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le qualità, sicché la superiorità umana è frutto della preferenza <strong>di</strong>vina. Sono<br />
le premesse che portano al meccanicismo <strong>di</strong> Cartesio e alla supremazia<br />
ontologica dell’uomo in virtù della sua capacità <strong>di</strong> pensiero. Sappiamo bene<br />
che proprio qui affondano le loro ra<strong>di</strong>ci le più deleterie credenze<br />
contemporanee che pongono la natura sotto il dominio umano e ne fanno<br />
teatro e strumento delle inclinazioni <strong>di</strong> conquista ed espansione.<br />
Fortunatamente, già nel Cinquecento si è levata una voce molto auterevole, in<br />
<strong>di</strong>saccordo con questa tendenza e con la <strong>di</strong>vinizzazione della ragione: Michel<br />
de Montaigne (1533 – 1592). Epigono degli scettici e antesignano della<br />
<strong>di</strong>sarmante critica nietzscheana, con un’originalità notevolissima egli mise in<br />
dubbio tutte le più facili certezze dell’epoca e in particolare, per quel che in<br />
questa sede ci preme maggiormente, le capacità salvifiche della scienza, la<br />
superiorità della civiltà occidentale su quelle cosiddette primitive e della<br />
specie umana su tutte le altre.<br />
L’Apologia <strong>di</strong> Raymond Sebond, che costituisce il XII capitolo del secondo libro<br />
dei Saggi (1580), parte con il riconoscimento dei vantaggi e dell’utilità <strong>di</strong><br />
alcune scoperte che hanno migliorato la vita quoti<strong>di</strong>ana, ma via via<br />
ri<strong>di</strong>mensiona la loro portata e la fede riposta nelle nuove tecniche,<br />
condannando con tono caustico l’arroganza superba e l’illusione <strong>di</strong><br />
onnipotenza che da esse ci deriva. Gli scienziati, secondo le sue parole,<br />
ritengono <strong>di</strong> poter giungere alla verità assoluta e invece sono come i giu<strong>di</strong>ci<br />
che emettono sentenze a seconda del proprio stato d’animo. La ragione è<br />
tutt’altro che infallibile, piuttosto «<strong>di</strong>ventiamo migliori quando siamo privi della<br />
ragione ed essa è assopita» e «i nostri sogni valgono più dei nostri ragionamenti». La<br />
conclusione non ha nulla da invi<strong>di</strong>are alla ra<strong>di</strong>calità, o se proprio vogliamo al<br />
nichilismo, <strong>di</strong> oggi: «non c’è alcuna scienza».<br />
La sfida all’antropocentrismo non ha esitazioni e le affermazioni montaigneane<br />
non hanno perso affatto la loro graffiante incisività ai giorni nostri, anche in<br />
considerazione dell’ottuso conservatorismo <strong>di</strong> chi si ostina a oggettivare la<br />
natura, destinandola alle nostre manipolazioni e al nostro sfruttamento senza<br />
limite. Per esemplificare: «La presunzione è la nostra malattia naturale e<br />
originaria. La più calamitosa e fragile <strong>di</strong> tutte le creature è l’uomo, e al tempo stesso<br />
la più <strong>org</strong>ogliosa. Essa si sente e si vede collocata qui, in mezzo al fango e allo sterco<br />
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