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Ai Lettori - Clinique de concertation

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2<br />

<strong>Ai</strong> <strong>Lettori</strong><br />

Avremmo voluto più tempo per curare la<br />

testimonianza di un lavoro tanto “intenso” e ci<br />

auguriamo di poterlo fare domani.<br />

Oggi, privilegiamo la diffusione di un materiale<br />

grezzo, confezionato artigianalmente, a più mani e in<br />

lingue diverse…com’è la maggior parte <strong>de</strong>lle azioni<br />

<strong>de</strong>l nostro vivere quotidiano, con la convinzione che<br />

ragionare insieme di problemi e soluzioni sia la<br />

pratica più efficace di pensare al futuro.


INTRODUZIONE<br />

La Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione è un approccio al trattamento <strong>de</strong>l disagio sociale e psicologico<br />

complesso, messo a punto negli anni ’90 da Jean Marie Lemaire, psichiatra e terapeuta famigliare,<br />

direttore <strong>de</strong>ll’Istituto di Terapia Familiare a Liegi e <strong>de</strong>l Centro di Salute Mentale di Flemalle<br />

(Belgio).<br />

L’i<strong>de</strong>a di predisporre un nuovo dispositivo di lavoro nasce dalla presa di coscienza<br />

<strong>de</strong>ll’insufficienza <strong>de</strong>lle metodologie di lavoro tradizionali (colloqui, terapie familiari, gruppi<br />

terapeutici) per quell’utenza caratterizzata da problematiche molteplici, che attiva a più livelli la<br />

rete sociale <strong>de</strong>i Servizi e <strong>de</strong>lle Istituzioni. Significativa, ai fini <strong>de</strong>lla costruzione <strong>de</strong>ll’impianto<br />

teorico-operativo <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione, è l’esperienza che lo psichiatra belga matura<br />

come responsabile di progetti pilota sulla “rete terapeutica centrata sulle famiglie”, realizzati con le<br />

popolazioni <strong>de</strong>ll’ex-Yugoslavia traumatizzate dalla guerra 1 .<br />

Questa particolare figura <strong>de</strong>l lavoro di rete pren<strong>de</strong> spunto dalle teorie di Boszormenyi-Nagy<br />

sull’approccio contestuale, che consi<strong>de</strong>rano l’etica relazionale come dimensione inevitabile <strong>de</strong>lla<br />

relazione, e si perfeziona grazie all’elaborazione di anni di intervento con famiglie, utenti <strong>de</strong>i servizi<br />

pubblici, che presentano disagi multipli e complessi. Inoltre, la pratica <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla<br />

Concertazione risente <strong>de</strong>ll’influenza <strong>de</strong>lla formazione di J.M. Lemaire come terapeuta familiare<br />

(come testimoniato dalla metodologia di lavoro <strong>de</strong>l “sociogenogramma”, ove la rete <strong>de</strong>i Servizi e<br />

<strong>de</strong>lle Istituzioni si sviluppa attorno ad un genogramma) e <strong>de</strong>lle teorie bioniane di conduzione di<br />

gruppo.<br />

Il dispositivo <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione convoca persone che vivono insieme disagi multipli<br />

ed esperti <strong>de</strong>ll’aiuto e <strong>de</strong>lla cura, direttamente o potenzialmente coinvolti promuovendo la creazione<br />

di spazi di fiducia tra le persone e tra persone e istituzioni e favorendo la ricostruzione <strong>de</strong>lle<br />

i<strong>de</strong>ntità.<br />

Nell’ottobre <strong>de</strong>l 2000, l’esperienza <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione è presentata ad Alessandria<br />

nell’ambito <strong>de</strong>lle iniziative nel settore penitenziario coordinati <strong>de</strong>ll’Assessorato alla Pubblica<br />

Istruzione e Servizi sociali <strong>de</strong>lla Provincia, su proposta <strong>de</strong>lla Regione Piemonte (Assessorato<br />

Politiche sociali) e <strong>de</strong>l Centro di Formazione professionale Piemontese– Casa di Carità di Torino.<br />

Successivamente, è stata ripresa da Progetti inseriti nel Programma comunitario EQUAL al cui<br />

svolgimento la Provincia partecipa, sempre in collaborazione con il C.F.P.P.<br />

L’invito alla Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione è stato inizialmente diffuso ai Servizi socio-sanitari, alle<br />

Scuole, al privato sociale e al volontariato di tutto il territorio come progetto di 10 giornate di<br />

lavoro, a ca<strong>de</strong>nza mensile, che si configuravano come momento di formazione ma anche di<br />

intervento sulle pratiche di rete. Agli incontri hanno partecipato, in modo continuativo, una<br />

trentina di operatori con qualifiche diverse (formatori, neuropsichiatri, psicologi, assistenti sociali,<br />

educatori, insegnanti) provenienti dai Servizi <strong>de</strong>l territorio (SerT, Scuola, Consorzi socioassistenziali,<br />

Servizi penitenziari, privato sociale e volontariato).<br />

Nel 2003, l’attività <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione ha coinvolto anche le Scuole e le Famiglie: un<br />

breve ciclo di cinque incontri, insegnanti, formatori, educatori e assistenti sociali (circa 60) e<br />

genitori (circa 15) hanno avuto modo di sperimentare l’efficacia <strong>de</strong>l dispositivo in situazioni<br />

problematiche di integrazione scolastica, di rapporto scuola-famiglia, di disagio scolastico e di<br />

relazione tra i Servizi.<br />

1<br />

A. Chauvenet, V.Despret, J.M.Lemaire “<strong>Clinique</strong> <strong>de</strong> la reconstruction. Une expérience avec le réfugiés en ex-<br />

Yugoslavie”, l’Harmattan, Paris, 1996<br />

4


Tale ciclo di appuntamenti è diventato l’occasione per Concertazioni Cliniche con famiglie che<br />

hanno permesso di arricchire il patrimonio formativo <strong>de</strong>gli operatori e ha dimostrato la trasferibilità<br />

di quest’approccio nelle pratiche operative <strong>de</strong>i Servizi <strong>de</strong>l territorio.<br />

Nel 2004, con il progetto PERIFERIE PREZIOSE/ Progetto di ricerca/azione con il metodo <strong>de</strong>lla<br />

Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione l’esperienza si è arricchita di altri due “momenti” (oltre ai tradizionali<br />

venerdì):<br />

- il primo, è consistito nella pratica <strong>de</strong>l dispositivo direttamente all’interno <strong>de</strong>i Servizi e <strong>de</strong>lle<br />

Scuole, su richiesta <strong>de</strong>gli operatori e <strong>de</strong>lle famiglie;<br />

- il secondo, in consi<strong>de</strong>razione <strong>de</strong>ll’interesse suscitato dalla pratica e <strong>de</strong>ll’eterogeneità<br />

professionale <strong>de</strong>gli operatori che partecipavano agli incontri, si articolava in momenti di<br />

“approfondimento” sugli strumenti <strong>de</strong>l dispositivo, la loro integrazione con le pratiche di<br />

intervento già diffuse all’interno <strong>de</strong>i servizi e sulle condizioni che posso favorirne la<br />

trasferibilità.<br />

Ciascun incontro è stato condotto da un “esperto” collaboratore di Jean Marie Lemaire, oltre ai<br />

due appuntamenti approfonditi da lui me<strong>de</strong>simo, attraverso la modalità concertativa ed è stato<br />

verbalizzato al fine di poter ren<strong>de</strong>re il prodotto di tale lavoro un’occasione per allargare il<br />

confronto con coloro che sono interessati alla diffusione <strong>de</strong>lle pratiche <strong>de</strong>l lavoro di rete.<br />

Le pagine che seguono sono tratte dai verbali <strong>de</strong>gli incontri “tematici” e di questi ultimi conservano<br />

la forma dialogica e i nomi <strong>de</strong>lle persone hanno portato il loro contributo alla discussione<br />

concertativa.<br />

Le iniziative realizzate sul territorio alessandrino con l’impiego <strong>de</strong>l metodo <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla<br />

Concertazione sono state coordinate da Clementina Tacchino, responsabile <strong>de</strong>l Servizio Pubblica<br />

Istruzione <strong>de</strong>lla Provincia di Alessandria.<br />

AVVERTENZE<br />

I verbali sono stati inizialmente redatti, in italiano, da Giorgio Abonante ed Elisabetta Mussio, con<br />

la collaborazione di Teresa Premoli e Graziana Vommaro – In seguito sono stati tradotti in francese<br />

da Ivana Pretta – Laurent Halleux ha apportato alcune modifiche al testo francese, al fine di ren<strong>de</strong>re<br />

più comprensibili certi passaggi e ha aggiunto, a guisa di interludio, qualche elemento di riflessione<br />

supplementare.<br />

La riproduzione di tutto il materiale, nelle varie stesure, è stata curata da Sergio Guidobono, mentre<br />

l’impostazione grafica <strong>de</strong>i <strong>de</strong>pliants informativi è opera di Daniele Caracciolo.<br />

5


6<br />

INCONTRI DI APPROFONDIMENTO<br />

Sala Convegni – Via <strong>de</strong>i Guasco 49 – Alessandria<br />

lunedi 27 ottobre 2003, ore 14,15 – 17<br />

I CAMPI DI SOVRAPPOSIZIONE E LA CLINICA DELLA STAFFETTA<br />

Marie Claire Michaud, assistente sociale, terapeuta familiare,<br />

responsabile <strong>de</strong>l Centro Ecole et Famille(Parigi)<br />

lunedi 10 novembre 2003, ore 14,15 – 17<br />

LA PSICOTERAPIA NEL SERVIZIO PUBBLICO<br />

Claire Delforge, psicologa, psicoanalista<br />

lunedi 1 dicembre 2003, ore 14,15 – 17<br />

LE DIVERSE FIGURE DEL LAVORO TERAPEUTICO DI RETE<br />

(Clinica <strong>de</strong>lla concertazione, concertazione clinica, clinica <strong>de</strong>lla staffetta, coordinamento…)<br />

Jean Marie Lemaire, psichiatra, terapeuta familiare, clinico di concertazione<br />

lunedi 26 gennaio 2004, ore 14,15 – 17<br />

L’ARTICOLAZIONE DELLE VARIE FIGURE<br />

DEL LAVORO TERAPEUTICO DI RETE<br />

Jean Marie Lemaire, psichiatra, terapeuta familiare, clinico di concertazione<br />

lunedi 16 febbraio 2004, ore 14,15 – 17<br />

IL SEGRETO CHE FA PARLARE<br />

Vinciane Despret, dottore in filosofia, psicologa - Università di Liegi e Bruxelles<br />

lunedi 22 marzo 2004, ore 14,15 – 17<br />

L’APPROCCIO CONTESTUALE<br />

TRA I DIVERSI MODELLI DI TERAPIA RELAZIONALE<br />

Pierre Michard, dottore in filosofia, psicologo, formatore, psicoanalista infantile<br />

lunedi 26 aprile 2004, ore 14,15 – 17<br />

LA GIUSTIZIA RELAZIONALE<br />

Magda Heireman, psicologa, terapeuta familiare, formatrice - Università di Lovanio<br />

lunedi 24 maggio 2004, ore 14,15 – 17<br />

LA PARZIALITA’ MULTIDIREZIONALE<br />

Magda Heireman, psicologa, terapeuta familiare, formatrice -Università di Lovanio


Partecipanti:<br />

Angela ABBANEO -insegnante<br />

Giorgio ABONANTE – PROVINCIA di Alessandria – Politiche giovanili<br />

Gabriella AMERIO – Associazione DI A PSI - Tortona<br />

Margherita BASSINI - C.I.S.S. di Valenza<br />

Cristina BEGANI- VILLA ESPERIA di Salice Terme<br />

Rossella BODELLINI - “GIOCANIDO” di Valenza<br />

Carlo BUSCAGLIA - IST. COMPR. di Rivalta Bormida<br />

Francesco BUSETTI - “IL DELFINO – Onlus Casale Monferrato<br />

Michele CACCAVO – CFPP – Casa di Carità – Onlus - Torino<br />

Silvia CALOSSO - C.S.S.A. di Torino<br />

Emanuela CAVAZZA - ASL 22 – Ser.T di Novi Ligure<br />

Graziella DAMASCHI – insegnante<br />

Alessandra DONATO - C.S.S.A. di Torino<br />

Gianna DONDO - “GIOCANIDO” di Valenza<br />

Barbara FANTINI – A.S.O (infantile) Tortona<br />

Alessandra FERRARI - C.T.P. EDA di Acqui<br />

Laura FERRIGNO- C.S.S.A. di Alessandria<br />

Maria Franca FORNERIS - IST. COMPR. “P. Straneo”-Alessandria<br />

Serena FORNESI - C.I.S.A di Tortona<br />

Nicoletta FRIGO –SCUOLA MEDIA Vochieri - Alessandria<br />

Mario GARELLO - C.S.S.A. di Torino<br />

Santina GEMELLI - C.S.S.A. di Alessandria<br />

Carina HERNANDEZ- C.T.P. EDA di Acqui Terme (se<strong>de</strong> di Novi Ligure)<br />

Maria Pia LENZI - ASILO NIDO di Tortona<br />

Vita MARANGI- U.S.S.M. di TORINO<br />

Carla MIGLIO - SPIN c/o C.S.S.A. di Alessandria<br />

Fe<strong>de</strong>rica MOLINARI – V° Circolo - Alessandria<br />

Elisabetta MUSSIO - C.I.S.S. di Valenza e Ser.T – ASL 21 di Valenza<br />

Sabah NAIMI- C.T.P. EDA di Alessandria e Acqui Terme<br />

Raffaella NERVI- PROVINCIA di Alessandria,Servizio Politiche <strong>de</strong>l Lavoro<br />

Emanuele OLIVERI- ex ASL 1 di Torino<br />

Piera PAVETTI- ASILO NIDO di Tortona<br />

Maria Grazia PERUGINI- V° Circolo Alessandria<br />

Ugo PEZZUOLO- Gruppo Comunale Protezione Civile Tortona<br />

Fulvia PRAGLIA – IV° Circolo Alessandria<br />

Maria Teresa PREMOLI - U.S.S.M. di Torino<br />

Ivana PRETTA - Traduttrice<br />

Sebastiano PULEIO - COMUNE di Alessandria - INFORMAGIOVANI<br />

Rosmina RAITERI – I° Circolo Valenza - Istituto Cooperaz. allo Sviluppo<br />

Agostino REPETTO - C.T.P. EDA di Acqui Terme<br />

Alessia RONCATI - PROVINCIA di Alessandria- Settore Lavoro e Formazione Prof.le<br />

Silvia SACCO- Ser.T – ASL 21 di Valenza<br />

Daniela SANDRU - ASO INFANTILE di Alessandria<br />

Maria SCIGLIANO- PROVINCIA di Alessandria,Servizio Lavoro e inserimento disabili<br />

Milly SEIRA - CHANGE di Torino<br />

Roberta SOVERINO - ASO INFANTILE di Alessandria<br />

Flora SPANDONARI - C.T.P. – EDA di Alessandria<br />

Clementina TACCHINO – PROVINCIA di Alessandria – Pubblica Istruzione<br />

Stefania TESTA - C.T.P. – EDA di Alessandria<br />

Andrea TRAVAGLIO - SCUOLA ELEMENTARE di Oviglio - Masio<br />

Alice VIZZOTTO – stu<strong>de</strong>ntessa D.U.S..S - Università“Avogadro”<br />

Graziana VOMMARO - LUDOTECA COMUNALE di Alessandria<br />

8


Apertura<br />

Verbale incontro<br />

Lunedì 27 ottobre 2003– Palazzo Guasco, Alessandria<br />

I CAMPI DI SOVRAPPOSIZIONE E LA CLINICA DELLA STAFFETTA<br />

Marie Claire Michaud, assistente sociale, terapeuta familiare,<br />

responsabile <strong>de</strong>l Centro Ecole et Famille(Parigi)<br />

Presentazione <strong>de</strong>i partecipanti<br />

Marie-Claire Michaud<br />

Parleremo oggi <strong>de</strong>i “campi di sovrapposizione”, un concetto introdotto dal dottor Lemaire nel<br />

suo lavoro di elaborazione <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione. Ma prima di riflettere sulle<br />

questioni e sui problemi posti da tali campi, è necessario spiegare brevemente di cosa si tratta.<br />

Le famiglie e i loro figli si trovano talvolta di fronte a disagi multipli che non riescono a gestire<br />

da sole nella propria rete. Esse <strong>de</strong>legano quindi una parte di questa presa in carico a <strong>de</strong>gli<br />

operatori, che propongono <strong>de</strong>gli inizi di risposta. Queste doman<strong>de</strong>, queste <strong>de</strong>leghe sono nello<br />

stesso tempo massicce ed espresse in modo inatteso; provocano l’attivazione di numerosi<br />

professionisti su di uno stesso territorio o all’interno di una stessa istituzione. L’attivazione, la<br />

convocazione <strong>de</strong>i professionisti fa apparire <strong>de</strong>i tempi e <strong>de</strong>gli spazi nei quali si creano <strong>de</strong>lle<br />

sovrapposizioni da una parte <strong>de</strong>lle competenze, e dall’altra <strong>de</strong>i compiti <strong>de</strong>i professionisti. Ad<br />

esempio, quando un alunno ha <strong>de</strong>lle difficoltà a scuola, il coinvolgimento <strong>de</strong>gli insegnanti o di<br />

altri professionisti all’interno <strong>de</strong>lla stessa scuola e nello stesso tempo <strong>de</strong>gli altri professionisti<br />

esterni alla scuola è attivato, e capita che le competenze di questi professionisti si<br />

sovrappongano. Queste situazioni non sono rare. Véronika, ad esempio, una ragazza di 14<br />

anni, rifiuta di imparare e soprattutto di andare a scuola. Diverse persone sono “chiamate” da<br />

lei: la direttrice, l’assistente sociale, e quest’ultima convoca la mamma proponendole di venire<br />

al centro Ecole et Famille 2 . L’assistente sociale capisce che molti professionisti conoscono la<br />

situazione e si preoccupano per la ragazza e per i suoi fratelli che presentano gli stessi suoi<br />

sintomi. Chie<strong>de</strong> quindi a tutti di rivolgersi, con la famiglia, al centro, poiché ogni<br />

professionista attivato dalla ragazza e dalla famiglia ha una visione diversa <strong>de</strong>lle cose, <strong>de</strong>l<br />

contesto.<br />

2<br />

Struttura nella quale lavoro e che cerca di consolidare, di ren<strong>de</strong>re più affidabili e duraturi i legami tra la scuola e la<br />

famiglia.<br />

10


Véronika assente a<br />

scuola rifiuta di<br />

investire la scuola<br />

Madre<br />

Assistente<br />

Sociale<br />

Direzione<br />

Professore<br />

principale<br />

Il medico o<br />

l’infermiera<br />

Consigliere<br />

educativo<br />

Tutti i professionisti coinvolti non hanno lo stesso modo di affrontare il problema: alcuni<br />

sanzionano il bambino, altri interpellano e sanzionano i genitori, altri ancora cercano <strong>de</strong>lle<br />

soluzioni alternative, infine altri chiedono un affidamento <strong>de</strong>l bambino, un aiuto educativo,<br />

ecc. Questo problema, questo sintomo che riguarda un certo numero di professionisti non ha<br />

lo stesso significato per tutti. Ora, proprio da questo fatto dovranno riconoscere uno spazio<br />

comune di lavoro (che è la ricerca di un aiuto,) avendo la possibilità di affermare le loro<br />

divergenze nella maniera di rispon<strong>de</strong>re.<br />

La problematica di Véronika, ren<strong>de</strong>ndosi assente a scuola, passa da un professionista ad un<br />

altro, di sportello in sportello e permette ai professionisti di incontrarsi in maniera più o meno<br />

esplicita.<br />

Lo spazio di sovrapposizione è costituito da una zona di mezzo dove i campi di competenza<br />

<strong>de</strong>i due professionisti sono attivati da una stessa problematica, da una stessa situazione. Che<br />

fare? O si ha la possibilità di passare il problema ad un altro più “esperto”perché ciò che è<br />

esposto non rientra nel nostro campo di competenze, oppure si ha la possibilità di lavorare in<br />

questa zona di mezzo e di esporre ciò che costituisce la nostra parte comune e ciò che<br />

costituisce le nostre divergenze, al fine di costituire così un terzo campo di lavoro di<br />

elaborazione con, se possibile, la presenza <strong>de</strong>ll’utente.<br />

Questa zona di sovrapposizione è quella dove gli utenti vorrebbero ve<strong>de</strong>rci lavorare più<br />

spesso!!<br />

Quando si parla <strong>de</strong>ll’utente, ho in mente il giovane scolarizzato che spera di ve<strong>de</strong>re gli adulti<br />

concertarsi a proposito di lui: è in questi momenti in cui può riuscire a costruirsi o almeno a<br />

mobilitarsi maggiormente.<br />

Questa zona di sovrapposizione fa uscire i professionisti dal loro isolamento, dalla loro<br />

clan<strong>de</strong>stinità quando agiscono senza avere sempre l’accordo e il sostegno <strong>de</strong>lla loro gerarchia.<br />

E’ un campo di lavoro piuttosto sconosciuto e poco riconosciuto, mentre è una realtà di lavoro;<br />

una realtà abitata dalle famiglie che conoscono ognuno <strong>de</strong>i professionisti coinvolti, interpellati.<br />

11


Le famiglie invitano i professionisti a lavorare insieme su una parte comune che dà senso<br />

all’aiuto richiesto.<br />

Véronika si espone a scuola, e lo stesso fanno i suoi fratelli; i tre ragazzini si mettono a rischio<br />

in un luogo che sicuramente li ascolterà, ascolterà il loro disagio, col fine di attirare<br />

l’attenzione <strong>de</strong>i professionisti sulla loro madre in gran<strong>de</strong> difficoltà psichica, psicologica ed<br />

economica.<br />

Non chiedono l’aiuto di luoghi che spezzetteranno le loro richieste, di professionisti che<br />

cercheranno ognuno nel loro angolo, nel loro campo; vogliono che gli adulti abbiano un<br />

posizionamento largo, una visione d’insieme.<br />

In generale, ciò che acca<strong>de</strong>, è che più i problemi sono acuti, più i membri di una famiglia<br />

attraversano la linea <strong>de</strong>l tempo e i numerosi spazi <strong>de</strong>i professionisti.<br />

.<br />

Véronika<br />

EN 1<br />

scuola<br />

EN 1 E&F Hôpital CAF Mé<strong>de</strong>cin ANPE AEMO<br />

Lavoro<br />

clinico<br />

Cura<br />

psy<br />

Sosten.<br />

Econom.<br />

salute<br />

Lavoro educativo<br />

Per tornare alla mia esperienza personale, vorrei sottolineare che gli spazi nei quali riflettiamo<br />

con le famiglie e gli insegnanti sono molto fertili. Capiscono che non sono soli, di fronte a<br />

situazioni complesse, ma che fanno parte di tutta una rete che la famiglia o/e il figlio<br />

interpellano. Partecipano così ad un lavoro di elaborazione e di riflessione con più entusiasmo<br />

o meno convinzione.<br />

A partire dalle difficoltà che sorgono a scuola si cerca di allargare la rete ad altri professionisti<br />

i<strong>de</strong>ntificando i percorsi che attivano i professionisti. “Come valorizzare e migliorare le staffette<br />

all’interno <strong>de</strong>lla realtà di un territorio?”, “le famiglie come consultano i professionisti?”, “come<br />

la domanda <strong>de</strong>gli utenti crea <strong>de</strong>i campi di sovrapposizione?”: queste sono le doman<strong>de</strong> che<br />

ruotano attorno a questa problematica.<br />

Questo concetto di “campo di sovrapposizione” è quindi complesso, perché va contro le nostre<br />

pratiche e la nostra formazione. E’ un argomento clan<strong>de</strong>stino, perché mette in difficoltà i capi<br />

istituzionali che possono avere l’impressione di per<strong>de</strong>re il controllo e l’autorità. Ma è anche un<br />

argomento eccessivamente innovatore, perché tiene realmente conto <strong>de</strong>lle difficoltà <strong>de</strong>i<br />

professionisti che <strong>de</strong>vono rispon<strong>de</strong>re a <strong>de</strong>lle ingiunzioni istituzionali e <strong>de</strong>lle ingiunzioni che<br />

provengono dalle famiglie, mentre queste affrontano spesso <strong>de</strong>i disagi multipli difficili da<br />

gestire. Insomma, questi campi di sovrapposizione possono proporre e iniziare nuovi quadri di<br />

lavoro.<br />

Tacchino<br />

Per compren<strong>de</strong>re meglio la novità di questo concetto, bisogna aggiungere che la<br />

“sovrapposizione” è stata spesso per noi sinonimo di spreco: diversi professionisti lavorano<br />

nello stesso momento nello stesso spazio. Al contrario, la Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione propone<br />

12


di valorizzare questo concetto. E prestare attenzione alla forza convocatrice <strong>de</strong>ll’utente<br />

significa ve<strong>de</strong>re questi spazi fertili. Ma allora, quali sono gli strumenti che possono aiutarci ?<br />

Lemaire<br />

Questa domanda è evi<strong>de</strong>ntemente cruciale. Spesso in effetti è a causa di un’assenza di metodo<br />

che emergono per i professionisti convocati nei campi di sovrapposizione, <strong>de</strong>lle angosce e<br />

<strong>de</strong>lle resistenze. Laddove la coordinazione, come metodo di lavoro terapeutico di rete, viene<br />

messa in discussione, nei fatti, dagli utenti, bisogna inventarsi <strong>de</strong>i nuovi metodi che rendano<br />

più produttive le diverse competenze e i compiti specifici coinvolti. E questa mancanza di<br />

strumenti può provocare nella maggior parte <strong>de</strong>i casi risultati paradossali: più questi campi di<br />

sovrapposizione saranno attivati dagli utenti, meno saranno utilizzati dai professionisti.<br />

Tacchino<br />

In Italia gli spazi che si possono praticare non mancano, forse è il metodo che manca.<br />

Lemaire<br />

Questo metodo necessario non può tuttavia essere semplicemente trasferito da un altro tipo di<br />

lavoro di rete, come il coordinamento ad esempio. Se questo tipo specifico di lavoro è<br />

assolutamente necessario, il nostro lavoro va bel al di là. Mentre il coordinamento consiste in<br />

una “messa in ordine”, mirando a diminuire la tensione, noi vogliamo, al contrario, alzarla.<br />

Insomma, noi preferiamo coltivare, praticare il conflitto piuttosto che risolverlo attraverso un<br />

consenso <strong>de</strong>bole. Ripren<strong>de</strong>ndo l’esempio di Véronika, di fronte al suo rifiuto di andare a<br />

scuola, sembra difficile percepire un reale suggerimento positivo (per esempio, migliorare le<br />

condizioni di vita a casa). Qui, il lavoro di Marie-Claire Michaud ren<strong>de</strong> possibile una<br />

percezione più ricca <strong>de</strong>lla situazione, utilizzando i campi di sovrapposizione.<br />

Michaud<br />

Il rifiuto di Véronika avrebbe potuto fermarsi là. Se ogni professionista avesse lavorato nei<br />

proprio campo, senza dubbio si sarebbero prese <strong>de</strong>lle <strong>de</strong>cisioni diverse. La mamma ci ha dato<br />

accesso ad altri problemi familiari, personali (ha appena perso il marito), professionali (è stata<br />

licenziata), finanziari, psicologici….Ha quindi aperto altri spazi che vanno a sollecitare le<br />

risorse <strong>de</strong>lla rete. Di conseguenza, siamo necessariamente legati ad altri campi a partire da una<br />

sovrapposizione.<br />

La mamma, in questo esempio, attraversa la linea <strong>de</strong>l tempo e lascia nella rete <strong>de</strong>i<br />

professionisti <strong>de</strong>lle doman<strong>de</strong> esplicite ed implicite; invita i professionisti ad esaminare più da<br />

vicino il modo in cui le cose si incatenano…..eppure, questa apertura, questa eliminazione <strong>de</strong>i<br />

compartimenti non è così evi<strong>de</strong>nte. Gli insegnanti, ad esempio, vogliono affermarsi come<br />

insegnanti attraverso il rifiuto di altri ruoli. Ma possono ren<strong>de</strong>rsi conto in seguito che non sono<br />

i soli a incontrare <strong>de</strong>i problemi e sono quindi invitati ad aprirsi. Le zone di sovrapposizione<br />

invitano all’apertura e all’eliminazione <strong>de</strong>i compartimenti. Bisogna volerlo e non temere di<br />

lavorare in questi spazi.<br />

Quali sono i rischi?<br />

Siccome i professionisti provengono da diversi organismi, non è facile per loro lavorare in<br />

questi campi di sovrapposizione. La sensazione di insicurezza professionale provoca piuttosto<br />

una posizione di ripiegamento, o una posizione di ricerca <strong>de</strong>l controllo. Questa sensazione di<br />

insicurezza proviene dall’uscita dal quadro. Sembra troppo difficile uscire dal proprio quadro,<br />

perché ciò implica di esporre la propria pratica, di condivi<strong>de</strong>re <strong>de</strong>lle informazioni con altri<br />

professionisti di cui non si conosce l’affidabilità. S’aggiunge poi la paura di perdita <strong>de</strong>lla<br />

propria i<strong>de</strong>ntità professionale data dall’apertura agli altri, e dal fatto che se ne <strong>de</strong>bba ren<strong>de</strong>r<br />

conto alla propria istituzione.<br />

13


Insomma, lavorare in queste zone <strong>de</strong>stabilizza, poiché si tratta di lavorare con qualcosa di<br />

sconosciuto, e in presenza <strong>de</strong>ll’utente. Questo costituisce un ostacolo supplementare a questo<br />

tipo di lavoro. I professionisti temono di per<strong>de</strong>re la fiducia <strong>de</strong>lla famiglia. Alcuni insegnanti<br />

pensano che ciò possa rovinare la relazione pedagogica. Preferiscono evitarlo, mantenere il<br />

controllo ed essere discreti rispetto alle informazioni che possono circolare.<br />

Sulla questione <strong>de</strong>lla chiusura messa in atto spesso durante le nostre pratiche, noi proponiamo<br />

un’apertura. Ho notato che più si accentuavano i problemi di chiusura, più si accentuavano i<br />

problemi di esplosione, di straripamento. E’ l’esempio <strong>de</strong>lle barriere, <strong>de</strong>lle protezioni<br />

sofisticate installate attorno agli istituti scolastici, con il pretesto <strong>de</strong>lla sicurezza. Sono <strong>de</strong>lle<br />

barriere che portano <strong>de</strong>lle violenze importanti nei dintorni di questi stessi istituti. E’ l’esempio<br />

<strong>de</strong>lle famiglie cui si raccomanda di consultare uno psicologo/psichiatra e di smettere di<br />

lasciare doman<strong>de</strong> in tutti i servizi. Esse ovviamente andranno a rinforzare questo movimento,<br />

interpellando altri professionisti o trasformando la loro domanda in passaggio all’atto.<br />

Cre<strong>de</strong>ndo di garantire lo spazio privato <strong>de</strong>lle famiglie, si va a chiu<strong>de</strong>re, a ridurre il numero<br />

<strong>de</strong>gli operatori: questa garanzia serve alla famiglia o ai professionisti?<br />

Andrea<br />

Ma chi sbloccherà la situazione quando un professionista si trova bloccato? Chi attiverà un<br />

lavoro come questo? Ci sono infatti <strong>de</strong>i professionisti che vorrebbero parteciparvi, altri che non<br />

lo <strong>de</strong>si<strong>de</strong>rano.<br />

Lemaire<br />

Bisogna almeno pren<strong>de</strong>re in consi<strong>de</strong>razione la presenza fisica di coloro che si sono spostati per<br />

essere presenti, di coloro che prendono il rischio di esporsi in questi spazi. Non ci sono i<br />

“buoni” che invitano i “meno buoni”, o peggio, i “cattivi”. Siamo tutti invitati dal disagio <strong>de</strong>lla<br />

famiglia, nessuno si appropria <strong>de</strong>lle dinamiche attivate dal nucleo familiare. Non inventiamo<br />

niente, la nostra parzialità è al servizio <strong>de</strong>l territorio. Tutti i professionisti che lavorano nella<br />

prossimità <strong>de</strong>l disagio lo sanno. Si tratta di riconoscere i campi di sovrapposizione per<br />

rinforzare le competenze <strong>de</strong>i campi specifici. Lavoriamo in campi sovrapposti al fine di<br />

rinforzare quelli che sono specifici. Non si tratta quindi assolutamente di criticare, o peggio, di<br />

negare le competenze specifiche <strong>de</strong>i diversi professionisti, ma piuttosto di valorizzarle grazie a<br />

questi spazi. I professionisti <strong>de</strong>vono rimanere tali.<br />

Michaud<br />

Non si tratta di fare in modo che tutti i professionisti siano presenti. Alcuni professionisti<br />

manifestano sicuramente una certa reticenza a partecipare a questo tipo di lavoro. Nonostante<br />

ciò, quando è la famiglia stessa che ci invita a questo lavoro, generalmente non ci si tira<br />

indietro. Anzi, i professionisti che avevano <strong>de</strong>ciso di non partecipare finiscono spesso con<br />

l’avvicinarsi, per non ritrovarsi troppo isolati nella rete.<br />

Non si tratta nemmeno di ignorare la protezione <strong>de</strong>llo spazio privato <strong>de</strong>lle famiglie. Ma spesso,<br />

i disagi multipli superano questi spazi troppo chiusi e cercano l’apertura. I ragazzi a scuola, ad<br />

esempio, preferiscono rivolgersi a <strong>de</strong>lle persone nelle quali hanno fiducia, e non<br />

necessariamente ai professionisti formati per rispon<strong>de</strong>re loro. Perché non si riflette sul fatto<br />

che preferiscono aprirsi agli insegnanti nei quali hanno fiducia, piuttosto che a <strong>de</strong>gli assistenti<br />

sociali che sono pagati per ascoltarli e per rispon<strong>de</strong>re alle loro doman<strong>de</strong>, ma che rimangono<br />

<strong>de</strong>gli estranei?<br />

Gli utenti distribuiscono le loro doman<strong>de</strong> dove hanno fiducia, e non necessariamente dove c’è<br />

la competenza. Il professionista è innanzitutto scelto per la fiducia che ispira, piuttosto che per<br />

la sua competenza tecnica.<br />

14


Testa<br />

Mi piacerebbe fare una domanda sulla posizione <strong>de</strong>i volontari in questo tipo di lavoro. Qual è<br />

la reazione <strong>de</strong>i professionisti di fronte ai volontari, che sono visti spesso come <strong>de</strong>gli “invasori”<br />

e non come <strong>de</strong>lle persone di fiducia, <strong>de</strong>lle persone-risorse?<br />

Michaud<br />

Le persone che fanno <strong>de</strong>l volontariato sono generalmente ben accolte, a condizione che il loro<br />

lavoro sia legato con quello <strong>de</strong>i professionisti <strong>de</strong>lla rete. Quando si creano <strong>de</strong>i campi di<br />

sovrapposizione fra volontari e professionisti, bisogna in ogni caso ridistribuire i doveri e le<br />

competenze. E’ in quel momento che la famiglia, e i professionisti stessi, riconoscono le<br />

occasioni di lavorare insieme che sono a portata di mano.<br />

Testa<br />

Mi ricordo <strong>de</strong>l volontario gentilmente ripreso la scorsa volta dopo essere intervenuto nel campo<br />

di azione di un professionista senza che avesse preso sufficienti precauzioni.<br />

Lemaire<br />

Ricordiamoci che dobbiamo quanto meno aiutare le famiglie a rivolgersi alle persone<br />

a<strong>de</strong>guate, agli sportelli “giusti” proposti dal coordinamento, senza per questo squalificare le<br />

alternative che le famiglie mettono in azione (ad esempio rivolgersi ai volontari quando non<br />

ottengono soddisfazione presso i professionisti). Ma spesso, lo sportello “giusto” che cercano,<br />

invano, di attivare le famiglie in disagio multiplo è la rete, nella sua dimensione collettiva e<br />

conflittuale, ricca di campi di sovrapposizione. L’abbiamo già <strong>de</strong>tto, l’attivazione di questo<br />

sportello può far emergere angosce e resistenze, a causa <strong>de</strong>lla mancanza di un metodo di<br />

lavoro, soprattutto quando si tratta di selezionare e condivi<strong>de</strong>re “l’informazione utile”. Capita<br />

spesso che una famiglia in disagio multiplo attivi numerose istituzioni, molti professionisti e<br />

che i campi di sovrapposizione fra queste competenze e i compiti specifici non incontrino altro<br />

che resistenze. Non è raro che queste situazioni trattate esclusivamente da una coordinazione<br />

<strong>de</strong>lle competenze e <strong>de</strong>i compiti specifici senza attivare i campi di sovrapposizione in<br />

dinamiche concertative finiscano “sul giornale”, dopo aver conosciuto <strong>de</strong>gli episodi estensivi<br />

(violenze, disagi pubblici). Ad Asti, abbiamo confrontato ciò che era stato scritto a proposito<br />

<strong>de</strong>llo stesso caso sul giornale e sul verbale <strong>de</strong>lla Clinica di Concertazione. Il verbale era meno<br />

indiscreto e molto più rispettoso. Non è quindi perché si lascia lo studio <strong>de</strong>llo<br />

psicologo/psichiatra che la situazione sarà automaticamente trasferita sulla piazza pubblica.<br />

La Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione, fra altre figure terapeutiche di rete, può essere consi<strong>de</strong>rata<br />

come uno stadio intermedio tra i due poli costituiti dallo studio <strong>de</strong>l professionista –<br />

radicalmente chiuso – da una parte, e la piazza pubblica – aperta, troppo aperta – dall’altra.<br />

Così, mi sembra più pru<strong>de</strong>nte, a volte, assumere il rischio di lavorare nei dispositivi<br />

concertativi, quando siamo convocati dalle famiglie in disagio multiplo, piuttosto che resistere<br />

e imporre una coordinazione rinforzata di compartimenti consultativi stagni.<br />

Michaud<br />

Lavorare sui campi di sovrapposizione è un bene, a condizione che i professionisti accettino di<br />

attraversare un momento di fragilità. Nell’esempio citato, la ragazza è rientrata a scuola con<br />

uno spirito diverso e la mamma ha una fiducia rinnovata nei professionisti. Ciò che mi ha<br />

colpito, è stata la tranquillità ritrovata, la calma quiete <strong>de</strong>i ragazzi che si sono messi a<br />

frequentare meglio la scuola e a impegnarsi maggiormente e il ringraziamento <strong>de</strong>lla mamma<br />

nei confronti <strong>de</strong>gli educatori mentre prima rifiutava qualsiasi intervento di aiuto educativo.<br />

Lavorare nei campi di sovrapposizione permette alle persone che domandano un aiuto di avere<br />

più voglia di partecipare, di essere attive nel processo di intervento messo in atto; ciò permette<br />

loro di ren<strong>de</strong>rsi conto concretamente che possono entrare in interazione con i professionisti,<br />

15


partecipare al loro dibattito e così, di staffetta in staffetta, possono avere una visione migliore<br />

<strong>de</strong>ll’insieme <strong>de</strong>lla rete di aiuto e di cura sulla quale possono appoggiarsi.<br />

Se si opta per l’apertura, se si pensa che queste zone offrono un potenziale importante, se si<br />

accetta di essere in uno stato di confusione, di squilibrio, se si accetta di costruire un altro<br />

quadro di lavoro senza annullare i prece<strong>de</strong>nti, si percepiscono poco a poco <strong>de</strong>i vantaggi.<br />

Nell’esempio di Véronika, l’insegnante e l’assistente sociale hanno lavorato in una zona di<br />

sovrapposizione e hanno fatto appello insieme ad un terzo spazio per riflettere con la mamma<br />

e con gli altri insegnanti <strong>de</strong>i fratelli di Véronika.<br />

*Dalla complessità <strong>de</strong>lle situazioni, si passa alla messa in comune di una riflessione<br />

comune e di una ricerca<br />

*I professionisti passano da una cultura <strong>de</strong>lla sfiducia fra di loro ad una cultura in cui si<br />

esercitano <strong>de</strong>i momenti, <strong>de</strong>lle occasioni di fiducia cercando le cose che fanno muovere la<br />

situazione.<br />

Nell’esempio citato, si è potuto notare un placarsi <strong>de</strong>i bambini che si sono messi a frequentare<br />

la scuola e a meglio impegnarsi.<br />

Quando la famiglia è associata a questo processo di elaborazione <strong>de</strong>lle staffette fra i<br />

professionisti, cambia di statuto e diventa partecipante nel processo di intervento che la<br />

riguarda. La madre di Véronika ha accesso ad una visione di insieme <strong>de</strong>lla rete sulla quale può<br />

appoggiarsi.<br />

Quali sono le condizioni di installazione e di rinforzo <strong>de</strong>lle “staffette”:<br />

Avvistare le zone di sovrapposizione e i<strong>de</strong>ntificarle<br />

Accettare l’i<strong>de</strong>a che l’estensione e l’apertura è un processo diverso per ogni<br />

professionista (è diverso per un clinico e per un insegnante)<br />

I<strong>de</strong>ntificare uno o alcuni strumenti di lavoro comune che va a unire i professionisti<br />

Non rinunciare al proprio campo di competenze<br />

Riflettere su ciò che può circolare sulle zone di sovrapposizione<br />

Badare a mettere sempre le cose in discussione senza i<strong>de</strong>a di chiu<strong>de</strong>rle<br />

I campi di sovrapposizione sono i luoghi dove le connessioni si possono fare, dove la corrente<br />

può circolare.<br />

Le cose si riconnettono in un lavoro piuttosto collettivo dove la domanda diventa meno<br />

compatta.<br />

I campi di sovrapposizione allora si <strong>de</strong>moltiplicano e si organizzano e permettono un lavoro<br />

più collettivo che va verso la concertazione <strong>de</strong>ll’insieme <strong>de</strong>i campi di sovrapposizione.<br />

Uno <strong>de</strong>gli elementi più importanti è la fiducia che si costruisce fra i professionisti che indurrà<br />

un’altra fiducia, quella <strong>de</strong>ll’utente nei confronti <strong>de</strong>l professionista.<br />

La madre di Véronika partecipa all’elaborazione <strong>de</strong>l suo “percorso di viaggio” nella rete <strong>de</strong>i<br />

professionisti, è attualmente in grado di esprimere la sua soddisfazione rispetto all’aiuto<br />

portato dai professionisti, ed è in grado di formulare nuove richieste più discriminate senza<br />

i<strong>de</strong>a di timore o di giudizio.<br />

INTERLUDIO<br />

La realtà celata dalla nozione di “campo di sovrapposizione” pone, l’abbiamo visto, alcuni<br />

problemi pratici. Ma questo concetto mette anche in questione il potere <strong>de</strong>i professionisti e in<br />

16


questa misura la parte legata con la politica. Per <strong>de</strong>finizione, parlare di campi di<br />

sovrapposizione implica il lavoro comune di diversi professionisti, facendoli uscire dal loro<br />

quadro abituale, eventualmente dal loro studio. Inutile aggiungere che il loro quadro abituale<br />

autorizza una certa presa di potere sull’utente, garantita tra l’altro dal segreto professionale.<br />

Nel nome di questo principio sacro, nessuna informazione può uscire dalla relazione tra il<br />

professionista e l’utente, nessuno dispone di un potere di controllo sulla pratica <strong>de</strong>l<br />

professionista. Al contrario, nelle zone di sovrapposizione, i professionisti non sono più soli di<br />

fronte agli utenti, ma sono ugualmente di fronte ad altri professionisti. Ognuno può quindi<br />

intervenire, e rimettere in discussione, riflettere, sulle pratiche tradizionali. Non si tratta<br />

assolutamente di annullare tutte le relazioni di potere, che condurrebbe/porterebbe ad una<br />

negazione <strong>de</strong>l conflitto, ad un consenso <strong>de</strong>bole. Si tratta al contrario di dare potere a tutti gli<br />

attori <strong>de</strong>lla rete, al fine che ognuno possa partecipare alla costruzione, all’elaborazione<br />

<strong>de</strong>ll’aiuto più efficace.<br />

La questione difficile <strong>de</strong>ll’interdisciplinarità sembra in questo quadro terapeutico trovare una<br />

risposta soddisfacente. Nelle situazioni complesse <strong>de</strong>i disagi multipli, la messa al lavoro di<br />

diversi professionisti non ha nulla di gratuito, di artificiale. E’ la famiglia che attiva l’insieme<br />

<strong>de</strong>i professionisti, che li convoca con lo scopo di lavorare insieme. L’interdisciplinarità quindi<br />

è di fatto. E’ allora che bisogna approfittare di questa forza convocatrice <strong>de</strong>lla famiglia che,<br />

creando le zone di sovrapposizione, permette di rimettere in discussione alcune evi<strong>de</strong>nze,<br />

alcune questioni, crea uno spazio di riflessione, di discussione sulla norma. I campi di<br />

sovrapposizione si rivelano allora come la condizione di possibilità per eccellenza di una<br />

riflessione critica sulle pratiche terapeutiche.<br />

17


Verbale incontro<br />

lunedi 10 novembre 2003, Palazzo Guasco - Alessandria<br />

Apertura – presentazione <strong>de</strong>i partecipanti<br />

LA PSICOTERAPIA NEL SERVIZIO PUBBLICO<br />

Claire Delforge, psicologa, psicoanalista<br />

J.M.Lemaire<br />

Mi sembra che sarebbe bene cominciare ascoltando la storia <strong>de</strong>l primo incontro tra Tina e<br />

Claire<br />

Tacchino<br />

Eravamo a Bruxelles e c’era per la prima volta un incontro fra tutti coloro che, provenendo da<br />

vari paesi, erano interessati alla Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione. Michele ed io ci siamo trovati<br />

davanti ad un gran<strong>de</strong> ospedale con tante finestrelle, era il luogo <strong>de</strong>ll’incontro. All’interno<br />

<strong>de</strong>ll’edificio c’erano <strong>de</strong>lle piccole stanze contrassegnate dai nomi <strong>de</strong>i medici e <strong>de</strong>gli psicologi.<br />

A questo primo incontro c’eravamo Jean Marie Lemaire, Claire, Marie-Claire Michaud, uno<br />

psichiatra algerino, Michele ed io. Ad un certo punto, un bambino entra nello studio: cercava<br />

sua mamma che era a colloquio con uno psicologo. Sono rimasta colpita dal contrasto tra la<br />

struttura enorme <strong>de</strong>ll’ospedale da un lato e la piccolezza <strong>de</strong>gli spazi spezzettati al suo interno<br />

dall’altro.<br />

Delforge<br />

In quel periodo, lavoravo in due servizi. Uno <strong>de</strong>i due era un servizio universitario, organizzato<br />

in dipartimenti poco legati fra di loro. Lavoravo nel dipartimento adolescenti. Era un servizio e<br />

allo stesso tempo un luogo di formazione in psicanalisi rivolta ai bambini, agli adolescenti e<br />

agli adulti; lavoravamo anche con le famiglie. In quegli anni di formazione ho imparato il<br />

rigore psicoterapeutico, come fare una diagnosi, la maniera competente di parlare alle famiglie<br />

<strong>de</strong>i bambini e <strong>de</strong>gli adolescenti. Era un servizio riconosciuto.<br />

Era sicuramente accessibile al pubblico, tuttavia mi ponevo la domanda circa la sua<br />

accessibilità: a quale pubblico era accessibile? Succe<strong>de</strong>va che soltanto le famiglie che erano<br />

capaci di formulare una domanda in modo corretto consultavano questo centro. Ho allora<br />

cercato di suggerire di cambiare il nostro modo di pensare. La trasgressione <strong>de</strong>l quadro da<br />

parte di una famiglia o il rifiuto <strong>de</strong>l trattamento poteva essere capito in un modo diverso e non<br />

soltanto in termini di “manipolazione”.<br />

Il contratto i<strong>de</strong>ale, adatto, è quello in cui l’offerta e la domanda corrispondono, ovvero quando<br />

i due partners terapeutici curante – paziente si adattano perfettamente. L’utente viene laddove<br />

lo si aspetta, e reclama l’aiuto che il professionista può giustamente proporgli. Ma questa<br />

situazione rimane molto spesso un i<strong>de</strong>ale. Numerose famiglie in disagio multiplo non sanno<br />

che fare di queste offerte. Non vengono dove le aspettiamo, rifiutano le nostre offerte,<br />

rompono il legame. Piuttosto che dispiacersene o lamentarsene, sarebbe meglio chie<strong>de</strong>rsi<br />

perché non vanno dove li aspettiamo, e cercare di sapere se non potremmo raggiungerle dove<br />

sono. Ci chiedono in <strong>de</strong>finitiva altre cose, fra le tante di lavorare nelle zone di sovrapposizione,<br />

in quelle zone di cui sono esperte e dove hanno molto da insegnarci. Eppure, mentre<br />

situazioni come questa si presentano quotidianamente nel lavoro sociale e psicoterapeutico,<br />

noi non (vi) siamo assolutamente preparati. Bisogna quindi modificare la nostra offerta,<br />

inventare <strong>de</strong>lle nuove pratiche al fine di poter aiutare queste famiglie.<br />

18


Ho in seguito <strong>de</strong>ciso di lasciare il servizio universitario, perché esclu<strong>de</strong>va la presa in carico di<br />

alcune famiglie, quelle che ci chiedono di lavorare diversamente, che ci convocavano dove non<br />

le aspettavamo.<br />

Oggi vorrei parlare <strong>de</strong>l mio lavoro nell’altro servizio, che utilizza la Clinica <strong>de</strong>lla<br />

Concertazione, il servizio di salute mentale di Wavre.<br />

Ho cominciato a lavorare a domicilio di alcune famiglie quattro anni fa. Un professionista che<br />

si occupa di prevenzione per la prima infanzia e che partecipa al gruppo suggerisce che<br />

sarebbe bello permettere alle famiglie in difficoltà di utilizzare questo approccio perché<br />

possano beneficiare di una presa in carico psicologica.<br />

Le famiglie alle quali faceva allusione sono le famiglie che voi conoscete: vengono una volta o<br />

due, poi interrompono il lavoro. Si dice di loro che non hanno domanda o che non hanno<br />

abbastanza “insight” per fare un lavoro psicologico.<br />

Ho <strong>de</strong>ciso di accettare questa sfida. Prendiamo appuntamento, insieme, presso la famiglia per<br />

presentarmi e per spiegare la ragione per la quale mi si era chiesto di andare a casa loro.<br />

Con mia gran<strong>de</strong> sorpresa ho iniziato a fare un vero lavoro di psicoterapia a domicilio, una volta<br />

alla settimana, sempre alla stessa ora, salvo un giorno perché alla famiglia era stata tolta la<br />

corrente elettrica. Il lavoro è durato più di due anni, poi la famiglia si è fatta espellere.<br />

La richiesta di questo genere di interventi è aumentata: ci è stato chiesto di andare presso altre<br />

famiglie e abbiamo costituito un gruppo di lavoro per rifletterci. Ho avuto molte sorprese dal<br />

lavoro a domicilio. E’ un lavoro appassionante e inquietante; ci obbliga a riflettere su ciò che si<br />

sta facendo. Si tratta spesso di aspetti che non abbiamo imparato durante la formazione di<br />

psicoterapeuta.<br />

Vi parlerò ora di una situazione particolare, spero che mi farete <strong>de</strong>lle doman<strong>de</strong>.<br />

E’ la storia di una donna di 37 anni che ho conosciuto tre anni fa. Aveva interpellato un servizio<br />

di maternità in occasione <strong>de</strong>lla nascita <strong>de</strong>l suo terzo figlio. Questo servizio temeva che lei non<br />

fosse una “buona madre”. La figlia maggiore, Pamela, viveva con la nonna materna e la<br />

seconda figlia, Mélanie, viveva in una comunità. La maggiore viveva con la nonna perché la<br />

mamma glielo aveva chiesto. I servizi sociali erano intervenuti e avevano trovato un accordo<br />

con la mamma (questo servizio sociale non può lavorare senza l’accordo <strong>de</strong>i genitori; dopo, se<br />

ci sono <strong>de</strong>i problemi, possono passare alla competenza <strong>de</strong>l Tribunale per i minori).<br />

Quindi, questa mamma ha interpellato il servizio di maternità che ha attivato l’Ufficio<br />

Nazionale <strong>de</strong>ll’Infanzia nella persona di Madame Lucas. Quest’ultimo servizio doveva<br />

verificare come la mamma se la cavava con il suo ultimo nato. Inoltre, siccome la mamma si<br />

trovava in uno stato <strong>de</strong>pressivo, Madame Lucas chiamò il servizio di salute mentale dove<br />

lavoro. La madre ha accettato la mia presenza a casa sua; il bambino aveva all’epoca otto mesi.<br />

Per quanto riguarda il padre <strong>de</strong>l bambino, non ama molto gli psicologi, ma accetta nonostante<br />

tutto il mio lavoro.<br />

Il bambino è presente durante tutti i colloqui, e talvolta partecipa attivamente. Si ve<strong>de</strong> che la<br />

mamma è molto fiera di questo bambino. Mi fa ve<strong>de</strong>re i suoi progressi nella crescita. Le<br />

angosce riguardo a questo bambino spariscono velocemente. Dopo avermi raccontato la sua<br />

storia fatta di violenze e di erranze, mi parla molto <strong>de</strong>lle altre due figlie. Pamela, cinque anni,<br />

vive con la nonna e la mamma la ve<strong>de</strong> una volta alla settimana. Rispetto a lei, non si sente<br />

riconosciuta come mamma. Peraltro, Pamela <strong>de</strong>ve essere seguita a scuola e questa situazione<br />

infastidisce molto la mamma: si sente giudicata dal servizio di affidamento familiare. Inoltre, a<br />

partire dalla nascita <strong>de</strong>l terzo figlio, non è più andata a fare visita a Mélanie, l’altra figlia che si<br />

trova in comunità. Sa che queste assenze possono essere interpretate come una mancanza di<br />

interesse. Cerco allora di convincerla a ripren<strong>de</strong>re le visite per evitare questo fraintendimento,<br />

perché in effetti si interessa evi<strong>de</strong>ntemente alla sua seconda figlia. La madre rimpiange di aver<br />

accettato l’affidamento alla comunità ma in quel periodo non aveva scelta: la bambina aveva<br />

bisogno di cure mediche importanti. Tuttavia, non aveva nessuno che potesse accompagnarla<br />

in queste visite a Mélanie. Ha chiesto a me di farlo.<br />

19


Non ho più potuto tirarmi indietro, consi<strong>de</strong>rando la sua insistenza. Partivamo insieme in<br />

macchina e durante il lungo tragitto, esprimeva ciò che significava per lei essere madre di tre<br />

bambini, con le difficoltà e le gioie che ciò comportava per lei. E’ durante questi momenti<br />

passati insieme che mi sembra di essere riuscita a farle riconoscere il suo ruolo di madre.<br />

Qual è il mio ruolo, la mia i<strong>de</strong>ntità professionale, quando sono in macchina con lei? Posso<br />

preten<strong>de</strong>re di rifugiarmi nel mio ruolo di psicologa? Non sono io stessa un utente in quei<br />

momenti con lei in macchina? Devo mantenere il confine netto e distinto tra la mia professione<br />

e la mia intimità? O piuttosto, non riuscirei a rinforzare i legami di fiducia, costruttori, tra lei e<br />

me se metto da parte il mio ruolo specificamente psicologico?<br />

Attualmente la madre si può spostare più facilmente perché il suo bambino è cresciuto. Viene<br />

al centro ogni tanto, ma spesso salta gli appuntamenti. Penso comunque che il legame che<br />

aveva instaurato con me rimanga un punto di riferimento per lei. Soprattutto, era molto poco<br />

riconosciuta dai Servizi che avevano il compito di tutelare i bambini. E per la fine <strong>de</strong>lla storia,<br />

sappiate che Mélanie ha raggiunto sua sorella presso la nonna.<br />

Insomma, questo lavoro a domicilio è sconcertante per molti aspetti. Non sappiamo mai in<br />

anticipo come si svolgeranno i colloqui, chi sarà presente. All’inizio, mi chie<strong>de</strong>vo come avrei<br />

potuto assicurarmi un’intimità sufficiente per fare un lavoro di psicoterapia. Ad esempio,<br />

siamo talvolta al centro <strong>de</strong>lla sofferenza senza poter essere aiutati dalla camera di<br />

<strong>de</strong>compressione rappresentata dalle sale di attesa. D’altra parte, se, al Servizio, una famiglia ha<br />

molto poco potere – sono i professionisti che dicono come le cose si <strong>de</strong>vono svolgere – al<br />

contrario, a domicilio non si può non rispettare le abitudini <strong>de</strong>lla famiglia. Lavoriamo con lei, a<br />

casa sua, siamo noi che dobbiamo piegarci alle sue costrizioni. Soprattutto, per questi aspetti<br />

che ribaltano il quadro tradizionale, il lavoro a domicilio ren<strong>de</strong> più accessibile una presa in<br />

carico <strong>de</strong>lle famiglie in gran<strong>de</strong> difficoltà. Infatti, talvolta, la paura <strong>de</strong>lla reazione sociale<br />

impedisce all’utente di venire in consultazione: ad esempio, il bambino aveva distrutto due<br />

volte lo studio <strong>de</strong>i professionisti. Questi atti possono ren<strong>de</strong>re più difficile la creazione di legami<br />

di fiducia tra i professionisti e la famiglia.<br />

Lavorare come psicoterapeuta in un servizio pubblico significa per me “aprire il quadro”. La<br />

Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione cambia il modo di osservare le cose. Durante la mia formazione,<br />

mi era stato imposto di lavorare con un “setting” rigoroso. Ma lo stesso “setting” non va bene<br />

per tutti: è troppo stretto per alcune persone. In questo caso, una nuova opzione doveva essere<br />

inventata: aprire il “setting” e lavorare su ciò che le famiglie potevano portare. Era rischioso,<br />

non eravamo sicuri di ciò che facevamo, ma sicuramente questa scelta ha portato una gran<strong>de</strong><br />

ricchezza. Nel lavoro con le famiglie in gran<strong>de</strong> disagio, il compito <strong>de</strong>l servizio pubblico è<br />

quello di avere la più gran<strong>de</strong> apertura possibile. Un’altra difficoltà era quella di doversi<br />

astenere dal “fare” qualcosa, poiché questo compito rientra nella competenza <strong>de</strong>ll’assistente<br />

sociale. Mi chie<strong>de</strong>vo: “Sono ancora una psicoterapeuta nel momento in cui la mamma sale<br />

sulla mia macchina?”. Questa domanda può aprire un dibattito: come fare per ren<strong>de</strong>re il<br />

servizio pubblico fruibile per tutto il pubblico e non unicamente per coloro che possono fare la<br />

domanda in modo corretto?<br />

La Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione mi ha insegnato l’altra parte <strong>de</strong>l mestiere: quella che consiste a<br />

vivere e a inventare con la famiglia, a trovare le risorse anche nelle situazioni più catastrofiche,<br />

a recuperare il filo dal quale si può ripartire.<br />

Ho chiamato un giorno una scuola per chie<strong>de</strong>re di pren<strong>de</strong>re in carico un bambino che doveva<br />

essere seguito: avevo a carico la famiglia. Mi è stato <strong>de</strong>tto che noi, gli psicologi, ci vedono a<br />

scuola soltanto all’inizio e alla fine <strong>de</strong>ll’anno; ma durante tutto il resto <strong>de</strong>l tempo, non<br />

20


chiamiamo più. Questo mi ha fatto riflettere e credo al contrario che si <strong>de</strong>bba andare<br />

regolarmente a scuola.<br />

Sacco<br />

Non vedo molto bene la connessione tra l’esempio che ha raccontato e la Clinica <strong>de</strong>lla<br />

Concertazione.<br />

Delforge<br />

Se non avessi avuto le risorse <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione non avrei saputo come situarmi<br />

rispetto al Servizio di Affidamento Familiare. Riflettere sulla situazione con il mezzo <strong>de</strong>lla<br />

Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione mi ha consentito di lavorare con la mamma, curando i rapporti con<br />

il Servizio di Affidamento Familiare, che aveva una visione particolare <strong>de</strong>lla mamma. L’ho<br />

aiutata a fornire un’altra immagine di se stessa, ad avere altri contatti con la comunità, a far<br />

ve<strong>de</strong>re come si preoccupava per sua figlia. Il conflitto è diventato praticabile. La Clinica <strong>de</strong>lla<br />

Concertazione mi ha insegnato a ve<strong>de</strong>re le risorse anziché i problemi. Non si trattava più di<br />

svelare le mancanze, ma al contrario le occasioni nelle quali la mamma si rivelava essere una<br />

“buona madre”. Ha potuto dimostrare in cosa era una “buona madre”.<br />

Educatrice nido Valenza<br />

La mamma, a partire dai suoi disagi multipli, ha attivato numerose strutture, istituzioni. Dei<br />

professionisti lavoravano in queste strutture: si è trovata in campi di sovrapposizione con altre<br />

strutture? Ad esempio, questo lavoro nel campo di sovrapposizione potrebbe manifestarsi con<br />

il passaggio dal suo ruolo di psicoterapeuta ad un ruolo più specificatamente di assistenza. Ma<br />

ha utilizzato altre figure <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di rete?<br />

Delforge<br />

Tra gli altri professionisti, c’era Madame Lucas. Quando la madre mi ha chiesto di<br />

accompagnarla, lo ha chiesto anche a Madame Lucas. In seguito, la madre ha comunicato alla<br />

comunità che la sua psicoterapeuta l’avrebbe accompagnata.<br />

A proposito <strong>de</strong>l lavoro collettivo, o <strong>de</strong>lle altre figure <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di rete, <strong>de</strong>vo dire che<br />

è difficile mettere tutti i professionisti attorno ad un tavolo. Ho cercato, ho fatto <strong>de</strong>lle<br />

telefonate, ma è stato impossibile organizzare un incontro. Da cosa è dipeso? Dai<br />

professionisti? Dalla mamma? Non lo so.<br />

Questa osservazione pone la difficile questione <strong>de</strong>lla comparsa <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla<br />

Concertazione, <strong>de</strong>lla partecipazione <strong>de</strong>i professionisti, <strong>de</strong>gli utenti. Sono i professionisti che<br />

convocano altri professionisti? Mi sembra di no. E’ piuttosto la forza convocatrice <strong>de</strong>lla<br />

famiglia che permette ai professionisti di lavorare insieme. Se è difficile per un professionista<br />

convincere un altro professionista a partecipare ad una Clinica di Concertazione, mi sembra<br />

molto più difficile rifiutare una tale domanda quando essa proviene dalla famiglia stessa. E’<br />

quindi sempre quest’ultima che si trova alla base di una Clinica di Concertazione. O meglio,<br />

trovare l’origine di una Clinica non è possibile. Si costituisce a partire da un “fascio di<br />

volontà”, di cui <strong>de</strong>vono far parte almeno tre elementi: gli utenti, i professionisti e il politico.<br />

Noi chiamiamo l’insieme di questi elementi la “tria<strong>de</strong> concertativa”. Se un elemento di questa<br />

tria<strong>de</strong> viene a mancare, la Clinica di Concertazione non potrà avere luogo.<br />

A.S. Torino<br />

Dopo aver iniziato questo tipo di lavoro a domicilio, c’è stata la creazione di un gruppo di<br />

lavoro con la partecipazione anche <strong>de</strong>lle famiglie?<br />

Delforge<br />

21


No. Le famiglie non partecipano ancora, ma ci sono alcune regole, le stesse prescritte dalla<br />

Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione, ad esempio: “parlare come se le persone fossero presenti”. Queste<br />

famiglie potrebbero venire in seguito alla Clinica di Concertazione se questo risulta essere<br />

necessario.<br />

A.S. Torino<br />

Avevo capito male. Le famiglie sanno comunque che le loro difficoltà hanno fatto scaturire una<br />

riflessione.<br />

Delforge<br />

Si, i compiti <strong>de</strong>l Servizio di salute mentale consentono di offrire <strong>de</strong>lle supervisioni agli<br />

operatori di prima linea. Lo psicoterapeuta è messo in una posizione di sapere. Lavorare in<br />

collaborazione con gli operatori di prima linea è una posizione più interessante secondo me.<br />

Tacchino<br />

Due piccole doman<strong>de</strong>. Innanzi tutto, mi chie<strong>de</strong>vo se ci sono <strong>de</strong>lle riflessioni a proposito <strong>de</strong>lla<br />

staffetta. In secondo luogo, pensavo a questo cambiamento: prima c’era una sala d’attesa,<br />

dopo c’è la casa <strong>de</strong>lla famiglia nella quale si può arrivare in qualsiasi momento. Mi sembra<br />

rischioso. Come la Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione può aiutare a contenere i rischi di questa<br />

intrusione?<br />

Delforge<br />

Sulla questione <strong>de</strong>lla staffetta, la Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione crea pian piano <strong>de</strong>i campi di<br />

fiducia fra i professionisti <strong>de</strong>l territorio. Ognuno può far conoscere la propria pratica clinica in<br />

questo spazio. Ognuno conosce l’altro, il suo modo di lavorare, poiché tutti i professionisti<br />

sono riuniti attorno ad una situazione e lavorano sotto gli sguardi incrociati <strong>de</strong>gli altri. Credo<br />

che il fatto che ogni professionista possa sentirsi riconosciuto nelle sue competenze possa<br />

avere <strong>de</strong>lle conseguenze positive sulla famiglia. Ci sono <strong>de</strong>lle famiglie che ribaltano, che<br />

scuotono la rete. Per esempio, il maltrattamento <strong>de</strong>i bambini scuote la rete. In queste<br />

situazioni, le famiglie possono beneficiare <strong>de</strong>i legami di fiducia tra i professionisti.<br />

Rispetto al secondo aspetto, il rischio è che la psicoterapia possa diventare un controllo<br />

sociale. Le famiglie hanno molte risorse per mettere <strong>de</strong>i limiti e per dire “Basta!”. Occorre<br />

rispettare la voce <strong>de</strong>lla famiglia. Il rischio è quello di un’intrusione reciproca, vale a dire anche<br />

quella <strong>de</strong>lla famiglia nei confronti <strong>de</strong>l terapeuta. Non è la stessa cosa se sono nel mio studio o<br />

a casa <strong>de</strong>ll’utente. Se mi si chiu<strong>de</strong> la porta, non significa necessariamente che non mi si vuol<br />

far entrare, ci sono forse altre ragioni. Si tratta di discuterne.<br />

Bassini<br />

In Italia si discute da anni <strong>de</strong>lla “domiciliarità”. Storicamente è la psichiatria che ha iniziato<br />

(legge Basaglia), in seguito è stata introdotta nel quadro <strong>de</strong>lle tossicodipen<strong>de</strong>nze, poi nel<br />

Servizio Educativo Territoriale che si occupa di minori e <strong>de</strong>lle famiglie in disagio. Il contesto<br />

<strong>de</strong>lla casa è importante per tutti gli operatori, non soltanto per gli psicoterapeuti. Il discorso<br />

<strong>de</strong>lla reciprocità è valido per diverse figure professionali. Inoltre, si parlava di “terapia<br />

familiare” che per noi significa che tutta la famiglia è presente, altrimenti si tratta di un<br />

“intervento familiare”.<br />

Sacco<br />

Per noi, la “terapia familiare” è un intervento al quale partecipano tutti i componenti <strong>de</strong>lla<br />

famiglia. Mentre andare in una casa è un “intervento familiare”.<br />

Delforge<br />

22


Ho una formazione psicanalitica, e sono in supervisione come terapeuta contestuale. Non<br />

parlo quindi come terapeuta familiare. Posso semplicemente spiegarvi brevemente come si<br />

integra la famiglia nel mio lavoro. Nella fattispecie, ho sempre incontrato i genitori <strong>de</strong>i<br />

bambini all’inizio <strong>de</strong>lle consultazioni per capire il bambino. Dopo continuavo il mio percorso<br />

con il bambino, ve<strong>de</strong>ndo di tanto in tanto i genitori. Non ho mai pensato che la psicanalisi nel<br />

suo “setting” classico e rigoroso fosse adatta al servizio pubblico. La Clinica <strong>de</strong>lla<br />

Concertazione mi ha consentito di dare più interesse ai legami e meno all’intrapsichico. Non<br />

so se faccio <strong>de</strong>lla terapia di sostegno, <strong>de</strong>lla terapia familiare. Ciò che mi interessa, è di<br />

mettermi a disposizione di questa mamma. Penso di fare un lavoro che agisce su tutto il<br />

sistema familiare anche se i membri <strong>de</strong>lla famiglia non sono tutti presenti. Mi preoccupavo<br />

anche <strong>de</strong>l papà.<br />

Sacco<br />

Metterei quest’ultimo “pezzo” all’inizio <strong>de</strong>l suo racconto. Condivido assolutamente il<br />

problema <strong>de</strong>ll’etichetta: qual è la mia i<strong>de</strong>ntità professionale? Ci si aspetta da me che sia<br />

barricata nel mio studio, altrimenti non sono più consi<strong>de</strong>rata una psicoterapeuta. Eppure, mi<br />

sembra di poter fare molto bene qualcosa di terapeutico al di fuori dal mio studio, in un<br />

corridoio o in un altro luogo. E’ altrettanto terapeutico, con i rischi che comporta il fatto di<br />

uscire dal proprio studio. Resta vero che la <strong>de</strong>finizione di questo lavoro al di fuori dal quadro<br />

rimane difficile. E’ ancora realmente psicoterapia?<br />

Verbale redatto da Elisabetta Mussio e tradotto da Ivana Pretta<br />

Interludio<br />

I rapporti che intrattengono la psicoterapia nel settore pubblico con quella <strong>de</strong>l settore privato<br />

sono complessi. Spesso, la prima consi<strong>de</strong>ra la seconda come un i<strong>de</strong>ale da raggiungere.<br />

Ultimamente, e fondamentalmente, è ad un tipo di contratto liberale che dovrebbe rifarsi<br />

qualsiasi psicoterapia 3 . Il contratto liberale costruito fra colui che cura e un paziente, nel quale<br />

l’offerta e la domanda si accordano perfettamente, costituirebbe l’essenza <strong>de</strong>lla terapia, il luogo<br />

dove quest’ultima si manifesterebbe nel modo più puro. Tuttavia, e la discussione di prima lo<br />

ha ben dimostrato, un tale contratto non è sempre realizzabile, e nemmeno auspicabile. Se<br />

conviene in alcuni casi particolari, e non si tratta assolutamente di negare l’utilità di questo<br />

tipo di psicoterapia, altre situazioni chiedono un altro tipo di risposta. Così, la psicoterapia nel<br />

settore pubblico forse non dovrebbe più cercare di colmare lo scarto che la separa dal settore<br />

privato, ma al contrario consi<strong>de</strong>rare positivamente il suo modo di proce<strong>de</strong>re, senza<br />

confrontarla sempre al contratto liberale, come se non ne fosse che una pallida copia, una<br />

misera approssimazione, sempre in difetto.<br />

Consi<strong>de</strong>randosi per se stessa, e non in riferimento al settore privato, la psicoterapia <strong>de</strong>l settore<br />

pubblico potrà allora aprirsi a nuove i<strong>de</strong>e, creare nuove forme di aiuto, corrispon<strong>de</strong>nti talvolta<br />

più alle doman<strong>de</strong> sconcertanti <strong>de</strong>lle famiglie in disagi multipli. Da questo punto di vista, è<br />

lasciata al settore pubblico una vera possibilità di innovazione, di creazione, di ricerca in<br />

psicoterapia. E allora si potrebbe dichiarare, forse un po’ audacemente, che è proprio nel<br />

settore pubblico che avrà luogo una vera ricerca nel campo <strong>de</strong>lla psicoterapia, mentre il settore<br />

privato rimarrebbe, rifugiato ad essere un ordine <strong>de</strong>l controllo, <strong>de</strong>lla normalizzazione.<br />

3 Notiamo al contrario che Michel Foucault, nelle sue belle analisi sulla nascita <strong>de</strong>lla medicina nel XVIII secolo, ci<br />

insegna che, alle origini, le medicina è sempre stata innanzitutto sociale.<br />

23


Verbale incontro<br />

lunedi 1 dicembre 2003, Alessandria, Palazzo Guasco<br />

LE DIVERSE FIGURE DEL LAVORO TERAPEUTICO DI RETE<br />

(Clinica <strong>de</strong>lla concertazione, concertazione clinica, clinica <strong>de</strong>lla staffetta, coordinamento…)<br />

Jean Marie Lemaire, psichiatra, terapeuta familiare, clinico di concertazione<br />

Apertura –Presentazione <strong>de</strong>i partecipanti<br />

Tacchino<br />

Stiamo componendo il materiale (verbali, lucidi, sociogenogrammi) con l’ambizione di<br />

formare un tutto coerente durante quest’estate. “Le diverse figure <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di<br />

rete” sarà l’argomento di oggi.<br />

Lemaire<br />

Mi sembra che lo spazio <strong>de</strong>l lunedì pomeriggio assuma il suo vero significato quando è legato<br />

agli altri incontri <strong>de</strong>l lunedì da una parte, e al costante lavoro di rete dall’altra. Direi quindi che<br />

le doman<strong>de</strong> sul lunedì prece<strong>de</strong>nte potrebbero darci la possibilità di cominciare il lunedì<br />

successivo.<br />

Tacchino<br />

Un approccio potrebbe essere quindi questo argomento che ritorna sempre, parlo <strong>de</strong>i “campi<br />

di sovrapposizione”. Far passare in primo piano i campi di sovrapposizione, rispetto al<br />

coordinamento che rimane importante, serve a cercare di cambiare le pratiche di intervento<br />

laddove tali modifiche si rendono necessarie. Il riconoscimento <strong>de</strong>lla forza convocatrice <strong>de</strong>l<br />

caso ci permette di valorizzare questi campi di sovrapposizione.<br />

Lemaire<br />

Dare valore ai campi di sovrapposizione, significa diminuire gli spazi chiusi. Se un<br />

professionista è spinto ad inva<strong>de</strong>re il campo specifico di un altro, allora c’è sovrapposizione.<br />

Sarebbe senza dubbio più proficuo consi<strong>de</strong>rarla non come un’invasione, nel suo senso<br />

negativo. Abbiamo spesso l’impressione che se questa sovrapposizione diventasse un dato<br />

positivo, allora i campi chiusi e le competenze specifiche per<strong>de</strong>rebbero un po’ <strong>de</strong>l loro valore.<br />

Ad esempio, se un insegnante si interessa all’alunno, ai suoi problemi, c’è una sovrapposizione<br />

<strong>de</strong>lle competenze tra l’insegnante e lo psicologo. Ma spesso si pensa che tutto ciò sia<br />

squalificante, che ci sia una perdita di energie. E’ la stessa cosa con i disagi multipli <strong>de</strong>lle<br />

famiglie. Quest’ultime ci rivolgono <strong>de</strong>lle doman<strong>de</strong> che non corrispondono a ciò che si propone<br />

loro tradizionalmente, oppure chiedono alcuni compiti ai servizi che non ne hanno la titolarità,<br />

la competenza. Giungiamo allora ad alcune situazioni inattese, siamo sconcertati, e ci può<br />

capitare di rigettarne l’errore sulla famiglia, di accusarla di non rispettare la coordinazione.<br />

Eppure, agendo in questo modo, andiamo a chiu<strong>de</strong>re la situazione e ad impedire la ricerca<br />

<strong>de</strong>lle risorse residuali. Occorre quindi cercare di pren<strong>de</strong>re in consi<strong>de</strong>razione le due cose<br />

contemporaneamente: da una parte consi<strong>de</strong>rare la sovrapposizione positivamente, attraverso la<br />

nozione di campo di sovrapposizione, e dall’altra parte non in<strong>de</strong>bolire, ma al contrario<br />

rafforzare le competenze specifiche <strong>de</strong>i professionisti.<br />

Tacchino<br />

Tre anni di Clinica ci hanno fatto conoscere molti professionisti di diverse origini, ma la<br />

questione <strong>de</strong>ll’intruso è passata in secondo piano. Questo tema <strong>de</strong>ll’intrusione, per dirlo in<br />

altro modo il tema <strong>de</strong>lla critica <strong>de</strong>i campi chiusi, non mi interessa, se è fine a se stessa. Oggi,<br />

24


preferisco conoscere le difficoltà che i professionisti incontrano nel quotidiano, nelle loro<br />

pratiche per arrivare all’ “apertura”.<br />

Lemaire<br />

Parlerò <strong>de</strong>llo sviluppo <strong>de</strong>l “lavoro terapeutico di rete”. Per dodici anni <strong>de</strong>lla mia formazione<br />

come psichiatra, sono stato educato ad un certo tipo di lavoro terapeutico tradizionale. Dopo<br />

questa prima esperienza, sono passato con difficoltà alla terapia familiare. Questa transizione<br />

si è rivelata <strong>de</strong>licata, perché ero consi<strong>de</strong>rato un contestatario; fu ancora più difficile da<br />

negoziare il passaggio al coordinamento, che non era allora consi<strong>de</strong>rata nella pratica<br />

terapeutica. Ci fu in seguito l’approccio comunitario, molto apprezzato a Trieste. Aggiungerei<br />

che una <strong>de</strong>lle difficoltà nell’affrontare gli altri tipi di lavoro non tradizionali può provenire dalla<br />

mancanza di opere di riferimento su questi soggetti. E’ stato scritto molto poco sulle figure<br />

terapeutiche che costituiscono il Coordinamento o il Passaggio. Questo stato di cose potrebbe<br />

<strong>de</strong>rivare dal fatto che sono le famiglie le vere esperte di queste nuove forme di lavoro. Sono loro<br />

che effettivamente ci insegnano come lavorare meglio. Le famiglie non vanno dove le<br />

aspettiamo, e dobbiamo quindi modificare il nostro modo di lavorare. Questa urgenza di un<br />

nuovo quadro terapeutico mi si è imposto quando ho sentito dire da alcuni professionisti, a<br />

proposito di queste famiglie in disagi multipli: “come dare da bere ad un asino che non ha<br />

sete?”. Dovevo reagire, e chie<strong>de</strong>rmi perché le famiglie non accettavano le nostre offerte.<br />

E’ allora che si sono posti diversi problemi. Accettare <strong>de</strong>i nuovi tipi di lavoro terapeutico<br />

significava rimettere in discussione la gerarchia tradizionale <strong>de</strong>l lavoro terapeutico. In<br />

quest’ultima, il primo posto è occupato evi<strong>de</strong>ntemente dal colloquio individuale – in maniera<br />

sintomatica il contratto liberale. A questo proposito, la coordinazione (che esiste<br />

evi<strong>de</strong>ntemente da molto tempo) si piazzava in seconda posizione. Dopo essersi resi conto che<br />

le famiglie non venivano dove le si aspettava, c’è stato il bisogno di chie<strong>de</strong>rsi dove ci<br />

aspettavano. Nella nuova gerarchia che proponevo allora, non si trattava più di lasciare il<br />

colloquio individuale al primo posto. E’ piuttosto la Clinica di Concertazione che occupava la<br />

prima posizione, seguita dalla Concertazione Clinica, la Clinica <strong>de</strong>lla Staffetta, il colloquio<br />

individuale, il Passaggio e il Coordinamento. La vera novità in questa nuova gerarchia<br />

consisteva sicuramente nella Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione, che non bisogna confon<strong>de</strong>re con un<br />

Coordinamento. Nella Clinica di Concertazione, si tratta di rinunciare alle finalità immediate,<br />

di coltivare i conflitti praticabili, il dibattito contraddittorio, e non di appianare il dibattito per<br />

trovare una soluzione a tutti i costi.<br />

Mi rendo conto oggi, dopo dieci anni, che fu un errore quello di opporre le due gerarchie,<br />

dando il mio consenso alla seconda. C’era sicuramente all’inizio una volontà negativa di critica<br />

<strong>de</strong>lla gerarchia tradizionale. Sicuramente mi sembrava che fosse necessaria l’opposizione <strong>de</strong>lle<br />

due gerarchie, al fine di voler far accettare la seconda. Tuttavia oggi, credo che con<br />

l’estensione alla Clinica di Concertazione non abbiamo più bisogno di gerarchie opposte.<br />

Inoltre, non nego assolutamente l’utilità <strong>de</strong>lla terapia individuale, io stesso pratico questo tipo<br />

di terapia, ricevo <strong>de</strong>i pazienti nel mio studio per <strong>de</strong>i colloqui individuali. Ma mi sembra che<br />

lavorare in Concertazione rinforzi proprio il lavoro individuale, e che rinforzi anche la<br />

“privacy”.<br />

Credo quindi che la cura non si possa limitare al colloquio individuale. Può capitare, a seconda<br />

<strong>de</strong>l compito e <strong>de</strong>ll’impegno che ci è chiesto, che ci si ritrovi in una terapia o in un’altra. Certo,<br />

la legge dice che soltanto i medici e gli psicologi possono fare <strong>de</strong>lla terapia, ma gli utenti non<br />

la pensano così. La terapia relazionale non può risolversi e non si risolve con la ricetta medica.<br />

Evi<strong>de</strong>ntemente non è un errore <strong>de</strong>lla famiglia il fatto che attivi numerose istituzioni nella rete,<br />

e non è che non si accontenti <strong>de</strong>ll’offerta tradizionale <strong>de</strong>l colloquio individuale. Questa vasta<br />

implicazione non nuoce, al contrario mi sembra che produca una crescita. Usciamo quindi<br />

<strong>de</strong>finitivamente dalle gerarchie e consi<strong>de</strong>riamo tutte le figure <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di rete<br />

sullo stesso piano. Al fine di non introdurre più gerarchia discriminante, proponiamo così di<br />

25


disporre le diverse figure <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di rete su di un cerchio, che può essere girato<br />

come si vuole.<br />

Vedi lo schema pag.seg.<br />

Le figure <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di rete<br />

I professionisti <strong>de</strong>ll’aiuto, <strong>de</strong>lla cura, <strong>de</strong>ll’educazione e <strong>de</strong>l controllo sono invitati dagli<br />

utenti a partecipare a diverse figure <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di rete. Questo invito può assumere<br />

le forme più diverse e più creative. Al momento <strong>de</strong>ll’appello, i professionisti non possono<br />

sempre sapere le condizioni che gli permetteranno di riconoscere, facilmente, le figure alla<br />

quale è invitato e qualche volta è obbligato a partecipare.<br />

La Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione è uno spazio di ricerca dove ci si impegna a migliorare<br />

l’intuito <strong>de</strong>i professionisti nel riconoscere le figure nella quale sta per implicarsi o sta per<br />

essere implicato e forse anche quelle che lui stesso può proporre se la ritiene migliore di quelle<br />

proposte.<br />

Per presentare le figure i<strong>de</strong>ntificate, senza introdurre una gerarchia discriminante, noi<br />

le abbiamo disposte in cerchio di conseguenza l’orientamento può essere facilmente<br />

modificato con un movimento di rotazione<br />

Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione = XUdC + XPdC + XPpC + XPndC + 1CC +Ag + Ag + Sg<br />

Pratica <strong>de</strong>l Passaggio = 1PdC + 1PpC<br />

Clinica <strong>de</strong>lla Staffetta = 1 o XUDC + 1PdC + XPpC + Ag + Ag<br />

Colloquio individuale, Clinica <strong>de</strong>lla Consultazione = 1PdC + 1 o XUdC + Ag + Ag<br />

Concertazione Clinica = XUdC + XPdC + XPpC + 1CC facoltativo + Sg + Ag + Ag<br />

Coordinamento = XPpC<br />

Legenda: C = coinvolto; dC = direttamente coinvolto; ndC = non direttamente coinvolto;<br />

pC = potenzialmente coinvolto; CC = Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione;<br />

26


P = professionista; U = utente; X = un certo numero di<br />

Ag = Agenda <strong>de</strong>gli utenti; Ag = Agenda <strong>de</strong>i professionisti<br />

Sg = sociogenogramma<br />

Psicologa argentina<br />

Come l’informazione arriva agli “asini”? Come i professionisti riescono a capire e a capirsi?<br />

Lemaire<br />

E’ la questione <strong>de</strong>lla forza convocatrice <strong>de</strong>lla famiglia che entra in gioco. A chi possono<br />

rivolgersi gli utenti? Questa domanda è stata posta un giorno qui da un genitore. Per questo,<br />

basta avere fiducia nella forza convocatrice <strong>de</strong>lla famiglia. E’ lei che sa meglio come attivare i<br />

professionisti. Per esempio, se un bambino ha <strong>de</strong>lle difficoltà a scuola, è possibile rivolgersi a<br />

una persona di fiducia, ovvero agli insegnanti, senza troppo chie<strong>de</strong>r loro, ma sapendo che essi<br />

stessi possono attivare altri professionisti che curano. E poi bisogna consi<strong>de</strong>rare il<br />

trasferimento di fiducia, <strong>de</strong>ve uscire dall’astratto e <strong>de</strong>ve essere verificato nella pratica<br />

concertativa.<br />

Gemelli<br />

Dove lo si può fare. Questo trasferimento di fiducia non si può effettuare ovunque. Per<br />

esempio, con il magistrato non si può.<br />

Lemaire<br />

Si, è vero. Nel campo <strong>de</strong>lla giustizia c’è una libertà da assicurare e il trasferimento <strong>de</strong>lla fiducia<br />

non è sempre possibile né auspicabile. A questo proposito, la separazione netta è garantita. Ma<br />

io valorizzerei gli spazi dove questo trasferimento <strong>de</strong>lla fiducia è possibile, piuttosto che gli<br />

spazi non praticabili. Ritornando alla domanda, credo che aprendo questa pratica al territorio<br />

si <strong>de</strong>stabilizzi rapidamente i professionisti. Certo, la perdita di un quadro rigido con <strong>de</strong>lle<br />

regole <strong>de</strong>ve essere compensata da un quadro rigoroso. Bisogna allora costruire una pratica<br />

rigorosa con <strong>de</strong>lle regole e questo si fa con il lavoro e la calma. Ad esempio, quando un<br />

genitore parla all’insegnante, cosa vuole veramente? Non è facile capirlo.<br />

Amerio<br />

Aprire la Concertazione è talvolta difficile a causa <strong>de</strong>lle risposte immediate di alcuni servizi. La<br />

risposta non è automatica nel campo psichiatrico. Anche per la famiglia a volte è difficile<br />

aprire la concertazione. E’ ancora più difficile quando si esce dallo spazio ristretto <strong>de</strong>l nucleo<br />

familiare.<br />

Lemaire<br />

Dobbiamo offrire uno spazio abitabile per le famiglie in disagio multiplo. E manca meno di<br />

quanto non si possa immaginare. E’ difficile in effetti rifiutare il richiamo di una famiglia in<br />

disagio. Una volta che questa ci ha attivato, ci riveliamo spesso capaci di offrirle uno spazio<br />

abitabile. Per aiutarci, bisogna quindi riconoscere e sostenere i diversi contatti. Ma anche<br />

negoziare con le figure <strong>de</strong>l lavoro di rete, utilizzare l’immaginazione. In questa prospettiva, il<br />

cerchio che contiene tutte le figure non <strong>de</strong>ve irrigidirci in questa rappresentazione. Non<br />

rappresenta che un’i<strong>de</strong>a generale, che può essere discussa. Il dibattito stesso attorno alle<br />

figure, o alla forza convocatrice <strong>de</strong>lla famiglia diventa terapeutico in sé.<br />

Aggiungiamo inoltre che l’agenda rappresentata sullo schema è l’agenda vera e propria, non è<br />

inserita in senso figurato. Le equazioni sottolineano l’aspetto concreto <strong>de</strong>l lavoro. Quando si<br />

parla di aprire all’incatenamento è ovvio che non è facile. La Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione non<br />

può essere aperta da un’istituzione, <strong>de</strong>ve essere un’esperienza sostenuta collettivamente con<br />

una staffetta politico-organizzativa.<br />

27


Tacchino<br />

Proveremo ad inviarvi le bozze <strong>de</strong>gli ultimi due lunedì, spero che le arricchirete con le vostre<br />

annotazioni. Il prossimo incontro avrà luogo il 26 di gennaio, per il venerdì ci si ve<strong>de</strong> il 12<br />

dicembre. Vi ricordo che il lunedì mattina è sempre a disposizione per i servizi o le scuole.<br />

Lemaire<br />

La dott.sa Mussio può aiutarvi per l’organizzazione perché la preparazione è fondamentale.<br />

Non ci si <strong>de</strong>ve spostare per forza. Questa sala è sempre disponibile.<br />

Mussio<br />

Siamo disponibili per anche per i venerdì.<br />

Tacchino<br />

Bisogna sempre pensare alla staffetta <strong>de</strong>i clinici. La disponibilità a impegnarsi nel territorio<br />

aumenta. Ci sono sei persone nella rete di Alessandria che si sono impegnate nella formazione<br />

a Torino (Marina Moreddu, Monica Ferrero, Betty Mussio, Graziana Vommaro, Margherita<br />

Bassini e Santina Gemelli), sarebbe importante pensare al modo in cui queste persone possono<br />

aiutare la rete. La loro disponibilità a pren<strong>de</strong>re in carico la staffetta come cliniche di<br />

concertazione consentirebbe di programmare <strong>de</strong>i nuovi interventi per il prossimo anno in un<br />

modo più articolato. Chiedo loro di essere presenti, se possibile, alla clinica di gennaio.<br />

28


Verbale incontro<br />

lunedi 26 gennaio 2004, Alessandria, Palazzo Guasco<br />

L’ARTICOLAZIONE DELLE VARIE FIGURE<br />

DEL LAVORO TERAPEUTICO DI RETE<br />

Jean Marie Lemaire, psichiatra, terapeuta familiare, clinico di concertazione<br />

Apertura – presentazione <strong>de</strong>i partecipanti<br />

Lemaire<br />

Dalla mia esperienza sono stato portato a modificare la gerarchia tradizionale <strong>de</strong>lle figure <strong>de</strong>l<br />

lavoro di rete nella quale il colloquio individuale si situa in cima. La scommessa è che la<br />

contestazione di questa gerarchia, il rifiuto <strong>de</strong>l primato <strong>de</strong>l solo colloquio individuale a<br />

discapito <strong>de</strong>gli altri tipi di terapie non siano distruttivi ma critici. A questo proposito, la<br />

gerarchia che avevo proposto, in modo un po’ caricaturale, <strong>de</strong>ve essere interpretata come un<br />

campanello d’allarme. Avevo allora cercato di articolare diversamente, in un’altra gerarchia,<br />

l’approccio collettivo, i campi di sovrapposizione, il lavoro di rete. Questa innovazione era<br />

richiesta dal fatto che possiamo essere attivati da diverse figure <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di rete, e<br />

dal fatto che la domanda <strong>de</strong>ll’utente spesso supera quella di un semplice colloquio individuale.<br />

In <strong>de</strong>finitiva bisognava quindi cercare di uscire dalla gerarchia, per entrare in un cerchio che<br />

gira.<br />

Esistono due vie attraverso le quali siamo attivati a lavorare in concertazione. O una sola<br />

persona attiva due istituzioni diverse che non ne sono a conoscenza, oppure molti soggetti<br />

sono attivati sullo stesso caso, e costruiscono così un’unità potenziale di trattamento. E’ a<br />

questo punto che andiamo ad introdurre questa nuova competenza che è il lavoro di rete nel<br />

nostro bagaglio.<br />

L’iniziativa di questo lavoro di rete proviene dagli utenti. Sono loro che, attraverso la loro forza<br />

convocatrice, ci obbligano a lavorare dove non siamo abituati a lavorare, nelle zone di<br />

sovrapposizione. Questo succe<strong>de</strong>, ad esempio, quando l’utente si rivolge allo sportello<br />

“sbagliato”, dove non lo si aspetta. Prendiamo una situazione in cui la rete è attivata da più<br />

poli: c’è un ragazzino di quattordici anni che è conosciuto dalla polizia; ha una sorella minore<br />

che frequenta la scuola materna e la madre parla <strong>de</strong>lla sua <strong>de</strong>pressione all’educatrice <strong>de</strong>lla<br />

materna. Potremmo dire che questa mamma ha sbagliato sportello, e non capire che lei sta<br />

facendo appello all’educatrice per un suo problema mentre non è il compito di quest’ultima.<br />

Ma si potrebbe anche capire questa situazione in maniera diversa, dicendosi che la mamma ha<br />

potuto verificare come la figlia è presa in carico e quindi ha più fiducia nell’educatrice che non<br />

in un buon psichiatra. La mamma, sbagliandosi di sportello, fa qualcosa di molto intelligente:<br />

fa progredire la rete. E se inoltre esiste un legame di fiducia tra l’educatrice e la/lo<br />

psicoterapeuta, l’educatrice acquisirà un ruolo fondamentale per il passaggio.<br />

In Belgio, i centri di aiuto sono divisi in centri per adulti, centri per adolescenti e centri per<br />

bambini. Un tale spezzettamento e divisione <strong>de</strong>lle pratiche rischia di nuovo di mostrare <strong>de</strong>lle<br />

incrinature quando si tratterà di occuparsi di alcune situazioni, come quelle <strong>de</strong>lle famiglie in<br />

disagio multiplo. Se ad esempio un ragazzino di quattordici anni è ricoverato per aver ingerito<br />

<strong>de</strong>lle pasticche e la mamma è ricoverata per una crisi <strong>de</strong>pressiva, il padre (e marito) tratterà<br />

29


con due équipes separate. Bisogna quindi consi<strong>de</strong>rare che questo disagio multiplo ha una<br />

dinamica estensiva che crea <strong>de</strong>lle risorse.<br />

Quando una famiglia attiva numerose istituzioni, sbagliando interlocutori inconsapevolmente,<br />

è importante esten<strong>de</strong>re la fiducia, ovvero bisogna riconoscere le figure chiamate dalla famiglia,<br />

senza per questo incoraggiare l’approccio sistemico o la terapia familiare. Non si vuole<br />

squalificare la psicoterapia, anch’io la pratico. Ma penso all’assistente sociale, all’educatrice,<br />

che creano un trasferimento di fiducia che è qualcosa di molto importante.<br />

Tacchino<br />

Ho due brevi doman<strong>de</strong>, che si riferiscono allo stesso tema, quello <strong>de</strong>l legame. Come si produce<br />

il trasferimento <strong>de</strong>lla fiducia allo scopo di costituire un’unità di trattamento?<br />

Carina<br />

La fiducia è la parola chiave che fa il sostegno. La persona va dove c’è fiducia, anche prima di<br />

avere coscienza <strong>de</strong>lla situazione. Sente dove si può fare qualcosa. La continuità tramite la<br />

fiducia crea un luogo abitabile perché l’utente (la persona in questione) sa che i professionisti<br />

sanno. La fiducia è la sicurezza <strong>de</strong>lla persona.<br />

E’ evi<strong>de</strong>ntemente perché l’utente trova <strong>de</strong>lle persone nelle quali ha fiducia che si può avere<br />

l’impressione che sbagli sportello, che rifiuti l’offerta, che rompa il legame. La competenza non<br />

è il primo criterio quando si ha bisogno di aiuto. Si preferisce spesso ricorrere innanzitutto alle<br />

persone di cui ci si fida. Nella situazione presentata qui sopra, la mamma, per parlare <strong>de</strong>lla sua<br />

<strong>de</strong>pressione, si rivolge all’educatrice <strong>de</strong>lla materna, con la quale ha avuto occasione di avere<br />

già qualche contatto, invece di ricorrere direttamente ad uno psicologo o psichiatra, forse più<br />

competente, ma che non conosce. Allora, piuttosto che consi<strong>de</strong>rare questo trasferimento di<br />

fiducia come inutile, come una perdita, bisognerebbe interessarsene e utilizzarlo allo scopo di<br />

costruire una rete utile all’utente.<br />

Lemaire<br />

Bisogna distinguere bene una “rete di fiducia” da una rete nella quale la fiducia venga<br />

capitalizzata. Non si tratta di creare una rete di assoluta trasparenza, nella quale tutti<br />

sarebbero al corrente di tutto. La discrezione è necessaria, e un lavoro di rete come questo<br />

pone ovviamente <strong>de</strong>lle questioni fondamentali, in particolare sul trasferimento<br />

<strong>de</strong>ll’informazione, e in particolare sul segreto professionale. Qual è l’informazione<br />

condivisibile? Quali informazioni <strong>de</strong>vono aiutare la creazione di spazi d’intimità? Per esempio,<br />

nella figura particolare <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di rete che costituisce la Clinica di<br />

Concertazione, il lavoro attorno ad una situazione, in presenza di numerosi professionisti,<br />

siano essi direttamente coinvolti o no, metterà l’accento su ciò di cui la famiglia va fiera<br />

piuttosto che su ciò di cui ha vergogna. Tutt’altra dinamica, positiva, sarà quindi creata, e<br />

permetterà di esaminare la situazione sotto un’altra prospettiva, applicandosi specialmente alle<br />

risorse residuali, agli elementi positivi, solidi <strong>de</strong>lla rete, piuttosto che alle mancanze su cui la<br />

psicoterapia si applica troppo spesso. La fiducia è il mattone <strong>de</strong>l lavoro di rete.<br />

La Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione è al servizio <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla staffetta e non il contrario. Noi<br />

comunichiamo che siamo disponibili a sperimentare nuovi mo<strong>de</strong>lli concertativi. Ma queste<br />

proposte di lavoro di rete incontrano <strong>de</strong>lle resistenze, che si possono capire. Se rappresentiamo<br />

schematicamente la situazione, possiamo consi<strong>de</strong>rare due estremi nel lavoro terapeutico: da un<br />

lato il colloquio individuale e dall’altro lato la “piazza gran<strong>de</strong>” (vedi schema a fine capitolo).<br />

Chi è abituato a lavorare nel privato pensa che se modifica la sua pratica, se apre il suo studio<br />

ermeticamente chiuso, allora si finirà necessariamente sulla piazza pubblica. E’ vero anche che<br />

quando si verifica questo salto brusco da un’estremità all’altra, questo possa rivelarsi<br />

distruttivo. Può capitare che si espongano sul giornale alcune informazioni molto intime, che<br />

non migliorano ovviamente la situazione esposta.<br />

30


Tuttavia, questo salto radicale da un estremo all’altro non è necessario. Crediamo infatti che<br />

c’è <strong>de</strong>llo spazio fra questi due poli per le altre figure <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di rete, che oscillano<br />

tra la chiusura radicale <strong>de</strong>llo studio <strong>de</strong>llo psichiatra e l’apertura pericolosa, perché non pensata,<br />

<strong>de</strong>lla piazza pubblica. Al contrario, l’apertura che reclamiamo in maniera incondizionata per<br />

ciò che riguarda la Clinica di Concertazione non significa, l’abbiamo sottolineato, una<br />

trasparenza assoluta <strong>de</strong>lla situazione esposta. Abbiamo d’altron<strong>de</strong> confrontato il verbale di una<br />

Clinica con l’articolo di un giornale che trattavano lo stesso caso. Il verbale si è rivelato più<br />

rispettoso <strong>de</strong>ll’articolo. Aggiungiamo inoltre che queste figure intermediarie non sono create<br />

artificialmente da noi professionisti. Sono richieste dagli utenti.<br />

Nel quadro <strong>de</strong>i disagi multipli, le buone esperienze possono essere formative e possono quindi<br />

essere trasferite ad un altro pezzo <strong>de</strong>lla rete, dove si ve<strong>de</strong> che l’organizzazione <strong>de</strong>l lavoro di<br />

cura, di aiuto, di aiuto e di controllo diventa inseparabile dal lavoro di cura, di aiuto e di<br />

controllo. Ed è questa stessa associazione che ren<strong>de</strong>rà il lavoro terapeutico. Ad esempio, un<br />

professionista direttamente coinvolto, come l’educatrice <strong>de</strong>lla materna, ha guadagnato la<br />

fiducia <strong>de</strong>lla mamma a partire dal buon rapporto che ha con la figlia. Questo è uno spazio<br />

abitabile, che non può essere costruito se non attraverso la pratica. Il trasferimento di fiducia è<br />

essenziale nel lavoro di rete e non lo si impara in maniera astratta.<br />

Damaschi<br />

I legami disegnati sul sociogenogramma non sono ripartiti in maniera omogenea. Si ve<strong>de</strong><br />

chiaramente una certa distanza tra i professionisti.<br />

Lemaire<br />

I mezzi di comunicazione attivati dal ragazzo sono potenti, è vero, ma la fiducia si instaura più<br />

faticosamente. C’è molta più fiducia nell’interesse condiviso per la figlia. E’ un rapporto<br />

inversamente proporzionale. Bisogna riconoscere la forza convocatrice <strong>de</strong>lla famiglia che<br />

riesce ad attivare <strong>de</strong>lle pratiche legate ai campi di sovrapposizione. Di nuovo, sempre in questa<br />

situazione, bisogna rovesciare la gerarchia tradizionale <strong>de</strong>lla rete. Chi ha studiato molto<br />

potrebbe, ad esempio, conoscere poco <strong>de</strong>i campi dove le competenze si applicano, il che<br />

significa che non siamo formati a lavorare nelle figure intermediarie, dove gli utenti ci<br />

aspettano. E’ la famiglia che ci propone una nuova gerarchia.<br />

Tacchino<br />

Cosa ne è <strong>de</strong>ll’equilibrio <strong>de</strong>llo scambio? Si tratta di mettere la lente di ingrandimento sui<br />

campi di sovrapposizione seguendo il trasferimento di fiducia; ma non si tratta solo di una<br />

questione i<strong>de</strong>ologica? In pratica, come utilizzare questi campi di sovrapposizione? Come fare<br />

per superare i segmenti clinici tra le diverse istituzioni convocate dalla famiglia?<br />

Lemaire<br />

Stai parlando <strong>de</strong>i segmenti clinici. Tra la scuola materna e l’ospedale questo segmento è<br />

visibile, basta che la rete informale si manifesti. Dobbiamo capire, quando il ragazzo ha <strong>de</strong>i<br />

problemi, quale trasferimento di fiducia recuperare e come farlo, sotto l’aspetto educativo in<br />

questo caso. Ma come funziona l’alchimia scuola materna - ospedale? Non possiamo copiare<br />

da una situazione già affrontata, tutto è sempre da rifare, questo campo <strong>de</strong>ve essere praticato<br />

come se fosse la prima volta, perché le situazioni sono diverse. E il trasferimento è anch’esso<br />

sempre diverso, dobbiamo quindi sempre rapportarci alla pratica. Detto questo, il punto di<br />

vista teorico, che noi sviluppiamo al momento, non <strong>de</strong>ve essere consi<strong>de</strong>rato per questo come<br />

superfluo. La riflessione sui concetti ha ugualmente la sua importanza, e sarà forse bene<br />

recuperare la nostra esperienza di Alessandria, perché tutto ciò che abbiamo imparato non è<br />

ancora stato sistematizzato.<br />

31


Repetto<br />

Esiste una riconoscenza e una conoscenza reciproca a livello formale? Parlava di una rete<br />

informale e sociale, ma esiste un momento formalizzato e forse periodico che sia <strong>de</strong>dicato a<br />

questa ri-conoscenza?<br />

Lemaire<br />

Noi proponiamo effettivamente di avere uno spazio tutti i mesi che permetterebbe di occuparsi<br />

di questa ri-conoscenza. Ognuno può valutarvi il proprio lavoro, rispetto agli altri e alle<br />

concertazioni già viste. Quindi la riconoscenza reciproca <strong>de</strong>ve far parte di uno spazio abitato,<br />

vissuto, anche se è immerso in una realtà di rivalità che sappiamo esistere. Questa mattina<br />

abbiamo visto che in alcuni ambiti scolastici, i professionisti usano il metodo <strong>de</strong>llo<br />

scaricabarile, in una specie di dinamica negativa. Ma il CTP, se ci si pensa, trasforma in<br />

positivo questa realtà. Bisogna trasformare questo “scaricabarile” in una Clinica <strong>de</strong>lla staffetta,<br />

che accetterà questo compito in un modo positivo e pensato.<br />

Possiamo sommariamente far ve<strong>de</strong>re in cosa consista il trasferimento di fiducia in diverse<br />

figure terapeutiche <strong>de</strong>lla rete. Così, per quanto riguarda la Concertazione Clinica: è una messa<br />

in compresenza di diverse Cliniche <strong>de</strong>lla staffetta (ad es. la telefonata tra l’assistente sociale e il<br />

psicoterapeuta). In una Concertazione Clinica non prendiamo unicamente un segmento, ma<br />

tutta la storia <strong>de</strong>lla famiglia con la rete. Possiamo quindi, a partire da questa figura, trovare <strong>de</strong>i<br />

trasferimenti di fiducia interessanti. Rimane pur vero che questo trasferimento di fiducia è una<br />

pratica poco utilizzata. E lo spazio di riconoscimento, indispensabile a qualsiasi trasferimento,<br />

è difficile da creare, a causa <strong>de</strong>lla paura di per<strong>de</strong>rvi le proprie competenze specifiche.<br />

Proiezione <strong>de</strong>l lucido…<br />

Come può uno spazio in difficoltà imparare qualcosa da un’altra esperienza? Come scoprire i<br />

segmenti – risorse? La Clinica <strong>de</strong>lla concertazione consiste essa stessa in una sovrapposizione<br />

di diverse Concertazioni Cliniche. E’ uno spazio di supervisione permanente dove la nostra<br />

pratica è valutata dagli altri. Una parte <strong>de</strong>l nostro mestiere è giudicata dai nostri colleghi. E’<br />

ciò che la ren<strong>de</strong> temibile. Ma il riconoscimento non si produce sulla base <strong>de</strong>gli errori <strong>de</strong>gli<br />

altri. Al contrario, è creato dai punti positivi <strong>de</strong>ll’impegno nel lavoro. Non si distruggono le<br />

competenze, si condividono. Non si capitalizza la fiducia, si capitalizzano i mezzi per<br />

ottenerla. E questo costituisce forse una <strong>de</strong>lle vie che permettono il passaggio dal controllo<br />

all’aiuto, grazie all’utente.<br />

Tacchino<br />

Consi<strong>de</strong>ro il tema di oggi come importante e non esaurito. Sono cose su cui bisogna<br />

continuare a riflettere. Inoltre, mi sembrano centrali per i professionisti coinvolti nel settore<br />

scolastico. Abbiamo affrontato questi concetti anche come genitori e mi sembra che le<br />

categorie individuali e le consi<strong>de</strong>razioni generali non aiutino molto. Bisognerebbe sempre<br />

pensare queste questioni con la prospettiva di affrontare <strong>de</strong>lle situazioni concrete.<br />

Verbale redatto da Giorgio Abonante e Betty Mussio e tradotto da Ivana Pretta<br />

32


Verbale incontro<br />

Lunedì 16 febbraio 2004 – Palazzo Guasco, Alessandria<br />

IL SEGRETO CHE FA PARLARE<br />

Vinciane Despret, filosofa, psicologa - Università di Liegi e Bruxelles<br />

Apertura – Presentazione <strong>de</strong>i partecipanti<br />

Vinciane Despret<br />

Mi interesso di psicologia animale e di etologia non tanto perché io sia un'amante <strong>de</strong>gli<br />

animali, quanto per l'ammirazione nei confronti <strong>de</strong>lle persone che si occupano di animali.<br />

Sono persone che hanno dovuto cambiare le proprie pratiche, che si chie<strong>de</strong>vano cosa avrebbe<br />

potuto interessare all'uomo e ora pensano a cosa sono interessati gli animali; un ribaltamento<br />

funzionale al tentativo di avvicinare gli animali, condizione minima per l'attività studio.<br />

Quindi i ricercatori si scoprono, fanno ve<strong>de</strong>re sempre cosa fanno, si mostrano per eliminare la<br />

diffi<strong>de</strong>nza. Con queste premesse diventa interessante chie<strong>de</strong>rsi come gli animali vedono noi. I<br />

ricercatori che hanno prodotto lavori significativi hanno usato la cortesia per far diventare<br />

l'apprendimento interessante. Studi condotti sui babbuini sono partiti dal presupposto che per<br />

studiarli occorre avvicinarli e per avvicinarli bisogna sapere se lo vogliono. Il babbuino ci <strong>de</strong>ve<br />

ve<strong>de</strong>re e <strong>de</strong>ve sempre sapere o poter preve<strong>de</strong>re ciò che stiamo per fare. Quando ci<br />

comportiamo in modo naturale e il babbuino lo ve<strong>de</strong> allora ci lascia avvicinare. Compren<strong>de</strong>re<br />

come farsi ospitare da un gruppo di babbuini passa da una domanda fondamentale; 'Cosa è<br />

importante per loro?'<br />

Più in generale la domanda è 'ciò che sto facendo è un mio problema o lo è per l'animale?', la<br />

risposta precisa non c'è anche perché l'animale non rispon<strong>de</strong>. Posso però chie<strong>de</strong>rmi come<br />

permetto loro di pren<strong>de</strong>re posizione nei miei confronti.<br />

La questione <strong>de</strong>l segreto in terapia si sviluppa attraverso queste consi<strong>de</strong>razioni. E' un<br />

problema per chi si rivolge al terapeuta o per il terapeuta stesso? Il segreto costringe a ripetere<br />

sempre le stesse cose oppure a trasgredire. Ci si <strong>de</strong>ve chie<strong>de</strong>re come aprire lo spazio, come<br />

ren<strong>de</strong>re le cose disponibili perché le persone possano pren<strong>de</strong>re posizione, la questione <strong>de</strong>l<br />

segreto è centrale per i professionisti. In altre culture il segreto è di proprietà <strong>de</strong>l terapeuta, non<br />

<strong>de</strong>l paziente. Nella nostra tradizione abbiamo due tipi di segreto con stessa funzione ma<br />

ragioni storiche diverse.<br />

Esempio: a Parigi alla fine <strong>de</strong>l XIX secolo Achille si presenta presso l'ospedale psichiatrico più<br />

famoso ma viene dirottato nell'istituto di un importante psichiatra. Achille presenta sintomi di<br />

presenze <strong>de</strong>moniache manifestate con urla e bestemmie, è convinto di essere posseduto. Il<br />

primario indaga nel suo passato, il paziente spiega che è un uomo d'affari di una piccola città<br />

<strong>de</strong>lla Provenza e che in un viaggio di lavoro ha tradito la moglie, il senso di colpa non gli dà<br />

tregua, da quel momento il diavolo secondo lui lo possie<strong>de</strong>. Lo psichiatra lentamente lo fa<br />

parlare, gli fa rivelare il segreto; Achille, liberatosi dal peso <strong>de</strong>l segreto, guarisce. Achille<br />

rappresenta due mondi che si incontrano, quello esterno in cui domina il diavolo e quello in<br />

cui è l'inconscio che agisce. C'è un mondo religioso all'esterno e uno laico all'interno dove il<br />

diavolo non c'è. Nel primo mondo la guarigione avverrà attraverso strumenti esterni, con le<br />

armi <strong>de</strong>ll'esorcista. Nel secondo caso lo specialista guarirà l'interno, agendo sulla rivelazione<br />

<strong>de</strong>l segreto. Abbiamo bisogno di un esorcista quando siamo posseduti, di uno psichiatra<br />

quando abbiamo un segreto. Abbiamo bisogno di essere posseduti quando siamo in una<br />

regione con tanti esorcisti? O di tanti segreti che facciano ammalare le persone se siamo in una<br />

regione con tanti psichiatri? Sono gli psichiatri americani che producono disagi multipli? In<br />

altre parole, sono i farmaci che producono patologie? C'è qualcosa nel segreto che non è<br />

33


innocente. Sono gli psichiatri che hanno bisogno <strong>de</strong>l segreto che crei persone che hanno<br />

bisogno di psichiatri? Nella terapia individuale il terapeuta induce il paziente a rivelare cose<br />

intime (e non banali), che sono poi il segreto blindato, qualcosa di intimo che non sarà rivelato<br />

e che obbliga anche il paziente. Il segreto è, paradossalmente, un qualcosa che fa parlare. La<br />

pratica <strong>de</strong>l segreto nella terapia, si dice, è liberale, però lo stesso segreto compromette la<br />

trasmissione mettendo <strong>de</strong>i limiti alla dimensione pubblica <strong>de</strong>lla terapia. Il segreto ren<strong>de</strong> i<br />

terapeuti pericolosi: chi li giudica? Il segreto come dimensione politica, a livello collettivo, è<br />

ciò che alimenta il potere e come tale non si nascon<strong>de</strong>, principalmente separa. La secrezione è<br />

ciò di cui il corpo si priva, da cui si separa, l'etimologia è la stessa. Per me il segreto è ciò che<br />

organizza la separazione. Chi (e quali informazioni, e a chi) ha il diritto di ripetere? Se<br />

chiediamo a uno psichiatra 'mi parli <strong>de</strong>l suo paziente' la risposta è 'no'. E nemmeno se lo<br />

chie<strong>de</strong> l'équipe che si occupa <strong>de</strong>l paziente? Quali operatori possono chie<strong>de</strong>re notizie? Quindi<br />

alla domanda 'chi ha il diritto di preten<strong>de</strong>re le informazioni' non si rispon<strong>de</strong> facilmente, lo<br />

psichiatra ha il diritto di non dire, ma allora il segreto non ha nessun potere di organizzazione?<br />

Tutti hanno gli stessi diritti e doveri (e quindi questo discorso no ha senso)? Lo vediamo alla<br />

lavagna.<br />

Mussio<br />

Ho incontrato un genitore per un'iniziativa da sviluppare con i bambini e poco dopo<br />

l'assistente sociale mi ha parlato <strong>de</strong>lla stessa famiglia rivelandomi un segreto che non avrei<br />

dovuto lasciarmi sfuggire. La mia situazione era strana: i genitori mi conoscono, senza sapere<br />

che sono a conoscenza <strong>de</strong>l fatto, ma non ignorano che conosco l'assistente sociale che loro<br />

sanno essere al corrente.<br />

Oliviero<br />

Segreto di Franceschiello.<br />

Despret<br />

I terapeuti hanno ereditato dai preti la creazione d'intimità (il segreto diventa tale perché si<br />

può dire solo lì); l'intimità fisiologica incrocia quella religiosa. Il segreto, come abbiamo visto,<br />

ha organizzato relazioni complesse, non è la caricatura <strong>de</strong>lla distribuzione <strong>de</strong>l potere. R.<br />

Barrett dice che il segreto dà potere al terapeuta perché lo protegge dall'esterno. E dal punto di<br />

vista <strong>de</strong>l paziente? Il segreto <strong>de</strong>lla confessione per esempio è vero che spetta al prete ma lo<br />

stesso peccatore dovrebbe evitare di confessare segreti che riguardano altri. Gli utenti di Betty<br />

partendo da un segreto hanno organizzato una rete in modo tale da poter dire che sono stati<br />

tutt'altro che passivi. Se l'operatore incoraggia il segreto in un certo modo allora spinge a<br />

raccontare il peggio, perché ricordiamoci che non è segreto ciò che è bello. Il dibattito su<br />

questo tema non è semplice ma quando Barrett afferma certe cose vuole criticare l'i<strong>de</strong>a <strong>de</strong>l<br />

segreto che organizza l'autonomia <strong>de</strong>lle professioni che a un certo punto non rendono conto<br />

più a nessuno. Durante gli anni '70 (e ancora oggi) alcune pratiche hanno permesso di ve<strong>de</strong>re<br />

la persona come coordinatrice <strong>de</strong>lla rete, <strong>de</strong>ll'équipe, attivata dal soggetto stesso. Diverso è se<br />

guardiamo all'individuo e ai legami sociali, un insieme tutto scomposto e rivisto, in un sistema<br />

organizzato invece dal segreto. In questa visione il professionista protegge se stesso<br />

dall'esterno, dallo Stato, da tutto ciò che sta fuori.<br />

Lemaire<br />

Sulla situazione di Betty mi sembra che i pazienti non abbiano accettato il mo<strong>de</strong>llo e abbiano<br />

provato a inventarne un altro.<br />

Despret<br />

I pazienti non si fanno irretire, sfruttano il potere organizzativo <strong>de</strong>l segreto.<br />

34


Oliviero<br />

Ad ogni livello c'è un segreto; psichiatra - paziente poi si passa allo psicologo che si occupa <strong>de</strong>l<br />

comportamento e c'è un altro segreto, poi all'assistente sociale e ce n'è un altro ancora. Chi ha<br />

il potere è quindi il paziente che mette gli altri nelle condizioni di parlarsi per completare il<br />

quadro.<br />

Despret<br />

La storia <strong>de</strong>i babbuini insegna a non fidarsi. Quando dicono 'è un problema nostro o <strong>de</strong>i<br />

babbuini?' sanno che non è quella la domanda ma come viene posta. Allora la domanda vera è<br />

'avrà ripercussioni sulla loro vita?, ma di fronte ad un interrogativo <strong>de</strong>l genere non si fa più<br />

niente.<br />

Lemaire<br />

La metafora ricercatori - babbuini funziona soprattutto a rapporti invertiti. Gli utenti sono<br />

ricercatori che utilizzano il segreto, che noi crediamo nostro, per scoprire.<br />

Gemelli<br />

Seguiamo un ergastolano, il giudice conce<strong>de</strong> la libertà condizionale se il soggetto si impegna<br />

nel volontariato. L'ufficio fornisce indicazioni alla persona la quale si presenta al colloquio dal<br />

sindaco che gli chie<strong>de</strong> che reato avesse commesso, lui spiega tutto senza omettere i particolari.<br />

Io chiaramente no avrei rivelato niente. Insomma il servizio sociale ha dovuto supportare l'ente<br />

ricevente rispetto al reato sconcertante per tutti.<br />

Lemaire<br />

Ma ha sbagliato o no? Se sì, chiu<strong>de</strong> la possibilità di andare avanti; preferisco pensare che abbia<br />

attivato qualcosa, che abbia fatto come i babbuini.<br />

Despret<br />

Certo è possibile. A questo punto non posso più chiu<strong>de</strong>rlo come prima. Preferisco dire che il<br />

segreto è uno strumento di potere e non possiamo sbarazzarcene. Voglio pensare a quante<br />

frecce si formano con la trasgressione <strong>de</strong>l segreto. Il segreto non è ciò che è, è ciò che produce.<br />

Tacchino<br />

Il segreto nella negoziazione, come regolatore di rapporti.<br />

Despret<br />

L'aspetto organizzativo lo imparo oggi qui. Oggi ho visto che il segreto può essere un mezzo<br />

per organizzare il lavoro <strong>de</strong>gli operatori. Utilizzando la metafore <strong>de</strong>l treno possiamo dire che<br />

l'utente attiva lo scambio. Rispetto all'assistente sociale tramite il segreto si verifica una<br />

sospensione ma anche la sua attivazione, il nuovo giro <strong>de</strong>lla rete per ripartire.<br />

Il segreto critico ci parla <strong>de</strong>lla vergogna, quello di Barrett invece <strong>de</strong>l potere sulla situazione.<br />

Una terza lettura l'abbiamo vista oggi, il segreto come fattore di organizzazione <strong>de</strong>lla rete.<br />

Lemaire<br />

Lo scambio, per tradurlo nel linguaggio <strong>de</strong>lla Clinica, sarebbe il campo di sovrapposizione.<br />

Tra l'esorcismo e la psicoanalisi c'è lo spazio per il dibattito, speriamo non sia l'esorcista a<br />

discutere.<br />

35


Verbale incontro<br />

Lunedì 22 marzo 2004, ore 14.30 – 17.00<br />

L’APPROCCIO CONTESTUALE<br />

TRA I DIVERSI MODELLI DI TERAPIA RELAZIONALE<br />

Pierre Michard, filosofo, psicologo, formatore, psicanalista infantile<br />

Apertura – presentazione <strong>de</strong>i partecipanti<br />

Michard<br />

Mi capita spesso di parlare di Approccio Contestuale e di non sapere dove andare a finire.<br />

Conto quindi sul vostro aiuto e sono consapevole <strong>de</strong>lla responsabilità che assumo<br />

nell'affrontare questo tema. Prima di tutto, e per situare l’Approccio contestuale rispetto ad<br />

altri approcci terapeutici, bisogna sottolineare che esso riconosce da una parte l’Approccio<br />

sistemico e dall’altra la psicoanalisi, anche se possie<strong>de</strong> una propria specificità.<br />

Indichiamo direttamente ciò che ci sembra essere il tratto caratteristico <strong>de</strong>ll’approccio di cui<br />

parleremo. Vogliamo parlare <strong>de</strong>ll’etica relazionale. Quest’ultima, inventata da Boszormenyi-<br />

Nagy, il fondatore <strong>de</strong>ll’Approccio contestuale, consiste in una nuova dimensione <strong>de</strong>lla<br />

relazione, che sovrasta tutte le altre.<br />

Egli crea quindi un’etica relazionale che riconosce un equilibrio fra le parti, un conto<br />

relazionale tra ciò che è dato e ciò che è reso. Nagy 4 ha sempre lavorato per la giustizia nella<br />

relazione, una ten<strong>de</strong>nza all'equilibrio che è spontanea e sempre presente. Il fatto di dare -<br />

ricevere - ren<strong>de</strong>re attiene al discorso <strong>de</strong>lla reciprocità, discorso non nuovo. Non è quindi<br />

questo che costituisce l’originalità <strong>de</strong>ll’Approccio contestuale. I legami familiari sono plasmati<br />

da questa contabilità. Inoltre Nagy introduce l’i<strong>de</strong>a che esiste un bilancio in ogni relazione. In<br />

questa prospettiva, possiamo <strong>de</strong>finire la terapia come una voce <strong>de</strong>l bilancio, mentre nella<br />

banalità <strong>de</strong>lla vita non c'è mai un dialogo tra queste voci. Ma qual è il ruolo di queste diverse<br />

voci? Uno <strong>de</strong>gli apporti <strong>de</strong>ll’Approccio contestuale consiste appunto, attraverso la parzialità<br />

multidirezionale 5 , nell’ascoltare tutte queste voci, cioè anche quella <strong>de</strong>l bambino. Anch’egli è<br />

infatti compreso nella dinamica <strong>de</strong>l dare - ricevere, perché anche lui è capace di donare e di<br />

sostenere. Questo tratto segna una rottura essenziale di un’altra concezione <strong>de</strong>l bambino,<br />

sostenuta dalla psicoanalisi. Infatti, ingran<strong>de</strong>ndo i tratti, possiamo dire che il bambino<br />

freudiano è potente, concentrato sui suoi <strong>de</strong>si<strong>de</strong>ri, capace di sognare di ucci<strong>de</strong>re il genitore <strong>de</strong>l<br />

proprio sesso e di posse<strong>de</strong>re sessualmente quello <strong>de</strong>ll'altro. Nagy non rifiuta questo punto di<br />

vista, ma non riduce il bambino ai soli <strong>de</strong>si<strong>de</strong>ri. Secondo lui occorre riconoscere i contributi<br />

<strong>de</strong>l bambino al genitore in difficoltà; il bambino ha il diritto di contribuire. Il bambino<br />

freudiano guardava dalla serratura i genitori in intimità (dalla quale era quindi escluso), il<br />

bambino di Nagy si trova di fronte ai genitori in difficoltà essendone il legame più stabile.<br />

Pensiamo ad un quindicenne che vive la separazione <strong>de</strong>lla coppia: ve<strong>de</strong> un film romantico con<br />

la madre quando avrebbe voluto che a ve<strong>de</strong>rlo con lei fosse il padre, cerca un partner per il<br />

genitore, lascia il divano per il nuovo partner, conosce i fratelli acquisiti da altre relazioni.<br />

Questo ragazzo gestisce un'enormità di relazioni, un sistema sempre ai limiti <strong>de</strong>ll'esplosione.<br />

L'Approccio contestuale prova a capire tutto questo, cioè gli sforzi <strong>de</strong>l bambino che prova a<br />

tenere la situazione, che è in grado di pren<strong>de</strong>rsi <strong>de</strong>lle responsabilità. La cosa principale credo<br />

sia di riconoscere l’impegno <strong>de</strong>l bambino.<br />

4 Per comodità <strong>de</strong>ll’esposizione, chiameremo Boszormenyi-Nagy semplicemente Nagy.<br />

5 Avremo occasione di ritornare su questo punto e di svilupparlo più avanti. Ci basti affermare che consiste “nel<br />

pren<strong>de</strong>re successivamente le parti di ogni membro <strong>de</strong>lla famiglia” (M.HEIREMANN, Du côté <strong>de</strong> chez soi, Paris, ESF<br />

éditeurs, 1989, p. 77)<br />

36


Personalmente, <strong>de</strong>ll'Approccio contestuale mi ha colpito favorevolmente proprio questo<br />

riconoscimento, che talvolta manca da parte <strong>de</strong>i professionisti e anche <strong>de</strong>i genitori. E'<br />

importante cosa si fa per aiutare i bambini a riqualificare la loro vita, e cosa si fa invece perché<br />

la loro vita venga riqualificata. Uno <strong>de</strong>i primi lavori <strong>de</strong>lla “Clinica <strong>de</strong>lla concertazione” è<br />

adoperarsi perché il bambino responsabilizzato venga preso in consi<strong>de</strong>razione. Malgrado la<br />

mancanza di esperienza rispetto all'adulto, il bambino ha una legittimazione quasi superiore.<br />

Questa questione <strong>de</strong>l riconoscimento è cruciale. Il bambino che non ve<strong>de</strong> riconosciuto il suo<br />

lavoro a un certo punto si stanca, si stanca nel dare perché viene meno la sua fiducia in sé.<br />

Questa analisi può valere per tutti i membri <strong>de</strong>lla famiglia, per tutti quelli che aiutano e che<br />

hanno meriti rispetto al sostegno offerto. Il merito diventa allora legittimità a ricevere, 'ho<br />

diritto ad essere ringraziato ', e così si può continuare a dare. Certo, la questione <strong>de</strong>lla bilancia<br />

tra il merito e il credito si pone sempre. E’ un concetto fondamentale quello <strong>de</strong>ll’equilibrio,<br />

<strong>de</strong>lla bilancia, che ha preoccupato molto Nagy. Una persona può cre<strong>de</strong>re di meritare molte<br />

cose ma non ve<strong>de</strong>re riconoscimenti. Il riconoscimento <strong>de</strong>ve venire dal bersaglio <strong>de</strong>ll'aiuto e<br />

non può essere soltanto un 'contro-dono'. Il fatto di dare e di non ricevere in cambio qualcosa<br />

di a<strong>de</strong>guato in termini di riconoscimento è un argomento nodale. Avete <strong>de</strong>lle doman<strong>de</strong>?<br />

Caruso<br />

Dott. Michard, lei dice 'è possibile che il bambino, o l'adulto, possa continuare a dare e a<br />

dare, poi però si pone a un certo punto la questione <strong>de</strong>i conti '. Quale evento pone la questione<br />

<strong>de</strong>l conto?<br />

Michard<br />

Spesso i conti di una generazione pesano su quella successiva, si scaricano sui figli cose non<br />

avute dai genitori appropriandosi <strong>de</strong>l diritto di ottenere ciò che non si è avuto in passato.<br />

L’Approccio contestuale non può aiutare in questo senso, perché si rischia semmai di reiterare<br />

gli errori. Questo non significa che il passato <strong>de</strong>i genitori non rivesta alcun ruolo. Esso entra<br />

nella vita <strong>de</strong>i genitori e attraversa la coppia. Ma l’Approccio contestuale tenta di riconoscere<br />

che il bambino spesso si impegna per ren<strong>de</strong>re meno duro il mondo per i genitori. Si tratta di<br />

ve<strong>de</strong>re e riconoscere il bambino per riparare alle aspettative tradite <strong>de</strong>i genitori. L'i<strong>de</strong>a è che<br />

nel dialogo e in terapia qualche questione <strong>de</strong>ve rimanere aperta. Pensiamo al marito che torna<br />

a casa e non fa niente, mentre il bambino, con gran<strong>de</strong> tristezza, non può aiutare la mamma.<br />

Come può il genitore aiutare il bambino a pren<strong>de</strong>rsi <strong>de</strong>lle responsabilità?<br />

Olivero<br />

La modalità che ha presentato mette in crisi il paradigma classico <strong>de</strong>gli operatori, i mo<strong>de</strong>lli<br />

ancestrali <strong>de</strong>lla crescita <strong>de</strong>l bambino; si punta tutto sulla relazione, sulla lettura <strong>de</strong>ll'agire e non<br />

<strong>de</strong>llo sviluppo. Questo mo<strong>de</strong>llo come può far cambiare la cultura <strong>de</strong>i servizi?<br />

Michard<br />

Non si ha la possibilità di essere ingenui. Per esempio, se prendiamo il caso di una ragazza<br />

sola in casa, con il padre <strong>de</strong>presso perché la mamma è andata via, il suo sforzo di badare a lui:<br />

se fosse un ragazzo la storia sarebbe diversa. Quindi sarebbe stupido non consi<strong>de</strong>rare gli<br />

sforzi, i sogni, il discorso psicanalitico. Dall'altra parte non ci si può fermare alla psicanalisi e<br />

semplificare le situazioni. Ogni relazione complessa che la figlia ha con il padre non può<br />

portare semplicemente ad un Edipo non risolto. E il metodo psicanalitico non è quindi il solo<br />

modo di trovare <strong>de</strong>lle soluzioni. Ricordo il lavoro fatto in un caso con una coppia separata, con<br />

due figlie, in cui il padre si ammala gravemente. Le figlie volevano occuparsi di lui. Abbiamo<br />

lavorato con le figlie, ma anche con la madre e sul modo di permettere alla mamma di aiutare<br />

le figlie ad aiutare il padre, sulla difficoltà nell'affrontare la morte e la solitudine <strong>de</strong>lle ragazze.<br />

37


Domanda<br />

Il rischio non è di rimanere ancorati ai genitori come se fossimo una loro estensione? Non<br />

compren<strong>de</strong>rsi come persone, creare un rischio di non vivere le età normalmente?<br />

Michard<br />

Questa questione si ricollega a quella <strong>de</strong>ll’individualizzazione. Come individualizzarsi<br />

all'interno <strong>de</strong>lla relazione? L’individualizzazione significa la negazione <strong>de</strong>lla relazione?<br />

L’autonomia è possibile senza eteronomia?<br />

[Se si osa affermare che la filosofia ha progredito lungo il corso <strong>de</strong>lla sua storia, uno <strong>de</strong>i suoi<br />

progressi sarebbe giustamente ciò che ci ha insegnato su questo punto, cioè che una persona<br />

non può individualizzarsi da sola. E’ senza dubbio vero che ogni persona non ha accesso al<br />

proprio vissuto, e non può quindi affermare con rigore e radicalità l’esistenza <strong>de</strong>ll’altro. Per<br />

dirlo brevemente, è impossibile raggiungere gli altri ponendo al principio soltanto il sé. Il solo<br />

modo di venirne fuori consiste allora nel mettere in primo piano la relazione. Una volta posta,<br />

sarà allora possibile cercare i termini <strong>de</strong>lla relazione, ovvero io e l’altro. In altri termini,<br />

nessuno può, da solo, diventare una persona. La relazione con gli altri è la condizione di<br />

possibilità di sé. L’io presuppone il tu. Così, l’individualizzazione presuppone la relazione, e<br />

l’autonomia non può effettuarsi senza eteronomia.]<br />

Pensiamo che più c'è credito tra le persone, più le persone sono vive all'interno <strong>de</strong>lla relazione.<br />

Pren<strong>de</strong>re l'individualizzazione in un senso comune, come negazione <strong>de</strong>lla relazione, significa<br />

chie<strong>de</strong>re di essere sleali rispetto alle proprie origini. Rischiamo quindi di far entrare in conflitto<br />

i professionisti ed il bambino che vuole sostenere i genitori. 'Occupati di te stesso e non di tuo<br />

padre in difficoltà, pensa alla tua vita!!!' è una frase che si sente. Vuol dire dimenticarsi che noi<br />

ci individualizziamo nelle relazioni, non al di fuori di esse.<br />

Caccavo<br />

Cos'è l'i<strong>de</strong>ntità per l'Approccio contestuale?<br />

Michard<br />

L’i<strong>de</strong>ntità, è poter mettere insieme la propria vita in una storia e poter testimoniare il proprio<br />

conto nella vita. Testimoniare alle persone che sono vicine perché possano pren<strong>de</strong>re una<br />

posizione, perché possano aiutare a riparare ciò che è stato ingiusto per me, permettendo loro<br />

di dare. E' appropriarsi <strong>de</strong>lla propria esistenza. Nell'Approccio contestuale c'è l'i<strong>de</strong>a che non<br />

si fa la propria storia da soli. Non posso sapere chi sono fino a quando non ho raccontato la<br />

mia storia a mio figlio ed ho avuto da lui una risposta. L'i<strong>de</strong>ntità è un'i<strong>de</strong>ntità etica, significa<br />

testimoniare alle persone che mi sono vicine, perché hanno bisogno di sapere qual è il mio<br />

conto verso i miei antenati e i miei genitori, perché possano posizionarsi senza alienarsi, senza<br />

che io sfrutti la loro lealtà.<br />

Domanda<br />

Cosa guadagna il bambino che si occupa <strong>de</strong>i genitori in difficoltà?<br />

Michard<br />

E' l'eterna questione <strong>de</strong>l cosa si guadagna nel dare. Provo a ripren<strong>de</strong>re le parole di Nagy. Cosa<br />

è che fa che si doni? Qual è il vantaggio nel dare? Prendiamo un esempio economico. Ci sono<br />

A e B, B ha bisogno di soldi e A gli dà 100 Euro. Si potrebbe dire che B ha un <strong>de</strong>bito di 100<br />

Euro con A e che quando li avrà li ren<strong>de</strong>rà. Resta qualcosa di questo scambio? Resta qualcosa<br />

che possiamo chiamare obbligazione supplementare per B, cioè quella di aiutare A nel<br />

momento <strong>de</strong>l bisogno. Per A rimane qualcosa da questo scambio, qualcosa che Nagy chiama<br />

“merito”, una sorta di diritto ad essere aiutato perché si è costruita una storia di fiducia fra le<br />

38


due parti. Il merito, secondo Nagy, si accumula per diventare “legittimità”, l'altezza etica<br />

<strong>de</strong>ll'essere umano, la gran<strong>de</strong>zza <strong>de</strong>ll'essere umano. Ma il merito e la legittimità non scattano<br />

se non c'è riconoscimento. Un aspetto importante <strong>de</strong>ll'Approccio contestuale consiste proprio<br />

nel validare le storie, l'insieme <strong>de</strong>i meriti che accumuliamo in termini di legittimità. Il merito è<br />

una richiesta di riconoscimento, è un diritto di ricevere. A quest’ultimo diritto si pone allora<br />

una questione inevitabile. In effetti, se non ottengo ciò che sono in diritto di ricevere, il mio<br />

merito non riconosciuto può diventare diritto di distruggere, legittimità distruttiva. Siamo<br />

allora nel campo <strong>de</strong>llo scambio squilibrato, <strong>de</strong>llo sfruttamento, con i rischi di conseguenze su<br />

altri protagonisti. Questo approccio permette allora un’altra comprensione di un fenomeno<br />

come l’aggressività. Essa non appare più semplicemente come una maleducazione, ma<br />

soprattutto rappresenta qualcosa di legittimo che non è stato riconosciuto.<br />

Detto questo, la situazione più grave per il bambino resta il fatto di essere nell’impossibilità di<br />

donare, di ricevere. Ciò che Nagy chiama la “lealtà scissa” è una situazione nella quale il<br />

bambino non può donare e ricevere dalla mamma senza ferire o far soffrire troppo il padre. Se<br />

ogni scambio è impossibile, il guadagno di legittimità diventa impossibile. Non bisogna però<br />

cre<strong>de</strong>re che il solo dono permetta il riconoscimento. Anche il fatto di ricevere è molto<br />

importante, perché in qualche modo ricevendo si guadagnano <strong>de</strong>i meriti, in questo senso si<br />

accetta la vita, il dare-ricevere <strong>de</strong>llo scambio (un proverbio dice “accettare con gioia è già<br />

donare”). Tutto l’Approccio contestuale è una riflessione su queste questioni, sulla fiducia<br />

nella relazione, sulla difficoltà di dare e di ricevere, sulla moneta <strong>de</strong>llo scambio. E’ proprio<br />

perché ci sono <strong>de</strong>gli psicologi, <strong>de</strong>gli insegnanti e <strong>de</strong>i genitori che è importante riflettere sulla<br />

relazione. Ad esempio chi dà di più tra l’insegnante e l’alunno? E tra lo psicoterapeuta e il<br />

paziente? Come si articola la questione <strong>de</strong>l transfert e <strong>de</strong>l contro-transfert?<br />

Domanda<br />

Conosco poco la “Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione”, ma credo che il fatto di mettere insieme i<br />

professionisti e gli utenti possa significare il riconoscimento di ciò che ognuno può dare.<br />

Michard<br />

E’ importante che il terapeuta riconosca i meriti di chi è presente, e che riconosca anche che il<br />

suo lavoro funziona anche grazie all’impegno <strong>de</strong>lle persone presenti.<br />

Lemaire<br />

La “Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione, rispetto ai disagi multipli, è un dispositivo che pren<strong>de</strong> in<br />

consi<strong>de</strong>razione le famiglie nelle quali lo scambio <strong>de</strong>i riconoscimenti <strong>de</strong>i meriti è stato<br />

interrotto. Ristabilendo il riconoscimento tra gli operatori, o tra un professionista e un membro<br />

<strong>de</strong>lla famiglia, ristabiliamo lo scambio nella famiglia. La “Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione”,<br />

durante le due ore circa <strong>de</strong>lla seduta, serve proprio a riaccen<strong>de</strong>re questa possibilità, per i<br />

professionisti e per la famiglia.<br />

Ad Alessandria, la Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione diventa “vecchia” ed è soltanto a<strong>de</strong>sso che<br />

introduciamo questi criteri, questi concetti, perché all’inizio sono poco praticabili. Si tratta di<br />

concetti che portano uno ribaltamento, un cambiamento di sguardo.<br />

Michard<br />

Quando ho un ragazzino in terapia che è stato maltrattato (ad esempio dal padre o dalla<br />

famiglia cui è stato affidato) e che è violento a scuola, e quando ricostruisco la sua storia con la<br />

mamma, mi capita di pensare che se i professionisti <strong>de</strong>lla scuola fossero presenti questo<br />

probabilmente consentirebbe loro di gestire in modo diverso i loro conti con ciò che il<br />

ragazzino fa loro vivere a scuola.<br />

39


Verbale incontro<br />

lunedi 26 aprile 2004, ore 14,15 – 17<br />

LA GIUSTIZIA RELAZIONALE<br />

Magda Heireman, psicologa, terapeuta familiare, formatrice - Università di Lovanio<br />

Apertura – presentazione <strong>de</strong>i partecipanti<br />

Magda Heiremann<br />

Vorrei parlarvi oggi <strong>de</strong>ll’Approccio contestuale e <strong>de</strong>lle quattro dimensioni relazionali tra gli<br />

esseri umani <strong>de</strong>finite da Nagy. Ma prima di cominciare, <strong>de</strong>si<strong>de</strong>ro dirvi perché mi sono<br />

specializzata in questo metodo. Ho lavorato come psicologa in un centro per la terapia di<br />

coppia e dopo in un ospedale, dove mi sono <strong>de</strong>dicata alle famiglie e ai gruppi di famiglie.<br />

Essendo spesso confrontata a situazioni di separazione, mi sono concentrata sulle famiglie e<br />

sui conflitti di lealtà con i bambini. L’approccio sistemico strutturale (sulle abitudini, i costumi<br />

e le regole <strong>de</strong>lla famiglia) mi ha aiutato, ma mancava qualcosa che credo di aver acquisito con<br />

Nagy. A Roma e a Milano, abbiamo avuto spesso occasione di incontrare <strong>de</strong>lle famiglie nelle<br />

quali i bambini maltrattati facevano prova di lealtà interessanti, di lealtà che si manifestano<br />

quando i bambini hanno ricevuto molto, di lealtà sconcertanti, forse anche superiori a quelle<br />

<strong>de</strong>i rapporti normali. Ho imparato molto da Nagy partecipando ad una formazione specifica in<br />

Olanda e a Phila<strong>de</strong>lphia. L’approccio contestuale è seducente perché si riflette sul nostro<br />

vissuto; all’inizio sembrava facile, ma applicandolo ci si ren<strong>de</strong> conto che le cose si complicano.<br />

Si va avanti e si torna indietro, perché la teoria aiuta, certo, ma non può fare tutto. E’ un lavoro<br />

guidato dalla famiglia stessa. Lo consi<strong>de</strong>ro come un approccio non esclusivo, ma<br />

complementare ad altri metodi. Prima di tutto vi espongo i 4 pilastri fondamentali<br />

<strong>de</strong>ll’Approccio contestuale, in seguito analizzerò le dimensioni (4) che ci interessano oggi.<br />

Psicanalisi – fenomenologia esistenziale – pratica clinica – teoria sistemica<br />

Innanzi tutto, sottolineiamo alcuni aspetti di altri approcci, per cogliere meglio la specificità<br />

<strong>de</strong>l nostro approccio. La scuola di Budapest metteva in rilievo le relazioni con gli altri, mentre<br />

Freud accentuava piuttosto l’intrapsichico. Da parte sua, Nagy pensa che è nella relazione con<br />

gli esseri umani che l’uomo si costruisce. Possiamo ve<strong>de</strong>rvi una forte influenza di Buber<br />

(l’essere umano si costruisce negli incontri), anche se Nagy non ha mai incontrato questo<br />

40


filosofo. Diversi tipi di relazione possono essere <strong>de</strong>finiti. Ad esempio, la relazione normale <strong>de</strong>i<br />

bambini rispetto alle istituzioni è funzionale, nella famiglia hanno una relazione ontica.<br />

Esistono molti modi per <strong>de</strong>scrivere le relazioni; per classificarle, possiamo consi<strong>de</strong>rare che le<br />

persone possano essere soggetto o oggetto nella relazione. In una relazione, tutto si gioca nei<br />

ruoli attribuiti alle due persone 6 .<br />

1 2<br />

S O<br />

O S<br />

Per esempio, un tipo di relazione è qualificato come fusionale quando non esiste alcuna<br />

<strong>de</strong>marcazione Soggetto-Oggetto. Questo tipo di relazione è caratterizzata da un “rifiuto di<br />

pren<strong>de</strong>re posizione e da una negazione <strong>de</strong>lle differenze” 7 . Un altro tipo di relazione, “essere<br />

l’oggetto”, si verifica quando una persona B è sempre e unicamente consi<strong>de</strong>rata come un<br />

oggetto da parte di una persona A 8 .<br />

Questi tipi di relazioni non sono fissati una volta per tutte. Una dinamica li anima e se nasce<br />

uno squilibrio, può in seguito sparire. In particolare, una giustizia relazionale apparirà se i due<br />

termini <strong>de</strong>lla relazione possono essere nello stesso tempo soggetto e oggetto. Se prendiamo<br />

l’esempio <strong>de</strong>ll’amore, ciò significa che <strong>de</strong>si<strong>de</strong>riamo essere amati (polo oggetto), volendo però<br />

allo stesso tempo amare (polo soggetto). Un altro esempio, quello <strong>de</strong>l capro espiatorio, non<br />

permette la giustizia relazionale, perché questa persona non può che trovarsi dalla parte<br />

<strong>de</strong>ll’oggetto. Ne risulta un blocco <strong>de</strong>lla relazione.<br />

Oltre a questi tipi di relazioni, Nagy distingue quattro dimensioni 9 nelle relazioni umane:<br />

6<br />

Per un’esposizione precisa <strong>de</strong>i tipi di relazioni possibili, cf M.HEIREMANN, Du côté <strong>de</strong> chez soi, op. cit.. pp. 37-41<br />

7<br />

Ibid, p.39<br />

8<br />

Rimandiamo alle ricche e profon<strong>de</strong> analisi di Sartre sull’essere-oggetto, e la cattiva fe<strong>de</strong> che vi è legata (cf. L’être et le<br />

néant, Paris, Gallimard, 1943).<br />

9<br />

Oggi ne aggiunge una quinta che non ci interessa qui.<br />

41


[Precisiamo un po’ queste quattro dimensioni, insistendo direttamente sul fatto che la quarta<br />

dimensione, che abbiamo già affrontato, costituisce l’originalità <strong>de</strong>ll’approccio contestuale 10 .<br />

La prima dimensione si riferisce ai fatti, cioè rimanda ai dati <strong>de</strong>l <strong>de</strong>stino, alle <strong>de</strong>terminazioni<br />

biologiche, ma anche ad alcuni elementi come l’adozione o il divorzio. La seconda dimensione<br />

dipen<strong>de</strong> dalla psicologia individuale. Tiene conto <strong>de</strong>i bisogni elementari come la riconoscenza,<br />

l’amore, il piacere, ma anche <strong>de</strong>i meccanismi di difesa, d’introiezione, di transfert. La terza<br />

dimensione, quella <strong>de</strong>i sistemi transazionali, contiene i pattern di comportamento osservabile<br />

e di comunicazione interpersonale. La sua <strong>de</strong>scrizione si effettua in termini sistemici. Infine, la<br />

quarta dimensione, che sovrasta le prime tre, è l’etica relazionale. “Si tratta <strong>de</strong>lla giustizia <strong>de</strong>lle<br />

relazioni, <strong>de</strong>lla bilancia <strong>de</strong>i meriti acquisiti e <strong>de</strong>i <strong>de</strong>biti, <strong>de</strong>scritti dalle nozioni di lealtà, di<br />

fiducia e di legittimità” 11 . Questa <strong>de</strong>scrizione, secondo Nagy, è legata alla condizione umana.<br />

In questo senso, la teoria di Nagy sostiene di appoggiarsi su un’ontologia, sull’essenza<br />

<strong>de</strong>ll’uomo. Si può ve<strong>de</strong>re, grazie a queste quattro dimensioni, che l’Approccio contestuale non<br />

squalifica gli altri approcci, ma li ingloba].<br />

La psicologia individuale rimane importante, ma ciò che bisogna dire sulla fenomenologia si<br />

trova sull’etica relazionale. Sul quarto pilastro, l’approccio sistemico, Nagy ha lavorato fin<br />

dall’inizio, anche se i terapeuti che lo stavano sviluppando gli creavano <strong>de</strong>i problemi. Ha<br />

collaborato con Salvini ed altri. Era <strong>de</strong>luso dai <strong>de</strong>boli risultati e dai contatti troppo bruschi con<br />

altri terapeuti e si era convinto che dovesse integrare il suo lavoro con altre teorie. L’Approccio<br />

contestuale non vuole essere soltanto un rimedio, ma anche un lavoro di prevenzione per le<br />

generazioni future. L’etica relazionale è la dimensione nella quale si possono ritrovare le altre<br />

tre dimensioni, e questa dimensione non <strong>de</strong>ve essere consi<strong>de</strong>rata unicamente in un quadro<br />

intra-famigliare. Riguarda anche il rapporto <strong>de</strong>i terapeuti con gli utenti.<br />

10 Per questi chiarimenti ci riferiamo ancora al testo di Magda Heiremann <strong>de</strong>dicato all’Approccio contestuale: Du côté<br />

<strong>de</strong> chez soi, Paris, ESF Editeur, 1989, pp. 44-45<br />

11 Ibid, p. 45<br />

42


Nagy osserva i fatti e le loro conseguenze nelle relazioni fra le persone. Le conseguenze <strong>de</strong>i<br />

cambiamenti sulle famiglie, sull’equilibrio <strong>de</strong>l dare e <strong>de</strong>l ricevere. Pensiamo ad una famiglia<br />

che adotta, e che quindi dà a qualcuno che non è abituato a ricevere; è un esempio, ma<br />

bisogna ricordare che è valido non soltanto per le conseguenze, ma anche per le risorse. Con<br />

una tale prospettiva, appaiono nuove questioni, come quella <strong>de</strong>lla responsabilità, che non è<br />

trattata dai sistemici puri. Sono soprattutto gli avvenimenti che hanno <strong>de</strong>lle conseguenze di<br />

questo tipo: l’immigrazione, l’adozione, il posto che si assume nella fratria.<br />

E’ importante lavorare sul dare-ricevere, non dimenticando mai questa bilancia, anche quando<br />

è nascosta. Spesso ricevo <strong>de</strong>i gruppi di famiglie con <strong>de</strong>lle persone <strong>de</strong>presse che sentono<br />

pressione attorno, il tentativo di aiuto da parte <strong>de</strong>gli altri; allora cerco di capire anche ciò che<br />

gli altri possono ricevere dalla persona <strong>de</strong>pressa.<br />

Caccavo<br />

Perché dice di essere ambigua nei confronti <strong>de</strong>ll’Approccio contestuale?<br />

Magda Heiremann<br />

Sono stata colpita dal lato seduttore di questo approccio, ma anche dalla difficoltà di<br />

applicarlo. Nagy scrive <strong>de</strong>lle bellissime cose teoriche, ma la pratica è dura. Sicuramente questo<br />

approccio ha bisogno di tempo per essere applicato. Il mio giudizio è ovviamente positivo,<br />

diversamente non sarei qui, ma ho avuto <strong>de</strong>i momenti di difficoltà. Non vedo l’Approccio<br />

contestuale come una religione. Nel caso <strong>de</strong>l bambino adottato, la sua lealtà nei confronti <strong>de</strong>i<br />

genitori biologici può trasformarsi in slealtà verso quelli adottivi, e questi ultimi si troverebbero<br />

di fronte ad enormi difficoltà.<br />

Il bambino che non va più a scuola perché i genitori si sono separati presenta una situazione<br />

che qualcuno affronterebbe lavorando sulla famiglia, per superare le difficoltà a scuola. Marie<br />

Claire Michaud ed io pensiamo che è per questo motivo che occorre lavorare sia a casa sia a<br />

scuola, cercando le risorse ovunque esse siano.<br />

Bassini<br />

L’Approccio sistemico, secondo lei, si sarebbe fermato al sintomo. Ma credo che la terapia<br />

famigliare sia andata più lontano rivalorizzando Nagy. Ripren<strong>de</strong> anche le nozioni di lealtà e di<br />

attaccamento. La scuola italiana di terapia famigliare è molto più ricca <strong>de</strong>lla scuola sistemica<br />

originaria.<br />

Magda Heiremann<br />

43


Sono d’accordo con lei, ma in Nagy si accentua maggiormente la ricerca <strong>de</strong>lle risorse. E<br />

introduce l’i<strong>de</strong>a <strong>de</strong>lla fiducia nel bambino. La sua osservazione è giusta, perché l’approccio<br />

sistemico non è vecchio. L’Approccio contestuale può servire da base sulla quale si innestano<br />

altre forme di terapia. Occorre quindi, partendo dalle risorse, utilizzare diversi contributi.<br />

Prima di darvi un esercizio, voglio ancora parlarvi di alcuni aspetti legati all’etica relazionale.<br />

Una famiglia che per<strong>de</strong> i suoi figli per una malattia ereditaria ha subito un’ingiustizia che <strong>de</strong>ve<br />

essere riconosciuta, perché la distribuzione <strong>de</strong>i pesi è a volte squilibrata. Se un figlio è disabile<br />

mentre l’altro non ha alcun problema, ci si aspetta che sia il secondo a sopportare il carico: c’è<br />

una giustizia distributiva e una giustizia retributiva. La prima è quindi legata in qualche modo<br />

al <strong>de</strong>stino, così una famiglia può essere toccata da una tara ereditaria, di cui nessuno può<br />

essere consi<strong>de</strong>rato responsabile. La seconda riguarda il modo in cui questa (in)giustizia sarà<br />

accettata dalla famiglia. Per Nagy la lealtà è una forza regolatrice, il bambino che ha ricevuto<br />

la vita vuole restituire qualcosa.<br />

Incontriamo tutti <strong>de</strong>i conflitti di lealtà. I conflitti di lealtà rendono le aspettative<br />

contraddittorie. Se la mamma non ha studiato, gli studi <strong>de</strong>i figli diventano molto importanti, se<br />

il padre è un “self-ma<strong>de</strong> man” non darà loro la stessa importanza. La <strong>de</strong>lusione di aspettative e<br />

l’assenza di fiducia possono allora ren<strong>de</strong>re le cose complicate. E’ il motivo per cui Nagy si è<br />

molto interessato alla questione <strong>de</strong>lla generazione. Se ciò che il bambino dà per valorizzare il<br />

padre non è riconosciuto, le conseguenze sulla sua i<strong>de</strong>ntità potranno essere importanti. E’<br />

come se la sua esistenza fosse spezzata. In questa prospettiva, il suicidio può essere un modo<br />

per avvicinare i genitori. Mi ricordo di una ragazza anoressica che bevendo <strong>de</strong>i prodotti tossici<br />

pensava che avrebbe rivisto la sua famiglia riunita davanti alla sua morte. E’ importante<br />

sottolineare la possibilità di dare di fronte a <strong>de</strong>lle persone che non hanno molta empatia; le si<br />

mette in contatto con altre figure, suggerendo che possono fare qualche cosa per loro.<br />

Possiamo distinguere diversi tipi di lealtà:<br />

Lealtà diretta: se noi operatori siamo scioccati dal fatto che i genitori non mantengano<br />

le loro promesse fatte ai figli, i figli pren<strong>de</strong>ranno le difese <strong>de</strong>i genitori.<br />

Lealtà indiretta: i bambini continuano le abitudini acquisite all’interno <strong>de</strong>lla famiglia.<br />

Lealtà ina<strong>de</strong>guata (agli occhi <strong>de</strong>i professionisti, non a quelli <strong>de</strong>i bambini): il bambino<br />

vuole dare troppo<br />

44


Lealtà invisibile: si può esprimere da sintomi che si manifestano molti anni dopo,<br />

pensiamo ai bambini genitorializzati che si comportano come <strong>de</strong>i genitori con i propri<br />

genitori.<br />

Cerchiamo ora di lavorare in gruppo per trovare <strong>de</strong>gli esempi di lealtà indiretta e invisibile.<br />

Nell’esempio che ho sviluppato si è vista la lealtà <strong>de</strong>i bambini verso la famiglia, ma c’è anche<br />

una forza che sale dai bambini verso l’alto. Noi professionisti possiamo utilizzare questa forza<br />

per migliorare le relazioni tra di noi al fine di aiutare meglio la famiglia.<br />

I partecipanti si dividono in gruppi, per trovare <strong>de</strong>lle situazioni in cui si manifestino <strong>de</strong>i<br />

rapporti di lealtà, indiretta o invisibile. Condivisione <strong>de</strong>gli esempi.<br />

Caccavo<br />

Rispetto al primo punto pensiamo alla slealtà <strong>de</strong>l figlio, che si preoccupa per la salute <strong>de</strong>l<br />

partner <strong>de</strong>lla mamma, nei confronti <strong>de</strong>l padre biologico.<br />

Damaschi<br />

Abbiamo un esempio, quello di un bambino di 5 anni che si rifiutava di dimostrare le sue<br />

capacità di lettura e di scrittura perché i suoi genitori erano analfabeti.<br />

Repetto<br />

Un bambino di tre anni alla scuola materna che ha difficoltà la mattina a separarsi dalla<br />

mamma e che, durante i giochi a scuola, <strong>de</strong>limita <strong>de</strong>gli spazi protetti (si crea <strong>de</strong>lle specie di<br />

ripari, di rifugi). Si era fatto carico <strong>de</strong>lla malattia <strong>de</strong>i nonni e soffriva <strong>de</strong>lla mancanza di<br />

attenzione nei suoi riguardi da parte <strong>de</strong>i genitori, impegnati a curare i nonni. Mi sembra sia un<br />

chiaro esempio <strong>de</strong>l “dare”. In effetti, in seguito il padre ha colto il consiglio che il bambino ci<br />

aveva dato e ha agito di conseguenza.<br />

Quarto gruppo<br />

Un ragazzo di 14 anni, aggressivo, con un fratello più piccolo. Il padre si suicida, poi anche la<br />

mamma muore; il figlio maggiore si occupa <strong>de</strong>l fratellino. Davanti alla minaccia di separarli e<br />

di trasferirli in due città diverse, l’aggressività <strong>de</strong>l maggiore aumenta, è meglio riconoscere i<br />

suoi meriti, ciò che riesce a dare.<br />

45


Magda Heiremann<br />

Su ognuno di questi esempi ci sarebbero molte cose da dire. Negli ultimi due esempi si parla<br />

di fratelli e sorelle, i far<strong>de</strong>lli sono molto pesanti e i professionisti pensano allo sviluppo <strong>de</strong>i<br />

bambini. Questa elaborazione nasce dalla seconda e dalla terza dimensione <strong>de</strong>ll’approccio<br />

contestuale. La quarta dimensione permette di andare più lontano: l’approccio contestuale ci<br />

dà la voglia di dare e quindi di riconoscerla, di ve<strong>de</strong>re se ci sono <strong>de</strong>i blocchi nella bilancia <strong>de</strong>l<br />

dare e <strong>de</strong>l ricevere. E’ possibile per il ragazzo di 14 anni che sia meglio vivere altrove.<br />

L’Approccio contestuale consiglia di riconoscerlo nel suo impegno, quindi di dialogare con lui<br />

per permettergli di “dare”.<br />

Interludio - il dono<br />

La bilancia <strong>de</strong>lla giustizia di cui si parla nell’Approccio contestuale può avviare una<br />

riflessione più generale sul dono. In effetti, Nagy accentua a più riprese l’importanza <strong>de</strong>l dono,<br />

ma anche e nello stesso tempo ciò che il donatore è in diritto di ricevere, in rapporto con ciò<br />

che ha già dato. Riprendiamo qualche elemento di una teoria <strong>de</strong>l dono, per poter giudicare in<br />

quale misura l’Approccio contestuale offra su questo tema un punto di vista pertinente.<br />

A prima vista, il dono può sembrare inseparabile da un <strong>de</strong>bito <strong>de</strong>l donatario nei<br />

confronti <strong>de</strong>l donatore. Se qualcuno mi fa un regalo, posso sentirmi in <strong>de</strong>bito verso questa<br />

persona. Le farò a mia volta un regalo quando si presenterà l’occasione. Questo è il punto di<br />

vista di un autore come Mauss. Secondo lui, il dono è inseparabile da una obbligazione di<br />

ricevere e dall’obbligazione di ren<strong>de</strong>re. Niente dono senza contro-dono. In questa prospettiva,<br />

un modo di pren<strong>de</strong>re il sopravvento sugli altri – ad esempio un capo di una tribù sul capo di<br />

una tribù rivale – si realizza facendo il dono più gran<strong>de</strong> possibile. Il donatario potrà essere<br />

schiacciato dall’enormità di questo dono, e se non possie<strong>de</strong> le stesse ricchezze per ren<strong>de</strong>rlo,<br />

questo capo sarà in<strong>de</strong>bitato, cioè in un certo modo sottomesso.<br />

Tuttavia, se in una situazione simile il mo<strong>de</strong>llo presentato da Mauss sembra a<strong>de</strong>guato, è<br />

legittimo interrogarsi sulla natura di un tale dono e porsi semplicemente la questione di sapere<br />

se un tale dono rimane un dono. In altri termini, non si tratta qui piuttosto di un puro rapporto<br />

di scambio, economico. E’ il motivo per cui alcuni autori hanno potuto affermare che il dono<br />

fosse impossibile: siccome il dono reclama un contro-dono, il dono iniziale sparisce in quanto<br />

dono per essere ridotto ad un rapporto strettamente economico.<br />

Ciononostante, ci sembra ancora pertinente parlare di dono. Ma per affermarsi come<br />

tale e come tale rimanere, occorrerà distaccarlo dallo scambio economico, dalla reciprocità.<br />

46


Un dono non può manifestarsi come tale se non nel momento in cui non reclama nessun<br />

contro-dono. A questo titolo, l’amore è un esempio molto rappresentativo. Colui che ama, in<br />

effetti, non può che amare , cioè senza poter preten<strong>de</strong>re di essere amato a sua volta. La<br />

relazione amorosa riesce appunto a superare il rapporto di scambio, economico. Si ama senza<br />

contare, senza ragione. Ci sembra che questa situazione non si possa applicare soltanto agli<br />

innamorati, ma anche ad altri tipi di amore, come l’amore filiale. E’ soprattutto in questo caso<br />

preciso che il dono sembra più palese, perché il bambino è giustamente incapace di ren<strong>de</strong>re<br />

tutto ciò che i genitori gli hanno dato. In questo senso, siccome il dono <strong>de</strong>i genitori non può<br />

essere reso, il dono rimane in quanto tale, e non può esser ridotto ad uno scambio.<br />

Ma allora, come bisogna consi<strong>de</strong>rare il donatario, che riceve tanto e che non può<br />

ren<strong>de</strong>re puramente e semplicemente al donatore? E’ qui che il punto di vista <strong>de</strong>ll’Approccio<br />

contestuale si rivela molto pertinente, da una parte non rifiutando il dono in quanto tale – cioè<br />

non reso – dall’altra parte tenendo conto nello stesso tempo <strong>de</strong>l <strong>de</strong>si<strong>de</strong>rio <strong>de</strong>l donatario di dare<br />

a sua volta. In effetti, se non può ren<strong>de</strong>re al donatore e cancellare il dono, e si sente comunque<br />

in <strong>de</strong>bito, potrà a sua volta dare, ma a qualcun altro. E’ così che il bambino, diventato lui<br />

stesso genitore, potrà a sua volta dare senza contare 12 .<br />

12 Quando si parla di bilancia di giustizia, non bisogna inten<strong>de</strong>rla in termini di reciprocità, ma in termini di equità<br />

(M.HEIREMANN, Du côté <strong>de</strong> chez soi, op. cit. , p. 50)<br />

47


Verbale incontro<br />

lunedi 24 maggio 2004, ore 14,15 – 17<br />

LA PARZIALITA’ MULTIDIREZIONALE<br />

Magda Heireman, psicologa, terapeuta familiare, formatrice -Università di Lovanio<br />

Apertura - Presentazione <strong>de</strong>i partecipanti<br />

M.Heiremann<br />

Oggi vorrei allacciarmi all’approfondimento <strong>de</strong>lla volta scorsa e al contributo di Pierre<br />

Michard. Siccome alcune persone presenti oggi non lo erano la volta scorsa, ricomincerò<br />

questa seduta facendo un breve accenno a ciò che avevamo sviluppato durante l’ultimo<br />

incontro. Avevamo parlato <strong>de</strong>lle quattro dimensioni <strong>de</strong>ll’Approccio contestuale e di alcuni<br />

concetti come la giustizia, l’ingiustizia, la lealtà, la lealtà invisibile. Avevamo anche parlato <strong>de</strong>i<br />

pilastri fondamentali, ma non ripeterò tutto. Riassumiamo semplicemente alcuni elementi. Se<br />

guardiamo una relazione possiamo distinguere: i fatti, la psicologia individuale, i sistemi<br />

transazionali, l’etica relazionale.<br />

L’etica relazionale è situata sopra tutto il resto, tocca tutti gli altri livelli, li colora in un certo<br />

modo. D’altron<strong>de</strong> è questa dimensione che costituisce la specificità <strong>de</strong>ll’Approccio<br />

contestuale. Questo campo – nel quale si tocca la responsabilità <strong>de</strong>lle persone, la bilancia <strong>de</strong>l<br />

dare e <strong>de</strong>l ricevere – è importante nella ricerca <strong>de</strong>lle risorse. Al fine di ben ricordare ciò che<br />

significano le quattro dimensioni, possiamo aiutarci con un esempio. Prendiamo la<br />

dimensione <strong>de</strong>i fatti: se <strong>de</strong>lle persone Congolesi arrivano in Belgio come rifugiati, è possibile<br />

che i loro genitori abbiano vissuto <strong>de</strong>lle situazioni dolorose in Congo a causa <strong>de</strong>i Belgi. Questo<br />

fatto – indipen<strong>de</strong>nte dalle persone, che si impone dall’esterno – giocherà un ruolo nelle<br />

relazioni tra queste persone e i servizi belgi.<br />

Ovviamente non bisogna fermarsi ai fatti, ma cercare le loro conseguenze. Questo compito<br />

non si può realizzare senza entrare in dialogo con le persone coinvolte. Ad esempio, una<br />

separazione o un divorzio non ha sempre le stesse conseguenze sui figli: ci sono <strong>de</strong>i divorzi<br />

che si consumano con un’enorme sfiducia tra i genitori, dove un genitore ha screditato l’altro<br />

genitore agli occhi <strong>de</strong>i figli, e queste situazioni sono molto più nocive per i bambini rispetto ad<br />

altri divorzi.<br />

La volta scorsa ho anche parlato <strong>de</strong>lla lealtà, verticale e orizzontale; la lealtà verticale presenta<br />

un aspetto diacronico. Si tratta <strong>de</strong>lla lealtà verso i propri genitori, se si sale nella linea <strong>de</strong>l<br />

tempo, o ancora la lealtà verso i figli e le generazioni future 13 , se si scen<strong>de</strong> lungo la linea <strong>de</strong>l<br />

tempo. Per quanto riguarda la lealtà orizzontale, essa presenta un aspetto diacronico. Si tratta<br />

<strong>de</strong>i rapporti di lealtà che si mantengono con le persone <strong>de</strong>lla stessa generazione: verso il<br />

marito, la moglie, il partner, i fratelli e le sorelle e anche nei confronti di tutti coloro che si<br />

occupano <strong>de</strong>lla cura e <strong>de</strong>ll’aiuto e che hanno meritato più o meno fiducia.<br />

L’Approccio contestuale sottolinea che non bisogna soltanto tenere conto <strong>de</strong>lle conseguenze<br />

che provengono dalle generazioni anteriori sulle generazioni future. La freccia <strong>de</strong>l tempo può<br />

anche essere consi<strong>de</strong>rata all’inverso ed è importante essere attenti anche al dono <strong>de</strong>l bambino<br />

verso i genitori, <strong>de</strong>lle nuove generazioni verso le vecchie.<br />

L’abbiamo già visto con Pierre Michard. Questo concetto cambia radicalmente la <strong>de</strong>finizione<br />

solita <strong>de</strong>l bambino. Si cerca di ve<strong>de</strong>re il bambino non soltanto come un essere che riceve <strong>de</strong>lle<br />

cose, che ha <strong>de</strong>i bisogni, ma anche come un essere che ha bisogno di dare alla propria<br />

famiglia. Nel migliore <strong>de</strong>i casi, i genitori possono riconoscere ciò che il bambino dà e il<br />

13 Ricordiamo che uno <strong>de</strong>i punti originali <strong>de</strong>ll’Approccio contestuale consiste nel tener conto <strong>de</strong>i membri assenti di una<br />

famiglia, di una rete, cioè anche <strong>de</strong>i figli non ancora nati, <strong>de</strong>lle generazioni in futuro in generale.<br />

48


ambino può interiorizzare il fatto che è capace di dare e di essere importante nella relazione.<br />

Ma esistono molte situazioni in cui i genitori non possono più riconoscere ciò che il bambino<br />

dà. In quel momento, e se noi siamo là in qualità di professionisti, esiste il pericolo di ren<strong>de</strong>re<br />

il bambino sleale se ci mettiamo al posto <strong>de</strong>lla famiglia. Infatti, in questo caso il bambino può<br />

trovarsi in un conflitto di lealtà: se noi cerchiamo di essere <strong>de</strong>i genitori migliori <strong>de</strong>i suoi<br />

genitori, è possibile che il bambino lasci il trattamento o che lo rifiuti a causa <strong>de</strong>lla lealtà che<br />

mantiene verso i suoi genitori.<br />

Se il bambino non può essere leale verso i suoi genitori, o se ad esempio una madre non può<br />

essere leale con i suoi figli, la lealtà rischia di passare ad un livello invisibile. Il fatto che diventi<br />

invisibile significa che la lealtà diventa inclusa in alcuni sintomi: ad esempio un bambino in<br />

un’istituzione si arrabbia con i professionisti, gli operatori, perché fanno <strong>de</strong>lle cose che non gli<br />

piacciono, perché sente che gli educatori non sono parziali o rispettosi <strong>de</strong>i suoi genitori.<br />

Oggi parliamo di parzialità multidirezionale, e se avremo tempo faremo un’esercitazione su<br />

questo. La parzialità multidirezionale è l’attitudine e il metodo più importante <strong>de</strong>l terapeuta e<br />

<strong>de</strong>i professionisti che utilizzano l’Approccio contestuale. Secondo tale approccio, le risorse<br />

vanno trovate nelle relazioni tra le persone che sono importanti le une per le altre. Spesso, nelle<br />

situazioni che incontriamo, le risorse sono bloccate, gli scambi sono bloccati al livello <strong>de</strong>l darericevere.<br />

Quindi questa attitudine alla parzialità multidirezionale <strong>de</strong>i terapeuti aiuta a<br />

sbloccare le situazioni. Si tratta realmente di una parzialità, non è una neutralità, come dicono<br />

i lavori di Salvini di Milano. Spieghiamo cosa intendiamo con questo.<br />

Si tratta di pren<strong>de</strong>re le parti di tutti i membri <strong>de</strong>l sistema, ma di non pren<strong>de</strong>re mai le parti<br />

contro qualcun altro 14 . E’ per questo motivo che viene <strong>de</strong>nominata “multidirezionale”: la<br />

parzialità <strong>de</strong>l terapeuta va verso molteplici direzioni. E lo scopo non è che tutte le persone si<br />

sentano comprese dal terapeuta, lo scopo è l’aumento <strong>de</strong>lla parzialità multidirezionale <strong>de</strong>lle<br />

persone verso gli altri 15 .<br />

[Dal punto di vista etico, questa attitudine mira a “scoprire l’umanità di ogni partecipante,<br />

fosse anche il mostro <strong>de</strong>lla famiglia 16 . Alcuni critici <strong>de</strong>ll’Approccio contestuale hanno voluto, a<br />

partire da questo punto metodologico, rifiutare l’insieme <strong>de</strong>ll’approccio. Il loro rimprovero<br />

<strong>de</strong>riva dal fatto che capiscono la parzialità multidirezionale come un’attitudine che mira a<br />

scusare gli atti di un membro <strong>de</strong>lla famiglia, a vittimizzare oltraggiosamente il colpevole. Non<br />

si tratta sicuramente di questo. La parzialità multidirezionale non è <strong>de</strong>stinata ad approvare in<br />

modo incondizionato gli atti di ognuno, a scusare ogni condotta qualunque essa sia. Piuttosto,<br />

accordando <strong>de</strong>l credito a tutti i membri <strong>de</strong>lla famiglia, <strong>de</strong>lla rete, permetterà l’introduzione di<br />

un dialogo, grazie all’esplorazione <strong>de</strong>lla relazione dal punto di vista di più persone.]<br />

L’attitudine <strong>de</strong>lla parzialità multidirezionale è già presente nel contratto <strong>de</strong>ll’intervento:<br />

quando ricevo una persona, dimostro di essere ugualmente interessata alle persone che sono<br />

importanti per lei e per le persone che sono coinvolte dal lavoro terapeutico, siano esse presenti<br />

o no, fino a tener conto di chi non è ancora nato. Ad esempio, se si parla con una coppia che<br />

ha molte difficoltà, si potrà porre la domanda: “In cosa pensate che queste difficoltà possano<br />

avere <strong>de</strong>lle conseguenze sul bambino che <strong>de</strong>si<strong>de</strong>rate o aspettate?”.<br />

Vorrei ora spiegare qualche aspetto <strong>de</strong>lla parzialità multidirezionale. Il primo aspetto evi<strong>de</strong>nte<br />

è l’empatia, attraverso la quale si cerca di mettersi al posto <strong>de</strong>lla persona coinvolta, di sentire e<br />

di vivere ciò che la persona vive in quella situazione. È chiaro però che non si è sempre capaci<br />

di essere empatici. Ad esempio, se ricevo una coppia in cui il marito ha maltrattato la moglie, è<br />

ovvio che avrò piuttosto la ten<strong>de</strong>nza ad avere <strong>de</strong>ll’empatia verso la donna. Penso che sarebbe<br />

l’opposto se fosse stata la donna ad aver maltrattato il marito, perché esiste anche questo.<br />

14 Il terapeuta non stringe quindi nessuna alleanza con un membro <strong>de</strong>lla famiglia contro un altro membro. “la parzialità<br />

multidirezionale non è questione di strategia” (M. HEIREMANN, Du côté <strong>de</strong> chez soi, op. cit. , p. 81)<br />

15 La parzialità multidirezionale non è quindi una variabile esclusiva <strong>de</strong>l terapeuta! Come modo terapeutico efficace,<br />

non funziona se non quando è capace di indurre un’altra attitudine all’interno <strong>de</strong>lla famiglia (ibid. p. 99)<br />

16 Ibid. , p. 76<br />

49


[Questa attitudine non si riduce ad uno “sguardo positivo incondizionato”. Tentare di<br />

immaginarsi come ogni membro <strong>de</strong>lla famiglia si sente non è sinonimo di una giustificazione<br />

<strong>de</strong>gli atti <strong>de</strong>lla famiglia. Si tratta semplicemente, attraverso questa attitudine, di “offrire ad<br />

ognuno la possibilità di rivendicare ciò di cui ha bisogno in funzione <strong>de</strong>i suoi interessi vitali<br />

sulle quattro dimensioni. L’empatia […] aiuta ad instaurare una consi<strong>de</strong>razione reciproca tra i<br />

membri” 17 ].<br />

Il secondo aspetto <strong>de</strong>lla parzialità multidirezionale è dare <strong>de</strong>l credito a qualcuno. È una<br />

nozione più propriamente contestuale che la prima, perché per poter dare <strong>de</strong>l credito a<br />

qualcuno si <strong>de</strong>ve andare alla ricerca <strong>de</strong>i meriti di questa persona. Nell’esempio <strong>de</strong>ll’uomo che<br />

ha maltrattato la moglie, una <strong>de</strong>lle possibilità potrebbe essere che egli abbia dato molto da<br />

giovane ai suoi genitori, e stia regolando con la moglie i conti che non ha potuto regolare con i<br />

genitori nel passato. Questo non vuol dire che giustifico questo marito, ma piuttosto che cerco<br />

di entrare in contatto con il suo lato positivo, con il suo lato responsabile, non tanto per me,<br />

quanto per lui stesso e per la moglie.<br />

Il terzo aspetto è l’aspettativa <strong>de</strong>l terapeuta; occorre cercare di aiutare la persona ad essere<br />

attenta ai bisogni <strong>de</strong>gli altri; si cerca di aprire la possibilità che possa essere attenta. Pensiamo<br />

a una persona che ha sofferto molto e che è in uno stato <strong>de</strong>pressivo: bisogna comunque<br />

chie<strong>de</strong>rle di fare <strong>de</strong>lle cose, per esempio di fare <strong>de</strong>lle cose per suo figlio; chie<strong>de</strong>ndole qualche<br />

cosa, le si offre la possibilità di essere in contatto con i suoi lati positivi, con la possibilità di<br />

donare. Questo terzo aspetto è importante per le istituzioni che lavorano con le famiglie,<br />

perché non vuole solo dire che si ascoltano i bisogni <strong>de</strong>lle famiglie, ma anche che si chie<strong>de</strong> alle<br />

famiglie di fare <strong>de</strong>lle cose per i loro figli; le istituzioni <strong>de</strong>vono andare alla ricerca <strong>de</strong>i bisogni<br />

<strong>de</strong>lle famiglie, ma anche alla ricerca <strong>de</strong>lle competenze <strong>de</strong>lle famiglie. Naturalmente si <strong>de</strong>ve<br />

essere realisti, non si può chie<strong>de</strong>re a qualcuno che è <strong>de</strong>presso di occuparsi <strong>de</strong>lle lezioni e <strong>de</strong>i<br />

compiti di scuola <strong>de</strong>l proprio figlio, gli si può però chie<strong>de</strong>re di fare con lui una passeggiata o di<br />

leggergli il suo racconto preferito.<br />

Il quarto aspetto è l’inclusività: tutti quelli che sono importanti per l’esistenza di questa<br />

persona sono inclusi in questa parzialità, anche se i legami attuali sono interrotti.<br />

Vado direttamente ad aggiungere il quinto aspetto, il timing, una parola inglese che significa<br />

“trovare il momento giusto”. Vuol dire che se per esempio lavoro con una famiglia, e so che ci<br />

sono i figli che hanno sofferto molto per un trattamento <strong>de</strong>i genitori, sarò innanzitutto parziale<br />

verso questi figli prima di essere parziale verso i genitori. Non ci sono molte regole su questo,<br />

è piuttosto l’esperienza che vi dà <strong>de</strong>lle indicazioni. Anche nell’esempio che ho appena citato,<br />

laddove sono parziale con i figli, <strong>de</strong>vo creare un legame con i genitori, perché altrimenti i<br />

genitori hanno diritto di abbandonare il trattamento. Non dipen<strong>de</strong> solo dal caso e dalla<br />

situazione, ma anche dal contesto in cui si lavora; per esempio in un contesto giudiziario, le<br />

persone sono obbligate ad andare e si può divi<strong>de</strong>re il tempo in modo diverso.<br />

[Questa questione <strong>de</strong>l timing può essere ricollegata al concetto di ritmo. Sviluppiamo i nostri<br />

pensieri. Roland Barthes, in un corso <strong>de</strong>l Collège <strong>de</strong> France sul “vivere insieme” osservava:<br />

“Dalla mia finestra (1° dicembre 1976), vedo una madre che tiene il suo bimbo per mano e che<br />

spinge il passeggino vuoto davanti a lei. Avanzava imperturbabilmente al suo passo, il bimbo<br />

era tirato, sballottato, costretto a correre tutto il tempo, come un animale o una vittima<br />

“sadica” che viene frustata. Ella avanza al suo ritmo, senza sapere che il ritmo <strong>de</strong>l bimbo è un<br />

altro. Eppure, è sua madre!”. Una tale osservazione, banale, mostra quello che può avere di<br />

traumatizzante, di violento, il fatto di ve<strong>de</strong>rsi imporre un ritmo altro dal proprio. E questo<br />

perché il ritmo è essenzialmente legato al potere. Ciò che il potere impone innanzitutto, è un<br />

ritmo – di vita, di pensiero, di tempo. A questo riguardo, la domanda di “idiorrythmie” (il<br />

ritmo proprio) si fa sempre contro il potere. Questa nozione <strong>de</strong>l ritmo, <strong>de</strong>ll’”idiorrythmie”, si<br />

può applicare a tutte le relazioni di potere. Si compren<strong>de</strong> allora il fatto che Barthes accordi un<br />

posto particolare a questo concetto nei suoi corsi sul “vivere insieme”. Ci offre così una nuova<br />

17 Ibid. , p. 78<br />

50


griglia di lettura per <strong>de</strong>cifrare le relazioni di potere nella società. Questa nuova griglia può<br />

essere fruttuosamente applicata alle pratiche <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione. Spieghiamoci.<br />

Una famiglia in disagio multiplo si trova all’origine di una rete originale. Essa si confronta con<br />

diverse istituzioni, istituzioni che non intrattengono alcuna relazione tra loro. Così ogni<br />

istituzione si occupa <strong>de</strong>i problemi che la riguardano, e impone un ritmo particolare alla<br />

famiglia. Non essendovi alcuna concertazione tra i professionisti, i ritmi più diversi le sono<br />

imposti. Questi impediscono ogni fenomeno di risonanza, e non possono far altro che ren<strong>de</strong>re<br />

la famiglia diffi<strong>de</strong>nte. Essa si trova strattonata da diverse istituzioni, e rischia di manifestare<br />

<strong>de</strong>i rifiuti sempre più pronunciati alle risposte che le sono offerte. La Clinica <strong>de</strong>lla<br />

Concertazione propone una risposta a questo problema; non essendo il ritmo <strong>de</strong>ttato dai<br />

professionisti, ma anche dagli utenti, si ren<strong>de</strong> possibile la creazione di una nuova dinamica.]<br />

Vi ho quindi parlato <strong>de</strong>i 5 aspetti teorici, ma prima di darvi la possibilità di fare <strong>de</strong>lle doman<strong>de</strong><br />

vorrei parlarvi ancora <strong>de</strong>lla legittimità, costruttiva e distruttiva. La legittimità è un credito che<br />

si guadagna in una relazione, è un credito che ci può rassicurare per il fatto che c’è uno<br />

scambio di dare e ricevere abbastanza affidabile in quella relazione. È una garanzia<br />

relazionale: in una certa relazione nel momento in cui io ho dato qualche cosa, allora ho il<br />

diritto di ricevere qualche cosa, e viceversa, perché in una relazione si vuole entrambe le cose,<br />

non si vuole essere solo amati dall’altro, ma si vuole anche amare l’altro 18 .<br />

C’è la versione positiva che è la legittimità costruttiva, cioè dal fatto che ho consi<strong>de</strong>razione per<br />

i bisogni <strong>de</strong>gli altri aumenta la possibilità che ci sia reciprocità. Ci sono maggiori possibilità<br />

che gli altri abbiano <strong>de</strong>lla consi<strong>de</strong>razione verso di me. In questa situazione di legittimità<br />

costruttiva, la bilancia non è sempre in equilibrio, ma quantomeno c’è un’attenzione verso i<br />

bisogni reciproci <strong>de</strong>lle persone. E’ ovvio che se si tratta di relazione tra genitori e figli, si tratta<br />

di bisogni asimmetrici, il figlio ha molti più bisogni verso i propri genitori che l’inverso.<br />

Invece la legittimità distruttiva <strong>de</strong>riva da uno sfruttamento di una persona nella sua legittimità,<br />

ad esempio perché i genitori non hanno riconosciuto i suoi bisogni, perché hanno sfruttato la<br />

sua fiducia (e tutto ciò che rientra in questo contesto); a lungo termine se nessuno riconosce<br />

questa ingiustizia, la persona sfruttata acquisisce una legittimità distruttiva, si sentirà cioè<br />

legittimata a sfruttare gli altri, o a ricevere da queste altre persone quello che non ha ricevuto<br />

dai propri genitori. Questo si può tradurre con la ven<strong>de</strong>tta, forse su persone innocenti.<br />

Ciò che è importante malgrado tutto in questa legittimità, ma anche nella sua forma<br />

costruttiva, è che essa rappresenta una forza di vita nella relazione, il diritto di essere in vita.<br />

Nel caso <strong>de</strong>lla legittimità distruttiva lo scopo non è quindi di eliminarla, perché non è<br />

possibile. Penso che come operatori conosciate tutti <strong>de</strong>lle situazioni in cui le persone agiscono<br />

partendo da una legittimità distruttiva. Inoltre è proprio verso queste persone che abbiamo le<br />

maggiori difficoltà ad essere parziali, perché quando le persone sono gentili è più facile.<br />

Innanzitutto le persone che hanno una legittimità distruttiva hanno poca fiducia negli<br />

operatori. Con queste persone, penso che già il fatto che si presentino, anche se perché<br />

obbligati, <strong>de</strong>ve essere riconosciuto come un enorme passo da parte loro, anche se sappiamo<br />

che hanno poca fiducia. Occorre riconoscere ogni atto che la persona fa, per esempio quello di<br />

presentarsi, di parlare <strong>de</strong>i suoi problemi, anche se si tratta solo di accenni. Bisogna ve<strong>de</strong>re<br />

tutto questo come un dono di questa persona che è probabilmente bloccata nella<br />

comunicazione. Allora per parlare di questa legittimità distruttiva utilizzo un disegno che ho<br />

i<strong>de</strong>ato per aiutarmi: immaginiamo che questo cerchio sia la totalità <strong>de</strong>lla legittimità 19 . In<br />

questa totalità di legittimità troviamo <strong>de</strong>lla legittimità distruttiva (che disegno con <strong>de</strong>lle bolle).<br />

Ci sono persone che hanno molte legittimità distruttive nella loro vita, che sono state sfruttate,<br />

che hanno vissuto in situazioni di profonda sfiducia, e che hanno ten<strong>de</strong>nza ad agire nelle<br />

18<br />

Tuttavia una mezza nota può essere aggiunta su questo punto. Rimandiamo al nostro interludio prece<strong>de</strong>nte, sulla<br />

questione <strong>de</strong>l dono.<br />

19<br />

E’ importante sottolineare che la legittimità appartiene alla quarta dimensione (etica relazionale) e non alla seconda<br />

(psicologia individuale), non si tratta <strong>de</strong>l sentimento di legittimità.<br />

51


elazioni partendo dalla legittimità distruttiva. Hanno <strong>de</strong>lle i<strong>de</strong>e come ‘Io non valgo nulla;<br />

questo uomo o questa donna che mi ha appena visto, non <strong>de</strong>vo aspettarmi nulla da lui/lei, ho<br />

sfiducia ’ ‘Non valgo nulla, non ho diritto all’attenzione di nessuno ’, ‘Siccome non valgo<br />

niente, le persone che si prendono cura di me non sono poi tanto <strong>de</strong>gne di credibilità ’, oppure<br />

‘Non si può cre<strong>de</strong>re agli altri, sono tutti falsi o non mantengono la parola ’. Se si guardano le<br />

relazioni di una tale persona, per esempio una madre e suo figlio, si può dire che il bambino ha<br />

anche lui una certa legittimità distruttiva, ma ha ancora molta legittimità costruttiva; se il<br />

bambino ha <strong>de</strong>i bisogni rispetto alla mamma, è possibile che la madre, se ha molta legittimità<br />

distruttiva, sia sorda alle esigenze <strong>de</strong>l bambino, non perché il bambino non sia importante per<br />

lei, ma perché lei si vive come una persona che non è capace di amare il proprio figlio. Invece<br />

di essere attenta alle esigenze <strong>de</strong>l bambino, è possibile che lei chieda al figlio di amarla e di<br />

provarle che è una buona madre. Questo è ciò che si chiama la “genitorializzazione”, il<br />

bambino è messo in una situazione di genitore verso il proprio genitore.<br />

Ci si può chie<strong>de</strong>re allora ‘questo è <strong>de</strong>terminato, immutabile?’, soprattutto perché si guadagna<br />

<strong>de</strong>lla legittimità costruttiva pren<strong>de</strong>ndo in consi<strong>de</strong>razione i bisogni <strong>de</strong>gli altri; se si è ciechi nei<br />

confronti <strong>de</strong>gli altri si è in una sorta di impasse. Fortunatamente ci sono qui <strong>de</strong>gli “isolotti” di<br />

legittimità costruttiva; per dirlo in altro modo, ad esempio, diciamo che questa donna lega <strong>de</strong>i<br />

ricordi molto importanti a sua nonna, o ha sentito che la nonna l’apprezzava per alcune<br />

competenze. Sono cose molto semplici a volte: quando era in vacanza dalla nonna dava da<br />

mangiare ai polli con la nonna, e quest’ultima le ha fatto i complimenti per aver curato bene i<br />

polli; o il nonno che ha visto e riconosciuto che lei si era presa cura <strong>de</strong>l fratellino a scuola.<br />

Allora se si può riuscire a mettere in contatto la madre con questi “isolotti” positivi, ci sono più<br />

possibilità che lei possa donare qualcosa al bambino. Questo non vuol dire che tutte le azioni<br />

che <strong>de</strong>rivano da questa legittimità distruttiva, che può essere molto nociva, possono essere<br />

negate. Occorre fare entrambe le cose: metterla in contatto con le esperienze positive, ma allo<br />

stesso tempo cercare di <strong>de</strong>genitorializzare il bambino a lungo termine. Dico a lungo termine<br />

perché per il bambino innanzitutto è molto importante venire riconosciuto per quello che ha<br />

donato ai suoi genitori, prima che lo si voglia forzatamente <strong>de</strong>genitorializzare.<br />

Tornando all’inizio <strong>de</strong>l discorso, 'dare <strong>de</strong>l credito ' a qualcuno vuol dire andare alla ricerca<br />

<strong>de</strong>lla legittimità costruttiva, senza dimenticare allo stesso tempo la legittimità distruttiva che<br />

esiste, perché questa va a giocare un ruolo nella relazione tra operatori e persone.<br />

Se avete <strong>de</strong>lle doman<strong>de</strong> o <strong>de</strong>lle osservazioni le ascolto volentieri, sapendo che non è facile, che<br />

più semplice spiegarlo che metterlo in pratica.<br />

Marangi<br />

In una difficoltà per una separazione, o perché la mamma è morta o perché è lontana, come si<br />

fa ad affrontare il rapporto?<br />

Magda Heiremann<br />

Bisogna partire dalla ricerca <strong>de</strong>lle risorse. Per esempio mi ricordo di una situazione che ho<br />

seguito, in cui la madre si è suicidata quando la figlia aveva 10 anni. La ragazza all’età di 21<br />

soffriva di <strong>de</strong>pressione. L’ho conosciuta per questo motivo, era ricoverata nell’ospedale dove<br />

lavoro. Una cosa importante da dire è che in quel periodo stava facendo uno stage in<br />

un'istituzione per minori, in cui c’erano tra gli altri anche <strong>de</strong>i bambini che non avevano più<br />

contatti con i genitori. Penso che questo stage le abbia fatto rivivere la mancanza <strong>de</strong>lla madre.<br />

Non è stato l’unico fattore perché ci sono sempre diversi fattori che giocano un ruolo, ad<br />

esempio il fatto che il fratello era andato a vivere in un’altra città e lei era rimasta a vivere con il<br />

padre, per il quale si preoccupava. Ci sono quindi diversi elementi; quello che lei diceva era<br />

che la madre aveva una storia di patologia maniaco <strong>de</strong>pressiva. Quando la ragazza ha iniziato<br />

a soffrire di <strong>de</strong>pressione si sentiva molto sola, e diceva ‘Ora so ciò che mia mamma ha vissuto<br />

’. La madre aveva avuto questa malattia ed era stata ricoverata diverse volte in ospedale<br />

52


psichiatrico, e i vicini ritenevano che fosse meglio per i figli quando la madre era ricoverata,<br />

perché la situazione era pesante da sopportare. Il fatto che anche la ragazza si trovava in<br />

ospedale per una <strong>de</strong>pressione l’aveva messa in contatto in qualche modo con la madre che non<br />

aveva più da dieci anni, ed ha cominciato a porsi molte doman<strong>de</strong> sulla vita <strong>de</strong>lla madre, ma<br />

suo padre non le dava molte risposte. Allora abbiamo invitato la sorella <strong>de</strong>lla madre in presenza<br />

<strong>de</strong>l padre per parlare con la famiglia. Questa sorella ha parlato <strong>de</strong>lle preoccupazioni che la<br />

madre aveva nei confronti <strong>de</strong>i figli. Questo ha permesso alla ragazza di esprimere in un modo<br />

diretto una lealtà verso la madre, che lei aveva conosciuto in <strong>de</strong>i periodi stabili come un madre<br />

molto calorosa, molto simpatica, divertente addirittura; per gli altri era una madre matta, ma<br />

per lei era la sua mamma. E la lealtà invisibile che era nella <strong>de</strong>pressione è diventata una lealtà<br />

diretta grazie al ruolo <strong>de</strong>lla zia e <strong>de</strong>l padre. A volte, se la persona non è più in vita, può essere<br />

utile mettersi in contatto con altre persone <strong>de</strong>l suo contesto per esprimere una lealtà in una<br />

modalità diretta. Il fatto che lei potesse esprimere le sue lealtà dirette le offriva anche<br />

l’autorizzazione di esprimere la sua aggressività per averla lasciata.<br />

Il fatto di andare alla ricerca <strong>de</strong>lle persone risorse è quindi un modo di proce<strong>de</strong>re, ma in alcune<br />

situazioni può rivelarsi impossibile perché tutta la famiglia può essere morta. Per esempio, ho<br />

lavorato in Ruanda, dove, a causa <strong>de</strong>l genocidio, c’erano <strong>de</strong>lle persone che erano rimaste<br />

assolutamente sole. Ci sono comunque <strong>de</strong>lle doman<strong>de</strong> che si possono porre, per esempio<br />

‘Quali aspettative pensa che questa persona che è morta aveva nei suoi confronti? Se egli fosse<br />

ancora in vita, che cosa vorrebbe donargli? Quale memoria di questa persona, ad esempio di<br />

suo marito, vuole dare ai suoi figli?’. Mi ricordo che in un gruppo con cui ho lavorato con <strong>de</strong>i<br />

consiglieri ruan<strong>de</strong>si e con <strong>de</strong>lle donne che erano state tutte violentate, tutte vedove, malate di<br />

<strong>Ai</strong>ds, queste doman<strong>de</strong>, senza avere <strong>de</strong>lle vere risposte, hanno aiutato le madri a parlare <strong>de</strong>lla<br />

loro malattia in relazione ai propri figli, perché sapevano che sarebbero morte; hanno avuto la<br />

possibilità di esprimere la loro consi<strong>de</strong>razione che avevano <strong>de</strong>i figli che avrebbero continuato a<br />

vivere dopo la loro morte. Conosco <strong>de</strong>lle persone che lavorano nelle carceri (dico questo perché<br />

so che anche qui ce ne sono): in alcune situazioni in cui il padre ha ucciso la madre, come può<br />

il padre dare qualcosa ai suoi figli, quando c’è talvolta una rottura totale con i figli? In una di<br />

queste situazioni, dopo questo lavoro è stato di nuovo possibile che un bambino avesse un<br />

contatto con i nonni paterni con i quali non c’erano più stati contatti, e a lungo termine<br />

possono succe<strong>de</strong>re <strong>de</strong>lle cose nella relazione tra padre e figlio.<br />

Calosso<br />

Ci si trova talvolta di fronte a <strong>de</strong>lle situazioni di famiglie in cui ci sono molte persone con molti<br />

disagi diversi; come si fa a <strong>de</strong>ci<strong>de</strong>re, se si <strong>de</strong>ve <strong>de</strong>ci<strong>de</strong>re, con chi essere parziali, in quale<br />

momento. C’è un metodo per scegliere il “come” e il “quando”?<br />

Magda Heiremann<br />

È difficile parlarne in generale, vi darò due indizi. Innanzitutto si può pensare che quello che<br />

soffre di più merita la maggiore consi<strong>de</strong>razione. Ma questo non è sempre evi<strong>de</strong>nte, perché ci<br />

sono persone che hanno molti sintomi che chiedono attenzioni, ma ci sono <strong>de</strong>lle altre che sono<br />

molto più in disagio che non chiedono nulla. Secondariamente, se si parla di parzialità<br />

multidirezionale in una famiglia numerosa, è possibile che il terapeuta ponga una domanda<br />

che testimonia la sua parzialità nei confronti di un figlio, ma che nello stesso tempo offra una<br />

possibilità al padre di dare un riconoscimento al figlio. Quindi il terapeuta è anche parziale nei<br />

confronti <strong>de</strong>l padre, perché gli dà la possibilità di donare <strong>de</strong>lla legittimità costruttiva.<br />

Prendiamo un esempio. Se si può parlare <strong>de</strong>l fatto che il padre ha perso una sorella, e si<br />

domanda al bambino cosa può fare, che cosa sa fare per consolare il padre che è triste, in<br />

questo modo si è parziali verso il bambino, e verso il padre, e quindi verso questa relazione.<br />

Anche senza aver dato più tempo al padre per esprimere il suo dolore per la mancanza <strong>de</strong>lla<br />

sorella, lo si riconosce come padre che soffre e che è capace allo stesso tempo di ve<strong>de</strong>re ciò che<br />

il suo bambino fa per lui. Ma in una famiglia simile è possibile che ci sia ancora un altro<br />

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membro che ha <strong>de</strong>i problemi a scuola, un altro con problemi di droga: si ha la possibilità<br />

anche di influire nel loro pensiero domandando dove i membri <strong>de</strong>lla famiglia trovano <strong>de</strong>ll’aiuto<br />

o con chi possono parlare <strong>de</strong>i loro problemi. Si ha quindi la possibilità di integrare la rete nel<br />

lavoro. Fortunatamente non siamo soli sul territorio. È possibile che non si faccia nulla su<br />

questi due problemi citati, sul contenuto, ma che il fatto che si lavori insieme aumenta la<br />

possibilità che questi due membri trovino nel proprio sistema d’aiuto un po’ più di fiducia; il<br />

processo su cui si lavora è l’incremento <strong>de</strong>lla fiducia, quindi non si <strong>de</strong>ve fare tutto da soli. Io<br />

lavoro nella psichiatria, e mi capita di ricevere <strong>de</strong>i genitori senza ve<strong>de</strong>re gli altri membri <strong>de</strong>lla<br />

famiglia; sapendo che i genitori hanno fiducia in qualcuno, succe<strong>de</strong> che il figlio <strong>de</strong>cida anche<br />

lui di ve<strong>de</strong>re un’altra persona. Si può lavorare sul processo anche senza ve<strong>de</strong>re tutte le persone,<br />

e questo può aumentare la possibilità che si trovino <strong>de</strong>lle risorse altrove. Il terzo aspetto è che<br />

le persone che sono in una situazione particolare nella loro vita, che sono in fase di transizione,<br />

per esempio un bambino che non mostra <strong>de</strong>i sintomi ma che rischia di restare troppo<br />

implicato nella famiglia e di non costruire il proprio <strong>de</strong>stino, allora probabilmente in quel<br />

momento ha più diritto alla parzialità rispetto a qualcuno che ha probabilmente <strong>de</strong>i sintomi,<br />

ma che non si trova in una fase <strong>de</strong>cisiva <strong>de</strong>lla vita. Sono le famiglie che vi aiutano a trovare gli<br />

indizi.<br />

[Nella Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione, il ritmo non è più controllato unicamente dagli operatori,<br />

ma anche e soprattutto dalla famiglia, che con la sua forza convocatrice si trova ad essere<br />

l’esperta <strong>de</strong>lle doman<strong>de</strong> multiple. Le famiglie ci aiutano veramente a lavorare meglio, a<br />

lavorare meglio insieme.]<br />

Facciamo un piccolo esercizio per applicare la parzialità multidirezionale.<br />

Teresa presenta una situazione.<br />

Teresa Premoli<br />

Ecco la famiglia: una mamma, due figli e una figlia, un padre che è morto e un nonno che è<br />

morto, non so se la nonna sia ancora in vita. Ci sono tre assistenti sociali di tre servizi diversi.<br />

Magda Heiremann<br />

Creiamo <strong>de</strong>i piccoli gruppi composti da due persone. Ogni gruppo <strong>de</strong>ve immaginare una<br />

domanda e <strong>de</strong>ve immaginare di essere dalla parte <strong>de</strong>lla madre, o <strong>de</strong>l figlio maggiore, o <strong>de</strong>lla<br />

figlia e così via fino ai nonni paterni. Pensiamo ai bisogni di tali persone ed agli investimenti<br />

nelle relazioni.<br />

Premoli<br />

Alfio, il figlio maggiore, ha compiuto 18 anni a febbraio, sembra trovarsi in una forte crisi, è<br />

tossicodipen<strong>de</strong>nte ed è stato ammesso da un anno al servizio; la giustizia minorile e la mamma<br />

sospettavano da tempo problemi di questo genere. All'ultimo arresto c'è stato il contatto fra la<br />

Giustizia e il Ser. T.<br />

Ad accompagnarlo chi è stato?<br />

In previsione <strong>de</strong>lla sua liberazione, la Giustizia e il Ser.T, hanno pensato a questa soluzione di<br />

ammetterlo al nostro servizio, a condizione che fosse presente anche la madre. Nutrivamo<br />

dubbi, invece sono venuti e per qualche mese hanno frequentato il servizio con costanza.<br />

Vive con la mamma?<br />

Sì, ed è stato mandato in Comunità di recupero senza successo.<br />

Le paure <strong>de</strong>lla mamma?<br />

Ha paura che possa finire male, pensa alle frequentazioni <strong>de</strong>l figlio che non lo hanno certo<br />

aiutato, Alfio ha avuto molte <strong>de</strong>nunce. Gli altri figli sono stati inseriti in una Comunità alloggio<br />

per minori.<br />

E <strong>de</strong>l papà, cosa si sa?<br />

La mamma dice che è stato ammazzato nel 1990 in Sicilia. La figlia è di un altro padre da cui<br />

poi la madre si è separata. Questo papà non mantiene contatti.<br />

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E l'assegno di mantenimento?<br />

Niente.<br />

Magda Heiremann<br />

Durante la presentazione <strong>de</strong>l caso qualcuno, si nota subito, si fa mettere in disparte. Della<br />

famiglia con chi vi sentite parziali?<br />

Diverse risposte: Con la figlia ultimogenita. - Con la mamma. - Con la mamma e Alfio.<br />

Normalmente questa domanda si ripete in momenti diversi.<br />

Questa semplice attitudine di parzialità multidirezionale porta <strong>de</strong>lle chiarificazioni sulla<br />

famiglia, sulla rete e sulle risorse disponibili. Servirsi di questo metodo permette di non<br />

dimenticare nessun componente <strong>de</strong>lla rete, di essere attenti ai componenti in disparte. Bisogna<br />

ad esempio chie<strong>de</strong>rsi se qualcuno è escluso. Peraltro, questa attitudine di parzialità<br />

multidirezionale dovrebbe essere assunta da tutti gli operatori, e questo permette di equilibrare<br />

alcuni rapporti. Lo abbiamo appena visto, il professionista ha spesso la ten<strong>de</strong>nza a mostrarsi<br />

più parziale verso un utente piuttosto che verso un altro. Potrebbe esserci un operatore che non<br />

è in buoni rapporti con la madre e accorgendosene gli altri potrebbero riequilibrare. E poi,<br />

quali sono i bisogni <strong>de</strong>lla madre e cosa vorrebbe donare agli altri membri <strong>de</strong>lla famiglia?<br />

Potrebbe esserci in Alfio la voglia di sostituire il padre nella cura <strong>de</strong>lla famiglia.<br />

Dal racconto non si capisce molto <strong>de</strong>l rapporto fra Alfio e i nonni. Inoltre vedo un parallelo con<br />

la nonna che non ha il marito, come la figlia. Questa potrebbe essere una risorsa. Per quanto<br />

riguarda i nonni paterni, si può notare il loro totale distacco, forse perché non c’è più loro<br />

figlio.<br />

Ecco, questa era una breve e semplice applicazione <strong>de</strong>lla parzialità multidirezionale.<br />

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