MAGNETOTERAPIA - Fieldsforlife.org
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<strong>MAGNETOTERAPIA</strong><br />
GLI STROBOSCOPI<br />
A GAS XENO<br />
DIVENTANO POTENTI<br />
MAGNETOTERAPIE<br />
A BASSA FREQUENZA<br />
Testo di Marco Montanari<br />
www.fieldsforlife.<strong>org</strong><br />
Copyrigt © 2010<br />
LICENZA PUBBLICA GENERICA (GPL) DEL PROGETTO GNU<br />
Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.<strong>org</strong> 1
GLI APPARECCHI ELETTROMEDICALI<br />
QUI DESCRITTI<br />
NON SONO GIOCATTOLI<br />
LA LORO RIPRODUZIONE<br />
È CONSENTITA<br />
SOLO A SCOPO SCIENTIFICO<br />
E/O SPERIMENTALE<br />
NON A SCOPO COMMERCIALE<br />
E/O INDUSTRIALE<br />
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Pag:<br />
INDICE<br />
4 ACCORATO AVVERTIMENTO AGLI SPROVVEDUTI<br />
5 NELL'ATTESA CHE VENGA QUEL GIORNO...<br />
6 UNA <strong>MAGNETOTERAPIA</strong> INNOVATIVA<br />
8 COME MANEGGIARE UNA LAMPADA ALLO XENO<br />
10 UNO STROBOSCOPIO NOBILITATO<br />
12 PRIME IMPORTANTISSIME CONCLUSIONI<br />
13 TERAPIA FOTODINAMICA E <strong>MAGNETOTERAPIA</strong><br />
18 STROBOSCOPI IN CRESCENDO<br />
20 COSTRUZIONE DELL'INTERFACCIA BIOFISICA<br />
22 UNA <strong>MAGNETOTERAPIA</strong> FATTA CON COMPONENTI DI RECUPERO<br />
25 ALCUNE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE<br />
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ACCORATO AVVERTIMENTO AGLI SPROVVEDUTI<br />
Corrono un serio rischio di morte coloro che sottovalutano o peggio ignorano le<br />
indispensabili precauzioni a cui chiunque si deve scrupolosamente attenere<br />
durante il collaudo e l'uso degli apparecchi elettrici collegati direttamente alla<br />
rete di distribuzione elettrica.<br />
Le seguenti magnetoterapie a bassa frequenza sono costituite da pochi ed<br />
elementari componenti elettrici ed elettronici. La loro facile reperibilità può<br />
indurre coloro che si ritengono in grado di assemblarli, di procedere facilmente<br />
alla realizzazione o alla modifica di flash stroboscopici, ignorando o<br />
sottovalutando l'elevata possibilità di subire gravissimi danni fisici o mortali<br />
specialmente durante il collaudo dell'apparecchiatura.<br />
E' del tutto evidente che chi legge questo testo, per la curiosità di sperimentare<br />
ciò che gli appare semplice o addirittura elementare (l'ovvietà è sempre<br />
un'illusione), decida di apportare delle modifiche a circuiti già esistenti o di<br />
realizzare in fretta e furia uno dei seguenti schemi elettrici di magnetoterapia a<br />
bassa frequenza.<br />
Se il costruttore non possiede adeguate conoscenze di elettronica e non conosce<br />
il pericolo delle alte tensioni e non sa cosa comporti un circuito non<br />
disaccoppiato dalla rete di distribuzione elettrica, invece di sperimentare gli<br />
effetti terapeutici di potenti campi magnetici impulsivi, sarà ricordato come<br />
colui che non sapeva che:<br />
CHI TOCCA I FILI MUORE<br />
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NELL'ATTESA CHE VENGA QUEL GIORNO...<br />
L'Autore incoraggia la riproduzione a scopo sperimentale di tutti gli<br />
apparecchi medicali proposti dal medesimo alla comunità umana e<br />
scientifica mediante Internet, in particolare riconosce il ruolo terapeutico<br />
delle magnetoterapie a bassa frequenza, ma di grande potenza impulsiva<br />
(vedi oltre), come determinanti nella cura di moltissime malattie.<br />
In altri termini, l'Autore è assolutamente certo di quanto va affermando e,<br />
tramite Internet, dona all'attento lettore il proprio bagaglio culturale maturato<br />
nell'indefessa applicazione nella ricerca delle interazioni tra il proprio<br />
<strong>org</strong>anismo ed i campi magnetici, attuata al contempo in modo sistematico e<br />
critico, per cui gli resta solo di esclamare: Provate per credere!<br />
La condivisione di fenomeni biofisici in origine osservati ed applicati da alcuni<br />
soprattutto nell'autocura delle malattie, la loro ripetuta osservazione tramite la<br />
libera sperimentazione è causa del perfezionamento della prassi applicativa o<br />
della sua eventuale revisione; in questo caso l'informazione riguarda la<br />
dimensione empirica, mentre la condivisione di ogni tipo di informazione si<br />
attua mediante Internet.<br />
Ogni sperimentatore che trae evidenti benefici fisici come diretta conseguenza<br />
dall'azione biofisica di impulsi di potenti campi magnetici, matura la<br />
corrispondente coscienza sperimentale, che tende a diffondersi nel proprio<br />
ambiente in forma aneddottica e se altre persone avranno la possibilità di<br />
ripetere la medesima prassi sperimentale, i casi aneddottici aumenteranno<br />
esponenzialmente.<br />
Il passaggio dalla sperimentazione empirica a quella scientifica che mira a<br />
spiegare le cause biofisiche dei medesimi fatti aneddottici, deriva dal loro<br />
massiccio incremento, ma non necessariamente dalla loro omogeneità, in ogni<br />
caso il loro numero dovrebbe indurre alcuni ricercatori particolarmente sensibili<br />
all'innovazione in Medicina a procedere alle dovute conferme ma, come recita<br />
una famosa canzone, “nell'attesa che venga quel giorno...” l'Autore attende con<br />
fiducia il tempo in cui i biofisici lavoreranno sempre a fianco dei medici e dei<br />
farmacologi, ma nel frattempo gli eventi si riassumono nel seguente aforisma i<br />
cui molti significati sono reperibili nel vissuto esistenziale e culturale di molti:<br />
Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire<br />
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UNA <strong>MAGNETOTERAPIA</strong> INNOVATIVA<br />
L'Autore da decenni studia le elettroterapie e la Magnetoterapia; nei riguardi di<br />
quest'ultima ne ha già posto le basi realizzative nell'articolo: Magnetoterapia<br />
innovativa a bassa frequenza a scarica capacitiva (1,4 Tesla); alla cui<br />
consultazione rimanda l'eventuale ignaro lettore, non ritenendo necessario<br />
ripetere qui quanto ha già scritto.<br />
Le innovative magnetoterapie a bassa frequenza che generano rapidi e intensi<br />
campi magnetici di uno o due Tesla, usufruiscono dell'elevata intensità di<br />
corrente elettrica prodotta dalla scarica di un condensatore in un induttore;<br />
quest'ultimo costituisce l'interfaccia biofisica. Detta scarica è attuabile<br />
mediante un semplice interruttore meccanico, comunque destinato ad una<br />
rapida usura che invece non avviene ricorrendo agli SCR di potenza.<br />
Altrettanto rapidi e intensi campi magnetici si possono produrre utilizzando<br />
delle lampade allo xeno normalmente impiegate per segnalazione o per scopi<br />
ludici o professionali in cui si richiede l'applicazione dell'effetto stroboscopico.<br />
Le lampade allo xeno funzionano in modo analogo agli SCR con la differenza<br />
che per l'innesco necessitano di un impulso in alta tensione (7 – 8 KV) che<br />
evolve in un'onda smorzata di circa 250 Khz e, come gli SCR, hanno un anodo<br />
e un catodo (l'anodo è normalmente marcato con un punto rosso). Le lampade<br />
allo xeno si differenziano tra loro in base all'energia che possono veicolare ad<br />
ogni innesco senza collassare che nei tubi di minore potenza di solito è di circa<br />
0,140 J e la loro durata si approssima a circa 10.000.000 di scariche, oltre le<br />
quali cessano di funzionare. Una magnetoterapia derivata da un classico<br />
stroboscopio allo xeno, non potrà superare le 400 ore di funzionamento.<br />
L'Autore ritiene che tale limite si potrebbe elevare, utilizzando lampade a gas<br />
per uso automobilistico.<br />
I difetti tecnici sono compensati da notevoli effetti biologici comunque<br />
localizzati:<br />
● Gli induttori costruiti dall'Autore, generano un campo magnetico utile che<br />
si protende fino a 10 – 12 cm e, utilizzando il campo concatenato come<br />
metodo di somministrazione della variazione di flusso, il campo<br />
magnetico utile può estendersi fino a 20 25 cm.<br />
● La prostata è molto sensibile all'azione del campo magnetico ed è<br />
raggiungibile applicando un idoneo elettromagnete nella regione<br />
perineale (vedi oltre).<br />
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● Una potente magnetoterapia a bassa frequenza come quella proposta<br />
dall'Autore, manifesta una sorprendente rapidità di azione, soprattutto<br />
nelle malattie acute o nella riacutizzazione di patologie croniche<br />
infiammatorie come l'artrite reumatoide e l'artrosi a cui si associa una<br />
vasta idoneità terapeutica senza limitazione di <strong>org</strong>ano o di territorio.<br />
● La possibilità di sincronizzare l'azione biofisica dell'energia<br />
elettromagnetica radiante (luce rossa e infrarossa) con quella della<br />
variazione di campo magnetico, ambedue pulsate, aumenta ulteriormente<br />
l'ampiezza già notevole dell'idoneità terapeutica, al punto che gli effetti<br />
antinfiammatori nelle flogosi a carattere esordiente (ad esempio nelle<br />
faringiti), si manifestano compiutamente dopo 15 o 30 minuti di uso<br />
localizzato.<br />
● La luce emessa dalla lampada ha effetti terapeutici epidermici (per quanto<br />
riguarda le componenti elettromagnetiche attinica e termica); soprattutto è<br />
di grande interesse la banda di emissione dal rosso all'infrarosso vicino, le<br />
cui azioni terapeutiche sono sovrapponibili a quelle della luce laser<br />
pulsata.<br />
● Gli effetti antinfiammatori sono paradossi in quanto la profonda<br />
sensazione termica non determina aggravamento.<br />
Da quanto esposto si evince che la scelta di una magnetoterapia a bassa<br />
frequenza derivata da uno stroboscopio con lampada allo xeno, dovrebbe essere<br />
determinata dall'uso contemporaneo della variazione di flusso del campo<br />
magnetico e delle onde elettromagnetiche luminose, soprattutto dell'intera<br />
banda del rosso e dell'infrarosso vicino. Si deve sottolineare il fatto che anche<br />
la terapia fotodinamica pulsata appartiene alla dimensione quantistica che, in<br />
quanto tale, ha una propria e indiscussa autonomia terapeutica.<br />
L'Autore è un convinto assertore delle coazioni terapeutiche che nel passato<br />
venivano erroneamente tutte definite “sinergiche”, nella fattispecie la<br />
dimensione scientifica è al contempo biofisica ed anche farmacologica, per<br />
questo l'Autore attende che venga anche il tempo della Magnetofarmacologia.<br />
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COME MANEGGIARE UNA LAMPADA ALLO XENO<br />
Prima di procedere alla descrizione del funzionamento degli stroboscopi<br />
elettronici per la propria ed altrui sicurezza è assolutamente fondamentale<br />
sapere come maneggiare le lampade allo xeno.<br />
● Lo xeno, a volte associato ad altri gas rari, si trova contenuto in tubi di<br />
vetro quarzoso a pressione superiore a quella atmosferica, per cui<br />
maggiore è la pressione interna, maggiore sarà lo spessore del vetro che,<br />
in modo approssimativo, informa colui che maneggia il tubo circa<br />
l'energia dissipabile durante ogni scarica.<br />
● Quando a causa di un urto un tubo si rompe, il medesimo si comporta<br />
come una piccola bomba: proietta all'intorno frammenti di vetro che<br />
possono irrimediabilmente ferire gli occhi, per questo motivo, le<br />
cosiddette lampade allo xeno per uso automobilistico sono collocate<br />
all'interno di un contenitore trasparente.<br />
● Durante il funzionamento le lampade si scaldano molto e non si devono<br />
mai toccare con strumenti di qualunque tipo e tanto meno con le mani e,<br />
prima di maneggiarle, vanno lasciate raffreddare.<br />
● Le lampade allo xeno prive di protezione (come quelle che verranno<br />
utilizzate nei seguenti stroboscopi), NON VANNO MAI MANEGGIATE<br />
A MANI NUDE E SENZA OCCHIALI PROTETTIVI poiché le<br />
impronte digitali (grasso) non consentendo un'uniforme riscaldamento del<br />
vetro, ne causano la rottura che sarà sempre a carattere esplosivo.<br />
● Prima del montaggio le lampade allo xeno si possono o si devono pulire,<br />
utilizzando solventi volatili soprattutto puri (acetone e simili tutti<br />
perfettamente trasparenti); mai usare solventi di recupero o peggio<br />
sporchi (non perfettamente trasparenti e/o non totalmente volatili).<br />
● Durante la pulizia usare dei guanti assolutamente puliti e del tutto<br />
inerti nei riguardi del solvente utilizzato. E' assolutamente necessario<br />
non cancellare il punto rosso che normalmente indica la posizione<br />
dell'anodo.<br />
● Il marcatore di colore rosso si può produrre sciogliendo una microscopica<br />
quantità di anilina in pochissimo alcol denaturato. A questo punto<br />
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l'attento lettore avrà capito che dovrà usare un piccolo e pulitissimo<br />
tampone. E' anche utilizzabile con parsimonia un pennarello vetrografico.<br />
● Un'ultima raccomandazione: i conduttori elettrici che collegano il tubo al<br />
circuito vanno saldati con rapidità e particolarmente veloce sarà la<br />
saldatura dei tubi dotati di vetro di limitato spessore che solitamente<br />
dispongono di terminali molto corti. Qualora la lunghezza e il diametro<br />
dei terminali lo consenta, non bisogna sottovalutare il collegamento<br />
puramente meccanico; inoltre è del tutto evidente che l'assemblaggio del<br />
circuito si deve obbligatoriamente effettuare in contenitori isolanti ed<br />
ermetici, tenendo comunque presente che il tubo deve essere lambito da<br />
una naturale corrente d'aria che è fondamentale per il suo raffreddamento;<br />
inoltre è bene rammentare l'effetto fotochimico dell'energia<br />
elettromagnetica emessa dai tubi allo xeno che può depolimerizzare<br />
(invecchiare) rapidamente molti materiali plastici, per cui la luce, riflessa<br />
da un riflettore speculare metallico (alluminio), si deve espandere<br />
nell'ambiente (vedi oltre).<br />
A questo punto l'attento lettore avrà compreso che i tubi allo xeno sono roba per<br />
professionisti ed è bene non lasciarli in mano agli inetti !.<br />
Gli esempi che seguono consentono di fornire al costruttore dettagliate<br />
istruzioni circa il modo di assemblare uno stroboscopio allo xeno e come<br />
trasformarlo in una magnetoterapia a bassa frequenza.<br />
Il costruttore comprenderà come dimensionare l'interfaccia biofisica (induttanza<br />
con nucleo metallico o meglio di ferrite) in funzione del tipo di circuito che il<br />
medesimo costruttore intende utilizzare che sarà scelto in base alla<br />
localizzazione degli eventi patologici da trattare (<strong>org</strong>ano, e/o tessuto biologico,<br />
sua profondità, area e/o regione e gravità). Tutto ciò rappresenta una<br />
importante innovazione nel campo della Magnetoterapia. Per la prima volta il<br />
costruttore può progettare un apparecchio magnetoterapico prevedendone<br />
l'idoneità terapeutica.<br />
Gli eminenti clinici che nei riguardi della Magnetoterapia hanno prodotto della<br />
bibliografia medica, non hanno lasciato che scarne e a volte contraddittorie<br />
informazioni in merito alle apparecchiature da loro utilizzate. L'Autore ritiene<br />
di poter colmare questa importante lacuna.<br />
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UNO STROBOSCOPIO NOBILITATO<br />
Lo schema seguente è un classico rappresentante degli stroboscopi con lampada<br />
a gas xeno. La sua trasformazione in magnetoterapia a bassa frequenza<br />
unitamente alla possibilità di effettuare la terapia fotodinamica pulsata, ne<br />
nobilita l'umile origine per cui, ancora una volta, si può affermare che<br />
qualunque elettromedicale non ammette ignoranti e sprezzanti giudizi basati<br />
unicamente sulla eccessiva semplicità circuitale o per il fatto che molti<br />
esperimenti possono derivare dal recupero di materiali elettronici (vedi oltre)<br />
oppure, come lo stroboscopio in oggetto, che fu progettato per essere usato in<br />
discoteca a scopo ludico. L'acume dei banalizzatori mai si sopisce.<br />
Figura 1: Schema elettrico di uno stroboscopio trasformabile in magnetoterapia a<br />
bassa frequenza (1 – 10 Hz). La X indica dove collegare l'interfaccia biofisica.<br />
(Lo schema è tratto da Nuova Elettronica rivista n° 86 87 sigla del kit: LX536).<br />
La cella schematica composta dai componenti C1, C2, DS1, DS2, C3 svolge<br />
due compiti fondamentali; il primo, costituito dal parallelo di C1 e C2 (0,2 uF),<br />
la cui reattanza a 50 Hz (15600 ohm) limita a pochi milliampere e senza<br />
dissipazione termica l'intensità della corrente elettrica prelevata dalla rete a 220<br />
– 230 V. Il secondo compito del medesimo condensatore è quello di duplicare<br />
la tensione di rete di 230 V mediante la disposizione dei due diodi DS1 e DS2.<br />
Il condensatore antinduttivo C3 si carica a circa 440 – 450 V. La cella<br />
composta da R1, R2, C4 e dal DIAC, determina la costante di tempo (R*C) il<br />
cui livello limite è dato dal valore di conduzione del DIAC (30 V), raggiunto il<br />
quale SCR1 va in conduzione e scarica violentemente C5 che nel frattempo si<br />
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era caricato tramite R3 e il primario di T1 che è un piccolo trasformatore<br />
costruito come elevatore di tensione. Al secondario di T1 si presenta un'elevata<br />
tensione di 7 o 8 KV che genera una prima e limitata ionizzazione del gas xeno,<br />
comunque sufficiente a produrre l'effetto valanga tipico della fase di<br />
conduzione vera e propria in cui quasi tutta la carica elettrica contenuta in C3<br />
viene ad esaurirsi nella scarica ad opera dello xeno ionizzato contenuto nel tubo<br />
di vetro quarzoso.<br />
Se il condensatore C3 si era caricato a 450 V l'energia della scarica sarà di circa<br />
0,1 J (E = ½ CV 2 ). Per trasformare questo stroboscopio in una valida<br />
magnetoterapia è sufficiente interrompere il collegamento indicato con X nello<br />
schema elettrico e collegarvi una idonea interfaccia biofisica.<br />
Figura 2: Solenoide campione costruito dall'Autore che funge da riferimento per il<br />
corretto dimensionamento delle interfacce biofisiche delle magnetoterapie a bassa<br />
frequenza. In questo solenoide l'energia di 0,147 J si estingue in modo esponenziale in<br />
1,7 ms che determina il valore di riferimento equivalente alla più lenta variazione di<br />
flusso del campo magnetico (B) che non conviene aumentare.<br />
Qualora si raddoppiasse la capacità di C3, si raddoppierebbe anche l'energia<br />
della scarica, ma contemporaneamente si potrebbe ridurre la vita del tubo allo<br />
xeno. L'aumento consentito del valore di C3 è di circa 0,5 uF. Qualora la<br />
capacità di C3 fosse di 1,5 uF l'energia della scarica salirebbe a circa 0,151 J e<br />
se l'interfaccia biofisica fosse analoga a quella descritta dall'Autore nell'articolo:<br />
“Le configurazioni elettroniche delle magnetoterapie” a pag. 21 e visibile in<br />
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questo testo nella Figura 2, si avrebbe la certezza di avere riprodotto (senza<br />
tante complicazioni) l'idoneità terapeutica ottenibile con la magnetoterapia<br />
derivata da un'accensione elettronica a scarica capacitiva ritratta nella fotografia<br />
di Figura 2 di pag. 11 nell'articolo: “Modalità di somministrazione dei campi<br />
magnetici pulsati (CMP)”. Sarebbe ugualmente riprodotta la caratteristica<br />
capacità di evocazione del dolore che la contraddistingue. Quest'ultimo<br />
elemento non deriva tanto dal valore dell'induttanza, ma proviene dalla<br />
resistenza ohmica della bobina che influenza in modo determinante la rapidità<br />
della variazione di flusso del campo magnetico.<br />
PRIME IMPORTANTISSIME CONCLUSIONI<br />
Una possibile evoluzione del circuito di Figura 1 è la sostituzione del tubo allo<br />
xeno con un SCR, ma l'Autore ha già provveduto a presentare questa evenienza<br />
nell'articolo: “Magnetoterapia innovativa a bassa frequenza (1,4 Tesla)”.<br />
In questa magnetoterapia la tensione di carica del condensatore (1,54 uF) è di<br />
300 V per cui l'energia della scarica (0,0675 J) è minore della metà di quella in<br />
oggetto (0,151 J) ma, confrontando le caratteristiche del solenoide di<br />
riferimento inserito nel circuito di Figura 1, con l'interfaccia biofisica descritta<br />
nell'articolo “Magnetoterapia innovativa a bassa frequenza (1,4 Tesla)”; in<br />
quest'ultima è molto maggiore la rapidità con cui l'energia accumulata nel<br />
condensatore (0,0675 J) si scarica nell'interfaccia biofisica e sono maggiori<br />
sia le dimensioni del nucleo sia la frequenza delle scariche. Tutto ciò<br />
coincide con un'idoneità terapeutica che va oltre ogni aspettativa; inoltre<br />
non compare il fenomeno dell'evocazione del dolore. Per quanto riguarda<br />
la frequenza delle scariche, l'Autore non ha reperito evidenti<br />
miglioramenti sopra i 30 Hz. Dividendo l'energia totale della scarica<br />
capacitiva (espressa in Joule) per i microsecondi in cui viene smaltita detta<br />
energia, risulta lapalissiano che al diminuire del tempo di scarica aumenta<br />
l'energia smaltita in ogni microsecondo. I dati che sono stati presentati<br />
decretano, in modo definitivo, l'importanza della rapidità della variazione<br />
di flusso del campo magnetico che sovrasta tutte le altre variabili<br />
prettamente circuitali e, al contempo, pongono in primo piano il corretto<br />
dimensionamento dell'interfaccia biofisica. Gli esempi seguenti dimostrano<br />
come sia possibile realizzare delle magnetoterapie innovative con pochissimo<br />
sforzo economico e molta inventiva.<br />
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TERAPIA FOTODINAMICA E <strong>MAGNETOTERAPIA</strong><br />
Potrebbe accadere che un oggetto costruito per uno scopo si possa destinare ad<br />
un altro uso completamente diverso dal precedente ? La risposta è affermativa<br />
se questa domanda viene riferita allo stroboscopio ritratto in Figura 3.<br />
Figura 3: Spot stroboscopico con lampada allo xeno di fabbricazione cinese. Si<br />
trova in commercio dotato di filtro rosso o verde o giallo o blu oppure trasparente.<br />
Lo spot con cui è possibile praticare la terapia fotodinamica impulsata deve essere<br />
dotato di filtro rosso che non si deve mai rimuovere. (Fotografia dell'Autore)<br />
L'Autore da anni si dedica appassionatamente allo studio delle similitudini la<br />
cui conoscenza è indispensabile per instaurare il processo di debanalizzazione<br />
che consente di vedere dentro e oltre le apparenze. Lo stroboscopio in oggetto,<br />
che appare destinato alla “discoteca familiare”, risulta essere una idonea<br />
s<strong>org</strong>ente di onde elettromagnetiche che si può impiegare tal quale nella terapia<br />
fotodinamica impulsata ed è suscettibile di essere trasformato in una discreta<br />
magnetoterapia a bassa frequenza (vedi oltre).<br />
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Prima di entrare nel merito, è bene conoscere il circuito e successivamente è<br />
possibile procedere all'eventuale trasformazione. Dopo aver svitato le quattro<br />
viti che trattengono il coperchio, l'interno è ritratto nella seguente fotografia.<br />
Figura 4: Stroboscopio con lampada allo xeno. Il filo bianco e rosso in alto è l'anodo,<br />
quello centrale è il trigger e quello in basso è il catodo. Evitare di toccare il tubo allo<br />
xeno con le mani nude. (Fotografia dell'Autore)<br />
Tutti i conduttori isolati sono ridotti al minimo utile e nel maneggiarli possono<br />
spezzarsi in prossimità delle saldature. Alcuni stroboscopi non danno segno di<br />
vita o funzionano in modo intermittente; la causa è la spina bipolare di<br />
alimentazione che è sottodimensionata ed è bene sostituirla con una di marca.<br />
Per riconoscere la polarità dei fili che si collegano alla lampada allo xeno è<br />
indispensabile osservare il circuito elettronico che in questo caso è molto simile<br />
a quello della Figura 1 (vedi oltre). I componenti sono visibili solo estraendo e<br />
ruotando il circuito stampato, quindi dopo aver sfilato il pomello del<br />
potenziometro e svitato il dado del medesimo, il circuito si può ribaltare con<br />
delicatezza ed è visibile nella figura seguente.<br />
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Figura 5: Circuito stampato del lato componenti; la lampadina al neon svolge<br />
l'identica funzione del DIAC. La lampada allo xeno è dichiarata essere da 25 W.<br />
(Fotografia dell'Autore)<br />
Figura 6: Schema elettrico del soprastante spot stroboscopico.<br />
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R1 = 820K<br />
R2 = 820K<br />
R3 = 330K<br />
R4 = 470K<br />
R5 = 2,2M<br />
R6 = 47K<br />
RV1 = 1M lin.<br />
ELENCO COMPONENTI<br />
C1 = 1,5uF 400V<br />
C2 = 1,5uF 400V<br />
C3 = 0,1uF 100V<br />
C4 = 0,1uF 100V<br />
Lampada allo xeno di forma lineare da 25 W.<br />
D1 = 1N4007<br />
D2 = 1N4007<br />
LPN = neon<br />
TR = TRIG. EAT<br />
U1 = MCR1006<br />
(SCR)<br />
Figura 7: Interfaccia biofisica collegata in serie all'anodo della lampada.<br />
(Fotografia dell'Autore)<br />
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A differenza del DIAC, la lampadina al neon sopporta solo un'esigua corrente e<br />
il progettista del suddetto stroboscopio si è evidentemente preoccupato di<br />
salvaguardarne l'integrità, per cui la cella schematica deputata all'innesco del<br />
tubo allo xeno è diversa da quella di Figura 1. I capitoli seguenti sono dedicati<br />
alla trasformazione di particolari stroboscopi in potenti magnetoterapie a bassa<br />
frequenza.<br />
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STROBOSCOPI IN CRESCENDO<br />
Al pari dei precedenti stroboscopi anche quelli che seguono sono progettati<br />
all'insegna della semplicità circuitale, ma procedono in ordine crescente di<br />
potenza erogabile dall'interfaccia biofisica. La gestione dell'aumento<br />
progressivo dell'energia in funzione del tempo (potenza) comporta<br />
l'acquisizione di informazioni tecniche che si estendono anche nei successivi<br />
capitoli.<br />
L'energia della scarica capacitiva dello stroboscopio di Figura 8 (0,05819 J),<br />
non è maggiore di quella erogata dai precedenti stroboscopi, ma lo schema<br />
seguente è molto utile, essendo utilizzabile tal quale in applicazioni analoghe.<br />
L'uso del rettificatore a semionda (D1) consente di sostituire il tubo allo xeno<br />
con un SCR, previa modifica di parte del circuito di innesco; inoltre il<br />
condensatore C3 (2,2 uF) si carica mediante la resistenza R3.<br />
Figura 8: Schema elettrico ed elenco componenti di un lampeggiatore stroboscopico<br />
modificato in magnetoterapia a bassa frequenza.<br />
RV1= 2,2M pot. lin./ R1= 330K ½W/ R2= 100K ½W/ R3= 1K 5W/ C1= 3,9uF<br />
poliestere 100V/ C2= 470 nF poliestere 500V/ C3= 2,2 uF poliestere 500V/ TR1=<br />
trasformatore di innesco / D1= 1N4007/ D2= DIAC qualunque / U1= SCR 400V 3A<br />
(C106A) / L1= interfaccia biofisica (vedi testo) / Lampada allo xeno US3 o XBLU50 0<br />
U35T o similare. (Progetto di stroboscopio di Andrea Dini modificato dall'Autore)<br />
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La VELLEMAN KIT produce uno stroboscopio per uso fotografico con<br />
caratteristiche professionali (Figura 9), utilizzabile anche a scopo ludico<br />
(discoteca) in cui il condensatore C1 da 10 uF 350 VL si carica a circa 300 V<br />
mediante un rettificatore ad onda intera. La scarica capacitiva genera<br />
un'energia di 0,45 J applicabile all'interfaccia biofisica descritta nel capitolo<br />
seguente.<br />
Figura 9: Stroboscopio della VELLEMAN KIT – K2601 prima di essere<br />
trasformato in una eccellente magnetoterapia a bassa frequenza di alta potenza.<br />
Il tubo allo xeno è un S6049 che può sopportare un'elevata energia di scarica (circa<br />
0,45 J). Il condensatore C1 è da 10uF 350VL (JAMICON); nel tubo allo xeno è<br />
visibile il punto di colore rosso che contraddistingue l'anodo. (Fotografia dell'Autore)<br />
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La magnetoterapia derivata dallo stroboscopio della Velleman, è il primo<br />
esempio di come si genera un potente campo magnetico che al massimo si<br />
estingue in alcune centinaia di microsecondi.<br />
L'impulso costituito dai suddetti due eventi (intensità del campo magnetico e la<br />
sua rapida estinzione) appaiono unitari, ma in ambito biofisico hanno una<br />
distinta valenza il cui insieme sappiamo essere causa di splendidi effetti<br />
terapeutici. Ambedue determinano ciò che l'Autore definisce idoneità<br />
terapeutica di una magnetoterapia la cui implementazione è l'oggetto del<br />
presente articolo.<br />
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COSTRUZIONE DELL'INTERFACCIA BIOFISICA<br />
Il solenoide costruito dall'Autore per questa particolare magnetoterapia, ma<br />
applicabile anche alle seguenti, è visibile nella fotografia sottostante.<br />
Onde ridurre la dissipazione termica dell'avvolgimento, la sua resistenza è di<br />
0,18 ohm, ed è costituita da filo di rame smaltato Ø 1,6 mm (compreso lo<br />
smalto). Le spire di ogni strato dell'avvolgimento sono state isolate con carta<br />
adesiva da carrozzieri. Originariamente il rocchetto ha una induttanza di 380<br />
uH che, dopo l'inserzione del nucleo di ferro, aumenta a 1,484 mH.<br />
Figura 10: Lato “posteriore” dell'interfaccia biofisica prima del montaggio<br />
definitivo (Fotografia dell'Autore)<br />
Il solenoide è stato costruito riciclando un vecchio rocchetto di materiale<br />
plastico in cui era avvolto il filo di lega eutettica di “stagno” per saldature.<br />
Le dimensioni sono: diametro dei dischi: Ø 65 mm, altezza interna: 45 mm,<br />
foro centrale: Ø 25 mm riempito di spezzoni di filo di ferro plastificato Ø 0,7<br />
mm con estensione polare a cupoletta, prominente dal lato “anteriore” di circa<br />
2,5 centimetri.<br />
I fili di ferro sono stati bloccati con colla epossidica bicomponente (il colore<br />
rosso è vernice anch'essa con funzione di collante). Nel lato “posteriore” (lato<br />
terminali, vedi fotografia soprastante) il nucleo di fili metallici isolati non<br />
sp<strong>org</strong>e dal rocchetto.<br />
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Figura 11: Interfaccia biofisica con induttanza di 1,484 mH (lunghezza<br />
108 mm, Ø 68 mm) costruita per la terapia dell'ipertrofia prostatica.<br />
(Fotografia dell'Autore)<br />
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UNA <strong>MAGNETOTERAPIA</strong><br />
FATTA CON COMPONENTI DI RECUPERO<br />
Il seguente sottotitolo potrebbe sintetizzare quanto segue:<br />
“Come aumentare di sette volte l'energia della scarica capacitiva dello<br />
stroboscopio della Velleman”.<br />
Coloro che senza troppa fatica intendono sperimentare gli effetti terapeutici di<br />
una potente magnetoterapia, possono procedere alla realizzazione del kit della<br />
VELLEMAN di Figura 9.<br />
Devono leggere quanto segue coloro che si associano all'Autore che ricerca<br />
nuovi o più rapidi effetti terapeutici unitamente al limite superiore dell'impiego<br />
terapeutico degli impulsi di campo magnetico (vedi oltre).<br />
La ricerca sperimentale ha lo scopo di evidenziare il ruolo delle tre variabili<br />
fondamentali di una magnetoterapia a bassa frequenza che sono: l'intensità del<br />
campo magnetico, la durata nel tempo di ogni impulso, la frequenza ovvero il<br />
periodo.<br />
Figura 12: Macchina fotografica del tipo “usa e getta” a cui è stato tolto l'involucro<br />
di cartoncino. Essa contiene il circuito elettronico del flash il cui recupero consente di<br />
costruire una magnetoterapia a bassa frequenza di grande potenza.<br />
(Fotografia dell'Autore)<br />
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Prima di estrarre il circuito del flash cercare di togliere la batteria oppure<br />
disattivarla, inserendo un setto isolante in uno dei due poli.<br />
Il condensatore si carica lentamente fino a circa 300 V, quindi evitare di<br />
azionare il flash, nel qual caso cortocircuitarne i terminali con una resistenza da<br />
1000 ohm 1W. Il circuito elettronico del flash può apparire simile o identico a<br />
quello della figura seguente.<br />
Figura 13: Circuito del flash; si osservano: il condensatore elettrolitico (120 uF<br />
330V SAMXON – PHOTO FLASH), l'SCR, il trasformatore elevatore di trigger<br />
(blu). (Fotografia dell'Autore)<br />
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Si dovranno smontare: il condensatore elettrolitico antinduttivo, il trasformatore<br />
di trigger, il tubo allo xeno ed eventualmente anche l'SCR; questi componenti<br />
faranno parte di un nuovo circuito che verrà alimentato con la tensione di rete.<br />
Prima di smontarli è indispensabile riconoscere le polarità del tubo allo xeno, le<br />
connessioni del trasformatore di trigger che fanno capo alla cella schematica<br />
dell'SCR ed eventualmente individuare i terminali dell'SCR.<br />
Figura 14: L'anodo del tubo allo xeno si riconosce dal filo che lo collega al positivo<br />
del condensatore elettrolitico; in questo caso l'anodo è di colore arancione, per cui il<br />
filo rosso è il catodo e quello bianco è il trigger. (Fotografia dell'Autore)<br />
Seguirà lo schema applicativo che è simile a quello di Figura 8 che evita di<br />
raggiungere o di superare la massima tensione di lavoro del condensatore<br />
elettrolitico. La riduzione dell'energia della scarica capacitiva (da 5,4 J con<br />
scarica a 300 V a 3,174 J con scarica a 230 V) prolunga la vita del tubo allo<br />
xeno e risulta ugualmente importante sul piano puramente sperimentale.<br />
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ALCUNE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE<br />
L'ESISTENZA DI UN LIMITE INFERIORE<br />
PRESUPPONE L'ESISTENZA DI UN LIMITE SUPERIORE<br />
Negli ultimi cinquant'anni sono già stati ampiamente studiati gli effetti<br />
terapeutici di deboli campi magnetici, le cui caratteristiche fisiche (forma,<br />
intensità, durata, frequenza) in ambito biofisico determinano il limite<br />
inferiore dell'idoneità terapeutica di detti campi.<br />
La quasi totalità delle magnetoterapie reperibili in commercio ne normalizza la<br />
disponibilità, sovente propagandata come unica ed autentica fonte di benessere.<br />
La carenza di nozioni biofisiche è universale e alcuni costruttori si librano<br />
nell'empireo delle congetture prive di fondamento. Alcuni scrivono autentici<br />
panegirici sulla inderogabile necessità di usare unicamente i loro debolissimi<br />
campi magnetici e altri candidamente dichiarano che la loro magnetoterapia<br />
produce un campo magnetico di intensità pari o inferiore a quello terrestre.<br />
La veridicità delle suddette congetture si è talmente radicata, unitamente alla<br />
carenza di analisi critica e sperimentale, al punto che un costruttore di un<br />
generatore di impulsi di un potentissimo campo magnetico dichiara che detto<br />
apparecchio non è una magnetoterapia e questa è l'ennesima prova che cedere<br />
all'ovvietà genera illusioni in grado di accecare chiunque. Ad esclusione di<br />
quest'ultima magnetoterapia, quelle realizzate seguendo il criterio che il minimo<br />
o addirittura il nulla possono originare la migliore efficacia terapeutica, detti<br />
apparecchi o non dovrebbero esistere o dovrebbero avere un ruolo<br />
eminentemente sperimentale che i fabbricanti fanno pagare a caro prezzo ai loro<br />
clienti. Vale a dire che i medesimi fabbricanti, pur di vendere, assolutizzano lo<br />
scopo terapeutico di una certa forma, intensità, durata e frequenza di impulsi di<br />
campo magnetico propagandati come se fossero l'unico modo per fare della<br />
magnetoterapia. Quanto è stato fatto finora ha i connotati di una ricerca<br />
empirica deprivata di quella indispensabile attenzione critica che caratterizza<br />
l'esordio della comprensione dei fatti attuabile in modo scientifico.<br />
Le diverse idoneità al moto e al trasporto di cose e persone di un'automobile e<br />
di un carro ligneo ne vietano la dettagliata comparazione a causa dell'enorme<br />
variabilità fisica e strutturale con cui sono stati pensati e realizzati i loro<br />
rispettivi componenti. Analogamente le guarigioni generate da diversi eventi<br />
biofisici appaiono ottenute dall'enorme variabilità delle medesime cause<br />
biofisiche al punto che non sembrerebbero comparabili le une con le altre. Vale<br />
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a dire che esiste discordanza nell'attribuire a specifiche cause biofisiche<br />
l'origine dell'azione terapeutica dei campi magnetici.<br />
Gli esperimenti proposti dall'Autore alla comunità umana e scientifica ed<br />
attuabili (almeno in parte) realizzando le magnetoterapie a bassa frequenza a<br />
scarica capacitiva, rivelano a coloro che non si limitano a guardare, ma<br />
intendono vedere ciò che vi è di comune negli effetti biofisici indotti non da<br />
generici campi magnetici bensì da “qualcosa” che consente di misurare<br />
l'energia di attivazione che è all'origine dell'interazione terapeutica tra campi<br />
magnetici e le strutture biologiche viventi.<br />
Dato che, fino a prova contraria, il Rivelatore di detta interazione non è uno<br />
strumento fisico, ma lo è solo il sistema biologico (<strong>org</strong>ani, tessuti, cellule) che<br />
passano da una condizione patologica ad una di normalità, per cui l'Autore ad<br />
essi si adegua (ai fatti) e indica la relatività dei medesimi eventi, affermando<br />
che ad una certa forma, intensità, durata e frequenza di impulsi di campo<br />
magnetico corrisponde una particolare idoneità terapeutica (efficacia<br />
terapeutica) attribuibile univocamente ad una determinata conformazione<br />
(valore) delle medesime variabili, per cui l'Autore è da tempo alla ricerca<br />
della migliore idoneità terapeutica promossa da una particolare<br />
magnetoterapia.<br />
L'analisi dei dati sperimentali empirici mette in evidenza che l'idoneità<br />
terapeutica aumenta se aumenta l'intensità di campo e se contemporaneamente<br />
viene ridotto sotto al millisecondo il tempo della variazione di flusso. In altri<br />
termini si può affermare che l'aumento dell'idoneità terapeutica è correlato con<br />
l'aumento dell'intensità del campo magnetico se il tempo di esposizione dei<br />
tessuti biologici al medesimo campo magnetico è minore o molto minore della<br />
variazione di flusso che genererebbe un potenziale d'azione evocato. Vale a dire<br />
che detti campi magnetici non sono eccitomotori. Il raggiungimento del limite<br />
superiore descritto dall'insieme delle suddette variabili biofisiche, determinerà o<br />
l'inefficacia terapeutica o la condizione di stallo terapeutico o l'esordio di effetti<br />
tossici per ora mai osservati.<br />
Prima del raggiungimento del suddetto limite superiore unitamente alla già<br />
preconizzata Magnetofarmacologia, i campi magnetici manifesteranno le loro<br />
potenzialità rigeneratrici tessutali; in pratica si potranno rigenerare <strong>org</strong>ani come<br />
il cuore, i reni, il polmone ed altro ancora oltre al fatto che emergeranno<br />
prevedibili effetti antitumorali.<br />
CHI HA ORECCHI PER INTENDERE INTENDA<br />
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BIBLIOGRAFIA<br />
1. Nuova Elettronica, rivista n° 86 87 (sigla kit: LX536)<br />
2. Elettronica Flash, n° 7 8 luglio agosto 1985 (pag. 65)<br />
Articolo pubblicato per la prima volta il 21 aprile 2010<br />
Articolo ripubblicato il 22 aprile 2010<br />
Articolo aggiornato il 26 luglio 2011<br />
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