che le cellule neoplastiche non esprimono né CD34 né<br />

CD105. Nei tessuti neoplastici, solo un piccolo sottogruppo di microvasi (valutati al<br />

microscopio ad ingrandimento 200x come numero medio/ mm2, dopo selezione di aree ad<br />

elevato grado di vascolarizzazione“hot spots”) è risultato esprimere CD105 nell’86% dei casi,<br />

mentre tutti i microvasi esaminati in sezioni consecutive h<strong>anno</strong> mostrato positività per<br />

l’anticorpo anti-CD34. Il valore mediano di microvasi marcati è stato di 5/mm2 (range: 15-0)<br />

per l’anticorpo anti-CD105 e di 16,33/mm2 (range: 32.33-6) per l’anticorpo anti-CD34. In<br />

particolare, CD34 è risultato espresso su piccoli e grandi vasi con aspetto sinusoidale, mentre<br />

le gemmazioni endoteliali ed i piccoli vasi preferenzialmente vengono marcati con anti-<br />

CD105. In entrambi i tipi di tumori i pattern di localizzazioni sono simili. Esiste una<br />

correlazione significativa fra i valori di microvasi esprimenti CD105 e i microvasi esprimenti<br />

CD34 osservati (adenocarcinomi: p=0.042, r=0.544; carcinomi a cellule squamose: p=0.046,<br />

r=0.556, test di Spearman), anche se il numero di microvasi/mm2 marcati era<br />

significativamente più basso per l’anticorpo anti-CD105 rispetto all’anticorpo CD34<br />

(Wilcoxon signed-rank test, p


Vittorio Demicheli Filone tematico D4<br />

Revisione sistematica sull’efficacia e sicurezza della vaccinazione<br />

antinfluenzale degli anziani e dei bambini<br />

Asl 20 – SeREMI<br />

MATERIALI E METODI<br />

La ricerca è stata svolta seguendo la metodologia delle revisioni sistematiche adottata dalla<br />

Cochrane Collaboration. Sono stati inclusi studi randomizzati, quasi-randomizzati, studi di<br />

coorte e caso-controllo. E’ stata valutata la efficacia della vaccinazione dei bambini con<br />

qualsiasi vaccino antinfluenzale (indipendentemente da dose, ciclo o preparazione)<br />

confrontato con placebo o con nessun intervento. Le misure di risultato sono i casi di<br />

sindrome influenzale definiti clinicamente, i casi clinici di influenza confermati con diagnosi<br />

di laboratorio, i morti, i ricoveri ospedalieri e le complicazioni dovute all'influenza; inoltre<br />

misure di impatto (giornate lavorative perdute, visite mediche, ecc.).<br />

Sono state esaminate le seguenti banche di dati: Cochrane Library (contenente: The Cochrane<br />

Database of Systematic Reviews; The NHS Database of Abstracts of Reviews of<br />

Effectiveness; The CENTRAL/Cochrane Controlled Trials Register) Medline (OvidWeb<br />

1969- oggi) EMBASE (Dialog 1974-1979; SilverPlatter 1980-oggi) Biological Abstracts<br />

(SilverPlatter 1969-oggi) Science Citation Index (Web of Science 1974-oggi) Utilizzando le<br />

seguenti combinazioni di parole chiave: - INFLUENZA-VACCINE; VACCINES;<br />

VACCINATION; IMMUNIZATION - CROSS-OVER STUDIES; INTERVENTION-<br />

STUDIES; latin square or factorial MULTICENTER-STUDY - COHORT STUDIES; CASE-<br />

CONTROL STUDIES; PROSPECTIVE STUDIES; LONGITUDINAL STUDIES - Adverse<br />

events Or Adverse (tw) near (effect* (tw) or event* (tw)) Or side effect* (tw) or<br />

hypersensitiv* (tw) or sensitiv* (tw) or safe* (tw) or pharmacovigil* (tw) or explode Product-<br />

Surveillance-Postmarketing (mh) or Drug-Monitoring (mh) or Drug-Evaluation (mh) or<br />

explode Risk (mh) or Odds-Ratio (mh) or explode Causality (mh) or relative risk (tw) or risk<br />

(tw) or causation (tw) or causal (tw) or odds ratio (tw) or etiol* (tw) or aetiol* (tw) or etiology<br />

(fs) or epidemiology (fs) Le ricerche h<strong>anno</strong> considerato tutte le lingue. Al fine di identificare<br />

altri studi, anche non pubblicati, sono inoltre stati consultati: Pubmed related articles; The<br />

Vaccine Adverse Event Reporting System website; i produttori di vaccini elencati<br />

dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, gli autori degli studi e ricercatori attivi in materia.<br />

RISULTATI<br />

Le ricerche elettroniche h<strong>anno</strong> prodotto 1204 titoli di studi che sono stati esaminati in base ai<br />

contenuti del riassunto. 125 lavori sono stati recuperati ed esaminati globalmente perché<br />

potenzialmente includibili. 100 lavori sono stati esclusi (nel 44% dei casi per l’assenza di<br />

gruppi di confronto).<br />

Sono stati inclusi 14 RCT, uno studio sulla vaccinazione intraepidemica, 8 studi di coorte e<br />

uno studio caso- controllo, 8 degli studi inclusi sono stati tradotti dal russo. Dei 14 RCT, 11<br />

utilizzano il confronto con placebo e 3 il confronto con nessun intervento; 7 utilizzano vaccini<br />

viventi attenuati, 2 il vaccino inattivato e 5 entrambi. Degli otto studi di coorte 2 usano il<br />

confronto con placebo e 6 il confronto con nessun intervento. Solo uno studio valuta il<br />

vaccino vivente.<br />

L’unico studio caso-controllo incluso valuta il vaccino inattivato.<br />

191


Sono state identificate le seguenti misure di risultato: influenza, sindrome influenzale, sintomi<br />

respiratori, casi secondari, assenze scolastiche, otite media acute e giornate di ricovero.<br />

Due studi sperimentali sono di elevata qualità metodologica, 9 h<strong>anno</strong> randomizzazione<br />

adeguata, 6 h<strong>anno</strong> un buon mascheramento dell’allocazione e 8 documentano le perdite al<br />

follow-up.<br />

Coorti e caso controllo sono realizzati in modo adeguato e ben riportati.<br />

Efficacia della vaccinazione: la capacità di evitare l’influenza confermata è pari al 79% per i<br />

vaccini attenuati e 65% nei vaccini inattivati. Nessuna evidenza di efficacia è disponibile per i<br />

bambini di meno di due anni d’età. Uno studio di coorte mostra 44% di efficacia per i vaccini<br />

viventi e 64% per i vaccini inattivati sotto i sei anni d’età.<br />

Efficacia di popolazione: la capacità di evitare la sindrome influenzale è pari a 39% nei<br />

vaccini viventi e 28% negli inattivati. Nessuna evidenza di effetto sotto i due anni di età. Gli<br />

studi di coorte mostrano nessuna efficacia di popolazione per i viventi e 52% per gli inattivati.<br />

Nessuna evidenza sotto i due anni d’età.<br />

Misure di impatto: il vaccino si rivela più efficace del placebo nel ridurre le assenze<br />

scolastiche, sulla base dei risultati di un singolo studio. Nessuna altra misura di impatto si<br />

rivela significativa.<br />

L’esclusione degli studi in lingua russa modifica in modo non significativo i risultati e non<br />

influisce sulle conclusioni. Non esistono ragioni per ritenere che i vaccini prodotti nell’ex<br />

URSS fossero differenti da quelli occidentali e questo è dimostrato anche dall’unico studio<br />

che confronta direttamente i due tipi di vaccino.<br />

Lo studio d’uso intraepidemico del vaccino rivela una significativa differenza di incidenza nei<br />

due bracci.<br />

CONCLUSIONI<br />

La revisione mostra una significativa differenza tra l’elevata efficacia teorica e la bassa<br />

efficacia di popolazione dei vaccini antinfluenzali e limitate evidenze di impatto sulle altre<br />

misure di risultato. Anche se l’impatto dell’influenza su questa fascia di età appare rilevante le<br />

prove di efficacia disponibili non sono sufficienti per raccomandare la vaccinazione<br />

universale dei bambini.<br />

192


Paola Di Giulio Filone tematico C2<br />

Studio prospettico sull'appropiatezza dei ricoveri in hospice<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Sanità Pubblica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

In <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> esistono 4 Hospice, due a gestione pubblica e 2 privata, per un totale di<br />

40 posti letto. L’Hospice dovrebbe rappresentare una delle tappe del percorso del paziente e<br />

non necessariamente la struttura di ricovero finale, dove il paziente accede perché non più<br />

gestibile in ospedale o a domicilio. Una recente indagine su un campione di 54 strutture di<br />

cure palliative sul territorio nazionale ha fatto emergere come il 17% dei pazienti muoiano<br />

entro una settimana dalla prima presa in carico da parte del servizio (Peruselli et al, 1999).<br />

Questi dati f<strong>anno</strong> sospettare un uso inappropriato di questi servizi, che dovrebbero invece<br />

costituire uno dei momenti di una presa in carico programmata.<br />

OBIETTIVI<br />

1. Descrivere la tipologia dei pazienti che h<strong>anno</strong> accesso all’hospice;<br />

2. documentare entro quanto tempo avviene il decesso dal momento del ricovero;<br />

3. descrivere il percorso curativo-assistenziale nei 2 mesi precedenti (precedenti ricoveri,<br />

assistenza in ADI, Cure palliative etc);<br />

4. identificare i motivi del ricovero in hospice e da chi questo è stato suggerito.<br />

MATERIALI E METODI<br />

I dati sono stati raccolti negli Hospice del <strong>Piemonte</strong>, su tutti i nuovi ingressi, per un periodo<br />

minimo di 2 mesi, tramite intervista al caregiver e/o al paziente, entro 3 giorni dall’ingresso,<br />

non appena le condizioni lo consentivano; quando necessario, sono state consultate le cartelle<br />

cliniche. Sono stati raccolti i seguenti dati: dati anagrafici sul paziente; motivo di accesso;<br />

condizioni generali (ADL); precedenti ricoveri negli ultimi 2 mesi; situazione assistenziale a<br />

domicilio (MMG e numero di accessi; ADI, altre forme di assistenza); principali difficoltàproblemi<br />

a domicilio; controllo dei sintomi; conoscenze ed aspettative rispetto al ricovero in<br />

Hospice. Consenso e privacy. Le schede d raccolta dati, anonime, sono state analizzate<br />

centralmente, e cumulativamente senza fare riferimento al singolo paziente.<br />

RISULTATI<br />

I dati sono stati raccolti per 3 mesi (novembre-febbraio) nell’Hospice di Torino (FARO) e per<br />

2 mesi (giugno e luglio) negli Hospice di Biella e Busca. Sono stati intervistati<br />

rispettivamente 100 pazienti (46, 29 e 25). La metà delle interviste (47) sono state fatte<br />

direttamente al paziente. Le caratteristiche del campione sono riportate nella tabella 1.<br />

L’età media degli uomini era di 69.5 anni, mentre per le donne di 72.9 anni.<br />

Caratteristiche dei 100 pazienti:<br />

193


Tabella 1:<br />

Caratteristiche dei 100 pazienti N°<br />

uomini 55<br />

donne 45<br />

età media in anni 71<br />

età media in anni (range 38-97) 36<br />

vive solo<br />

Sede della neoplasia<br />

Polmone<br />

Colon-retto<br />

Cavo-orale<br />

Altro<br />

Presenza di metastasi 70<br />

Condizioni cliniche<br />

pessime (Norton 4-8) 17<br />

scadente (Norton 9-12) 32<br />

discrete (Norton 13-16) 31<br />

buone (Norton 17-20) 20<br />

Per la quasi totalità dei pazienti (97) l’attuale ricovero era il primo in Hospice.<br />

40 pazienti provenivano dal domicilio, 8 da una struttura di lungodegenza (RSA) e 52<br />

dall’ospedale. Tra i 40 pazienti seguiti a domicilio 11 erano in carico ad un’Unità di Cure<br />

Palliative. Nei 3 mesi precedenti il ricovero in Hospice, 68 pazienti sono stati ricoverati: 48<br />

una volta (70.5%); 15 2 volte (22%) e 2 pazienti rispettivamente 3 o 4 volte. La media<br />

complessiva delle giornate di ricovero, indipendentemente dal numero dei ricoveri è di 27<br />

giorni (22 per chi è stato ricoverato una sola volta). Il motivo prevalente di ricovero era la<br />

situazione familiare/abitativa (47%) ed il controllo dei sintomi (28%). In quasi la metà dei<br />

casi (46%) il ricovero è stato consigliato dal medico referente del reparto/day hospital di<br />

provenienza. Solo in 19 casi è stato consigliato dal Medico di Medicina Generale. Medici,<br />

infermieri o personale della RSA h<strong>anno</strong> segnalato il paziente alla segreteria dell’hospice in 46<br />

casi, mentre la telefonata è stata eseguita da uno dei familiari in 14 casi e solo 16 casi sono<br />

stati segnalati dal MMG. 81 pazienti sono deceduti in hospice. Il loro ricovero in hospice è<br />

durato da 0 giorni per 3 pazienti provenienti dall’ospedale, a 90 giorni (media 16gg). Dei 55<br />

pazienti che h<strong>anno</strong> espresso le proprie aspettative: 30 desideravano stare meglio per poter<br />

tornare a casa, 11 che venissero controllati i sintomi. 2 che il ricovero potesse sollevare i cari<br />

dall’assistenza e 1 di morire con dignità e11 di guarire per poter tornare a casa. Dei 35<br />

familiari che h<strong>anno</strong> espresso le proprie aspettative, 14 si aspettavano di avere un aiuto<br />

nell’assistenza, 8 che venissero controllati meglio il dolore e la sofferenza anche psicologica,<br />

6 desideravano un miglioramento delle condizioni generali del proprio caro; 7 che il loro caro<br />

venisse seguito in maniera più professionale e umana, rispetto ai precedenti ricoveri<br />

ospedalieri.<br />

CONCLUSIONI<br />

Anche se su un campione limitato, e generalizzabile alla sola realtà regionale, il lavoro mette<br />

in luce alcuni aspetti originali ripetto alle conoscenze sul tema. Il campione di pazienti può<br />

essere considerato rappresentativo rispetto ai pazienti ricoverati negli hospice partecipanti. Le<br />

condizioni dei pazienti al ricovero non sono sempre scadenti: 51 pazienti sono in condizioni<br />

discrete/buone. Le condizioni dei pazienti possono variare durante il decorso e lo stesso<br />

ricovero, come anche l’eleggibilità al ricovero.<br />

194<br />

20<br />

18<br />

11<br />

51


E’ innegabile l’importanza e l’utilità di questo tipo di ricovero: infatti l’effetto negativo sulla<br />

famiglia delle cure di un congiunto in fase terminale è stato ampiamente documentato, come<br />

anche l’effetto positivo di un sostegno nelle cure. La maggioranza dei pazienti viene inviata in<br />

hospice dall’ospedale. Il consiglio e la segnalazione del ricovero vedono coinvolte più figure:<br />

va ulteriormente indagatolo scarso coinvolgimento del MMG che consiglia il ricovero ed<br />

effettua la segnalazione solo in 1/3 dei pazienti assistiti a domicilio. I pazienti continuano ad<br />

essere inviati in hospice molto tardi: il dato era già noto in letteratura e documentato sia<br />

nazionale che internazionale; spesso le famiglie non sono consapevoli del ritardo.<br />

I pazienti considerano l’hospice un luogo di cure specialistiche: infatti 41 desideravano<br />

ottenere un maggior controllo dei sintomi per poter tornare a casa. Lo stesso desiderio è<br />

condiviso anche dalla maggioranza dei familiari. Desta un certo stupore il fatto che 11<br />

pazienti affermino di voler guarire per poter tornare al proprio domicilio. Domandare a<br />

pazienti e parenti le aspettative sul ricovero è un aspetto molto delicato e richiederebbe<br />

interviste approfondite.<br />

195


Marco Di Monaco Filone tematico A4<br />

Vitamina D e recupero funzionale dopo frattura prossimale di femore<br />

Presidio Sanitario San Camillo<br />

UO Malattie Osteometaboliche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

In via preliminare è stata valutata la correlazione tra tassi circolanti di 25-idrossivitamina D e<br />

autonomia nelle attività di base di vita quotidiana determinata mediante indice di Barthel,<br />

dimostrando la presenza di una correlazione positiva significativa tra le due variabili,<br />

indipendente da numerosi fattori confondenti ad analisi multivariata.<br />

Un ruolo di rilievo è stato osservato anche per i livelli circolanti di ormone paratiroideo, che<br />

risultano inversamente associati al punteggio Barthel indipendentemente dai tassi circolanti di<br />

vitamina D: l’ipovitaminosi D agirebbe sfavorevolemnte sul recupero dell’autonomia<br />

personale sia direttamente sia indirettamente, tramite l’iperparatiroidismo secondario.<br />

L’azione di vitamina D e paratormone è verosimilmente mediata dagli effetti che i due ormoni<br />

esercitano sul tessuto muscolare, la cui performance è ottimale in presenza di adeguati livelli<br />

di vitamina D e bassi livelli di paratormone. L’azione sul muscolo non si realizza attraverso<br />

variazioni della massa muscolare, parametro che non condiziona i livelli di autonomia<br />

personale negli anziani dopo frattura di femore e che non correla con i livelli circolanti di<br />

vitamina D e paratormone, ma attraverso variazioni “qualitative” del muscolo.<br />

OBIETTIVO<br />

Il nostro trial d’intervento si proponeva di valutare l’efficacia di una precoce correzione del<br />

deficit di vitamina D nel migliorare la forza muscolare e il recupero dell’autonomia personale<br />

in un campione di donne anziane con frattura prossimale di femore (il campione comprendeva<br />

100 donne, randomizzate a ricevere o non ricevere il trattamento precoce con vitamina D per<br />

os in aggiunta all’usuale protocollo di rieducazione intensiva di post acuzie).<br />

METODI E RISULTATI<br />

I risultati mostrano come la precoce correzione del deficit di vitamina D non abbia indotto<br />

variazioni significative nè della forza muscolare (forza dell’handgrip misurata con<br />

dinamomemtro) nè dell’autonomia personale (indice di Barthel). Alcune considerazioni<br />

possono essere utili per interpretare il dato. Innanzitutto si sono incontrate difficoltà nella<br />

determinazione della forza muscolare del cingolo pelvico e degli arti inferiori. L’analisi dei<br />

risultati della misura della forza muscolare ha mostrato l’elevato errore di precisione<br />

dell’esame (con coefficiente di variazione > 20%), verosimilmente come conseguenza<br />

dell’interferenza esercitata sulla forza loco regionale da fattori legati alla recente frattura<br />

(dolore, strategie di mobilizzazione). Si è scelto allora di basare lo studio sulla determinazione<br />

della forza dell’handgrip, che ha mostrato un basso coefficiente di variazione (=3%), ma<br />

l’impossibiltà di ottenere misure affidabili della forza nei distretti di maggiore interesse è<br />

sicuramente un limite maggiore dello studio.<br />

Del resto, anche variazioni di forza muscolare dei distretti di maggiore interesse potrebbero<br />

non tradursi in modificazioni dell’autonomia personale, come ho mostrato in una recente<br />

196


evisione sistematica. Ciò in accordo con la complessità dei fattori che condizionano sia la<br />

performance muscolare, sia, in modo indipendente dalla performance muscolare, l’autonomia<br />

personale. Bisogna poi tenere conto della breve durata dello studio, che può avere impedito di<br />

rilevare effetti significativi della correzione del deficit di vitamina D. Del resto in letteratura i<br />

trials d’intervento condotti somministrando vitamina D non h<strong>anno</strong> dato risultati univoci in<br />

termini di miglioramento della forza muscolare, di miglioramento di perform ance e di<br />

riduzione del rischio di caduta.<br />

CONCLUSIONI<br />

In conclusione i nostri dati di tipo osservazionale suggeriscono un ruolo della deplezione di<br />

vitamina D sia diretto, sia tramite l’induzione di iperparatiroidismo secondario, nel favorire la<br />

perdita di autonomia personale dopo frattura di femore. Tuttavia i dati del trial di intervento<br />

non h<strong>anno</strong> potuto confermare l’utilità della precoce correzione del deficit nel migliorare forza<br />

muscolare e abilità funzionale delle pazienti. Le dosi utilizzate per il trattamento, la durata<br />

dello studio nel tempo e i parametri valutati andr<strong>anno</strong> rivisti in studi futuri.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

1. Di Monaco M et al: SERUM LEVELS OF 25-HYDROXYVITAMIN D AND<br />

FUNCTIONAL RECOVERY AFTER HIP FRACTURE. Arch Phys Med Rehabil 86: 64-<br />

68, 2005.<br />

2. Di Monaco M et al: 25-HYDROXYVITAMIN D, PARATHYROID HORMONE, AND<br />

FUNCTIONAL RECOVERY AFTER HIP FRACTURE IN ELDERLY PATIENTS. J<br />

Bone Miner Metab 24, 2006, in stampa.<br />

3. Di Monaco M et al: MUSCLE MASS AND FUNCTIONAL RECOVERY IN HIP-<br />

FRACTURE WOMEN. Am J Phys Med Rehabil 85, 2006, in stampa.<br />

4. Di Monaco M: FACTORS AFFECTING FUNCTIONAL RECOVERY AFTER HIP<br />

FRACTURE IN THE ELDERLY. Critical Reviews in Physical and Rehabilitation<br />

Medicine, M. Grabois, E.J. Henley Eds, Begell House Ed, New York, NY, USA, 16: 151-<br />

176, 2004.<br />

197


Giovanni Di Perri Filone tematico C1<br />

Ruolo dei test rapidi per HIV e lue associati all'approccio sindromico in<br />

una popolazione a rischio di MST<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Clinica Malattie Infettive<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Nell’Unione Europea, Italia compresa, dalla metà degli anni ’90 l’incidenza delle Infezioni<br />

Sessualmente Trasmissibili (IST), soprattutto gonorrea, sifilide e Chlamydia è aumentata in<br />

modo significativo. La maggior parte dei casi è concentrata nei soggetti giovani, minoranze<br />

etniche e omosessuali maschi. Tali aumenti d’incidenza si st<strong>anno</strong> verificando nel quadro di un<br />

continuo aumento dei casi di infezione da HIV, per la quale la trasmissione sessuale è sempre<br />

più importante e non accenna a calare. In questo contesto sono di cruciale importanza:<br />

• nelle patologie curabili diagnosi e terapia più rapide possibili per interrompere la catena di<br />

contagio;<br />

• l’educazione sanitaria ed il counselling associato alla eventuale cura per l’infezione da<br />

HIV.<br />

OBIETTIVI<br />

Obiettivi finali dello studio sono stati:<br />

1. la valutazione del ruolo e della validità delle tecniche immunocromatografiche rapide<br />

(TR) (Determine Sifilide TP e Determine HIV (Abbott Laboratories, Chicago, USA) per<br />

la diagnosi di lue ed HIV in soggetti a rischio;<br />

2. la valutazione dell’applicabilità di tali metodiche come test di screening all’interno dei<br />

servizi erogabili da una struttura sanitaria di base dedicata alla prevenzione, diagnosi e<br />

cura delle IST.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Sono stati analizzati i sieri (in parte stoccati, in parte prelevati direttamente) di 94 persone<br />

esaminate presso l’Ambulatorio IST della Clinica Universitaria – Ospedale Amedeo di Savoia<br />

– per patologia ulcerativa genitale o per altri segni dermatologici o per contatto con luetici. In<br />

questo campione sono rappresentati sia omosessuali maschi, sia persone che si prostituiscono,<br />

identificati come target negli obiettivi iniziali del progetto. La prevalenza di lue primosecondaria<br />

nella popolazione studiata è stata del 63% (59 pazienti: numero attesi = 20 circa!)<br />

mentre l’infezione da HIV era già nota o è stata diagnosticata nel 32% dei casi; due casi erano<br />

prime diagnosi (attesi = 3).<br />

28 soggetti erano affetti da patologia ulcerativa genitale o altre lesioni dermatologiche 7 erano<br />

contatti di soggetti luetici. La validità dei TR per sifilide ed HIV è risultata molto buona<br />

(TPPA ed ELISA HIV sono stati assunti a test di riferimento), essendo sensibilità (Se) e<br />

specificità (Sp) assai vicine ai dati elaborati dall’OMS. I risultati dubbi sono stati considerati<br />

come falso positivo nel caso del gruppo di controllo e come falsi negativi nei tre casi del<br />

gruppo dei pazienti luetici. Per la sierologia HIV, i due risultati border line sono stati<br />

considerati come falsi positivi.<br />

198


Nel gruppo in studio di sintomatici ad alto rischio i TR possono essere considerati un valido<br />

strumento diagnostico. La loro applicabilità nella routine di un centro IST può essere<br />

seriamente presa in considerazione in quanto:<br />

• sono test molto rapidi (diagnosi in 15 minuti contro 4-24 ore ordinarie).<br />

• Non richiedono attrezzature complicate o costose.<br />

• Non richiedono particolare abilità: la lettura era perfettamente concordante tra gli<br />

esecutori.<br />

• L’accettabilità da parte dei pazienti è molto buona.<br />

I risultati del TR per lue sono stati ottimi anche nelle fasi più precoci dell’infezione, mentre la<br />

percentuale di risultati negativi del test RPR è stata del 23.3% nei soggetti affetti da lue<br />

primo-secondaria. Tutti i risultati del test ELISA per HIV sono stati correttamente identificati<br />

dal test immuno-cromatografico. Da segnalare che i due pazienti con la prima diagnosi di<br />

sieropositività per HIV erano entrambi luetici in stadio primo-secondario. Analogamente a<br />

quanto viene segnalato dalla letteratura, tutti e tre i risultati dubbi al test rapido nel gruppo dei<br />

luetici sono stati ottenuti in maschi con sifilide secondaria, due dei quali sieropositivi per<br />

HIV.<br />

Considerando i punti di cui sopra riteniamo pertanto raggiunti i seguenti obiettivi del progetto:<br />

1. riduzione rilevante dei tempi di diagnosi.<br />

2. Diminuzione degli errori di diagnosi differenziale.<br />

3. Diminuzione dei tempi d’accesso ai trattamenti successivi (= immediati) con riduzione<br />

della contagiosità e quindi dei casi secondari.<br />

Gli aspetti negativi del TR sono stati:<br />

1. nel test per lue si è osservata una discreta labilità della banda del paziente mentre il<br />

controllo interno è buono; nel TR per HIV le bande sono d’ottima visibilità. La<br />

coinfezione HIV-Lue può interferire col risultato del test per Lue.<br />

2. Una discreta quota di persone con ulcera genitale aveva anche una patologia erpetica: il<br />

solo ricorso ai test rapidi rischia di far sottovalutare altre diagnosi.<br />

3. Costo troppo elevato: oltre 10-15 volte il costo dei test tradizionali.<br />

Applicando i nostri valori di Se e Sp ad un gruppo di 1261 pazienti IST osservati (anni <strong>2003</strong>-<br />

2004: prevalenza di lue = 12%; infezione da HIV =8%) si ottiene:<br />

TR sifilide: VPP = 70% e VPN = 99%; TR HIV:VPP = 73% e VPN = 100%.<br />

Usando gli stessi valori di Se e Sp del TR applicati ad un’ipotetica popolazione di 100.000<br />

donatori abituali di sangue italiani (prevalenza di positività del TPHA =0.12% e prevalenza da<br />

HIV = 0.013%) i risultati sarebbero i seguenti:<br />

TR lue: VPP = 2% e VPN = 99.9% - TR HIV VPP = 4% e VPN = 100%.<br />

Se può essere considerata la loro applicabilità a fini diagnostici in popolazione a media<br />

prevalenza, tuttavia l’uso come test di screening in popolazioni a bassa prevalenza deve essere<br />

attentamente valutato per i costi indotti dal notevole numero di test di conferma richiesti.<br />

L’elevato costo dei test pone inoltre un serio dubbio al loro utilizzo su vasta scala. La<br />

fornitura del microscopio per la diagnosi diretta di lue da lesione genitale (pur essendo di<br />

notevole importanza) è avvenuta con enorme ritardo rispetto ai tempi dello studio; l’analisi è<br />

stata possibile in soli 4 soggetti luetici: non è stato così possibile eseguire lo studio<br />

comparativo tra osservazione diretta e tecniche di biologia molecolare. Un sicuro limite dello<br />

studio è costituito dalla numerosità limitata del campione osservato. In conclusione, i test<br />

199


apidi immunocromatografico Determine Syphilis TP e Determine HIV sono validi per la<br />

diagnosi precoce d’infezione luetica e la diagnosi rapida d’infezione da HIV in una<br />

popolazione sintomatica ad alto rischio, pur essendo eccessivamente costosi. Al momento il<br />

loro utilizzo come test di screening in popolazioni a prevalenza intermedia o bassa necessita<br />

di studi più ampi e sar<strong>anno</strong> dirimenti le conclusioni di studi su ampia scala che l’ OMS ha in<br />

atto.<br />

200


Maria Flavia Di Renzo Filone tematico A2<br />

Fattori genetici di predisposizone al carcinoma renale: ricerca e studio<br />

funzionale di mutazioni dei geni MET e fumarasi<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Oncologiche - I.R.C.C. di Candiolo<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La predisposizione ereditaria a sviluppare tumori e’ un fattore di rischio la cui conoscenza<br />

salva vite umane. Nei soggetti predisposti la prevenzione secondaria (identificazione precoce<br />

della lesione neoplastica o pre-neoplasitca) ha registrato notevoli successi. A tutt’oggi sono<br />

noti fattori di rischio genetico che interessano un numero piccolo di soggetti, che in<br />

percentuale molto alta sviluppano tumori. Questo ci dice che molti dei geni di predisposizione<br />

non sono ancora stati identificati e che combinazioni di alterazioni geniche singolarmente a<br />

bassa penetranza possono avere un peso altrettanto, se non piu’, importante. Stiamo studiando<br />

due geni le cui mutazioni predispongono all’insorgenza dei tumori renali: l’oncogene MET e<br />

il gene, sospettato onco-soppressore, fumarasi. Le mutazioni di entrambi i geni predispongono<br />

al carcinoma renale papillifero ereditario. Le mutazioni d i MET raramente predispongono a<br />

carcinomi di altri organi. La presenza di mutazioni germinali di MET si sospetta quando il<br />

tumore renale si presenta in piu’ membri della stessa famiglia o in eta’ giovanile oppure<br />

quando è multiplo o bilaterale. Quelle dell’enzima mitocondriale fumarasi sono responsabili<br />

alla predisposizone ereditaria all’insorgenza di leiomiomi cutanei e uterini che si manifestano<br />

nelle famiglie con ancora maggiore frequenza dei carcinomi renali.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Il primo scopo di questo lavoro era scoprire se e come le lesioni dei due geni (MET e<br />

fumarasi) coesistessero nelle famiglie (attraverso analisi mutazionale dei casi sospetti) e<br />

come queste lesioni nelle cellule contribuissero alla trasformazione neoplastica.<br />

Usando diversi protocolli di analisi mutazionale, abbiamo esaminato tutti i nuovi casi di<br />

sospetto carcinoma papillifero ereditario che ci sono stati proposti non solo da centri della<br />

<strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong>, ma anche da centri veneti, lombardi, friulani ed emiliani. Abbiamo<br />

identificato tre famiglie portatrici di mutazioni del gene MET che, sorprendentemente, in tutti<br />

i casi interessavano lo stesso codone. E’ in corso un’analisi di marcatori per rivelare un<br />

eventuale effetto “fondatore” da parte di un comune avo, che abbia trasmesso la mutazione, e<br />

percio’ la malattia, in una vasta area geografica. Inoltre abbiamo identificato una mutazione<br />

germinale del gene fumarase nel codone 77, mai descritta prima, in un caso di carcinoma<br />

renale papillifero “sporadico”, cioe’ in un paziante senza storia familiare. Per la definzione<br />

della patogenicita’ di questa mutazione sono stati essenziali i successivi studi funzionali.<br />

La seconda parte del progetto prevedeva gli studi funzionali, in vitro degli effetti delle<br />

mutazioni di MET e fumarasi.<br />

Abbiamo espresso le forme mutate di MET e dimostrato il loro potenziale trasformante<br />

(Lorenzato et al., sottomesso per la pubblicazione). Lo studio del gene fumarase, sospettato<br />

onco-soppressore e’ stato piu’ complesso. Per valutarne il potenziale trasformante ci siamo<br />

avvalsi di fibroblasti deficienti degli enzimi mitocondriali le cui mutazioni predispongono ai<br />

tumori (fumarase stessa e succinico deidrogenasi) lavorando in collaborazione con il prof<br />

201


Rustin dell’INSERM dell’ospedale Debre’ di Parigi. Con lui abbiamo in corso di<br />

pubblicazione un lavoro sull’argomento (Briere et al., 2005, Hum Mol Genet). Esprimendo le<br />

forme mutate di fumarasi in questi fibroblasti abbiamo potuto dimostrare che la nuova<br />

mutazione del codone 77 da noi identificata non ha effetti sull’attivta’ enzimatica della<br />

fumarasi e percio’ ha un ruolo patogeno. Invece studiando un’altra mutazione, che colpisce il<br />

codone 190, abbiamo dimostrato il suo potere non solo di annullare l’attivita’ enzimatica<br />

endogena ma addirittura di trasformare la fumarasi in una forma ad attivita’ dominante<br />

negativa (Lorenzato et al., in preparazione).<br />

202


Irma Dianzani Filone tematico A2<br />

Fattori genetici di rischio per lo sviluppo del mesotelioma maligno da<br />

esposizione all'amianto<br />

Università del <strong>Piemonte</strong> Orientale “Amedeo Avogadro”<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

Il progetto rappresenta l'evoluzione di quello finanziato dalla <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> l’<strong>anno</strong><br />

precedente di cui era prevista l'estensione.<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La maggior parte dei tumori presenta un'ereditarietà di tipo multifattoriale: viene ereditata la<br />

predisposizione, ma è chiaro il ruolo svolto dall'esposizione a cancerogeni ambientali. Ogni<br />

individuo presenta una differente risposta a tali agenti, controllata da una serie di geni di cui<br />

ognuno ha un proprio pannello di alleli. Geni chiave sono quelli coinvolti nella riparazione del<br />

DNA danneggiato da agenti genotossici chimici o fisici: h<strong>anno</strong> un ruolo essenziale nel<br />

proteggere il genoma dalle mutazioni potenzialmente oncogene. E' probabile che<br />

polimorfismi a livello di più geni abbiano effetti sinergici (come osservato in topi transgenici)<br />

e che il particolare genotipo di ogni individuo abbia un ruolo cruciale nella definizione della<br />

suscettibilità ai tumori.<br />

OBIETTIVO<br />

Ci siamo proposti di determinare i genotipi compositi a loci coinvolti nel DNA repair in<br />

soggetti esposti ad un singolo fattore genotossico, l'amianto, che abbiano o meno sviluppato<br />

un mesotelioma.<br />

MATERIALI E METODI<br />

La nostra ipotesi è che una sottile alterazione dei meccanismi di controllo del restauro del<br />

DNA possa ridurre la protezione di individui esposti ad insulto genotossico cronico ad opera<br />

delle fibre di amianto. L'esposizione all'asbesto è un noto fattore di rischio per il mesotelioma.<br />

Si ritiene che le fibre di amianto siano cancerogene tramite differenti meccanismi:<br />

1. effetti meccanici, quali l'interferenza con la formazione del fuso mitotico e la<br />

segregazione dei cromosomi;<br />

2. la generazione di specie reattive dell'ossigeno o dalla stessa superficie delle fibre a seguito<br />

di reazioni che coinvolgono il ferro come catalizzatore o per effetto della fagocitosi<br />

frustrata;<br />

3. effetti locali e sistemici di immunosoppressione.<br />

Le conseguenze del d<strong>anno</strong> ossidativo includono rotture del filamento di DNA e modificazioni<br />

delle basi. Solo 5-10% degli individui con elevata esposizione all'asbesto sviluppa il<br />

mesotelioma. Si ritiene ciò dipenda dallo specifico background genetico.<br />

In una prima fase dello studio, finanziata da altri progetti, abbiamo analizzato polimorfismi in<br />

6 geni coinvolti nel restauro del DNA (XRCC1, XRCC3, ERCC2-XPD, OGG1, ATM,<br />

NBS1), selezionati in base alle seguenti considerazioni:<br />

203


a) sono tutti coinvolti nei sistemi preposti alla riparazione dei danni del DNA determinati<br />

dall'amianto;<br />

b) alcuni polimorfismi sono già stati associati ad un incremento della sensibilità al d<strong>anno</strong> del<br />

DNA in altri modelli di studio;<br />

c) alcuni sono geni le cui mutazioni sono coinvolte in malattie ad ereditarietà mendeliana<br />

associate ad alto rischio di tumori.<br />

Un polimorfismo nel gene SEP15, codificante per una seleno-proteina, è stato aggiunto in<br />

base al riscontro di un'associazione con lo sviluppo di mesotelioma. I pazienti e i controlli<br />

sono stati selezionati tra i residenti di Casale Monferrato. I controlli sono stati scelti tra gli<br />

iscritti al Sistema Sanitario Nazionale (controlli di popolazione). Tutti sono stati intervistati da<br />

un'esperta epidemiologa e la loro esposizione all'amianto è stata accuratamente valutata.<br />

L'intera casistica è stata studiata per i 7 polimorfismi, valutando singolarmente il genotipo di<br />

ciascun individuo. Obiettivi e metodi utilizzati. Scopo del presente progetto era di continuare<br />

la raccolta dei pazienti e dei controlli per incrementare la casistica e di studiare ulteriori<br />

polimorfismi noti su tutti i soggetti, utilizzando lo stesso disegno dello studio. Nel corso<br />

dell’<strong>anno</strong> la casistica è giunta a comprendere 81 casi e 110 controlli di popolazione. Il DNA è<br />

stato estratto con protocollo standard da prelievo di sangue periferico dopo consenso<br />

informato. In particolare, sono stati studiati i seguenti polimorfismi noti (sono inclusi nella<br />

lista anche quelli già studiati nello studio preliminare su un numero minore di soggetti):<br />

XRCC1-R399Q; XRCC3-T241M; ERCC2-XPD-K751Q; ERCC2-XPD-D312N; OGG1-<br />

S326C; NBS1-E185Q; ATM D3003N; SEP15-1125 (G/A); APEX D148E; ERCC1 N118N<br />

(C/T). Per l'analisi statistica è stata utilizzata la regressione logistica, metodo standard per gli<br />

studi caso-controllo.<br />

RISULTATI<br />

Lo studio ha riscontrato un incremento dell’OR tra i soggetti esposti all’amianto relativamente<br />

alla variante XRCC1-399Q sia negli eterozigoti che negli omozigoti. In particolare, è<br />

suggestivo l’incremento dell’OR negli omozigoti rispetto agli eterozigoti (trend P=


Umberto Dianzani Filone tematico A1<br />

<strong>Ricerca</strong> di marcatori immunologici utili nella valutazione prognostica<br />

della sepsi<br />

Università del <strong>Piemonte</strong> Orientale “Amedeo Avogadro”<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

OBIETTIVO<br />

Obiettivo dello studio era ricercare nuove molecole coinvolte nell’evoluzione del quadro<br />

settico e valutare il loro possibile utilizzo nel monitoraggio e valutazione prognostica della<br />

malattia. In particolare lo studio si è focalizzato sulla citochina proinfiammatoria OPN e sul<br />

recettore di membrana H4/ICOS coinvolto nella differenziazione degli effettori T helper.<br />

RISULTATI<br />

Sono stati reclutati 29 pazienti con quadri settici ricoverati presso il reparto di rianimazione<br />

dell’Ospedale Maggiore di Novara: 9 sono stati valutati in corso di SIRS o Sepsi non grave<br />

(gruppo a), 9 in sepsi grave (gruppo b), 9 in shock settico (gruppo c), 10 in corso di<br />

risoluzione (gruppo d); alcuni pazienti sono stati valutati in varie fasi successive della<br />

malattia. In questi pazienti è stato effettuato<br />

1. il dosaggio sierico delle citochine OPN, IL2, IL4, IL5, IL10, TNFα e IFNγ;<br />

2. l’analisi immunofenotipica dell’espressione dei marcatori di attivazione H4/ICOS, CD69,<br />

CD25 e HLA-DR sui linfociti T di sangue periferico.<br />

L’analisi delle citochine ha evidenziato che tutti i pazienti presentavano livelli estremamente<br />

elevati di OPN, mentre i livelli di IL10, IFNγ e TNFα erano variabili e IL4 e IL5 erano<br />

assenti. I gruppi b) e c) presentavano livelli di OPN significativamente più elevati rispetto ai<br />

gruppi a) e d) (a=780ng/mL; b e c = >2500; d=607; controlli=125). Inoltre nei gruppi b) e c)<br />

erano ben evidenti due categorie distinte di pazienti, uno con livelli di OPN solo modicamente<br />

aumentati, l’altro con livelli talmente elevati da risultare fuori scala nel test ELISA. Dati<br />

preliminari su un primo gruppo di pazienti che sono stati monitorati longitudinalmente<br />

confermano questo trend di variazione nelle diverse fasi della malattia. Per valutare se la<br />

produzione di elevati livelli di OPN potesse essere favorita da fattori genetici, abbiamo<br />

sequenziato il gene di OPN dai 29 pazienti e 688 donatori sani ottenendo i seguenti risultati.<br />

• Abbiamo identificato 4 polimorfismi (single nucleotide polymorphisms, SNP),<br />

corrispondenti alle posizioni +282T/C e +750C/T della regione codificante, e +1083A/G e<br />

+1239A/C del 3’ UTR, che formano 3 combinazioni aplotipiche che abbiamo denominato<br />

A, B e C. La loro distribuzione genotipica complessiva era statisticamente differente nei<br />

pazienti e nei controlli (p


modicamente aumentato solo nel gruppo c); nel gruppo d) i valori di questi marcatori<br />

tornavano verso la normalità, specialmente nel caso di HLA-DR. Queste variazioni<br />

sembrano marcare l’attivazione del sistema immunitario nel corso della sepsi. Il dato di<br />

maggior interesse è stato ottenuto su H4/ICOS la cui espressione era aumentata nei gruppi<br />

a), b) e c), ma sorprendentemente, aumentava a livelli ancor più elevati nel gruppo d) (%<br />

di linfociti T ICOS+: a=40%, b=36%; c=45; d=75; controlli:=11%) Questa variazione<br />

peculiare suggerisce che l’espressione di H4/ICOS non si limiti a marcare l’attivazione<br />

linfocitaria e suggerisce che i linfociti T H4/ICOS+ possano avere un ruolo attivo nella<br />

risoluzione della sepsi. In effetti nostri studi in vitro dimostrano che la stimolazione di<br />

H4/ICOS su linfociti T umani potenzia soprattutto la produzione di IFNγ che potrebbe<br />

avere un ruolo nel superamento della fase di anergia immunologica delle fasi avanzate<br />

della sepsi. E’ interessante notare che un effetto simile in vitro sui linfociti T si osserva<br />

anche per opera del glutammato i cui livelli aumentano nel corso della sepsi (5,6).<br />

CONCLUSIONI<br />

Questa studio pilota ha identificato due nuovi marcatori dell’evoluzione della sepsi:<br />

1. i livelli sierici di OPN, che sembrano marcare la progressione della malattia;<br />

2. i linfociti T H4/ICOS+ che sembrano marcarne la risoluzione. Poiché entrambi questi<br />

sistemi sono dotati di una potente attività immunomodulatoria, potrebbero anche avere un<br />

ruolo diretto nell’evoluzione della malattia.<br />

Lo studio proseguirà reclutando un maggior numero di pazienti ed estendendo l’analisi genica<br />

al promotore di OPN e al gene di H4/ICOS.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

1. Chiocchetti A, Indelicato M, Bensi T, Mesturini R, Giordano M, Sametti S, Castelli L,<br />

Bottarel F, Mazzarino MC, Garbarini L, Giacopelli F, Valesini G, Santoro C, Dianzani I,<br />

Ramenghi U, Dianzani U. High levels of osteopontin associated with polymorphisms in<br />

its gene are a risk factor for development of autoimmunity/lymphoproliferation. Blood<br />

103:1376-82, 2004.<br />

2. Clementi R, Dagna L, Dianzani U, Dupré L, Dianzani I, Ponzoni M, Cometa A,<br />

Chiocchetti A, Sabbadini MG, Rugarli C, Ciceri F, Maccario R, Locatelli F, Danesino C,<br />

Ferrarini M, Bregni, M. Inherited Perforin and Fas Mutations in a Patient with<br />

Autoimmune Lymphoproliferative Sindrome and Lymphoma. N Engl J Med 351:1419-24,<br />

2004.<br />

3. D'Alfonso S, Barizzone N, Giordano M, Chiocchetti A, Magnani C, Castelli L, Indelicato<br />

M, Giacopelli F, Marchini M, Scorza R, Danieli MG, Cappelli M, Migliaresi S, Bigliardo<br />

B, Sabbadini MG, Baldissera E, Galeazzi M, Sebastiani GD, Minisola G, Ravazzolo R,<br />

Dianzani U, Momigliano-Richiardi P. Two single-nucleotide polymorphisms in the 5' and<br />

3' ends of the osteopontin gene contribute to susceptibility to systemic lupus<br />

erythematosus. Arthritis Rheum. 52:539-47, 2005.<br />

4. A Chiocchetti, C Comi, M Indelicato, L Castelli, MC Mazzarino, M Giordano, S<br />

D’Alfonso, P Momigliano-Richiardi, M Liguori, M Zorzon, A Amoroso, M Trojano, F<br />

Monaco, M Leone, C Magnani, and U Dianzani. Osteopontin gene haplotypes correlate<br />

with multiple sclerosis development and progression. J Neuroimmunol in press<br />

5. Lombardi G, Miglio G, Dianzani C, Mesturini R, Varsaldi F, Chiocchetti A, Dianzani U,<br />

Fantozzi R. Glutamate modulation of human lymphocyte growth: in vitro studies.<br />

Biochem Biophys Res Commun. 318:496-502, 2004. 6)Arimura Y, Shiroki F, Kuwahara<br />

S, Kato H, Dianzani U, Uchiyama T, Yagi J. Akt is a neutral amplifier for Th cell<br />

differentiation. J Biol Chem. 279:11408-16, 2004.<br />

206


Savina Ditommaso Filone tematico A1<br />

In tema di infezioni ospedaliere: valutazioni teorico pratiche del lavaggio<br />

delle mani<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il lavaggio delle mani è universalmente giudicato efficace per la prevenzione delle infezioni<br />

ospedaliere ma nonostante questa consapevolezza tale pratica è ampiamente disattesa ed<br />

inoltre esiste una certa confusione riguardo alla terminologia usata per specificarne la<br />

tipologia. Le linee guida dei CDC pubblicate nel 2002 h<strong>anno</strong> contribuito a fare chiarezza<br />

definendo: -hand wash il lavaggio “sociale”, con acqua e sapone, senza impiego di antisettici -<br />

hygienic handwash: il lavaggio “igienico” implicante l’impiego di sapone o soluzione<br />

medicata. -hygienic hand rub: lo strofinamento delle mani, in assenza di acqua, con un<br />

prodotto battericida, generalmente un alcool. L’Italia non ha linee guida nazionali<br />

sull’argomento; esistono tuttavia protocolli regionali o di singole aziende ospedaliere che lo<br />

affrontano.<br />

OBIETTIVI<br />

1. verificare quali procedure sono proposte negli ospedali della regione <strong>Piemonte</strong>.<br />

2. Individuare le indicazioni prevalenti emanate dalle Direzioni Sanitarie per realizzare<br />

l’igiene delle mani.<br />

3. Effettuare una prima verifica sul campo della compliance degli operatori sanitari di una<br />

Casa di Cura accreditata dalla <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong><br />

MATERIALI E METODI<br />

Il conseguimento dei primi due obiettivi ha previsto l’invio di un questionario alle Direzioni<br />

Sanitarie ed ai Responsabili delle infezioni ospedaliere delle ASO, dei Presidi Ospedalieri<br />

appartenenti alle 22 ASL piemontesi e di 4 Case di Cura. Il terzo obiettivo è stato realizzato<br />

mediante una sorveglianza diretta sul comportamento del personale dell’Ospedale Cottolengo<br />

durante i turni diurni. La sorveglianza, durata 4 mesi, è stata affidata ad una infermiera<br />

opportunamente formata che, raccolte le osservazioni in forma anonima e all’insaputa degli<br />

osservati ha compilato le schede appositamente predisposte. Sono stati presi in considerazione<br />

2 aspetti: l’utilizzo dei guanti ed il lavaggio delle mani. I dati raccolti sono stati trasferiti su<br />

supporto informatico (programma Epinfo) e successivamente elaborati.<br />

RISULTATI<br />

Obiettivi 1 e 2. Tutte le strutture cui è stato spedito il questionario, con una sola eccezione, lo<br />

h<strong>anno</strong> compilato e restituito. Dalle risposte relative alle procedure indicate nella prima parte<br />

del questionario emergono alcuni elementi interessanti: la pratica handrub è relativamente<br />

poco raccomandata, anche in quelle situazioni, quale l’indisponibilità di lavandini che ne<br />

costituiscono una indicazione elettiva; alcune Direzioni Sanitarie (3,5%) si limitano a<br />

raccomandare anche per le situazioni a maggior rischio il solo lavaggio sociale (handwash),<br />

mentre il 16,8% degli intervistati raccomanda il lavaggio igienico anche in occasione di<br />

207


ischio limitato; la compliance del personale sembra fornire l’indicazione del ricorso<br />

prevalente al lavaggio sociale Anche le risposte date alla seconda parte del questionario<br />

riconfermano la scarsa propensione all’impiego dello sfregamento alcolico e la<br />

raccomandazione da parte di un certo numero di Direzioni Sanitarie alla pratica del lavaggio<br />

sociale in situazioni a maggior rischio.<br />

Obiettivo 3. La sorveglianza diretta del personale ha consentito di raccogliere 490<br />

osservazioni relative all’impiego dei guanti. La popolazione osservata era costituita per il 40%<br />

da infermieri, per il 42% da personale di supporto, per il 10% da studenti e per l’8% da<br />

medici. Da questi risultati emerge che i più scrupolosi utilizzatori dei guanti risultano gli<br />

operatori di supporto (91%), seguiti dagli infermieri (87%) e dai medici (62%). Più difficile<br />

inquadrare il comportamento degli studenti che risultano totalmente osservanti al mattino<br />

(100% di utilizzatori, ma risultano essere i peggiori al pomeriggio (50%). I guanti sono stati<br />

indossati nel 84,5% delle situazioni che lo richiedevano e la modalità di utilizzo è risultata<br />

corretta nel 93,4% dei casi. L’utilizzo dei guanti per sesso non rivela differenze significative<br />

(85% delle femmine e 80,3% dei maschi), mentre il turno di lavoro influenza in modo<br />

significativo il ricorso ai guanti (88% di utilizzo al mattino verso il 68% al pomeriggio<br />

(c2=11,66; p


Marilena Durazzo Filone tematico A4<br />

Effetti di un intervento alimentare nel decorso della steatosi epatica e<br />

steatoepatite non alcolica<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina Interna<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La steatosi epatica non alcolica si inserisce in uno spettro di patologie definite NAFLD<br />

(nonalcholic fatty liver diseases) la cui importanza è data dall’alta prevalenza nella<br />

popolazione occidentale (5.4% nella popolazione generale adulta, 20-40 % in pazienti con<br />

ipertransaminasemia cronica di ndd) e dalla possibile progressiva evoluzione della patologia<br />

da steatosi semplice ad un quadro irreversibile di cirrosi e talvolta epatocarcinoma. La<br />

necessità di intervenire sulla steatosi è dimostrata dal rischio di sviluppare fibrosi entro 5 anni<br />

e cirrosi. I provvedimenti principali mirano a:<br />

a) elaborare una dieta in grado di modulare l’azione insulinica;<br />

b) programmare un’attività fisica adeguata;<br />

c) ridurre i livelli di colesterolo e trigliceridi con farmaci non potenzialmente epatotossici.<br />

Al momento non vi sono dimostrazioni sulla reale efficacia di terapia farmacologica in grado<br />

di ridurre l’attività citolitica; vi sono alcune segnalazioni che riportano un potenziale<br />

beneficio dell’acido ursodesossicolico e di farmaci antiossidanti come la vitamina C e la<br />

vitamina E. Stile di vita e abitudini alimentari, in particolare tipo e introito di carboidrati e<br />

grassi nella dieta, possono modulare:<br />

1. l'azione insulinica, incidendo sullo sviluppo delle varie componenti della sindrome<br />

metabolica;<br />

2. la capacità di metabolizzare un pasto grasso.<br />

Dati preliminari di uno studio trasversale indicano la presenza nella NAFLD di anomalie<br />

qualitative nell'introito alimentare di grassi (eccesso di grassi saturi e carenza di poliinsaturi) e<br />

sostanze antiossidanti (carenza di vitamina C ed E), correlabili con i livelli di transaminasi<br />

sieriche, con il grado di insulino-resistenza e con le alterazioni del metabolismo postprandiale<br />

dei trigliceridi. Scopo del nostro studio è stato quello di valutare l’impatto sul metabolismo<br />

insulinico e lipidico di un trattamento volto a modificare le abitudini alimentari di un gruppo<br />

di soggetti con NASH.<br />

CASISTICA E METODI<br />

Nell’arco di 12 mesi sono stati arruolati 20 soggetti con diagnosi di NASH verificata con la<br />

biopsia epatica, riscontro di fegato iperriflettente all’ecotomografia, transaminasi aumentate<br />

da almeno 6 mesi e introito alcolico quotidiano non significativo; sono stati inoltre arruolati<br />

45 soggetti di controllo confrontabili per sesso ed età. Sono stati esclusi dall’arruolamento<br />

soggetti obesi (BMI > 30 kg/m2), diabetici e/o dislipidemici. In tutti i soggetti sono state<br />

valutate le abitudini alimentari quotidiane per una settimana con la guida di un dietologo<br />

esperto, formulando una dieta atta a correggere le anomalie dietetiche sopra menzionate<br />

tipiche di tali soggetti. Ogni 3 mesi sono stati effettuati un controllo clinico/dietistico ed i<br />

prelievi ematochimici di base per valutare l'adesione al programma dietetico. Sono stati dosati<br />

209


oltre agli enzimi epatici, anche il TGF-b1, il TNF-a e l’adiponectina mediante metodica<br />

ELISA, quali indicatori del grado di infiammazione-fibrogenesi epatica. Sono stati effettuati<br />

un carico di glucosio endovena con prelievi ravvicinati per il dosaggio di glucosio, insulina e<br />

C-peptide plasmatici ed elaborazione con la metodica computerizzata dei MINIMAL<br />

MODELS per ottenere l'indice di sensibilità insulinica e i parametri relativi al metabolismo<br />

glicidico ed un test da carico lipidico orale con dosaggio dei trigliceridi e del colesterolo,<br />

totali e veicolati dalle VLDL, delle apolipoproteine B48 e B100, quali marcatori origine<br />

intestinale od epatica delle lipoproteine ricche in trigliceridi; dosaggio dei dieni coniugati<br />

quali marcatori delle modificazioni ossidative.<br />

RISULTATI<br />

I risultati del nostro studio h<strong>anno</strong> confermato la presenza di alterato metabolismo dei<br />

trigliceridi in fase postprandiale, associato ad incremento dei markers di stress ossidativo nei<br />

soggetti con NASH. Inoltre tali soggetti presentavano un peggioramento della funzione delle<br />

cellule beta pancreatiche rispetto ai controlli così come livelli sierici di adiponectina più bassi,<br />

correlabili con la gravità della steatosi epatica, della necroinfiammazione e della fibrosi. Le<br />

modifiche dietetiche instaurate h<strong>anno</strong> portato ad un parziale miglioramento dei parametri<br />

metabolici e degli indici di citolisi, tuttavia l’ipoadiponectinemia potrebbe avere un ruolo<br />

patogenetico indipendentemente dall’insulino-resistenza, l’accumulo di grasso viscerale e le<br />

abitudini dietetiche.<br />

CONCLUSIONI<br />

In conclusione, un intervento dietetico mirato a correggere specificamente gli errori alimentari<br />

(eccesso di grassi saturi e colesterolo a scapito dei grassi poliinsaturi e delle vitamine<br />

antiossidanti) può influenzare in positivo la sensibilità insulinica, riducendo le anomalie<br />

aterogenetiche proprie della sindrome metabolica e modificare la storia naturale della<br />

NAFLD, riducendo la percentuale di evoluzione in cirrosi ed in epatocarcinoma. Comunque<br />

un trattamento farmacologico, ad esempio mirato ad accrescere i livelli di adiponectina,<br />

potrebbe essere necessario a completamento terapeutico.<br />

210


Giorgio Emanuelli Filone tematico A2<br />

Ruolo delle cicloossigenasi 1 e 2 nella trasformazione neoplastica dei<br />

polipi del colon<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Fisiopatologia Clinica<br />

OBIETTIVO<br />

La nostra ricerca, di durata biennale, si proponeva di analizzare, mediante Real Time Reverse<br />

Transcription Polymerase chain reaction (RT -PCR) ed immunoistochimica i livelli di<br />

espressione di cicloossigenasi (COX)-l e COX-2 e dei recettori delle Prostaglandine nei polipi<br />

adenomatosi del colon a vario grado di displasia rispetto sia alla mucosa normale sia alla<br />

lesione neoplastica, allo scopo di individuare marcatori intermedi nella sequenza mucosa<br />

normale-adenoma-carcinoma da utilizzare per metodiche di screening, interventi di<br />

prevenzione ed eventualmente di cura.<br />

Pazienti arruolati. Allo studio h<strong>anno</strong> partecipato 156 pazienti dei quali 71 affetti da poliposi,<br />

50 affetti da carcinoma e 35 non affetti da neoplasie o da malattie infiammatorie, usati come<br />

gruppo di controllo. La tabella 1 riassume le caratteristiche clinicodemografiche dei pazienti.<br />

Tabella 1. - Caratteristiche demografiche e patologiche della popolazione studiata<br />

Pazienti Controlli Adenomi Carcinomi<br />

N. 35 (22%) 71 (46%) 50 (32%)<br />

Sesso maschile 17 (48%) 47 (66%) 26 (51%)<br />

Età in anni 52 (25-85) 63 (44-78) 63 (31-87)<br />

Adenomi (grado di displasia) lieve moderata grave Totale<br />

N. 15 (21%) 36 (51%) 20 (28%) 71 (100%)<br />

Carcinomi (stadi secondo<br />

Dukes)<br />

A¹ B¹ B² C1 – C3³ D 4 Totale<br />

N. 8 (16%) 7 (14%) 14 (27%) 12 (25%) 9 (18%) 50 (100%)<br />

I dati sono presentati come mediana (range) per variabili continue e come frequenza (%) per<br />

variabili categoriche<br />

RISULTATI<br />

L’analisi quantitativa dell’espressione di RNAm per COX-1 e COX-2, eseguita mediante realtime<br />

RT-PCR ed effettuata sui campioni di tessuto prelevati endoscopicamente o durante<br />

l’intervento chirurgico, ha dimostrato in generale che l’accumulo di trascritto per COX-1 e<br />

per COX-2 è aumentato nei polipi rispetto alla mucosa normale (rispettivamente p


presentano valori di messaggio per COX-2 uguali o lievente inferiori rispetto alla mucosa<br />

normale. Per quanto riguarda i carcinomi in generale i valori di RNAm per COX-1 non si<br />

discostano molto da quelli osservati negli adenomi (p>0.05), mentre i livelli di trascritto per<br />

COX-2 sono superiori in modo statisticamente significativo sia nei conronti della controparte<br />

normale che degli ademoni (p


Tabella 5. Distribuzione secondo l'estensione e l'intensità di immunoreattività per COX-2<br />

nei carcinomi<br />

Estensione della colorazione<br />

Intensità di colorazione 0% 1-25% 26-50% 51-75% 76-100% Totale<br />

Negativa 4 4<br />

Debole 2 3 2 3 10<br />

Media 6 2 0 5 13<br />

Forte 2 4 2 15 23<br />

Totale 4 10 9 4 23 50<br />

Per quanto riguarda i recettori delle prostaglandine EP, i livelli di espressione dell’RNAm per<br />

EP1 ed EP2 è risultata aumentata nei carcinomi e nei polipi (soprattutto a displasia grave)<br />

rispetto sia alla mucosa normale sia ai polipi meno displastici. Non sono state notate<br />

differenze per quanto riguarda l’espressione di RNAm per EP4. Il risultato più interessante<br />

sembra essere quello ottenuto dall’analisi dell’RNAm per EP3 che risulta marcatamente<br />

diminuito nei carcinomi e nei polipi rispetto alla mucosa normale (p=0.019 e p=0.03,<br />

rispettivamente)<br />

CONCLUSIONI<br />

Le conclusioni che si possono trarre da questi risultati sono:<br />

1. l’iperespressione di COX-1 nei polipi e nei carcinomi è inattesa perché si riteneva che<br />

questa isoforma fosse espressa costitutivamente ed associata al mantenimento<br />

dell’omeostasi tissutale. Pertanto il significato biologico in questo contesto deve essere<br />

ulteriormente approfondito.<br />

2. L’iperespressione negli adenomi di COX-2 (isoforma indotta da infiammazione e stimoli<br />

mitogenici) dimostra che gli fenomeni scatenanti sono eventi precoci nella sequenza<br />

adenoma-carcinoma, suggerendo che la chemioprevenzione con gli inibitori di COX-2<br />

potrebbe essere potenzialmente presa in considerazione per ridurre il rischio di<br />

cancerizzazione dei polipi sporadici.<br />

3. La conferma su una casistica relativamente ampia dell’ ipoespressione di EP3 sia nei<br />

polipi che nei carcinomi rende interessante l’indagare ulteriormente il ruolo del recettore<br />

EP3 nella trasformazione neoplastica dei polipi, perché essendo coinvolto nell’inibizione<br />

della crescita cellulare, una sua ridotta espressione potrebbe contribuire allo sviluppo del<br />

tumore.<br />

Attualmente sono in fase di esecuzione i test statistici per confermare la validità clinica dei<br />

risultati.<br />

213


Carola Eva Filone tematico A4<br />

Ruolo del NPY e della sua interazione con il GABA nella farmacologia<br />

dell’etanolo<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Anatomia, Farmacologia e Medicina Legale<br />

In questa ricerca abbiamo studiato il ruolo dell’interazione tra GABA e NPY su alcune azioni<br />

acute e croniche dell’etanolo in modelli murini mutati.<br />

1. L’effetto dell’intossicazione acuta con etanolo, del consumo volontario di etanolo e del<br />

trattamento acuto con GHB sull’espressione genica del recettore Y1 e del NPY<br />

nell'amigdala è stato studiato su i topi Y1R/LacZ della linea 62 (ceppo puro FVB). Il<br />

trattamento acuto con etanolo (2g/Kg) non modifica l’espressione del transgene<br />

Y1R/LacZ nell’amigdala centrale e mediale. L’attività della beta-galattosidasi non è<br />

modificata dal consumo volontario di etanolo per 4 settimane (in dosi crescenti dal 3 al<br />

20%), ma aumenta in modo significativo dopo 48 ore di astinenza nell’amigdala<br />

suggerendo che la riduzione dell’espressione di NPY indotta dall’astinenza da etanolo<br />

induce un aumento compensatorio del recettore Y1R. Inoltre il trattamento con finasteride,<br />

inibitore selettivo della 5-alfa redattasi, previene l’aumento dell’espressione della betagalattosidasi<br />

dopo 48 ore di astinenza, suggerendo che gli effetti dell’etanolo sulla<br />

trasmissione NPY-Y1R siano mediati dall’aumento delle concentrazioni corticocerebrali<br />

di steroidi neuroattivi. Il trattamento acuto con GHB induce una riduzione dosedipendente<br />

dell’espressione del Y1R nell’amigdala che è accompagnata da un aumento<br />

della densità delle fibre immunoreattive al NPY. Il trattamento con l’antagonista selettivo<br />

del recettore GABAB SCH50911 (50 mg/Kg) blocca sia l’aumento dell’immunoreattività<br />

al NPY sia la down regulation del transgene indotte dal GHB.. Abbiamo infine dimostrato<br />

che il trattamento cronico per 15 giorni con GHB aumenta l’espressione del transgene<br />

nell’amigdala mediale e centrale dei topi Y1RLac/Z. Non abbiamo potuto estendere i<br />

nostri studi ai topi transgenici Y1R/LacZ della linea 1027, (ceppo puro BXD) in quanto<br />

nel genoma di questi animali il transgene Y1R/LacZ è stato perduto durante l’espansione<br />

della linea, probabilmente a causa di una mutazione spontanea. Per ottenere una nuova<br />

linea di topi Y1R/LacZ in un ceppo puro C57BL/6 abbiamo re-incrociato i topi transgenici<br />

derivanti dalla linea 62 con topi wild type C57BL/6 e abbiamo ottenuto la generazione F6.<br />

I topi potr<strong>anno</strong> essere usati per lo studio della farmacologia dell’etanolo solo a partire<br />

dalla prossima generazione (F7).<br />

2. Nella prima fase della ricerca abbiamo ottenuto per ricombinazione omologa due topi con<br />

il gene floxato del Y1R (topi Y1Rlox) che sono stati incrociati con femmine di topi CRE<br />

deleter, che esprimono Cre negli oociti, per verificare l’efficienza del sistema Cre/loxP.<br />

Tuttavia l’analisi del genotipo di questi animali ha rivelato essi non esprimevano il gene<br />

floxato nella posizione corretta, suggerendo che, al momento della microiniezione, era<br />

probabilmente avvenuto accidentalmente un errore. Abbiamo quindi effettuato una nuova<br />

microiniezione, presso il Max Plank Institute di Heidelberg, ottenendo una nuova linea di<br />

topi Y1Rlox che stiamo attualmente genotipizzando ed ampliando. Abbiamo inoltre<br />

generato e caratterizzato i topi transgenici che sar<strong>anno</strong> utilizzati per ottenere il knock-out<br />

condizionale del Y1R controllato nel tempo e tessuto-specifico nelle regioni limbiche e<br />

nell’ipotalamo. Per i motivi descritti sopra, non è stato possibile eseguire l’analisi<br />

comportamentale. Abbiamo analizzato le linee di topi transgenici da utilizzare per la<br />

214


delezione condizionale del recettore Y1R paragonando l’espressione del Y1R endogeno<br />

con quella della ricombinasi Cre in topi che esprimono tre transgeni:<br />

a) il transgene contenente il cDNA della ricombinasi Cre sotto il controllo di una<br />

regione TRE (Tet Responsive Element) che è attivata da tTA (topi TRE-Cre);<br />

b) il transgene contenente la regione codificante del transattivatore tTA sotto il<br />

controllo del promotore della alfaCAMKII (topi alfaCAMKII/tTA);<br />

c) il gene LacZ diretto da un promotore attivato dalla ricombinasi Cre (topi Rosa26R).<br />

In questi topi è così possibile visualizzare l’attività di Cre mediante una doppia<br />

colorazione di fettine coronali di encefalo: immunoistochimica, per rivelare l’espressione<br />

del recettore Y1R con un anticorpo specifico, e istochimica, per rivelare l’espressione del<br />

LacZ. Questi esperimenti h<strong>anno</strong> evidenziato la coespressione del Y1R con la ricombinasi<br />

Cre in tutti i neuroni delle regioni del proencefalo, dimostrando la validità di questo<br />

modello per ottenere la delezione tessuto-specifica del Y1R. Poichè il trattamento<br />

prenatale con doxiciclina riduce l’espressione della ricombinasi Cre alle regioni limbiche<br />

(CA1, giro dentato, corteccia cerebrale, striato ed amigdala), sarà possibile ottenere la<br />

delezione temporalmente regolata del Y1R selettivamente in questi nuclei cerebrali<br />

Abbiamo infine generato una linea di topi (Tg Y5RhtTA/Y1RVenus) che contengono il<br />

transgene Y5RhtTA/Y1RVenus, formato dal gene dell’attivatore umano tTA diretto dal<br />

promotore del gene Y5R ed dal gene della proteina fluorescente Venus diretto dal<br />

promotore del gene Y1R. Il transgene Y5RhtTA/Y1RVenus è stato ottenuto utilizzando<br />

un sistema di modificazione cromosomica, per ricombinazione omologa, in E.coli di un<br />

clone BAC contenente, con orientamento opposto,entrambi i geni Y1R eY5R che<br />

condividono un promotore di 25Kb localizzato tra essi. L’analisi istochimica<br />

dell’espressione della ricombinasi Cre in questi animali ha dimostrato che l’enzima è<br />

altamente espresso nell’ipotalamo, nel nucleo soprachiasmatico, ippocampo, amigdala,<br />

corteccia cerebrale e nucleo olfattorio anteriore. L’incrocio di questi animali con i topi<br />

Y1R/lox permetterà di ottenere la delezione del Y1R anche nell’ipotalamo e quindi di<br />

paragonare il ruolo della trasmissione NPY-Y1R nel comportamento emozionale ed in<br />

quello alimentare. Inoltre poichè questi topi esprimono la proteina Venus con una<br />

distribuzione sovrapponibile a quella del Y1R in tutte le regioni dell’encefalo, sarà<br />

possibile effettuare l’analisi elettrofisiologica nei neuroni che contengono il Y1R prima e<br />

dopo la delezione del Y1R.<br />

3. Dal momento che i fondi assegnati non erano sufficienti a coprire le spese per l’intero<br />

progetto di ricerca, non siamo stati in grado di sviluppare anche gli studi inerenti al<br />

polimorfismo genetico del NPY in pazienti etilisti. Questo studio verrà comunque iniziato<br />

nei prossimi mesi e coinvolgerà anche il Reparto Psichiatrico dell’Ospedale Fatebene<br />

Fratelli.<br />

Questi risultati, che sono stati presentati a due congressi scientifici internazionali, sono in<br />

parte descritti nel manoscritto: Eva C., Serra M., Mele P., Panzica G.C. and Oberto A., Front.<br />

Neurendocrinol, in press e sar<strong>anno</strong> raccolti in altre tre pubblicazioni in corso di preparazione.<br />

215


Claudio Fabris Filone tematico A1<br />

Toxoplasmosi: costruzione di una rete per la sorveglianza dell’infezione<br />

nella gravida e nel neonato (Prosecuzione)<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze pediatriche e dell’Adolescenza<br />

OBIETTIVI E METODI<br />

In risposta all’obiettivo generale che prevedeva l’attuazione di un’opera di Prevenzione<br />

Terziaria è stato stimata l’incidenza di infezione-malattia congenita con l’identificazione del<br />

neonato infetto alla nascita e/o con follow-up nel primo <strong>anno</strong> e il trattamento specifico del<br />

neonato infetto per prevenire l’evoluzione e/o la comparsa dei segni clinici di malattia<br />

congenita.<br />

1. Per la diagnosi e il follow-up dell’infezione congenita sono state proposte le indicazioni<br />

pubblicate dalla S.I.N.<br />

2. Nel neonato alla nascita e nei primi mesi sono stati ricercati gli anticorpi specifici di<br />

neosintesi con la tecnica WESTERN-BLOT utilizzando laboratori di riferimento in grado<br />

di applicarla correttamente.<br />

3. Il protocollo del neonato prevede che in caso di infezione congenita asintomatica,<br />

confermata sierologicamente, venga somministrato pirimetamina (1mg/Kg/die in unica<br />

somministrazione) + sulfadiazina (100 mg/Kg/die in 2 sommministrazioni) + acido<br />

folinico (5mg a giorni alterni) per la durata di 4 settimane alternate a 4 settimane di<br />

spiramicina alle dosi sopra indicate per tutto il primo <strong>anno</strong> di vita. Nel neonato infetto<br />

sintomatico il trattamento prevede la somministrazione di pirimetamina + sulfadiazina +<br />

acido folinico alle dosi sopra indicate continuativamente per 6 mesi, quindi per i restanti 6<br />

mesi a mesi alterni con spiramicina. In caso di corioretinite in fase acuta può essere utile<br />

associare una terapia cortisonica con prednisone (1mg/Kg/die).<br />

4. Sono stati correlati i trattamenti eseguiti dalle gravide con infezione documentata da<br />

sieroconversione e il passaggio e gli esiti dell’infezione congenita.<br />

RISULTATI<br />

Nel 1° <strong>anno</strong> dello studio h<strong>anno</strong> partecipato 31 punti nascita sorvegliando circa 28700 gravide<br />

e corrispondenti neonati rappresentativi dell’82% delle nascite piemontesi. Sono state raccolte<br />

complessivamente 126 segnalazioni di infezione in gravidanza definite certe, probabili e<br />

possibili su 28700 nati vivi sorvegliati (0,44%): in particolare 39 (0.13%) sieroconversioni<br />

accertate e infezioni probabili ad alto rischio di trasmissione e 88 casi (3,03%) di infezioni<br />

possibili a rischio di trasmissione molto basso. Nei due anni successivi di proseguimento dello<br />

studio, per un totale di 3 anni di raccolta dati, sono stati inviate le segnalazioni regolarmente<br />

da 20 neonatologie con un totale di 74205 nati in 3 anni. Sono stati segnalati 113 (0,15%)<br />

coppie madre-neonato per le quali sono state inviate notizie sull’infezione materna, sul<br />

trattamento eseguito e sulla trasmissione dell’infezione ai figli. In questo gruppo 46 (40,7%)<br />

erano sieroconversioni (0,06% della popolazione osservata), 37 (32,7%) erano infezioni<br />

probabili e 30 (26,6%) erano infezioni possibili. I neonati infetti sono stati 13 di cui 5<br />

sintomatici tutti nati dalle 46 madri con sieroconversione e pertanto in questo gruppo la<br />

trasmissione è stata del 28,7%. Nessuna delle madri con infezione probabile o possibile ha<br />

216


trasmesso l’infezione ai figli. I neonati infetti sintomatici sono stati 5 (38,4% degli infetti e<br />

10,8% dei nati da sieroconversione). Il follow-up clinico degli infetti, per quanto riguarda le<br />

sequele, è ancora in corso. Nei neonati a rischio non sempre sono state ricercate le IgM e le<br />

IgA specifiche in particolare rispettivamente nel 95% e nel 74% e negli infetti esse sono<br />

risultate positive soltanto nel 62,5% dei casi. In 55 casi si conosce dettagliatamente il<br />

trattamento eseguito in gravidanza ed è stato eseguito correttamente nell’85,5% dei casi senza<br />

che ci siano differenze significative tra le classi di rischio considerate. Non è stato possibile<br />

ottenere risultati statisticamente significativi dalla correlazione tra i protocolli attuati in<br />

gravidanza e la trasmissione dell’infezione ai figli per il piccolo numero di casi raccolti (46<br />

sieroconversioni e 13 infetti). In 75 casi nelle madri è stato eseguito in gravidanza anche il test<br />

di avidità per le IgG in associazione alle comuni tecniche di indagine (ELISA e ISAGA).<br />

Delle 12 infezioni definite come probabili in 11 casi è stata confermata la classificazione e in<br />

un solo caso l’infezione è stata definita come probabile; invece delle 38 infezioni definite<br />

possibili secondo Lebech 23 sono state riclassificate come probabili e 15 come improbabili.<br />

CONCLUSIONI<br />

E’ stato possibile fornire dati epidemiologici riferiti a 74205 coppie madre-bambino. Il primo<br />

accesso al laboratorio in corso di gravidanza è spesso tardivo e rende difficile la definizione di<br />

caso di infezione primaria materna quando si deve orientare la decisione tra infezione<br />

probabile o possibile sulla base della modificazione dei titoli nella prima metà della<br />

gravidanza. Inoltre soltanto nel 40,7% dei casi è stata fatta segnalazione di sieroconversione<br />

con conseguente messa in atto di una efficace profilassi nella madre e nel neonato; in tutti gli<br />

altri casi di infezione materna probabile e possibile, che peraltro non h<strong>anno</strong> trasmesso<br />

l’infezione ai figli, è stato comunque inevitabile eseguire in gravidanza e nei neonati ulteriori<br />

accertamenti evitabili con una più precoce e puntuale definizione dell’infezione in gravidanza<br />

con il maggior utilizzo del test di AVIDITY precocemente in gravidanza. Sui neonati non<br />

vengono effettuate tutte le determinazioni che consentirebbero di avvicinarsi ad una diagnosi<br />

sufficientemente precoce: i test per IgM e per IgA non sono richiesti o effettuati in tutti i casi<br />

anche se sarebbe invece auspicabile che tutti i laboratori disponessero del Kit per la<br />

determinazione delle IgM e IgA specifiche da determinare ogni qualvolta ci si trovi di fronte a<br />

un neonato da madre con sieroconversione o con infezione in gravidanza definita probabile. I<br />

nostri dati, anche se su un piccolo numero di neonati infetti, confermano quanto riferito in<br />

letteratura sulla insufficiente sensibilità dei test sierologici sul neonato per la determinazione<br />

delle IgM e IgA specifiche che sono risultate presenti rispettivamente soltanto nel 62,5% e nel<br />

50% dei casi. A tale proposito l’utilizzo del test di WESTERN BLOT per IgG dovrebbe<br />

essere incoraggiato dai neonatologi presso i laboratori in considerazione del fatto che tale test<br />

è risultato possedere in studi sperimentali una elevata specificità (> 95%) alla nascita ed una<br />

elevata sensibilità (>90%) a 3 mesi di vita. Nella nostra casistica è stato eseguito, ad oggi, in<br />

pochi casi non sufficienti per portare un nostro contributo a riguardo.<br />

217


Fabrizio Faggiano Filone tematico D4<br />

Fattibilità di uno studio controllato e randomizzato sull'acido folico per la<br />

prevenzione delle gravidanze Down<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Vi sono numerosi studi sperimentali che suggeriscono una relazione causale tra l’assunzione<br />

materna di acido folico (vit B9) e lo sviluppo di difetti del tubo neurale (DTN). Nel 1992<br />

Czeizel stimò in 0.3 il RR di DTN nei figli di donne che assumevano ac. Folico. Inoltre<br />

Barkai ha recentemente osservato come i DTN e la Sindrome di Down si manifestino nella<br />

stessa famiglia con frequenza superiore all’atteso, comportandosi come eventi non<br />

indipendenti. Questi studi ipotizzano che un’integrazione vitaminica della dieta materna possa<br />

ridurre il rischio di tali malformazioni. Vi sono ormai solide evidenze di efficacia [Lumley<br />

2004 ] per quanto concerne le ricorrenze di malformazioni del tubo neurale, mentre per le<br />

occorrenze la letteratura non ha ancora prodotto un risultato definitivo anche se si sospetta un<br />

effetto protettivo sia per la sindrome di Down che per le malformazioni cardiache [Al-Gazali<br />

2001; Barkai <strong>2003</strong>; James 1999; Ray <strong>2003</strong> ]. Tali evidenze, se pure parziali, h<strong>anno</strong> indotto<br />

alcune nazioni a promuovere l’uso di acido folico in donne che desiderino una gravidanza<br />

(Berry 1999, MMWR 2004), con risultati apparentemente positivi; tuttavia sussistono alcuni<br />

problemi di metodo e differenze tali nella dieta delle popolazioni considerate rispetto a quella<br />

italiana, da suggerire un atteggiamento cauto nel promuovere l’adozione di tale integratore a<br />

livello di popolazione. In effetti ad oggi non è possibile stimare quale effetto questo possa<br />

avere in popolazioni ad elevato consumo di verdura cruda e basso tasso di incidenza, come<br />

quella italiana ed un ulteriore elemento di incertezza dalla quasi totale assenza di studi<br />

metodologicamente solidi che valutino l’efficacia di campagne informative/educative sulla<br />

popolazione generale.<br />

OBIETTIVO<br />

Obiettivo dello studio era la valutazione della fattibilità di uno studio randomizzato per la<br />

valutazione dell’efficacia della supplementazione con acido folico a livello di popolazione.<br />

Nella nostra regione però, in linea con un’iniziativa nazionale, è stato deciso di attuare una<br />

campagna di comunicazione sull’uso dell’acido folico, e, quindi diviene infattibile uno studio<br />

randomizzato. Obiettivo dello studio è quindi divenuto la valutazione di impatto di questa<br />

campagna. Sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, si considera irrinunciabile<br />

procedere alla valutazione, utilizzando metodi adeguati dell’effetto che tale campagna<br />

produrrà su:<br />

• le conoscenze sull’effetto dei folati;<br />

• la riduzione delle malformazioni ipotizzate come associate alla concentrazione di folati.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Due distinti studi permetter<strong>anno</strong> di raggiungere l’obiettivo sopra citato: mentre gli indicatori<br />

di esito verr<strong>anno</strong> misurati mediante survey ripetute prima e dopo l’intervento (studio 1 e 2),<br />

218


l’indicatore di impatto verrà misurato mediante l’analisi dell’archivio malformazione (studio<br />

3).<br />

Studio 1 – Abitudini alimentari delle donne in età fertile<br />

Obiettivo specifico: Valutare l’efficacia della campagna informative piemontese rispetto a:<br />

• grado di conoscenza del problema (valutazione di processo)??<br />

• consumi alimentari (valutazione di processo)<br />

• livelli sierici di folati e di omocisteina (valutazione di esito)<br />

Disegno dello studio: studio di prevalenza effettuato all’inizio della campagna informativa ed<br />

a un <strong>anno</strong> di distanza dal termine della campagna stessa.<br />

Definizione della popolazione in studio: campione delle donne residenti nella <strong>Regione</strong><br />

<strong>Piemonte</strong> di età compresa fra 15 e 49 afferenti al laboratorio analisi dell’ospedale Mauriziano<br />

di Torino (contesto urbano) e al consultorio dell’ASL 17 (contesto extraurbano) per eseguire<br />

esami laboratoristici (che non siano relativi alle condizioni fisiologiche e patologiche sotto<br />

riportate nei criteri di esclusione). Le donne eligibili per lo studio verr<strong>anno</strong> reclutate in<br />

ragione di 70-100 presso il laboratorio analisi dell’ospedale Mauriziano di Torino e di 70-100<br />

presso il consultorio dell’ASL 17.<br />

Raccolta delle informazioni: il questionario per la raccolta delle informazioni verrà<br />

somministrato da un operatore dell’ASL e da alcuni borsisti adeguatamente formati. I<br />

questionari eseguiti verr<strong>anno</strong> sequenzialmente numerati e lo stesso numero verrà riportato<br />

sulla provetta contenente il campione di sangue. Dopo il questionario verrà effettuato il<br />

prelievo aggiuntivo ed i campioni sar<strong>anno</strong> analizzati mediante opportuno kit acquistato dalla<br />

ditta Bayer presso il laboratorio dell’Ospedale Mauriziano.<br />

Studio 2 – Abitudini prescrittive dei ginecologi<br />

Obiettivo specifico: valutare l’efficacia della campagna informativa rispetto alle abitudine<br />

prescrittive dei ginecologi.<br />

Disegno dello studio: studio di prevalenza effettuato all’inizio della campagna informativa<br />

(ottobre 2004) ed a un <strong>anno</strong> di distanza dal termine della campagna stessa.<br />

Definizione della popolazione in studio: medici ginecologi, iscritti alle varie associazioni<br />

(AOGOI, SIEOG,SIGO, AGUI) regionali piemontesi negli anni <strong>2003</strong>-4. Si stima che tale<br />

popolazione comprenda tutti i ginecologi della regione <strong>Piemonte</strong>.<br />

Raccolta delle informazioni: questionario autosomministrato ed inviato via posta corredato di<br />

francobollo per la risposta. Nel caso di non risposta verrà inviata una seconda lettera di<br />

sollecito.<br />

Gli strumenti per la rilevazione dati: le abitudini prescrittive dei ginecologi verr<strong>anno</strong> rilevate<br />

mediante questionario autosomministrato, volto ad indagare la storia professionale e le<br />

modalità di prescrizione dell’acido folico.<br />

Studio 3 – valutazione degli esiti<br />

La costruzione dell’archivio malformazioni è attualmente in corso da parte del Servizio di<br />

Epidemiologia di Alessandria. Essendo gli studi partiti nel periodo finale del progetto, la fase<br />

di elaborazione verrà effettuata nell’ambito del progetto “Valutazione di processo e di esito di<br />

una campagna informativa sull’uso dell’acido folico”, resposabile la drssa Elisabetta Versino,<br />

finanziato nell’ambito della ricerca finalizzata 2004.<br />

219


Secondo Fassino Filone tematico A5<br />

Prevenzione della cronicizzazione nell’anoressia. Studio dei predittori<br />

precoci mediante f-rmi e test neuropsicologici<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Psichiatria<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Da alcuni anni l’applicazione della neuropsicologia allo studio dei Disturbi Psichici ha fornito<br />

interessanti risultati permettendo di migliorare la definizione dei fenotipi e di correlare<br />

alterazioni di funzionamento neurocognitivo a sintomi e dimensioni cliniche. Nei Disturbi del<br />

Comportamento Alimentare (DCA) l’applicazione delle metodiche neuropsicologiche e di<br />

indagini strumentali funzionali è ancora in fase preliminare.<br />

OBIETTIVO<br />

Lo studio si proponeva inizialmente di valutare in pazienti affette da Anoressia Nervosa le<br />

modalità di attivazione delle aree cerebrali coinvolte nelle cosiddette funzioni esecutive e<br />

nella capacità di astrazione e “problem solving”, confrontando un campione clinico con uno<br />

non clinico di soggetti di sesso femminile accoppiate per caratteristiche socio-demografiche.<br />

In particolare altri obiettivi erano:<br />

1. verificare se esiste una correlazione tra gravità delle condizioni fisiche (stato di<br />

denutrizione) e della sintomatologia alimentare e presenza di particolari pattern di<br />

attivazione cerebrale sottostimolo.<br />

2. Indagare l’eventuale presenza di modalità di funzionamento cerebrale e di pensiero già<br />

riscontrate nei soggetti affetti da DOC, sia con metodiche neuropsicologiche e sia con la<br />

Fmri.<br />

3. Valutare se esistano aree cerebrali attivate peculiarmente da prove di “provocazione”<br />

rispetto ai nuclei psicopatologici nucleari nella patologia anoressica (distorsione<br />

dell’immagine corporea e paura del grasso).<br />

In relazione all’entità del finanziamento, ridotto rispetto alla richiesta, non è stato possibile<br />

effettuare le indagini di Neuroimaging, ma si è potuto provvedere a portare a termine un<br />

lavoro preliminare che farà da base per la realizzazione del progetto iniziale nella sua<br />

interezza. L’equipe di lavoro ha ridefinito gli obiettivi del Progetto ridimensionando e<br />

ricalibrando il progetto stesso. Quindi è stato individuato come scopo della presente ricerca:<br />

correlare i risultati a test neuropsicologici che indagano la capacità di astrazione, di problem<br />

solving e le funzioni esecutive in genere, ad aspetti psicopatologici e di personalità peculiari<br />

nell’Anoressia Nervosa (attitudini alimentari, temperamento e carattere, consapevolezza di<br />

malattia, immagine corporea) e alla gravità dello stato nutrizionale.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Lo studio ha per cui previsto il reclutamento di 15 pazienti anoressiche con indice di massa<br />

corporea inferiore a 17.5, reclutate presso il Centro DCA ed un gruppo di controllo formato da<br />

15 donne con indice di massa corporea compreso tra 18 e 21, associate per età, scolarità e<br />

livello socio-culturale alle pazienti. Il progetto di ricerca si è articolato in tre fasi (di cui<br />

l’ultima ancora in corso)<br />

220


1. Training dei valutatori sulla somministrazione dei test neuropsicologici usati.<br />

2. Valutazione psichiatrica-nutrizionale iniziale, effettuata tramite colloquio e test etero- ed<br />

auto-somministrati:<br />

a) EDI-II (disturbi del comportamento alimentare), TCI (personalità), STAXI (rabbia),<br />

SCL-90 (sintomatologia psichiatrica generale), BSQ (immagine corporea), come test<br />

autosomministrati.<br />

b) CGI (gravità clinica), HAM-A (ansia), HAM-D (depressione SUMD (consapevolezza<br />

di malattia), come test eterosomministrati.<br />

c) La valutazione degli indici nutrizionali e del quadro metabolico-nutrizionale tramite<br />

visita dietologica ed esami ematochimici e strumentali.<br />

d) La valutazione neuropsicologica: Wisconsin Card Sorting Test (WCST), Prove di<br />

fluenza verbale (orale-scritta); Trail Making A e B, Continuous Performance Test<br />

(CPT), N-Back Test;<br />

3. Elaborazione dei dati e sintesi dei risultati ottenuti.<br />

RISULTATI<br />

1. I due gruppi di soggetti si differenziano nel BMI, essendo le pazienti anoressiche più<br />

magre (media = 15.3 SD= 1.7) rispetto ai controlli (media = 19.8 SD = 2.5), ed in molte<br />

variabili dell’EDI-2 e nel punteggio totale del BSQ. Inoltre le pazienti AN mostrano una<br />

tendenza a reprimere la rabbia ed un temperamento portato alla rabbia. I livelli di<br />

depressione al BDI e all’HAM-D sono più elevati che nel gruppo controllo. L’SCL 90<br />

rileva tratti ossessivi e depressivi. Al TCI le pazienti mostrano differenze significative<br />

rispetto ai controlli nelle dimensioni HA (più elevata) e SD e C (più basse).<br />

2. Le pazienti affette da AN h<strong>anno</strong> mostrato deficit nelle capacità di astrazione e di problem<br />

solving rispetto ai controlli sani. Infatti in tutte le prove che indagano tali aspetti (WCST,<br />

N-BACK, CPT, Prove di fluenza verbale e trail-making) le pazienti h<strong>anno</strong> ottenuto in<br />

genere risultati peggiori rispetto ai controlli sani.<br />

3. Dal punto di vista nutrizionale sono state raccolti parametri bio-umorali che potessero<br />

essere correlati sia alla gravità della sintomatologia psichica che al funzionamento<br />

neurocognitivo. Data però la molle di indagini e l’esiguo numero di soggetti, è stato<br />

possibile riscontrare differenze rispetto ai controlli sani, mentre non è stato possibile<br />

reperire associazioni significative tra tali alterazioni ed le prestazioni nell’esecuzione dei<br />

test neuropsicologici.<br />

4. Rispetto alle correlazioni tra rigidità di pensiero come misurata dai test neuropsicologici e<br />

consapevolezza di malattia sono emerse alcune preliminari evidenze: le pazienti con<br />

minore consapevolezza di malattia sono anche le pazienti con peggiori risultati nei test<br />

neuropsicologici, vale a dire con una maggiore rigidità di pensiero.<br />

CONCLUSIONI<br />

Nonostante i risultati ottenuti siano da considerarsi come preliminari, bisogna sottolineare<br />

come lo studio abbia evidenziato come le pazienti affette da AN presentino un quadro<br />

psicopatologico spesso grave e complicato che sembra solo in parte correlato al quadro<br />

nutrizionale. O ancora per lunghi periodi le pazienti anoressiche nonostante la magrezza<br />

patologica possono vivere periodi di discreto compenso nutrizionale e psicologico, ma il<br />

disturbo con il passare del tempo diventa sempre più difficile da trattare: questo perché le<br />

alterazioni nelle modalità di pensiero astratto tendono a divenire più gravi, a compromettere la<br />

capacità di critica, minando la consapevolezza di malattia e quindi riducendo la motivazione<br />

verso le cure proposte.<br />

221


Elisabetta Fea Filone tematico B1<br />

Valutazione della diffusione di alimenti contenenti sostanze ad azione<br />

estrogenica commercializzati in <strong>Piemonte</strong><br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Fisiologia Clinica<br />

RAZIONALE ED OBIETTIVI<br />

Gli alimenti risultano una potenziale via espositiva ad alcune sostanze presenti nell'ambiente<br />

definite “Endocrine Disruptors” (ED), interferenti del sistema endocrino: i fitoestrogeni di<br />

origine naturale e i fitofarmaci di origine antropica. Gli ED h<strong>anno</strong> la capacità di legarsi ai<br />

recettori degli estrogeni (ERs) e iniziare (agonisti) o inibire (antagonisti) l’azione estrogenosimile.<br />

Al fine di indagare questa potenziale attività si è proceduto alla messa a punto del test<br />

in vitro E-screen su cellule MCF-7. Questo è un saggio di screening specifico, in quanto<br />

focalizzato alla determinazione di sostanze con attività estrogenica, e si basa sulla semplice<br />

valutazione dell’attività proliferativa di cellule di tumore mammario (naturalmente ricche di<br />

ERs) capaci di crescere in presenza di estrogeni naturali e sintetici. L’estradiolo, utilizzato<br />

come controllo positivo, consente di esprimere, attraverso il confronto con i risultati di<br />

proliferazione rilevati nei campioni, una “concentrazione equivalente di estradiolo” (EEQ)<br />

fornendo una quantificazione ipotetica delle sostanze estrogeniche presenti nel campione<br />

testato; tale valore si esprime tramite il rapporto tra l’EC50 dell’estradiolo e quella del<br />

campione analizzato (EC50 è la concentrazione in grado di determinare il 50% dell’effetto<br />

proliferativi massimo). In una prima fase si è verificata la specificità del metodo e determinato<br />

il protocollo di lavoro; sono state selezionate due estrazioni per i campioni alimentari: la<br />

prima permette di estrarre in modo specifico gli isoflavoni, una delle categorie di composti<br />

chimici classificati come fitoestrogeni che insieme ai lignani h<strong>anno</strong> un effetto sull’organismo<br />

umano. La seconda estrae in modo aspecifico dall’alimento molecole di diversa origine,<br />

naturale ed antropica, che potenzialmente possono mimare l’ormone estrogenino.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Sono stati analizzati 14 diversi alimenti freschi, provenienti dalla grande distribuzione<br />

organizzata (GDO) e 27 diversi alimenti freschi, provenienti dal Polo Chimico Regionale<br />

Alimenti – ARPA <strong>Piemonte</strong> di La Loggia (TO), sui quali era stato eseguito il controllo per<br />

valutare la presenza di residui fitosanitari. Su ogni campione sono state eseguite le due<br />

estrazioni: si parte da una quantità nota di alimento (50 g) che, dopo essere stata<br />

opportunamente estratta, viene testata sulle colture cellulari a diverse concentrazioni<br />

(1mg/mL, 100 µg/mL, 10 µg/mL, 1 µg/mL). L’EC50 delle diverse curve di 17b-estradiolo<br />

eseguite tramite E-screen ha un valore medio di 1.01 ng/L (± 0.94 ng/L), mentre per i controlli<br />

positivi effettuati con i due isoflavoni genisteina e daidzeina l’EC50 è risultata<br />

rispettivamente 1.51 µg/L e 0.16 µg/L: come riportato in letteratura i due isoflavoni risultano<br />

essere almeno 3 - 4 ordini di grandezza meno potenti dell’estradiolo. Il primo gruppo di<br />

alimenti esaminati, provenienti dalla GDO e rappresentati da 9 tipi di verdura e legumi e 5 di<br />

frutta presenta un EC50 variabile tra 3 e 390 mg/L (6 - 9 ordini di grandezza meno potenti<br />

dell’estradiolo). L’EEQ media è di 3.79 ± 8.31 µg/Kg di alimento, per gli alimenti sottoposti<br />

ad estrazione specifica per gli isoflavoni, e di 2.38 ± 2.80 µg/Kg di alimento, per gli alimenti<br />

estratti in modo aspecifico. L’alimento che ha mostrato la maggiore attività proliferativa, a<br />

222


seguito dell’estrazione specifica, è la soia che in termini di EEQ ha valori di 24.3 µg/Kg<br />

alimento; altri alimenti di cui è nota la presenza di isoflavoni e che h<strong>anno</strong> risposto<br />

positivamente al test sono: broccoli (0.5 µg/Kg alimento), fagioli (1.0 µg/Kg alimento), carote<br />

(0.2 µg/Kg alimento), prugne (2.1 µg/Kg alimento), mele (1.1 µg/Kg alimento); altri alimenti<br />

h<strong>anno</strong> dato risposta positiva al test nonostante siano noti più per la presenza di lignani che non<br />

di isoflavoni: zucchine (0.2 µg/Kg alimento) e uno dei due campioni di limoni (0.5 µg/Kg<br />

alimento); infine per cavolfiori, per i quali si segnala la presenza in tracce di isoflavoni, non<br />

c’è stata risposta con il test applicato.<br />

Gli alimenti ottenuti dall’ARPA, rappresentati da 13 tipi di verdura e 14 di frutta, h<strong>anno</strong> un<br />

EC50 variabile tra 4 e 240 mg/L (6 - 9 ordini di grandezza meno potenti dell’estradiolo).<br />

L’EEQ media è di 3.11 ± 2.90 µg/Kg di alimento per gli alimenti sottoposti ad estrazione<br />

specifica per gli isoflavoni e 10.06 ± 4.17 µg/Kg di alimento per gli alimenti estratti in modo<br />

aspecifico (tale differenza è significativa applicando il T-test, p


Riccardo Ferracini Filone tematico C1<br />

Nuovo modello clinico per la quantificazione dell’attivazione degli<br />

osteoclasti da parte delle cellule metastatiche.<br />

ASO S. Giovanni Battista<br />

Struttura Complessa Ortopedia e Traumatologia<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Le metastasi ossee, tradizionalmente classificate come osteolitiche (che determinano<br />

riassorbimento osseo) od osteoblastiche (con neo-deposizione ossea), rappresentano una delle<br />

più gravi complicazioni per i pazienti oncologici e possono avere esiti fortemente invalidanti.<br />

La qualità di vita (QOL) dei pazienti affetti da tumori solidi peggiora a causa delle metastasi<br />

ossee e gran parte di essi accusano forti dolori o fratture patologiche. Le metastasi osteolitiche<br />

sono caratteristiche di alcuni tipi di tumori, più frequentemente i carcinomi polmonari,<br />

mammari, renali, e tiroidei. Il controllo della localizzazione primitiva con interventi<br />

chirurgici, radioterapia e terapia medica ha prolungato la vita dei pazienti affetti da tumore del<br />

polmone, pertanto sempre più frequentemente si assiste allo sviluppo di metastasi osteolitiche<br />

in tali pazienti. Attualmente, non esistono sistemi diagnostici in grado di prevedere l’insorgere<br />

della lesione ostreolitica, che è normalmente evidenziata mediante esami radiologici. Le<br />

cellule deputate alla degradazione del tessuto osseo sono gli osteoclasti (OC), originati dalla<br />

fusione di cellule mononucleate midollari circolanti nel sangue periferico, i precursori degli<br />

osteoclasti (OCP).<br />

METODI E RISULTATI<br />

E’ stato proposto che un aumento del numero di OCP circolanti sia responsabile di un<br />

riassorbimento patologico dell’osso. Questa ipotesi è stata confermata dall’osservazione che<br />

un numero elevato di OCP è stato rilevato nel sangue periferico di pazienti affetti da mieloma<br />

multiplo, malattia di Paget ed artrite psoriasica. In questa fase dello studio abbiamo<br />

focalizzato la nostra attenzione sullo studio dei carcinomi del polmone non a piccole cellule,<br />

in quanto tale patologia presenta un’elevata potenzialità metastatica, sostenuta da almeno tre<br />

fattori: la ricca vascolarizzazione; l’estesa rete linfatica del polmone; la costante motilità del<br />

torace che facilita la diffusione. I siti metastatici più frequenti sono l’osso, il fegato, le<br />

ghiandole surrenali ed il cervello. Una prima serie di dati raccolti dall’analisi di sangue<br />

periferico di pazienti affetti da tumori polmonari con metastasi osteolitiche, ha evidenziato<br />

anche in questo modello patologico, un aumento di OCP circolanti che sembrano correlare<br />

direttamente col decorso clinico della malattia. I pazienti inclusi nel progetto di ricerca, sono<br />

stati sottoposti ad un prelievo ematico dal quale sono state separate le cellule mononucleate di<br />

sangue periferico (PBMC). I PBMC sono stati coltivati in presenza ed in assenza dei fattori di<br />

differenziamento M-CSF e RANKL e dopo 15 giorni gli OC maturi sono stati identificati<br />

mediante colorazione immunoistochimica per la fosfatasi acida tartrato resistente (TRAP). Per<br />

valutare l’effettiva capacità di riassorbimento degli OC, i PBMC dei pazienti sono stati<br />

coltivati su matrice inorganica simile all’osso. Le cellule sono state piastrate in presenza e in<br />

assenza dei fattori di crescita, al termine sono stati identificati e contati gli OC e rimosse tutte<br />

le cellule dal substrato, rendendo evidenti le lacune di riassorbimento. Il saggio di<br />

osteoclastogenesi spontanea è definita come la formazione di OC regolata positivamente e<br />

negativamente da un complesso sistema di segnali che coinvolge l’attivatore del recettore del<br />

224


fattore di trascrizione NF–kB (RANK) ed il ligando dell’attivatore del recettore di NF-kB<br />

(RANKL), membri della famiglia del fattore di necrosi tumorale (TNF-alfa). I dati raccolti su<br />

questo saggio in vitro h<strong>anno</strong> permesso di osservare il rapporto causa-effetto tra<br />

osteoclastogenesi spontanea e la presenza di lacune di riassorbimento, indice di un attivo<br />

rimodellamento osseo a carico degli OC. I sieri ed i surnatanti delle colture, raccolti durante il<br />

periodo di crescita degli OC in vitro, sono stati testati per valutare la presenza di fattori proosteoclastogenici.<br />

In particolar modo l’interleuchina-7 è presente a livelli elevati nei sieri dei<br />

pazienti con metastasi ossee rispetto ai controlli normali; e nei surnatanti questa citochina<br />

svolge un ruolo fondamentale nel differenziamento degli OC. Inoltre, il fatto che la citochina<br />

infiammatoria TNF-alfa sia presente ad alti livelli nei surnatanti delle colture, mentre RANKL<br />

(noto fattore di controllo dell’osteoclastogenesi classica) sia presente in minime quantità,<br />

suggerisce che l’osteoclastogenesi spontanea è regolata da un meccanismo TNF-alfa<br />

dipendente e RANKL indipendente. I parametri emato-chimici standard comunemente usati<br />

per monitorare il metabolismo osseo dei pazienti sono: Calcemia, Fosforemia, Fosfatasi<br />

Alcalina, Cross-links del collagene e PTH. I pazienti sono stati sottoposti a questi esami alla<br />

diagnosi e durante i follow-up. I dati degli esami emato-chimici sono confrontati con i risultati<br />

ottenuti dal saggio di osteoclastogenesi sugli stessi pazienti. Dati preliminari dimostrano che il<br />

saggio di osteoclastogenesi sembra avere un riscontro diagnostico, e può essere usato per una<br />

diagnosi preventiva di metastasi ossee. Se tale saggio si confermerà utile nel predire la<br />

formazione di lesioni ossee, esso potrà rapppresentare un importante strumento, assieme alla<br />

terapia precoce con bisfosfonati, per il trattamento dei pazienti affetti da cancro con elevato<br />

rischio di metastatizzazione ossea. Al fine di ottenere un valore statisticamente significativo<br />

sulle capacità predittive del saggio di osteoclastogenesi, stiamo raccogliendo un’ampia<br />

casistica e quindi i dati conclusivi di questo studio non sono ancora disponibili.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

Le attività svolte dal gruppo di ricerca di Osteoncologia del Dr. Ferracini Riccardo sono<br />

relazionate nelle seguenti pubblicazioni:<br />

Roato I, Grano M, Brunetti G, Colucci S, Mussa A, Berretto O, Ferracini R “Mechanisms of<br />

spontaneous osteoclastogenesis in cancer with bone involvement” FASEB J, 2005<br />

Roato I, Brunetti G, Gorassini E, Grano M, Colucci S, Buffoni L, Ruffini E, Manfredi R,<br />

Mussa A, Bertetto O, Ferracini R “IL-7 up-regulates TNF-alpha-dependent osteoclastogenesis<br />

in patients affected by solid tumor”submitted 2006.<br />

225


Ezio Ferroglio Filone tematico D2<br />

Indagine sul reale status dell'echinococcosi/idatidosi in <strong>Piemonte</strong><br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento diProduzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia<br />

OBIETTIVO<br />

Lo studio ha ampliato, considerando i risultati ottenuti e la comparsa di nuove emergenze<br />

sanitarie, il proprio spettro d’interesse andando ad analizzare anche la situazione nel<br />

patrimonio bovino, estendendo la ricerca alla volpe per la ricerca di Echinococcus<br />

multilocularis, e valutando anche, tramite l’analisi delle SDO, la situazione nell’uomo.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Per valutare la reale prevalenza dell’idatosi negli ovini sono state analizzate 88 pecore adulte<br />

regolarmente macellate presso i macelli della regione. Di queste 34 provenivano da<br />

allevamenti regionali e 8 (24%) sono risultate positive. Le restanti 54 pecore provenivano<br />

dalla Francia e di queste solamente 3 (5.6%) sono risultate positive. Per quanto riguarda i cani<br />

sono stati testati con un test ELISA per la ricerca del coproantigene di Echinococcus spp. 114<br />

cani da pastore provenienti da 29 allevamenti ovini della regione. Trentadue cani appartenenti<br />

a 19 allevamenti sono risultati positivi (28.1%) secondo i parametri del test. La positività di<br />

uno di questi soggetti, deceduto per altre cause, è stata confermata all’esame necroscopico del<br />

tratto digerente. Per valutare il rischio legato alla presenza del lupo sono stati inoltre analizzati<br />

210 campioni fecali di lupo provenienti dalla Valle Stura (34), Val Susa (55) e Val Pesio<br />

(121) di cui 55 (26.9%) sono risultati positivi al test del coproantigene. Nessuno dei 7 lupi<br />

analizzati è risultato positivo al test del coproantigene, alla PCR ed alla ricerca diretta del<br />

parassita. L’indagine è stata estesa ai bovini e tramite attivazione contatti con macelli<br />

autorizzati (INALCA) sono stati reperiti i dati relativi a 43838 bovini piemontesi macellati<br />

nell’ultimo triennio di cui 133 (0.30% sono risultati positivi). Considerata la costanza di<br />

segnalazioni da Echinococcus multilocularis in aree alpine italiane si è provveduto ad attivare<br />

un sistema di sorveglianza sulle volpi nel Verbano-Cusio-Ossola che è l’area confinante con il<br />

focolaio svizzero a noi più vicino. Sono state raccolte ed analizzate 89 volpi di cui 7 positive<br />

al test del coproantigene. Nessuno dei 7 soggetti positivo al test ELISA per la ricerca del<br />

coproantigene è risultato positivo alla ricerca del DNA del parassita con la PCR ed all’esame<br />

diretto effettuato sul pacchetto intestinale dei soggetti.<br />

CONCLUSIONI<br />

L’analisi delle SDO ha permesso di evidenziare un marcato aumento dei casi umani che si<br />

erano mantenuti al disotto della decina dal 1998 al 2002, mentre nel <strong>2003</strong> e 2004 sono saliti<br />

rispettivamente a 29 e 37. In molti casi i pazienti sono di origine extracomunitaria e quindi<br />

non è possibile ad ora conoscere se ritratta di infestazioni acquisite in <strong>Piemonte</strong>. Sono in corso<br />

gli approfondimenti del caso per chiarire anche questo punto. L’analisi dei risultati ottenuti<br />

mostra chiaramente come l’echinococcosi/idatidosi sia una zoonosi che, nonostante l’ormai<br />

più che trentennale normativa, è ancora presente in <strong>Piemonte</strong> con dei valori assolutamente<br />

non trascurabili. In particolare emerge come i dati rilevati, sia pur ottenuti su campioni ridotti<br />

siano significativamente superiori a quelli ufficiali. In particolare discordano fortemente i dati<br />

226


delle positività al macello, che per gli ovini sono inferiori allo 0.05%, e quanto da noi rilevato<br />

sul campo. A supporto dei dati da noi ottenuti va segnalato come oltre il 30% delle pecore<br />

predate da lupi siano comunque positive per la presenza di almeno un’idatide e questo<br />

giustifica le positività al test del coproantigene rilevate nelle feci di lupo. Il dato rilevato negli<br />

ovini macellati, già di per se preoccupante, e ulteriormente suffragato dalle positività rilevate<br />

nei cani. Anche se il test del coproantigene fornisce una sovrastima, a causa delle possibili<br />

cross-reattività con altri Tenidae, il valore riscontrato è comunque elevatissimo. L’assenza di<br />

un capillare controllo e di un’anagrafe ovi-caprina affidabile, la crescente presenza di cittadini<br />

di origini extracomunitarie per le quali la carne di pecora rappresenta un alimento ricercato,<br />

nonché il costo della macellazione presso macelli ufficiali favoriscono probabilmente una<br />

diffusa pratica di macellazioni clandestine. L’importanza della macellazione clandestina nel<br />

mantenimento del ciclo del parassita e infatti ben conosciuta e documentata. La segnalazione<br />

di positività negli ovini al macello attiva le disposizioni di legge vigenti, ma il trattamento del<br />

cani aziendali non viene controllato e spesso è eseguito in modo inappropriato (nessuno tiene<br />

il cane in ambiente confinato e provvede alla distruzione delle feci). Questo giustifica il<br />

mantenimento, con i valori individuati, di questa parassitosi nelle aree piemontesi. Le<br />

tipologia delle positività riscontrate nei bovini, su un campione di 130 le cisti esaminate erano<br />

tutte sterili, lascia supporre come questa specie appaia come vittima piuttosto che come<br />

serbatoio dell’infestazione. E’ presumibile che le positività nei bovini siano riconducibili ad<br />

ingestione di alimenti contaminati dalle feci di cani al seguito delle greggi ovine transumanti.<br />

L’assenza di positività per E.multilocularis nelle volpi indica come questa grave zoonosi non<br />

abbia ad oggi ancora varcato l’arco alpino. La segnalazioni di decine di casi in Trentino-Alto<br />

Adige, indica però come il rischio di una sua diffusione verso il versante italiano delle Alpi<br />

sia una reale minaccia per la salute pubblica. Per quanto riguarda i casi umani andrà<br />

approfondita l’analisi epidemiologica, anche con l’aiuto ove possibile della genetica<br />

molecolare, dei casi per verificare se si tratta di casi importati o se sono effettivamente casi<br />

autoctoni.<br />

227


Giorgio Fezia Filone tematico D2<br />

Indagine sierologica sulla presenza di infezione da BIV (Bov<br />

Immunodeficency Virus) in bovini da latte in <strong>Piemonte</strong><br />

Istituto Zooprofilattico Sperimentale del <strong>Piemonte</strong>, Liguria e Valle D’Aosta – Sezione di Alessandria<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La positività sierologica nei confronti della Biv è stata segnalata in molte nazioni del mondo.<br />

La prevalenza dell’infezione nel sud degli Stati Uniti ed in Francia si attesta attorno al 4%,<br />

mentre in Canada ed Olanda è del 5.5 %. In Italia esiste un unico studio condotto<br />

dall’Università di Parma del 1998 dove si segnala una percentuale di positività sierologica<br />

valutata al 5.8 %. E’ stata inoltre osservata una più elevata prevalenza in vacche da latte<br />

rispetto a quella da riproduzione o da carne. Il Virus dell’immunodeficienza bovina (BIV)<br />

appartiene ai lentivirus ed è stato isolato per la prima volta nel 1969 in una vacca da latte. Il<br />

soggetto presentava linfocitosi, linfoadenopatia, e lesioni al sistema nervoso centrale.<br />

L’impatto della BIV sulla salute dei bovini è ancora un argomento discusso ed uno delle<br />

difficoltà nell’assegnarle un ruolo patogeno è legata alle metodiche utilizzate. Sebbene sia<br />

stata segnalata in diverse parti del mondo, le performances dei metodi utilizzati spesse volte<br />

sono inattendibili per la presenza di falsi positivi e per la circolazione negli allevamenti di più<br />

ceppi virali (Biv –R29, Biv Fl112, Biv Fl 491). Per tale motivo è nata la necessità di utilizzare<br />

un metodo che riconosca i principali gruppi. La metodica immunoenzimatica (EIA) per la<br />

ricerca di anticorpi anti peptidi transmembrana di molti lentivirus si è dimostrato molto<br />

utile per individuare le infezioni da FIV del gatto, da HIV nell’uomo, per EIAV(Anemia<br />

infettiva equina) e CAEV (artrite encefalite caprina). In base a queste considerazioni,<br />

recentemente, il Central Veterinary Laboratory inglese, adottando questa strategia, ed<br />

utilizzando la TM glicoproteina dell’envelope del virus BIV, ha isolato il determinante<br />

antigenico immunodominante che è stato utilizzato per questa ricerca.<br />

MATERIALI E METODI<br />

La prova è stata effettuata presso i laboratori del dipartimento di Biotecnologie della sede di<br />

Torino. Sono stati utilizzati n°261 sieri di bovino provenienti dalle province di Alessandria e<br />

Torino, appartenenti a 4 diversi allevamenti. Si tratta di soggetti di sesso femminile, altamente<br />

selezionati e di età superiore ai 3 anni, da stalle indenni da Leucosi bovina enzootica.<br />

L’antigene utilizzato, costituito dai peptici sintetici (TM) è stato fornito dal Dipartimento di<br />

virologia del Central Veterinary Laboratory (CVL) - Surrey (GB), così come i sieri positivi,<br />

negativi ed il protocollo operativo. Non esistendo in commercio kit adatti alla ricerca si è<br />

proceduto alla preparazione delle piastre a 96 pozzetti secondo lo “Standard Operative<br />

Procedure” del “Veterinary Laboratory Agency” con l’utilizzo di siero di capra per preparare<br />

la soluzione di bloccaggio e coniugato di topo anti IgG bovine. La preparazione delle piastre<br />

ha richiesto l’incubazione per una notte a temperatura di refrigerazione, mentre i risultati della<br />

prova si sono ottenuti durante la giornata. I campioni di siero sono stati testati- replicati in<br />

doppio per evitare possibili errori di dispensazione ed in ogni piastra sono stati aggiunti i<br />

campioni sicuramente positivie negativi. I sieri ed i controlli sono stati preventivamente diluiti<br />

1:10. La lettura è stata effettuata utilizzando un fotometro con filtri a lunghezza d’onda di<br />

405nm. Per l’interpretazione dei risultati è stato stabilito un valore soglia così determinato:<br />

(valore di assorbanza del bianco – valore assorbanza controllo negativo) / (valore assorbanza<br />

controllo positivo – valore di assorbanza del controllo negativo).<br />

228


I campioni con un valore superiore alla soglia (cutt-off) individuato sono stati riconosciuti<br />

come positivi, mentre gli inferiori come negativi.<br />

CONCLUSIONI<br />

Sono stati testati n° 261 campioni di sangue bovino. Sono risultati positivi n° 2 sieri<br />

corrispondenti ad una percentuale del 0.7 %. La ricerca conferma la presenza di infezione<br />

anche nella <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong>, sebbene con una bassissima prevalenza. L’indagine iniziata<br />

meriterebbe ulteriori approfondimenti sullo stato di salute degli animali colpiti, per valutare la<br />

presenza di manifestazioni cliniche riportate in letteratura.<br />

229


Dario Fontana Filone tematico C1<br />

<strong>Ricerca</strong> di nuovi markers e antigeni di possibile utilità diagnostica<br />

mediante approccio proteomico nei tumori urologici<br />

Università degli Studi di Torino - Dipartimento di Discipline Medico-Chirurgiche<br />

Divisione Universitaria di Urologia II<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La disponibilità di markers specifici, soprattutto se dosabili su liquidi biologici di facile<br />

prelievo quali sangue o urine, può influenzare profondamente i protocolli diagnostici e<br />

terapeutici permettendo diagnosi precoci e quindi tassi di guarigione più elevati; ne è stato un<br />

esempio l’enorme incremento delle diagnosi di carcinoma prostatico in stadi iniziali,<br />

suscettibili quindi di terapia con intento radicale, promossa dalla diffusione del dosaggio<br />

dell’Antigene Prostatico Specifico (PSA). Per la maggior parte dei tumori non sono ancora<br />

noti antigeni specifici; in particolare, non sono noti markers tumorali clinicamente utilizzabili<br />

per neoplasie urologiche di ampia diffusione ed elevato impatto sociale quali il carcinoma<br />

uroteliale della vescica e il carcinoma a cellule renali.<br />

OBIETTIVO<br />

L’obiettivo del nostro lavoro è stata la messa a punto di tecniche che consentissero lo studio<br />

delle modificazioni del proteoma nelle cellule di tessuti tumorali rispetto a quelle provenienti<br />

da tessuti sani, la caratterizzazione delle proteine identificate e lo studio dell’espressione in<br />

PCR quantitativa di alcuni RNA messaggeri relativi a proteine correlate con il fenotipo<br />

tumorale.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Sono stati utilizzati campioni di 12 neoplasie renali e di 10 neoplasie vescicali prelevati da<br />

pezzi operatori di nefrectomia radicale e cistectomia radicale (il prelievo è stato eseguito in<br />

modo da non inficiare per nulla la qualità del campione da inviare all’esame istopatologico);<br />

dagli stessi pezzi operatori sono stati prelevati campioni (di analoghe dimensioni) di tessuto<br />

sano. I campioni sono stati trasportati al laboratorio in ghiaccio secco e qui conservati in<br />

congelatore in attesa del processing. Uno degli scopi del nostro lavoro è stato di approntare<br />

una metodica che consentisse di migliorare i protocolli di studio di espressione proteomica e<br />

genomica su piccoli campioni bioptici. Abbiamo quindi messo a punto una tecnica di<br />

estrazione miniaturizzata per purificare proteine ed acidi nucleici dallo stesso campione.<br />

Inoltre, per ridurre la quantità di proteine necessarie per l’analisi, abbiamo ottimizzato una<br />

separazione mediante elettroforesi 2D di piccolo formato e ne abbiamo confrontato<br />

l’efficienza con il formato normalmente utilizzato. I risultati ottenuti h<strong>anno</strong> indicato che<br />

utilizzando un quinto delle proteine che normalmente si utilizzano nell’elettroforesi a largo<br />

formato, abbiamo ottenuto, con l’elettroforesi di piccolo formato, lo stesso numero di spots<br />

con una risoluzione molto simile. Le proteine separate nei gel sono state identificate mediante<br />

MALDI-TOF peptide mass fingerprinting. L’identificazione è avvenuta in seguito a proteolisi<br />

”in situ” degli spots elettroforetici. Il digerito triptico è stato depositato e fissato su matrice<br />

solida. I digeriti triptici sono stati quindi analizzati ed il “peptide map” ottenuto è stato<br />

confrontato con le mappe peptidiche predette dalle sequenze geniche. Considerando solo le<br />

proteine con abbondanza relativa alta, le metodiche utilizzate h<strong>anno</strong> consentito di identificare<br />

circa 300 proteine su gel convenzionale e 140 con gel a formato ridotto. Tuttavia è stato<br />

230


possibile ottenere livelli di sensibilità simili tra le due tecniche analizzando le proteine con<br />

abbondanza relativa più bassa con le tecniche di spettrometria di massa (Q-TOF). La misura<br />

quantitativa dell’espressione genica è stata fatta, sugli mRNA ottenuti dagli stessi prelievi di<br />

tessuto, alfine di caratterizzare meglio le proteine identificate utilizzando la Real-Time RT-<br />

PCR. Si è utilizzato il SYBR-Green come marcatore fluorescente poiché possiede una buona<br />

sensibilità. La specificità si è ottenute grazie all’utilizzo delle curve di melting. Ogni reazione<br />

di PCR è stata ottimizzata in modo da ottenere la migliore efficienza. Gli mRNA estratti da 10<br />

mg di tessuto sono risultati sufficienti per eseguire circa 1000 tests di Real-time PCR.<br />

CONCLUSIONI<br />

L'utilizzo del protocollo per lo studio del corredo proteomico e dell'espressione genica da noi<br />

utilizzato ha fornito quindi risultati tecnici soddisfacenti, pur effettuando prelievi di tessuto di<br />

minima entità (al massimo 10 mg), senza ostacolare l'esecuzione del normale esame<br />

istopatologico. Il confronto tra tessuti sani e tessuti tumorali attraverso l’analisi<br />

bidimensionale e l’analisi mediante MALDI-TOF ha consentito di evidenziare proteine<br />

espresse in maniera differenziale tra tessuti sani e tumorali. La definizione di proteine<br />

specifiche sarà seguita dalla valutazione della loro utilità diagnostica (ovviamente maggiore<br />

se dosabili in liquidi biologici quale sangue o urine). Le tecnologie proteomiche possono<br />

peraltro fornire dati utilizzabili anche in altre direzioni, quali lo studio delle modificazioni di<br />

alcune proteine indotte da mutazioni correlate all’insorgenza e crescita della neoplasia o la<br />

caratterizzazione di antigeni tumorali utilizzabili oltre che per fini diagnostici anche per il<br />

possibile sviluppo di vaccini tumorali.<br />

231


Ettore Fontana Filone tematico B1<br />

Prevalenza di Listeria monocytogenes nel gorgonzola della <strong>Regione</strong><br />

<strong>Piemonte</strong><br />

Istituto Zooprofilattico Sperimentale del <strong>Piemonte</strong>, Liguria e Valle D’Aosta<br />

La ricerca bibliografica ha permesso di conoscere il processo produttivo del gorgonzola, per<br />

identificare i punti a rischio per la permanenza di Listeria monocytogenes (L.m.). I dati<br />

bibliografici dimostrano che raramente alla positività per L.m a livello ambientale e in crosta<br />

si accompagna una positività nella pasta, il che fornisce una valida motivazione alle analisi<br />

effettuate nel nostro Paese, che richiedono l’assenza di L.m dalla sola pasta, trattandosi di un<br />

formaggio a crosta non edibile. In altre nazioni viene invece richiesta l’assenza in crosta e<br />

pasta, il che, in passato, ha comportato allerte internazionali a carico di produttori italiani.<br />

Inoltre, da studi precedenti, si evince che i fattori correlati alla presenza di Listeria sono<br />

dovuti non solo all’ambiente ma anche a caratteri morfologici della forma. Queste ed altre<br />

caratteristiche sono state considerate e <strong>anno</strong>tate al momento del prelievo, allo scopo di<br />

evidenziare l’eventuale presenza di fattori di rischio. In base ai dati regionali ed a quelli<br />

forniti dal consorzio, sono stati prelevati campioni di costa consistenti in pool di almeno 5<br />

forme, da tutti i lotti a fine stagionatura presenti nelle celle.<br />

In particolare sono stati prelevati quelli ad uno stadio di 10-15 giorni dal momento della<br />

commercializzazione. Contestualmente è stata prelevata anche la pasta, conservata in cella<br />

frigo e analizzata nel caso in cui la crosta fosse risultata positiva. Il prelievo dei tamponi<br />

ambientali è stato effettuato nei locali di stagionatura individuando da 15 a 25 punti per ogni<br />

impianto, in relazione alle dimensioni ed alla struttura dello stesso. È stato infine conservato<br />

ed utilizzato come tampone un calzare degli operatori che h<strong>anno</strong> effettuato i prelievi. Poiché<br />

un lavoro analogo era in corso presso l’IZS di Brescia l’elenco degli stagionatori è stato<br />

concordato, in modo da eseguire i prelievi una sola volta presso ogni stabilimento. Pertanto in<br />

<strong>Piemonte</strong> sono stati visitati 14 stabilimenti di stagionatura. Tutti i campioni sono stati<br />

prelevati con strumento sterile e conservati in sacchetti per stomacher sterili e sigillati,<br />

all'interno di contenitore termico. I prelievi sono stati effettuati dal borsista accompagnato da<br />

personale dell’ASL 13 e ASL 17. Allo scopo di uniformare le tecniche di prelievo è stato<br />

seguito il protocollo concordato con i colleghi dell’ IZS di Brescia, già allegato allo stato di<br />

avanzamento. In aggiunta a questo è stata creata una check list avente l’obiettivo di<br />

evidenziare caratteristiche peculiari dei singoli prodotti o ambienti, da mettere in relazione<br />

con eventuali positività per L. monocytogenes. Le analisi sono state effettuate presso il<br />

laboratorio Controllo Alimenti dell’ Istituto Zooprofilattico Sperimentale del <strong>Piemonte</strong>,<br />

Liguria e Valle d’Aosta con il metodo VIDAS L.m II (July 3rd, 2002 - Attestation Bio-12/9-<br />

07/02), o con metodica tradizionale; la conferma ha seguito il metodo AFNOR e conta della<br />

L.m con metodo ISO 11290/2:1997.<br />

I ceppi identificati su base biochimica come L.monocytogenes sono stati conservati in<br />

criobank, e sottoposti a PFGE e sierotipizzazione da parte del Settore di Ispezione degli<br />

alimenti- Dipartimento di Patologia Animale - Università degli Studi di Torino. Per quanto<br />

riguarda la PFGE, l’analisi è stata condotta seguendo il protocollo proposto da PulseNet<br />

(Graves et Swaminathan, 2001). Il DNA genomico è stato digerito con gli enzimi di<br />

restrizione ApaI ed AscI e successivamente sottoposto ad elettroforesi. Le immagini dei<br />

profili ottenuti sono state analizzate con il software BioNumerics (Applied Maths) e<br />

normalizzate in base alle corse di almeno 3 standard per gel. I valori di similarità sono stati<br />

232


calcolati tramite il metodo UPGMA con medie matematiche e coefficiente Dice dal software<br />

Bionumerics (1% optimization e 1% position tolerance per AscI, 1,2% position tolerance per<br />

ApaI).<br />

Per la sierotipizzazione si sono utilizzati Listeria Antisera "SEIKEN" (Denka Seiken, Tokyo,<br />

Japan) secondo il protocollo fornito dalla ditta produttrice. È stata apportata una modifica per<br />

la determinazione degli antigeni flagellari i microrganismi vengono seminati in BHI semisolido<br />

(0,2% agar) a 37°C per 3-4 volte e quindi inoculati in BHI liquido e incubati a 25°C<br />

per 48-96h. I risultati evidenziano nella maggior parte dei casi l'assenza del patogeno nella<br />

pasta, mentre in alcuni stabilimenti sono state riscontrate positività sia a livello ambientale sia<br />

a livello di crosta. Sono stati analizzati 57 campioni di formaggio – crosta: sono risultati<br />

positivi per L.m con metodo VIDAS 19 campioni, ma solo in 2 casi è stata confermata la<br />

presenza con metodo tradizionale. Uno di questi è risultato positivo anche su pasta. A livello<br />

ambientale sono stati analizzati 201 campioni, di cui 10 calzari e 191 tamponi. Sul totale sono<br />

risultati positivi per L.m con metodo VIDAS 59 campioni variamente dislocati, ed in 10 casi<br />

sono stati confermati. Percentuali così basse di identificazione di L. m. con il metodo<br />

tradizionale possono essere riconducibili alla contemporanea presenza di L. innocua, che ha<br />

capacità di replicazione superiore alla L. m., mascherandone a crescita. È stata riscontrata la<br />

presenza di L.m confermata con metodo tradizionale in asse stagionatura (2,5 %), ruota<br />

carrello (16,6 %), salamoia/salinatrice (11,11 %), ma la contaminazione ambientale risulta<br />

comunque forte se si osservano i dati in VIDAS (si va da una positività del 66,7% delle<br />

fascette al 7% dell’impianto di condizionamento, con una media del 36,7%).<br />

È stata osservata una correlazione tra la positività VIDAS ed il colore della crosta: croste<br />

arancioni risultano contaminate più frequentemente di quelle chiare: risultano infatti positive<br />

il 90% delle arancioni, il 60% di quelle bianche con muffa, 0% di quelle chiare, 25% di quelle<br />

gialle e 16,7% di quelle rosa chiaro. Sono state raccolte altre informazioni riguardanti la<br />

crosta, quali umidità, durezza, compattezza, presenza di fascette in legno o plastica allo scopo<br />

di evidenziare la presenza dei fattori di rischio per la presenza di L.m; tuttavia tale dato non<br />

sembra statisticamente correlato alla positività. I risultati della tipizzazione molecolare h<strong>anno</strong><br />

permesso di suddividere, in base ai profili di restrizione ottenuti, i 9 ceppi analizzati in 4<br />

PFGE-types per ApaI e in 5 PFGE-types per AscI. Si sono ottenuti 3 cluster per AscI e 4<br />

cluster per ApaI scegliendo come valore minino di similarità l’80%. Per quanto riguarda la<br />

sierotipizzazione, si sono riscontrati 2 sierotipi 1/2a (n°7) e 3a (n°2). Non è stata osservata<br />

correlazione tra pulsotipi e sierotipo; infatti pulsotipi identici sono stati ritrovati in sierotipi<br />

diversi.Si segnala che per la realtà in cui si è isolata L.m dai tamponi (n=3) e dalla pasta, si<br />

tratta di un unico pulsotipo.<br />

233


Marco Forni Filone tematico C1<br />

Espressione dell’MGMT (enzima riparazione DNA) nei gliomi maligni e<br />

correlazione con la risposta alla chemioterapia.<br />

A.S.O. O.I.R.M. S. Anna<br />

Servizio di Anatomia Istologia Patologica<br />

MATERIALI E METODI<br />

Lo studio ha permesso di analizzare oltre cinquanta tumori cerebrali, prevalentemente di<br />

individui adulti con prevalenza dei glomi maligni (astrocitomi anaplastici e gliobastomi).<br />

L’estrazione del DNA da tessuto fissato ed incluso in paraffina è stata effettuata su un numero<br />

maggiore di casi ma la qualità del DNA estratto, pur risultando soddisfacente in quasi il 90%<br />

dei campioni, non ha permesso di analizzare l’intera casistica clinica. La collaborazione con<br />

altre strutture ha permesso di analizzare tumori di pazienti operati in sedi anche lontane e<br />

riferiti solo per il trattamento chemioterapico. Il decorso clinico e il follow-up era valutabile<br />

in un numero più ridotto di casi. Il numero dei casi analizzati ha tuttavia permesso una<br />

valutazione statistica del significato prognostico della metilazione del promoter del gene<br />

MGMT.<br />

RISULTATI<br />

Sono stati studiati 43 casi di glioma maligno (33 dell’adulto e 10 del bambino), sottoposti a<br />

resezione chirurgica, seguita da radioterapia e chemioterapia a base di agenti alchilanti. Per<br />

quanto riguarda i glioblastomi, la metilazione del promoter del gene per la MTMT è stata<br />

ritrovata nel 42% dei casi dell’adulto contro solo il 10% del bambino, mentre nel caso degli<br />

astrocitomi anaplastici nel 60% dei casi dell’adulto e in nessun caso del bambino. É stato<br />

inoltre possibile effettuare nel sottogruppo dei glioblastomi dell’adulto una correlazione<br />

preliminare tra risposta/outcome dopo terapia con agenti alchilanti e la metilazione del<br />

promoter del gene MGMT.<br />

Sia la mediana di sopravvivenza (16 mesi) che la percentuale di sopravviventi a due anni<br />

(47%) nei pazienti con metilazione del promoter sono sovrapponibili a quella dello studio<br />

EORTC (21,7 mesi e 46%). Solo pazienti “metilati” sopravvivono tre anni. Appare<br />

ragionevole l’ampliamento dello studio in modo da comprendere non solo i glioblastomi, ma<br />

anche gli astrocitomi diffusi (grado II e III) e i tumori oligodendrogliali (grado II e III).<br />

La curva di sopravvivenza dei pazienti con promoter metilato appare significativamente<br />

migliore dei casi con promoter non metilato. Questa significatività statistica, pur con un<br />

numero limitato di casi indica l‘importanza della metilazione del promoter dell’MGMT come<br />

fattore prognostico nei gliomi maligni.<br />

CONCLUSIONI<br />

Il progetto ha permesso di valutare:<br />

1. la possibilità di ricercare importanti fattori prognostici molecolari da materiale diagnostico<br />

fissato e incluso in paraffina;<br />

2. la fattibilità di studi collaborativi tra diverse strutture regionali e nazionali;<br />

234


3. l’importanza di individuare fattori prognostici robusti come base razionale per trattamenti<br />

efficaci e per la ricerca di strategie terapeutiche innovative.<br />

I dati ottenuti sono stati presentati in forma di relazione al Congresso della Società Italiana di<br />

Neuro-Oncologia tenutosi a Napoli lo scorso novembre:<br />

a) I.Morra, M. Forni, M. Muscio, F. Pulerà, P. Cassoni, A. Ducati, M. Naddeo, G. Faccani,<br />

P. Peretta, L. Todisco, M. Nobile, R. Rudà, E. Trevisan e R. Soffietti. ”Correlazione tra<br />

metilazione del promoter del gene MGMT e aspetti prognostici nei gliomi dell’adulto e<br />

del bambino: risultati preliminari di uno studio retrospettivo del polo oncologo<br />

“Cittadella” di Torino””<br />

E’ in corso la stesura di un lavoro scientifico dettagliato sui dati ottenuti da questo progetto di<br />

ricerca.<br />

235


Paola Francia Di Celle Filone tematico C1<br />

Utilizzo della Real Time PCR per la quantificazione della MMR in pazienti<br />

con LLC-B sottoposti a terapia con Campath-1<br />

Azienda Ospedaliera S. Giovanni Battista di Torino<br />

CeRMS, Centro di <strong>Ricerca</strong> in Medicina Sperimentale<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La Leucemia Linfatica Cronica a cellule B (LLC-B) rappresenta la forma di leucemia<br />

dell’adulto più frequente nel mondo occidentale. Il decorso clinico è assai variabile e non<br />

esiste una strategia terapeutica uniforme ma piuttosto un atteggiamento nella cura che dipende<br />

dallo stadio clinico e dall’inquadramento prognostico dei pazienti. Una terapia convenzionale<br />

con Fludarabina e Ciclofosfamide (FC) può non essere sufficiente nel mantenere la<br />

remissione clinica e in alcuni casi si tentano nuove terapie più aggressive in grado di<br />

eliminare le cellule tumorali residue responsabili della ricaduta.<br />

Sono proprio la sperimentazione nella LLC-B di nuovi approcci terapeutici e di nuovi metodi<br />

di rilevazione della Malattia Minima Residua (MMR) i due fronti di approfondimento del<br />

nostro progetto: da un lato l’impiego in seconda linea terapeutica di un anticorpo monoclonale<br />

anti-CD52 (Campath-1) in pazienti con LLC-B resistenti a chemioterapia convenzionale o in<br />

progressione;dall’altro il disegno di una metodica affidabile di valutazione quantitativa<br />

molecolare della MMR tramite Real Time PCR.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Sono stati arruolati 10 pazienti con LLC-B (età media 50-65) di cui 3 in stadio B Binet, 5 in<br />

stadio C e 2 in stadio A in progressione.Tutti i pazienti risultano resistenti o in ricaduta dopo<br />

terapia con agenti alchilanti. La sperimentazione consiste di 4 cicli con FC (F:25mg/m2;<br />

C:250mg/m2) ogni 4 settimane; Campath-1 (Alemtuzumab, Schering AG) alla dose di 30 mg<br />

viene somministrato endovena due mesi dopo la chemioterapia, tre volte la settimana, per 4-8<br />

settimane. La risposta viene valutata in base a parametri clinici, immunofenotipici e<br />

molecolari dopo i 4 cicli di FC, dopo ogni ciclo di 4 settimane di Campath-1 e durante il<br />

follow-up.<br />

Analisi molecolari: il riarrangiamento clonale delle Immunoglobuline (Ig) di ciascun<br />

paziente è stato caratterizzato tramite studio delle regioni Ig FR1-JH in PCR e separazione<br />

delle bande homoduplex su gel di poliacrilamide. La componente monoclonale è stata<br />

sequenziata con metodo Big Dye Terminator su strumento AB310 (Applied Biosystems,USA)<br />

e sulla sequenza IgH sono stati disegnati primer specifici per le regioni CDR2 e CDR3 utili<br />

per lo studio qualitativo di MMR. Lo stesso disegno di PCR è stato allestito utilizzando il<br />

SYBR Green I come intercalante fluorescente per Real Time PCR e l’analisi quantitativa è<br />

stata condotta su strumento iCycler BIORAD, USA. Ogni riarrangiamento Ig è stato clonato<br />

nel plasmide pTZ57R e diluito a concentrazioni note (107-1) per generare una curva standard<br />

di calibrazione e misura del segnale. Analogamente è stato clonato un frammento del gene<br />

GAPDH che è stato impiegato come normalizzatore.<br />

236


RISULTATI<br />

Al termine della terapia con FC la valutazione clinica è stata di 4 pazienti in remissione<br />

completa (RC), 4 in remissione parziale (RP) e due pazienti stabili. Per tutti i pazienti è stato<br />

sequenziato il clone IgH ma soltanto i quattro casi (RC o RP) per cui l’analisi molecolare di<br />

primo livello ha dato risultato negativo sono andati allo studio qualitativo mediante primer<br />

sequenza specifica e quantitativo in Real Time PCR. L’analisi qualitativa ha evidenziato in<br />

due casi una risposta molecolare completa o parziale dopo Campath-1 seguita da recidiva<br />

molecolare con PCR positiva, non ha mostrato risposta in un terzo paziente mentre per il<br />

quarto ha documentato una remissione molecolare mantenuta nei tempi di valutazione del<br />

follow-up (5 mesi). Il metodo di Real Time PCR con SYBR Green ha mostrato un elevato<br />

grado di specificità (linfociti B policlonali sempre negativi e curve di melting costantemente<br />

uniche) e sensibilità (6,0 x 10-1). Analogamente all’analisi qualitativa, la quantificazione<br />

della MMR (numero di copie su mg di DNA e normalizzazione con GAPDH) ha mostrato per<br />

due pazienti una riduzione importante del segnale (1-2 log) fino alla negativizzazione dopo<br />

Campath-1 seguita da una ripresa di positività in PCR durante il follow up a 5 e 10 mesi.<br />

Il terzo paziente ha mantenuto positività in tutti i punti studiati (1-2 log) mentre il quarto<br />

paziente negativizzatosi già dopo FC è rimasto negativo fino all’ultimo punto di follow up<br />

analizzato.<br />

CONCLUSIONI<br />

La MMR nella LLC-B viene solitamente valutata con metodi qualitativi basati sulla<br />

specificità del riarrangiamento clonale delle Ig. L’introduzione di terapie aggressive in grado<br />

di eradicare le cellule tumorali residue ha reso necessario considerare sistemi quantitativi di<br />

monitoraggio della risposta molecolare cercando di standardizzare metodi altamente sensibili<br />

e riproducibili ma con costi contenuti e realizzabili nella routine diagnostica. Il nostro studio<br />

ha come finalità l’impiego in Real Time PCR del Sybr Green I come intercalante fluorescente<br />

del DNA per analisi molecolare quantitativa di un protocollo sperimentale terapeutico con<br />

Campath-1 per casi di LLC-B resistenti a chemioterapia convenzionale. In quattro dei dieci<br />

pazienti arruolati sono state condotte in parallelo la metodica qualitativa di riferimento e<br />

quella quantitativa utilizzando per entrambe come punti di specificità clonale le regioni CDR2<br />

e CDR3 del riarrangiamento IgH. La Real Time PCR con Sybr Green ottimizzata ha mostrato<br />

una buona specificità e una sensibilità 10-5-10-6, migliorativa rispetto ai metodi quantitativi<br />

comunemente basati su sonda e primer riarrangiamento specifici. Il metodo si è dimostrato di<br />

facile esecuzione e economico. L’impiego del Campath-1 nei quattro pazienti con LLC-B<br />

analizzati ha portato a risultati eterogenei ma promettenti e in un caso ha determinato la<br />

remissione molecolare. E’ necessario allargare lo studio all’intero gruppo di pazienti per una<br />

valutazione conclusiva del protocollo terapeutico e del nuovo metodo di analisi in Real Time<br />

PCR ideato.<br />

237


Gianluca Gaidano Filone tematico A2<br />

Varianti polimorfiche dei geni di riparazione del dna nei linfomi non-<br />

Hodgkin B: implicazioni patogenetiche e cliniche<br />

Università “A. Avogadro” del <strong>Piemonte</strong> Orientale<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La patogenesi dei linfomi non-Hodgkin B (LNH-B) è caratterizzata dall’accumulo di lesioni<br />

genetiche somatiche, acquisite progressivamente dal tumore. Lesioni genetiche provocate da<br />

agenti mutageni endogeni ed ambientali possono essere prevenute mediante attivazione dei<br />

meccanismi di riparazione del DNA. Alcuni polimorfismi costituzionali dei geni di<br />

riparazione del DNA alterano l’attività delle proteine codificate da questi geni e rappresentano<br />

un fattore di rischio per sviluppo di tumori. Varianti polimorfiche implicate nella<br />

tumorigenesi comprendono: i polimorfismi S326C di hOGG1, R399Q di XRCC1 e C8092A<br />

di ERCC1, tre geni implicati nel meccanismo di riparazione del DNA “Base Excision Repair”<br />

(BER); il polimorfismo L751G del gene XPD, coinvolto nel “Nucleotide Excision Repair”<br />

(NER); il polimorfismo T421M di XRCC3, gene coinvolto nella riparazione delle lesioni a<br />

doppia elica del DNA; e il polimorfismo I219L di hMLH1, gene implicato nel mismatch<br />

repair (MMR). I polimorfismi dei geni della riparazione del DNA possono favorire<br />

l’accumulo di lesioni genetiche somatiche, favorendo quindi la linfomagenesi. Inoltre,<br />

l’efficacia clinica di numerosi agenti chemioterapici può essere modulata dai polimorfismi dei<br />

geni di riparazione del DNA.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Abbiamo eseguito l’analisi del rischio relativo per LNH-B associato alle varianti polimorfiche<br />

di tre geni coinvolti nel meccanismo di riparazione del DNA tipo BER: XRCC1, hOGG1 e<br />

ERCC1 ed alle varianti polimorfiche del gene XPD, coinvolto nel NER, del gene XRCC3,<br />

implicato nella riparazione delle lesioni a doppia elica del DNA e del gene hMSH2, implicato<br />

nel MMR. L’analisi delle varianti polimorfiche è stata eseguita su un totale di 261 LNH-B<br />

suddivisi nelle varianti clinico-patologiche riconosciute dalla classificazione REAL/WHO. In<br />

particolare, abbiamo analizzato 150 linfomi diffusi a grandi cellule B (LDGCB), 10 leucemie<br />

a cellule capellute, 20 linfomi marginal a tipo MALT, 10 linfomi splenici della zona<br />

marginale, 10 linfomi linfocitici, 10 linfomi linfoplasmacitici, 30 linfomi follicolari, 21<br />

linfomi mantellari.<br />

Il gruppo di controllo è consistito in 400 campioni di DNA da sangue periferico di donatori<br />

sani matched per sesso, età e provenienza geografica. Mediante analisi PCR-RFLP del gene<br />

XRCC1, abbiamo identificato la presenza in omozigosi del polimorfismo G28152A in una<br />

rilevante frazione di LNH-B (34/204; 17%), mentre questo stesso polimorfismo è risultato<br />

essere significativamente meno frequente nei controlli sani (34/392; 8.7%; p=0.004).<br />

In particolare, il polimorfismo G28152A in omozigosi ha una prevalenza statisticamente<br />

significativa nei linfomi con andamento clinico aggressivo, quali il linfoma mantellare (6/21;<br />

29%; p=0.013) e il LDGCB (19/110; 17%; p=0.014), mentre è raro nella leucemia a cellule<br />

capellute (1/10; 10%), nel linfoma tipo MALT (1/18; 6%) e nel linfoma linfocitico (1/15;<br />

7%). Nel contesto dei geni coinvolti nel meccanismo di riparazione del DNA tipo BER, anche<br />

per il gene hOGG1 abbiamo potuto osservare una prevalenza statisticamente significativa nei<br />

238


pazienti con LNH-B. In particolare, la presenza in omozigosi del polimorfismo C1245G è<br />

stata riscontrata in 19/203 (9%) pazienti con LNH-B ma solamente in 10/307 (3.3%) controlli<br />

sani (p=0.0054). Analogamente a quanto osservato per il gene XRCC1, la variante<br />

polimorfica C1245G del gene hOGG1 è risultata significativamente più frequente nei LNH-B<br />

con andamento clinico aggressivo, quali i LDGCB e il linfoma mantellare (13/130; 10%;<br />

p=0.008). Nel contesto dei LNH-B ad andamento clinico indolente, abbiamo riscontrato<br />

un’incidenza significativamente superiore all’atteso della variante polimorfica C1245G del<br />

gene hOGG1nel linfoma marginale tipo MALT (3/18, 17%; p=0.029). Questa variante<br />

polimorfica, invece, risulta rara nel linfoma della zona marginale (0/6), nel linfoma<br />

linfoplasmacitico (0/8) e nel linfoma follicolare (1/16; 6%).<br />

A differenza di quanto osservato per i geni XRCC1 e hOGG1, la variante polimorfica<br />

C8092A del gene ERCC1 presenta una incidenza nei LNH-B (12/206; 6%) analoga a quella<br />

osservata nei controlli sani (30/362; 8.3%), anche se la frequenza di questo polimorfismo<br />

risulta essere eterogenea nelle varianti clinico-patologiche di LNH-B. La presenza in<br />

omozigosi di questo polimorfismo, infatti, risulta assente nella leucemia a cellule capellute<br />

(n=10), nel linfoma linfocitico (n=15) e nel linfoma marginale del MALT (n=18), mentre è<br />

rara nel LDGCB (6/112; 5.4%). Nel linfoma mantellare (2/21; 9.5%) e nel linfoma follicolare<br />

(2/16; 12%), la variante polimorfica C8092A del gene ERCC1 è presente in una percentuale<br />

di casi simile a quella attesa. Nel corso di questo progetto abbiamo analizzato, inoltre,<br />

l’incidenza di varianti polimorfiche di geni coinvolti in altri meccanismi di riparazione del<br />

DNA diversi dal BER.<br />

In particolare, abbiamo studiato la variante polimorfica A35931C del gene XPD, coinvolto<br />

nel NER; la variante polimorfica T421M di XRCC3, coinvolto nella riparazione delle lesioni<br />

a doppia elica del DNA; e la variante polimorfica I219L di hMLH1, implicato nel MMR.<br />

Complessivamente, la prevalenza della variante polimorfica A35931C del gene XPD è<br />

relativamente elevata nei pazienti con LNH-B (42/203; 21%), ma non è significativamente<br />

differente dalla prevalenza riscontrata nei controlli sani (58/386; 15%; p=0.085). Nelle<br />

diverse categorie clinico-patologiche di LNH-B, l’incidenza di casi con variante polimorfica<br />

A35931C è prevalente nel linfoma linfocitico (5/15; 33%) e nella leucemia a cellule capellute<br />

(3/10; 30%), mentre è ridotta nel linfoma mantellare (3/21; 14%) e nel linfoma follicolare<br />

(1/16; 6%). La variante polimorfica T421M di XRCC3 è stata riscontrata con una frequenza<br />

sovrapponibile nei pazienti con LNH-B (31/203; 15%) e nei controlli sani (51/368; 14%;<br />

p=0.71). Nel contesto dei LNH-B, inoltre, l’incidenza di casi con variante polimorfica T421M<br />

è simile nelle diverse categorie clinico-patologiche della malattia. Analogamente, anche per la<br />

variante polimorfica A676G del gene hMLH1 abbiamo potuto osservare una prevalenza<br />

simile nei controlli sani (45/369; 12%) e nei pazienti con LNH-B (31/203; 15%; p=0.61). In<br />

questi ultimi, inoltre, l’incidenza di questa variante polimorfica è simile nelle diverse<br />

categorie clinico-patologiche della malattia.<br />

Nel complesso, quindi, i risultati ottenuti dimostrano un significativo aumento del rischio<br />

relativo a sviluppare linfoma associato a polimorfismi dei geni XRCC1 e hOGG1, coinvolti<br />

nel meccanismo di riparazione del DNA tipo BER. In particolare, un deficit nella capacità<br />

delle cellule di riparare le alterazioni delle basi nucleotidiche è associato ad una maggiore<br />

probabilità di sviluppare LDGCB, il piu’ comune tipo di linfoma nel mondo occidentale.<br />

239


Alberto Gambino Filone tematico C1<br />

Modello sperimentale di Acute Pain Service a basso costo dell'A.O. San<br />

Giovanni Battista di Torino<br />

ASO S. Giovanni Battista – S.C.D.O. Anestesia e Ranimazione<br />

METODI E RISULTATI<br />

Il numero totale di interventi eseguiti, nel periodo studiato, nelle quattro SS.CC. è stato di<br />

489. Il numero complessivo di schede che sono state compilate è di 392, pari all’81% rispetto<br />

al numero di interventi totale: questa discrepanza è giustificata dal fatto che in due SS.CC. le<br />

rilevazioni sono state effettuate inizialmente su tutti i pazienti per poi essere riservate, su<br />

indicazone dell’anestesista, solo agli interventi di chirurgia laparotomica al fine di limitare il<br />

carico di lavoro gravante sul personale infermieristico. In due SS.CC. la rilevazione è stata<br />

effettuata prevalentemente da personale infermieristico; in una esclusivamente da personale<br />

infermieristico mentre, nella quarta, da una in collaborazione continua diurna mediciinfermieri<br />

e solo da infermieri durante le ore notturne.<br />

Dall’analisi dei dati emerge una notevole varianza nei costi sostenuti dalle diverse SS.CC. La<br />

spesa globale media/die per paziente ammonta a 96,78 €. In realtà, esiste uno spartiacque di<br />

spesa molto ampio tra i reparti, i quali possono grossolanamente essere divisi in due gruppi. Il<br />

primo di questi gruppi comprende due reparti (S.C.D.U. Chirurgia Plastica e S.C.D.O.<br />

Urologia 3), “virtuosi” che h<strong>anno</strong> registrato una spesa/paziente/die inferiore alla media<br />

aziendale finanche del 58%. Il secondo di questi gruppi comprende gli altri due reparti<br />

(S.C.D.O. Chirurgia 7 e S.C.D.U. Chirurgia Oncologica) che si discostano al rialzo dalla<br />

media, fino a + 69,90%. Le ragioni di questa disomogeneità sono essenzialmente due:<br />

1. il numero delle rilevazioni;<br />

2. le modalità terapeutiche e la durata del trattamento<br />

Non a caso, ai due estremi di una ipotetica linea di spesa troviamo la S.C.D.O. Urologia 3 e la<br />

S.C.D.U. Chirurgia Oncologica. La prima “stanzia” solo 40,28 € per paziente/die (pari al<br />

41,62% della spesa media aziendale/paziente/die), pur facendo ricorso con elevata frequenza a<br />

modalità di controllo del dolore di un livello più alto secondo le linee guida aziendali<br />

(analgesia peridurale continua con o senza morfinici con PCA e morfinici con PCA con o<br />

senza backflow): il contenimento della spesa è giustificato dal fatto che vengono utilizzato<br />

pompe elettroniche per PCA, che h<strong>anno</strong> un costo/paziente inferiore e che la rilevazione è stata<br />

fatta esclusivamente da infermieri e per il numero di giorni strettamente indispensabile a<br />

rispettare quanto previsto dalle linee guida. All’estremo opposto si colloca la S.C.D.U.<br />

Chirurgia Oncologica, che destina ben 164,43 € per paziente (169,90%), pur utilizzando<br />

metodiche farmacologiche di controllo del dolore di livello più basso: viene tuttavia dedicato<br />

molto più tempo al contatto col malato (fino a sei rilevazioni al giorno per sette giorni), il che<br />

conferma l’elevato costo del lavoro. Nessuna S.C. ha segnalato difficoltà nella compilazione<br />

della scheda di rilevazione, ma, dopo il termine del periodo di rilevazione, soltanto una di esse<br />

ha introdotto tale scheda come strumento di rilevazione sistematica. Una S.C. ha continuato la<br />

rilevazione utilizzando esclusivamente una scala numerica inserita in cartella infermieristica.<br />

Una S.C. ha dovuto sospendere la rilevazione per cause di organizzazione aziendale. Una S.C.<br />

ha utilizzato la scheda di rilevazione solo come strumento sperimentale per il periodo limitato<br />

dello studio.<br />

240


I protocolli ai quali si è ricorsi più di frequente, sono stati sono stati il 2B (analgesia epidurale<br />

continua, in regime di infusione continua, o in regime di PCEA o a boli programmati con<br />

anestetici locali e/o oppiacei e/o adiuvanti) ed il 3A, infusione continua endovenosa di<br />

oppiacei ad alte dosi e/o in pazienti a rischio (pazienti di età > 70 anni, ASA > III). In tutte le<br />

SS.CC. il controllo del dolore è stato sufficiente, con un VASR medio di 3.3 ed un VASD<br />

medio di 4.18. A fronte dei risultati ottenuti (riduzione della sintomatologia dolorosa), risulta<br />

che tutte le singole SS.CC. sono concordi nel sostenere l’utilità del modello di APS proposto<br />

segnalando: 1. la riduzione del numero di chiamate dei p.ti 2. l’aumento della collaborazione<br />

fra i vari membri dell’equipe 3. la risoluzione precoce di problematiche inerenti il dolore<br />

mediante la presenza di referenti sul dolore 4. la riduzione dell’intervallo di tempo tra<br />

chiamata del p.te e somministrazione dell’antidolorifico.<br />

CONCLUSIONI<br />

Un efficace controllo del dolore postoperatorio può essere affrontato solo attraverso la<br />

costituzione di un servizio di dolore acuto: l’attività piena di un tale servizio non può<br />

prescindere da un’assegnazione di fondi ad hoc. Naturalmente, il costo può essere mantenuto<br />

basso affidandone la gestione ad infermieri particolarmente addestrati e con costanti input da<br />

parte degli anestesisti; occorre, a tal fine, intraprendere un’azione di formazione e<br />

motivazione di tutto il personale coinvolto nella gestione del paziente chirurgico e<br />

l’organizzazione di tali iniziative non può prescindere dalla creazione di una Task Force<br />

stabile che si occupi a tempo pieno delle problematiche accennate. Il problema dei costi del<br />

personale sanitario è aggravato infine dalla necessità di garantire il servizio anche durante la<br />

ore nutturne ed i giorni festivi: a questo proposito, riteniamo valida anche per la nostra A.O. la<br />

proposta di una reperibilità telefonica che copra i periodi non lavorativi. Il presente studio<br />

esurisce la propria finalità nell’analisi dell’impatto economico grezzo di un servizio<br />

strutturato di trattamento del dolore acuto postchirurgico. Sono auspicabili ulteriori studi che<br />

approfondiscano il reale impatto di una tale iniziativa; ogni valutazione di costi condotta in<br />

modo rigoroso, deve necessariamente tenere conto non solo delle spese grezze, bensì anche<br />

dei risparmi derivanti dalla minore morbilità fra i pazienti seguiti da un APS, in termini di<br />

minore incidenza di complicanze e riduzione dei giorni di degenza: le esperienze europee<br />

indicano infatti che, qualora applicato in modo integrato, un APS non solo si paga da sè, ma<br />

consente anche di ottenere riduzioni di spesa.<br />

Si auspica, inoltre, l’affiancamento, alla rete informatica aziendale già in essere, di un<br />

network riservato alle problematiche del dolore acuto.<br />

241


Armando Genazzani Filone tematico C1<br />

Nuove strategie terapeutiche: la calcineurina come bersaglio nella<br />

terapia delle malattie cardiache e neurodegenerative<br />

Università del <strong>Piemonte</strong> Orientale “Amedeo Avogadro”<br />

Dipartimento di Scienze Chimiche, Alimentari, Farmaceutiche e Farmacologiche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Studi recenti h<strong>anno</strong> evidenziato che molte patologie di elevato interesse sociale, quali<br />

l'ipertrofia cardiaca e parte del d<strong>anno</strong> cerebrale, possono essere ricondotte ad esagerate<br />

attivazioni dei meccanismi classici di trasduzione del segnale (e.g. calcio, cAMP, etc). Queste<br />

attivazioni aberranti h<strong>anno</strong> come conseguenza il cambiamento della stato di fosforilazione<br />

(tramite un'alterazione dell'equilibrio tra attività di chinasi e fosfatasi) di proteine importanti,<br />

che quindi ne modifica l'attività biologica. In teoria, quindi, l'intervento farmacologico su<br />

queste vie di trasduzione potrebbe essere centrale nella terapia di molte patologie, nel caso si<br />

trovassero siti bersaglio specifici. Sarebbe limitante asserire che le chinasi siano l'interruttore<br />

ON mentre le fosfatasi siano l'interruttore OFF di questi sistemi. Ad esempio, durante<br />

l'attivazione dei linfociti T, un aumento di calcio provoca l'attivazione di una fosfatasi, la<br />

calcineurina, che, a sua volta, defosforilando il fattore di trascrizione NFAT, ne provoca<br />

l'importo nucleare. L'obiettivo di questo progetto è quindi di smascherare possibili<br />

meccanismi nel sistema nervoso centrale che utilizzino la calcineurina per poterli sfruttare<br />

come siti bersaglio aggredibili farmacologicamente.<br />

RISULTATI<br />

I risultati più interssanti ottenuti durante questo progetto sono stati fatti su neuroni primari di<br />

granuli cerebellari, in collaborazione con l'Università di Cambridge. In breve, abbiamo<br />

scoperto che la calcineurina durante lo sviluppo del cervelletto controlla sia i livelli di<br />

somatostatina (positivamente), sia i livelli del recettore per la somatostatina di tipo 2 (sst2,<br />

negativamente). Durante la caratterizzazione di questo processo, abbiamo dimostrato che<br />

questi 2 processi sono distinti l'uno d'altro, e quindi che gli aumenti nei livelli di somatostatina<br />

non sono sufficienti per diminuire quelli del recettore. Tale fenomeno richiede la sintesi de<br />

novo di nuove proteine, e quindi è probabile che la calcineurina attivi un fattore di<br />

trascrizione che controlli a sua volta un'ulteriore proteina. Inoltre, l'attivazione della<br />

calcineurina non sembrerebbe essere uno stimolo sufficiente da solo per attivare questa via,<br />

poiché infezione delle cellule con una calcineurina costitutivamente attiva non è in grado di<br />

mimare l'effetto indotto dall'ingresso di calcio tramite i canali L voltaggio-dipendenti. Tale<br />

via parallela non è rappresentata dalla via del cAMP o dalla via delle MAP chinasi. Poiché la<br />

somatostatina e il recettore sst2 sono centrali nella migrazione neuronale, è probabile che la<br />

calcineurina svolga un ruolo fondamentale nel decidere il momento della terminazione del<br />

movimento del neurone, o, in altre parole, nel controllare la destinazione finale dei neuroni.<br />

Tale ipotesi è stata confermata dall'osservazione che la calcineurina è in grado di controllare<br />

altri geni (e.g. TAG-1, BDNF, TrkB) coinvolti in questo fenomeno. Nell'ultimo <strong>anno</strong> abbiamo<br />

cercato di applicare queste conoscenze ad un modello nel quale il ruolo della calcineurina<br />

potesse essere direttamente valutato. Abbiamo quindi usato cellule immortalizzate di<br />

derivazione neuronale per valutare il ruolo della calcineurina nella migrazione neuronale.<br />

Queste cellule denominate GN11 sono GnRH secernenti e sono in grado di migrare in vitro in<br />

242


isposta al siero. Con queste cellule, abbiamo osservato che la calcineurina è responsabile di<br />

modulare l'espressione genica e che la sua inibizione porta ad una ridotta capacità migratoria.<br />

Abbiamo anche dissezionato le vie di trasduzione coinvolte. In breve, la calcineurina viene<br />

attivata da una via 2-APb sensibile ed a sua voltA attiva il fattore di trascrizione NFAT.<br />

Inoltre, tale studio, che non è ancora completato, si avvale anche di animali transgenici e<br />

knockout in collaborazione con l'Università di Cincinnati. In ultimo, un recente studio ha<br />

descritto che una mutazione su una isoforma della calcineurina può determinare una sindrome<br />

psicotico-simile in topi. Poiché la schizofrenia è determinata da un disturbo della migrazione<br />

dei neuroni corticali durante lo sviluppo, i nostri dati sembrerebbero suggerire che farmaci<br />

che interagiscono con la calcineurina potrebbero avere un ruolo terapeutico o teratogenico.<br />

In collaborazione con il Dott. Tron nel nostro dipartimento stiamo anche cercando<br />

sintetizzando antagonisti specifici per le diverse isoforme della calcineurina per avvalorare<br />

questa ipotesi. Il lavoro sulla linea neuronale GN11 sarà sottomesso per la pubblicazione nei<br />

prossimi mesi.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

Kramer D, Caruso A, Nicoletti F, Genazzani AA (2005) Somatostatin and the somatostatin<br />

receptor are reciprocally controlled by calcium during cerebellar granule cell maturation. J.<br />

Neurochem, 94(5):1374-83.<br />

243


Massimo Geuna Filone tematico C1<br />

Trapianto allogenico non mieloablativo di cellule staminali nel carcinoma<br />

colorettale: studio dell’assetto immunologico.<br />

A. S. O. Ordine Mauriziano di Torino<br />

Laboratorio di Immunologia Oncologica<br />

OBIETTIVO<br />

Il progetto è uno studio traslazionale prospettico volto all'analisi della ricostituzione<br />

immunologica in pazienti affetti da carcinoma colorettale sottoposti a trapianto allogenico di<br />

cellule staminali (allo-HSCT) non mieloablativo.<br />

METODI E RISULTATI<br />

L'arruolamento dei pazienti e il follow up clinico sono stati completati nel dicembre 2004. Le<br />

indagini di laboratorio, eseguite in occasione dei controlli di follow up, sono state completate<br />

ad eccezione dell’analisi dei TREC (T-cell receptor excision circle) attualmente in corso. Tra<br />

lo 01/01/2002 e il 31/06/2004 presso l'Unità di Trapianto della Divisione di Oncologia<br />

Medica dell'IRCC di Candiolo sono stati sottoposti ad allo-HSCT non mieloablativo 12<br />

pazienti affetti da carcinoma colorettale metastatico chemiorefrattario e/o chemioresistente. Il<br />

condizionamento pre trapianto è stato eseguito in tutti i pazienti secondo il protocollo di<br />

Seattle. Tutti i pazienti presentavano progressione di malattia prima del trapianto con una<br />

mediana di 2 siti metastatici (range 1-5). L'età media dei pazienti era di 54 anni (36-66). Il<br />

follow up mediano è di 280 giorni (62-780). Il trapianto di cellule staminali proveniva per<br />

tutti i pazienti da un fratello HLA-identico. In tutti i pazienti vi è stato attecchimento del<br />

trapianto con ottenimento di un chimerismo stabile. Nel midollo il chimerismo era del 95, 95,<br />

95, 99% al giorno +30, +60, +90, +180 rispettivamente, mentre nel sangue periferico era per<br />

le cellule CD15+ (granulociti) del 90, 95, 95, 97% e per i linfociti CD3+ del 63, 65, 75, 97%<br />

agli stessi tempi. Un solo paziente è deceduto per mortalità trapianto-relata al giorno 230 a<br />

causa dell'interruzione della terapia immunosoppressiva dovuta a progressione di malattia. In<br />

termini di incidenza di graft versus host disease (GVHD), 6 pazienti h<strong>anno</strong> sviluppato una<br />

GVHD acuta: di grado I (1 paziente), di grado II (3 pz.) di grado III (1 pz.) e di grado IV (1<br />

pz.). In termini di risposta si è osservata una stabilizzazione di malattia dopo il trapianto in 8<br />

pazienti, in uno si è osservata riduzione delle metastasi polmonari (risposta parziale)<br />

concomitante allo sviluppo di una GVHD intestinale di grado II, in 2 pazienti la presenza di<br />

una GVHD cutanea di grado I era correlata con una prolungata stabilizzazione di malattia (9 e<br />

3 mesi rispettivamente). Tutte le altre risposte erano di breve durata e 10 pazienti sono<br />

deceduti per progressione di malattia.<br />

Complessivamente i dati clinici indicano che la procedura di allo-HSCT non mieloablativo in<br />

pazienti con carcinoma colorettale metastatico è fattibile, non incrementa il rischio di morte e<br />

genera un effetto di graft versus tumor (GVT) clinicamente apprezzabile. L'analisi<br />

immunofenotipica delle sottopopolazioni linfocitarie del sangue periferico e del repertorio<br />

delle regioni variabili beta del T-cell receptor dei linfociti T CD4+ e CD8+ è stata condotta in<br />

tutti i pazienti ai giorni +30, +60, in 11 pazienti al giorno +90, e in 8 al giorno +180 dopo il<br />

trapianto. Oltre alle sottopopolazioni linfocitarie T (CD4+ e CD8+), B e NK, sono stati<br />

analizzati i subsets di cellule naïve e memoria nell’ambito dei linfociti CD4+ e CD8+. Alle<br />

stesse scadenze temporali è stato analizzato il pattern di produzione di citochine (IL-2, IL-4,<br />

244


IL-5, IL-10, IFN-g and TNF-a) da parte dei linfociti T CD4+ e CD8+ dopo stimolazione con<br />

SEB+CD28 a 16-18 ore di coltura delle cellule mononucleate del sangue periferico. Lo studio<br />

molecolare dei "T-cell receptor excision circle" (TREC) su popolazioni purificate di linfociti<br />

T è stato eseguito finora in 7 pazienti su 12.<br />

Il materiale per il completamento di questa indagine è stato criopreservato ed è attualmente in<br />

corso l’analisi. La ricostituzione immunologica in questi pazienti è relativamente rapida e<br />

sostanzialmente procede secondo quanto descritto in letteratura per analoghe procedure<br />

trapiantologiche in pazienti con neoplasie ematologiche (precoce ricostituzione dei linfociti<br />

NK, seguita dai linfociti T CD8+ e CD4+, mentre permane ridotto il numero di linfociti B),<br />

tuttavia al giorno +180 si assiste a una caduta dei valori di cellule CD4+ e CD8+. Nel contesto<br />

dei “subsets” T linfocitari funzionali (cellule naive, cellule della memoria centrale e cellule<br />

effettrici) si osserva un accumulo di cellule effettrici nel comparto CD8+, mentre i rapporti tra<br />

i vari subsets risultano stabili nel comparto CD4+. Il repertorio T linfocitario che si genera nel<br />

post trapianto è sostanzialmente sovrapponibile a quello ritenuto "normale", salvo rare e non<br />

significative eccezioni: ciò potrebbe indicare che nell’allo-HSCT non mieloablativo, accanto<br />

alla situazione di chimerismo misto, la procedura trapiantologica consente un buon<br />

mantenimento del repertorio T linfocitario, quantomeno nel periodo immediatamente<br />

successivo al trapianto. Il profilo citochinico dei linfociti T ricalca quanto detto a proposito<br />

dei subsets funzionali; con una progressiva riduzione delle cellule secernenti citochine di tipo<br />

naive (IFN-g e IL-2 per CD8 e CD4 rispettivamente).<br />

Complessivamente i risultati ottenuti sembrano indicare che almeno nei primi sei mesi dopo il<br />

trapianto la ricostituzione immunologica in questi soggetti sia sostenuta prevalentemente dalle<br />

cellule immunocompetenti trapiantate insieme alle cellule staminali, che verosimilmente<br />

vengono in gran parte reclutate e attivate da parte di antigeni minori di istocompatibilità e/o<br />

da antigeni virali. L’esaurimento funzionale di queste cellule immunocompetenti, che si può<br />

ipotizzare in base ai dati funzionali, ne spiega la riduzione numerica peraltro non ancora<br />

controbilanciata dall’immissione in periferia di linfociti neoformati e derivanti dai progenitori<br />

staminali trapiantati, come sembrano indicare i dati preliminari ottenuti dall’analisi dei TREC.<br />

Il breve follow up, dovuto alle condizioni cliniche di base dei pazienti arruolati nello studio e<br />

le transitorie risposte cliniche osservate, non consentono in questa fase di valutare l’impatto<br />

della ricostituzione immunologica sulla GVT e sulla GVHD a lungo termine, tuttavia, dai dati<br />

ottenuti sembra possibile ipotizzare che in questo specifico contesto la pratica clinica<br />

dell’infusione di linfociti del donatore (DLI) a partire dal giorno +100, il cui scopo principale<br />

è quello di “rinforzare” il chimerismo, trovi una ulteriore giustificazione biologica nel fornire<br />

un supporto di cellule immunocompetenti “fresche” che possono integrare il pool di quelle<br />

originariamente trapiantate e andate incontro ad esaurimento funzionale.<br />

I risultati dello studio clinico sono stati sottoposti per la pubblicazione (Carnevale-Schianca F,<br />

Cignetti A, Capaldi A, Geuna M. et al. Allogeneic Nonmyeloablative Stem Cell<br />

Transplantation as a Novel Immune Approach for the Treatment of Metastatic Colorectal<br />

Cancer. Lancet. Submitted).<br />

245


Dario Ghigo Filone tematico A3<br />

<strong>Ricerca</strong> di test per predire la tossicità di materiali fibrosi e di modalità di<br />

detossificazione delle fibre di asbesto<br />

Università degli Studi di Torino,<br />

Dipartimento di Genetica, Biologia e Biochimica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Con il termine asbesto o amianto si indicano sei diverse fibre minerali di silicati, suddivise in<br />

due categorie: serpentino (crisotilo) e anfiboli (crocidolite, amosite, antofillite, tremolite,<br />

actinolite). Il crisotilo rappresenta circa il 90% della produzione mondiale di asbesto ed è stato<br />

oggetto di una intensa attività estrattiva in Canada e in Russia. L'esposizione alla polvere di<br />

questi minerali può far insorgere un'ampia varietà di malattie polmonari, tra cui si <strong>anno</strong>verano<br />

patologie tumorali (carcinoma bronchiale, mesotelioma pleurico) e non tumorali (fibrosi<br />

polmonare). Nonostante il numero crescente di studi sull'argomento, non è ancora chiara la<br />

patogenesi delle malattie associate all'esposizione ad asbesto.<br />

La sua natura fibrosa è stata la prima caratteristica dell'asbesto considerata come causa di<br />

tossicità, ma successivamente anche altre proprietà chimico-fisiche sono state indicate<br />

svolgere un ruolo chiave nei meccanismi patogenetici molecolari: dimensioni, cristallinità,<br />

morfologia, reattività di superficie e composizione chimica. In corrispondenza degli ioni<br />

metallici presenti alla sua superficie può infatti aver luogo, tramite una reazione di Fenton, la<br />

generazione di radicali liberi, che sono ritenuti agenti importanti dell’azione citotossica e<br />

genotossica dell’amianto. A differenza di altre forme di asbesto, nel crisotilo il ferro non è un<br />

componente stechiometrico, ma è presente insieme ad altri ioni estranei come contaminante in<br />

sostituzione del magnesio.<br />

OBIETTIVO<br />

Per determinare il ruolo giocato dagli ioni ferro e dalle caratteristiche morfologiche delle fibre<br />

nella patogenesi da amianto, è stato sintetizzato un crisotilo con struttura e morfologia<br />

costante e privo di ioni ferro.<br />

METODI E RISULTATI<br />

La generazione di radicali liberi e gli effetti tossici su cellule epiteliali umane polmonari A549<br />

sono stati comparati con quelli causati da un crisotilo naturale a tossicità nota (UICC A).<br />

Dopo 24 ore di incubazione, il crisotilo naturale ha determinato un effetto citotossico sulle<br />

cellule A549, misurato come rilascio di lattato deidrogenasi nel mezzo extracellulare, mentre<br />

il crisotilo sintetico non ha causato effetti tossici significativi. Allo stesso modo, solo il<br />

crisotilo naturale, ma non quello sintetico, ha determinato la rottura omolitica di legami C-H<br />

in molecole organiche (segno di attitudine ad indurre la produzione di radicali liberi) e la<br />

produzione di lipoperossidi (risultato dell’interazione di radicali liberi con lipidi di<br />

membrana).<br />

Il ciclo dei pentosofosfati (PPP), una delle principali vie metaboliche con cui la cellula si<br />

protegge dagli stress ossidativi, e la glucoso-6-fosfato deidrogenasi, enzima chiave del PPP,<br />

sono risultati significativamente inibiti dal crisotilo naturale, e non da quello sintetico. In<br />

246


maniera analoga, il solo crisotilo naturale ha causato una diminuzione del contenuto di<br />

glutatione ridotto (principale molecola antiossidante intracellulare).<br />

Questi risultati per la prima volta suggeriscono che:<br />

1. il crisotilo, analogamente a quanto già da noi osservato per la crocidolite (Riganti C.,<br />

Aldieri E., Bergandi L., Fenoglio I., Costamagna C., Fubini B., Bosia A., Ghigo D.<br />

Crocidolite asbestos inhibits pentose phosphate pathway and glucose 6-phospate<br />

dehydrogenase activity in human lung epithelial cells. Free Radic. Biol. Med. 32:938-949,<br />

2002) e per l’amosite (Riganti C., Aldieri E., Bergandi L., Tomatis M., Fenoglio I.,<br />

Costamagna C., Fubini B., Bosia A., Ghigo D. Long and short fiber amosite asbestos<br />

alters at a different extent the redox metabolism in human lung epithelial cells. Toxicol.<br />

Appl. Pharmacol. 193:106-115, <strong>2003</strong>), ha un effetto citotossico riconducibile ad un d<strong>anno</strong><br />

ossidativo, che a sua volta deriva, almeno in parte, dalla capacità delle fibre di inibire le<br />

difese antiossidanti della cellula;<br />

2. un crisotilo artificiale privo di ioni ferro non è invece citotossico e non induce stress<br />

ossidativo, confermando che il ferro gioca un ruolo importante nella tossicità cellulare del<br />

crisotilo naturale, non solo in quanto favorisce la generazione di radicali liberi, ma anche<br />

in quanto determina l’inibizione del metabolismo ossidoriduttivo.<br />

Sono ora in corso studi volti a determinare l’effetto citotossico di crisotili sintetici contenenti<br />

quantità crescenti di ferro e di altri ioni. Allo stato attuale delle conoscenze, comunque, le<br />

fibre sintetiche prive di ferro possono già essere proposte come standard negativi (non tossici)<br />

in studi tossicologici.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

Gazzano E., Foresti E., Lesci I.G., Tomatis M., Riganti C., Fubini B., Roveri N., Ghigo D.<br />

Different cellular responses evoked by natural and stoichiometric synthetic chrysotile<br />

asbestos. Toxicol. Appl. Pharmacol. 2005 (in press; doi:10.1016/j.taap.2004.11.021).<br />

247


Valeria Ghisetti Filone tematico C1<br />

Diagnosi rapida di infezioni da patogeni emergenti<br />

Azienda <strong>Sanitaria</strong> Ospedaliera San Giovanni Battista di Torino<br />

S. C. Microbiologia<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Le infezioni delle alte vie respiratorie sono causate per il 50-90% dei casi da virus e<br />

principalmente (80%) da 6 famiglie di virus: il virus respiratorio sinciziale (RSV), i virus<br />

parainfluenzali 1, 2 e 3 (PIV 1, 2, e 3) ed i virus dell’influenza A e B. La tempestività della<br />

diagnosi microbiologica è fondamentale per una valutazione epidemiologica ed una corretta<br />

impostazione terapeutica in particolare per pazienti ad alto rischio di complicanze a livello<br />

delle basse vie respiratorie come i soggetti immunocompromessi. Le difficoltà insite<br />

nell’approccio diagnostico tradizionale sono superabili dall’utilizzo delle tecniche molecolari,<br />

che consentono di identificare microrganismi difficili e loro varianti con elevatissima<br />

sensibilità e specificità, senza doverli isolare, con enormi vantaggi in termini di rapidità di<br />

risposta.<br />

OBIETTIVO<br />

L’obiettivo del progetto è quello di definire un modello di diagnosi molecolare rapida per<br />

identificare patogeni responsabili d’ infezioni respiratorie sia noti sia emergenti. Il modello<br />

diagnostico si articola nel seguente modo:<br />

a) diagnosi rapida dei principali patogeni virali delle vie respiratorie (Adenovirus, virus<br />

dell’Influenza A e B, virus respiratorio sinciziale, virus parainfluenzali 1, 2 e 3) mediante<br />

metodi molecolari di seconda generazione, rappresentati dai sistemi real-time PCR con<br />

tecnologia TaqMan e da RT-PCR (reverse transcriptase) associata ad analisi di frammenti<br />

mediante elettroforesi capillare e analisi con software Gene Scan (Applied Biosystems);<br />

b) confronto tra tecniche molecolari classiche e di amplificazione rapida e IF. Il modello di<br />

diagnosi rapida viene costruito per infezioni delle vie respiratorie che interessano due<br />

tipologie di pazienti: pazienti immunocompetenti con infezioni alte/basse vie respiratorie<br />

di tipo comunitario e pazienti immunocompromessi (trapiantati di organo solido e di<br />

midollo) affetti da infezioni delle vie respiratorie che oltre ai comuni virus respiratori,<br />

possono essere determinate anche da virus latenti che si riattivano in condizioni di<br />

immunocompromissione (es. Citomegalovirus, Herpesvirus)<br />

MATERIALI E METODI<br />

Nel progetto e’ stato sviluppato in particolare il modello per l’ospite immunocompromesso.<br />

Sono stati analizzati 42 campioni di lavaggi bronco-alveolari (BAL) provenienti da pazienti<br />

immunocompromessi (trapiantati di organo solido e di midollo) e 21 campioni delle alte vie<br />

respiratorie (tamponi naso-faringei e nasali) provenienti da pazienti immunocompromessi dei<br />

reparti di ematologia presso l’ospedale S. Giovanni Battista di Torino. Sono state utilizzate<br />

tecniche molecolari basate su sistemi di PCR end-point al fine di individuare la prevalenza dei<br />

virus dell’influenza A e B (Inf-A e B), il virus respiratorio sinciziale (RSV), l’Herpes Simplex<br />

virus (HSV), ed il Citomegalovirus (CMV). E’ stata utilizzata una PCR nested multiplex<br />

248


specifica per il gene della proteina di matrice dei virus dell’Influenza A e dell’influenza B e<br />

per il gene della proteina di fusione di RSV partendo dal cDNA prodotto della reazione di<br />

trascrizione inversa ottenuto dall’RNA estratto da campioni respiratori. Per la determinazione<br />

dei sottotipi H1N1e H3N2 dei campioni positivi al virus dell’Influenza A è stata utilizzata una<br />

PCR nested multiplex specifica per il gene virale dell’emagglutinina (HA). Il CMV è stato<br />

ricercato e quantificato utilizzando il metodo commerciale di PCR end-point COBAS<br />

Amplicor CMV Monitor Test test basato sull’amplificazione della sequenza nucleotidica di<br />

362 bp della DNA polimerasi virale. L’Herpes simplex virus (HSV) è stato analizzato<br />

amplificando una corta sequenza nucleotidica (91bp) della DNA polimerasi virale. La<br />

tecnologia di real-time PCR è stata utilizzata per sviluppare una piattaforma di analisi<br />

multipla che prevede di identificare contemporaneamente il virus dell’influenza A e quello<br />

dell’influenza B, insieme ad un controllo della competenza del materiale costituito dall'<br />

amplificazione di un gene endogeno (Rnasi P). Sono state studiate le sequenze della matrice<br />

virale (M) di strain di riferimento dei virus A e per il virus B le regioni NS1-NS2 e sono stati<br />

costruiti due sistemi di primers e sonde specifici per A e B, in grado di amplificare la maggior<br />

parte degli strain presenti nelle nostre regioni. Il protocollo di real-time PCR è stato validato<br />

su strain di riferimento ATCC. Risultati. Nel caso dei lavaggi broncoalveolari dei pazienti<br />

immunocompromessi, 22 su 42 (52%) erano positivi per il Citomegalovirus con una carica<br />

virale compresa tra 50 e 22840 copie di DNA per ml e tra questi un solo paziente presentava<br />

coinfezione con l’Herpesvirus. Nessun campione è risultato positivo per la ricerca dei virus<br />

dell’influenza A e B ed RSV. Dei 21 campioni nasofaringei provenienti, il 28,5% e’ risultato<br />

positivo al virus dell’Influenza A, il 5% a quello dell’Influenza B e nessuno al virus<br />

respiratorio sinciziale. I 6 campioni positivi al virus dell’influenza A erano nell’ 83% dei casi<br />

dei sottotipi H3N2 e nel rimanente 7% dei sottotipi H1N1. Con la piattaforma multipla di<br />

real-time PCR 8 su 21 (38%) campioni sono risultati positivi per il virus dell'influenza A<br />

mentre 2 su 21 (9,5%) erano positivi a quello dell'influenza B.<br />

CONCLUSIONI<br />

Questi risultati dimostrano quanto sia importante valutare, nell’analisi di infezioni respiratorie<br />

virali in pazienti immunocompromessi, la presenza sia dei virus respiratori principali ma<br />

anche altri virus più specifici dello stato di immunocompromissione quali i virus latenti CMV<br />

e HSV che possono riprendere a replicarsi con quadri d’organo importanti come le polmoniti,<br />

in condizioni di scarsa difesa immunitaria cellulo-mediata. La tecnologia TaqMan ha<br />

consentito di sviluppare una piattaforma multipla di real-time PCR per i principali virus<br />

respiratori (virus dell’influenza A e B) che consente di identificare molto rapidamente la<br />

presenza dei virus influenzali e di utilizzare questo dato per il controllo della diffusione<br />

dell’infezione nei reparti ad alto rischio e per iniziare una terapia antivirale specifica nei<br />

pazienti immunodepressi, come una profilassi negli eventuali contatti. A questa piattaforma in<br />

real-time PCR si prevede di affiancare un modello di analisi di frammenti, mediante<br />

elettroforesi capillare utilizzando specifici primers marcati con fluorocromi diversi con<br />

rilevazione automatica della fluorescenza mediante sequenziatore ABI 310 e analisi mediante<br />

software Gene Scan Analysis, per identificare più strains sullo stesso campione e studiarne le<br />

sequenze per identificare la presenza di eventuali nuove varianti virali.<br />

249


Maria Michela Gianino Filone tematico C1<br />

Indagine conoscitiva sulla diffusione dell'attività di Risk Management<br />

nelle Aziende Sanitarie <strong>Piemonte</strong>si<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia<br />

METODI E RISULTATI<br />

L’ indagine è stata condotta mediante l’utilizzo di un questionario realizzato attingendo da<br />

fonti di letteratura e grazie alla preziosa collaborazione del Prof. Kieran Walshe<br />

dell’Università di Manchester. E’ costituito da 89 domande, di cui 85 a risposta chiusa e 4,<br />

nelle quali si è chiesto ai destinatari del questionario di indicare la loro opinione sul sistema di<br />

Risk Management, a risposta aperta. È organizzato in modo tale da guidare il compilatore<br />

nella sequenza delle risposte, facendogli saltare domande che non necessitano di risposte e<br />

rimandandolo alle domande coerenti con quanto affermato sino a quel punto del questionario.<br />

Il questionario si compone di 4 sezioni in cui sono state indagate in successione:<br />

1. il concetto di Risk Management adottato e le delineazione di come vengono gestite le<br />

diverse tipologie di rischio;<br />

2. la quantificazione degli accadimenti verificatesi e sulla caratteristiche dei contratti<br />

assicurativi;<br />

3. la struttura organizzativa del Risk Management;<br />

4. il sistema informativo predisposto a supporto della gestione del rischio, a cui se ne<br />

aggiunge una quinta volta ad indagare, mediante un processo di autodiagnosi, le critiche<br />

ed i pregi del RM delle diverse aziende.<br />

Il questionario è stato compilato da undici aziende sanitarie piemontesi (pari al 38% del<br />

totale) di cui sette ASL e quattro ASO. I risultati sono espressi per singola sezione.<br />

Prima sezione: concetto di risk management applicato. Solo tre delle undici aziende di cui si è<br />

avuto risposta al questionario h<strong>anno</strong> effettivamente messo in pratica un sistema di risk<br />

management. Di queste, due h<strong>anno</strong> fornito la risposta corretta ovvero concetto di risk<br />

management come identificazione, valutazione e gestione degli eventi / azioni che possono<br />

colpire la capacità dell’azienda sanitaria di raggiungere i propri obiettivi, mentre una ha<br />

identificato il risk management come applicazione di un sistema di gestione della salute e<br />

sicurezza sul lavoro nonché come approccio globale al rischio clinico e organizzativo. Per<br />

quanto riguarda la gestione delle diverse tipologie di rischio (clinico, patrimoniale, persone,<br />

cose, animali) a cui l’azienda sanitaria è esposta, tutte le aziende dichiarano di gestirli con<br />

coperture assicurative. Solo cinque attuano anche campagne preventive, mentre una prevede<br />

l’accantonamento di somme a fine <strong>anno</strong> (ritenzione) per il pagamento di sinistri di piccola<br />

entità.<br />

Seconda sezione: quantificazione del risk management. Non è stato possibile sviluppare il<br />

primo punto di questa sezione - l’analisi del numero delle denunce ed accadimenti - in quanto<br />

il campione di dati disponibili è troppo piccolo e non significativo per rappresentare la realtà<br />

piemontese. Per quanto riguarda l’analisi delle polizze assicurative a copertura dei rischi<br />

dall’analisi del questionario si evince che le polizze RCT stipulate coprono tutte le tipologie<br />

di danni quindi non esiste una differenziazione dei contratti assicurativi in base alla tipologia<br />

di rischio medico - sanitario e altro. Nel periodo preso a riferimento dell’analisi 1997-2002 si<br />

250


evidenzia un cambiamento nella formula assicurativa utilizzata. Fino al 1999 praticamente<br />

tutte le aziende sanitarie analizzate avevano stipulato contratti con formula loss occurence con<br />

la quale si ha la copertura di tutti i sinistri che si sono verificati nel periodo di validità della<br />

polizza assicurativa, con il vincolo che la denuncia sia stata effettuata nel termine di<br />

prescrizione di legge, nel 2000 si segnalano 50% di polizza nella formula loss occurance, 25%<br />

nella formula claims made dove si ha la copertura di tutti i sinistri che si sono verificati e sono<br />

stati denunciati nel periodo di validità della polizza assicurativa e 25% nella formula claims<br />

made temporato dove viene offerto un periodo di efficacia della polizza assicurativa oltre la<br />

sua scadenza, nel 2002 le aziende sono assicurate per il 50% con formula claims made<br />

temporato (CMT) e 50% formula claims made (CM). Per quanto riguarda la durata delle<br />

polizze si ha la scomparsa delle polizze decennali che vengono sostituite da polizze di durata<br />

triennale o biennale. In tre casi le aziende sanitarie si sono viste disdettare la propria polizza<br />

assicurativa prima della naturale scadenza contratto. Per altre tre aziende nel 2002 è comparsa<br />

nei contratti l’applicazione di una franchigia.<br />

Terza sezione: Struttura del Clinical Risk Management. In solo tre aziende esiste una vera e<br />

propria struttura per gestire il Clinical Risck Management. In ognuna di queste la struttura ha<br />

una connotazione diversa. Nella prima azienda esiste una struttura semplice dipartimentale<br />

costituita nell’agosto 2002, posta all’interno della struttura complessa della direzione<br />

sanitaria, con responsabilità di gestione del clinical risk management. Al diretto responsabile<br />

è riconosciuta anche la responsabilità per l’accreditamento istituzionale; la figura è esperto<br />

della salute e della sicurezza. Egli relaziona direttamente con il Direttore Generale e Sanitario.<br />

L’azienda non ha ritenuto necessario far seguire un corso di formazione in CRM, ed è questa<br />

la prima carica ricoperta con responsabilità di CRM. Nella seconda azienda esiste da gennaio<br />

2002 una commissione preposta al Risk Management quindi non solo CRM. La commissione<br />

relaziona direttamente con il Direttore Generale. Le qualifiche rappresentate sono quelle del<br />

medico (6), IP (3), amministrativo (3), assistente tecnico (1), farmacista (1). Le strutture<br />

rappresentate sono quelle della Direzione <strong>Sanitaria</strong>, UPRI, URP, Ufficio Legale, Farmacia<br />

Ospedaliera, Dipartimento Tecnico Logistico, Medicina Legale, RSSPP, Ufficio Qualità,<br />

Dipartimento dell’Assistenza. Nel corso del 2002 sono state tenute cinque riunioni in cui si è<br />

discusso di rischi organizzativi. Nella terza azienda nell’ottobre 2002 è stato istituito il<br />

comitato gestione sinistri, che relaziona direttamente con la direzione generale, esso è<br />

costituito da medici (2), amministrativi (4). Le strutture rappresentate sono la Medicina<br />

Legale, la Direzione <strong>Sanitaria</strong>, il Servizio Legale, l’URP, l’Ufficio Patrimoniale. Nell’ultimo<br />

<strong>anno</strong> il comitato si è riunito cinque volte con all’ordine del giorno la discussione dei fatti<br />

individuali degli incidenti clinici che sono occorsi. In nessuna delle aziende intervistate esiste<br />

un sistema informativo a cui i clinici possano accedere per poter registrare informazioni<br />

riguardanti gli incidenti clinici.<br />

251


Marilena Gili Filone tematico B3<br />

Sviluppo e validazione di metodi per la determinazione quantitativa di<br />

coccidiostatici e avilamicina in mangimi<br />

Istituto Zooprofilattico Sperimentale del <strong>Piemonte</strong>, Liguria e Valle D’Aosta<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Essendo stato ampliato negli ultimi anni l’elenco delle sostanze vietate in zootecnia, a partire<br />

dal <strong>2003</strong> sono stati inseriti nei Piani di Monitoraggio nuovi antibiotici e coccidiostatici; ciò<br />

comporta da parte dei laboratori degli II.ZZ.SS. preposti ai controlli di tipo chimico lo<br />

sviluppo di metodi di prova atti a far fronte alle richieste del Ministero della Salute. Inoltre, in<br />

accordo alla norma ISO 17025 e al regolamento CE n. 882/04, al fine di garantire qualità e<br />

uniformità dei risultati, i metodi sviluppati devono essere sottoposti a validazione.<br />

OBIETTIVO<br />

Attraverso la presente ricerca è stato possibile sviluppare e validare metodi di prova per la<br />

determinazione quantitativa di Robenidina, Nicarbazina, Metilclorpindolo e Avilamicina in<br />

alimenti ad uso zootecnico e, dal secondo semestre del 2004, eseguire analisi su campioni<br />

ufficiali per la ricerca analitica delle prime tre molecole; queste tre metodiche sono state<br />

inserite, nell’ambito del sistema qualità, in accordo alla norma ISO 17025, tra le Procedure<br />

Operative Standard accreditate.<br />

METODI E RISULTATI<br />

La ricerca si è svolta durante i 12 mesi previsti nel progetto e si è articolata per ciascuna<br />

molecola attraverso le seguenti fasi:<br />

1. Sviluppo e definizione di un metodo che soddisfa i requisiti richiesti dal PNAA ed<br />

armonizzato con altri II.ZZ.SS. La programmazione ha portato alla stesura di un Piano di<br />

Validazione che rispettasse, come elementi in ingresso al processo, i limiti di sensibilità e<br />

le tecniche analitiche richiesti dal PNAA.<br />

2. Validazione del metodo Per ciascun analita sono stati verificati i seguenti indici di<br />

prestazione::linearità (3 curve di taratura indipendenti a 7 livelli. Verifica della linearità<br />

attraverso la valutazione del coefficiente di correlazione e della dispersione dei fattori di<br />

risposta nel range y/x medio ± 10%), specificità (su 6 campioni di mangime per ogni<br />

specie, tra cui alcuni medicati o additivati con altri principi attivi. L’assenza di segnali al<br />

tempo di ritenzione dell’analita permette di escludere che la presenza di interferenti porti a<br />

esiti falsi positivi o precluda la determinazione quantitativa della molecola), limite di<br />

rivelazione e di quantificazione (6 prove indipendenti su campioni di mangimi per<br />

ciascuna specie (volatili, suini e conigli) e 6 campioni di acqua di abbeverata), accuratezza<br />

(recupero medio di 18 prove a tre livelli del campo di misura compreso il LOQ effettuate<br />

in condizioni di ripetibilità), precisione (RSD% medio di 18 prove a tre livelli del campo<br />

di misura compreso il LOQ effettuate in condizioni di ripetibilità), robustezza (fattori<br />

critici quali il volume di estrazione, la temperatura di concentrazione e la tipologia di<br />

colonne SPE utilizzate in fase di purificazione), stabilità (analisi a intervalli di tempo della<br />

stessa soluzione di standard), incertezza di misura (valutazione dei contributi di tipo ”a” e<br />

“b”, dell’incertezza composta e dell’ incertezza estesa del metodo). In particolare, essendo<br />

la robenidina e l’avilamicina permessi in determinate matrici, lo studio della metodica e la<br />

252


validazione sono stati svolti tenendo conto dei livelli di utilizzo indicati nella G.CEE C/50<br />

del 25.02.2004.<br />

3. Stesura della Procedura Operativa Standard del metodo di prova da utilizzare nella attività<br />

di routine<br />

4. Emissione della scheda con i risultati della validazione e la dichiarazione di idoneità del<br />

metodo agli utilizzi previsti, conformemente ai requisiti della ISO 9001/2000<br />

5. Predisposizione di carte di controllo del recupero per la verifica del mantenimento delle<br />

condizioni di ripetibilità e accuratezza: in esse sono riportate la media del recupero e gli<br />

intervalli di attenzione (± 2s) e di accettabilità (± 3s)<br />

6. Applicazione del metodo a campioni di mangime pervenuti al laboratorio: i metodi sono<br />

già applicati in routine su campioni ufficiali, inserendo come controllo di qualità dei<br />

risultati un campione positivizzato in ogni lotto di analisi. L’accettabilità del lotto di<br />

analisi è verificata quando il recupero nel campione fortificato rientra nell’intervallo di<br />

accettabilità della carta di controllo.<br />

253


Giorgio Gilli Filone tematico A3<br />

Applicazione di campionatori passivi e test biologici nella valutazione dei<br />

rischi in ambiente produttivo<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

I Semipermeable Membrane Devices (SPMDs) rappresentano una nuova tecnica di<br />

campionamento passivo creata per il monitoraggio degli inquinanti idrofobici nelle matrici<br />

acquose. La particolarità di questo sistema di campionamento è rappresentata dal fatto che il<br />

passaggio delle sostanze attraverso l’SPMD è in grado di mimare il processo di diffusione dei<br />

contaminanti organici biodisponibili attraverso le membrane biologiche, mentre l’accumulo di<br />

tali sostanze nel mezzo sequestrante (trioleina) è in grado di mimare il meccanismo della<br />

bioconcentrazione nei tessuti adiposi degli organismi viventi. L’utilizzo dell’SPMD nel<br />

monitoraggio ambientale è di grande utilità in quanto presenta numerosi vantaggi tra i quali<br />

quello di poter eseguire su uno stesso campione sia analisi chimiche (GC-MS) che analisi<br />

biologiche (di tossicità, mutagenesi e/o genotossicità), garantendo in questo modo l’utilizzo di<br />

identiche modalità di campionamento. I test biologici offrono interessanti potenzialità per<br />

valutare gli effetti sulla salute associati alle esposizioni ambientali in quanto permettono di<br />

ottenere una visione complessiva del fenomeno espositivo (effetto globale) consentendo di<br />

superare i limiti insiti nelle valutazioni effettuate con la sola analisi chimica. La maggior parte<br />

degli studi condotti fino ad oggi con gli SPMDs ha riguardato il monitoraggio degli inquinanti<br />

presenti nelle acque di fiumi e laghi, e nei sedimenti. Per le sue caratteristiche, sembra<br />

possibile applicare questo campionatore anche ad altre matrici ambientali tra cui l’aria.<br />

OBIETTIVO<br />

Obiettivo di questo lavoro è stato, quindi, quello di verificare l’applicabilità al monitoraggio<br />

degli inquinanti aerodispersi degli SPMDs in associazione a test di genotossicità (Saggio<br />

Comet e Test di Ames). Con questo fine è stato effettuato un campionamento in un ambiente<br />

occupazionale con inquinamento rilevante, una cokeria. In questo ambiente sono presenti<br />

polveri di carbone di coke diffuse e gas contenenti composti organici volatili, compresi<br />

Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), che si originano dai processi di trattamento termico<br />

del carbone in batterie di forni per la sua trasformazione in coke metallurgico.<br />

MATERIALI E METODI<br />

I campionatori SPMDs sono stati collocati in 6 siti di campionamento: un sito di controllo<br />

(Sito 1), in un ufficio posto in una palazzina adiacente all’impianto, e 5 siti localizzati in zone<br />

differenti dell’impianto di produzione del coke (Siti 2-3-4-5 e 6). Dopo 24 giorni di<br />

esposizione all’aria nel periodo dicembre 2004 – gennaio 2005 gli SPMDs sono stati lavati<br />

per rimuovere il particolato dalla superficie e sottoposti a dialisi (in esano per 72 ore) per<br />

recuperare gli inquinanti sequestrati nel campionamento. L’estratto così ottenuto è stato<br />

concentrato ed è stato in parte destinato all’analisi chimica (GC-MS) degli IPA. La parte<br />

restante è stata trasferita in dimetilsolfossido ed è stata impiegata per valutare le potenzialità<br />

genotossiche degli inquinanti campionati con il Saggio Comet su linfociti umani (linea<br />

cellulare Jurkat)) (Tice et al., 2000) e con il test di Ames. Contemporaneamente al<br />

254


campionamento degli inquinanti aerodispersi con gli SPMDs, in tre siti (Siti 2, 3 e 6) sono<br />

state campionate le polveri e sono stati quantificati gli IPA adsorbiti (GC-MS-SIM).<br />

RISULTATI<br />

I siti campionati sono risultati tutti, ad esclusione del controllo, contaminati in modo e misura<br />

variabile da IPA e particolato. I risultati del Saggio Comet ottenuti esponendo le cellule Jurkat<br />

agli estratti degli SPMDs h<strong>anno</strong> mostrato la presenza di d<strong>anno</strong> al DNA in tutti i campioni<br />

prelevati nell’impianto di produzione del coke. E’ stato anche osservato un incremento<br />

dell’effetto, dose-dipendente (0,6-0,9-1,2-1,8 m³ o 0,15-0,3-0,45 m³ di aria equivalenti),<br />

statisticamente significativo (p


Maria Teresa Giordana Filone tematico C1<br />

Validazione di un nuovo metodo di indagine nella diagnosi delle<br />

leucodistrofie dell'adulto: il proteoma della mielina<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Neuroscienze<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Lo studio si proponeva di puntualizzare l’approccio diagnostico di una leucodistrofia<br />

ereditaria che colpisce una vasta famiglia piemontese e nella quale le indagini cliniche e<br />

neuroradiologiche non erano state dirimenti nel chiarire la patogenesi, le cause della<br />

distruzione progressiva della mielina del sistema nervoso centrale e dell’esordio della<br />

malattia, con sintomi neurologici altamente invalidanti (paraparesi, atassia, tremori), nell’età<br />

adulta e progressione nell’arco di una diecina di anni. Nella famiglia oggetto di questo studio<br />

nessuna indagine eseguita in vivo ha dato risultati positivamente identificativi di alcuna delle<br />

forme di leucodistrofia dell’adulto suddette. Solo lo studio neuropatologico e biochimico su<br />

materiale post mortem ha potuto fornire informazioni sulla natura della malattia e sul processo<br />

patogenetico che porta alla sintomatologia. Tale studio è stato fatto con il pieno consenso dei<br />

componenti della famiglia, i quali h<strong>anno</strong> messo a disposizione il tessuto per tale studio e sono<br />

giustamente interessati all’approfondimento della loro malattia, nella speranza di una terapia.<br />

La famiglia in studio presenta da circa 4 generazioni una malattia neurologica ad esordio<br />

adulto, ereditarietà autosomica dominante, con decorso subacuto ed ingravescente di atassia e<br />

paraparesi senza demenza, caratterizzata da un’immagine neuroradiologica di distruzione<br />

progressiva della sostanza bianca cerebrale. Nel nostro lavoro abbiamo affiancato allo studio<br />

neuropatologico con le tecniche più attuali lo studio biochimico della componente proteica<br />

della mielina utilizzando tecniche all’ avanguardia nella chimica delle proteine, nello studio<br />

del proteoma e dei geni. Riportiamo i risultati ottenuti nell’ambito degli obbiettivi proposti.<br />

OBIETTIVO (I) Individuare il fenotipo neuropatologico di questa leucodistrofia autosomica<br />

dominante ad esordio adulto presente nella famiglia piemontese.<br />

RISULTATI (I) Lo studio neuropatologico al microscopio ottico ed elettronico, anche su<br />

sezioni di intero encefalo, con tecniche istologiche, immunoistochimiche, istochimiche, di<br />

ibridazione in situ, ha mostrato che si tratta di una leucodistrofia non-metacromatica,<br />

definibile come ortocromatica o sudanofila. Tale denominazione sottende un processo di<br />

distruzione mielinica non infiammatorio, con conservazione delle cellule oligodendrogliali, e<br />

quindi non riferibile ad un processo elettivo di questa linea cellulare. L’assenza di apoptosi<br />

conferma che il processo non è degenerativo cellulare. Sulla base di questo fenotipo è stato<br />

possibile interpretare i risultati dello studio biochimico.<br />

OBIETTIVO (II) Analizzare la composizione proteica della mielina centrale e periferica<br />

(nervo) nei due casi, con l’obiettivo di individuare il d<strong>anno</strong> molecolare.<br />

RISULTATI (II) Il Western blot delle proteine della mielina ha mostrato che una di queste<br />

proteine, la glicoproteina associata alla mielina, nota come MAG, è di massa molecolare<br />

minore del normale nella mielina centrale dei due pazienti studiati. In base ai risultati della<br />

proteolisi possiamo affermare che il difetto strutturale risiede nella porzione C-terminale della<br />

isoforma di MAG espressa nel sistema nervoso centrale, detta L-MAG. L’estremo C-<br />

256


terminale è quello che svolge la funzione di trasduttore del segnale nella via che, tramite Fyn,<br />

attiva la trascrizione di MBP, e quindi la sintesi della principale proteina della mielina. In<br />

effetti, nei pazienti la quantità di MBP è inferiore che nei controlli. E’ noto da studi su animali<br />

transgenici che MAG interviene principalmente nel mantenimento della mielina più che nella<br />

sua deposizione durante il periodo embrio-fetale e nello sviluppo. Alla luce di tutto ciò, noi<br />

ipotizziamo che il difetto di MAG sia responsabile della distruzione della mielina nei nostri<br />

pazienti. Il difetto geneticamente determinato produce il d<strong>anno</strong> alla mielina ed i sintomi e<br />

segni neurologici della malattia in età adulta, probabilmente perché sono transitoriamente<br />

attivi meccanismi di compenso alla MAG difettosa; comunque la mielina dei soggetti<br />

portatori del gene alterato è più suscettibile a danni acquisiti ed agli effetti<br />

dell’invecchiamento. Non è stato ancora possibile studiare la mielina del nervo periferico.<br />

OBIETTIVO (III) Da queste analisi, cercare di risalire al difetto genico ed al meccanismo<br />

patogenetico della sofferenza mielinica, cioè alla causa ed agli eventi biochimico-tissutali che<br />

producono la malattia.<br />

RISULTATI (III) L’analisi delle sequenze degli esoni del gene di MAG e del mRNA di<br />

MAG non h<strong>anno</strong> mostrato alterazioni. E’ perciò molto probabile che l’evento genico<br />

responsabile della malattia non sia sul gene di MAG, bensì su un altro gene che codifica una<br />

proteina o un enzima coinvolti in eventi posttraslazionali che producono una MAG alterata.<br />

Lo studio proseguirà con l’analisi di linkage per il gene di MAG e ad ampio spettro sul sangue<br />

di 10 pazienti affetti.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

1. M.T.Giordana, L.Palmucci, M.Piccinini, B. Buccinna,C Ramondetti, M.T.Rinaudo<br />

Myelin-associated glycoprotein is defective in a familial orthochromatic leukodystrophy.<br />

56th Annual Meetin American Academy of Neurology, San Francisco, April 24- May 1,<br />

2004, Neurology, Suppl.5, 62A274.<br />

2. M.T.Giordana, L.Palmucci, M.Piccinini, B. Buccinna,C Ramondetti, M.T.Rinaudo A<br />

defective L-MAG (large myelin-associated glycoprotein) is responsible for an adult-onset,<br />

autosomal dominant orthochromatic leukodystrophy. 8th Congress of the European<br />

Federation of Neurological Societies, Paris, September 4-7, 2004. European Journal of<br />

Neurology 11, Suppl 2, 20.<br />

3. M.Piccinini, B. Buccinna, C. Ramondetti, M.T. Giordana, M.T.Rinaudo Anomalous<br />

myelin-associated glycoprotein (MAG) is a feature of a familial adult-onset autosomal<br />

dominant orthochromatic leukodystrophy. Società Italiana di Biochimica 2004, Riunione<br />

annuale, Riccione, 28 sett-1ott 2004, Ital J Biochem 53 (3), 257, 2004<br />

4. M.T.Giordana, L.Palmucci, S.Leombruni, G.Vaula, C.D’Agostino, M.Piccinini, B.<br />

Buccinna,C. Ramondetti, M.T.Rinaudo. Myelin-associated glycoprotein is altered in a<br />

familial orthochromatic leukodystrophy. XXXV Congress of the Italian Neurological<br />

Society, Genova, 25-29 settembre 2004, Neurological Sciences 25 Suppl S92, 2004.<br />

5. MT Giordana, M.Piccinini, L.Palmucci, B.Buccinnà., C Ramondetti, A.Brusco,<br />

T.Mongini, S.Leombruni, G.Vaula, MT Rinaudo MYELIN-ASSOCIATED<br />

GLYCOPROTEIN IS ALTERED IN A FAMILIAL LATE- ONSET<br />

ORTHOCHROMATIC LEUKODYSTROPHY. Brain Pathology 15: 116-123, 2005<br />

257


Maria Gabriella Giuffrida Filone tematico D3<br />

Indagini epidemiologiche sull’insorgenza di allergie ad alimenti<br />

geneticamente modificati<br />

C.N.R. – Istituto di Scienze delle Produzioni Animali<br />

MATERIALI E METODI<br />

Il Lavoro è stato condotto con due modalità parallele: da una parte i clinici h<strong>anno</strong> provveduto<br />

al reclutamento dei pazienti adulti e pediatrici sospettati di allergia ad alimenti, dall’altra i<br />

biochimici h<strong>anno</strong> messo a punto una buona estrazione e separazione delle proteine della soia<br />

al fine valutare se l’inserzione di un gene eterologo potesse indurre maggiore o minore<br />

reazione con le IgE seriche dei pazienti indagati.<br />

A - Indagine clinica e preparazione del prodotto da testare<br />

Dai tre Ospedali cittadini coinvolti nel progetto (Ospedale Infantile Regina Margherita,<br />

Ospedale Evangelico Valdese ed Ospedale Koelliker) e dalla pratica privata di uno dei medici<br />

coinvolti sono stati selezionati 142 soggetti per un sospetto di allergia ad alimenti dei quali 78<br />

adulti e 64 bambini.<br />

All’inizio della ricerca il laboratorio dell’ARPA di Ivrea ha testato i due campioni di soia<br />

(WT e GM Roundup ReadyTM) per la presenza e l’assenza del gene eterologo tramite PCR<br />

mediante l’amplificazione del promotore CaMV 35S e del terminatore NOS. La soia<br />

transgenica è risultata 100% positiva e quella naturale assente da modificazioni transgeniche.<br />

I semi di soia sono stati poi finemente macinati in modo da ottenere una polvere che è stata<br />

suddivisa in aliquote da 0,1mg da risospendere con 1 ml di soluzione fiosiologica e<br />

consegnate agli ospedali coinvolti nel progetto per eseguire il prick-by-prick sui pazienti<br />

selezionati. A seguito di una riunione di tutti i partecipanti al progetto, il laboratorio<br />

dell’ARPA ha eseguito una nuova preparazione disperdendo la farina di soia in acqua e<br />

scaldando la soluzione fino ad ottenere un “latte di soia”. Si era infatti notato che la soia WT<br />

si scioglieva con difficoltà nella soluzione fisiologica probabilmente perché più ricca in grassi<br />

di quella GM.<br />

In particolare i soggetti testati sono così suddivisi:<br />

• Dott.Fiorucci: 66 soggetti testati dei quali 62 adulti e 4 bambini di età inferiore ai 12 anni.<br />

• Dott.ssa Monti: 40 soggetti testati tutti bambini di età inferiore ai 12 anni.<br />

• Dott. Ricca: 36 soggetti testati dei quali 20 bambini compresi fra i 6 mesi e i 12 anni e 16<br />

adulti.<br />

Tutti i soggetti sono risultati negativi alla soia sia WT che GM eccetto 2 bambini ed 1 adulto<br />

positivi alla soia WT e non a quella GM ed un bambino positivo ad entrambi i tipi di soia.<br />

B - Proteomica<br />

Il laboratorio per lo Studio del Proteoma dell’ISPA.CNR di Torino si è occupato della messa<br />

a punto di un metodo fine per identificare quali proteine presenti nella soia GM fossero<br />

reattive alle IgE dei pazienti allergici. A tal proposito sono state utilizzate le tecniche della<br />

Proteomica con la messa a punto di mappe bidimensionali di estratti proteici di soia WT e<br />

GM.<br />

258


Si è deciso di realizzare sia mappe molto piccole di soli 8X7 cm per poter incubare la<br />

membrana blottata su nitrocellulosa con il siero dei pazienti allergici che mappe più grandi<br />

dalle quali poter ritagliare gli spot che dovessero risultare presenti o differentemente espressi<br />

nella mappa GM o WT e procedere all’identificazione della proteina corrispondente mediante<br />

spettrometria di massa. Per la preparazione degli estratti proteici per le successive separazioni<br />

elettroforetiche si sono testati 3 metodi di estrazione: uno che contiene urea e tiourea e che è<br />

compatibile con la prima dimensione dell’elettroforesi bidimensionale, un altro che ha in<br />

aggiunta oltre ai componenti del primo anche il detergente ASB14 e infine il tampone PBS.<br />

Tutti i tamponi di estrazioni sono stati testati utilizzando strip per la prima dimensione con un<br />

gradiente da 3 a 10 di pI. La seconda dimensione è stata realizzata utilizzando gel a gradiente<br />

4-12%T già pronti o gel al 12% T realizzati in laboratorio. Sia la preparazione con PBS che<br />

quella con urea/tiourea h<strong>anno</strong> dato buoni risultati ottenendo mappe con spot proteici ben<br />

definiti in buona parte del gel. Si sono anche realizzate mappe di 13X16cm sia della soia WT<br />

che di quella GM.<br />

RISULTATI<br />

Buona parte degli obiettivi che il presente progetto si proponeva sono stati raggiunti.<br />

1. Sono state ottenute le mappe bidimensionali dei due tipi di soia (Roundup ReadyTM GM<br />

e WT) ed è in corso l’analisi di immagine di queste mappe per poter selezionare gli spot<br />

che differiscono fra le due mappe e caratterizzare i 2 tipi di semi più approfonditamente e<br />

poter proporre un metodo più raffinato per definire la sostanziale equivalenza fra soia<br />

originale e geneticamente modificata.<br />

2. Da questi dati epidemiologici preliminari non sembra essere rilevabile una maggiore<br />

sensibilizzazione IgE mediata alla soia transgenica. Sui 142 soggetti testati solo un adulto<br />

e due bambini sono risultati debolmente positivi alla soia WT e solo un bambino ad<br />

entrambe. La percentuale di positività (1,3% adulti e 4,6% bambini) si attesta con quanto<br />

presente in letteratura. Nessuno dei soggetti è stato giudicato idoneo per ulteriori indagini<br />

molecolari a livello di proteine reattive alle IgE seriche.<br />

In conclusione non sembra che l’introduzione sul mercato di soia transgenica abbia causato un<br />

aumento nella sensibilizzazione da parte della popolazione a questo alimento. Per contro i<br />

primi dati di confronto della mappe proteiche sembrano evidenziare differenze<br />

nell’espressione di alcune proteine. Sia la natura delle proteine che la loro eventuale<br />

implicazione a livello biochimico sono ancora in corso di studio.<br />

259


Mariella Goria Filone tematico D2<br />

Approfondimenti diagnostici ed epidemiologico-molecolari della<br />

tubercolosi da M.bovis nell'uomo e negli animali<br />

Istituto Zooprofilattico Sperimentale del <strong>Piemonte</strong>, Liguria e Valle D’Aosta<br />

Lab. di Biotecnologie<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Al fine di conseguire l’eradicazione della tubercolosi bovina dal territorio piemontese nel<br />

corso degli ultimi anni un notevole sforzo è stato compiuto in sinergia dalle Istituzioni<br />

(Servizi Regionali, Istituto Zooprofilattico, ASL) che, per competenze differenti, sono<br />

coinvolte nelle operazioni di controllo e risanamento. La progressiva riduzione della<br />

prevalenza della malattia registrata a partire dagli anni ‘90, ha generato la necessità di<br />

sviluppare protocolli diagnostici più sensibili, con l’introduzione di moderne metodiche<br />

molecolari in ausilio sia alle prove in vita che a quelle post-mortem (Gamma-IFN test e<br />

ricerca diretta di micobatteri con PCR). Essendo la tubercolosi una malattia molto complessa,<br />

sia per le peculiarità eziopatogenetiche, sia per il carattere antropozoonotico che per le<br />

interazioni con malattie immunosoppressive, gli studi epidemiologici risultano di grande<br />

supporto per la comprensione delle dinamiche infettive negli interventi di eradicazione in<br />

campo veterinario e di prevenzione in campo umano.<br />

OBIETTIVO<br />

Questo studio si prefiggeva quindi di approfondire le valutazioni circa l’affidabilità ed<br />

l’impiego nella lotta alla tubercolosi delle tecniche molecolari, basate sull’analisi del DNA,<br />

che si sono rivelate promettenti dal punto di vista della sensibilità e delle informazioni, anche<br />

di tipo epidemiologico, che possono fornire (identificazione e caratterizzazione su base<br />

molecolare dei microrganismi).<br />

MATERIALI E METODI<br />

In ordine al conseguimento degli obbiettivi proposti, l’azione operativa si è sviluppata su due<br />

aspetti principali:<br />

Aspetti diagnostici<br />

• Valutazione di sensibilità dei metodi diagnostici post mortem attraverso il confronto del<br />

metodo molecolare per la ricerca diretta di micobatteri tb complex nei tessuti con l’esame<br />

colturale riferiti ad un gold standard definito sulla base delle prove in vita.<br />

• Caratterizzazione molecolare dei ceppi di M.bovis isolati da bovini e da pazienti ricoverati<br />

presso le strutture ospedaliere regionali, rivolta a descrivere ed inquadrare la natura<br />

genetica dei ceppi isolati.<br />

Aspetti epidemiologici<br />

• Sviluppo di strumenti informatici idonei all’analisi dei dati raccolti in questo studio, in<br />

modo caratterizzare le dinamiche che, nel triennio 2002-2004, h<strong>anno</strong> connotato<br />

l’infezione tubercolare negli allevamenti piemontesi e in alcuni episodi infettivi che h<strong>anno</strong><br />

coinvolto anche soggetti umani.<br />

260


RISULTATI<br />

Esame colturale e ricerca diretta di micobatteri da tessuto<br />

La ricerca diretta di micobatteri da tessuti è stata svolta mediante una heminested PCR,<br />

parallelamente all’esame colturale con il quale sono state isolate le colonie cresciute per le<br />

successive analisi di caratterizzazione molecolare.<br />

L’amplificazione ha come target la regione mobile IS6110 per il rilevamento dei micobatteri<br />

appartenenti al Mycobacterium tuberculosis complex.<br />

Per la valutazione della sensibilità diagnostica delle prove di conferma post mortem, gli esiti<br />

della PCR e dell’esame colturale, sono stati rapportati ad un gold standard così definito:<br />

soggetti provenienti da allevamenti dichiarati infetti (almeno due positività consecutive alle<br />

prove ufficiali o segnalazione di lesioni al macello) e positivi alle prove in vita.<br />

Riferendo l’analisi dei dati al biennio <strong>2003</strong>-2004, in cui la metodica molecolare è stata<br />

ulteriormente migliorata dal punto di vista tecnico, la sensibilità media dell’esame colturale<br />

risulta pari a 37%, quella del metodo molecolare pari al 41%, mentre se valutate in parallelo,<br />

il valore sale a 52%.<br />

In tabella sottostante i dati di sensibilità sono stratificati rispetto al tipo di lesione riscontrata:<br />

se nei campioni con lesione i valori di sensibilità sono elevati, essi si riducono notevolmente<br />

nei campioni NLV, ma deve essere rilevato il contributo, in termini di migliore sensibilità<br />

analitica, reso dai metodi molecolari nei campioni non altrimenti diagnosticabili post-mortem.<br />

CAMPIONI TEST SENSIBILITA’%<br />

PCR 71.2<br />

con lesioni<br />

Colturale 91.5<br />

PCR+Colturale 96.6<br />

PCR 33.3<br />

NV<br />

Colturale 23.3<br />

PCR+Colturale 41.5<br />

Differenziazione molecolare<br />

Le principali metodiche impiegate per definire il profilo genetico di ceppi M.bovis isolati da<br />

bovino e uomo sono state lo Spoligotyping e il VNTR-typing. Sono stati caratterizzati con<br />

entrambi i metodi 346 ceppi di origine bovina isolati dal 2002 fino al primo semestre del 2004<br />

e, mediante il coinvolgimento della Clinica Universitaria delle Malattie infettive – Ospedale<br />

Amedeo di Savoia, 6 ceppi M.bovis isolati da pazienti umani nel medesimo periodo. Sono<br />

stati evidenziati 24 spoligotipi differenti: il più diffuso è risultato essere BCG-like (64.3%): a<br />

questa informazione si associa la considerazione che la tecnica di spoligotyping ha una<br />

capacità limitata nel differenziare i ceppi. La variabilità osservata con il VNTR-tipo è risultata<br />

più elevata (37 VNTR-tipi differenti, di cui il più diffuso, 54433, rappresenta il 20.1% del<br />

totale). L’associazione dei due metodi aumenta notevolmente il potere di differenziazione:<br />

all’interno del gruppo con spoligotipo BCG-like i profili VNTR riscontrati sono stati infatti<br />

27. Questo studio ha inoltre svelato nuovi casi di trasmissione dell’infezione da animale a<br />

uomo: i profili di caratterizzazione spoligotyping e VNTR dei ceppi isolati in tutti i casi sono<br />

risultati reciprocamente identici. Le informazioni ricavate dalla caratterizzazione molecolare<br />

dei ceppi ha costituito la base dati del programma informatico creato ad hoc per l’analisi<br />

epidemiologica.<br />

261


Strumenti informatico-epidemiologici<br />

Al fine di analizzare le informazioni raccolte grazie alle metodiche molecolari, è stato<br />

sviluppato un sistema informatizzato di gestione dati, in grado di associare alle informazioni<br />

provenienti dall’indagine epidemiologica classica (collocazione dell’allevamento, numero di<br />

capi infetti, eventuali movimenti di stalla ecc..) i profili molecolari dei ceppi isolati. Lo<br />

sviluppo del database ha consentito non solo l’organizzazione dei dati significativi in forma<br />

tabellare, ma anche l’elaborazione di cartine geografiche che associano i profili molecolari,<br />

raggruppati in cluster, al territorio regionale in modo da poter monitorare la diffusione di<br />

particolari ceppi, verificare le dinamiche diffusive di definiti stipiti, agevolare la<br />

comprensione di nuovi episodi infettivi.<br />

CONCLUSIONI<br />

Lo studio condotto ha permesso di acquisire valutazioni positive sulle prestazioni dei metodi<br />

molecolari che affiancano quelli tradizionali nelle operazioni di eradicazione della tubercolosi<br />

bovina e nella conoscenza delle dinamiche di trasmissione dell’infezione all’uomo; la<br />

trasferibilità dei risultati a SSN è mediata dall’Osservatorio Epidemiologico Veterinario<br />

Regionale e dal lab. di Epidemiologia molecolare della Clinica Universitaria di Malattie<br />

Infettive, ove risiedono i database sopra descritti.<br />

262


Maria Ausilia Grassi Filone tematico B1<br />

Profilo microbiologico di verdure di IV gamma destinate alla ristorazione<br />

collettiva.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Patologia Animale<br />

METODI E RISULTATI<br />

Scopo della presente ricerca era valutare il livello igienico di verdure di IV gamma prodotte e<br />

commercializzate sul territorio e destinate alla ristorazione collettiva. Al fine di acquisire tali<br />

informazioni, è stata identificata una realtà produttiva, sita nel territorio della regione<br />

<strong>Piemonte</strong>, che permettesse di eseguire i campionamenti lungo la filiera produttiva. La realtà<br />

esaminata è risultata essere, peraltro, il maggior fornitore regionale di tali derrate. Sono stati<br />

inoltre prelevati campioni sia dal commercio sia da punti di ristorazione collettiva (mense<br />

scolastiche). In totale sono stati analizzati 123 campioni così suddivisi<br />

1. commercio: 10 campioni di insalata verde e mista di cui 3 provenienti da coltivazione<br />

biologica ed una da coltivazione con lotta integrata;<br />

2. ristorazione: 12 campioni provenienti dallo stabilimento di produzione oggetto dei<br />

campionamenti (3 campioni di carote, 2 di finocchi e 7 di insalata mista e verde);<br />

3. stabilimento di produzione: 101 campioni prelevati nei differenti momenti produttivi<br />

(prima mondatura, precentrifugazione e prodotto finito) e precisamente:<br />

• carote 18 campioni<br />

• finocchi 16 campioni<br />

• insalata mista 15 campioni<br />

• indivia 16 campioni<br />

• verza 17 campioni<br />

• insalata verde (pandizucchero) 19 campioni.<br />

Per ogni prelievo veniva compilata una scheda al fine di ottenere informazioni relative ad:<br />

azienda di provenienza, modalità di coltivazione, livello di imbrattamento da residui di terra,<br />

scarti per pectinolisi. L’analisi di tale schede ha permesso di stabilire che indipendentemente<br />

dalla tipologia del vegetale, la percentuale di scarto è superiore al 30%, mentre<br />

l’imbrattamento risulta ridotto (


analizzati ha permesso inoltre di evidenziare una variazione nei valori delle cariche,<br />

verosimilmente legata ad una maggior permanenza di tali prodotti alle temperature di<br />

refrigerazione. Le cariche più contenute infatti (rispettivamente per enterobatteri e cbt pari a<br />

103 e 105 ufc/g), sono quelle relative ai campioni prelevati in stabilimento ed analizzati subito<br />

dopo il confezionamento; sia per i campioni del commercio (10 5 ufc/g enterobatteri e 10 6<br />

ufc/g cbt) sia per quelli prelevati nelle celle frigo delle mense (10 6 ufc/g enterobatteri e 10 8<br />

ufc/g cbt) si è rilevato un incremento delle cariche. Per quanto riguarda i germi patogeni sono<br />

stati ricercati i seguenti microrganismi: Salmonella spp, Listeria monocytogenes, E. coli<br />

patogeni, Campylobacter jejuni, Aeromonas hydrophila e Yersinia enterocolitica.<br />

L’identificazione dei ceppi isolati, è stata eseguita tramite metodica di PCR. In nessuno dei<br />

campioni analizzati è stato isolato Campylobacter jejuni, mentre Salmonella spp è stata isolata<br />

da 1 campione di indivia dopo mondatura proveniente dallo stabilimento (positività pari allo<br />

0,8%). Per Listeria monocytogenes sono risultati positivi due campioni di insalata mista del<br />

commercio (1,6%). Per quanto riguarda Yersinia enterocolitica su 323 ceppi ”sospetti” 51<br />

sono risultati positivi, pari al 25,74% (26 campioni); l’isolamento è avvenuto in 1 campione di<br />

insalata mista del commercio e 8 campioni di verza (3 dopo la prima mondatura, 3 prima della<br />

centrifuga e 2 prodotti finiti), 4 pan di zucchero (1 prima della centrifuga e 3 prodotti finiti), 4<br />

indivie (2 prima della centrifuga e 2 prodotti finiti), 3 carote (1 dopo la prima mondatura, 1<br />

prima della centrifuga e1 prodotto finito), 3 campioni di insalata mista (2 dopo la prima<br />

mondatura e1 prodotto finito) e 3 finocchi (2 dopo la prima mondatura ed 1 prodotto finito)<br />

tutti prelevati dallo stabilimento di produzione. Il 7.84% dei ceppi pari a due campioni (carote<br />

dopo la mondatura ed indivia confezionata) è risultato positivo per i geni espressione di<br />

patogenicità (ail – fattore di invasione e yst- codificante per l’elaborazione di una tossina<br />

termolabile). La positività per E. coli è risultata pari all’ 1.6% (1 campione di indivia dopo<br />

mondatura e un’insalata pandizucchero prima della centrifuga). Nessun ceppo è risultato<br />

positivo per la presenza dei geni codificanti la produzione di tossine (stx1 – stx2. La PCR<br />

eseguita sulle colonie non ha tuttavia evidenziato la presenza dei geni responsabili della<br />

produzione di tossine (stx1 ed stx2). Anche nei confronti di Aeromonas spp. si è riscontrata<br />

una bassa percentuale di positività pari allo 0.8% (1/123 - verza confezionata proveniente<br />

dallo stabilimento). Le analisi eseguite presso lo stabilimento, su tutti i punti della filiera,<br />

h<strong>anno</strong> evidenziato come il trattamento delle verdure con ipoclorito in fase di lavaggio, nella<br />

percentuale di 20-40 ppm, permetta un abbattimento delle cariche microbiche nel prodotto<br />

finito di 1 grado logaritmico per tutte le tipologie di verdure analizzate, fatta eccezione per i<br />

finocchi per i quali i valori non subiscono riduzioni significative. Tuttavia, anche a fronte<br />

dell’utilizzo di ipoclorito è stato possibile l’isolamento di germi potenzialmente patogeni<br />

anche nel prodotto finito. Tale trattamento si è rivelato peraltro molto efficace contro<br />

Salmonella spp.; la positività infatti si è riscontrata in un campione dopo prima mondatura e<br />

non nel prodotto confezionato. Le percentuali di positività per i patogeni da noi isolati sono<br />

risultate più contenute rispetto a quanto riportato in bibliografia (Lee T.S. et al.,2004;<br />

Johannessen G.S. et al., 2002; Soriano J.M. et al., 2000) soprattutto relativamente a Listeria<br />

monocytogenes ed Aeromonas spp.<br />

I risultati ottenuti evidenziano come interventi di sanificazione sia sulle apparecchiature sia<br />

sulle materie permettano un controllo dei patogeni presenti nella materia prima.<br />

264


Carla Grattarola Filone tematico D2<br />

Infezione da Brucella suis nel cinghiale in <strong>Piemonte</strong>: studio della<br />

diffusione in due Ambiti Territoriali di Caccia<br />

Istituto Zooprofilattico Sperimentale del <strong>Piemonte</strong>, Liguria e Valle D’Aosta<br />

Lab. di Biotecnologie<br />

MATERIALI E METODI<br />

La ricerca è stata articolata nelle seguenti fasi:<br />

1. stima delle popolazioni oggetto di studio.<br />

2. definizione del n° di campioni per la stima della prevalenza complessiva dell’infezione del<br />

cinghiale (IC:95%, err. 5%)<br />

3. definizione del n°di campioni per la stima di presenza o assenza di infezione nella lepre<br />

(IC:95%)<br />

4. definizione delle modalità di campionamento<br />

5. predisposizione di modulistica specifica<br />

6. predisposizione di questionario per le categorie professionali coinvolte<br />

7. sensibilizzazione del personale coinvolto<br />

8. applicazione dei test sierologici trb e fdc sulle matrici di siero, e di fdc sullo spremuto<br />

polmonare, e delle metodiche batteriologiche sulle matrici di milza e genitali<br />

9. implementazione del protocollo di isolamento per la lepre<br />

10. valutazione degli apparati riproduttori<br />

11. utilizzo in parallelo dei test sierologici e dell’isolamento per la stima della prevalenza<br />

dell’infezione nel cinghiale.<br />

12. rappresentazione cartografica dei prelievi e dei riscontri di positivita’<br />

13. analisi statistica dei risultati.<br />

14. elaborazione dei questionari.<br />

RISULTATI CINGHIALE<br />

La popolazione nell'ATCCN5 è stata stimata pari a ca. 1500 soggetti, mentre nell’ATCCN4<br />

pari a ca. 600. I capi esaminati sono stati 274 per l’ATCCN5 e 48 per l’ATCCN4.<br />

L’identificazione batteriologica ha dato sempre esito positivo per Brucella suis biovar 2. Tutti<br />

gli organi pervenuti sono risultati privi di lesioni. Per la definizione della prevalenza<br />

complessiva sono stati selezionati tutti i capi di cui erano disponibili esiti conclusivi<br />

sierologici e batteriologici.<br />

ATCCN5: sui capi campionati a fine <strong>2003</strong> la prevalenza risulta pari a 4,67


ATCCN4-L'esiguo n°di campioni pervenuti non consente di effettuare analisi statistiche<br />

appropriate.<br />

RISULTATI LEPRE<br />

Non è possibile esprimere alcuna considerazione sull'ATCCN4 (tutti i campioni pervenuti<br />

appartengono all’ATCCN5); tutti i campioni h<strong>anno</strong> dato esito negativo;in base all’esito la<br />

massima prevalenza possibile nell’area considerata risulta pari a 6,73, ovvero l’infezione<br />

brucellare nelle lepri, se presente, lo è al di sotto del limite individuato. E’ possibile una<br />

distorsione legata al lungo periodo di congelamento cui sono stati sottoposti i campioni prima<br />

dell’esecuzione degli esami colturali, che potrebbe aver influenzato negativamente la<br />

sopravvivenza di Brucella suis eventualmente presente. Solo in un caso su 43 e’ stata<br />

osservata orchite necrotico-purulenta.<br />

QUESTIONARI<br />

I questionari raccolti sono stati 33. I dati più significativi sono così riassumibili: per le<br />

modalità di dissanguamento 25 (76%) h<strong>anno</strong> dichiarato “su campo”; per l’eviscerazione 20<br />

(61%) h<strong>anno</strong> risposto “in locale chiuso”; circa l’utilizzo dei visceri 27 (82 %) h<strong>anno</strong><br />

dichiarato che vengono interrati;circa l’utilizzo degli scarti 20 (61%) h<strong>anno</strong> dichiarato che<br />

vengono interrati; per l’utilizzo di guanti nella manipolazione delle carcasse 22 (67%) h<strong>anno</strong><br />

dichiarato di si;riguardo al consumo di carni 30 (94%) h<strong>anno</strong> dichiarato che esse vengono<br />

cotte; per le modalità di conservazione delle carni 32 (97%) h<strong>anno</strong> indicato il congelamento, e<br />

le risposte raccolte circa il periodo di tempo indicano fino a 6 mesi in 14 casi (43%) e fino a<br />

12 in 8 casi (24%); circa la cessione di carni ad altri 28 (85%) h<strong>anno</strong> dichiarato di no.<br />

CONCLUSIONI<br />

Per l'ATCCN5 la prevalenza stimata nel cinghiale, con errore inferiore al 5%, si attesta su un<br />

valore medio del 15%. La considerazione dei test in parallelo e la selezione dei capi positivi in<br />

base alla positività ad almeno un test è stata scelta per l'esigenza di superare i limiti di<br />

sensibilità del test batteriologico. I calcoli effettuati possono aver comportato una sovrastima<br />

della prevalenza d'infezione effettiva (possibili falsi positivi sierologici) ma h<strong>anno</strong><br />

sicuramente consentito di individuare tutti I capi positivi presenti. L’isolamento da organi<br />

genitali senza lesioni ha confermato i dati bibliografici relativi a scarse conseguenze<br />

dell’infezione sulla fertilità del cinghiale. Dato il riscontro statisticamente significativo di<br />

positività negli adulti rispetto ai giovani si presuppone che la trasmissione per via sessuale sia<br />

preponderante rispetto alla via orale. Al momento attuale nelle aree esaminate appare<br />

consolidata la circolazione di Brucella suis biovar 2. Per quanto riguarda l'inquadramento<br />

della brucellosi nella lepre, al momento attuale, è possibile solo concludere che l'infezione<br />

potrebbe essere presente, seppur a bassa prevalenza. L'evidenza del congelamento prolungato<br />

delle matrici quale possibile fattore condizionante la sensibilità degli esami batteriologici<br />

induce a non esprimere considerazioni conclusive sull'assenza di un possibile ruolo attivo<br />

della lepre nella trasmissione dell'infezione. Tale criticità dovrà essere attentamente<br />

considerata per futuri controlli, e per eventuali applicazioni del modello d'indagine in altre<br />

aree territoriali regionali. Per quanto riguarda la valutazione della possibilità, per categorie a<br />

rischio, di contatto con materiali infetti, nonostante l'esiguo numero di questionari raccolti si<br />

evince un certo rischio relativo alla manipolazione dei prodotti ma non al consumo delle<br />

carni. L'analisi delle risposte relative alla pratica del dissanguamento e dell'eviscerazione<br />

evidenzia un rischio non trascurabile per la diffusione dell'infezione nel cinghiale. Si auspica<br />

che la divulgazione dei risultati alle categorie a rischio coinvolte nel progetto potrà consentire<br />

un rafforzamento dell'adozione di precauzioni atte a prevenire la diffusione del contagio<br />

all'uomo.<br />

266


Andrea Graziani Filone tematico A2<br />

Studio dell’espressione di Diacilglicerolo cinasi in tumori epiteliali<br />

mediante real time RT-PCR.<br />

Università degli Studi del <strong>Piemonte</strong> Orientale Amedeo Avogadro<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

Nella prima fase del progetto:<br />

1. è stata messo a punto un saggio di determinazione quantitativa in RT-PCR in real time per<br />

l’espressione di aDgk (1a), ed è stato deciso di soprassedere al punto 1b in quanto<br />

l’anticorpo anti-aDgk a disposizione (non commerciale) non è di qualità sufficiente.<br />

Poiché anche gli anticorpi commerciali sono di scarsa qualità, abbiamo pertanto deciso di<br />

generare nel nostro laboratorio anticorpi monoclinali da utilizzare per questo scopo<br />

(indagine immunoistochimica per l’espressione di aDgk nei tumori) e altri obiettivi di<br />

ricerca. Tuttavia la generazione di anticorpi anti-aDgk costituisce un progetto<br />

indipendente dal presente.<br />

2. mediante inibizione farrmacologica di aDgk, abbiamo dimostrato che l’inibizione<br />

specifica di aDgk riduce quasi completamente la capacità delle cellule tumorigeniche di<br />

invadere la matrice extracellulare in un saggio di invasione in vitro, e abbiamo valutato<br />

l’espressione di aDgk in diverse linee di carcinoma mammario a diversa capacità invasiva.<br />

Complessivamente i dati ottenuti suggeriscono un paradosso: mentre la funzione di aDgk la<br />

cui attività enzimatica è stimolata da HGF e espressione di v-Src, è necessaria per la capacità<br />

di migrare e di invadere la matrice extracellulare, la sua espressione è invece downregolata in<br />

quelle linee maggiormente tumorigeniche e invasive sia in vivo che in vitro. Tuttavia l’analisi<br />

dell’espressione di aDgk in linee derivate da tumori, è scarsamente significativa della<br />

funzione in vivo.<br />

Pertanto abbiamo proseguito il progetto, lavorando in due diverse direzioni. Innanzitutto<br />

abbiamo misurato l’espressione di aDgk in carcinomi di pazienti soggetti a intervento<br />

chirurgico. L’espressione di aDgk nel tessuto tumorale è stata paragonata con l’espressione di<br />

aDgk nel tessuto sano circostante, opportunamente prelevato e congelato in azoto liquido.<br />

Abbiamo pertanto deciso di indagare i livelli di espressione di DGK confrontando tra loro<br />

diverse tipologie di carcinomi della mammella con i rispettivi tessuti sani. I tessuti studiati (30<br />

in totale) sono stati prelevati da 13 pazienti affette da diversi tipi di carcinomi mammari,<br />

pervenute presso l’Ospedale Maggiore della Carità di Novara nell’arco di circa nove mesi.<br />

Dai tessuti in questione si è estratto l’RNA totale per mezzo di TRIZOL e si è quindi valutata<br />

DGK per mezzo di Real Time PCR.<br />

I dati ottenuti h<strong>anno</strong> messo evidenza diversi aspetti:<br />

• l’espressione di diversi campioni presenta un’elevata variabilità, con campioni che<br />

arrivano ad un’espressione di circa 2000 volte superiore a quella del calibratore;<br />

• non sembra essere presente una correlazione tra espressione di αDgk e patologia, in<br />

quanto i valori in tabella sono distribuiti omogeneamente e non evidenziano differenze<br />

marcate tra sano e malato,<br />

• nei casi in cui i pezzi chirurgici erano più di uno si è potuto notare una differenza di<br />

espressione di αDGK addirittura tra due campioni di tessuto sano o due campioni<br />

neoplastici della stessa paziente.<br />

267


Ciò può essere dovuto a diverse variabili quali differenze a livello di estrazione, di<br />

conservazione oppure a livello chirurgico. Quindi il livello di espressione di Dgk nei<br />

campioni presi in esame e’ estremamente variabile e non sembra correlare con la presenza di<br />

tumore. Confrontando l’espressione di αDgk tra i tessuti appartenenti allo stesso caso<br />

emergono ancora meglio differenze sostanziali riguardanti tessuti teoricamente tra loro<br />

identici, dimostrando una disomogenea distribuzione di Dgk nella totalità deicasi.<br />

Avendo osservato un’assenza di correlazione tra i livelli d’espressione di Dgk e la presenza di<br />

tumore, ci siamo chiesti se la correlazione potesse sussistere con il grado di invasività. A tal<br />

scopo abbiamo raccolto i risultati le indagini isto-patologiche condotte su campioni prelevati<br />

dalle medesime pazienti prese in esame per il nostro studio e abbiamo cominciato a<br />

completare una tabella in cui raccogliere tutte le informazioni a nostra disposizione, quali il<br />

grado di malignità del tumore o la presenza di metastasi linfonodali. Inoltre altri parametri che<br />

indicano l’assetto recettoriale e la frazione proliferante quali: recettore nucleare per estrogeno,<br />

recettore nucleare per progesterone, proteina estrogeno-associata, cellule in fase attiva del<br />

ciclo cellulare, prodotto dell’oncogene HER-2/neu e prodotto del gene oncosopressore mutato<br />

p53. Dall’analisi dei dati sembra non emergere correlazione tra l’espressione di aDgk e lo<br />

stadio del tumore o l’invasività. Sebbene questi dati non sembrino incoraggianti, non<br />

smentiscono necessariamente un ruolo di aDgk nella tumorigenesi e come possibile target<br />

farmacologico. L’assenza di correlazione può dipendere dalla scarsa numerosità del gruppo di<br />

pazienti e dalla loro eterogeneità. Invece che continuare su questa direzione si è deciso<br />

a) di continuare l’analisi dell’espressione di aDgk nei tumori consultando periodicamente i<br />

diversi database che riportano le analisi di espressione genica mediante microarray di<br />

gruppi di pazienti,<br />

b) di valutare l’espressione di aDgk in un modello di cancerogenesi mammaria nel topo<br />

indotto dalla sovraespressione dell’oncogene Neu/ErbB2 (in collaborazione con prof.<br />

Guido Forni e Prof. Raffaele Calogero, Univ di Torino).<br />

Da una prima analisi l’espressione di aDgk è aumentata nella prima fase dello sviluppo<br />

tumorale, suggerendo un ruolo di aDgk nella tumorigenesi.<br />

Allo scopo di dimostrare in modo inequivocabile il ruolo di aDgk nei tumori, abbiamo deciso<br />

di generare un reagente molecolare che permettesse di downregolare l’espressione di aDgk in<br />

vivo. Allo scopo abbiamo generato un RNAi subclonato in un vettore lentivirale. Abbiamo<br />

quindi generato delle linee di carcinoma gastrico e di carcinoma mammario, in cui<br />

l’espressione di aDgk è effettivamente downregolate. Abbiamo quindi valutato la capacità di<br />

tali linee di proliferare edi invadere la matrice extracellualre in vitro e le abbiamo saggiate in<br />

alcuni saggi di trafromazione tumorale in vitro, quali il soft agar assay e il focus formation<br />

assay. Le linee prive di aDgk erano assolutamtye incapaci di sostnere crescita in soft agar e<br />

capacità di formare foci. Pertanto queste linee sono al momento saggiate in diversi saggi di<br />

tumorigenesi e metastasi in vivo in topi nudi.<br />

268


Dario Gregori Filone tematico C1<br />

Sviluppo e validazione di modelli previsivi di mortalità in pazienti con<br />

diabete di tipo II<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia<br />

OBIETTIVI<br />

1. l’individuazione di adeguati modelli statistici che pennettano, attraverso un utilizzo più<br />

intensivo dei dati esistenti, una maggiore accuratezza predittiva dell'evento morte. I<br />

modelli considerati sono le Reti Neurali, i Classificatori Bayesiani Robusti, i K -nearest<br />

neighbor, la projection pursuit regression;<br />

2. lo sviluppo di modelli ad hoc riferiti alla patologia diabetica di tipo II su una coorte di<br />

pazienti dell'Ospedale Molinette<br />

RISULTATI DELLA RICERCA<br />

La fase di ricerca metodo logica è stata portata a termine, e le varie tecniche comparate su una<br />

popolazione, readyavailable, di soggetti cardiopatici. Il lavoro è stato accettato per la<br />

publicazione sulla rivista lnternational Journal of Cardiology.<br />

Il database dei soggetti diabetici è stato acquisito e validato. Le analisi preliminari e la<br />

costruzione dei validation e test sets sono state effettuate. Primi modelli di regressione robusta<br />

sono stati testati su un outcome di costo e verr<strong>anno</strong> spediti quanto prima ad una rivista di<br />

settore.<br />

Il modello di mortalità è stato validato con le metodologie indicate nel progetto e ha dato<br />

come risultato una migliore performance della projection pursuit regression, che in effetti<br />

mostra una accuratezza ed una sensibilità maggiore rispetto alle altre tecniche previsive.<br />

Gli indici vi adattamento valutati sono il Dxy di Somer, Il Brier e il Discrimination Index (per<br />

tutti e tre il valore minimo è zero e quello massimo, indicante adattamento perfetto è pari ad<br />

1), l'indice Q di qualità della previsione (valori vicini a zero indicano una migliore<br />

previsione).<br />

Model Brier Dxy D Q PPV PPV PPV NPV NPV NPV MR MR MR AUC<br />

(50%) (75%) (ROC) (50%) (75%) (ROC) 50 75 ROC<br />

LR 0.1926 0.5366 0.2621 0.2752 0.6901 0.8571 0.8947 0.6790 0.5649 0.5639 0.3158 0.3947 0.3947 0.7700<br />

GAM 0.1935 0.5442 0.2603 02735 0.6812 0.8696 0.9091 0.6627 0.5736 0.5769 0.3289 0.3816 0.3750 0.7700<br />

PPR 0.1035 0.8769 0.7543 0.7200 0.9041 0.9492 1.0000 0.8861 0.7957 0.6210 0.1053 0.1447 0.3092 0.9400<br />

KNNI 1.5116 0.2480 -0.007 -0.060 0.4928 0.5083 0.4928 0.5000 0.5625 0.5000 0.5066 0.4803 0.5066 0.6200<br />

KNN2 0.2745 0.0802 -0.004 -0.103 0.4966 0.2500 0.5105 0.6667 0.4931 0.7778 0.5000 0.5197 0.4737 0.5400<br />

LDA 0.1931 0.5384 0.2551 0.2648 0.6667 0.8947 1.0000 0.6892 0.5639 0.5704 0.3224 0.3947 0.3816 0.7700<br />

QDA 0.2015 0.7586 0.4762 -0.107 0.6923 0.7158 0.7412 0.9375 0.8772 0.8209 0.2303 0.2237 0.2237 0.8800<br />

ANN 0.1503 0.7327 0.4808 0.4951 0.8026 0.9000 0.9286 0.8158 0.6518 0.6048 0.1908 0.2829 0.3355 0.8700<br />

269


Le capacità previsive sono state valutate con tecniche di ricampionamento basate sul<br />

bootstrap (10000 replicazioni per ogni modello/indice), per eliminare l'ottimismo nella<br />

predizione basata sul solo campione interno, esaminando i valori predittivi positivi (PPV) con<br />

un cut-off sulle probabilità predette pari al 50%, 75% e senza cut-off rispetto all'Area Under<br />

Curve (ADC) delle curve ROC. Stessi cut-off sono stati valutati per il Potere predittivo<br />

negativo (NPV) e per il tasso di errata classificazione (mis-classificazion rate MR).<br />

Come si vede nella tabella, rispetto in particolare agli indici più importanti, il Dxy e l'ADC<br />

delle curve ROC, le Projection Pursuit Regression (PPR) permettono un guadagno di capacità<br />

previsiva del 63% (0.8769 vs 0.5366) per il Dxy e del 22% (0.94 vs 0.77) per l'ADC, rispetto<br />

al modello standard di regressione logistica. Incrementi minori ma comunque significativi<br />

emergono anche dalle reti neurali, con miglioramenti della capacità previsiva pari al 22%<br />

rispetto al Dxy e del 14% rispetto all' ADC.<br />

L'utilizzo di tecniche maggiormente sofistiche e non-standard, anche su base routinaria come<br />

nel caso analizzato, ovvero senza eccessiva modellazione ad hoc del fenomeno, permettendo<br />

una migliore previsione, ottenibile utilizzando la stessa base informativa dei modelli standard.<br />

270


Giorgio Gribaudo Filone tematico A2<br />

Analisi dei meccanismi dello sviluppo del d<strong>anno</strong> vascolare associato<br />

all'infezione con Citomegalovirus<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Evidenze epidemiologiche e studi clinici indicano che l’infezione da Citomegalovirus (CMV)<br />

è associata alla patogenesi dell’aterosclerosi, della trombosi, della restenosi in seguito ad<br />

angioplastica e alla patogenesi del rigetto del cuore trapiantato. Si ritiene che la capacità del<br />

CMV di riattivare da uno stato di latenza con un’infezione produttiva che determina, a sua<br />

volta, uno stato di infiammazione possa rappresentare uno degli eventi scatenanti la<br />

patogenesi del d<strong>anno</strong> vascolare. Inoltre, CMV può determinare alterazioni delle cellule<br />

vascolari attraverso:<br />

• il richiamo di cellule infiammatorie nel sito di infezione;<br />

• la stimolazione della proliferazione di cellule endoteliali e della muscolatura liscia<br />

dell’arteria non controbilanciata da apoptosi.<br />

OBIETTIVI<br />

Gli obiettivi principali della ricerca erano i seguenti:<br />

1. identificazione delle basi molecolari dell’endoteliotropismo del CMV.<br />

2. Identificazione dei meccanismi indotti dal CMV che stimolano i processi infiammatori<br />

vascolari.<br />

RISULTATI<br />

Identificazione delle basi molecolari dell’endoteliotropismo del CMV.<br />

L’inattivazione del gene antiapoptotico M45 del CMV murino determina la perdita<br />

dell’endoteliotropismo virale in vitro. Abbiamo osservato che tre ceppi di MCMV in cui M45<br />

è stato inattivato non si propagano in vivo e non sono in grado di determinare patologie<br />

nell’ospite immunocompetente o immunocompromesso. Queste osservazioni avvalorano<br />

l’ipotesi che l’inattivazione di M45 impedisce la replicazione virale. Al fine di studiare il<br />

rapporto struttura-funzione di M45 e quindi di determinare eventuali domini funzionali che<br />

possano rappresentare il bersaglio di molecole inibitorie, l’intera sequenza codificante di M45<br />

o porzioni di essa sono state inserite separatamente in un vettore di espressione per cellule di<br />

mammifero (pcDNA3). In particolare, mediante PCR e oligonucleotidi specifici, sono state<br />

ottenute dalla proteina M45 intera, forme mutate con delezioni progressive dell’estremità<br />

aminoterminale o carbossiterminale. I vettori che esprimono queste forme tronche di M45<br />

sono stati trasfettati transientemente in linee di cellule endoteliali murine e si è verificato<br />

l’effettivo grado di espressione delle proteine M45 delete mediante l’impiego di anticorpi di<br />

coniglio anti-M45. Con questi costrutti sono state generate linee cellulari che esprimono<br />

stabilmente le singole forme delete. In queste linee cellulari si sta valutando l’attività antiapoptotica<br />

delle varie forme di M45 e la capacità delle stesse di recuperare in trans la<br />

replicazione dei ceppi di MCMV deleti di M45. Questi risultati permetter<strong>anno</strong> di definire i<br />

domini strutturali di M45 che ne determinano il fenotipo anti-apoptotico.<br />

271


Identificazione dei meccanismi indotti dal CMV che stimolano i processi infiammatori<br />

vascolari.<br />

La trascrizione di molti geni cellulari che codificano proteine proinfiammatorie come alcune<br />

citochine (IL-1, IL-6, TNF-a), alcune chemochine (IL-8, MIP-1a, MCP1, RANTES, IP-10) e<br />

molecole di adesione (ICAM, VCAM, E-selectin), dipende dal fattore trascrizionale NF-kB.<br />

L’espressione di queste proteine proinfiammatorie è aumentata in cellule endoteliali infettate<br />

con CMV. Abbiamo osservato che l’infezione di cellule endoteliali (HUVEC) con isolati<br />

clinici di HCMV induce l’attivazione di NF-kB. Questa attivazione è il risultato della capacità<br />

del virus di stimolare la chinasi cellulare IKK2 necessaria per il rilascio di NF-kB dai suoi<br />

inibitori citoplasmatici e la migrazione nel nucleo, con conseguente attivazione della<br />

trascrizione dei geni NF-kB-dipendenti. Al fine di verificare la rilevanza fisiologica<br />

dell’attivazione virus-mediata di IKK2, è stato generato un vettore adenovirale per<br />

l’espressione ad alta efficienza in cellule HUVEC di una forma di IKK2 (dnIKK2) in cui il<br />

residuo di lisina 44 è mutato in alanina. Questa mutazione conferisce a IKK2 un fenotipo<br />

dominante-negativo in grado di inibire l’attività della controparte endogena. La proteina<br />

dnIKK2 si è dimostrata in grado non solo di bloccare l’attivazione HCMV-mediata di NF-kB,<br />

ma di inibire significativamente la replicazione di un isolato clinico di HCMV (VR1814) nelle<br />

HUVEC. Questa osservazione costituisce la prova di principio che l’attivazione di IKK2 nelle<br />

cellule endoteliali svolge un ruolo essenziale nella replicazione di HCMV. Sulla base di questi<br />

risultati si sono poi valutati gli effetti dell’inibizione dell’attività IKK2 sull’induzione di<br />

molecole infiammatorie in seguito ad infezione virale. Si è così osservato come un inibitore di<br />

IKK2 di nuova generazione, la molecola AS602868, che compete con l’ATP per il legame<br />

alla serina chinasi IKK2, sia in grado di prevenire l’induzione di una molecola di adesione<br />

quale ICAM-1 nelle HUVEC infettate con VR1814. Tale inibizione è conseguenza di un<br />

blocco della stimolazione della trascrizione del gene ICAM-1 da parte di HCMV come<br />

verificato mediante real-time PCR. Il trattamento con AS602868 di cellule endoteliali<br />

infettate, previene inoltre l’aumento dell’espressione di altri geni proinfiammatori quali le<br />

chemochine RANTES, IL8, IP-10 e ITAC-1 e del fattore proangiogenetico PAI-1. Inoltre, la<br />

stimolazione della cicloossigenasi 2 (COX-2) e il rilascio di prostaglandine, indotti<br />

dall’infezione con HCMV, sono inibite da AS60868. Infine, AS60868 è in grado di inibire la<br />

replicazione di HCMV VR1814 nelle HUVEC con una EC50 di 0.01 micromolare. Nel loro<br />

insieme, questi risultati evidenziano il ruolo di IKK2 nella replicazione di HCMV e nella<br />

determinazione dell’infiammazione, e validano l’inibitore AS602868 quale molecola in grado<br />

di inibire non solo la replicazione virale ma anche la deregolazione di proteine cellulari<br />

cruciali nella patogenesi del d<strong>anno</strong> vascolare associato all’infezione con CMV.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

1. Caposio P., Dreano M., Garotta G., Gribaudo G., and Landolfo S. Human<br />

cytomegalovirus stimulates cellular IKK2 activity and requires the enzyme for productive<br />

replication. J. Virol., 78, 3190-3195, 2004.<br />

2. Caposio P., Riera L., Hahn G., Landolfo S and Gribaudo G.. Evidence that the human<br />

cytomegalovirus 46 kDa UL72 protein is not an active dUTPase but a late protein<br />

dispensable for replication in fibroblasts. Virology, 325, 264-276, 2004.<br />

3. Zannetti C., Mondini M., De Andrea M., Caposio P., Hara P., Peters P., Gribaudo G.,<br />

Gariglio M.,and Landolfo S. The expression of p16INK4a tumor suppressor is upregulated<br />

by human cytomegalovirus infection and required for optimal viral replication.<br />

Virology, submitted, 2005.<br />

4. Caposio P., Musso T., Luganini, A., Inoue, H., Gariglio M., Landolfo S., and Gribaudo G.<br />

Targeting the NF-kB pathway through pharmacological inhibition of IKK2 prevents<br />

human cytomegalovirus replication and virus-induced inflammatory response in infected<br />

endothelial cells. Antiviral Therapy, submitted, 2005.<br />

272


Bartolomeo Griglio Filone tematico B1<br />

Indagine sulla sicurezza delle carni vendute al dettaglio, in relazione alle<br />

differenti tipologie di vendita<br />

A. S. L. 8 – S. C. Ispezione e Controllo degli Alimenti di Origine Animale<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

A partire dai primi anni '90, seguendo il trend della distribuzione organizzata, anche nella<br />

tradizionale bottega delle carni o nella vendita su aree pubbliche (mercati), h<strong>anno</strong> iniziato a<br />

comparire una varietà di preparazioni e prodotti a base di carne, in parte acquistati da fornitori<br />

in possesso di specifici riconoscimenti e requisiti sanitari per la produzione e<br />

commercializzazione di tali prodotti (soprattutto per carni avicole e derivati), in parte prodotti<br />

in modo estemporaneo nel laboratorio annesso allo spaccio nel rispetto di requisiti minimi<br />

sanciti con le circolari n. 15 del 1990 e n. 12 del 1991 del Ministero della Sanità. Inoltre con<br />

l'abolizione delle tabelle commerciali (D.Lvo n° 114 del 31/03/98) è diventato possibile nelle<br />

tradizionali macellerie, seppur in subordine alla verifica dell'idoneità igienico sanitaria dei<br />

locali e delle attività da parte dei servizi veterinari delle ASL la vendita di "altri alimenti”.<br />

All'evoluzione imposta dal mercato, non è corrisposto un adeguata crescita dei servizi<br />

veterinari delle ASL chiamati, attraverso il rilascio delle autorizzazioni sanitarie ed i controlli<br />

in fase di vigilanza, a verificare il rispetto dei requisiti di sicurezza e la qualità igienico<br />

sanitaria delle carni. Gli organi di controllo si trovano quindi ad operare in un contesto<br />

profondamente mutato: da un lato la presenza di lavorazioni complesse che, per evitare<br />

pericolose contaminazioni crociate, richiedono un'elevata attenzione alle condizioni igienico<br />

sanitarie delle materie prime, delle strutture e del personale, dall'altro la presenza di ambienti<br />

di lavoro con ampie aperture a diretto contatto della clientela.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Attività previste<br />

<strong>Ricerca</strong> bibliografica sui rischi microbiologici presenti<br />

nella vendita di carni e prodotti derivati e sulle<br />

modalità di controllo e verifica<br />

Individuazione e formazione del gruppo di lavoro<br />

interaziendale composto da personale dipendente,<br />

personale Universitario e personale consulente scelto<br />

sulla base dell’esperienza già espletata nel campo<br />

delle verifiche ispettive<br />

Individuazione di criteri condivisi basati sulla ricerca<br />

della letteratura scientifica e sui risultati dei controlli<br />

effettuati, inerenti le strutture, le tecnologie ed i<br />

requisiti igienico sanitari minimi su cui basare il<br />

rilascio delle autorizzazioni sanitarie alla distribuzione<br />

organizzata (ipermercati, supermercati, discount) ed<br />

ai classici spacci di vendita<br />

273<br />

Percentuale di<br />

realizzazione<br />

100%<br />

100%<br />

100%<br />

Documentazione di riferimento<br />

Raccolta e aggregazione di 17<br />

pubblicazioni<br />

edite su riviste nazionali ed intenazionali<br />

Nota prot. n. 763 DP/vt/B del 27.09.2004-<br />

Determinazione del Direttore Generale<br />

N.1429 del 23.11.2004<br />

Nota prot. n. 763 DP/vt/B del 27.09.2004-<br />

Determinazione del Direttore Generale<br />

N.1429 del 23.11.2004


Attività previste<br />

Realizzazione di un protocollo di verifica dei requisiti<br />

igienico sanitari per consentire una oggettività di<br />

interpretazioni ed una ripetibilità, su cui formare il<br />

personale ispettivo, al fine di uniformare gli interventi<br />

tra le ASl su cui insistono punti vendita delle stesse<br />

aziende della distribuzione organizzata<br />

Effettuazione delle ispezioni quale attività istituzionale<br />

aggiuntiva sulla base del protocollo di intervento<br />

predisposto<br />

Prelievo di campioni di carni, tamponi ambientali e<br />

verifiche aria ambienti<br />

Aggregazione ed analisi dei dati e redazione della<br />

relazione conclusiva del progetto<br />

RISULTATI<br />

274<br />

Percentuale di<br />

realizzazione<br />

100%<br />

100%<br />

100%<br />

100%<br />

Documentazione di riferimento<br />

Nota prot. n. 763 DP/vt/B del 27.09.2004-<br />

Determinazione del Direttore Generale<br />

N.1429 del 23.11.2004<br />

Verbali di sopralluogo e check list di 32<br />

interventi e Verbali di prelevamento<br />

campioni - n.288 campioni<br />

Campioni carni n.42<br />

Tamponi superfici n. 142<br />

Aria ambienti n. 104<br />

Totale prelievi n. 288<br />

Il gruppo di lavoro interaziendale tra l'ASL8 di Chieri e l'ASL5 di Rivoli, composto da<br />

personale dipendente, personale esterno di supporto e con la collaborazione dell'Istituto di<br />

Ispezione degli alimenti della Facoltà di Medicina Veterinaria di Grugliasco ha realizzato un<br />

protocollo di verifica dei requisiti igienico sanitari inerenti a strutture e personale in forma di<br />

"check list" che sono state compilate dagli operatori per ciascuna tipologia di vendita<br />

ispezionata. Le tipologie di vendita prese in considerazione sono state le seguenti:<br />

• ipermercati, discount/supermercati,<br />

• macellerie<br />

• aree mercatali.<br />

Per ognuna delle quattro tipologie sono stati individuati quattro punti vendita, nei quali sono<br />

stati eseguiti due sopralluoghi in due fasce orarie differenti della giornata (mattinopomeriggio)<br />

per valutare eventuali differenze relative alla contaminazione microbiologica; per<br />

la particolarità della tipologia di vendita, le aree mercatali sono state sottoposte a sopralluoghi<br />

concentrati nella fascia mattutina e sono stati ispezionati due autobanchi per ogni area. Il<br />

totale dei sopralluoghi è stato pertanto pari a 32. Per ogni sopralluogo è stato compilato un<br />

verbale di prelevamento campioni controfirmato da un responsabile dell'impresa presente al<br />

prelievo. I campioni prelevati h<strong>anno</strong> riguardato sia i prodotti carnei (in produzione e in<br />

vendita) sia superfici a contatto e non. In particolare sono stati effettuati tamponi, utilizzando<br />

il metodo delle sponge, su n.2 taglieri, n.2 affettatrici, n1 parete cella frigorifera. Sono inoltre<br />

stati effettuati campionamenti dell’aria mediante duplice tecnica di prelievo: statica per<br />

caduta, mediante esposizione di piastre petri con terreno di coltura e dinamica, mediante<br />

sistema di aspirazione SAS (Surface Air System) in due punti dei locali identificati con zona<br />

di lavorazione e zona vendita. Il totale dei campioni prelevati è il seguente:<br />

• n. 11 campioni carni in produzione<br />

• n. 31 campioni carni esposte in vendita<br />

• n. 32 tamponi superfici non a contatto con alimenti<br />

• n. 110 tamponi superfici a contatto con alimenti<br />

• n. 104 campioni aria ambientale<br />

Qualità igienica della carne<br />

Le carni in produzione e vendita, presentavano per tutte le tipologie di commercializzazione


valori di carica batterica totale (CBT) elevati (dell'ordine di 10 6 /l0 5 ufc/g); più contenuti i<br />

valori di enterococchi fecali e coliformi totali. Non si evidenziavano differenze significative<br />

tra mattina e pomeriggio. Per quanto riguarda Salmonella spp. veniva riscontrata una<br />

positività in un campione di carne suina prelevato presso una macelleria. Le percentuali di<br />

positività per Listeria Monocytogenes sono state:<br />

• ipermercati: il 50 per cento dei campioni di carne in vendita,<br />

• discount / supermercati il 50 per cento dei campioni di carne in produzione e il 50 per<br />

cento dei campioni di carne in vendita;<br />

• le macellerie è stata riscontrata una positività su un campione di spalla bovina in vendita;<br />

• i mercati il 50 per cento dei campioni di carne in produzione e il 62 per cento dei<br />

campioni di carne in vendita;<br />

Superfici a contatto<br />

Valori piuttosto elevati di carica batterica totale (dell'ordine di 10 6 /l0 5 ufc/g) sono stati<br />

evidenziati in tutte le tipologie di vendita; negli ipermercati e nelle macellerie la carica<br />

batterica risulta inferiore nei campioni prelevati il pomeriggio rispetto a quelli del mattino<br />

mentre nei discount i valori sono invertiti. Un dato significativo si riscontra a carico delle<br />

celle frigorifere i cui valori di carica batterica sono risultati costantemente bassi (nell'ordine di<br />

l0 2 ufc/g). Nessuno dei campioni esaminati è risultato positivo per Salmonella, mentre le<br />

percentuali di positività per Listeria monocytogenes sono risultate essere:<br />

• ipermercati il 25 per cento;<br />

• discount / supermercati il 16 per cento;<br />

• macellerie nessuna positività;<br />

• mercati il 25 per cento.<br />

L'aria degli ambienti<br />

Emerge una sostanziale corrispondenza tra i valori ottenuti con il metodo per ricaduta e il<br />

metodo SAS, con un leggero aumento dei valori ottenuti col metodo SAS. Tutti i valori<br />

osservati (cbt, enterobatteri totali, muffe) si mantengono pressoché costanti da mattina a<br />

pomeriggio. Dall'analisi delle check list utlizzate durante i sopralluoghi, emerge che un<br />

laboratorio annesso ad un ipermercato e un laboratorio annesso ad un discount, presso il quale<br />

non sono state rilevate positività a germi patogeni sulle carni o sulle superfici, sono stati<br />

sanzionati, rispettivamente, per carenze igieniche e presenza di insetti. E' stata rilevata in tutti<br />

i punti vendita ispezionati un utilizzo scarso od inappropriato degli sterilizzatori per coltelli.<br />

Infine, in merito all'applicazione di piani di autocontrollo i venditori ambulanti mostrano<br />

ancora ritardi nel recepire le novità che il DL 155/97 ha apportato.<br />

CONCLUSIONI<br />

Da una prima analisi dei dati ottenuti si evidenzia un quadro generale poco soddisfacente per<br />

quanto riguarda gli aspetti igienico sanitari delle carni nelle fasi di commercializzazione<br />

soprattutto in relazione a 2 tipologie di vendita: la grande distribuzione e la vendita su aree<br />

pubbliche. Emerge in particolare l'esigenza di un'analisi accurata sul riscontro di percentuali<br />

così elevate di contaminazioni da L.monocytogenes negli alimenti e secondariamente dalle<br />

superfici di lavoro che evidenziano da un lato elevate contaminazioni delle superfici a<br />

contatto con le carni, dall'altro carenze nella gestione delle SSOP soprattutto nelle realtà con<br />

elevati ritmi produttivi quali gli ipermercati. Dalla valutazione dei dati emerge, tuttavia, un<br />

dato interessante: la presenza di ambienti di lavoro a diretto contatto con la clientela,<br />

inizialmente ipotizzata come possibile punto critico per la ricaduta microbiologica sulle<br />

produzioni, non pare influenzare negativamente i valori di inquinamento ambientale.<br />

275


Gabriella Gruden Filone tematico C2<br />

Inadeguato trattamento e tardivo riferimento al nefrologo dei pazienti con<br />

nefropatia diabetica: cause e rimedi<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina Interna<br />

OBIETTIVO<br />

Obiettivo generale del presente progetto di ricerca era l’identificazione delle barriere che<br />

ostacolano la prevenzione ed il corretto trattamento della nefropatia in pazienti con diabete di<br />

tipo 2 (DM2). In particolare, abbiamo valutato se il fenomeno del riferimento tardivo al<br />

nefrologo dei pazienti con DM2 è un problema presente nella nostra realtà locale e quale è<br />

l’entità e la causa di tale problema.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Lo studio è stato condotto in due coorti di pazienti con DM2 residenti nel territorio dell’ASL4<br />

di Torino. Il primo gruppo è stato identificato selezionando in maniera randomizzata 200<br />

pazienti tra i 5815 che nel periodo dal 1/1/2000 al 30/6/2000 h<strong>anno</strong> spedito alle farmacie<br />

dell’ASL4 almeno una ricetta di farmaci ipoglicemizzanti orali/insulina. I pazienti sono stati<br />

successivamente convocati telefonicamente o mediante l’invio di una lettera e di questi 171<br />

sono stati reclutati nello studio. Il secondo gruppo era composto da 121 casi reclutati tra gli<br />

assistiti di cinque medici di medicina generale operanti nel territorio della ASL4, che h<strong>anno</strong><br />

accettato di partecipare allo studio (72%). In un sottogruppo di pazienti (20 soggetti) con<br />

clearance della creatinina >70 ml/min ed età inferiore ai 65 anni è stata eseguita una biopsia<br />

renale al fine di valutare il tipo di lesioni presenti e correlarle ai parametri clinici. E’ stata<br />

riscontrata una nefropatia diabetica in 15 casi, mentre in altri cinque il reperto era suggestivo<br />

di nefroangiosclerosi o non si discostava significativamente dalla norma. Il tessuto renale è<br />

stato conservato per successive analisi immunoistochimiche. L’invio al nefrologo è indicato<br />

nei pazienti con macroalbuminuria; tuttavia la nostra indagine rivela che il riferimento al<br />

nefrologo avviene soltanto nel 26% di tali pazienti. Questo fatto ha potenziali conseguenze<br />

negative per l’evoluzione della nefropatia; infatti i nostri dati evidenziano che, mentre tutti i<br />

pazienti macroproteinurici sottoposti a visita nefrologica risultavano in trattamento con ACEinibitori<br />

o sartani, ben il 31% dei pazienti non sottoposti a visita nefrologica non assumevano<br />

tali farmaci. La causa è da ricercare nel mancato dosaggio quantitativo della proteinuria, che<br />

non consente di stimare correttamente l’entità dell’escrezione urinaria di albumina.<br />

I due gruppi di pazienti (sottoposti e no a visita nefrologica) differivano significativamente in<br />

quanto i primi avevano età maggiore (77±7 vs 69±9 p=0.005), una più lunga durata di<br />

malattia (27±16 vs 15 ± 9 p=0.003) e sopratutto valori di creatinina più elevati (2,9±2,6 vs<br />

0,9±0,3 mg/dl p=0.006). Sembra, pertanto, che aumento della creatininemia sia il fattore che<br />

induce il curante ad inviare il paziente al nefrologo. Tuttavia, i nostri dati indicano che la<br />

macroproteinuria può essere presente anche in assenza di insufficienza renale e soprattutto<br />

che i valori di creatinina non sono sufficientemente sensibili nell’evidenziare la presenza di<br />

insufficienza renale. La distribuzione dei pazienti normo, micro e macroalbuminurici<br />

all'interno delle classi di funzionalità renale era, infatti, la seguente: normoalbuminuria (I<br />

8,0%, II 36,0%, III 45,5%, IV 10,0%, V 0,5%), microalbuminuria (I 7,0%, II 3,5%, III 3,5%,<br />

IV 19,0%, V 4%), macroalbuminuria (I 5,0%, II 35%, III 35%, IV 15,0%, V 10%).<br />

276


I nostri risultati indicano, pertanto, che il fenomeno del tardivo riferimento al nefrologo è<br />

presente nella nostra realtà locale, che il fenomeno è di notevole entità ed ha un’importante<br />

impatto sul trattamento del paziente con nefropatia diabetica; infine che il mancato dosaggio<br />

della proteinuria ne rappresenta una delle maggiori cause. Tali dati sono di estremo interesse e<br />

sar<strong>anno</strong> oggetto sia di presentazioni scientifiche che di pubblicazioni originali anche al fine di<br />

dare un’adeguata diffusione delle informazioni ottenute sulla applicazione a livello locale<br />

delle linee guida nazionali ed internazionali. Sulla base dei risultati ottenuti si è, inoltre,<br />

progettato un intervento mirato a contrastare il fenomeno del riferimento tardivo al nefrologo<br />

e dell’inadeguato trattamento dell’ipertensione e della nefropatia nel paziente diabetico. Tale<br />

intervento prevede non solo il coinvolgimento dei medici di base, ma sopratutto un'attiva<br />

interazione tra il nefrologo ed il medico di base anche a livello organizzativo.<br />

In un intervento pilota, che ha coinvolto sia il centro nefrologico che 5 medici di base,<br />

abbiamo valutato l’efficacia di una terapia a gradini dell’ipertensione con controlli e<br />

adeguamenti sistematici mensili mediante accessi programmati al medico di base. Cinque<br />

medici di base volontari h<strong>anno</strong> seguito in modo intensivo 123 (73%) dei loro pazienti con<br />

DM2; di questi 95 (77%) h<strong>anno</strong> completato 7 visite. Il gruppo di controllo era costituito da 82<br />

pazienti con DM2 selezionati in maniera casuale tra gli assistiti della stessa ASL e non<br />

sottoposti al protocollo intensivo. La pressione arteriosa sistolica e diastolica si è ridotta in<br />

maniera significativa nel gruppo 1, mentre è rimasta invariata nei soggetti del gruppo 2. ACR<br />

è passata da 7.0 (0-2464) a 3.2 (0-1814) nel gruppo 1 e da da 8.7 (0-1711) a 6.5 (0.1-1870) nel<br />

gruppo 2. Al termine del follow-up h<strong>anno</strong> sviluppato microalbuminuria il 4% dei pazienti nel<br />

gruppo 1 ed il 12.5% dei pazienti nel gruppo 2 e sono passati dallo stadio di microalbuminuria<br />

a quello di macroalbuminuria 0 pazienti nel gruppo 1 e il 12.5% dei pazienti nel gruppo 2. Nel<br />

gruppo 1 si sono osservati 4 eventi cardiovascolari in 4 pazienti contro 13 eventi in 11<br />

pazienti nel gruppo 2. Le analisi farmacoeconomiche preliminari suggeriscono un risparmio<br />

quantificabile in almeno 0,2 euro per euro investito.<br />

Sulla base di questi risultati, se pur preliminari, possiamo affermare che l’attiva<br />

collaborazione del nefrologo con i medici di base favorisce non solo il raggiungimento degli<br />

obbiettivi terapeutici, ma sembra avere un impatto positivo, già a breve termine, sugli eventi<br />

cardiovascolari. Sulla base di queste esperienze positive stiamo cercando di estendere al un<br />

maggior numero di medici di base tale l’iniziativa di collaborazione diretta con il nefrologo e<br />

di includere tra gli obiettivi non solo il trattamento intensivo della pressione arteriosa, ma<br />

anche, sulla base dei dati emersi da questo studio sulle cause del tardivo riferimento al<br />

nefrologo, un protocollo che assicuri in tutti i pazienti la misurazione della proteinuria<br />

(richiesta dal curante, ma eseguita presso il centro nefrologico) e l’invio diretto al nefrologo di<br />

tutti i soggetti macroalbuminurici. Alla data del 28/2/06 120 medici di base h<strong>anno</strong> già aderito<br />

alla nostra proposta ed è in corso la fase di screening dell’albuminuria e trattamento intensivo<br />

dell’ipertensione.<br />

277


Ornella Guardamagna Filone tematico A4<br />

L’utilità della dieta nell’iperlipemia familiare combinata in età pediatrica<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze pediatriche e dell’Adolescenza<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Tra gli errori congeniti del metabolismo lipidico, l’iperlipemia combinata familiare (FCHL)<br />

rappresenta una patologia tanto frequente quanto insidiosa: costituisce infatti, la seconda<br />

causa di malattia coronarica precoce. Difetto non caratterizzato sul piano molecolare e<br />

scarsamente definito su quello biochimico, è tradizionalmente considerato tipico dell’età<br />

adulta, poiché i sintomi sono manifesti in tale fase di vita anche se, recentemente, è stato<br />

dimostrato il possibile manifestarsi del disordine già in età pediatrica. L’espressione<br />

biochimica della malattia è modulata da geni diversi tra cui il gene che codifica<br />

l’apolipoproteina E, di cui sono noti 6 diversi aplotipi: controverso è il ruolo aterogenico<br />

dell’allele ε4. La dieta è considerata efficace nel migliorare l’omeostasi delle lipoproteine, e<br />

ampiamente discusso l’effetto della riduzione dei grassi saturi della dieta nella terapia<br />

dell’ipercolesterolemia o di quello dei polinsaturi nell’ipertrigliceridemia, purtuttavia scarse<br />

sono le evidenze scientifiche al riguardo di pazienti FCHL, particolarmente nei bambini.<br />

OBIETTIVO<br />

Obiettivo di questa tesi è quello di valutare l’efficacia della dieta nel trattamento dell’ FCHL<br />

in età pediatrica.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Sono stati esaminati 20 soggetti FCHL (11 maschi e 9 femmine di età media pari a 8,5± 3,9 e<br />

6± 4,1 anni rispettivamente), e sono stati esclusi pazienti affetti da dislipidemia secondaria<br />

(soprappeso/obesità, diabete tipo II, disturbi endocrini, epatici, renali). Tutti i probandi sono<br />

stati sottoposti ad esame clinico (calcolo dell’indice di massa corporea), genetico (analisi<br />

dell’aplotipo apoE con metodo di restrizione enzimatica) e sottoposti a controlli biochimici<br />

(colesterolemia totale, HDL-C, LDL-C, trigliceridi, apolipoproteina B) ripetuti nel corso di<br />

quattro diversi regimi dietetici, ognuno della durata di sei mesi:<br />

1. Dieta libera, ovvero la dieta che il paziente liberamente assumeva al momento della<br />

diagnosi.<br />

2. Dieta controllata, ovvero la proposta dietetica corrispondente ai criteri di dieta STEP I<br />

(lipidi 28% (saturi 6%), glucidi 59%, protidi 15%).<br />

3. Dieta controllata con l’aggiunta di integratore, ovvero la stessa dieta del punto 2 ma con la<br />

sostituzione del 50% dell’olio di oliva quotidianamente consumato, con olio di riso (20<br />

g/die.<br />

4. Dieta normocalorica (lipidi 32%, grassi saturi (9?%), carboidrati 52%, protidi 16%)<br />

integrata con 10 g/die di olio di riso.<br />

278


RISULTATI E CONCLUSIONI<br />

Il programma dietetico non è mai stato restrittivo sul piano nutrizionale, ed ha ottenuto una<br />

buona compliance da parte dei pazienti. La riduzione delle Calorie/die e dei grassi totali della<br />

dieta, a vantaggio di quelli monoinsaturi e polinsaturi (come osservato in corso di Dieta<br />

Controllata e Dieta Controllata+Integratore) ha fornito i primi risultati positivi sulla<br />

colesterolemia, con un decremento del colesterolo totale del 12,1%, ulteriormente diminuito<br />

in seguito ad integrazione con olio di riso (13,0%). Analogamente la frazione LDL-C ha<br />

subito un calo rispettivamente dell’11,6% e del 18,2% rispettivamente. Tali decrementi sono<br />

statisticamente significativi rispetto ai valori basali osservati in corso di dieta libera.<br />

Viceversa le variazioni della trigliceridemia sono state pari al 6,2% e 9,8% rispettivamente<br />

(ns). Il risultato migliore caratterizzato da riduzione di TC (14,1%), LDL-C (15,5%) e<br />

trigliceridi (19,9%) si raggiunge in corso di dieta normocalorica con apporto di lipidi totali<br />

pari al 32%, carboidrati 52%, protidi 15% e integrata con olio di riso. Il rapporto tra le<br />

frazioni di acidi grassi polinsaturi: monoinsaturi: saturi pari a 1:2:1, si è confermato ottimale<br />

nel controllo del profilo lipidico. Nondimeno deve essere trascurato l’effetto dell’integrazione<br />

con olio di riso, che non è limitata ad integrare la quota di grassi insaturi ma anche quella di<br />

fitosteroli ed α-tocoferoli, di cui è nota l’azione di controllo della colesterolemia. La<br />

prevalenza pazienti portatori di aplotipo E3/E4 risulta superiore a quella osservata nella<br />

popolazione generale ed i valori medi riscontrati di colesterolo totale, LDL-C, apoB e<br />

trigliceridi risultano superiori rispetto a quelli osservati in presenza di aplotipo E3/E3.<br />

Inoltre nei primi è stata riscontrata una minore risposta al trattamento e si può pertanto<br />

ipotizzare che l’allele 4 contribuisca a caratterizzare la risposta individuale alla dieta nella<br />

presente casistica pediatrica di soggetti iperlipemici.<br />

In conclusione, la dieta risulta uno strumento efficace nel controllo dell’iperlipemia di<br />

pazienti pediatrici FCHL. Poiché l’espressione della malattia e la prognosi a distanza di tali<br />

pazienti è in funzione dell’equilibrio metabolico, risulta essenziale la precoce individuazione<br />

degli stessi in età pediatrica/adolescenziale, soprattutto se appartengono a famiglie in cui la<br />

penetranza del difetto risulta più elevata, per prevenire il d<strong>anno</strong> vascolare attraverso una<br />

corretta impostazione dello stile di vita.<br />

279


Giovanni Carlo Isaia Filone tematico D1<br />

Fattori di rischio dell'osteoporosi postmenopausale ed incidenza di<br />

osteoporosi secondarie nella popolazione piemontese<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina Interna<br />

MATERIALI E METODI<br />

Abbiamo analizzato 505 donne che afferivano al Servizio Medicina-Malattie metaboliche<br />

dell’osso dell’Aso San Giovanni Battista di Torino. A tutte le donne è stato somministrato un<br />

questionario. Abbiamo raccolto i dati densitometrici di tutte le donne arruolate nello studio. I<br />

soggetti sono stati classificati come osteoporotici, osteopenici o normali secondo i parametri<br />

del WHO (WHO Technical Report Series nr 843 “Assessment of fracture risk and the<br />

application to screening for postmenopausal osteoporosis”, 1994). La densità minerale ossea è<br />

stata misurata con un densitometro Hologic QDR 4500 con tecnica DXA a livello femorale o<br />

lombare a seconda delle caratteristiche cliniche delle pazienti. Il questionario utilizzato è stato<br />

validato dallo studio ESOPO (Adami S, Giannini S, Giorgino R, Isaia GC, Maggi S,<br />

Sinigaglia L, Filipponi P, Crepaldi G (2004) Effect of Age, Weight and Lifestyle Factors on<br />

Calcaneal Quantitative Ultrasound in Premenopausal Women: The ESOPO Study. Calcif<br />

Tissue Int Jan 8).<br />

L’attività fisica abituale è stata definita in base alla durata come: inferiore a 30’, tra 30’ ed un<br />

ora e maggiore di un ora al dì. Le donne fumatrici sono state classificate come attualmente<br />

fumatrici (in questo caso abbiamo registrato il numero di sigarette fumate al dì) ed exfumatrici.<br />

Abbiamo applicato a tale popolazione gli score decisionali più utilizzati in<br />

letteratura: Le linee guida della National Osteoporosis Foundation (NOF), Osteoporosis Risk<br />

Assessment Instrument (ORAI), Osteoporosis Self-Assessment Tools (OST) ed il criterio del<br />

peso. Sulla base delle variabili predittive della densità minerale ossea (BMD) come risultate<br />

dal modello di regressione lineare abbiamo sviluppato un nuovo criterio decisionale che<br />

abbiamo chiamato AMMEB (Age, years after Menopause, age at MEnarche, BMI). Il<br />

punteggio da affidare alle singole variabili è stato basato su un’integrazione dell’ ORAI. Per<br />

indagare l’incidenza delle osteoporosi secondarie in una sottopopolazione di 132 donne che si<br />

sono recate in ambulatorio dopo l’esecuzione dell’esame densitometrico risultato patologico<br />

abbiamo eseguito: anamnesi, esame obiettivo e gli ematochimici di primo livello per<br />

escludere osteoporosi secondarie.<br />

Analisi statistica<br />

Le pazienti classificate come osteoporotiche, osteopeniche o normali sono state paragonate<br />

per tutte le variabili continue analizzate con l’analisi della varianza ad una via (one way<br />

ANOVA) e per le variabili non continue con il test del χ². Abbiamo valutato l’associazione tra<br />

le variabili significative all’ANOVA e la BMD con un modello di regressione lineare con<br />

metodo stepwise. Le variabili risultate predittori indipendenti della BMD sono state utilizzate<br />

per calcolare lo score AMMEB. Gli altri score presi in considerazione dlla letteratura sono<br />

stati applicati alla nostra popolazione per valutarne la sensibilità (SE), specificità (SP), valore<br />

predittivo positivo (PPV) e valore predittivo negativo (NPV) nel riconoscere soggetti<br />

osteopenici e/o osteoporotici.<br />

280


RISULTATI<br />

Nella popolazione analizzata 229 (45.3%) donne sono risultate osteoporotiche, 169 (33.5%)<br />

osteopeniche e 107 (21.2%) normali. La percentuale di osteoporosi in prima diagnosi era<br />

48.5% (50 pazienti), mentre la percentuale di prima diagnosi di osteopenia era 51.5% (40<br />

pazienti). Le uniche variabili significativamente differenti tra le tre categorie densitometriche<br />

erano: l’età, l’età al menarca, periodo di amenorrea dopo la menopausa e il BMI. Il modello di<br />

regressione lineare tra le variabili differenti all’ANOVA e la BMD ha mostrato che età,<br />

periodo postmenopausale, età al menarca e BMI sono predittori di BMD lombare ((R= 0.45);<br />

mentre per quanto riguarda la BMD femorale solo l’età risulta essere un predittore (R= 0.38).<br />

queste variabili sono state utilizzate per calcolare l’AMMEB score.<br />

In particolare la paziente viene considerata ad elevato rischio se il suo punteggio supera gli 11<br />

punti. Il punteggio viene così attribuito:<br />

Età in anni: 15 se 75+, 9 se 65-74, 5 se (55-64), 0 se 55 BMI: 8 se 13.<br />

Anni di menopausa: 5 se>16, 4 se 11-16, 3 se 5-11.<br />

La capacità dell’AMMEB di individuare le pazienti a rischio sui è dimostrata decisamente<br />

maggiore rispetto alle altre linee guida. Per quanto attiene alla prevalenza di osteoporosi<br />

secondarie 17 pazienti (19.5% delle pazienti osteoporotiche) erano affette da un’osteoporosi<br />

secondaria (64.7% ipovitaminosi D, 17.6% iperparatiroidismo primitivo e 17.6%<br />

osteomalacia.<br />

I dati derivati da questo studio sono stati pubblicati su CTI: Effects of lifestyle and risk factors<br />

on Bone Mineral Density in a cohort of Italian women: suggestion for a new decision rule.<br />

D’Amelio P., Tamone C., Pluviano F., Di Stefano M., Isaia G.. Calcif Tissue Int. 2005 Jul 28;<br />

[Epub ahead of print]<br />

281


Ciro Isidoro Filone tematico C1<br />

Espressione di Catepsina D e di FLIP nella progressione dei linfomi non-<br />

Hodgkin: utilità nella diagnosi e nel follow up<br />

Università “A. Avogadro” del <strong>Piemonte</strong> Orientale<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

In questo studio abbiamo valutato in una ampia casistica di Linfomi non-Hodgkin (LNH)<br />

l’espressione di due molecole (Catepsina D e c-FLIP) dal comportamento opposto nell’ambito<br />

della morte cellulare. Catepsina D è una endoproteasi lisosomica riconosciuta fra i mediatori<br />

positivi dell’apoptosi, mentre c-FLIP è un fattore anti-apoptotico noto per interferire nel<br />

meccanismo apoptotico a cascata dipendente dalla caspasi-8.<br />

OBIETTIVI<br />

Gli obiettivi di questo studio erano fondamentalmente due:<br />

1. evidenziare, con vari sistemi di indagine, la localizzazione nei linfomi non-Hodgkin di<br />

catepsina D e c-FLIP;<br />

2. riconoscere una possibile relazione fra espressione della catepsina D e di c-FLIP, e istotipi<br />

di linfomi non-Hodgkin meno o più aggressivi, o in ogni caso che abbiano rivelato una<br />

maggior o minor tendenza alla progressione, indipendentemente dall’istotipo. Lo scopo<br />

dichiarato era quello di verificare se queste due molecole potessero rappresentare validi<br />

marcatori del processo di morte cellulare apoptotica nell’ambito del tumore onde poter la<br />

loro espressione eventualmente essere utilizzata ai fini diagnostici e prognostici.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Sono stati analizzati diversi istotipi di linfomi e a diverso grado di malignità, valutato secondo<br />

i classici parametri istopatologici. L’espressione di c-FLIP e di Catepsina D è stata analizzata<br />

con tecniche di immunocitochimica, di immunofluorescenza e di immunoblotting, utilizzando<br />

anticorpi specifici commerciali e di nostra produzione. La presenza di morte cellulare<br />

apoptotica o necrotica nell’ambito del tessuto è stata valutata mediante colorazione della<br />

cromatina con ioduro di propidio o con DAPI, mediante colorazione del citoscheletro con<br />

anticorpi anti-tubuilina e anti-actina, mediante colorazione dei lisosomi con arancio di<br />

acridina e dei mitocondri con rodamina, al fine di valutare l’integrità di membrana di questi<br />

organellu. I dati sono stati correlati con la stadiazione clinica e l’evoluzione della malattia<br />

(responsività al trattamento, chemioresistenza, remissione parziale, recidiva, decesso). Per<br />

l’analisi statistica si è tenuto conto della semplice positività o negatività dei marcatori c-FLIP<br />

e catepsina D. I dati riguardanti il decorso sono stati suddivisi in due gruppi, comprendenti<br />

rispettivamente i casi con remissione completa da una parte, e quelli deceduti o con recidiva o<br />

remissione parziale e malattia stabile dall’altra. I dati sono stati analizzati utilizzando i test<br />

statistici del “chi-quadro”, il “T di Student”, l’analisi delle curve di sopravvivenza di Kaplan-<br />

Meyer, la regressione lineare. Per quanto riguarda l’espressione di c-FLIP sono risultati<br />

positivi 24 casi di linfomi ad alta malignità e 6 a bassa malignità, mentre fra i negativi 21<br />

erano linfomi ad alta malignità e 15 a bassa malignità.<br />

282


Fra i linfomi ad alta malignità, 14 erano positivi per la catepsina D, e di essi 12 su 14<br />

mostravano decorso negativo o mancata risposta alla terapia, mentre 31 erano catepsina Dnegativi,<br />

rispettivamente con 16 casi a decorso negativo e 15 a decorso positivo; il c-FLIP era<br />

positivo in 24 casi, di cui 11 con decorso negativo, mentre dei 21 casi negativi, 17<br />

presentavano un decorso negativo. Dei linfomi a basso grado, 11 erano positivi per la<br />

catepsina D, di cui 9 con decorso favorevole, e 10 erano negativi per questa molecola, con<br />

decorso negativo in 9 di essi. Il c-FLIP era positivo in soli 6 casi, di cui 5 con decorso<br />

negativo, mentre dei 15 casi negativi, 6 presentavano decorso sfavorevole.<br />

L’espressione delle due molecole consentiva di costruire, per ogni gruppo di linfoma, 4<br />

fenotipi diversi: FLIP+ CD+, FLIP+ CD-, FLIP- CD+, FLIP- CD-. Il più rappresentato era<br />

FLIP+ CD- nei linfomi ad alta malignità (22 casi) e FLIP- CD+ in quelli a bassa malignità (11<br />

casi). I più significativi erano FLIP- CD+ nei linfomi ad alta malignità, FLIP+ CD- nei<br />

linfomi a bassa malignità, entrambi correlati negativamente al decorso, e FLIP- CD+ nei<br />

linfomi a bassa malignità, correlato positivamente al decorso.<br />

I nostri dati dimostrano effettivamente che c-FLIP e catepsina D sono inversamente espressi<br />

poiché, considerando la nostra serie di casi nel suo insieme, la positività per una delle due<br />

molecole presenta una correlazione inversa con la positività dell’altra; quindi, più sono alti i<br />

livelli di un marcatore anti-apoptotico come il c-FLIP più sono bassi quelli di un marcatore<br />

pro-apoptotico come la catepsina D (p< 0.0095). Infatti, in soli 2 casi su 66 (3%) c-FLIP e<br />

catepsina D risultavano espressi nelle stesse cellule. Contrariamente a quanto ipotizzabile,<br />

anche a giudicare dai dati della letteratura, l’espressione del c-FLIP non era correlata ad un<br />

particolare rischio di progressione nei linfomi ad alto grado, in cui anzi la negatività comporta<br />

un decorso significativamente peggiore; anche in questo caso l’espressione della molecola era<br />

invece associata a un peggior decorso nei linfomi a basso grado, pur se il numero di casi non<br />

consentiva di indicare, per questo dato, una sicura significatività. Complessivamente sono<br />

stati studiati oltre 100 casi di LNH.<br />

I risultati in sintesi:<br />

1. nei linfomi con malignità intermedia o alta la negatività per c-FLIP è associata a un<br />

maggior rischio di progressione (p< 0.0288);<br />

2. il c-FLIP è associato a un peggior decorso nei linfomi a bassa malignità, tuttavia la scarsa<br />

numerosità del campione non consentiva l’evidenziazione statistica di questo dato (p<<br />

0.093).<br />

In conclusione, nel nostro studio abbiamo dimostrato che l’espressione di catepsina D e c-<br />

FLIP può esercitare un impatto sulla progressione dei linfomi non-Hodgkin. Catepsina D e<br />

FLIP possono quindi essere <strong>anno</strong>verati tra i marcatori tumorali di potenziale interesse ai fini<br />

diagnostici e prognostici dei LNH.<br />

283


Thomas Oliver Jefferson Filone tematico D4<br />

Revisione sistematica sulla efficacia e sicurezza della vaccinazione<br />

contro il Morbillo, la Parotite e la Rosolia<br />

Asl 20 – SeREMI<br />

MATERIALI E METODI<br />

La ricerca è stata svolta seguendo la metodologia delle revisioni sistematiche adottata dalla<br />

Cochrane Collaboration. Sono stati inclusi studi randomizzati, quasi-randomizzati, studi<br />

comparativi retrospettivi e prospettici che valutano la sicurezza della vaccinazione con<br />

qualsiasi vaccino anti MPR (indipendentemente da dose, ciclo o preparazione) confrontata<br />

con placebo o con nessun intervento. Sono stati indagati eventi avversi locali (irritazione,<br />

rossore del sito di inoculazione) e sistemici (febbre, rash, diarrea, sintomi più severi e<br />

generalizzati inclusi tutti i potenziali eventi avversi come porpora trombocitopenica, parotiti,<br />

sintomi agli arti, malattia di Crohn, colite ulcerosa, autismo, meningite aseptica) osservati<br />

durante il follow up della vaccinazione. Sono state esaminate le seguenti banche di dati:<br />

Cochrane Library (contenente: The Cochrane Database of Systematic Reviews; The NHS<br />

Database of Abstracts of Reviews of Effectiveness; The CENTRAL/Cochrane Controlled<br />

Trials Register) Medline (1966- oggi) EMBASE (1985-oggi) Utilizzando le seguenti<br />

combinazioni di parole chiave: Vaccines-Combined [mesh word (mh)] or Vaccines-<br />

Attenuated (mh) or ((trivalen*[text word (tw)] or combin* (tw) or simultan* (tw) or tripl*<br />

(tw) or trebl* (tw) and (vaccin* (tw) or immuni* (tw) or inoculat* (tw))) and measles (tw) and<br />

mumps (tw) and rubella (tw) orMeasles-Vaccine(mh) and Mumps-Vaccine (mh) and Rubella-<br />

Vaccine (mh) or MMR [title, abstract (ti,ab)] or measles (tw) and mumps (tw) and rubella<br />

(tw) and (vaccin* (tw) or immuni* (tw) or inoculat* (tw) and adverse events [floating subheading<br />

(fs)] or chemically induced (fs) or complications (fs) or contraindications (fs) or<br />

toxicity (fs) or poisoning (fs) or drug effects (fs) or adverse (tw) near (effect* (tw) or event*<br />

(tw)) or side effect* (tw) or hypersensitiv* (tw) or sensitiv* (tw) or safe* (tw) or<br />

pharmacovigil* (tw) or explode Product-Surveillance-Postmarketing (mh) or Drug-<br />

Monitoring (mh) or Drug-Evaluation (mh) or explode Risk (mh) or Odds-Ratio (mh) or<br />

explode Causality (mh) or relative risk (tw) or risk (tw) or causation (tw) or causal (tw) or<br />

odds ratio (tw) or etiol* (tw) or aetiol* (tw) or etiology (fs) or epidemiology (fs).<br />

RISULTATI<br />

La strategia di ricerca applicata alle banche dati ha prodotto circa 4500 titoli di lavori che<br />

sono stati selezionati in base ai contenuti dell’abstract. 120 lavori potenzialmente includibili<br />

sono stati recuperati ed esaminati interamente. Di questi solo 22 sono stati inclusi nella<br />

revisione: 5 RCT, un CCT, 9 studi di coorte, due casi-controllo, tre studi di serie temporali,<br />

uno studio ecologico e uno studio con i casi come controlli di se stessi. Gli studi sperimentali<br />

senza menzione di randomizzazione sono stati classificati come studi di coorte. Il numero<br />

totale di eventi avversi considerati dagli studi inclusi ammonta a 165, variando da 1 a 18 per<br />

singolo studio (media 7.5, mediana 7).<br />

Studi randomizzati (RCT e CCT): due sono stati giudicati a basso rischio di errore, due a<br />

medio e due ad alto. Gli outcome riportati, riguardanti eventi lievi a breve termine, sono<br />

numerosi e definiti in modo così eterogeneo da impedire qualsiasi combinazione matanalitica.<br />

Studi di coorte: uno studio segnala un rischio aumentato di sintomi articolari nelle bimbe sotto<br />

cinque anni. Nessuna differenza di incidenza dei sintomi più comuni tranne che per talune<br />

284


singole segnalazioni (parotite, diarrea, rash e linfoadenopatia). Tutti gli studi di coorte<br />

presentano problemi di reporting e significative limitazioni di metodo.<br />

Studi caso-controllo: uno studio indaga l’associazione con il morbo di Crohn e la colite<br />

ulcerativa e l’altro indaga l’associazione con la meningite asettica. Nessuna evidenza di<br />

associazione identificata, la qualità degli studi è buona. Studi di serie temporali: uno studio<br />

segnala la possibile associazione tra la vaccinazione con il ceppo parotite Urabe e la<br />

meningite asettica ed un altro segnala una maggior incidenza di rash, linfoadenopatia e<br />

congestione nasale. Nessuna differenza di incidenza di autismo e altri disturbi psichiatrici<br />

viene rilevata da uno studio comparativo dedicato a questa analisi. La qualità di questi studi<br />

appare molto variabile.<br />

Studi ecologici: l’unico studio di questo tipo evidenzia la possibile maggior incidenza di<br />

porpora trombocitopenica di tipo benigno e autolimitante (non distinguibile dalla porpora<br />

idiomatica associata all’infezione naturale da morbillo).<br />

Studio di casi: uno studio che utilizza i casi come controlli temporali di se stessi indaga la<br />

possibile associazione con l’insorgenza di autismo e conclude per l’inesistenza di prove<br />

conclusive.<br />

CONCLUSIONI<br />

Le prove di buona qualità riguardanti la sicurezza del vaccino combinato MMR sono limitate<br />

a confronto con quelle disponibili per le singole componenti vaccinali. Gli studi di buona<br />

qualità indicano l’inesistenza di associazione con la meningite asettica e con i sintomi<br />

respiratori. Anche la possibile associazione con il morbo di Crohn e la colite ulcerosa viene<br />

esclusa da uno studio di buona qualità, anche se di piccole dimensioni. Tutti gli altri studi<br />

presentano problemi metodologici significativi, soprattutto la esistenza di possibili errori di<br />

selezione. La validità esterna non è elevata, in generale, ed esistono problemi di<br />

standardizzazione nella definizione degli eventi riportati e nella durata del periodo di<br />

osservazione. La maggior limitazione della presente revisione è rappresentata dall’alto di<br />

numero di studi esclusi a causa dell’assenza di osservazioni comparative. Questo rinvia al<br />

problema più generale della difficile valutazione di sicurezza in caso di interventi di sanità<br />

pubblica che, interessando la maggior parte dalla popolazione, rendono indisponibili gruppi di<br />

popolazione rappresentativi per il confronto.<br />

285


Simonetta Kerim Filone tematico A2<br />

Studio di marcatori biologici di progressione e prognosi nel carcinoma<br />

prostatico localmente avanzato.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento Assistenziale di Oncologia<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Nel carcinoma prostatico, la scelta fra differenti e più o meno aggressive strategie<br />

terapeutiche, è tuttora controversa, così come è attualmente imprecisa l’identificazione di<br />

differenti gruppi di rischio da avviare a specifici percorsi terapeutici. Risulta quindi di grande<br />

importanza l’acquisizione di nuovi marcatori prognostici che consentano di assegnare, in sede<br />

diagnostica, un differente potenziale evolutivo a queste neoplasie, permettendo la<br />

discriminazione fra tumori dotati di scarsa aggressività biologica e tumori caratterizzati invece<br />

da un potenziale metastatico più o meno rilevante. I criteri attualmente in uso nella<br />

valutazione prognostica del carcinoma prostatico, quali la stadiazione clinico-patologica ed il<br />

grading isto-patologico, non rispondono pienamente a queste esigenze, poiché non<br />

permettono una previsione sufficientemente precisa circa il decorso clinico e, di conseguenza,<br />

il trattamento più appropriato ai singoli casi.<br />

OBIETTIVO<br />

Come noto, lo sviluppo di neoplasie maligne è legato all’accumulo di mutazioni (delezioni,<br />

amplificazioni, traslocazioni) a carico di diverse porzioni del genoma umano, e la<br />

progressione del tumore dipende dalla successiva acquisizione di ulteriori alterazioni<br />

genetiche. Lo studio si propone di definire la ricorrenza di anomalie genomiche note come<br />

caratteristiche del carcinoma prostatico mediante metodiche di FISH (Fluorescence In Situ<br />

Hybridization) su materiale operatorio fissato in paraffina. Questo lavoro si è proposto di<br />

valutare se determinate alterazioni citogenetiche possano essere utilizzate:<br />

1. come indicatori della aggressività di una neoplasia prostatica e quindi della prognosi di<br />

ciascun paziente;<br />

2. come parametri per monitorarne l’evoluzione correlandoli con il PSA, con lo stadio ed il<br />

grado della neoplasia;<br />

3. come parametri per permettere di ottimizzare il trattamento del singolo paziente;<br />

4. per consentire in un prossimo futuro, lo sviluppo di gene/target therapy personalizzate.<br />

Sono state valutate tre fra le più importanti alterazioni genetiche note nel carcinoma<br />

prostatico: l’amplificazione del proto-oncogene c-myc localizzato nella regione cromosomica<br />

8q24, la delezione del gene LPL (lipoprotein lipasi), mappato in 8p22 e la delezione del gene<br />

onco-soppressore p53 localizzato in 17p13.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Nel corso di questa prima fase dello studio, retrospettivo, sono stati analizzati 25 casi di<br />

carcinoma prostatico localmente avanzato operati presso la Divisione di Urologia Ospedaliera<br />

(Dott. Ferrando) dell’Ospedale Molinette di Torino; sono stati selezionati pazienti le cui<br />

286


caratteristiche rispondessero a quelle di soggetti: con un lungo follow-up (da 5 a 10 anni),<br />

sottoposti a prostatectomia radicale (RPP o RRP), con carcinoma localmente avanzato. Per<br />

ciascun paziente sono stati allestiti, presso il laboratorio di citogenetica del Secondo Servizio<br />

di Anatomia Patologica (Prof. Palestro), due preparati in FISH: uno per la valutazione delle<br />

alterazioni a carico di c-myc, e di LPL in relazione al centromero del cromosoma 8 (CEP8);<br />

un secondo per la valutazione del gene p53, in relazione al centromero del cromosoma 17<br />

(CEP17). L’amplificazione e delezione delle regioni cromosomiche di interesse sono state<br />

assegnate sulla base del rapporto LPL/CEP8, c-myc/CEP8, p53/CEP17, per ognuno dei quali<br />

sono stati precedentemente definiti i valori di cut-off. L’entita’ dello scostamento del rapporto<br />

rispetto al cut-off è stata assunta come indicativa della quota di popolazione neoplastica<br />

portatrice dell’anomalia citogenetica. Sono stati quindi raccolti i dati clinici e anatomopatologici<br />

dei 25 soggetti in studio: PSA alla diagnosi e all’ultimo controllo, terapie radianti<br />

od ormonali instaurate prima o dopo l’intervento di prostatectomia radicale, stadio e grado<br />

istologici ed infine lo stato di salute attuale del paziente, eventuali complicanze o malattie<br />

concomitanti.<br />

RISULTATI<br />

Fra i 25 pazienti si contano 6 decessi, di cui solo tre (12%) imputabili all’evoluzione del<br />

carcinoma prostatico, mentre l’altra metà è dovuta ad altre patologie (carcinoma esofageo,<br />

ictus e neoplasia cerebrale). Nel nostro studio, il gene c-myc risulta amplificato nel 48% dei<br />

pazienti (12/25), normale nel restante 52% (13/25); il gene LPL è deleto nel 28% dei casi<br />

(7/25), amplificato nel 36% dei casi (9/25), e normale nella medesima percentuale. Il gene<br />

p53 è risultato deleto nel 32% dei casi (8/25), normale nel restante 68% (17/25). Tuttavia, i<br />

valori del rapporto locus/centromero ottenuti per le tre regioni cromosomiche studiate, si<br />

discostano solo di poco dal valore normale (valutato preliminarmente su campioni non<br />

neoplastici) compreso fra 0.93-1.04 per c-myc ed LPL, 0.87-1.30 per p53, poiché il valore<br />

medio di delezione di LPL era di 0.83 (0.78-0.90), il valore medio di amplificazione di c-myc<br />

era pari a 1.26 (1.11-1.46), mentre il valore medio di delezione di p53 era di 0.83 (0.78-0.86)<br />

nei campioni neoplastici. Questi risultati indicano che solo una piccola percentuale di cellule<br />

neoplastiche risulta portatrice di alterazioni genomiche singole e combinate.<br />

CONCLUSIONI<br />

Nella nostra casistica, limitata numericamente, ma rappresentata da pazienti seguiti secondo<br />

criteri omogenei e di cui è disponibile un follow up significativo (7.44 anni in media, con un<br />

range tra 5 e 10 anni), la sopravvivenza, sia totale che libera da malattia, è risultata superiore a<br />

quanto atteso sulla base del PSA alla diagnosi, dello stadio e del grado istologici. E’ stato<br />

evidenziato come, in questa popolazione di pazienti affetti da carcinoma prostatico, le<br />

mutazioni rilevate a carico dei geni studiati siano limitate ad una piccola quota della<br />

popolazione neoplastica ed associate sia alla mancanza di coinvolgimento linfonodale e di<br />

organi a distanza, sia alla sopravvivenza fino a 10 anni dall’intervento di prostatectomia.<br />

In conclusione, i risultati ottenuti nel corso di questo studio retrospettivo e preliminare,<br />

indicano che:<br />

1. i tradizionali indicatori prognostici non definiscono adeguatamente le differenti categorie<br />

di rischio, poiché nonostante valori di PSA e di Gleason estremamente disomogenei, sono<br />

stati riscontrati tempi di sopravvivenza sovrapponibili anche a dieci anni dall’intervento.<br />

2. L’assetto genomico, come valutato in questo studio, è indicativo dell’aggressività<br />

intrinseca della neoplasia. I nostri pazienti, indipendentemente dal valore di PSA alla<br />

diagnosi, stadio e grado istologici, h<strong>anno</strong> uniformemente dimostrato una scarsa<br />

287


complessità genetica, con presenza di anomalie combinate in solo 4 pazienti su 25, e<br />

limitate ad una quota trascurabile della popolazione neoplastica. La mortalità per<br />

carcinoma prostatico è risultata estremamente bassa (12%) anche a 10 anni dalla diagnosi,<br />

e solo in 2 casi (8%) è stata rilevata ripresa biologica.<br />

3. E’ necessario stabilire un cut-off di complessità genetica, attribuibile ai tumori analizzati,<br />

oltre il quale il paziente portatore di carcinoma della prostata con fattori prognostici<br />

“classici” (quali stadio e grado istologici) favorevoli, è comunque da considerarsi ad alto<br />

rischio di progressione.<br />

I risultati preliminari dello studio indicano infatti, che quando le mutazioni genetiche si<br />

presentano limitate ad una piccola percentuale della popolazione neoplastica, la neoplasia in<br />

toto mantiene un atteggiamento di scarsa aggressività mentre qualora la o le alterazioni<br />

genetiche fossero estese ad una quota più significativa del tumore ci si dovrebbe attendere un<br />

atteggiamento clinico più aggressivo.<br />

L’estensione dell’analisi genetica, attualmente in corso, ad una casistica più ampia, ci<br />

permetterà di definire con maggiore sicurezza il valore prognostico delle alterazioni<br />

citogenetiche che abbiamo ritenuto informative.<br />

288


Marco Ladetto Filone tematico A2<br />

Riarrangiamenti non neoplastici di BCL-2: un possibile nuovo fattore di<br />

rischio per la genesi del linfoma follicolare<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina e Oncologia Sperimentale<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Riarrangiamenti bcl-2/IgH, identici a quello osservati nei linfomi follicolari (LF) (non<br />

lymphoma-associated bcl2/igH rearrangements o NLABR), sono frequentemente osservati nel<br />

sangue periferico dei soggetti normali. Non è noto se esistano nessi epidemiologici o<br />

patogenetici tra NLABR e LF.<br />

OBIETTIVO<br />

Obiettivo di questo studio è di valutare l’epidemiologia di questi riarrangiamenti e la cinetica<br />

evolutiva dei cloni NLABR+.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Entrambi gli aspetti del progetto sono stati sviluppati.<br />

1. Valutazione dell’epidemiologia dei NLABR mediante i seguenti studi:<br />

a) valutazione del ruolo del fattore etnico mediante paragone tra l’incidenza di NLABR in<br />

popolazioni ad alto (caucasici) o basso rischio (africani e mediorientali) di sviluppo di LF:<br />

Sono stati analizzati 535 soggetti sani appartenenti a 3 differenti gruppi etnici: 352<br />

caucasici, 53 africani, 130 medioorientali. NLABR sono stati evidenziati nel 12.2% di<br />

soggeti caucasici contro il 5.6% degli africani e il 4.6% dei medioorientali. La differenza<br />

osservata tra il gruppo dei caucasici e gli altri due gruppi (africani + medioorientali) è<br />

significativa (p


follow-up. In 5 soggetti il clone NLABR+ è stato costantemente amplificato in tutte le<br />

successive valutazioni. In 3 soggetti lo stesso clone NLABR+ è stato identificato solo in una<br />

proporzione dei campioni con andamento oscillante. Tutti i NLABRs erano indistinguibili da<br />

quelli amplificati nei linfomi follicolari (tipo di breakpoint, N-insertions, JH-usage, ecc).<br />

Abbiamo usato la PCR quantitativa per monitorare la dinamica dei cloni NLABR+. Il “clonal<br />

cell burden” mediano è di 2.35 x 102cr/106dg. (range: 5.4 x 104 2.8 x 100). Il clonal cell<br />

burden dei cloni persistenti è superiore (p102 cr/106 dg sono persistenti. Il clonal<br />

cell burden dei cloni NLABR+ persistenti è sostanzialmente stabile nello stesso soggetto. Al<br />

contrario, il “clonal cell burden” è molto eterogeneo tra i diversi soggetti (fino a 3 logsw).<br />

Come atteso, i pazienti con riarrangiamento alternante h<strong>anno</strong> un cell burden ai limiti della<br />

sensibilità delle metodiche di PCR, suggerendo l’ipotesi che si tratti di un clone persistente<br />

dotato di massa cellulare molto esigua. Infine, mediante procedure di selezione cellulare,<br />

abbiamo studiato le caratteristiche fenotipiche dei cloni NLABR+. Dai nostri dati emerge che<br />

si tratta esclusivamente di cloni di natura B-linfocitaria CD19-positivi. Questi cloni si<br />

caratterizzano per la negatività per il CD23 mentre risultano eterogenei per l’espressione di<br />

CD10 e CD5.<br />

CONCLUSIONI<br />

I nostri esperimenti h<strong>anno</strong> evidenziato che:<br />

1. i NLABRs nel sangue periferico di soggetti sani sono correlati a cellule di origine B<br />

linfocitaria e non sono presenti nelle altre cellule emopoietiche;<br />

2. l’incidenza dei NLABRs nelle differenti etnie correla con l’incidenza del FL. Questo dato<br />

rafforza l’ipotesi del nesso patogenetico tra NLABR e FL;<br />

3. i NLABRs persistono presentando una cinetica differente nel tempo.<br />

In alcuni soggetti sono lesioni transitorie che non vengono riamplificate nei controlli<br />

successivi. Tuttavia, in quasi il 50%, i cloni NLABR+ persistono nel tempo, mantenendo una<br />

massa di cellule clonali costante senza incrementi o decrementi notevoli nel follow-up. Questi<br />

dati indicano che i cloni NLABR+ sono una popolazione clonale di significato incerto<br />

analoga alla MGUS e alla CLUS. In effetti, una popolazione persistente caratterizzata dalla<br />

presenza di un trascritto attivante l’oncogene bcl-2 potrebbe rappresentare un bersaglio per<br />

futuri eventi trasformanti, che consentirebbero lo sviluppo di un LF conclamato. Al contrario,<br />

i casi in cui i cloni NLABR+ appaiono solo transitoriamente, potrebbero costituire situazioni<br />

di efficace controllo immunologico della neoplasia o di efficace induzione di meccanismi<br />

apoptotici da parte dei fisiologici meccanismi regolatori intracellulari (ad esempio p53).<br />

290


Santo Landolfo Filone tematico A2<br />

Ruolo dei Papillomavirus (HPV) nella patogenesi dei tumori del distretto<br />

testa/collo (HNSCC)<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

I Papillomavirus umani (HPV) sono dei piccoli virus a DNA appartenenti alla famiglia delle<br />

Papovaviridae, che sono stati implicati nello sviluppo di lesioni benigne e maligne localizzate<br />

in vari distretti anatomici del corpo umano, quali l’apparato urogenitale femminile, la regione<br />

perianale, l’apparato digerente ed il tratto respiratorio superiore, in quest’ultimo in<br />

associazione con altri fattori a rischio quali fumo di sigaretta ed alcool. Degli otre 100<br />

genotipi di HPV fino ad oggi caratterizzati, alcuni, quali HPV6 ed 11, sono associati a lesioni<br />

benigne soprattutto della cute e delle mucose del cavo orale, mentre HPV16, 18, 31, 33 ed<br />

altri in frequenza minore sono stati associati a lesioni maligne della regione anogenitale, del<br />

tratto respiratorio (in particolare della laringe) e del tratto digestivo. Per una completa<br />

replicazione del proprio genoma l’HPV deve stimolare la cellula ad entrare nella fase S (fase<br />

di sintesi del DNA) al fine di sfruttare il macchinario di sintesi del DNA cellulare utilizzando<br />

tre proteine precoci (E5, E6, E7). La capacità del virus di indurre la fase S nelle cellule<br />

soprabasali contribuisce alla manifestazione patologica del virus che varia le lesioni<br />

proliferative come verruche e codilomi al carcinoma invasivo. E’ stato recentemente<br />

dimostrato che in seguito ad espressione delle proteine trasformanti E6 e E7 di HPV vengono<br />

attivati numerosi geni cellulari, tra cui molti appartenenti alla famiglia dei geni Interferoninducibili,<br />

quali IFI16, PKR, 2’-5’ Oase.<br />

METODI E RISULTATI<br />

L’analisi immunoistochimica di epiteli stratificati pavimentosi della laringe e della cervice ha<br />

evidenziato che in condizioni normali l’espressione di IFI16 è elevata nello strato basale<br />

proliferante, e diminuisce gradualmente in relazione al processo di differenziamento. Questi<br />

suggeriscono che possa esistere una stretta correlazione tra espressione della proteina IFI16 ed<br />

il controllo dei processi di proliferazione e differenziamento. In carcinomi squamosi della<br />

laringe positivi per HPV si osserva una forte espressione di IFI16 nelle cellule tumorali,<br />

mentre nei carcinomi meno differenziati, negativi per HPV, la proteina IFI16 non viene<br />

espressa, nonostante la presenza di positività nelle cellule endoteliali e nei linfociti infiltranti.<br />

Interessante a questo proposito l’osservazione che i tumori positivi per IFI16 sono negativi o<br />

debolmente positivi per Ki-67 (marcatore di proliferazione) dimostrando in livello di<br />

invasività significativamente inferiore ai tumori negativi per IFI16, fortemente positivi per Ki-<br />

67. E’ noto da tempo che il processo di trasformazione degli epiteli sostenuto da HPV si basa<br />

essenzialmente sull’attività delle proteineE6 ed E7. Per quanto riguarda E6 di HPV-16, è stato<br />

dimostrato che questa proteina lega p53 (uno dei sistemi di controllo del ciclo cellulare<br />

insieme alle proteine del Retinoblastoma, pRb) causandone la degradazione proteolitica. In<br />

parallelo, E7 lega la proteina pRb, inattivandola e rilasciando il fattore E2F, che legandosi al<br />

promotore di alcuni geni quali DHFR, TS, RNR2, stimola la sintesi del DNA e la<br />

proliferazione cellulare. Più recentemente è stato dimostrato che un’altra proteina di HPV-16,<br />

E5, partecipa al processo di trasformazione attivando alcuni recettori per fattori di crescita<br />

quali EGF e PDGF. Da quanto sopraddetto appare chiaro che il processo di trasformazione da<br />

HPV è il risultato di una complessa interazione tra i geni virali e geni cellulari, che da un lato<br />

291


stimola in senso positivo la proliferazione, dall’altro blocca i meccanismi inibitori del<br />

differenziamento cellulare.<br />

Sulla base dell’osservazione che i tumori testa/collo (HNSCC) rappresentano un gruppo<br />

estremamente eterogeneo dal punto di vista dell’invasività, proliferazione, sensibilità alla<br />

radio-o chemio-terapia, capacità di dare metastasi, nel presente programma di ricerca abbiamo<br />

definito i marcatori molecolari cellulari (IFI16, p53, pRb, Ki-67, ed SSRP-1) o virali (E6, E7,<br />

L1) che potessero consentire di suddividere i tumori testa/collo in base alle caratteristiche<br />

suddette. L’approccio metodologico, integrato e multidisciplinare come si può evincere<br />

dall’elenco dei collaboratori che afferivano al presente programma, consisteva da un lato<br />

nell’analisi tramite immunoistochimica di sezioni bioptiche di lesioni precancerose della<br />

laringe (cheratosi e displasie di vario grado) o di carcinomi squamosi della laringe (HNSCC),<br />

fissate in formalina e paraffinate. La presenza del DNA di HPV (geni E5, E6, E7) è stata<br />

invece analizzata con la tecnica della PCR utilizzando primers opportuni. L’espressione di<br />

proteine tardive di HPV, i.e. la proteina dei capside L1, è stata invece evidenziata tramite<br />

anticorpi anti-L1 in immunoistochimica.<br />

Nel loro insieme i risultati ottenuti h<strong>anno</strong> dimostrato che l’attività proliferativa definita con il<br />

marker Ki-67 correla in modo diretto con lo stato di differenziamento ed il “grading” del<br />

tumore, mentre l’espressione di IFI16 correla in modo inverso con Ki-67 (p=0.039). Inoltre,<br />

tumori fortemente positivi per IFI16 h<strong>anno</strong> dimostrato una forte positività per pRB e<br />

frequente associazione con HPV determinata tramite PCR. Poiché le proteine HIN200<br />

esercitano una potente azione antiproliferativa, la significativa correlazione tra i livelli<br />

d’espressione di IFI16, pRb, basso grado di malignità, presenza di HPV, potrebbe permettere<br />

di identificare un gruppo di tumori del distretto testa collo meno aggressivi nei confronti di<br />

altri tumori dello stesso distretto negativi per questi marcatori.<br />

292


Maria Agnese Latino Filone tematico A1<br />

Prevenzione delle infezioni da Chlamydia trachomatis nella popolazione<br />

giovanile.<br />

A.S.O. O.I.R.M. S. Anna<br />

OBIETTIVO<br />

Lo studio si propone di stimare la prevalenza dell’infezione da Chlamydia trachomatis nella<br />

popolazione giovanile torinese e di individuare i gruppi a maggior rischio per poter acquisire<br />

elementi utili alla definizione di eventuali politiche di screening da realizzarsi sulla<br />

popolazione piemontese.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Dal 1° Marzo 2004 al 28 Febbraio 2006 sono state arruolate 1.180 giovani donne di età<br />

compresa tra i 18 ed i 24 anni: la prevalenza globale dell’infezione da Chlamydia trachomatis<br />

(C.t.) è stata del 10.4% sensibilmente superiore a quanto atteso (circa 5%). Di tali pazienti 369<br />

afferivano ai Consultori familiari delle Usl 1, 4, ANCED e Collegno mentre 811 afferivano ai<br />

Centri IST dell’Ospedale Dermatologico, Amedeo di Savoia e dell’Azienda Ospedaliera<br />

O.I.R.M – Sant’Anna in questo secondo gruppo la prevalenza dell’infezione è stata più<br />

elevata (12.8% versus 5.1%). Onde poter valutare gli eventuali fattori di rischio associati<br />

all’infezione sono stati indagati differenti parametri sia socio-demografici sia<br />

comportamentali elencati nella tabella seguente<br />

Tabella – Dati demografici popolazione in esame<br />

Totale casi Positive p<br />

Numero di casi 1.180 123 (10,4%)<br />

Presenza di sintomatologia<br />

Sì 757 84 (11.1%)<br />

No 423 39 (9.2%) N.S.<br />

Gruppi etnici<br />

Comunitarie 891 80 (9%)<br />

Non comunitarie 289 43 (14,9%) 0,004<br />

Età 1° rapporto<br />

13-15 266 38 (14,3%) 0,003<br />

> 15 871 76 (8,7%)<br />

ND 43 9 (20,9%)<br />

Partner stabile<br />

Sì 982 80 (8,1%)<br />

No 168 34 (20,2%) 1 197 41 (20,8%)


Totale casi Positive p<br />

ND 8 0<br />

Disturbi nel partner<br />

Sì 170 37 (21,8%)<br />

No 879 61 (6,9%)


Giorgio Leigheb Filone tematico C1<br />

Studio del meccanismo di azione di analoghi della vitamina D3 nella<br />

terapia della psoriasi<br />

Università “A. Avogadro” del <strong>Piemonte</strong> Orientale<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

OBIETTIVO<br />

Lo scopo del nostro studio è stato quello di evidenziare eventuali differenze nella risposta<br />

apoptotica tra i cheratinociti lesionali e della cute sana perilesionale dei pazienti affetti da<br />

psoriasi trattati con un analogo della vitamina D3, il calcipotriolo. Poiché l’azione delle<br />

vitamina D3 quale farmaco contro la psoriasi ha un importante target nell’integrità dei<br />

mitocondri è stata poi valutata la via apoptotica attraverso le caspasi associate ai mitocondri<br />

(caspasi-9).<br />

MATERIALI E METODI<br />

E’ stato testato un analogo della vitamina D3, il CALCIPOTRIOLO su cheratinociti isolati da<br />

6 pazienti affetti da psoriasi volgare in chiazze, di età compresa tra 18 e 65 anni, privi di<br />

terapia dermatologica sistemica da un mese e di terapia topica da due settimane, dopo aver<br />

ottenuto consenso informato scritto. I cheratinociti sono stati ottenuti da biopsie cutanee<br />

eseguite ai margini della placca psoriasica e comprendenti sia cute lesionale che perilesionale,<br />

i frammenti dermo-epidermici rispettivamente di cute lesionale e di cute indenne perilesionale<br />

sono stati incubati “overnight” in dispase, una proteasi neutra che agendo come una<br />

collagenasi di tipo IV permette la separazione dermo-epidermica. I lembi cosi’ ottenuti sono<br />

stati immersi in una soluzione di tripsina (0,25%) ed EDTA (0,02%) a 37°C per 15 minuti e<br />

poi dissociati tramite agitazione meccanica. La sospensione di cellule epidermiche isolate è<br />

stata coltivata su chamber slides ricoperte di collagene IV utilizzando terreno per cheratinociti<br />

privo di siero KGM. Le cellule sono state trattate con 100 nM calcipotriolo e coltivate in<br />

ambiente termostatato a 37°C in atmosfera CO2 /O2 95/5% per un tempo di 20 ore. Alla fine<br />

del periodo le cellule utilizzate per la valutazione dell’apoptosi sono state fissate in una<br />

soluzione di metanolo 80% per 5 minuti, lavate con PBS e successivamente colorate con<br />

propidio ioduro per 5 minuti. I vetrini sono stati infine inclusi in glicerolo ed esaminati<br />

mediante microscopia a scansione laser confocale accoppiata ad un sistema di analisi di<br />

immagine (LEICA.TCS SP2). Sono state acquisite da 15 a 18 sezioni lungo l’asse z ad<br />

intervalli di 400 nm, successivamente sovrapposte per ottenere un’immagine ricostruita. Per<br />

ogni campione sono state contate 400 cellule.<br />

Le cellule utilizzate per l’identificazione della Caspasi 9 tramite tecnica immunoistochimica,<br />

sono state fissate in una soluzione all’1 % di formalina tamponata (pH = 7.4) per 30 min.<br />

circa; incubate per 5 min. in una soluzione allo 0,3 % di H2O2 in PBS e poi in una soluzione<br />

allo 0,2 % di Triton X in tampone TBS in ghiaccio. Dopo un’incubazione con siero aspecifico<br />

(dello stesso tipo da cui viene estratto l’anticorpo secondario) per 1 ora a temperatura<br />

ambiente, è stata aggiunta la soluzione di anticorpo primario (20 µg / ml in PBS) per un’ora a<br />

temperatura ambiente. Il prodotto di reazione (antigene –anticorpo) è stato rivelato incubando<br />

le sezioni con un anticorpo secondario complessato con un sistema “ponte” avidina-biotina-<br />

DAB (diamonobenzidina). Tutti i campioni sono stati quindi disidratati in una serie<br />

295


ascendente di soluzioni etanolo/acqua, immersi in xilene e posti su di un vetrino portaoggetti<br />

tramite balsamo per microscopia. Successivamente al processamento immunoistochimico le<br />

sezioni sono state analizzate tramite un sistema computerizzato di Analisi di Immagine (Leica<br />

Qwin) che usa immagini digitalizzate tramite una telecamera collegata al microscopio ottico.<br />

La reazione colorimetrica della DAB è stata analizzata ed espressa in “livelli di colore”<br />

(normalizzato rispetto alla luminosità di fondo = Fondo Ottico). Per ogni campione<br />

sperimentale sono stati analizzati in modo sequenziale 60 campi ottici con obiettivo ad<br />

immersione 100x. I risultati sono presentati come media ± errore standard della media (SEM)<br />

di 6 esperimenti differenti. L’analisi statistica è stata condotta mediante il test t di Student per<br />

dati non appaiati, e le differenze sono state considerate significative per p < a 0,05.<br />

RISULTATI<br />

All’osservazione al microscopio confocale i criteri morfologici utilizzati, per identificare le<br />

cellule apoptotiche sono stati la condensazione della cromatina e la frammentazione nucleare.<br />

Il calcipotriolo alla dose di 100 nM è risultato essere un efficace stimolo apoptotico per i<br />

cheratinociti umani in coltura dopo 20 ore di trattamento. In particolare è stato in grado di<br />

indurre apoptosi nei cheratinociti psoriasici in modo significativamente maggiore rispetto ai<br />

cheratinociti derivanti da cute perilesionale. La percentuale di cellule apoptotiche nei<br />

cheratinociti psoriasici è risultata del 30,7 ± 10,38 % mentre solo del 6,4 ± 1.26% nei<br />

cheratinociti perilesionali (p= 0,043). L’attivazione della caspasi 9 è stata valutata la<br />

formazione, nelle cellule positive alla reazione immunoistochimica, di un precipitato di<br />

aspetto granulare di colore marrone, concentrato nelle zone perinucleari, compatibile con la<br />

presenza della caspasi 9 attiva proveniente dalle superfici mitocondriali (alla cui membrana<br />

esterna la procaspasi-9 si trova tipicamente associata). Sia nei cheratinociti lesionali che in<br />

quelli perilesionali non è stata osservata una reazione immunoistochimica significativa.<br />

CONCLUSIONI<br />

Questi risultati, pur da convalidare su un numero maggiore di pazienti, aggiungono importanti<br />

informazioni sul meccanismo d’azione di questo analogo della vitamina D3. A livello della<br />

cute lesionale, l’azione apoptotica del calcipotriolo, in associazione al già noto effetto<br />

antiproliferativo e prodifferenziativo sui cheratinociti umani può contribuire alla risoluzione<br />

della lesione psoriasica e al miglioramento del quadro clinico cutaneo. Il meccanismo di<br />

induzione dell’apoptosi cheratinocitaria, contrariamente a quanto ipotizzato, non coinvolge la<br />

caspasi 9 ma potrebbe interessare altre vie quali quella dei protooncogeni della famiglia bcl-2<br />

A livello della cute non lesionale, dove la terapia topica con analoghi della vit. D3 induce<br />

spesso la comparsa di eritema associato a sintomatologia di tipo irritativo, la scarsa entità del<br />

d<strong>anno</strong> apoptotico può solo in parte spiegare gli effetti tossici-irritativi di questi farmaci che<br />

può invece essere principalmente legato all’induzione di flogosi con comparsa di infiltrato<br />

infiammatorio<br />

.<br />

296


Maurizio Leone Filone tematico D4<br />

Farmaci per la prevenzione ed il trattamento delle crisi epilettiche da<br />

sospensione alcolica: una revisione Cochrane.<br />

A.S.O. “Maggiore della Carità” di Novara<br />

Clinica Neurologica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Le crisi epilettiche sono una condizione neurologica comune con un rischio nel corso della<br />

vita variabile da 1 a 3 per cento e una prevalenza tra gli alcolisti almeno tripla rispetto alla<br />

popolazione generale. D’altra parte l’alcolismo è una condizione relativamente comune nella<br />

nostra <strong>Regione</strong> con una prevalenza intorno a 5/100 abitanti. Di conseguenza, abuso di alcolici<br />

viene riscontrato frequentemente tra i pazienti che si presentano in Ospedale per una crisi<br />

epilettica. Sebbene le crisi epilettiche tra gli alcolisti siano eterogenee, esse avvengono più<br />

frequentemente in corso di sospensione acuta dell’assunzione di alcolici (crisi da astinenza<br />

alcolica). Differenti farmaci sono stati utilizzati sia per la prevenzione primaria (prevenzione<br />

delle crisi nei pazienti che avviano una disassuefazione volontaria o h<strong>anno</strong> in corso una<br />

sindrome da astinenza alcolica) che secondaria (prevenzione di una recidiva di crisi).<br />

OBIETTIVO<br />

Obiettivo di questa studio è di effettuare una revisione Cochrane per valutare l’efficacia e la<br />

sicurezza dei farmaci utilizzati per la prevenzione primaria e secondaria delle crisi in corso di<br />

sindrome da astinenza alcolica, in particolare:<br />

1. se trattare (con qualunque farmaco) o no;<br />

2. paragonare diversi farmaci verso nessun farmaco o placebo;<br />

3. quale farmaco e quale protocollo di trattamento sia più efficace.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Organizzazione dello studio: è stato completato il protocollo della revisione che è uscito sul<br />

primo numero del 2005 della Cochrane Library con menzione del contributo della <strong>Regione</strong><br />

<strong>Piemonte</strong>. Nel 2004 è stata organizzata la riunione dei revisori, durante la quale sono state<br />

discusse le modalità di raccolta dei dati.<br />

<strong>Ricerca</strong> bibliografica: è stata effettuata una ricerca bibliografica su diverse banche dati,<br />

utilizzando sia la strategia del gruppo “Epilepsy” della Cochrane Collaboration che una ad<br />

hoc. Sono stati così recuperati circa 8000 abstract. Due autori h<strong>anno</strong> valutato in cieco gli<br />

abstracts, selezionandone circa 500. I relativi articoli sono stati ottenuti e letti dagli stessi due<br />

autori, e inclusi nella revisione se rispondevano ai sottoelencati criteri. Ogni disaccordo è<br />

stato risolto da un terzo autore.<br />

Criteri di inclusione degli studi: sono stati inclusi<br />

1. studi randomizzati controllati /quasi-randomizzati;<br />

2. studi che includevano pazienti alcol-dipendenti trattati per disassuefazione sul territorio o<br />

in ospedale;<br />

297


3. studi comparanti terapia farmacologia vs. non terapia, differenti farmaci tra di loro o vs.<br />

placebo, o differenti protocolli terapeutici.<br />

Si è cercato di ottenere i dati mancanti dagli Autori di ogni singolo studio. Gli studi<br />

selezionati sono stati schedati con la scheda predisposta (metodi di randomizzazione, di<br />

controllo del confounding e della cecità, pazienti esclusi, informazioni demografiche, setting,<br />

numero e tipo di farmaci antiepilettici, tempo di inizio della terapia, fattori di rischio, fattori<br />

relativi all’episodio di astinenza).<br />

Analisi: sono state considerate misure di efficacia (incidenza delle crisi, intervallo tra prima<br />

crisi e recidiva) e sicurezza (incidenza di effetti collaterali, incidenza di grave sindrome da<br />

astinenza alcolica). L’analisi è stata effettuata secondo il principio dell’intention-to-treat. E’<br />

stata testata l’eterogeneità clinica, metodologica e statistica.<br />

RISULTATI<br />

Abbiamo incluso 26 trial di prevenzione primaria riguardanti 20 differenti farmaci e 4 trial di<br />

prevenzione secondaria, riguardanti 2 farmaci. L’incidenza di crisi da astinenza alcolica nei<br />

pazienti non trattati (calcolata dal braccio placebo dei trial) era del 8% ed il rischio di recidiva<br />

nelle prime 12 ore dopo la prima crisi del 17%. Una meta-analisi degli studi clinici<br />

randomizzati e controllati con placebo per la prevenzione primaria delle crisi epilettiche<br />

mostra una riduzione di rischio significativa con le benzodiazepine ed un aumento di rischio<br />

con i neurolettici. I farmaci antiepilettici erano ugualmente efficaci che le benzodiazepine;<br />

anche i barbiturici e il clormetiazolo erano efficaci nei pochi studi inclusi. Ulteriori analisi<br />

sono state effettuate: trattamento (qualunque farmaco) vs. non trattamento, benzodiazepine vs.<br />

neurolettici, benzodiazepine a lunga durata d’azione vs. breve durata, antiepilettici +<br />

benzodiazepine o clormetiazolo vs benzodiazepine o clormetiazolo, clonidina vs<br />

benzodiazepine o clormetiazolo (dati non riportati). Una meta-analisi degli studi clinici<br />

randomizzati e controllati con placebo per la prevenzione secondaria delle crisi epilettiche<br />

mostra che la fenitoina è inefficace (differenza assoluta del rischio: -0.7 casi di crisi /100<br />

pazienti trattati con fenitoina, LC 95% da -10.4 a +9, NNT=150, da 10 a -11). Al contrario, il<br />

lorazepam è efficace: 3/100 pazienti trattati con lorazepam ev. h<strong>anno</strong> avuto una recidiva<br />

contro 21/86 nel gruppo placebo (riduzione assoluta del rischio = -21.4 casi di crisi /100<br />

pazienti trattati con lorazepam (LC 95% da -31.1 a –11.7, NNT=5, da 3 a 9).<br />

CONCLUSIONI<br />

La prevenzione ed il trattamento delle crisi epilettiche da astinenza alcolica sono importanti,<br />

perchè ulteriori crisi possono risultare in uno stato di male epilettico, una condizione<br />

pericolosa per la vita. La nostra revisione mostra evidenza che la terapia con benzodiazepine è<br />

efficace sia nel prevenire sia la prima crisi epilettica che la recidiva in corso di astinenza<br />

alcolica. Tuttavia resta da chiarificare il regime di trattamento più efficace. I farmaci<br />

antiepilettici devono essere considerati.<br />

298


Antonio Liuzzi Filone tematico A2<br />

Valutazione dell'arteriopatia periferica in pazienti con obesità grave con<br />

sindrome metabolica<br />

Istituto Auxologico Italiano<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

L’obesità è un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di aterosclerosi, verosimilmente<br />

per disfunzione endoteliale. Infatti l’obesità è associata ad un aumento della vasocostrizione<br />

endotelina-dipendente e dei livelli sierici di varie citokine pro-infiammatorie, correlando tali<br />

alterazioni con la distribuzione del grasso corporeo. Un’importante conseguenza<br />

dell’aterosclerosi, l’arteriopatia obliterante periferica (AOP) risulta a sua volta associata a<br />

stress ossidativo conseguente all’ipossia, causa di attivazione endoteliale e rilascio di sostanze<br />

vasocostrittrici, pro-infiammatorie e di citochine. In questa condizione la valutazione del<br />

flusso ematico arterioso può essere valutato mediante tecniche non invasive, i cui risultati<br />

sono ben correlati con i dati arteriografici.<br />

OBIETTIVO<br />

Lo scopo dello studio è stato quello di verificare se l’obesità di per sé potesse determinare,<br />

tramite un aumento di fattori infiammatori, alterazioni del flusso ematico e dell’ossigenazione<br />

tissutale periferica tali da essere precocemente identificate tramite indagini non invasive quali<br />

l’eco-color-doppler, misurando l’indice pressorio caviglia/braccio (ABI), e l’ossimetria<br />

transcutanea, attraverso l’indice di perfusione regionale (RPI).<br />

MATERIALI E METODI<br />

Sono stati studiati 90 soggetti affetti da obesità non complicata, 22 maschi e 68 femmine, età<br />

(media+DS) 31.6+8.7 anni (IC 95%: 29.7-33.5), BMI 42.8+4.7 kg/m2 (41.7-43.8). In ciascun<br />

soggetto sono stati valutati i seguenti i seguenti fattori di rischio cardiovascolare e metabolico:<br />

colesterolemia totale (COL), LDL, HDL, trigliceridi (TGL), uricemia, AST, ALT, gGT,<br />

proteina C-reattiva (PCR), fibrinogeno, omocisteina, molecole di adesione intercellulare<br />

(ICAM1), insulinemia (IRI) ed insulino-resistenza calcolata mediante HOMA.<br />

Misurazioni. La pressione arteriosa sistolica (PAS) e diastolica (PAD) sono state ottenute<br />

dalla media di tre misurazioni consecutive, a paziente disteso. La pressione transcutanea di<br />

ossigeno (tcpO2) al dorso del piede, in condizioni basali (tcpO2b) e dopo 4’ di compressione<br />

del polpaccio mediante sfigmomanometro gonfiato a pressione sovrasistolica (tcpO2c), ed a<br />

livello toracico (sovraclaveare), nonchè l’indice di perfusione regionale (RPI: tcpO2<br />

piede/tcpO2 torace x 100) sono state determinate mediante ossimetro transcutaneo. L’ABI<br />

(PAS caviglia/PAS braccio) è stato calcolato mediante pletismografia Doppler ed è stato<br />

considerato patologico per valori


all’abitudine al fumo, ai valori di ABI < o > a 0.95, di WHR < o > 0.80. I risultati sono stati<br />

espressi come media + DS. L’ipotesi zero è stata scartata per valori di p


Grazia Lomolino Filone tematico D4<br />

Revisione sistematica efficacia procedure di lavaggio delle mani per la<br />

prevenzione delle infezioni nosocomiali<br />

Azienda Ospedaliera SS Antonio e Biagio di Alessandria<br />

SOS di Igiene Ospedaliera<br />

MATERIALI E METODI<br />

La ricerca è stata svolta seguendo la metodologia delle revisioni sistematiche adottata dalla<br />

Cochrane Collaboration. Sono stati inclusi studi randomizzati e osservazionali che<br />

confrontano una procedura di lavaggio con procedure alternative o con placebo o con nessun<br />

intervento; oppure studi che confrontano tipi o dosi di antisettico utilizzato per il lavaggio.<br />

Sono state prese in considerazione sia le infezioni naturali che quelle sperimentali.<br />

Come misure di risultato primarie sono stati considerati i tassi di infezioni ospedaliere<br />

conseguenti all'uso delle diverse procedure nelle diverse circostanze.<br />

Come misure di risultato secondarie sono state considerate: la conta della flora microbica<br />

cutanea nonché il numero e gravità degli eventi indesiderati<br />

Sono state interrogate le seguenti banche di dati: Cochrane Library (contenente: The<br />

Cochrane Database of Systematic Reviews; The NHS Database of Abstracts of Reviews of<br />

Effectiveness; The CENTRAL/Cochrane Controlled Trials Register) Medline (1966- oggi)<br />

EMBASE (1985-oggi) CINAHL. Sono state utilizzate le seguenti combinazioni di parole<br />

chiave: randomized controlled trial, Clinical Trials, random allocation, research design,<br />

double blind method, placebos, cross over, Follow-Up, prospective studies,<br />

HANDWASHING, handwash*, hand disinfectant, hand wash*, hand decontamin, hand<br />

hygiene, hospitals, Hospital Units, intensive care, ambulator*, emergenc*, facilit*. I medesimi<br />

termini sono stati adattati ad altri databases: Biological Abstracts (1985-oggi) Science<br />

Citation Index (1980-oggi). Al fine di identificare altri studi, anche non pubblicati, sono stati<br />

anche consultati la bibliografia degli studi identificati, le linee guida e le raccomandazioni<br />

esistenti sull'argomenti. I criteri di inclusione sono stati applicati da due revisori in modo<br />

indipendente. I due revisori h<strong>anno</strong> anche valutato la qualità metodologica degli studi.<br />

RISULTATI<br />

Le ricerche bibliografiche h<strong>anno</strong> prodotto 535 citazioni che sono state esaminate in base ai<br />

contenuti del titolo e dell’abstract. Complessivamente 115 lavori sono stati recuperati come<br />

potenzialmente includibili. Solo 14 lavori contengono misure di risultato primarie così come<br />

definito dal protocollo. Cinque sono RCT, tre sono studi di tipo cross-over (uno definito come<br />

RCT di equivalenza) due studi di coorte, quattro studi di confronto prima e dopo.<br />

Studi sperimentali. Black (1981) confronta un intervento di educazione al lavaggio delle<br />

mani del personale di una unità di cure intensive pediatriche trovandolo più efficace rispetto a<br />

nessun intervento nella prevenzione delle diarree. Berry (1982) confronta l’uso di Clorexidina<br />

Cloridrato trovandola più efficace nella prevenzione delle infezioni della ferita chirurgica<br />

rispetto allo Iodio Povidone. Slota (2001) rileva una riduzione del tasso generale di infezioni<br />

nosocomiali dopo introduzione di procedure rigorose per il lavaggio delle mani e di norme di<br />

isolamento (uso di mezzi di protezione) ma nessuna differenza significativa tra le due<br />

procedure. Mody (<strong>2003</strong>) non rileva alcuna differenza nel tasso generale di infezioni<br />

301


nosocomiali conseguente al lavaggio con acqua e sapone rispetto al lavaggio con gel<br />

alcoolico. Lo studio considera anche la contaminazione da S aureus come outcome<br />

secondario.<br />

Studi cross over. Doebbeling (1992) confronta il lavaggio delle mani con clorexidina<br />

gluconato al 4% rispetto ad alcool isopropilico al 60% rilevando la maggior efficacia della<br />

clorexidina nella prevenzione dell’incidenza totale di infezioni delle vie urinarie. Parienti<br />

(2002) confronta l’hand-scrubbing tradizionale (con soluzione di iodio povidone oppure di<br />

clorexidina) con l’hand-rubbing (con soluzione idroalcolica al 75% contenente n-propanolo,<br />

isopropanolo e mecetronio etilsolfato) e non rileva alcuna differenza tra i due metodi nella<br />

prevenzione del tasso totale di infezioni della ferita chirurgica. Hilburn (<strong>2003</strong>) confronta l’uso<br />

di un antimicrobico (contenente lo 0,3 % di cloroxilenolo) con l’uso di gel alcolico<br />

osservando, durante l’impiego del gel alcolico, una riduzione del tasso totale di incidenza di<br />

infezioni nosocomiali del 36,1% rispetto al periodo basale.<br />

Studi di coorte. Larson (2000) valuta l’impatto di interventi di formazione e di<br />

sensibilizzazione al lavaggio delle mani rispetto a nessuna promozione. Nel gruppo<br />

sperimentale si osservano riduzioni significative delle infezioni da VRE sia nel periodo di<br />

implementazione che in quello di follow-up (RR 0,29 e 0,19). Fendler (2002) valuta l’effetto<br />

differenziale dell’uso di un gel antisettico rispetto ad un sapone antimicrobico per il lavaggio<br />

delle mani. Viene osservata una riduzione significativa pari al 30,4 % (data dal rapporto tra i<br />

due tassi) della incidenza delle infezioni totali nel gruppo trattato con il gel rispetto al gruppo<br />

di controllo.<br />

Studi di confronto prima e dopo. Simmons (1990) valuta l’effetto di una campagna di<br />

sensibilizzazione al lavaggio delle mani con detergente liquido contenente pclorometaxilenolo<br />

non rilevando nessun impatto né in termini di compliance né in termini di<br />

tasso globale di infezioni nosocomiali. Webster (1992) osserva una riduzione del tasso<br />

settimanale di infezioni da MRSA (da 3,4 a 0,14 casi settimanali) in un periodo sperimentale<br />

di 7 settimane d’uso di un prodotto a base di triclorosan rispetto a 39 settimane d’uso di<br />

clorexidina gluconato. Zafar (1995) osserva una drastica riduzione dei casi di infezione da<br />

MRSA nel periodo successivo alla introduzione di un prodotto a base di triclosan in<br />

sostituzione di un tradizionale prodotto a base di clorexidina per il lavaggio delle mani. Pittet<br />

(2000) valuta l’effetto a lungo termine di una campagna di sensibilizzazione al lavaggio delle<br />

mani con acqua e sapone e alla disinfezione con clorexidina gluconato. In quattro anni si<br />

riducono sia la prevalenza totale di infezioni nosocomiali sia l’incidenza totale di infezioni e<br />

di batteriemie da MRSA. I rimanenti 101 studi sono dedicati alla misurazione dell’effetto del<br />

lavaggio sulla carica batterica totale delle mani degli operatori e sono stati considerati<br />

separatamente.<br />

302


Mauro Maccario Filone tematico D1<br />

Iperaldosteronismo primario nell’ipertensione resistente: prevalenza ed<br />

effetti sul d<strong>anno</strong> aterosclerotico precoce<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina Interna<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Tra i fattori di rischio cardiovascolare modificabili l’ipertensione arteriosa è probabilmente il<br />

più importante in considerazione dell’alta prevalenza e della frequente associazione con<br />

eventi vascolari multidistrettuali. Tuttavia, a fronte di ciò e nonostante la mole di dati<br />

accumulati sulla fisiopatologia dell’affezione, l’ipertensione arteriosa presenta nell’80-90%<br />

dei casi un’eziologia ignota (ipertensione essenziale) e conseguentemente il trattamento sarà<br />

sintomatico e non causale e forzatamente ‘ad vitam’. Nel restante 10-20% delle forme di<br />

ipertensione (ipertensione secondaria) la causa è potenzialmente modificabile con importante<br />

beneficio per il paziente che non sarà quindi vincolato ad una terapia farmacologia<br />

sintomatica cronica. Nell’ambito dell’ipertensione secondaria, l’iperaldosteronismo primario<br />

(IAP), sostenuto da adenoma o da iperplasia surrenalica, non è più considerato una causa di<br />

scarso rilievo ma, al contrario, secondo le casistiche di importanti centri internazionali di<br />

riferimento, costituirebbe probabilmente la causa più frequente, arrivando a rappresentare<br />

circa il 50% delle forme secondarie di ipertensione (5-15% di tutti gli ipertesi). E’ inoltre<br />

molto verosimile che tale percentuale aumenti in modo rilevante se si considera il ‘subset’ di<br />

ipertensione resistente alla terapia, in cui dati preliminari in altre popolazioni indicano una<br />

prevalenza del 20%. L’ipertensione arteriosa resistente è definita come uno stato ipertensivo<br />

non corretto da tre farmaci a dose piena: una diagnosi di iperaldosteronismo darebbe pertanto<br />

una possibilità terapeutica, medica o chirurgica, efficace in questi pazienti altrimenti esposti<br />

ad un elevato rischio cardiovascolare. Tale rischio sembra inoltre maggiore nei pazienti<br />

ipertesi con eccesso di secrezione di aldosterone in quanto l’aldosterone è considerato un<br />

fattore patogenetico di primo piano nella genesi dell’aterosclerosi e della disfunzione<br />

ventricolare connessi con la malattia ipertensiva.<br />

OBIETTIVO<br />

Scopo del nostro studio è stato quello di<br />

1. verificare la reale prevalenza di IAP negli ipertesi resistenti;<br />

2. valutare un’eventuale associazione tra i più comuni fattori di rischio CVD e l’IAP;<br />

3. quantificare il d<strong>anno</strong> aterosclerotico precoce specificatamente indotto dall’IAP<br />

MATERIALI E METODI<br />

Abbiamo studiato una coorte di pazienti affetti da ipertensione arteriosa, afferenti al Centro<br />

per la Diagnosi e la Terapia dell’ipertensione della SCDU di Endocrinologia, ASO S.<br />

Giovanni Battista di Torino, resistenti al trattamento farmacologico e igienicocomportamentale.<br />

L’IAP era definito da un rapporto aldosterone plasmatico/PRA (ARR) 500<br />

(con PRA inibita,


minuti). Le determinazioni sono state eseguite dopo 'wash out' di almeno tre settimane dei<br />

farmaci e delle condizioni interferenti sulla secrezione di aldosterone e sull'attività renina. Per<br />

ogni paziente sono stati inoltre valutati:<br />

• dati clinico-anamnestici (familiarità per ipertensione e malattia cardiovascolare precoce,<br />

eventi cardiovascolari pregressi, abitudine al fumo, vita sedentaria;esame clinico volto ad<br />

evidenziare eventuali segni di alterato compenso emodinamico o di alterato flusso<br />

vascolare);<br />

• livelli ematici di glucosio, colesterolo totale, col-HDL, trigliceridi, creatinina, albuminuria<br />

24 ore, quale valutazione dei fattori di rischio cardiovascolare più comuni e ‘marker’ di<br />

d<strong>anno</strong> d’organo;<br />

• monitoraggio ambulatoriale della pressione delle 24 ore;<br />

• ecodoppler TSA per misurazione spessore intima media a livello arteria carotide comune<br />

bilateralmente.<br />

RISULTATI<br />

Nel periodo di reclutamento utile (12 mesi) sono stati selezionati 75 pazienti con compenso<br />

insufficiente in terapia plurifarmacologica. Solo 30 di questi sono risultati effettivamente<br />

‘resistenti’ (valori sistolici o diastolici superiori rispettivamente a 140 e 90 mmHg in più del<br />

10% delle misurazioni domiciliari nel corso di un mese), un numero nettamente inferiore a<br />

quello previsto all’inizio dello studio. Tale risultato appare dovuto alla scarsa aderenza del<br />

paziente nei confronti della terapia anti-ipertensiva che connotava la grande maggioranza dei<br />

casi inizialmente ritenuti ‘resistenti’ ma in realtà semplicemente ‘non complianti’. In questa<br />

coorte di pazienti, 15 maschi e 15 femmine di età compresa tra i 26 e i 77 anni, è stato<br />

diagnosticato l’IAP in 7 soggetti, di cui 6 erano maschi. L’età dei soggetti è<br />

significativemente inferiore nel gruppo IAP (45.4±11.9 vs 57±9.9, p


Corrado Magnani Filone tematico D1<br />

Analisi statistica ed epidemiologica dei trends temporali di incidenza dei<br />

tumori infantili<br />

Università “A. Avogadro” del <strong>Piemonte</strong> Orientale<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Questo studio ha condotto un'analisi sistematica dei trends di incidenza per tumore infantile in<br />

<strong>Piemonte</strong> nel periodo dal 1967 al 2001. Un aumento dell’incidenza dei tumori infantili è stato<br />

segnalato in diversi paesi, in particolare per le leucemie, i tumori cerebrali ed i neuroblastomi.<br />

In <strong>Piemonte</strong> questo gruppo di ricerca ha osservato in precedenti indagini relative al periodo<br />

1967-1998 un aumento annuo del 2,6% nell’incidenza delle leucemie linfoblastiche acute tra i<br />

bambini sotto i 5 anni.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Il Registro dei Tumori Infantili del <strong>Piemonte</strong> è su base di popolazione e rileva dal 1967 i casi<br />

di tumore che insorgono tra la popolazione infantile (età 0-14 anni) in <strong>Piemonte</strong>. Le procedure<br />

per la raccolta dei dati, la codifica e le analisi sono state uniformi per tutto il periodo. La<br />

rilevazione è sempre stata condotta in modo attivo, con la ricerca dei casi nei registri<br />

ospedalieri sia in <strong>Piemonte</strong> sia in ospedali di altre regioni. I casi sono rilevati anche in banche<br />

dati di interesse, quali gli archivi dei ricoveri ospedalieri, gli archivi delle autorizzazione per<br />

le cure all'estero e la banca dati dell’Associazione Italiana di Ematologia ed Oncologia<br />

Pediatrica (AIEOP). Sono stati calcolati i tassi di incidenza annui, stratificati per sesso e<br />

classe di età. Per il calcolo dei tassi sono state usate le stime della popolazione piemontese<br />

fornte ai densimenti e, per gli anni intercensuali, dall'IRES e dalla BDDE. I trends sono stati<br />

calcolati in modo sistematico per le 'Categorie Maggiori' previste dalla International<br />

Classification of Childhood Cancer e per alcune delle più rilevanti categorie minori. I trends<br />

sono stati stimati usando i modelli di regressione di Poisson, corretti per età e sesso e<br />

presentati come variazione media annua percentuale (APC - annual percent change). E' stata<br />

sperimentata l'applicazione di modelli di regressione di Bayes, più flessibili che i modelli di<br />

Poisson per la descrizione di andamenti non lineari.<br />

RISULTATI<br />

I risultati mostrano incrementi statisticamente significativi dell'incidenza per l'insieme dei<br />

tumori infantili e per alcune categorie nosologiche di rilievo. Per quanto riguarda l'insieme di<br />

tutti i tumori, pari a 3360 casi, si è osservato in incremento medio del tasso di incidenza di<br />

1,3% per <strong>anno</strong>. L'incremento è statisticamente significativo (95% CI:1.0% a 1.6%).<br />

Incrementi statisticamente significativi si sono osservati anche per le leucemie (1121 casi,<br />

APC: 1.0%, 95% CI: 0.4% a 1.6%), i tumori del Sistema Nervoso Centrale (SNC; 753 casi,<br />

APC: 2.3%, 95% CI: 1.6% a 3.1%) ed il neuroblastoma (254 casi, APC: 2.3%, 95% CI: 1.0%<br />

a 3.5%). Un aumento del tasso di incidenza è stato osservato sia per le Leucemie<br />

Linfoblastiche Acute (LLA; APC 1.2%, 95% CI: 0.2% a 2.3%) che per le Leucemie Acute<br />

non Linfoblastiche (APC 1.7%, 95% CI –0.6%, 4.1) ma per queste ultime a variazione non è<br />

statisticamente significativa. Le analisi per classe di età h<strong>anno</strong> evidenziato andamenti<br />

differenziati per classe di età per alcune neoplasie, quali il neuroblastoma nei bambini con<br />

305


meno di un <strong>anno</strong> (aumento del 4.8% per <strong>anno</strong>), la leucemia nei bambini tra 1 e 4 anni (1.2%<br />

per <strong>anno</strong>) ed i tumori del SNC tra i bambini di 10-14 anni (3.4% per <strong>anno</strong>). Analisi<br />

preliminari condotte con metodi di regressione di Bayes h<strong>anno</strong> evidenziato per le leucemie<br />

che i trend h<strong>anno</strong> andamenti ciclici mentre l'andamento è lineare per le neoplasie di tipo<br />

solido.<br />

CONCLUSIONI<br />

Questi dati indicano un aumento dell'incidenza di tumore infantile, in generale e per alcune<br />

importanti categorie nosologiche: leucemie, LLA, tumori del SNC e neuroblastoma.<br />

Escludiamo che i trends osservati siano causati da fluttuazione casuale o variazioni nella<br />

qualità dei dati e della rilevazione. Le cause dell'incremento osservato sono verosimilmente<br />

diverse per i diversi tipi di neoplasia: studi come questo non possono che suggerire ipotesi, da<br />

verificare con studi epidemiologici analitici. Per quanto riguarda le leucemie, la letteratura<br />

scientifica ha sottolineato il possibile ruolo di esposizioni esogene ad agenti chimici<br />

(inquinamento da traffico, benzene), fisici (campi elettromagnetici ELF), biologici (collegati<br />

sia a possibili agenti infettivi per ora non identificati sia a risposte anomale a comuni agenti<br />

infettivi). Per quanto riguarda i neuroblastomi sembra invece che l'incremento sia artefattuale,<br />

conseguente a diagnosi ecografica di masse ad evoluzione benigna. Per i tumori del SNC le<br />

ipotesi sono molto limitare ed è possibile che siano presenti sia un aumento reale, da cause<br />

non note, sia un effetto conseguente al miglioramento degli strumenti diagnostici.<br />

Pubblicazioni e presentazioni della ricerca Relazione preliminare alla "XXIX Reunion du<br />

Groupe pour l'Epidemiologie et l'Enregistrement du Cancer dans le Pays de Langue Latine<br />

(GRELL)", Montpellier, France, 19-21 maggio 2004. Relazione con i risultati definitivi<br />

accettata per presentazione alla IX riunione dell'Associazione Italiana dei Registri Tumori.<br />

Sono stati sottoposti per pubblicazione un articolo scientifico di valutazione sistematica del<br />

trend per le diverse neoplasie ed uno sull'applicazione di metodi baiesiani per la valutazione<br />

dei trends di incidenza.<br />

306


Fabio Malavasi Filone tematico C1<br />

Anticorpi monoclonali murini e ricombinanti per la diagnosi e la terapia<br />

in vivo di lesioni neoplastiche<br />

Università degli studi di Torino<br />

Dipartimento di Genetica, Biologia e Biochimica<br />

METODI E RISULTATI<br />

Il progetto è mirato al disegno di nuovi farmaci costituiti da anticorpi monoclonali (AcMo)<br />

specifici per lesioni tumorali. Il modello adottato è stato il tumore della prostata, la principale<br />

patologia tumorale del sesso maschile. Lo studio si è articolato come segue:<br />

• produzione di un pannello di AcMo specifici per molecole espresse da tumori prostatici<br />

umani,<br />

• analisi della reattività dei reagenti prodotti su un pannello di linee tumorali e su tessuti<br />

ottenuti da campioni chirurgici,<br />

• caratterizzazione della molecola riconosciuta dai reagenti di interesse,<br />

• disegno di un modello pre-clinico.<br />

Produzione e selezione degli anticorpi di interesse. Topi Balb/c femmine sono stati<br />

immunizzati con cellule umane di tumore prostatico ottenute da campioni chirurgici ed<br />

espanse in vitro in colture a breve termine. Dopo tre inoculi intra-peritoneo di cellule<br />

tumorali, quattro giorni prima della fusione gli animali sono stati inoculati per via endovenosa<br />

con cellule della linea di carcinoma prostatico LNCap, caratterizzata dalla espressione in<br />

membrana dell’antigene prostatico PSMA. Prima della fusione è stato analizzato il titolo<br />

anticorpale specifico sviluppato da ciascun animale ed è stato scelto il topo con la miglior<br />

risposta. I linfociti ottenuti dalla milza sono stati fusi con cellule di mieloma murino NS-1. I<br />

surnatanti delle colture ottenute dopo selezione metabolica, sono stati analizzati per reattività<br />

su un pannello di linee di carcinoma prostatico comprendente LNCaP, DU145 (esprimenti<br />

PSMA) e PC-3 (PSMA-negativa) e su cellule derivate da campioni di tumore prostatico<br />

mantenute in coltura a breve termine. La specificità degli anticorpi è stata confermata<br />

mediante analisi della reattività su sezioni di tessuto prostatico proveniente da lesioni benigne<br />

e maligne. Gli AcMo con le caratteristiche di interesse, sono stati cimentati su linee tumorali<br />

non prostatiche, quali MDA-MB-231 (carcinoma della mammella) e MG63 (linea di<br />

osteoblasti immaturi) e su linfociti ottenuti da sangue periferico, in condizioni quiescenti e in<br />

seguito ad attivazione. Le colture con reattività limitata alle cellule di interesse sono state<br />

clonate per diluizione limite ed espanse. Gli anticorpi sono stati purificati per cromatografia<br />

su colonne di proteina A e idrossilapatite e valutati per assenza di pirogeni.<br />

Analisi della reattività dei reagenti prodotti su un pannello di linee tumorali e su tessuti<br />

ottenuti da campioni chirurgici. La reattività degli anticorpi è stata valutata mediante<br />

immunofluorescenza indiretta e successiva analisi citofluorimetrica su cellule in sospensione.<br />

L’analisi dei reagenti prodotti ha consentito di identificare un gruppo di anticorpi reattivi su<br />

linee di tumore prostatico e su campioni freschi, tra questi uno (CB-PSMA) è risultato<br />

specifico per tumori prostatici esprimenti l’antigene PSMA e privo di reattività con altri tipi di<br />

tumore o cellule normali. In base a tali caratteristiche, CB-PSMA è stato scelto come<br />

candidato per la caratterizzazione del bersaglio molecolare e per eventuali futuri impieghi<br />

clinici.<br />

307


Caratterizzazione della molecola riconosciuta da CB-PSMA. La molecola riconosciuta da<br />

CB-PSMA è una glicoproteina della membrana cellulare di circa 100 kDa sia in condizioni<br />

riducenti che non riducenti; tuttavia l’analisi elettroforetica ha evidenziato una molecola di<br />

circa 200 kDa apprezzabile solo in condizioni non riducenti che rappresenta un dimero della<br />

molecola. L’epitopo di legame di CB-PSMA è localizzato sulla porzione extracellulare della<br />

molecola. L’analisi della distribuzione dell’antigene riconosciuto da CB-PSMA è stata estesa<br />

a tessuti provenienti da campioni chirurgici di lesioni benigne e maligne della prostata e a<br />

tessuti di controllo. L’analisi immunoistochimica su campioni fissati ed inclusi in paraffina ha<br />

confermato che CB-PSMA riconosce una molecola selettivamente espressa da lesioni benigne<br />

e maligne della prostata correlando in termini quantitativi con il grado di trasformazione<br />

neoplastica.<br />

Disegno di un modello pre-clinico. Le caratteristiche di distribuzione della molecola PSMA<br />

suggeriscono che essa possa costituire un bersaglio per l’immunoterapia: a tal fine è stato<br />

disegnato un modello in vivo per l’analisi della biodistribuzione dell’anticorpo CB-PSMA. Il<br />

modello scelto è costituito da topi SCID nei quali sono state trapiantate cellule LN-CaP.<br />

Quattro settimane dopo l’inoculo ed in presenza di una massa tumorale palpabile (» 0,8 cm),<br />

gli animali sono stati inoculati con l’anticorpo CB-PSMA purificato e radiomarcato con 131I.<br />

A intervalli prestabiliti (6, 48, 96 e 168 ore), la localizzazione della radioattività è stata<br />

monitorata mediante immunoscintigrafia condotta con una gammacamera.<br />

I risultati ottenuti h<strong>anno</strong> dimostrato che 6 ore dopo l’inoculo, 131I-CB-PSMA presenta<br />

localizzazione diffusa con accumulo a livello della vescica. Dopo 48 ore la localizzazione<br />

diffusa scompare ed è apprezzabile un iniziale accumulo della radioattività sulla lesione<br />

neoplastica. A 96 ore la radioattività veicolata da CB-PSMA è selettivamente confinata alla<br />

lesione neoplastica e la radioattività libera è captata dalla tiroide. La radioattività è stata<br />

eliminata 168 ore dopo l’inoculo. Tali dati dimostrano che CB-PSMA ha buona<br />

biodistribuzione ed emivita in vivo, e suggeriscono che esso possa costituire la base di<br />

partenza per lo sviluppo di anticorpi umanizzati da impiegare come veicoli di radioisotopi,<br />

farmaci o tossine per impieghi clinici.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

1. A.L. Horenstein, F. Crivellin, A. Funaro, M. Said, F. Malavasi Design and scale-up of<br />

downstream processing of monoclonal antibodies for cancer therapy: from research to<br />

clinical proof of principle. Journal of Immunological Methods 275: 99-112, <strong>2003</strong> 2)<br />

2. A. Funaro, E. Ortolan, B. Ferranti, L. Gargiulo, R. Notaro, L. Luzzatto and F. Malavasi<br />

CD157 an important mediator of neutrophil adhesion and migration. Blood 102: 4269-<br />

4278, 2004<br />

3. A.L. Horenstein, I. Durelli and F. Malavasi Purification of clinical-grade monoclonal<br />

antibodies by chromatographic methods. In: Therapeutic Proteins: methods and protocols.<br />

C. M. Smales and D. C. James Eds. 308: 191-208, 2005<br />

4. S. Deaglio, T. Vaisitti, L. Bergui, L. Bonello, A. L. Horenstein, L. Tamagnone, L.<br />

Boumsell and F. Malavasi CD38 and CD100 lead a network of surface receptors relaying<br />

positive signals for B-CLL growth and survival. Blood 105 (8): 3042-50, 2005<br />

308


Paola Manzini Filone tematico A1<br />

Il donatore di sangue anti-HBc: rischio di trasmissione dell’epatite B con<br />

la donazione.<br />

ASO S. Giovanni Battista<br />

Struttura Complessa Banca del Sangue e del Plasma<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Da molti anni è noto che è possibile trovare virus dell’epatite B circolanti nel sangue anche<br />

molti anni dopo la guarigione da un’epatite acuta HBV correlata. Per questo motivo vengono<br />

esclusi dalle donazioni soggetti che riferiscano di aver avuto un’epatite virale in passato.<br />

Tuttavia circa l’80% delle epatiti da HBV decorrono in modo completamente asintomatico ed<br />

è quindi quasi sempre occasionale l’identificazione dei soggetti che nel passato sono stati<br />

infettati dal virus HBV (anti-HBc+). I marcatori di un pregresso contatto non vengono in<br />

Italia indagati ed i donatori anti-HBc+ donano attualmente regolarmente. Negli ultimi anni<br />

sono andati accumulandosi dati sulla presenza di virus circolante in differenti percentuali di<br />

soggetti HBsAg-/anti-HBc+.<br />

OBIETTIVO<br />

Il nostro studio si proponeva di valutare:<br />

1. la reale prevalenza di donatori anti-HBc+ tra i nostri nuovi donatori di sangue.<br />

2. La prevalenza di soggetti viremici per HBV nel gruppo di donatori anti-HBc+.<br />

3. Proporre un nuovo screening sulle unità di sangue donate che riduca il rischio di<br />

trasmissione dell’epatite B con la trasfusione.<br />

METODI<br />

8 centri trasfusionali della nostra <strong>Regione</strong> sono stati invitati a partecipare allo studio e di<br />

questi 7 h<strong>anno</strong> accettato. In questi centri a partire dal 10/3/2004 e fino al 31/10/2005 tutti i<br />

nuovi donatori di sangue sono stati testati per anti-HBc in aggiunta ai normali tests di<br />

screening con metodica MEIA Axsym Core (Abbott). I positivi sono poi stati<br />

successivamente testati anche per anti-HBs con metodica MEIA Axsym AUSAB (Abbott) e<br />

con la ricerca dell’HBV-DNA, mediante una metodica di amplificazione genica effettuata su<br />

singola unità (COBAS Ampliscreen HBV Roche), con sensibilità dichiarata di 10 UI/ml.<br />

RISULTATI<br />

Dal 10/3/2004 al 31/10/2004 sono afferiti ai 7 centri aderenti allo studio complessivamente<br />

6311 nuovi donatori. Essi erano 3677 maschi (58,26%) e 2637 femmine (41,78%), con un’età<br />

media di 34,8 anni 26 di questi (0,41%) erano portatori di infezione da HBV in atto<br />

(HBsAg+). Essi erano 18 maschi e 8 femmine con un’età media di 43 anni, solo due di questi<br />

presentavano un’aumentata citolisi epatocitaria (ALT 3 e 8 volte i valori normali). 6285<br />

donatori (3659 maschi e 2629 femmine) sono risultati HBsAg-. Tuttavia 310 di questi<br />

(4,93%) sono invece stati sospesi, perché risultati anti-HBc+ (cioè venuti in precedenza in<br />

309


contatto con il virus dell’epatite B). Di questi 264 erano positivi alla ricerca dell’anti-HBs<br />

mentre 46 (16,4%) presentavano un anticorpo anti-HBc isolato. Questi 310 donatori avevano<br />

in media 44,1 anni mentre quelli mai venuti a contatto avevano un’età media di 33,9 anni. Il<br />

test in biologia molecolare eseguito su 286 donatori anti-HBc+ che avevano firmato il<br />

consenso al test ha evidenziato in 20 casi (6,99%) la presenza di HBV-DNA. Di questi 19<br />

erano anti-HBc+/anti-HBs+ e solo uno presentava un anticorpo anti-core isolato. Tutti<br />

presentavano normali livelli di transaminasi sieriche.<br />

La prevalenza dell’infezione in atto da HBV tra i soggetti che si presentano per la prima volta<br />

a donare il sangue è attualmente in <strong>Piemonte</strong> dello 0,43%. Prevalenze tra loro analoghe sono<br />

state osservate in tutti i centri meno nel numero 2 che sembrerebbe aver osservato una<br />

prevalenza all’incirca doppia di soggetti infetti (0.61% vs 0,38%). In questo stesso Centro è<br />

stata riscontrata una più elevata prevalenza di soggetti venuti precedentemente in contatto con<br />

il virus dell’epatite B (7,15% vs 3,77 % di soggetti anti-HBc+). Poiché il bacino di utenza dei<br />

due centri maggiori è lo stesso e poiché l’età media dei due gruppi è paragonabile (35 aa vs 34<br />

aa) si può ipotizzare in prima istanza che fattori quali differenti strategie di selezione dei<br />

nuovi donatori abbiano potuto giocare un ruolo nel selezionare una popolazione<br />

maggiormente a rischio per il contatto con il virus HBV. Globalmente, comunque, la<br />

prevalenza di individui venuti a contatto con HBV è attualmente, tra i nuovi donatori della<br />

regione <strong>Piemonte</strong>, del 4,9%. Costoro sono in media più vecchi dei donatori mai venuti a<br />

contatto con il virus (44,1 vs 33,9 anni) a conferma della netta tendenza alla riduzione<br />

dell’epidemiologia dell’infezione da HBV nella nostra popolazione. Tra i soggetti<br />

naturalmente immunizzatisi che attualmente donano presso i nostri centri trasfusionali, il<br />

6,99% è risultato essere viremico. La quantificazione di questi livelli di viremia è ancora in<br />

via di esecuzione così come l’identificazione dei genotipi virali presenti, tuttavia già in queste<br />

circostanze possiamo dire che i donatori anti-HBc+ rappresentano il più grande fattore di<br />

rischio residuo per la trasmissione dell’infezione da HBV con la donazione. E’ pur vero che a<br />

meno di effettuare studi di transfezione su animali è impossibile quantificare quanti tra questi<br />

individui sarebbero potenzialmente infettivi per un ipotetico ricevente, situazione legata anche<br />

a numerosi altri fattori. Infatti sia la situazione immunologica specifica del ricevente<br />

(immunizzazione naturale o da vaccinazione) sia fattori normalmente legati<br />

all’immunocompetenza generica del ricevente oltrechè la viremia giocano un ruolo nella<br />

possibilità di infezione. Sicuramente oggi un numero sempre maggiore di soggetti gravemente<br />

e per lungo tempo immmunocompromessi viene trasfuso nell’ambito di cicli chemioterapici<br />

sempre più aggressivi e sono verosimilmente questi gli individui maggiormente a rischio di<br />

infezione. In questi individui anche viremie molto basse possono infatti rappresentare un<br />

fattore di rischio molto importante.<br />

CONCLUSIONI<br />

La prevalenza di soggetti venuti in passato in contatto con il virus HBV e successivamente<br />

guariti (anti-HBc+) rimane anche tra i nuovi donatori solo leggermente inferiore al 5%.<br />

Poiché una percentuale, che supera quella attesa (6,99% vs 1,6-2%), dei soggetti anti-HBc+ è<br />

risultato viremico e quindi potenzialmente infettivo almeno per pazienti<br />

immunocompromessi, andr<strong>anno</strong> variate le strategie di screening dei donatori di sangue. Una<br />

possibile proposta vede l’introduzione dello screening per anti-HBc su tutti i donatori di<br />

sangue e la ricerca dell’HBV-DNA almeno su quelli risultati anti-HBc+.<br />

310


Chiara Marinacci Filone tematico A3<br />

Epidemiologia della disoccupazione nella provincia di Torino<br />

Asl 5 – Servizio di Epidemiologia<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Effetti sfavorevoli della disoccupazione sulla salute sia fisica, sia mentale sono stati<br />

evidenziati da numerosi studi epidemiologici, anche se appare ancora controverso se ciò sia<br />

attribuibile ad un fenomeno di selezione, dovuto al fatto che i lavoratori in peggiori condizioni<br />

di salute abbiano una maggiore probabilità di cadere nella disoccupazione, o se l’effetto della<br />

disoccupazione sulla salute sia di tipo causale. L’incremento della povertà e dello stress,<br />

l’adozione di comportamenti e stili di vita pericolosi sono i principali meccanismi attraverso i<br />

quali la disoccupazione parrebbe agire sulla salute. La provincia di Torino tra il 2001 e il 2002<br />

presentava un considerevole tasso di disoccupazione (6%), con un totale di disoccupati che<br />

nel <strong>2003</strong> ammontava a quasi 60.000 persone. Una particolare forma di protezione sociale nei<br />

confronti della disoccupazione, di cui godono prevalentemente i lavoratori delle grandi<br />

imprese, è l’istituto della mobilità, che prevede sia facilitazioni per il reimpiego, sia il<br />

percepimento di un’indennità di disoccupazione per un periodo massimo di 3 anni (mobilità<br />

corta), sia, per i lavoratori più anziani, un sostegno economico fino al pensionamento, che può<br />

essere di durata anche superiore (mobilità lunga). Il totale dei lavoratori inscritti alle liste di<br />

mobilità nella provincia nel <strong>2003</strong> era di circa 15.000, in maggioranza di bassa qualifica, dei<br />

quali il 12% residenti a Torino.<br />

OBIETTIVI<br />

Obiettivi di questo studio sono stati di valutare se i disoccupati in mobilità residenti a Torino<br />

presentavano:<br />

a) eventuali differenze nell’incidenza di disturbi mentali e fisici nel periodo antecedente alla<br />

mobilità, rispetto alla popolazione torinese occupata;<br />

b) un incremento nella prevalenza di tali disturbi tra il periodo precedente e quello<br />

successivo all’entrata in mobilità.<br />

MATERIALI E METODI<br />

La ricerca ha analizzato la relazione fra disoccupazione e salute in un campione composto da<br />

1.801 soggetti (50,8% maschi), residenti a Torino, inseriti nelle liste della mobilità corta nel<br />

periodo 2001-<strong>2003</strong>, che coincide con l’inizio della fase più recente della crisi dell’industria<br />

manifatturiera torinese. Gli esiti di salute considerati sono stati la depressione e l’ischemia<br />

coronarica, attribuite ai soggetti in studio per mezzo delle prescrizioni di antidepressivi e<br />

nitroderivati come riportate nell’archivio regionale dei farmaci, e i ricoveri urgenti per<br />

qualunque patologia, estratti dall’archivio regionale delle dimissioni ospedaliere.<br />

Per rispondere all’obiettivo a) è stata confrontata l’incidenza nella coorte della prima<br />

prescrizione di questi farmaci dall’1/1/1997 fino ad un <strong>anno</strong> prima dell’entrata in mobilità,<br />

con quella della popolazione occupata torinese negli anni 1997-1999; anche per i ricoveri il<br />

periodo di confronto è stato lo stesso, tranne che per l’esclusione del 1997, a causa della bassa<br />

qualità dell’archivio corrispondente. L’analisi è stata condotta attraverso un modello di<br />

regressione di Poisson controllato per età e titolo di studio e stratificato per sesso, in cui la<br />

311


popolazione di riferimento era costituita dai soggetti torinesi che al censimento 1991 erano<br />

impiegati con contratto di lavoro subordinato, esclusi i dirigenti.<br />

L’obiettivo b) è stato perseguito per mezzo di un’analisi appaiata, utilizzando il test di<br />

McNemar, in cui per ogni soggetto sono stati confrontati l’occorrenza di ricoveri e l’utilizzo<br />

di antidepressivi e nitroderivati nell’<strong>anno</strong> successivo all’inizio della mobilità, rispetto al<br />

periodo compreso tra 2 anni e 1 <strong>anno</strong> prima della stessa. L’<strong>anno</strong> precedente alla mobilità è<br />

stato escluso dall’analisi, in quanto l’eventuale conoscenza della futura disoccupazione<br />

potrebbe di per sé aver prodotto degli effetti sulla salute nei lavoratori in mobilità (effetto<br />

annuncio).<br />

RISULTATI<br />

Nel periodo precedente la mobilità la popolazione in studio presentava un’incidenza di<br />

ischemia coronarica, accertata per mezzo della prima prescrizione di nitroderivati, inferiore a<br />

quella della popolazione di riferimento, che tra i maschi raggiungeva la significatività<br />

statistica (maschi: RR = 0.20, 95% I.C.: 0.09-0.44; femmine: RR = 0.72, 95% I.C.: 0.38-<br />

1.34). Anche l’incidenza di depressione era inferiore nella coorte rispetto alla popolazione<br />

occupata, soprattutto tra le femmine, per le quali il rischio era significativamente inferiore<br />

(maschi: RR = 0.93, 95% I.C.: 0.66-1.29; femmine: RR = 0.71, 95% I.C.: 0.53-0.96). Il<br />

rischio di ricovero urgente per qualsiasi causa era invece significativamente in difetto tra i<br />

maschi (RR = 0.69, 95% I.C.: 0.55-0.88) e significativamente in eccesso tra le donne (RR =<br />

1.35, 95% I.C.: 1.17-1.57). Il confronto tra il periodo precedente e quello successivo all’inizio<br />

della mobilità non ha mostrato differenze significative né riguardo ai ricoveri urgenti<br />

(p=0.72), né per l’utilizzo di nitroderivati (p=0.79), anche se, per questi ultimi, il numero di<br />

soggetti che li avevano utilizzati era molto piccolo in entrambi i periodi (n. 8 e 6,<br />

rispettivamente). La proporzione di soggetti che avevano assunto antidepressivi era invece<br />

aumentata nel periodo della mobilità rispetto a quello precedente, soprattutto tra le donne, per<br />

le quali la differenza era maggiore e significativa (p=0.006).<br />

CONCLUSIONI<br />

La coorte in studio presentava, nel periodo precedente la mobilità, condizioni di salute<br />

migliori della popolazione occupata, limitatamente agli esiti esaminati, eccetto che per i<br />

ricoveri urgenti tra le donne. Ciò dimostrerebbe, almeno per gli uomini, che le peggiori<br />

condizioni di salute riscontrate tra i disoccupati in altri studi non sarebbero attribuibili<br />

all’espulsione di soggetti malati dal mondo del lavoro. Solo l’uso di antidepressivi è risultato<br />

significativamente aumentato nel periodo successivo all’inizio della mobilità, rispetto a quello<br />

precedente, mentre né i nitroderivati, né i ricoveri acuti h<strong>anno</strong> mostrato cambiamenti<br />

sostanziali tra i 2 periodi. Questi risultati appaiono coerenti con quelli presenti in letteratura,<br />

che dimostrano una solida associazione tra disoccupazione e occorrenza di disturbi mentali,<br />

mentre la relazione con le patologie cardiovascolari appare ancora controversa, dal momento<br />

che gli eccessi osservati tra i disoccupati potrebbero essere attribuibili al confondimento<br />

causato da differenze nei fattori di rischio cardiovascolare tra questi e la popolazione di<br />

riferimento.<br />

312


Luca Marozio Filone tematico C2<br />

Definizione di protocolli specifici per l'assistenza alla gravidanza in<br />

donne extracomunitarie<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Discipline Ginecologiche e Ostretiche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Negli ultimi 10 anni il numero di stranieri presenti in Italia è continuamente aumentato. Stime<br />

della Caritas del 2005 parlano di 3 milioni di immigrati, di cui - secondo i dati ISTAT 2001-<br />

674.195 sono donne. A Torino, in particolare, gli stranieri costituiscono il 2,5% della<br />

popolazione residente. Le donne immigrate sono generalmente più giovani rispetto alle<br />

italiane (in media 31,4 e 43.1 anni rispettivamente), quasi il 70% di esse è in età riproduttiva<br />

(15-49 aa) e più della metà di esse è nubile (con tutti i problemi che questo comporta per la<br />

gravidanza e la crescita del nascituro). La loro provenienza è molto varia, prevalentemente da<br />

paesi ad economia meno avanzata (22,8% Europa centro-orientale, 22,7% Africa, 17,6% Sud<br />

America e 16% Asia).<br />

Studi condotti negli ultimi anni h<strong>anno</strong> riscontrato esiti materno-fetali complessivamente<br />

peggiori nelle gravidanze di donne extracomunitarie rispetto alle donne italiane (maggiore<br />

incidenza di parto pretermine, basso peso alla nascita, asfissia neonatale, natimortalità e<br />

mortalità neonatale precoce). Altre indagini h<strong>anno</strong> inoltre evidenziato una notevole carenza di<br />

informazioni in merito alle opportunità di assistenza sanitaria e supporto psico-sociale fornite<br />

dalle strutture pubbliche alle gravide extracomunitarie, in particolare riguardo l’assistenza alla<br />

gravidanza (visite mediche e corso di preparazione al parto) e la possibilità di diagnosi<br />

prenatale e di contraccezione in puerperio. Inoltre spesso l’assistenza offerta alle gravide<br />

extracomunitarie non è mirata ad affrontare problemi non solo sanitari, ma specificatamente<br />

assistenziali e socio-culturali.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Per questi motivi è stato istituito un ambulatorio/osservatorio dedicato al rilevamento delle<br />

necessità peculiari delle gravide extracomunitarie e finalizzato a soddisfarne le specifiche<br />

esigenze, con l’obiettivo finale di definire un protocollo di comportamenti e modalità di<br />

assistenza per le gravide extracomunitarie, distinti per paese di origine ed etnia, da diffondere<br />

a livello comunale, provinciale e regionale.<br />

Nel corso del primo <strong>anno</strong> di studio 253 pazienti gravide extracomunitarie sono state reclutate<br />

tra le donne afferenti all’Ambulatorio di Ostetricia della Cattedra C del Dipartimento di<br />

Discipline Ginecologiche ed Ostetriche dell’Università di Torino e seguite longitudinalmente<br />

per l’intera durata della gravidanza fino al parto e nelle prime settimane di puerperio, con<br />

afferenza programmata ai servizi di “Ecografia e Diagnosi prenatale” e “Cardiotocografia e<br />

Sorveglianza del Benessere Fetale”. Di queste, l’87% è stato seguito fino a termine di<br />

gravidanza. Le gravide incluse nello studio sono risultate di età compresa tra 18 e 37 anni e<br />

nel 75% erano primigravide. Ad esse sono stati somministrati i seguenti questionari che<br />

indagavano rispettivamente:<br />

A 20 settimane di gravidanza (253 donne) e presso il termine (220 donne):<br />

- lo stile di vita (alimentazione, occupazione, condizioni sociali, …);<br />

313


- la qualità dell'assistenza in gravidanza ed eventuali problemi riscontrati;<br />

- la percezione soggettiva della gravidanza. ·<br />

Dopo il parto (220 donne):<br />

- la percezione soggettiva del parto;<br />

- l'opinione sulla relativa assistenza sanitaria. ·<br />

In puerperio (192 donne):<br />

- il rapporto con l'allattamento;<br />

- - l'uso di strategie anticoncezionali.<br />

Per ogni soggetto sono stati registrati i seguenti dati: anamnesi personale ed ostetrica, epoca<br />

gestazionale all’accesso in Ambulatorio, adesione ai protocolli di assistenza, decorso della<br />

gravidanza, epoca gestazionale e modalità del parto, peso alla nascita, punteggio Apgar,<br />

eventuali complicanze neonatali, modalità e durata dell’allattamento,uso di anticoncezionali<br />

in puerperio. Le gravide incluse nel nostro studio h<strong>anno</strong> presentato la seguente distribuzione<br />

per area di provenienza:<br />

- Est Europa (Romania, Ungheria, Albania) = 40%<br />

- Sud America (Perù, Ecuador) = 23%<br />

- Centro Africa (Senegal, Nigeria) = 20%<br />

- Nord Africa (Marocco, Tunisia) = 13%<br />

- Asia (Cina) = 4%<br />

Il 28% delle donne è afferito per la prima volta all’ambulatorio dopo le 12 settimane di<br />

gestazione, il 6% di esse si è presentata solo alla prima visita e il numero medio di visite da<br />

esse effettuato è stato di 5 (una ogni 8 settimane, in media). L’adesione ai protocolli di<br />

screening ecografico è stata buona, anche grazie alla disponibilità di un servizio di ecografia<br />

collegato con l’ambulatorio e a prenotazione automatica: solo il 15% delle donne non ha<br />

effettuato tutte le ecografie previste, per lo più per assenza temporanea dal Paese. L’adesione<br />

ai protocolli di diagnosi prenatale non è stata molto buona, pari al 95%, a causa di una<br />

notevole difficoltà di comunicazione e di informazione corretta su obiettivi e significati della<br />

diagnostica prenatale. Solo il 24% delle donne ha partecipato ad un corso di preparazione al<br />

parto, che è stato proposto alla totalità delle gravide. I motivi principali per cui le donne non<br />

h<strong>anno</strong> partecipato ai corsi sono stati la mancanza di tempo, la difficoltà organizzativa e le<br />

barriere linguistiche.<br />

Per quanto riguarda l’andamento della gravidanza, abbiamo rilevato una maggiore incidenza<br />

di minacce d’aborto e di parto pretermine e un maggior numero di casi di diabete gestazionale<br />

malcompensato. In merito agli esiti materni e perinatali, abbiamo riscontrato una maggiore<br />

incidenza di parto pretermine, e di basso peso alla nascita. Le proporzioni di parti vaginali<br />

spontanei, indotti e di tagli cesarei sono state sovrapponibili a quelle riscontrate nella<br />

popolazione italiana.<br />

Abbiamo avuto notevoli difficoltà a seguire le donne in puerperio: è infatti stato possibile<br />

intervistare e visitare solo 192 (76%) di esse. Tra queste, abbiamo riscontrato una elevata<br />

frequenza di blocco dell’allattamento (39%), per lo più dovuto a necessità lavorative. In<br />

merito alla contraccezione in puerperio abbiamo riscontrato notevoli difficoltà linguistiche e<br />

di comprensione e la percentuale di coppie che h<strong>anno</strong> utilizzato un metodo contraccettivo è<br />

stata molto bassa, nonostante le informazioni siano state fornite a tutte le puerpere (21%).<br />

In conclusione, per una migliore assistenza alle gravide extracomunitarie, noi è necessaria<br />

l’istituzione di ambulatori dedicati, con disponibilità quotidiana di mediatrici culturali,<br />

possibilità di afferenza facilitata e con prenotazione diretta agli altri servizi forniti alle gravide<br />

(ecografia, esami di laboratorio, consulenze specialistiche, ecc), gestiti da medici esperti in<br />

questo campo, informati sulle possibilità socio-assistenziali del territorio e in contatto con tali<br />

servizi.<br />

314


Aldo Martelli Filone tematico B3<br />

Rischio biologico negli alimenti: studio e applicazione di metodi analitici<br />

biotecnologici<br />

Università del <strong>Piemonte</strong> Orientale “Amedeo Avogadro”<br />

Dipartimento di Scienze Chimiche, Alimentari, Farmaceutiche e Farmacologiche<br />

Le problematiche relative alla Sicurezza Alimentare, recentemente stimolate dalla diffusione<br />

di patologie trasmissibili come la BSE, e di patologie correlate allo sviluppo dei cosiddetti<br />

"patogeni emergenti", rappresentano una priorità nella ricerca pubblica in ambito sanitario ed<br />

alimentare.<br />

PRIMO OBIETTIVO: progettazione e studio di test biotecnologici basati sull'uso di<br />

Acidi Peptido Nucleici (PNA).<br />

Si tratta di analoghi del DNA a scheletro pseudopeptidico di monomeri di 2-N-amminoetilglicina<br />

in sostituzione dello scheletro zucchero-fosfato, legato a basi puriniche e<br />

pirimidiniche. I PNA mimano il comportamento del DNA, si legano più stabilmente a catene<br />

complementari formando duplex (PNA/DNA). La neutralità dei PNA (per assenza di gruppi<br />

fosfato a carica negativa) permette di minimizzare le forze repulsive tipiche delle sonde a<br />

DNA; i PNA risultano quindi sonde più sensibili di quelle a DNA. Finalità del progetto è stata<br />

il design di PNA per il set-up di metodiche per il riconoscimento di carne vaccina (Bos<br />

tauros) negli alimenti complessi e per l'identificazione di patogeni (in particolare Listeria<br />

monocytogenes) in prodotti alimentari a rischio. Innanzitutto si è provveduto ad identificare le<br />

sequenze di B. taurus e L. monocytogenes idonee al design di PNA specie-specifici su<br />

Genbank: ormone della crescita bovino (NCBI accession number M57764 per la specie B.<br />

taurus); sequenza lisA, gene per la listeriolisina, (accession number X15127 per L.<br />

monocytogenes) e sequenza del gene iap, altamente conservata e ideale per l’identificazione<br />

di tutte le specie di Listeria.<br />

E’ stato quindi effettuato uno studio bio-infomatico volto alla ricerca di un frammento di<br />

sequenza specifico per B. taurus, che presentasse le migliori caratteristiche per il design di<br />

primer e soda, verificando l’assenza di reattività crociata con altre sequenze di mammiferi<br />

utilizzati come ingredienti in alimenti complessi. Sono quindi state disegnate 2 coppie di<br />

primer specifici sulle sequenze indicate; il design dei primer è stato finalizzato all’ottenimento<br />

di ampliconi di piccole dimensioni (< 200 bp) per esigenze tecniche (metodo di rilevazione<br />

HPLC del duplex PNA-single strand DNA). Gli ampliconi specifici sono stati quindi<br />

sequenziati e, una volta testata la specificità mediante studi di omologia per allineamento in<br />

banca dati, utilizzati per il design finale del PNA. La sequenza 14 mer specifica selezionata è<br />

stata la seguente: N-CGCATCCCCAGCAT-C. I test preliminari h<strong>anno</strong> confermato la<br />

specificità della sonda PNA sia su oligonucleotidi single-strand sia su ampliconi da PCR. Per<br />

quanto riguarda Listeria spp. si sono individuate 2 coppie di primer specifici, una per L.<br />

monocytogenes e l’altra, aspecifica, per Listeria spp., già descritte in letteratura. Per gli<br />

ampliconi ottenibili da queste coppie di primer sono state sintetizzate sonde fluorescenti a<br />

DNA per studi di pre-gel hybridization, comparandole con la sonda a PNA.<br />

E’ stata quindi selezionata una sequenza specie-specifica (GCTTATCCAAATGTA) utilizzata<br />

per il design di una sonda a DNA e di una sonda a PNA (15 mer), entrambe marcate con<br />

fluoresceina alle estremità 5’ ed N terminale. Per valutare la formazione degli ibridi tra DNA<br />

315


di Listeria e sonda fluorescente (a DNA o PNA), sono stati allestiti protocolli HPLC. Sono<br />

state ottimizzate analisi HPLC a scambio anionico, utilizzando la sonda PNA 15 mer<br />

fluorescente e gli oligonucleotidi sintetici complementari (senso) e non complementare (antisenso)<br />

alla sonda. I risultati ottenuti su Listeria sono stati presentati in forma di poster al 7°<br />

Congresso Italiano di Scienza e Tecnologia degli Alimenti (Cernobbio 19-20 settembre 2005).<br />

SECONDO OBIETTIVO: monitoraggio microbiologico conoscitivo nell’ambito del<br />

territorio regionale su prodotti di origine vegetale per la ricerca di patogeni emergenti.<br />

Questa attività ha riguardato la contaminazione microbiologica di prodotti ortofrutticoli da<br />

consumo crudo ed è stata oggetto di una campagna di analisi svolta in <strong>Piemonte</strong> effettuando<br />

dei prelievi di campioni ortofrutticoli (totale: 16 campioni) in supermercati o mercati rionali,<br />

nel periodo giugno 2004 – settembre 2005, scegliendo prodotti di stagione.<br />

Sono stati analizzati campioni di verdura da consumo crudo, che comprendevano prodotti<br />

freschi del supermercato (indivia riccia, scarola, sedano, verza), prodotti del supermercato di<br />

IV gamma biologici e non (pan di zucchero, insalata mista, carote tagliate in vaschetta,<br />

valeriana) e prodotti freschi acquistati al mercato (valeriana, finocchio, sedano) da produttori<br />

locali. Su tutti i campioni è stata effettuata la ricerca di indicatori di contaminazione (carico<br />

batterico mesofilo, coliformi totali e fecali, C. perfringens, E. coli) ed è stata analizzata la<br />

presenza di Salmonella spp. e Listeria spp. Nessuno dei campioni analizzati è risultato<br />

contaminato da Salmonella spp., mentre uno dei campioni di valeriana fresca prelevati al<br />

mercato è risultato positivo a L. innocua. Gli indicatori di contaminazione non h<strong>anno</strong><br />

evidenziato particolari condizioni di contaminazione, fatto salvo alcuni campioni (valeriana,<br />

scarola, finocchio, sedano), positivi per E. coli. Sui campioni conservati in frigorifero dove<br />

sono state rinvenute le cariche più elevate degli indicatori di contaminazione è stata effettuata<br />

anche la ricerca di Giardia, Cryptosporidium, E. coli O157:H7 e Aeromonas che in nessun<br />

caso è risultata positiva. Sebbene non siano stati riscontrati microrganismi patogeni, la<br />

frequenza di E. coli, anche con conteggi elevati (> di 102/g), in alcuni campioni è indice di<br />

condizione di scarsa igiene del prodotto. Questa situazione può comportare dei rischi di<br />

carattere igienico-sanitario derivanti dal ruolo di indicatore di contaminazione fecale di E.<br />

coli. Bisogna considerare quindi che questi vegetali, se consumati crudi senza una adeguata<br />

pulizia, possono rappresentare una possibile sorgente di infezione oltre che di contaminazione<br />

crociata per gli altri alimenti.<br />

Il naturale sviluppo del presente Progetto di <strong>Ricerca</strong> sarà il proseguimento delle attività di<br />

ricerca (già attivate) in relazione al finanziamento, da parte della <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong>, del<br />

progetto “Sviluppo di tecniche innovative PNA-correlate per la determinazione rapida di<br />

contaminazioni esogene negli alimenti”, in cui si utilizzer<strong>anno</strong> le sonde a PNA specifiche per<br />

Listeria monocytogenes, creando sistemi analitici diagnostici innovativi utilizzabili a tutela<br />

del consumatore.<br />

316


Maria Giovanna Martinotti Filone tematico A1<br />

Contaminazione ambientale da Aspergillus spp. e incidenza di<br />

aspergillosi invasiva in pazienti ematologici<br />

Università del <strong>Piemonte</strong> Orientale “Amedeo Avogadro”<br />

Dipartimento di Scienze Chimiche, Alimentari, Farmaceutiche e Farmacologiche<br />

OBIETTIVO<br />

La valutazione della contaminazione da Aspergillus spp.in ambiente ospedaliero assume una<br />

grande importanza come strumento di controllo e prevenzione. Scopo della presente ricerca è<br />

stato quello di valutare l’incidenza stagionale e la distribuzione ambientale di specie fungine e<br />

in particolare di Aspergillus spp. nell’Unità Operativa di Clinica Medica Generale<br />

dell’Ospedale “Maggiore della Carità” di Novara e di eseguire una analisi epidemiologica<br />

attraverso RAPD-PCR su ceppi di isolamento sia ambientale che clinico.<br />

METODI E RISULTATI<br />

I campionamenti sono stati effettuati in 12 siti interni al reparto costituiti da 4 stanze di<br />

degenza ospitanti pazienti immunodepressi, prive di sistemi di conduzione e filtrazione<br />

dell’aria, dai rispettivi bagni, da 4 punti nel corridoio della corsia posti di fronte l’ingresso<br />

delle stanze ed in 3 postazioni all’esterno dell’edificio. I prelievi d’aria sono stati effettuati in<br />

decuplo tramite SAS Super 180 su terreno per miceti. Per ogni sito è stata valutata la carica<br />

fungina totale e di Aspergillus spp.<br />

I risultati sono stati espressi come CFU/m³. L’analisi epidemiologica è stata condotta su<br />

isolati di A. fumigatus collezionati stagionalmente in tutti i siti utilizzando il metodo RAPD-<br />

PCR. La reazione di amplificazione è stata condotta utilizzando i primers R108 e 2<br />

comunemente utilizzati per la caratterizzazione della specie A. fumigatus. I profili genetici<br />

sono stati confrontati tramite software Gel Compar. Nel biennio 2004-2005 si è osservato che<br />

la concentrazione fungina media ha sempre presentato valori più elevati all’esterno (1113.7<br />

CFU/m³) rispetto ai siti interni (635.8 CFU/m³) dove i valori più elevati sono stati riscontrati<br />

nel periodo estivo (1301.0 CFU/m³) e in quello autunnale (1257.2 CFU/m³). In inverno e in<br />

primavera i valori erano rispettivamente di dieci e sei volte inferiori. Tutte le stanze di<br />

degenza e i bagni h<strong>anno</strong> presentato concentrazioni fungine medie inferiori a quelle rilevate in<br />

corridoio. Stanza, bagno e corridoio 3 sono risultati in media i più contaminati. La<br />

concentrazione media totale di Aspergillus spp. negli ambienti del reparto è stata di 4.88<br />

CFU/m³ e nei siti esterni di 4.08 CFU/m³; valori più elevati sono stati osservati in autunno<br />

(8.04 CFU/m³) e in estate (5.93 CFU/m³) nei siti interni. Concentrazioni medie totali di<br />

Aspergillus spp. pari a 5.84 CFU/m³ sono state rilevate nelle stanze di degenza, a 5.41<br />

CFU/m³ nei bagni ed a 3.40 CFU/m³ in corridoio. La stanza e il bagno 3 h<strong>anno</strong> presentato in<br />

tutte le stagioni quantità medie di conidi superiori a quelle osservate negli altri punti di<br />

prelievo interni ed esterni. Nelle stanze 1, 2, 4 e nei bagni 1 e 4 sono state osservate<br />

concentrazioni medie inferiori a 5 CFU/m³ e nel bagno 2 pari a 5.43 CFU/m³.<br />

Le percentuali di specie di Aspergillus maggiormente rilevate in tutti i siti sono state: A.<br />

fumigatus (interno 54.4% - esterno 47.6%), A. niger (interno 17.3% - esterno 25.6%) e A.<br />

flavus (interno 9.3% - esterno 10.9%). Se confrontate con tutti i siti interni ed esterni, le<br />

concentrazioni medie di A. fumigatus nella stanza 3 (7.80 CFU/m³) e nel bagno 3 (4.90<br />

CFU/m³) sono risultate le più elevate. L’analisi statistica ha messo in evidenza che sia la<br />

317


carica fungina totale che quella di Aspergillus spp. h<strong>anno</strong> un’incidenza stagionale.<br />

Attualmente non esistono norme che stabiliscano quale sia la più alta concentrazione fungina<br />

ammessa in reparti ospedalieri o stanze di degenza con pazienti immunodepressi. In<br />

letteratura, tuttavia, vengono individuati valori medi di soglia di spore di Aspergillus spp.<br />

inferiori a 5 CFU/m³ in stanze di isolamento protettivo non dotate di sistemi di filtrazione<br />

dell’aria.<br />

L’analisi RAPD è stata effettuata sia su isolati ambientali di A. fumigatus che su isolati clinici<br />

ottenuti da pazienti ricoverati presso il Reparto di Pneumologia situato al 1° piano dello stesso<br />

edificio ospitante il Reparto di Clinica Medica generale. Sono stati identificati 93 profili<br />

distinti (ceppi) su 99 isolati fino ad ora saggiati. Di questi, 88 isolati erano di origine<br />

ambientale e derivavano da campionamenti effettuati nel periodo compreso tra gennaio e<br />

agosto 2005 in quattro stanze, nei relativi bagni, nel corridoio ed all’esterno dell’edificio. I<br />

profili RAPD, ottenuti utilizzando il primer R108, h<strong>anno</strong> dimostrato da un minimo di due ad<br />

un massimo di 12 bande distinte e sono risultati, nella maggior parte dei casi, diversi tra loro,<br />

indicando che quasi tutti gli isolati non erano epidemiologicamente correlabili. Tuttavia, in un<br />

campionamento effettuato nel mese di Aprile, è stata riscontrata un’elevata similarità di<br />

profilo, tra un isolato derivato dal bagno della stanza 3 e uno derivato dalla stanza 4. I due<br />

isolati verr<strong>anno</strong> ulteriormente analizzati con i primer 2 e OPZ19 al fine di confermare o<br />

escludere la loro correlazione genetica. Sempre durante lo stesso campionamento, due isolati<br />

derivati dai prelievi effettuati all’esterno dell’edificio mostravano profili identici sia quando<br />

esaminati col primer R108 che col primer 2; tali profili non erano però assimilabili a quelli<br />

riscontrati all’interno del reparto ospedaliero.<br />

Infine, durante il primo campionamento effettuato a luglio sono stati riscontrati due profili<br />

identici derivati da isolati della stanza e del bagno 3 mentre, nel secondo prelievo di luglio<br />

sono stati riscontrati tre profili identici di isolati derivati dalla stanza, dal bagno e dal<br />

corridoio 1. Nei suddetti casi si può presumere una possibile fonte comune di contaminazione<br />

da Aspergillus spp., da confermare con l’utilizzo di altri primers. I quattro isolati di A.<br />

fumigatus di origine clinica sono risultati diversi tra di loro. Uno di questi, però, presentava<br />

un profilo identico a quello di un isolato riscontrato nel corridoio 3 durante un<br />

campionamento a luglio, sia quando caratterizzato col primer R108 che col primer 2. I due<br />

isolati verr<strong>anno</strong> ulteriormente analizzati col primer OPZ19 al fine di confermare o escludere<br />

la loro correlazione genetica. Sono stati inoltre, analizzati un isolato clinico derivato da un<br />

paziente deceduto durante il periodo di indagine e 5 ceppi isolati da una stanza di degenza e<br />

dal relativo bagno, localizzati nello stesso reparto ma non presi in considerazione in questo<br />

studio. In questo caso gli isolati non erano correlabili geneticamente.<br />

CONCLUSIONI<br />

In conclusione, l’analisi tramite RAPD-PCR ha indicato, nella maggior parte dei casi, la<br />

presenza di profili geneticamente distinti, rendendo difficile l’individuazione di sorgenti<br />

comuni. Solo in tre episodi si è osservata una correlazione genetica tra isolati derivati dagli<br />

ambienti del reparto e, in uno, tra isolati clinici e ambientali. Tale possibile correlazione sarò<br />

oggetto di ulteriori approfondimenti mediante l’utilizzo di altri primers.<br />

318


Massimo Massaia Filone tematico A1<br />

Ruolo del sistema immunitario nella prevenzione e controllo<br />

dell'infezione da aspergillo nei pazienti oncoematologici<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina e Oncologia Sperimentale<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

L’aspergillosi invasiva (AI), la principale causa di morte per infezione nei pazienti (pz) onco<br />

ematologici, soprattutto dopo chemioterapia ad alte dosi seguita da autotrapianto con cellule<br />

staminali e dopo procedure allotrapiantologiche (alloBMT), è spesso misconosciuta<br />

nonostante i progressi nella diagnosi precoce e, malgrado i nuovi farmaci antifungini,<br />

l’infezione accertata ha mortalità vicina al 60%. La neutropenia è usualmente considerata il<br />

principale fattore di rischio, ma la crescente incidenza di infezioni tardive in pz allotrapiantati<br />

non neutropenici suggerisce un ruolo determinante di altri difetti immunologici nella<br />

suscettibilità all’AI. Studi recenti dimostrano che sia l’immunità innata sia quella adattiva<br />

sono coinvolte nella resistenza all’infezione da Aspergillo, attribuendo particolare importanza<br />

alle sottopopolazioni linfocitarie critiche nella generazione di una risposta immune efficace,<br />

alla distribuzione delle cellule dendritiche (DC), distinte in 2 tipi principali, mieloidi (DC1) e<br />

plasmacitoidi (DC2) in base a caratteristiche fenotipiche e funzionali, variabile nel decorso<br />

dell’infezione e capace di condizionare il tipo di risposta T helper (Th) che si genera, Th1<br />

immunoprotettiva o Th2 non immunoprotettiva. Oltre alle risposte Th, anche i linfociti T<br />

gamma-delta (Tgd), effettori dell’immunità innata, presenti in minima percentuale nel sangue<br />

periferico, e in particolare il subset V-g9d2, possono contribuire a generare un’immunità<br />

protettiva nei confronti dell’AI.<br />

OBIETTIVO<br />

Obiettivo dello studio era valutare se i parametri immunologici sopra riportati identificassero i<br />

pz a più alto rischio d’AI, quindi con necessità di stretto monitoraggio clinico-laboratoristico<br />

ed eventualmente di profilassi. Inoltre, riteniamo che la conoscenza di fattori immunologici<br />

importanti per la prevenzione e il controllo delle infezioni fungine invasive sia una premessa<br />

fondamentale per lo sviluppo di strategie d’immunoterapia antifungina.<br />

RISULTATI METODOLOGICI<br />

1. Creazione di una banca di dati clinici e di campioni di 20 pz ad alto rischio di AI, trattati<br />

con chemioterapia che causa fasi di aplasia superiori a 6 giorni. Le cellule mononucleate<br />

del sangue periferico (PBMC) e il plasma sono prelevati alla diagnosi, pretrattamento, a<br />

ripresa ematologica, a infezione da Aspergillo sospetta o documentata, inoltre per<br />

alloBMT ai giorni 0, +28, +56 e a 3, 6, 12 mesi. I controlli sono donatori sani (4), 1<br />

paziente non affetto da malattie oncoematologiche con diagnosi d’AI, donatori di cellule<br />

staminali periferiche per alloBMT (9), raccolte aferetiche reinfuse ai pz alloBMT (7). Il<br />

PBMC è criopreservato vitalmente in azoto liquido, se possibile, per la scarsità di<br />

materiale e di vitalità cellulare dopo trattamenti chemioterapici.<br />

2. Collaborazione con altri centri italiani (Roma, Montefiascone) per invio di campioni e<br />

referti.<br />

319


3. Validazione e standardizzazione dell’identificazione e quantificazione citofluorimetrica<br />

dei subsets cellulari coinvolti nella resistenza all’Aspergillo su PBMC di controlli e<br />

validazione su campioni da pz, di più complessa processazione e valutazione, con tecniche<br />

d’immunofluorescenza diretta a 3 o 4 colori: DC1 e DC2 (cellule lin-/CD11c+/ILT3+ e<br />

lin-/CD11c-/ILT3+, rispettivamente); linfociti T regolatori (CD4+ CD25high CD45R0+, il<br />

subset a maggiore attività soppressoria); Tgd (naïve e memory); monociti CD16+ (espansi<br />

in corso di sepsi. Validazione e standardizzazione di metodi per l’analisi quantitativa del<br />

profilo di secrezione citochinica, mediante biglie marcate, sistema solido di cattura delle<br />

CK, e anticorpo biotinilato CK-specifico, che permettono l’analisi e la quantificazione<br />

simultanea di 10 CK di un unico campione. Messa a punto del protocollo standard di<br />

espansione dei Tgd con specifiche concentrazioni di zoledronato (Zol) ± IL-2 a basse dosi<br />

e valutazione dell’espansione mediante confronto del numero assoluto dei Tgd basale e al<br />

giorno 7.<br />

4. Messa a punto di test di citotossicità in vitro con metodi non radioattivi: il numero<br />

assoluto dei target marcati con CFSE (linee cellulari, plasmacellule tumorali) uccisi dalle<br />

cellule effettrici è calcolato dopo colorazione con propidio ioduro e analisi al<br />

citofluorimetro a 24 ore, sulla base della % di cellule CFSE+ e propidio+ e della conta<br />

cellulare totale.<br />

RISULTATI SCIENTIFICI<br />

1. Determinazione dei subset cellulari coinvolti nella risposta antifungina sui controlli, con<br />

risultati concordi con la letteratura. I pz alloBMT (7 campioni) non presentano differenze<br />

rilevanti; nei pz con graft verus host disease si osserva riduzione percentuale dei monociti<br />

CD16+ (23% vs 33%) e di DC1 (0,02% vs 0,08%), verosimilmente causata dalla pesante<br />

terapia immunosoppressiva<br />

2. Dimostrazione dopo stimolazione con Zol,dell’attività anti-tumorale in vitro dei Tgd di<br />

MM indipendente dalla capacità di proliferare dopo stimolazione con Zol e basato<br />

sull’attivazione dei Tgd tramite presentazione di Zol da parte dei monociti e sulla<br />

sensibilizzazione delle cellule di MM all’azione citotossica. I Tgd sono prevalentemente<br />

memory (CD27+) nei pz con MM responders (i cui Tgd proliferano se trattati con Zol),<br />

mentre sono prevalentemente effettori (CD27-) nei pz non-responders. I risultati sono<br />

pubblicati su rivista peer-reviewed (Mariani et al Leukemia 2005 19, 664-670).<br />

3. Determinazione del numero di Tgd in pz con MM trattati con Zol (8), alla diagnosi (6), o<br />

dopo chemioterapia (13) Non sono evidenti associazioni tra responsività a ZOL e quantità<br />

di Tgd con il numero di infusioni ev di ZOL effettuate dai pz, nè con la chemioterapia;<br />

l’analisi dei subsets naïve e memory evidenzia però la riduzione di quest’ultimo nei pz<br />

pluritrattati (8±4% vs 28±14%; p 0.03) · Determinazione delle concentrazioni plasmatiche<br />

di IFNg, IL-10 e IL-12 in pz prima del alloBMT e a 2 mesi dalla procedura Nel<br />

pretrapianto i pz non differiscono dai soggetti sani, nè dai donatori consanguinei; il<br />

rapporto IFNg/IL-10, indicativo del bilancio Th1/Th2, misurato a 2 mesi dal trapianto<br />

(1,28) è inferiore a quello pretrapianto (1,74; p 0.04) e ai controlli (1,85; p 0.02). La più<br />

significativa alterazione (IFNg/IL-10 = 0,9) si è osservata in un pz in corso d’AI. Le<br />

differenze di concentrazione plasmatica d’IL-12 non sono significative.<br />

Dato il numero di casi e di campioni atti all’analisi, e il breve follow-up dei pz, non è stato<br />

possibile ottenere la significatività statistica di tutti i risultati descritti, eccetto quella sopra<br />

riportata o pubblicata. L’identificazione di gruppi di pz con diverso assetto del sistema<br />

immunitario e di fattori immunologici di rischio infettivo, indicata da questi dati preliminari,<br />

potr<strong>anno</strong> comunque essere raggiunte con l’estensione dello studio nel tempo e a nuovi casi,<br />

per la messa a punto di strategie diagnostiche e terapeutiche preventive.<br />

320


Marco Massobrio Filone tematico C1<br />

Kallikreina Umana 6 (hK6): un nuovo biomarker sierico per screening e<br />

prognosi del cancro ovario<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Discipline Ginecologiche e Ostretiche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La diffusione del carcinoma epiteliale dell'ovaio, la sua prognosi infausta oltre agli oggettivi<br />

limiti delle attuali metodiche di "screening" (esame pelvico, ecografia transvaginale e<br />

marcatori tumorali sierici) h<strong>anno</strong> reso indispensabile la ricerca e l'impiego di nuove<br />

metodiche fornite di maggiore sensibilità e specificità, poco costose e ben tollerate dalle<br />

pazienti al fine di identificare un numero maggiore di donne con malattia allo stadio iniziale.<br />

Il marcatore tumorale ovarico più ampiamente impiegato è il CA-125 la cui valutazione<br />

seriale è essenziale per controllare la risposta alla terapia ed è stato anche proposto come<br />

metodica di screening. In realtà i livelli di CA-125 non sono elevati in 20-30% delle pazienti<br />

con malattia in stadio avanzato. Sia la sensibilità che la specificità di questo marcatore sono<br />

insufficienti per farne una metodica di screening per gli stadi precoci. Nuovi potenziali<br />

marcatori sierici del carcinoma ovarico sono i membri della superfamiglia delle kallikreine<br />

umane: i livelli tissutali e sierici dei prodotti di molti di questi geni sono significativamente<br />

alterati in alcune patologie neoplastiche. La scoperta di nuovi marker biologici per una<br />

diagnosi precoce porterebbe ad un miglioramento nella prognosi e nel trattamento delle<br />

pazienti con neoplasia ovarica.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Abbiamo in questo studio misurato la concentrazione della hK6 nel siero di 97 donne<br />

apparentemente sane, di 141 donne con patologia ovarica benigna e di 146 donne affette da<br />

carcinoma ovarico primitivo. Si è successivamente calcolata la sensibilità e specificità del test<br />

e si è esaminata l’associazione tra la concentrazione sierica di hK6 con diverse variabili<br />

clinico patologiche e con la sopravvivenza delle pazienti. Risultati: non sono state notate<br />

differenze statisticamente significative nella concentrazione sierica di hK6 tra le pazienti sane<br />

e quelle affette da patologia benigna. Al contrario si è riscontrato un aumento statisticamente<br />

significativo della concentrazione sierica pre-operatoria di hK6 delle pazienti affette da<br />

carcinoma ovarico (media = 6.8 micro g /L; P< 0.001). La concentrazione sierica di hK6<br />

mostrava una diminuzione post-chirurgica nel 68% delle pazienti. La sensibilità della<br />

concentrazione sierica dell’hK6 nella malattia al I-II stadio è del 21-26%. Quando si combina<br />

al dosaggio dell’hK6 quello del Ca125 la sensibilità si attesta al 72% nella popolazione<br />

generale e al 42% nelle pazienti con carcinoma ovarico al I-II stadio; la specificità del test che<br />

combina i due marker è del 90%. La concentrazione sierica di hK6 correla moderatamente<br />

con la concentrazione di Ca125 ed è più alta nelle pazienti con malattia agli stadi avanzati, di<br />

alto grado e di istotipo sieroso. La concentrazione sierica preoperatoria di hK6 si è dimostrato<br />

un importante fattore predittivo per quanto riguarda la sopravvivenza globale e l’intervallo<br />

libero da malattia sia all’analisi univariata che alla multivariata.<br />

CONCLUSIONI<br />

La concentrazione sierica di hK6 parrebbe essere un nuovo biomarker del carcinoma ovarico<br />

e potrebbe acquistare valore nella diagnosi e nella prognosi della malattia<br />

321


Lina Matera Filone tematico C1<br />

Preparazione a scopo terapeutico di vaccino cellulare semiallogenico<br />

contro carcinoma prostatico<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina Interna<br />

OBIETTIVI<br />

Il progetto è stato sviluppato secondo due linee di indagine.<br />

1. La prima riguardava la cross-presentazione di antigeni tumorali derivati da una linea<br />

di carcinoma prostatico. La fonte di antigene è stata fornita da RNA totale della linea di<br />

carcinoma prostatico LNCaP.<br />

METODI<br />

Il metodo utilizzato era la trasfezione di RNA totale di LNCaP in cellule dendritiche<br />

immature (iDC) che sfrutta le capacità di fagocitosi e macropinocitosi della cellula in questo<br />

stadio di differenziazione. La tecnica scelta consente di complessare l’RNA con un enhancer<br />

ed un reagente lipidico (TransMessenger Reagent, Quiagen) permettendo la successiva<br />

formazione di micelle che vengono catturate dalla iDC. La quota di mRNA dell’RNA totale<br />

così inglobato viene tradotto a livello citoplasmatico. Le proteine ottenute sono processate e<br />

presentate in membrana dalla iDC. Il fenotipo delle iDC è stato valutato al citofluorimetro<br />

attraverso l’analisi dell’espressione di marcatori di membrana: CD14, MHCI, CD80, CD40.<br />

L’efficienza della trasfezione è stata valutata attraverso l’espressione dell’RNA o della<br />

proteina dell’antigene di membrana associato al carcinoma prostatico (PSMA) ed espresso<br />

dalle LNCaP. La valutazione è stata effettuata attraverso RT-PCR e citofluorimetria con mAb<br />

specifici (Y-PSMA-1 della Anogen; 3C6 della Northwest Bioterapeutics). La trasfezione è<br />

stata messa a punto su iDC e su cellule di due linee di carcinoma mammario e di colon<br />

rispettivamente (SKBR3 ed HT29), entrambe negative per l’espressione di PSMA.<br />

RISULTATI<br />

La linea LNCaP è risultata esprimente sia mRNA-PSMA sia la proteina. Sono stati condotti<br />

esperimenti per la valutazione della quantità di RNA totale e del numero di cellule da<br />

trasfettare per la standardizzazione della tecnica di trasfezione, essenziale per il suo<br />

successivo utilizzo nella evocazione di una risposta CTL specifica. Si è stabilito di utilizzare 2<br />

ug di RNA totale (rapporto di purezza tra 1,8 e 2) per 80000-100000 cellule.<br />

CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI<br />

I risultati h<strong>anno</strong> permesso di stabilite le condizioni ideali per la trascrizione. Si andrà ora a<br />

vedere se questa è seguita da presentazione di epitopi riconosciuti dai CTL.<br />

2. La seconda linea di indagine riguardava la presentazione diretta di epitopi<br />

dell'antigene PSMA da parte di DC.<br />

METODI<br />

Sono scelti due epitopi di PSMA con restrizione per HLA-A2. Uno di questi (ALFDIESKV) è<br />

stato già sperimentato in protocolli attuati da altri centri ed è stato introdotto da noi in un<br />

vaccino disegnato di recente e in corso di sperimentazione. L'altro (VLAGGFFLL) è stato<br />

scelto perchè efficacemente riconosciuto in vitro dai linfociti antitumorali citotossici (CTL)<br />

322


(Celis et al. Cancer Res 2002). CTL specifici erano generati esponendo le DC-peptide o le DC<br />

di controllo a linfociti per tre cicli consecutivi. Bersagli dei CTL erano: i) le stesse DC<br />

caricate con i peptidi, ii) la linea T2 deficiente della molecola di processazione dell’antigene<br />

TAP che può legare peptidi esogeni e iii) la linea LNCaP che esprime PSMA. L’attività CTL<br />

è stata valutata come rilascio di citochine Th1 (ELISPOT IFN-g) e la capacità citotossica<br />

verso detti bersagli in un test del rilascio del 51Cr, in presenza della linea K562 come<br />

bersaglio freddo bloccante l’attività NK. L’affinità dei peptidi per MHC I HLA-A2 è stata<br />

studiata sulla base della capacità di influire sul turn-over della molecola MHC I.<br />

RISULTATI<br />

Si è osservato un rilascio superiore di IFN-g nei linfociti stimolati con DC-peptidi rispetto ai<br />

linfociti stimolati con le DC di controllo. I linfociti presentavano un rilascio più alto verso la<br />

linea T2 caricata con i peptidi rispetto alla linea T2 di controllo. I microarray funzionali di<br />

citotossicità su piastre h<strong>anno</strong> dimostrato una più alta frequenza di pozzetti positivi nelle<br />

colture stimolate con DC-peptide. E’ stata considerata solo l’attività citotossica verso il<br />

bersaglio T2. Le DC presentavano infatti un rilascio spontaneo di 51Cr troppo alto. Si è notata<br />

una significativa attività litica verso T2-peptide nelle colture stimolate con DC-peptide. La<br />

specificità delle risposte CTL è stata valutata verso due bersagli entrambi HLA-A2+ ma<br />

esprimenti (LNCaP) o non (Jurkat) PSMA. Si è notato un forte aumento di risposta verso<br />

LNCaP sia nella coltura stimolata con DC-peptidi sia nella coltura non stimolata. Una risposta<br />

trascurabile è stata notata verso le Jurkat. Il trattamento con l’anticorpo anti-MHC-I inibiva<br />

fortemente le risposte verso LNCaP generate in entrambe le colture, dimostrando che risposta<br />

mediata dai CTL è quindi diretta contro epitopi diversi da VLAGGFFLL e ALFDIESKV,<br />

condivisi da DC e LNCaP, ma assenti su Jurkat. L’aumento di attività verso le Jurkat trattate<br />

con anticorpo anti-MHC-I può essere secondario ad attività NK. I linfociti NK potrebbero<br />

lisare Jurkat a causa del mascheramento delle molecole MHC-I riconosciute da KIR (Killer<br />

Inhibitory Receptor) inibitorie o via citotossicità cellulare dipendente dall’anticorpo. Il<br />

trattamento con il mAb W6/32 induceva una inibizione selettiva del rilascio di IFN-γ nei<br />

linfociti stimolati con DC-peptidi cimentati con T2-peptidi..La presenza di linfociti NK è stata<br />

invece confermata attraverso l’inibizione del rilascio di 51Cr in presenza del bersaglio NK<br />

K562, usato freddo in un test di competizione. La capacità dei peptidi di legare HLA-A2 è<br />

stata studiata direttamente con un peptide fluoresceinato (VLAGGFFLL) e indirettamente,<br />

attraverso la stabilizzazione della molecola, conseguente all’inserimento del peptide nel<br />

groove. L’aggiunta concomitante dei due peptidi diminuisce il turnover stabilizzando la<br />

molecola MHC I. L’effetto ottimale è ottenuto dopo incubazione overnight a 37°C in presenza<br />

di siero. L’analisi individuale dei due peptidi ha però dimostrato che l’effettivo positivo è<br />

attribuibile a solo uno dei due peptidi (ALFDIESKV), essendo il peptide VLAGGFFLL<br />

inibitente. L’aggiunta concomitante di β2-microglobulina rafforza l’effetto stabilizzante dei<br />

peptidi.<br />

CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI<br />

I risultati dello studio h<strong>anno</strong> dimostrato che un giudizio esatto dell’efficienza di un vaccino a<br />

DC caricate con peptidi richiede un’accurata analisi dei parametri di affinità di questi ultimi<br />

per la molecola MHC I. Inoltre, è stata identificata una importante componente di attività NK<br />

nelle colture generate in presenza dei peptidi di PSMA. I risultati sar<strong>anno</strong> utilizzati<br />

nell’implementazione di futuri protocolli di terapia vaccinica antitumorale.<br />

323


Giuseppe Matullo Filone tematico C1<br />

Polimorfismi ed espressione dei geni della riparazione del dna in<br />

relazione alla prognosi e alla chemiosensibilita’<br />

Institute for Scientific Interchange Foundation<br />

SCOPO DELLA RICERCA<br />

Lo scopo di questo studio è di analizzare, su pazienti con diversi tipi di tumore trattati con<br />

cisplatino e seguiti nel tempo, l’andamento della malattia in risposta al trattamento<br />

chemioterapico ed in relazione ai polimorfismi e all’espressione dei geni della riparazione del<br />

DNA. Gli obiettivi principali sono legati alla possibilità di identificare dei marcatori<br />

prognostici di risposta alla chemioterapia, permettendo di identificare possibilmente dei<br />

sottogruppi di pazienti che potrebbero meglio beneficiare del trattamento specifico con<br />

derivati del Pt.<br />

RACCOLTA CAMPIONI<br />

Sono stati reclutati finora 14 pazienti con tumore al polmone, 14 con tumore testa-collo e 50<br />

pazienti con tumore della vescica, sottoposti a trattamento chemioterapico secondo una<br />

schedula contenente un derivato del platino, eventualmente associato ad altri chemioterapici<br />

(gemcitabina o 5-fluorouracile) o a radioterapia. Inoltre sono stati raccolti anche 50 individui<br />

di controllo ospedalizzati per malattie non neoplastiche.<br />

ANALISI DEI POLIMORFISMI NEI GENI DEL RIPARO DEL DNA<br />

Sono stati analizzati i seguenti 11 polimorfismi nei pazienti con tumore del polmone e testacollo:<br />

ERCC2-Asp312Asn, ERCC2-Lys751Gln, PCNA-6084-3’UTR, XRCC1-Arg194Trp,<br />

XRCC1-Arg399Gln, XRCC3-17893-IVS6, XRCC3-Thr241Met, APEX-Asp148glu, ERCC1-<br />

Asn118Asn, MGMT-127215, XPC-PAT.<br />

TUMORE DEL POLMONE. Polimorfismo di APEX e risposta alla terapia. L’unico<br />

polimorfismo che ha dato un risultato significativo (P=0.032) rispetto alla risposta alla terapia<br />

è stato APEX 1738 G/T. APEX è un gene fondamentale coinvolto nel riparo del Base<br />

Excision Repair. Sembrerebbe che il genotipo GG possa avere una prognosi migliore rispetto<br />

ai genotipi GT+TT. Ciò potrebbe indicare che il BER svolga un ruolo più importante di quello<br />

che si pensa anche nel riparo dei danni da cisplatino. Secondo la nostra ipotesi di partenza che<br />

una risposta peggiore alla terapia possa essere dovuta anche ad un aumento di<br />

espressione/funzione di un gene coinvolto nella riparazione dei danni da cisplatino, il<br />

genotipo GG potrebbe invece riflettere una diminuita espressione o funzionalità del gene<br />

APEX, ma sono necessari ulteriori studi per confermare questi dati.<br />

Polimorfismo di PCNA e grado del tumore. Una differenza borderline è stata evidenziata<br />

confrontando la prevalenza del polimorfismo PCNA-6084 C/G nei tre gruppi di grading<br />

(P=0.051). Sembrerebbe che il genotipo GG sia associato ad un grading maggiore, mentre gli<br />

individui eterozigoti CG sembrerebbero correlare maggiormente con un grading minore. In<br />

questa casistica limitata non è presente nessun individuo omozigote CC. La sigla PCNA<br />

bisogna ricordare che significa “proliferatine cell nuclear antigen” perché questa proteina è<br />

stata sempre utilizzata come marcatore di proliferazione cellulare. E’ una proteina<br />

indispensabile per il funzionamento di diverse polimerasi, tra cui quelle legate alla<br />

324


eplicazione e proliferazione cellulare, oltre che alle polimerasi coinvolte nella riparazione del<br />

DNA. Il fatto di trovare il genotipo GG associato al grading maggiore, potrebbe essere<br />

verosimilmente legato al fatto che lo stesso genotipo potrebbe conferire un aumento di<br />

espressione dello stesso gene PCNA o aumentarne la funzionalità. Nell’ambito della<br />

continuazione di questo studio è prevista l’analisi di espressione anche del gene PCNA che<br />

potrebbe aiutare a capire se può esistere tale correlazione.<br />

Polimorfismo di XPC-PAT e stadio del tumore. Anche se il polimorfismo XPC-PAT<br />

sembrerebbe essere associato allo stadio del tumore (P=0.012), purtroppo i numeri sono<br />

troppo bassi per avere un’indicazione sufficiente di cosa succede nelle categorie di stadio<br />

rispetto ai genotipi. Aumentando in futuro la casistica, potremmo effettuare lo stesso calcolo<br />

vedendo se i risultati sono in linea quelli ottenuti sull’associazione di XPC-PAT DD ed<br />

aumento di espressione di ERCC1, quindi prognosi peggiore, e probabilmente anche stadio<br />

peggiore.<br />

TUMORE TESTA-COLLO. Non è stato ancora possibile correlare i genotipi con la risposta<br />

alla terapia poiché si st<strong>anno</strong> raccogliendo ancora i dati di follow-up relativi a questa casistica<br />

prospettica.<br />

ANALISI DELL’ESPRESSIONE DEI GENI DEL RIPARO DEL DNA<br />

L’analisi di espressione è partita dallo studio del gene ERCC1 sul quale sono stati riportati i<br />

risultati più interessanti in letteratura in relazione alla risposta alla terapia a base di cisplatino<br />

nel tumore del polmone. Sia per la genotipizzazione che per l'analisi di espressione è stato<br />

utilizzato il saggio 5' nucleasico (TaqMan), su uno strumento ABI-7000 (Applera) mediante<br />

l’utilizzo di sonde MGB.<br />

TUMORE DEL POLMONE. L’analisi di espressione eseguita su questi pochi casi non ha<br />

evidenziato una differenza significativamente diversa di espressione di ERCC1 né in relazione<br />

alla risposta alla terapia né rispetto a una casistica di 14 controlli sani. E’ stata inoltre<br />

evidenziata una differenza di espressione significativamente maggiore di ERCC1 nel genotipo<br />

XPC-PAT del/del rispetto agli altri due genotipi. XPC è uno dei geni principali coinvolti nel<br />

riconoscimento dei danni riparati dal Nucleotide Excision Repair, il quale è a sua volta<br />

coinvolto anche nel riparo dei cross-links prodotti dal trattamento con cisplatino. Il<br />

polimorfismo XPC-PAT è costituito da una delezione/inserzione di una sequenza ripetuta<br />

(poly-AT) ed è stato visto associare in letteratura con un maggior rischio di tumore squamoso<br />

testa-collo, ma finora non era stata ancora indagata una possibile correlazione con<br />

l’espressione del gene ERCC1. Nel nostro studio la forma doppio deleta (D/D) sembra essere<br />

correlata con un aumento di espressione statisticamente significativo rispetto ai genotipi (I/D<br />

+ II) che teoricamente potrebbe essere legata ad una risposta peggiore alla terapia. Purtroppo<br />

in questo studio molto preliminare non abbiamo evidenziato una differenza significativa tra<br />

aumento di espressione di ERCC1 e risposta alla terapia ma ciò potrebbe essere dovuto al<br />

numero molto limitato di campioni analizzati.<br />

TUMORE TESTA-COLLO. Come per i genotipi, non è stato ancora possibile correlare<br />

l’espressione di ERCC1 con la risposta alla terapia poiché si st<strong>anno</strong> raccogliendo ancora i dati<br />

di follow-up, mentre è stata evidenziata un’espressione significativamente maggiore di<br />

ERCC1 nei linfociti prelevati prima del trattamento chemioterapico rispetto a 14 individui di<br />

controllo sani (P=0.009).<br />

Nell’ambito di questo studio sono stati quindi ottenuti dei risultati e una validazione<br />

necessaria per impostare studi collaborativi multicentrici in modo da ottenere un numero di<br />

pazienti sufficiente per testare le ipotesi sopra descritte.<br />

325


Margherita Meda Filone tematico A4<br />

Naturale è sempre salutare? Curarsi da soli con le piante officinali è una<br />

soluzione o un problema in più?<br />

Asl 1<br />

Dipartimento di Prevenzione S.S. - Epidemiologia Educazione <strong>Sanitaria</strong> Responsabile<br />

Considerando che sotto il generico termine di “medicina naturale” è di uso comune<br />

racchiudere molte pratiche, che v<strong>anno</strong> dalla omeopatia alla pranoterapia, si è scelto di<br />

indagare questo settore che si presenta agli utenti in modo confuso e confusivo. Si è stabilito<br />

di iniziare l’indagine a partire dalla fitoterapia poiché sono sempre più numerose le persone<br />

che scelgono di curarsi con le piante medicinali e, malgrado non vi sia molta informazione<br />

scientifica su di esse, questi farmaci sono molto pubblicizzati. Si ritiene, inoltre, che il<br />

passaparola che contraddistingue l’uso di questi farmaci, cosiddetti naturali, possa in realtà<br />

rappresentare un rischio per i pazienti che li assumono in tutta tranquillità.<br />

Attraverso la realizzazione di questo progetto si intende informare i consumatori sulle<br />

caratteristiche principali dei farmaci maggiormente consumati; diffondere la conoscenza delle<br />

possibili reazioni avverse; suggerire il comportamento corretto nell’assunzione dei fitofarmaci<br />

generando consapevolezza nel consumo. Lo svolgimento del progetto “Naturale e’ sempre<br />

salutare?<br />

“Curarsi da soli con le piante officinali è una soluzione o un problema in più?” ha seguito il<br />

seguente disegno:<br />

1^ FASE<br />

Come prima fase di lavoro si è presa visione del panorama offerto da Internet in quanto luogo<br />

ove più facilmente e rapidamente i consumatori possono trovare notizie sulle piante officinali.<br />

Si è proceduto alla realizzazione di una bibliografia dalle risorse elettroniche rilevata<br />

attraverso Google, il motore di ricerca maggiormente utilizzato dagli utenti. A termine della<br />

prima fase di lavoro, attraverso le informazioni e i dati rilevati dalle risorse informatiche e<br />

dalla consultazione di alcuni testi, è stata strutturata una raccolta di schede tecniche suddivisa<br />

per tipologia di piante officinali dalla A alla Z.<br />

2^ FASE<br />

Sono stati predisposti i contenuti per la realizzazione di pagine Web da inserire nel sito<br />

dell’ASL 1 e per la eventuale futura realizzazione di materiale di informazione cartaceo.<br />

3^ FASE<br />

L’analisi dei bisogni è riconosciuta come momento fondamentale per la realizzazione di<br />

interventi efficaci e, come è noto, è possibile compiere un’analisi utilizzando diversi strumenti<br />

la cui scelta è anche influenzata dal budget disponibile. Si è stabilito di iniziare l’indagine<br />

presso alcuni punti vendita di piante officinali, farmacie – erboristerie – supermercati, ed è<br />

stato costruito un questionario strutturato per realizzare l’indagine.<br />

326


Adalberto Merighi Filone tematico A6<br />

Correlazione fra condizioni di stabulazione e sviluppo postnatale del<br />

sitema nervoso centrale in animali da esperimento<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Morfofisiologia Veterinaria<br />

OBIETTIVI<br />

Il progetto aveva come scopo primario la valutazione degli effetti dell’arricchimento<br />

ambientale sullo sviluppo post-natale dell’encefalo in animali da esperimento, allo scopo di:<br />

1. fornire basi scientifiche e razionali per poter giustificare la realizzazione di stabilimenti di<br />

stabulazione in cui gli animali vivano in condizioni ottimali;<br />

2. verificare l’esistenza di una correlazione fra arricchimento ambientale e miglioramento di<br />

alcuni parametri di tipo istologico relativi alla proliferazione e morte neuronale.<br />

Secondariamente ci si proponeva di sviluppare metodiche alternative allo studio in vivo che<br />

consentissero di ridurre al minimo il numero di animali sperimentali.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Gli esperimenti del primo <strong>anno</strong> della ricerca sono stati eseguiti presso uno stabilimento<br />

utilizzatore di tipo tradizionale, quelli effettuati durante il secondo <strong>anno</strong> sono stati condotti<br />

presso lo stabilimento utilizzatore del Dipartimento di Morfofisiologia Veterinaria<br />

dell’università di Torino in cui gli animali sono stabulati in condizioni di arricchimento<br />

ambientale (spazi più ampi di quelli minimi prescritti dalla normativa vigente, aggiunta di<br />

ruote girevoli, gallerie, labirinto, materiale per costruzione di nidi, somministrazione di<br />

alimenti particolarmente appetitosi). In una prima fase si è messo a punto un sistema<br />

coltivazione in vitro di fettine di cervelletto post-natale. La procedura utilizzata comporta la<br />

soppressione eutanasica dell’animale, l’immediata rimozione del cervelletto che viene<br />

sezionato a circa 400 µ e quindi coltivato in condizioni statiche su inserti in plastica. Questi<br />

ultimi sono costruiti in maniera tale per cui la fettina poggia con la faccia inferiore su una<br />

biomembrana, mentre la faccia superiore è libera. I nutrienti contenuti nel medium di coltura<br />

vengono quindi a contatto con il tessuto dal basso, attraverso la membrana, mentre l’ossigeno<br />

necessario al normale metabolismo cellulare permea la faccia superiore della fettina. Il<br />

medium di coltura utilizzato è costituito da: medium di Eagle, soluzione salina bilanciata di<br />

Hanks, siero normale di vitello, glutamina e antibiotici. Il pH è mantenuto in atmosfera di<br />

CO2. Con tale sistema è risultato possibile ottenere un numero variabile dalle 6 alle 15 fettine<br />

per ogni cervelletto. Studi istologici e elettrofisiologici h<strong>anno</strong> dimostrato che le colture<br />

mantengono la normale architettura cerebellare e le proprietà elettrofisiologiche dei neuroni.<br />

Poiché ciascuna fettina può essere sottoposta a trattamenti sperimentali differenti risulta<br />

evidente come il numero di animali necessario alla sperimentazione possa essere<br />

notevolmente ridotto. In questo modello è stato studiato l’effetto dell’arricchimento<br />

ambientale sulla sopravvivenza delle colture. E’ stato possibile osservare come le colture<br />

ottenute da animali precedentemente mantenuti in ambiente arricchito attecchissero meglio e<br />

presentassero un’architettura della corteccia cerebellare meglio preservata. Si è quindi<br />

proceduto alla valutazione degli effetti dell’arricchimento ambientale sull’efficienza delle<br />

tecniche di trasferimento genico nelle colture organotipiche allestite come precedentemente<br />

descritto. Le tecniche di trasferimento genico comportano l’introduzione di uno o più geni<br />

327


esogeni all’interno delle cellule. In tale modo risulta possibile valutare, ad esempio, il ruolo<br />

funzionale di una proteina aumentandone o diminuendone i livelli di espressione. Il<br />

trasferimento genico in cellule postmitotiche, quali sono i neuroni differenziati, è<br />

particolarmente problematico; ulteriormente complesso è il trasferimento genico in fettine di<br />

tessuto rispetto alle cellule isolate. Per studiare il ruolo funzionale, nello sviluppo postnatale<br />

dei neuroni della proteina BCL-2, uno dei fattori antiapoptotici meglio caratterizzati nelle<br />

cellule di mammifero, sono stati eseguiti esperimenti di trasferimento genico utilizzando un<br />

plasmide (transfezione) che codifica per una proteina di fusione costituita da BCL-2 e da una<br />

molecola fluorescente (Enhanced Yellow Fluorescent Protein – EYFP). Per procedere alla<br />

transfezione è stata utilizzata una procedura di trasferimento genico mediata da particelle, che<br />

comporta l’introduzione del DNA esogeno (plasmide) all’interno della cellula dopo<br />

adsorbimento su microparticelle d’oro colloidale. Queste ultime presentano una massa<br />

sufficiente ad attraversare la membrana cellulare dopo essere state accelerate tramite un getto<br />

di elio ad alta pressione. L’analisi quantitativa dei risultati della transfezione in colture<br />

ottenute da animali sottoposti ad arricchimento ambientale e da animali di controllo ha<br />

dimostrato che la densità di cellule transfettate (numero di cellule che esprimono la proteina<br />

di fusione/area) è superiore nelle colture dopo arricchimento ambientale.<br />

RISULTATI<br />

I risultati indicano chiaramente che il mantenimento degli animali in condizioni di<br />

arricchimento ambientale consente un’ottimizzazione dei risultati delle indagini sperimentali,<br />

molto probabilmente a seguito della riduzione/scomparsa delle condizioni di stress<br />

individuale e sociale cui gli animali sono comunque sottoposti all’interno degli ambienti di<br />

stabulazione. Indagini tuttora in corso sono volte a stabile gli effetti della sovraespressione<br />

della proteina BCL-2 sulla sopravvivenza neuronale nelle colture organotipiche mantenute in<br />

condizioni di depolarizzazione (KCl 25 mM). Tutti questi esperimenti vengono ormai<br />

routinariamente effettuati a partire da animali mantenuti in condizioni di arricchimento<br />

ambientale. In conclusione gli esperimenti effettuati nell’ambito di questo progetto<br />

dimostrano la possibilità di ridurre il numero di animali sperimentali tramite l’impiego di<br />

tecniche ex vivo (colture organotipiche) che, a differenza delle colture di cellule isolate,<br />

consentono di analizzare popolazioni cellulari miste, le quali mantengono, almeno in parte,<br />

inalterati i rapporti spaziali e le connessioni funzionali reciproche. Essi dimostrano inoltre una<br />

correlazione positiva fra miglioramento delle condizioni di stabulazione e la percentuale di<br />

successo degli esperimenti.<br />

PUBBLICAZIONI (solo articoli ISI)<br />

LOSSI L., CANTILE C., TAMAGNO I., MERIGHI A. (2005). Apoptosis in the mammalian<br />

CNS: Lessons from animal models. VET.J. 170, 52-66<br />

LOSSI L., GAMBINO G., MIOLETTI S., MERIGHI A. (2004). In vivo analysis reveals<br />

different apoptotic pathways in pre- and postmigratory cerebellar granule cells of rabbit.<br />

J.NEUROBIOL. 60, 437-452<br />

LOSSI L., TAMAGNO I., MERIGHI A. (2004). Molecular morphology of neuronal<br />

apoptosis: analysis of caspase 3 activation during postnatal development of mouse cerebellar<br />

cortex. J.MOL.HISTOL. 35, 621-629.<br />

Prodotti della ricerca ·<br />

- Tecniche di coltivazione su biomembrane di tessuto nervoso postnatale ·<br />

- Tecniche di transfezione di neuroni postmitotici<br />

328


Giuseppe Migliaretti Filone tematico D3<br />

Asma e inquinamento nella popolazione pediatrica: riduzione dei ricoveri<br />

legata ad una diminuzione dell’esposizione<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia<br />

OBIETTIVO<br />

Obiettivo dello studio era analizzare la relazione tra inquinamento urbano e ricoveri<br />

ospedalieri per asma nella popolazione pediatrica torinese, mediante un disegno Caso-<br />

Controllo, proponendo una stima dell’aumento del rischio di asma determinato dall’aumento<br />

dei livelli di inquinamento.<br />

METODI E RISULTATI<br />

La base dati dello studio, tratta dall’archivio regionale delle schede di dimissione ospedaliera<br />

(SDO), è costituita dai 26.583 ricoveri di pazienti residenti a Torino con età inferiore a 15<br />

anni avvenuti nel periodo 1997-1999. Sulla base della diagnosi principale (ICD IX), sono stati<br />

definiti come Casi i 1.060 ricoveri per Asma (ICD-IX 493) e come Controlli i 25.523 ricoveri<br />

di pazienti con diagnosi diverse da malattie dell’apparato respiratorio (ICD-IX 460-487, 490-<br />

492, 494-496 e 500-519) e cardiache (ICD-IX 390-405 e 410-429). Lo studio si concentra sui<br />

pazienti in età pediatrica in quanto alcune malattie dell’apparato respiratorio, come l’asma,<br />

presenta sindromi di diversa natura tra i bambini rispetto agli adulti o agli anziani. Le<br />

informazioni riguardanti i livelli di inquinamento derivano dalle rilevazioni delle 10 centraline<br />

dislocate sull’area cittadina e gestite dall’ARPA, settore Qualità dell’Aria.<br />

Nello studio sono stati considerati come principali indicatori dell’inquinamento da traffico<br />

urbano il Biossido di azoto (NO2) e le Polveri sospese totali (PTS). Come confermato dalla<br />

letteratura, la media calcolata sulla base del valore rilevato nel giorno del ricovero e nei 3<br />

giorni precedenti, è stato considerato come il miglior indicatore del livello di esposizione<br />

attribuibile a ciascun soggetto in studio. Nello studio sono stati considerati come fattori di<br />

confondimento la stagionalità, classificando il mese di ricovero come Estate (Aprile-<br />

Sttembre) o Inverno (Ottobre-Marzo), la temperatura (oC), l’umidità (media giornaliera), la<br />

irraggiamento solare (numero di ore/giorno), giorno della settimana in cui è avvenuto il<br />

ricovero (1: Lunedì – 7: Domenica) e festività (1: Lavorativo – 2: Festivo), sesso (1: Maschi –<br />

2: Femmine) ed età del paziente. Il rischio di ricovero per asma, aggiustato per i fattori di<br />

confondimento considerati, è stato stimato mediante modelli di Regressione Logistica, ed<br />

espresso in termini di incremento percentuale del rischio all’aumento di 10microg/m3 e<br />

relativo Intervallo di Confidenza al 95%.<br />

I Risultati mettono in evidenza un incremento medio di ricoveri per asma del 2.8% (IC95%:<br />

0.07-4.09%) e del 1.8% (IC95%: 0.03-3.02%) determinati da un aumento di g/m3<br />

dell’esposizione a NO2 e TSP rispettivamente. Le analisi condotte separatamente per i<br />

pazienti di età


dell’inquinamento urbano sulla salute e proponendo inoltre una stima dell’aumento del rischio<br />

di ricovero determinato dall’aumento dei livelli di inquinamento urbano.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

Elenco delle pubblicazioni e presentazioni a Congressi relative alla presente ricerca<br />

Migliaretti G., Cavallo F. Urban air pollution and asthma in children. Pediatr Pulmonol. 2004<br />

Sep;38(3):198-203.<br />

Migliaretti G., Cavallo F. Riduzione del rischio di Asma e inquinamento nella popolazione<br />

pediatrica torinese. Siti, Genova 20-23 ottobre 2004<br />

Migliaretti G., Cavallo F. Asma e inquinamento da traffico nella popolazione pediatrica<br />

torinese. AIE, Torino 15-18 settembre 2004 4 Migliaretti G., Cavallo F. Traffic air pollution<br />

and hospital admission for asthma: a case-control approach in population of Turin (Italy). [In<br />

press on International Archives of Environmental and Occupational Health]<br />

330


Roberto Miniero Filone tematico A4<br />

Obesità infantile in <strong>Piemonte</strong>: informatizzazione e percorsi diagnosticoterapeutici<br />

comuni nelle strutture ospedaliere<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche<br />

E’ attivata in <strong>Piemonte</strong> una task-force dei pediatri universitari ed ospedalieri (Gruppo<br />

<strong>Piemonte</strong>se per lo Studio dell’Obesità Infantile –GPSOI) che operano nel settore, al fine di<br />

avere un percorso comune per la prevenzione ed il trattamento dell’ Obesità Infantile e si è<br />

quindi costituita una RETE REGIONALE che coinvolge tutte le pediatrie universitarie ed<br />

ospedaliere del <strong>Piemonte</strong> per creare una base operativa su cui impostare programmi di studio<br />

ed assistenziali comuni. I dati di questo studio confermano una capacità di arruolamento tra i<br />

1000 e 1500 nuovi pazienti /<strong>anno</strong>. Abbiamo creato un modello di intervento diagnosticoterapeutico<br />

per il bambino e l’adolescente affetto da obesità medio-grave, condiviso da tutte le<br />

strutture ed applicato quindi in modo omogeneo in tutta la <strong>Regione</strong>. Abbiamo quindi<br />

identificato dei parametri clinico-laboratoristici di primo livello, cui sottoporre tutti i pazienti<br />

elegibili allo studio, identificare dei criteri comuni di monitoraggio e follow-up, nonché criteri<br />

comuni di intervento terapeutico. Abbiamo identificato le indagini di secondo livello cui<br />

sottoporre solo i casi selezionati in base ai parametri di gravità dell’obesità, e identificare per<br />

questa categoria di pazienti modalità di approccio diagnostico e terapeutici specifiche.<br />

Abbiamo, infine, creato una cartella clinica comune cartacea per usufruire di uno strumento<br />

clinico condiviso per la raccolta dei dati ed abbiamo sviluppato la cartella informatizzata<br />

mediante Access XP modulare disponibile per tutti i centri aderenti al progetto ma disponibile<br />

per qualunque altro fosse interessato ad utilizzarla.<br />

331


Francesco Monaco Filone tematico C2<br />

Strumento di valutazione informatizzato delle prestazioni riabilitative<br />

neuromotorie e muscoloscheletriche<br />

Silenziosi Operai della Croce C.F.P.<br />

Con questa relazione si riassumono i risultati ottenuti dall’implementazione di un software<br />

che ha permesso di informatizzare il processo di documentazione delle terapie praticate<br />

durante tutta la durata della degenza del paziente all’interno della Casa di Cura “Mons. L.<br />

Novarese”.<br />

Da un punto di vista tecnico, il suddetto programma è stato realizzato in ambiente Access e<br />

collegato ai già esistenti programmi (“Accettazione”) con la possibilità di creare dei data base<br />

“user friendly” utili ad un coinvolgimento in network di tutti gli operatori dell’equipe<br />

riabilitativa. Tale programma, infatti, risulta in grado di estrapolare le generalità dei ricoverati<br />

aggiornate dall’Accettazione ricoveri e di creare per ciascun degente una cartella<br />

personalizzata funzionante come memoria e documentazione storica dei dati. La cartella<br />

presenta immediatamente l’accesso al “Diario Fisiatrico” con la possibilità di documentare<br />

anamnesi, diagnosi, valutazione fisiatrica, progetto riabilitativo e scala Barthel. Già in questa<br />

fase si attivano i corrispondenti settori di riabilitazione interessati al caso in questione.<br />

Pertanto, attraverso un sistema di password d’accesso, i terapisti della riabilitazione<br />

(fisioterapisti e logopedisti) possono accedere alla loro area di interesse: “Diario<br />

Fisioterapico” e “Intervento Logopedico”.<br />

L’area fisioterapica prevede un elenco aggiornato di tecniche riabilitative alle quali<br />

corrispondono i tempi fissati dalle delibere regionali. Attraverso l’automatismo del<br />

programma, il terapista che seleziona le terapie svolte, andrà ad alimentare la compilazione<br />

del “Diario Fisioterapico” che conterrà pertanto la data giornaliera, il tipo di terapia effettuata,<br />

la durata della stessa e il terapista responsabile. Questo metodo permette in primo luogo di<br />

poter accedere a tutte le aree per avere con efficienza e attendibilità le informazioni necessarie<br />

sul percorso riabilitativo in atto, aggiornato costantemente dagli operatori. In secondo luogo<br />

permette di snellire le procedure di comunicazione evitando l’utilizzo di moduli cartacei<br />

circolanti per tutta la durata di degenza dell’ospite. Il programma sostituirà la versione<br />

cartacea che comunque, in qualsiasi momento, potrà essere disponibile attraverso la stampa<br />

dei dati inseriti. Durante i primi mesi di progettazione e utilizzo del software, si sono create<br />

alcune esigenze che h<strong>anno</strong> portato ad un’evitabile modifica di alcuni moduli del programma.<br />

Per motivi di priorità all’accesso dei dati, si venivano a creare dei conflitti tra l’operatore del<br />

database dell’Accettazione ricoveri e gli operatori dei Diari Terapici (Medici Fisiatri,<br />

Fisioterapisti e in futuro Logopedisti). Per risolvere questo problema si è ritenuto necessario<br />

sostituire il collegamento costante esistente tra Diari Terapici e database dell’accettazione con<br />

un collegamento limitato al tempo necessario per l’importazione dei dati dei pazienti. Il<br />

momento dell’aggiornamento viene stabilito dall’operatore. Inoltre, per motivi logistici si è<br />

ritenuto opportuno separare i singoli Diari contenuti nel database Diari Terapici generando i<br />

seguenti database: Diari Fisiatrici (Medici); Diari Terapici (Fisioterapisti); Diari Logopedico<br />

(Logopedisti). I vantaggi emersi dall’applicazione di tecnologie informatiche per aumentare la<br />

sicurezza e l’attendibilità dei dati, sono costituiti dalla prevenzione di eventi avversi e dalla<br />

fornitura di feed-back rapidi; si pongono in essere le c.d. “forcing functions” (azioni che<br />

forzano il sistema) importanti per arginare fenomeni di distrazione dovuti a stress o carichi<br />

eccessivi di lavoro. Questi sistemi forzano e guidano l’operatore ad eseguire le attività con<br />

modalità prestabilite e non d<strong>anno</strong> la possibilità di saltare passaggi chiave, evidenziando<br />

all’occorrenza possibili errori e situazioni di rischio.<br />

332


Pertanto possiamo così riassumere i vantaggi ottenuti:<br />

• valutazione adeguata del carico di lavoro e assegnazione degli obiettivi specifici;<br />

• raccolta di informazioni dettagliate riguardo alle risorse umane impiegate (es singoli<br />

fisioterapisti operanti);<br />

• miglioramento dei livelli di utilizzo delle attrezzature medico-sanitarie, tramite il report<br />

della tipologia e dei tempi di utilizzo, e degli ausili dati in dotazione;<br />

• immediatezza del monitoraggio delle prestazioni riabilitative residenziale tramite la<br />

disponibilità di dati quali il tempo riabilitativo dedicato al singolo degente, il terapista di<br />

riferimento per singole attività di recupero, il tempo di utilizzo delle attrezzature e degli<br />

ausili.<br />

Parallelamente ai Diari Terapici, si sono inoltre sviluppati alcuni moduli integrativi:<br />

1. il database “Intervento Logopedico”;<br />

2. il database Diari Infermieristici per la raccolta di dati relativi alla normale attività<br />

infermieristica quotidiana (esami obiettivi, esami richiesti, terapie, consulenze, avvisi, rx<br />

ecc…). I dati anamnestici e diagnostici sono consultabili sullo stesso programma grazie al<br />

collegamento in rete locale al database Diari Fisiatrici;<br />

3. un collegamento fra il database di Manutenzione delle apparecchiature e i Diari<br />

Fisioterapici ed Infermieristici per poter sfruttare il dato relativo al tempo di utilizzo delle<br />

attrezzature;<br />

4. controllo della Gestione Ausili durante il periodo di ricovero con indicazione della<br />

tipologia di ausilio attribuita e della data del prestito.<br />

Il Programma Diari Fisiatrici si presenta a schede Scheda Anamnesi e Diagnosi del singolo<br />

paziente che i Medici v<strong>anno</strong> a compilare all’ingresso del paziente. Scheda Barthel Index<br />

modificata (con l’aggiunta delle tre voci finali riguardanti la Comprensione, l’Espressione e la<br />

Deglutizione) che verrà compilata all’ingresso, durante la degenza facendo riferimento alla<br />

previsione di miglioramento o stabilità, e alla dimissione del paziente. Scheda Programma<br />

Riabilitativo, ancora contenuta nel Programma Diari Fisiatrici viene utilizzata per stabilire il<br />

programma riabilitativo che viene condiviso e seguito dall’equipe riabilitativa dei<br />

Fisioterapisti e dei Logopedisti.<br />

Il Programma Diari Fisioterapici viene utilizzato esclusivamente dai Fisioterapisti. I record da<br />

compilare sono relativi alla data, ora, tipo di terapia, tempo di durata della terapia e terapista<br />

responsabile. L’automatismo permette di avere un feed-back immediato sulla durata totale<br />

della prestazione giornaliera dedicata al paziente.<br />

333


Guido Monga Filone tematico A2<br />

Il ruolo dei polyomavirus umani e di SV40 nella insorgenza e nello<br />

sviluppo dei tumori del sistema nervoso centrale<br />

Università “A. Avogadro” del <strong>Piemonte</strong> Orientale<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

OBIETTIVO<br />

L’obiettivo del presente progetto di ricerca è stato quello di valutare presenza, genotipo e<br />

possibile ruolo etiopatogenetico dei polyomavirus umani JCV e BKV e di SV40 nelle<br />

neoplasie cerebrali e meningee.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Lo studio ha coinvolto le Divisioni di Neurochirurgia (per valutazione clinica, intervento<br />

chirurgico e follow-up dei pazienti arruolati nello studio), di Anatomia Patologica (per<br />

definizione istologica della patologia, raccolta e processazione dei tessuti e dei campioni<br />

biologici, estrazione di DNA) dell’Azienda Ospedaliera Maggiore della Carità di Novara, il<br />

Laboratorio di Virologia dell’IRCCS Don Gnocchi di Milano (indagini molecolari quali<br />

amplificazione genomica per ricerca di DNA virale, genotipizzazione, amplificazione di RNA<br />

messaggero virale) il laboratorio di Neurovirologia della Temple University di Philadelphia<br />

(analisi di sequenza, interpretazione risultati). Nel corso dello studio sono stati valutati 32<br />

pazienti con neoplasia cerebrale primitiva (24 maschi, 8 femmine, età media 56 anni<br />

compresa tra 31 e 78 anni) e 8 con meningioma (8 femmine, età media 70 anni, compresa tra<br />

57 e 83 anni), tutti sottoposti a resezione chirurgica a scopo diagnostico e/o terapeutico,<br />

presso la Divisione di Neurochirurgia dell’Ospedale Maggiore della Carità di Novara.<br />

In tutti i casi sono stati esaminati campioni tissutali neoplastici (min 4, max 8), sia dal punto<br />

di vista istologico, sia da quello molecolare, secondo il seguente schema:<br />

• fissazione in formalina e processazione secondo metodi routine per la diagnostica<br />

istopatologica;<br />

• congelamento rapido di un frammento per indagini molecolari;<br />

• conservazione in liquido RNA later per indagini su RNA messaggero virale<br />

E’ stato inoltre tecnicamente possibile prelevare campioni di liquido cefalo-rachidiano (in<br />

corso di intervento chirurgico, prelevato da una cisterna cerebrale), in 25 pazienti con<br />

neoplasia cerebrale. Sono stati inoltre prelevati 33 campioni di sangue periferico da soggetti<br />

con neoplasia cerebrale e meningioma, così processati: -<br />

• estrazione di DNA;<br />

• amplificazione di DNA virale;<br />

• genotipizzazione.<br />

Le regioni genomiche virali studiate sono state:<br />

• <strong>Regione</strong> codificante l’antigene tumore associato (LT)<br />

• <strong>Regione</strong> codificante per agnoproteina (Agno)<br />

334


• <strong>Regione</strong> regolatoria non trascrizionale (TCR)<br />

• <strong>Regione</strong> codificante proteine capsidiche (VP1).<br />

RISULTATI<br />

Sulla base di criteri istologici WHO sono stati diagnosticati 21 glioblastomi (WHO grado IV),<br />

5 astrocitomi (WHO grado II), 2 ependimomi (WHO grado II), 2 oligodendrogliomi<br />

anaplastici (WHO grado III), 1 gangliocitoma (WHO grado I), 1 pineoblastoma (WHO grado<br />

IV) e 8 meningiomi.<br />

Per quanto riguarda le indagini molecolari, DNA di polyomavirus (regione LT) è stato<br />

evidenziato nel 50% dei campioni tessutali, nel 12% dei campioni di liquor e nel 3% dei<br />

campioni di sangue. Per la suddivisione della positività di LT rispetto all’istotipo tumorale e<br />

la frequenza rispettiva di JCV, BKV, si guardi la TABELLA1<br />

TABELLA 1.<br />

Isotipo<br />

Tessuto<br />

tumorale<br />

JCV LT BKV LT<br />

335<br />

Liquor<br />

Sangue<br />

periferico<br />

Tessuto<br />

tumorale<br />

Astrocitoma 1/5 (20%) 1/5 (20%) 0/4 1/5 (20%)<br />

Ependimoma 0/2 0/2 0/2 0/2<br />

Gangliocitoma 0/1 0/1 0/1 0/1<br />

Glioblastoma 11/21 (52.4%) 2/11 (18.2%) 1/17 (5.9%) 2/21 (9.5%)<br />

Oligodendroglioma 1/2 (50%) 0/1 0/1 0/2<br />

Pifleoblastoma 0/l / / 0/1<br />

Meningioma 3/8 (40%) 0/5 1/8 3/8 (37.5%)<br />

Totale 16/40 (400/0)<br />

3/25 (12%)<br />

1/33 (3%) 6/40 (15%)<br />

Tutti i campioni risultati positivi all’amplificazione di LT (sia di JCV sia di BKV) sono stati<br />

sottoposti ad amplificazione per VP1, TCR, Agno e mRNA di LT, per valutare<br />

rispettivamente genotipo virale, riarrangiamenti a potenziale significato oncogeno ed<br />

espressione di proteina tumore-associata (LT). I risultati sono espressi in TABELLA 2.<br />

I dati ottenuti nello studio evidenziano una elevata frequenza di identificazione di genoma<br />

virale di PV nelle neoplasie cerebrali umane; tra le neoplasie cerebrali testate, genoma virale è<br />

stato identificato più frequentemente nei glioblastomi, e il genotipo prevalente è risultato JCV<br />

(sottotipi 1A e 1B); raramente si sono identificate sequenze genomiche di BKV mentre DNA<br />

di SV40 non è mai stato identificato. L’analisi di sequenza della regione TCR di JCV ha<br />

evidenziato riarrangiamenti significativi, identificando il ceppo virale Mad 4, che studi su<br />

animali di laboratorio h<strong>anno</strong> sicuramente indicato come oncogeno.<br />

Di particolare rilievo è stata inoltre la valutazione della espressione di mRNA codificante la<br />

proteina virale tumore associata (LT), risultata positiva in 5 di 8 glioblastomi testati. Poiché<br />

tale proteina risulta direttamente coinvolta nella cancerogenesi, attraverso legami inattivanti<br />

proteine codificate da geni oncosoppressori, quali p53 e pRB, e nella progressione<br />

astrocitoma-glioblastoma è dimostrata una progressiva perdita di funzione di p53, la presenza<br />

di JCV e la espressione di mRNA di LT potrebbe costituire un importante fattore o cofattore<br />

patogenetico in questo tipo di neoplasie cerebrali.


E’ ovvio che lo studio di un numero così limitato di campioni (dovuto anche alla rarità di<br />

questo tipo di neoplasie) non consente di trarre definitive conclusioni circa il nesso etiologico<br />

o patogenetico tra infezione da polyomavirus, e neoplasie cerebrali; tuttavia l’osservazione<br />

che tali virus –oncogeni in animali da laboratorio- si identifichino con diversa frequenza nei<br />

vari tipi di neoplasie cerebrali e che alcune regioni genomiche chiave per la replicazione<br />

virale siano mutate e che la proteina LT sia variabilmente espressa nelle varie neoplasie<br />

suggerisce che la loro presenza nell’ambito dei alcuni tumori cerebrali non sia casuale ma<br />

possa contribuire al loro sviluppo o progressione.<br />

I risultati di questo studio sono stati sottoposti per la pubblicazione al Journal of Medical<br />

Virology.<br />

TABELLA 2<br />

Campione<br />

JCV BKV<br />

Istotipo LT Agno VPl TCR<br />

336<br />

mRNA<br />

LT<br />

1 Glioblastoma + + lA Mad 4 + -<br />

2 Glioblastoma + + lA Mad 4 + -<br />

3 Glioblastoma + + lB - + -<br />

4 Glioblastoma + + lB Archet + -<br />

5 Glioblastoma + + lA - - -<br />

6 Glioblastoma + + 2C - n.d -<br />

7 Glioblastoma + - lA Mad 4 + -<br />

8 Glioblastoma + + - - - -<br />

9 Glioblastoma + n.e. - - n.e -<br />

10 Glioblastoma + n.e n.e n.e n.e -<br />

11 Glioblastoma + n.e. - - - -<br />

12 Glioblastoma - n.e n.e n.e n.e. +<br />

13 Glioblastoma - n.e. n.e. n.e. n.e +<br />

14 Astrocitoma + - 1B - + -<br />

15 Astrocitoma - n.e. n.e. n.e. n.e. +<br />

16 Oligo + n.e. lA - n.e. -<br />

17 Meningioma + - 1B - - +<br />

18 Meningioma + + lA Mad 4 + +<br />

19 Meningioma + n.e. - - - -<br />

20 Meningioma - n.e. n.e. n.e. n.e. +<br />

n.e=Non esaminato<br />

LT


Franco Mongini Filone tematico A4<br />

Analisi dei fattori di rischio delle cefalee e del dolore facciale in una<br />

comunità di lavoro<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Fisiopatologia Clinica<br />

OBIETTIVI<br />

Considerato che le patologie caratterizzate da cefalea e dolore cranico e facciale sono<br />

frequenti in una popolazione così detta “normale” rappresentano un problema in via di<br />

incremento obiettivo della nostra ricerca sono stati i seguenti:<br />

1. individuare e quantificare i più frequenti fattori predisponenti e scatenanti della cefalea e<br />

del dolore facciale in una comunità di lavoro sufficientemente estesa;<br />

2. elaborare adeguate strategie di prevenzione;<br />

3. valutare i risultati raggiunti a distanza di tempo medio lunga.<br />

MATERIALI E METODI<br />

La comunità di lavoro oggetto della presente ricerca è stata costituita da personale<br />

impiegatizio del Comune di Torino. Sono stati costituiti due gruppi (gruppo 1 e 2) di circa 200<br />

soggetti per gruppo simili per età, distribuzione per sesso e caratteristiche dell'attività<br />

lavorativa. Per tutti i soggetti sono stati raccolti mediante schede appropriate e intervista<br />

strutturata i seguenti dati:<br />

• presenza, intensità e durata di cefalea e/o dolore facciale e/o dolore cervicale;<br />

• presenza e rilevanza di stressor attuali o pregressi;<br />

• prevalenza di sintomi a carattere psicosomatico.<br />

Sì è poi proceduto a un esame clinico dei soggetti comprendente: anamnesi, visita neurologica<br />

e del distretto Craniofacciale. A tutti i soggetti è stato consegnato mensilmente un diario su<br />

cui segnare su base giornaliera intensità (scala 0-5), e durata di dolore cefalico, facciale o<br />

cervicale. Dopo due mesi al gruppo 1 sono state eseguite conferenze esplicative e sedute<br />

dimostrative, ripetute a cadenza regolare, relative ai più frequenti fattori che possono favorire<br />

o indurre cefalea e dolore craniofaciale e alle metodiche che il paziente può porre in atto per<br />

ridurne l’impatto. Sì è anche proceduto alla proiezione di brevi filmati in cui venivano<br />

dimostrati alcuni esercizi utili alla prevenzione e al trattamento delle forme più leggere. A<br />

ogni soggetto è stata distribuita una scheda informativa con testi e disegni relativi al<br />

programma di esercizi da eseguire. I diari relativi ai tre parametri considerati (frequenza,<br />

intensità, durata del dolore craniofacciale e cervicale) sono stati successivamente raccolti per<br />

ulteriori quattro mesi I dati ottenuti nei due gruppi sono stati paragonati con adeguati<br />

strumenti statistici (t di Student, ANOVA ecc)<br />

RISULTATI<br />

In ambedue i gruppi la prevalenza di soggetti con dolore a capo e/o faccia e/o collo ha<br />

superato l’85%. Nei primi due mesi in cui non sono state date istruzioni i parametri<br />

337


considerati non presentavano differenze statisticamente significative tra il gruppo di studio e<br />

quello di controllo. Nei quattro mesi successivi si è registrata una progressiva diminuzione dei<br />

parametri del dolore (cranico, facciale e cervicale) del gruppo di studio (gruppo 1) mentre i<br />

dati sono rimasti sostanzialmente invariati nel gruppo di controllo (gruppo 2). Le differenze<br />

tra i due gruppi h<strong>anno</strong> raggiunto un grado di significatività statistica (p < 0.05, o 0.01) per<br />

tutti e tre i parametri negli ultimi tre mesi dello studio.<br />

CONCLUSIONE<br />

I risultati ottenuti dimostrano che è possibile impostare nelle comunità di lavoro un’attività di<br />

prevenzione delle patologie caratterizzate da cefalea e dolore facciale e cervicale. Tale attività<br />

permette di ottenere risultati molto consistenti con mezzi relativamente semplici ed economici<br />

e possiede quindi un carattere fortemente innovativo.<br />

338


Giuseppe Montrucchio Filone tematico A2<br />

Valutazione del ruolo della trombopoietina come fattore di rischio<br />

nell'epatocarcinoma e nell'epatoblastoma<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Fisiopatologia Clinica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il carcinoma epatocellulare (HCC) rappresenta una delle neoplasie più frequenti e la causa di<br />

circa 1 milione di morti per <strong>anno</strong> su scala mondiale. Il tasso di recidiva è infatti<br />

drammaticamente alto anche in pazienti che sono stati sottoposti a terapia chirurgica o<br />

medica. La terapia anti-angiogenetica rappresenta un potenziale nuovo approccio terapeutico.<br />

L'HCC, in quanto tumore ipervascolarizzato, è infatti un modello ideale per lo studio di tale<br />

terapia. Dati preliminari del nostro laboratorio dimostrano che l'abilità pro-angiogenetica in<br />

vivo del medium condizionato di colture primarie di epatoblastoma umano e di linee<br />

stabilizzate di HCC umano correla con la concentrazione di trombopoietina (TPO). La TPO è<br />

un fattore di crescita di produzione epatica, originariamente identificato come linea-specifico<br />

per la sua azione di stimolo delle megacariocitopoiesi, in grado di stimolare, attraverso il<br />

legame con il recettore c-Mpl, la migrazione delle cellule endoteliali ed indurre una risposta<br />

angiogenetica.<br />

OBIETTIVO<br />

Scopo del presente progetto di ricerca è stato pertanto quello di valutare l’espressione del<br />

recettore per la TPO (c-Mpl) nel tessuto epatico normale, cirrotico ed in HCC.<br />

MATERIALI E METODI<br />

I campioni di fegato sono stati ottenuti da:<br />

a) donatori di trapianto epatico, in cui l'esame istologico non aveva evidenziato lesioni o<br />

alterazioni significative del parenchima e dell'architettura epatica, considerati fegati<br />

normali (N=10);<br />

b) pazienti sottoposti a trapianto epatico perché affetti da cirrosi (N=25) e la cui<br />

eziopatogenesi era riconducibile ad infezione virale da virus C (HCV, N=19) o da virus B<br />

dell’epatite (HBV, N=6);<br />

c) pazienti sottoposti a trapianto epatico oppure a resezione chirurgica di HCC (N=10), ad<br />

eziopatogenesi virale, ed in particolare da infezione da HCV (N=5) o da HBV (N=3), o ad<br />

eziopatogenesi incerta (N=2).<br />

In tutti i casi è stato eseguito esame istologico con colorazioni Ematossilina-eosina, PAS,<br />

PAS-Diastasi e Tricromica di Masson, per verificare morfologicamente la diagnosi di<br />

normalità, di cirrosi e di HCC ed escludere altre patologie specifiche (ad es. deficit di alfa-1antitripsina).<br />

Le successive indagini immunoistochimiche sono state quindi eseguite sui<br />

campioni così individuati utilizzando anticorpi monoclonali specifici per il c-Mpl e per<br />

l'antigene endoteliale CD31, come marcatore angiogenetico.<br />

339


La valutazione dei risultati è stata effettuata applicando uno score semiquantitativo variabile<br />

tra 0 e 4, correlabile all’estensione della immunoreattività, ed in particolare:<br />

a) score 0 in assenza di immunoreazione (reazione negativa);<br />

b) score 1 per immunoreattività estesa fino al 25% del tessuto esaminato (positività focale);<br />

c) score 2 se compresa tra >25 e 50% (positività plurifocale);<br />

d) score 3 se compresa tra >50 e 75% (positività plurifocale/diffusa);<br />

e) score 4 se >75% (positività estesa/totale).<br />

Inoltre è stata valutata qualitativamente la localizzazione dell’immunoreattività del c-Mpl e<br />

del CD31 nei tre gruppi studiati. Come riportato in tabella, è stato osservato un incremento<br />

statisticamente significativo dell’immunoreattività sia per il c-Mpl che per il CD31 negli HCC<br />

rispetto ai casi normali ed alla patologia cirrotica (* normali vs cirrosi o HCC P


Bruno Morra Filone tematico C2<br />

Trattamento integrato della patologia allergica naso-sinusale<br />

ASO S. Giovanni Battista<br />

OBIETTIVI<br />

Lo studio in oggetto si è proposto di sviluppare un sistema integrato di raccolta dei dati clinici<br />

e di laboratorio concernenti pazienti affetti da poliposi nasosinusale, patologia questa che<br />

rappresenta una condizione morbosa particolarmente complessa per la sovrapposizione – nella<br />

sua eziologia – di più fattori (fra cui l’allergia ed i processi infettivi).<br />

Per ottenere il risultato che ci eravamo prefissi si sono dovuti raggiungere obiettivi sia<br />

assistenziali sia specifici: l’obiettivo assistenziale raggiunto è rappresentato dalla creazione<br />

di un ambulatorio integrato allergologico-otorinolaringoiatrico (l’unico esistente finora in<br />

<strong>Piemonte</strong>, a quanto ci risulti) in cui venissero visitati collegialmente pazienti affetti da<br />

patologia nasosinusale: oltre trecento pazienti sono già stati finora indagati in modo<br />

collegiale. Quindi ai pazienti affetti da rinosinusopatia cronica è stato garantito presso l’Az.<br />

Osp. San Giovanni Battista di Torino un “polo di riferimento assistenziale” cui rivolgersi per:<br />

a) valutazione diagnostica integrata (allergologica, orl e, in casi selezionati, pneumologica)<br />

dello stato allergico; b) prescrizioni diagnostiche/terapeutiche, monitoraggio dell’andamento<br />

dei sintomi; c) prevenzione dei fattori ambientali di scatenamento della sintomatologia<br />

allergica; d) indicazioni all’eventuale trattamento chirurgico e valutazione postoperatoria con<br />

modulazione del trattamento farmacologico per il controllo di eventuali recidive.<br />

Gli obiettivi specifici del progetto che ci eravamo prefissati e che sono stati conseguiti h<strong>anno</strong><br />

comportato l’acquisizione e l’elaborazione dei dati relativi ai pazienti trattati attraverso la<br />

documentazione oggettiva dei quadri patologici con tecniche endoscopiche e con<br />

memorizzazione delle immagini e la creazione di una scheda clinica in cui integrare le<br />

informazioni derivanti dall’esame endoscopico con quelle dell’imaging e con i dati<br />

immunologici.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Per lo sviluppo delle fasi progettuali ed il conseguimento degli obiettivi si è dovuto ricorrere<br />

alla progettazione ex-novo di un software dedicato ed all’adattamento di una scheda video<br />

industriale, i cui costi di sviluppo delle librerie di gestione erano decisamente inferiori a<br />

quelle di analoghi modelli utilizzati in sistemi medicali ove la disponibilità di librerie di<br />

gestione era inadeguata o molto costosa. Oltre a sviluppare ed adattare una scheda video<br />

utilizzata per applicazioni industriali ai sistemi di videoendoscopia utilizzati in ambito clinico<br />

ed a testare che la qualità delle immagini così acquisite fosse soddisfacente per l’uso clinico,<br />

si è dovuto procedere a mettere a punto una scheda nosologica che consentisse di integrare i<br />

dati derivanti dalle varie metodiche diagnostiche abitualmente utilizzate nello studio e<br />

nell’inquadramento ai fini terapeutici di tali pazienti ed a creare un software dedicato<br />

(sviluppato in ambiente Access) – in grado di funzionare su postazione singola ma con la<br />

possibilità di venire utilizzato anche in rete – per l’acquisizione e l’archiviazione dei dati<br />

provenienti dai controlli endoscopici.<br />

I numerosi tests eseguiti sono, comunque, risultati pienamente positivi e negli ultimi mesi del<br />

2005 si è finalmente potuto procedere alla fase successiva consistente nell’acquisto formale<br />

del sistema integrato software-hardware, una volta avuto a nostra disposizione un prototipo<br />

perfettamente funzionante. A questo punto si è proceduto alla realizzazione dei passi<br />

341


successivi del progetto, cioè all’acquisizione ed archiviazione dei dati provenienti dai<br />

controlli endoscopici ed all’analisi dei risultati del trattamento farmacologico proposto in<br />

sequenza logica sui differenti aspetti della reazione immunoallergica e del trattamento<br />

chirurgico.<br />

RISULTATI<br />

Gli obiettivi perseguibili con la collaborazione che si è instaurata fra più specialisti sono stati<br />

molteplici:<br />

• dal punto di vista economico per il paziente vi è un risparmio di tempo perché l’accesso,<br />

con una singola prenotazione iniziale, a tutte le prestazioni specialistiche occorrenti, evita<br />

ripetuti spostamenti da un settore all’altro dell’Ospedale, semplicizza le procedure di<br />

prenotazione e le liste di attesa; per l’ Azienda Ospedaliera vi è un’ottimizzazione delle<br />

risorse poiché a collaborazione coordinata tra interlocutori qualificati offre la possibilità di<br />

evitare abituali e costose ripetizioni dello stesso esame e/o l’esecuzione di esami inutili.<br />

• Dal punto di vista della qualità delle prestazioni erogate vi è un migliore inquadramento<br />

diagnostico della patologia derivante dalla collaborazione di specialisti di branche affini,<br />

con possibilità di svolgere una diagnostica strumentale di 2° livello ed eventuali visite<br />

collegiali e la possibilità di fornire ai pazienti, attraverso la collaborazione<br />

multidisciplinare, un corretto approccio diagnostico-terapeutico, garantito anche dalla<br />

disponibilità, all’interno dell’Azienda Ospedaliera, di strumentazione tecnologicamente<br />

avanzata.<br />

A queste positive ricadute di ordine eminentemente pratico bisogna poi aggiungere le seguenti<br />

altrettanto importanti per i Medici impegnati nel progetto:<br />

• migliore qualità delle prestazioni conseguente all’approccio integrato alle problematiche<br />

del paziente;<br />

• possibilità di sviluppare programmi di controllo nel tempo (follow up);<br />

• possibilità di confronto dei dati locali con casistiche più ampie, e successiva<br />

partecipazione a programmi di ricerca nazionali e internazionali;<br />

• riduzione dei costi indotti dall’organizzazione degli ambulatori dedicati e dei supporti<br />

informatici e cartacei (sostituiti da schede di gestione elettronica dei pazienti e da<br />

documentazione videofotografica informatizzata).<br />

342


Maria Adele Moschella Filone tematico D3<br />

Rapporto tra atopia e malattia manifesta tra gli alunni delle Scuole Medie<br />

Inferiori del Verbano-Cusio-Ossola<br />

Asl 14<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La patologia allergica diviene ogni giorno più frequente: le cause di questo aumento sono<br />

probabilmente legate a fattori ambientali ed a stili di vita. L’indagine fornisce dati aggiornati<br />

sulla presenza di atopia tra gli scolari del Verbano-Cusio-Ossola (VCO) compresi tra gli 11 e i<br />

14 anni e sul tipo di manifestazioni cliniche(riniti, congiuntiviti, asma bronchiale, dermatiti e<br />

orticaria) se presenti.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Lo studio trasversale è stato condotto in tutte le scuole medie inferiori del VCO (26 scuole) ed<br />

ha coinvolto 3248 alunni (1647 maschi e 1601 femmine) e le rispettive famiglie. Di tutti gli<br />

alunni1052 erano iscritti alla classe 1a, 1011 alla 2a e 1185 alla 3a. Ogni alunno ha compilato<br />

un questionario insieme ai genitori, per accertare la presenza di disturbi respiratori e/o<br />

dermatologici, presenza di allergopatie e tabagismo tra i conviventi. Sono stati poi eseguiti i<br />

Prick test a ogni alunno in classe durante l’<strong>anno</strong> scolastico 2004-2005 con i seguenti allergeni:<br />

Graminacee Mix, Composite Mix, Parietaria Off., Ambrosia, Nocciolo, Betulla, Cipresso,<br />

Dermatofagoides pt. e f., Alternaria, Cane e Gatto, controlli negativo e positivo (Lofarma). E’<br />

stata considerato positivo un pomfo di almeno 3 mm di diametro. Sono stati definiti atopici i<br />

soggetti positivi ad almeno un allergene. Ciascun alunno ha effettuato in classe una<br />

valutazione del Picco di Flusso Espiratorio (PEF). I dati raccolti sono stati stoccati in un<br />

database (Microsoft Excel). E’ stato utilizzato il test X quadrato per il confronto di frequenze<br />

in due o più gruppi. Il confronto tra medie è stato effettuato con il Test di Wilcoxon (non<br />

parametrico) previa analisi della varianza.<br />

RISULTATI<br />

H<strong>anno</strong> risposto al questionario 3248 alunni su un totale di 3712 iscritti (87,5 %), mentre i<br />

prick test sono stati effettuati su 2928 alunni (78,9 %). L’adesione alla compilazione del<br />

questionario e alla effettuazione dei prick test è stata sovrapponibile nelle tre differenti zone<br />

in cui si divide il VCO. Dei 2928 alunni che h<strong>anno</strong> effettuato i prick test, sono risultati<br />

positivi 1241 (42,3%). Sono risultati sensibili ad un solo allergene il 17,2 % dei soggetti<br />

allergici, mentre la maggior parte (82,8%) è risultata sensibile a più di un allergene. La<br />

prevalenza dei soggetti allergici non fu differentemente significativa nel Verbano (41,9%), nel<br />

Cusio (42,7%) e nell’Ossola (42,6%). Non è stata rilevata differenza statisticamente<br />

significativa nella prevalenza dell’atopia all’interno delle varie fasce d’età. E’ stata rilevata,<br />

invece, una prevalenza dell’allergia nei maschi rispetto alle femmine (49.0 % vs 35.6%),<br />

statisticamente significativa (p < 0,00001).<br />

Tra gli allergici sono risultati sensibili alle Graminacee 800 alunni (64,5 %), al<br />

Dermatofagoides pt. 789 (63,6%), al Dermatofagoides f.756 (60,9 %), alla Betulla 399 (32,1<br />

%), al Nocciolo 399 (32,1%), alle Composite 284 (22,9%), all’Ambrosia 231 (18,6%), alla<br />

Parietaria 161 (13 %), al Cipresso 136 (10,9 %), all’Alternaria 110 (8,9%), all’epitelio di gatto<br />

177 (14,3%), all’epitelio di cane 80 (6,4%). La sensibilizzazione all’Ambrosia è risultata<br />

343


prevalente nell’Ossola e nel Cusio rispetto al Verbano raggiungendo la significatività<br />

statistica (Ossola vs Verbano p=0,0001 e Cusio vs Verbano p=0,002). Tra gli alunni allergici<br />

il 36,4% non segnala nessuna patologia tra asma, rinocongiuntivite, orticaria e dermatite nel<br />

questionario. E’ stata segnalata una allergopatia in almeno un componente del nucleo<br />

famigliare nel 42,1% dei soggetti non allergici e nel 58,8% degli allergici (p=0,00001). Tra gli<br />

alunni non allergici il 44,9% ha dichiarato che almeno un convivente fuma, mentre tra i<br />

famigliari dei soggetti allergici fuma il 40,4%. Complessivamente l’abitudine tabagica è<br />

presente nel 43,4 % delle famiglie. Il 15,7% degli alunni ha segnalato una anamnesi positiva<br />

per asma bronchiale, mentre i soggetti con rinite risultano essere il 21,7 % del totale degli<br />

alunni. La frequenza dell’atopia fra coloro che riferivano asma è stata del 71,1%, mentre il<br />

49,7% degli asmatici ha segnalato la contemporanea presenza di rinocongiuntivite. Tra i<br />

rinitici l’atopia è stata rilevata nel 77,6%. Il 22,3 % degli alunni intervistati ha segnalato<br />

dermatite, mentre il 17,7% ha riferito almeno un episodio di orticaria.<br />

Il PEF medio tra i maschi fu 402 l/min a 14 anni, 352 l/min a 13 anni, 311 l/min a 12 anni; tra<br />

le femmine a fu 348 l/min a 14 anni, 333L/min a 13 anni e 298 l/min. a 12 anni. Stratificando<br />

poi il valore del PEF per sesso e presenzaa/assenza di anamnesi di asma all’interno di<br />

ciascuna fascia d’età, non si sono rilevate differenze statisticamente significative tra i valori<br />

osservati. Il confronto con altri studi epidemiologici simili condotti in Italia ha permesso di<br />

rilevare una prevalenza di alunni allergici simile a quella riportata in uno studio condotto nella<br />

provincia di Genova (41,4% di soggetti allergici) (Crimi P., et al. J Prev Med Hyg<br />

<strong>2003</strong>;44/4:73), mentre si discosta da quanto rilevato in un gruppo di ragazzi della provincia di<br />

Bolzano (22,3%).<br />

La prevalenza dell’asma bronchiale rilevata nel VCO (15,7%) è simile a quanto riscontrato<br />

nella Provincia di Genova (13,1%);superiore a quella riscontrata nella Provincia di Terni<br />

(11%)(Ferranti P. et al.. Rass Pat App Resp 2002;17:173) e nel secondo studio SIDRIA<br />

(10,4%) (Epid Prev 2005;29(2)suppl:1-96);decisamente superiore a quanto rilevato nella<br />

provincia di Bolzano (5,1%). La diagnosi di rinite risulta essere nel nostro studio 21,7%; 28.9<br />

% in quella di Genova e 33,6% nei ragazzi di Terni ;17% nel secondo studio SIDRIA e 11,3%<br />

tra gli alunni di Bolzano. Il range di prevalenza è estremamente variabile ed i nostri valori si<br />

collocano in una fascia intermedia. Preoccupa l’elevata prevalenza di tabagismo<br />

(43,4%),presente anche tra i famigliari di soggetti allergici. E’poi più probabile essere<br />

allergici se almeno uno dei famigliari lo è: il confronto tra la percentuale di soggetti allergici e<br />

non allergici con e senza famigliarità per allergopatie raggiunge una significatività statistica<br />

elevatissima. Il 17,7% degli adolescenti ha riferito almeno un episodio di orticaria: di questi il<br />

46,5% è atopico. Tra gli alunni atopici, infine, ben 1/3 non ha segnalato alcun disturbo: una<br />

parte sicuramente sottostima eventuali sintomi ma un'altra può effettivamente non aver<br />

espresso clinicamente l’atopia. Non sono state rilevate differenze significative nella<br />

determinazione del PEF in soggetti asmatici e non: tale dato era atteso in quanto la variabilità<br />

dell’asma richiede più valutazioni della funzione respiratoria nel tempo.<br />

344


Carmine Munizza Filone tematico C2<br />

Reti sociali ed utilizzo dei servizi sanitari e psichiatrici.<br />

Centro Studi e Ricerche in Psichiatria<br />

Nella definizione di salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità il concetto di rete<br />

sociale è significativamente connesso a quello di benessere. La rete sociale rappresenta<br />

l’insieme delle relazioni grazie alle quali si riceve e si offre supporto sociale ed equivale alla<br />

disponibilità di persone delle quali l’individuo si fida, per le quali sente di essere importante e<br />

dalle quali si sente valorizzato come persona. Le dimensioni e la qualità della rete sociale<br />

contribuiscono quindi al benessere dell’individuo ed influiscono in misura significativa sul<br />

suo stato di salute e sulla frequenza ed il decorso di molte patologie. Sul piano specifico<br />

dell’utilizzo dei servizi psichiatrici, la maggioranza degli studi finora effettuati ha mostrato<br />

che reti sociali più povere o livelli più bassi di supporto sociale sono associate ad un aumento<br />

dei ricoveri. Negli scorsi anni è stata condotta una ricerca su 21 delle 22 ASL piemontesi, per<br />

valutare – con una metodologia standardizzata – l’utilizzo dei vari servizi disponibili in<br />

ambito psichiatrico (ospedalieri, residenziali, semi-residenziali, ambulatoriali) e per<br />

individuare la presenza di eventuali predittori delle variazioni dei tassi di utilizzo emersi.<br />

OBIETTIVO<br />

Con questa ricerca presentiamo una revisione della letteratura sulle metodologie di<br />

misurazione degli aspetti quantitativi e qualitativi della rete sociale individuale e una<br />

revisione della letteratura scientifica nazionale ed internazionale relativa agli interventi ed alle<br />

strategie (individuali, familiari, microsociali) di sostegno o sviluppo della rete sociale<br />

individuale (o di alcune caratteristiche essenziali).<br />

METODI E RISULTATI<br />

La rete è concepita e rappresentata come un sistema di nodi collegati da connessioni, come<br />

una “rete” per l’appunto, dove elementi costitutivi sono sia l’insieme di nodi, e cioè gli attori,<br />

siano essi individui, gruppi, organizzazioni, che le connessioni, e cioè i legami, gli insiemi di<br />

relazioni e di scambi. Il concetto si diffonde a vari livelli. L’idea di società postmoderna e<br />

postindustriale si associa infatti all’immagine di un attore sociale immerso in un mondo di<br />

interdipendenze crescente e globale, nel quale, il ruolo del centro e della gerarchia risultano<br />

fortemente ridimensionati.<br />

Due sono i richiami teorici principali. Il primo richiamo, che ha avuto e ha notevole<br />

influenza nell’ambito dell’intervento sociale, propone la rete come concettualizzazione della<br />

struttura sociale nei termini di una configurazione complessa di legami interpersonali. In<br />

particolare, rete suggerisce un’idea di complessità sociale che include sia le relazioni formali<br />

e istituzionalizzate che le relazioni informali, meno visibili e più sfumate, come pure gli<br />

intrecci tra di esse.<br />

L’altro richiamo teorico è alla rete come modalità organizzativa che emerge<br />

dall’obsolescenza delle forme e delle culture organizzative che h<strong>anno</strong> accompagnato e<br />

sostenuto il processo di industrializzazione. Nella rete personale si possono distinguere due<br />

tipi principali di sistemi supportivi: il sistema informale (legami con parenti, amici o persone<br />

con cui si condivide qualche aspetto della vita) e il sistema formale (professionisti e operatori<br />

345


che operano in contesti di cura, riabilitazione e intervento psicosociale). Questi due sistemi<br />

sono interdipendenti.<br />

Attualmente disponiamo di quattro indicazioni sulle vie d’azione protettive per la salute. La<br />

prima suggerisce che i sistemi, le relazioni supportive e il sostegno h<strong>anno</strong> una connessione<br />

stretta col benessere psicofisico, favoriscono gli aspetti evolutivi e i comportamenti volti a<br />

tutelare la propria salute. Nella seconda via d’azione tutti gli aspetti che attengono al sostegno<br />

sono visti in relazione alla situazione e agli eventi stressanti che sta vivendo l’individuo. La<br />

terza via d’azione è collega alla precedente e sottolinea come la capacità di controllo sul<br />

proprio ambiente e sulle situazioni avverse può essere favorita dal sostegno che aiuta a<br />

mantenere una buona immagine di sé e il senso della proprio identità. La quarta via d’azione è<br />

di tipo terapeutico e riabilitativo poiché considera gli effetti del sostegno su disturbi già insorti<br />

e durante il processo di guarigione. La prima, la seconda e la terza via d’azione sono alla base<br />

degli interventi di sostegno a fini preventivi.<br />

Sostegno e nevrosi: dalle ricerche degli anni ’60 e ’70 emerge che le persone con disturbi<br />

nevrotici tendono ad avere pochi rapporti di intimo attaccamento, una rete sociale e un<br />

sistema di sostegno ristretti o confinati al più vicino ambito familiare (Post, 1962). Gli autori<br />

degli studi degli anni ’70 e ‘80 suggeriscono che un supporto sociale vicino (parenti, amici<br />

intimi, ecc.) o diffuso (gruppi secondari di lavoro, svago, ecc.) fornisce una protezione contro<br />

gravi eventi di vita.<br />

Sostegno e depressione: Brown (1978) sostiene che la mancanza di un rapporto intimo e<br />

confidenziale (con il marito, il partner, un amico o un’amica, ecc.) rappresenta uno dei quattro<br />

fattori di vulnerabilità alla depressione. Infatti, è stato notato che, in presenza di stressors<br />

vitali e di situazioni avverse, l’assenza di una relazione confidenziale correla<br />

significativamente agli stati depressivi.<br />

Sostegno e schizofrenia: Tolsdorf (1976) ha svolto una ricerca sulle reti sociali, i sistemi di<br />

sostegno e i processi di difesa di dieci pazienti schizofrenici istituzionalizzati messi a<br />

confronto con un gruppo di controllo.<br />

I risultati indicano che mentre i pazienti del gruppo di controllo h<strong>anno</strong> un maggior numero di<br />

legami multiplex (più vari e forti), i pazienti schizofrenici h<strong>anno</strong> più frequentemente rapporti<br />

uniplex (legami più rari e meno forti). La rete sociale degli schizofrenici appare dominata<br />

dalle figure parentali. Inoltre, si è rilevato che gli schizofrenici h<strong>anno</strong> un pregiudizio sociale<br />

negativo (affermano che non è consigliabile fidarsi degli alti) e si rappresentano la propria<br />

rete sociale come priva di risorse utili. Quindi si può affermare che gli schizofrenici<br />

possiedono oggettivamente meno risorse di rete poiché in situazioni avverse f<strong>anno</strong> un limitato<br />

riferimento al sistema di sostegno. La selezione degli strumenti di misurazione che sono stati<br />

costruiti in questo ambito di studio sono stati suddivisi in quattro capitoli a seconda del<br />

diverso focus di analisi:<br />

1. le misure del sostegno sociale (maggior attenzione alla qualità degli scambi relazionali);<br />

2. le misure delle reti sociali (maggior attenzione alle caratteristiche strutturali);<br />

3. le misure della solitudine (l’attenzione è posta sulle mancanze relazionali);<br />

4. misure globali (reti e sostegno sono indagati all’interno di strumenti più generali che<br />

h<strong>anno</strong> l’obiettivo di rilevare la qualità della vita e la salute nel suo complesso).<br />

346


Roberto Mutani Filone tematico C1<br />

Strategie integrative ed alternative nella terapia della sindrome delle<br />

apnee ostruttive nel sonno.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Neuroscienze<br />

Tecniche di stimolazione della muscolatura del pavimento buccale<br />

Al fine di ottenere la contrazione dei muscoli del pavimento buccale, come di altri muscoli<br />

striati, occorre applicare dei treni di impulsi della durata di 0.96 sec, composto da semionde<br />

positive e negative separate le une dalle altre da una breve pausa così da neutralizzare taluni<br />

effetti indesiderati a livello plasmatico legati principalmente a fenomeni elettrolitici. La<br />

frequenza del treno di impulsi deve risultare compresa tra i 150 ed i 180 Hz; diversamente si<br />

incrementerebbe in maniera significativa la temperatura locale. Ogni treno d’impulsi deve<br />

essere poi intervallato da una pausa per rilassare il muscolo, avente durata tra variabile tra<br />

0.96 e 1.92 secondi.<br />

Dopo aver lasciato che il paziente si addormentasse e dopo aver osservato la costante e quasi<br />

ritmica frequenza di apnee abbiamo azionato lo stimolatore ad ogni evento apnoico quando si<br />

è ritenuto che la sospensione del respiro fosse la partenza di una evento apnoico, naturalmente<br />

ciò ha comportato che per almeno 8 secondi il paziente fosse lasciato in apnea. La<br />

registrazione polisonnografica ha avuto una durata di 95.28 minuti di cui 60 passati in sonno.<br />

In seguito abbiamo analizzato il tracciato e dai dati ottenuti risulta che il numero delle apnee<br />

totali è pari a 45, di cui 28 sbloccate fisiologicamente e 13 attraverso stimolazione elettrica.<br />

Per le 4 apnee rimanenti è stato necessario applicare più di un treno d’impulsi. La durata<br />

media delle apnee sbloccate fisiologicamente è di 14,89 secondi circa, mentre le apnee che<br />

sono state sbloccate con stimolazione elettrica avevano una durata media di 8 secondi, per i<br />

motivi già espressi nella sezione precedente.<br />

Nel corso della registrazione videopolisonnografica, in assenza di stimolazione elettrica, gli<br />

eventi apnoici presentati dal paziente esitavano nel 71 % dei casi in un arousal. Con<br />

l’applicazione della stimolazione elettrica del miloioideo in tutte le apnee “stimolate” tale<br />

arousal si verificava nel 100 % dei casi. Per ottenere lo sblocco dell’apnea riducendo la<br />

probabilità dell’insorgenza di un successivo arousal è verosimile che si debba ridurre<br />

l’ampiezza del segnale e allungare la durata dello stimolo. Non è stato possibile praticare tali<br />

aggiustamenti a causa di problemi circuitali dello stimolatore elettrico. Un punto di<br />

importante discussione, tutt’ora aperta, è stato quello di valutare il rapporto tra l’efficacia<br />

della stimolazione miloioidea nel ridurre le conseguenze dell’OSAS sul piano cardiocerebrovascolare<br />

e il rischio di provocare arousal al paziente dopo stimolazione con<br />

conseguente frammentazione della struttura ipnica e ipersonnia diurna. Inoltre risulta<br />

opportuno comparare la qualità del sonno che si ottiene utilizzando la ventiloterapia rispetto a<br />

quella ottenuta con stimolazione elettrica: attraverso l’uso della CPAP si osserva, nella<br />

stragrande maggioranza dei pazienti, una completa risoluzione dei fenomeni apnoici a<br />

differenza del solo parziale compenso ottenuto nel nostro caso da stimolazione elettrica.<br />

D’altra parte è necessario però considerare la scarsa compliance legata alla resistenza<br />

psicologica che il soggetto oppone all’utilizzo della CPAP: essa potrebbe essere ovviata<br />

dall’utilizzo della stimolazione elettrica miloioidea quale trattamento alternativo alla<br />

ventiloterapia.<br />

347


Nel nostro studio abbiamo voluto valutare l’effettiva efficacia associata all’utilizzo di uno<br />

stimolatore elettrico prendendo in esame sia gli aspetti positivi sia negativi ad esso annessi. E’<br />

stato infatti dimostrato come la stimolazione elettrica miloioidea svolga un ruolo importante<br />

nello sblocco delle apnee ostruttive, pur essendo sempre associata alla comparsa di un arousal.<br />

Sicuramente la prosecuzione dello studio arriverà a farci comprendere quanto la minor durata<br />

degli eventi apnoici dopo stimolazione elettrica influisca positivamente sul versante cardiocerebrovascolare<br />

e quanto, d’altra parte, i sicuri arousal che seguono lo stimolo elettrico,<br />

influiscano sull’architettura del sonno, anche se, proprio per ovviare a questo pericolo, stiamo<br />

già provvedendo ad apportare le giuste modifiche al circuito elettrico dello stimolatore.<br />

Aumentando inoltre la casistica potremo valutare l’ effettiva compliance dei pazienti verso lo<br />

stimolatore elettrico, mettendola a confronto con quella relativo all’utilizzo continuativo della<br />

CPAP.<br />

Gruppi di supporto all’utilizzo della CPAP<br />

La finalità dei gruppi di supporto è quella di ridurre al minimo i casi di non utilizzo della<br />

macchina attraverso informazioni corrette e complete sull’uso della CPAP e sull’OSAs,<br />

attraverso reali e pratiche dimostrazioni di utilizzo, mediante la discussione e risoluzione dei<br />

problemi pratici e l’elaborazione di problematiche psicologiche di accettazione al fine di<br />

aumentare la compliance al trattamento offrendo contemporaneamente un successivo servizio<br />

di supporto per le eventuali problematiche di carattere tecnico, medico e psicologico correlate<br />

all’uso della ventiloterapia. A questo servizio possono afferire i pazienti affetti da sindrome<br />

delle apnee notturne con richiesta interna a carico del centro per la diagnosi e la terapia dei<br />

disturbi del sonno in regime di day hospital.<br />

I gruppi sono costituiti da circa 6-8 pazienti affetti da OSAS con indicazione all’uso della<br />

CPAP. Il lavoro è strutturato su 3 incontri nell’arco di una settimana di circa 45 minuti l’uno,<br />

organizzati prima, durante e dopo l’inizio della ventiloterapia ed un incontro a distanza di<br />

circa 3 mesi. E’ previsto l’uso di materiale informativo cartaceo di carattere tecnico, ma di<br />

facile comprensione, sull’uso della CPAP e sulla sindrome delle apnee ostruttive nel sonno.<br />

Sono inoltre utilizzate scale di valutazione per la rilevazione della qualità della vita e della<br />

quantità/qualità soggettiva del sonno somministrate prima e dopo il trattamento.<br />

Argomenti trattati durante gli incontri<br />

• Principi generali sulla patologia (OSAs) e sul trattamento con CPAP ·<br />

• Come funziona una CPAP · La negoziazione del problema OSAs e il suo impatto sulla<br />

salute generale ·<br />

• Predisposizione a considerare un cambiamento di comportamento (igiene del sonno,<br />

controllo del peso, modificazione delle abitudini notturne…) ·<br />

• Comprensione della necessità del cambiamento e inizio del trattamento ·<br />

• Come seguire un piano di attività e trattamento con pianificazione di cambiamenti a lungo<br />

termine<br />

• Follow up a breve termine ·<br />

• Follow up a lungo termine<br />

Scale utilizzate<br />

ESS Epworth Sleepiness<br />

Scale NHP Nottingham health profile<br />

QL Index Quality of life index<br />

348


Roberto Navone Filone tematico D1<br />

Follow-up delle diagnosi citologiche di "ascus-agus" nello screening per<br />

il cervico-carcinoma<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana<br />

INTRODUZIONE<br />

Il Sistema Bethesda 2001 prevede, per lesioni borderline, le diagnosi di ASC-US (atypical<br />

squamous cells of undetermined significance), ASC-H (non si puo’ escludere un H-SIL) ed<br />

AGC (atypical glandular cells); il significato, la riproducibilità e l’utilità clinica di queste<br />

diagnosi sono tuttora dibattuti. La ricerca prevede, mediante follow-up e correlazioni citoistologiche,<br />

di definire l’evoluzione delle diagnosi di ASC-US, ASC-H ed AGC in una<br />

casistica di citologia cervicale seguita per almeno 3 anni.<br />

MATERIALE E METODI<br />

Abbiamo esaminato 90.895 esami citologici cervico-vaginali, comprendenti 1.665 casi di<br />

ASC\AGC (1.8%), 592 (0.7%) L-SIL, 336 (0.4%) H-SIL, 44 carcinomi squamosi (0.05%) e<br />

27 adenocarcinomi (0.03%). Tra i 1.665 casi borderline, 394 ASC e 49 AGC avevano un<br />

follow-up considerato sufficiente, con diagnosi istologica (colposcopica), o citologica, se<br />

almeno due esami citologici sono risultati entrambi negativi.<br />

RISULTATI<br />

Dei 394 casi di ASC, 291 (73.9%) sono risultati benigni, 86 (18.0%) SIL di basso grado, 28<br />

(7.1 %) SIL di alto grado e 4 (1.0 %) carcinomi. Dei 49 casi di AGC, 31 (76.3%) sono<br />

risultati benigni e 18 (36.7%) maligni (13 H-SIL e 5 adenocarcinomi). Inoltre, suddividendo<br />

gli ASC nei due gruppi ASC-US e ASC-H, nel primo gruppo (di 365 casi) abbiamo osservato<br />

281 (77.0%) diagnosi definitive di benignità, 65 (17.8%) L-SIL, 17 (4.7 %) H-SIL e 3<br />

carcinomi (0.8%), mentre nel secondo gruppo (di 29 casi) abbiamo osservato 11 (37.9%) casi<br />

negativi, 6 (20.7%) L-SIL, 11 (37.9 %) H-SIL e 1 (3.5%) carcinoma squamoso.<br />

CONCLUSIONI<br />

Dai dati esposti, si ritiene utile consentire al citologo la possibilità di formulare una diagnosi<br />

non definitiva, da approfondire con ulteriori controlli, purchè il numero di tali diagnosi sia<br />

contenuto nella percentuale prevista dalle linee-guida. Inoltre, appare utile, come proposto dal<br />

Bethesda, dare ulteriori informazioni almeno per l'ASC, in quanto l’ASC-H si conferma come<br />

lesione ad alta predittività. Infine, poiché alcuni dei nostri casi sono risultati negativi ai primi<br />

controlli ma positivi talora a distanza di anni, parrebbe opportuno prevedere un follow-up<br />

sufficientemente prolungato per tutte le lesioni borderline.<br />

349


PUBBLICAZIONI<br />

I risultati della ricerca sono stati presentati al 1° CONGRESSO NAZIONALE DI<br />

CITOPATOLOGIA DELLA SIAPEC-IAP (Società Italiana di Anatomia patologica e<br />

Citopatologia diagnostica - International Academy of Pathology) a Firenze (28-30 novembre<br />

2005) e pubblicati: FOLLOW-UP E CORRELAZIONI CITO-ISTOLOGICHE DELLE<br />

LESIONI BORDERLINE IN CITOLOGIA CERVICALE. I. Rostan, C. Magnani*, A.<br />

Marsico, D. Antonini, R. Navone, Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana<br />

dell'Università di Torino, e *Casa di Cura S. Gaudenzio, Novara<br />

350


Carlo Nebbia Filone tematico B1<br />

L’approccio proteomico come metodo alternativo per evidenziare<br />

trattamenti con anabolizzanti in bovini da carne<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Patologia Animale<br />

MATERIALI E METODI<br />

Nel corso del primo <strong>anno</strong> si è proceduto ad una prima caratterizzazione mediante elettroforesi<br />

bidimensionale delle frazioni microsomiali e citosoliche epatiche di vitelli a carne bianca<br />

sperimentalmente trattati e non con una combinazione di vari promotori di crescita illeciti<br />

(17b-estradiolo-clenbuterolo-desametazone). L’approccio proteomico, impiegato per la prima<br />

volta a queste tematiche concernenti la sicurezza alimentare, ha riguardato campioni di fegato<br />

in relazione alla presenza in tale organo di recettori specifici per ciascuna delle tre molecole<br />

impiegate. La metodica messa a punto è stata applicata a 12 campioni di frazioni microsomiali<br />

e 12 di frazioni citosoliche (6 animali di controllo + 6 animali trattati); l'analisi dei campioni è<br />

stata ripetuta almeno in doppio. Le relative mappe proteiche h<strong>anno</strong> permesso di paragonare<br />

gli spot ottenuti dagli animali di controllo con quelli relativi agli animali trattati. L'analisi<br />

qualitativa non ha fornito risultati significativi; quella quantitativa è stata effettuata su un<br />

totale di 130 e 100 proteine per quanto riguarda rispettivamente il citosol e i microsomi: sono<br />

state escluse sia le proteine poco espresse, in quanto non ben visualizzabili, sia quelle<br />

maggiormente espresse, in quanto, oltre determinati valori, il legame del colorante non risulta<br />

più essere proporzionale alla quantità di proteina presente e una minima variazione di questi<br />

spot avrebbe notevolmente influito sull'analisi delle altre proteine.<br />

Per quanto riguarda le frazioni microsomiali, una sola proteina è risultata essere<br />

differentemente espressa nei due campioni: negli animali trattati la sua espressione è risultata<br />

maggiore di più di 3 volte rispetto ai controlli. Anche nelle frazioni citosoliche sono state<br />

dimostrate differenze statisticamente significative per una sola proteina, che tuttavia è<br />

risultata essere maggiormente espressa nei controlli rispetto ai trattati. Dopo digestione con<br />

tripsina, i peptidi ottenuti sono stati analizzati con spettrometro di massa MALDI-TOF e i<br />

risultati analizzati con banche dati on line. E’ stato così possibile identificare alcune proteine<br />

specifiche delle membrane microsomiali e altre presenti nel citosol, fra le quali l’actina, la<br />

sieroalbumina, l’endoplasmina e la glicogeno fosforilasi e la calreticulina. Nel corso del<br />

secondo <strong>anno</strong> si è proceduto all’identificazione degli spot che mostravano variazioni di<br />

espressione tra i diversi campioni; la spettrometria MALDI-TOF non è risultata sufficiente<br />

per l’identificazione ed è stato necessario utilizzare la spettrometria di massa TANDEM, che<br />

ha permesso di individuare in ambito citosolico la adenosina cinasi (AK, 1,29 ± 0,25 nei<br />

controlli vs. 0,51 ± 0,10 nei trattati) e in ambito microsomiale la reticulocalbina (0,74 ± 0,29<br />

nei controlli vs. 2,49 ± 0,35 nei trattati). Pur non essendo chiari i meccanismi molecolari che<br />

possano spiegare questi risultati, considerato il ruolo chiave dell’AK nel metabolismo<br />

glicidico, è possibile ipotizzare un coinvolgimento dei ß-agonisti e/o dei corticosteroidi nella<br />

modificazione dell’espressione di tale proteina.<br />

RISULTATI<br />

Come da programma, si è proceduto quindi alla validazione dei risultati ottenuti determinando<br />

l’espressione dell’AK con tecniche di immunoblotting direttamente sulle frazioni citosoliche.<br />

351


I risultati ottenuti sono stati i seguenti: CONTROLLI: 0,613 ± 0,030 TRATTATI: 0,365 ±<br />

0,028 Mann-Whitney U-test: P = 0,0079.<br />

I risultati del western blotting h<strong>anno</strong> quindi confermato i dati ottenuti dall'elettroforesi<br />

bidimensionale, e la possibilità di applicare questo metodo per indagini di screening su larga<br />

scala. Non è stato possibile effettuare lo stesso tipo di valutazione per quanto riguarda la<br />

reticulocalbina in quanto al momento non esistono anticorpi per questa proteina. Allo scopo di<br />

verificare se le variazioni osservate fossero imputabili all’impiego di una delle molecole<br />

impiegate nel trattamento, il desametazone, si è valutata l'espressione dell'AK in citosol di<br />

fegato di vitelli a carne bianca di controllo o sperimentalmente trattati con tale corticosteroide<br />

secondo due diversi schemi di trattamento:<br />

Trattamento A (farmacologico): 5 mg/capo i.m. (trattamento nei giorni 0 e 5)<br />

Trattamento B (“anabolizzante”): 0,4 mg/capo/die per os (trattamento fino al giorno 20).<br />

I risultati ottenuti indicano una diminuzione di questa proteina in entrambi i gruppi<br />

sperimentali (intorno al 50%), più evidente nel gruppo A dopo due settimane di tratttamento.<br />

Ulteriori e più approfondite indagini sono tuttora in corso per chiarire i meccanismi<br />

molecolari che h<strong>anno</strong> indotto questa diminuzione e confermare l’implicazione del<br />

desametazone nella genesi di tali risultati. Sono stati effettuati e sono tuttora in corso<br />

campionamenti presso gli stabilimenti di macellazione di alcune località del <strong>Piemonte</strong> per<br />

analizzare tramite western blotting l'espressione dell'AK nel fegato di vitelli a carne bianca,<br />

deteminare le possibili variazioni della proteina in animali derivanti da allevamenti diversi e<br />

confrontare i dati con quelli ottenuti sperimentalmente.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

Parte dei dati di questo progetto di ricerca è stata resa pubblica (citando la fonte di<br />

finanziamento) nei modi seguenti: ·<br />

1. Comunicazione orale al Workshop "Biomarcatori di trattamenti illeciti nell'allevamento<br />

bovino" svoltosi durante il LIX Convegno Nazionale della Società Italiana delle Scienze<br />

Veterinarie a Viareggio (21-24 Settembre 2005); ·<br />

2. Prossima pubblicazione su un numero speciale della rivista “Veterinary Research<br />

Communications” di un riassunto della comunicazione presentata al workshop di cui sopra<br />

dal titolo “Carlo Nebbia, Giulia Gardini, Andrea Urbani: The proteomic approach as a tool<br />

to detect the illicit treatment of cattle with performance enhancing agents”; ·<br />

3. Spedizione del manoscritto: “Giulia Gardini, Piero Del Boccio, Sebastiano Colombatto,<br />

Giovanni Testore, Davide Corpillo, Carmine Di Ilio, Andrea Urbani, and Carlo Nebbia -<br />

Proteomic investigation in the detection of the illicit treatment of calves with growthpromoting<br />

agents” alla rivista Proteomics<br />

352


Emanuela Noris Filone tematico A1<br />

Produzione di vaccini edibili per la prevenzione delle infezioni da<br />

Papillomavirus umano<br />

Consiglio Nazionale delle Ricerche<br />

Istituto Virologia Vegetale<br />

OBIETTIVO<br />

L’attività di ricerca finanziata da parte della <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> ha permesso di avviare un<br />

progetto di biotecnologie vegetali applicate alla salute umana in un particolare settore<br />

scientifico attualmente poco esplorato. Scopo del progetto è l’ottenimento di vaccini attivi<br />

contro Papillomavirus patogeni per l’uomo, prodotti mediante le biotecnologie vegetali.<br />

MATERIALI E METODI<br />

In seguito a una scelta scientifica imposta dalla notevole competizione emergente in questo<br />

settore, in particolare nel campo dei Papillomavirus mucosali ad alto rischio (Alfa-<br />

Papillomavirus), responsabili di gravi patologie oncologiche a carico dell’apparato genitale<br />

femminile, si è scelto di utilizzare quale specie modello virus appartenenti al genere Beta-<br />

Papillomavirus, anziché Alfa-Papillomavirus, in particolare papillomavirus cutanei (spesso<br />

indicati con la sigla EV-HPV). Per avviare il progetto è stato necessario reperire cloni virali<br />

completi di alcuni di questi papillomavirus, da cui poter isolare le sequenze nucleotidiche<br />

deputate alla sintesi di alcune proteine virali selezionate. Come specie modello è stata scelta la<br />

specie HPV 8, la cui sequenza genica è disponibile presso la banca dati NCBI.<br />

Il clone virale è stato reso disponibile dal Prof. Herbert Pfister dell’Università di Colonia,<br />

Germania. Questo clone è stato utilizzato per subclonare sequenze nucleotidiche relative alle<br />

ORF codificanti la proteina strutturale L1 e la proteina E7. Per quanto riguarda la sequenza<br />

codificante la proteina E7, essa è stata mutagenizzata in alcuni siti potenzialmente in grado di<br />

interferire con alcune proteine chiave del ciclo cellulare, quali proteine appartenenti alla<br />

classe del retinoblastoma (Rb). Malgrado una simile attività non sia stata attualmente<br />

dimostrata per la proteina E7 di HPV8, il dominio LxCxE presente nella proteina (L27Q,<br />

C29G, E31D) è stato mutagenizzato, in modo da annullare ogni sua possibile interazione con<br />

Rb.<br />

RISULTATI<br />

La descrizione dei risultati del progetto è articolato in due parti:<br />

1. Ottenimento di antisieri specifici per la valutazione dell’espressione di proteine virali<br />

in pianta.<br />

Al momento non erano disponibili antisieri specifici per la valutazione delle proteine L1 ed<br />

E7 di HPV8. Le sequenze L1 ed E7 mutagenizzata (E7Rb-) sono state perciò clonate in<br />

vettori di espressione per batteri, quali pET e pGEX, allo scopo di indurre l’espressione in<br />

batteri di elevate quantità di proteine di origine virale da utilizzare per la produzione di<br />

antisieri policlonali in coniglio. Le proteine virali sono state espresse nel sistema pGEX sotto<br />

forma di proteine di fusione con la porzione GST posizionata all’N-terminale di L1 o E7,<br />

separatamente. Notevoli difficoltà sono state incontrate per l’espressione della proteina di<br />

353


fusione GST-L1 e per la sua purificazione. In particolare, il sistema di espressione in vettori<br />

del tipo pET è stato scartato per inefficienza. In seguito all’ottimizzazione delle condizioni di<br />

espressione e purificazione con vettori di tipo pGEX, è stato possibile purificare entrambe le<br />

proteine da batteri allo stadio nativo, mediante l’uso di cromatografia di affinità. In seguito<br />

alla iniezione di GST-L1 e GST-E7 in coniglio, è stata indotta la produzione di antisieri<br />

specifici per le proteine virali. Utilizzando consuete tecniche immunologiche, è stata valutata<br />

la reattività e la specificità degli antisieri. Gli antisieri policlonali sono stati quindi sottoposti a<br />

purificazione mediante cromatografia di affinità per l’ottenimento di IgG specifiche delle<br />

quali è stato valutato il titolo. Attualmente è in corso la valutazione della specificità di<br />

reazione di queste IgGs nei confronti di proteine L1 ed E7 di altre specie di Papillomavirus<br />

appartenenti al genere Beta-papillomavirus.<br />

2. Espressione di proteine virali in piante modello.<br />

In parallelo, è stata avviata la costruzione di vettori per l’espressione in pianta delle proteine<br />

L1, E7 e di un costrutto di fusione L1-E7. Questi costrutti sono stati utilizzati per fare<br />

esprimere transientemente in N.benthamiana le proteine di HPV8. Gli antisieri specifici<br />

generati grazie al presente progetto sono stati utilizzati per valutare l’avvenuta espressione da<br />

parte del tessuto vegetale e h<strong>anno</strong> permesso di evidenziare proteine di 55 kDa per il costrutto<br />

L1 e di 12 kDa per il costrutto E7, rispettivamente. Sono stati condotti esperimenti volti a<br />

valutare la possibilità di potenziare l’espressione di tali proteine in pianta in sistemi transienti,<br />

mediante l’uso di soppressori di silenziamento genico. E’ noto infatti che una delle ragioni<br />

principali responsabili di una bassa espressione di proteine eterologhe in pianta è il<br />

silenziamento genico post-trascrizionale. Questo consiste nella degradazione degli mRNA<br />

eterologhi in pianta e comporta una espressione ridotta e, al limite, nulla delle proteine di<br />

interesse. Gli esperimenti sono stati condotti mediante la tecnica dell’agroinfiltrazione,<br />

introducendo contemporaneamente in tessuto vegetale adulto di N. benthamiana costrutti in<br />

grado di fare esprimere le proteine di HPV8 e proteine con comprovata attività inibitrice del<br />

silenziamento genico in pianta, originate da virus vegetali, quali ad esempio la proteina p19 di<br />

Tombusvirus. Tali esperimenti h<strong>anno</strong> mostrato un notevole potenziamento della produzione e<br />

accumulo di E7 e h<strong>anno</strong> permesso di rilevare la presenza di discrete quantità di L1, altrimenti<br />

poco rilevabile. Contemporaneamente è stata avviata la trasformazione mediante la tecnica<br />

dell’agrobatterio di tessuto vegetale di N.benthamiana. Sono attualmente in fase di<br />

rigenerazione e selezione alcuni cloni trasformati con E7 e con L1.<br />

Nei prossimi mesi è in previsione il completamento della fase di selezione dei cloni vegetali e<br />

la loro caratterizzazione dal punto di vista biochimico per l’espressione di proteine di origine<br />

virale. Qualora siano disponibili risorse per la prosecuzione, si prevede di valutare il<br />

potenziale immunologico in animali modello, quali topi, per l’individuazione di una risposta<br />

immunitaria nei confronti delle proteine virali prodotte in tessuto vegetale.<br />

354


Francesco Novelli Filone tematico C1<br />

Un approccio innovativo nell'identificazione di antigeni tumorali: l'analisi<br />

serologica del proteoma<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina e Oncologia Sperimentale<br />

OBIETTIVI<br />

Il progetto svolto presso il Centro Ricerche di Medicina Sperimentale dell’Ospedale San<br />

Giovanni Battista e diretto dal Dr. Novelli e' consistito in due principali obiettivi:<br />

1. l’identificazione di nuovi antigeni tumore associati (TAA) espressi dai tumori del<br />

pancreas nell’uomo;<br />

2. l’analisi della capacità delle proteine identificate di indurre un efficace risposta<br />

immunitaria.<br />

MATERIALI E METODI<br />

1. Nella prima fase della ricerca, utilizzando la tecnologia dell’elettroforesi bidimensionale,<br />

siamo riusciti a separare l’intero profilo proteico (proteoma) delle linee di adenocarcinoma<br />

duttale del pancreas CFPAC e MIAPACA1. La risoluzione mappa proteomica delle due le<br />

linee ha messo in evidenza oltre mille proteine evidenziabili come macchie discrete nel gel<br />

(spots) ognuna definita da due coordinate, il punto isoelettrico ed il peso molecolare.<br />

Successivamente, mediante il western blot è stata valutata la capacita delle immunoglobuline<br />

di classe G (IgG) contenute nei sieri di pazienti con adenocarcinoma del pancreas o con<br />

tumori di diverso istotipo (colon, mammella, fegato, ovaio etc) o di individui sani di reagire in<br />

maniera specifica nei confronti dei diversi spots presenti nel proteoma delle linee di<br />

adenocarcinoma pancreatico. Lo “screening” ha evidenziato la capacità di 24 spots proteici di<br />

essere riconosciuti da IgG contenute nel siero pazienti con tumore del pancreas ma non da<br />

quelle contenute nel siero di individui sani o di pazienti con tumori di diverso istotipo.<br />

Mediante spettrometria di massa LCQ-ESI-TOF (electronspray-ionization-time of fly), dodici<br />

di questi 24 spots sono stati identificati come diverse isoforme di tre distinte proteine, l’<br />

enolasi-a, l’heat shock protein 60 e la ciclofillina A. Sono attualmente in corso esperimenti di<br />

spettrometria di massa per identificare le rimanti proteine specificamente riconosciute dagli<br />

anticorpi dei pazienti con adenocarcinoma del pancreas.<br />

3. Nella seconda fase del progetto abbiamo focalizzato la nostra attenzione sulla<br />

caratterizzazione morfologica e funzionale dell’enolasi-a, un enzima ubiquitario che<br />

appartiene al ciclo di Krebs, ma che può anche venire esposto sulla membrana cellulare e<br />

svolgere funzioni recettoriale legando il plasminogeneno. Innanzitutto abbiamo<br />

confermato mediante western blot e anticorpi specifici contro l’enolasi-a che le sei<br />

isoforme identificate dalla spettrometria di massa e riconosciute dagli sieri di pazienti con<br />

carcinoma del pancreas corrispondono proprio all’enolasi-a. Esperimenti di biochimica<br />

h<strong>anno</strong> accertato che gli anticorpi dei pazienti di adenocarcinoma del pancreas riconoscono<br />

la l’enolasi esposta in membrana e sono in corso studi per valutare la loro proprietà<br />

funzionale come ad esempio la capacità di bloccare il legame e l’attivazione del<br />

355


plasminogeno o l'induzione dell’attivazione della citotossicità mediata a anticorpi o dal<br />

complemento. Esperimenti di immunoistochimica sono stati condotti con anticorpi antienolasi-a<br />

per analizzare la distribuzione di questa proteina in sezioni di pancreas normali o<br />

di adenocarcinoma. L’espressione di enolasi-a nel pancreas normale è prevelentemente<br />

localizzata nei piccoli dotti e nelle cellule neuroendocrine, mentre i grandi dotti risulatano<br />

negativi. Al contrario, l’adenocarcinoma del pancreas è caratterizzato da un abbondante ed<br />

aumentata espressione di enolasi-a nei grandi dotti, probabilmente associata ad un<br />

aumento della capacita proliferative del tumore. Per valutare se l’enolasi-a sia in grado di<br />

indurre una efficace risposta immunitaria anche in individui non affetti da tumore, uno<br />

spot corrispondente e ad una isoforma di enolasi-a è stato escisso da un gel<br />

bidimensionale generato da estratti proteici una linea di adenocarcinoma del pancreas ed<br />

utilizzato per “pulsare” delle cellule dendritiche ottenute a partire da linfociti del sangue<br />

periferico di individui sani stimolati per 7 giorni con interleuchina(IL)-4 e fattore per la<br />

stimolazione delle colonie di granulociti e macrofagi (GM-CSF) e successivamente<br />

maturate per con IL-1 e fattore di necrosi tumorale(TNF)-a per due giorni. Le cellule<br />

dendritiche mature pulsate con un pezzettino di gel contenente o no enolasi-a sono state<br />

poi messe coltivate per cinque giorni con linfociti T autologhi ed è stata misurata la<br />

proliferazione mediante il test di incorporazione di timidina triziata. Abbiamo chiaramente<br />

osservato che soltanto i linfociti T esposti alle cellule dendritche pulsate con enolasi-a<br />

erano in grado di proliferare, indicando che l’enolasi-a, pur essendo una proteina “self”, se<br />

opportunamente presentata ai linfociti T da cellule che presentanti l’antigene<br />

professioniste è capace di indurre una risposta proliferativi specifica. Di conseguenza la<br />

capacità enolasi-a di indurre una risposta anticorpale in vivo nei pazienti con<br />

adenocarcinoma del pancreas e la risposta proliferativi dei linfociti T in soggetti sani la<br />

rende un interessante candidato per possibili strategie terapeutiche quali vaccini e terapie<br />

immunomodulanti. Abbiamo inoltre confermato che anche l’enolasi-a ricombinante è in<br />

grado di stimolare la proliferazione di linfociti CD4 e CD8 da parte di vari tipi di cellule<br />

presentanti l’antigene (macrofagi, cellule dendritiche, linfociti B).<br />

CONCLUSIONI<br />

Questi risultati nel loro complesso indicano:<br />

1. che è possibile mediante la SERPA mettere in evidenza la produzione di anticorpi prodotti<br />

ca pazienti con adenocarcinoma del pancreas;<br />

2. che e' possibile mediante western blot vagliare la specificità degli autoanticorpi per<br />

proteine dell'adenocarcinoma.<br />

Tra i divesi antigeni antigeni riconosciuti dagli anticorpi, e che sono in corso di<br />

identificazione ne abbiamo, identificato uno corrispondente alla enolasi-a, ed abbiamo<br />

dimostrato che la sua espressione è associata all'adenocarcinoma pancreatico e che esso è in<br />

grado di attivare risposta immunitari cellulare se propriamente presentato dalle cellule<br />

dendritiche.<br />

Questi risultati indicano che l'analisi serologica del proteoma e' un'utile, rapido ed innovativo<br />

approccio per identificare antigeni tumorali.<br />

356


Fabio Orlandi Filone tematico C1<br />

Valutazione del marker di malignità tiroidea galectina-3 in ELISA su<br />

eluato da citoaspirato tiroideo e su siero.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La patologia nodulare tiroidea rappresenta un’affezione molto frequente. La biopsia con ago<br />

sottile (FNAB) è a tutt’oggi lo strumento diagnostico preoperatorio più affidabile, sebbene<br />

risulti poco sensibile di differenziare l’adenoma dal carcinoma follicolare. Nella ricerca di<br />

marcatori molecolari di malignità tiroidea atti a discriminare preoperatoriamente i carcinomi<br />

dalle neoplasie benigne un importante contributo è stato fornito dalla galectina-3 (Gal3).<br />

L’espressione citoplasmatica di questa lectina, valutata con metodo immunocitochimico,<br />

appare limitata ai tireociti a fenotipo maligno. Recenti studi h<strong>anno</strong> inoltre messo in evidenza<br />

valori di Gal3 significativamente più elevati in soggetti portatori di altri tipi di neoplasia<br />

maligna (mammaria, gastrointestinale, ovarica, ecc) con o senza metastasi rispetto ai controlli<br />

sani.<br />

OBIETTIVO<br />

Scopo di questo studio prospettico è stato quello di mettere a punto un metodo di dosaggio<br />

quantitativo immunofluorimetrico (ELISA) della Gal3, sia su siero sia su materiale citologico<br />

da eluato tiroideo ottenuto per citoaspirazione, di soggetti sani e di pazienti portatori di<br />

patologia nodulare tiroidea, con l’obiettivo di identificare range di valori di concentrazione<br />

della molecola normali e patologici in grado di essere utilizzati a scopo diagnostico.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Sono stati selezionati ed arruolati nel nostro ambulatorio di citoaspirazione tiroidea 80<br />

pazienti portatori di patologia nodulare (benigna e maligna) uni e multinodulare con<br />

indicazione all’esecuzione dell’esame citoaspirato e che non fossero affetti da patologia<br />

tiroidea iper/ipofunzione subclinica o franca, da patologia immunoreumatologica e<br />

neoplastica non tiroidea pregressa o attuale. Tutte le informazioni clinico-anamnestiche di<br />

ogni singolo paziente sono state raccolte in un database informatico apposito. Un totale di 37<br />

pazienti sono stati sottoposti all’FNAB e al prelievo citologico per la valutazione in ELISA<br />

della Gal3 intratiroidea, previo consenso informato scritto, mentre di altri 43 pazienti si è<br />

ottenuto un campione di sangue periferico per la valutazione in ELISA della molecola su<br />

siero. Poiché solo la quota di Gal3 citoplasmatica delle cellule follicolari è indice di malignità,<br />

il materiale citologico tiroideo prelevato è stato sottoposto ad un pretrattamento atto al<br />

recupero del solo contenuto proteico citoplasmatico e non quello nucleare. Infine, è stata<br />

messa a punto la metodica ELISA di dosaggio della Gal3 sia su siero che su eluato. Sono stati<br />

valutati i sieri di 43 pazienti portatori di nodo tiroideo [11 carcinomi papillari (CP), uno con<br />

estesa infiltrazione linfocitaria, e 9 carcinomi follicolari (CF), entrambi con T>2, N0, M0, 12<br />

adenomi follicolari (AF), 10 strumi macrofollicolari (ST), 1 tiroidite cronica<br />

linfocitaria(TIR)]. Sono stati inoltre studiati come controlli 10 soggetti sani non fumatori.<br />

357


I risultati h<strong>anno</strong> evidenziato una concentrazione media di Gal3 di 43,95 ng/ml (range: 3,67-<br />

82,91) nei CP, di 79,33 ng/ml (range: 13,58-218,27) nei CF, di 59,52 ng/ml (range: 11,93-<br />

108,49) negli AF, di 75,62 ng/ml (range: 43,29-103,54) negli st, di 44,94 ng/ml nelle TIR, di<br />

25,13 ng/ml (range: 13,58-44,94) nei sani ed infine di 77,96 ng/ml nel caso di CP con TIR.<br />

Sebbene nessuna differenza statisticamente significativa sia emersa dal confronto tra i gruppi<br />

di pazienti studiati (p>0,05), i carcinomi (4 casi) che istologicamente presentavano massiva<br />

angioinvasività avevano valori di concentrazione sierica di Gal3 significativamente più elevati<br />

(media: 210,95 ng/ml) rispetto a quelli senza o con minima infiltrazione vascolare.<br />

Per quanto riguarda la valutazione quantitativa della Gal3 citoplasmatica da cellule tiroidee<br />

ottenute da eluato tiroideo (37 casi) sono stati invece identificati valori di concentrazione<br />

media di Gal3 significativamente più alti (p


Maria Orlando Filone tematico A5<br />

<strong>Ricerca</strong> sull’incidenza della guarigione dei minori sintomatici correlata al<br />

miglioramento della funzione genitoriale<br />

Asl 5 – U.O.S. di Psicologia<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Questa ricerca si pone come obiettivo la valutazione degli effetti della terapia familiare in<br />

situazioni di abuso, maltrattamento fisico e psicologico, attraverso la tecnica del test – retest a<br />

distanza di un <strong>anno</strong> di psicoterapia. L’assunto di base considera il maltrattamento psicologico<br />

infantile come risultato del funzionamento di un sistema relazionale familiare che provoca<br />

sofferenza per tutti i membri. Si ritiene il semplice intervento di cura individuale sul minore<br />

non sufficiente a modificare gli schemi familiari disfunzionali, in quanto ogni membro gioca<br />

un ruolo interconnesso a quello degli altri.<br />

CAMPIONE<br />

Sono stati stabiliti dei criteri di definizione del campione che h<strong>anno</strong> portato alla selezione di 5<br />

famiglie per un totale di 9 bambini. In tutti i nuclei vi sono figli con diagnosi di sindrome da<br />

stress post-traumatica o grave quadro psicopatologico. Le famiglie sono caratterizzate come<br />

segue: Fam1: genitori conviventi, 6 figli di cui solo i primi 4 presi in carico dai servizi,<br />

attualmente in comunità (presunto abuso). Fam2: genitori separati, 2 figli, di cui solo il<br />

minore in carico, entrambi affidati a madre (padre tossicodipendente). Fam3: genitori separati,<br />

2 figli, entrambi in carico e in comunità con la madre (padre presunto abusante). Fam4:<br />

genitori separati, 2 figli, di cui solo il minore in carico, entrambi affidati a madre (padre<br />

presunto abusante). Fam5: genitori separati, 1 figlio in carico (affidamento congiunto).<br />

STRUMENTI<br />

Per valutare l’eventuale cambiamento in seguito alla terapia sono stati utilizzati i seguenti<br />

strumenti: CBCL, Child Behavior Checklist (per età 4-18, Achenbach, 2001). E’ un<br />

questionario auto-somministrato ai genitori che esplora competenze sociali, relazionali,<br />

problemi emotivi e comportamentali dei figli. È stato utilizzato per l’analisi del campione<br />

senza retest. FRT, Family Relations Test (Bene e Anthony, 1985): fornisce un quadro<br />

integrato dei sentimenti che il paziente e gli altri membri della famiglia nutrono l’uno verso<br />

l’altro (somministrato ai bambini e ai genitori). TEC, Test of Emotion Comprehension (per<br />

età 3-11, Pons e Harris, 2000): permette di valutare gli aspetti principali che concorrono alla<br />

comprensione delle emozioni. Consente di confrontare il profilo dei bambini rispetto alla<br />

competenza attesa per l’età e di registrare i cambiamenti che si verificano nella comprensione<br />

dei vissuti emotivi dopo la terapia.<br />

OBSERVER (software per analisi osservative mediante schema di codifica). Ha permesso di<br />

valutare il cambiamento tra la seduta iniziale e finale della terapia.<br />

ANALISI DEI DATI CBCL<br />

Il manuale del test fornisce i valori borderline (B) e clinici (C) per le singole scale di seguito<br />

evidenziate. Fam1: ansia, difficoltà attentive, aggressività (B) in F1; in F2 difficoltà attentive<br />

e aggressività (C); ansia, problemi sociali, comportamento senza regole (B) e aggressività (C)<br />

in F3 Fam2: ansia (B) e aggressività (C) in F2 Fam3: problemi attentivi e aggressività (C) in<br />

F1 Fam4: nella norma (somministrato solo alla madre protettiva già in trattamento da due<br />

anni). Fam5: ansia (B) e depressione (C) in F1 (1^oss), nella norma (2^oss). Solo in questo<br />

359


caso, in via sperimentale, abbiamo raccolto il confronto inizio-fine trattamento: è significativo<br />

il passaggio da valori clinici a valori normativi. FRT Evidenziamo i cambiamenti verificatisi<br />

in seguito all’intervento terapeutico indicando sia quelli statisticamente significativi


Giancarlo Orofino Filone tematico A4<br />

Inserimento della prevenzione HIV nella cura di persone HIV positive:<br />

applicazione di linee guida internazionali<br />

Asl 3<br />

OBIETTIVI<br />

Gli obiettivi iniziali del progetto consistevano in:<br />

• valutare l’applicabilità delle raccomandazioni degli esperti, contenute anche nelle linee<br />

guida internazionali americane sulla terapia antiretrovirale, in materia di prevenzione della<br />

diffusione di HIV sulla e nella popolazione HIV infetta afferente ad un cento italiano;<br />

• organizzare una equipe che sappia rilevare pratiche e comportamenti a rischio e favorire il<br />

cambiamento di tali atteggiamenti attraverso un modello operativo, di indagine ed<br />

intervento, che sia riproducibile anche in altri centri;<br />

• valutare l’accettazione da parte dei pazienti di tale modello operativo.<br />

MATERIALI E METODI<br />

E’ stato costituito un gruppo di lavoro formato dal medico infettivologo, dallo psicologo,<br />

dell’educatore (2 unità), del medico sessuologo; sono state svolte riunioni di tipo formativo<br />

finalizzate a:<br />

a) aumentare il grado di conoscenza su HIV/AIDS, soprattutto sul campo preventivo e<br />

curativo,<br />

b) aumentare il grado di conoscenza delle principali disfunzioni sessuali e loro approcci<br />

diagnostici,<br />

c) acquisire nozioni di psicologia clinica, inerenti in particolare alla infezione da HIV-AIDS,<br />

d) elaborazione e stesura di un questionario da utilizzare con i pazienti.<br />

Si sono utilizzati i seguenti strumenti:<br />

1. questionario (30 items a risposta SI/NO) sul grado di conoscenza della malattia da<br />

HIV/AIDS (rielaborazione parziale di un questionario gentilmente concesso dalla dr.ssa<br />

Luzi dell’ ISS-Telefono Verde AIDS)<br />

2. questionario (non autosomministrato ma configurato come una griglia per una intervista<br />

semistrutturata da parte dell’educatore), di cui al punto d) e che esplorava 6 aree (aspetti<br />

sociodemografici e qualità della salute, contagio, sessualità, affettività, aderenza alla<br />

terapia antiretrovirale, prevenzione)<br />

3. un documento scritto riportante le risposte esatte e i commenti alle domande del<br />

questionario di cui al punto 1.<br />

Metodologia: ai pazienti HIV positivi afferenti all’ambulatorio della Div A di Malattie<br />

Infettive dell’Ospedale è stato chiesto di entrare in questo progetto; a coloro che accettavano,<br />

è stato chiesto di compilare il questionario conoscitivo (vedi punto 1); veniva di seguito<br />

consegnato il documento di verifica e commento delle domande e affermazioni; a coloro che<br />

dichiaravano (rispondendo a domanda esplicita posta dall’infettivologo se negli ultimi 6 mesi<br />

avessero avuto dei comportamenti a rischio, in particolare sesso non protetto) di non rispettare<br />

le norme di prevenzione secondaria oppure lo richiedevano esplicitamente, è stato proposto un<br />

colloquio con l’ educatore e, in casi selezionati, un appoggio di tipo psicosessuologico.<br />

361


Casistica: sono stati contattati 180 soggetti; di questi, 170 (94%) h<strong>anno</strong> dato la disponibilità<br />

ad entrare nel progetto e h<strong>anno</strong> compilato il questionario (134 M/ 36 F); di 149 che h<strong>anno</strong><br />

risposto anche alla domanda sui comportamenti personali, 29 (20%) h<strong>anno</strong> ammesso di aver<br />

corso dei rischi 25 su 29 di questi h<strong>anno</strong> accettato l’intervista semistrutturata con l’educatore;<br />

ad essi si sono aggiunte 20 persone (per un totale di 49 persone) che l’infettivologo ha<br />

ritenuto opportuno appoggiare all’educatore (tra di essi anche alcuni stranieri). 6 persone sono<br />

state inviate a consulenza psicosessuologica.<br />

RISULTATI<br />

Le risposte al questionario maggiormente sbagliate riguardano (tra parentesi la % di errore): il<br />

numero di soggetti HIV positivi in Italia (61%), il rischio collegato al rapporto anale tra<br />

persone sieronegative (48%), se sia sufficiente il test dopo 6 mesi dall’ultimo rapporto a<br />

rischio (39%), la percentuale di passaggio della infezione dalla madre con infezione da HIV al<br />

figlio durante la gravidanza (32%); per quel che riguarda le pratiche a rischio, il 19 % ritiene<br />

che i rapporti orogenitali non siano a rischio mentre il 25 % ritiene che la masturbazione con<br />

una persona HIV positiva sia a rischio e il 31% che il rapporto di penetrazione senza<br />

eiaculazione non sia a rischio. Delle 6 persone (5 M / 1F) avviate a consulenza sessuologia, 5<br />

presentavano deficit erettile e in 1 caso era presente deficit del desiderio.<br />

Un paziente donna (in coppia eterosessuale stabile) ha seguito terapia sessuologica per circa 1<br />

<strong>anno</strong> con buon recupero del tono dell'umore e miglioramento del sintomo sessuale. Un<br />

paziente omosessuale (in coppia stabile) ha completato terapia sessuologica in 6 mesi, con<br />

completa risoluzione del sintomo. Negli altri casi è stato mediamente sufficiente 1 colloquio<br />

al fine di fare ulteriore chiarezza sulla motivazione dei sintomi sessuali.<br />

COMMENTI<br />

L’ambulatorio infettivologico di riferimento per le persone con infezione da HIV si configura<br />

come un luogo naturale ed adeguato per affrontare tematiche di prevenzione se viene<br />

rispettato il criterio organizzativo di multidisciplinarietà; l’infettivologo può essere colui che<br />

propone e dà l’avvio all’iniziativa, partendo anche da problematiche cliniche di grande rilievo<br />

(diffusione di ceppi virali resistenti, possibile sovrainfezione con ceppi più aggressivi di HIV<br />

e acquisizione di altre malattie a trasmissione sessuale da parte dei pazienti HIV positivi, etc.)<br />

ma si è rivelato fondamentale l’inserimento di altre figure professionali, verso le quali il<br />

paziente si sente più libero di esprimersi; questa realtà può in parte spiegare l’alta accettabilità<br />

da parte dei pazienti, sia per quel che riguarda la figura dell’educatore che del sessuologo.<br />

Tutti i pazienti si sono mostrati estremamente contenti di poter confrontarsi rispetto alle<br />

proprie eventuali "condotte a rischio" e alle problematiche sessuali. Gli strumenti utilizzati<br />

sono risultati congrui con le finalità del progetto.<br />

E’ emersa l’indicazione di rivedere alcune domande del questionario e di elaborare un<br />

vademecum semplice (in corso di progettazione e da redigere anche in altre lingue, per avere<br />

dati anche sulla popolazione straniera, che ormai rappresenta il 15 – 18 % della casistica<br />

ambulatoriale) che affronti in maniera semplice le principali questioni di prevenzione (sesso<br />

protetto, pratiche a rischio). Si è evidenziato un quadro di diffusa ignoranza sulla malattia da<br />

HIV da parte dei pazienti, che solo in parte può dipendere dalla difficoltà alla comprensione<br />

di alcune domande poste in negativo, ma in larga parte può ricollegarsi con vera scarsa<br />

conoscenza e che deve fare rivedere l’idea presupposta che i pazienti siano istruiti sulla<br />

malattia; tale dato, tuttavia, deve essere interpretato con cautela, nel senso che l’avere una<br />

concezione sbagliata riguardo ad un comportamento a rischio non vuol dire metterlo in<br />

pratica, ma certo è un messaggio importante che spinge a dedicare più tempo e risorse alla<br />

educazione ed informazione dei pazienti.<br />

362


Piero Paccotti Filone tematico C1<br />

Approccio integrato allo studio della struttura e funzione muscolare:<br />

rilievi genetici, biochimici ed elettromiografici<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche<br />

METODI E RISULTATI<br />

Tutti i soggetti sono stati sottoposti al seguente protocollo di studio:<br />

• riscaldamento su cicloergometro e stretching dei gruppi muscolari successivamente<br />

coinvolti nell’esercizio (arti inferiori e muscolatura glutea);<br />

• esecuzione di 3 contrazioni isometriche volontarie massimali della muscolatura degli arti<br />

inferiori su dinamometro isometrico dedicato (durata di 5 secondi su pressa orizzontale,<br />

con angolo femoro-tibiale di 110°);<br />

• esecuzione di test isometrico protratto con mantenimento per 30 secondi di un carico pari<br />

al 90% del massimale pre-determinato;<br />

• esecuzione di 8 serie da 20 contrazioni isometriche intermittenti (3 secondi di contrazione,<br />

con mantenimento di un carico pari al 90% del massimale, e 1 secondo di recupero), con<br />

recupero di 2 minuti tra ogni serie.<br />

Tutti i soggetti sono stati sottoposti prelievi di materiale ematico e salivare, ai seguenti tempi:<br />

• sangue venoso: pre-esercizio, dopo 5, 15, 30, 60, 90 e 120 minuti dal termine;<br />

• sangue capillare: pre-esercizio, durante l’esercizio (dopo la quarta serie di contrazione<br />

intermittente), dopo 5, 30, 60 minuti dal termine;<br />

• prelievi salivari: agli stessi tempi del campionamento di sangue venoso.<br />

E’ stata fatta una iniziale elaborazione dei test di funzione muscolare meccanica e del<br />

materiale ematico prelevato, i cui risultati possono così essere preliminarmente elencati:<br />

• i soggetti dediti a specialità di potenza h<strong>anno</strong> presentato maggiori valori di forza<br />

isometrica massimale degli arti inferiori rispetto ai soggetti di resistenza;<br />

• le tre prove di determinazione della massima contrazione isometrica volontaria h<strong>anno</strong><br />

dimostrato una elevata ripetibilità del test (elevato coefficiente di correlazione intraindividuale);<br />

• la performance al test isometrico protratto per 30 secondi ha documentato significative<br />

differenze tra i soggetti dei due gruppi: l’entità di decremento della forza espressa durante<br />

i 30 secondi di contrazione è risultata minore nei soggetti di resistenza rispetto a quelli di<br />

potenza;<br />

• la risposta lattacidemica al test intermittente è risultata maggiore nei potenti rispetto ai<br />

resistenti, sia in termini di picco dei livelli ematici che in termini di area sotto la curva<br />

della risposta;<br />

• si è osservata una significativa risposta citochinica sierica all’esercizio isometrico, con<br />

rilievo di importante variabilità inter-individuale: i livelli sierici di picco di interleuchina-6<br />

(IL-6) sono risultati compresi tra 3 e 10 pg/ml in un sottogruppo di 8 atleti, mentre nei<br />

363


estanti 27 soggetti la risposta di IL-6, per quanto significativa, ha prodotto livelli di picco<br />

inferiori a 3 pg/ml.<br />

La prosecuzione delle elaborazioni sarà principalmente volta a:<br />

• caratterizzare le manifestazioni mioelettriche di fatica in ogni soggetto, sia quelle relative<br />

al test isometrico protratto per 30 secondi, sia quelle associate al test intermittente; -<br />

definire gli effetti della composizione muscolare (indirettamente valutata nei termini di<br />

anamnesi sportiva e prestazione funzionale meccanica di ogni soggetto) sulle<br />

manifestazioni mioelettriche di fatica;<br />

• quantificare il peso del recupero tra le ripetizioni nel determinismo della fatica<br />

mioelettrica (attraverso il confronto tra i 30 secondi di esercizio isometrico protratto e le<br />

prime 10 ripetizioni dell’esercizio intermittente);<br />

• stabilire l’esistenza di correlazioni tra il fenotipo muscolare (determinato in base alle<br />

performance meccanica e elettromiografica) e la risposta ormonale e citochinica (IL-6)<br />

all’esercizio;<br />

• approfondire il problema dei rapporti tra la produzione sistemica (muscolare) e quella<br />

locale (ghiandole salivari) di IL-6: un precedente lavoro del nostro gruppo non ha<br />

documentato l’esistenza di correlazioni tra gli incrementi salivari e quelli sierici in<br />

risposta all’esercizio isocinetico.<br />

364


Gian Franco Pagano Filone tematico B3<br />

La razionalizzazione della dieta da sola puo’ controllare la sindrome<br />

metabolica e il rischio cardiovascolare connesso?<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina Interna<br />

OBIETTIVO<br />

Scopo di questo studio è stato valutare l’efficacia di un programma di counseling intensivo<br />

rispetto ad uno tradizionale nel modificare l’alimentazione e lo stile di vita dei pazienti con<br />

più elementi della sindrome metabolica (definita secondo i criteri ATPIII del 2001).<br />

MATERIALI E METODI<br />

Si tratta di uno studio prospettico randomizzato, innestato in una indagine conoscitiva su un<br />

campione della popolazione generale di Asti, con l’obiettivo primario di confrontare la<br />

proporzione di soggetti nei due bracci in studio che a 12 mesi dall’inizio dell’intervento<br />

abbiano mostrato una regressione di parte o di tutti gli elementi che definiscono la sindrome e<br />

che quindi non rientrino più nella categoria a rischio. E’ stata eseguita la randomizzazione in<br />

due gruppi, dopo stratificazione per: fascia di età (3 livelli), medico di famiglia (2 per ciascun<br />

distretto), sesso, n° di componenti della SM (due livelli: 3 o >3). Sono stati così randomizzati<br />

188 soggetti a ricevere il counseling “convenzionale” (convocati dal medico di famiglia per<br />

una informazione sul rischio metabolico e vascolare, con raccomandazioni sullo stile di vita e<br />

sulla corretta alimentazione) e 187 individui a ricevere l’intervento sperimentale “intensivo”.<br />

Tale intervento è stato così articolato: prima visita individuale, visita 2 collettiva = dopo 1<br />

mese; visita 3 collettiva = dopo 3 mesi; visita 4, individuale con prelievo ematico e<br />

misurazioni antropometriche = dopo 6 mesi; visita 5, collettiva = dopo 9 mesi; visita 6<br />

individuale con prelievo ematico e misurazioni antropometriche = dopo 12 mesi.<br />

I pazienti sono stati istruiti e motivati da personale dedicato (medico + nutrizionista), sono<br />

state fornite dettagliate informazioni sulla composizione degli alimenti, sulla opportunità di<br />

scelte motivate, sono stati forniti schemi di alimentazione personalizzati e indicazioni volte a<br />

correggere abitudini e stili di vita noti per essere importanti fattori di rischio. Con l’ausilio di<br />

materiale cartaceo e proiettato i pazienti sono stati stimolati ad una costante e almeno<br />

moderata attività fisica. Le visite collettive sono state organizzate in piccolo gruppi di lavoro,<br />

con largo spazio interattivo e di coinvolgimento partecipativo dei soggetti.<br />

RISULTATI<br />

E’ in corso la rivalutazione dei dati antropometrici e laboratoristici dei partecipanti, al fine di<br />

valutare:<br />

1. la proporzione di pazienti che dopo l’intervento presentano


3. la proporzione di pazienti che h<strong>anno</strong> presentato una normalizzazione per singolo<br />

componente della SM.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

1. BO S, GAMBINO R, DURAZZO M, GUIDI S, TIOZZO E, GHIONE F, GENTILE L,<br />

CASSADER M, PAGANO G. -glutamil transferase, metabolic abnormalities and<br />

Associations between inflammation in healthy subjects from a population-based cohort: a<br />

possibile implication for oxidative stress. World J Gastroenterol 11:7109-7117,2005 IF=<br />

3.318<br />

2. BO S, CICCONE G, ROSATO R, GANCIA R, GRASSI G, MERLETTI F, PAGANO G.<br />

Renal damage in patients with type 2 diabetes: a strong predictor of mortality. Diabetic<br />

Medicine 22:258-265,2005. IF= 2.235<br />

3. BO S, GAMBINO R, PAGANI A, GUIDI S, GENTILE L, CASSADER M, PAGANO G.<br />

Relationships between human serum resistin, inflammatory markers and insulin<br />

resistance. Int J Obes Relat Disord 2005<br />

4. BO S, GAMBINO R, UBERTI B, MANGIAMELI MP, COLOSSO G, REPETTI E,<br />

GENTILE L, CASSADER M. PAGANO G. Does C-reactive protein identify a subclinical<br />

metabolic disease in healthy subjects? Eur J Clin Invest 35:265-270,2005 IF= 2.346<br />

5. BO S, GAMBINO R, GUIDI S, SILLI B, GENTILE L, CASSADER M, PAGANO G.<br />

Plasma nitrotyrosine levels, antioxidant vitamins and hyperpgycaemia. Diabet Med<br />

22:1185-9,2005 IF= 2.235<br />

6. BO S, GENTILE L, CICCONE G, BALDI C, BENINI L, DUSIO F, LUCIA C,<br />

FORASTIERE G, NUTI C, CASSADER M, PAGANO G. The metabolic syndrome and<br />

high C-reactive protein: prevalence and differences by sex in a southern-European<br />

population-based cohort. Diabetes Metab Res Rev 21:515-524,2005 IF=3.133<br />

7. BO S, LEZO A, MENATO G, GALLO ML, BARDELLI C, SIGNORILE A, BERUTTI<br />

C, MASSOBRIO M, PAGANO G. Gestational hyperglycemia, zinc, selenium, and<br />

antoxidant vitamins. Nutrition 21:186-191,2005. IF= 2.324<br />

8. BO S, SIGNORILE A, MENATO G, GAMBINO R, BARDELLI C, GALLO ML,<br />

CASSADER M, MASSOBRIO M, PAGANO G. C-reactive protein and in gestational<br />

hyperglycemia. J Endocrinol Invest tumor necrosis factor- 28:779-786,2005 IF= 1.621<br />

366


Augusta Palmo Filone tematico B3<br />

Studio prospettico su supplementazione in antiossidanti nei soggetti in<br />

nutrizione parenterale domiciliare long-term<br />

ASO S. Giovanni Battista – Struttura Complessa<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Nostri precedenti studi h<strong>anno</strong> dimostrato la presenza di uno stress ossidativo in pazienti con<br />

Insufficienza Intestinale Cronica Benigna (IICB) in nutrizione parenterale di lunga durata.<br />

Infatti in questi pazienti vi era un aumento dei livelli plasmati ci di MDA (Malondialdeide) e<br />

HNE (4 Idrossinonenale), aldeidi terminali del!a perossidazione lipidica; è stata evidenziata<br />

una relazione significativa fra questi e l'apporto ev di selenio e livello ematico di vit E.<br />

Sulla base di tali risultati si è progettato uno studio prospettico di intervento nutrizionale per<br />

valutare l'eventuale efficacia sullo stato ossidativo (valutato con gli stessi indici) di ulteriori<br />

supplementazioni dei due micronutrienti in precedenza risultati insufficienti.<br />

Scopo del nostro lavoro è stato quello di verificare l'ipotesi per cui la perossidazione lipidica<br />

possa essere controbilanciata da un apporto di antiossidanti più elevato rispetto ai normali<br />

fabbisogni.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Sono stati inclusi nello studio 18 pazienti con IICB in trattamento NPD da almeno 6 mesi.<br />

Sono stati esclusi i pazienti con:<br />

• clearance creatininica < 40 ml/die per almeno 2 determinazioni consecutive;<br />

• situazione infiammatoria acuta all'inizio dello studio e durante il follow up.<br />

Il programma nutrizionale ev è stato stabile per tutta la durata dello studio con i seguenti<br />

apporti medi: aminoacidi: 50.6 ± 24.1 g/d; lipidi: 786 ± 450 ml/sett; acidi grassi poliinsaturi<br />

(PUFA): 39 ± 28 g/sett; carboidrati: 136 ± 77 g/d; volume infuso: 1916 ± 634 ml/d; n<br />

infusioni/sett: 5.4 ± 1.5.<br />

Gli apporti di micronutri enti all'inizio dello studio erano stabiliti sulla fase delle dosi<br />

giornaliere raccomandate per la nutrizione parenterale e valutati periodicamente con gli indici<br />

nutrizionali individuati a livello internazionale per ogni micronutriente.<br />

Fasi dello studio:<br />

• Valutazione come stato ossidativo al tempo basale (Se t O)<br />

• Supplementazione ulteriore ev di Selenio per 60 giorni: raddoppiata la quota di Se<br />

normalmente infusa ai pazienti con P-Se < 80 µ/l (valore centrale del range di<br />

riferimento). La popolazione è stata suddivisa in due gruppi: A (n=12), ulteriormente<br />

supplementato e B non liÌteriormente supplementato<br />

• Se t 1: come Se t 0, dopo 60 giorni<br />

• A 60 giorni dalla sospensione della supplementazione ricontrollo per gli stessi indici (120<br />

giorni dall’inizio dello studio: Se t 2).<br />

• Dopo un periodo di wash out di 4 mesi si è provveduto alla supplementazione per os con<br />

367


vit E (2100 mg/sett), con le stesse modalità: E t 0, E t 1, E t 2.<br />

Il protocollo dello studio prevedeva la valutazione dei seguenti parametri:VES, PCR, AST,<br />

ALT, γGT, clearance della creatinina, P-Se, RBC-GSHPxSe, P-ac. Ascorbico e<br />

deidroascorbico, P-retinolo, P-tocoferolo, RBC-GSH/GSSG, P-MDA e P-HNE.<br />

RISULTATI:<br />

I risultati sono esposti nelle seguenti tabelle<br />

1. Supplementazione con selenio. Le variazioni significative (test t di student) sono state a<br />

carico di: P-Se da 61,08 ± 18.7 ug/l (basale) a 88 ± 17.8 ug/l (t1), a 71.6 ± 16.9 ug/l (t2); P-<br />

DHAA da 0.0 ± 0.1 mg/L a 0.2 ±0.3 mg/L(t 1), a 0.0 ± 0.0 mg/L(t2); RBC-GSSG da 0,8 ±<br />

0,3 uMol/g HB a 1,2 ± 0,4 uMol/g HB(t1), a 1,0 ± 0,3 uMol/g HB. Gli indici di<br />

perossidazione non h<strong>anno</strong> dato variazioni significative.<br />

2. Supplementazione con vitamina E. Le variazioni significative (test t di student) sono state a<br />

carico di: P-AA: da 8,6 ± 4,0 a 6,4 ± 2,2 (t1), a 9,9 ± 3,6 mg/L(t2); RBC-GSH:da 4,8 ± 1,3<br />

uMol/g HB a 3,5 ± 1,2 (t1), a 3,5 ±1,2 (t2); RBC-GSSG: da 1,2 ± 0,3 a 0,8 ± 0,3 (t1),a 1,0 ±<br />

0,5 (t2); RBC-GSH tot da 2391 ± 514 uMol/L a 1681 ± 492 (t1), a 1828 ± 659 (t2); MDA: da<br />

4,9 ± 1,1 a 4,1 ± 0,6 uMol/L (t1), 5,4 ±1,2 (t2).<br />

CONCLUSIONI<br />

La supplementazione ulteriore con selenio ha dato:<br />

• Un aumento (non significativo) dell'attività della glutatione per ossidasi.<br />

• Una situazione borderline dello stato infiammatorio (v. VES) già dal basale e non<br />

modificato.<br />

• GGT già mossa a partire dal t. basale.<br />

• Lieve risparmio di vitamina C.<br />

• Nessun effetto su vitamine A, E. f<br />

• Aumento della quota ossidata del glutatione e del GSH totale.<br />

• Nessuna variazione nei livelli plasmatici delle aldeidi<br />

La supplementazione ulteriore con vitamina E ha dato:<br />

• Una importante riduzione di glutatione perossidasi, GSH e GSSG<br />

• Una situazione borderline dello stato infiammatorio (v. VES) già dal basale e non<br />

modificato<br />

• Una riduzione del livello medio plasmatici di acido ascorbico<br />

• Il dosaggio del tocoferolo plasmatico non ha rilevato il diverso apporto di vit E<br />

• Una riduzione dei livelli delle aldeidi plasmatiche<br />

Sono necessarie ulteriori indagini per valutare la durata efficace della supplementazione di<br />

selenio, l'eventualeutilità della determinazione intracellulare del tocoferolo e la<br />

supplementazione contemporanea di Se e vit E.<br />

368


Pierino Panarisi Filone tematico C1<br />

La famiglia in un sistema aziendale: il caregiver come risorsa nelle cura<br />

al paziente con problemi cronici invalidanti<br />

ASO S. Giovanni Battista<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Le trasformazioni demografiche e socio-economiche dello scenario italiano h<strong>anno</strong> influenzato<br />

nell’ultimo decennio l’orientamento delle scelte normative ed organizzative che<br />

necessariamente debbono razionalizzare la spesa derivata dalla domanda sempre più<br />

crescente. L’attenzione alla riduzione delle giornate di degenza derivata da questo processo,<br />

ha condotto necessariamente alla contrazione del tempo di ricovero. Al paziente, conclusa la<br />

fase acuta della malattia, sono proposte le dimissioni. Ciò è sicuramente funzionale per<br />

persone che, superato l’empasse della malattia, riacquistano completamente le proprie<br />

funzioni o necessitano di cure ambulatoriali semplici, ma per le persone che h<strong>anno</strong> bisogno di<br />

assistenza continua o di cure complesse la dimissione può diventare un problema dovuto alla<br />

fragilità della persona anziana e l’assenza di una rete di tutela. I pazienti con patologie<br />

croniche degenerative o invalidanti, sono inseriti in un sistema di cure dove, nonostante gli<br />

intenti, la distribuzione del lavoro, delle attività e delle responsabilità continua ad essere<br />

organizzata in sottosistemi omogenei non sempre fra loro interagenti (cure ospedaliere, cure<br />

domiciliari, cure residenziali, assistenza sociale), il paziente nel suo percorso può passare da<br />

uno all’altro rischiando di perdere i propri riferimenti terapeutici ed assistenziali. Di<br />

conseguenza il disorientamento prodotto da questo tipo di organizzazione può portare alla<br />

richiesta di ricoveri inappropriati, al rifiuto delle dimissioni.<br />

OBIETTIVI<br />

Sono queste le principali motivazioni che h<strong>anno</strong> portato a iniziare un percorso che ha come<br />

obiettivo quello di individuare le modalità di integrazione nel processo di cura della famiglia<br />

dei pazienti dimissibili a domicilio sviluppando un modello strutturato di riferimento che<br />

riconosca le potenzialità del caregiver e lo inserisca stabilmente nel processo assistenziale.<br />

Attraverso uno studio pilota svolto in quattro reparti di degenza (oncologia geriatria) dove<br />

sono principalmente ricoverate persone con problemi di salute di tipo cronico-invalidante è<br />

stato ridefinito il processo assistenziale inserendovi il caregiver, ciò ha comportato la<br />

necessità di identificare:<br />

1. gli strumenti utili a valutare la complessità assistenziale per individuare correttamente i<br />

pazienti da inserire nel percorso;<br />

2. stabilire le modalità per identificare i caregiver,<br />

3. definire le tecniche per l’assistenza utili al caregiver affinché possa “sapere” e “saper”<br />

fare.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Lo studio ha considerato i pazienti che necessitano di un supporto assistenziale a domicilio<br />

escludendo quindi i ricoverati gravi. Per misurare la complessità assistenziale e progettare la<br />

fattibilità dell’inserimento del caregiver già nella fase di accettazione del paziente, si sono<br />

scelte le scale di valutazione proposte dalla <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> per le cure<br />

domiciliari.(IADL;ADL; CIRS; DISCO). Il caregiver da inserire nel percorso assistenziale è<br />

stato individuato sulla base della sua disponibilità e delle preferenze del paziente. Per poter<br />

369


meglio comprendere durante il colloquio iniziale l’esistenza di problematiche familiari in<br />

grado di impedire l’attivazione del processo di training,, le cause di ostacolo alla dimissione<br />

sono inserite nella raccolta dati volta all’identificazione del caregiver. Al fine di comprendere<br />

ciò che il caregiver deve “sapere” e “saper fare” per potersi occupare del paziente alla sua<br />

dimissione, e nel contempo riconoscere le effettive difficoltà di queste persone si è proceduto<br />

su piani contemporanei:<br />

• Interviste ai caregiver. ·<br />

• Interviste agli operatori territoriali che operano con i caregiver.<br />

• Analisi del processo assistenziale.<br />

RISULTATI<br />

L’analisi della situazione esistente, e le informazioni scaturite dal confronto tra i componenti<br />

del gruppo di lavoro, i risultati delle interviste e la letteratura h<strong>anno</strong> comportato le definizione<br />

del nuovo processo assistenziale di riferimento, e degli strumenti applicativi per la sua<br />

realizzazione. Le principali fasi del nuove segmento organizzativo prevedono:<br />

1. la valutazione della complessità assistenziale<br />

2. la raccolta dati sul caregiver<br />

3. l’identificazione di un potenziale caregiver<br />

4. il controllo del training<br />

5. la valutazione dei risultati del training prima della dimissione.<br />

Per l’attuazione del nuovo modello sono stati prodotti i seguenti strumenti operativi:<br />

Libretto informativo per il caregiver, una raccolta delle informazioni tecniche utilizzate nel<br />

training<br />

Guida all’inserimento del caregiver nel processo assistenziale.<br />

Una raccolta delle schede operative utili agli operatori per controllare il nuovo processo,<br />

identificare le problematiche e porvi le eventuali correzioni.<br />

CONCLUSIONI<br />

Lo studio vuole contribuire a migliorare il processo di integrazione fra ospedale e territorio,<br />

sostenendo le famiglie sempre più coinvolte nel processo di cura, ed è in linea con i dettami<br />

del Piano Sanitario Nazionale che stabilisce: “l’obiettivo prioritario è la realizzazione di un<br />

processo di riordino che garantisca un elevato livello di integrazione tra i diversi servizi<br />

sanitari e sociali…” L’impatto positivo di questo modello, e la sua diffusione nelle Strutture<br />

Complesse Aziendali potrà ridurre le giornate di degenza per i pazienti che necessitano di<br />

assistenza a domicilio. Questa proposta si può rivelare efficace solo qualora il rifiuto delle<br />

dimissioni sia condizionato da problemi risolvibili attraverso il training di addestramento.<br />

Anche se siamo lontano dal risolvere il problema delle protrarsi delle giornate di degenza, la<br />

diffusione di questo modello consente di agire sul 47% dei pazienti ricoverati in attesa di<br />

essere trasferiti presso altre strutture a bassa o media complessità. Ma, al di là, delle ragioni<br />

organizzative, questo studio ha permesso anche di riflettere su come il concetto di accoglienza<br />

debba superare la forma, per concretizzarsi nel prendersi cura della persona ricoverata.<br />

L’organizzazione ospedaliera troppe volte crea un muro fra se e la famiglia dei pazienti, una<br />

barriera fatta di regole, di orari, di silenzi, l’ambizione di questo lavoro è quindi anche quella<br />

di rivedere l’attuale modello organizzativo, lasciando maggior spazio ad un approccio alla<br />

persona, dove senza limitare le cure ci sia spazio anche per il “care”. Il responsabile delle<br />

ricerca Dott. Pierino Panarisi.<br />

370


Massimiliano Panella Filone tematico C1<br />

Sperimentazione di un modello di gestione integrata del paziente<br />

schizofrenico<br />

Asl 13<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La schizofrenia è una grave patologia psichiatrica con caratteristiche di cronicità che colpisce<br />

il funzionamento globale dell’individuo, nel senso della sua individualità. Si manifesta, in<br />

generale, con alterazioni delle percezioni, del pensiero, dell’affettività e quindi, del<br />

comportamento della persona. Nello specifico della schizofrenia sono attualmente reperibili in<br />

letteratura poche esperienze relative a programmi di Disease Management (DM), tuttavia, i<br />

dati presenti sull’efficacia non sono univoci. L’obiettivo della ricerca consiste nella<br />

valutazione di efficacia degli effetti derivanti dall’implementazione di un programma di DM<br />

per i pazienti schizofrenici presso il DSM Nord dell’ASL 13 di Novara.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Il disegno dello studio si identifica in un Concurrent Control Trial, applicato per confrontare i<br />

risultati di un gruppo di intervento con quelli di un gruppo di controllo, appaiato per<br />

caratteristiche. Nella ricerca, il gruppo di intervento è rappresentato dai soggetti affetti da<br />

schizofrenia afferenti al DSM Nord, presso cui è stato implemento il programma di DM,<br />

mentre il gruppo di controllo è rappresentato dalle strutture del DSM dell’ASL 11 di Vercelli<br />

(Centro di Salute Mentale-CSM- di Borgosesia e il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cure -<br />

SPDC- di Vercelli e i Centri Diurni di Borgosesia e Gattinara).<br />

Per la valutazione dell’efficacia del programma di DM è stato definito un apposito set di<br />

indicatori di processo tratti dalla letteratura internazionale (tra cui: compilazione della<br />

documentazione clinica, valutazione testistica, definizione di piano terapeutico, applicazione<br />

VGF, condivisione del progetto terapeutico, somministrazione di farmaci, applicazione di<br />

procedura di contenzione e TSO). Al fine di testare e rendere operativi gli strumenti<br />

approntati per la ricerca, è stato condotto uno studio pilota che ha consentito di valutare la<br />

reale applicabilità degli indicatori. La ricerca ha una durata complessiva di 24 mesi (di cui 12<br />

finanziati con i fondi regionali), con un primo momento di monitoraggio<br />

dell’implementazione del profilo a tre mesi dall’inizio della sperimentazione.<br />

RISULTATI<br />

Il campione, diviso tra Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC), Centro di Salute<br />

Mentale (CSM) e Centro Diurno (CD), consta rispettivamente di 89 soggetti, di cui 18<br />

reclutati in SPDC, 26 al CSM e 45 al CD dell’ASL 13 di Novara, mentre per i controlli i<br />

soggetti sono complessivamente 29 (13 per l’SPDC, 5 al CSM e 11 al CD). La numerosità dei<br />

soggetti selezionati è proporzionale al bacino di utenza delle due ASL. Dallo studio sono<br />

emerse differenze tra i due gruppi, alcune di queste statisticamente significative. Per quanto<br />

riguarda i soggetti reclutati in SPDC dell’ASL 13, il 38,89% del campione era composto da<br />

femmine e il 61,11% maschi, mentre presso l’SPDC di Vercelli il 15,38% dei reclutati erano<br />

donne e 84,62% uomini. Entrambi i gruppi compilano in modo metodico l’esame obiettivo<br />

psichico e quello generale, mentre, solo presso i casi si tiene una riunione settimanale con<br />

l’équipe del territorio per pianificare il progetto terapeutico del paziente. Un’altra differenza<br />

371


iguarda il piano terapeutico che consta di precise operazioni che il medico è tenuto a<br />

svolgere. Queste operazioni sono effettuate da entrambi i gruppi, ma i casi, compilando una<br />

apposita scheda, segnalano in modo più dettagliato quanto fatto e quali attività non è<br />

necessario effettuare. Differenze significative si ritrovano inoltre nella contenzione e nel<br />

ricovero di pazienti in regime di trattamento sanitario obbligatorio (TSO). La contenzione, per<br />

quanto riguarda i casi, non è stata mai attivata mentre è stata applicata nel 38,46% dei<br />

controlli (p


Marzio Panichi Filone tematico A3<br />

Studio epidemiologico delle morsicature canine e identificazione di<br />

nuove strategie di prevenzione in <strong>Piemonte</strong><br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Patologia Animale<br />

OBIETTIVO<br />

Le Ordinanze Min.Sal. del <strong>2003</strong>, 2004 e 2005 (GU n° 281/05) h<strong>anno</strong> cercato di tutelare<br />

meglio l’incolumità dei cittadini ma le morsicature canine sono ancora oggi un problema<br />

sanitario ed un costo sociale. Questa ricerca si è compiuta sui danni causati dalle morsicature<br />

dei cani alle persone con un’indagine epidemiologica condotta nell’ASL N.8 della <strong>Regione</strong><br />

<strong>Piemonte</strong> negli anni dal 1999 al 2004 per identificare nuove strategie di prevenzione.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Sono state esaminati 780 casi di aggressioni di cani e le conseguenti lesioni riportate da adulti,<br />

bambini ed anziani in un territorio che raggruppa 40 Comuni su una superficie di 795 Kmq.<br />

con circa 285.000 residenti e 45.100 cani censiti. I dati sono stati raccolti attraverso le<br />

“Schede di osservazione dei cani morsicatori” del Serv. Vet. ASL ed i “Rapporti di lesione”<br />

compilati dai Pronto Soccorso dei diversi Ospedali del territorio. I risultati relativi ai vari<br />

aspetti presi in considerazione sono i seguenti:<br />

Anno dell’aggressione: 218 aggressioni nel 1999, 152 nel 2000, 122 nel 2001, 82 nel 2002,<br />

99 nel <strong>2003</strong>, 107 nel 2004.<br />

Mese dell’aggressione: Aprile 75 aggressioni, Maggio 91, Giugno 103, Luglio 65, Agosto<br />

87, Settembre 66, fino al totale di 780.<br />

Giorno dell’aggressione: Lunedì 40, Martedì 48, Mercoledì 38, Giovedì 50, Venerdì 96,<br />

Sabato 290, Domenica 218.<br />

Ora dell’aggressione: ore serali (18-24) 198 aggressioni, pomeridiane (12-18) 130, il restante<br />

numero nelle altre ore.<br />

Sesso del morsicato: maschi 465, femmine 315.<br />

Età del morsicato: dai 50 ai 60 anni 143, dai 20 ai 30 anni 100, dai 30 ai 40 anni 100, dai 40<br />

ai 50 anni 90, dai 5 ai 10 anni 61, il restante numero fino a 780 nelle altre diverse fasce di età.<br />

Tipo di lesioni riportate: ferite lacero contuse (FLC) 387, FLC multiple 126, escoriazioni<br />

194, contusioni 30, fratture 2, amputazioni falangi 6, lussazioni 1, il restante numero è rimasto<br />

sconosciuto.<br />

Sede delle lesioni: mani 222, gambe 146, avambracci 95, volto 70, braccia 73, il restante<br />

numero fino a 835 (più morsi sulla stessa persona) a carico di molti altri distretti corporei.<br />

Prestazioni mediche effettuate: medicazioni 671, suture 113, trattamenti immunizzanti<br />

(tetano, rabbia) fino a 1190 (più prestazioni ad uno stesso paziente) senza tener conto delle<br />

terapie antibiotiche.<br />

Ospedali: Chieri 303 prestazioni di P.S.,Moncalieri 120, Carmagnola 103, Altri Ospedali 111<br />

373


Giorni di prognosi: da 0 a 10 gg. 644 casi, da 10 a 20 gg. 35 casi, > 20gg. 6 casi di cui 2 con<br />

prognosi di 40gg.<br />

Taglia del cane morsicatore: piccola 142, media 224, grande 406, il restante numero fino a<br />

780 è rimasto imprecisato.<br />

Sesso del cane morsicatore: femmine 140, maschi 498, il numero restante è rimasto<br />

sconosciuto.<br />

Età del cane morsicatore: 214 casi > 7 anni, da 3 a 7 anni 253 casi, da 1 <strong>anno</strong> e mezzo a tre<br />

59 casi, da 4 a 10 mesi 31 casi, 5 casi per cani < a tre mesi.<br />

Razza del cane morsicatore: Incrocio 302, Pastore tedesco 186, Pastore maremmano 38,<br />

Rottweiler 33, Boxer 22, Dobermann 15, Siberian Husky 14, Pit bull 13, Pastore belga 12,<br />

Dalmata e bassotto nano 11, ecc.<br />

Stato del cane morsicatore: randagi 9, di proprietà 771.<br />

Identificazione dei cani: 562 Sì, 122 No.<br />

Numero di morsicature per cane: 738 cani h<strong>anno</strong> morsicato una volta, due volte in 37 casi e<br />

3 volte in cinque casi.<br />

Cani che h<strong>anno</strong> morsicato il proprietario: 185 su 780.<br />

L’identikit del cane morsicatore nell’ASL N. 8 della <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> risulta essere il<br />

seguente: si tratta di un cane meticcio, maschio, adulto (>7 anni) di proprietà, di grossa mole,<br />

iscritto all’anagrafe canina, più mordace nei confronti delle persone di sesso maschile e che<br />

risulta più aggressivo nei confronti di persone adulte (50-60 anni) spesso anche verso il<br />

legittimo proprietario (185 casi) e talvolta anche recidivo (40 volte). La stima sui costi<br />

presunti di una aggressione canina che abbia comportato una prognosi di soli 5 giorni, senza<br />

ricovero ospedaliero, senza trasporto in ambulanza, senza invalidità permanente ammonta a<br />

circa 820.00 €, più il costo di due visite veterinarie domiciliari, più gli oneri amministrativi<br />

dei Servizi di Igiene pubblica per un importo complessivo di circa 150.00 € ad evento. Questi<br />

costi medi di una aggressione canina non grave possono fornire un’idea approssimata dei<br />

danni subiti dalla società per colpa dei cani mordaci.<br />

STRATEGIE DI PREVENZIONE IN PIEMONTE<br />

L’incolumità pubblica potrebbe essere tutelata meglio attraverso l’adozione di<br />

Azioni di prevenzione:<br />

• campagne di informazione ai cinofili per una maggiore consapevolezza delle proprie<br />

responsabilità<br />

• percorsi educativi nelle scuole di ogni grado sul corretto approccio alla relazione animaliuomo<br />

• completamento dell’Anagrafe canina regionale (ex L. R. 18/04)<br />

• formazione di Medici Veterinari “comportamentalisti” nell’ambito dei Servizi veterinari<br />

delle ASL<br />

• istituzione di un Osservatorio Regionale dei cani morsicatori<br />

• creazione di una Banca Dati nazionale per i cani dichiarati “pericolosi”<br />

• corsi professionalizzanti per commercianti ed allevatori di cani bbligo di iscrizione degli<br />

addestratori all’Albo nazionale (D.M 8/3/2005 M.P.A.F.)<br />

374


Azioni restrittive ·<br />

• ordinanza sindacale o dell’ASL di osservazione coatta per i cani morsicatori appartenenti<br />

a persone non consenzienti e denuncia all’A. G. in caso di inottemperanza<br />

• obbligo di visita comportamentale per cani che arrecano lesioni con prognosi > di 20<br />

giorni<br />

• obbligo per il proprietario di trasmettere all’ASL la conseguente valutazione veterinaria in<br />

30 gg<br />

• obbligo per il Medico Veterinario specializzato di trasmettere all’ASL l’esito della<br />

valutazione<br />

• proibizione a detenere cani per i proprietari non in grado di saper controllare l’aggressività<br />

del proprio cane e conseguente eventuale sequestro da parte dell’A. G. ·<br />

• ordinanza Sindacale o Prefettizia di soppressione eutanasica per i cani mordaci dichiarati<br />

irrecuperabili perché comprovatamene pericolosi (Art. 2 Comma. 6 L.281/91) ·<br />

• obbligo di guinzaglio e museruola in luogo pubblico fino a valutazione comportamentale<br />

eseguita per i cani che h<strong>anno</strong> arrecato lesioni con prognosi > di 20 gg. ·<br />

• obbligo di museruola o guinzaglio nei luoghi pubblici per tutti i cani di taglia media e<br />

grande<br />

• istituzione del brevetto “cane buon cittadino” a livello dei Comuni capoluoghi di<br />

Provincia controllo e verifica degli Addestratori che producono cani iperattivi o che ne<br />

esaltano le doti aggressive ·<br />

• indicazione di presenza di “cani potenzialmente pericolosi” anche nei luoghi non aperti al<br />

pubblico<br />

CONCLUSIONI<br />

Le azioni preventive e restrittive succitate possono offrire spunti al legislatore regionale e<br />

nazionale per promulgare disposizioni di legge più idonee per tutelare l’incolumità pubblica.<br />

375


Maurizio Parola Filone tematico A4<br />

Terapia antifibrotica sperimentale cellulo-mirata nella prevenzione delle<br />

epatopatie croniche<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina e Oncologia Sperimentale<br />

OBIETTIVO<br />

L’obiettivo del progetto di ricerca era quello di valutare sperimentalmente la possibilità di<br />

indurre in modo mirato e cellulo-specifico apoptosi classica o altra forma di morte cellulare in<br />

cellule stellate epatiche umane attivate a fenotipo miofibroblastico o HSC/MF (cellule profibrogeniche)<br />

come base di una seria elaborazione di strategie terapeutiche capaci di ridurre<br />

e/o rallentare l’evoluzione fibrotica delle epatopatie croniche.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Le cellule HSC/MFs umane risultano resistenti alla induzione di apoptosi e altre forme di<br />

morte cellulare E’ stata valutata la sensibilità delle HSC/MF umane (isolate da fegati umani<br />

non utilizzabili per trapianto) all’induzione di apoptosi da parte di una serie di stimoli e<br />

condizioni pro-apoptotiche standard o capaci di indurre apoptosi in HSC/MF di origine<br />

murina. Le HSC/MFs umane, utilizzate a fenotipo simil-miofibroblastico attivato (passaggi da<br />

4° a 7° in coltura) sono risultate insensibili ai seguenti stimoli pro-apoptotici (in parentesi<br />

tempi o intervalli di concentrazione):<br />

1. assenza di siero fetale sino a 72-96 ore;<br />

2. TNF (10 - 100 ng / ml);<br />

3. NGF (100 - 500 ng / ml);<br />

4. ligando di Fas o FasL, 50 - 200 ng / ml);<br />

5. doxorubicina (10 - 200 nM);<br />

6. etoposide (1 - 25 mM);<br />

7. cicloesimide (CHX, 20 - 200 mg/ml);<br />

8. actinomicina D (ActD, 0,1 - 1 mg/ml);<br />

9. associazione TNF (20 ng/ml) + CHX (50 mg/ml);<br />

10. associazione FasL (50 ng/ml) + CHX (20 mg/ml);<br />

11. gliotossina (GT, 0,1 - 1,0 mM);<br />

12. produzione di anione superossido (sistema ipoxantina – xantina ossidasi);<br />

13. 4-idrossi-nonenale (HNE, 0,1 – 10 mM);<br />

14. perossido di idrogeno (H2O2 0,1 – 100 mM).<br />

L’induzione di apoptosi caspasi dipendente era ottenuta solo in presenza di CHX (inibitore<br />

della sintesi proteica), ActD (inibitore della trascrizione) o di trattamenti contemporanei<br />

TNF/CHX e FasL/CHX, adottando concentrazioni di TNF e FasL minime e concentrazioni di<br />

CHX di per sè inefficaci. La gliotossina o GT è stata l’unica molecola risultata capace di<br />

376


determinare morte cellulare nelle HSC/MFs umane. La GT, usata a concentrazioni minime<br />

(0,1 e 1,0 mM) induce in tempi rapidissimi (entro 2-4 ore) condensazione nucleare e distacco<br />

delle cellule dal substrato di coltura. Un’analisi approfondita dei vari parametri di apoptosi ha<br />

rivelato come la GT non induca apoptosi classica o caspasi-dipendente ma piuttosto una morte<br />

programmata di tipo simil-apoptotico. Le cellule HSC/MFs umane sono risultate anche<br />

estremamente resistenti alla induzione di morte di tipo necrotico: tale evento è stato ottenuto<br />

solo in presenza di concentrazioni molto elevate di H2O2 (1 mM), HNE (25 e 50 mM), CHX<br />

(200 mg/ml) ed etoposide (50 mM). Meccanismi alla base della sopravvivenza delle<br />

HSC/MFs umane Le HSC/MFs umane, che possiedono recettori specifici per stimoli quali<br />

TNF, FasL e NGF nonché un corredo completo di componenti chiave dell' apparato<br />

apoptotico, paiono capaci di sopravvivere ai più comuni stimoli pro-apoptotici in quanto nel<br />

corso del cosiddetto processo di attivazione acquisiscono peculiari caratteristiche antiapoptotiche.<br />

I dati ottenuti indicano che le cellule umane, passando dal fenotipo quiescente<br />

(cellule appena isolate) a quello miofibroblastico (cellule a passaggio 4 – 7 in coltura)<br />

perdono la capacità di sintetizzare Bax ed iper-esprimono, per contro, Bcl-2.<br />

L’iper-espressione di Bcl-2 è stata osservata anche “in vivo” (analisi immunoistochimica) in<br />

biopsie umane ottenute da pazienti cirrotici (Score Metavir F4, con eziologia da infezione<br />

cronica con HCV; biopsie usate in accordo alle linee guida di comportamento etico vigenti).<br />

Nei fegati umani cirrotici, in cui gli epatociti sono negativi per Bcl-2, la positività per questa<br />

proteina anti-apoptotica è stata rintracciata, oltre che in cellule mononucleate (linfociti e<br />

macrofagi) ed in alcune cellule dell’epitelio biliare, solo in cellule a localizzazione<br />

sinusoidale/perisinusoidale caratterizzate da tipico aspetto miofibroblastico corrispondente a<br />

quello delle cellule a-SMA positive. Questi aspetti di immunopositività per Bcl-2 sono stati<br />

osservati soprattutto nelle cosiddette aree di interfaccia tra i setti fibrotici ed il parenchima ed<br />

in tutte le biopsie ottenute da fegati cirrotici umani analizzate.<br />

A riprova del ruolo cruciale svolto “in vitro” e, presumibilmente, “in vivo”,<br />

dall’iperespressione di Bcl-2 nelle HSC/MFs sono stati ottenute le seguenti evidenze<br />

sperimentali: a) le cellule HSC/MFs senescenti (passaggi in coltura tardivi e cellule positive<br />

per X-Gal) che mostrano la scomparsa dei livelli proteici di Bcl-2, diventano sensibili<br />

all’induzione di apoptosi caspasi-dipendente da parte di solo TNF; b) ricorrendo alla strategia<br />

di RNA interference ed utilizzando specifici siRNA, capaci di abrogare completamente<br />

l’espressione di RNAm per Bcl-2 umano in cellule HSC/MFs a passaggio da 4 a 7 in coltura,<br />

le cellule così “silenziate” sono diventate anch’esse sensibili all’induzione di apoptosi da solo<br />

TNF (condizioni che non si verifica né nelle cellule di controllo non trasfettate che nelle<br />

cellule transfettate con un “non-silencing” siRNA).<br />

Potenziale significato traslazionale dei dati ottenuti<br />

Le cellule HSC/MFs umane, cellule che svolgono un ruolo primario nella evoluzione<br />

fibrosclerotica delle epatopatie croniche di interesse clinico, presentano una peculiare<br />

attitudine alla sopravvivenza a vari stimoli e condizioni pro-apoptotiche acquisita nel corso<br />

del processo di attivazione. A differenza di quanto descritto in modelli sperimentali animali e<br />

per le HSC/MFs murine, (ove è descritto un parallelismo tra cessazione dell’esposizione allo<br />

stimolo fibrogenico, reversione istologica dell’epatopatia cronica ed apoptosi delle<br />

HSC/MFs), nelle cellule HSC/MFs umane il processo di attivazione induce una attitudine alla<br />

sopravvivenza che è potenzialmente capace di favorire la progressione fibrosclerotica verso lo<br />

stadio di cirrosi e di limitare la reale reversione istopatologica nelle epatopatie croniche<br />

umane.<br />

377


PUBBLICAZIONI<br />

I risultati ottenuti sono oggetto delle seguenti pubblicazioni:<br />

1. Zamara E et al. 4-Hydroxynonenal as a selective pro-fibrogenic stimulus for activated<br />

human hepatic stellate cells. J. Hepatol. (2004) 40, 60-68.<br />

2. Novo E et al. Dose-dependent and divergent effects of superoxide anion on cell death,<br />

proliferation and migration of activated human hepatic stellate cells. Gut (2005) accepted<br />

on July 16th 2005, Gut Published Online First: 24 July 2005.<br />

doi:10.1136/gut.2005.069633<br />

3. Novo E et al. Overexpression of Bcl-2 by activated human hepatic stellate cells: resistance<br />

to apoptosis as mechanism of progressive hepatic fibrogenesis. Gut (2005), revision<br />

submitted for publication on November 17th 2005.<br />

378


Adele Parziale Filone tematico A2<br />

Ruolo dei polimorfismi del recettore 1 per la melanocortina e del<br />

recettore della vitamina D nel rischio di melanoma<br />

Presido Sanitario Gradenigo<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il Melanoma maligno (MM) rappresenta la più grave delle neoplasie cutanee e la prognosi per<br />

taluni MM è estremamente infausta. Il MM rappresenta una malattia dei soggetti di pelle<br />

chiara e l’esposizione alla luce ultravioletta appare un elemento cruciale, sebbene la relazione<br />

fra esposizione e rischio non risulta ben definita. Altri importanti elementi di rischio sono la<br />

presenza di un elevato numero di nevi o di nevi atipici, i capelli rossi e gli occhi azzurri o<br />

verdi. Si conosce relativamente poco sui fattori genetici che modulano la suscettibilità al MM<br />

e la sua evolutività. Il gene che codifica per il recettore della Vitamina D (VDR) potrebbe<br />

influenzare la suscettibilità al MM. A supporto di questa ipotesi i dati che dimostrano che l’<br />

1,25 (OH)2D3 (il derivato ormonale della Vitamina D3 e ligando del VDR) ha effetti<br />

antiproliferativi e pro-differenziatori in cellule che esprimono il VDR. Non solo ma sono state<br />

identificate associazioni fra 1,25 (OH)2D3 e la suscettibilità a neoplasie come il tumore della<br />

mammella, della prostata e del colon, tanto in relazione ai livelli sierici dell’1,25 (OH)2D3,<br />

che ai polimorfismi del gene VDR. Melanociti e cellule di melanoma esprimono il VDR e in<br />

vitro l’1,25 (OH)2D3 ha proprietà antiproliferative. In vivo esiste attualmente scarsa evidenza<br />

di coinvolgimento della Vitamina D3 nella genesi del MM, sebbene bassi livelli circolanti di<br />

1,25 ((OH)2D3 siano stati riportati in soggetti affetti da MM. Cinque siti polimorfici (BsmI,<br />

ApaI, FokI, TaqI, Tru9) sono stati identificati nel gene che codifica per il VDR ed esiste<br />

evidenza che tali polimorfismi abbiano effetti funzionali.<br />

OBIETTIVO<br />

Valutare le relazioni fra polimorfismi del VDR e suscettibilità al melanoma cutaneo.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Pazienti: in accordo con il protocollo, ma in proporzione alla quota di finanziamento, sono<br />

stati arruolati consecutivamente 100 pazienti con diagnosi istologica di MM in situ o invasivo,<br />

25 pazienti affetti da carcinoma basocellulare e 8 pazienti affetti da carcinoma spinocellulare;<br />

i pazienti con patologie maligne concomitanti sono stati esclusi. I soggetti di controllo, in<br />

numero di 100, bilanciati per età e sesso, sono stati selezionati fra soggetti privi di storia di<br />

malattie infiammatorie o neoplastiche.<br />

Metodi: il DNA è stato estratto da sangue periferico con metodiche commerciali,<br />

l’amplificazione dei loci polimorfici è stata effettuata impiegando primer specifici, la<br />

determinazione dei polimorfismi genici è stata valutata attraverso RFLP (Restriction<br />

Fragment Length Polymorphism) e successiva corsa dei prodotti di digestione del DNA su gel<br />

di agarosio al 2% colorato con etidio bromuro (i dettagli relativi a primer ed enzimi di<br />

restrizione sono forniti nella versione in estenso del progetto). In relazione all’entità del<br />

finanziamento non si è potuto procedere alla valutazioni dei polimorfismi del Melanocortin-1<br />

receptor.<br />

379


RISULTATI<br />

Cento pazienti con MM (età media ± SD 54,4 ± 15,4 anni, femmine 62%) e 100 controlli (età<br />

media ± SD 53,9 ± 14,7 anni, femmine 62%) sono stati arruolati nello studio.<br />

Distribuzione dei genotipi<br />

Bsm I<br />

MM: C/C 14%, C/T 69%, T/T 17%<br />

Controlli: C/C 8%, C/T 72%, T/T 20% (p = n.s.)<br />

Apa I<br />

MM: G/G 15%, G/A 25%, A/A 60%<br />

Controlli: G/G 7%, G/A 23%, A/A 70% (p = n.s.)<br />

Tru9<br />

MM: G/G 2%, G/A25%, A/A 73%<br />

Controlli: G/G 1%, G/A 16%, A/A 83% (p = n.s.)<br />

TaqI<br />

MM: T/T40%, C/T 45%, C/C 15 %<br />

Controlli: T/T 35%, C/T 50%, C/C15 % (p = ns)<br />

FokI<br />

MM: C/C 34%, C/T 47%, T/T 19%<br />

Controlli: C/C 51%, C/T 36%, T/T 13% (p < 0,05)<br />

Si è osservata una ridotta proporzione di soggetti affetti da MM con il genotipo FokI C/C, OR<br />

per MM 0.66 (p < 0.05). Non si sono osservate associazioni significative fra frequenze<br />

genotipiche e sede del tumore, tipo di pelle o colore degli occhi. Ugualmente non significativa<br />

la distribuzione dei polimorfismi nei 25 carcinomi basocellulari e negli 8 carcinomi<br />

spinocellulari.<br />

CONCLUSIONI<br />

Lo studio ha evidenziato che omozigosità per l’allele selvaggio (C) al sito di restrizione FokI<br />

si associa ad un rischio ridotto di MM, con una riduzione del rischio attribuibile al genotipo<br />

C/C stimata al 21%. Il polimorfismo FokI T/T può funzionalmente tradursi in un deficit<br />

dell’attività dell’1,25 (OH)2D3 a livello cellulare con un vantaggio di crescita dei melanociti.<br />

E’ dunque verosimile che il polimorfismo al sito di restrizione FokI possa essere implicato<br />

non solo nel modulare la suscettibilità all’MM, ma anche il suo successivo atteggiamento di<br />

crescita. Sebbene statisticamente significativi i risultati da noi ottenuti sono lontani dalla<br />

significatività clinica; la riduzione del rischio di circa il 20% indotto dal genotipo FokI C/C è<br />

infatti troppo debole – e troppo costosa da applicare - per trovare una indicazione nella<br />

preselezione dei pazienti per i programmi di prevenzione del MM.<br />

E’ verosimile inoltre che la piena espressione funzionale di un polimorfismo genico si realizzi<br />

raramente, per la presenza di genotipi antagonisti o agonisti di tale funzione. E’ dunque<br />

verosimile che solo la valutazione di genotipi complessi (aplotipi) possa darci una reale stima<br />

del rischio o della protezione nei confronti di una determinata patologia.<br />

380


Barbara Pasini Filone tematico A2<br />

Studio dei fattori genetici di rischio nell'adenocarcinoma gastrico<br />

famigliare: una malattia ereditaria multifattoriale?<br />

Università degli Studi di Torino,<br />

Dipartimento di Genetica, Biologia e Biochimica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il progetto è nato dall’osservazione di 4 nuclei famigliari con forte ricorrenza di tumori<br />

gastrici (GC). Nella famiglia 1 (prov. di Cuneo) erano stati inizialmente riferiti 13 casi di GC<br />

in 2 generazioni. La successiva acquisizione della documentazione clinica di diversi membri<br />

affetti della famiglia ha permesso di confermare la diagnosi in 10 casi e di dimostrare la<br />

presenza di 2 casi di npl del colon-retto, 2 casi di epatoca, 1 caso di npl del pancreas e 1 caso<br />

di npl dell’esofago. La famiglia 2 (prov. di Treviso) presenta 6 casi di GC in 2 generazioni (1<br />

dei 6 con istotipo neuro-endocrino) più un caso con diagnosi incerta di cui non è stato<br />

possibile acquisire la relativa documentazione clinica. Altri membri della famiglia presentano<br />

una storia clinica di ulcera duodenale ed esofago di Barrett. Nella famiglia 3 (prov. di<br />

Caltanisetta) sono riferiti 6 casi di GC in tre generazioni di cui 3 documentati. La famiglia 4<br />

(prov. di Torino) presenta 4 casi documentati di GC in un’unica generazione. Le famiglie<br />

suddette sono risultate suggestive di una forte componente di rischio genetico ai limiti con<br />

l’ereditarietà autosomica dominante a penetranza incompleta.<br />

OBIETTIVO<br />

Dal momento che nessuna forma di predisposizione allo sviluppo di tumori sembra coerente<br />

con il fenotipo osservato nei 4 nuclei famigliari di cui sopra il progetto si è proposto di:<br />

1. ampliare la casistica di GC famigliari,<br />

2. escludere la presenza dell’HNPCC,<br />

3. valutare lo stato (favorevole/sfavorevole) dei polimorfismi noti nei geni legati alla risposta<br />

infiammatoria,<br />

4. condurre uno studio di fattibilità per un’eventuale analisi di linkage volta alla ricerca di<br />

geni di suscettibilità.<br />

METODIE E RISULTATI<br />

1) L’analisi del database in Progeny del progetto Rigenio comprendente 295 nuclei famigliari<br />

inviati in consulenza genetica per npl del tratto gastro-enterico famigliari, e/o multiple e/o<br />

giovanili nei 3 centri di riferimento per la genetica oncologica della <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> ha<br />

permesso di identificare 6 nuove famiglie con ricorrenza di GC e un caso di tumore giovanile<br />

(GC a 31 anni). Nelle 6 nuove famiglie, il numero di casi di GC varia tra i 2 e i 6 parenti<br />

affetti con 1-4 generazioni interessate. Nella casistica del progetto Rigenio, tra i casi di<br />

neoplasie del colon inviati in consulenza genetica per una diagnosi di conferma o di<br />

esclusione dell’HNPCC (180 casi) la percentuale di nuclei famigliari con presenza di GC in<br />

associazione alle neoplasie del colon si è rivelata quasi costante in tutte le categorie (19.2%<br />

delle famiglie HNPCC, 15.8% delle famiglie HNPCC-like, 18.8% delle famiglie classificate a<br />

medio o basso rischio genetico). Questo dato, oltre a confermare che il GC è parte integrante<br />

dello spettro fenotipico dell’HNPCC, suggerisce che in una quota di nuclei famigliari senza<br />

381


mutazioni responsabili dell’HNPCC, la contemporanea presenza di npl del colon e dello<br />

stomaco possa essere imputata a fattori di rischio comuni per entrambe le neoplasie anche se<br />

non si può escludere l’associazione casuale.<br />

2) Poiché come detto il GC è parte integrante del fenotipo del carcinoma famigliare del colon<br />

non poliposico o HNPCC, si è provveduto all’indagine di questa malattia nelle 8 famiglie su<br />

10 per le quali erano disponibili campioni biologici di sangue e/o di tessuto tumorale nonché<br />

nel caso di GC giovanile. Nelle famiglie 2, 3, 4, 5, 6 e 9 l’analisi di 1-3 campioni di GC per<br />

famiglia ha rivelato la presenza di microsatelliti stabili (BAT25, BAT26 + BAT40 o 3<br />

marcatori di-nucleotidici del pannello di Bethesda) con proteine MLH1, MSH2 e MSH6<br />

normalmente espresse nel tessuto tumorale. Lo stesso dicasi per il caso di GC giovanile. Nelle<br />

famiglie 2, 3 e 7 la ricerca di mutazioni germinali puntiformi e delezioni nei geni MLH1 e<br />

MSH2 si è rivelata negativa. Nella famiglia 1, l’analisi dei tessuti tumorali ha dato risultati<br />

discordanti (microsatelliti instabili in un ca. gastrico e del retto, microsatelliti stabili in un ca.<br />

gastrico e del pancreas) ma la ricerca di mutazioni germinali puntiformi e delezioni nei geni<br />

MLH1 e MSH2 in un membro affetto della famiglia si è di nuovo rivelata negativa. In base a<br />

questi dati, l’HNPCC può essere escluso come fattore di rischio di tipo genetico nei nuclei<br />

famigliari con ricorrenza del GC da noi selezionati.<br />

3) Si è quindi cercato di mettere a punto le condizioni sperimentali per la valutazione di<br />

polimorfismi in geni legati al controllo della risposta infiammatoria con l’intento di eseguire<br />

la suddetta analisi anche nei casi di cui era disponibile solo materiale biologico incluso in<br />

paraffina. Sono stati selezionati i geni codificanti l’Interleuchina-1b (IL-1b: polimorfismi –31<br />

T/C e –511 C/T), il fattore di necrosi tumorale alfa (TNFa: polimorfismo –308 G/A),<br />

l’Interleuchina-10 (IL-10: polimorfismi –592 C/A, -819 C/T e –1082 G/A) e l’antagonista<br />

endogeno dell’IL-1 (IL-1RN: VNTR nell’introne 2). Solo per l’ultimo marcatore non si sono<br />

ancora ottenute condizioni sperimentali soddisfacenti per l’analisi di DNA estratto da tessuto<br />

paraffinato. La ricerca degli alleli sfavorevoli associati allo sviluppo del GC eseguita in prima<br />

istanza in membri affetti delle famiglie 1, 2, 3, 4 e 5 ha dato risultati preliminari interessanti.<br />

Nei nuclei famigliari con ricorrenza del GC e associazione di altre neoplasie si è osservata la<br />

presenza di alleli sfavorevoli ad uno, due o tutti e tre i loci analizzati. Al contrario, nel nucleo<br />

famigliare 3 caratterizzato dalla presenza di 6 casi di GC di cui 3 documentati di istotipo<br />

tubulare e assenza di altre neoplasie, la presenza di alleli sfavorevoli non segregava con la<br />

malattia.<br />

CONCLUSIONI<br />

I dati ottenuti durante lo svolgimento di questo progetto consentono di trarre alcune<br />

conclusioni:<br />

• il GC è una malattia multifattoriale alla cui insorgenza partecipano diversi fattori di<br />

rischio sia di tipo ambientale che genetico;<br />

• più del 15% dei nuclei famigliari con HNPCC presentano famigliari affetti da GC (da 1 a<br />

3 per famiglia) e pertanto mutazioni germinali nei geni del mismatch repair possono<br />

rappresentare una rara causa di questa malattia;<br />

• sono stati raccolti 22 nuclei famigliari con contemporanea presenza di neoplasie del colon<br />

e GC non riconducibili ad HNPCC nelle quali andr<strong>anno</strong> indagati ulteriori fattori di rischio<br />

di tipo genetico o ambientale;<br />

• tra le famiglie con prevalente ricorrenza del GC una percentuale di casi potrebbe essere<br />

riconducibile alla presenza di alleli sfavorevoli multipli nei geni che controllano la<br />

risposta infiammatoria;<br />

• un numero estremamente limitato di nuclei famigliari con GC potrebbe essere<br />

riconducibile a fattori di rischio genetici diversi da quelli testati. Su questi dovrà<br />

concentrarsi l’eventuale ricerca di nuovi geni di suscettibilità allo sviluppo del GC.<br />

382


Guido Pastore Filone tematico D1<br />

Matrimoni e prole nelle persone, residenti in <strong>Piemonte</strong>, guarite da un<br />

tumore maligno insorto in eta’ pediatrica<br />

Asl 11<br />

Nel corso dei 2 anni utilizzati per realizzare il progetto di ricerca sono stati raggiunti gli<br />

obiettivi individuati in fase di presentazione dello studio: stimare la frequenza e la durata dei<br />

matrimoni, la fertilità, il numero dei figli e la loro distribuzione per sesso tra gli individui<br />

guariti da un tumore maligno diagnosticato in età pediatrica, iscritti nel ROT e residenti in<br />

<strong>Piemonte</strong>.<br />

FASI DELLA RICERCA<br />

1. individuazione dei bambini iscritti nel ROT e residenti in <strong>Piemonte</strong> con più di 18 anni di<br />

età al 31.12.<strong>2003</strong>;<br />

2. individuazione dei bambini piemontesi con più di 18 anni di età al 31.12.<strong>2003</strong> e non<br />

iscritti nel ROT, ma iscritti nel RTIP;<br />

3. accertamento di esistenza in vita, stato civile e composizione del nucleo familiare presso<br />

gli Uffici Anagrafici dei comuni di residenza;<br />

4. messa a punto dei metodi statistici e implementazione dei programmi necessari per il<br />

calcolo della probabilità di contrarre matrimonio e di avere un figlio;<br />

5. realizzazione delle analisi per i casi individuati ai punti 1. e 2.<br />

METODI E RISULTATI (1.-4.)<br />

Il database utilizzato nello studio include 1237 individui con diagnosi di tumore infantile (0-<br />

14 anni) avvenuta nel 1967-2000, residenti in <strong>Piemonte</strong> al momento della diagnosi, con età<br />

superiore a 18 anni al 31.12.<strong>2003</strong>. E’ stata accertata l’esistenza in vita, lo stato civile e la<br />

composizione del nucleo familiare attraverso richieste agli Uffici Anagrafici dei comuni di<br />

residenza. Alla fine del follow-up 1147 (92.7%) soggetti sono risultati vivi, 77 (6.2%)<br />

deceduti, e 13 (1.1%) persi al follow-up; l’età media alla fine del follow-up è stata di 28.5<br />

anni. I casi sono stati classificati in nubili/celibi, coniugati/conviventi, separati o divorziati e<br />

vedovi. Come data di inizio della convivenza è stata riportata la data di emissione del<br />

certificato anagrafico. Ciascun individuo è stato considerato coniugato o convivente fino al<br />

momento in cui il suo stato civile è risultato essere ‘già coniugato’ o fino al momento in cui<br />

ha iniziato una convivenza con individuo diverso dal precedente coniuge/convivente. Sono<br />

state confrontate le distribuzioni dello stato civile per genere, età alla diagnosi, periodo di<br />

diagnosi e per i principali tipi di tumore maligno. E’ stata stimata l’età media al primo<br />

matrimonio per ciascun tipo tumorale, testando la significatività delle differenze tra i gruppi<br />

attraverso l’analisi della varianza. La probabilità di matrimonio è stata stimata con il metodo<br />

di Kaplan-Meier (tempo all’evento: età dell’individuo). Il rischio relativo di matrimonio dei<br />

soggetti per tipo tumorale è stato stimato con il modello di Cox, aggiustando per età alla<br />

diagnosi, periodo di diagnosi e stato in vita alla fine del follow-up. E’ stata stimata la durata<br />

media del matrimonio testando la significatività delle differenze tra i gruppi tumorali.<br />

383


Tutte le analisi sono state condotte stratificando per genere. L’analisi della fertilità è stata<br />

condotta con metodologia analoga a quella applicata per l’analisi della probabilità di<br />

matrimonio, stimando l’età media alla nascita del primo figlio, la probabilità di avere un figlio<br />

e il rischio relativo di gravidanza. Sono stati inoltre stimati il numero di figli per ciascun<br />

individuo e il rapporto M/F nel sesso dei figli. Le analisi sono state condotte utilizzando i<br />

software SAS (Versione 8.2) e STATA (Versione 7.0) implementando particolari codici per le<br />

specifiche esigenze.<br />

METODI E RISULTATI (5.)<br />

Dei 1273 individui inclusi nello studio, alla fine del follow-up 919 (74.3%) non sono mai stati<br />

sposati o non h<strong>anno</strong> mai avuto una convivenza, 302 (24.4%) sono sposati o h<strong>anno</strong> una<br />

convivenza in corso, 14 (1.1%) sono divorziati/separati o h<strong>anno</strong> terminato una convivenza e 2<br />

(0.2%) sono vedovi. L’età media al matrimonio è stata di 26.1 anni (range: 18.0-42.4).<br />

L’8.5% dei soggetti si è sposato o ha iniziato una convivenza nel periodo 1973-1983, il 30.2%<br />

nel periodo 1984-1993 e il 61.3% nel periodo 1994-<strong>2003</strong>. Dalle analisi sulla probabilità di<br />

matrimonio sono stati esclusi 13 individui persi al folow-up, poiché per tali soggetti le<br />

informazioni sullo stato civile o non sono note o h<strong>anno</strong> data di aggiornamento precedente a<br />

quella dei certificati dei soggetti rintracciati all’Ufficio Anagrafico. Le donne h<strong>anno</strong> una<br />

probabilità di matrimonio significativamente più alta degli uomini (Log-rank test: p


Alberto Paudice Filone tematico A5<br />

Studio pilota per il follow-up degli esiti a lungo termine di un gruppo di<br />

pazienti psichiatrici.<br />

Il Porto Onlus<br />

Istituto per la <strong>Ricerca</strong> ed il Trattamento del Disagio Esistenziale Giovanile<br />

OBIETTIVO<br />

La Comunità Terapeutica Il Porto Onlus dal 1983 si occupa del trattamento residenziale della<br />

tossicodipendenza e della patologia psichiatrica. L’obiettivo del presente studio è la<br />

costituzione di una fase pilota di uno studio adeguato a raggiungere degli obiettivi di<br />

valutazione.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Dal punto di vista del metodo il progetto è articolato in cinque fasi: campionamento dei casi<br />

(120 casi estratti su un totale di 387 nel periodo 1993-2002), documentazione del trattamento<br />

residenziale, definizione della tipologia degli eventi ed esiti indagati, modalità operative del<br />

follow-up, analisi dei dati e conclusioni circa la fattibilità. In questa prima parte del lavoro<br />

l’attenzione è stata focalizzata sulla documentazione del trattamento residenziale.Per ogni<br />

residente è disponibile una cartella clinica; non ci sono mai stati criteri unitari nella<br />

compilazione. E’ stata definita una scheda griglia di criteri demografici, amministrativi,<br />

diagnostici e terapeutici sintetici entro la quale riversare il contenuto complessivo della<br />

cartella originale.La verifica sul campo ci ha permesso di scoprire un livello di disorganicità e<br />

di incompletezza delle cartelle cliniche elevato e superiore alle nostre aspettative. Il livello di<br />

disorganicità e la scarsa funzionalità nel reperimento delle informazioni ci ha indotti a<br />

decidere di compilare la scheda griglia per tutte le 387 cartelle cliniche del periodo in esame<br />

(non solo per quelle relative ai casi campionati presi in considerazione dallo studio) e per le<br />

restanti 295 relative al periodo 1983-1992; questa diversione, non pertinente allo studio e che<br />

ha comportato un significativo aggravio di lavoro, ha però rappresentato per Il Porto<br />

un’occasione per avere finalmente un archivio di dati di facile consultazione.<br />

ANALISI DEI DATI<br />

L’archivio è costituito dagli utenti inseriti in comunità nel periodo 1983-2002 (682<br />

soggetti).Per un’osservazione più dettagliata si è stratificata la popolazione in quinquenni.<br />

Dati demografici<br />

Sesso: i soggetti sono in maggiore misura maschi (con un’oscillazione tra i periodi che varia<br />

tra il 64% ed il 71%).L’età di ingresso è distribuita prevalentemente nella fascia d’età che va<br />

dai 18 ai 45 anni. Nel primo periodo vi è una prevalenza della fascia 18-25 anni (48% degli<br />

ingressi) che progressivamente si riduce nei quinquenni successivi fino al 29%. La<br />

popolazione che accede alla comunità è progressivamente più vecchia: la fascia d’età 36-<br />

45 anni passa dal 2 al 18%.<br />

Stato civile:questo dato non è utilizzabile in quanto risulta ampiamente mancante nelle<br />

cartelle.<br />

Titolo di studio: situazione simile alla precedente si pone anche per questa variabile.<br />

385


Dati relativi alla terapia comunitaria<br />

Giorni totali di residenzialità: almeno il 30% degli utenti di ogni quinquennio risiede in<br />

comunità per più di un <strong>anno</strong>. Con il passare dei quinquenni si è ridotta la permanenza per<br />

brevi periodi mentre è aumentata la permanenza per periodi più lunghi (oltre 181 gg.).Tra gli<br />

utenti con più di un <strong>anno</strong> di permanenza almeno il 65% è stato residente tra un <strong>anno</strong> e due<br />

anni e mezzo. Il numero di ingressi per utente è progressivamente diminuito nel tempo (dal<br />

54% all’85% di utenti con un solo ingresso).E’ quindi diminuita la possibilità di un revolvingdoor<br />

dello stesso utente nell’istituzione. Le spiegazioni di questo dato sono molteplici: alcune<br />

riguardano il cambiamento della tipologia di pazienti, altre mutamenti culturali (teorici e<br />

tecnici) con conseguenti modalità operative differenti nell’accoglienza e nella gestione dei<br />

falliti inserimenti.<br />

Ricoveri: il dato relativo ai ricoveri avvenuti durante la permanenza in comunità sarebbe<br />

importante sia in termini di osservazione ‘’storica’’, sia in relazione all’efficacia della terapia<br />

comunitaria (i ricoveri sono uno dei criteri più importanti utilizzati dalla ricerca in psichiatria<br />

per valutare l’efficacia di una terapia). Purtroppo le cartelle sono risultate inaffidabili ed<br />

incomplete.<br />

Diagnosi: per ben il 13% nel primo quinquiennio, il 6% nel secondo, il 33% nel terzo ed il<br />

19% nel quarto non è stato possibile risalire a una diagnosi.Le diagnosi di sola<br />

tossicodipendenza diminuiscono progressivamente e nettamente nel tempo (dal 52% al 6%);<br />

aumentano proporzionalmente i casi che, in associazione alla diagnosi di<br />

tossicodipendenza,ricevono anche una diagnosi psichiatrica (psicosi ma soprattutto disturbo di<br />

personalità).Questo dato richiede molteplici valutazioni e apre numerosi interrogativi:<br />

l’istituzione è cambiata nel tempo rivolgendo la sua attenzione a una popolazione diversa?<br />

Sono state diagnosticate diversamente alcune caratteristiche proprie dell’abusatore di sostanze<br />

stupefacenti che precedentemente venivano misconosciute? L’invio progressivamente più<br />

frequente (fino alla quasi totalità degli utenti dell’ultimo quinquennio) da parte del servizio<br />

pubblico invece che dall’ambito privato ha favorito l’ingresso di persone tossicodipendenti<br />

che per problematiche psichiatriche non vengono tollerate nelle tradizionali comunità per<br />

tossicodipendenti ad impronta “ lavorativa”? Da segnalare il netto aumento negli ultimi dieci<br />

anni di inserimenti di utenti con diagnosi di psicosi.<br />

Trattamento farmacologico: anche i dati riguardanti il trattamento farmacologico sono<br />

indicativi dell’incompletezza delle cartelle cliniche ma i casi con assenza di riferimenti alle<br />

terapie farmacologiche, senza alcuna possibilità di determinare con certezza la reale assenza<br />

di trattamento, sono passati dall’86% del primo periodo al 17% dell’ultimo.<br />

CONCLUSIONI<br />

Il livello di disorganicità e soprattutto di incompletezza delle cartelle cliniche ci impone una<br />

serie di considerazioni e di scelte.Un’analisi delle risorse disponibili, della qualità del<br />

materiale in nostro possesso e delle priorità ci porta a ritenere più opportuno mutare gli<br />

obiettivi dello studio e destinare le risorse restanti nel mettere a punto nei tempi più brevi<br />

possibili dei sistemi adeguati di raccolta di dati demografici, amministrativi e clinici; questi<br />

dovrebbero permettere la raccolta, attraverso modalità di compilazione semplici, di una serie<br />

di variabili (assumendo come base ad es. la scheda griglia) e prevedere uno spazio per la<br />

valutazione di alcuni esiti (ad es. quelli individuati per il progetto di follow-up).In sostanza,<br />

prendendo atto della scadente qualità del materiale in nostro possesso, è probabilmente più<br />

opportuno abbandonare la progettazione di uno studio retrospettivo problematico e oneroso e<br />

fin da ora concentrare le risorse per dotarci in tempi brevi degli strumenti necessari per uno<br />

studio prospettico routinario.<br />

386


Angelo Penna Filone tematico C2<br />

Costruzione e applicazione di un percorso integrato tra ospedale e<br />

territorio nella gestione dello scompenso cardiaco<br />

Asl 12<br />

OBIETTIVI<br />

Obiettivi principali del progetto regionale erano quelli di:<br />

1. migliorare l’assistenza del paziente affetto da scompenso cardiaco nell’Azienda <strong>Sanitaria</strong><br />

Locale di Biella, attraverso la promozione di interventi di documentata efficacia e<br />

appropriatezza in campo diagnostico e terapeutico;<br />

2. promuovere l’informazione dei pazienti e dei familiari e la comunicazione tra operatori.<br />

Nello specifico il progetto intendeva:<br />

a) assicurare gli accertamenti diagnostici utili ed evitarne un uso improprio sia in ospedale<br />

sia sul territorio;<br />

b) promuovere l’uso di terapie efficaci e disincentivare quelle inefficaci;<br />

c) ridurre i ricoveri ripetuti;<br />

d) ricercare a livello territoriale le soluzione più idonee di presa in carico dei pazienti dimessi<br />

dall’ospedale;<br />

e) coinvolgere il paziente e i familiari nel progetto terapeutico.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Nell’ambito del progetto sono stati realizzati:<br />

a) la costituzione di una equipe multidisciplinare aziendale (circa 15 Operatori)<br />

rappresentativa delle diverse professionalità mediche e infermieristiche delle seguenti<br />

strutture: Cardiologia, Medicina, Geriatria, Radiologia, Laboratorio, Direzione <strong>Sanitaria</strong>,<br />

Distretti e SAST oltre ai rappresentanti delle equipe dei Medici di Famiglia;<br />

b) riunioni del gruppo di lavoro multidisciplinare che ha discusso le evidenze sintetizzate da<br />

Clinical Evidence e linee-guida internazionali allo scopo di: ottimizzarne l’applicazione<br />

nel contesto locale, redigere un documento tecnico di adattamento aziendale sullo<br />

scompenso cardiaco;<br />

c) un documento dal titolo “Insufficienza cardiaca”, linee-guida da diffondere tra i Medici<br />

Ospedalieri e Territoriali dell’Azienda <strong>Sanitaria</strong> Locale di Biella (circa 600 copie anche<br />

disponibili sul sito www.asl12.piemonte.it);<br />

d) un opuscolo informativo ad uso dei pazienti e dei loro familiari con informazioni relative<br />

agli stili di vita, alla gestione dei farmaci ecc. (10.000 copie anche disponibili sul sito<br />

www.asl12.piemonte.it);<br />

e) la costruzione di percorsi di dimissione differenziati, in base alla gravità dei pazienti, che<br />

prevedono una diversa intensità di intervento da parte servizi territoriali: contatto<br />

telefonico infermieristico programmato, visita infermieristica domiciliare programmata,<br />

accesso programmato all’ambulatorio cardiologico territoriale, visita medica e<br />

infermieristica domiciliare programmata.<br />

387


E' stata quindi messo a punto un protocollo, una scheda raccolta dati ed un data base per la<br />

valutazione d'impatto del progetto in termini di aderenza del percorso clinico assistenziale del<br />

paziente a quanto definito dalle linee-guida e dal protocollo di dimissione.<br />

In particolare il protocollo prevedeva il confronto tra serie consecutive di pazienti ricoverati in<br />

regime ordinario con diagnosi di scompenso cardiaco (codici ICD9-CM: 428.0, 428.1, 402.01,<br />

402.11, 402.91 e DRG medico 127) ricoverati nell’Ospedale di Biella in due periodi, di cui<br />

uno precedente e uno successivo all’implementazione della LG (2004). In particolare nel<br />

periodo precedente erano incluse le dimissioni comprese tra il 1 aprile e il 31 agosto <strong>2003</strong>,<br />

mentre nel periodo successivo quelle comprese tra il 1 aprile e il 31 agosto 2005. Il numero<br />

complessivo stimato di pazienti da includere nello studio era di 340 pazienti. Attualmente<br />

sono stati inseriti nel data base 181 pazienti, il completamento dell'inserimento è previsto per i<br />

prossimi mesi. A livello territoriale è poi in corso il monitoraggio della presa in carico dei<br />

pazienti da parte dei servizi di assistenza integrata e di assistenza infermieristica con il<br />

monitoraggio degli interventi domiciliari e telefonici.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

I risultati preliminari del progetto sono stati presentati a due recenti convegni e pubblicati sui<br />

relativi atti.<br />

1. C. Prastaro, G. Corgnati, G. Fonte, S. Anchisi, A.Penna. Insufficienza cardiaca:<br />

dimissione ospedaliera e follow-up territoriale secondo linee-guida aziendali. Atti del<br />

Convegno Regionale HPH. Ospedale e Territorio: Esperienze per l'integrazione e la<br />

continuità assitenziale. Biella, 23 giugno 2005.<br />

2. Penna,V. Marinoni, P. Carpano Maglioli, G. Lanza, C. Prastaro, S. Anchisi, M.<br />

Marcolongo, L. Savoia. Insufficienza cardiaca: linee-guida e percorsi aziendali per<br />

promuovere comunicazione ed integrazione. Atti della 9 Conferenza Nazionale HPH.<br />

Comunicare la salute: il ruolo dell'Ospedale e del Distretto. Courmayeur, 29-30 settembre<br />

2005.<br />

388


Alberto Piazza Filone tematico A2<br />

Fattori di rischio genetici associati all'aterosclerosi coronarica e alla<br />

restenosi<br />

Università degli Studi di Torino,<br />

Dipartimento di Genetica, Biologia e Biochimica<br />

L’attività svolta nell’ambito del progetto ha portato ai seguenti risultati sottoposti per la<br />

pubblicazione a due riviste scientifiche internazionali peer reviewed:<br />

1. I polimorfismi del sistema Renina-angiotensina-aldosterone nell’insorgenza e nella<br />

prognosi a lungo temine di infarto miocardico acuto giovanile<br />

Scopo del lavoro:è stato valutare l’influenza di polimorfismi del sistema renina-angiotensinaaldosterone<br />

(SRAA) sul rischio di infarto miocardico acuto (IMA) in una popolazione italiana<br />

con età giovanile e sulla progressione della malattia.<br />

Metodi: 201 pazienti e 201 controlli sono stati appaiati per età e sesso (età media 40 ± 4 anni;<br />

90.5% maschi). I fattori di rischio convenzionali più frequenti sono fumo, storia familiare di<br />

malattia coronaria, ipercolesterolemia e ipertensione. Sono stati analizzati i seguenti<br />

polimorfismi genetici: I/D dell’enzima di conversione dell’angiotensina I (ACE I/D), A1166C<br />

nel recettore tipo 1 dell’angiotensina II (AGTR1) e C-344T nel gene dell’aldosterone sintetasi<br />

(CYP11B2). Considerando un follow-up a lungo termine (9 ± 4 anni) abbiamo confrontato la<br />

prevalenza dei polimorfismi genetici in pazienti con e senza eventi successivi (morti per<br />

arresto cardiaco, infarti del miocardio, procedure di rivascolarizzazione).<br />

Risultati: abbiamo evidenziato un’associazione statisticamente significativa tra IMA e<br />

polimorfismo ACE D/I (genotipo DD, 42% nei casi vs 31% nei controlli; p=0.05). Tale<br />

associazione rimane statisticamente significativa anche dopo aggiustamento per le possibili<br />

variabili cliniche confondenti. Per quanto riguarda lo studio di follow-up, durante i 9 anni in<br />

cui i pazienti (65 nuovi eventi, compreso 13 morti) sono stati seguiti abbiamo riscontrato che<br />

gli individui eterozigoti AC per il polimorfismo AGTR1 erano significativamente più<br />

frequenti nel gruppo degli eventi (p=0.016).<br />

Conclusioni: polimorfimi nei geni ACE e AGTR1 potrebbero avere un ruolo importante<br />

nell’insorgenza e nella progressione dell’IMA in età giovanile. Sono comunque necessari<br />

studi collaborativi con un maggior numero di pazienti per confermare i nostri risultati.<br />

2. Associazione tra polimorfismi/aplotipi nel gene TGF-β1 e infarto miocardico acuto in<br />

pazienti italiani di giovane età<br />

Scopo del lavoro: il fattore di crescita trasformante β1 (TGF-β1) sembrerebbe assumere un<br />

ruolo importante nell’infarto miocardio acuto (IMA), ma a tuttoggi non esistono studi che<br />

abbiano indagato il suo possibile ruolo nell’IMA giovanile. In questo studio abbiamo valutato<br />

l’influenza di polimorfismi/aplotipi nel gene TGF-β1 sull’insorgenza e la progressione<br />

dell’IMA in un campione italiano di giovani infartuati.<br />

389


Metodi: sono stati tipizzati 201 casi e 201 controlli per tre polimorfismi nel gene TGF-β1 (G-<br />

800A, C-509T and Leu10Pro). I principali eventi valutati durante il follow-up (media 107 ±<br />

49 mesi) sono stati morte, infarto miocardico o procedure di rivascolarizzazione.<br />

Risultati: fattori di rischio tradizionali risultati significativi in questo studio sono fumo (p


Pavilio Piccioni Filone tematico D1<br />

Utilizzo di varie fonti informative nello studio della prevalenza di ASMA e<br />

BPCO nella città di Torino<br />

Asl 4<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

L’asma bronchiale e la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) sono patologie<br />

respiratorie croniche largamente rappresentate nella popolazione. Nonostante le<br />

classificazioni proposte dalle linee guida, nella pratica è spesso arduo distinguere tra forme<br />

gravi di asma e di BPCO, anche a causa della loro possibile coesistenza nello stesso<br />

individuo. Obiettivo primario di questo progetto è la stima della prevalenza di asma e BPCO<br />

con l’utilizzo di diverse fonti informative.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Relativamente agli anni 2000-<strong>2003</strong> sono stati utilizzati:<br />

• i dati relativi ai registri di mortalità per i seguenti codici ICD 9: 491 (bronchite cronica),<br />

492 (enfisema), 493 (asma) e 518.81 (insufficienza respiratoria acuta);<br />

• le schede di dimissione ospedaliera (SDO);<br />

• i registri di esenzione ticket per asma (codice 007) e insufficienza respiratoria (IR, cod.<br />

024);<br />

• l’archivio delle prescrizioni farmaceutiche;<br />

• limitatamente all’ASL4, gli accessi alle strutture di pronto soccorso (Ospedale Giovanni<br />

Bosco) e le visite ambulatoriali effettuate presso l’ex-CPA.<br />

RISULTATI<br />

Per ognuna delle fonti informative, vengono riportate le prevalenze di asma, BPCO e IR,<br />

stratificate per sesso, età e ASL di residenza. La popolazione di Torino del 2002, utilizzata per<br />

il calcolo dei tassi di prevalenza, è quella riportata nella banca dati demografici (BDDE)<br />

disponibile nel sito internet della <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong>.<br />

Registro di mortalità<br />

In totale si sono verificati 1181 decessi per le cause sopra riportate (1081 per BPCO, 50 per<br />

enfisema, 66 per asma e 24 per IR). Il numero di decessi per BPCO e enfisema è maggiore nei<br />

maschi (60,7% vs 39,3% e 62,0% vs 38,0% rispettivamente), mentre la prevalenza di decessi<br />

per asma è maggiore nelle femmine (59,0% vs 41,0%). Il maggior numero di decessi si è<br />

verificato nelle fasce di età 60-79 anni e maggiore di 80 anni; il 9% dei decessi per asma<br />

riguarda soggetti di età inferiore a 60 anni. Il tasso di mortalità a Torino per l’ insieme delle<br />

patologie respiratorie considerate è risultato essere del 3,2 per 10.000 residenti (0,2*10.000<br />

per asma e 2,7*10.000 per BPCO).<br />

Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO)<br />

Si sono registrati 25330 ricoveri per patologie respiratorie croniche; il numero di pazienti<br />

ricoverati è 14996 di cui 10824 (74,7%) h<strong>anno</strong> avuto un solo ricovero e i restanti 4172 due o<br />

391


più ricoveri. Per 10750 pazienti (il 71,7% del totale) è stata posta diagnosi di BPCO o di<br />

enfisema, per 3904 (26,0%) diagnosi di IR e per 2601 (17,3%) diagnosi di asma.<br />

E’ risultato che i maschi sono maggiormente ricoverati per BPCO (61,8% vs 38,2%), mentre<br />

la % di ricoveri per asma è sovrapponibile nei due gruppi. Il maggior tasso di ricoveri per<br />

BPCO viene registrato in pazienti con età superiore a 50 anni (circa il 96%), mentre almeno il<br />

60% dei ricoveri per asma è rappresentato in pazienti con meno di 40 anni (il 35% in bambini<br />

di età inferiore a 4 anni). Analizzando la sovrapposizione di diagnosi, si nota che per il 45%<br />

dei pazienti con IR è riportata anche la BPCO, mentre la contemporanea diagnosi di asma e<br />

BPCO è presente per solo l’1,7% dei ricoverati. Il tasso di prevalenza di ricoveri per BPCO<br />

nel periodo in studio è dell’1,2% (1,6% nei maschi e 0,9% nelle femmine). Analizzando per<br />

fasce di età risulta che la prevalenza di BPCO nella popolazione con età superiore a 60 anni è<br />

del 3%. Per quanto riguarda l’asma la prevalenza di ricoveri è dello 0,3% con tassi di ricovero<br />

maggiori nelle fasce di età più basse (2,7% in bambini con meno di 4 anni).<br />

Registro di esenzione per patologia<br />

Sono state registrate 8604 esenzioni per patologie quali asma e IR (4751 soggetti h<strong>anno</strong><br />

ricevuto esenzione per asma, 3692 per IR e 161 per entrambe le patologie). La maggior parte<br />

dei soggetti con esenzione per IR sono maschi di età superiore a 60 anni (più dell’80%); tra i<br />

soggetti con l’esenzione per asma non ci sono differenze significative per sesso, mentre più<br />

del 50% degli esenti ha età inferiore a 40 anni. Il tasso di prevalenza delle esenzioni per tali<br />

patologie nel 2002 risulta essere dello 0,6% per asma e dello 0.5% per IR.<br />

Dall’incrocio delle diverse fonti risulta una prevalenza complessiva di malattie ostruttive delle<br />

vie aeree del 2,5%: 0,8% per l’asma (1,2% nella fascia di età sotto i 40 anni), 1,3% per la<br />

BPCO (1.7% nei maschi, 3.1% nelle categorie di età oltre i 60 anni) e 0,8% per la IR (da<br />

0,2% a 1,8%, rispettivamente al di sotto e al di sopra dei 60 anni). L’11,6% del totale dei casi<br />

prevalenti è rappresentato nelle due fonti informative (SDO e esenzioni): il 58,8% solo nelle<br />

SDO e il 28,8% solo nel registro delle esenzioni. Il registro di mortalità ha contribuito a<br />

individuare altri 179 casi (0,8%) morti nel corso del <strong>2003</strong>.<br />

Visite al CPA e accessi al PS dell’Ospedale Giovanni Bosco (ASL4)<br />

La presenza di una delle patologie di interesse è stata riportata per 11747 soggetti visitati<br />

presso il CPA: di questi 6478 h<strong>anno</strong> ricevuto diagnosi di asma, 4795 di BPCO e 850 di IR.;<br />

199 soggetti riportano diagnosi di asma e BPCO contemporaneamente e 165 presentano<br />

BPCO in IR. Dai dati relativi agli accessi al Pronto Soccorso del Giovanni Bosco risultano<br />

5030 accessi al PS per BPCO, enfisema, asma o IR tra il 2002 e il <strong>2003</strong>, relativi a 3617<br />

pazienti, 2861 dei quali con un unico accesso e 756 con due o più passaggi al PS. Per 2874<br />

soggetti (circa l’80%) è stata posta diagnosi di BPCO o bronchite cronica o acuta o di<br />

enfisema; per 1125 (31,1%) è stata diagnosticata asma e per 320 (8,9%) IR.<br />

Utilizzando tutte le fonti disponibili per l’ASL4, i tassi di prevalenza sono rispettivamente del<br />

4,2% (12,4% nella popolazione al di sopra di 60 anni) per la BPCO, del 4,1% per l’ asma (6%<br />

nella popolazione al di sotto di 20 anni) e dello 0,9% per IR.<br />

CONCLUSIONI<br />

L’ insieme di questi dati conferma che le patologie ostruttive delle vie aeree rappresentano<br />

una importante causa di morte e di ricovero. Resta spesso complesso, utilizzando dati<br />

routinari, distinguere le diverse patologie. L’incrocio di fonti diverse ha dimostrato di essere<br />

un interessante metodo per meglio stimare l’impatto complessivo di queste patologie che,<br />

oltre ad essere largamente diffuse, sono caratterizzate da diversi gradi di severità.<br />

392


Antonio Piga Filone tematico D4<br />

Validazione di uno strumento EBM per l'utilizzo ottimale delle risorse<br />

Internet dedicate alla prevenzione<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze pediatriche e dell’Adolescenza<br />

METODI E RISULTATI<br />

Il 31 gennaio 2005 si sono conclusi i lavori e ha avuto termine la borsa di studio assegnata a<br />

partire dal 1 aprile 2004. E’ stato realizzato uno strumento EBM per la valutazione delle<br />

risorse Internet in campo biomedico e lo si è sottoposto a una prova di valutazione da parte di<br />

un gruppo di medici non coinvolti nell’elaborazione dello strumento. I risultati del test sono<br />

stati sottoposti ad analisi della varianza ed h<strong>anno</strong> dato buoni risultati in termini di<br />

concordanza intervalutatore. Parallelamente al lavoro di sviluppo e test dello strumento, la<br />

ricerca ha consentito l’inserimento di 29 risorse sulla talassemia sul catalogo online Elisir,<br />

reperibile all’indirizzo: da parte di un documentalista esperto nella catalogazione delle risorse<br />

Internet. Il gruppo risultava formato da 1 clinico esperto di talassemie (responsabile della<br />

ricerca), 4 bibliotecari biomedici, 7 clinici di cui 3 esperti di talassemie che h<strong>anno</strong> svolto il<br />

ruolo di tester.<br />

Metodi di ricerca delle griglie di valutazione esistenti<br />

Ad agosto 2004 è stata eseguita una ricerca sistematica della letteratura con l’obiettivo di<br />

reperire il maggior numero possibile di griglie per la valutazione dell’informazione biomedica<br />

disponibile in Internet. Allo scopo sono stati utilizzati database bibliografici (Pubmed,<br />

EMBASE, CINAHL), motori di ricerca (Google, Yahoo) e altre fonti (AMIA Annual<br />

Symposium Proceedings 2002 e <strong>2003</strong>). Sono stati inclusi soltanto studi o siti web che<br />

presentassero esplicitamente una griglia di valutazione per risorse relative alla salute, oppure<br />

griglie di valutazione che, pur pensate per un utilizzo generale, potessero adattarsi pienamente<br />

alla valutazione di risorse sulla salute. Sono state in tal modo reperite 325 risorse. E’ stata<br />

fatta una revisione sistematica di tutti i criteri di valutazione dei siti utilizzati. Sono stati così<br />

identificati 254 singoli criteri che presentavano una differenza significativa, ancorché in molti<br />

casi minima.<br />

Rielaborazione dei criteri e creazione della griglia di valutazione<br />

Un successivo lavoro di analisi e discussione tra i 4 bibliotecari ha permesso di ridurre i criteri<br />

a 22, eliminando i criteri che presentassero sovrapposizioni ritenute non significative. Questi<br />

criteri sono stati assemblati in un prototipo di griglia, che è stato rivisto criticamente insieme<br />

ai testers ed al clinico esperto, che ha portato alla riformulazione di alcuni, all’ordinamento<br />

razionale all’interno della griglia. Di ciascun criterio sono stati formulati definizione, limiti e<br />

modalità di applicazione. Di seguito la lista dei 22 criteri:<br />

A. Valutazione della risorsa<br />

1. L'autore della risorsa è chiaramente indicato?<br />

2. E' chiaro l'obiettivo della risorsa?.<br />

3. La risorsa è appropriata al proprio target di utenza?<br />

4. La risorsa è priva di distorsioni sistematiche (bias)?<br />

393


5. Lingua - L'informazione è disponibile anche in inglese?<br />

6. La risorsa è accessibile in modo soddisfacente?<br />

7. La risorsa è disponibile gratuitamente?<br />

8. La risorsa è organizzata in modo soddisfacente?<br />

9. La risorsa è libera da barriere di utilizzo?<br />

10. La risorsa è graficamente efficace e questo ne favorisce la fruibilità?<br />

11. La risorsa ha un buon grado di interattività?<br />

12. E' garantita la tutela dei dati personali?<br />

13. I collegamenti esterni (link) proposti dal sito sono di qualità?<br />

14. La risorsa viene aggiornata regolarmente?<br />

B. Valutazione dell’informazione<br />

15. L'informazione proposta è rilevante?<br />

16. L'informazione proposta è originale?<br />

17. L'informazione proposta è esaustiva?<br />

18. Viene presentato più di un punto di vista sull'argomento?<br />

19. L'informazione presentata è evidence-based?<br />

20. Sono citate le fonti sulle quali si basa l'informazione?<br />

21. Esistono processi di selezione e/o revisione dell'informazione presentata?<br />

22. La risorsa rispetta i principi deontologici e di etica delle professioni mediche?<br />

Selezione siti e applicazione della griglia<br />

La griglia è stata quindi testata su un argomento medico. E’ stata scelta la talassemia per il<br />

grado di esperienza dei valutatori e del referente, e per la pertinenza rispetto ai temi di salute<br />

con importanti aspetti di prevenzione. Sull’argomento è stata effettuata una ricerca utilizzando<br />

due dei principali motori della rete, Google e Yahoo. Tra i primi 200 siti sono stati selezionati<br />

secondo un criterio di pertinenza 40 siti. Da questo elenco sono state scelte in modo random le<br />

5 risorse che sono state oggette di test. Dopo una riunione congiunta di discussione sui metodi<br />

di applicazione dei criteri, ognuno dei 7 clinici coinvolti ha operato indipendentemente e<br />

applicato la griglia alle 5 risorse. Il punteggio totale attribuibile a ciascun sito era dato dalla<br />

somma dei punteggi parziali delle due componenti qualitative della griglia:<br />

A Valutazione della risorsa,<br />

B Valutazione dell’informazione, con un peso relativo rispettivamente del 42% e del 58%.<br />

Valutazione statistica<br />

L’analisi della varianza ha mostrato differenze significative tra le cinque risorse e una buona<br />

concordanza generale tra osservatori. La concordanza di giudizio è stata massima per i criteri<br />

più facilmente oggettivabili e descrittivi, e minore per i criteri di formato e organizzazione<br />

della risorsa. I criteri più importanti, riguardanti la rilevanza, l’obiettività ed il grado di<br />

evidenza del contenuto h<strong>anno</strong> avuto una bassa variabilità. Catalogazione di risorse sulle<br />

talassemie all’interno del motore ELISIR Utilizzando la griglia elaborata, sono state inserite<br />

nel catalogo online Elisir 29 risorse, il cui elenco è reperibile all’indirizzo:<br />

http://www.lib.unito.it/database/uri.php?id_mesh=171.<br />

394


CONCLUSIONI<br />

La ricerca ha permesso di costruire e validare uno strumento potenzialmente utile per la<br />

valutazione di risorse della rete di argomento sanitario, di catalogare secondo criteri EBM<br />

quelle sulla talassemia e di renderle liberamente disponibili in un sito di pubblica utilità.<br />

Gli sviluppi ulteriori sar<strong>anno</strong>:<br />

• applicazione sistematica della griglia ad altri argomenti medici ed infermieristici con<br />

relativa catalogazione;<br />

• utilizzo della griglia a scopo didattico nei corsi tenuti dal Dipartimento;<br />

• utilizzo della griglia nelle ricerche di tipo bibliotecario;<br />

• traduzione della griglia in inglese e sua proposta su una rivista di metodologia applicata.<br />

395


Lorenzo Pinessi Filone tematico A4<br />

Cefalea a grappolo e stili di vita: indagine sui fattori di rischio ambientali<br />

e genetici.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Neuroscienze<br />

OBIETTIVI<br />

1. <strong>Ricerca</strong>re eventuali fattori di rischio correlati allo stile di vita (attività lavorativa, fumo,<br />

consumo di alcol, esposizione a tossici ambientali, ipertensione, uso di farmaci analgesici,<br />

etc.) correlabili alla comparsa di cefalea a grappolo.<br />

2. Valutare se polimorfismi dei geni che codificano per il sistema ipocretina/oressina siano<br />

associati alla cefalea a grappolo e/o ne possano modificare la storia naturale.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Secondo i criteri internazionali (ICHD-II), sono stati selezionati dagli archivi della SC-DU<br />

Neurologia III- Centro Cefalee dell’Università degli Studi di Torino – Ospedale Molinette:<br />

A. 120 pazienti affetti da cefalea a grappolo<br />

B. 240 soggetti sani, age and sex-matched.<br />

Tutti i pazienti selezionati sono stati sottoposti ad visita neurologica e ad una serie di<br />

accertamenti comprendenti: ematochimici di ruotine, screening laboratoristico per le sindromi<br />

cefalalgiche e, ove necessario, TAC cranio e tests neuropsicologici. E’ stata compilata una<br />

apposita cartella clinica per valutare l’eventuale esposizione a presunti fattori di rischio. In<br />

particolare sono stati considerati potenziali fattori di rischio: età, sesso, familiarità per cefalea,<br />

istruzione, attività lavorativa, esposizione a tossici ambientali, uso e/o abuso di analgesici,<br />

ipertensione, diabete, dislipidemia.<br />

Dopo estrazione del DNA dal sangue, sono stati esaminati, in accordo con le correnti<br />

metodiche di biologia molecolare, i seguenti polimorfismi:<br />

• HCRT gene: –3250C>T (SNP # 4796717) e –1717C>T (SNP # 8072081). ·<br />

• HCRTR1 gene: 264C>T (R37R) (SNP # 1056526) e 1375C>T (I408V) (SNP # 2271933)<br />

• HCRTR2 gene: 1246G>A (V308I) (SNP # 2653349) e IVS4-492A>C (SNP # 1027650)<br />

L’analisi statistica è stata effettuata utilizzando i programmi SigmaStat – version 1.0 (Jandel<br />

Corp. 1994) e Epi Info software, version 6.04 (CDC Centers, Atlanta, USA, and WHO,<br />

Geneva, Switzerland).<br />

RISULTATI E RICADUTE PER IL SERVIZIO SANITARIO REGIONALE<br />

C. I fattori di rischio esaminati (familiarità per cefalea, educazione, attività lavorativa,<br />

esposizione a tossici ambientali, ipertensione, dislipidemia) non sono risultati<br />

statisticamente differenti tra i pazienti con cefalea a grappolo ed i soggetti di controllo.<br />

Questo può essere motivato da una numerosità ancora bassa del campioni di affetti. E’ in<br />

corso l’ampliamento della casistica.<br />

396


D. L’analisi dei polimorfismi dei geni del sistema ipocretina/oressina ha dimostrato che i<br />

pazienti con cefalea a grappolo presentano un aumento significativo del genotipo G/G del<br />

polimorfismo 1246 G< A del gene HCRTR2. Questo effetto è stato dimostrativo sia nei<br />

pazienti maschi, sia nelle femmine. Non è stato dimostrato un effetto significativo di tale<br />

polimorfismo sulla storia clinica di tale malattia.<br />

Il nostro studio dimostra, per la prima volta, che un polimorfismo del HCRTR2 è associato<br />

alla cefalea a grappolo. Ad oggi, nessuno studio di genetica molecolare ha presentato alcuna<br />

associazione significativa tra polimorfismi di diversi geni e la malattia.<br />

Vista l’importanza scientifica dello studio è stato preparato un manoscritto che è stato<br />

pubblicato sulla rivista Neurology come Expedited Publication (Neurology 2004;63:1286-<br />

1288).<br />

397


Enrico Pira Filone tematico A3<br />

Modelli per lo studio del comportamento fisiopatologico della cute, a<br />

contatto con materiali tessili utilizzati come DPI<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Traumatologia, Ortopedia e Medicina del Lavoro<br />

METODI E RISULTATI<br />

Nell’ambito del Progetto è stato preliminarmente effettuato un lavoro di ricerca bibliografica<br />

a livello internazionale sul comfort in relazione all’utilizzo di prodotti tessili, aggiornamento<br />

che ha portato alla redazione di un Documento di sintesi.<br />

Si è provveduto inoltre alla elaborazione di Linee Guida per l’individuazione di un campione<br />

umano significativo da utilizzare per le rilevazione nella camera climatica. Infatti, per poter<br />

arrivare a risultati affidabili nell’analisi del comfort, occorre innanzitutto che il campione sia<br />

selezionato in modo da rappresentare la popolazione a cui i risultati debbono essere riferiti,<br />

soprattutto in considerazione del fatto che lo stesso gruppo di persone viene sottoposto al test<br />

in diverse condizioni (a riposo, durante attività fisica moderata ed elevata; a diverse<br />

temperature e livelli di umidità; senza e con sistema abito). Si è reso così necessario precisare<br />

il numero complessivo di test che verr<strong>anno</strong> effettuati sul singolo gruppo di soggetti (come<br />

combinazione delle diverse condizioni sopra elencate), per poter determinare correttamente il<br />

livello di significatività da considerare nel dimensionamento del campione.<br />

Successivamente alla raccolta dei dati, si procederà all’analisi statistico-epidemiologica<br />

affidata all’Istituto Superiore di Sanità, che si è assunto il compito di<br />

1. descrivere il campione considerato, relativamente alle variabili biologiche e demografiche<br />

che si ritiene possano avere una influenza sulle variabili risposta considerate per la<br />

valutazione del comfort.<br />

2. sintetizzare ogni variabile risposta nel campione e nella condizione considerata,<br />

utilizzando gli appropriati indici di tendenza centrale e variazione, costruendo ove<br />

possibile gli intervalli di confidenza.<br />

La definizione dei diversi modelli previsti dal progetto potrà essere utilmente completata dalla<br />

raccolta dei dati sperimentali sul campo, al fine di valutare le relazioni tra le variabili di<br />

interesse, secondo quanto previsto al Livello 3 del modello di Umbach (riportato,<br />

schematicamente, in Fig. 1)<br />

A tale proposito sar<strong>anno</strong> arruolati volontari – secondo i criteri biostatistici definiti nelle Linee<br />

Guida sopra riportate – e le misure derivate dalle diverse condizioni di esposizione in camera<br />

climatica consentir<strong>anno</strong> di confermare la validità dei modelli teorici approntati in questo<br />

studio secondo quanto elaborato dal Gruppo di lavoro Interdisciplinare.<br />

398


Modello di<br />

comfort:<br />

previsione della<br />

risposta<br />

termofisiologic<br />

Figura 1 – Modello di Umbach<br />

Livello 5:<br />

test di mercato<br />

Livello 4:<br />

prove specifiche<br />

Livello 3:<br />

controllo dei risultati con soggetti umani<br />

per mezzo di test in camera climatica<br />

⇒ funzioni fisiologiche caratteristiche<br />

del corpo<br />

Livello 2:<br />

analisi biofisiche sul sistema “indumento”<br />

⇒ misure su Manichino Termico<br />

Livello 1:<br />

analisi biofisiche sul campione tessile<br />

⇒ misure su Skin Model<br />

Questa fase prevede le seguenti condizioni sperimentali<br />

• Una persona a riposo con condizioni microclimatiche standard<br />

- standardizzazione del periodo della giornata nel quale effettuare le prove<br />

- definizioni dei tempi di misurazioni dei parametri fisiologici della pelle;<br />

- standardizzazione di alcuni parametri fisiologici del corpo (frequenza cardiaca e<br />

della gettata cardiaca) e correlazione con la sensazione soggettiva di comfort;<br />

- produzione di dati delle variabili fisiologiche della pelle nei vari punti individuati:<br />

microcircolo, temperatura, idratazione, elasticità, pH, levigatezza, morfologia<br />

cellulare degli strati superficiali cutanei (strato corneo e malpighiano)<br />

- valutazione della correlazione dei dati fisiologici della pelle e del corpo con la<br />

sensazione di comfort.<br />

• Una persona riposo con variazioni delle condizioni microclimatiche ( valutazione del Cns<br />

– comfort a riposo)<br />

- misurazioni ripetibili delle variabili fisiologiche del corpo e della pelle nei punti<br />

individuati, all’interno della camera, al variare della temperatura con umidità e<br />

ventilazione costante, con misurazione delle sensazioni soggettive ed oggettive di<br />

comfort;<br />

- misurazioni ripetibili delle variabili fisiologiche del corpo e della pelle nei punti<br />

individuati, all’interno della camera, al variare della umidità con temperatura e<br />

ventilazione costante, con misurazione delle sensazioni soggettive;<br />

399<br />

Modello di<br />

comfort:<br />

previsione della<br />

risposta<br />

termofisiologica


- misurazioni ripetibili delle variabili fisiologiche del corpo e della pelle nei punti<br />

individuati, all’interno della camera, al variare della ventilazione con temperatura e<br />

umidità costante, con misurazione delle sensazioni soggettive;<br />

- valutazione sulla correlazione dei dati fisiologici della pelle e del corpo con la<br />

sensazione di comfort.<br />

• Una Persona in attività fisica moderata ed elevata con condizioni microclimatiche<br />

standard (valutazione del comfort con leggera e forte sudorazione)<br />

- standardizzazione del range di attività fisica;<br />

- Misurazioni ripetibili e riproducibili delle variabili fisiologiche della pelle in un<br />

punto, all’interno della camera con condizioni microclimatiche standard;<br />

- Misurazioni ripetibili e riproducibili delle variabili fisiologiche della pelle in tutti i<br />

punti e del corpo, indicati dal dermatologo, all’interno della camera con condizioni<br />

microclimatiche standard;<br />

- valutazione sulla correlazione dei dati fisiologici della pelle e del corpo con la<br />

sensazione di comfort.<br />

• Una Persona in attività fisica moderata e ed elevata con variazioni delle condizioni<br />

microclimatiche<br />

- misurazioni ripetibili e riproducibili delle variabili fisiologiche della pelle in un<br />

punto e successivamente su tutti i punti, all’interno della camera al variare della<br />

temperatura con umidità e ventilazione costante, con misurazione delle sensazioni<br />

soggettive<br />

- misurazioni ripetibili e riproducibili delle variabili fisiologiche della pelle in un<br />

punto e successivamente su tutti i punti, all’interno della camera, al variare della<br />

umidità con temperatura e ventilazione costante, con misurazione delle sensazioni<br />

soggettive.<br />

- misurazioni ripetibili riproducibili delle variabili fisiologiche della pelle in un<br />

punto e successivamente su tutti i punti, all’interno della camera al variare della<br />

ventilazione con temperatura e umidità costante, con misurazione delle sensazioni<br />

soggettive.<br />

• Ripetizione delle diverse condizioni sperimentali con una persona a riposo e con<br />

attività fisica moderata ed elevata con sistema abito<br />

- utilizzo di materiali tessili testati e valutati in termini di resistenza del tessile al<br />

passaggio del calore secco e dell’umidità con lo Skin Model<br />

- misurazioni delle variabili del corpo e della pelle e delle sensazioni soggettive<br />

di comfort<br />

- Taratura del sistema di valutazione del comfort con parametri fisiologici ed<br />

ingegneristici<br />

• Ripetizione delle diverse condizioni sperimentali in un gruppo significativo in eta’<br />

lavorativa e di sesso diverso, costituito da persone sane.<br />

La definizione di queste diverse condizioni sperimentali e la elaborazione dei protocolli per la<br />

verifica dei diversi modelli completa il programma di ricerca e consente l’avvio della fase<br />

operativa nella camera climatica installata presso il LABORATORIO DI ALTA<br />

TECNOLOGIA TESSILE di Città degli Studi di Biella, operativa dal giugno 2006, dopo una<br />

lunga fase di messa a punto tecnica, anche sulla scorta dell’attività scientifica e dei<br />

suggerimenti forniti da questo gruppo di lavoro.<br />

400


Mario Pirisi Filone tematico A2<br />

Ferro, determinanti genetici e progressione fibrotica nell’epatite cronica C<br />

Università “A. Avogadro” del <strong>Piemonte</strong> Orientale<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

MATERIALI E METODI<br />

Come previsto dal progetto di ricerca, abbiamo esaminato materiale da 100 pazienti<br />

consecutivi, non selezionati, tutti affetti da epatite cronica C istologicamente documentata (54<br />

maschi, 46 femmine, di età media 52 anni). Tutti, come da criteri di selezione, erano negativi<br />

alla ricerca nel siero di HBsAg ed anticorpi anti-HIV. Il materiale da biopsia epatica è stato<br />

valutato da due patologi in modo indipendente, così da stimare su di essi l’entità di fibrosi<br />

utilizzando il metodo di Ishak.<br />

In relazione al punteggio di fibrosi stilato dall’anatomo-patologo, abbiamo analizzato,<br />

utilizzando un completo data base clinico:<br />

1. caratteristiche demografiche e cliniche, quali età, età al momento dell’infezione, durata<br />

stimata dell’infezione, presumibile via di trasmissione, entità di consumo alcolico,<br />

genotipo virale;<br />

2. parametri relativi al metabolismo del ferro (sideremia, indice di saturazione della<br />

transferrina, ferritina, concentrazione intraepatica di ferro, distribuzione intraepatica del<br />

ferro secondo il metodo di Searle);<br />

3. la presenza di mutazioni HFE e del gene per il recettore della ferritina e di mutazioni<br />

del gene della beta globina. A quest’ultimo fine, come da indicazioni del produttore<br />

(Nuclear Laser Medicine, Milano) abbiamo utilizzato amplificati provenienti da DNA<br />

estratto da campioni di sangue intero, utilizzando tests basati sul principio della<br />

ibridazione inversa, che prevedono tre fasi successive:<br />

• isolamento del DNA da sangue non coagulato utilizzando reattivi commercialmente<br />

disponibili (QIAamp minikit, Qiagen);<br />

• amplificazione simultanea (multiplex PCR) di sequenze genomiche di HFE e beta-globina<br />

utilizzando oligonucleotidi specifici 5’-biotenilati;<br />

• ibridazione su strip dei frammenti amplificati biotenilati con sonde oligonucleotidiche<br />

allele-specifiche. Gli ibridati biotenilati sono stati successivamente rivelati utilizzando la<br />

strepatvidina coniugata con fosfatasi alcalina ed un appropriato substrato colorato.<br />

RISULTATI<br />

Tra i 100 pazienti esaminati, abbiamo identificato 12 eterozigoti per una delle mutazioni del<br />

gene della beta-globina (interessanti il codone 39 in sette casi, il codone IVS 1 in tre casi, il<br />

codone 22 in un caso, ed il codone IVS 16 in un caso) e 29 eterozigoti di mutazioni HFE<br />

(eterozigoti C282 in tre casi, omozigoti H63 in tre casi, eterozigoti H63 in 22 casi and 65c<br />

eterozigoti in un caso).<br />

Un ulteriore paziente è risultato portatore simultaneamente di mutazioni in forma eterozigote<br />

sia per HFE che per beta globina (rispettivamente, H63 e codone 39). I soggetti wild-type per<br />

entrambi i geni erano dunque 58/100. All’analisi univariata, l’età del paziente alla biopsia (P<br />

401


0.001), l’età del paziente all’atto dell’infezione (P = 0.01), la presenza di una mutazione per<br />

il gene della beta globina (P = 0.01), l’indice di saturazione della transferrina (P = 0.02) e la<br />

misura semiquantitativa di colorazione per ferro intraepatico (P = 0.03) sono risultati avere<br />

una correlazione con il punteggio di staging dei preparati bioptici. Alla analisi multivariata,<br />

solamente età alla biopsia (P < 0.001) e presenza di una mutazione del gene della beta globina<br />

(P = 0.01) avevano significato indipendente dagli altri parametri. Una fibrosi di grado marcato<br />

(staging uguale o superiore a 3) era correttamente predetta in un modello logistico includente<br />

l’età alla biopsia (O.R. 1.05, 95% C.I. 1.02-1.09), il consumo di alcool (O.R. 11.3, 95% C.I.<br />

1.2-103.5) e la presenza di mutazioni del gene della beta globina (O.R. 5.0, 95% C.I. 1.2-<br />

20.3).<br />

PUBBLICAZIONI<br />

I suddetti dati sono stati accettati come comunicazione al 55th Annual Meeting della<br />

American Association for the Study of Liver Diseases, tenutosi a Boston tra il 29/10 ed il<br />

02/11 p.v., e come tali pubblicati in forma di abstract sulla rivista Hepatology (Sartori M,<br />

Adorno S, Rigamonti C, Capelli F, Bozzola C, Pergolini P, Rolla R, Boldorini R, Bellomo G,<br />

Pirisi M. Heterozygous beta globin gene mutations are associated with more severe liver<br />

fibrosis in patients with chronic hepatitis C. Hepatology 2004;40:684A).<br />

Un articolo in extenso, contenente l’elaborazione finale dei dati e la presentazione di risultati<br />

e conclusioni dello studio, è attualmente in fase di preparazione.<br />

402


Valerio Podio Filone tematico C1<br />

Miglioramento dell’attivita’ antalgica della terapia radiometabolica in<br />

pazienti con metastasi ossee<br />

Azienda Ospedaliera San Luigi di Orbassano<br />

OBIETTIVO<br />

L'obiettivo dello studio è la valutazione della riduzione della sintomatologia dolorosa ossea<br />

mediante terapia radiometabolica (sia con Sm-[153]EDTMP, sia con Sr-89++), con particolare<br />

riguardo per il possibile effetto sinergico e non semplicemente additivo con la terapia<br />

antalgica tradizionale.<br />

MATERIALI E METODI<br />

A tale scopo abbiamo seguito 13 pazienti, che risultavano affetti da patologia neoplastica a<br />

carico della mammella (3 soggetti), a carico della prostata (6 pazienti) o a carico del polmone<br />

(i restanti 4). Tutti i soggetti sono stati arruolati in seguito all'esecuzione di scintigrafia ossea<br />

total body che dimostrava la presenza di multiple lesioni scheletriche captanti il radiofarmaco<br />

utilizzato per l’esame (in conformità al dettato normativo). Ai soggetti, informati su scopi e<br />

modalità della terapia radiometabolica, nonché sulle precauzioni da adottare, dopo adeguata<br />

sospensione dell’eventuale terapia con difosfonati (come da letteratura scientifica e<br />

conformemente alle norme d’uso approvate), è stata somministrata la dose terapeutica di Sm-<br />

[153]EDTMP (12 casi) o Sr-89++ (un solo caso) in un periodo di tempo compreso tra 1 e 2<br />

settimane dall'esecuzione della scintigrafia. Nelle prime 6 settimane dalla somministrazione<br />

del radiofarmaco sono stati strettamente monitorati i "marker" tumorali (PSA per il tumore<br />

prostatico e Ca 19.9 per il tumore mammario) e la funzione emocateretica; è stato inoltre<br />

chiesto ai pazienti di riferire l'evoluzione della sintomatologia dolorosa e le eventuali<br />

variazioni della terapia antalgica (in base ad apposito diario tenuto dai pazienti). I soggetti<br />

h<strong>anno</strong> ripreso la terapia con difosfonati o continuato le altre eventuali terapie antineoplastiche<br />

e/o antalgiche; a scadenze prefissate (3, 6 e 9 mesi) sono stati eseguiti la scintigrafia<br />

scheletrica, il dosaggio dei "marker" e l'esame emocromocitometrico ed è stata, inoltre,<br />

indagata in modo approfondito la qualità di vita e la sintomatologia dolorosa.<br />

Abbiamo quindi suddiviso i soggetti in base alle variazioni della terapia antalgica: è stata<br />

considerata come risposta completa alla terapia radiometabolica la totale sospensione della<br />

terapia antalgica precedentemente assunta dal soggetto, come risposta parziale la riduzione<br />

della posologia degli analgesici, ma senza sospensione degli stessi, e come mancata risposta il<br />

proseguimento senza variazioni della terapia.<br />

RISULTATI<br />

I risultati ottenuti indicano buona risposta della sintomatologia dolorosa al trattamento<br />

radiometabolico (risposta completa in 3 pazienti, risposta parziale in 8, nessuna risposta in 2).<br />

Per quanto riguarda gli altri parametri (funzione emocateretica, marker sierologici, ….), non<br />

sono state eseguite valutazioni approfondite, che verr<strong>anno</strong> eventualmente svolte in seguito,<br />

con l’ampliarsi della casistica a disposizione. I dati sono stati comunque considerati nel loro<br />

complesso, e quindi verr<strong>anno</strong> di seguito riportate alcune considerazioni generali. La tossicità<br />

midollare è risultata modesta in tutti i pazienti, con nadir dei leucociti e delle piastrine intorno<br />

alla 4a settimana e risoluzione spontanea in breve tempo (nessuna trasfusione si è resa<br />

403


necessaria). La risposta dei "marker" tumorali risulta di valutazione ancor più incerta (stante il<br />

basso numero di valori disponibili in questa fase), ma pare meno omogenea. Sempre con le<br />

stesse limitazioni, la scintigrafia ossea evidenzia patologia ripetitiva scheletrica<br />

sostanzialmente stabile, sia per quanto riguarda l’estensione, sia per quanto concerne<br />

l’intensità dell’accumulo osseo.<br />

Di rilievo è il riscontro, in alcuni soggetti (in particolare in coloro che h<strong>anno</strong> avuto una<br />

diminuzione consistente del dolore e/o una riduzione dei marker) della riduzione del numero e<br />

dell'intensità delle lesioni. I dati indicano, quindi, una buona risposta antalgica al trattamento<br />

stesso, con lievi o modesti effetti collaterali (in particolare riguardanti la funzione midollare):<br />

tale dato, pur se riferito ad una piccola popolazione, risulta congruente con i dati riportati dalla<br />

letteratura. Si è verificato inoltre come vi sia una risposta, almeno parziale, anche a livello dei<br />

marker sierologici (PSA e Ca19.9). Il dato interessante che emerge (anche se per ora, data<br />

l'esiguità della popolazione studiata, non assume ancora rilevanza statistica) è il fatto che<br />

l'associazione tra terapia radiometabolica e terapia antalgica tradizionale presenta effetto<br />

sinergico piuttosto che cumulativo: gli effetti antalgici appaiono infatti più prolungati e<br />

maggiormente efficaci nei due pazienti che assumono, assieme alla radioterapia metabolica,<br />

basse dosi di analgesici rispetto ai pazienti sottoposti alla sola terapia antalgica od alla sola<br />

radioterapia metabolica.<br />

Vi è inoltre evidenza che la somministrazione in fase precoce (soggetto con dolore osseo<br />

modesto/moderato e lesioni ossee in numero ridotto) sia mediamente più efficace rispetto alla<br />

somministrazione in fase metastatica avanzata.<br />

404


Giuseppe Poli Filone tematico A2<br />

Colesterolo ossidato e marcatori di risposta infiammatoria nei pazienti a<br />

rischio vascolare<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche<br />

MATERIALI E METODI<br />

Nel corso del progetto sono stati eseguiti sia esperimenti in vitro su cellule in coltura sia<br />

analisi di biologia molecolare su campioni di sangue periferico di pazienti a rischio vascolare,<br />

con diabete di tipo II o con coronaropatia ed angina stabile o instabile. Per quanto riguarda gli<br />

studi in vitro, sono state eseguite analisi di gene array a bassa densità su cellule della linea<br />

macrofagica trattate con LDL minimamente ossidate o con prodotti di ossidazione lipidica in<br />

essi contenuti, quali ossisteroli e idrossialchenali. E’ stata osservata una costante<br />

ipermodulazione di alcuni geni, in particolare quelli che codificano per la chemochina MCP-1<br />

e l’integrina beta1, come confermato da analisi RT-PCR (Poli G et al., 2004).<br />

L’approfondimento analitico delle vie di trasduzione di segnali cellulari risultate attivate in<br />

cellule macrofagiche trattate con ossisteroli ha permesso di identificare le vie biochimiche<br />

essenziali tramite le quali i prodotti di ossidazione del colesterolo sono in grado di indurre la<br />

cellula macrofagica ad esprimere e produrre concentrazioni di MCP-1 e beta 1 integrina 3-4<br />

volte superiori a quelle riscontrabili in macrofagi di controllo. Precisamente, in seguito<br />

all’interazione con i recettori CD36 dei macrofagi con miscele di ossisteroli si ha,<br />

probabilmente tramite un significativo incremento di Ca2+ citosolico, l’attivazione a cascata<br />

di protein cinasi C e di ERK1,2 cinasi, senza apparente coinvolgimento delle cinasi JNK e<br />

p38. Si è poi ottenuto un risultato di particolare interesse applicativo, e cioè l’inibizione totale<br />

dell’incremento della sintesi di MCP-1 da parte di macrofagi stimolati da ossisteroli, quando<br />

alla miscela di reazione veniva aggiunto un inibitore delle cinasi ERK1,2 (Leonarduzzi G et<br />

al. 2005). Con riferimento alla valutazione di colesterolo ossidato nel sangue periferico di<br />

pazienti a rischio vascolare, sono stati presi in considerazione due tipi di patologie diverse, il<br />

diabete di tipo II e l’angina stabile o instabile. In un primo tempo sono stati reclutati 35<br />

pazienti con diabete mellito non insulino dipendente, di cui 7 casi con ipercolesterolemia ed i<br />

restanti 28 casi con normocolesterolemia. Il livello di ossisteroli plasmatici nei pazienti<br />

ipercolesterolemici è risultato due-tre volte superiore a quello di individui sani di pari età (16<br />

casi). Al contrario, nei pazienti diabetici con normocolesterolemia, non si è riscontrato<br />

aumento significativo degli ossisteroli plasmatici rispetto ai controlli.<br />

E’ poi iniziato il reclutamento di pazienti con angina stabile (n°20) e pazienti con angina<br />

instabile (n°28) ed in essi si sono valutati alcuni indici ematici di ossidazione lipidica e di<br />

infiammazione. Rispetto ai valori riscontrati in un gruppo di individui adulti sani, presi come<br />

controllo (n°15), il livello di ossisteroli plasmatici è risultato significativamente aumentato sia<br />

nei pazienti con angina stabile che in quelli con angina instabile, senza peraltro evidenti<br />

differenze tra i due tipi di pazienti. Tra gli ossisteroli analizzati, il colesterolo alfa-epossido è<br />

quello che ha dimostrato l’incremento più significativo. Con riferimento alla determinazione<br />

dello stato infiammatorio, la misura del livello plasmatico di proteina C (metodo quantitativo)<br />

è quella che ha dimostrato maggior interesse ed affidabilità, in quanto la PCR è risultata in<br />

tutti i pazienti con angina significativamente più alta rispetto ai valori ottenuti negli individui<br />

di controllo, ma con un aumento statisticamente più sostenuto nei casi di angina instabile<br />

rispetto a quelli con angina stabile.<br />

405


Sono stati inoltri valutati per il loro potenziale ruolo di markers di progressione della lesione<br />

aterosclerotica diversi altri indici di infiammazione, tra cui molecole di adesione, citochine<br />

infiammatorie e chemochine. Ciò è stato reso possibile dall’impiego di una metodica prototipo<br />

di protein array, cioè analisi immunochimica contemporanea di un insieme di molecole<br />

proteiche presenti nel plasma, nel nostro caso proteine infiammatorie.<br />

RISULTATI<br />

I risultati ottenuti, per quanto bisognosi di essere confermati in una casistica molto più ampia,<br />

h<strong>anno</strong> indicato come la citochina MCP-1 e probabilmente anche la molecola di adesione<br />

ICAM-1 sembrino essere buoni candidati a fungere da indicatori di avanzamento della<br />

malattia aterosclerotica, purchè non considerati come singoli parametri di analisi bensì inseriti<br />

in un panel di indicatori di infiammazione, di cui ovviamente faccia parte la proteina C<br />

reattiva.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

1. Poli G, Leonarduzzi G., Biasi F, Chiarpotto E. Oxidative stress and cell signalling. Curr.<br />

Med. Chem. 11, 1163-1182, 2004.<br />

2. Leonarduzzi G, Gamba P, Sottero B, Kadl A, Robbesyn F, Calogero RA, Biasi F,<br />

Chiarpotto E, Leitinger N, Sevanian A, Poli G. Oxysterol-induced up-regulation of MCP-1<br />

expression and synthesis in macrophage cells. Free Radic. Biol. Med. 39; 1152-1161,<br />

2005.<br />

406


Antonio Ponzetto Filone tematico A2<br />

Il carcinoma epatocellulare e infezione da virus dell'epatite C.<br />

Identificazione di fattori di rischio associati.<br />

Fondazione per la <strong>Ricerca</strong> Biomedica – Onlus<br />

La mortalità per patologie epatiche terminali è un grave problema di interesse mondiale. In<br />

Italia, la mortalità per cirrosi nel sesso maschile è tripla rispetto a quella del carcinoma del<br />

colon-retto. La cirrosi epatica è la prima causa di morte nella fascia di età 25-44 anni in Italia<br />

(dati ISTAT). Al secondo posto si colloca la morte per cause cardiocircolatorie, ed al terzo<br />

posto il diabete. Per ogni singolo paziente diabetico deceduto nella fascia di età dei giovani<br />

adulti sopracitata muoiono 5 persone per cirrosi epatica, ogni <strong>anno</strong>. La coscienza nazionale è<br />

molto attenta al problema diabete, grazie a molte rigorose campagne di sensibilizzazione. I<br />

problemi inerenti il cuore e la circolazione occupano giustamente un posto preminente<br />

dell’attenzione pubblica, dei Programmi Nazionali, dei mass-media. Purtroppo non si pone<br />

altrettanta attenzione alla prima causa di morte degli Italiani in età lavorativa. Una<br />

conseguenza a lungo termine della cirrosi epatica è il carcinoma primitivo epatocellulare<br />

(HCC), causa di morte di oltre 9000 Italiani ogni <strong>anno</strong>. La maggioranza assoluta dei<br />

connazionali con cirrosi del fegato e con HCC sono cronicamente infetti dal virus dell’epatite<br />

C (HCV). Attualmente, non esiste una terapia efficace per queste epatopatie, eccetto il<br />

trapianto del fegato che ha costi elevati e non è disponibile per tutti i pazienti terminali.<br />

407


Carola Ponzetto Filone tematico C1<br />

I sarcomi a piccole cellule: nuove prospettive diagnostiche e<br />

terapeutiche<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Anatomia, Farmacologia e Medicina Legale<br />

La prima parte del progetto prevedeva di validare Met come target terapeutico nei<br />

rabdomiosarcomi.<br />

Nella maggioranza dei rabdomiosarcomi alveolari la lesione causale è il riarrangiamento Pax-<br />

3/7-FKHR. In uno studio collaborativo, basato sulla costruzione di un topo knock-in che<br />

esprime Pax3-FKHR nel locus di Pax3, abbiamo mostrato che Pax3-FKHR incrementa<br />

l’espressione di Met nel dermomiotomo e l’iperattivazione di Met conduce all’inappropriata<br />

delaminazione delle cellule dai somiti. Quindi Met è un bersaglio diretto di Pax3 nei<br />

precursori miogenici in vivo. Nei casi di rabdomiosarcoma embrionale e di un piccolo numero<br />

di casi di rabdomiosarcoma alveolare, negativi per il riarrangiamento Pax-3/FKHR, non è<br />

chiaro quale sia la lesione genetica “trainante”. Abbiamo ipotizzato che in questo caso ci<br />

possa essere una mutazione attivante di Met e abbiamo iniziato un’analisi mutazionale per<br />

sequenza del gene c-Met. Abbiamo messo a punto il sequenziamento su cDNA retrotrascritto<br />

da mRNA degli esoni che codificano per il dominio tirosina-cinasico e carbossiterminale di<br />

Met nelle linee cellulari di rabdomiosarcoma RH4, RH30 e RD18. Abbiamo reperito il cDNA<br />

da una ventina di casi di rabdomiosarcoma embrionale e di un piccolo numero di casi di<br />

rabdomiosarcoma alveolare, negativi per il riarrangiamento Pax-3/FKHR (Dr B. Schafer,<br />

University Children’s Hospital, Zurich), sui quali abbiamo iniziato l’analisi mutazionale.<br />

Per verificare se Met gioca un ruolo importante nell’insorgenza e nel mantenimento del<br />

rabdomiosarcoma, abbiamo adottato due diverse strategie.<br />

1. Abbiamo testato la capacità di Pax-3/FKHR di trasformare fibroblasti derivati da un topo<br />

geneticamente modificato (MetD) equivalente a un knock-out di Met, che esprimono una<br />

forma inattiva di Met. La loro eventuale resistenza alla trasformazione Pax-3/FKHR<br />

mediata avrebbe dovuto confermare che Met ne è un effettore necessario. In maniera<br />

inaspettata, alcuni dei fibroblasti di controllo trasfettati con il cDNA di Pax-3/FKHR sono<br />

andati incontro a una differenziazione muscolare terminale, sviluppando dei miotubi che si<br />

contraggono. Anche se è già stato descritto che Pax-3/FKHR è capace di attivare il<br />

programma miogenico nei fibroblasti, una completa differenziazione non è stata ancora<br />

descritta. Per quanto riguarda la trasformazione, non siamo riusciti ad ottenere la<br />

formazione di foci nei fibroblasti usando il cDNA di Pax-3/FKHR. Questo risultato è<br />

probabilmente dovuto al fatto - recentemente descritto da altri autori- che solo bassi livelli<br />

di Pax-3/FKHR sono in grado di promuovere la crescita cellulare, mentre alti livelli<br />

sembrano essere pro-apoptotici per le cellule. Per facilitare l’attività trasformante di Pax-<br />

3/FKHR e quindi rendere possibile l’analisi del ruolo di Met nella trasformazione Pax-<br />

3/FKHR–mediata, stabilizzeremo delle nuove linee di fibroblasti di controllo e MetD da<br />

topi in un contesto genetico Ink4a-/-, che consente la resistenza all’apoptosi.<br />

2. Abbiamo cercato di sopprimere l’espressione di Met in linee di rabdomiosarcoma umane e<br />

murine mediante interferenza a RNA per verificare se la loro tumorigenicità dipende da<br />

Met. Abbiamo clonato in un vettore per la produzione di shRNA (pSUPER) una sequenza<br />

408


oligonucleotidica specifica per Met murino e umano e in esperimenti di co-trasfezione<br />

abbiamo verificato che è in grado di abbattere l’espressione del recettore Met. Abbiamo<br />

sub-clonato questa sequenza in un vettore lentivirale ottimizzato per shRNA per produrre<br />

un virus capace di infettare le cellule con un’alta efficienza e di trasdurre alti livelli di<br />

espressione dell’shRNA. Per ora abbiamo infettato la linea di rabdomiosarcoma<br />

embrionale RD18 e verificato che la soppressione di Met correla con un arresto della<br />

crescita cellulare.<br />

409


Maria Prat Filone tematico B3<br />

Anticorpi monoclonali contro il recettore Met nella prevenzione e terapia<br />

di infezioni da Listeria monocytogenes<br />

Università “A. Avogadro” del <strong>Piemonte</strong> Orientale<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La Listeria monocytogenes (L.M.) è un batterio intracellulare facoltativo Gram-positivo,<br />

presente nella normale flora batterica dell’intestino di numerose specie animali. Esso causa<br />

malattia negli animali e nell’uomo, soprattutto in individui immunosoppressi, donne gravide e<br />

neonati, a livello di tre sistemi/apparati: nervoso, viscerale e riproduttivo, provocando<br />

meningiti, meningo-encefaliti, gastro-enteriti e aborti con un tasso di mortalità del 30%. Esso<br />

viene internalizzato, oltre che da cellule fagocitiche, anche da cellule non fagocitiche, quali<br />

quelle epiteliali ed endoteliali. L’internalizzazione di L.M. dà loro accesso a una nicchia<br />

permissiva per la crescita e li sottrae al sistema di difesa dell’organismo. La penetrazione del<br />

batterio nella cellula ospite avviene con strategie evolutesi nel tempo e utilizzate da più batteri<br />

patogeni. La L.M. utilizza proteine della sua superficie che legano recettori della superficie<br />

della cellula bersaglio, attivando segnali per l’internalizzazione, che portano a riarrangiamenti<br />

del citoscheletro ed esitano nell’internalizzazione del batterio. Due proteine batteriche note<br />

come Internalina A (InlA) e InternalinaB (InlB) sono risultate responsabili<br />

dell’internalizzazione di LM. InlB è coinvolta nell’internalizzazione in epatociti, cellule<br />

endoteliali e fibroblasti. Recentemente è stato riportato che L.M. viene internalizzata in cellule<br />

di mammifero a seguito dell’interazione tra InlB e il recettore tirosina chinasi Met,<br />

precedentemente caratterizzato per essere il recettore del fattore di crescita epatocitario HGF.<br />

Il trattamento di cellule di mammifero con L.M. o InlB induce lo stesso effetto biologico di<br />

motilità “scatter” indotto dal trattamento con HGF e attiva parecchie delle vie di traduzione<br />

del segnale attivate da questo fattore di crescita. Nell’ottica di una prevenzione o terapia<br />

contro la diffusione dell’infezione, i recettori presenti sulla superficie delle cellule eucariote<br />

possono rappresentare validi bersagli. In effetti, se da un lato questi recettori sono le “porte”<br />

attraverso cui la L.M. può penetrare, dall’altro lato, qualora si interferisca con la loro specifica<br />

funzione di recettori per la L.M., possono diventare dei bersagli terapeutici.<br />

OBIETTIVO<br />

Obiettivo di questo progetto di ricerca era lo sviluppo di un reagente con potenzialità<br />

terapeutiche, in grado di interferire in vitro con l’infezione di L.M. in cellule di mammifero e<br />

di proteggere in vivo topi da un inoculo mortale di L.M. Ci si proponeva di utilizzare un<br />

anticorpo monoclonale (Mab DO-24) diretto contro il dominio extracellulare del recettore<br />

Met, che era stato sviluppato nel laboratorio della proponente e che era risultato in grado di<br />

bloccare l’internalizzazionedi L.M. in cellule di mammifer.<br />

RISULTATI<br />

a) Sono state approntate le cinetiche di crescita di due ceppi batterici: BUG 600 e BUG 947,<br />

rispettivamente ceppo selvatico e ceppo mutante che esprime soltanto l’Inl B.<br />

410


) Sono stati messi a punto esperimenti di infezione su varie linee cellulari di istotipo e<br />

specie diverse: In particolare sono state usate le seguenti linee cellulari umane: ECV<br />

(endotelio), GTL-16 (carcinoma gastrico), Hep G2 (epatocarcinoma), HT29<br />

(coloncarcinoma); la linea di epatociti murini immortalizzati MLP-29 e la linea di epitelio<br />

renale di scimmmia VERO. È stato osservato che alcune linee erano infettate dai due ceppi<br />

batterici con la stessa efficienza (cellule ECV, VERO, MLP-29), mentre altre erane<br />

infettate con maggiore efficienza dal ceppo selvatico, che esprimeva entrambe le<br />

internaline (cellule GTL-16, HT29, HepG2). L’internalina B è considerata il determinante<br />

d’internalizzazione di maggiore importanza, essendo in grado di indurre fagocitosi nella<br />

cellula bersaglio anche in assenza di cooperazione da parte di altre internaline (Bergam et<br />

al., Mol Microbiol. 43:557-570,2002); ciò sarebbe in accordo con quanto osservato<br />

riguardo l’internalizzazione di L. M. nelle linee cellulari ECV, Vero, MLP-29. Per contro,<br />

i risultati ottenuti riguardo alle linee cellulari GTL-16, HT29, HepG2 evidenziano come<br />

entrambe le internaline svolgono un ruolo importante nell’internalizzazione del patogeno.<br />

c) Sono stati condotti esperimenti utilizzando l’anticorpo monoclonale purificato DO-24, che<br />

riconosce l’epitopo del recettore Met su cui si lega Inl B, per bloccare l’infezione del<br />

batterio. In accordo con quanto osservato in letteratura, i risultati ottenuti h<strong>anno</strong><br />

dimostrato che l’anticorpo era in grado di inibire l’internalizzazione dei batteri in modo<br />

dose-dipendente (a dosi nM).<br />

d) A partire dall’anticorpo monoclonale DO-24, sono stati preparati e purificati frammenti<br />

Fab monovalenti a seguito di digestione con papaina e selezione negativa per<br />

cromotografia di affinità su colonna Sepharose-Proteina A. l’anticorpo è stato saggiato<br />

sulle differenti linee cellulari per verificare la capacità di interferire nell’internalizzazione<br />

di L.M. In accordo con quanto osservato per il DO24, anche il Fab era in grado di bloccare<br />

l’internalizzazione di L.M. sulle linee cellulari saggiate.<br />

e) Sulla base di questi risultati, si è deciso di produrre la forma ricombinante scFv, che è la<br />

porzione minima dell’anticorpo monoclonale che mantiene ancora attività anticorpale e<br />

che può essere prodotta in sistemi di espressione batterici ad alta resa. I geni delle porzioni<br />

variabili della catena leggera e della catena pesante sono stati clonati a partire dall’mRNA<br />

isolato dall’ibridoma producente il monoclonale DO-24. Il prodotto inizialmente ottenuto<br />

si è però dimostrato non utilizzabile in quanto insolubile.<br />

f) L’anticorpo ricombinante è stato ridisegnato, inserito in un altro vettore in cui era stata<br />

aggiunta un’ulteriore sequenza al C-terminale. Il prodotto ottenuto, si è dimostrato solubile<br />

e funzionale, in quanto in grado di immunoprecipitare il recettore Met e di bloccare in<br />

vitro l’internalizzazione di L.M nelle cellule. In conclusione, si è dimostrato è possibile<br />

interferire con l’internalizzazione di L.M. in vitro con forme ricombinanti l’anticorpo<br />

monoclonale DO-24, prodotte nel laboratorio. Su questa base queste molecole potrebbero<br />

trovare applicazione nella prevenzione e nella terapia da infezioni di L.M.. Il fatto che il<br />

progetto, che originariamente prevedeva anche esperimenti di protezione in vivo in<br />

animali inoculati con dosi letali di L.M., sia stato finanziato solo parzialmente ne ha<br />

impedito per ora lo sviluppo in questa direzione.<br />

411


Michele Presutti Filone tematico C2<br />

Costruzione e applicazione di un sistema di indicatori per la misurazione<br />

della qualita’ dell’assistenza domiciliare<br />

Asl 10<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La recente letteratura internazionale (Patmore, 2004) riferisce che si è assistito ad un crescente<br />

interesse per l’individuazione di indicatori sulla qualità ai fini di monitorare i cambiamenti<br />

interni all’organizzazione e confrontare la propria organizzazione con le altre (benchmarking)<br />

per individuare nuove domande e promuovere il cambiamento. Secondo quanto ha<br />

recentemente sottolineato Olsson (2004), l’incontro tra l’operatore e il paziente è destinato a<br />

divenire una relazione molto stretta, intima. L’autore descrive tale relazione in funzione di una<br />

serie di dimensioni che possono essere immaginate lungo un continuum che comprende, ad un<br />

estremo, il rapporto tra il care giver e il paziente (e i suoi familiari) e all’altro, gli aspetti più<br />

razionali e logistici (numero di visite, prescrizioni, etc.). In particolare, sono individuati tre<br />

processi: le condizioni organizzative dei servizi di cura domiciliare (riunioni, supervisione,<br />

ogni forma di delega di responsabilità all’interno dell’organizzazione e del nucleo familiare<br />

dell’assistito), le aspettative che le diverse parti dell’organizzazione h<strong>anno</strong> rispetto al lavoro e<br />

agli altri attori, e infine, lo scambio tra gli attori durante l’attività lavorativa che può essere<br />

tradotto in clima emotivo che si genera e si alimenta nella cura quotidiana. In modo analogo<br />

Donabedian (Cfr Kane, 1994) ha suggerito di esaminare la cura domiciliare attraverso tre tipi<br />

di criteri: la struttura organizzativa, il processo e i risultati. I criteri strutturali si riferiscono a:<br />

competenza dello staff, livelli organizzativi, pratiche di supervisione, registrazione dei dati,<br />

attrezzature e politiche della direzione. I criteri di processo riguardano l’introduzione di<br />

pratiche per il mantenimento di un buon standard di vita (prevenzione). I criteri per la<br />

valutazione dei risultati richiedono delle valutazioni pre-post, al fine di individuare una base<br />

line con cui confrontare i risultati. Oltre tali criteri Kane (1994) ne suggerisce un quarto<br />

“abilitante”, che comprende aspetti relazionali: cortesia, puntualità, affidabilità e onestà.<br />

OBIETTIVO<br />

Obiettivo della presente indagine è approfondire le dimensioni di tali esperienze soggettive<br />

per individuare anche delle implicazioni empiriche verso cui orientare il miglioramento della<br />

qualità dell’assistenza domiciliare.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Il metodo qualitativo è oggi riconosciuto come metodo specifico particolarmente adatto a<br />

cogliere il punto di vista dell’utenza. Il campione dei pazienti – utenti è rappresentativo delle<br />

tipologie prese in carico dal servizio. Il campione dei caregivers è costituito da 15 soggetti<br />

che, in posizioni organizzative e operative sul territorio abbiano contribuito alla realizzazione<br />

della rete di servizi e siano in grado di valutarne l’impatto attuale.<br />

RISULTATI<br />

412


Gli utenti. Il servizio a domicilio viene rappresentato come qualcosa di speciale, di<br />

straordinario nel senso di qualcosa che viene realizzato ad hoc per ogni specifica situazione e<br />

porta inevitabilmente con sé un disagio e un certo grado di disorganizzazione per entrambe le<br />

parti: il cliente e l’erogatore del servizio medesimo. Nelle cure a domicilio è evidente il ruolo<br />

attivo del cliente nel costruire insieme all’erogatore il servizio stesso. Non è un prodotto finito<br />

che il cliente acquista, ma un incontro in cui il professionista e il cliente mettono in gioco il<br />

loro sapere e le loro tecniche. La relazione diviene il servizio stesso nella misura in cui sembra<br />

emergere una preminenza del dato relazionale, dialogico e umano su quello tecnico. Il<br />

domicilio è il contenitore di una fitta trama di relazioni e rapporti che h<strong>anno</strong> per protagonista<br />

il malato. L’identificazione dei familiari con il ruolo degli operatori, in quanto sono loro stessi<br />

a farne le veci quando questi ultimi sono assenti, è da considerarsi un aspetto della dimensione<br />

affettiva che caratterizza la relazione tra i familiari e gli operatori.<br />

I caregivers. I temi risultati particolarmente salienti sono stati quelli dell’ambiguità o meglio<br />

del bisogno di chiarezza rispetto ai confini di ruolo dei singoli operatori che insistono sul<br />

territorio, della comunicazione snella ed efficace e della conoscenza approfondita di tutte le<br />

risorse organizzative disponibili all’interno dell’Asl 10 e offribili al paziente. Emerge con<br />

forza la necessità del coordinamento, della conoscenza reciproca, personale degli operatori.<br />

Un’intervistata delinea le criticità dei servizi territoriali antecedenti gli sforzi di<br />

coordinamento, integrazione, reticolazione. Le aspettative che i soggetti h<strong>anno</strong>, a differenti<br />

livelli nell’organizzazione, rispetto al lavoro e agli altri attori coinvolti, sono uno dei fattori<br />

che sembra avere maggiore influenza sulla qualità della cura domiciliare. Il rispetto e la<br />

concretizzazione di tali aspettative h<strong>anno</strong> ricadute rilevanti sulla soddisfazione lavorativa e<br />

sullo stress degli operatori derivante dalla discrepanza fra le risorse disponibili (pratiche -<br />

mezzi tecnici, coperture di orario e di territorio- e relazionali -coordinamento, supporto sociale<br />

ed emotivo, condivisione della sofferenza e del carico emotivo della cura) e quelle auspicate<br />

per la realizzazione di un buon servizio domiciliare.<br />

CONCLUSIONI<br />

I risultati dell’analisi h<strong>anno</strong> consentito di individuare degli indicatori riferiti ad entrambi gli<br />

attori della relazione. Di seguito un elenco degli indicatori relativi alla qualità del servizio,<br />

individuati da declinare in funzione degli attori gli operatori e gli utenti (per esempio, il carico<br />

di lavoro come è raccontato dagli operatori che lo vivono, e come viene percepito dagli utenti<br />

che per così dire, lo “subiscono”): Continuità di lavoro percepito (carico di lavoro, elevato<br />

conflitto, limitata distanza dal paziente), Continuità della cura, Comunicazione,<br />

Conflitto/coesione nel gruppo di lavoro, Stabilità del gruppo di lavoro, Stabilità della<br />

relazione, Processo di decisione, Condizioni di cura, Relazione di fiducia, Rapporto<br />

(percepito) tra i membri dell’équipe, Isolamento sociale, Umore/emotività associata al<br />

processo di cura/presa in carico.<br />

I risultati ancorché parziali, dati i limiti che presentano, offrono degli spunti interessanti<br />

soprattutto verso l’area della formazione professionale degli operatori. In particolare, pur<br />

essendo importante prendere in esame le specificità delle diverse forme di cura e dei diversi<br />

tipi di utenti-pazienti, risultano essenziali tre aree: l’area relativa al piccolo gruppo – coesione,<br />

conflitto, leadership, processi decisionali – ; la comunicazione – rafforzamento della rete<br />

integrata,sviluppo della capacità di comprensione ed ascolto; gli aspetti relazionali:<br />

rafforzamento delle capacità di fiducia ed empatia.<br />

413


Giulio Preti Filone tematico C1<br />

Studio dei fattori che regolano interfaccia tessuti-impianti per terapia di<br />

supporto in pazienti con traumi o neoplasie<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina e Oncologia Sperimentale<br />

OBIETTIVI<br />

Nella presentazione del progetto sono stati posti 2 obiettivi:<br />

a) analizzare ed identificare, in vivo, i fattori biologici, che favoriscono o impediscono il<br />

processo infiammatorio, presenti nell’interfaccia impianto e tessuto periimplantare in<br />

pazienti che h<strong>anno</strong> subito exeresi chirurgiche dei tessuti orali ed extraorali per traumi o<br />

neoplasie;<br />

b) partendo dai fattori biologici identificati, trovare farmaci idonei per impedire il processo<br />

infiammatorio e l’eccessiva proliferazione della cute.<br />

Tali obiettivi derivano dalla considerazione che il successo dell’implantologia dipende da<br />

diversi fattori: il tipo di impianto, lo sviluppo di un processo infiammatorio, il tempo di<br />

guarigione e le condizioni generali del paziente. E’ pertanto di fondamentale importanza<br />

capire quali siano i fattori ed i meccanismi coinvolti nella guarigione, nell’integrazione<br />

dell’impianto con l’osso e in quale modo siano coinvolti il tessuto periimplantare e<br />

periprotesico.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Per raggiungere gli obiettivi è stato preso in considerazione il tessuto cutaneo perimplantare e<br />

periprotesico sia nel caso degli impianti extraorali che intraorali, in quanto anche in questi<br />

ultimi la chirurgia ricostruttiva utilizza inserti di tessuto cutaneo. I pazienti analizzati sono<br />

stati 5:<br />

1) perdita di orecchio per incidente,<br />

2) carcinoma squamoso della regione nasale,<br />

3) 4) e 5) carcinoma del pavimento buccale.<br />

Tutti questi pazienti sono stati sottoposti a trapianto di cute e successivamente a<br />

posizionamento di impianti e protesi per chiudere il difetto anatomico causato o dal trauma o<br />

dall’asportazione del tumore. Sulle biopsie di tessuto cutaneo effettuate a diversi tempi<br />

durante il posizionamento degli impianti (first and second samples) e della protesi (third<br />

sample) è stata valutata l’espressione di alcune citochine pro-infiammatorie mediante l’analisi,<br />

in real time –PCR del contenuto dell’RNAm. Le citochine pro-infiammatorie:TNFα, IL-1β e<br />

IL-6 e IL-8 aumentano soprattutto in due pazienti (3 e 5), nei quali si è avuto il rigetto di<br />

almeno un impianto, mentre la citochina anti-infiammatoria IL-10 aumenta solo nei pazienti,<br />

in cui non si è avuto processo infiammatorio e quindi nessun rigetto. Da questi dati si può<br />

affermare che il dato biologico coincide con quello clinico. Inoltre l’esame istologico sulle<br />

biopsie, su cui sono state determinate le citochine, conferma il dato molecolare. Nel prossimo<br />

futuro si cercherà di atttuare terapie adeguate per evitare il rigetto.<br />

414


Vito Marco Ranieri Filone tematico D4<br />

Ventilazione non invasiva (CPAP) per prevenire l’insufficienza<br />

respiratoria acuta nel paziente chirurgico: studio randomizzato<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Discipline Medico-Chirurgiche<br />

La prima fase dello studio è consistita nella realizzazione di uno studio randomizzato e<br />

controllato mirante a verificare se il trattamento precoce della ipossiemia severa nel paziente<br />

post-chirurgico potesse prevenire complicanze gravi quali la insufficienza respiratoria acuta<br />

richiedente ventilazione meccanica. 200 pazienti con ipossiemia grave sviluppatasi<br />

immediatamente dopo il termine dell’intervento chirurgico di chirurgia addominale maggiore<br />

sono stati randomizzati per essere trattati con trattamento convenzionale o applicazione di<br />

ossigeno attraverso un circuito pressurizzato per la ventilazione non invasiva (CPAP). Il<br />

sistema utilizzato per erogare la ventilazione non invasiva è stato realizzato e testato nel<br />

nostro laboratorio e si tratta di un elmetto di materiale plastico che circonda completamente la<br />

testa del paziente e consente la erogazione della CPAP riducendo gli effetti indesiderati e<br />

collaterali della ventilazione non invasiva erogata attraverso maschere facciali convenzionali.<br />

Dalla analisi dei dati sono state ottenute le seguenti informazioni:<br />

1. L'applicazione precoce della CPAP consente di ridurre l'incidenza dell'intubazione<br />

endotracheale e della ventilazione meccanica dal 10 all’1 %.<br />

2. L'applicazione precoce della CPAP ha significativamente ridotto l’incidenza di polmoniti,<br />

infezioni e sepsi ed ha inoltre ridotto la durata della degenza in terapia intensiva e in<br />

ospedale. La mortalità nel gruppo trattato con trattamento convenzionale era del 4% e si<br />

riduceva all’1% nel gruppo trattato con CPAP.<br />

La rilevanza delle osservazioni ha determinato la pubblicazione dei risultati dello studio su<br />

JAMA, una delle più prestigiose riviste di medicina al modo.<br />

Nella fase successiva, abbiamo sviluppato un modello sperimentale di ipossiemia severa postoperatoria<br />

per elucidare il meccanismo bio-molecolare sottostante al risultato della riduzione<br />

di infezioni e sepsi osservati nei pazienti trattati con CPAP. L’ipotesi che è stata verificata è se<br />

la riapertura delle atelettasie polmonari tipiche della fase post-operatoria e realizzatasi<br />

attraverso CPAP possa attenuare fattori pro-infiammatori a livello polmonare e sistemico e<br />

favorire i processi di riparazione cicatriziale al livello della sutura chirurgica. Tale ipotesi è<br />

stata generata sulla base delle seguenti considerazioni:<br />

a) dati sperimentali h<strong>anno</strong> dimostrato che il polmone atelettasico di pazienti e di animali<br />

genera mediatori pro-infiammatori che si diffondono in periferia e che inducono la<br />

insufficienza degli organi periferici (rene, intestino) attraverso un processo apoptosimediato;<br />

b) lo studio clinico ha dimostrato che il livello di ossigenazione del sangue arterioso e di<br />

pressione arteriosa media era identico nei due gruppi e che quindi fattori diversi<br />

dall’incremento della ossigenazione poteva spiegare la riduzione di infezioni e sepsi<br />

osservato nei pazienti trattati con CPAP.<br />

Il modello realizzato è un coniglio che, durante anestesia generale, subisce una laparotomia ed<br />

una resezione colica. Al risveglio l’animale viene trattato per 6 ore con ossigeno in aria<br />

415


ambiente o con CPAP. Gli animali sono quindi sacrificati a 6-12-24-48 72 ed una settimana.<br />

Si misurerà la concentrazione dei mediatori della infiammazione e la espressione delle<br />

proteine pro.infiammatorie nei tessuti polmonari, nel rene e nell’intestino.<br />

CONCLUSIONI<br />

L'evoluzione di questo studio e le eventuali ricadute per il sistema sanitario regionale<br />

prevedono:<br />

1. La riduzione dei costi legati alla diminuzione della degenza in terapia intensiva e della<br />

incidenza di sepsi, che può essere stimata tra i 3000 ed i 15000 Euro per paziente.<br />

2. Ogni <strong>anno</strong> vengono sottoposti ad interventi di chirurgia addominale circa 100.000 pazienti<br />

all’<strong>anno</strong>. L'incidenza di sepsi e ventilazione meccanica (condizioni ad alto costo ed alta<br />

mortalità) è del 10%. E’ come se ogni <strong>anno</strong>, all’aereoporto di Caselle, 4 aerei della tratta<br />

Torino-Roma abbiano gravi incidenti. L’uso di un sistema semplice ed a basso costo come<br />

la CPAP può ridurre drammaticamente le dimensioni di tale fenomeno.<br />

3. La comprensione dei meccanismi biologici sottostanti questo risultato potrà indurre lo<br />

sviluppo di ipotesi farmacologiche di trattamento che, modulando la risposta<br />

infiammatoria e riducendo la apoptosi degli organi periferici, possa agire in modo<br />

sinergico con la CPAP.<br />

L’ottenimento di tali risultati e lo sviluppo delle ipotesi sperimentali ha comportato:<br />

• acquisto di un fabbricatore di ghiaccio granulare;<br />

• acquisto di reagenti in grado di quantificare la risposta infiammatoria e la apoptosi/necrosi<br />

nei tessuti di animali sottoposti a chirurgia addominale maggiore;<br />

• acquisto di un lettore in assorbanza a 96 pozzetti.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

1. Racca F, Appendini L, Gregoretti C, Stra E, Patessio A, Donner CF, Ranieri VM.<br />

Effectiveness of mask and helmet interfaces to deliver noninvasive ventilation in a human<br />

model of resistive breathing. J Appl Physiol. 2005 Oct;99(4):1262-71.<br />

2. Squadrone V, Coha M, Cerutti E, Schellino MM, Biolino P, Occella P, Belloni G, Vilianis<br />

G, Fiore G, Cavallo F, Ranieri VM; Piedmont Intensive Care Units Network (PICUN).<br />

Continuous positive airway pressure for treatment of postoperative hypoxemia: a<br />

randomized controlled trial. JAMA. 2005 Feb 2;293(5):589-95.<br />

3. Fanelli V, Ranieri VM. Role of apoptosis in the post-operative sepsis. Intensive Care<br />

Medicine 2005; 31: S987<br />

416


Daniele Regge Filone tematico C1<br />

Ruolo della colonscopia virtuale nell’identificare lesioni neoplastiche in<br />

soggetti con rischio familiare o personale<br />

A. S. O. Ordine Mauriziano di Torino<br />

OBIETTIVO<br />

Lo scopo del progetto è di valutare l’attendibilità della TC-colografia come test di screening<br />

per il carcinoma colorettale. Per ottenere dati sufficientemente attendibili un tale studio deve<br />

reclutare un numero elevato di soggetti sani. Si è pertanto deciso di condurre uno studio di<br />

tipo multicentrico coinvolgendo diversi centri italiani ed europei. End point secondario dello<br />

studio è la messa a punto di un programma informatico di riconoscimento automatico dei<br />

polipi che possa consentire una lettura in automatico degli esami di TC-colografia, procedura<br />

che ridurrebbe i tempi di refertazione e quindi il costo complessivo dell’esame.<br />

METODI E RISULTATI<br />

a) Richiesto parere sperimentazione clinica: lo studio, già approvato dal comitato etico<br />

della Fondazione <strong>Piemonte</strong>se per la <strong>Ricerca</strong> sul Cancro-Onlus e dal Comitato Etico<br />

Regionale, è stato riconosciuto come progetto nell’ambito della Società Italiana di<br />

Radiologia Medica (SIRM) e della Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia<br />

(SIGE). In itinere il progetto è stato emendato in modo da includere anche soggetti con<br />

test del sangue occulto fecale positivo (FOBT) eseguito nell’ambito del Programma di<br />

Screening Regionale.<br />

b) Data base per la raccolta dati: il data base per la raccolta dati è stato creato dal Dott.<br />

Luca Boni dell’Unità di Epidemiologia Clinica dell’Istituto Nazionale per la <strong>Ricerca</strong> sul<br />

Cancro di Genova. Le schede, accessibili in rete Internet, sono state completate con l’aiuto<br />

della Dott.ssa Cristiana Laudi dell’Unità Operativa di Gastroenterologia dell’IRCC di<br />

Candiolo in una serie di incontri svoltisi a Genova. I Centri partecipanti al progetto<br />

possono accedere al data base centralizzato e compilare le apposite schede previa<br />

comunicazione di apposita propria login e password.<br />

c) Inserimento del progetto nell’ambito del programma di screening regionale: a partire<br />

dal mese di ottobre sono stati inseriti nello studio anche i pazienti nei quali venga<br />

riscontrata una positività del sangue occulto fecale (FOBT) nell’ambito del Programma di<br />

Screening Regionale per la prevenzione dei tumori colorettali. Il piano regionale prevede il<br />

ritiro del test per il FOBT presso le farmacie e quindi l’invio del test al laboratorio analisi.<br />

I pazienti risultati positivi, per i quali vi è pertanto indicazione all’esecuzione della<br />

colonscopia, sono randomizzati ad eseguire o meno la TC-colografia prima della<br />

colonscopia al mattino stesso dell’esame. Una Segreteria allestita a tale scopo presso il<br />

CPO contattata i pazienti randomizzati ad eseguire entrambi gli esami, spiega loro le<br />

finalità del progetto e raccoglie la loro eventuale adesione. I soggetti che accettano di<br />

partecipare allo studio si recano presso l’IRCC di Candiolo o presso l’Ospedale Molinette<br />

di Torino ove ottengono ulteriori informazioni da parte della dott.ssa Cristiana Laudi (per<br />

l’IRCC) o della dott.ssa Barbon (per l’ Ospedale Molinette) che consegnano loro il<br />

modulo di consenso informato e prenota la data in cui verr<strong>anno</strong> effettuati entrambi gli<br />

esami. Ad oggi sono stati reclutati 38 soggetti FOBT positivi e di questi 30 sono già stati<br />

sottoposti ai due tests.<br />

417


d) Centri attivati e pazienti reclutati: è stato calcolato che per raggiungere un<br />

significatività statistica è necessario reclutare un minimo di 400 soggetti. Sono stati<br />

contattati 30 centri Italiani ed Europei. I Centri Italiani h<strong>anno</strong> partecipato ad un<br />

Investigator Meeting che si è tenuto in Gennaio a Torino durante il quale il è stato<br />

presentato lo studio. Al momento altri 17 Centri Italiani e 1 Centro Estero (University<br />

Hospital Gasthuisberg di Leuven in Belgio) oltre il nostro, dopo le adeguate procedure di<br />

registrazione del Centro, sono stati attivati, dispongono di propria login e password per<br />

l’inserimento dei dati e h<strong>anno</strong> già iniziato le procedure di reclutamento dei pazienti a<br />

partire da gennaio. Per ciascun Centro sono state effettuate visite di start-up da parte dei<br />

responsabili dello studio per verificare l’idoneità del Centro e per istruire riguardo alle<br />

modalità di inserimento dei dati nel data-base. Riguardo al reclutamento dei pazienti fino<br />

ad oggi sono stati reclutati 250 soggetti dei quali 230 sono già stati sottoposti ai due tests.<br />

Il tasso totale di reclutamento è stato di circa 20 pazienti al mese. Si prevede che il<br />

reclutamento terminerà entro la fine del 2006.<br />

e) Data base per la raccolta degli esami: è stato acquistato un server che consentirà la<br />

raccolta di tutti gli esami di TC-colografia eseguiti nel corso dello studio. I dati raccolti<br />

verr<strong>anno</strong> testati con programma di riconoscimento automatico dei polipi, in via di sviluppo<br />

presso l’Istituto di Interscambio scientifico di Torino. I dati preliminari effettuati<br />

analizzando gli esami condotti su 25 pazienti sono stati presentati all’ultimo Congresso<br />

della Società Americana di Radiologia.<br />

418


Corrado Rendo Filone tematico C2<br />

Continuità assistenziale in gravidanza, parto e puerperio e individuazione<br />

di percorsi differenziati e flessibili<br />

Asl 16<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Nella premessa dello studio è stato evidenziato che con il d.lgs. 229/99 è stata confermata la<br />

regionalizzazione del SSN e l'aziendalizzazione delle USL, imponendo una rimodulazione<br />

dell'offerta sanitaria che, in un quadro di assegnazione locale di risorse limitate, pur tenendo<br />

conto dell’evoluzione della scienza medica e del soddisfacimento dei bisogni di salute,<br />

persegua lo sviluppo di modelli organizzativi efficienti. Il sistema normativo nazionale si è<br />

occupato (sia nell'ambito dei successivi PSN sia più specificamente con il DPR 14.01.97 e con<br />

il progetto-obiettivo materno infantile nazionale) di tutelare il processo riproduttivo delle<br />

donne principalmente individuando competenze e requisiti affinchè l'assistenza alle gravide e<br />

al feto sia la più adeguata possibile dal punto di vista della sicurezza. La stessa normativa<br />

appare invece più carente nell’affrontare gli aspetti più specificamente legati alla continuità<br />

dell’assistenza nel processo riproduttivo e all’individuazione dei luoghi più idonei al parto.<br />

L’attuale situazione (nazionale e regionale) dell’evento nascita e dell’assistenza alle donne<br />

gravide appare oggi caratterizzata da luci e ombre. Accanto a livelli di natalità e fecondità i<br />

più bassi del mondo e al permanere di alcuni aspetti critici, i principali indicatori<br />

epidemiologici si sono modificati positivamente negli ultimi anni. Se ci discostiamo però dai<br />

classici indicatori epidemiologici lo scenario dell’offerta appare connotato da alcuni<br />

importanti elementi di criticità quali ad es. l’eccessivo utilizzo di procedure diagnostiche e<br />

terapeutiche complesse e invasive anche nelle gravidanze fisiologiche, la parcellizzazione dei<br />

punti-nascita con casistiche inferiori ai 500-600 parti/<strong>anno</strong>, la gestione inadeguata delle<br />

gravidanze ad alto rischio.<br />

La situazione organizzativa appare contraddistinta da due elementi negativi principali:<br />

1. la discontinuità dell’assistenza al processo riproduttivo;<br />

2. la mancanza di chiare distinzioni tra i percorsi assistenziali delle gravidanze a basso e<br />

quelle ad alto rischio.<br />

Diversi modelli di assistenza alle gravidanze fisiologiche sono stati studiati e proposti nella<br />

letteratura internazionale: da essi emerge con evidenza che il perseguimento di modelli<br />

organizzativi con forte continuità assistenziale nonchè l'individuazione di percorsi<br />

assistenziali distinti può assicurare risultati di maggiore appropriatezza, umanizzazione,<br />

sicurezza, gradimento degli utenti ed economicità.<br />

OBIETTIVO<br />

L’obiettivo della ricerca è quello di elaborare (attraverso l'analisi di elementi informativi della<br />

realtà locale- l’ASL 16 Mondovì-Ceva - e l'analisi della letteratura) un modello di assistenza<br />

al processo riproduttivo che garantisca (con razionalizzazione della tecnologia e della spesa)<br />

un’efficiente continuità delle cure e l'individuazione di percorsi differenziati per promuovere<br />

sia l'umanizzazione delle gravidanze a basso rischio sia la migliore tutela delle gravidanze ad<br />

alto rischio.<br />

419


METODI E RISULTATI<br />

Sui modelli realizzati in altre realtà europee è stata effettuata una rassegna attraverso la<br />

consultazione delle principali banche-dati, e un viaggio-studio ha permesso di conoscere la<br />

realtà sanitaria francese. La situazione locale è stata esaminata attraverso l'analisi dei dati<br />

socio-demografici della popolazione femminile, lo studio del sistema di offerta dell’ASL 16,<br />

la raccolta delle principali informazioni di tipo clinico relative alle gravidanze e ai parti (in<br />

particolare tutti i parti di residenti avvenuti nel periodo 01.02-12.03), il grado di continuità<br />

delle cure e infine il grado di soddisfazione delle utenti intervistando un campione<br />

significativo di gravide che avevano partorito nei due ospedali dell’ASL. Dall’analisi<br />

acccurata di quanto acquisito è emerso che l'attuale offerta assistenziale dell’ASL 16 appare<br />

sinteticamente caratterizzata da:<br />

1. presenza di due ospedali, dislocati a breve distanza l'uno dall'altro (Mondovì e Ceva),<br />

ognuno dotato di un punto nascita ma solo uno (Mondovì) supportato dal DEA e da<br />

rianimazione;<br />

2. espletamento nel <strong>2003</strong> di 352 parti a Mondovì e 255 a Ceva (meno dell’1% a domicilio),<br />

presenza di rilevante mobilità passiva;<br />

3. gravide con caratteristiche socio-demografiche associate a difficoltà di accesso ai servizi<br />

nella misura del 23% a Mondovì e del 15% a Ceva;<br />

4. percentuale del 25% di gravidanze a rischio;<br />

5. assistenza in gravidanza prestata prevalentemente da medici pubblici, di cui i 2/3 del totale<br />

in regime libero-professionale e 1/3 erogata presso i consultori e gli ambulatori<br />

ospedalieri;<br />

6. percentuale significativa di gravide con assistenza prenatale inadeguata e che non accede<br />

agli screening prenatali;<br />

7. 40% di parti cesarei, 4,7% di nati pretermine a Mondovì e 3% a Ceva, nati sottopeso 3%;<br />

8. maggiore discontinuità assistenziale durante il puerperio.<br />

Alla luce di quanto analizzato la proposta che si può suggerire quale modello alternativo di<br />

assistenza è la seguente:<br />

1. la presenza di due ospedali con due distinti punti nascita (entrambi con un numero di parti<br />

al di sotto della soglia raccomandata, e con uno dei due privo del supporto del DEA)è in<br />

contrasto con le raccomandazioni delle Autorità sanitarie e della letteratura. Si può<br />

ipotizzare un modello locale integrato e coordinato all'interno del quale indirizzare una<br />

delle due strutture al monitoraggio della gravidanza e del parto a basso rischio (modello<br />

'Casa di maternità' dove la figura professionale di riferimento è l'ostetrica), concentrando<br />

nell'altra le risorse necessarie per garantire l'assistenza più adeguata alle gravidanze a<br />

rischio aumentato.<br />

2. Il miglioramento del modello della continuità assistenziale appare perseguibile attraverso<br />

un maggiore impegno e potenziamento dei servizi consultoriali, nonchè atrraverso una più<br />

efficace integrazione fra servizi territoriali e ospedalieri.<br />

Si può suggerire: l'attivazione di una offerta di assistenza ostetrica e pediatrica a domicilio<br />

nella prima settimana di vita del neonato; azioni di miglioramento organizzativo delle<br />

procedure riguardanti il travaglio di parto (modificazione attività e ritmi di lavoro delle<br />

ostetriche, formazione continua, criteri di flessibilità nella presenza del personale);<br />

qualificazione delle prestazioni ambulatoriali per correggere alcune evidenti anomalie<br />

(eccessivo ricorso all'assistenza libero-professionale, procedure cliniche non in linea con la<br />

moderna assistenza ostetrica).<br />

420


Gabriella Restagno Filone tematico C1<br />

Ottimizzazione della diagnosi molecolare di mutazioni causa di sordità<br />

congenita mediante tecnologie miniaturizzate<br />

ASO O.I.R.M. Sant’Anna<br />

Dipartimento di Patologia Clinica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La sordità congenita bilaterale grave è una delle più frequenti malattie genetiche, (1 su 1000<br />

nati). Il 70% sono forme non-sindromiche ed il 50% di queste è dovuto a mutazioni<br />

autosomiche recessive nel gene GJB2 che codifica la proteina CX26. Tali mutazioni causano<br />

una forma di sordità congenita bilaterale grave (>40Db), che se diagnosticata precocemente ha<br />

comunque la possibilità di interventi riabilitativi precoci. Gli obiettivi del progetto di ricerca<br />

erano: 1- messa a punto di un sistema ottimale, confrontando le due tecnologie miniaturizzate<br />

del Pyrosequencing e dei microarray, per l’identificazione delle mutazioni più frequenti nel<br />

gene GJB2 e per la ricerca della mutazione mitocondriale A1555G. 2- validazione nella<br />

clinica delle due nuove tecnologie con verifica dei tempi di attesa e dei costi, paragonati ai<br />

costi attuali.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Negli anni 2000-2004 sono stati diagnosticati presso l’Istituto di Audiologia delle Molinette<br />

79 casi di bambini con sordità grave, sottoposti all’analisi molecolare per la CX26 con<br />

metodiche di sequenziamento diretto. 36 bambini (45,6%) sono risultati portatori di mutazioni<br />

nel gene GJB2. Nel 64% dei cromosomi-sordità è presente la mutazione 35delG, negli altri<br />

casi le mutazioni risultano altamente eterogenee (509insA, L90P, V94M, G12D, W24X,<br />

R127H, F83L, S139N, E129K, V153I, W44X, W44C, M34T, 393 –2A, Q80P, E47X,<br />

119delE, M162V, 290-291insA, K224Q, G160S, R75W, T189I). La mutazione A1555G è<br />

stata evidenziata in cinque bambini. Per l'analisi su PSQ96MA (Pyrosequencing) uno dei due<br />

primer di ogni reazione è stato sintetizzato con biotina al 5', per facilitare l'isolamento del<br />

templato a singola elica. Le reazioni di pyrosequencing sono state eseguite su un apparecchio<br />

PSQ96 a 28°C. Il test consiste in un allungamento della catena del primer ibridizzato alla<br />

sequenza omologa del DNA a singola elica da analizzare, con l'aggiunta di uno o più<br />

nucleotidi dopo l'aggiunta sequenziale dei desossinucleotidi trifosfati, seguito dalla<br />

degradazione dei nucleosidi trifosfati in eccesso da parte della apirasi. L'aggiunta sequenziale<br />

dei differenti deossinucleotidi trifosfati segue un ordine di dispensazione programmato dal<br />

software SNP Entry (Pyrosequencing AB, Uppsala, Svezia). La sequenza a ogni passaggio di<br />

allungamento è registrata dalla misurazione dell'emissione di luce come indicatore<br />

dell'incorporazione del nucleotide aggiunto, e le sequenze risultanti sono analizzate<br />

automaticamente dal software SNP evaluation. Per i microarray abbiamo valutato la metodica<br />

che attualmente meglio si adatta all'identificazione di SNPs e mutazioni per la sua sensibilità e<br />

versatilità: la NMW 1000 NanoChipTM Molecular Biology Workstation (Nanogen, San<br />

Diego, CA). Questa tecnologia prevede l'uso di un particolare supporto semiconduttore, che<br />

rende possibile il movimento attivo e la concentrazione di molecole cariche su siti specifici di<br />

analisi (pads) attraverso la manipolazione elettronica di un campo elettrico. In particolare un<br />

processo di elettroforesi microelettronica indirizza il prodotto di PCR biotinilato su “pads”<br />

selezionati caricati positivamente. Gli amplificati sono quindi immobilizzati grazie<br />

all'interazione con la streptavidina contenuta nello strato di agarosio che ricopre la superficie<br />

421


del supporto microelettronico. Il DNA fissato sul chip è successivamente ibridato con una<br />

miscela di oligonucleotidi complementare alle sequenze normali e mutate, marcati con i<br />

fluorofori Cy5 e Cy3. L'applicazione al chip di un gradiente di temperatura crescente<br />

determina la denaturazione e quindi la rimozione preferenziale delle sonde non perfettamente<br />

appaiate.<br />

Dopo tale passaggio ad elevata stringenza termica, il chip è analizzato e la fluorescenza<br />

quantificata. Abbiamo analizzato in cieco i 36 pazienti con le mutazioni e altri 40 pazienti in<br />

cui con il sequenziamento non erano state evidenziate varianti di sequenza. Il pannello che<br />

abbiamo predisposto con le metodiche di Pyrosequencing riguarda le mutazioni più frequenti:<br />

35delG (64% dei nostri casi), F83L, M34T, Q80P e L90P, V94M, R127H, E129K, W44X (un<br />

aggiuntivo 16%). Lo stesso pannello è stato ottimizzato su sistema Nanogen. Con la metodica<br />

Pyrosequencing tutte le mutazioni analizzate sono risultate corrispondenti alle mutazioni già<br />

evidenziate con la metodica tradizionale su 3100 ABIPrism Genetic Analyzer. I DNA<br />

analizzati con il sistema Nanogen h<strong>anno</strong> evidenziato una discrepanza tra i risultati della<br />

sequenza “classica” (confermati in Pyroseqeuncing) per la non possibilità del sistema<br />

Nanogen di discriminare tra la mutazione W44X e la mutazione W44C. Rianalizzando il<br />

flusso di lavoro, dall’arrivo del campione di sangue alla refertazione, per entrambi i sistemi i<br />

tempi di esecuzione dell’intero esame sono brevi, di circa quattro giorni. I tempi per il<br />

sequenziamento dell’intero gene sono invece di circa 7 giorni. I costi sono decisamente<br />

contenuti per quanto riguarda il Pyrosequencig, di circa 5 euro a mutazione, mentre per il<br />

sistema Nanogen, dato l’elevato costo iniziale della strumentazione, ci si aggira intorno a 14<br />

euro per mutazione. Il sequenziamento dell’intero gene ha un costo di circa 150 euro.<br />

CONCLUSIONI<br />

E’ ovvio che i vantaggi delle due tecniche nuove sono la rapidità di risposta e i costi contenuti<br />

quando ci si trovi ad analizzare mutazioni ad elevata frequenza nella popolazione considerata.<br />

Il maggior svantaggio è che sia il Pyrosequencing sia gli array permettono unicamente la<br />

diagnosi di quelle particolari mutazioni presenti nel pannello specifico. In conclusione, data la<br />

frequenza variable delle diverse mutazioni nel gene GJB2, l’approccio più razionale sarebbe<br />

di adottare una strategia diagnostica a due passaggi: nel primo, utilizzare la metodica del<br />

Pyrosequencing, che nella nostra esperienza si è rivelata la più affidabile ed economica, per<br />

evidenziare la mutazione 35delG (presente nel 64% della nostra popolazione), e di passare al<br />

sequenziamento diretto nel restante 36% dei casi in cui sono presenti mutazioni più rare, che<br />

sono rappresentate singolarmente in meno del 2% dei pazienti. Tra le due micrometodiche la<br />

tecnologia di Pyrosequencing si è dimostrata una piattaforma veloce ed accurata per la<br />

genotipizzazione di SNP e mutazioni.<br />

L’analisi con tale tecnologia della mutazione più frequente, 35delG, dimostra una tipizzazione<br />

certa degli omozigoti e degli eterozigoti, e permette l’estensione dell’analisi rapida ai parenti<br />

degli affetti per la ricerca degli eterozigoti (“portatori sani”), con possibilità di offrire una<br />

consulenza genetica mirata. (“portatori sani”), con possibilità di offrire una consulenza<br />

genetica mirata.<br />

422


Umberto Ricardi Filone tematico C1<br />

Radioterapia stereotassica ipofrazionata del carcinoma broncogeno non<br />

a piccole cellule in stadio I<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Discipline Medico-Chirurgiche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La radioterapia stereotassica ipofrazionata è una moderna tecnica radioterapia ad alta<br />

precisione in grado di consentire la somministrazione di una dose biologicamente più efficace,<br />

rispetto ai trattamenti convenzionali, in pazienti affetti da tumore del polmone non a piccole<br />

cellule (NSCLC) in stadio iniziale (T1N0M0 stadio IA; T2N0M0 stadio IB) e giudicati non<br />

eleggibili ad intervento chirugico per motivi medico-internistici.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Nell’ambito del progetto di ricerca, dal Dicembre <strong>2003</strong> all’Agosto 2005 sono stati sottoposti a<br />

ESRT 31 pazienti affetti da NSCLC in Stadio I (28 maschi e 3 femmine; età media 72.5 anni;<br />

diametro medio delle lesioni 2.81 cm con range 1.5-4.5 cm). Dopo confezionamento di<br />

apposito cuscino a vuoto come parte integrante del sistema di localizzazione (Stereotactic<br />

Body Frame-Elekta Oncology System) e previo utilizzo di apposito compressore<br />

diaframmatico per la riduzione della mobilità respiratoria ove necessario (escursione<br />

respiratoria delle lesioni superiore a 1 cm), i pazienti sono stati sottoposti a studio TC nella<br />

posizione di trattamento, con acquisizione di immagini assiali, con spessore di 2.5 mm e<br />

ricostruite con un intervallo di 2.5 mm. Sulle immagini TC di centratura, utilizzando la<br />

finestra per il parenchima polmonare, sono stati definiti i volumi di interesse radioterapico. Il<br />

volume tumorale microscopico (CTV) è stato considerato equivalente al volume tumorale<br />

macroscopico (GTV). Sono stati quindi aggiunti, per la definizione del PTV, margini assiali di<br />

5 mm e longitudinali di 10 mm. Per il calcolo della dose sono stati utilizzati gli algoritmi<br />

matematici più complessi di tipo convolutivo al fine di una più corretta valutazione della<br />

diffusione laterale degli elettroni nel parenchima polmonare. Il programma di trattamento è<br />

consistito nella somministrazione di 45 Gy in 3 frazioni di 15 Gy ciascuna, in 5 giorni totali.<br />

L’isocentro stabilito dalle coordinate stereotassiche del localizzatore corporeo, è stato<br />

verificato mediante esecuzione di immagini portali ortogonali confrontate con le corrispettive<br />

DRR.<br />

RISULTATI<br />

Non si sono verificate tossicità maggiori (≥2). 29 di 33 pazienti risultano valutabili (1 paziente<br />

perso al follow-up e i restanti 3 presentano follow-up limitato). Il follow-up medio è stato di<br />

10 mesi (range 1.5- 21). Il controllo locale è risultato pari al 100% (12/29 risposte complete,<br />

11/29 risposte parziali, 6/29 stabilità di malattia).<br />

CONCLUSIONI<br />

In conclusione, nella nostra attuale esperienza, la radioterapia stereotassica ipofrazionata pare<br />

rappresentare una valida alternativa terapeutica, estremamente sicura ed efficace, nel<br />

423


trattamento degli stadi iniziali di tumore del polmone non eleggibili a chirurgia per motivi<br />

medici-internistici, costituendo quindi in questa popolazione di pazienti una modalità di<br />

trattamento realmente paritetica alla chirurgia. Questa preliminare esperienza potrebbe<br />

pertanto avere delle immediate ripercussioni nella ottimizzazione del trattamento radioterapico<br />

di pazienti affetti da carcinoma broncogeno non a piccole cellule in stadio iniziale e non<br />

candidabili ad intervento chirurgico per problemi internistici, sia per i brillanti risultati clinici<br />

ottenuti che per la compliance dei pazienti ad un trattamento concentrato in tre sedute in una<br />

settimana rispetto ad un trattamento quotidiano della durata di 6-7 settimane.<br />

424


Lorenzo Richiardi Filone tematico D1<br />

Incidenza del tumore del testicolo in <strong>Piemonte</strong> e aree del Sud Europa:<br />

trend temporali e differenze geografiche.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana<br />

OBIETTIVI<br />

Lo studio si propone di utilizzare i dati di diversi Registri Tumori europei per analizzare<br />

l’incidenza di tumore del testicolo, stimando trend temporali, variazioni geografiche, ed<br />

effetto dell’età, periodo di diagnosi e coorte di nascita. In particolare si vuole paragonare il<br />

Sud Europa (e in primo luogo l’Italia) con gli altri paesi europei, in cui sono stati condotti<br />

precedenti studi che h<strong>anno</strong> mostrato un forte aumento di incidenza del tumore del testicolo nel<br />

tempo ed importanti differenze geografiche.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Sono stati valutati i trend temporali sia per quanto riguarda tutti i tumore del testicolo, sia<br />

separatamente per sottotipo istologico, seminomi e non seminomi.<br />

TUTTI I TUMORI.<br />

L’incidenza è andata aumentando in tutte le 12 popolazione per cui erano disponibili i dati<br />

(Paesi scandinavi, UK, Repubblica Ceca e Slovacchia, Spagna, Slovenia, Francia, Svizzera ed<br />

Italia). L’aumento annuale medio nel periodo 1993-1999 è stato tra l’1% ed il 6% a seconda<br />

del paese (in Italia dell’ 1.2%, intervallo di confidenza al 95%: -0.5 - 3.0). Le variazioni in<br />

incidenza tra i diversi paesi erano dell’ordine di 5-volte. L’incidenza, standardizzata e troncata<br />

per la classe di età 15-54 anni, più elevata è stata trovata in Danimarca (16.7 per 100,000<br />

abitanti-<strong>anno</strong>) mentre la Finlandia aveva l’incidenza meno elevata (4.2 per 100,000 abitanti<strong>anno</strong>).<br />

E’ stata notata una differenza nel trend temporale in base all’incidenza: nei paesi ad<br />

incidenza più elevata si è verificato negli ultimi anni un’attenuazione della cosiddetta<br />

epidemia di tumore del testicolo, mentre nei paesi a bassa incidenza l’epidemia continua ad<br />

aumentare. L’andamento di mortalità è stato studiato in 22 paesi europei. Nell’ultimo<br />

ventennio la mortalità è diminuita in tutti i paesi con stime dell’aumento medio annuale<br />

comprese tra –0.1% (Romania e Bulgaria) e – 6.2% (Germania). Vi sono però due importanti<br />

eccezioni: il Portogallo (+2.0%) e la Croazia (+4.4%). Le ragioni dell’aumento di mortalità in<br />

questi due paesi dovr<strong>anno</strong> essere studiate ad-hoc, in quanto la mortalità potrebbe essere un<br />

indicatore di problemi di adeguatezza dell’assistenza. In Italia il tasso di mortalità per il<br />

periodo 1993-98 era di 0.4 per 100,000 abitanti-<strong>anno</strong>, con una diminuzione nell’ultimo<br />

ventennio di – 4.0 (intervallo di confidenza al 95%: -5.3 a –2.6). I tassi di mortalità sono più<br />

alti nei paesi dell’Est Europa, dove vi è stato probabilmente un ritardo nell’introduzione del<br />

corretto regime chemioterapico a base di cispaltino. In particolare, in Bulgaria, Polonia,<br />

Repubblica ceca, Romania ed Ungheria la mortalità per il periodo 1993-98 era superiore ad 1<br />

per 100,000 abitanti <strong>anno</strong>.<br />

425


SEMINOMI E NON SEMINOMI<br />

Le analisi per sottogruppo istologico sono state condotte nei paesi in cui si è verificato un<br />

numero sufficiente di seminomi e non seminomi (almeno 5 casi all’<strong>anno</strong> in media per ogni<br />

classe di età tra 15 e 54 anni). Tali paesi sono: Italia, Francia, Svizzera, Repubblica Ceca,<br />

Danimarca, Norvegia, Svezia e Gran Bretagna. Il risultato principale è che l’incidenze di<br />

seminoma e non seminoma h<strong>anno</strong> andamenti temporali simili, soprattutto quando si considera<br />

la coorte di nascita. I paesi con una più alta incidenza di seminoma h<strong>anno</strong> anche un’alta<br />

incidenza di non-seminoma. In alcuni paesi, come Danimarca e Svizzera, si è assistito ad un<br />

appiattimento dell’aumento di incidenza negli anni novanta solo per quanto riguarda il nonseminoma.<br />

Tale differenza, rilevabile nelle analisi per periodo di calendario, non è però<br />

evidente quando si conducono analisi per coorte di nascita, in quanto il nonseminoma si<br />

verifica ad un’età più giovane e quasi tutti i casi nati negli anni ’80 h<strong>anno</strong> un nonseminoma.<br />

Questo tipo istologico di tumore al testicolo è quindi più suscettibile ai cambiamenti recenti.<br />

In alcuni paesi era evidente una diminuzione nell’incremento di incidenza durante la Seconda<br />

Guerra Mondiale (noto come “II World War Effect”), sia per i seminomi che per i<br />

nonseminomi; risultato, questo, consistente con un eziologia simile tra i due tipi istologici. In<br />

Italia, nel periodo 1992-1997, l’incidenza standardizzata di seminoma era di 3.9 casi per<br />

100,000 abitanti-<strong>anno</strong>, mentre l’incidenza di non-seminoma era di 2.4 per 100,000.<br />

PUBLICAZIONI<br />

Sono previste due pubblicazioni su riviste internazionale.<br />

426


Franco Ripa Filone tematico C2<br />

Lo sviluppo degli indicatori professionali per il miglioramento della<br />

performance clinica e della qualità<br />

ASO S. Giovanni Battista<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Una delle principali risposte elaborate dalle scienze amministrative alla necessità di<br />

individuare strumenti coerenti di misurazione e valutazione è la cosiddetta Balanced<br />

Scorecard (BSC). È questo un sistema di riferimento in grado di tradurre gli obiettivi<br />

strategici, raggiungibili, misurabili in un insieme “multidimensionale” coerente di misure di<br />

performance bilanciate e tendenti a proiettare l’Azienda sulla prospettiva futura. La necessità<br />

della BSC deriva, in sintesi, dalla difficoltà che si riscontra in particolare nelle Aziende<br />

Sanitarie a misurare le performance aziendali di lungo periodo, non direttamente riconducibili<br />

agli aspetti finanziari.<br />

OBIETTIVO<br />

Sulla scorta delle considerazioni in precedenza espresse, il lavoro maturato nell’ASL di Ivrea<br />

nel corso del 2005 e 2006 nell’ambito del Progetto di <strong>Ricerca</strong> <strong>Sanitaria</strong> della <strong>Regione</strong><br />

<strong>Piemonte</strong> si è proposto alcuni obiettivi generali:<br />

a) sperimentare un modello di controllo di gestione, con particolare riferimento<br />

all’applicazione e allo sviluppo del sistema di BSC;<br />

b) analizzare l’organizzazione sulla base del modello sviluppato per individuare i punti critici<br />

e, se necessario, porre in atto gli interventi di miglioramento;<br />

c) produrre un Manuale per la formazione degli operatori sullo sviluppo della BSC.<br />

L’ASL di Ivrea è una delle Aziende Sanitarie della <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong>, con circa 185.000<br />

abitanti, due Distretti Sanitari (Ivrea e Cuorgnè) e tre Presidi Ospedalieri (Ivrea, Cuorgnè e<br />

Castellamonte). Il ricorso alla BSC ha rappresentato un tentativo di realizzare pertanto un<br />

controllo di gestione “multidimensionale” di seconda generazione, in grado di monitorare le<br />

diverse linee organizzative in modo dinamico e proiettato al futuro, ma soprattutto coerente<br />

con i bisogni degli attori in campo.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Nell’ASL di Ivrea il Progetto di sviluppo della BSC è stato avviato dai primi mesi del 2005,<br />

contestualmente con la formulazione del nuovo “Atto aziendale”, che ha ridisegnato<br />

l’Azienda nelle sue articolazioni strategiche ed operative. L’impostazione della BSC è stata<br />

considerata alla luce del ciclo Plan, Do, Check, Act.<br />

In senso più specifico la costruzione della BSC si è articolata in specifiche fasi<br />

conseguenziali: analisi organizzativa, definizione della mappa strategica, individuazione di<br />

KPA e KPI, utilizzo della BSC come sistema di misurazione, integrazione e messa a regime<br />

dei sistemi formativo, formativo e premiante. La fase di analisi organizzativa è stata<br />

indispensabile per chiarire le caratteristiche aziendali. L’Atto aziendale è diventato<br />

propedeutico per l’individuazione degli obiettivi strategici, da trasformare in obiettivi di<br />

gestione quotidiana e in tal senso è stata necessaria individuare una coerenza logica<br />

427


nell’organizzazione. Tale approccio si è concretizzato nella definizione della mappa<br />

strategica, uno dei punti di riferimento fondamentali della BSC. L’ipotesi strategica<br />

rappresentata attraverso la mappa strategica è servita a guidare verso una corretta<br />

strutturazione delle aree di interesse su cui l’organizzazione non può fallire (key performance<br />

area - KPA), nonché su di una specifica ponderazione delle grandezze utilizzate per misurare<br />

le performance nelle diverse aree (key performance indicator- KPI). Definiti KPA e KPI, il<br />

passo successivo si è concretizzato nella definizione della “Scheda di valutazione bilanciata”,<br />

specifica per i livello organizzativo in analisi (Azienda, Presidi Ospedalieri, Distretti,<br />

Dipartimento di Prevenzione). Bilanciata per l’appunto tra misure di performance di natura<br />

puramente finanziaria (lagging indicators) e misure di performance di natura non finanziaria<br />

(leading indicators), tra misure di risultato e misure che indirizzano le performance future. La<br />

scheda di valutazione bilanciata utilizzata nell’ASL di Ivrea riporta le seguenti voci di<br />

riferimento: codice, KPI, valori <strong>anno</strong> 2001 2002 <strong>2003</strong> 2004, target, andamento, valori <strong>anno</strong><br />

2005 2006 2007, azioni da mettere in atto. In tal modo la Scheda può essere utilizzata come<br />

strumento di analisi e lettura dell’organizzazione verso il passato, ma anche come modello di<br />

proiezione verso il futuro in senso progettuale.<br />

RISULTATI<br />

L’esperienza dell’ASL di Ivrea ha messo in evidenza come la BSC possa essere utilizzata in<br />

primo luogo come sistema di valutazione. Attraverso quindi la raccolta ragionata dei dati tra il<br />

2001 e il 2005 è stato possibile ripercorrere la “storia aziendale” e mettere in luce punti di<br />

forza e punti deboli. Altresì la BSC è stata utilizzata come strumento di integrazione<br />

aziendale, per lo sviluppo del sistema formativo, del sistema informativo e del sistema<br />

premiante a livelli sempre maggiori di integrazione. Per quanto riguarda il sistema formativo,<br />

a partire dal 2005 è stata ulteriormente implementata la formazione manageriale ad ampio<br />

raggio sulla valutazione di attività, costi e qualità. Per quanto concerne invece il sistema<br />

informativo; nell’ASL 9 è stata effettuata la scelta di utilizzare a livello di sistemi informativi<br />

strumenti omogenei e trasversali: questa scelta ha portato all’introduzione di due sistemi<br />

automatizzati, uno in ambito amministrativo-contabile ed uno in ambito sanitario nell’area<br />

ospedaliera e nell’area territoriale, che sono stati comunque consolidati in chiave di BSC. Per<br />

quanto riguarda il sistema premiante, la formulazione del piano di obiettivi di budget relativo<br />

alla mappa strategica ha assimilato per gli anni 2005 e 2006 le specifiche della BSC e le sue<br />

quattro aree di riferimento.<br />

E’ stato anche prodotto uno specifico Manuale di riferimento per lo sviluppo della BSC<br />

nell’ASL di Ivrea “La valutazione e il miglioramento delle performance nelle Aziende<br />

Sanitarie: la BSC tra controllo di gestione e qualità”, utile come strumento di formazione<br />

degli operatori e, come tale, trasmesso anche alle altre Aziende della <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong>,<br />

secondo le finalità del Progetto.<br />

CONCLUSIONI<br />

In sintesi l’introduzione dei principi connessi alla BSC nell’ASL di Ivrea ha rappresentato<br />

sicuramente una crescita del sistema verso forme più evolute di controllo di gestione. La BSC<br />

non è comunque uno strumento per superare i limiti di imposti dalle regole finanziarie, ma un<br />

mezzo per governare più variabili, in uno scenario omnicomprensivo in cui gli aspetti<br />

economici rappresentano alternativamente crisi od opportunità in rapporto ad altri parametri<br />

organizzativi e sociali. Il lavoro presentato ha pertanto mostrato molti contenuti positivi per i<br />

diversi livelli di management, soprattutto per quanto riguarda la maggiore integrazione<br />

dell’organizzazione e dei suoi meccanismi operativi, nella logica del governo clinico.<br />

428


Menico Rizzi Filone tematico A1<br />

Studi strutturali e funzionali di NadN di Haemophilus influenzae: un<br />

potenziale candidato per lo sviluppo di un vaccino<br />

Università del <strong>Piemonte</strong> Orientale “Amedeo Avogadro”<br />

Dipartimento di Scienze Chimiche, Alimentari, Farmaceutiche e Farmacologiche<br />

In tempi recenti lo studio dei fenomeni di regolazione che governano l'omeostasi del NAD+,<br />

cofattore enzimatico vitale ed ubiquitario in natura, è stato oggetto di un'intensa attività di<br />

ricerca. I percorsi biochimici che sovrintendono alla sintesi di NAD ed al traffico dei suoi<br />

precursori metabolici sono distinti, e differentemente regolati, nei batteri e negli eucarioti<br />

superiori. Con il presente progetto ci siamo proposti di caratterizzare strutturalmente e<br />

funzionalmente la proteina NadN di H. influenzae, agente eziologico, nell'uomo, di comuni<br />

patologie a carico dell'occhio, dell'orecchio e delle vie respiratorie. L'enzima NadN è una 5'nucleotidasi<br />

che interviene nei meccanismi essenziali di processamento e trasporto di<br />

precursori biosintetici del NAD attraverso la membrana del batterio, agendo in concerto con<br />

la proteina e(P4) ed una porina non ancora caratterizzata. L'enzima, inoltre, dimostra un<br />

elevato grado d'immunogenicità che suscita, nell'ospite, una potente risposta battericida nei<br />

confronti di numerosi ceppi ed isolati del patogeno. Inoltre, in una seconda fase ci siamo<br />

occupati di caratterizzare un’ enzima di Anopheles gambiae, il vettore per il Plasmodium<br />

falciparum, la causa della forma più pericolosa della malaria. Tale enzima, la 3idrossichiunurenina<br />

transaminasi, è ritenuta un bersaglio molto promettente per nuovi agenti<br />

antimalarici.<br />

RISULTATI<br />

Mediante PCR effettuata sul DNA genomico del ceppo Rd di H. influenzae (ATCC #51907D)<br />

abbiamo selettivamente amplificato il gene che codifica l'enzima NadN. Utilizzando tecniche<br />

classiche di sottoclonaggio, l'amplimero è stato inserito nel vettore d'espressione procariotico<br />

pET25b (Novagen). Il costrutto risultante (pET25-hiNadN) dirige, nel ceppo BL21(DE3) di<br />

E. coli, la sovra-espressione inducibile, T7-dipendente, di una versione ricombinante della<br />

proteina, in grado di essere esportata nel periplasma, creando una situazione artificiale che<br />

ricalca i meccanismi naturali di processamento dell’enzima in Haemophilus. A seguito di una<br />

sottile messa a punto dei parametri di crescita e d'induzione del clone ricombinante<br />

BL21(DE3)-hiNadN, abbiamo ottenuto un sistema in vitro che sostiene una vigorosa<br />

espressione di NadN (il 70% delle proteine totali nella frazione solubile del lisato batterico è<br />

costituito dall'enzima ricombinante). Abbiamo successivamente ottimizzato un protocollo di<br />

purificazione dell'enzima su larga scala, basato sulla metodologia FPLC; tale protocollo,<br />

prevedendo solo due passaggi cromatografici garantisce una resa eccellente in proteina pura al<br />

99% ed una totale riproducibilità. Abbiamo, inoltre, messo a punto un semplice saggio<br />

colorimetrico che misura l'attività catalitica della NadN in funzione del rilascio di fosfato<br />

inorganico che accompagna l'idrolisi del substrato. Ciò ha permesso un'esaustiva<br />

caratterizzazione funzionale dell'enzima ricombinante e la descrizione dei parametri cinetici<br />

relativi all'idrolisi del substrato specifico NAD e di suoi analoghi. Inoltre, grazie all'elevato<br />

grado d'omogeneità del materiale purificato, sono stati ottenuti cristalli della proteina NadN in<br />

diverse forme cristalline, creando una situazione ideale per la determinazione della struttura<br />

tridimensionale. Le condizioni ottimali per la crescita di cristalli della proteine NadN adatti ad<br />

indagini strutturali attraverso cristallografia a raggi-X sonoi le seguenti:<br />

429


• tecnica della diffusione di vapore in goccia pendente;<br />

• soluzione precipitante contenete 30% PEG 1500, 0.1 M NaAcetato pH 5.0;<br />

• concentrazione della proteina pari a 6.5 mg/ml;<br />

• temperatura di 20 °C.<br />

I cristalli cosi ottenuti sono stati caratterizzati in via preliminare utilizzando luce di<br />

sincrotrone presso la stazione ESRF, Grenoble Francia. I cristalli appartengono al gruppo<br />

spaziale C2221 con le seguenti costanti reticolari a= 52.8 Å, b=125.6 Å, c=198.5 Å e<br />

diffrangono ad una risoluzione di 1.3 Å. La determinazione della struttura tridimensionale è<br />

attualmente in corso sulla base di diversi data set sempre ottenuti attraverso l’uso di luce di<br />

sincrotrone. Nel caso dell’enzima 3-idrossichinureina transaminasi di A. gambiae, il cDNA<br />

del gene relativo è stato isolato a partire da una banca di mRNA di ghiandole salivari di<br />

zanzara adulta. Il cDNA è stato quindi inserito in un opportuno vettore per la sovraespressione<br />

in E. coli (pET-16b) e la proteina ricombinante purificata all’omogeneità e caratterizzata dal<br />

punto di vista enzimatico. I risultati sono apparsi su una rivista internazionale (Rossi et al.<br />

2005) in cui è stato specificamente menzionata la <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> come finanziatrice del<br />

progetto. Inoltre anche in questo caso la struttura tridimensionale è in via di definizione. Per<br />

entrambe le proteine studiate, le informazione strutturale, chiarendo a livello atomico i<br />

meccanismi della catalisi potr<strong>anno</strong> essere utilizzate per il rational design di potenziali nuovi<br />

agenti antibiotici o antimalarici, a funzione inibitoria specifica. Inoltre, nel caso di H.<br />

influenzae NadN, sarà possibile proporre, come potenziali candidati vaccino, forme<br />

ricombinanti dell'antigene, in cui vengano introdotte mutazioni puntiformi a carico delle<br />

regioni coinvolte nell'induzione della risposta immune, per potenziare le proprietà<br />

immunogeniche dell'enzima senza causarne alterazioni strutturali.<br />

PRODOTTI DELLA RICERCA<br />

• costrutto pET25-hiNadN per la produzione ad alte rese di NadN ricombinante; protocollo<br />

per la sovra-espressione di NadN in Escherichia coli;<br />

• protocollo per la purificazione all’omogeneità di NadN attraverso cromatografia;<br />

• protocollo per la preparazione di cristalli di NadN adatti ad indagine strutturale;<br />

• costrutto pET16-Ag-hkt per la produzione ad alte rese di A. gambiae 3-HKT<br />

ricombinante;<br />

• protocollo per la sovra-espressione di A. gambiae 3-HKT in Escherichia coli;<br />

• protocollo per la purificazione all’omogeneità di di A. gambiae 3-HKT attraverso<br />

cromatografia;<br />

• protocollo per la preparazione di cristalli di di A. gambiae 3-HKT adatti ad indagine<br />

strutturale;<br />

PUBBLICAZIONI<br />

Articoli su riviste internazionali (in cui stata specificamente indicata la <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong><br />

come finanziatrice della ricerca):<br />

1. Cassani, C., Rossi, F., Garavaglia, S., Rizzi, M. (2005). Expression, purification and<br />

preliminary crystallographic analysis of Haemophilus influenzae NadN. Acta Cryst.<br />

Section D. Under revision.<br />

2. Rossi F., Lombardo F., Paglino A., Cassani C., Arcà B., Rizzi M. (2005). Identification<br />

and biochemical characterization of Anopheles gambiae 3-hydroxykynurenine<br />

transaminase. FEBS Journal, 272, 5653-5662.<br />

430


Patrizia Robino Filone tematico D2<br />

Identificazione di Helicobacter enterici in specie aviari e nell'uomo con<br />

metodi tradizionali e biomolecolari<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento diProduzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia<br />

AREE DI LAVORO<br />

1. Settore Malattie Infettive - Dipartimento di Produzioni animali, Epidemiologia ed<br />

Ecologia - FMV, Università di Torino<br />

2. Unità Operativa Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva - Ospedale Asti; Laboratori<br />

diagnostici - Ospedale di Nizza Monferrato (ASL19).<br />

PRIMA PARTE SVOLTA PRESSO IL SETTORE DI MALATTIE INFETTIVE<br />

Campionamento<br />

Volatili da reddito: sono stati prelevati campioni da 132 volatili da reddito: 36 faraone, 15<br />

galletti livornesi, 15 ovaiole, 15 galli Highline, 20 broilers e da volatili provenienti da<br />

allevamenti privati: 19 broilers, 10 ovaiole, 2 struzzi.<br />

Volatili da affezione e ornamentali: sono stati prelevati campioni autoptici da 33 pappagalli<br />

e 15 uccelli ornamentali (pavoni, micterie, struzzi e un casuario) provenienti da diversi<br />

allevamenti privati piemontesi.<br />

Metodi di laboratorio<br />

Dall'intestino cieco e dal contenuto cecale venivano prelevati campioni per l'estrazione del<br />

DNA. Negli psittacidi, poichè h<strong>anno</strong> i ciechi pseudoatrofici, veniva prelevata una porzione di<br />

duodeno. La presenza del DNA estratto veniva controllata con PCR con primers universali<br />

per il gene 16S rRNA. I campioni di DNA risultati positivi sono stati sottoposti a una PCR per<br />

Helicobacter genus. Parte dei campioni positivi alla PCR-H. genus venivano sequenziati per<br />

identificare la specie di appartenenza. Su tutti i campioni è stata eseguita una PCR per H.<br />

pullorum e su alcuni di quelli risultati positivi si è proceduto a un'ulteriore tipizzazione per<br />

discriminare eventuali ceppi di H. canadensis. Le sequenze riconosciute mediante<br />

sequenziamento come appartenenti alla specie H. pylori sono state riconfermate mediante<br />

PCR. Infine su un campione di feci provenienti da volatili positivi alla PCR per H. pullorum<br />

sono stati eseguiti esami colturali per la ricerca di helicobacter.<br />

Risultati<br />

Su 132 volatili da reddito 100 sono risultati positivi alla PCR-H. genus (75.7%), mentre i<br />

volatili da affezione e ornamentali sono risultati negativi. La PCR per H. pullorum ha<br />

evidenziato 93 campioni positivi. Una parte di questi campioni è stata sequenziata<br />

confermando la positività per H. pullorum. Il sequenziamento di 7 prodotti di PCR positivi<br />

alla ricerca di H. genus ma negativi alla ricerca di H. pullorum ha permesso di identificare 3<br />

campioni come H. pylori, 3 come H. hamster e 1 come H. pullorum. La successiva ricerca del<br />

sito di taglio per l'enzima Apa LI su 10 campioni positivi alla ricerca di H. pullorum, ha<br />

evidenziato la presenza di 1 ceppo appartenente alla specie canadensis nel gruppo delle<br />

faraone francesi. L'esame colturale ha evidenziato solo ceppi di Campylobacter jejuni e C.<br />

coli confermati con PCR.<br />

431


SECONDA PARTE SVOLTA PRESSO LA ASL 19<br />

E' stata preparata una scheda informativa più un questionario da sottoporre ai pazienti in visita<br />

presso il reparto di gastroenterologia dell'Ospedale di Asti.<br />

Campionamento<br />

Durante le visite endoscopiche sono stati prelevati campioni di succo gastrico da 50 persone<br />

con problemi digestivi. Da 3 pazienti è stato possibile ottenere anche un campione di feci<br />

Metodi di laboratorio<br />

Su frammenti di mucosa gastrica veniva eseguito il Campylobacter Pylori test. Sulle stesse<br />

porzioni veniva effettuata l'estrazione del DNA. I campioni di DNA pervenivano presso il<br />

settore di Malattie Infettive del Dip. di Produzioni animali, per essere ulteriormente processati<br />

(vedi "metodi di laboratorio" nella parte 1). Solo in 3 casi è stato estratto DNA anche dalle<br />

feci dei pazienti.<br />

Risultati<br />

Sul totale di 50 campioni di succo gastrico analizzati con PCR-H. pylori 33 sono risultati<br />

positivi. Sui 3 campioni di feci, in due casi si è avuto esito positivo alla PCR, confermando il<br />

risultato ottenuto dal succo gastrico, mentre un terzo ha dato esito negativo, nonostante il<br />

succo gastrico fosse positivo. Su 17 campioni positivi al CP test 16 sono stati confermati<br />

mediante PCR. In un caso il CP test ha dato esito positivo con PCR negativa. Su 33 campioni<br />

negativi al CP test 16 sono risultati positivi alla PCR evidenziando un valore di concordanza<br />

molto basso (=0.34). La ricerca di H. pullorum ha dato esito negativo su tutti i campioni.<br />

CONCLUSIONI<br />

I nostri dati confermano una elevata presenza di H. pullorum nelle specie aviari da reddito<br />

evidenziando una percentuale (70.4%) maggiore rispetto a quelle riscontrate finora con<br />

metodi tradizionali. Questi risultati confermano la notevole diffusione di questi microrganismi<br />

nei volatili da reddito e pongono interrogativi sulle modalità di diffusione di germi che<br />

possono colpire anche l'uomo, in quanto potrebbero rappresentare una potenziale fonte di<br />

contaminazione delle carcasse durante la macellazione. Non è possibile al momento trarre<br />

delle conclusioni sulla presenza di H. canadensis nei nostri volatili, dato il campione non<br />

rappresentativo. Comunque questo batterio (identificato come nuova specie nel 2000 da Fox e<br />

coll.) è stato isolato finora in oche selvatiche e in casi di diarrea nell'uomo. Un risultato di<br />

particolare rilevanza ottenuto nella nostra indagine è stato l'identificazione di H. pylori<br />

nell'intestino cieco di volatili. Questo dato se confermato con adeguata casistica potrebbe<br />

indicare gli uccelli come potenziali reservoir. Non abbiamo rilevato presenza di Helicobacter<br />

nei volatili da affezione ed esotici esaminati, questo ci fa ipotizzare che siano proprio le<br />

condizioni di allevamento a permettere la diffusione del microrganismo, ma al momento non<br />

possiamo escludere anche una differente sensibilità all'infezione. Per quanto riguarda la parte<br />

dedicata allo studio su pazienti umani il nostro intento è stato di confrontare un test<br />

biomolecolare, ancora poco utilizzato, con un test comunemente usato in ambito ospedaliero.<br />

La valutazione della concordanza fra le due metodiche ha rilevato una scarsa correlazione,<br />

con una apparente maggiore sensibilità del test biomolecolare rispetto a quello tradizionale.<br />

Entrambi i protocolli sono comunque metodi invasivi per cui abbiamo voluto valutare la<br />

possibilità di eseguire la PCR a partire da feci. I primi risultati sono stati interessanti ma<br />

andr<strong>anno</strong> proseguiti su un campione adeguato. Concludendo, i risultati da noi ottenuti in<br />

campo veterinario dimostrano che specie appartenenti al genere Helicobacter sono ben<br />

radicati nel patrimonio aviare e che in questo ambito possono essere mantenuti batteri<br />

patogeni per l'uomo come H. pylori o potenzialmente tali (H. pullorum, H. canadensis).<br />

432


Rodolfo Rocca Filone tematico C1<br />

Neurolisi plesso celiaco nella palliazione del dolore neoplastico:<br />

confronto della tecnica radiologica e ecoendoscopica<br />

A. S. O. Ordine Mauriziano di Torino<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Gli studi preliminari che h<strong>anno</strong> utilizzato l’approccio ecoendoscopico-guidato nella<br />

esecuzione dalla neurolisi del plesso celiaco sembrano evidenziare una minore probabilità di<br />

causare effetti avversi rispetto alle tecniche percutanee assistite radiologicamente o<br />

ecograficamente. In particolare, benché il plesso celiaco in se non sia una struttura<br />

identificabile dalla ecoendoscopia, è possibile una precisa localizzazione della regione celiaca<br />

dove esso si trova. Pertanto l’avanzamento dell’ago per effettuare la ablazione delle fibre<br />

nervose in questa regione attraverso la parete gastrica posteriore è maggiormente accurato e<br />

dovrebbe ridursi la possibilità di complicanze neurologiche (soprattutto motorie e sensitive<br />

agi arti inferiori) od emorragiche che sono proprie della procedura.Inoltre la tecnica<br />

endoscopica ha lo svantaggio di richiedere l’esecuzione di una endoscopia con una blanda<br />

sedazione. Non esiste tuttavia attualmente alcuno studio che confronti in modo randomizzato<br />

l'efficacia, gli effetti collaterali, il gradimento e i risultati a distanza tra le due tecniche per<br />

ottenere la neurolisi del plesso celiaco. Il vantaggio atteso per il sistema sanitario regionale e<br />

nazionale è una risposta sul migliore metodo per procedere al trattamento del dolore<br />

neoplastico refrattario tra le due metodiche attualmente disponibili, in termini di efficacia,<br />

semplicità, costo e sicurezza.<br />

OBIETTIVI<br />

Studio randomizzato controllato in cieco in collaborazione tra l’UOA di Gastroenterologia<br />

dell’Ospedale Mauriziano di Torino e il Servizio di Anestesia, Rianimazione e Terapia<br />

Antalgica dell’IRCC di Candiolo per valutare l'efficacia e la sicurezza della neurolisi del<br />

plesso celiaco guidata ecoendoscopicamente vs la neurolisi TAC-guidata in 38 pazienti<br />

consecutivi randomizzati 1:1 con dolore da neoplasie del pancreas, stomaco e vie biliari non<br />

operabili e che richiede terapia antalgica (FANS e/o oppioidi). Sono esclusi dallo studio i<br />

pazienti con metastasi ossee e ai tessuti molli. L’obiettivo primario è confrontare in termini di<br />

efficacia, sicurezza e tollerabilità le due tecniche con cui si può eseguire la neurolisi del<br />

plesso celiaco, endoscopica o percutanea, in una serie di pazienti affetti da tumori<br />

gastroenterici avanzati con dolore addominale cronico refrattario ed impegno del plesso<br />

celiaco.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Il progetto è stato sottoposto al parere del Comitato Etico della <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong>; dopo un<br />

lungo iter di valutazione lo studio ha ottenuto il parere favorevole del Comitato, per cui è stato<br />

possibile iniziare l’arruolamento dei pazienti (approvazione a fine 2004). A seguito<br />

dell’approvazione è stato possibile procedere con l’organizzazione pratica dello studio, sono<br />

stati valutati 12 pazienti, 3 dei quali sono stati sottoposti ai trattamenti in studio; tra gli altri, 4<br />

sono deceduti prima della randomizzazione, 3 sono stati scartati per l’assenza dell’indicazione<br />

o per il miglioramento delle condizioni cliniche, ed i restanti 5 h<strong>anno</strong> rifiutato il loro consenso<br />

alla partecipazione allo studio.<br />

433


Criticità evidenziate. Per la ricerca dei pazienti candidabili al trattamento la Gastroenterologia<br />

dell’ospedale Mauriziano si è integrata con il Servizio Cure Palliative del presidio Umberto I<br />

di Torino, d’altro canto l’analogo tentativo di integrazione con il Centro dell’IRCC di<br />

Candiolo, che è stato coinvolto sin dall’inizio del progetto, non ha fornito alcun candidato al<br />

trattamento (per scarso interesse al protocollo o per mancanza di pazienti neoplastici avanzati<br />

candidabili). Da ultimo l’adesione dei pazienti allo studio è risultata inferiore all’atteso e data<br />

la delicatezza della situazione (palliazione del dolore neoplastico avanzato), non si è ravvisata<br />

l’opportunità di una eccessiva insistenza nei confronti dei pazienti, nel rispetto delle normali<br />

norme etiche e di ‘good clinical practice’. Per il futuro, data la persistente attualità dei quesiti<br />

che questo progetto mirava a chiarire, si tenterà l’ampliamento della popolazione<br />

coinvolgibile attraverso l’interessamento di ulteriori centri per il trattamento del dolore<br />

neoplastico (con affluenza di più ampie casistiche di carcinomi pancreatici avanzati) in modo<br />

da poter raggiungere la numerosità campionaria necessaria a verificare gli obiettivi dello<br />

studio. Peraltro con il materiale di cui ci si è dotati, si conta di poter raggiungere una<br />

numerosità di casi sufficentemente elevata da poter eseguire un'analisi ad interim adeguata<br />

434


Giovanni Rolla Filone tematico C1<br />

Valore predittivo di asma della misura di NO nell’aria espirata nei pazienti<br />

rinitici con sintomi simil-asmatici.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Oncologiche<br />

La frazione di ossido di azoto presente nell’aria espirata (FENO) è considerata un indicatore<br />

di flogosi delle vie aeree. Numerosi studi dimostrano che i soggetti asmatici presentano una<br />

quota di FENO notevolmente maggiore rispetto ai soggetti sani, e che anche nei pazienti<br />

rinitici i valori di FENO sono più elevati rispetto ai valori osservati nella popolazione<br />

generale. La presenza di rinite nei soggetti asmatici è stata dimostrata da numerosi studi<br />

epidemiologici con una frequenza variabile tra il 75 e l’80%.<br />

OBIETTIVO<br />

Scopo della ricerca è stato quello di studiare se elevati valori di FENO potessero essere<br />

indicativi di asma nei pazienti affetti da rinite e sintomi asthma-like (tosse stizzosa, dispnea,<br />

sensazione di costrizione toracica, sibili respiratori), ma senza ancora una diagnosi certa di<br />

asma.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Pazienti. Abbiamo selezionato 40 pazienti (età media: 38,73 +/- 17,02 anni – rapporto M/F=<br />

0,86) giunti al nostro Ambulatorio di Allergologia lamentando sintomatologia oculorinitica<br />

persistente (ostruzione nasale, rinorrea anteriore, starnuti, prurito nasale e sintomi oculari) e<br />

sintomi asthma-like, 40 pazienti affetti da rinite persistente senza sintomatologia asmatiforme<br />

associata (età media: 32,35 +/- 14,60 anni – rapporto M/F= 0,86), 15 pazienti affetti da asma<br />

non associata a rinite e 30 controlli sani (età media: 35,06 +/- 16,25 – rapporto M/F= 0,89).<br />

Tutti i soggetti erano non fumatori e non avevano assunto, nei sette giorni precedenti,<br />

antistaminici, cortisonici topici e/o sistemici, inibitori della degranulazione mastocitaria,<br />

antileucotrieni, né broncodilatatori.<br />

Valutazione clinica e misurazione del FENO: a tutti i soggetti selezionati abbiamo<br />

somministrato un questionario per la valutazione della gravità dei sintomi nasali ed un<br />

questionario relativo alla sintomatologia asmatiforme (questionario ECRHS); abbiamo quindi<br />

praticato la misurazione del FENO tenendo conto delle raccomandazioni tecniche fornite<br />

dall’ATS, mediante un analizzatore di NO a chemiluminescenza a rapida risposta (NIOX,<br />

Aerocrine, Solna, Svezia).<br />

Test di funzionalità respiratoria: i test di funzionalità respiratoria sono stati effettuati<br />

mediante uno spirometro computerizzato in accordo con le procedure standard ATS e, nei soli<br />

pazienti con sintomi asthma-like, venivano effettuati o il Test di broncodilatazione o il Test di<br />

provocazione bronchiale con metacolina.<br />

Prove allergometriche cutanee: in tutti i pazienti affetti da rinite (con o senza sintomi<br />

asmatiformi) ed in quelli asmatici ma non rinitici, sono stati inoltre praticati test<br />

allergometrici secondo la tecnica dello Skin Prick Test per i comuni allergeni inalanti.<br />

435


RISULTATI<br />

Il 77,5% (n=62) dei soggetti affetti da oculorinite avevano almeno una positività allo Skin<br />

Prick Test, senza significativa differenza tra i due gruppi (paziente che riferivano o no sintomi<br />

asmatiformi). Le sensibilizzazioni più frequentemente riscontrate nei due gruppi di pazienti<br />

sono state: pollini di graminacee (14,84% dei pazienti), Dermatophagoides Farinae e<br />

Dermatophagoides Pterossinus (10,44%), epitelio di gatto (7,69%), epitelio di cane (7,69%),<br />

pollini di olivacee (7,69%). I tre gruppi di soggetti considerati non differivano statisticamente<br />

nè per età, né per rapporto M/F e neppure per i risultati dei test di funzionalità respiratoria. A<br />

12 (30%) dei 40 pazienti con sintomatologia asmatiforme è stata posta diagnosi di asma sulla<br />

base della positività al TPB alla metacolina o al Test di broncodilatazione con salbutamolo. In<br />

entrambi i gruppi di pazienti affetti da rinite (con o senza sintomatologia asmatiforme)<br />

abbiamo riscontrato valori di FENO significativamente più elevati rispetto al gruppo di<br />

controllo (37,25 ppb +/- 28,91 vs 13,08 ppb +/- 5,73, p=0,000007). I pazienti con rinite<br />

associata a sintomi asmatiformi avevano valori medi di FENO significativamente più elevati<br />

rispetto ai pazienti affetti da sola rinite (42,92 ppb +/- 28,48 vs 23,90 ppb +/- 15,17,<br />

p


Sergio Rosati Filone tematico D2<br />

Sviluppo di nuovi test sierologici gE-ELISA per il controllo della<br />

Rinotracheite Infettiva del Bovino (IBR)<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

L'IBR è una malattia ampiamente diffusa in tutto il mondo con livelli di sieroprevalenza<br />

elevati: attualmente le forme cliniche della malattia sono controllate perché negli ultimi venti<br />

anni si è fatto ampio uso della vaccinazione. Ciò nonostante il BHV-1 è ancora oggi da<br />

<strong>anno</strong>verare tra le maggiori cause di perdite economiche a livello di allevamento: inoltre, le più<br />

recenti normative relative al commercio dei bovini pongono serie limitazioni al trasporto di<br />

animali sieropositivi contro BHV-1 facendo presupporre che nei prossimi anni l'IBR<br />

rappresenterà un problema dal punto di vista socio-economico. In Italia non c'è un<br />

atteggiamento uniforme a riguardo: la provincia di Bolzano, unica in Italia, ha eradicato l’<br />

infezione e il suo territorio è stato dichiarato ufficialmente indenne; regioni come Lombardia,<br />

<strong>Piemonte</strong> e Valle D'Aosta h<strong>anno</strong> in corso dei piani di controllo per l'IBR. Nell'ambito di un<br />

piano di eradicazione è fondamentale avere a disposizione un apparato diagnostico valido per<br />

poter individuare con alto livello di sensibilità i soggetti positivi e poter così gradualmente<br />

eliminare l'agente patogeno coinvolto.<br />

La <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> dal 2000 ha intrapreso un piano di controllo per l’ IBR, basato sulla<br />

adesione volontaria da parte degli allevatori. Tale piano contempla l'utilizzo di vaccini marker<br />

gE-. In passato però si è fatto largo uso di vaccini a virus vivo ed inattivato che h<strong>anno</strong><br />

sicuramente contribuito a limitare la malattia, ma h<strong>anno</strong> anche causato un aumento della<br />

prevalenza sierologica per cui animali mai venuti a contatto con il virus wild type risultano<br />

sieropositivi per la presenza di anticorpi vaccinali. Risulta quindi particolarmente utile<br />

disporre di un metodo di screening economico ed applicabile su larga scala da affiancare ai<br />

test ufficiali per riconoscere gli animali infetti (gE +) dagli animali vaccinati con vaccino<br />

deleto (gE) in stalle che aderiscono al piano di eradicazione. Sono disponibili in commercio<br />

test diagnostici di tipo competitivo che si basano sulla reattività verso un epitopo<br />

immunodominante della gE. Tali test sono costosi ed incidono notevolmente sul budget a<br />

disposizione delle autorità sanitarie regionali. Inoltre, si registrano false positività dovute al<br />

fenomeno dell'impedimento sterico, allorquando un animale ripetutamente vaccinato con<br />

marker gE- produce anticorpi diretti verso glicoproteine virali (es. gB) che, legandosi<br />

all'antigene presente nel pozzetto, impediscono il legame fra monoclonale e gE.<br />

Per le ragioni esposte risulta quindi particolarmente utile disporre della gE in forma purificata.<br />

Infatti, l'assenza di altre proteine virali risolve l'eventuale fenomeno di impedimento sterico.<br />

Inoltre, la gE in forma pura consentirebbe di sviluppare un test di tipo indiretto in cui altri<br />

epitopi della gE potrebbero essere accessibili, aumentando la sensibilità del test.<br />

OBIETTIVO<br />

Queste considerazioni ci h<strong>anno</strong> indotto ad esplorare la possibilità di ottenere la gE in forma<br />

ricombinante. Trattandosi di una glicoproteina dell'envelope virale, si è deciso di optare per<br />

un sistema eucariota che garantisse una corretta modificazione post-traduzionale della<br />

proteina (prevalentemente glicosilazione e trasporto).<br />

437


METODI E RISULTATI<br />

Il gene gE è quindi stato amplificato mediante PCR e clonato in un vettore di trasferimento<br />

per baculovirus. Successivamente si sono generati baculovirus ricombinanti mediante<br />

transfezione di cellule di insetto. Infine sono state valutate le caratteristiche antigeniche dei<br />

prodotti con le usuali tecniche immunologiche.<br />

I risultati indicano che la gE è stata espressa in forma glicosilata ed è localizzata a livello della<br />

membrana delle cellule di insetto. Inoltre la reattività di due epitopi conformazionali ed un<br />

epitopo lineare evidenziata con 3 anticorpi monoclonali anti-gE dimostra che l'espressione in<br />

baculovirus preserva l'antigenicità e l'attività immunobiologica tipica della proteina nativa.<br />

Sono stati utilizzati due vettori di trasferimento in grado di esprimere la proteina d’interesse in<br />

forma secreta ed in forma cellulo-associata. Nel primo caso abbiamo valutato la possibilità di<br />

utilizzare la gE ricombinante in un ELISA indiretto utilizzando sieri bovini caratterizzati in<br />

precedenza mediante sieroneutralizzazione ed ELISA gE competitivo.<br />

I risultati, pur incoraggianti evidenziano un limitato livello di espressione della gE in forma<br />

secreta, probabilmente dovuta ad una rapida degradazione ad opera di proteasi cellulari in<br />

ambiente "protein free". Più incoraggianti sono risultati i livelli di espressione della gE<br />

associata alle cellule. Il test di western blot ha messo in evidenza una cospicua banda di peso<br />

lievemente inferiore alle gE nativa, indicando un buon livello di espressione. Va considerato<br />

che il background di sieri bovini verso proteine cellulari di insetto è piuttosto modesto e<br />

l'utilizzo di un estratto cellulare infetto può essere utilizzato tal quale nella sensibilizzazione<br />

di piastre ELISA, eventualmente predisponendo un controllo antigene rappresentato da un<br />

estratto di cellule non infetto. Nella seconda fase del progetto, di ottimizzazione del test<br />

ELISA indiretto, si è cercato di migliorare la sensibilita del test mediante la messa appunto di<br />

un ELISA trapping, immuno-catturando la gE con l’anticorpo in grado di riconoscere<br />

l’epitopo lineare. Questo ha permesso di migliorare il test ELISA, senza però ottenere i<br />

risultati sperati e riportati da un altro gruppo che ha utilizzato lo stesso sistema di espressione<br />

per produrre la glicoproteina ricombinante (Borrè et al., SIDILV 10-12 Novembre 2004).<br />

Una valutazione più accurata di tale test e del sistema di espressione sarà oggetto di ulteriori<br />

approfondimenti in un prossimo futuro prendendo in considerazione la possibilità di produrre<br />

la glicoproteina E in un sistema di espressione che utilizza le cellule di mammifero. Questo<br />

sistema dovrebbe permettere di produrre la gE ricombinante con la stessa conformazione della<br />

glicoproteina E nativa. In conclusione, è stata ottenuta l’espressione della glicoproteina E di<br />

BHV-1 in forma ricombinante con caratteristiche simili alla proteina nativa, ma non<br />

sufficiente per la realizzazione di un test ELISA sensibile e specifico: in prospettiva futura, si<br />

può ipotizzare l’utilizzazione di cellule di mammifero come sistema di espressione per la<br />

produzione della gE con caratteristiche adatte all’impiego nell'ambito della diagnostica<br />

dell’IBR, per l'identificazione di bovini immunizzati con vaccino a marker immunologico<br />

negativo.<br />

438


Floriano Rosina Filone tematico A2<br />

Ruolo dei polimorfismi dei geni immunoregolatori nella risposta alla<br />

terapia antivirale nell’epatite cronica C<br />

Presido Sanitario Gradenigo<br />

U.O.A. Gastroenterologia e Epatologia<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il virus dell’epatite C (HCV)determina un ampio spettro di malattie epatiche che spazia<br />

dall’epatite acuta e cronica, alla cirrosi e all’epatocarcinoma. Nondimeno l’infezione da HCV<br />

può essere eradicata attraverso l’impiego dell’interferone α ricombinante o dell’interferone α<br />

ricombinante peghilato da solo o in combinazione con la Ribavirina. Il ruolo dei genotipi<br />

virali nel modulare le possibilità di risposta alla terapia risulta essere sufficientemente<br />

determinato con i genotipi 2 e 3 che si associano ad una risposta sostenuta nel tempo nel 75-<br />

85% dei casi trattati ed i genotipi 1 e 4 che si associano ad una risposta inferiore nell’ordine<br />

del 35-45%. Meno chiaro a tutt’oggi il ruolo dell’ospite nel condizionare le possibilità di<br />

risposta alla terapia: se è evidente che gli individui immunosoppressi dal virus<br />

dell’immunodeficienza acquisita (HIV) o farmacologicamente (soggetti sottoposti a trapianto<br />

di organi) rispondono in modo inferiore alla terapia, più nebuloso è il ruolo dei polimorfismi<br />

dei geni che codificano per molecole immunomodulatrici nel condizionare le possibilità di<br />

risposta alla terapia<br />

OBIETTIVO<br />

Valutare il ruolo dei polimorfismi dei geni che codificano per molecole immunomodulatrici<br />

selezionate nel modulare le possibilità di risposta alla terapia nei diversi genotipi virali.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Pazienti: in accordo con il protocollo, ma in proporzione alla quota di finanziamento, sono<br />

stati selezionati a posteriori, classificandoli in base alla risposta alla terapia (Risposta<br />

virologica sostenuta (SVR) e Non Risposta (NR)) e bilanciandoli per età, sesso e genotipo<br />

o 40 pazienti trattati con Interferone α-2a o α-2b in monoterapia alla dose di 5 MU tre volte<br />

alla settimana per 12 mesi<br />

• o SVR: 20 pazienti (Maschi/Femmine 14/6, età media 48,2±9,1 anni, Genotipo 1: 14 pz –<br />

Genotipo 2-3: 6 pz)<br />

• o NR: 20 pazienti (Maschi/Femmine 14/6, età media 47,1±8,1 anni, Genotipo 1: 14 pz –<br />

Genotipo 2-3: 6 pz)<br />

o 40 pazienti trattati con Interferone α-2a o α-2b 5 MU tre volte alla settimana in<br />

combinazione con Ribavirina 800-1200 mg in relazione al peso corporeo somministrati per 6<br />

mesi nei pazienti con genotipo 2 e 3 e per 12 mesi nei pazienti con genotipo 1 e 4;<br />

• o SVR: 20 pazienti (Maschi/Femmine 13/7, età media 50,0±9,3 anni, Genotipo 1: 15 -<br />

Genotipo 2-3: 5 pz)<br />

• o NR: 20 pazienti (Maschi/Femmine 13/7, età media 49,1±6,1 anni, Genotipo 1: 15 pz –<br />

Genotipo 2-3: 5 pz)<br />

439


o 40 pazienti trattati con Interferone Peghilato α-2a (180 ug 1 volta/settimana) o α-2b (1,5<br />

ug/Kg 1 volta/settimana) in combinazione con Ribavirina 800-1200 mg in relazione al peso<br />

corporeo somministrati per 6 mesi nei pazienti con genotipo 2 e 3 e per 12 mesi nei pazienti<br />

con genotipo 1 e 4.<br />

• o SVR: 20 pazienti (Maschi/Femmine 13/7, età media 51,4±9,1 anni, Genotipo 1: 14 -<br />

Genotipo 2-3: 6 pz)<br />

• o NR: 20 pazienti (Maschi/Femmine 13/7, età media 52,1±6,8 anni, Genotipo 1: 14 pz –<br />

Genotipo 2-3: 6 pz)<br />

Al fine di abbattere il ruolo delle modificazioni terapeutiche legate agli effetti collaterali dei<br />

farmaci o alla non compliance dei pazienti sono stati arruolati solo quei soggetti che h<strong>anno</strong><br />

portato a termine l’intero ciclo di terapia. La risposta virologica sostenuta (SVR) è stata<br />

definita come la persistente negatività del genoma del virus C in circolo (HCV-RNA) a<br />

distanza di sei mesi dalla sospensione della terapia. La non riposta (NR) è stata definita come<br />

la mancata negatività dell’HCV-RNA circolante a distanza di 6 mesi dall’inizio della terapia.<br />

Al fine di estremizzare i fenotipi di risposta non sono stati inseriti pazienti relapser (pazienti<br />

che dopo una risposta durante la terapia recidivano alla sospensione)<br />

Metodi: il DNA è stato estratto da sangue periferico con metodiche commerciali,<br />

l’amplificazione dei loci polimorfici è stata effettuata impiegando primer specifici, la<br />

determinazione dei polimorfismi genici è stata valutata attraverso RFLP (Restriction<br />

Fragment Length Polymorphism) e successiva corsa dei prodotti di digestione del DNA su gel<br />

di agarosio al 2% colorato con etidio bromuro.<br />

RISULTATI<br />

Nessuna delle differenze è risultata statisticamente significativa quando complessivamente la<br />

coorte di SVR è sta confrontata con quella dei NR per ogni singolo polimorfismo. Nondimeno<br />

quando i risultati sono stati analizzati in relazione alle singole modalità di trattamento si è<br />

osservato nel gruppo di soggetti trattati con Interferone in monoterapia un trend alla<br />

segregazione dei pazienti con SVR fra i soggetti con il genotipo TGF – 10 C/C (SVR C/C<br />

9/20 (45%), NR C/C 4/20 (20%) (P = 0,07), tutti i questi soggetti erano portatori di genotipo<br />

1. CONCLUSIONI: Nessuno dei genotipi polimorfici studiati ha dimostrato una significativa<br />

associazione con le modalità di risposta alla terapia, quando i soggetti SVR e NR sono stati<br />

valutati globalmente ed indipendentemente dalle modalità di terapia. Quando SVR e NR sono<br />

stati analizzati per sottogruppi in relazione alla modalità terapeutica si è osservato un trend<br />

all’associazione fra genotipo C/C TGF – 10 e la SVR.<br />

Una maggiore numerosità del campione potrebbe chiarire se l’associazione è casuale o reale,<br />

ma tale approccio avrebbe un valore speculativo dal momento che la monoterapia con<br />

Interferone è stata pressoché completamente abbandonata o limitata a pazienti intolleranti o<br />

con controindicazioni alla Ribavirina. L’assenza di un trend simile fra i soggetti trattati con<br />

protocolli terapeutici combinati e maggiormente efficaci potrebbe nuovamente riflettere a) la<br />

presenza di un errore Beta o b) la capacità di tali trattamenti di by-passare il ruolo favorente o<br />

deterrente di determinati polimorfismi nel condizionare la risposta terapeutica.<br />

440


Daniela Rossi Filone tematico C1<br />

Integrazione della “memoria artificiale” nella cartella clinica per studio,<br />

diagnosi e terapia delle malattie rare.<br />

Asl 4<br />

Sono stati raggiunti i seguenti obiettivi:<br />

• Reperimento dei criteri diagnostici e dei protocolli terapeutici per le Malattie Rare<br />

previste nel D.M. 279/2001 All.1 - Gruppo V - Malattie del sistema circolatorio: in<br />

seguito ad un'ampia ed accurata analisi della letteratura scientifica condotta sulle<br />

principali banche dati biomediche disponibili online (OVID, Pubmed, Cochrane Central) e<br />

delle linee guida pubblicate (ricavate soprattutto dalla "National Guideline<br />

Clearinghouse"). L'analisi di tali fonti ha permesso di realizzare dei criteri diagnostici<br />

univoci per le patologie del gruppo V prese in esame (endocardite reumatica, poliangioite<br />

microscopica, poliarterite nodosa, sindome di Kawasaki, Churg-Strauss, sindrome di<br />

Goodpasture, granulomatosi di Wegener, arterite a cellule giganti, micripoliangiopatie<br />

trombotiche e malattia di Takayasu). Per quanto riguarda invece gli approcci terapeutici e<br />

i parametri da valutare nel follow up, sono state riscontrate delle differenze fra i diversi<br />

protocolli proposti; si è quindi di classificare i diversi schemi terapeutici in base ad un<br />

sistema di "grading" delle indicazioni basato sulle raccomandazioni del Manuale<br />

Metodologico del Piano Nazionale Linee Guida. I protocolli di follow up dei pazienti sono<br />

stati invece basati sul monitoraggio di indicatori generici di infiammazione, degli<br />

indicatori di d<strong>anno</strong> relativi agli organi principalmente colpiti dalle diverse patologie, e dei<br />

marker relativi ai possibili effetti collaterali delle terapie (es. d<strong>anno</strong> retinico nel caso<br />

dell'uso di antimalarici di sintesi, marker di neoplasia nel caso dell'uso di<br />

immunosoppressori).<br />

• Realizzazione di tabelle costituenti la "memoria artificiale": i dati ottenuti dall'analisi della<br />

letteratura sono stati inseriti all'interno di tabelle correlate fra loro realizzate mediante<br />

l'uso del "DataBase Management System" (DBMS) MySQL. La scelta di questo software<br />

è stata dettata dalla necessità di utilizzare un DBMS stabile, ampiamente diffuso e che<br />

presentasse dei costi di acquisizione e di gestione ridotti. Le tabelle realizzate sono state<br />

opportunamente "linkate" fra di loro al fine di permettere la migliore fruibilità delle<br />

informazioni presenti nella memoria artificiale. L'accesso ai dati presenti è inoltre già oggi<br />

possibile da differenti postazioni di lavoro grazie ad un'interfaccia web.<br />

• E' attualmente in fase di ultimazione il porting delle tabelle attualmente realizzate<br />

all'interno di un applicativo di gestione ospedaliera informatizzata open source (Care<br />

2002) al fine di permettere l'utilizzo della "memoria artificiale" creata nell'ambito<br />

dell'attività clinica quotidiana. Tale fase ha richiesto per essere realizzata un tempo<br />

superiore al previsto in quanto si è ritenuto utile utilizzare un sistema di gestione della<br />

cartella clinica a "sorgente aperto" al fine di facilitare l'adozione della stessa anche da<br />

parte di altre realtà Regionali interessate. Inoltre una scelta di questo tipo favorirà il<br />

trasferimento dei dati a livello centrale e la successiva analisi statistica.<br />

• Sono stati realizzati mediante l'utilizzo del software per l'analisi epidemiologica Epiinfo<br />

appositi moduli che permetter<strong>anno</strong> l'importazione dei dati grezzi provenienti dalle cartelle<br />

cliniche elettroniche relative alle patologie rare prese in considerazione e l'analisi statistica<br />

volta all'identificazione di particolari indici prognostici utili nel follow-up delle patologie<br />

stesse e alla determinazione dell'outcome terapeutico.<br />

441


Ferdinando Rossi Filone tematico A2<br />

Protezione e riparazione di circuiti nervosi mediante trapianti cellulari in<br />

modelli di patologie neurodegenerative<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Neuroscienze<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il progetto di ricerca si inserisce in una serie di studi concernenti l’analisi delle capacità del<br />

sistema nervoso centrale (SNC) adulto affetto da lesione o neurodegenerazione di sostituire<br />

gli elementi cellulari danneggiati riattivando segnali neurogenici capaci di guidare la<br />

riparazione del d<strong>anno</strong> attraverso la differenziazione di cellule progenitrici multipotenti.<br />

METODI E RISULTATI<br />

E’ stato utilizzato come modello di studio il cervelletto di topi mutanti pcd (Purkinje cell<br />

degeneration) poiché offrono un esempio particolarmente adatto di neurodegenerazione in cui<br />

viene a mancare selettivamente uno specifico tipo cellulare mentre rimangono preservati tutti<br />

gli altri elementi che costituiscono il circuito cerebellare. In questi animali mutanti tutte le<br />

cellule di Purkinje muoiono dopo la fine dello sviluppo. Al fine di studiare se l’ambiente<br />

tessutale del cervelletto affetto da degenerazione fenotipo-specifica sia in grado di fornire i<br />

segnali necessari per promuovere la sostituzione dei neuroni mancanti, abbiamo trapiantato<br />

nel cervelletto di topi mutanti pcd e di topi wild-type (come controllo), una sospensione di<br />

cellule progenitrici multipotenti di tipo cerebellare embrionale che sono in grado di dare<br />

origine a tutti i fenotipi cellulari cerebellari. Queste cellule multipotenti sono state ottenute da<br />

topi transgenici che sovraesprimono la green fluorescent protein (GFP) sotto il promotore<br />

della beta-actina, consentendo l’identificazione delle cellule trapiantate e della loro progenie<br />

nel tessuto ospite grazie alla fluorescenza verde.<br />

La popolazione di progenitori è stata iniettata nel parenchima cerebellare sotto forma di<br />

sospensione cellulare, anziché di frammento di tessuto, affinché ciascuna cellula progenitrice<br />

fosse individualmente esposta ai segnali presenti nell’ambiente tessutale ricevente. Gli<br />

animali riceventi sono stati sacrificati da 3 a 6 settimane dopo il trapianto, un tempo<br />

sufficiente perché le cellule progenitrici trapiantate potessero terminare il loro<br />

differenziamento nei diversi fenotipi cellulari che sono stati identificati mediante criteri<br />

morfologici e per l’immunoreattività per marcatori molecolari specifici. Abbiamo osservato<br />

che il tessuto cerebellare adulto, sia wild-type che mutante, è permissivo per lo sviluppo dei<br />

progenitori cerebellari embrionali e fornisce i segnali necessari per la generazione dell’intero<br />

repertorio di fenotipi cerebellari. Tuttavia, a differenza di quanto precedentemente osservato<br />

in analoghi trapianti di progenitori cerebellari in animali riceventi in età embrionale, nel<br />

tessuto ricevente adulto non si ottiene la corretta integrazione citoarchitettonica dei diversi<br />

fenotipi neuronali. Inoltre, analizzando la distribuzione dei differenti fenotipi nel tessuto<br />

ospite, abbiamo osservato che ogni tipo neuronale derivato dalle cellule progenitrici<br />

trapiantate manifesta una specifica localizzazione nella corteccia cerebellare dell’animale<br />

ricevente e che tale localizzazione è identica sia nel mutante che nel wild-type suggerendo la<br />

presenza di segnali ambientali capaci di influenzare la migrazione dei diversi tipi di neuroni<br />

generati.<br />

442


Abbiamo quindi valutato le eventuali differenze quantitative nel repertorio di fenotipi<br />

generato nei cervelletti mutanti e wild-type e in questo caso i risultati h<strong>anno</strong> evidenziato una<br />

marcata differenza indicando che i segnali ambientali presenti nel cervelletto adulto possono<br />

essere modulati in seguito a degenerazione di una specifica popolazione neuronale. Nei topi<br />

pcd la perdita delle cellule di Purkinje induce, con un apparente fenomeno di compensazione,<br />

un cambiamento nel rapporto tra i diversi fenotipi generati in favore del tipo cellulare<br />

mancante. La percentuale di cellule di Purkinje originate dal trapianto nel pcd è dell’84%<br />

contro un 56% nel controllo e tale aumento si verifica a scapito degli altri fenotipi che nel pcd<br />

subiscono una diminuzione significativa. Abbiamo cercato dunque di indagare la natura di<br />

tale fenomeno per capire se l’incremento nella percentuale di Purkinje dipendesse da<br />

meccanismi induttivi capaci di promuovere la generazione di uno specifico tipo cellulare,<br />

oppure da meccanismi selettivi in cui prevalesse la sopravvivenza e l’integrazione del<br />

fenotipo mancante. Nella prima ipotesi si dovrebbe assumere un incremento della<br />

proliferazione, poiché è noto che la determinazione del fenotipo adulto si verifica durante la<br />

fase “S” dell’ultima divisione mitotica, mentre cellule postmitotiche sono ormai già<br />

specificate. A tal fine utilizzando la marcatura con bromodesossiuridina (BrdU) abbiamo<br />

determinato la frazione proliferante nella popolazione di cellule donatrici, sia prima che dopo<br />

il trapianto ad un mese di distanza da questo. In primo luogo abbiamo misurato il potenziale<br />

proliferativo dei progenitori cerebellari embrionali in situ somministrando Brdu nelle madri<br />

36 ore prima del trapianto e ad 1 mese di distanza da questo abbiamo osservato che il 29,8%<br />

delle cellule trapiantate erano positive per la Brdu. Successivamente per valutare la<br />

percentuale di proliferazione nel tessuto ricevente, in un diverso gruppo di animali abbiamo<br />

somministrato Brdu 36 ore dopo il trapianto. In questo caso ad 1 mese dall’iniezione sia negli<br />

animali di controllo che nei mutanti la percentuale di cellule trapiantate proliferanti diminuiva<br />

drasticamente fino al 5-7%. Al fine dunque di escludere una diluizione della BrdU dovuta ad<br />

eccessiva proliferazione abbiamo ripetuto l’esperimento uccidendo gli animali a tempi brevi<br />

(36 ore dopo il trapianto) ed i dati h<strong>anno</strong> confermato i risultati ottenuti ad un mese<br />

dimostrando una forte riduzione della proliferazione in seguito a trapianto.<br />

In ultima analisi per poter attribuire tale fenomeno all’esposizione verso i segnali<br />

dell’ambiente ricevente e non ad un eventuale blocco della proliferazione dovuto alla<br />

metodica con cui le cellule sono state dissociate abbiamo messo in coltura le cellule dissociate<br />

ed esposte per 2 ore al trattamento con BrdU. In queste condizioni il 27% delle cellule erano<br />

positive per la BrdU. Queste analisi indicano definitivamente che la dissociazione non ha<br />

effetto inibitorio sull’attività mitotica e che la forte riduzione della proliferazione osservata<br />

dopo trapianto è il risultato delle interazioni che si stabiliscono precocemente tra le cellule<br />

trapiantate e l’ambiente ospite. In conclusione i nostri risultati non confermano nel cervelletto<br />

adulto una riattivazione di segnali induttivi capaci di promuovere la proliferazione del tipo<br />

cellulare mancante ma evidenziano piuttosto la presenza di meccanismi selettivi capaci di<br />

favorire la sopravvivenza di quest’ultimo.<br />

443


Filiberto Rossi Filone tematico A4<br />

I Giovani contro il doping<br />

UISP Comitato Regionale <strong>Piemonte</strong><br />

Il Questionario: è stato realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Sociali<br />

dell’Università di Torino, si poneva l’obbiettivo di evidenziare gli interessi di un campione di<br />

studenti di Scuole Medie Superiori in <strong>Piemonte</strong> e in particolare in ambito sportivo, di<br />

conoscere le scelte e le opinioni di questi nei confronti del doping. La struttura del<br />

questionario prevede quattro sezioni che dovevano essere riempite secondo un criterio<br />

preciso: la prima e l’ultima sezione erano compilabili da tutti, mentre la seconda e la terza<br />

erano state concepite in modo da distinguere gli sportivi che f<strong>anno</strong> uso di sostanze<br />

farmaceutiche da quelli che non ne f<strong>anno</strong> uso. Si è inoltre verificata la frequenza dell’uso e<br />

non uso in rapporto al carattere amatoriale o agonistico dello sport praticato.<br />

Il Campione in Esame: gli studenti costituenti il campione scelto per questa inchiesta<br />

frequentano tre Istituti già coinvolti nella prima fase del progetto: I.T.I.S. “Volta” di<br />

Alessandria, I.T.I.S. “Pininfarina” di Moncalieri, Liceo Scientifico “Gramsci” di Ivrea. Sono<br />

studenti di età compresa fra i 15 e i 19 anni di ambedue i sessi. Sono stati compilati 200<br />

questionari, di cui 62 dell’ I.T.I.S. “Volta”, 101 del Liceo “Gramsci” e 37 dell’ I.T.I.S.<br />

“Pininfarina”.<br />

Riguardo ai 62 questionari del “Volta” è emerso che la maggioranza è di sesso maschile, è<br />

intorno ai 17 anni ed è originaria delle province di Alessandria ed Asti. H<strong>anno</strong> genitori che<br />

svolgono prevalentemente professioni come: impiegato amministrativo, di servizio, quadri<br />

intermedi o tecnici, imprenditori, artigiani o commercianti. L’estrazione sociale è medio-alta.<br />

Dei 37 studenti del “Pininfarina” emerge che la maggioranza, anche in questo caso di sesso<br />

maschile, ha un’età che va dai 18-19 anni in su ed è originaria esclusivamente della provincia<br />

di Torino. L’estrazione sociale è di livello relativamente più basso, poiché il 34,3% sul totale<br />

ha indicato come professione l’operaio, seguita dal 22,9% impiegato amministrativo e dal<br />

14,3% impiegato di servizio o tecnico.<br />

Fra i tre Istituti indagati, il liceo “Gramsci” è quello che presenta le caratteristiche più<br />

differenti. Dai 101 studenti risulta, infatti, che: la prevalenza è di sesso femminile, in età tra i<br />

16 e i 17 anni, originaria soprattutto della provincia di Torino, cioè Ivrea e limitrofi e<br />

dell’estero europeo ed extraeuropeo. L’estrazione sociale è decisamente alta, infatti le<br />

professioni prevalenti fra i genitori risultano essere: dirigenti e quadri, liberi professionisti,<br />

seguiti da imprenditori, artigiani e commercianti e,infine,da impiegati amministrativi.<br />

Gli Interessi degli Intervistati: gli studenti del liceo “Gramsci” sono quelli che fra i tre<br />

istituti mostrano una maggiore varietà di scelta delle attività extrascolastiche. Molti ,infatti,<br />

forse proprio perché in maggioranza di sesso femminile, h<strong>anno</strong> segnalato il “ballare e la<br />

discoteca” come interesse principale. Dal momento che, era una risposta multipla, si sono<br />

aggiunte altre attività come “il seguire spettacoli di vario genere” e la lettura, sicuramente<br />

indotta dallo stesso contesto scolastico. Lo sport qui si colloca in quarta posizione con un<br />

30,3% sul totale delle risposte del Gramsci. Al “Volta” e al “Pininfarina” vi è un’incidenza di<br />

interessi prevalentemente sportivi, seguito dall’andare in discoteca. Mentre tale interesse al<br />

Gramsci occupava la prima posizione, qui passa in secondo piano, seguito dalla lettura e lo<br />

spettacolo. E’ importante notare che in tutte e tre le scuole gli sport in assoluto più praticati<br />

444


sono: Calcio, Pallavolo, Nuoto. Gli studenti che non praticano sport sono 93, pari a circa il<br />

48% del campione.<br />

L’Uso di Sostanze nello Sport Agonistico e in quello Amatoriale: dalle analisi statistiche il<br />

totale degli studenti fra le tre scuole che f<strong>anno</strong> uso di sostanze farmaceutiche (in prevalenza<br />

integratori) è di 21, cioè il 21,2% di coloro che f<strong>anno</strong> sport. Per ogni singola scuola i risultati<br />

sono:<br />

• 10 studenti per l’ I.T.I.S. “Volta”,<br />

• 8 studenti per l’ I.T.I.S. “Pininfarina”,<br />

• 3 studenti per il Liceo Scientifico “Gramsci”.<br />

sul totale di coloro che praticano sport (99 studenti su 192 che h<strong>anno</strong> risposto alla domanda<br />

sugli interessi). A prescindere dalla scuola deduciamo che 13 studenti sui 21 fa uso di<br />

sostanze in uno sport agonistico, il 61,9% mentre 8 studenti ne f<strong>anno</strong> uso in uno attività<br />

amatoriale, il 38,1%, al fine di avere esaurienti prestazioni sportive, per potenziare il fisico e<br />

sentire meno la fatica. Positivamente accogliamo il numero di coloro che d<strong>anno</strong> allo sport un<br />

significato anticompetitivo, di divertimento e di soddisfazione personale senza inganni. Tra<br />

gli sportivi amatoriali abbiamo il 31,3% c.a, mentre il 47,4% c.a svolge un’attività agonistica.<br />

Ancora un’osservazione è degna di essere messa in evidenza: il sesso di coloro che f<strong>anno</strong> uso<br />

facendo sport vede una prevalenza maschile ,18 studenti sui 192, quindi il 20,7%. Le femmine<br />

sono soltanto 2, cioè l’1,9%.<br />

Le Opinioni degli Intervistati: abbiamo chiesto ai giovani intervistati di proporre un<br />

massimo di cinque iniziative che secondo loro potrebbero essere efficaci contro il doping,<br />

anche alla luce di tutto ciò che h<strong>anno</strong> imparato durante la prima fase del progetto o che gli è<br />

stato trasmesso da coetanei o, che h<strong>anno</strong> appreso dalle conferenze e dagli incontri che si sono<br />

svolti nelle tre scuole, in coda alla realizzazione dei loro elaborati. L’indicazione che è<br />

prevalsa maggiormente sulle altre è quella dell’informazione come il mezzo migliore e più<br />

efficace nella lotta contro il doping. In tale contesto la pubblicità televisiva e radiofonica sono<br />

le più citate. Inoltre, gli studenti h<strong>anno</strong> suggerito anche la creazione di slogan e filmati incisivi<br />

che coinvolgano atleti famosi che nella loro carriera agonistica, h<strong>anno</strong> fatto uso di sostanze<br />

ma che ne illustrano gli effetti negativi. La suddetta indicazione è accompagnata da una<br />

richiesta di più controlli sia sugli atleti che nei confronti dei medici e dei trainer che li<br />

sostengono e li allenano. E’ stata, poi, giudicata anche valida la proposta di maggiori e più<br />

drastiche sanzioni nei confronti dei trasgressori o divieti della vendita o dell’esportazione dei<br />

prodotti.<br />

L’insegnamento di una cultura anticompetitiva già a una età pre-adolescenziale è stato<br />

soprattutto messo in evidenza dagli allievi del liceo “Gramsci”e Pininfarina”. Gli studenti del<br />

“Volta” h<strong>anno</strong> voluto anche proporre un maggior dialogo o scambio diretto di informazioni<br />

tra l’atleta e l’allenatore o tra l’atleta e chi ha fatto uso di sostanze dopanti.<br />

445


Stefano Rosso Filone tematico A2<br />

Prevenzione dei tumori cutanei: sviluppo di un test biochimico per<br />

l'individuazione di gruppi ad alto rischio<br />

ASO S. Giovanni Battista<br />

OBIETTIVO<br />

Lo scopo di questo progetto è proprio quello di individuare i metaboliti estratti, e quindi i<br />

metodi di estrazione ed analisi, più idonei per svolgere la funzione di efficiente indicatore di<br />

rischio per i tumori cutanei.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Popolazione di riferimento. La presente analisi prende origine da un più ampio studio<br />

internazionale caso-controllo sui tumori cutanei, che ha visto partecipare 14 centri in Europa<br />

ed America Latina (Argentina). L’alto numero di centri si è reso necessario per assicurare un<br />

maggiore varietà fenotipica. Il reclutamento dei casi e dei controlli è stato limitato ai soli<br />

soggetti di sesso maschile (età: 20-75 anni) poiché in un precedente studio pilota vi era una<br />

proporzione di donne con i capelli colorati artificialmente: i processi di colorazione alterano<br />

irrimediabilmente la struttura del pigmento originando risultati analitici spuri. Misura<br />

dell’esposizione e fattori di rischio. Il questionario somministrato ad ogni soggetto intervistato<br />

comprendeva varie sezioni. Il fenotipo è stato determinato con vari indicatori: colore dei<br />

capelli misurato dall’intervistatore confrontando con luce naturale il colore dei capelli del<br />

soggetto rispetto ad un campionario di 11 colori naturali; colore degli occhi misurato<br />

confrontando con luce naturale il loro colore con 10 fotografie di iridi standard; reazione della<br />

cute al sole misurata dividendo in due la tradizionale scala Fitzpatrick. La storia d’esposizione<br />

solare è stata ottenuta investigando l’esperienza passata dei soggetti per attività lavorative e<br />

ricreative. Si sono fatto domande sul tipo d’attività, periodo dell’<strong>anno</strong>, durata nel corso della<br />

vita ed andamenti stagionali; ed inoltre le abitudini vestiarie durante l’attività. Gli<br />

intervistatori, inoltre, h<strong>anno</strong> misurato il numero di nei e di quelli di una certa dimensione (>10<br />

mm) presenti su entrambi gli avambracci. Per quanto riguarda invece il conteggio totale sul<br />

corpo e le lentiggini si sono utilizzate delle figure graduate di riferimento fra cui il soggetto<br />

intervistato doveva scegliere. Determinazione biochimica della quantità di melanina. Ogni<br />

campione di capelli è stato esaminato accuratamente su campo opaco scuro e mondato dai<br />

capelli non sufficientemente pigmentati. Le tecniche qui considerate sono la cromatografia<br />

liquida ad alta pressione (HPLC), l’analisi spettrofotometrica nel campo dell’UV e nel campo<br />

vicino all’infrarosso (Near InfraRed – NIR). Per l’analisi HPLC sono stati presi due<br />

sottocampioni che h<strong>anno</strong> subito due processi di preparazioni indipendenti, in modo da poter<br />

controllare la riproducibilità del metodo in fasi differenti. I campioni di capelli sono stati<br />

sospesi in NaOH 1N (1,5 ml) con H2O2 (30% 0.1 ml) 2°C. Il residuo H2O2 è stato<br />

decomposto conin provetta per 24 ore a 20 l’aggiunta di 0.2 ml di of Na2S2O5 al 5% e poi<br />

la soluzione acidificata a pH 4 con 6M di H3PO4 centrifugata a 12,000 giri/min per 15min. Il<br />

supernatante è stato filtrato e poi iniettato nella colonna HPLC. Con questa procedura di<br />

ossidazione con H2O2 in ambiente alcalino [Napolitano, 1995] si ottiene in maniera più<br />

efficiente il metabolita d’interesse che è l’acido 2.3.5 pirrol-carbossilico (PTCA) rispetto alla<br />

procedura con permanganato di potassio [Ito, 1985]. Per quanto riguarda invece l’analisi<br />

spettrofotometrica ad UV, i capelli sono stai solubilizzati in una soluzione di 1ml di Soluene-<br />

350 in acqua (9:1), mantenuta per 3 ore in provetta ed agitato alla temperatura di 80° C. Lo<br />

spettro d’assorbimento del supernantante con luce UV è stato valutato a 500 nm (A500) per<br />

446


misurare la quantità totale di melanine, ed a 650nm (A650) per valutare la quantità della sola<br />

eumelanina. Il rapporto A650/A500 può quindi rappresentare una misura indiretta della<br />

quantità di pigmento non eumelanico. La procedura per effettuare la spettroscopia<br />

all’infrarosso (NIR) è invece più veloce e non comporta la degradazione distruttiva del<br />

materiale, tuttavia essa è una misura indiretta che necessità di un procedimento di calibrazione<br />

contro uno standard sicuro. Tale calibrazione è stata realizzata in precedenza dallo stesso<br />

gruppo di ricerca [Zoccola, 2004] ed ha fornito buoni risultati. Si tratta quindi, in questo<br />

studio, di verificarne la potenzialità come indicatore di rischio rispetto al PTCA.<br />

RISULTATI<br />

Sono risultati disponibili per l’analisi 98 coppie di casi e controlli poiché per 2 casi ed 1<br />

controllo non si disponeva di una sufficiente quantità di capelli pigmentati. La riproducibilità<br />

delle determinazione PTCA-HPLC era molto elevata con un coefficiente di correlazione<br />

intraclasse di 0.99 fra le due preparazioni indipendenti e di 0.98 fra le iniezioni in colonne<br />

separate. L’effetto più elevato è stato osservato per valori di PTCA fra 50 e 100 ng/mg, con<br />

limiti di credibilità più ristretti per i valori fra 75 e 100 ng/mg. L’effetto del controllo per le<br />

altre variabili di fenotipo è importante e riduce l’associazione di circa la metà (OR<br />

standardizzato: 3.2 – CI95% 1.44-13.20). Al valore soglia di 85 ng/mg l’associazione di<br />

PTCA e rischio raggiunge il valore massimo, mantenendo ancora un effetto separato ed<br />

indipendente dal colore dei capelli rilevato dagli intervistatori (OR standardizzato: 4.4 –<br />

CI95% 1.52-15.54). I valori di assorbimento A650/A500, che rappresentano la quantità<br />

relativa di eumelanina sul totale, sono state sottoposte ad analoga analisi (Tabella 5). La<br />

soglia di massimizzazione del rischio è stata individuata per valori inferiori di 0.35, tuttavia<br />

non statisticamente significativa. La spettroscopia NIR, considerato un metodo meno preciso<br />

ma più rapido ed economico per la determinazione della melanina, è stata valutata al<br />

medesimo valore di soglia di 85 ng/mg. Dopo correzione per la misclassificazione l’OR<br />

grezzo è aumentato a 3.4, mentre quello controllato per gli altri fattori di rischio è risultato di<br />

2.5 con intervallo di credibilità al 95% da 1.36 a 4.22.<br />

CONCLUSIONI<br />

1. L’effetto indipendente del metabolica PTCA misurato con metodica HPLC rispetto alle<br />

altre variabili misurate con metodiche epidemiologiche tradizionali (questionario,<br />

intervista, rilevazione oggettiva);<br />

2. la soglia di massimizzazione di tale effetto (85 ng/mg) che ha portato ad un aumento di 4<br />

volte rispetto al rischio di base, anche dopo correzione per variabili di confondimento;<br />

3. la sostanziale irrilevanza del metodo di determinazione spettrofotometrica ad UV per la<br />

determinazione di altri metabolici feo-melanici;<br />

4. la possibilità di utilizzare la spettroscopia NIR con alta (anche se non perfetta)<br />

concordanza di risultati;<br />

5. la possibilità di utilizzo in campo di ricerca per studi con larga base di popolazione;<br />

6. la possibilità di utilizzo per l’individuazione di soggetti ad elevato rischio su cui<br />

indirizzare iniziative di prevenzione primaria e diagnosi precoce.<br />

447


Giuseppe Ru Filone tematico D1<br />

Stima di denominatori della popolazione canina su un area pilota:<br />

aggiustamento dei dati di anagrafe a fini sanitari<br />

Istituto Zooprofilattico Sperimentale del <strong>Piemonte</strong>, Liguria e Valle D’Aosta<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

L’applicazione di metodi epidemiologici in campo animale si scontra con la difficoltà di<br />

disporre dei necessari denominatori. Con l’avvio di un Registro Tumori del Cane in <strong>Piemonte</strong><br />

nel 2001, furono messe in evidenza le carenze del sistema di identificazione canino: i cani<br />

tatuati risultavano pari al 79,3% e tra quelli iscritti solo il 44,4% risultava essere ancora in<br />

vita. Con il presente studio si intendeva definire una metodologia per la stima di denominatori<br />

relativi alla popolazione canina. In particolare, si voleva validare le stime campionarie relative<br />

alla popolazione canina di un’area del torinese ottenute grazie ad un precedente progetto<br />

regionale.<br />

MATERIALI E METODI<br />

La verifica dei denominatori.<br />

Sulla scorta dell’entrata in vigore della legge regionale 18/2004, è stato deciso di condurre un<br />

censimento capillare della popolazione canina. Grazie ad una lettera indirizzata ai sindaci,<br />

sono stati coinvolti tutti i 108 comuni dell’ASL 9. Nella lettera si invitava a predisporre un<br />

censimento straordinario dei cani attraverso l’utilizzo di un questionario prodotto e messo a<br />

disposizione dagli autori del presente studio. Il questionario richiedeva informazioni relative<br />

a: possesso di cani, codice fiscale del proprietario, nome dei cani, sesso, razza, <strong>anno</strong> di<br />

nascita, numero tatuaggio, sua leggibilità. Nei comuni disponibili a collaborare, una copia del<br />

questionario è stata inviata a ciascun capo famiglia residente. E’ stata quindi avviata una<br />

campagna di sensibilizzazione della popolazione attraverso un comunicato stampa. Sono stati<br />

organizzati due incontri (20 e 21 ottobre 2004) con i messi comunali durante i quali sono stati<br />

presentati le novità riguardo all’anagrafe canina e il questionario per il censimento. Un<br />

incontro con finalità analoghe era stato organizzato con i veterinari liberi professionisti (LP)<br />

operanti sul territorio (15 ottobre 2004). In tutti gli incontri è stata ricordata l’importanza<br />

sanitaria dell’anagrafe canina portando l’esempio del Registro Tumori del Cane. La<br />

restituzione dei dati aggregati da parte dei comuni è stata sollecitata attraverso ripetuti contatti<br />

telefonici con i funzionari direttamente coinvolti. I comuni sono stati invitati a conservare<br />

copia cartacea dei questionari per una successiva determinazione della struttura della<br />

popolazione censita. Inoltre, la maggior parte dei comuni coinvolti è stata messa nella<br />

condizione di disporre dell’elenco dei non rispondenti per consentire successivi accertamenti<br />

mirati. Il dato censuale ottenuto è stato confrontato con quello ottenuto con metodo di cattura-<br />

ricattura nell’ambito del precedente progetto regionale. In esso erano state eseguite due<br />

indagini campionarie: la prima per verificare la proporzione di capi iscritti in anagrafe e che<br />

risultavano ancora in vita, la seconda per stimare la proporzione di cani tatuati e quella di cani<br />

sotto assistenza veterinaria. Anche per i comuni non partecipanti al censimento con<br />

questionario, si è operata una stima della popolazione canina sulla base del metodo di catturaricattura.<br />

Registrazione tumorale.<br />

448


Per individuare tutti i casi di tumore diagnosticati è stata proseguita l’attività di registrazione<br />

avviata fin dal 2001 e già descritta nelle relazioni relative al precedente progetto regionale. In<br />

breve, presso la sede ASR 9 di Ivrea è stato istituito un punto di raccolta dei casi sospetti<br />

prelevati dai LP. Dopo l’opportuna preparazione dei campioni da parte dell’IZS di Torino, per<br />

la diagnosi istologica fornita gratuitamente ci si è avvalsi dell’Università Veterinaria di<br />

Milano. Tutte le neoplasie registrate dispongono di diagnosi istologica (classificazione<br />

WHO). Per gli eventuali tumori diagnosticati al di fuori del registro, è stata richiesta la loro<br />

segnalazione da parte dei LP e sono stati consultati gli archivi dei laboratori diagnostici<br />

operanti sul territorio. I dati ottenuti sono serviti al calcolo dei tassi di incidenza riferiti al<br />

periodo dal 01/07/2001 e fino al 31/05/05 (47 mesi di osservazione).<br />

RISULTATI<br />

Relativamente al censimento, 78 (72,2%) dei 108 comuni dell’ASL 9 h<strong>anno</strong> utilizzato il<br />

questionario proposto inviandone 50’664 copie e ottenendone indietro 34’421 (67,9%). Dei<br />

46 comuni che costituiscono l’area coperta dal registro, 44 (95,7%) h<strong>anno</strong> aderito, e dei<br />

28’068 questionari inviati ne sono stati ottenuti indietro 17’833 (63,5%). Al rilevamento<br />

censuale non h<strong>anno</strong> aderito la città di Ivrea e il comune di Ribordone, piccolo comune con<br />

soli 84 abitanti residenti. I dati in possesso del comune di Ivrea non sono stati utilizzati perchè<br />

poco plausibili. Infatti grazie ad una precedente attività di registrazione (1998-2004) mai<br />

validata, risulterebbero presenti attualmente 1048 soggetti e di questi solo 26 sarebbero morti<br />

o trasferiti lungo il periodo. A fronte di ciò, dopo l’approvazione della legge, il microchip<br />

identificativo è stato inserito a 886 soggetti. Nei 44 comuni partecipanti sono risultati presenti<br />

al censimento complessivamente 9’987 cani. La stima della popolazione canina sugli stessi<br />

comuni ottenuta con metodo di cattura-ricattura è pari a 9’027 unità (intervallo di confidenza<br />

(IC) al 95%: 8’671-9’382). Assumendo che la quota dei non rispondenti al censimento<br />

corrisponda alle famiglie che effettivamente non posseggono cani, lo scarto derivante dal<br />

metodo campionario rispetto al dato censuale sarebbe pari a -9,6% (-6,1% tenendo conto del<br />

limite superiore dell’IC95%). La popolazione canina stimata con il metodo di cattura-ricattura<br />

di Ivrea ammonterebbe invece a 1’502 unità (IC95% 1’374-1’630). In questo caso l’eventuale<br />

scarto non è determinabile. Dato il moderato scarto tra le stime, per il calcolo del tasso di<br />

incidenza ci si è basati su: 1) somma (11’489) tra la popolazione censuale dei 44 comuni e la<br />

stima campionaria relativa ad Ivrea, ridotta poi a 10’450, per tener conto dei cani osservabili<br />

dai veterinari (91%); 2) periodo di osservazione (47 mesi). Il tasso grezzo dei tumori maligni<br />

è risultato pari a 686.6 per 100’000 anni-cane, molto più elevato nelle femmine rispetto ai<br />

maschi (946,4 vs. 445,7) e nei cani di razza rispetto agli incroci (997,3 vs. 780,1).<br />

CONCLUSIONI<br />

Con questo studio è stata censita la popolazione canina di un’area definita. Tale risultato è<br />

servito a valutare l’efficacia di una stima precedentemente ottenuta su base campionaria.<br />

Inoltre è stato possibile ottenere stime di incidenza tumorale per una popolazione canina<br />

definita. Nonostante l’entità dello scarto tra le stime di popolazione ottenute e i potenziali<br />

errori sistematici, i risultati raggiunti ribadiscono l’opportunità di utilizzo, la maggior<br />

efficienza in termini di risorse e l’applicabilità sul campo dei metodi epidemiologico-statistici<br />

in ambito di sanità pubblica e animale.<br />

449


Roberto Russo Filone tematico C2<br />

Criteri di appropriatezza di prestazioni ambulatoriali utili a definire<br />

contratti tra ASL e strutture accreditate<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Sanità Pubblica<br />

OBIETTIVO<br />

Definire una metodologia di costruzione di criteri di appropriatezza per alcune prestazioni<br />

ambulatoriali erogate dall' Asl 1di Torino.<br />

METODOLOGIA<br />

La base dati è costituita dalla mobilità passiva delle prestazioni ASL 1 di Torino - <strong>anno</strong> <strong>2003</strong>.<br />

L'analisi è stata effettuata con il software di analisi statistica SAS System per individuare sia<br />

le branche specialistiche di interesse sia le relative singole prestazioni o gruppi di prestazioni<br />

in base a criteri di frequenza e costo, escludendo i codici branca 98 laboratorio e 99 altre<br />

prestazioni in quanto comprendono una miscellanea di prestazioni non pertinenti con<br />

l'obiettivo. Più precisamente si sono scelte le prime 5 branche per ogni criterio e per ognuna si<br />

è ricercata la distribuzione della tipologia delle prestazioni sempre secondo i criteri di<br />

ftequenza e costo. Quindi si è proceduto con la selezione delle prime tre prestazioni sempre<br />

secondo i criteri. Si sono costituiti dei gruppi di lavoro per ogni branca specialistica sulla base<br />

delle risorse presenti nell'Azienda.<br />

RISULTATI<br />

Dall'analisi della base dati è risultato un n. totale prestazioni di 585.637 pari al 21,89% del<br />

totale delle prestazioni effettuate. L'importo totale del costo delle prestazioni erogate è stato di<br />

euro 23.179.685,58. In Tabella 1 si riportano le branche selezionate, precisando che si sono<br />

escluse la 70 radioterapia in quanto in Asl non sono disponibili dei medici specialisti in<br />

radioterapia e la 29 nefrologia poiché appare difficile indagare la relativa prestazione. La<br />

Tabella 2 mostra le prestazioni di cardiologia, oculistica e radiologia oggetto di analisi dai<br />

gruppi di lavoro aziendali. Essi non h<strong>anno</strong> ritenuto di potersi esprimere in maniera univoca<br />

circa la definzione di criteri per l'appropriatezza delle prestazioni ambulatoriali discusse,<br />

suggerendo solamente la possibilità di definire un tetto massimo annuo di prestazioni da<br />

erogare per ciascuna struttura accreditata.<br />

Tabella 1: selezione dei codici branca in base frequenza e costo- <strong>anno</strong> <strong>2003</strong><br />

Codice branca N % sul totale delle<br />

prestazioni<br />

costo in euro<br />

69 diagnostica per<br />

immagini radiologia<br />

diagnostica<br />

130.947 22.36 7.335.453<br />

08 cardiologia 28.059 4.79 917.508,7<br />

34 oculistica 23.213 3.96<br />

450


Tabella 2: selezione delle prestazioni per branca su cui indagare i criteri di appropriatezza.<br />

BRANCA<br />

08-<br />

CARDIOLOGIA<br />

34 -<br />

OCULISTICA<br />

69 -<br />

RADIOLOGIA<br />

CODICE<br />

prestazione<br />

88.72.3<br />

NOME prestazione N<br />

ecocolordopplergrafia<br />

cardiaca<br />

451<br />

PERCENTUALE<br />

sul totale branca<br />

COSTO<br />

in euro<br />

4.841 17,25 330.430,6<br />

88.72.1 ecocardiografia 2.932 10,45 151.437,8<br />

95.02<br />

Esame complessivo<br />

dell' occhio-visita oculistica,<br />

esame dell'occhio<br />

comprendente tutti gli aspetti<br />

del sistema visivo.<br />

12.588 54,23 235.631,9<br />

88.76.1 Ecografia addome completo 10.659 8,14 650.108,2<br />

87.24<br />

Radiografia della colonna<br />

lombo-sacrale<br />

6.037 4.61 107.104,3


Giuseppe Saglio Filone tematico C1<br />

<strong>Ricerca</strong> di marcatore molecolare per l’identificazione di pazienti affetti da<br />

Policitemia Vera e Trombocitemia Essenziale.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche<br />

La policitemia vera (PV) e la trombocitemia essenziale (TE) sono disordini mieloproliferativi<br />

cronici che si presentano rispettivamente con un valore elevato di ematocrito e emoglobina o<br />

di piastrine. Tale forme sono spesso difficilmente distinguibili dalle poliglobulie e piastrinosi<br />

secondarie. Diversi dati della letteratura riportano l’iperespressione di PRV-1(Polycythemia<br />

Vera Rubra 1 gene) nei granulociti di pazienti affetti da policitemia vera rispetto ai pazienti<br />

con poliglobulia secondaria. L’espressione di PRV-1 sembrerebbe pertanto in grado di<br />

distinguere le forme di poliglobulia secondaria dalle forme mieloproliferative quali<br />

policitemia vera. (PV). Tuttavia l’esatta percentuale di pazienti che si presentano con<br />

l’iperespressione di PRV-1 non è attualmente ben definita e i dati della letteratura su questo<br />

punto sono discordanti. Inoltre non è ancora dimostrato se il gene PRV-1 è iperespresso nelle<br />

trombocitemie essenziali.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Per stabilire il ruolo dell’espressione di PRV-1 quale marcatore molecolare in grado di<br />

differenziare le forme primitive di pocilitemia e trombocitemia dalle forme reattive abbiamo<br />

valutato quantitativamente l’espressione del gene PRV-1 in 119 campioni di sangue<br />

periferico separati mediante gradiente di ficoll [34 PV, 12 eritrocitosi secondaria (ES), 32 TE<br />

e 16 trombocitosi secondaria (TS)].<br />

Inoltre abbiamo testato l’espressione di PRV-1 in 25 campioni di sangue periferico ottenuti<br />

da volontari sani. I valori di espressione di PRV-1 sono stati stabiliti utilizzando la tecnica di<br />

Real Time PCR quantitativa utilizzando un set di primers e probe specifici (Assays-on-<br />

Demand, Gene Expression Products , Applied Byosystems, Forster City, CA, USA). I valori<br />

ottenuti sono stati normalizzati utilizzando ABL come gene di controllo. I campioni normali<br />

esprimono una quantità di trascritto quasi costante (valore medio di 2 delta delta ct = 13,8). I<br />

livelli di trascritto di PRV-1 nei pazienti con policitemie e trombocitemie secondarie non<br />

sono significativamente diversi rispetto a quelli di soggetti sani. Il valore medio di 2 delta<br />

deltact è 15 nelle ES e 12,7 nelle TS mentre nei pazienti normali è 13,8 (p=0,4 e p=0,45). Al<br />

contrario nei campioni di pazienti affetti da PV i livelli di trascritto di PRV-1 sono elevati<br />

(valore medio di 2 delta delta è 5727 range: 184-40342). La differenza è molto significativa<br />

rispetto ai controlli normali (p=0,005) e alle eritrocitosi secondarie (p=0,006). Risultati simili<br />

sono stati ottenuti analizzando i campioni dei pazienti con TE: il valore medio di 2 delta delta<br />

ct è 2680 (range: 512-7761). Anche per i pazienti con TE la differenza di espressione è molto<br />

significativa rispetto ai controlli normali (p=4-7)e alle ST(p=5,2–7).<br />

Questi dati dimostrano chiaramente che PRV-1 è un utile marcatore per differenziare le forme<br />

primitive clonali di policitemia e trombocitosi dalle forme secondarie. Inoltre, i dati presenti<br />

in letteratura derivano dall’analisi eseguita su granulociti separati mediante sorting. I nostri<br />

dati permettono di stabilire che è possibile eseguire l’analisi su campioni di sangue periferico<br />

in toto e pertanto d semplificare l’analisi riducendo i costi e il tempo necessario senza perdere<br />

la significatività dell’analisi stessa.<br />

452


PUBBLICAZIONI<br />

Cilloni D, Carturan s, Gottardi , Messa F, Fava M, Defilippi I, Arruga F, Saglio G.<br />

Usefulness of the quantitative assessment of PRV-1 gene expression for the diagnosis of<br />

polycythemia vera and essential thrombocythemia patients. Blood: 2004; 103-2028-2429.<br />

453


Mauro Salizzoni Filone tematico C1<br />

Valutazione del reflusso gastroesofageo non acido mediante<br />

impedenziometria intraluminale esofago-gastrica<br />

ASO S. Giovanni Battista – Struttura Complessa Chirurgia Generale 8<br />

Centro Trapianto di Fegato<br />

Sono stati finora arruolati nello studio 6 pazienti (considerata l'acquisizione completa<br />

dell'apparecchiatura nel mese di agosto/settembre 2005). Si trattava in tutti i casi di pazienti<br />

con sintomi tipici di malattia da reflusso gastro-esofageo. In 1 caso si associavano anche crisi<br />

di dolore toracico ed in 1 altro caso sintomi della sfera ORL. In tutti i casi gli studi<br />

endoscopico, manometrico e pH-metrico classico non avevano permesso di stabilire con<br />

certezza la presenza o meno di una malattia da reflusso gastro-esofageo. Lo studio esofageo<br />

delle 24 ore con pH-impedenziometro Sleuth ha consentito di definire la diagnosi di malattia<br />

del reflusso gastro-esofageo e di stabilire una correlazione con i sintomi in 2 casi, mentre ha<br />

permesso di escludere la patologia negli altri 4 casi. In particolare, per i 2 casi con diagnosi<br />

positiva un paziente è ora in lista d'attesa per intervento chirurgico di plastica anti-reflusso,<br />

mentre l'altro paziente in cui concomita una patologia cardiaca coronarica prosegue con la<br />

terapia medica.Per i 4 casi con diagnosi negativa, tre pazienti sono stati del tutto rassicurati<br />

sulla origine non esofagea dei loro sintomi, mentre un paziente con pH-metria ai limiti di<br />

norma prosegue con cicli di terapia antiacida.<br />

I risultati finora ottenuti sono, a nostro avviso, assai incoraggianti.La pH-impedenziometria<br />

esofagea delle 24 ore si dimostra essere realmente uno strumento diagnostico prezioso, capace<br />

di aiutare nella definizione della diagnosi da reflusso gastro-esofageo nei casi più complessi.<br />

454


Bruna Santini Filone tematico B3<br />

Gli acidi grassi strutturali nella dieta dei bambini in età scolare:<br />

valutazione qualitativa e quantitativa dell’apporto<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze pediatriche e dell’Adolescenza<br />

OBIETTIVI<br />

I fondi asseganti sono stati utilizzati per:<br />

1. Il prelievo dei campioni presso i centri di cottura e la loro preparazione per le successive<br />

analisi (congelamento, liofilizzazione e determinazione della sostanza secca). ·<br />

2. La determinazione della composizione chimica centesimale e del profilo acidico di tutti<br />

gli alimenti di origine animale inseriti nella refezione scolastica primaverile ed invernale. ·<br />

3. La preparazione di questionari alimentari "ad hoc" elaborati sulla base di un questionario<br />

valicato.<br />

4. La distribuzione ed illustrazione dei questionari alle classi elementari e medie scelte a<br />

campione nella città di Torino come specificato dal progetto di ricerca. ·<br />

5. La messa a punto del software per analizzare i dati ottenuti dai questionari e formulare la<br />

composizione in macro e micronutrienti delle diete degli studenti torinesi. ·<br />

6. Il confronto di tali apporti con i fabbisogni stabiliti dai livelli di assunzione raccomandata<br />

dei nutrienti (LARN).<br />

RISULTATI<br />

Al momento sono stati raccolti 450 questionari di cui 386 sono risultati correttamente<br />

compilati, mentre il numero minimo utile per ottenere dati attendibili dal punto di vista<br />

statistico è di 600 questionari come è stato ampiamente specificato nel progetto iniziale.<br />

Dall'analisi dei questionari raccolti si possono trarre le seguenti considerazioni:<br />

• Sono stati raccolti 386 questionari validi di cui 181 dai bambini delle scuole elementari<br />

(89M/92F) e 205 dai bambini delle scuole medie (102M/103F).<br />

• L'apporto calorico complessivo risulta essere di 1808 kcal per i bambini delle scole<br />

elementari e di 2079 per quelli della scuola media, entrambi entro i limiti di riferimento<br />

indicati dai LARN; la quota proteica e di 1,78 g/kg (15% delle kcal totali) e di 1.94 g/kg<br />

(16% delle kcal totali) mentre l’apporto di fibra risulta essere di 12.3 e 15.2 g al giorno<br />

rispettivamente per i bambini della scuola elementare e media. Tutti i valori sopra riportati<br />

così come la quota di carboidrati risultano adeguati per l’età.<br />

• L’apporto lipidico complessivo (circa 30% delle kcal totali) risulta corretto con una quota<br />

di acidi grassi saturi di 9.95% e di 10.4% delle kcal totali, rispettivamente per i bambini<br />

della scuola elementare e media, adeguata in tutte le fasce di età; l’apporto di acidi grassi<br />

polinsaturi rappresenta il 6% delle kcal totali sia per la scuola media che per la scuola<br />

elementare. Considerando che il livello raccomandato di assunzione giornaliera per il<br />

colesterolo è di 100 mg/1000 kcal, i valori del nostro campione risultano lievemente<br />

superiori ai fabbisogni, soprattutto nei ragazzi della scuola media.<br />

455


• L’apporto di calcio e di ferro è invece largamente insufficiente; per il calcio questo<br />

corrisponde mediamente a 736 mg/die contro i 1200 mg/die indicati dai LARN. L’apporto<br />

medio di ferro secondo i LARN deve essere di 12 mg/die per gli adolescenti e di 18<br />

mg/die per le adolescenti in età fertile, mentre l’apporto da noi valutato è intorno ai 7.9<br />

mg/die. In merito allo scarso apporto di calcio e ferro a fronte di un corrto apporto di acidi<br />

grassi saturi, si può dedurre che questi ultimi non derivano integralmente da alimenti di<br />

origine animale ma soprattutto da prodotti di pasticeria e snack, abitudine questa molto<br />

diffusa tra i ragazzi delle fasce di età studiate.<br />

I prodotti di origine animale che vengono impiegati nella refezione scolastica invernale e<br />

primaverile h<strong>anno</strong> presentato dei profili acidici che rientrano ampiamente nei range riportati<br />

dalla bibliografia scientifica, ma risultano estremamente variabili in funzione del tipo di<br />

prodotto analizzato (uova, pesci, carni bianche e rosse, latticini, ecc.) e, nell’ambito dello<br />

stesso prodotto, in funzione dell’epoca di produzione con differenze anche sensibili tra menu<br />

invernale e primaverile. Per quanto riguarda gli acidi grassi strutturali (CLA, EPA, DHA, altri<br />

PUFA), è emerso dall’esame dei 34 profili acidici del menù primaverile e dei 70 del menù<br />

invernale, che alcuni prodotti (pesci, uova, carni di pollo) sono risultati completamente privi<br />

di acido linoleico coniugato (CLA), mentre i più ricchi di CLA sono risultati alcuni formaggi<br />

e le carni di bovino, solitamente demonizzati per il loro contenuto lipidico; inferiore è risultata<br />

la presenza di CLA nella carne di tacchino. Tra i pesci esaminati sono risultati particolarmente<br />

ricchi di EPA e DHA il merluzzo e la platessa, quest’ultima ha peraltro presentato un profilo<br />

acidico differente nei due menù a causa di ben note variazioni stagionali di alcuni prodotti<br />

della pesca. Tra gli acidi grassi essenziali il linoleico e il linolenico sono risultati presenti in<br />

proporzioni estremamente variabili nei vari alimenti analizzati. L’acido linoleico è risultato<br />

presente in maggior percentuale nei prodotti avicoli (pollo e tacchino), mentre entrambi gli<br />

acidi sono risultati abbondanti, per la probabile aggiunta di oli vegetali, in alcuni semilavorati<br />

(medaglione, carne tritata).<br />

Qualora questi dati fossero confermati dalle più costose analisi quantitative, porterebbero a<br />

proporre un incremento ad esempio delle porzioni di formaggio e di pesce nei menu scolastici,<br />

al fine di garantire la copertura del fabbisogno medio giornaliero di questi acid grassi<br />

strutturali nei ragazzi in età scolare anche in presenza di un introito insufficiente derivante<br />

dall’alimentazione extrascolastica. Disporre di tali dati permetterà di valutare, anche con<br />

l'ausilio dei dati nutrizionali ottenuti dai questionari alimentari, il grado di protezione<br />

assicurato da un alimentazione corretta ai nostri ragazzi ed eventualmente di poter suggerire<br />

alternative utili in questo senso.<br />

456


Claudio Santoro Filone tematico A2<br />

Identificazione e clonaggio di nuovi auto-antigeni associati al diabete<br />

mellito di tipo1 (T1DM)<br />

Università “A. Avogadro” del <strong>Piemonte</strong> Orientale<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il diabete di tipo 1 (T1DM) è una malattia auto-immune degenerativa organo-specifica<br />

caratterizzata dalla progressiva distruzione delle cellule pancreatiche ß delle isole di<br />

Langherans ad opera di linfociti T citotossici (CTL) CD4+ e/o CD8+. Inoltre, la maggior<br />

parte dei pazienti T1DM h<strong>anno</strong> auto-anticorpi circolanti diretti contro antigeni quali insulina<br />

(I), glutammico-decarbossilasi acida (GAD) e tiroxina-fosfatasi (IA-2), il cui coinvolgimento<br />

nell’insorgenza e/o mantenimento della malattia è ancora dibattuto. Diversi studi dimostrano<br />

che la comparsa di picchi di auto-anticorpi all’età di 2-5 anni in soggetti pre-diabetici, è<br />

significativamente associata ad una rapida progressione della malattia. Tuttavia, la maggior<br />

parte dei soggetti a rischio di T1DM non mostra picchi di auto-anticorpi nel periodo prediabetico<br />

e, inoltre, un significativo numero di individui con auto-anticorpi non sviluppa<br />

T1DM. Questa variabilità sierologica suggerisce che, almeno in una parte di questi individui,<br />

la risposta auto-immunitaria possa essere diretta contro antigeni ancora ignoti e che la loro<br />

identificazione possa largamente dipendere dalla strategia con cui vengono ricercati. Inoltre,<br />

numerose indagini suggeriscono che le cellule apoptotiche rappresentano una importante<br />

fonte di autoantigeni la cui insufficiente clearance può contribuire allo sviluppo di reazioni<br />

autoimmunitarie. Poiché la ricerca di auto-anticorpi è uno dei criteri per diagnosticare il<br />

T1DM e per identificare i soggetti a rischio, l’identificazione di altri antigeni associati al<br />

T1DM consentirebbe di seguire la progressione della risposta auto-immune in soggetti a<br />

rischio di T1DM e di configurare strategie terapeutiche basate sull’induzione della tolleranza<br />

verso quegli antigeni che iniziano e/o perpetuano la risposta autoimmune.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Le due strategie che noi abbiamo seguito in questa direzione consistono:<br />

• nel clonaggio dei repertori anticorpali di individui affetti da T1DM mediante la tecnologia<br />

del “phage antibody dispaly”;<br />

• nella costruzione di un nuovo sistema di espressione che consente il clonaggio di antigeni<br />

(”phage antigen display”).<br />

Mediante il “phage antibody display” abbiamo costruito delle genoteche anticorpali da<br />

pazienti T1DM di nuova diagnosi e dai loro genitori. L’analisi di queste genoteche ha<br />

consentito di clonare scFv diretti contro gli auto-antigeni insulari I, GAD e IA2. Alcuni di<br />

queste specificità anticorpali sono state testate per il loro utilizzo nella diagnosi<br />

immunoistochimica di T1DM in collaborazione con l’Unità di Anatomia Patologica<br />

dell’Ospedale Maggiore di Novara Stiamo valutando la possibilità di brevettare questi nuovi<br />

reagenti diagnostici. A questo scopo, abbiamo messo a punto dei test in vitro (dot blots) per<br />

verificare l’utilizzo dei scFvs clonati come anticorpi specifici.<br />

457


Inoltre, in virtù delle recenti indicazioni di associazione tra antigeni esposti da cellule<br />

apoptotiche e malattie auto-immuni, abbiamo analizzato le nostre genoteche con una serie di<br />

antigeni fosfolipidici e abbiamo clonato scFv diretti contro la cardiolipina ossidata, un<br />

antigene criptico esposto da cellule apoptotiche.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

1. Secco P, Ferretti M, Gioia D, Cesaro P, Bozzo C, Marks JD, Santoro C. Characterization<br />

of a single-chain intrabody directed against the human receptor tyrosine kinase Ron.. J<br />

Immunol Methods. 2004 Feb;285(1):99-109.<br />

2. Secco P, Cotella D, Santoro C. Selection of peptides with affinity for the N-terminal<br />

domain of GATA-1: Identification of a potential interacting protein. Biochem Biophys<br />

Res Commun. <strong>2003</strong> Jun 13;305(4):1061-6.<br />

3. Zacchi, P., D. Sblattero, F. Florian, R. Marzari, and A. R. Bradbury.. Selecting open<br />

reading frames from DNA. Genome Res <strong>2003</strong>13:980.<br />

4. Sblattero, D., F. Florian, T. Not, A. Ventura, R. Troncone, S. Auricchio, and R. Marzari. .<br />

The gut as site of production of autoimmune antibodies. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2004<br />

39 Suppl 3:S730.<br />

5. Pavlik, P., R. W. Siegel, R. Marzari, D. Sblattero, V. Verzillo, C. Collins, J. D. Marks,<br />

and A. Bradbury.. Predicting antigenic peptides suitable for the selection of phage<br />

antibodies. Hum Antibodies <strong>2003</strong>12:99.<br />

458


Alberto Sartoris Filone tematico A2<br />

Infezione e stati carenziali quali fattori predisponenti l'insorgenza della<br />

malattia degenerativa e neoplastica ORL<br />

ASO S. Giovanni Battista<br />

MATERIALI E METODI<br />

Lo studio è partito dall’evidenza crescente che infezioni sia batteriche sia virali costituiscono<br />

un fattore predisponente all’insorgenza della patologia ischemica e degenerativa. Numerose<br />

segnalazioni bibliografiche concordano nell’affermare che i fattori patogenetici coinvolti sono<br />

l’aumento dell’aggregazione piastrinica, l’aumentata espressione della selectina e delle<br />

molecole di adesione delle cellule endoteliali con diapedesi dei neurtofili attivati e contestuale<br />

innalzamento dei valori del fibrinogeno e delle citochine pro – infiammatorie. Tali fattori<br />

alterano il microcircolo favorendo il d<strong>anno</strong> ischemico e agevolando la crescita delle cellule<br />

tumorali dotate di metabolismo anaerobio. Sono stati, pertanto, indagati parametri<br />

ematochimici e sierologici di pazienti affetti da ipoacusia improvvisa, poliposi nasale,<br />

neoplasie maligne ed in particolare gli indici di flogosi specifici, aspecifici, i parametri<br />

coagulativi, gli indici del metabolismo dei glicidi, dei lipidi e del calcio ed infine della<br />

funzionalità renale, tiroidea ed epatica. Sono stati valutati inoltre i test per la ricerca di<br />

anticorpi anti CMV, HSV – 1, HSV- 2, HSV – 6, HP, Clamidia e HB.<br />

RISULTATI<br />

Carcinoma della laringe. Sono stati esaminati 33 pazienti con Ca della laringe. Il 73% sono<br />

risultati positivi al test per la infezione da H pylori, contro il 50% dei controlli della stessa età<br />

(p significativo 0.01). In particolare ben il 50% aveva una infezione da ceppi citotossici Cag-<br />

A positivi, mentre solo il 17% dei controlli presenta una infezione da parte di questo ceppo<br />

patogeno, fortemente pro - infiammatorio (p 0.0001). I ceppi patogeni Cag-A positivi<br />

producono una citotossina, una proteina che viene secreta e può raggiungere anche organi<br />

lontano dal sito di produzione della tossina stessa.<br />

La citossina Cag-A viene introdotta all’interno delle cellule epiteliali da una pompa<br />

molecolare codificata dai geni dell’isola di patogenicità del batterio. La Cag-A induce<br />

secrezione di interleuchina 8, la quale è fortemente pro - angiogenica; attiva il proto-oncogene<br />

Met, il recettore di membrana per l’Hepatocyte Growth Factor; incrementa fortemente<br />

l‘enzima cicloossigenasi2 (COX2) fortemente coinvolto nella proliferazione cellulare. Tali<br />

dati f<strong>anno</strong> ritenere che la infezione cronica con un ceppo patogeno di H. Pylori possa<br />

contribuire alla patogenesi del carcinoma della laringe, come già dimostrato nel carcinoma<br />

gastrico e pancreatico.<br />

Sono stati esaminati pazienti con ischemia cerebrale (ictus ischemico). L’ictus ischemico<br />

non cardioembolico (LINCE) è ascrivibile ai "classici" fattori di rischio solo in parte. Nella<br />

patogenesi delle patologie vascolari ischemiche è oggi ritenuta importante l’infiammazione<br />

cronica, spesso causata da infezioni croniche, fra queste anche quella da Helicobacter pylori<br />

(H. pylori). In particolare lo scopo dello studio è stato valutare la prevalenza di infezione da<br />

H. pylori in 147 pazienti con LINCE (104 maschi), età media 59 anni in confronto a 320<br />

donatori di sangue e 52 pazienti con malattia neurologica non vascolare (depressione).<br />

La sieroprevalenza dell’infezione è stata ricercata per mezzo delle IgG specifiche anti -<br />

H. pylori. La prevalenza è risultata più elevata nei pazienti affetti da LINCE (76,87%,<br />

113/147) rispetto ai controlli (59,37%, 190/320, nei donatori e 50%, 26/52, nei depressi). Il<br />

459


valore è statisticamente significativo (OR: 2.27, IC 95%: 1,43- 3.63, con p


Luca Scaglione Filone tematico C2<br />

Valutazione dell'uso della profilassi antitrombotica nei pazienti con<br />

fibrillazione atriale non-valvolare<br />

ASO S. Giovanni Battista – U.O.A Medicina Generale 9<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La fibrillazione atriale non valvolare (FANV) è un’aritmia comune, più frequente<br />

nell’anziano, e rappresenta un rilevante fattore di rischio per tromboembolie arteriose, in<br />

particolare cerebrali. Nonostante le evidenze scientifiche dimostrino chiaramente il beneficio<br />

della terapia antitrombotica al fine di prevenire gli eventi cardioembolici nei pazienti con<br />

fibrillazione atriale e numerose Linee Guida internazionali ne raccomandino l’utilizzo, nella<br />

pratica clinica la terapia antitrombotica, ed in particolare la TAO (terapia anticoagulante<br />

orale), è spesso sottoutilizzata.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Nella nostra Azienda Ospedaliera la situazione non è diversa, come dimostra un’indagine<br />

condotta nel primo semestre 2000 tra i dimessi da reparti non chirurgici dell’ASO S. Giovanni<br />

Battista di Torino con diagnosi di fibrillazione atriale. Questi dati sottolineano l’attuale<br />

scostamento della pratica clinica ospedaliera e sul territorio dalle evidenze scientifiche in<br />

merito all’uso della terapia antitrombotica nella FANV, sia nei termini di un mancato utilizzo,<br />

in presenza di chiara indicazione, che di un utilizzo improprio, in presenza di<br />

controindicazioni o efficacia non documentata. Nella seconda metà del 2002, il gruppo EBM<br />

dell’ASO S. Giovanni Battista, in collaborazione con la direzione dell’azienda, ha istituito un<br />

gruppo di lavoro multidisciplinare per produrre una linea guida sulla terapia antitrombotica<br />

nei pazienti con FANV. Tale gruppo, composto da internisti, cardiologi, medici di famiglia,<br />

ematologi ed epidemiologi, ha prodotto un documento che, dopo un’accurata revisione, è stato<br />

presentato al personale sanitario dell’Azienda (giugno <strong>2003</strong>) (il documento è disponibile sul<br />

sito www.CPO.it). Le raccomandazioni di questo documento sono state quindi implementate<br />

utilizzando diverse strategie (presentazione e distribuzione della linea guida, riunioni<br />

finalizzate nei singoli reparti dell’ospedale e distribuzione di reminders per i singoli medici).<br />

Una fase di implementazione è stata anche prevista per i medici di medicina generale sul<br />

territorio.<br />

Per valutare l’impatto della linea guida sull’appropriatezza della tromboprofilassi nei pazienti<br />

ricoverati con FANV è stato eseguito uno studio con disegno “prima-dopo” confrontando i<br />

dati di tutti i pazienti dimessi con questa diagnosi nel primo semestre 2000 (313 pazienti) con<br />

quelli dimessi nel primo semestre 2004 (388 pazienti). Confrontando i due gruppi emerge che<br />

nel I° semestre 2004 è aumentata la percentuale di pazienti anziani, con scompenso cardiaco e<br />

ipertensione arteriosa, mentre si sono ridotti i pazienti con TIA o ictus in anamnesi.<br />

L’appropriatezza della tromboprofilassi è stata valutata in base al rischio di ictus dei pazienti<br />

con FANV:<br />

• rischio molto alto = pazienti con anamnesi di TIA/Ictus/embolia sistemica ·<br />

• rischio alto = età >65 anni e almeno un fattore di rischio (ipertensione, diabete, scompenso<br />

cardiaco) ·<br />

461


• moderato e basso = età >65 anni senza fattori di rischio, età


Giorgio Vittorio Scagliotti Filone tematico C1<br />

Farmacogenetica della risposta ai derivati del platino in pazienti affetti da<br />

carcinoma polmonare<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il meccanismo di azione del cisplatino e dei suoi analoghi e’ legato alla formazione di addotti<br />

e di legami covalenti di cross-link tra le basi nel DNA nelle cellule. Questi danni, da cui<br />

dipendono direttamente sia l’efficacia che la tossicita’ del trattamento, sono rilevati e riparati<br />

dal sistema di riparazione NER (Nucleotide Excision Repair) associato alla trascrizione.<br />

Alcuni studi clinici h<strong>anno</strong> messo in relazione l’efficacia dei derivati del platino con l’attività<br />

del sistema NER nel tessuto tumorale, e in particolare dei suoi fattori XPD e ERCC1. Oltre ai<br />

livelli di espressione, in alcuni studi clinici anche i polimorfismi del gene XPD, il cui<br />

genotipo è facilmente determinabile sul DNA estratto dal sangue, sono risultati associati con<br />

la sensibilità a derivati del platino sia in pazienti affetti da tumori del colon che del polmone.<br />

Due polimorfismi del gene XPD, con le sostituzioni di aminoacidi Asp/Asn in posizione 312<br />

e Lys/Gln in posizione 751, determinano una attività ridotta del 30%, e possono influenzare la<br />

funzionalità dell’intero sistema NER e la risposta ai farmaci.<br />

OBIETTIVO<br />

E’ stato condotto uno studio prospettico su una serie consecutiva di pazienti afferenti nel<br />

corso di un <strong>anno</strong> al reparto di Oncologia Polmonare dell’Ospedale San Luigi di Orbassano,<br />

con lo scopo di convalidare l’importanza del genotipo dei pazienti per i polimorfismi XPD<br />

come criterio per la scelta del trattamento chemioterapico.<br />

MATERIALI E METODI<br />

E’ stata preliminarmente analizzata la distribuzione di frequenza del polimorfismo di XPD<br />

Lys751Gln in un campione di soggetti sani di controllo. Successivamente si è valutata la<br />

frequenza dei polimorfismi di XPDLys751Gln e di ERCC1 in un campione di 251 pazienti<br />

consecutivi con diagnosi di carcinoma polmonare con stadio avanzato di malattia candidati al<br />

trattamento chemioterapico. La valutazione della risposta alla chemioterapia è avveuta<br />

mediante controlli radiologici (TC Total Body) ed ematochimici trimestrali fino a<br />

progressione della malattia, sia la valutazione del profilo di tossicita’ con visite ed esami<br />

ematochimici appropriati a scadenze settimanali durante la somministrazione di terapia, e<br />

quindi trimestrali nei controlli di follow up. Le relazioni tra diverse variabii cliniche ed i<br />

genotipi XPD e XRCC1 sono state analizzate mediante analisi logistica uni- e multivariata.<br />

RISULTATI<br />

Iniziali dati sono stati oggetto di una comunicazione orale al meeting dell’American Society<br />

of Clinical Oncology del giugno 2004 (U. Ricardi, S. Regazzoni, P. Ghio, D. Giachino, M. De<br />

Marchi, S. Novello, G. Selvaggi, G. V. Scagliotti - The K751Q polymorphism of XPD gene<br />

in lung cancer patients receiving platinum-based chemotherapyJournal of Clinical Oncology,<br />

463


2004 ASCO Annual Meeting Proceedings (Post-Meeting Edition). Vol 22, No 14S (July 15<br />

Supplement), 2004: 2500) Il secondo <strong>anno</strong> è stato impiegato per il completamento del follow<br />

up, l’analisi genomica di altri polimorfismi (XRCC1 e TS – non oggetto del presente<br />

finanziamento) e l’analisi statistica.<br />

Complessivamente sono stati inclusi 207 pazienti con diagnosi di carcinoma polmonare non a<br />

piccole cellule (stadio III =79, stadio IV = 126) e 44 di carcinoma polmonare a piccole cellule<br />

con l’età media di 61. 5 anni. L’80% dei pazienti è di sesso maschile, fumatori correnti 57%,<br />

ex fumatori 31%, non fumatori 12%. La valutazione della risposta terapeutica è disponibile<br />

per 234 pazienti, la recidiva è attualmente stata documentata nel 34% dei pazienti. Il<br />

trattamento con platino è stato effettuato nel 93% dei pazienti considerati. All’analisi<br />

univariata performance status, stadio della malattia, la presenza di metastasi si sono dimostrati<br />

fattori indicanti la prognosi.<br />

La frequenza dei polimorfismi è risultata essere equamente distribuita fra controlli sani<br />

(n=220) e pazienti. Frequenza del polimorfismi di XPD nei pazienti con carcinoma<br />

polmonare: AA 43% - AC 43% - CC 14%; polimorfismo di XRCC1: AA 13% - AG 39% -<br />

GG 48%. All’analisi univariata entrambi i polimorfismi non sono risultati essere associati ne<br />

con la risposta, ne con la probabilità di recidiva e/o di sopravvivenza complessiva. Il dato<br />

consolidato sull’intero campione di pazienti è in contraddizione con le iniziali segnalazioni<br />

riportate in un campione più limitato di 50 pazienti.<br />

Nel modello di interazione fra fattori clinici più interazione del polimorfismo con la terapia a<br />

base di platino tutti gli hazard ratios considerati sono risultati essere non statisticamente<br />

significativi<br />

CONCLUSIONI<br />

Questo studio prospettico consente di escludere l’analisi dei polimorfismi di XPD e di<br />

XRCC1 dai marcatori genomici che possano predirre un differente profilo di attività del<br />

cisplatino nei pazienti sottoposti a trattamento chemioterapico<br />

464


Maria Pia Schieroni Filone tematico C1<br />

Progetto per la mobilizzazione pazienti degenti per il miglioramento<br />

dell’outcome e il contenimento della spesa sanitari<br />

ASO S. Giovanni Battista –S.C.D.O. Recupero e Rieducazione Funzionale<br />

Dipartimento Medicina Riabilitativa e Domiciliare<br />

OBIETTIVO<br />

Obiettivo del progetto è stato quello di favorire la mobilizzazione dei pazienti degenti,<br />

attraverso la formazione del personale e l’acquisizione di ausilii, al fine di ridurre l’incidenza<br />

delle complicanze cliniche legate all’allettamento, migliorare gli outcome e favorire la<br />

guarigione e la dimissione precoce dei pazienti. Tali obiettivi sono stati perseguiti attraverso<br />

le seguenti modalità:<br />

1. analisi e valutazione dei bisogni clinici, strutturali e formativi;<br />

2. piano operativo con attivazione di percorsi specifici, acquisizione degli ausilii e<br />

sperimentazione in quattro Reparti Pilota dell’Azienda;<br />

3. valutazione dei risultati della sperimentazione.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Nell’ambito delle suddette fasi sono state svolte le seguenti attività:<br />

• Istituzione di una Commissione Multidisciplinare coordinata dalla Direzione <strong>Sanitaria</strong> e<br />

composta da: Responsabile Scientifico del Progetto, Vice Responsabile, Ufficio Controllo<br />

Qualità Progetti, fisiatra, fisioterapista. Nel corso del lavoro, in risposta a problematiche<br />

intercorrenti di carattere organizzativo, gestionale, clinico, sono state coinvolte diverse<br />

figure professionali Aziendali (Clinici, Dirigenti Infermieristici, personale dell’Area<br />

Formazione, del Provveditorato, del Servizio di Prevenzione e Protezione, dell’Ufficio<br />

Relazioni con il Pubblico, dell’Ufficio Tecnico Progettazione e Manutenzione, …) al fine<br />

di favorire il raggiungimento degli obiettivi.<br />

• Individuazione di quattro Reparti Pilota, ritenuti idonei per la fase sperimentale del<br />

Progetto, e delle professionalità da coinvolgere nella sperimentazione (Direttore della<br />

Struttura Complessa, Medico referente di reparto, Capo Sala, Medico Fisiatra e Terapista<br />

referenti di reparto per il Progetto). La fase sperimentale ha previsto l’interfacciamento e<br />

l’azione congiunta di tali figure professionali al fine di promuovere al massimo e in modo<br />

ottimale la mobilizzazione di ciascun paziente ricoverato, mediante la formulazione di un<br />

Piano di Mobilizzazione personalizzato, affiancato al bisogno dal Progetto di<br />

Riabilitazione.<br />

• Con il finanziamento (€ 8000) è stata acquisita la dotazione degli ausili indispensabili al<br />

programma di mobilizzazione dei pazienti ricoverati nei Reparti Pilota, e stipulato un<br />

contratto di prestazione occasionale per la raccolta e l’elaborazione dei dati.<br />

• Promozione ed attuazione, con l’Area Formazione, di un piano formativo e di<br />

addestramento alla mobilizzazione dei pazienti (accreditato ECM), articolato in una parte<br />

teorica rivolta a personale medico, infermieristico, tecnico e di assistenza dei Reparti<br />

465


Pilota, e in una parte pratica, effettuata nei reparti di degenza, rivolta a personale<br />

infermieristico, tecnico e di assistenza.<br />

• Elaborazione e applicazione di tre schede di valutazione (scheda fisiatrica, scheda<br />

fisioterapistica, scheda infermieristica) dei pazienti degenti per la gestione integrata del<br />

piano di mobilizzazione.<br />

• Verifica e censimento, in collaborazione con le Capo Sala, degli ausilii in dotazione e dei<br />

reali bisogni di ausili per la mobilizzazione dei pazienti in ogni Reparto di Degenza<br />

dell’ASO a seconda della tipologia, tenendo conto anche di quelli previsti per i lavoratori<br />

dalla L. 626-94 sul Rischio da Movimentazione dei carichi.<br />

• Revisione ed ottimizzazione dei percorsi Aziendali di Manutenzione degli Ausilii in<br />

dotazione a tutti i reparti. 8.Supporto agli operatori da parte del personale della<br />

Riabilitazione nella definizione del Piano di Mobilizzazione personalizzato in relazione<br />

alle problematiche clinico-assistenziali e nelle modalità di utilizzo di ausilii specifici.<br />

La fase sperimentale operativa del progetto è stata effettuata nei Reparti Pilota dal mese di<br />

maggio al mese di novembre 2005, con il fine di valutare la ricaduta dell’attività di<br />

formazione specifica inerente il Piano di Mobilizzazione, l’attuazione di tale Piano<br />

nell’attività assistenziale quotidiana, e quanto tale sensibilizzazione interferisse sui pazienti<br />

sia in termini di qualità assistenziale percepita che di miglioramento della disabilità (grazie<br />

anche ad un incremento dell’utilizzo di ausilii e alle nuove tipologie di ausilii introdotte). A<br />

tal fine si è proceduto ad identificare due gruppi omogenei di pazienti (Gruppo 1-Controlli: 39<br />

pazienti, età media 60,6 anni; Gruppo 2-Casi: 40 pazienti, età media 64,3 anni) nell’ambito<br />

dei Reparti Pilota. Con il supporto delle schede di valutazione standardizzate (fisiatrica,<br />

fisioterapistica ed infermieristica) appositamente elaborate, i pazienti sono stati sottoposti a:<br />

• visita fisiatrica iniziale e predimissione, con valutazione di specifici parametri clinicofunzionali<br />

e del grado di autonomia dei pazienti;<br />

• trattamento rieducativo;<br />

• piano di mobilizzazione infermieristico, attuato soltanto per i pazienti del Gruppo 2.<br />

Dall’analisi dei dati è emerso che i pazienti inseriti nello studio sono stati ricoverati per<br />

patologie ad alta complessità e spesso gravemente disabilitanti (Gruppo 1: 25 pz con patologie<br />

neurologiche gravi e 7 pazienti con patologie neoplastiche; Gruppo 2: 24 pz con patologie<br />

neurologiche gravi e 10 pazienti con patologie neoplastiche), frequentemente associate a<br />

comorbilità a loro volta interferenti con l’autonomia dei pazienti già prima del ricovero (più<br />

del 50% dei pazienti in entrambi i gruppi). Tale riscontro ha reso particolarmente evidente la<br />

necessità di personale assistenziale sensibilizzato al problema della mobilizzazione.<br />

Gli outcome presi in esame sono stati numerosi; in particolare si segnalano:<br />

1. miglioramento della disabilità alla dimissione rispetto al momento della presa in carico in<br />

entrambi i gruppi ma in misura maggiore e in un numero superiore di pazienti nel Gruppo<br />

2 (19 pz-Gruppo 1 vs 22 pz-Gruppo 2 migliorati);<br />

2. riduzione del numero di lesioni da decubito nei pazienti del Gruppo 2 (5 pz-Gruppo 1 vs 1<br />

pz-Gruppo 2);<br />

3. riduzione del numero di cadute nei pazienti del Gruppo 2 (1 pz-Gruppo 1 vs 0 pz-Gruppo<br />

2);<br />

4. incremento dell’utilizzo di ausilii per i pazienti del Gruppo 2 (9 pz-Gruppo 1 vs 17 pz-<br />

Gruppo 2).<br />

CONCLUSIONI<br />

466


In conclusione, da questi dati preliminari, possiamo affermare, grazie al coinvolgimento e alla<br />

grande collaborazione del personale medico e infermieristico, sia nella fase formativa che in<br />

quella operativa-sperimentale del Progetto che importante è stata la ricaduta sul decorso<br />

clinico e sull’outcome; è comunque emersa nel contempo la necessità di estendere ed<br />

incrementare la cultura della mobilizzazione, integrata dall’acquisto di ulteriori ausilii per<br />

ottimizzare l’assistenza.<br />

467


Giuseppe Scielzo Filone tematico A3<br />

Determinazione delle dosi assunte da operatori, pazienti famigliari e<br />

popolazione nell'impiego terapeutico di iodio 131<br />

A. S. O. Ordine Mauriziano di Torino<br />

Ospedale Umberto I<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Presso l’U.O.A. di Medicina Nucleare dell’Ospedale ‘Umberto I’ di Torino è operativa<br />

un’unità composta da 5 posti letto per il trattamento con Iodio (I-131) del tumore tiroideo.<br />

L’obiettivo del progetto è la determinazione delle dosi somministrate ai pazienti trattati, la<br />

loro modellizzazione e il confronto con analoghe operatività. Uno studio retrospettivo ha<br />

permesso di valutare le dosi somministrate ai pazienti e quelle ricevute da operatori,<br />

famigliari e popolazione venuti a contatto con essi. I risultati ottenuti h<strong>anno</strong> permesso di<br />

ottimizzare i protocolli operativi al fine di ridurre le dosi, ai sensi del Dlg 187/00.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Lo I-131 (emivita fisica di 8,02 giorni, emissione beta di energia media 191 keV e gamma di<br />

364 keV) è utilizzato per la terapia del ca differenziato della tiroide somministrando alte<br />

attività (1110 – 7400 MBq) poiché permette di indirizzare quasi unicamente sul tessuto<br />

tiroideo il d<strong>anno</strong> radioindotto, risparmiando i tessuti sani circostanti. Alcuni organi extratiroidei<br />

ricevono una dose dalla componente gamma che diventa sorgente di irradiazione<br />

anche per gli individui che si trovano nelle vicinanze del paziente. Gli aspetti legislativi e di<br />

radioprotezione della terapia con I-131 sono in gran parte contenuti nei Dlgs 241/00 e 187/00.<br />

La terapia con I-131 avviene in ricovero di degenza protetta in cui i pazienti non possono<br />

uscire dall’area sorvegliata. Al fine di monitorare l’attività del paziente è stata predisposta<br />

un’apposita strumentazione che ne misura periodicamente la presenza nel corpo traducendola<br />

in conteggi. L’analisi delle curve di dismissione dell’attività così ottenute ha permesso lo<br />

studio dei tempi di dimissione e un stima precisa delle dosi.<br />

RISULTATI<br />

E’ stato studiato un gruppo di 1145 pazienti (63,3 % femmine, 36,7 % maschi) sottoposti a<br />

terapia negli ultimi 5 anni (1999–<strong>2003</strong>). L’elaborazione statistica dei dati raccolti è avvenuta<br />

predisponendo un software di analisi e calcolo e un database per la gestione dei pazienti. Il<br />

valor medio di Attività somministrata è risultato pari a 4166 MBq ± 1550 MBq (1 STD); in<br />

particolare nel 4 % dei casi l’attività somministrata è risultata essere inferiore a 2500 MBq,<br />

nel 55 % dei casi compresa tra 2550 e 5550 MBq e nel 41 % dei casi superiore a 5550 MBq.<br />

L’attività presente al momento della dimissione (4 giorni dopo la somministrazione) è stata<br />

valutata interpolando le misure di captazione e confrontata con il limite di legge di 600 MBq:<br />

il 66 % dei paziente presenta, al quarto giorno dopo la terapia, un’attività inferiore a 200<br />

MBq, il 22 % compresa tra 200 e 400 MBq, l’11% compresa tra 400 e 600 MBq e solo l’1 %<br />

superiore a 600 MBq, con una necessità di prolungare il ricovero. L’attività media presente<br />

nei pazienti alla dimissione è risultata pari a 184,2 MBq ± 159,1 MBq (1 STD). Per ciascun<br />

paziente è stato calcolato il giorno di dimissibilità (valor medio è di 1,8 ± 0,7 giorni (1 STD).<br />

Dall’analisi complessiva di questo parametro risulta che nell’8 % dei casi i pazienti risultano<br />

dimissibili dopo 1 giorno, nel 60 % dei casi entro 1 - 2 giorni, nel 24 % dei casi entro 2 - 3<br />

468


giorni, nel 7 % dei casi entro 3 – 4 giorni e solo nello 1 % dei casi oltre i 4 giorni. E’ stata<br />

calcolata la dose ai diversi organi a rischio (Metodo ICRP). Il valor medio della dose al<br />

midollo è risultato pari a 0,2 Gy ± 0,1 Gy (1 STD) mentre quello ai polmoni di 0,2 Gy± 0,1<br />

Gy (1 STD). La dose allo stomaco (somministrazione orale della terapia) ha valore medio pari<br />

a 2,5 Gy ± 0,9 Gy, quella alla vescica è di 2,2 Gy ± 0,8 Gy mentre quella ai reni è di 0,3 Gy ±<br />

0,1 Gy. La dose media all’intestino è di 0,3 ± 0,9 Gy .Per le donne è stata valutata la dose<br />

all’utero che è risultata avere un valore medio di 0,2 Gy ± 0,1 Gy. Tutte le dosi valutate sono<br />

ampiamente al di sotto delle tolleranze previste rendendo la terapia sicura e giustificata. Il<br />

valore medio di dose efficace ottenuto è di 28,4 Sv ± 10,3 Sv di cui il contributo dovuto alla<br />

tiroide rappresenta circa il 99 % della dose complessiva. Per gli operatori coinvolti nella<br />

terapia (medici, fisici, personale tecnico e ausiliario) la legge prevede un limite di esposizione<br />

annua di 20 mSv per la dose efficace e 500 mSv per la dose pelle. La procedura terapeutica è<br />

stata suddivisa nelle diverse fasi, attentamente osservate e monitorate, per effettuare il calcolo<br />

dosimetrico, confrontarlo con dati sperimentali derivanti dai dosimetri personali e verificarne<br />

il rispetto dei limiti di legge come riportato in tabella (ipotizzando un’attività somministrata<br />

pari al valor medio del campione in esame).<br />

.<br />

Dose totale annua efficace (mSv) e dose totale pelle<br />

Medico Med. Nucl Fisico Specialista TRSM Med. Nucl. Ausiliario Infermieri<br />

Dose efficace (mSv) 3.2 0.05 3.3 4.2 5.3<br />

Dose pelle (mSv) 4.6 0.05 14.5 14.5 5.2<br />

La dose efficace alla popolazione (limite 1 mSv/<strong>anno</strong>) e ai famigliari (vincoli di dose in un<br />

ciclo terapeutico per adulti di età inferiore ai 60 anni pari a 3 mSv, per età superiore a 60 anni<br />

pari a 10 mSv) è stata calcolata con lo stesso modello e confrontata dalla lettura dei dosimetri<br />

ambientali posti negli ambienti più critici (tabella seguente).<br />

Dose totale annua efficace (mSv) ricevuta dai famigliari e dalla popolazione<br />

Popolazione<br />

Famigliare<br />

600 MBq alla dimissione<br />

469<br />

Famigliare<br />

400 MBq<br />

Famigliare<br />

200 MBq<br />

0.12 2.3 1.6 0.8<br />

Per il famigliare si è ipotizzato che sempre uno stesso individuo fosse per 8 ore al giorno a<br />

una distanza di 1 m dal paziente, per un mese, con un’attività alla dimissione pari a 600, 400 o<br />

200 MBq Come si può osservare tutti i valori rientrano entro i limiti previsti dalla legge.<br />

CONCLUSIONI<br />

Dai risultati riportati si evince che il trattamento radiometabolico del carcinoma tiroideo con<br />

I-131 predisposto presso l’U.O.A. di Medicina Nucleare dell’Ospedale ‘Umberto I’ risulta<br />

efficace e sicuro dal punto di vista radioprotezionistico. Le dosi ricevute dagli operatori, dai<br />

famigliari e dalla popolazione rientrano ampiamente nei limiti di legge e ne garantiscono<br />

l’adeguatezza, come confermato anche in letteratura. La complessità del trattamento<br />

coinvolge diverse figure professionali e richiede una stretta collaborazione e una procedura<br />

ben pianificata e definita. Nel prossimo futuro sarà auspicabile un’ottimizzazione della<br />

procedura diminuendo i giorni di ricovero, per permettere l’accesso a questa terapia ad un più<br />

alto numero di pazienti. L’esigenza sociale è urgente essendo le liste di attesa molto lunghe e i<br />

posti disponibili in <strong>Piemonte</strong> esigui.


Leandra Silvestro Filone tematico A4<br />

Prevenzione dell’obesità in eta’ pediatrica: correlazione fra alimentazione<br />

e metabolismo ormonale nel primo <strong>anno</strong><br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze pediatriche e dell’Adolescenza<br />

METODI E RISULTATI<br />

Con il nostro studio abbiamo preso in considerazione un campione di 276 lattanti sani di età<br />

non superiore ai 22 mesi giunti all’osservazione del Reparto Lattanti dell’OIRM di Torino fra<br />

il <strong>2003</strong> ed il 2005. In questo gruppo di soggetti abbiamo selezionato quelli con età inferiore a<br />

12 mesi di vita (n = 184; 101 M e 83 F) su cui abbiamo indagato i livelli sierici di ghrelin,<br />

leptina, IGF-I ed insulina, per i quali abbiamo cercato di valutare l’eventuale influenza<br />

esercitata dal tipo di allattamento su ciascuno di essi. Sono state inoltre indagate le relazioni<br />

presenti tra gli ormoni ed il genere, l’età e parametri auxometrici quali la lunghezza, la<br />

circonferenza cranica, il peso, il BMI e le pliche cutanee.<br />

Dai risultati è emerso l valore medio (±DS) dell’IGF-I nel campione totale è risultato di 37.6<br />

(±15.6) ng/ml (v.n.16-91 ng/ml); i livelli sierici di IGF-I sono risultati significativamente più<br />

alti nei bambini allattati con latte adattato (LA) rispetto a quelli allattati con latte materno<br />

(LM) nel campione totale (p=.028) e nel gruppo A (p=.029). Il valore medio (±DS) della<br />

leptina nel campione totale è risultato di 4.4 (±3.9) ng/ml; nel gruppo A le femmine (F) h<strong>anno</strong><br />

riportato valori significativamente più alti dei maschi (M) (p=.030); distinguendo in base al<br />

tipo di allattamento la leptina è risultata significativamente più alta nei bambini allattati con<br />

LM nel campione totale (p=.005), nel gruppo A (p=.042) e nel gruppo B (p=.012). Il valore<br />

medio (±DS) del ghrelin nel campione totale è risultato di 3026 (±1386) pg/ml; nel gruppo A<br />

sono emersi valori significativamente più alti nei bambini allattati con LA (p=.007).<br />

Per i parametri antropometrici (peso, lunghezza e circonferenza cranica) non sono emerse<br />

differenze statisticamente significative tra M e F e tra bambini allattati con LM e bambini<br />

allattati con LA. Nel gruppo C i bambini allattati con LA h<strong>anno</strong> mostrato valori maggiori di<br />

BMI (p=.015), di spessore di plica sottoscapolare (p=.012) e di velocità di crescita ponderale<br />

(p=.030). Sono risultate interessanti le seguenti correlazioni: la correlazione negativa tra<br />

leptina e ghrelin (p=.027) nei bambini allattati con LM; positiva tra leptina e plica<br />

sottoscapolare (p=.025) nei bambini allattati con LA; positiva tra leptina e peso (p


h<strong>anno</strong> un’azione stimolatoria sulla crescita, si può ipotizzare che i bambini allattati con LA<br />

ricevano un maggiore stimolo a crescere. In accordo con tale ipotesi vi è l’osservazione che<br />

nella fascia d’età 8-12 mesi i bambini allattati con LA mostravano una velocità di crescita<br />

ponderale, un BMI e una plica sottoscapolare maggiori rispetto ai bambini allattati con LM.<br />

E’ ipotizzabile che la diversa modalità di crescita nel corso del primo <strong>anno</strong> di vita tra i<br />

bambini allattati con formula e quelli allattati al seno possa avere conseguenze a lungo<br />

termine, in particolar modo possa esporre a un diverso rischio di sviluppare obesità.<br />

L’allattamento con LM sembra proteggere da tali condizioni per diversi motivi: in primo<br />

luogo per il più basso contenuto proteico rispetto al latte adattato, in secondo luogo per la<br />

presenza nel latte materno di diversi fattori tra cui la leptina; questa a breve termine regola il<br />

senso di sazietà del bambino riducendo quindi l’assunzione del cibo, mentre a lungo termine<br />

potrebbe contribuire alla definizione di un livello di equilibrio energetico sul quale<br />

l’organismo potrà regolarsi nelle età successive.<br />

471


Fabiola Sinigaglia Filone tematico A2<br />

Fattori di rischio trombotico: indagini sul meccanismo d’azione di<br />

estrogeni, progestinici e colesterolo<br />

Università “A. Avogadro” del <strong>Piemonte</strong> Orientale<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il ruolo degli ormoni steroidei nella regolazione delle funzioni piastriniche è stato investigato<br />

per anni, ma risultati contrastanti sono stati riportati. Per molti anni, inoltre, la questione<br />

riguardante gli effetti degli estrogeni sulla fisiologia delle piastrine umane è stata messa in<br />

discussione a causa della supposta assenza del recettore per gli estrogeni in queste cellule<br />

anucleate. Recenti studi h<strong>anno</strong> dimostrato che gli estrogeni, accanto alla regolazione dei<br />

processi trascrizionali, sono in grado di esercitare effetti rapidi, non-genomici sulle cellule<br />

bersaglio. Inoltre, in piastrine umane sono stati identificati entrambi i recettori per gli<br />

estrogeni, ma il recettore ERbeta sembra essere il più abbondantemente espresso. Si può<br />

pertanto ipotizzare che le piastrine siano un bersaglio dell’azione estrogenica e che gli effetti<br />

dell’estrogeno sul sistema vascolare siano, almeno in parte, espressione della diretta<br />

modulazione della funzione piastrinica da parte degli steroidi. Inoltre, le piastrine, essendo<br />

prive di nucleo, rappresentano un eccellente modello per lo studio delle vie di segnalazione<br />

che mediano gli effetti non-genomici degli estrogeni.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Il gruppo di lavoro ha cominciato a caratterizzare le vie di trasduzione del segnale accese<br />

dagli estrogeni in piastrine umane verificando se l’ormone fosse in grado di modificare lo<br />

stato di attivazione di alcuni specifici substrati ed in particolare della tirosin chinasi Src la cui<br />

attività è potenziata nelle vie di segnalazione mediate dal recettore per gli estrogeni in<br />

numerosi tipi cellulari. Il 17beta-estradiolo è in grado di determinare la rapida fosforilazione<br />

in tirosina delle chinasi Src e Pyk2. Inoltre, la fosforilazione della chinasi Src viene<br />

completamente abolita in seguito alla preincubazione delle piastrine con l’antagonista del<br />

recettore per gli estrogeni ICI 182,780, dimostrando che questo effetto è mediato<br />

dall’intervento di un recettore per estrogeni espresso nelle piastrine. Il 17beta-estradiolo,<br />

inoltre, promuove la formazione, dipendente dall’attività di Src, di un complesso molecolare<br />

di segnalazione che comprende Src, Pyk2 e la subunità regolatoria p85 della PI3-K associati<br />

al recettore ERbeta. Mentre Pyk2 risulta essere fosforilato in maniera Src chinasi-dipendente,<br />

non si osserva una significativa attivazione di PI3-K, in termini di fosforilazione in tirosina<br />

della subunità regolatoria p85, né di fosforilazione in Ser e Thr di PKB/Akt, noto substrato di<br />

PI3-K, lasciando supporre che tale proteina non sia coinvolta nella segnalazione estrogenica<br />

in piastrine umane. Numerosi studi h<strong>anno</strong> dimostrato che il 17beta-estradiolo attiva la via di<br />

segnalazione Src/Ras/ERK in vari tipi cellulari; a questo proposito è stato indagato se, nel<br />

nostro modello sperimentale, l’estrogeno fosse in grado di determinare fosforilazione delle<br />

MAP chinasi ERK. Il 17beta-estradiolo promuove una debole, ma rapida fosforilazione di<br />

ERK già rilevabile a 30 secondi e che mostra poi due picchi di intensità massima a 3 e 9<br />

minuti.<br />

E’ stato poi interessante verificare la localizzazione subcellulare del complesso molecolare<br />

Src-dipendente associato al recettore ERbeta. ERbeta risulta localizzato nella membrana<br />

472


piastrinica ed in seguito a trattamento con 17beta-estradiolo non modifica la sua<br />

localizzazione cellulare; inoltre identiche quantità di Src sono presenti nella membrana di<br />

piastrine a riposo o trattate con estrogeno, tuttavia la forma attiva di Src associata alla<br />

membrana aumenta rapidamente ed in modo transiente. In seguito a stimolazione con<br />

estradiolo si verifica una significativa, ma transiente traslocazione di Pyk2 nella membrana<br />

piastrinica, mentre identiche quantità di p85-PI3-K sono rilevabili in tutte la frazioni di<br />

membrana analizzate.<br />

La nostra attenzione si è poi rivolta all’isolamento delle rafts lipidiche, piccole piattaforme di<br />

membrana altamente organizzate che svolgono un ruolo importante nei processi di attivazione<br />

piastrinica. Il 17beta-estradiolo determina la traslocazione del recettore ERbeta alle frazioni<br />

rafts in maniera tempo-dipendente: la massima associazione del recettore è stata osservata ad<br />

1 minuto di trattamento delle piastrine con estrogeno. In piastrine stimolate con 17betaestradiolo<br />

si verifica anche una rapida e transiente traslocazione della tirosin chinasi Src nelle<br />

frazioni rafts; inoltre, la chinasi Src associata alle rafts risulta essere nella sua forma attiva. Il<br />

17beta-estradiolo, poi, è in grado di determinare la fosforilazione della chinasi Pyk2 e la sua<br />

associazione alle frazioni rafts; al contrario, p85-PI3-K risulta essere costitutivamente<br />

associata alle rafts lipidiche ed il trattamento con estrogeno non è in grado di modulare la sua<br />

associazione a questi microdomini.<br />

Dal momento che il 17beta-estradiolo da solo si è dimostrato incapace di influenzare<br />

direttamente la funzionalità piastrinica, è stata presa in considerazione la possibilità che esso<br />

modulasse l’aggregazione piastrinica indotta da agonista. E’ stato osservato un forte<br />

potenziamento estradiolo-dipendente dell’aggregazione indotta da basse dosi di trombina e di<br />

U46619, analogo stabile del trombossano A2. Il 17beta-estradiolo è in grado di potenziare<br />

l’esposizione sulla superficie piastrinica dell’integrina alphaIIbbeta3 nella sua conformazione<br />

attiva in piastrine stimolate con basse dosi di trombina, potenziando così il processo di<br />

aggregazione. Inoltre, l’inibizione dell’attività della chinasi Src blocca completamente<br />

l’esposizione dell’integrina alphaIIbbeta3 indotta dall’agonista, confermando il ruolo centrale<br />

di Src nella segnalazione inside-out in piastrine umane.<br />

E’ stato poi dimostrato che sia l’estradiolo sia i due agonisti utilizzati causano attivazione<br />

della chinasi Src, ma con cinetiche differenti e quando le piastrine sono trattate sia con il<br />

17beta-estradiolo sia con trombina od U46619 la fosforilazione della chinasi Src aumenta<br />

rapidamente in 15 secondi e non reverte, indicando che estrogeno e trombina od estrogeno ed<br />

U46619 agiscono con un meccanismo additivo.<br />

CONCLUSIONI<br />

Questi dati identificano un nuovo possibile meccanismo con cui gli estrogeni influenzano il<br />

sistema cardiovascolare: accanto agli effetti genomici sulle cellule endoteliali e muscolari<br />

lisce della parete dei vasi, gli estrogeni possono sensibilizzare direttamente, attraverso<br />

un’azione strettamente non-genomica, le piastrine ai più comuni agonisti fisiologici. Uno<br />

sviluppo di questo lavoro potrà essere una migliore definizione a livello molecolare<br />

dell’interazione estrogeni/piastrine ed in particolare una migliore caratterizzazione delle vie di<br />

trasduzione del segnale coinvolte, servirà a comprendere il ruolo biologico degli estrogeni<br />

relativamente alla funzionalità piastrinica.<br />

473


Piero Sismondi Filone tematico C1<br />

DNA microarray dedicati per la diagnosi di diverse forme cliniche di<br />

carcinoma mammario<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Discipline Ginecologiche e Ostretiche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il tumore mammario è una patologia eterogenea che può risolversi sia in una completa<br />

guarigione che in una morte precoce. Gli indicatori prognostici che attualmente aiutano a<br />

classificare il tumore in base al rischio di recidiva, sono imprecisi: per quanto riguarda, ad<br />

esempio, il coinvolgimento linfonodale, una percentuale di pazienti linfonodo negativi che<br />

raggiunge il 30% può recidivare. Poiché la variabilità nel comportamento del tumore deriva<br />

da complessi cambiamenti molecolari, piuttosto che da una singola alterazione, è necessario<br />

adottare un approccio multifattoriale. L’analisi di espressione genica mediante DNA arrays<br />

può essere un metodo adeguato di indagine in quanto, misurando il livello di espressione di<br />

migliaia di geni in una volta sola, permette di valutare contemporaneamente un numero<br />

elevato di variabili combinatoriali. Individuando il profilo genico specifico associato,<br />

l’applicazione clinica della tecnologia degli arrays potrebbe permettere di selezionare pazienti<br />

sane ad alto rischio per il tumore mammario oppure di seguire i cambiamenti che avvengono a<br />

livello del tessuto mammario durante trattamenti associati con l’aumento del rischio di<br />

patologia neoplastica, come nel caso della terapia ormonale sostitutiva.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Nello studio effettuato sono state analizzate 30 biopsie di carcinoma mammario duttale,<br />

prelevate da pazienti con intervallo libero da malattia 72 mesi (PF, prognosi favorevole). Per ogni gruppo sono stati preparati 3 pools di RNA<br />

formati da 5 campioni; la misura è stata effettuata in doppio utilizzando la piattaforma<br />

Affymetrix, GeneChip HU133A. Si è deciso di eseguire l’analisi di espressione su pool per<br />

individuare geni con un’espressione differenziale significativa, però, per non escludere<br />

dall’analisi geni con ampio range di espressione, i pools sono stati allestiti con un numero<br />

ridotto di campioni. I campioni sono stati scelti utilizzando i seguenti criteri:<br />

• diagnosi di carcinoma duttale invasivo, classificazione T ed N, assenza di metastasi (M0),<br />

dati clinico-patologici completi e follow up aggiornato;<br />

• trattamento chirurgico (mastectomia radicale o quadranctectomia, dissezione ascellare) e<br />

radioterapia.<br />

I dati sono stati analizzati utilizzando Affymetrix Microarray Suite 5 (MAS) e Bioconductor.<br />

L’espressione differenziale è stata valutata mediante SAM (Significance Analysis of<br />

Microarrays) e CyberT. Sono stati riscontrati 63 gene statisticamente rilevanti dal punto di<br />

vista dell’espressione differenziale (fold change threshold: |1.5|; false discovery rate: 1.2%);<br />

tra questi RRM2, MAD2L1, Secretoglobin 2A e SLPI risultano associati con la prognosi<br />

sfavorevole, mentre EGR1, AGTR1 e FOSB correlano con la prognosi favorevole. La<br />

validazione dei dati ottenuti mediante Microarray è stata effettuata mediante SYBR®Green-<br />

Real-Time PCR sui campioni individuali di ciascun pool. Sono stati analizzati alcuni geni<br />

selezionati casualmente (CITED1, SLPI, EGR1, ADAMTS, FOSB, CKMT, AGTR) e per<br />

tutti è stata riscontrata corrispondenza tra microarray e Real-Time PCR. Per valutare<br />

474


ulteriormente la funzione biologica dei geni in analisi e l’effettiva correlazione con la<br />

patologia neoplastica è stata effettuata una ricerca in letteratura; la documentazione valutata<br />

ha dato esiti coerenti con i risultati ottenuti che individuano questi geni come<br />

differenzialmente espressi nei due tipi di campioni tumorali.<br />

SLPI appartiene alla famiglia degli inibitori di proteasi che possono essere associati a<br />

trasformazione tumorale.<br />

CKMT è una creatina-chinasi mitocondriale che risulta overespressa in molti tumori a<br />

prognosi sfavorevole e può essere associata ad inefficienza nell’eliminazione delle cellule<br />

tumorali mediante apoptosi.<br />

CITED1 è un coregolatore trascrizionale espresso in cellule derivate da melanoma; in<br />

letteratura non c’è evidenza di correlazione con la prognosi.<br />

ADAMTS codifica per una metalloproteasi che ha attività anti-angiogenica; sembra essere<br />

necessaria per una normale crescita morfologica e funzionale. EGR1: molti studi suggerisco<br />

che abbia funzione di oncosoppressore; nel tumore mammario se overespresso può inibire la<br />

crescita del tumore.<br />

FOSB: alti livelli di espressione di questo gene sembrano essere necessari alla normale<br />

crescita e al normale differenziamento delle cellule di epitelio mammario; ridotti livelli<br />

proteici di FosB possono essere coinvolti nel processo di dedifferenziamento che avviene<br />

durante la tumorigenesi nel carcinoma mammario.<br />

AGTR: (angiotensin II receptor) non è espresso in carcinoma mammario invasivo per cui si<br />

può pensare che il relativo pathway di segnalazione non sia attivato in tumori di tipo invasivo.<br />

I geni selezionati quindi potrebbero avere ruolo di marker prognostici per il carcinoma<br />

mammario primario (Sfiligoi C. et al.,“Breast Cancer Molecular Profiling: Identification of a<br />

Gene Subset Related to Prognosis”, 3rd EORTC-NCI meeting on cancer molecular marker,<br />

18-20 aprile 2004). Inoltre i risultati conseguiti paragonando il sistema dei microarrays<br />

all’analisi mediante Real-Time PCR dimostrano che questa nuova tecnologia può risultare una<br />

via praticabile per una riclassificazione delle neoplasie.<br />

Al fine di provare la consistenza dei dati ottenuti e di verificarne la ripetibilità, sono stati<br />

individuati altri campioni tumorali coerenti con quelli analizzati in precedenza su cui<br />

effettuare un’analisi di tipo analogo. Si è proceduto all’estrazione di RNA dai pezzi istologici<br />

di carcinoma mammario selezionati, previa polverizzazione, mediante l’utilizzo del reagente<br />

Concert (Invitrogen). La resa è risultata compresa tra i 100 e i 400 g di RNA totale ogni 20<br />

mg di tessuto. Successivamente, si è proceduto alla valutazione qualitativa del prodotto<br />

mediante BioAnalyzer (Agilent). Questo strumento permette di analizzare, mediante una<br />

elettroforesi capillare, lo stato di integrità dell’RNA e la presenza di DNA genomico, inoltre<br />

effettua una quantificazione più precisa della valutazione spettrofotometrica. Per i campioni<br />

risultati di bassa qualità si è proceduto al trattamento con DNasi, per eliminare eventuali<br />

tracce di DNA genomico, e successivamente ad una nuova analisi mediante BioAnalyzer.<br />

Sono stati in questo modo selezionati 30 campioni: 15 corrispondenti a pazienti con intervallo<br />

libero da malattia pari di 72 mesi e 15 recidivanti entro i 72 mesi. La procedura verrà<br />

completata preparando 3 pools di RNA costituiti da 5 campioni per gruppo e utilizzando la<br />

piattaforma Affymetrix, GeneChip HU133A per l’analisi di espressione genica in duplicato.<br />

475


Vincenzo Soardo Filone tematico B1<br />

Sicurezza alimentare e prodotti fitosanitari. Elaborazione di un percorso<br />

formativo per gli addetti alla vendita.<br />

Asl 19 – Dipartimento di Prevenzione<br />

S.O.C. Igiene Alimenti e Nutrizione<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il corretto impiego dei prodotti fitosanitari costituisce un importante fattore per la sicurezza<br />

alimentare. E' ormai conoscenza acquisita il possibile rischio di intossicazione acuta e cronica,<br />

non solo per gli operatori del settore, ma anche per i consumatori attraverso la possibile<br />

assunzione di acqua ed alimenti in cui tali sostanze possono residuare. La recente normativa<br />

in materia, in particolare il DPR 290/01, ha la finalità di garantire un elevato livello di tutela<br />

della salute di consumatori ed utilizzatori. Lo stesso DPR all'art. 27 dà mandato alle Regioni<br />

di organizzare appositi corsi obbligatori di formazione/aggiornamento per l'istruzione e<br />

l'addestramento di coloro che intendono conseguire il cerificato di abilitazione alla vendita di<br />

prodotti fitosanitari. La <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> con DGR 5/8/03 n. 7-10295 ha individuato nei<br />

Servizi di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione (SIAN) dei Dipartimenti di Prevenzione<br />

delle ASL la struttura sanitaria preposta all'attivazione dei corsi di formazione/aggiornamento<br />

destinati a coloro che richiedano il rilascio/rinnovo del certificato di abilitazione alla vendita<br />

di prodotti fitosanitari e coadiuvanti.<br />

OBIETTIVO<br />

La ricerca prevede la produzione di:<br />

• "core curriculum" del modulo di insegnamento (aspetti sanitari) affidato al personale dei<br />

SIAN individuato quale docente nei corsi;<br />

• materiale didattico di base;<br />

• panel di quiz di verifica dell'apprendimento.<br />

MATERIALI E METODI<br />

• La ricerca documentale di materiale scientifico/didattico è stata effettuata utilizzando<br />

internet come strumento principale. E' stato inoltre acquisito materiale didattico cartaceo<br />

(dispense) utilizzato da alcuni SIAN nei corsi in oggetto.<br />

• Le informazioni sull'andamento generale dei corsi organizzati nelle ASL piemontesi sono<br />

state acquisite attraverso la Direzione Regionale di Sanità Pubblica.<br />

RISULTATI<br />

Rispetto al programma didattico svolto nell'<strong>anno</strong> corrente, i corsisti h<strong>anno</strong> proposto un<br />

maggior approfondimento delle problematiche legate alla vendita dei prodotti fitosanitari, in<br />

particolare delle disposizioni normative vigenti. Tenendo conto di questa osservazione, è stato<br />

realizzato un testo su CD, utilizzabile come testo didattico di base, per il modulo di<br />

insegnamento "aspetti sanitari" nei corsi obbligatori di formazione/aggiornamento per i<br />

476


soggetti richiedenti il rilascio/rinnovo del certificato di abilitazione alla vendita di prodotti<br />

fitosanitari e coadiuvanti. Il prodotto va ad integrarsi con altro materiale regionale già in uso.<br />

L'indice degli argomenti illustrati, che di seguito si riporta, corrisponde ai contenuti del<br />

programma didattico elaborato per il modulo di insegnamento affidato al personale SIAN.<br />

INDICE/PROGRAMMA<br />

Prodotti fitosanitari: definizioni; Classificazione dei prodotti fitosanitari; Classificazione ed<br />

etichettatura dei prodotti fitosanitari; Tossicologia umana; Primo soccorso; Prevenzione<br />

intossicazioni: i DPI; Tossicità ambientale; Regolamentazione alla vendita; Normativa sui<br />

pericoli da incidenti rilevanti e sulla sicurezza dei lavoratori; Trasporto, carico e scarico dei<br />

prodotti fitosanitari; Uso e smaltimento dei prodotti fitosanitari; Sanzioni.<br />

Il testo è realizzato in una forma grafica che visivamente consente di individuare differenti<br />

aspetti nella consultazione: corsivo virgolettato: citazioni da normativa comunitaria, nazionale<br />

o regionale; nero grassetto: normativa comunitaria, nazionale o regionale; blu grassetto:<br />

parole chiave; viola: argomenti di approfondimento.<br />

Al testo è abbinata una serie di slide realizzate in formato MS power point, con collegamenti<br />

ipertestuali che rimandano a file di approfondimento in formato MS word. Le diapositive<br />

possono essere utilizzate agevolmente come supporto didattico dai docenti del modulo<br />

"sanitario" (personale sanitario dei SIAN).<br />

E' stata infine prodotta una selezione di proposte di quiz a scelta multipla per la verifica<br />

dell'apprendimento. Per ogni quesito sono possibili tre risposte, di cui una sola esatta.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

• Argomenti di interesse sanitario per il rilascio del certificato di abilitazione alla vendita di<br />

prodotti fitosanitari e relativi coadiuvanti - Art 23 DPR 290/2001 (ASL 17; ASL 18)<br />

• Corso di formazione per venditori di prodotti fitosanitari (ASL16) - Corso di formazione<br />

per venditori di prodotti fitosanitari (ASL19)<br />

• Corso per venditori di prodotti fitosanitari e relativi coadiuvanti (ASL 10) - Guida al<br />

corretto uso dei prodotti fitosanitari (<strong>Regione</strong> Abruzzo)<br />

• Guida all'uso corretto dei prodotti fitosanitari (<strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong>)<br />

• Guida per i venditori di prodotti fitosanitari (<strong>Regione</strong> Veneto)<br />

• Il manuale del commerciante di prodotti fitosanitari (<strong>Regione</strong> Emilia Romagna et al.)<br />

• Metodologie per la sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti in agricoltura (ISPSL -<br />

Dipatimento di Medicina del lavoro)<br />

• Prontuario dei fitofarmaci (Muccinelli) ed. Edagricole, decima edizione - 2004.<br />

477


Bruno Sona Filone tematico A1<br />

Bio-sicurezza negli allevamenti suinicoli: verifica dell’attuale situazione,<br />

valutazione e proposizione di un piano di adeguamento.<br />

Asl 17<br />

OBIETTIVI<br />

Fotografia della reale situazione in tema di misure di profilassi diretta e biosicurezza<br />

attualmente applicate, mediante controllo di un campione casuale di aziende suinicole;<br />

valutazione dell’effettiva efficacia e della valenza sanitaria di tali misure sia in ambito della<br />

singola azienda sia, soprattutto, nel contesto territoriale in cui la stessa è ubicata;<br />

produzione di dati sul campione scientificamente e statisticamente corretti, che possano<br />

essere successivamente utilizzati per poter elaborare correttivi e miglioramenti in modo<br />

congruo ed efficace.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Per motivi logistici la popolazione bersaglio è stata identificata nell'effettivo presente nel<br />

territorio della sola A.S.L. 17 e non di tutta la Provincia di Cuneo, come inizialmente<br />

preventivato. Tale adeguamento ha permesso una buona riduzione dei costi di realizzazione<br />

del progetto senza peraltro incidere in modo significativo sull'esito dei risultati attesi. La<br />

prima parte del lavoro ha visto l'attuazione di un campionamento casuale stratificato per<br />

tipologia e classe di ampiezza delle aziende suinicole presenti su tale territorio. In merito alle<br />

caratteristiche aziendali sono individuate quattro tipologie diverse:<br />

• Ciclo Chiuso;<br />

• Ciclo Aperto;<br />

• Ingrasso;<br />

• Altro (centro di selezione genetica, stalla di sosta, ecc.);<br />

E' stata inoltre presa in considerazione un’ulteriore categoria di insediamenti identificati come<br />

"allevamenti di tipo familiare per autoconsumo": si tratta di unità in cui è presente un numero<br />

ridotto di capi (1 o 2 suini da ingrasso o 1 scrofa con relativa prole) destinati a non essere<br />

commercializzati ma macellati e consumati in loco. In merito alle diverse tipologie gli<br />

allevamenti risultano distribuiti sul territorio come riportato nella seguente tabella:<br />

tipo A tipo B tipo C altro autoconsumo Tot.<br />

ASL 17/1 Ser.Vet. Savigliano 184 12 59 4 5 264<br />

ASL 17/1 Ser.Vet Fossano 138 13 52 2 39 244<br />

ASL 17/2 Ser.Vet. Saluzzo 101 22 55 7 38 223<br />

Tot. allevamenti 423 47 166 13 82 731<br />

Per quanto riguarda gli allevamenti di tipo "intensivo" sono identificate, per ogni tipologia,<br />

quattro classi diverse per ampiezza:<br />

• con meno di 200 capi;<br />

478


• da 201 a 500 capi;<br />

• da 501 a 1000 capi;<br />

• oltre 1000 capi.<br />

I dati necessari relativi a tipologia e classe di ampiezza per il campionamento sono stati<br />

ricavati dall'anagrafe suina del Servizio Veterinario dell'ASL 17. In considerazione del tempo<br />

disponibile e delle risorse umane e materiali utilizzabili si è ritenuto di poter campionare il 5%<br />

delle aziende per ogni categoria identificata per un totale di 37 allevamenti. E' stato eseguito<br />

un sopralluogo preliminare in ogni singola azienda individuata, con rilevazione diretta dei dati<br />

mediante compilazione di una apposita check-list composta da quattro schede relative a:<br />

• dati generali dell’allevamento;<br />

• biosicurezza interna;<br />

• biosicurezza esterna;<br />

• benessere animale.<br />

Tale sopralluogo ha permesso l'acquisizione di documentazione cartacea e fotografica. Le<br />

misure di profilassi diretta adottate sono state suddivise in tre gruppi:<br />

1. misure di biosicurezza "minime", quelle cioè di cui ogni allevamento dovrebbe essere<br />

dotato (recinzione, locale di isolamento e/o quarantena, adeguato sistema di lotta ai<br />

roditori, materiale monouso per gli interventi in azienda e per eventuali visitatori,<br />

disponibilità di idropulitrice a vapore ed idonei disinfettanti, contenitore per le carcasse<br />

degli animali morti, ecc.);<br />

2. misure di biosicurezza "standard" (accesso dei visitatori controllato, punto di disinfezione<br />

degli automezzi in entrata/uscita, rampe di carico/scarico animali esterne, tutto pieno-tutto<br />

vuoto nei singoli reparti, silos del mangime raggiungibili dall'esterno, stoccaggio carcasse<br />

animali morti raggiungibile dall'esterno, controllo microbiologico dell'acqua di bevanda);<br />

3. misure di biosicurezza "extra" (vaschette per la disinfezione delle calzature, uso di<br />

schiumogeni-tensioattivi, controllo microbiologico del seme utilizzato in f.a.(*), controllo<br />

chimico dell'acqua di bevanda, silos "dedicato" al mangime medicato, "zona filtro" fra le<br />

porcilaie e le altre strutture aziendali, ecc.). (*) alla luce di quanto rilevato durante il<br />

nostro lavoro il controllo microbiologico del seme, inizialmente valutato come misura<br />

"extra", è stato successivamente inserito fra le procedure "standard".<br />

La seconda fase della ricerca ha comportato l'elaborazione e la valutazione dei dati raccolti,<br />

con eventuali integrazioni che si sono reputate necessarie. Ad ogni gruppo di misure è stato<br />

attribuito un valore: 1 per ogni misura "minima", 2 per ogni misura "standard", 3 per ogni<br />

misura "extra" adottata. La somma dei valori ha determinato un punteggio complessivo<br />

teorico finale per ogni singola azienda, compreso fra 0 e 38. I valori rilevati sono stati<br />

compresi fra 0 e 31.<br />

RISULTATI<br />

Lo studio ha evidenziato:<br />

• gli allevamenti di proprietà sono generalmente gestiti in modo sufficiente, con attenzione<br />

alle problematiche della prevenzione e del benessere;<br />

• sta crescendo la consapevolezza che tali misure siano un mezzo per migliorare le<br />

produzioni;<br />

• alcune norme sono ancora viste come imposizioni e non come strumento produttivo;<br />

• occorre prevedere una vigilanza continua soprattutto laddove la conduzione è delegata a<br />

soggetti insensibili a tali problematice (soccide);<br />

479


• generalmente la conoscenza della normativa è scarsa;<br />

• in alcuni allevamenti, per ottenere un aumento delle produzioni, si sopperisce ai deficit<br />

strutturali in tema di profilassi con l'implementazione delle misure di benessere (es.<br />

riduzione della densità degli animali) e gestionali (TPITV, uso di particolari linee<br />

genetiche, scelta dei fornitori, ecc). Ne deriva il fatto che non sempre i risultati in termini<br />

di sanità animale sono correlabili alle misure di biosicurezza attuate.<br />

RICADUTE PER IL SERVIZIO SANITARIO REGIONALE<br />

Tutto il materiale iconografico ed i dati raccolti sono a disposizione del Servizio Sanitario<br />

Regionale quale strumento per poter emanare linee guida o prowedimenti normativi in<br />

materia di biosicurezza e prevenzione delle malattie infettive.<br />

E' indispensabile che il servizio pubblico non si limiti ad una formale azione di controllo ma<br />

fornisca attraverso personale specializzato il necessario supporto tecnico-professionale in<br />

materia di gestione igienico-sanitaria degli allevamenti. La salvaguardia dello stato di salute e<br />

di benessere degli animali sono dei "prerequisiti" per produzioni di elevato livello qualiquantitativo<br />

in un contesto di compatibilità con le esigenze di salute pubblica.<br />

480


Giovanni Succo Filone tematico C1<br />

Nuovi percorsi diagnostici in rinologia pediatrica<br />

Asl 2 - Dipartimento Chirurgia Generale e Specialistica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Lo studio ha rappresentato la logica continuazione del Progetto regionale di <strong>Ricerca</strong> dal titolo<br />

“comparazione di indagini rinologiche e di valori di inquinamento atmosferico in età<br />

pediatrica”, proposto nel periodo compreso tra l’aprile <strong>2003</strong> ed il gennaio 2004 a 204 bambini<br />

di età compresa fra tre e nove anni, residenti nella Provincia di Torino, in prossimità di<br />

stazioni di rilevamento dei gas atmosferici predisposti dall’ARPA che presentassero<br />

sintomatologia rinitica cronica superiore a tre settimane negli ultimi tre mesi. Tra il gennaio<br />

2004 ed il dicembre 2004 è stato quindi possibile selezionare un ulteriore rilevante gruppo di<br />

bambini (127) con analoga sintomatologia nei quali è stata operata una comparazione tra i dati<br />

clinici rinologici ed i dati relativi all’inquinamento da agenti volatili outdoor.<br />

OBIETTIVO<br />

E’ stato quindi possibile offrire ad ulteriori 127 bambini “rinitici” un protocollo diagnostico<br />

rinologico completo di I e II livello, al fine di giungere a precise conclusioni diagnostiche da<br />

mettere a disposizione del Medico Pediatra Curante per l’impostazione di una scelta<br />

terapeutica razionale.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Come per la prima fase del progetto, i bambini sono stati suddivisi in categorie sulla base<br />

dell’ubicazione della propria abitazione al fine di ottenere una stratificazione che ricalcasse la<br />

suddivisione del territorio in siti (tipo A, B, C e D) diversi per quanto concerne la<br />

concentrazione di inquinanti outdoors, sulla base dei dati forniti dall’ARPA. Questo al fine di<br />

comparare i dati clinici (rinologici, allergologici e citologici) con i dati ARPA relativi<br />

all’inquinamento rilevati in tre diverse aree residenziali:<br />

1. Urbana, ad elevato tasso di inquinamento (siti ARPA B e C),<br />

2. Suburbana a moderato tasso di inquinamento (sito D)<br />

3. Rurale, a basso tasso di inquinamento (sito A).<br />

Effettuato così l’inquadramento diagnostico è stato possibile inviare al Medico Pediatra<br />

Curante i piccoli pazienti per l’impostazione della terapia, dopo aver inserito in un data base,<br />

comune a tutti i Pediatri, i dati derivanti dalla visita.<br />

A ciascuno dei “nuovi” bambini giunti alla nostra attenzione con sintomatologia rinitica<br />

cronica è stato pertanto offerto il “pacchetto rinologico” diagnostico completo, comprendente<br />

anamnesi, esame obiettivo otorinolaringoiatrico (rinoscopia anteriore e posteriore con fibre<br />

ottiche flessibili pediatriche e rinocitogramma). Queste valutazioni, cosiddette di I livello,<br />

sono state effettuate presso il Centro di Rinologia F. Bergadano attivo presso l’UOA di<br />

Otorinolaringoiatria dell’ospedale Martini di Torino in un’unica seduta, sempre con accesso<br />

diretto, con impegnativa del Pediatra di base, senza oneri aggiuntivi a carico del SSN né<br />

dell’utente. Come per la prima parte dello studio, qualora se ne sia ravveduta l’opportunità<br />

(per esempio in caso di positività per eosinofili al rinocitogramma, di anamnesi familiare<br />

481


positiva, di obiettività positiva per allergia) sono stati effettuati esami di II livello, come test<br />

allergologici (Prick, PRIST, RAST, fino a test di provocazione nasale specifici ed aspecifici).<br />

Considerato che tra gli obiettivi di questo secondo studio c’era quello di consolidare suddetto<br />

algoritmo diagnostico aggiungendo esami di III livello, sono stati introdotti il test della<br />

clearance muco-ciliare e la rinomanometria, ovviamente solo nei casi in cui ci si trovasse di<br />

fronte a pazienti con sintomatologia persistente e ribelle. Il test della clearance che com’è noto<br />

consente di valutare il grado di compromissione morfo-funzionale dell’epitelio respiratorio, è<br />

risultato negativo o rallentato nella pressoché totalità della popolazione esaminata, a conferma<br />

del fatto che nei piccoli pazienti, e la fisiologica ipertrofia del tessuto adenoideo e l’aumento<br />

della viscosità del muco, determinano un’impropria funzione mucociliare. La rinomanometria<br />

è stata effettuata soprattutto nei piccoli pazienti non collaboranti (cui non è stato quindi<br />

possibile eseguire la fibroscopia e visualizzare interamente le fosse nasali), è stato possibile<br />

esprimere in termini quantitativi l’esistenza di un’insufficiente pervietà nasale, totale o<br />

limitata ad una singola fossa. Con l’analisi della curva rinomanometrica, eventualmente unita<br />

a semplici test di dilatazione meccanica del vestibolo nasale o di instillazione di<br />

vasocostrittori si è potuto localizzare un ostacolo a livello del vestibolo nasale, della fossa<br />

nasale o del rinofaringe.<br />

Al termine dello Studio sono state quindi correttamente classificate le forme rinitiche<br />

nell’ambito delle seguenti varianti:<br />

A. rinite cronica infettiva: 105<br />

B. rinite infiammatoria allergica: 31<br />

C. NARES: 10<br />

D. rinite infettiva da ipertrofia adenoidea: 110<br />

E. rinite cronica infiammatoria non infettiva: 46<br />

F. altre forme di rinite: 39<br />

I dati raccolti sono stati quindi incrociati con i dati relativi all’inquinamento atmosferico<br />

pubblicati dall’ARPA e come per la prima parte dello studio si è evidenziato un trend di<br />

maggiore frequenza di forme rinitiche croniche tipo A, D, E nei bambini residenti in<br />

prossimità dei siti ARPA tipo B e C, caratterizzati da un più elevato tasso di inquinamento<br />

atmosferico. Non sono state riscontrate differenze di concentrazione per forme rinitiche tipo<br />

B, C, F nei bambini residenti pressi i siti con diverso tasso di inquinamento. Il compito di<br />

impostare il protocollo terapeutico è stato demandato al Pediatra ed i risultati sono in continuo<br />

monitoraggio e mediante follow-up e per mezzo di ulteriori indagini in caso di<br />

persistenza/recrudescenza della sintomatologia.<br />

L’obiettivo raggiunto è stato quello di aggiungere un dato, nella fattispecie il peso<br />

dell’inquinamento volatile outdoor, nel complesso di informazioni necessarie al corretto<br />

inquadramento diagnostico e nella valutazione degli outcomes terapeutici della rinite cronica<br />

in età pediatrica.<br />

482


Nicola Surico Filone tematico A4<br />

Ipotiroidismo subclinico da carenza iodica in gravidanza. Valutazione<br />

nella popolazione novarese<br />

Università “A. Avogadro” del <strong>Piemonte</strong> Orientale<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Come dimostrato da molti studi, condotti soprattutto negli ultimi trent’anni, lo stato ormonale<br />

della tiroide materna gioca un ruolo fondamentale nel determinare il corretto sviluppo<br />

neuropsichico del nascituro. Un’associazione causale tra l’ipotiroidismo in gravidanza e lo<br />

scarso sviluppo cognitivo del bambino è stata posta sulla base di osservazioni di alcuni Autori<br />

che h<strong>anno</strong> fatto emergere una correlazione inversa tra la gravità dell’ipotiroidismo materno,<br />

come evidenziato da valori di TSH superiori al 98° percentile della normale popolazione, ed il<br />

quoziente intellettivo nei figli di queste donne. E’ altresì emerso come non siano solo le<br />

condizioni di ipotiroidismo clinicamente manifesto a costituire un rischio per l’esito della<br />

gravidanza (aumentando queste la percentuale di morte fetale tardiva ed altre complicanze<br />

ostetriche) e per il futuro sviluppo neuropsichico del bambino, ma anche gli stati di<br />

ipotiroidismo subclinico, ossia quelle condizioni in cui la gravida, pur essendo asintomatica,<br />

ha valori di tireotropina superiori alla norma. Tali considerazioni h<strong>anno</strong> avvalorato le<br />

motivazioni, già poste in precedenza, in favore di uno screening routinario del TSH, al fine di<br />

migliorare l’esito della gravidanza ed il benessere della madre. Le due cause principali di<br />

ipotiroidismo subclinico nel corso della gestazione sono rappresentate dai disturbi<br />

autoimmuni della tiroide materna e dalla carenza di iodio, che colpisce entrambe le funzioni<br />

tiroidee materna e fetale: quest’ultima ci è sembrata di particolare interesse da indagare, dal<br />

momento che il Novarese è una zona endemica per essa.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Abbiamo pertanto studiato un totale di 676 gravide, con lo scopo di analizzare i loro tassi<br />

ematici di TSH per valutare l’eventuale presenza di disturbi tiroidei in stato subclinico con<br />

una frequenza tale da giustificare l’impostazione futura di programmi di screening e di<br />

prevenzione volti a ridurre l’incidenza delle complicanze materno-fetali che ne possono<br />

conseguire. Sono state escluse le pazienti con precedenti tireopatie note (es. ipo- od<br />

ipertiroidismo già presenti prima della gravidanza) e quelle in terapia con farmaci che<br />

potessero influenzare la funzione tiroidea (es. neurolettici - clorpromazina, aloperidolo;<br />

antiaritmici - amiodarone; glucocorticoidi; antiemetici - metoclopramide; mezzi di contrasto,<br />

etc.).<br />

Tutte le donne erano residenti in Novara o nelle zone afferenti alla sua provincia ed avevano<br />

dato il loro consenso all'inclusione nello studio. In 14 delle 676 gravide il TSH non si è potuto<br />

misurare, lasciando così un totale di 662 donne (97.93%) per le quali i risultati sono stati<br />

disponibili. In prima giornata successivamente al parto (spontaneo o taglio cesareo), insieme<br />

agli esami di routine è stato dosato dunque il TSH mediante metodiche radioimmunometriche,<br />

considerandolo nella norma se compreso nel range 0.2-3.5 mU/L. Si è considerato che una<br />

donna avesse un disturbo tiroideo subclinico nel caso in cui avesse un valore di TSH < 0.2 o ><br />

3.5 mU/L. Per quanto riguarda l'analisi statistica dei dati, per i valori di TSH considerati sono<br />

stati calcolati i parametri statistici di base (media, mediana, campo di variazione, varianza,<br />

483


deviazione standard, asimmetria standard ed accentramento standard) e sono stati applicati tre<br />

tests statistici per valutare se la distribuzione normale fosse appropriata per descrivere la<br />

popolazione in studio (chi-quadro, Kolmogorov-Smirnov, EDF).<br />

E’ emerso come solo 9 delle 662 donne per le quali i risultati sono stati disponibili (1.36%)<br />

avessero valori di TSH < 0.2 mU/L, contro le 85 (12.8%) che li avevano invece > 3.5 mU/L.<br />

Dal momento che il valore di P nei tests condotti è sempre inferiore a 0.01, possiamo<br />

affermare che la popolazione in oggetto non presenti una distribuzione normale dei valori di<br />

TSH con una confidenza del 99 %, per cui risulta essere una popolazione a maggior incidenza<br />

di ipotiroidismo subclinico.<br />

Ci troviamo pertanto d’accordo con la proposta, avanzata da alcuni Autori che h<strong>anno</strong> condotto<br />

studi analoghi in vari Stati Europei, secondo la quale tutte le donne dovrebbero iniziare ad<br />

integrare la loro dieta abituale, nel corso della gravidanza e dell’allattamento, con 200-300<br />

mg/die di iodio, sottoforma di tavolette di KI o KIO3 o composti vitaminici-minerali<br />

(sconsiglieremmo invece il sale iodato, usato come strategia preferenziale nella maggior parte<br />

dei programmi di salute pubblica volti alla correzione dei disturbi da carenza di iodio, poiché<br />

questo non è il vettore ideale in gravidanza e durante l’allattamento, a causa della necessità di<br />

limitare l’apporto di sale), previa esclusione, attraverso il dosaggio degli autoanticorpi antitiroide,<br />

di un disturbo autoimmune, nel qual caso la somministrazione di iodio potrebbe<br />

potenziare il disturbo stesso; in tal caso, l’approccio terapeutico più indicato sarebbe infatti<br />

senz’altro la somministrazione di tiroxina.<br />

484


Luca Tamagnone Filone tematico C1<br />

Semaforine e loro recettori come obiettivo diagnostico e terapeutico nel<br />

trattamento dei tumori umani<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Oncologiche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Le metastasi sono la causa piu’ frequente di morte per tumore. Pertanto, lo studio dei<br />

meccanismi della progressione invasiva e metastatica dei tumori e’ un obiettivo primario della<br />

ricerca di base e clinica, al fine di migliorare la valutazione prognostica e soprattutto allo<br />

scopo di trovare nuove terapie efficaci. E’ noto che la progressione dei tumori e’ un processo<br />

a tappe multiple, che inizia con la crescita del tumore in situ, continua con l’acquisizione di<br />

invasivita’ locale, seguita dalla disseminazione e la crescita in sedi lontane. Mentre numerose<br />

alterazioni genetiche sono state implicate nelle prime fasi della progressione tumorale, sono<br />

poche quelle che siano state associate alla progressione verso la metastasi. Con questo studio<br />

ci si proponeva di studiare il potenziale ruolo nella progressione neoplastica di uno specifico<br />

gruppo di geni, codificanti le Semaforine e i loro recettori. Le semaforine sono una grande<br />

famiglia di segnali molecolari coinvolti nel controllo della migrazione cellulare, del<br />

differenziamento, e di molte altre funzioni biologiche; i loro recettori sono le plexine e le<br />

neuropiline. La semaforina 4D e il suo recettore specifico PlexinaB1 attivano il programma di<br />

crescita invasiva ed angiogenesi mediato dalla tirosina chinasi MET. Per altre semaforine si<br />

sospetta invece un ruolo onco-soppressore: ad esempio, sono state osservate frequenti perdite<br />

di eterozigosita’ (LOH) in tumori polmonari non a piccole cellule dei geni Sema3B e Sema3F.<br />

Infine, la Sema3A agisce come regolatore dell’angiogenesi.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Si e’ studiato il livello di espressione della PlexinaB1, il recettore della Sema4D che associa<br />

Met e media la crescita invasiva di cellule tumorali in vitro, in un ampio spettro di tumori<br />

umani (in collaborazione con il Prof. G. Valente, Universita’ del <strong>Piemonte</strong> Orientale).<br />

Lo studio e’ stato condotto su campioni fissati e inclusi in paraffina. I tumori sono stati<br />

studiati con la tecnica della immunoistochimica, utilizzando tra l’altro un anticorpo diretto<br />

contro la Plexina-B1 ottenuto nel nostro laboratorio del proponente (EC-3).<br />

Dall’analisi e’ emerso che l’espressione di PlexinaB1 e’ elevata in alcuni tipi di tumori (ad<br />

esempio carcinoma mammario e carcinoma prostatico) ma non si e’ osservata una<br />

significativa correlazione tra il livello di espressione e il grado di malignita’ del tumore. Non<br />

e’ stato possibile studiare l’espressione di altre semaforine o loro recettori per la non<br />

disponibilita’ di anticorpi validi. Proprio per questo motivo, abbiamo avviato la produzione di<br />

anticorpi anti-peptide diretti contro PlexinaB2, Sema4D e PlexinaD1.<br />

Per verificare il ruolo patogenetico in vivo dei geni allo studio e’ stato impiegato un modello<br />

sperimentale di progressione neoplastica, costituito dal trapianto di cellule di carcinoma<br />

mammario umano MDA-MB435 o di carcinoma bronchiale A549 in topi nonimmunocompetenti.<br />

Queste cellule tumorigeniche sono state tradotte ex-vivo con vettori<br />

lentivirali che inducono una aumentata espressione di una ampia serie di semaforine o<br />

plexine, al fine di studiare come si modifica il loro comportamento tumorigenico. Dopo una<br />

opportuna caratterizzazione in vitro, queste verr<strong>anno</strong> introdotte a livello sottocutaneo in topi<br />

485


nudi e lo sviluppo di tumori locali e’ stato valutato lungo un periodo di 6-8 settimane. Al<br />

termine dell’eseprimento, dopo il sacrificio degli animali, si sono valutate le caratteristiche<br />

morfologiche e molecolari dei tumori primitivi (incluso indice di proliferazione, apoptosi,<br />

neoangiogenesi) e delle eventuali metastasi ematogene a livello polmonare. In alcuni casi<br />

abbiamo osservato che la semaforina induce una ridotta velocita’ di accrescimento del tumore<br />

(es. Sema3B, articolo in preparazione). Al contrario, si e’ talora osservata una aumentata<br />

invasivita’, accompagnata dalla formazione di molte metastasi a distanza (Sema3E;<br />

Christensen et al., 2005 e articolo in preparazione).<br />

La cosa che ci ha sorpreso e’ che l’espressione di queste semaforine nelle cellule tumorali non<br />

produceva differenze di comportamento quando queste ultime venivano analizzate in coltura,<br />

ma solo dopo il loro impianto nel modello animale. Questa osservazione suggerisce che le<br />

semaforine prodotte dalle cellule tumorali abbiano la capacita’ di regolare il complesso di<br />

eventi che costituiscono la reazione tissutale al tumore. Questi comprendono ad esempio: il<br />

reclutamento di leucociti nella sede del tumore e la neo-angiogenesi tumorale. Lo studio di<br />

questi processi nei campioni tumorali e’ in corso. Un altro risultato interessante e’ quello<br />

ottenuto con la espressione di una semaforina solubile, la Sema3A in cellule metastatiche<br />

A549 derivate dal carcinoma polmonare. Abbiamo osservato che il tumore primitivo risultava<br />

ridotto in dimensioni, anche se non ai livelli indotti da altre semaforine analoghe. Questi dati<br />

sono coerenti con uno studio indipendente condotto in cellule di mesotelioma (Catalano et al.,<br />

2004). La cosa piu’ interessante e’ pero’ che l’espressione di questa semaforina in cellule<br />

tumorali ha eliminato quasi completamente l’insorgenza di metastasi a distanza nel nostro<br />

modello sperimentale. Ulteriori studi sono in corso per validare il potenziale terapeutico di<br />

questa molecola (o di molecole derivate) nel bloccare la progressione neoplastica.<br />

CONCLUSIONI<br />

La PlexinaB1 e’ espressa in un sottogruppo di tumori umani; tuttavia non e’ emersa una<br />

correlazione con il grado di malignita’ o la tendenza a metastatizzare. Si ipotizza dunque un<br />

altro meccanismo alla base dell’attivazione di questo recettore. La espressione di Sema3E, in<br />

modelli sperimentali animali, sembra essere responsabile di un comportamento altamente<br />

invasivo e metastatico dei tumori mammari. Il meccanismo responsabile e’ attualmente allo<br />

studio. La Sema3A sembra agire come inibitore del processo invasivo metastatico in un<br />

modello sperimentale di tumorigenesi.<br />

486


Martina Tarantola Filone tematico A6<br />

Studio di alcuni parametri correlati allo stress nel vitellone<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia<br />

MATERIALI E METODI<br />

Il progetto di ricerca è iniziato nel mese di giugno 2004, con un primo prelievo di sangue (T1)<br />

ai 32 vitelloni di razza piemontese stabulati in 4 aziende diverse scelte in base sia alla loro<br />

vicinanza/lontananza dal macello sia dal tipo di stabulazione (animali tenuti legati alla catena<br />

o liberi nei box.). Sono stati quindi formulati dei questionari con domande relative ai<br />

parametri strutturali dell’aziende, alla gestione dell’animale, all’alimentazione. Sono stati<br />

eseguiti dei prelievi di sangue dopo sei mesi (T2) e a fine ciclo, a circa 18 mesi di età, ovvero<br />

prima del trasporto (T3) e al loro arrivo al macello (T4). E’ stata valutata la funzionalità del<br />

sistema immunitario mediante i test di migrazione leucocitaria e la misurazione della<br />

concentrazione sierica di IgG; quindi lo stress ossidativo, utilizzando il test TBARS (dosaggio<br />

dell’ossidazione delle LDL con sostanze reattive all’ac. tiobarbiturico) e il test di Greiss<br />

(concentrazionei plasmatica dei nitriti). E’ stato inoltre valutato, con metodiche RIA, il<br />

dosaggio di cortisolo e progesterone. Al momento della macellazione sono stati prelevati<br />

campioni di timo per la valutazione di eventuali alterazioni morfopatologiche.<br />

RISULTATI<br />

Concentrazione ematica di cortisolo(ng/ml)<br />

Animali allevati a stabulazione libera: non sono emerse differenze statisticamente<br />

significative tra T1 (4.6 ± 0.6) T2 (4.5 ± 0.9), e T3 (4.0 ± 0.7) mentre in seguito a trasporto T4<br />

i livelli di cortisolo sono aumentati in modo statisticamente significativo (9.2 ± 1.0), P< 0.003<br />

(Student’s t test). Animali allevati a stabulazione fissa: i livelli sierici di cortisolo sono<br />

risultati aumentare in modo statisticamente significativo a T2 6.7 ± 0.9 e T3 6.7 ± 0.8 rispetto<br />

a T1 3.0 ± 0.6, P< 0.05 (Tukey Multiple Comparison test). Anche in questo caso il trasporto<br />

degli animali al macello ha determinato un aumento statisticamente significativo dei livelli<br />

ematici dell’ormone (T4 20.6 ± 1.2.), P< 0.0001 (Student’s t test). Per quanto riguarda i<br />

risultati ottenuti prima del trasporto, si può dire che tra animali allevati a stabulazione libera e<br />

fissa esistono differenze statisticamente significative: liberi: 4.0 ± 0.7, fissi: 6.7 ± 0.8, P< 0.02<br />

(Student’s t test). Tale differenza è stata inoltre confermata in seguito al trasporto degli<br />

animali al macello, liberi: 9.2 ± 1.0, fissi: 20.6 ± 1.2, P< 0.0001 (Student’s t test).<br />

Concentrazione ematica di progesterone(ng/ml)<br />

Animali allevati a stabulazione libera: i livelli ematici di progesterone si sono rivelati<br />

relativamente costanti con un’unica variazione statisticamente significativa a T3: T1 AB 0.12<br />

± 0.02, T2 A 0.19 ± 0.03, T3 B 0.091 ± 0.025, A vs B P= 0.02 (Tukey Multiple Comparison<br />

test).Negli stessi animali le concentrazioni di progesterone h<strong>anno</strong> subito un aumento dopo il<br />

trasporto che tuttavia non si è rivelato statisticamente significativo. Animali allevati a<br />

stabulazione fissa: l’unica differenza statisticamente significativa individuata è stata la<br />

diminuzione dei livelli di progesterone a T3: T1 AB 0.09 ± 0.03, T2 A 0.12 ± 0.02, T3 B 0.05<br />

± 0.002. A vs B P= 0.02 (Tukey Multiple Comparison test). Tuttavia occorre sottolineare la<br />

variabilità dei dati come dimostrato dai valori di SEM. Il trasporto al macello ha determinato<br />

487


un incremento statisticamente significativo dei livelli ematici di progesterone analogamente a<br />

quanto osservato per il cortisolo: T3 0.05 ± 0.002, T4 0.39 ± 0.08, P= 0.0002 (Student’s t<br />

test). Paragonando infine i livelli ematici di progesterone prima del trasporto tra soggetti a<br />

stabulazione libera e fissa emerge che questi ultimi presentano concentrazioni<br />

tendenzialmente inferiori di ormone, benché tale differenza non appaia statisticamente<br />

significativa. Il trasporto sembra invece indurre effetti maggiori nel gruppo degli animali<br />

allevati a stabulazione fissa in cui l’incremento di progesterone risulta significativamente<br />

maggiore rispetto agli animali a stabulazione libera: Liberi:0.12 ± 0.03, fissi: 0.39 ± 0.08 P=<br />

0.01 (Student’s t test).<br />

Misurazione della concentrazione sierica delle IgG: non sono state riscontrate differenze<br />

statisticamente significative.<br />

Chemiotassi: non sono state rilevate differenze statisticamente significative, eccetto per i<br />

soggetti in stabulazione fissa rispetto ai soggetti a stabulazione libera, prima del trasporto;<br />

questi ultimi h<strong>anno</strong> presentato una maggiore percentuale di migrazione (P


Corrado Tarella Filone tematico C1<br />

Lunghezza del telomero come marker di istopatogenesi nelle patologie<br />

linfoproliferative mature della serie<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina e Oncologia Sperimentale<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

I telomeri sono le estremità fisiche dei cromosomi. Essi, fisiologicamente, subiscono un<br />

progressivo accorciamento nel corso delle ripetute divisioni cellulari, fino al raggiungimento<br />

di una lunghezza che innesca un meccanismo di senescenza cellulare promuovente un<br />

progressivo arresto proliferativo. La maggior parte delle cellule tumorali, invece, dopo un<br />

iniziale marcato accorciamento telomerico, riattivano l’enzima telomerasi, mantenendo<br />

lunghezze telomeriche che permettono loro di sfuggire alla senescenza e di crescere<br />

illimitatamente. Nei tumori ematologici la lunghezza telomerica (TL) e l’attività telomerasica<br />

(TA) riflettono la storia replicativa del linfocita B dal quale derivano, risultando quindi molto<br />

eterogenei.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Sulla base di queste premesse ci siamo prefissati i seguenti obiettivi ottenendo i risultati sotto<br />

riportati.<br />

1. Valutare eventuali differenze di TL tra i vari sottotipi di NHL.<br />

A tale scopo abbiamo condotto uno studio volto a valutare la lunghezza dei frammenti di<br />

restrizione telomerica (TRF) su 123 campioni di sangue periferico, midollare o linfonodi,<br />

ottenuti da 117 pazienti affetti dalle più comuni patologie linfoproliferative. Nel complesso, la<br />

popolazione in esame si è dimostrata estremamente eterogenea in termini di TL, con un TRF<br />

medio di 6170 bp e una deviazione standard di ±1985 bp. La mediana dei TRF nell'intera<br />

popolazione in studio è risultata essere di 6060 bp (1896-11200 bp). Non sono state osservate<br />

correlazioni significative tra la TL e le caratteristiche demografiche, i parametri clinici o i<br />

parametri biologici.<br />

2. Confrontare la lunghezza dei frammenti terminali di restrizione dei telomeri (TRF)<br />

con il tipo istologico di linfoma.<br />

Abbiamo osservato marcate differenze in termini di TL tra i diversi sottotipi istologici. Il<br />

linfoma follicolare (FL), il linfoma di Burkitt (BL) e il linfoma diffuso a grandi cellule<br />

(DLBCL), presentano i più alti valori di TRF (7383, 9471 e 7789 bp, rispettivamente). Al<br />

contrario, la leucemia linfatica cronica (CLL) e il linfoma mantellare (MCL) presentano<br />

telomeri corti (3582, 4346 bp) con una lunghezza spesso al limite della soglia della<br />

senescenza. Valori di TRF intermedi sono presenti nel linfoma della zona marginale (MZL)<br />

(5969 bp) e nel mieloma multiplo (MM) (6283 bp). Confrontando la TL dei linfomi indolenti<br />

trattati convenzionalmente (sopravvivenza mediana superiore a 3 anni: CLL, FL, MZL) con i<br />

sottotipi più aggressivi (sopravvivenza mediana inferiore a 3 anni: BL, DLCL, MCL) non<br />

abbiamo notato significative differenze di lunghezza del DNA telomerico a favore dei primi.<br />

489


Pertanto le variazioni di lunghezza non possono essere attribuite ad una più marcata cinetica<br />

proliferativa, come ipotizzato in particolare da studi condotti sulla CLL.<br />

3) Valutare se la TL e la TA correlino con l'origine istologica rispetto al centro<br />

germinativo (GC).<br />

Data l'elevata eterogeneità in termini di esperienza del GC in diversi sottotipi istologici<br />

(inclusi MCL, CLL, DLCL e MZL) abbiamo voluto osservare se esistesse un'associazione tra<br />

origine rispetto al GC e TL. La derivazione dal centro germinativo è stata valutata mediante<br />

l’approccio a tutt’oggi più affidabile, ovvero la presenza o l’assenza di mutazioni somatiche<br />

nella sequenza della regione variabile riarrangiata delle immunoglobuline, che distingue le<br />

cellule “GC-inexperienced” e “GC-experienced”. Queste ultime vengono poi suddivise in<br />

“GC-derived” e “post GC-derived” mediante la ricerca delle “ongoing somatic mutations”<br />

(OSM),effettuata mediante valutazione della variabilità intraclonale del riarrangiamento<br />

clonale delle immunoglobuline. Effettivamente, le cellule di linfomi originati dal GC (BL, FL,<br />

DLBCL) possiedono telomeri molto più lunghi rispetto ai tumori non derivanti dal GC (CLL,<br />

MCL, MM). Questa osservazione suggerisce come nella linfomaigenesi di questi tumori<br />

avvenga solo una minima erosione telomerica, contenuta dalla spiccata TA della cellula<br />

bersaglio dell'evento trasformante. Questa evidenza avvalora l'ipotesi che la cellula interessata<br />

dall'evento tumorigenico sia telomerasi positiva ”ab initio”, e che quindi nel corso della<br />

tumorigenesi nel GC, non sia richiesta la riattivazione di questo enzima. Si può quindi<br />

ipotizzare che all'interno del GC sia fisiologicamente inattivo un importante checkpoint<br />

antineoplastico, che spiegherebbe la maggior incidenza di tumori originanti dal GC rispetto a<br />

quelli non originanti dal GC.<br />

RICADUTE E POSSIBILI SVILUPPI<br />

La lunghezza del telomero costituisce pertanto un importante marcatore di istopatogenesi<br />

nelle malattie linfoproliferative della serie B. Da un lato l’analisi delle TL può diventare un<br />

utile strumento prognostico e di orientamento terapeutico, in quanto consente di fornire in<br />

modo semplice ed efficace importanti dati sull’istopatogenesi dei disordini linfoproliferativi.<br />

Dall’altro i sottotipi di linfoma a telomero molto corto da noi identificati rappresentano un<br />

attraente bersaglio per l’induzione della senescenza farmacologica nelle cellule tumorali, un<br />

meccanismo antitumorale oggetto di estesa valutazione preclinica. Alla luce dei dati fino a<br />

questo momento ottenuti, attualmente stiamo perseguendo due obiettivi di ricerca:<br />

• verificare il valore prognostico della lunghezza del telomero nella CLL, nel linfoma<br />

diffuso a grandi cellule e nel mieloma multiplo.<br />

• Studiare l’efficacia di un inibitore non nucleosidico della telomerasi, il BIBR1532<br />

(Boehringer), su linee cellulari di patologie linfoproliferative caratterizzate da differente<br />

lunghezza del DNA telomerico<br />

490


Pierpaolo Terragni Filone tematico C1<br />

ARDS e ventilazione oscillatoria ad alta frequenza nella prevenzione<br />

della VILI: analisi delle immagini TAC<br />

ASO S. Giovanni Battista – S.C.U. Anestesia e Rianimazione 3<br />

METODI E RISULTATI<br />

Nell'ambito del progetto “ARDS e ventilazione oscillatoria ad alta frequenza nella<br />

prevenzione della VILI: analisi delle immagini TC” (TER/001) negli ultimi due anni sono<br />

stati trattati presso il Servizio di Terapia Intensiva diretta dal Prof. V.M. Ranieri dell'Ospedale<br />

San Giovanni Battista di Torino più di 60 pazienti affetti da ARDS. Parte dei suddetti pazienti<br />

provenivano da reparti medico/chirurgici dello stesso Ospedale San Giovanni Battista; alcuni<br />

invece sono afferiti al nostro servizio essendo la Terapia Intensiva diretta dal Prof. Ranieri<br />

uno dei centri di riferimento a livello nazionale per il trattamento dell'insufficienza<br />

respiratoria acuta ed in particolare dell'ARDS. La mortalità di questa popolazione è risultata<br />

essere in linea con quella dei migliori centri a livello internazionale grazie anche al<br />

trattamento ventilatorio individualizzato basato sullo studio dei parametri di meccanica<br />

respiratoria e di morfologia del parenchima polmonare tramite l'impiego della TC torace.<br />

Molti dei pazienti affetti da ARDS e trattati presso il nostro centro h<strong>anno</strong> beneficiato di<br />

trattamenti più o meno prolungati con ventilazione oscillatoria ad alta frequenza (HFO).<br />

Nonostante l'elevato grado di criticità dei casi clinici in esame lo studio TC del parenchima<br />

polmonare è stato eseguito su 3 pazienti grazie alla disponibilità e competenza dei colleghi<br />

radiologi diretti dal Prof. Davini. Particolarmente in un caso, trattato con ventilazione<br />

differenziale con HFO per più di trenta giorni, l'analisi TC ha permesso di modificare<br />

sostanzialmente il trattamento ventilatorio del paziente contribuendo sicuramente a<br />

determinarne il netto miglioramento delle condizioni cliniche e la dimissione dalla Terapia<br />

Intesiva e dall'Ospedale.<br />

Da questa esperienza unica nel suo genere è nata una pubblicazione [1] su una rivista<br />

internazionale ad elevato impact factor che è servita da spunto ad altri gruppi di lavoro per<br />

intraprendere strategie terapeutiche fino ad allora difficilmente applicabili clinicamente anche<br />

se ben supportate sul piano teorico; si tratta infatti del primo case report di ventilazione<br />

differenziale dell'adulto in cui i parametri ventilatori sono stati definiti in base ai dati derivati<br />

dall'esame TC. Sulla scia dei confortanti risultati ottenuti dai primi pazienti il protocollo di<br />

studio è stato esteso a tutti i pazienti affetti da ARDS ricoverati presso la nostra divisione. In<br />

questo breve lasso di tempo sono stati così studiati circa 25 pazienti tramite l'analisi TC e i<br />

relativi parametri bioumorali di flogosi (mediante l'analisi delle citochine pro ed<br />

antinfiammatorie) sia locali (su lavaggio broncoalveolare) che sistemici su plasma.<br />

I risultati ottenuti sono ora in corso di analisi statistica sia da parte nostra sia da parte di altri<br />

gruppi europei che si sono dimostrati sin dall'inizio, in base ai dati preliminari, estremamente<br />

interessati al protocollo da noi adottato e coi quali la collaborazione è tuttora aperta. In sintesi<br />

dai risultati del progetto “ARDS e ventilazione oscillatoria ad alta frequenza nella<br />

prevenzione della VILI: analisi delle immagini TC” è risultato che il trattamento ventilatorio<br />

secondo il protocollo NIH, che attualmente costituisce il gold standard del trattamento nei<br />

pazienti affetti da ARDS, non è completamente protettivo in tutti i pazienti (riscontro di segni<br />

d'iperinflazione alla TC e rialzo dei valori di IL 6 su BAL ). Questa sarebbe la prima evidenza<br />

presente in letteratura in tal senso e spingerebbe ulteriormente a cercare di migliorare il<br />

trattamento e quindi migliorare l'outcome della popolazione in esame. Inoltre i risultati di<br />

491


questo progetto sono stati presentati, suscitando notevole interesse, sia al congresso europeo<br />

(ESICM di Amsterdam 2005) sia a quello italiano (SIAARTI) di Terapia Intensiva [2-3].<br />

PUBBLICAZIONI<br />

1. Terragni P, Rosboch G, Corno E, Menaldo E, Tealdi A, Borasio P, Davini O, Viale A,<br />

Ranieri V: Indipendent High Frequency Oscillatory Ventilation in the management of<br />

asymmetric Acute Lung Injury. Anesth Analg 2005; 100: 1793-1796<br />

2. Terragni P, Rosboch G, Tealdi A, Menaldo E, Corno E, Bonetto C, Davini O, Ranieri<br />

VM: ”CT-SCAN EVIDENCE OF HYPERINFLATION DURING NIH PROTECTIVE<br />

STRATEGY VENTILATION IN ARDS PATIENTS “Int Care Med 2005; 31: S1; 274.<br />

3. G.L. Rosboch, A. Tealdi, P. Terragni, E. Menaldo, E. Corno, C. Bonetto, D.M. Locane, F.<br />

Guerriero, O. Davini, V.M. Ranieri. “Iperinflazione dinamica durante ventilazione<br />

secondo protocollo NIH in pazienti affetti da ARDS. Studio TC”; Minerva<br />

Anestesiologica 2005; Vol 71, Suppl. 2 al N° 10.<br />

492


Luciana Tessitore Filone tematico A2<br />

p27 Kip1 , un nuovo marcatore delle lesioni preneoplastiche colorettali<br />

Università del <strong>Piemonte</strong> Orientale “Amedeo Avogadro”<br />

Dipartimento di Scienze Chimiche, Alimentari, Farmaceutiche e Farmacologiche<br />

OBIETTIVI<br />

Abbiamo focalizzato il nostro studio sul ruolo della p27 Kip1 e delle lesioni preneoplastiche che<br />

sono considerate predittive per lo sviluppo del carcinoma colorettale. La p27 Kip1 è un inibitore<br />

del complesso ciclica-cinasi (CDKI) considerata un oncosoppressore poiché è frequentemente<br />

inattivato nei tumori umani in seguito ad alterazioni post-trascrizionali e raramente a<br />

delezione del gene. Abbiamo selezionato la p27, CDKI della famiglia Cip/Kip, per il nostro<br />

studio perchè topi KO per la p27 Kip1 e non per la p21 sviluppano iperplasia in vari organi e<br />

tumori ipofisari e la sovraespressione della p27 in linee cellulari di carcinoma mammario è<br />

più citotossica della p21. In particolare, abbiamo valutato i livelli di espressione e la<br />

localizzazione intracellulare della proteina p27 nella lesione preneoplastica colorettale e li<br />

abbiamo confrontati con l’espressione e la localizzazione della proteina nella mucosa distante<br />

dalla lesione preneoplastica.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Le nostre analisi sono state effettuate su campioni ottenuti da ratti maschi F344 sottoposti<br />

inizialmente ad un protocollo di cancerogenesi, il quale prevede la somministrazione sottocute<br />

di due dosi da 150mg/Kg di 1,2-dimetilidrazina (DMH) a distanza di una settimana e in<br />

seguito ad un regime dietetico arricchito di AIN 76 e acqua ad libitum. Dopo sedici settimane<br />

dal trattamento con DMH i topi sono stati sacrificati per valutare la presenza di foci di cripte<br />

aberranti (ACF) e foci depleti di mucine (MDF). Abbiamo condotto le nostre analisi su 30<br />

ACF e 30 MDF e sulla corrispettiva mucosa sana dello stesso animale. I dati relativi alla<br />

proteina nucleare e citoplasmatica sono presentati come percentuale dell’espressione della<br />

p27 Kip1 in tutte le cellule esaminate (ACF o MDF o mucosa sana).<br />

In particolare, la p27 Kip1 è espressa esclusivamente nel nucleo degli MDF nell’11± 0,8% delle<br />

cellule, è citoplasmatica nel 2,0 ± 1,1% ed è sia nucleare che citoplasmatica nel 2,3 ± 0,8%. I<br />

valori nella mucosa sana sono: 27,5±2,0% per la p27 Kip1 nucleare, il 3,0 ± 1,2% per la p27 Kip1<br />

citoplasmatica e il 8,0 ± 0,6% per la proteina sia nucleare che citoplasmatica. Negli ACF la<br />

proteina è localizzata nel nucleo nel 8,2 ± 01,1%, nel citoplasma nel 2,4 ± 0,6% e sia nucleare<br />

che citoplasmatica nel 5,0 ± 1,6% mentre nella mucosa sana la p27 è espressa a livello<br />

nucleare nel 32,9 ± 2,3%, esclusivamente nel citoplasma nel 2,1 ± 0,65%, e sia nel nucleo che<br />

nel citoplasma nel 12 ± 0,3%. Abbiamo in seguito analizzato l’espressione di altri inibitori del<br />

complesso ciclina cinasi (CDKI), la p21 e la p16 INK4 e l’abbiamo confrontata con quella della<br />

p27.<br />

La proteina p21 Cip1 appartiene alla famiglia degli inibitori universali Cip/Kip e in determinate<br />

situazioni è in grado di inibire l’apoptosi mediata da prostaglandina-A2 e Fas. La p21 Cip1 si<br />

riduce nel cancro al colon di tipo sporadico e nelle cellule tumorali non polipose (HNPCC)<br />

che sopravvivono alla terapia radiante ma non nei tumori ereditari colorettali. La mancanza di<br />

espressione di p p21 Cip1 è associata ad un deficit del meccanismo di riparazione del DNA in<br />

una linea cellulare di tumore al colon. Abbiamo preso in considerazione 5 campioni di ACF e<br />

493


5 di MDF per valutare la variazione dei livelli di espressione tra questi due tipi di lesioni<br />

preneoplastiche e tra la lesione e la corrispondente mucosa sana. I dati ottenuti dimostrano che<br />

la p21 è espressa negli MDF a livello nucleare nel 23,6±10,7%, a livello citoplasmatico nel<br />

0,5±0,7% e a livello nucleare/citoplasmatico nel 4,4±3,9%, mentre nel tessuto sano<br />

corrispondente è espressa un 28,6±17,6% a livello nucleare, un 1,6±1,5% a livello<br />

citoplasmatico e un 3,0±2,4% a livello nucleare e citoplasmatico. Negli ACF si valuta un<br />

21,1±15,7% di p21 nucleare, un 3,2±3,8% di proteina citoplasmatica e un 1,8±3,0% di<br />

proteina localizzata sia nel nucleo che nel citoplasma. Nella mucosa sana è espresso un<br />

30,8±21,0% di p21 nucleare, un 0,6±1,3% di proteina citoplasmatica e un 3,9±4,9% di p21 a<br />

livello nucleare e citoplasmatico.<br />

La proteina p16 INK4 è un membro della famiglia INK4 ed inibisce specificamente le cinasi Cdk<br />

4 e Cdk6. Il gene p16INK4a è frequentemente inattivato in molti tumori umani mediante<br />

delezione omozigotica, mentre nel carcinoma colorettale mediante un meccanismo<br />

epigenetico, l'ipermetilazione del DNA. Abbiamo valutato l’espressione della p16 INK4 nelle<br />

lesioni preneoplastiche colorettali, in particolare, in 9 MDF, in 11 ACF e nella corrispettiva<br />

mucosa sana. I dati ottenuti dimostrano che negli MDF la p16 è localizzata nel nucleo nel<br />

29,7±13,7%, a livello del citoplasma nel 1,4±1,96% e sia a livello nucleare che citoplasmatico<br />

nel 2,4±2,7% dei casi. Se confrontiamo questi dati con la mucosa sana osserviamo che la p16<br />

è espressa nel 24,6±11,9% a livello nucleare, nel 1,05±1,5% a livello citoplasmatico e nel<br />

5,5±3,77% sia nel nucleo che nel citoplasma. Negli ACF la proteina è espressa a livello<br />

nucleare nel 31,27±13,1% , a livello citoplasmatico nel 0,59±1,55% e a livello<br />

nucleare/citoplasmatico nel 3,72±3,69, mentre nella mucosa sana si osserva un’espressione di<br />

p16 nel nucleo nel 37,22±18,1% dei casi, nel citoplasma nel 1,54±3,9% e in entrambi, nucleo<br />

e citoplasma nel 5,45±5,21% dei casi esaminati. L’espressione e la localizzazione della<br />

proteina p16 non varia significativamente tra ACF ed MDF e la rispettiva mucosa sana.<br />

Nel complesso, questi dati dimostrano che la p21 e la p16 a differenza della p27 non sono<br />

inattivate nelle lesioni preneoplastiche MDF e ACF.<br />

In conclusione, l’unico inibitore del complesso ciclina cinasi che può essere indicato come<br />

marcatore prognostico del processo cancerogenetico del colon è la p27. Sviluppi futuri<br />

sar<strong>anno</strong> rivolti ad aumentare la casistica delle lesioni preneoplastiche per verificare il ruolo<br />

della p21 e della p16 nella progressione del cancro al colon.<br />

494


Mauro Torchio Filone tematico C1<br />

Le linee guida computerizzate come strumento di supporto alla<br />

decisione interattivo con la cartella clinica<br />

ASO S. Giovanni Battista – Laboratorio di Informatica Clinica<br />

OBIETTIVI<br />

Il progetto di ricerca sulle linee guida (LG) computerizzate interattive con la cartella clinica<br />

(CC) si è svolto, con la collaborazione del Dr Alessio Bottrighi (Dottorando in Informatica),<br />

nell’ambito dello sviluppo di GLARE (Guidelines Acquisition, Representation and<br />

Execution), un sistema informatizzato indipendente dal dominio per l’acquisizione e la<br />

consultazione di LG. In primo luogo si è ultimata l’implementazione della LG sull’ictus<br />

ischemico adottata dall’Azienda Molinette, ora consultabile sia in fase di acquisizione che di<br />

consultazione. Come previsto, l’attività si è quindi focalizzata principalmente su due<br />

problemi:<br />

• definizione e sviluppo di un approccio automatizzato alla contestualizzazione di LG sulla<br />

base delle risorse localmente disponibili;<br />

• studio delle ulteriori estensioni necessarie per ottenere una piena integrazione di GLARE<br />

con il DataBase Managing System (DBMS) ospedaliero e implementazione iniziale di<br />

alcune di tali estensioni.<br />

METODI E RISULTATI<br />

L’attività di analisi e studio è stata completata nell’ambito della prima borsa (6 mesi), che ha<br />

inoltre portato alla implementazione di alcune delle specifiche definite in fase di analisi; la<br />

seconda borsa ha consentito di completare il modulo di contestualizzazione e di implementare<br />

ulteriori specifiche concernenti l’integrazione col DBMS ospedaliero. Per contestualizzare<br />

una LG clinica in base alle risorse disponibili localmente si è implementato un modulo di<br />

preprocessamento (MPP) che prende in input una LG in formato XML (creata da GLARE) e<br />

restituisce la nuova LG contestualizzata in un file XML (importato da GLARE e poi salvato<br />

tramite il DBMS Cachè). Questo MPP visita la linea guida e identifica le sequenze di azioni<br />

ammissibili in base alle richieste di risorse e alle risorse disponibili; sequenze non ammissibili<br />

non sono incluse nella LG contestualizzata, che risulta contenere solo sequenze di azioni<br />

localmente eseguibili. Parallelamente ai suddetti studi e alla implementazione dei meccanismi<br />

di contestualizzazione, si è portato avanti il processo, già prima intrapreso, di integrazione di<br />

GLARE con il DBMS ospedaliero basato su Caché. L’architettura di GLARE è basata su un<br />

modello a tre livelli: il più alto è quello del sistema, ovvero i moduli di acquisizione e di<br />

esecuzione con le relative interfacce grafiche, il più basso è quello del DBMS, dove sono<br />

memorizzati i dati; quello intermedio è uno strato di documenti XML che funziona da<br />

interlingua per lo scambio di conoscenza tra gli altri due strati. E’ stato necessario operare sia<br />

sul livello del sistema sia sul livello XML. Per prima cosa si è definito il flusso di dati tra il<br />

sistema GLARE e la CC del paziente come segue:<br />

1. selezione del paziente su cui istanziare la specifica LG (mediante query SQL) dal DBMS<br />

ospedaliero;<br />

2. caricamento dei dati (mediante una serie di query SQL) dal DBMS ospedaliero e<br />

creazione del documento XML relativo alla CC del paziente;<br />

495


3. interazione del sistema GLARE con il documento XML che è l’immagine della CC del<br />

paziente contenuta nel DBMS ospedaliero;<br />

4. eventuale aggiornamento, a fine lavoro, del DBMS ospedaliero con eventuali dati<br />

aggiornati del paziente.<br />

Il vantaggio di tale schema di interazione è quello di ottenere una piena integrazione pur<br />

limitando l’interazione diretta tra GLARE e DBMS (necessariamente piuttosto lenta)<br />

solamente alle fasi di istanziazione e di fine sessione di lavoro. I cambiamenti da effettuare al<br />

sistema per realizzare le modifiche architetturali sono risultati i seguenti:<br />

1. modulo di gestione del documento XML rappresentante la CC di un paziente, ovvero il<br />

modulo di interazione tra DBMS ospedaliero e sistema GLARE (per il caricamento e il<br />

salvataggio dei dati del paziente a inizio e fine sessione di lavoro rispettivamente);<br />

2. motore di esecuzione delle linee guida sui pazienti (che deve ora interagire con<br />

l’immagine XML dei dati del paziente);<br />

3. interfaccia grafica in fase di esecuzione.<br />

Per quanto riguarda il primo punto definito, si è dovuto creare un modulo che tramite JDBC<br />

interagisca con il DBMS per recuperare, come sopra descritto, i dati, e li converta in un<br />

documento XML; inoltre questo modulo deve gestire durante l’esecuzione l’eventuale<br />

aggiornamento del documento XML, nel caso che siano introdotti nuovi dati nella CC, e il<br />

salvataggio di questi dati, sempre sfruttando JDBC. Si è dapprima individuata ed<br />

implementata la struttura del documento XML relativa all’immagine della CC del paziente:<br />

tale struttura, definita nell’ottica di fruibilità del sistema GLARE e non secondo la<br />

strutturazione definita nel DBMS ospedaliero (il modulo di caricamento/salvataggio si<br />

occupa, infatti, di fare tale conversione), differenzia tra i dati presenti nel DBMS ospedaliero<br />

e i dati dovuti ad un nuovo inserimento. Così, alla fine di una sessione di lavoro, si<br />

identificano velocemente i nuovi dati e l’aggiornamento del DBMS riguarda solamente quei<br />

dati, così da minimizzare il numero di query di update sul DBMS ospedaliero.<br />

Successivamente si è definito, realizzato e verificato il modulo per il caricamento<br />

dell’immagine XML della CC, che crea il documento XML corrispondente ai dati della CC<br />

del paziente selezionato. Grazie a tale estensione è stato possibile analizzare in maggiore<br />

dettaglio anche le modifiche da effettuare al motore di esecuzione, non più direttamente<br />

interattivo con un database ma con il documento XML prima creato. Le modifiche al motore<br />

di esecuzione riguardano il modo per ottenere i dati relativi al paziente e per gestire eventuali<br />

dati nuovi: nella precedente versione del sistema GLARE queste due operazioni erano fatte<br />

eseguendo opportune query SQL, nella nuova architettura a tre livelli il motore di esecuzione<br />

lavorerà direttamente sul documento XML attraverso opportuni metodi del classe JAVA che<br />

implementa il modulo descritto nel punto uno. Ovviamente, in base al cambiamento<br />

dell’interazione del flusso dei dati tra sistema GLARE e DBMS, la scrittura sul DBMS di<br />

eventuali nuovi dati avviene in modo sincrono alla fine dell’esecuzione della LG.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

1. Terenziani P., Montani S., Bottrighi A., et al. A Context-Adaptable Approach to Clinical<br />

Guidelines. Proc. MEDINFO 2004, San Francisco, M. Fieschi et al. eds., IOS Press,<br />

Amsterdam, 169 – 173, 2004.<br />

2. Terenziani P., Montani S., Bottrighi A., et al. Clinical Guidelines Adaptation: Managing<br />

Authoring and Versioning Issues. Proc. AIME 2005, Aberdeen, UK, July, 2005, in:<br />

Lecture Notes in Artificial Intelligence 3581, Silvia Miksch, Jim Hunter, Elpida Keravnou<br />

eds., Springer-Verlag, Berlin, 151-155.<br />

3. Terenziani P., Montani S., Bottrighi A., et al. The GLARE approach to clinical guidelines:<br />

main features. Stud Health Technol Inform, 2005, 101: 162 – 166<br />

496


Pier-angelo Tovo Filone tematico C1<br />

Impiego di TaqMan PCR per la diagnosi precoce, il follow-up e la terapia<br />

di bambini con infezione perinatale da HCV<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell’Adolescenza<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La più frequente modalità di trasmissione del virus dell'apatite C (HCV) nei bambini è<br />

rappresentata dal contagio materno-fetale. Lo studio multicentrico europeo da noi coordinato<br />

e finanziato dalla Commissione Europea ha dimostrato che il tasso di trasmissione verticale<br />

del virus è di circa il 5%, ma può essere maggiore in alcune categorie di donne, come quelle<br />

con co-infezione da HIV. Va rilevato che circa l'1% delle donne in età fertile in <strong>Piemonte</strong> è<br />

infettata dall’HCV. Il momento in cui avviene la trasmissione del virus ed i fattori di rischio<br />

rimangono poco chiari, mentre la loro conoscenza è fondamentale per lo sviluppo di possibili<br />

strategie preventive. Anche la storia naturale dell'infezione verticale da HCV è scarsamente<br />

delineata. L'HCV tende a persistere nella maggior parte dei bambini infetti. L’infezione<br />

cronica è caratterizzata da un'evoluzione subdola, che può però esitare in cirrosi ed<br />

epatocarcinoma. Le finalità della nostra ricerca erano molteplici.<br />

RISULTATI<br />

Descriviamo i risultati ottenuti in funzione degli obiettivi che ci eravamo prefissati.<br />

1. Diagnosi precoce di infezione in lattanti esposti: definizione della sensibilità e<br />

specificità di una metodica di PCR real-time.<br />

La diagnosi precoce di infezione verticale da HCV si basa sull’evidenza di HCV-RNA<br />

plasmatico tramite metodiche di espansione dell’RNA virale (PCR). Gli anticorpi specifici,<br />

acquisiti passivamente dalla madre durante la gravidanza, possono infatti persistere in circolo<br />

sino ai 18 mesi di vita, rendendo pertanto inattendibili, a fini diagnostici, i comuni test<br />

umorali. Nostre precedenti indagini (J Med Virol <strong>2003</strong>; 69:195-201) h<strong>anno</strong> documentato la<br />

scarsa sensibilità di certe metodiche di PCR qualitativa. In linea con quanto programmato<br />

abbiamo messo a punto una tecnica di real-time PCR con sistema TaqMan, utilizzando un<br />

aparecchio ABI PRISM 7700. Essa comporta l'amplificazione della regione altamente<br />

conservata 5' UTR di HCV. La sonda impiegata è un oligonucleotide coniugato nelle<br />

posizioni 5' ad un fluorocromo denominato Reporter e nella posizione 3' ad un Quencer che,<br />

nella forma di oligo intatto, ha la funzione di catturare la fluorescenza emessa dal Reporter.<br />

Nella reazione di amplificazione la DNA-polimerasi scinde l'oligo legato<br />

complementariamente alla sequenza bersaglio e libera nel mezzo di reazione il Reporter, la<br />

cui luce emessa non verrà più mascherata dal Quencer, bensì catturata da una serie di fibre<br />

ottiche ed inviata ad una CCD-camera in grado di quantificare l'entità degli impulsi luminosi.<br />

Questi vengono poi paragonati ad una curva plasmidica contenente il target a concentrazioni<br />

note. Il risultato ottenuto viene espresso in numero di copie virali per ml di plasma.<br />

L'affidabilità del test per la determinazione dell'HCV-RNA tramite TaqMan è stata analizzata<br />

a fondo e si è rivelata elevata. Oltre alle caratteristiche di maggior sensibilità, vogliamo<br />

sottolineare il significativo risparmio economico di tale metodica rispetto a quelle tradizionali.<br />

Con questa tecnica sono poi stati testati campioni sequenziali di bambini nati da donne<br />

sieropositive per HCV. I risultati ottenuti, unitamente a quelli emersi da campioni di altri<br />

497


centri europei, h<strong>anno</strong> permesso di evidenziare che, su 54 bambini nati da madri HCV positive<br />

sottoposti al test HCV-RNA PCR entro i primi tre giorni di vita, un terzo era viremico. Dei 37<br />

bambini negativi alla nascita, solo 1 non è stato ulteriormente testato per HCV-RNA, ma<br />

considerato infetto in quanto anticorpo positivo oltre i 18 mesi di età. Tra gli altri 36 bambini,<br />

l'età mediana del primo test positivo per l’RNA virale è stata di 3 mesi, con un range di 12<br />

giorni -15 mesi. In particolare, su 34 bambini negativi alla nascita e testati a tre mesi, 27 sono<br />

apparsi positivi. La ricerca di HCV-RNA eseguita nei primi tre giorni di vita si è rivelata<br />

quindi in grado di identificare un terzo dei bambini infetti. I bambini risultati negativi possono<br />

aver acquisito l'infezione durante il parto o durante l'ultimo periodo di gestazione. Dal<br />

momento che fra questi ultimi molti furono allattati artificialmente, in accordo con i dati della<br />

letteratura, si può infatti escludere una trasmissione significativa attraverso all'allattamento al<br />

seno. I risultati di questa indagine sono stati inviati, congiuntamente a quelli emersi da altri<br />

gruppi europei, ad una importante rivista per la loro pubblicazione (con citazione del grant<br />

della <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong>)<br />

2. Follow-up di bambini con infezione verticale da HCV.<br />

La storia naturale dell'infezione vertical da HCV è scarsamente delineata. Trattandosi di<br />

un'infezione cronica per lo più asintomatica nei primi anni di vita, risulta importante riuscire a<br />

stabilire possibili markers prognostici (quali il livello di carica virale nel plasma o di ALT).<br />

Le determinazioni della carica virale eseguite con la nostra metodica sono state analizzate nel<br />

contesto dello studio multicentrico europeo su una popolazione di 266 bambini con infezione<br />

da verticale da HCV seguiti prospetticamente per una mediana di 4,2 anni (range 3 mesi – 15<br />

anni). I risultati ottenuti suggeriscono che i bambini possono essere suddivisi in tre grandi<br />

categorie: 1) circa il 20% è in grado di eliminare il virus circolante e mantiene valori normali<br />

di ALT, 2) il 50% sviluppa un’infezione cronica asintomatica con viremia intermittente, 3) i<br />

rimanenti 30% v<strong>anno</strong> incontro ad epatite cronica attiva con viremia persistente. Sulla base di<br />

questi ed altri risultati sono state redatte delle linee guida europee per il corretto approccio<br />

della copia madre-bambino sieropositiva per HCV che sono state inviate per la pubblicazione<br />

(con citazione del grant della <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong>) .<br />

3. Terapia con interferon-peghilato (PEG-IFN) e ribavirina.<br />

Non è stato possibile attivare il monitoraggio della carica virale dei pazienti pediatrici in<br />

terapia per la non disponibilità del farmaco. Infatti la ditta Roche (Italia) che aveva garantito<br />

la disponibilità di entrambi prodotti, per problemi interni non è stata in grado di metterli a<br />

disposizione del nostro come di tutti gli altri centri coinvolti nel 2004. Il protocollo<br />

concordato potrà quindi essere operativo solo nel corso del 2005. L'allestimento di una tecnica<br />

di laboratorio sensibile e specifica per la diagnosi di infezione nonché per la quantificazione<br />

nel tempo della carica virale h<strong>anno</strong> quindi consentito di un significativo passo aventi sia in<br />

chiave di sensibilità ed attendibilità metodologica che di risparmio dei costi.. L'integrazione<br />

dei nostri dati in un contesto più ampio, quale lo studio multicentrico finanziato dalla<br />

Commissione Europea, ha infine permesso di ottenere risultati di sicuro rilievo internazionale.<br />

498


Anna Chiara Trompeo Filone tematico A5<br />

Influenza dell'analgesia e della sedazione sullo svezzamento del paziente<br />

dal ventilatore in Terapia Intensiva<br />

ASO S. Giovanni Battista – S.C.U. Anestesia e Rianimazione 3<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La Terapia Intensiva (ICU) è un ambiente poco confortevole sia per il paziente che per i<br />

famigliari, ed il paziente critico e' spesso spaventato, sofferente e disorientato. L'agitazione<br />

nel paziente di ICU può essere dovuta ad un dolore non adeguatamente trattato, e questo può<br />

essere a sua volta responsabile dello sviluppo della risposta da 'stress” caratterizzata da<br />

tachicardia, aumentato consumo di ossigeno, ipercoagulabilità ed immunosoppressione, con<br />

aumentato rischio di complicanze cardiocircolatorie e respiratorie. I pazienti ricoverati in ICU<br />

presentano un'alterazione qualitativa e quantitativa di sonno che è in parte responsabile di una<br />

vera forma di disfunzione d'organo precedentemente sottostimata, definita 'delirio” che può<br />

colpire fino all'80% dei pazienti ricoverati in ICU. Una deprivazione di sonno potrebbe<br />

influire sullo sviluppo del delirio, che in terapia intensiva può colpire fino all' 87% dei<br />

pazienti ed è da considerare una vera e propria disfunzione d'organo. Esso e' caratterizzato da<br />

modificazioni improvvise ed altalenanti dello stato mentale, disattenzione, alterato livello di<br />

coscienza eventualmente accompagnato ad agitazione. Uno degli obiettivi di ogni ICU e'<br />

mantenere un livello ottimale di 'comfort' del paziente garantendo un adeguato controllo del<br />

dolore, dell'ansia e del delirio. Le linee guida per la sedazione e l'analgesia in Terapia<br />

Intensiva (redatte dall'American College of Critical Care Medicine e dalla Society of Critical<br />

Care Medicine) sono state pubblicate nel 2002. Rimane da definire la scelta del miglior<br />

farmaco in base alle caratteristiche farmacocinetiche. L'insorgenza di delirio sembra essere<br />

associata ad indici di outcomes peggiori quali l'aumento dei giorni di ventilazione,<br />

l'allungamento dei tempi di degenza sia in ICU sia in ospedale ed è un predittore indipendente<br />

di incremento di mortalià a 6 mesi.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Sono stati arruolati nello studio 29 pazienti post operati (21 M) ventilati meccanicamente per<br />

un periodo superiore alle 48 ore, ricoverati presso il reparto di Terapia Intensiva dell'Azienda<br />

Ospedaliera S. Giovanni Battista di Torino. I pazienti sono stati divisi in due gruppi in base al<br />

tipo di sedazione ed analgesia utilizzata (gruppo 1) e (gruppo 2). Abbiamo anche verificato se<br />

la strategia terapeutica del gruppo 1 comporti una riduzione del numero di giorni con delirio<br />

in ICU e l'eventuale riduzione dei costi. Al raggiungimento di un Ramsay 2, momento nel<br />

quale il paziente risultava contattabile, è stata eseguita anche la valutazione del delirio (CAM-<br />

ICU) ed i pazienti sono poi stati classificati come deliranti (D) e non deliranti (ND). I pazienti<br />

avevano un'età media pari a 66±11. All'ingresso in ICU sono state raccolte le caratteristiche<br />

demografiche, la tipologia di intervento ed gli indici di gravità. Quotidianamente fino alla<br />

dimissione sono stati registrati i dati su: eventuali insufficienze d'organo (SOFA), tipologia di<br />

ventilazione, tipologia ed dosaggio di farmaci analgesici o sedativi utilizzati valutandone<br />

l'effetto con apposite scale (RAMSAY ed NRS). Durante la fase avanzata di svezzamento dal<br />

ventilatore con PS


Sono state analizzate poi Sleep efficiency, architettura e frammentazione del sonno.Sono stati<br />

utilizzati i test più appropriati per ogni gruppo.Si tratta di t-test, Mann-Whitney U test e Fisher<br />

S exact test. E' stato applicato un modello di regressione multipla per descrivere la relazione<br />

tra la qualità del sonno e le differenti variabili.<br />

RISULTATI<br />

Il delirio è stato riscontrato in 12 pazienti e studiando le caratteristiche del sonno nei due<br />

gruppi solo la percentuale di REM è risultata essere diversa e significativa . La percentuale di<br />

REM nei pazienti con delirio è risultata essere tra 0-9.8% cosicché è stato scelto come cut-off<br />

il 10% per dividere i pazienti in REM sleep deprived (RD) e normal REM (NR) e valutare<br />

così le possibili correlazioni tra sonno, delirio,durata della ventilazione e analgesia e<br />

sedazione. I due gruppi presentavano caratteristiche di base simili in termini di età,genere,<br />

incidenza di sepsi, comorbidità. Il gruppo RD, dici<strong>anno</strong>ve pazienti (65%), presentava una<br />

maggior incidenza di sepsi, sepsi severa e shock settico (84% vs 50%) anche se non<br />

statisticamente significativa, ma all'inizio dello studio aveva una condizione di maggior<br />

gravità misurata con il SAPS II score (p


Mariella Trovati Filone tematico C1<br />

Modelli organizzativi per l'automonitoraggio glicemico nel diabete di tipo<br />

2: valutazione del rapporto costi-benefici.<br />

Azienda Ospedaliera San Luigi di Orbassano<br />

OBIETTIVO<br />

Scopo del progetto è verificare se la modalità con cui viene effettuato l’autocontrollo<br />

glicemico domiciliare dai pazienti diabetici di Tipo 2 non in trattamento insulinico comporti<br />

differenze nei risultati clinici e nel rapporto rapporto costo-beneficio.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Sono stati arruolati in modo randomizzato pazienti affetti da diabete di Tipo 2 non in<br />

trattamento insulinico in compenso glicemico non ottimale (HbA1c>6.5%) seguiti in followup<br />

presso la SCDU di Malattie Metaboliche e Diabetologia dell’ASO San Luigi Gonzaga di<br />

Orbassano, randomizzandoli nei seguenti bracci:<br />

a) senza autocontrollo;<br />

b) in autocontrollo glicemico con prescrizione di strisce reattive secondo il fabbisogno<br />

“minimo” previsto dalla normativa regionale (50 strisce annue),con indicazione ad<br />

effettuare ogni mese un profilo glicemico giornaliero di quattro punti;<br />

c) in autocontrollo glicemico con prescrizione di strisce reattive tale da permettere la<br />

esecuzione quindicinale di un profilo glicemico giornaliero di 6 punti;<br />

d) in autocontrollo glicemico come al punto “b” con la raccomandazione di riferire<br />

telefonicamente all’équipe diabetologica eventuali problemi evidenziati dai profili per<br />

ottenere consigli anche prima delle prefissate visite di controllo.<br />

Poiché nel nostro ambulatorio i pazienti che non effettuano autocontrollo glicemico sono<br />

caratterizzati dalla incapacità di svolgerlo correttamente e presentano abitualmente una<br />

minore attitudine a seguire in modo adeguato le prescrizioni terapeutiche, non è stato valutato<br />

nei risultati il gruppo “a”, perché la sua inclusione avrebbe indotto ad attribuire<br />

all’autocontrollo risultati derivanti dalla differente compliance terapeutica. Sono stati inclusi<br />

nei gruppi di randomizzazione “b”, “c” e “d” solo soggetti già in autocontrollo domiciliare,<br />

che h<strong>anno</strong> continuato ad usare i reflettometri in possesso. Ciò ha permesso di valutare<br />

retrospettivamente la qualità del compenso nei sei mesi precedenti, marcatore della<br />

compliance terapeutica. Per evitare discrepanze relative ad un differente impegno educativo e<br />

clinico della èquipe diabetologica, tutti i pazienti sono stati invitati a recarsi a controllo<br />

specialistico ogni tre mesi, presentando i profili glicemici effettuati nel frattempo, ed a seguire<br />

incontri interattivi di educazione sanitaria a piccoli gruppi, al termine dei quali veniva<br />

consegnato materiale didattico sull’autocontrollo, con indicazione scritta degli obiettivi<br />

glicemici raccomandati.<br />

RISULTATI<br />

Descriviamo i risultati ottenuti nei pazienti che h<strong>anno</strong> seguito il protocollo proposto secondo<br />

tutte le indicazioni ricevute, permettendo di ricavare indicazioni cliniche accurate. Dei<br />

soggetti arruolati, 148 h<strong>anno</strong> portato a termine in modo soddisfacente lo studio. Poiché i<br />

pazienti del gruppo “d” non h<strong>anno</strong> raccolto l’invito a contattare anche solo telefonicamente<br />

l’èquipe curante qualora i profili glicemici presentassero valori che inducevano a concordare<br />

501


modificazioni terapeutiche prima del controllo trimestrale, essi sono stati uniti al gruppo “b”<br />

nell’analisi dei risultati. Per l’analisi dei risultati, i pazienti sono stati dunque suddivisi in due<br />

gruppi, definiti A e B:<br />

a) gruppo A (n=70), con schema di autocontrollo non intensivo, consistente in un profilo<br />

glicemico al mese con quattro punti glicemici giornalieri, ed utilizzazione del numero di<br />

strisce concesse dalla <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> senza variazioni del piano terapeutico standard;<br />

b) gruppo B (n=78), con schema terapeutico “intensivo” consistente in un profilo glicemico<br />

quindicinale con sei punti glicemici giornalieri. Le variazioni del piano terapeutico nel<br />

gruppo B erano giustificate dal compenso glicemico non ottimale che rappresentava un<br />

criterio di inclusione.<br />

I risultati sono espressi come m±SD. I due gruppi -scelti con metodica randomizzata- non<br />

differivano significativamente per sesso (M/F = 41/29 vs 47/31), età (63.1±9.44 vs 65.8±9.2<br />

anni), durata di malattia (10.6±8.9 vs 10.6±8.5 anni), indice di massa corporea (29.1±4.91 vs<br />

28.1±3.5), circonferenza vita (103.4±12.1 vs 102.1±8.8 cm) ed HbA1c (7.97±0.72% vs<br />

8.1±0.8%). La terapia effettuata dai due gruppi era la seguente: solo dieta: 4.3% e 10.3%; solo<br />

metformina: 14.3% e 15.4%; solo sulfoniluree: 22.9% e 23.1%; solo glinidi 11.4% e 6.4%;<br />

sulfoniluree+metformina: 42.9% e 42.3%; glinidi+metformina: 4.3% e 2.5%. Il compenso<br />

glicemico nei sei mesi precedenti era stato stabile in entrambi i gruppi, a dimostrazione di una<br />

simile compliance terapeutica: in particolare, i pazienti del gruppo A avevano presentato una<br />

modesta variazione di HbA1c da 8.26±0.93% a 7.97±0.72% (p=0.013), i pazienti del gruppo<br />

B non avevano presentato alcuna variazione (8.08± 0.75% vs 8.08±0.86%,p=ns).<br />

Al sesto mese dalla randomizzazione:<br />

1. i pazienti del gruppo A presentavano le seguenti variazioni rispetto al basale: a)Glicemia a<br />

digiuno (137.65±32.17 vs 138.74±26.07 mg/dl,ns); b)Glicemia dopo colazione<br />

(149.47±32.51 vs 153.31±30.3 mg/dl, ns); c)Glicemia dopo pranzo (157.44±36.01 vs<br />

161.9±36.9 mg/dl,ns); d)Glicemia dopo cena (162.85±39.77 vs 159.93±32.8 mg/dl,ns);<br />

e)HbA1c (7.78±1.05 vs 7.97±0.72%, ns);<br />

2. i pazienti del gruppo B presentavano le seguenti variazioni rispetto al basale: a)Glicemia a<br />

digiuno (129.61±27.33 vs 137.5±28.29 mg/dl, p=0.013); b)Glicemia dopo colazione<br />

(147.62±29.4 vs 158.3±35.86 mg/dl, p=0.004); c)Glicemia prima di pranzo (124.56±25.71<br />

vs 134.99±34.84 mg/dl, p=0.003); d)Glicemia dopo pranzo (157.32±27.93 vs 163.9±34.38<br />

mg/dl, ns); e)Glicemia prima di cena (120.27±27.06 vs 129.42±32.8 mg/dl, p=0.037);<br />

f)Glicemia dopo cena (153.22±29.42 vs 162.88±30.08 mg/dl, p=0.002); e)HbA1c<br />

(7.6±0.73 vs 8.09±0.84%, p=0.001).<br />

L’indice di massa corporea non ha subito significative modificazioni nei due gruppi (da<br />

29.1±4.9 a 29.1±4.8 nel gruppo A; da 28.1±3.5 a 28.0±3.6 nel gruppo B.Variazioni<br />

terapeutiche (tipo e/o dosaggio dei farmaci) sono state effettuate nel 28.6% dei pazienti del<br />

gruppo A e nel 42.3% dei pazienti del gruppo B. Nel gruppo B, in 2 pazienti è stata introdotta<br />

l’insulina in terapia. Dato il disegno dello studio, si esclude che un maggior contatto con<br />

l’èquipe diabetologica o una differente educazione terapeutica giustifichino le differenze di<br />

risultato, ascrivibili al differente tipo di autocontrollo effettuato.<br />

In conclusione, lo studio dimostra che un regime moderatamente più intensivo di<br />

autocontrollo domiciliare permette di avvicinarsi meglio agli obiettivi glicemici proposti,<br />

rendendo il paziente più responsabilizzato nella gestione della malattia e la èquipe<br />

diabetologica meno timorosa nell’introdurre modificazioni terapeutiche potenzialmente in<br />

grado di indurre ipoglicemie, in quanto dispone di maggiori elementi di giudizio. La riduzione<br />

nei valori di HbA1c raggiunta nel gruppo B giustifica completamente il lieve incremento della<br />

spesa per l’autocontrollo.<br />

502


Giancarlo Ugazio Filone tematico A3<br />

Monitoraggio delle particelle ultrafini nell’ambiente di vita e di lavoro,<br />

indoor e outdoor.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina e Oncologia Sperimentale<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

L’inquinamento dell’aria da materiale particellare inalabile (particolato di dimensioni 0.3, >0.5, >0.7, >1.0, >3.0 e >5.0 µm. Le condizioni climatiche sono state monitorate tramite<br />

centralina termometro-igrometro-barometrica, anemometro e pluviometro e sono state<br />

effettuate determinazioni di confronto in ambiente indoor domestico.<br />

RISULTATI<br />

La composizione percentuale su base dimensionale è stata costante in tutti i dosaggi, con il<br />

90% del PM presente inferiore a 0.5 µm (6% 0.5-0.7, 2% 0.7-1.0, 1% 1.0-3.0, 0.5% 3.0-5.0 e<br />

0.2% >5.0 µm). Il numero totale di particelle/litro è invece risultato decisamente variabile nei<br />

diversi giorni e, in misura minore, siti di prelievo, con un incremento medio >300% rispetto al<br />

valore indoor. Concentrazioni di picco di PM0.5 (> 500.000/l) sono state riscontrate nel<br />

periodo invernale, anche in occasione delle giornate ecologiche.<br />

CONCLUSIONI<br />

I risultati dello studio dimostrano come, numericamente, le particelle ultrafini costituiscano la<br />

parte preponderante del particolato sospeso, confermando l’importanza di misurazioni per<br />

conteggio in luogo delle tradizionali basate sulla massa. L’attuazione di restrizioni al traffico<br />

veicolare non ha determinato alcun effetto riscontrabile sui livelli di PM totale, diversamente<br />

dalla presenza/assenza di vento e precipitazioni o l’utilizzo di impianti di riscaldamento nei<br />

mesi freddi.<br />

503


Giovanni Vacca Filone tematico C1<br />

Trattamento farmacologico dello shock cardiogeno<br />

Università “A. Avogadro” del <strong>Piemonte</strong> Orientale<br />

Dipartimento di Scienze Mediche<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Lo scopo del presente progetto di ricerca è stato quello di valutare l’effetto del Levosimendan,<br />

farmaco già utilizzato per il trattamento dello shock cardiogeno post pericardiotomico e dello<br />

scompenso cardiaco congestizio, sul recupero funzionale del cuore in corso di shock<br />

cardiogeno causato da ischemia miocardica. Gli studi sinora condotti h<strong>anno</strong> evidenziato come<br />

il Levosimendan possa esplicare effetti cronotropo ed inotropo positivi, vasodilatanti, e antistunning.<br />

Il suo meccanismo d’azione, che lo rende efficace per il recupero della funzionalità<br />

miocardica e ne giustifica le proprietà emodinamiche, è rappresentato dall’aumento della<br />

sensibilità della troponina-C al calcio intracellulare, dalla inibizione della fosfodiesterasi III e<br />

dalla attivazione dei canali del potassio ATP-dipendenti delle cellule muscolari lisce.<br />

Mentre gli studi condotti per valutare l’efficacia del Levosimendan nel recupero funzionale a<br />

seguito di una ischemia miocardica globale sono piuttosto numerosi, le informazioni relative<br />

agli effetti emodinamici del farmaco in questione in caso di ischemia regionale del miocardio<br />

sono a tutt’oggi scarse. Inoltre, i dati di letteratura sembrano evidenziare come in questo caso<br />

il Levosimendan, se somministrato per via sistemica, tenda addirittura a peggiorare la<br />

funzionalità miocardica nella zona colpita da ischemia. Gli effetti negativi del farmaco<br />

nell’area ischemica vengono imputati dagli autori alla perdita del meccanismo di<br />

autoregolazione del flusso coronarico conseguente alla riduzione della pressione arteriosa<br />

indotta dal Levosimendan. Questo effetto, unito al furto di sangue dalle zone subendocardiche<br />

a quelle subepicardiche, provocherebbe un peggioramento della irrorazione nella zona di<br />

miocardio già colpita dalla ischemia. Anche l’aumento della frequenza cardiaca, secondario<br />

non solo all’azione diretta del farmaco in esame, ma anche alla riduzione della pressione<br />

arteriosa che scatena riflessi nervosi cardiovascolari, contribuirebbe al peggioramento della<br />

funzionalità miocardica. Sulla base di queste osservazioni, abbiamo ritenuto opportuno<br />

somministrare il Levosimendan per via intracoronarica, riducendo in tal modo gli effetti<br />

emodinamici sistemici nocivi sopra descritti, per valutarne l’efficacia nello shock cardiogeno<br />

postischemico indotto da una ischemia regionale del miocardio.<br />

METODI E RISULTATI<br />

La ricerca è stata condotta su un totale di 12 maiali del peso di circa 70 kg anestetizzati con<br />

pentobarbitone sodico e fentanyl secondo dosi già utilizzate in altri studi nel medesimo<br />

laboratorio, intubati e ventilati artificialmente. Negli animali sono state registrate le pressioni<br />

arteriosa, venosa centrale e ventricolare sinistra, da cui è stato ricavato il ± dP/dtmax quale<br />

indice di contrattilità miocardica e di rilasciamento ventricolare. In tutti gli animali sono stati<br />

monitorati l’elettrocardiogramma e la frequenza cardiaca. La vena femorale di sinistra è stata<br />

cateterizzata per infondere farmaci e per mantenere il bilancio idroelettrolitico. Il flusso<br />

ematico coronarico è stato registrato posizionando la sonda di un flussimetro elettromagnetico<br />

sul ramo discendente anteriore della coronaria sinistra. In 6 degli 12 maiali l’ischemia<br />

regionale è stata effettuata occludendo un ramo collaterale della coronaria discendente<br />

anteriore per un periodo di circa 4 ore. La durata di 4 ore per l’ischemia è stata scelta in<br />

504


quanto in esperimenti preliminari in cui l’ischemia regionale aveva una durata di circa 3 ore<br />

l’analisi istologica non aveva evidenziato segni particolari di alterazione ischemica.<br />

Tutti i parametri sono stati registrati mediante un poligrafo e memorizzati per successive<br />

elaborazioni.<br />

In tutti gli esperimenti il Levosimendan è stato somministrato in bolo, in un intervallo di<br />

tempo di 10 minuti, all’interno della coronaria discendente anteriore utilizzando dosi, ricavate<br />

da dati di letteratura, che corrispondono ad una somministrazione in bolo sistemica pari 12 e<br />

24 µg/Kg. Le dosi somministrate sono state calcolate in relazione al flusso coronarico di base<br />

registrato durante i vari esperimenti. Le registrazioni dei parametri emodinamici sono state<br />

effettuate prima e dopo la somministrazione del farmaco e proseguite per un periodo di tre<br />

ore. L’analisi statistica dei dati ottenuti è stata effettuata mediante il t test di Student per dati<br />

appaiati. Un valore di p< 0,05 è stato assunto come indice di significatività statistica.<br />

In assenza di ischemia miocardica la somministrazione intracoronarica di dosi equivalenti a<br />

12 µg/Kg e 24 µg/Kg del farmaco in esame, ciascuna effettuata in 3 maiali, non ha<br />

determinato variazioni statisticamente significative della pressione arteriosa, della frequenza e<br />

della contrattilità mocardica mentre ha determinato un aumento medio del flusso ematico<br />

coronarico pari rispettivamente al 26.3% and 41.3% dei rispettivi valori di controllo. Tali<br />

effetti si sono manifestati entro il primo minuto della somministrazione e sono perdurati<br />

inalterati per le tre ore di osservazione.<br />

L’analisi istologica del miocardio sottoposto a sofferenza ischemica della durata di 4 ore è<br />

stato effettuato su frammenti fissati in formalina e colorati con ematossilina-eosina e con<br />

metodo tricromico secondo Masson. Tale indagine ha evidenziato la presenza di necrosi<br />

parcellare delle fibrocellule muscolari, infiltrazione granulocitaria neutrofila ed eosinofila in<br />

sede interstiziale, ectasia capillare interstiziale isolata e con microtrombi di eosinofili, chiaro<br />

segno di d<strong>anno</strong> di natura ischemica.<br />

Nei 6 maiali l’ischemia regionale ha determinato una riduzione della pressione arteriosa del<br />

6.3%, della contrattilità miocardica del 13.3% ed un aumento della frequenza cardiaca del<br />

15.9%.<br />

La somministrazione intracoronarica di Levosimendan, iniettato a monte della zona di<br />

emergenza del vaso collaterale alle dosi equivalenti ai 12 µg/Kg (3 maiali) e 24 µg/Kg (3<br />

maiali), ha determinato un aumento della pressione arteriosa rispettivamente del 5% e del 7<br />

%, della contrattilità miocardica del 12.4% e del 14.9% e del flusso ematico coronarico del<br />

22% e del 34.7% dai rispettivi valori di controllo. Le variazioni osservate sono risultate<br />

statisticamente significative. E’ interessante fare notare come mentre la dose corrispondente ai<br />

12 µg/Kg non abbia determinato variazioni significative della frequenza cardiaca, la dose di<br />

24 µg/Kg ha invece determinato un aumento statisticamente significativo di tale parametro.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

Grossini E, Caimmi PP, Molinari C, Teodori G, Vacca G. Hemodynamic effect of<br />

intracoronary administration of levosimendan in the anesthetized pig. J Cardiovasc Pharmacol<br />

46: 333-342, 2005.<br />

505


Sergio Vai Filone tematico C2<br />

Individuazione precoce dei difetti congeniti diagnosticabili in epoca<br />

neonatale<br />

Asl 6<br />

OBIETTIVI<br />

I difetti congeniti, definiti come anomalie di origine prenatale, identificati durate la gestazione<br />

o nel periodo neonatale, che interferiscono in modo serio sia sulla sopravvivenza che sul<br />

benessere fisico del neonato comprendono malformazioni maggiori, che sono state oggetto<br />

dello studio. In particolare si è fatto riferimento alle 35 malformazioni universalmente<br />

classificate secondo l’International Clearinghouse for Birth Defectc Monitoring System<br />

(ICBDMS), utilizzando i codici ICD9-CM. Come indicatore attualmente è stato utilizzato il<br />

tasso di prevalenza nei nati vivi (PNV), con numeratori e denominatori dedotti dal CEDAP,<br />

sebbene sia in corso una revisione manuale dei dati per il calcolo del PNV in quanto il<br />

CEDAP si è rivelato un sistema imperfetto poiché gravato da un lato da una significativa<br />

sottonotifica e dall’altro perché con l’adozione della dimissione precoce un numero di<br />

malformazioni (generalmente a carico dell’apparato cardiovascolare) viene evidenziato in<br />

epoca neonatale nella vista post-nascita o nel primo bilancio di salute a 2-3 settimane di vita.<br />

A questa revisione partecipa oltre al quadrante coinvolto la Neonatologia e TIN<br />

dell’Università degli Studi di Torino (Dr.ssa Prandi). È in corso d’opera l’ambizioso proposito<br />

della definizione dell’importantissimo indicatore quale il tasso di prevalenza totale [PT= (nati<br />

vivi malformati+ nati morti malformati+ aborti terapeutici con malformazione/(nati vivi+ nati<br />

morti)] che è senz’altro quello metodologicamente più corretto in quanto include la<br />

valutazione della mortalità fetale (per lo meno di una parte).<br />

METODI E RISULTATI<br />

Nel 2004 i nati residenti sono stati 8732 di cui 3810 nati presso i Punti nascita del quadrante<br />

(ASL 2, 3, 5, 6) e 4922 al di fuori del quadrante ( 4081 presso il S. Anna). Si è osservata<br />

inoltre una discreta migrazione all’interno del quadrante, soprattutto fra le ASL 2 3 e 5. Le<br />

malformazioni maggiori a carico dei nati residenti nell’<strong>anno</strong> 2004 con parto espletato nei<br />

Punti Nascita del quadrante sono state 20 (PNV= 5.25‰) di cui 3 a carico dell’apparato<br />

cardio-vascolare, 2 dell’’intestino, 1 ernia diaframmatica, 7 ipospadie, 4 agenesie renali, 2<br />

polidattilie, 1 difetto di riduzione degli arti. Le malformazioni maggiori a carico dei nati<br />

residenti nell’<strong>anno</strong> 2004 con parto espletato al di fuori del quadrante sono state 16 (PNV=<br />

3.25‰) di cui 2 a carico del SNC, 3 dell’apparato cardio-vascolare, 1 anotia, 2<br />

labiopalatoschisi, 1 atresia esofagea, 1 ipospadia, 4 polidattilie, 1 ernia diaframmatica, 1<br />

difetto di riduzione degli arti. Di esse (dati in revisione), poche erano state segnalate durante<br />

la gravidanza.<br />

L’adozione di criteri che definiscono un adeguato (non solo sufficiente) esame ecocgrafico in<br />

gravidanza, che in alcuni casi dovrebbero superare i limiti prefissati da alcune società<br />

scientifiche, potrebbe verosimilmente evitare alcune “sgradite” sorprese alla nascita o nelle<br />

ore a seguire, garantendo altresì l’espletamento del parto in struttura idonea. Non vi è peraltro<br />

associazione statisticamente significativa tra riscontro di malformazione e follow-up della<br />

gravidanza (numero di ecografie, percorso pubblico – ospedaliero, consultoriale - o privato).<br />

I difetti congeniti del metabolismo continuano a costituire una reale difficoltà di gestione<br />

anche quando inviati presso strutture di III livello, anche per la sovrapposizione del quadro di<br />

506


presentazione delle malattie metaboliche e patologie più comuni (es. sepsi) e la necessità di<br />

una diagnosi differenziale o la concomitanza delle medesime, con conclusioni anche tragiche<br />

come ad esempio l’occorso decesso di un neonato con iperammoniemia.<br />

Una corretta consulenza genetica costituisce una altro caposaldo della gestione dei difetti<br />

congeniti e a tal proposito è in corso di definizione una diversa collaborazione con il SCDU<br />

Genetica Medica Az. Ospedaliera S.Giovanni Battista (Dr.Grosso) per l’organizzazione di<br />

audit sui casi clinici. Infatti, se da un lato l’acquisizione di ausili informatici quali il POSSUM<br />

e il LDDB consentono in un approccio gestaltico o induttivo/deduttivo l’inquadramento del<br />

caso, non si può prescindere nelle situazioni complesse da una discussione collegiale del caso<br />

clinico, dalla formazione continua e specifica, dall’adozione di griglie valutative e da un<br />

approccio sistematico non limitato al solo pediatra sentinella, ma diffuso presso tutto lo staff<br />

neonatologico ( medico ed infermieristico). Tutto ciò ha indotto nel corso dello studio un<br />

miglioramento nell’approccio complessivo anche legato alla presa di coscienza che oltre ad<br />

una generica gestione al difetto congenito in se, è in prima istanza utile e perseguibile<br />

realizzare specifici percorsi che h<strong>anno</strong> come oggetto le malformazioni maggiori definite<br />

dall’ICBDMS (35) e l’EUROCAT (45) anche se adeguate alle risorse della singola struttura<br />

ma illustrato nella sua diversità all’utenza per evitare l’impressione di disomogeneità ed<br />

inadeguatezza delle cure, in una situazione di migrazione sanitaria quale quella osservata.<br />

In funzione della prevalenza dei difetti a carico dell’apparato cardio-vascolare, il supporto di<br />

un servizio di cardiologia (anche di I livello in termini di valutazione neonatologica) risulta<br />

essere essenziale nella gestione pratica e penalizzante la sua assenza (es. realtà ciriecese). A<br />

tal proposito oltre alla formazione (anche se pur di I livello) dello specialista neonatologo od<br />

ostetrico e soprattutto cardiologo per la valutazione strumentale cardiologica del neonato, la<br />

telemedicina potrebbe costituire una valida integrazione.<br />

CONCLUSIONI<br />

In sintesi si può concludere che lo studio intrapreso ha soddisfatto gli obiettivi proposti o<br />

almeno ha evidenziato che:<br />

1. è possibile realizzare anche in centri di II livello adeguati percorsi assistenziali e creare un<br />

network,<br />

2. il CEDAP attualmente non costituisce un strumenta valido per la costituzione di registri di<br />

malformazione (per la notevole sottonotifica) e comunque non sufficiente;<br />

3. occorre migliorare in termini di sensibilità ed accuratezza la diagnosi prenatale.<br />

507


Adriano Vanni Filone tematico B2<br />

Determinazione di prodotti tossici di trasformazione di fitofarmaci nei<br />

controlli sulla sicurezza di prodotti alimentari<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Chimica Analitica<br />

OBIETTIVO<br />

'Individuare eventuali prodotti di degradazione (pdd) di pesticidi (che da precedenti lavori<br />

risultano avere tossicità più elevata di quella del principio attivo (pa) di partenza, associata a<br />

maggiore persistenza) nei trattamenti su campioni di frutta e verdura, in collaborazione con<br />

l'ente di controllo, per sviluppare un metodo che consenta di verificare anche dopo la<br />

scomparsa per degradazione del pa, a distanza di tempo, l'avvenuto trattamento dell’alimento<br />

con pesticidi.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Campioni considerati<br />

Campioni di frutta e verdura (12+14) già sottoposti ad un primo accertamento sulla presenza<br />

di fitofarmaci, svolto dal Polo Chimico Regionale Alimenti dell' ARPA di La Loggia (To).<br />

Particolare attenzione è stata data a campioni provenienti da colture biologiche.<br />

Analiti considerati (in campioni tradizionali e biologici)<br />

Fungicidi dicarbossidiimidici: Procimidone, Iprodione e Vinclozolin di cui sono noti possibili<br />

pathways degradativi e i relativi pdd (è stata in particolare considerata la 3,5 DCA comune a<br />

tutti). E stato anche avviato lo studio del comportamento abiotico del Cyprodinil (fungicida<br />

anilinopirimidinico di più recente introduzione) determinandone il percorso degradativo e<br />

identificandone i pdd.<br />

DETERMINAZIONE DEI PESTICIDI E LORO PDD<br />

Estrazione<br />

Il metodo di letteratura è stato ottimizzato introducendo un passaggio di sonicazione e<br />

lavorando a pH 8.5 (migliore.riproducibilità). Ogni subcampione (3 repliche) omogenato (l0<br />

g) è stato posto a contatto con 20 ml di CH3COOC2H5 e l0 g di Na2S04 e sonicato (30').<br />

Recuperato il surnatante, filtrato su PTFE 0.2 µm, evaporato il solvente a secco e ripreso in<br />

CH3OH (2 ml) si è ottenuto l'estratto per la determinazione in LC-MS.<br />

Quantificazione<br />

Estratti i pa dalle matrici e analizzati in LC-MS, dall'area dei picchi, utilizzando opportune<br />

rette di taratura, corrette per l'effetto delle matrici (metodo delle aggiunte standard) e tenendo<br />

conto delle rese di estrazione (calcolate), si sono quantificati i vari pa e il loro comune pdd.<br />

Condizioni operative ottimizzate<br />

HPLC-DAD. Colonna C18, 125x2mm (3 µm), 0.3 ml/min, Vol. iniettato: 20 µl. Eluenti:<br />

H2O+0.5% HCOOH/CH3CN+0.5% HCOOH – grad. 30-100 CH3CN+0.5% HCOOH in 25’<br />

508


λ= 235,10nm e 250,10 nm.<br />

MS<br />

dry. gas: 71/min, 300C, 325C(vap. gas), 60psi, 3000V, corona 5 µ A<br />

PROCIMIDONE, IPRODIONE, 3,5-DCA: APCI+, SIM, 80V<br />

VINCLOZOLIN: APCI-, SIM, 60V .<br />

Quantificazione dei pa e del pdd nelle matrici<br />

MATRICE PA LMR CONC (ppm) CONC (ppm) CONC (ppm)<br />

(ppm) (a) ARPA (b) ±RSD pa (e) ±RSD pdd<br />

Pomodoro 697 (1) 2 0.32 n.r. 0.53±2.1 %<br />

Pomodoro 830 (1) 2 0.14 0.14: ±10.0 % 0.50±0.1 %<br />

Pomodoro 529 (1) 2 0.05 0.10 ±7.5% n.r.<br />

Pomodoro 400 (2) 2 0.27 0.23± 43.7 % 0.47±0.2 %<br />

Peperone 288 (1) 2


In buon accordo con dati dell' ARP A sull' assenza dei pa in esame per questi campioni è<br />

tuttavia da sottolineare la presenza, al di sopra del LOD, della 3,5 DCA in campioni di<br />

zucchine (0.03±3.0 % ppm), mele (0.02±0.0% ppm), arance A (0.07±28.9% ppm) e B<br />

(0.03±2.0 % ppm); questo farebbe supporre un avvenuto trattamento dell'alimento nel corso<br />

della sua coltivazione, in un tempo sufficientemente lontano dalla commercializzazione tale<br />

da permettere la quasi completa scomparsa del pa somministrato.<br />

CYPRODINIL<br />

È stata studiata la degradazione in condizioni abiotiche del Cyprodinil ottenendo una<br />

degradazione del pa pari al 99.6%.<br />

Prelievi di soluzione a vari tempi h<strong>anno</strong> permesso sia di studiare i profili degli spettri UV -<br />

VIS dei complessi formatisi nel corso della reazione (che forniscono i radicali OH necessari<br />

per la degradazione del pa) sia di determinare in LC-DAD, in condizioni ottimizzate (di<br />

seguito riportate), l'andamento della degradazione. Si sono determinati in LC-MS i pdd del<br />

Cyprodinil ché sono risultati essere suoi idrossiderivati con gruppi OH in varie posizioni degli<br />

anelli della molecola.<br />

HPLC-DAD<br />

Colonna C18, 125x2mm (3 µm), 0.3 ml/min, VoI. iniettato: 20µl<br />

Eluenti: H2O /CH3CN - grado 0-30%; 3-30%; 25-100% λ = 210,4 e 270,4 nm<br />

MS: ESI+, SCAN (50-300), 80V, dry. gas: l0 l/min, 300C, 40psi, 3500V<br />

510


Franco Veglio Filone tematico C1<br />

Dosaggio degli steroidi ibridi serici e urinari nella diagnosi differenziale<br />

dell’iperaldosteronismo primitivo.<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Medicina e Oncologia Sperimentale<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

L’estensione della ratio tra aldosterone e PRA ad una popolazione più vasta di ipertesi ha<br />

portato a diagnosticare sempre più casi di iperaldosteronismo primitivo, soprattutto in stadi<br />

precoci della patologia e in condizione di normokaliemia. La prevalenza di questa forma di<br />

ipertensione secondaria è così aumentata drasticamente negli ultimi anni. Molti autori h<strong>anno</strong><br />

proposto un’utilità del dosaggio degli steroidi ibridi 18-idrossicortisolo (18-OHF) e 18oxocortisolo(18-oxoF)<br />

e del precursore dell’aldosterone 18-idrossicorticosterone(18-OHB)<br />

nella diagnosi differenziale dei diversi sottotipi di iperaldosteronismo primitivo. Tutti sono<br />

concordi nel ritenere che soggetti con adenomi monolaterali (APA) o una forma monogenica<br />

definita iperaldosteronismo glucocorticoide soppressibile (GRA) presentano valori di 18-<br />

OHF, 18-oxoF e 18-OHB più elevati rispetto alle iperplasie surrenaliche bilaterali (IHA), agli<br />

ipertesi essenziali e ai normotesi. Il 18-oxoF (18-oxocortisolo) e il 18-OHF (18idrossicortisolo),<br />

prodotti a livello della corteccia surrenalica, sono definiti ibridi per la<br />

condivisione di alcune caratteristiche proprie dell’aldosterone e altre del cortisolo. Il 18-OHB<br />

(18-idrossicorticosterone) è ritenuto essere l’immediato precursore dell’aldosterone; in<br />

condizioni di normalità, le sue concentrazioni plasmatiche sono costanti rispetto a quelle<br />

dell’aldosterone ed è influenzato dai medesimi fattori del suo prodotto finale. Gli APA<br />

secernono una quantità maggiore anche di questo steroide, il cui dosaggio potrebbe quindi<br />

fornire informazioni aggiuntive.<br />

OBIETTIVO<br />

Scopo del nostro lavoro è stato sviluppare un nuovo percorso per la diagnosi dei sottotipi di<br />

iperaldosteronismo primitivo utilizzando il dosaggio degli steroidi ibridi sierici e urinari e del<br />

18-OHB plasmatico.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Abbiamo quindi incluso in questo studio retrospettivo 136 soggetti con ratio<br />

(aldosterone/PRA) positiva (superiore a 400) e livelli di aldosterone plasmatico superiori a<br />

150 pg/ml confermati in due misurazioni. La positività della ratio, ha imposto l’esecuzione di<br />

test di secondo livello volti a confermare o escludere la presenza di iperaldosteronismo<br />

primitivo. Una volta quindi, accertata la presenza di questa forma di ipertensione arteriosa<br />

secondaria è stato necessario individuare il sottotipo per impostare una terapia mirata. In<br />

totale abbiamo eseguito 123 test da carico salino in soggetti di età media di 51.4 anni (±9.9<br />

anni) di cui 64 erano di sesso femminile e 59 maschile e 13 test al captopril (11 maschi e 2<br />

femmine) in pazienti di età media 50.2 (±8.7) anni. Parallelamente sono state raccolte le urine<br />

delle 24 ore per il dosaggio del 18-OHF, del 18-oxoF, della sodiuria, dell’aldosteronuria e<br />

della creatininuria. Durante l’esecuzione del test di conferma al carico salino sono stati<br />

prelevati campioni sierici per il dosaggio di 18-OHF, 18-oxoF e 18-OHB basale e al termine<br />

dell’esame.<br />

511


Il dosaggio degli steroidi è stato eseguito con metodo ELISA seguendo la metodica proposta<br />

da Celso Gomez-Sanchez. In base ai risultati ottenuti dal dosaggio di questi steroidi a livello<br />

urinario e plasmatico abbiamo sviluppato una nuova flow chart per la diagnosi di sottotipo di<br />

iperaldosteronismo attribuendo al 18-OHF urinario un ruolo chiave per diagnosticare forme di<br />

iperaldosteronismo senza l’utilizzo del test di conferma e con conseguente riduzione dei costi.<br />

Dopo la conferma della positività della ratio è utile eseguire il dosaggio del 18-OHF urinario.<br />

Il cut off per escludere ogni forma di ipertensione secondaria è 50µg/24 h; se il valore è<br />

superiore (come nella maggior parte dei casi) proponiamo di eseguire, se disponibile, il<br />

calcolo del prodotto dell’aldosterone in clinostatismo, per quello dello steroide ibrido urinario.<br />

Un valore superiore a 36.500 è diagnostico di iperaldosteronismo, pertanto l’esecuzione di un<br />

test di conferma come il carico salino sarebbe pleonastica. Al contrario, se il prodotto è<br />

inferiore non siamo in grado di discriminare a priori se l’ipertensione sia sottesa da una forma<br />

secondaria o no; riteniamo quindi si debba eseguire il test da carico salino. Una alternativa a<br />

questo percorso, anche se con un’accuratezza inferiore, è il riscontro di un valore superiore o<br />

uguale di 250 µg/24 h di 18-OHF urinario che, come già detto, discrimina con la massima<br />

specificità un iperaldosteronismo.<br />

Dopo aver ottenuto la conferma della diagnosi di iperaldosteronismo l’iter diagnostico<br />

prevede l’esecuzione della TC surreni che può dare quattro tipi di risposte. La TC può essere<br />

negativa, si tratta quindi di un’iperplasia bilaterale per cui è necessaria una terapia con<br />

antialdosteronici. Si ricorre al cateterismo venoso solo in caso di elevata probabilità di APA<br />

(potassio < 3 mEq/l; aldosteronuria > 30µg/24 h; aldosterone plasmatici > 250 pg/ml; età < 50<br />

anni; ipertensione arteriosa di grado 3). All’estremo opposto è la dimostrazione di una massa<br />

surrenalica superiore ai 3 cm; in questo caso è necessario asportare il nodo per il rischio di<br />

evoluzione verso la malignità. Di fronte invece al riscontro di una massa di dimensioni<br />

comprese tra i 2 e i 3 cm, la letteratura propone di eseguire il cateterismo venoso selettivo per<br />

valutare un’eventuale lateralizzazione.<br />

I nostri risultati d<strong>anno</strong> invece prova che il riscontro di un valore di 18-OHF urinario superiore<br />

a 450µg/24 h discrimina per un adenoma senza dover sottoporre ad AVS il paziente.<br />

Riassumendo, gli steroidi ibridi e il 18-OHB plasmatici h<strong>anno</strong> analogo comportamento<br />

essendo stimolati dal SRA e dall’ACTH; essi si riducono dopo carico salino, tuttavia il loro<br />

dosaggio non ha dimostrato utilità nella diagnosi dei sottotipi di iperaldosteronismo. Il<br />

dosaggio, invece del 18-OHF urinario, peraltro il più rapido e semplice da eseguire, è molto<br />

informativo e permette di ridurre il numero di pazienti da sottoporre a test di conferma.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

1. Increased diagnosis of primary aldosteronism, including surgically correctable forms, in<br />

centers from five continents. P.Mulatero, M.Stowasser, KC. Loh, C.E.Fardella, R.Gordon,<br />

L.Mosso, C.E. Gomez-Sanchez, F.VEGLIO, W.F.Young Jr.J Clin Endocrinol Metab,89(<br />

3): 1045-50 , 2004.<br />

2. Genetics of primary aldosteronism. P.Mulatero, F.Morello, F.VEGLIO. J Hypertension,<br />

22(4): 663-70, 2004.<br />

3. Diagnosis of primary aldosteronism: from screening to subtype differentiation. Mulatero<br />

P, Dluhy RG, Giacchetti G, Boscaro M, VEGLIO F, Stewart PM.Trends Endocrinol<br />

Metab,16(3):114-9; 2005.<br />

512


Alessandro Vercelli Filone tematico A2<br />

Neuroprotezione nella retina ischemica e glaucomatosa<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Anatomia, Farmacologia e Medicina Legale<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Nel nostro studio abbiamo analizzato gli effetti dell’ipertono oculare (elemento fondamentale<br />

della patologia glaucomatosa, causa importante ancor oggi di molti casi di cecità per<br />

degenerazione e perdita delle cellule gangliari retiniche) sulla morte neuronale nella retina, in<br />

un modello sperimentale nel ratto. Tale modello induce una ischemia transitoria della retina,<br />

con morte neuronale dovuta a meccanismi eccitotossici e con modalità di apoptosi, necrosi e<br />

autofagia.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Il modello consiste nell’indurre (mediante inserimento di una cannula nel corpo vitreo) un<br />

aumento della pressione endoculare per 60 minuti: è stato utilizzato un sistema a caduta di<br />

fisiologica (in base al principio di Pascal) per innalzare la pressione endoculare di ratti adulti a<br />

120 mm Hg per 1 ora. Con questa metodica il maggior numero di cellule morte (sia nello<br />

strato delle cellule gangliari che in quelli più profondi) è stato riscontrato a 6-12 ore<br />

dall’insulto ischemico, tale numero decresce progressivamente fino ad annullarsi a 7 giorni.<br />

La morte neuronale è stata valutata contando il numero di nuclei picnotici su retine montate a<br />

piatto in toto e su sezioni trasversali di retina, con le comuni colorazioni per il sistema<br />

nervoso (cresil violetto). I dati sono poi stati confermati mediante la tecnica TUNEL (per la<br />

visualizzazione della frammentazione del DNA) e con tecnica immunoistochimica per la<br />

caspasi 3 attivata (la caspasi 3 attivata è un enzima “esecutore” della morte neuronale).<br />

Avendo in passato, sempre con tecnica immunoistochimica, messo in evidenza alcune<br />

molecole la cui espressione varia in seguito ad ipertono (JNK, fosfo-c-Jun, p38, fosfoErk e<br />

fosfoElk, cioè della MAP chinasi), si è proceduto ad intervenire sulla loro attività mediante<br />

degli inibitori più o meno specifici iniettati nel corpo vitreo. Alcuni animali di età compresa<br />

tra le 7 e le 10 settimane di vita sono stati sottoposti a iniezione intravitreale di inibitori<br />

specifici (D-JNKI) ed aspecifici (SP600125) delle MAP chinasi. I ratti sono stati sacrificati 7<br />

giorni dopo l’intervento e sono stati confrontati con animali di controllo (sola iniezione del<br />

solvente in cui è disciolto il farmaco). Le retine intere, una volta montate a piatto, sono state<br />

colorate per poi essere sottoposte ad analisi quantitativa mediante il programma Neurolucida.<br />

L’analisi dei vetrini ha evidenziato differenze tra i due gruppi, significative negli animali<br />

trattati con SP600125. In una serie parallela di animali, nello stesso modello sperimentale,<br />

abbiamo valutato la possibilità che l’ischemia retinica provochi un tipo particolare di morte<br />

neuronale, detto per autofagia, mettendo in evidenza la sua occorrenza nelle prime fasi<br />

consecutive all’ischemia. Questo riscontro ci permetterà di utilizzare altri farmaci con cui<br />

intervenire sui meccanismi di morte neuronale nella retina. I manoscritti relativi a queste due<br />

osservazioni sperimentali sono in fase di preparazione.<br />

PUBBLICAZIONI<br />

L. Palanza, S. Jhaveri, S. Donati, R. Nuzzi and A. Vercelli "Quantitative spatial analysis of<br />

the distribution of NADPH-d-positive neurons in the developing and mature rat retina." In<br />

stampa su Brain Research Bulletin<br />

513


Elisabetta Versino Filone tematico D2<br />

Tubercolosi a Torino nel XXI secolo: ruolo dei determinanti socio<br />

ambientali<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia<br />

OBIETTIVI<br />

Il presente progetto si poneva come la continuazione di un progetto di ricerca già finanziata<br />

dal Vs. Ente nell’<strong>anno</strong> 2000. Lo studio pone dunque come continuazione di quello<br />

precedentemente descritto, allo scopo di sorvegliare il fenomeno dell’andamento della TB tra<br />

i residenti torinesi per un ulteriore triennio (periodo 2000-2002).<br />

MATERIALI E METODI<br />

La città di Torino (1 117 154 residenti nel 1981) è servita da sette ospedali generali che<br />

curano pazienti con TB, da un ambulatorio che è riferimento provinciale per la diagnosi,<br />

prevenzione e cura della malattia (Dispensario di Igiene Sociale - DS), e da un ospedale<br />

infettivologico, riferimento per l’AIDS (Amedeo di Savoia - AS). Inoltre, fuori dalla città è<br />

localizzato un grande ospedale pneumologico (San Luigi di Orbassano - SL). Per effettuare<br />

una stima dell’incidenza di TB fra i residenti, si è deciso di estrarre manualmente tutte le<br />

cartelle cliniche con diagnosi principale o secondaria di TB dal 2000 AL 2002 di SL, AS, DS.<br />

Le informazioni raccolte sono state: localizzazione della malattia, patologia concomitante,<br />

isolamento batterico (diretto e/o colturale), test cutaneo, Rx torace, con la relativa<br />

classificazione radiologica ed esame bioptico.<br />

Da questa rilevazione sono state identificate schede, caricate su supporto magnetico. I dati<br />

ottenuti sono da considerarsi preliminari in quanto è ancora da verificare la residenza<br />

anagrafica e sono ancora da effettuare controlli di completezza rispetto al sistema di notifica.<br />

Sono così stati identificati 314 casi di TB periodo 2000-2002. Sulla base di ciò sono stati<br />

calcolati di tassi di incidenza annuali età specifici e standardizzati sulla popolazione italiana<br />

nell’<strong>anno</strong> 1981. I denominatori dei tassi sono stati ottenuti dalla BDDE.<br />

RISULTATI<br />

La tabella 1 presenta la distribuzione dei casi incidenti nel periodo 2000-2002 per ospedali e<br />

fascia di età; si sottolinea come tali valori non corrispondano al numero di ricoveri per<br />

tubercolosi, in quanto il presente studio si concentrava sui NUOVI CASI. LA tabella mostra<br />

come la malattia tenda a concentrarsi nella fascia d’età giovane adulta.<br />

514


Tabella 1. Casi di TB incidenti nel periodo 2000-2002 per ospedale e fascia d’età<br />

2000 2001 2002<br />

Ospedale N (%)<br />

Amedeo di Savoia 9 (9.5) 25 (21.6) 27 (26.2)<br />

Dispensario ASL4 7 (7.4) 15 (12.9) 7 (6.8)<br />

San Luigi 79 (83.2) 76 (65.5 69 (67)<br />

TOTALE 95 (100) 116(100) 103(100)<br />

Classe d’eta’ N (%)<br />

=75 7 (7.4) 16 (13.8) 10 (9.7)<br />

TOTALE 95 (100) 116(100) 103(100)<br />

Tabella 2. Tassi di incidenza di tubercolosi nel periodo 2000-2002, età specifici e<br />

standardizzati sulla popolazione italiana 1981<br />

515<br />

2000 2001 2002<br />

Classe d’eta’ Tasso *100000<br />

=75 3.9 18.98 11.44<br />

Tasso standardizzato 9.53 12.24 10.21<br />

CONCLUSIONI<br />

Secondo il nostro studio, la tendenza dei tassi di incidenza di tubercolosi a Torino sembra<br />

continuare secondo il trend già evidenziato nell’articolo prima citato. Occorre qui sottolineare<br />

che i casi non sono ancora stati verificati per residenza anagrafica, per cui si parla qui di casi<br />

PRESENTI in Torino e non di casi RESIDENTI. Lo studio soffre dell’attuale limitazione di<br />

non aver potuto effettuare il linkage con lo studio longitudinale torinese e con il registro<br />

AIDS. L’esecuzione di tale linkage consentirà di arricchire i risultati dello studio,<br />

concentrandosi sul ruolo di AIDS, stato sociale ed immigrazione; tali dati verr<strong>anno</strong> resi<br />

disponibili all’Ente appena possibile.


Alessandro Vigo Filone tematico C1<br />

Utilità della Polisonnografia nel percorso diagnostico-assistenziale di<br />

patologie pediatriche (OSAS, ALTE, Prematuranza)<br />

Ospedale Infantile Regina Margherita<br />

Centro SIDS<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il ruolo di un Centro S.I.D.S. modernamente inteso non può che identificarsi con quello di un<br />

Centro di studio del sonno in età pediatrica che finalizza la massima parte della propria<br />

attività assistenziale all’inquadramento diagnostico dei disturbi respiratori del sonno ed alla<br />

prevenzione della Sudden Infant Death Syndrome (SIDS).<br />

OSAS<br />

La patologia respiratoria del sonno in età pediatrica è rappresentata principalmente dalla<br />

Sindrome delle Apee Ostruttive nel Sonno (OSAS) che interessa circa il 3% della popolazione<br />

pediatrica altrimenti sana ed è secondaria nella maggior parte dei casi ad un quadro di<br />

ipertrofia adenotonsillare. In Italia, il 43% degli interventi chirurgici di tonsillectomia<br />

consegue a una diagnosi di O.S.A.S. La letteratura scientifica sottolinea ormai da molto tempo<br />

come la diagnosi clinica di O.S.A.S. sia scarsamente affidabile, generando un problema di<br />

appropriatezza delle scelte terapeutiche. Un inquadramento preciso dell’O.S.A.S.<br />

necessiterebbe di uno studio strumentale del sonno: data l’impossibilità pratica di sottoporre<br />

tutti i pazienti con sospetto di O.S.A.S. ad un’indagine polisonnografica completa in regime di<br />

ricovero (per l’assoluta carenza di strutture e personale specialistico), sono state messe a<br />

punto delle metodiche di indagine semplificate che pur mantenendo un accettabile standard di<br />

affidabilità rendono possibile l’effettuazione domiciliare dell’esame senza sorveglianza diretta<br />

da parte di personale tecnico. Si tratta del monitoraggio notturno cardiorespiratorio integrato<br />

con saturimetria validata e della polisonnografia respiratoria notturna.<br />

Strettamente connesso al problema dell’appropriatezza diagnostica è quello della valutazione<br />

del rischio operatorio nel paziente pediatrico. La consuetudine generalmente diffusa di<br />

attendere i 4 anni di età per procedere alla chirurgia adenotonsillare, anche in pazienti che<br />

sono sintomatici dai primi mesi-anni di vita, consegue proprio alla consapevolezza,<br />

confermata in parte dalla letteratura (per i pazienti < ai 2 anni di età), della maggior<br />

suscettibilità di questi pazienti a sviluppare complicanze peri- e postoperatorie. La diretta<br />

conseguenza di questo modo di procedere è l’impossibilità pratica a intervenire per risolvere<br />

un’OSAS in questa fascia di età: e la letteratura ci dice che sono proprio i pazienti che<br />

soffrono di un OSAS più grave (e quindi necessitano di una correzione rapida) ad aver un<br />

maggior rischio operatorio. Esistono buone evidenze che uno studio semplificato del sonno<br />

possa individuare con ragionevole affidabilità i pazienti a rischio, prevedendo per loro<br />

modalità di intervento protette (monitoraggio cardiorespiratorio e saturimetrico perioperatorio<br />

di 24 ore e disponibilità di struttura rianimatoria per eventuali necessità).<br />

La prevenzione della SIDS<br />

Le attività tradizionali di diffusione delle corrette pratiche di prevenzione (nella nostra<br />

<strong>Regione</strong> inserite in prima pagina nell’agenda di salute del bambino, che lo accompagna dalla<br />

nascita), e l’osservatorio epidemiologico (che in <strong>Piemonte</strong> consiste in una attività di indagine<br />

specifica con procedure codificate per ogni caso di morte nel primo <strong>anno</strong> di vita da parte del<br />

516


personale dei SISP opportunamente) sono importanti e necessarie ma assolutamente non<br />

sufficienti: va garantita anche una corretta indagine diagnostica sui casi a rischio, che può<br />

esitare, quando necessario, in un intervento terapeutico mirato e/o nella decisione ponderata<br />

(dati i costi economici per la comunità e quelli relativi al disagio provocato alla famiglia) di<br />

intraprendere una monitorizzazione continua domiciliare, assistendo il paziente in<br />

telemedicina. La recente letteratura scientifica ha individuato nell’ambito della popolazione a<br />

rischio di SIDS 2 principali categorie di pazienti che sono:<br />

1. i bambini nati pretermine<br />

2. i bambini affetti da Apparent Life Threatening Event (ALTE).<br />

1. L’effettuazione di un MCR per 24 ore nei bambini nati pretermine (


343 Monitoraggi Cardiorespiratori (MCR-Traccia ECG, Escursione Toracica e Saturazione<br />

d’Ossigeno) per individuare:<br />

1. possibili eventi estremi, quali desaturazioni, bradicardie e\o apnee (prematuri e lattanti<br />

ALTE) per precisare quando possibile la diagnosi causale e decidere in merito ad una<br />

eventuale monitorizzazione domiciliare continua;<br />

2. desaturazioni nel sonno (bambini sospetti OSAS) per decidere in merito ad intervento di<br />

adenotonsillectomia ed individuare i pazienti a rischi perioperatorio.<br />

Nei lattanti con pregressa ALTE è stata effettuata contemporanea pHmetria esofagea a 2<br />

canali per correlare gli eventi suddetti, quando presenti, ad eventuale Reflusso Gastro-<br />

Esofageo Acido Patologico ed in tal caso avviare adeguata terapia. Per una più precisa<br />

definizione diagnostica, quando necessario sono state effettuate:<br />

181 Polisonnografie Respiratorie a 8 canali (flusso nasale registrato attraverso nasocannula,<br />

escursione toracica, escursione addominale entrambe registrate con bande pletismografiche,<br />

saturazione d’ossigeno, frequenza cardiaca, russamento, movimento e posizione corporea).<br />

Eseguite nell’ambito dell’iter diagnostico dell’OSAS quando l’esito del MCR è negativo o<br />

non conclusivo per OSAS.<br />

30 Polisonnografie a 19 canali (9 canali EEG, 2 canali Elettrooculografia, elettromiografia<br />

mentoniera, flusso nasale, escursione toracica. escursione addominale, saturazione d’ossigeno,<br />

Traccia ECG, russamento e posizione corporea) eseguite quale approfondimento diagnostico<br />

di II livello su neonati nati pretermine con persistenza di eventi patologici nelle registrazioni<br />

del MCR domiciliare e su lattanti affetti da ALTE con MCR patologici o eventi recidivanti.<br />

I MCR, le pHmetrie ed le Polisonnografie a 8 canali sono state avviate in regime<br />

ambulatoriale (con preparazione degli strumenti, applicazione dei sensori al bambino ed<br />

adeguata istruzione della famiglia circa le modalità d’esecuzione degli esami stessi) ed<br />

effettuati in regime domiciliare.<br />

Le polisonnografie a 19 canali sono state eseguite in regime di ricovero notturno (durata<br />

quindi di 12 ore), con l’assistenza di un tecnico di neurofisiologia opportunamente<br />

convenzionato con i fondi del Progetto presso la Terapia Intensiva Neonatale, in uno spazio<br />

gentilmente concesso dal Prof. Fabris, Direttore di tale Struttura, poiché a tutt’oggi il Centro<br />

di Riferimento per la SIDS non ha a disposizione posti letto dedicati. Ciò comporta una<br />

importante limitazione per l’attività diagnostico assistenziale: nel caso della polisonnografia a<br />

19 canali ad esempio, questa può essere effettuata solo su pazienti con età e peso adeguati ad<br />

una culla neonatale, escludendo a priori lattanti, divezzi e bambini (nonostante la presenza di<br />

strumentazione idonea e personale adeguatamente preparato per l’esecuzione di questo esame<br />

in qualunque fascia di età pediatrica). Data la disponibilità di un solo giorno alla settimana del<br />

locale concesso non è stato ancora possibile esaurire il debito orario previsto nella<br />

convenzione, che risulta pertanto ancora in corso.<br />

518


Marco Vincenti Filone tematico B2<br />

Sviluppo di metodi analitici per l'individuazione e la quantificazione di<br />

microinquinanti negli alimenti<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Chimica Analitica<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il 23 novembre 1970 la Comunità Europea deliberava la Direttiva 70/524/CEE relativa agli<br />

additivi permessi nell’alimentazione degli animali destinati al consumo umano. Da allora<br />

molte delle sostanze contenute in quella direttiva sono state vietate con successivi<br />

aggiornamenti e modifiche. Infatti studi chimici, clinici e tossicologici, volti ad assicurare la<br />

sicurezza alimentare per il consumatore, individuano progressivamente nuovi rischi per la<br />

salute umana, conseguenti all’assunzione attraverso gli alimenti di sostanze che esplicano<br />

attività biochimiche e farmacologiche indesiderate. Ne consegue che il controllo in fase di<br />

allevamento (sui mangimi utilizzati e sul latte) e post-macellazione (urine, muscolo, fegato)<br />

per le sostanze vietate deve rendersi progressivamente più accurato e più sofisticato.<br />

MATERIALI E METODI<br />

In questo progetto sono stati studiate diverse classi di antibiotici e di ormoni anabolizzanti<br />

utilizzate in ambito veterinario, illegalmente e legalmente, e che possono essere divise in due<br />

categorie: (a) sostanze vietate; (b) sostanze il cui uso è consentito, entro certe dosi, tempo (tra<br />

la somministrazione e la macellazione dell’animale), limiti di residuo (nelle carni, nel latte).<br />

Il progetto originario prevedeva come obiettivo primario la messa a punto di metodiche<br />

chimico-analitiche per la determinazione di sulfamidici, nitrofurani e cloramfenicolo, a cui far<br />

seguire un’eventuale successiva estensione del lavoro ad altre classi di antibiotici. L’obiettivo<br />

primario è stato raggiunto e la fase di validazione dei metodi è in corso. Segnalazioni di<br />

opportunità da parte della <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> ci h<strong>anno</strong> indotto a estendere la ricerca<br />

metodologica alla sola classe degli antibiotici di tipo chinolonico, ma nel contempo ad<br />

allargare le ricerche ad alcuni importanti ormoni anabolizzanti e corticosteroidi. Alcuni dei<br />

metodi sviluppati e proposti h<strong>anno</strong> già raggiunto un livello di verifica e di approfondimento<br />

considerevole (cloramfenicolo, steroidi anabolizzanti), mentre per altri è da poco iniziata la<br />

fase di validazione analitica su diverse matrici. Al momento, pertanto, i metodi messi a punto<br />

non sono ancora stati pubblicati, in relazione ai tempi necessari allo svolgimento di protocolli<br />

di validazione completi, che sono in corso.<br />

La messa a punto di metodi per la ricerca delle sostanze citate in matrici biologiche<br />

diversificate mediante tecniche HPLC-MS e HPLC-MS/MS ha previsto, come di regola, le<br />

seguenti fasi: (i) individuazione delle caratteristiche chimiche e chimico-fisiche della<br />

molecola (struttura, solubilità, eventuale assorbimento della luce); (ii) ricerca bibliografica;<br />

(iii) reperimento degli standards analitici; (iv) messa a punto della metodica di analisi sugli<br />

standards; (v) messa a punto delle metodiche di estrazione su matrici biologiche diverse; (vi)<br />

valutazione dei recuperi, del limite di rilevabilità, della sensibilità e altri parametri statistici.<br />

519


RISULTATI<br />

I risultati raggiunti per gli analiti di interesse sono riassunti di seguito.<br />

Cloramfenicolo. Sostanza vietata dall’Unione Europea (CE 2701/94). Poiché il<br />

cloramfenicolo è uno degli antibiotici più frequentemente utilizzati nell’allegamento animale<br />

e viene di regola addizionato ai mangimi, è stato messo a punto un metodo di estrazione di<br />

tale antibiotico dai mangimi (per il momento, mangimi bovini), e di successiva purificazione<br />

degli estratti e analisi in HPLC-MS (analisi in condizioni isocratiche utilizzando metanolo e<br />

acido formico).<br />

Nitrofurani e Nicarbazine. Sostanze vietate con il Regolamento Europeo 1442/95. E’ stata<br />

messa a punto la metodica di separazione ed analisi mediante HPLC-MS (analisi in gradiente<br />

utilizzando acetato di ammonio ed acetonitrile).<br />

Sulfamidici. E’ stata messa a punto la metodica di separazione ed analisi mediante HPLC-MS<br />

(separazione in gradiente utilizzando ammonio acetato-metanolo). La maggiore difficoltà che<br />

si riscontra in tali analisi è data dall’elevato numero di sostanze appartenenti a questa famiglia<br />

di farmaci, comunemente utilizzate nelle terapie antibatteriche. Nel nostro caso abbiamo preso<br />

in considerazione nove diversi sulfamidici.<br />

Chinolonici. E’ stata messa a punto la metodica di separazione ed analisi mediante HPLC-<br />

MS di quattro diversi antibiotici di tipo chinolonico (analisi in gradiente con acetato di<br />

ammonio, acetonitrile e tetraidrofurano).<br />

Ormoni steroidei. Dal 1996 è in vigore la direttiva europea 96/22/CEE relativa al controllo di<br />

residui nei prodotti di origine animale che non tollera la presenza di anabolizzanti sintetici<br />

(categoria A3: sostanze ad effetto anabolizzante-sostanze non autorizzate-steroidi). E’, quindi,<br />

indispensabile il controllo puntuale e capillare sia in fase di allevamento sia postmacellazione.<br />

Le urine rappresentano la matrice ideale per il controllo durante queste fasi,<br />

poiché gli ormoni, una volta esplicata la loro azione, vengono inattivati dal fegato e quindi<br />

eliminati per via urinaria. Pertanto, è stata messa a punto una metodica di estrazione delle<br />

urine bovine (solido-liquido su colonne di immunoaffinità), e, in parte, su mangimi<br />

(estrazione solido-liquido su colonne C18) con successiva analisi mediante HPLC-MS (analisi<br />

in gradiente utilizzando diclorometano e metanolo) per testosterone, epitestosterone,<br />

boldenone, boldione ed androstenedione. E’ stata, inoltre, messa a punto l’analisi dei derivati<br />

glucuronati di testosterone, epitestosterone, β-boldenone su urine (estrazione con colonne C18<br />

e gradiente ammonio acetato-metanolo), e di corticosteroidi quali prednisone, flunisolide,<br />

triamcinolone acetonide, flumetasone, triamcinolone, beta- e desametasone, sempre sulle<br />

urine.<br />

Per i seguenti composti è stata effettuata una ricerca bibliografica sui metodi analitici esistenti<br />

in letteratura: (i) Coccidiostatici (11 molecole vietate con il regolamento della Comunità<br />

Europea 2205/01); (ii) Carbadox e Olaquindox (vietati dal regolamento della Comunità<br />

Europea 2788/98); (iii) Zinco-Bacitracina, Spiramicina, Virginiamicina, Fosfato di Tilosina<br />

(vietati con il regolamento della Comunità Europea 2821/98).<br />

520


Elsa Viora Filone tematico C2<br />

Valutazione dell’appropriatezza dell’ecografia in gravidanza dopo<br />

adeguata preparazione degli operatori<br />

A.S.O. O.I.R.M. S. Anna<br />

Centro di Ecografia e Diagnosi Prenatale<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

La prevenzione e la diagnosi precoce, in epoca prenatale, di patologie congenite (<br />

malformazioni, anomalie genetiche, da ipossia fetale) possono migliorare significativamente<br />

l’esito neonatale con positive conseguenze sui costi emozionali, sociali e finanziari che<br />

gravano sulle famiglie coinvolte e sulla società. Il D.M. n. 245 del 20 ottobre 1998 prevede la<br />

possibilità di effettuare tre esami ecografici nel corso della gravidanza. Quando si valuta il<br />

ruolo dell’ecografia in gravidanza è importante distinguere tra ecografia “standard” ( di primo<br />

livello) riservata alle donne che f<strong>anno</strong> riferimento ai centri operanti su tutto il territorio<br />

regionale, ed ecografia dettagliata , ad alta risoluzione in tempo reale, riservata alle donne che<br />

presentano un rischio maggiore di anomalie fetale strutturali ( o sulla base della storia<br />

familiare, o anamnestica , o su indicazioni attuali ); quest’ultimo tipo di ecografia è<br />

generalmente riservata ai Centri di secondo e terzo livello, richiede oltre che un maggior<br />

dispendio di tempo, anche l’utilizzo di operatori ecografisti altamente esperti.<br />

La <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> ha messo in atto un procedimento per cercare di migliorare sia la<br />

quantità che la qualità delle prestazioni erogate nell’ambito dell’ecografia in gravidanza<br />

effettuando nel 2002 un Corso di Formazione in Ecografia Ostetrica, finanziato<br />

dall’Assessorato alla Sanità, rivolto a tutti i medici ostetrici-ginecologi operanti presso le<br />

Strutture Pubbliche ( ASL-ASO ) della regione, al quale ha partecipato almeno un medico per<br />

ogni Dipartimento Materno-Infantile.<br />

Il corso si è svolto, per la parte teorica durata 4 giorni, presso l’Azienda Materno-Infantile<br />

OIRM-Sant’Anna, ed è stato ripetuto due volte per poter offrire la possibilità di frequentare al<br />

maggior numero possibile di operatori senza creare disagio all’organizzazione del lavoro nelle<br />

singole ASL-ASO. La parte pratica, della durata di 1 settimana, è stata organizzata in due fasi:<br />

• i singoli operatori medici ( massimo due alla volta) h<strong>anno</strong> frequentato per un giorno il<br />

Centro di Ecografia e Diagnosi Prenatale dell’Ospedale Sant’Anna- Dipatimento 1 , per<br />

assistere all’attività ambulatoriale e prendere visione dell’organizzazione del Centro.<br />

• Gli operatori medici del Centro di Ecografia e Diagnosi Prenatale dell’Ospedale<br />

Sant’Anna- Dipatimento 1 , si sono recati per quattro giorni consecutivi presso ogni<br />

Dipartimento Materno Infantile della <strong>Regione</strong> per svolgere insieme l’attività e discutere<br />

l’organizzazione del Servizio di Ecografia ,la modalità di esecuzione dell’esame, la<br />

refertazione scritta dell’esame ecografico secondo le Linee Guida proposte dalla SIEOG<br />

(Società Italiana di Ecografia Ostetrica e Ginecologica), la documentazione da allegare e<br />

l’archiviazione dei dati.<br />

Ogni Dipartimento Materno Infantile ha ottenuto uno specifico finanziamento per l’acquisto<br />

di un ecografo dedicato agli esami in gravidanza. Abbiamo valutato quale è stato l’impatto di<br />

questa preparazione teorico-pratica degli operatori dei servizi territoriali (effettuata anche “in<br />

loco”) nella pratica clinica ai fini di un miglioramento delle prestazioni in termini di<br />

appropriatezza.<br />

521


MATERIALI E METODI<br />

Presso il Centro di Ecografia e Diagnosi Prenatale dell’Ospedale Sant’Anna viene utilizzato<br />

un soft-ware che consente la refertazione e l’archiviazione sia dei dati anamnestici della<br />

paziente che degli esami ecografici effettuati per cui è stato possibile esaminare tutta la<br />

documentazione relativa alla casistica del periodo preso in esame. Sono stati considerati due<br />

periodi:<br />

1. dal 1 gennaio 2000 al 31 dicembre 2001,<br />

2. dal 1 gennaio <strong>2003</strong> al 31 dicembre 2004.<br />

Di ogni periodo sono stati valutati il n° di esami con indicazione “sospetta patologia fetale” e<br />

sono stati inclusi in questo gruppo tutti gli esami che avevano come indicazione: sospetta<br />

malformazione, oligo/polidramnios, screening positivo e gravidanza a rischio per<br />

malformazione. E’ stato quindi considerato il n° di invii con tali indicazioni nei due periodi ed<br />

il rapporto fra tale numero ed il numero totale degli esami effettuati. E’ stato inoltre<br />

considerato il numero di casi in cui effettivamente è stata rilevata una patologia fetale<br />

(malformazione oppure iposviluppo) e quindi il rapporto tra i casi inviati (n° pazienti inviate)<br />

e di casi in cui era presente una patologia fetale (n° feti in cui era presente una patologia).<br />

RISULTATI<br />

Sono stati effettuati:<br />

• 28.136 esami ecografici in gravidanza nel periodo dal 1 gennaio 2000 al 31 dicembre<br />

2001,<br />

• 31.845 esami ecografici in gravidanza nel periodo dal 1 gennaio <strong>2003</strong> al 31 dicembre<br />

2004.<br />

1. Nel periodo dal 1 gennaio 2000 al 31 dicembre 2001 sono stati eseguiti 4.461 esami per<br />

sospetto di patologia malformativa fetale pari al 15,8% degli esami totali. Sono state<br />

inviate 1.890 gravidanze per sospetto di patologia fetale e di queste in 254 casi (pari al<br />

13,4%) è stata riscontrata una patologia fetale.<br />

2. Nel periodo dal 1 gennaio <strong>2003</strong> al 31 dicembre 2004 sono stati eseguiti 6.048 esami<br />

ecografici esami per sospetto di patologia malformativa fetale pari al 19 % degli esami<br />

totali. Sono state inviate 2.887 gravidanze per sospetto di patologia fetale e di queste in<br />

467 casi (pari al 16,1%) è stata riscontrata una patologia fetale.<br />

Tutti i dati sono riassunti nella tabella:<br />

N° di esami N° esami effettuati N° pazienti inviate Patologie fetali<br />

per sospetto di per sospetto di diagnosticate<br />

patologia fetale patologia fetale<br />

Periodo 01/01/2000-<br />

31/12/2001<br />

28.136 4.461 (15,8%) 1.890 254 (13,4%)<br />

Periodo 01/01/<strong>2003</strong>-<br />

31/12/2004<br />

31.845 6.048 (19%) 2.887 467 (16,1%)<br />

Totale 59.981 10.509 (17,5%)<br />

Tale aumento sia in numero assoluto sia in proporzione degli esami effettuati per sospetto di<br />

patologia fetale ha portato indirettamente ad una riduzione del numero di prestazioni<br />

diagnostiche improprie e quindi anche ad una riduzione delle liste d’attesa relative<br />

all’ecografia cosiddetta di II-III livello. Inoltre si è avuto un miglioramento nella<br />

appropriatezza degli invii, infatti si è osservato un aumento, oltre che in numero assoluto<br />

anche in percentuale, di casi con patologie fetali confermate all’esame di secondo livello.<br />

522


Pierantonio Visentin Filone tematico A3<br />

Benchmarking sulla sicurezza delle attività sanitarie e di ricerca<br />

ASO San Giovanni Battista di Torino<br />

S.C.D.U. Geriatria<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Nel monitoraggio nazionale sul D.L.gs 626/94, la <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> si è discostata dalla<br />

metodologia adottata dalle altre Regioni, facendo autocompilare i questionari dalle aziende e<br />

sovrastimando l’applicazione del decreto. Mancano confronti fra aziende sanitarie<br />

sull’applicazione del 626 e non vi sono operazioni di benchmarking (confronti valutativi) per<br />

favorire il trasferimento delle buone pratiche prevenzioanali.<br />

OBIETTIVI<br />

1. Valutare l’applicazione del 626 nelle aziende sanitarie del <strong>Piemonte</strong>, con raccolta delle<br />

informazioni da parte dei RLS, per conoscere il punto di vista dei lavoratori.<br />

2. Confrontare i modelli prevenzionali delle aziende sanitarie per sviluppare ipotesi di<br />

intervento.<br />

3. Avviare un benchmarking tra operatori della prevenzione, per favorire il trasferimento dei<br />

modelli organizzativi virtuosi.<br />

MATERIALI E METODI<br />

DISEGNO DELLO STUDIO. Studio osservazionale con rilevamento trasversale dei dati nel<br />

maggio 2004.<br />

PARTECIPANTI. 76 RLS di 28 aziende sanitarie e universitarie piemontesi: 7 ASO, 22 ASL,<br />

2 Enti ospedalieri autonomi afferiti al SSN dopo l’inizio dello studio, 2 Università degli Studi<br />

(non h<strong>anno</strong> partecipato 5 ASL per indisponibilità dei RLS). Il benchmarking è stato proposto<br />

a RSPP e Medici competenti di 7 aziende.<br />

VARIABILI. Norme del D.L.gs 626/94 (Titolo I, Capo I, II, IV, V, VI). Misure per l’<br />

emergenza, la tutela della salute riproduttiva, la protezione da rischi ospedalieri; indice casemix<br />

e infortuni.<br />

ANALISI. Variabilità; distribuzione di frequenze; confronti fra gruppi con test t di Student<br />

per dati non appaiati per le variabili continue, con test esatto di Fisher per le variabili<br />

dicotomiche (package statistico SPSS).<br />

RISULTATI<br />

1. Le 28 aziende h<strong>anno</strong> 48.009 dipendenti, occupati in 1.148 Strutture Complesse che h<strong>anno</strong><br />

ricoverano 383.392 pazienti nel 2004 (range dell’indice case-mix = 0,56 – 1,62). Solo 10<br />

Direttori generali (38,5%) h<strong>anno</strong> attribuito le deleghe secondo le indicazioni della<br />

<strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong>; il 44,0% dei Direttori non ha designato i Dirigenti, il 52,0% non ha<br />

designato i Preposti; i Gruppi di Coordinamento 626 Aziendali sono pressoché inesistenti.<br />

523


Gli organici dei SPP sono inferiori agli standard fissati dalla <strong>Regione</strong> (media 55,1%, range<br />

25,1-94,2%). Nel 44,4% delle aziende il documento di valutazione è redatto senza la<br />

consultazione preventiva dei RLS, nel 34,6% non riporta la programmazione degli<br />

interventi; un’azienda sanitaria sarebbe ancora priva del documento di valutazione dei<br />

rischi! Solo nel 46,4% delle aziende presenta esaurientemente tutti gli argomenti previsti<br />

per la riunione periodica; nel 28% la riunione periodica è svalutata a semplice<br />

adempimento burocratico-formale, nel 26,9% il verbale non viene fatto firmare ai RLS e<br />

nel 7,1% non viene nemmeno redatto. Le procedure sono presenti in tutti i luoghi di<br />

lavoro solo nel 57,1% delle aziende. Pur affidando molti servizi a ditte esterne, il 21,4%<br />

delle aziende non formalizza la cooperazione per la prevenzione con altri Datori di lavoro<br />

(art. 7 del D.L.gs 626/94) e manca persino la convenzione fra SSN e Università. Molti dei<br />

76 RLS non vengono consultati per la valutazione dei rischi (35,1%), l’individuazione,<br />

programmazione, realizzazione e verifica della prevenzione (43,5%), la designazione<br />

degli addetti al SPP (42,3%) e alla prevenzione incendi, pronto soccorso ed evacuazione<br />

(31,9%). Spesso è negata la documentazione dovuta su macchine e impianti (64,0%),<br />

sostanze pericolose (52,0%), organizzazione e ambienti di lavoro (51,3%), infortuni e<br />

malattie professionali (39,7%), misure di prevenzione (35,1%), valutazione dei rischi<br />

(29,3%).<br />

2. Nei confronti fra aziende, nelle ASO i componenti dei SPP sono il 68,9% dello standard<br />

regionale, mentre nelle ASL sono solo il 46,3% (p


SUGGERIMENTI DELLA RICERCA<br />

Sono indispensabili politiche ad ampio raggio per la tutela del lavoro negli ospedali<br />

(dall’identificazione delle priorità per gli investimenti fino all’adeguamento delle funzioni di<br />

controllo). Interventi strutturali ed organizzativi devono procedere parallelamente, perché si<br />

osservano gravi irregolarità anche in reparti appena ristrutturati. La DGR n. 38-25949 del<br />

16/11/98 e le linee-guida prot. n. 6577/27.002 del 29/4/02 v<strong>anno</strong> applicate, oppure è<br />

necessario modificarle. V<strong>anno</strong> incentivate le aziende che h<strong>anno</strong> buoni sistemi di prevenzione<br />

aziendale, che f<strong>anno</strong> la consultazione dei RLS e che adottano correttamente le procedure;<br />

v<strong>anno</strong> sostenute con azioni mirate le aziende ad elevata complessità.<br />

NOTA: la relazione conclusiva include dati sui rischi specifici e sugli incidenti occupazionali.<br />

525


Enrico Zanalda Filone tematico A5<br />

Patologia mentale e disabilita' sociale: "un modello di intervento per la<br />

prevenzione e la riabilitazione in ambito lavorativo"<br />

Asl 6 Dipartimento di Salute Mentale<br />

CONTESTO E RAZIONALE<br />

Il presente progetto è stato avviato per offrire un sostegno ai pazienti cronici in buon<br />

compenso psichico in carico al nostro servizio ed inseriti in una fase "avanzata" del<br />

programma riabilitativo, nel corso del quale vengono attivati dei "Tirocini Orientativi<br />

Formativi" (T.O.F.). La scelta di offrire uno spazio strutturato che consenta di affrontare le<br />

difficoltà prevalentemente di ordine relazionale è nata dalla riflessione che la maggior parte<br />

dei fallimenti riscontrati avevano avevano come causa principale il disagio nell'adeguamento<br />

al contesto relazionale dell'ambiente lavorativo. Di conseguenza, si è deciso di approntare<br />

questo intervento organizzato con la realizzazione di due gruppi di self-help condotti da due<br />

psicologi, al fine di accompagnare in itinere l'esperienza del tirocinio. Si è scelto il modello<br />

del gruppo di Self- Help e lo si è adattato alle esigenze dei nostri pazienti per facilitare la<br />

comunicazione e contenere i momenti di possibile crisi, valutando inoltre che l'impatto con<br />

una "naturale" resistenza al cambiamento, dovuta ad ansia e senso di inadeguatezza, possa<br />

determinare un'adesione solo parziale ad un programma che preveda situazioni nuove.<br />

OBIETTIVI<br />

1. Valutazione e riduzione delle problematiche relazionali in pazienti con disagio cronico.<br />

2. Incremento dell'autostima, della capacità di aderire alle regole e della capacità di<br />

interpretare correttamente le dinamiche relazionali presenti nell'ambiente di lavoro.<br />

3. Miglioramento delle capacità di interazione all'interno dell'esperienza di tirocinio.<br />

4. Attivazione della dimensione progettuale - spesso carente nei pazienti psichiatrici - volta<br />

al prosieguo, una volta terminata l'esperienza TOF, della ricerca di un lavoro coerente con<br />

le proprie capacità.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Strumenti<br />

I pazienti sona stati valutati prima dell'esperienza di gruppo e rivalutati al termine<br />

dell'esperienza con gli stessi strumenti conoscitivi.<br />

• Somministrazione di un questionario di autovalutazione per otto diverse dimensioni<br />

(motivazione interna, autostima, autocritica, tolleranza della frustrazione, senso di<br />

responsabilità, rispetto delle regole, desiderio di contatto sociale e capacità di contatto<br />

sociale), che è stato costruito ad hoc dallo staff del Servizio scrivente ed è stato normato<br />

su un campione di 125 soggetti (57 M; 68 F) appartenenti alla popolazione non<br />

psichiatrica.<br />

• Somministrazione della WAIS-R (Wechsler Adult Intelligence Scale, Wechsler 1981).<br />

• Somministrazione del S.I.V. (Survey Interpersonal Value, L.V. Gordon 1960).<br />

526


• Somministrazione dello STAI Xl e X2 (State-Trait Anxiety Inventory di Spielberger,<br />

Gorsuch e Lushene, 1970).<br />

• Somministrazione dell’intervista V.A.D.O. (Valutazione Abilità - Definizione Obiettivi)<br />

strumento messo a punto da un gruppo di lavoro dell'IRCCS Fatebenefratelli di Brescia,<br />

dell'Istituto Superiore di Sanità e dell'Istituto di Psichiatria del II Ateneo di Napoli.<br />

• Valutazione da parte dello psichiatra referente attraverso una scheda di valutazione<br />

relativa ai punti di forza e di debolezza del proprio paziente inviato al gruppo.<br />

Modello d'intervento<br />

Sono stati attivati due gruppi (6 soggetti per gruppo) di Self-Help (della durata di 9 mesi il<br />

primo e di 6 mesi il secondo) a cadenza settimanale con incontri di 90 minuti per consentire ai<br />

soggetti di:<br />

• condividere la propria esperienza personale riconoscendo l'utilità formativa sia delle<br />

espenenze positive sia di quelle negative.<br />

• Ricevere sostegno nella rielaborazione delle difficoltà incontrate durante la realizzazione<br />

di tirocini formativi.<br />

• Utilizzare l'esperienza gruppale come training all'interazione sociale.<br />

L'intervento dei conduttori ha spaziato da azioni rivolte alla facilitazione della comunicazione<br />

sino ad interventi più direttivi quali l'organizzazione di role-playing e di simulazioni.<br />

RISULTATI<br />

• I due gruppi h<strong>anno</strong> evidenziato un miglioramento nella dimensione dell'espressività<br />

personale ed un incremento di consapevolezza rispetto alle difficoltà relazionali, che sono<br />

emerse e sono state riconosciute dai pazienti stessi.<br />

• La maggior parte dei parametri misurati ha subito uno spostamento verso i valori<br />

normativi.<br />

• L'assiduità nella presenza al gruppo della maggior parte dei soggetti rappresenta un<br />

risultato decisamente positivo con pazienti cronici.<br />

• La valutazione offerta dagli psichiatri, rispetto al miglioramento della tenuta alla "cura"<br />

evidenzia che la direzione intrapresa può portare ad un incremento della compliance.<br />

• Anche dal punto di vista dei T.O.F. i risultati sono incoraggianti infatti, sui 12 pazienti che<br />

h<strong>anno</strong> partecipato ai gruppi Self-Help sulle abilità sociali, possiamo evidenziare che:<br />

- 2 soggetti sono passati dal Tirocinio all'assunzione<br />

- 1 soggetto è passato dal corso di formazione al T. O.F.<br />

- 6 soggetti h<strong>anno</strong> mantenuto il T.O.F.<br />

- 2 soggetti non sono stati inseriti in T.O.F. ma verso di loro si è determinato un<br />

cambiamento di progetto riabilitativo, più adeguato alle loro reali potenzialità, che sta<br />

offrendo attualmente buoni risultati.<br />

- 1 soggetto ha abbandonato il T.O.F. (per una riacutizzazione della sintomatologia).<br />

CONCLUSIONI<br />

L'impianto generale del Progetto offre buone prospettive rispetto all'incremento delle abilità<br />

relazionali nell'ambiente di lavoro protetto che caratterizza i T.O.F.; ricordiamo che erano<br />

527


soprattutto le difficoltà relazionali a causare i frequenti abbandoni ed i fallimenti negli<br />

inserimenti lavorativi. I nostri risultati h<strong>anno</strong> evidenziato un netto miglioramento delle abilità<br />

di coping da parte del gruppo sperimentale. Dalla messa a punto di un impianto progettuale di<br />

questa portata, si può concludere che un'attenta analisi dei bisogni e delle potenzialità dei<br />

pazienti, sostenuta anche con l'ausilio di strumenti di valutazione standardizzati, favorisca la<br />

realizzazione di progetti riabilitativi integrati ed efficaci.<br />

L'attivazione di un gruppo di self-help con queste caratteristiche, risulta essere un valido<br />

strumento a sostegno del percorso riabilitativo intrapreso, considerato anche che una<br />

riduzione degli abbandoni nei T.O.F. rappresenta un'ottimizzazione delle risorse impiegate dal<br />

servizio.<br />

528


Maria Maddalena Zanone Filone tematico C1<br />

Espressione della nefrina nell’endotelio delle isole pancreatiche: ruolo<br />

nel diabete di tipo 1 e nel trapianto di isole<br />

ASO San Giovanni Battista di Torino<br />

OBIETTIVI<br />

La vascolarizzazione delle isole pancreatiche possiede aspetti unici che ne influenzano la<br />

funzione. Infatti, con morfologia sorprendentemente simile alla rete capillare glomerulare<br />

renale, le isole sono vascolarizzate da vasi che, penetrati nell’isola, si ramificano in una densa<br />

rete di capillari sinusoidali, e, come nel glomerulo, l’endotelio in microscopia elettronica è<br />

fenestrato. Questi capillari fenestrati sono fondamentali, non solo per il trasporto fisiologico<br />

di ossigeno e sostanze nutritive, ma anche per la modulazione di segnali di comunicazione<br />

intra ed extravascolari, ed indurrebbero l’espressione del gene dell’insulina durante lo<br />

sviluppo embrionale. Inoltre, le cellule endoteliali (CE) appaiono regolare la sensilibilta’ ai<br />

livelli di glicemia.<br />

In questo contesto, ed alla luce della nota eterogenita’ di fenotipo e funzione tra le CE<br />

derivate da tessuti diversi, nel presente programma di ricerca si sono isolate, purificate e<br />

caratterizzate CE di isole pancreatiche umane, ed in particolare si e’ investigata la espressione<br />

di una glicoproteina, la nefrina, caratteristica della membrana dei podociti del glomerulo<br />

renale. Recenti studi indicano infatti che la espressione della nefrina non sarebbe limitata ai<br />

podociti, ma sarebbe sorprendentemente espressa anche nel pancreas, con esatta<br />

localizzazione pero’ ancora incerta. La nefrina, non avrebbe solo funzioni strutturali e di<br />

regolazione della permeabilita’ cellulare, ma appare essere una proteina di adesione e di<br />

segnale, coinvolta nella regolazione di proliferazione, differenziazione ed apoptosi cellulare.<br />

RISULTATI<br />

Sono state isolate, purificate e coltivate CE estratte da isole pancreatiche umane, ottenendo un<br />

alto grado di purificazione. In microscopia elettronica a scansione le cellule appaiono<br />

allungate, senza il caratteristico aspetto ad acciottolato delle CE; sono presenti fenestrature ed<br />

il trattamento con TNF alfa determina una retrazione citoplasmatica con perdita dei contatti<br />

tra le cellule. Le cellule esprimono tutti i classici marker endoteliali, quali CD105, CD 146,<br />

CD31, e fattore VIII, valutati in citofluorimetria e, soprattutto, mantengono capacita’ di<br />

attivarsi in risposta a diversi stimoli, tra i quali il TNF alfa, come indicato dalla upregolazione<br />

di molecole di adesione (ICAM-1 e VCAM-1). La coltivazione delle cellule in<br />

alte concentrazioni di glucosio ha determinato un progressivo raggrinzimento e distacco delle<br />

cellule, con riduzione di circa il 20% del numero di cellule dopo una settimana, rispetto a<br />

concentrazioni fisiologiche di glucosio.<br />

Mediante tecniche di immunofluorescenza si e’ evidenziata la espressione della proteina<br />

nefrina, esclusivamente nelle CE di isole pancreatiche, e non in altre cellule endoteliali quali<br />

le HUVEC o HMEC, a conferma che la vascolarizzazione delle isole pancreatiche ha<br />

caratteristiche peculiari ed e’ simile alla rete capillare glomerulare renale. Si sono utilizzati sia<br />

anticorpi diretti contro il dominio intracellulare, in CE permeabilizzate, che contro quello<br />

extracellulare, in CE non permeabilizzate. La espressione di nefrina e’ stata confermata in<br />

citofluorimetria; in una analisi a due parametri inoltre, tutte le CE esprimenti nefrina erano<br />

529


contemporaneamente positive anche per il fattore di von Willebrand, inequivocabilmente<br />

confermando il fenotipo endoteliale di tali cellule.<br />

Mediante staining con immunogold in microscopia a scansione, la nefrina appare localizzata<br />

sulla superficie cellulare, senza accumulo a livello delle giunzioni tra le cellule, a differenza<br />

di quanto descritto per i podociti. La espressione e’ stata confermata anche su sezioni di<br />

pancreas umano in immunofluorescenza; la proteina si localizza esclusivamente all’interno<br />

dell’isola di Langherans e colocalizza con i vasi, mentre e’ assente a livello del pancreas<br />

esocrino.<br />

L’espressione della nefrina e’ stata confermata a livello sia di proteina che di RNA nelle CE<br />

estratte, mediante esperimenti di western blotting e di amplificazione genica, rispettivamente.<br />

Nelle CE, in WB, il peso molecolare della nefrina e’ di circa 160 kDa, mentre i podociti, usati<br />

come controllo, esprimono una proteina con un peso molecolare piu' elevato (180kDa), come<br />

descritto. Tale discrepanza potrebbe essere dovuta alla espressione nelle CE di una variante, l'<br />

alfa-nefrina, in cui non e’ presente un esone codificante per un dominio transmembrana. In<br />

alternativa, la discrepanza potrebbe essere legata a modifiche post-trascrizionali della<br />

proteina, quali una ridotta glicosilazione.<br />

In studi di modulazione della espressione di tale proteina da parte di vari stimoli, si e’<br />

evidenziato che il TNF alfa determina una ridistribuzione focale della proteina, in uno o piu’<br />

aggregati (fenomeno di capping), come nei podociti, per effetto del TNF sul citoscheletro. La<br />

coltura delle CE in alto glucosio, fino ad otto giorni, non appare invece modificare la<br />

distribuzione o la espressione di nefrina. Anche nei podociti del resto, alti livelli di glucosio<br />

non modificano la espressione della nefrina, che e’ invece ridotta da prodotti di glicosilazione<br />

avanzata e dalla angiotensina.<br />

Studi ulteriori sono necessari per chiarire quale potrebbe essere il ruolo della nefrina nelle<br />

isole pancreatiche. Anche nelle CE di isola, la nefrina, potrebbe funzioni di segnale, coinvolta<br />

in diversi processi cellulari, e non solo una funzione strutturale. Non sono comunque al<br />

momento noti i meccanismi con cui tali segnali vengono modulati, ne’ quali siano i ligandi<br />

della nefrina. Studi su animali indicano che le CE sono coinvolte nelle sensibilita’ dell’isola ai<br />

livelli di glicemia; la delezione del VEFG, necessario per il mantenimento delle fenestrature<br />

nelle CE, determina ispessimento del corpo cellulare ed una alterata tolleranza al glucosio.<br />

Tali modifiche potrebbero coinviolgere la nefrina, in quanto si e’ dimostrato che la sua<br />

espressione e’ ridotta nei glomeruli renali di topi trattati con anticorpi neutralizzanti anti-<br />

VEGF.<br />

530


Gian Paolo Zara Filone tematico C1<br />

La Farmacogenetica per l’individualizzazione della terapia e la<br />

prevenzione delle reazioni avverse da farmaci<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Anatomia, Farmacologia e Medicina Legale<br />

OBIETTIVO<br />

Il progetto si prefiggeva come obiettivo generale la nascita di un servizio di farmacogenetica<br />

per la tipizzazione genetica di pazienti sottoposti a terapia con farmaci la cui eliminazione o<br />

bioattivazione seguissero una via metabolica i cui enzimi coinvolti fossero soggetti ad un<br />

polimorfismo genetico. Dall’obiettivo generale sono stati identificati e riportati nel<br />

programma scientifico presentato alla <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> alcuni obiettivi intermedi, comunque<br />

fondamentali, nel raggiungimento dello scopo principale. Per questo motivo si proponeva<br />

come primo obiettivo quello di valutare, attraverso uno studio di popolazione, la frequenza dei<br />

polimorfismi genici nella popolazione piemontese ed in seguito, attraverso l’instaurazione di<br />

una o più collaborazioni con i più importanti centri clinici regionali, verificare se l’analisi<br />

farmacogenetica di alcune categorie di pazienti sarebbe stata in grado di capire e magari<br />

risolvere, casi complessi emersi durante la terapia. Tutto questo nell’ottica di:<br />

• migliorare l’efficacia della terapia;<br />

• ridurre gli effetti collaterali;<br />

• ridurre, in alcuni casi, la mortalità dei pazienti;<br />

• ridurre l’uso improprio di farmaci e quindi lo spreco ad esso associato;<br />

• ridurre, in alcuni casi, la durata delle degenza;<br />

• migliorare la qualità della vita dei pazienti;<br />

• migliorare nel complesso il rapporto costo-efficacia, soprattutto per patologie frequenti e/o<br />

molto costose<br />

METODI E RISULTATI<br />

Il progetto è quindi proseguito attraverso due fasi: la prima che ha coinvolto la dottoressa<br />

Loredana Serpe, vincitrice della borsa di studio prevista nel progetto, nell’istituzione di una<br />

biobanca farmacogenetica dove attualmente sono conservati 200 campioni di DNA, RNA e<br />

proteine provenienti da campioni ematici prelevati da volontari sani piemontesi, sia adulti che<br />

bambini previo consenso informato, e la seconda che ci ha visto impegnati nella scelta di<br />

quale polimorfismo studiare. La nostra decisione è ricaduta nello studio di alcuni<br />

polimorfismi a carico di un enzima, la Tiopurina Metiltransfersi (TPMT), responsabile del<br />

metabolismo di farmaci importanti nel trattamento delle leucemie, nei trapianti d’organo e<br />

nelle malattie infiammatorie croniche. Infatti questa proteina è presente all’interno della<br />

popolazione come tratto genetico autosomico dominante ed è soggetta a polimorfismi che<br />

stratificano la popolazione. La frequenza dei polimorfismi rileva che 1 su 300 (0.3%)<br />

individui presentano un bassa o nulla attività enzimatica (omozigoti TMPTL/TMPTL), l’11%<br />

presentano un’attività intermedia (eterozigoti TMPTH/TMPTL) e l’89% presentano un<br />

normale o alto livello di attività (omozigoti/wild type TMPTH/TMPTH). Di conseguenza,<br />

pazienti con una bassa o assente attività (1/300), presenterebbero un alto rischio di sviluppare<br />

effetti collaterali anche mortali. Questi pazienti potrebbero essere facilmente identificati,<br />

531


prima dell’inizio della terapia, attraverso la genotipizzazione dell’enzima in questione e<br />

dirottati verso terapie alternative. Tuttavia anche coloro che presentano una TMPT con attività<br />

intermedia (eterozigoti) e iniziassero terapie con farmaci la cui metabolizzazione avvenisse<br />

attraverso la TPMT, sarebbero a rischio di sviluppare reazioni avverse quindi, una conoscenza<br />

a priori dei rischi, potrebbe guidare il medico nella scelta iniziale della dose per massimizzare<br />

gli effetti terapeutici e ridurre gli effetti tossici.<br />

A tuttora la dottoressa Serpe, dopo un apprezzabile lavoro di sviluppo di metodiche in<br />

biologia molecolare (RFLP-PCR) per determinare i polimorfismi in esame dell’enzima<br />

TPMT: (TPMT*1 wild-type e TPMT*3A, TPMT*3B, TTPMT*3C), ha identificato in 108<br />

volontari sani le seguenti frequenze alleliche: 204/216 (94.4%) per TPMT*1, 2/216 (0.9%)<br />

per TPMT*1/3A, 8/216 (3.7%) per TPMT*1/3B, 2/216 (0.9%) per TPMT*1/3C. Da questi<br />

dati preliminari, in quanto lo screening è ancora in corso, si evince che fino a questo<br />

momento, all’interno della nostra popolazione in esame, sono presenti degli eterozigoti<br />

(soggetti che presentano un allele normale e uno mutato) ma nessun soggetto che presenta<br />

entrambi gli alleli con le mutazione in studio. Mentre la dottoressa Serpe continuava nella sua<br />

opera di reclutamento di volontari e nel suo lavoro di genotipizzazione, venivano intrapresi i<br />

primi contatti con i centri clinici regionali per valutare se l’analisi farmacogenetica di alcune<br />

categorie di pazienti sarebbe stata in grado di comprendere e magari risolvere casi complessi<br />

emersi durante la terapia. I contatti intrapresi h<strong>anno</strong> portato all’inizio di una collaborazione tra<br />

la Sezione di Farmacologia del Dipartimento di Anatomia Farmacologia e Medicina Legale e<br />

l’ospedale infantile Regina Margherita e precisamente nelle persone della Professoressa<br />

Cristiana Barbera e nel dottor Gian Luigi Calvo, per lo studio genotipico, fenotipico e<br />

metabolico in pazienti pediatrici affetti da morbo di Crohn sottoposti a terapia con<br />

Azatioprina, un farmaco soggetto al metabolismo della TPMT.<br />

La collaborazione ha portato alla stesura di un protocollo di studio che veniva sottoposto<br />

all’approvazione del Comitato Etico Regionale ed in data 21/10/2004 veniva approvato previa<br />

modifica di alcuni punti che prontamente venivano corretti. Brevemente lo studio si prefigge<br />

di correlare, nel paziente pediatrico affetto da morbo di Crohn in terapia con Azatioprina, il<br />

genotipo e il fenotipo dell’enzima metiltiopurina transferasi (TMPT) nonché i metaboliti 6tioguanina<br />

(6-TG) e 6-metilmercaptopurina (6-MMP) con gli outcomes terapeutici.<br />

532


Alessandro Zennaro Filone tematico C2<br />

Valutazione dell’intervento terapeutico residenziale: indicatori di esito<br />

clinico e verifica di qualità dell’intervento<br />

Tiaré Onlus<br />

OBIETTIVI E RISULTATI<br />

Consideriamo raggiunti i principali obiettivi prepostici:<br />

1. è stata individuata la batteria di assessment;<br />

2. è stata avviata una sperimentazione in merito alla medesima su campioni clinici<br />

provenienti da strutture terapeutiche operanti in ambito adolescenziale;<br />

3. si è iniziata la realizzazione del portale clinico.<br />

Per ciò che attiene i punti elencati, i risultati conseguiti possono essere così riassunti:<br />

1. Batteria di Assessment: in seguito ad adeguato approfondimento della letteratura<br />

scientifica internazionale sull’argomento, abbiamo individuato una batteria di strumenti<br />

caratterizzata da scale e test che indagano, in modo particolare, tre aree di interesse<br />

dell’intervento terapeutico, ovvero: la diagnosi, l’andamento e il comportamento del paziente.<br />

In questa specifica fase, ci si è occupati di trovare appropriati indicatori clinici che siano<br />

efficaci per la diagnosi e l’intervento riabilitativo-terapeutico nei contesti di cura psichiatrica.<br />

La batteria risulta così composta:<br />

• CGI (Clinical Global Impression).<br />

• VFG (Valutazione Globale del Funzionamento) Tale strumento è in corso di sostituzione<br />

con “L’asse k di Kennedy”, elaborazione più sofisticata della VGF in direzione<br />

multifocale.<br />

• BPRS 4.0 (Brief Psychiatric Rating Scale).<br />

• PANSS (Positive and Negative Schizophrenic Symptoms)<br />

• VABS (Vineland Adaptive Behavior Scales), differentemente degli strumenti precedenti,<br />

finalizzati esclusivamente alla rilevazione dei sintomi, la VABS è stata inserita per<br />

valutare le capacità residue dei pazienti, allo scopo di definire in termini di disabilità,<br />

quanto siano stati compromessi dalla malattia mentale, in che aree di funzionamento, a<br />

che livello di gravità in ciascuna di esse e soprattutto su quali elementi del vivere<br />

quotidiano sia ancora possibile lavorare per il recupero funzionale.<br />

• SEE (Simpson-Angus Scale)E' una scala di facilissima e rapida applicazione finalizzata<br />

alla rilevazione degli effetti collaterali connessi con l'utilizzo dei neurolettici. E' stata<br />

inserita ai fini di poter meglio addivenire ad una corretta valutazione del rapporto<br />

costi/benefici, connesso con il trattamento.<br />

• VSSS 54(Verona Service Satisfaction Scale)<br />

• MACI (Millon Adolescent Clinical Inventory) Trattasi di uno strumento largamente usato<br />

per la valutazione della personalità in adolescenza, in ambito internazionale, ma non<br />

533


ancora disponibile alla comunità scientifica nazionale. L’uso è quindi sperimentale sotto<br />

la diretta supervisione scientifica dell’Università della Valle d’Aosta (Prof. A. Zennaro)<br />

• CBCL (Child Behaviour Check List)<br />

• Scala di Valutazione dei sintomi in Asse II. Si tratta di uno strumento sperimentale,<br />

elaborato in seno all’Università della Valle d’Aosta (Prof. A. Zennaro), per la rilevazione<br />

e la valutazione dimensionale della sintomatologia (criteri) in asse II secondo il DSM IV<br />

TR).<br />

3. Sono state valutate e studiate più approfonditamente le dieci scale cliniche, ricercate tra la<br />

letteratura nazionale e internazionale (di cui al paragrafo precedente), finalizzate alla<br />

misurazione degli interventi ed allo studio del legame fra abilità e disabilità misurate, e<br />

diagnosi categoriale e dimensionale. In questa fase abbiamo cercato di individuare, tra il<br />

materiale raccolto, quei test diagnostici che meglio si adattavano ai nostri obiettivi<br />

progettuali e che rispettavano alcuni criteri predominanti:<br />

i. traduzione italiana;<br />

ii. standardizzazione italiana;<br />

iii. validità e attendibilità dei tests;<br />

iv. praticità di somministrazione;<br />

v. adattabilità alle caratteristiche dei pazienti accolti in strutture residenziali e<br />

semiresidenziali.<br />

4. Gli obiettivi prepostici prevedevano:<br />

• lo studio dei percorsi di accreditamento e attualmente in corso per quanto concerne le<br />

Comunità Terapeutiche.<br />

• la analisi della manualizzazione dell’intervento, in corso o ultimata, nell’ambito di<br />

percorsi di certificazione ISO cui si sono sottoposte alcune strutture residenziali.<br />

• la analisi dei sistemi informativi clinici presenti presso strutture certificate o certificande,<br />

per valutare la sovrapponibilità degli strumenti di rilevazione in uso.<br />

Tali valutazioni preliminari h<strong>anno</strong> permesso la costruzione di un modello sperimentale di<br />

manualizzazione, implementato in un portale sperimentale in cui sono stati inseriti gli<br />

elementi comuni evidenziati e a cui potr<strong>anno</strong> in seguito fare riferimento le strutture impegnate<br />

nella ricerca ed i servizi pubblici di NPI. Il modello di manualizzazione, ha affrontato il<br />

percorso di cura come successioni di steps del percorso clinico (accesso,osservazione iniziale,<br />

elaborazione del progetto, verifica dello stesso, dimissione) ed ha permesso di integrare nel<br />

sistema clinico la batteria testistica verificata, costruendo elementi di descrizione del rapporto<br />

tra struttura e paziente. L’esportabilità, garantita attraverso la realizzazione del portale, di tali<br />

elementi potrà permettere una sempre più ampia correlazione tra le valutazioni della<br />

condizione psicopatologica, le valutazioni delle abilità/disabilità sociali e le modalità con cui<br />

viene messo in atto il percorso riabilitativo. Tale definizione ha valore scientifico in quanto<br />

permette di costruire riferimenti tra esito e processo, elemento di assoluta novità in ambito<br />

residenziale psichiatrico. Il valore clinico del progetto sta nell’associazione tra processi di<br />

erogazione del servizio e valutazione degli esiti nell’abito del Total Quality Management.<br />

534


Paolo Zola Filone tematico C1<br />

Ossigenazione tumorale e COX2: fattori predittivi di risposta alla<br />

chemioterapia e di prognosi nel cervicocarcinoma<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Discipline Ginecologiche e Ostretiche<br />

OBIETTIVI<br />

Gli obiettivi primari di questo studio sono stati la valutazione dello stato di ossigenazione<br />

tumorale (mediante la determinazione dei livelli di emoglobina alla diagnosi e della densità<br />

vascolare intratumorale – IMD) e della espressione di COX-2 nelle pazienti affette da<br />

carcinoma della cervice uterina e l’analisi del loro possibile ruolo predittivo di risposta ai<br />

trattamenti integrati impostati. L’obiettivo secondario è stata l’analisi della correlazione tra la<br />

IMD, l’espressione di COX-2, gli indicatori di ipossia (livello preoperatorio di emoglobina) e<br />

i fattori prognostici noti.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Per il presente studio è stata analizzata una casistica consecutiva di 297 pazienti affette da<br />

carcinoma invasivo della cervice uterina trattate presso la Cattedra di Ginecologia Oncologica<br />

dell’Università di Torino dal 1984 al 2004. Le pazienti sono state trattate nel periodo<br />

compreso tra il 1° Gennaio 1986 ad oggi. I dati relativi all’inquadramento clinico delle<br />

pazienti e ai fattori prognostici e predittivi in studio sono stati ottenuti sulla base di una<br />

revisione delle cartelle cliniche delle pazienti e poi riportati in un database relazionale. E’<br />

stato quindi aggiornato il follow up mediante la consultazione dei referti delle visite<br />

periodiche nell’ottica di condurre un’analisi di sopravvivenza per stabilire la valenza<br />

prognostica dei fattori presi in esame.<br />

Sulla base dei criteri del protocollo del presente studio, delle 297 pazienti esaminate sono<br />

risultate eleggibili 73 pazienti (24.57 %) affette da carcinoma della cervice uterina localmente<br />

avanzato. Tali pazienti sono state tutte sottoposte a trattamento chemioterapico neoadiuvante<br />

a base di platino successivamente integrato con trattamento chirurgico radicale. Le ragioni di<br />

esclusione sono state le seguenti: pazienti non sottoposte a terapie integrate multimodali o con<br />

neoplasia di stadio clinico non compreso fra IB e IIB 171 (57.58%), pazienti di cui non sono<br />

risultati disponibili esami di imaging quali TC dell’addome inferiore e/o Risonanza Magnetica<br />

dell’addome inferiore 40 (13.47%), perse al follow up 13 (4.38%).<br />

Nella seconda fase del progetto sono stati selezionati i campioni paraffinati prelevati in sede<br />

di diagnosi o di intervento chirurgico ed in un secondo tempo è stata effettuata la<br />

determinazione dell’IMD utilizzando una variante del metodo descritto da Weidner nel<br />

carcinoma mammario: le sezioni microscopiche sono state marcate con tecnica<br />

immunoistochimica con il marcatore endoteliale CD34 e la conta dei vasi è stata eseguita<br />

nelle aree di maggiore densità capillare (hot spot). Inoltre è stata quantificata la percentuale di<br />

cellule neoplastiche che esprimevano COX-2. La qualità dei preparati istologici non è risultata<br />

soddisfacente in quanto l’effetto citopatico del trattamento neoadiuvante ha determinato<br />

alterazioni del tessuto neoplastico tali da compromettere la corretta lettura dei preparati e<br />

l’attendibilità dei risultati ottenuti. Per le ragioni sopra specificate la ricerca si è pertanto<br />

535


focalizzata sulla valutazione dei principali fattori clinici predittivi e prognostici dei trattamenti<br />

integrati della cervice uterina.<br />

Al fine di predire la risposta al trattamento chemioterapico neoadiuvante sono stati individuati<br />

alcuni parametri clinico-patologici noti prima del trattamento quali il livello di emoglobina<br />

alla diagnosi, l’età, la parità, l’eventuale stato di menopausa, il BMI, lo stadio clinico ,il<br />

diametro tumorale, ed il grado nucleare. Al fine di determinare l’entità della risposta clinica al<br />

trattamento di induzione e la valenza prognostica e predittiva dei parametri clinico-biologici<br />

studiati, è stata definita una variabile percentuale per indicare la differenza fra la dimensione<br />

tumorale valutata prima del trattamento e quella residua riscontrata all’esame istologico<br />

definitivo. La variabile percentuale è stata stratificata in un primo momento in Risposta<br />

Completa (RC: 71-100 %), Risposta Parziale 1 (PR1: 50-70 %), Risposta Parziale 2 (PR: 0-49<br />

%). Successivamente, per ragioni correlate all’analisi statistica effettuata, tale variabile è stata<br />

stratificata in “Risposta Ottimale” (risposta patologica completa o riduzione del diametro<br />

tumorale > 50% ) ed in “Risposta sub-ottimale” (riduzione del diametro tumorale < 50%).<br />

L’analisi della relazione tra i parametri clinico-biologici pre-trattamento e la risposta alla<br />

chemioterapia neoadiuvante è stata effettuata mediante un modello di regressione logistica<br />

univariata e multivariata.<br />

RISULTATI<br />

73 pazienti affette da carcinoma della cervice uterina localmente avanzato di cui 29 (39.7%)<br />

di stadio Ib2, 22 (30.1%) di stadio IIa e 22 (30.1%) di stadio IIb sono state sottoposte a 3 cicli<br />

di chemioterapia neoadiuvante con regime a base di platino seguiti da laparoisterectomia<br />

radicale di tipo III. Una risposta completa al trattamento chemioterapico neoadiuvante è<br />

risultata essere significativamente correlata ad alti livelli di emoglobina alla diagnosi (media<br />

14.0 mg/dl): risposte quantificabili attorno al 50% od inferiori al 50% sono risultate correlate<br />

rispettivamente a valori medi di emoglobina alla diagnosi pari a 12.7 mg/dl e 11.9 mg/dl (P =<br />

0.002).<br />

All’analisi multivariata i livelli di emoglobina alla diagnosi h<strong>anno</strong> dimostrato un’ottima<br />

valenza come fattori predittivi di risposta alla chemioterapia neoadiuvante. Un cut-off<br />

emoglobinico di 12 mg/dl ha permesso di distinguere un sottogruppo di pazienti (con Hb > o<br />

= 12 mg/dl) ad alta probabilità di risposta al trattamento chemioterapico neoadiuvante da un<br />

sottogruppo di pazienti (< 12 mg/dl) a bassa probabilità di risposta.<br />

Le pazienti con risposta completa alla chemioterapia h<strong>anno</strong> presentato una sopravvivenza del<br />

100% rispetto alle pazienti caratterizzate da una risposta > o = 50% ed alle pazienti con<br />

risposta < 50% che si sono assestate rispettivamente al 93.1% ed al 53.8% (P = 0.0001). Le<br />

pazienti con livelli emoglobinici alla diagnosi > 12 mg/dl h<strong>anno</strong> raggiunto una sopravvivenza<br />

dell’87% rispetto a quella ottenuta dalle pazienti con livelli emoglobinici inferiori pari al 63%<br />

(P = 0.008).<br />

CONCLUSIONI<br />

Nell’ambito della gestione terapeutica del carcinoma della cervice localmente avanzato, il<br />

livello emoglobinico alla diagnosi ha mostrato una valenza prognostica e predittiva<br />

indipendente in relazione alla risposta alla chemioterapia neoadiuvante. Nella nostra analisi<br />

preliminare condotta su un campione ridotto è stato definito un cut-off emoglobinico<br />

potenzialmente in grado di prevedere la tipologia di risposta “ottimale” o “non ottimale” al<br />

trattamento neoadiuvante.<br />

536


Carla Maria Zotti Filone tematico D2<br />

Le infezioni chirurgiche nel post-parto: studio di incidenza su parti<br />

cesarei e parti vaginali<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia<br />

OBIETTIVI<br />

Obiettivo generale. Stimare la frequenza di infezioni correlate all’assistenza del parto vaginale<br />

e del parto cesareo, con particolare attenzione alle infezioni del sito di incisione episiotomica<br />

o laparotomia<br />

Obiettivi specifici.<br />

• Stimare l’incidenza di infezioni puerperali a seguito di parto vaginale su due campioni di<br />

donne assistite con procedura di parto “sterile” o parto “pulito”.<br />

• Descrivere sinteticamente le procedure assistenziali teoriche delle due strutture<br />

identificate (una per il parto “sterile” e una per il parto “pulito”).<br />

• Stimare l’incidenza di infezioni puerperali a seguito di parto cesareo elettivo e non<br />

elettivo.<br />

• Analizzare i principali fattori di rischio correlati alla gestione del parto Studio sui Parti<br />

vaginali.<br />

METODI E RISULTATI<br />

Sono stati identificati due Punti Nascita Ospedalieri della <strong>Regione</strong> <strong>Piemonte</strong> con differenti<br />

modelli operativi e procedure assistenziali per l’assistenza al parto (Ospedale A: Modello<br />

“parto sterile”, Ospedale B: Modello “parto pulito”). La numerosità del campione di ogni<br />

punto nascita, per una frequenza attesa di infezioni dell’1-3%, è risultata di 200 partorienti,<br />

reclutate consecutivamente in alcuni giorni della settimana concordati con gli operatori. Per<br />

ogni partoriente è stata compilata una scheda con le informazioni relative al parto, alle<br />

procedure ed ai comportamenti assistenziali. Sono stati registrati i segni clinici compatibili<br />

con la presenza di infezione nosocomiale rilevati direttamente o dalla cartella clinica. Nel<br />

follow-up telefonico a trenta giorni è stata rilevata la presenza di sintomatologia ascrivibile ad<br />

infezione e/o la diagnosi effettuata dal curante, la prescrizione di antibiotici, le procedure<br />

assistenziali che l’episodio infettivo ha comportato.<br />

Nell’Ospedale A sono stati compilati 200 questionari tra maggio e settembre 2004. Dalla<br />

storia ostetrica, risulta che il 70,5% delle donne è alla prima esperienza di parto. Nel 71% dei<br />

casi il travaglio è insorto spontaneamente, nel 29% dei casi è stato indotto. Per il 61% delle<br />

donne la rottura delle membrane amniotiche è stata spontanea.<br />

Nell’Ospedale B sono stati compilati 209 questionari tra luglio e dicembre 2004. Il 74,2%<br />

delle donne è di nazionalità italiana; il 51,7% ha un’età compresa tra i 31 e i 40 anni, e il<br />

48,8% ha un titolo di licenza media superiore. Il 44,5% delle donne è alla prima esperienza di<br />

parto, il 41% alla seconda. Nell’89% dei casi il travaglio è insorto spontaneamente, mentre<br />

nell’ 11% dei casi è stato indotto. Per il 96% delle donne la rottura delle membrane<br />

amniotiche è stata spontanea.<br />

In nessuno dei due campioni sono state rilevate infezioni e nel follow–up telefonico effettuato<br />

entro 30 giorni dal parto le donne h<strong>anno</strong> segnalato problemi alla ferita, prevalentemente<br />

dolore o dolore associato ad edema o gonfiore, non trattati o trattati localmente. Non essendo<br />

537


state osservate infezioni, non è stato possibile verificare correlazione tra insorgenza delle<br />

infezioni, procedure e comportamenti assistenziali.<br />

Tuttavia la ricerca ha fornito dati interessanti su alcuni fattori di rischio assistenziali: gli<br />

operatori dell’Ospedale A tendono a visitare più frequentemente le donne in travaglio di parto<br />

in fase attiva, rispetto agli operatori dell’Ospedale B (37% delle donne è stata visitata da sei a<br />

dieci volte vs. 3,8%); le donne che h<strong>anno</strong> partorito nell’Ospedale A sono state sottoposte ad<br />

episiotomia nel 51% dei casi, contro il 6,3% di quelle che h<strong>anno</strong> partorito nell’Ospedale B; la<br />

tricotomia è stata praticata nel 7% dei casi nell’Ospedale B, vs. 55,5% delle donne<br />

dell’Ospedale A; nell’Ospedale A non sono stati rilevati perinei integri, mentre nell’Ospedale<br />

B ne sono stati rilevati 50 su 209; rispetto all’assistenza al perineo nell’Ospedale B si deduce<br />

un maggiore rispetto delle raccomandazioni OMS e delle indicazioni Evidence Based.<br />

Relativamente ai comportamenti degli operatori, emergono differenze rilevanti tra i due<br />

ospedali, con una tendenza di entrambi a disattendere quanto raccomandato in letteratura<br />

soprattutto rispetto al corretto lavaggio delle mani, all’utilizzo dei guanti, alla presenza di<br />

monili durante l’assistenza al parto nell’Ospedale A e all’utilizzo dei dispositivi di protezione<br />

individuale nell’Ospedale B. Nella popolazione di partorienti a basso rischio assistite con i<br />

due tipi di parto non sono emersi vantaggi relativi al mantenimento di procedure<br />

convenzionali (parto “sterile”) e sono al contrario emerse alcune ipotesi circa l’adozione di<br />

procedure alternative che potrebbero tradursi in atti assistenziali razionali.<br />

Studio sui Parti cesarei. Sono stati compilati 430 questionari nel periodo maggio-settembre<br />

2005. Dall’analisi dei dati il campione è risultato costituito da un 77,5% di donne di età<br />

superiore ai 30 anni; il 73% ha una scolarità superiore alla scuola dell’obbligo e per il 64,6%<br />

si tratta della prima esperienza di parto mediante taglio cesareo, mentre per 126 delle restanti<br />

152 donne si tratta della seconda e per 26 della terza esperienza. 130 donne sono state<br />

sottoposte a TC quando già erano in travaglio (nel 50% dei casi insorto spontaneamente, nel<br />

50% indotto). L’intervento è stato programmato nel 52% dei casi. Circa doccia e depilazione,<br />

l’82% delle donne ha fatto la doccia, per lo più a casa (66%) e alla vigilia dell’intervento<br />

(68%); il 98% delle donne è stata depilata, nell’80% dei casi poco prima dell’intervento e nel<br />

97% con rasoio monouso. Nel 98% dei casi è stata eseguita l’incisione della cute secondo<br />

Pfannestil, per la cui sutura sono stati utilizzati prevalentemente punti metallici (66,3%). Al<br />

98,3% delle donne è stata effettuata la profilassi antibiotica; nell’83% dei casi l’antibiotico<br />

utilizzato è un’associazione di ampicillina e sulbactam. L’infezione della ferita chirurgica è<br />

insorta in 3 donne durante il ricovero; altre 18 infezioni sono state rilevate grazie al consulto<br />

telefonico effettuato tra i 15 e i 30 giorni dopo la dimissione. Il tasso di infezione risulta<br />

dunque complessivamente del 4,8%; 20 sono infezioni della ferita chirurgica, una è infezione<br />

delle vie urinarie. Dal follow-up è emerso che circa il 10% delle donne ha dichiarato<br />

l’insorgenza di altri problemi alla ferita (dolore e gonfiore); per il trattamento il 18,6% delle<br />

donne si è rivolta al ginecologo privato, il 51,2% è andata in ospedale. La frequenza osservata<br />

di infezioni si colloca in una situazione intermedia rispetto ai dati di letteratura, ma elevata se<br />

si considera il ricorso al cesareo comunque superiore in Italia (35%) a tutti i paesi europei e la<br />

situazione di basso rischio derivante dalla frequenza relativa di cesarei in elezione (52%).<br />

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