Ai Lettori - Clinique de concertation
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2<br />
<strong>Ai</strong> <strong>Lettori</strong><br />
Avremmo voluto più tempo per curare la<br />
testimonianza di un lavoro tanto “intenso” e ci<br />
auguriamo di poterlo fare domani.<br />
Oggi, privilegiamo la diffusione di un materiale<br />
grezzo, confezionato artigianalmente, a più mani e in<br />
lingue diverse…com’è la maggior parte <strong>de</strong>lle azioni<br />
<strong>de</strong>l nostro vivere quotidiano, con la convinzione che<br />
ragionare insieme di problemi e soluzioni sia la<br />
pratica più efficace di pensare al futuro.
INTRODUZIONE<br />
La Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione è un approccio al trattamento <strong>de</strong>l disagio sociale e psicologico<br />
complesso, messo a punto negli anni ’90 da Jean Marie Lemaire, psichiatra e terapeuta famigliare,<br />
direttore <strong>de</strong>ll’Istituto di Terapia Familiare a Liegi e <strong>de</strong>l Centro di Salute Mentale di Flemalle<br />
(Belgio).<br />
L’i<strong>de</strong>a di predisporre un nuovo dispositivo di lavoro nasce dalla presa di coscienza<br />
<strong>de</strong>ll’insufficienza <strong>de</strong>lle metodologie di lavoro tradizionali (colloqui, terapie familiari, gruppi<br />
terapeutici) per quell’utenza caratterizzata da problematiche molteplici, che attiva a più livelli la<br />
rete sociale <strong>de</strong>i Servizi e <strong>de</strong>lle Istituzioni. Significativa, ai fini <strong>de</strong>lla costruzione <strong>de</strong>ll’impianto<br />
teorico-operativo <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione, è l’esperienza che lo psichiatra belga matura<br />
come responsabile di progetti pilota sulla “rete terapeutica centrata sulle famiglie”, realizzati con le<br />
popolazioni <strong>de</strong>ll’ex-Yugoslavia traumatizzate dalla guerra 1 .<br />
Questa particolare figura <strong>de</strong>l lavoro di rete pren<strong>de</strong> spunto dalle teorie di Boszormenyi-Nagy<br />
sull’approccio contestuale, che consi<strong>de</strong>rano l’etica relazionale come dimensione inevitabile <strong>de</strong>lla<br />
relazione, e si perfeziona grazie all’elaborazione di anni di intervento con famiglie, utenti <strong>de</strong>i servizi<br />
pubblici, che presentano disagi multipli e complessi. Inoltre, la pratica <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla<br />
Concertazione risente <strong>de</strong>ll’influenza <strong>de</strong>lla formazione di J.M. Lemaire come terapeuta familiare<br />
(come testimoniato dalla metodologia di lavoro <strong>de</strong>l “sociogenogramma”, ove la rete <strong>de</strong>i Servizi e<br />
<strong>de</strong>lle Istituzioni si sviluppa attorno ad un genogramma) e <strong>de</strong>lle teorie bioniane di conduzione di<br />
gruppo.<br />
Il dispositivo <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione convoca persone che vivono insieme disagi multipli<br />
ed esperti <strong>de</strong>ll’aiuto e <strong>de</strong>lla cura, direttamente o potenzialmente coinvolti promuovendo la creazione<br />
di spazi di fiducia tra le persone e tra persone e istituzioni e favorendo la ricostruzione <strong>de</strong>lle<br />
i<strong>de</strong>ntità.<br />
Nell’ottobre <strong>de</strong>l 2000, l’esperienza <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione è presentata ad Alessandria<br />
nell’ambito <strong>de</strong>lle iniziative nel settore penitenziario coordinati <strong>de</strong>ll’Assessorato alla Pubblica<br />
Istruzione e Servizi sociali <strong>de</strong>lla Provincia, su proposta <strong>de</strong>lla Regione Piemonte (Assessorato<br />
Politiche sociali) e <strong>de</strong>l Centro di Formazione professionale Piemontese– Casa di Carità di Torino.<br />
Successivamente, è stata ripresa da Progetti inseriti nel Programma comunitario EQUAL al cui<br />
svolgimento la Provincia partecipa, sempre in collaborazione con il C.F.P.P.<br />
L’invito alla Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione è stato inizialmente diffuso ai Servizi socio-sanitari, alle<br />
Scuole, al privato sociale e al volontariato di tutto il territorio come progetto di 10 giornate di<br />
lavoro, a ca<strong>de</strong>nza mensile, che si configuravano come momento di formazione ma anche di<br />
intervento sulle pratiche di rete. Agli incontri hanno partecipato, in modo continuativo, una<br />
trentina di operatori con qualifiche diverse (formatori, neuropsichiatri, psicologi, assistenti sociali,<br />
educatori, insegnanti) provenienti dai Servizi <strong>de</strong>l territorio (SerT, Scuola, Consorzi socioassistenziali,<br />
Servizi penitenziari, privato sociale e volontariato).<br />
Nel 2003, l’attività <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione ha coinvolto anche le Scuole e le Famiglie: un<br />
breve ciclo di cinque incontri, insegnanti, formatori, educatori e assistenti sociali (circa 60) e<br />
genitori (circa 15) hanno avuto modo di sperimentare l’efficacia <strong>de</strong>l dispositivo in situazioni<br />
problematiche di integrazione scolastica, di rapporto scuola-famiglia, di disagio scolastico e di<br />
relazione tra i Servizi.<br />
1<br />
A. Chauvenet, V.Despret, J.M.Lemaire “<strong>Clinique</strong> <strong>de</strong> la reconstruction. Une expérience avec le réfugiés en ex-<br />
Yugoslavie”, l’Harmattan, Paris, 1996<br />
4
Tale ciclo di appuntamenti è diventato l’occasione per Concertazioni Cliniche con famiglie che<br />
hanno permesso di arricchire il patrimonio formativo <strong>de</strong>gli operatori e ha dimostrato la trasferibilità<br />
di quest’approccio nelle pratiche operative <strong>de</strong>i Servizi <strong>de</strong>l territorio.<br />
Nel 2004, con il progetto PERIFERIE PREZIOSE/ Progetto di ricerca/azione con il metodo <strong>de</strong>lla<br />
Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione l’esperienza si è arricchita di altri due “momenti” (oltre ai tradizionali<br />
venerdì):<br />
- il primo, è consistito nella pratica <strong>de</strong>l dispositivo direttamente all’interno <strong>de</strong>i Servizi e <strong>de</strong>lle<br />
Scuole, su richiesta <strong>de</strong>gli operatori e <strong>de</strong>lle famiglie;<br />
- il secondo, in consi<strong>de</strong>razione <strong>de</strong>ll’interesse suscitato dalla pratica e <strong>de</strong>ll’eterogeneità<br />
professionale <strong>de</strong>gli operatori che partecipavano agli incontri, si articolava in momenti di<br />
“approfondimento” sugli strumenti <strong>de</strong>l dispositivo, la loro integrazione con le pratiche di<br />
intervento già diffuse all’interno <strong>de</strong>i servizi e sulle condizioni che posso favorirne la<br />
trasferibilità.<br />
Ciascun incontro è stato condotto da un “esperto” collaboratore di Jean Marie Lemaire, oltre ai<br />
due appuntamenti approfonditi da lui me<strong>de</strong>simo, attraverso la modalità concertativa ed è stato<br />
verbalizzato al fine di poter ren<strong>de</strong>re il prodotto di tale lavoro un’occasione per allargare il<br />
confronto con coloro che sono interessati alla diffusione <strong>de</strong>lle pratiche <strong>de</strong>l lavoro di rete.<br />
Le pagine che seguono sono tratte dai verbali <strong>de</strong>gli incontri “tematici” e di questi ultimi conservano<br />
la forma dialogica e i nomi <strong>de</strong>lle persone hanno portato il loro contributo alla discussione<br />
concertativa.<br />
Le iniziative realizzate sul territorio alessandrino con l’impiego <strong>de</strong>l metodo <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla<br />
Concertazione sono state coordinate da Clementina Tacchino, responsabile <strong>de</strong>l Servizio Pubblica<br />
Istruzione <strong>de</strong>lla Provincia di Alessandria.<br />
AVVERTENZE<br />
I verbali sono stati inizialmente redatti, in italiano, da Giorgio Abonante ed Elisabetta Mussio, con<br />
la collaborazione di Teresa Premoli e Graziana Vommaro – In seguito sono stati tradotti in francese<br />
da Ivana Pretta – Laurent Halleux ha apportato alcune modifiche al testo francese, al fine di ren<strong>de</strong>re<br />
più comprensibili certi passaggi e ha aggiunto, a guisa di interludio, qualche elemento di riflessione<br />
supplementare.<br />
La riproduzione di tutto il materiale, nelle varie stesure, è stata curata da Sergio Guidobono, mentre<br />
l’impostazione grafica <strong>de</strong>i <strong>de</strong>pliants informativi è opera di Daniele Caracciolo.<br />
5
6<br />
INCONTRI DI APPROFONDIMENTO<br />
Sala Convegni – Via <strong>de</strong>i Guasco 49 – Alessandria<br />
lunedi 27 ottobre 2003, ore 14,15 – 17<br />
I CAMPI DI SOVRAPPOSIZIONE E LA CLINICA DELLA STAFFETTA<br />
Marie Claire Michaud, assistente sociale, terapeuta familiare,<br />
responsabile <strong>de</strong>l Centro Ecole et Famille(Parigi)<br />
lunedi 10 novembre 2003, ore 14,15 – 17<br />
LA PSICOTERAPIA NEL SERVIZIO PUBBLICO<br />
Claire Delforge, psicologa, psicoanalista<br />
lunedi 1 dicembre 2003, ore 14,15 – 17<br />
LE DIVERSE FIGURE DEL LAVORO TERAPEUTICO DI RETE<br />
(Clinica <strong>de</strong>lla concertazione, concertazione clinica, clinica <strong>de</strong>lla staffetta, coordinamento…)<br />
Jean Marie Lemaire, psichiatra, terapeuta familiare, clinico di concertazione<br />
lunedi 26 gennaio 2004, ore 14,15 – 17<br />
L’ARTICOLAZIONE DELLE VARIE FIGURE<br />
DEL LAVORO TERAPEUTICO DI RETE<br />
Jean Marie Lemaire, psichiatra, terapeuta familiare, clinico di concertazione<br />
lunedi 16 febbraio 2004, ore 14,15 – 17<br />
IL SEGRETO CHE FA PARLARE<br />
Vinciane Despret, dottore in filosofia, psicologa - Università di Liegi e Bruxelles<br />
lunedi 22 marzo 2004, ore 14,15 – 17<br />
L’APPROCCIO CONTESTUALE<br />
TRA I DIVERSI MODELLI DI TERAPIA RELAZIONALE<br />
Pierre Michard, dottore in filosofia, psicologo, formatore, psicoanalista infantile<br />
lunedi 26 aprile 2004, ore 14,15 – 17<br />
LA GIUSTIZIA RELAZIONALE<br />
Magda Heireman, psicologa, terapeuta familiare, formatrice - Università di Lovanio<br />
lunedi 24 maggio 2004, ore 14,15 – 17<br />
LA PARZIALITA’ MULTIDIREZIONALE<br />
Magda Heireman, psicologa, terapeuta familiare, formatrice -Università di Lovanio
Partecipanti:<br />
Angela ABBANEO -insegnante<br />
Giorgio ABONANTE – PROVINCIA di Alessandria – Politiche giovanili<br />
Gabriella AMERIO – Associazione DI A PSI - Tortona<br />
Margherita BASSINI - C.I.S.S. di Valenza<br />
Cristina BEGANI- VILLA ESPERIA di Salice Terme<br />
Rossella BODELLINI - “GIOCANIDO” di Valenza<br />
Carlo BUSCAGLIA - IST. COMPR. di Rivalta Bormida<br />
Francesco BUSETTI - “IL DELFINO – Onlus Casale Monferrato<br />
Michele CACCAVO – CFPP – Casa di Carità – Onlus - Torino<br />
Silvia CALOSSO - C.S.S.A. di Torino<br />
Emanuela CAVAZZA - ASL 22 – Ser.T di Novi Ligure<br />
Graziella DAMASCHI – insegnante<br />
Alessandra DONATO - C.S.S.A. di Torino<br />
Gianna DONDO - “GIOCANIDO” di Valenza<br />
Barbara FANTINI – A.S.O (infantile) Tortona<br />
Alessandra FERRARI - C.T.P. EDA di Acqui<br />
Laura FERRIGNO- C.S.S.A. di Alessandria<br />
Maria Franca FORNERIS - IST. COMPR. “P. Straneo”-Alessandria<br />
Serena FORNESI - C.I.S.A di Tortona<br />
Nicoletta FRIGO –SCUOLA MEDIA Vochieri - Alessandria<br />
Mario GARELLO - C.S.S.A. di Torino<br />
Santina GEMELLI - C.S.S.A. di Alessandria<br />
Carina HERNANDEZ- C.T.P. EDA di Acqui Terme (se<strong>de</strong> di Novi Ligure)<br />
Maria Pia LENZI - ASILO NIDO di Tortona<br />
Vita MARANGI- U.S.S.M. di TORINO<br />
Carla MIGLIO - SPIN c/o C.S.S.A. di Alessandria<br />
Fe<strong>de</strong>rica MOLINARI – V° Circolo - Alessandria<br />
Elisabetta MUSSIO - C.I.S.S. di Valenza e Ser.T – ASL 21 di Valenza<br />
Sabah NAIMI- C.T.P. EDA di Alessandria e Acqui Terme<br />
Raffaella NERVI- PROVINCIA di Alessandria,Servizio Politiche <strong>de</strong>l Lavoro<br />
Emanuele OLIVERI- ex ASL 1 di Torino<br />
Piera PAVETTI- ASILO NIDO di Tortona<br />
Maria Grazia PERUGINI- V° Circolo Alessandria<br />
Ugo PEZZUOLO- Gruppo Comunale Protezione Civile Tortona<br />
Fulvia PRAGLIA – IV° Circolo Alessandria<br />
Maria Teresa PREMOLI - U.S.S.M. di Torino<br />
Ivana PRETTA - Traduttrice<br />
Sebastiano PULEIO - COMUNE di Alessandria - INFORMAGIOVANI<br />
Rosmina RAITERI – I° Circolo Valenza - Istituto Cooperaz. allo Sviluppo<br />
Agostino REPETTO - C.T.P. EDA di Acqui Terme<br />
Alessia RONCATI - PROVINCIA di Alessandria- Settore Lavoro e Formazione Prof.le<br />
Silvia SACCO- Ser.T – ASL 21 di Valenza<br />
Daniela SANDRU - ASO INFANTILE di Alessandria<br />
Maria SCIGLIANO- PROVINCIA di Alessandria,Servizio Lavoro e inserimento disabili<br />
Milly SEIRA - CHANGE di Torino<br />
Roberta SOVERINO - ASO INFANTILE di Alessandria<br />
Flora SPANDONARI - C.T.P. – EDA di Alessandria<br />
Clementina TACCHINO – PROVINCIA di Alessandria – Pubblica Istruzione<br />
Stefania TESTA - C.T.P. – EDA di Alessandria<br />
Andrea TRAVAGLIO - SCUOLA ELEMENTARE di Oviglio - Masio<br />
Alice VIZZOTTO – stu<strong>de</strong>ntessa D.U.S..S - Università“Avogadro”<br />
Graziana VOMMARO - LUDOTECA COMUNALE di Alessandria<br />
8
Apertura<br />
Verbale incontro<br />
Lunedì 27 ottobre 2003– Palazzo Guasco, Alessandria<br />
I CAMPI DI SOVRAPPOSIZIONE E LA CLINICA DELLA STAFFETTA<br />
Marie Claire Michaud, assistente sociale, terapeuta familiare,<br />
responsabile <strong>de</strong>l Centro Ecole et Famille(Parigi)<br />
Presentazione <strong>de</strong>i partecipanti<br />
Marie-Claire Michaud<br />
Parleremo oggi <strong>de</strong>i “campi di sovrapposizione”, un concetto introdotto dal dottor Lemaire nel<br />
suo lavoro di elaborazione <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione. Ma prima di riflettere sulle<br />
questioni e sui problemi posti da tali campi, è necessario spiegare brevemente di cosa si tratta.<br />
Le famiglie e i loro figli si trovano talvolta di fronte a disagi multipli che non riescono a gestire<br />
da sole nella propria rete. Esse <strong>de</strong>legano quindi una parte di questa presa in carico a <strong>de</strong>gli<br />
operatori, che propongono <strong>de</strong>gli inizi di risposta. Queste doman<strong>de</strong>, queste <strong>de</strong>leghe sono nello<br />
stesso tempo massicce ed espresse in modo inatteso; provocano l’attivazione di numerosi<br />
professionisti su di uno stesso territorio o all’interno di una stessa istituzione. L’attivazione, la<br />
convocazione <strong>de</strong>i professionisti fa apparire <strong>de</strong>i tempi e <strong>de</strong>gli spazi nei quali si creano <strong>de</strong>lle<br />
sovrapposizioni da una parte <strong>de</strong>lle competenze, e dall’altra <strong>de</strong>i compiti <strong>de</strong>i professionisti. Ad<br />
esempio, quando un alunno ha <strong>de</strong>lle difficoltà a scuola, il coinvolgimento <strong>de</strong>gli insegnanti o di<br />
altri professionisti all’interno <strong>de</strong>lla stessa scuola e nello stesso tempo <strong>de</strong>gli altri professionisti<br />
esterni alla scuola è attivato, e capita che le competenze di questi professionisti si<br />
sovrappongano. Queste situazioni non sono rare. Véronika, ad esempio, una ragazza di 14<br />
anni, rifiuta di imparare e soprattutto di andare a scuola. Diverse persone sono “chiamate” da<br />
lei: la direttrice, l’assistente sociale, e quest’ultima convoca la mamma proponendole di venire<br />
al centro Ecole et Famille 2 . L’assistente sociale capisce che molti professionisti conoscono la<br />
situazione e si preoccupano per la ragazza e per i suoi fratelli che presentano gli stessi suoi<br />
sintomi. Chie<strong>de</strong> quindi a tutti di rivolgersi, con la famiglia, al centro, poiché ogni<br />
professionista attivato dalla ragazza e dalla famiglia ha una visione diversa <strong>de</strong>lle cose, <strong>de</strong>l<br />
contesto.<br />
2<br />
Struttura nella quale lavoro e che cerca di consolidare, di ren<strong>de</strong>re più affidabili e duraturi i legami tra la scuola e la<br />
famiglia.<br />
10
Véronika assente a<br />
scuola rifiuta di<br />
investire la scuola<br />
Madre<br />
Assistente<br />
Sociale<br />
Direzione<br />
Professore<br />
principale<br />
Il medico o<br />
l’infermiera<br />
Consigliere<br />
educativo<br />
Tutti i professionisti coinvolti non hanno lo stesso modo di affrontare il problema: alcuni<br />
sanzionano il bambino, altri interpellano e sanzionano i genitori, altri ancora cercano <strong>de</strong>lle<br />
soluzioni alternative, infine altri chiedono un affidamento <strong>de</strong>l bambino, un aiuto educativo,<br />
ecc. Questo problema, questo sintomo che riguarda un certo numero di professionisti non ha<br />
lo stesso significato per tutti. Ora, proprio da questo fatto dovranno riconoscere uno spazio<br />
comune di lavoro (che è la ricerca di un aiuto,) avendo la possibilità di affermare le loro<br />
divergenze nella maniera di rispon<strong>de</strong>re.<br />
La problematica di Véronika, ren<strong>de</strong>ndosi assente a scuola, passa da un professionista ad un<br />
altro, di sportello in sportello e permette ai professionisti di incontrarsi in maniera più o meno<br />
esplicita.<br />
Lo spazio di sovrapposizione è costituito da una zona di mezzo dove i campi di competenza<br />
<strong>de</strong>i due professionisti sono attivati da una stessa problematica, da una stessa situazione. Che<br />
fare? O si ha la possibilità di passare il problema ad un altro più “esperto”perché ciò che è<br />
esposto non rientra nel nostro campo di competenze, oppure si ha la possibilità di lavorare in<br />
questa zona di mezzo e di esporre ciò che costituisce la nostra parte comune e ciò che<br />
costituisce le nostre divergenze, al fine di costituire così un terzo campo di lavoro di<br />
elaborazione con, se possibile, la presenza <strong>de</strong>ll’utente.<br />
Questa zona di sovrapposizione è quella dove gli utenti vorrebbero ve<strong>de</strong>rci lavorare più<br />
spesso!!<br />
Quando si parla <strong>de</strong>ll’utente, ho in mente il giovane scolarizzato che spera di ve<strong>de</strong>re gli adulti<br />
concertarsi a proposito di lui: è in questi momenti in cui può riuscire a costruirsi o almeno a<br />
mobilitarsi maggiormente.<br />
Questa zona di sovrapposizione fa uscire i professionisti dal loro isolamento, dalla loro<br />
clan<strong>de</strong>stinità quando agiscono senza avere sempre l’accordo e il sostegno <strong>de</strong>lla loro gerarchia.<br />
E’ un campo di lavoro piuttosto sconosciuto e poco riconosciuto, mentre è una realtà di lavoro;<br />
una realtà abitata dalle famiglie che conoscono ognuno <strong>de</strong>i professionisti coinvolti, interpellati.<br />
11
Le famiglie invitano i professionisti a lavorare insieme su una parte comune che dà senso<br />
all’aiuto richiesto.<br />
Véronika si espone a scuola, e lo stesso fanno i suoi fratelli; i tre ragazzini si mettono a rischio<br />
in un luogo che sicuramente li ascolterà, ascolterà il loro disagio, col fine di attirare<br />
l’attenzione <strong>de</strong>i professionisti sulla loro madre in gran<strong>de</strong> difficoltà psichica, psicologica ed<br />
economica.<br />
Non chiedono l’aiuto di luoghi che spezzetteranno le loro richieste, di professionisti che<br />
cercheranno ognuno nel loro angolo, nel loro campo; vogliono che gli adulti abbiano un<br />
posizionamento largo, una visione d’insieme.<br />
In generale, ciò che acca<strong>de</strong>, è che più i problemi sono acuti, più i membri di una famiglia<br />
attraversano la linea <strong>de</strong>l tempo e i numerosi spazi <strong>de</strong>i professionisti.<br />
.<br />
Véronika<br />
EN 1<br />
scuola<br />
EN 1 E&F Hôpital CAF Mé<strong>de</strong>cin ANPE AEMO<br />
Lavoro<br />
clinico<br />
Cura<br />
psy<br />
Sosten.<br />
Econom.<br />
salute<br />
Lavoro educativo<br />
Per tornare alla mia esperienza personale, vorrei sottolineare che gli spazi nei quali riflettiamo<br />
con le famiglie e gli insegnanti sono molto fertili. Capiscono che non sono soli, di fronte a<br />
situazioni complesse, ma che fanno parte di tutta una rete che la famiglia o/e il figlio<br />
interpellano. Partecipano così ad un lavoro di elaborazione e di riflessione con più entusiasmo<br />
o meno convinzione.<br />
A partire dalle difficoltà che sorgono a scuola si cerca di allargare la rete ad altri professionisti<br />
i<strong>de</strong>ntificando i percorsi che attivano i professionisti. “Come valorizzare e migliorare le staffette<br />
all’interno <strong>de</strong>lla realtà di un territorio?”, “le famiglie come consultano i professionisti?”, “come<br />
la domanda <strong>de</strong>gli utenti crea <strong>de</strong>i campi di sovrapposizione?”: queste sono le doman<strong>de</strong> che<br />
ruotano attorno a questa problematica.<br />
Questo concetto di “campo di sovrapposizione” è quindi complesso, perché va contro le nostre<br />
pratiche e la nostra formazione. E’ un argomento clan<strong>de</strong>stino, perché mette in difficoltà i capi<br />
istituzionali che possono avere l’impressione di per<strong>de</strong>re il controllo e l’autorità. Ma è anche un<br />
argomento eccessivamente innovatore, perché tiene realmente conto <strong>de</strong>lle difficoltà <strong>de</strong>i<br />
professionisti che <strong>de</strong>vono rispon<strong>de</strong>re a <strong>de</strong>lle ingiunzioni istituzionali e <strong>de</strong>lle ingiunzioni che<br />
provengono dalle famiglie, mentre queste affrontano spesso <strong>de</strong>i disagi multipli difficili da<br />
gestire. Insomma, questi campi di sovrapposizione possono proporre e iniziare nuovi quadri di<br />
lavoro.<br />
Tacchino<br />
Per compren<strong>de</strong>re meglio la novità di questo concetto, bisogna aggiungere che la<br />
“sovrapposizione” è stata spesso per noi sinonimo di spreco: diversi professionisti lavorano<br />
nello stesso momento nello stesso spazio. Al contrario, la Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione propone<br />
12
di valorizzare questo concetto. E prestare attenzione alla forza convocatrice <strong>de</strong>ll’utente<br />
significa ve<strong>de</strong>re questi spazi fertili. Ma allora, quali sono gli strumenti che possono aiutarci ?<br />
Lemaire<br />
Questa domanda è evi<strong>de</strong>ntemente cruciale. Spesso in effetti è a causa di un’assenza di metodo<br />
che emergono per i professionisti convocati nei campi di sovrapposizione, <strong>de</strong>lle angosce e<br />
<strong>de</strong>lle resistenze. Laddove la coordinazione, come metodo di lavoro terapeutico di rete, viene<br />
messa in discussione, nei fatti, dagli utenti, bisogna inventarsi <strong>de</strong>i nuovi metodi che rendano<br />
più produttive le diverse competenze e i compiti specifici coinvolti. E questa mancanza di<br />
strumenti può provocare nella maggior parte <strong>de</strong>i casi risultati paradossali: più questi campi di<br />
sovrapposizione saranno attivati dagli utenti, meno saranno utilizzati dai professionisti.<br />
Tacchino<br />
In Italia gli spazi che si possono praticare non mancano, forse è il metodo che manca.<br />
Lemaire<br />
Questo metodo necessario non può tuttavia essere semplicemente trasferito da un altro tipo di<br />
lavoro di rete, come il coordinamento ad esempio. Se questo tipo specifico di lavoro è<br />
assolutamente necessario, il nostro lavoro va bel al di là. Mentre il coordinamento consiste in<br />
una “messa in ordine”, mirando a diminuire la tensione, noi vogliamo, al contrario, alzarla.<br />
Insomma, noi preferiamo coltivare, praticare il conflitto piuttosto che risolverlo attraverso un<br />
consenso <strong>de</strong>bole. Ripren<strong>de</strong>ndo l’esempio di Véronika, di fronte al suo rifiuto di andare a<br />
scuola, sembra difficile percepire un reale suggerimento positivo (per esempio, migliorare le<br />
condizioni di vita a casa). Qui, il lavoro di Marie-Claire Michaud ren<strong>de</strong> possibile una<br />
percezione più ricca <strong>de</strong>lla situazione, utilizzando i campi di sovrapposizione.<br />
Michaud<br />
Il rifiuto di Véronika avrebbe potuto fermarsi là. Se ogni professionista avesse lavorato nei<br />
proprio campo, senza dubbio si sarebbero prese <strong>de</strong>lle <strong>de</strong>cisioni diverse. La mamma ci ha dato<br />
accesso ad altri problemi familiari, personali (ha appena perso il marito), professionali (è stata<br />
licenziata), finanziari, psicologici….Ha quindi aperto altri spazi che vanno a sollecitare le<br />
risorse <strong>de</strong>lla rete. Di conseguenza, siamo necessariamente legati ad altri campi a partire da una<br />
sovrapposizione.<br />
La mamma, in questo esempio, attraversa la linea <strong>de</strong>l tempo e lascia nella rete <strong>de</strong>i<br />
professionisti <strong>de</strong>lle doman<strong>de</strong> esplicite ed implicite; invita i professionisti ad esaminare più da<br />
vicino il modo in cui le cose si incatenano…..eppure, questa apertura, questa eliminazione <strong>de</strong>i<br />
compartimenti non è così evi<strong>de</strong>nte. Gli insegnanti, ad esempio, vogliono affermarsi come<br />
insegnanti attraverso il rifiuto di altri ruoli. Ma possono ren<strong>de</strong>rsi conto in seguito che non sono<br />
i soli a incontrare <strong>de</strong>i problemi e sono quindi invitati ad aprirsi. Le zone di sovrapposizione<br />
invitano all’apertura e all’eliminazione <strong>de</strong>i compartimenti. Bisogna volerlo e non temere di<br />
lavorare in questi spazi.<br />
Quali sono i rischi?<br />
Siccome i professionisti provengono da diversi organismi, non è facile per loro lavorare in<br />
questi campi di sovrapposizione. La sensazione di insicurezza professionale provoca piuttosto<br />
una posizione di ripiegamento, o una posizione di ricerca <strong>de</strong>l controllo. Questa sensazione di<br />
insicurezza proviene dall’uscita dal quadro. Sembra troppo difficile uscire dal proprio quadro,<br />
perché ciò implica di esporre la propria pratica, di condivi<strong>de</strong>re <strong>de</strong>lle informazioni con altri<br />
professionisti di cui non si conosce l’affidabilità. S’aggiunge poi la paura di perdita <strong>de</strong>lla<br />
propria i<strong>de</strong>ntità professionale data dall’apertura agli altri, e dal fatto che se ne <strong>de</strong>bba ren<strong>de</strong>r<br />
conto alla propria istituzione.<br />
13
Insomma, lavorare in queste zone <strong>de</strong>stabilizza, poiché si tratta di lavorare con qualcosa di<br />
sconosciuto, e in presenza <strong>de</strong>ll’utente. Questo costituisce un ostacolo supplementare a questo<br />
tipo di lavoro. I professionisti temono di per<strong>de</strong>re la fiducia <strong>de</strong>lla famiglia. Alcuni insegnanti<br />
pensano che ciò possa rovinare la relazione pedagogica. Preferiscono evitarlo, mantenere il<br />
controllo ed essere discreti rispetto alle informazioni che possono circolare.<br />
Sulla questione <strong>de</strong>lla chiusura messa in atto spesso durante le nostre pratiche, noi proponiamo<br />
un’apertura. Ho notato che più si accentuavano i problemi di chiusura, più si accentuavano i<br />
problemi di esplosione, di straripamento. E’ l’esempio <strong>de</strong>lle barriere, <strong>de</strong>lle protezioni<br />
sofisticate installate attorno agli istituti scolastici, con il pretesto <strong>de</strong>lla sicurezza. Sono <strong>de</strong>lle<br />
barriere che portano <strong>de</strong>lle violenze importanti nei dintorni di questi stessi istituti. E’ l’esempio<br />
<strong>de</strong>lle famiglie cui si raccomanda di consultare uno psicologo/psichiatra e di smettere di<br />
lasciare doman<strong>de</strong> in tutti i servizi. Esse ovviamente andranno a rinforzare questo movimento,<br />
interpellando altri professionisti o trasformando la loro domanda in passaggio all’atto.<br />
Cre<strong>de</strong>ndo di garantire lo spazio privato <strong>de</strong>lle famiglie, si va a chiu<strong>de</strong>re, a ridurre il numero<br />
<strong>de</strong>gli operatori: questa garanzia serve alla famiglia o ai professionisti?<br />
Andrea<br />
Ma chi sbloccherà la situazione quando un professionista si trova bloccato? Chi attiverà un<br />
lavoro come questo? Ci sono infatti <strong>de</strong>i professionisti che vorrebbero parteciparvi, altri che non<br />
lo <strong>de</strong>si<strong>de</strong>rano.<br />
Lemaire<br />
Bisogna almeno pren<strong>de</strong>re in consi<strong>de</strong>razione la presenza fisica di coloro che si sono spostati per<br />
essere presenti, di coloro che prendono il rischio di esporsi in questi spazi. Non ci sono i<br />
“buoni” che invitano i “meno buoni”, o peggio, i “cattivi”. Siamo tutti invitati dal disagio <strong>de</strong>lla<br />
famiglia, nessuno si appropria <strong>de</strong>lle dinamiche attivate dal nucleo familiare. Non inventiamo<br />
niente, la nostra parzialità è al servizio <strong>de</strong>l territorio. Tutti i professionisti che lavorano nella<br />
prossimità <strong>de</strong>l disagio lo sanno. Si tratta di riconoscere i campi di sovrapposizione per<br />
rinforzare le competenze <strong>de</strong>i campi specifici. Lavoriamo in campi sovrapposti al fine di<br />
rinforzare quelli che sono specifici. Non si tratta quindi assolutamente di criticare, o peggio, di<br />
negare le competenze specifiche <strong>de</strong>i diversi professionisti, ma piuttosto di valorizzarle grazie a<br />
questi spazi. I professionisti <strong>de</strong>vono rimanere tali.<br />
Michaud<br />
Non si tratta di fare in modo che tutti i professionisti siano presenti. Alcuni professionisti<br />
manifestano sicuramente una certa reticenza a partecipare a questo tipo di lavoro. Nonostante<br />
ciò, quando è la famiglia stessa che ci invita a questo lavoro, generalmente non ci si tira<br />
indietro. Anzi, i professionisti che avevano <strong>de</strong>ciso di non partecipare finiscono spesso con<br />
l’avvicinarsi, per non ritrovarsi troppo isolati nella rete.<br />
Non si tratta nemmeno di ignorare la protezione <strong>de</strong>llo spazio privato <strong>de</strong>lle famiglie. Ma spesso,<br />
i disagi multipli superano questi spazi troppo chiusi e cercano l’apertura. I ragazzi a scuola, ad<br />
esempio, preferiscono rivolgersi a <strong>de</strong>lle persone nelle quali hanno fiducia, e non<br />
necessariamente ai professionisti formati per rispon<strong>de</strong>re loro. Perché non si riflette sul fatto<br />
che preferiscono aprirsi agli insegnanti nei quali hanno fiducia, piuttosto che a <strong>de</strong>gli assistenti<br />
sociali che sono pagati per ascoltarli e per rispon<strong>de</strong>re alle loro doman<strong>de</strong>, ma che rimangono<br />
<strong>de</strong>gli estranei?<br />
Gli utenti distribuiscono le loro doman<strong>de</strong> dove hanno fiducia, e non necessariamente dove c’è<br />
la competenza. Il professionista è innanzitutto scelto per la fiducia che ispira, piuttosto che per<br />
la sua competenza tecnica.<br />
14
Testa<br />
Mi piacerebbe fare una domanda sulla posizione <strong>de</strong>i volontari in questo tipo di lavoro. Qual è<br />
la reazione <strong>de</strong>i professionisti di fronte ai volontari, che sono visti spesso come <strong>de</strong>gli “invasori”<br />
e non come <strong>de</strong>lle persone di fiducia, <strong>de</strong>lle persone-risorse?<br />
Michaud<br />
Le persone che fanno <strong>de</strong>l volontariato sono generalmente ben accolte, a condizione che il loro<br />
lavoro sia legato con quello <strong>de</strong>i professionisti <strong>de</strong>lla rete. Quando si creano <strong>de</strong>i campi di<br />
sovrapposizione fra volontari e professionisti, bisogna in ogni caso ridistribuire i doveri e le<br />
competenze. E’ in quel momento che la famiglia, e i professionisti stessi, riconoscono le<br />
occasioni di lavorare insieme che sono a portata di mano.<br />
Testa<br />
Mi ricordo <strong>de</strong>l volontario gentilmente ripreso la scorsa volta dopo essere intervenuto nel campo<br />
di azione di un professionista senza che avesse preso sufficienti precauzioni.<br />
Lemaire<br />
Ricordiamoci che dobbiamo quanto meno aiutare le famiglie a rivolgersi alle persone<br />
a<strong>de</strong>guate, agli sportelli “giusti” proposti dal coordinamento, senza per questo squalificare le<br />
alternative che le famiglie mettono in azione (ad esempio rivolgersi ai volontari quando non<br />
ottengono soddisfazione presso i professionisti). Ma spesso, lo sportello “giusto” che cercano,<br />
invano, di attivare le famiglie in disagio multiplo è la rete, nella sua dimensione collettiva e<br />
conflittuale, ricca di campi di sovrapposizione. L’abbiamo già <strong>de</strong>tto, l’attivazione di questo<br />
sportello può far emergere angosce e resistenze, a causa <strong>de</strong>lla mancanza di un metodo di<br />
lavoro, soprattutto quando si tratta di selezionare e condivi<strong>de</strong>re “l’informazione utile”. Capita<br />
spesso che una famiglia in disagio multiplo attivi numerose istituzioni, molti professionisti e<br />
che i campi di sovrapposizione fra queste competenze e i compiti specifici non incontrino altro<br />
che resistenze. Non è raro che queste situazioni trattate esclusivamente da una coordinazione<br />
<strong>de</strong>lle competenze e <strong>de</strong>i compiti specifici senza attivare i campi di sovrapposizione in<br />
dinamiche concertative finiscano “sul giornale”, dopo aver conosciuto <strong>de</strong>gli episodi estensivi<br />
(violenze, disagi pubblici). Ad Asti, abbiamo confrontato ciò che era stato scritto a proposito<br />
<strong>de</strong>llo stesso caso sul giornale e sul verbale <strong>de</strong>lla Clinica di Concertazione. Il verbale era meno<br />
indiscreto e molto più rispettoso. Non è quindi perché si lascia lo studio <strong>de</strong>llo<br />
psicologo/psichiatra che la situazione sarà automaticamente trasferita sulla piazza pubblica.<br />
La Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione, fra altre figure terapeutiche di rete, può essere consi<strong>de</strong>rata<br />
come uno stadio intermedio tra i due poli costituiti dallo studio <strong>de</strong>l professionista –<br />
radicalmente chiuso – da una parte, e la piazza pubblica – aperta, troppo aperta – dall’altra.<br />
Così, mi sembra più pru<strong>de</strong>nte, a volte, assumere il rischio di lavorare nei dispositivi<br />
concertativi, quando siamo convocati dalle famiglie in disagio multiplo, piuttosto che resistere<br />
e imporre una coordinazione rinforzata di compartimenti consultativi stagni.<br />
Michaud<br />
Lavorare sui campi di sovrapposizione è un bene, a condizione che i professionisti accettino di<br />
attraversare un momento di fragilità. Nell’esempio citato, la ragazza è rientrata a scuola con<br />
uno spirito diverso e la mamma ha una fiducia rinnovata nei professionisti. Ciò che mi ha<br />
colpito, è stata la tranquillità ritrovata, la calma quiete <strong>de</strong>i ragazzi che si sono messi a<br />
frequentare meglio la scuola e a impegnarsi maggiormente e il ringraziamento <strong>de</strong>lla mamma<br />
nei confronti <strong>de</strong>gli educatori mentre prima rifiutava qualsiasi intervento di aiuto educativo.<br />
Lavorare nei campi di sovrapposizione permette alle persone che domandano un aiuto di avere<br />
più voglia di partecipare, di essere attive nel processo di intervento messo in atto; ciò permette<br />
loro di ren<strong>de</strong>rsi conto concretamente che possono entrare in interazione con i professionisti,<br />
15
partecipare al loro dibattito e così, di staffetta in staffetta, possono avere una visione migliore<br />
<strong>de</strong>ll’insieme <strong>de</strong>lla rete di aiuto e di cura sulla quale possono appoggiarsi.<br />
Se si opta per l’apertura, se si pensa che queste zone offrono un potenziale importante, se si<br />
accetta di essere in uno stato di confusione, di squilibrio, se si accetta di costruire un altro<br />
quadro di lavoro senza annullare i prece<strong>de</strong>nti, si percepiscono poco a poco <strong>de</strong>i vantaggi.<br />
Nell’esempio di Véronika, l’insegnante e l’assistente sociale hanno lavorato in una zona di<br />
sovrapposizione e hanno fatto appello insieme ad un terzo spazio per riflettere con la mamma<br />
e con gli altri insegnanti <strong>de</strong>i fratelli di Véronika.<br />
*Dalla complessità <strong>de</strong>lle situazioni, si passa alla messa in comune di una riflessione<br />
comune e di una ricerca<br />
*I professionisti passano da una cultura <strong>de</strong>lla sfiducia fra di loro ad una cultura in cui si<br />
esercitano <strong>de</strong>i momenti, <strong>de</strong>lle occasioni di fiducia cercando le cose che fanno muovere la<br />
situazione.<br />
Nell’esempio citato, si è potuto notare un placarsi <strong>de</strong>i bambini che si sono messi a frequentare<br />
la scuola e a meglio impegnarsi.<br />
Quando la famiglia è associata a questo processo di elaborazione <strong>de</strong>lle staffette fra i<br />
professionisti, cambia di statuto e diventa partecipante nel processo di intervento che la<br />
riguarda. La madre di Véronika ha accesso ad una visione di insieme <strong>de</strong>lla rete sulla quale può<br />
appoggiarsi.<br />
Quali sono le condizioni di installazione e di rinforzo <strong>de</strong>lle “staffette”:<br />
Avvistare le zone di sovrapposizione e i<strong>de</strong>ntificarle<br />
Accettare l’i<strong>de</strong>a che l’estensione e l’apertura è un processo diverso per ogni<br />
professionista (è diverso per un clinico e per un insegnante)<br />
I<strong>de</strong>ntificare uno o alcuni strumenti di lavoro comune che va a unire i professionisti<br />
Non rinunciare al proprio campo di competenze<br />
Riflettere su ciò che può circolare sulle zone di sovrapposizione<br />
Badare a mettere sempre le cose in discussione senza i<strong>de</strong>a di chiu<strong>de</strong>rle<br />
I campi di sovrapposizione sono i luoghi dove le connessioni si possono fare, dove la corrente<br />
può circolare.<br />
Le cose si riconnettono in un lavoro piuttosto collettivo dove la domanda diventa meno<br />
compatta.<br />
I campi di sovrapposizione allora si <strong>de</strong>moltiplicano e si organizzano e permettono un lavoro<br />
più collettivo che va verso la concertazione <strong>de</strong>ll’insieme <strong>de</strong>i campi di sovrapposizione.<br />
Uno <strong>de</strong>gli elementi più importanti è la fiducia che si costruisce fra i professionisti che indurrà<br />
un’altra fiducia, quella <strong>de</strong>ll’utente nei confronti <strong>de</strong>l professionista.<br />
La madre di Véronika partecipa all’elaborazione <strong>de</strong>l suo “percorso di viaggio” nella rete <strong>de</strong>i<br />
professionisti, è attualmente in grado di esprimere la sua soddisfazione rispetto all’aiuto<br />
portato dai professionisti, ed è in grado di formulare nuove richieste più discriminate senza<br />
i<strong>de</strong>a di timore o di giudizio.<br />
INTERLUDIO<br />
La realtà celata dalla nozione di “campo di sovrapposizione” pone, l’abbiamo visto, alcuni<br />
problemi pratici. Ma questo concetto mette anche in questione il potere <strong>de</strong>i professionisti e in<br />
16
questa misura la parte legata con la politica. Per <strong>de</strong>finizione, parlare di campi di<br />
sovrapposizione implica il lavoro comune di diversi professionisti, facendoli uscire dal loro<br />
quadro abituale, eventualmente dal loro studio. Inutile aggiungere che il loro quadro abituale<br />
autorizza una certa presa di potere sull’utente, garantita tra l’altro dal segreto professionale.<br />
Nel nome di questo principio sacro, nessuna informazione può uscire dalla relazione tra il<br />
professionista e l’utente, nessuno dispone di un potere di controllo sulla pratica <strong>de</strong>l<br />
professionista. Al contrario, nelle zone di sovrapposizione, i professionisti non sono più soli di<br />
fronte agli utenti, ma sono ugualmente di fronte ad altri professionisti. Ognuno può quindi<br />
intervenire, e rimettere in discussione, riflettere, sulle pratiche tradizionali. Non si tratta<br />
assolutamente di annullare tutte le relazioni di potere, che condurrebbe/porterebbe ad una<br />
negazione <strong>de</strong>l conflitto, ad un consenso <strong>de</strong>bole. Si tratta al contrario di dare potere a tutti gli<br />
attori <strong>de</strong>lla rete, al fine che ognuno possa partecipare alla costruzione, all’elaborazione<br />
<strong>de</strong>ll’aiuto più efficace.<br />
La questione difficile <strong>de</strong>ll’interdisciplinarità sembra in questo quadro terapeutico trovare una<br />
risposta soddisfacente. Nelle situazioni complesse <strong>de</strong>i disagi multipli, la messa al lavoro di<br />
diversi professionisti non ha nulla di gratuito, di artificiale. E’ la famiglia che attiva l’insieme<br />
<strong>de</strong>i professionisti, che li convoca con lo scopo di lavorare insieme. L’interdisciplinarità quindi<br />
è di fatto. E’ allora che bisogna approfittare di questa forza convocatrice <strong>de</strong>lla famiglia che,<br />
creando le zone di sovrapposizione, permette di rimettere in discussione alcune evi<strong>de</strong>nze,<br />
alcune questioni, crea uno spazio di riflessione, di discussione sulla norma. I campi di<br />
sovrapposizione si rivelano allora come la condizione di possibilità per eccellenza di una<br />
riflessione critica sulle pratiche terapeutiche.<br />
17
Verbale incontro<br />
lunedi 10 novembre 2003, Palazzo Guasco - Alessandria<br />
Apertura – presentazione <strong>de</strong>i partecipanti<br />
LA PSICOTERAPIA NEL SERVIZIO PUBBLICO<br />
Claire Delforge, psicologa, psicoanalista<br />
J.M.Lemaire<br />
Mi sembra che sarebbe bene cominciare ascoltando la storia <strong>de</strong>l primo incontro tra Tina e<br />
Claire<br />
Tacchino<br />
Eravamo a Bruxelles e c’era per la prima volta un incontro fra tutti coloro che, provenendo da<br />
vari paesi, erano interessati alla Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione. Michele ed io ci siamo trovati<br />
davanti ad un gran<strong>de</strong> ospedale con tante finestrelle, era il luogo <strong>de</strong>ll’incontro. All’interno<br />
<strong>de</strong>ll’edificio c’erano <strong>de</strong>lle piccole stanze contrassegnate dai nomi <strong>de</strong>i medici e <strong>de</strong>gli psicologi.<br />
A questo primo incontro c’eravamo Jean Marie Lemaire, Claire, Marie-Claire Michaud, uno<br />
psichiatra algerino, Michele ed io. Ad un certo punto, un bambino entra nello studio: cercava<br />
sua mamma che era a colloquio con uno psicologo. Sono rimasta colpita dal contrasto tra la<br />
struttura enorme <strong>de</strong>ll’ospedale da un lato e la piccolezza <strong>de</strong>gli spazi spezzettati al suo interno<br />
dall’altro.<br />
Delforge<br />
In quel periodo, lavoravo in due servizi. Uno <strong>de</strong>i due era un servizio universitario, organizzato<br />
in dipartimenti poco legati fra di loro. Lavoravo nel dipartimento adolescenti. Era un servizio e<br />
allo stesso tempo un luogo di formazione in psicanalisi rivolta ai bambini, agli adolescenti e<br />
agli adulti; lavoravamo anche con le famiglie. In quegli anni di formazione ho imparato il<br />
rigore psicoterapeutico, come fare una diagnosi, la maniera competente di parlare alle famiglie<br />
<strong>de</strong>i bambini e <strong>de</strong>gli adolescenti. Era un servizio riconosciuto.<br />
Era sicuramente accessibile al pubblico, tuttavia mi ponevo la domanda circa la sua<br />
accessibilità: a quale pubblico era accessibile? Succe<strong>de</strong>va che soltanto le famiglie che erano<br />
capaci di formulare una domanda in modo corretto consultavano questo centro. Ho allora<br />
cercato di suggerire di cambiare il nostro modo di pensare. La trasgressione <strong>de</strong>l quadro da<br />
parte di una famiglia o il rifiuto <strong>de</strong>l trattamento poteva essere capito in un modo diverso e non<br />
soltanto in termini di “manipolazione”.<br />
Il contratto i<strong>de</strong>ale, adatto, è quello in cui l’offerta e la domanda corrispondono, ovvero quando<br />
i due partners terapeutici curante – paziente si adattano perfettamente. L’utente viene laddove<br />
lo si aspetta, e reclama l’aiuto che il professionista può giustamente proporgli. Ma questa<br />
situazione rimane molto spesso un i<strong>de</strong>ale. Numerose famiglie in disagio multiplo non sanno<br />
che fare di queste offerte. Non vengono dove le aspettiamo, rifiutano le nostre offerte,<br />
rompono il legame. Piuttosto che dispiacersene o lamentarsene, sarebbe meglio chie<strong>de</strong>rsi<br />
perché non vanno dove li aspettiamo, e cercare di sapere se non potremmo raggiungerle dove<br />
sono. Ci chiedono in <strong>de</strong>finitiva altre cose, fra le tante di lavorare nelle zone di sovrapposizione,<br />
in quelle zone di cui sono esperte e dove hanno molto da insegnarci. Eppure, mentre<br />
situazioni come questa si presentano quotidianamente nel lavoro sociale e psicoterapeutico,<br />
noi non (vi) siamo assolutamente preparati. Bisogna quindi modificare la nostra offerta,<br />
inventare <strong>de</strong>lle nuove pratiche al fine di poter aiutare queste famiglie.<br />
18
Ho in seguito <strong>de</strong>ciso di lasciare il servizio universitario, perché esclu<strong>de</strong>va la presa in carico di<br />
alcune famiglie, quelle che ci chiedono di lavorare diversamente, che ci convocavano dove non<br />
le aspettavamo.<br />
Oggi vorrei parlare <strong>de</strong>l mio lavoro nell’altro servizio, che utilizza la Clinica <strong>de</strong>lla<br />
Concertazione, il servizio di salute mentale di Wavre.<br />
Ho cominciato a lavorare a domicilio di alcune famiglie quattro anni fa. Un professionista che<br />
si occupa di prevenzione per la prima infanzia e che partecipa al gruppo suggerisce che<br />
sarebbe bello permettere alle famiglie in difficoltà di utilizzare questo approccio perché<br />
possano beneficiare di una presa in carico psicologica.<br />
Le famiglie alle quali faceva allusione sono le famiglie che voi conoscete: vengono una volta o<br />
due, poi interrompono il lavoro. Si dice di loro che non hanno domanda o che non hanno<br />
abbastanza “insight” per fare un lavoro psicologico.<br />
Ho <strong>de</strong>ciso di accettare questa sfida. Prendiamo appuntamento, insieme, presso la famiglia per<br />
presentarmi e per spiegare la ragione per la quale mi si era chiesto di andare a casa loro.<br />
Con mia gran<strong>de</strong> sorpresa ho iniziato a fare un vero lavoro di psicoterapia a domicilio, una volta<br />
alla settimana, sempre alla stessa ora, salvo un giorno perché alla famiglia era stata tolta la<br />
corrente elettrica. Il lavoro è durato più di due anni, poi la famiglia si è fatta espellere.<br />
La richiesta di questo genere di interventi è aumentata: ci è stato chiesto di andare presso altre<br />
famiglie e abbiamo costituito un gruppo di lavoro per rifletterci. Ho avuto molte sorprese dal<br />
lavoro a domicilio. E’ un lavoro appassionante e inquietante; ci obbliga a riflettere su ciò che si<br />
sta facendo. Si tratta spesso di aspetti che non abbiamo imparato durante la formazione di<br />
psicoterapeuta.<br />
Vi parlerò ora di una situazione particolare, spero che mi farete <strong>de</strong>lle doman<strong>de</strong>.<br />
E’ la storia di una donna di 37 anni che ho conosciuto tre anni fa. Aveva interpellato un servizio<br />
di maternità in occasione <strong>de</strong>lla nascita <strong>de</strong>l suo terzo figlio. Questo servizio temeva che lei non<br />
fosse una “buona madre”. La figlia maggiore, Pamela, viveva con la nonna materna e la<br />
seconda figlia, Mélanie, viveva in una comunità. La maggiore viveva con la nonna perché la<br />
mamma glielo aveva chiesto. I servizi sociali erano intervenuti e avevano trovato un accordo<br />
con la mamma (questo servizio sociale non può lavorare senza l’accordo <strong>de</strong>i genitori; dopo, se<br />
ci sono <strong>de</strong>i problemi, possono passare alla competenza <strong>de</strong>l Tribunale per i minori).<br />
Quindi, questa mamma ha interpellato il servizio di maternità che ha attivato l’Ufficio<br />
Nazionale <strong>de</strong>ll’Infanzia nella persona di Madame Lucas. Quest’ultimo servizio doveva<br />
verificare come la mamma se la cavava con il suo ultimo nato. Inoltre, siccome la mamma si<br />
trovava in uno stato <strong>de</strong>pressivo, Madame Lucas chiamò il servizio di salute mentale dove<br />
lavoro. La madre ha accettato la mia presenza a casa sua; il bambino aveva all’epoca otto mesi.<br />
Per quanto riguarda il padre <strong>de</strong>l bambino, non ama molto gli psicologi, ma accetta nonostante<br />
tutto il mio lavoro.<br />
Il bambino è presente durante tutti i colloqui, e talvolta partecipa attivamente. Si ve<strong>de</strong> che la<br />
mamma è molto fiera di questo bambino. Mi fa ve<strong>de</strong>re i suoi progressi nella crescita. Le<br />
angosce riguardo a questo bambino spariscono velocemente. Dopo avermi raccontato la sua<br />
storia fatta di violenze e di erranze, mi parla molto <strong>de</strong>lle altre due figlie. Pamela, cinque anni,<br />
vive con la nonna e la mamma la ve<strong>de</strong> una volta alla settimana. Rispetto a lei, non si sente<br />
riconosciuta come mamma. Peraltro, Pamela <strong>de</strong>ve essere seguita a scuola e questa situazione<br />
infastidisce molto la mamma: si sente giudicata dal servizio di affidamento familiare. Inoltre, a<br />
partire dalla nascita <strong>de</strong>l terzo figlio, non è più andata a fare visita a Mélanie, l’altra figlia che si<br />
trova in comunità. Sa che queste assenze possono essere interpretate come una mancanza di<br />
interesse. Cerco allora di convincerla a ripren<strong>de</strong>re le visite per evitare questo fraintendimento,<br />
perché in effetti si interessa evi<strong>de</strong>ntemente alla sua seconda figlia. La madre rimpiange di aver<br />
accettato l’affidamento alla comunità ma in quel periodo non aveva scelta: la bambina aveva<br />
bisogno di cure mediche importanti. Tuttavia, non aveva nessuno che potesse accompagnarla<br />
in queste visite a Mélanie. Ha chiesto a me di farlo.<br />
19
Non ho più potuto tirarmi indietro, consi<strong>de</strong>rando la sua insistenza. Partivamo insieme in<br />
macchina e durante il lungo tragitto, esprimeva ciò che significava per lei essere madre di tre<br />
bambini, con le difficoltà e le gioie che ciò comportava per lei. E’ durante questi momenti<br />
passati insieme che mi sembra di essere riuscita a farle riconoscere il suo ruolo di madre.<br />
Qual è il mio ruolo, la mia i<strong>de</strong>ntità professionale, quando sono in macchina con lei? Posso<br />
preten<strong>de</strong>re di rifugiarmi nel mio ruolo di psicologa? Non sono io stessa un utente in quei<br />
momenti con lei in macchina? Devo mantenere il confine netto e distinto tra la mia professione<br />
e la mia intimità? O piuttosto, non riuscirei a rinforzare i legami di fiducia, costruttori, tra lei e<br />
me se metto da parte il mio ruolo specificamente psicologico?<br />
Attualmente la madre si può spostare più facilmente perché il suo bambino è cresciuto. Viene<br />
al centro ogni tanto, ma spesso salta gli appuntamenti. Penso comunque che il legame che<br />
aveva instaurato con me rimanga un punto di riferimento per lei. Soprattutto, era molto poco<br />
riconosciuta dai Servizi che avevano il compito di tutelare i bambini. E per la fine <strong>de</strong>lla storia,<br />
sappiate che Mélanie ha raggiunto sua sorella presso la nonna.<br />
Insomma, questo lavoro a domicilio è sconcertante per molti aspetti. Non sappiamo mai in<br />
anticipo come si svolgeranno i colloqui, chi sarà presente. All’inizio, mi chie<strong>de</strong>vo come avrei<br />
potuto assicurarmi un’intimità sufficiente per fare un lavoro di psicoterapia. Ad esempio,<br />
siamo talvolta al centro <strong>de</strong>lla sofferenza senza poter essere aiutati dalla camera di<br />
<strong>de</strong>compressione rappresentata dalle sale di attesa. D’altra parte, se, al Servizio, una famiglia ha<br />
molto poco potere – sono i professionisti che dicono come le cose si <strong>de</strong>vono svolgere – al<br />
contrario, a domicilio non si può non rispettare le abitudini <strong>de</strong>lla famiglia. Lavoriamo con lei, a<br />
casa sua, siamo noi che dobbiamo piegarci alle sue costrizioni. Soprattutto, per questi aspetti<br />
che ribaltano il quadro tradizionale, il lavoro a domicilio ren<strong>de</strong> più accessibile una presa in<br />
carico <strong>de</strong>lle famiglie in gran<strong>de</strong> difficoltà. Infatti, talvolta, la paura <strong>de</strong>lla reazione sociale<br />
impedisce all’utente di venire in consultazione: ad esempio, il bambino aveva distrutto due<br />
volte lo studio <strong>de</strong>i professionisti. Questi atti possono ren<strong>de</strong>re più difficile la creazione di legami<br />
di fiducia tra i professionisti e la famiglia.<br />
Lavorare come psicoterapeuta in un servizio pubblico significa per me “aprire il quadro”. La<br />
Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione cambia il modo di osservare le cose. Durante la mia formazione,<br />
mi era stato imposto di lavorare con un “setting” rigoroso. Ma lo stesso “setting” non va bene<br />
per tutti: è troppo stretto per alcune persone. In questo caso, una nuova opzione doveva essere<br />
inventata: aprire il “setting” e lavorare su ciò che le famiglie potevano portare. Era rischioso,<br />
non eravamo sicuri di ciò che facevamo, ma sicuramente questa scelta ha portato una gran<strong>de</strong><br />
ricchezza. Nel lavoro con le famiglie in gran<strong>de</strong> disagio, il compito <strong>de</strong>l servizio pubblico è<br />
quello di avere la più gran<strong>de</strong> apertura possibile. Un’altra difficoltà era quella di doversi<br />
astenere dal “fare” qualcosa, poiché questo compito rientra nella competenza <strong>de</strong>ll’assistente<br />
sociale. Mi chie<strong>de</strong>vo: “Sono ancora una psicoterapeuta nel momento in cui la mamma sale<br />
sulla mia macchina?”. Questa domanda può aprire un dibattito: come fare per ren<strong>de</strong>re il<br />
servizio pubblico fruibile per tutto il pubblico e non unicamente per coloro che possono fare la<br />
domanda in modo corretto?<br />
La Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione mi ha insegnato l’altra parte <strong>de</strong>l mestiere: quella che consiste a<br />
vivere e a inventare con la famiglia, a trovare le risorse anche nelle situazioni più catastrofiche,<br />
a recuperare il filo dal quale si può ripartire.<br />
Ho chiamato un giorno una scuola per chie<strong>de</strong>re di pren<strong>de</strong>re in carico un bambino che doveva<br />
essere seguito: avevo a carico la famiglia. Mi è stato <strong>de</strong>tto che noi, gli psicologi, ci vedono a<br />
scuola soltanto all’inizio e alla fine <strong>de</strong>ll’anno; ma durante tutto il resto <strong>de</strong>l tempo, non<br />
20
chiamiamo più. Questo mi ha fatto riflettere e credo al contrario che si <strong>de</strong>bba andare<br />
regolarmente a scuola.<br />
Sacco<br />
Non vedo molto bene la connessione tra l’esempio che ha raccontato e la Clinica <strong>de</strong>lla<br />
Concertazione.<br />
Delforge<br />
Se non avessi avuto le risorse <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione non avrei saputo come situarmi<br />
rispetto al Servizio di Affidamento Familiare. Riflettere sulla situazione con il mezzo <strong>de</strong>lla<br />
Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione mi ha consentito di lavorare con la mamma, curando i rapporti con<br />
il Servizio di Affidamento Familiare, che aveva una visione particolare <strong>de</strong>lla mamma. L’ho<br />
aiutata a fornire un’altra immagine di se stessa, ad avere altri contatti con la comunità, a far<br />
ve<strong>de</strong>re come si preoccupava per sua figlia. Il conflitto è diventato praticabile. La Clinica <strong>de</strong>lla<br />
Concertazione mi ha insegnato a ve<strong>de</strong>re le risorse anziché i problemi. Non si trattava più di<br />
svelare le mancanze, ma al contrario le occasioni nelle quali la mamma si rivelava essere una<br />
“buona madre”. Ha potuto dimostrare in cosa era una “buona madre”.<br />
Educatrice nido Valenza<br />
La mamma, a partire dai suoi disagi multipli, ha attivato numerose strutture, istituzioni. Dei<br />
professionisti lavoravano in queste strutture: si è trovata in campi di sovrapposizione con altre<br />
strutture? Ad esempio, questo lavoro nel campo di sovrapposizione potrebbe manifestarsi con<br />
il passaggio dal suo ruolo di psicoterapeuta ad un ruolo più specificatamente di assistenza. Ma<br />
ha utilizzato altre figure <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di rete?<br />
Delforge<br />
Tra gli altri professionisti, c’era Madame Lucas. Quando la madre mi ha chiesto di<br />
accompagnarla, lo ha chiesto anche a Madame Lucas. In seguito, la madre ha comunicato alla<br />
comunità che la sua psicoterapeuta l’avrebbe accompagnata.<br />
A proposito <strong>de</strong>l lavoro collettivo, o <strong>de</strong>lle altre figure <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di rete, <strong>de</strong>vo dire che<br />
è difficile mettere tutti i professionisti attorno ad un tavolo. Ho cercato, ho fatto <strong>de</strong>lle<br />
telefonate, ma è stato impossibile organizzare un incontro. Da cosa è dipeso? Dai<br />
professionisti? Dalla mamma? Non lo so.<br />
Questa osservazione pone la difficile questione <strong>de</strong>lla comparsa <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla<br />
Concertazione, <strong>de</strong>lla partecipazione <strong>de</strong>i professionisti, <strong>de</strong>gli utenti. Sono i professionisti che<br />
convocano altri professionisti? Mi sembra di no. E’ piuttosto la forza convocatrice <strong>de</strong>lla<br />
famiglia che permette ai professionisti di lavorare insieme. Se è difficile per un professionista<br />
convincere un altro professionista a partecipare ad una Clinica di Concertazione, mi sembra<br />
molto più difficile rifiutare una tale domanda quando essa proviene dalla famiglia stessa. E’<br />
quindi sempre quest’ultima che si trova alla base di una Clinica di Concertazione. O meglio,<br />
trovare l’origine di una Clinica non è possibile. Si costituisce a partire da un “fascio di<br />
volontà”, di cui <strong>de</strong>vono far parte almeno tre elementi: gli utenti, i professionisti e il politico.<br />
Noi chiamiamo l’insieme di questi elementi la “tria<strong>de</strong> concertativa”. Se un elemento di questa<br />
tria<strong>de</strong> viene a mancare, la Clinica di Concertazione non potrà avere luogo.<br />
A.S. Torino<br />
Dopo aver iniziato questo tipo di lavoro a domicilio, c’è stata la creazione di un gruppo di<br />
lavoro con la partecipazione anche <strong>de</strong>lle famiglie?<br />
Delforge<br />
21
No. Le famiglie non partecipano ancora, ma ci sono alcune regole, le stesse prescritte dalla<br />
Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione, ad esempio: “parlare come se le persone fossero presenti”. Queste<br />
famiglie potrebbero venire in seguito alla Clinica di Concertazione se questo risulta essere<br />
necessario.<br />
A.S. Torino<br />
Avevo capito male. Le famiglie sanno comunque che le loro difficoltà hanno fatto scaturire una<br />
riflessione.<br />
Delforge<br />
Si, i compiti <strong>de</strong>l Servizio di salute mentale consentono di offrire <strong>de</strong>lle supervisioni agli<br />
operatori di prima linea. Lo psicoterapeuta è messo in una posizione di sapere. Lavorare in<br />
collaborazione con gli operatori di prima linea è una posizione più interessante secondo me.<br />
Tacchino<br />
Due piccole doman<strong>de</strong>. Innanzi tutto, mi chie<strong>de</strong>vo se ci sono <strong>de</strong>lle riflessioni a proposito <strong>de</strong>lla<br />
staffetta. In secondo luogo, pensavo a questo cambiamento: prima c’era una sala d’attesa,<br />
dopo c’è la casa <strong>de</strong>lla famiglia nella quale si può arrivare in qualsiasi momento. Mi sembra<br />
rischioso. Come la Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione può aiutare a contenere i rischi di questa<br />
intrusione?<br />
Delforge<br />
Sulla questione <strong>de</strong>lla staffetta, la Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione crea pian piano <strong>de</strong>i campi di<br />
fiducia fra i professionisti <strong>de</strong>l territorio. Ognuno può far conoscere la propria pratica clinica in<br />
questo spazio. Ognuno conosce l’altro, il suo modo di lavorare, poiché tutti i professionisti<br />
sono riuniti attorno ad una situazione e lavorano sotto gli sguardi incrociati <strong>de</strong>gli altri. Credo<br />
che il fatto che ogni professionista possa sentirsi riconosciuto nelle sue competenze possa<br />
avere <strong>de</strong>lle conseguenze positive sulla famiglia. Ci sono <strong>de</strong>lle famiglie che ribaltano, che<br />
scuotono la rete. Per esempio, il maltrattamento <strong>de</strong>i bambini scuote la rete. In queste<br />
situazioni, le famiglie possono beneficiare <strong>de</strong>i legami di fiducia tra i professionisti.<br />
Rispetto al secondo aspetto, il rischio è che la psicoterapia possa diventare un controllo<br />
sociale. Le famiglie hanno molte risorse per mettere <strong>de</strong>i limiti e per dire “Basta!”. Occorre<br />
rispettare la voce <strong>de</strong>lla famiglia. Il rischio è quello di un’intrusione reciproca, vale a dire anche<br />
quella <strong>de</strong>lla famiglia nei confronti <strong>de</strong>l terapeuta. Non è la stessa cosa se sono nel mio studio o<br />
a casa <strong>de</strong>ll’utente. Se mi si chiu<strong>de</strong> la porta, non significa necessariamente che non mi si vuol<br />
far entrare, ci sono forse altre ragioni. Si tratta di discuterne.<br />
Bassini<br />
In Italia si discute da anni <strong>de</strong>lla “domiciliarità”. Storicamente è la psichiatria che ha iniziato<br />
(legge Basaglia), in seguito è stata introdotta nel quadro <strong>de</strong>lle tossicodipen<strong>de</strong>nze, poi nel<br />
Servizio Educativo Territoriale che si occupa di minori e <strong>de</strong>lle famiglie in disagio. Il contesto<br />
<strong>de</strong>lla casa è importante per tutti gli operatori, non soltanto per gli psicoterapeuti. Il discorso<br />
<strong>de</strong>lla reciprocità è valido per diverse figure professionali. Inoltre, si parlava di “terapia<br />
familiare” che per noi significa che tutta la famiglia è presente, altrimenti si tratta di un<br />
“intervento familiare”.<br />
Sacco<br />
Per noi, la “terapia familiare” è un intervento al quale partecipano tutti i componenti <strong>de</strong>lla<br />
famiglia. Mentre andare in una casa è un “intervento familiare”.<br />
Delforge<br />
22
Ho una formazione psicanalitica, e sono in supervisione come terapeuta contestuale. Non<br />
parlo quindi come terapeuta familiare. Posso semplicemente spiegarvi brevemente come si<br />
integra la famiglia nel mio lavoro. Nella fattispecie, ho sempre incontrato i genitori <strong>de</strong>i<br />
bambini all’inizio <strong>de</strong>lle consultazioni per capire il bambino. Dopo continuavo il mio percorso<br />
con il bambino, ve<strong>de</strong>ndo di tanto in tanto i genitori. Non ho mai pensato che la psicanalisi nel<br />
suo “setting” classico e rigoroso fosse adatta al servizio pubblico. La Clinica <strong>de</strong>lla<br />
Concertazione mi ha consentito di dare più interesse ai legami e meno all’intrapsichico. Non<br />
so se faccio <strong>de</strong>lla terapia di sostegno, <strong>de</strong>lla terapia familiare. Ciò che mi interessa, è di<br />
mettermi a disposizione di questa mamma. Penso di fare un lavoro che agisce su tutto il<br />
sistema familiare anche se i membri <strong>de</strong>lla famiglia non sono tutti presenti. Mi preoccupavo<br />
anche <strong>de</strong>l papà.<br />
Sacco<br />
Metterei quest’ultimo “pezzo” all’inizio <strong>de</strong>l suo racconto. Condivido assolutamente il<br />
problema <strong>de</strong>ll’etichetta: qual è la mia i<strong>de</strong>ntità professionale? Ci si aspetta da me che sia<br />
barricata nel mio studio, altrimenti non sono più consi<strong>de</strong>rata una psicoterapeuta. Eppure, mi<br />
sembra di poter fare molto bene qualcosa di terapeutico al di fuori dal mio studio, in un<br />
corridoio o in un altro luogo. E’ altrettanto terapeutico, con i rischi che comporta il fatto di<br />
uscire dal proprio studio. Resta vero che la <strong>de</strong>finizione di questo lavoro al di fuori dal quadro<br />
rimane difficile. E’ ancora realmente psicoterapia?<br />
Verbale redatto da Elisabetta Mussio e tradotto da Ivana Pretta<br />
Interludio<br />
I rapporti che intrattengono la psicoterapia nel settore pubblico con quella <strong>de</strong>l settore privato<br />
sono complessi. Spesso, la prima consi<strong>de</strong>ra la seconda come un i<strong>de</strong>ale da raggiungere.<br />
Ultimamente, e fondamentalmente, è ad un tipo di contratto liberale che dovrebbe rifarsi<br />
qualsiasi psicoterapia 3 . Il contratto liberale costruito fra colui che cura e un paziente, nel quale<br />
l’offerta e la domanda si accordano perfettamente, costituirebbe l’essenza <strong>de</strong>lla terapia, il luogo<br />
dove quest’ultima si manifesterebbe nel modo più puro. Tuttavia, e la discussione di prima lo<br />
ha ben dimostrato, un tale contratto non è sempre realizzabile, e nemmeno auspicabile. Se<br />
conviene in alcuni casi particolari, e non si tratta assolutamente di negare l’utilità di questo<br />
tipo di psicoterapia, altre situazioni chiedono un altro tipo di risposta. Così, la psicoterapia nel<br />
settore pubblico forse non dovrebbe più cercare di colmare lo scarto che la separa dal settore<br />
privato, ma al contrario consi<strong>de</strong>rare positivamente il suo modo di proce<strong>de</strong>re, senza<br />
confrontarla sempre al contratto liberale, come se non ne fosse che una pallida copia, una<br />
misera approssimazione, sempre in difetto.<br />
Consi<strong>de</strong>randosi per se stessa, e non in riferimento al settore privato, la psicoterapia <strong>de</strong>l settore<br />
pubblico potrà allora aprirsi a nuove i<strong>de</strong>e, creare nuove forme di aiuto, corrispon<strong>de</strong>nti talvolta<br />
più alle doman<strong>de</strong> sconcertanti <strong>de</strong>lle famiglie in disagi multipli. Da questo punto di vista, è<br />
lasciata al settore pubblico una vera possibilità di innovazione, di creazione, di ricerca in<br />
psicoterapia. E allora si potrebbe dichiarare, forse un po’ audacemente, che è proprio nel<br />
settore pubblico che avrà luogo una vera ricerca nel campo <strong>de</strong>lla psicoterapia, mentre il settore<br />
privato rimarrebbe, rifugiato ad essere un ordine <strong>de</strong>l controllo, <strong>de</strong>lla normalizzazione.<br />
3 Notiamo al contrario che Michel Foucault, nelle sue belle analisi sulla nascita <strong>de</strong>lla medicina nel XVIII secolo, ci<br />
insegna che, alle origini, le medicina è sempre stata innanzitutto sociale.<br />
23
Verbale incontro<br />
lunedi 1 dicembre 2003, Alessandria, Palazzo Guasco<br />
LE DIVERSE FIGURE DEL LAVORO TERAPEUTICO DI RETE<br />
(Clinica <strong>de</strong>lla concertazione, concertazione clinica, clinica <strong>de</strong>lla staffetta, coordinamento…)<br />
Jean Marie Lemaire, psichiatra, terapeuta familiare, clinico di concertazione<br />
Apertura –Presentazione <strong>de</strong>i partecipanti<br />
Tacchino<br />
Stiamo componendo il materiale (verbali, lucidi, sociogenogrammi) con l’ambizione di<br />
formare un tutto coerente durante quest’estate. “Le diverse figure <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di<br />
rete” sarà l’argomento di oggi.<br />
Lemaire<br />
Mi sembra che lo spazio <strong>de</strong>l lunedì pomeriggio assuma il suo vero significato quando è legato<br />
agli altri incontri <strong>de</strong>l lunedì da una parte, e al costante lavoro di rete dall’altra. Direi quindi che<br />
le doman<strong>de</strong> sul lunedì prece<strong>de</strong>nte potrebbero darci la possibilità di cominciare il lunedì<br />
successivo.<br />
Tacchino<br />
Un approccio potrebbe essere quindi questo argomento che ritorna sempre, parlo <strong>de</strong>i “campi<br />
di sovrapposizione”. Far passare in primo piano i campi di sovrapposizione, rispetto al<br />
coordinamento che rimane importante, serve a cercare di cambiare le pratiche di intervento<br />
laddove tali modifiche si rendono necessarie. Il riconoscimento <strong>de</strong>lla forza convocatrice <strong>de</strong>l<br />
caso ci permette di valorizzare questi campi di sovrapposizione.<br />
Lemaire<br />
Dare valore ai campi di sovrapposizione, significa diminuire gli spazi chiusi. Se un<br />
professionista è spinto ad inva<strong>de</strong>re il campo specifico di un altro, allora c’è sovrapposizione.<br />
Sarebbe senza dubbio più proficuo consi<strong>de</strong>rarla non come un’invasione, nel suo senso<br />
negativo. Abbiamo spesso l’impressione che se questa sovrapposizione diventasse un dato<br />
positivo, allora i campi chiusi e le competenze specifiche per<strong>de</strong>rebbero un po’ <strong>de</strong>l loro valore.<br />
Ad esempio, se un insegnante si interessa all’alunno, ai suoi problemi, c’è una sovrapposizione<br />
<strong>de</strong>lle competenze tra l’insegnante e lo psicologo. Ma spesso si pensa che tutto ciò sia<br />
squalificante, che ci sia una perdita di energie. E’ la stessa cosa con i disagi multipli <strong>de</strong>lle<br />
famiglie. Quest’ultime ci rivolgono <strong>de</strong>lle doman<strong>de</strong> che non corrispondono a ciò che si propone<br />
loro tradizionalmente, oppure chiedono alcuni compiti ai servizi che non ne hanno la titolarità,<br />
la competenza. Giungiamo allora ad alcune situazioni inattese, siamo sconcertati, e ci può<br />
capitare di rigettarne l’errore sulla famiglia, di accusarla di non rispettare la coordinazione.<br />
Eppure, agendo in questo modo, andiamo a chiu<strong>de</strong>re la situazione e ad impedire la ricerca<br />
<strong>de</strong>lle risorse residuali. Occorre quindi cercare di pren<strong>de</strong>re in consi<strong>de</strong>razione le due cose<br />
contemporaneamente: da una parte consi<strong>de</strong>rare la sovrapposizione positivamente, attraverso la<br />
nozione di campo di sovrapposizione, e dall’altra parte non in<strong>de</strong>bolire, ma al contrario<br />
rafforzare le competenze specifiche <strong>de</strong>i professionisti.<br />
Tacchino<br />
Tre anni di Clinica ci hanno fatto conoscere molti professionisti di diverse origini, ma la<br />
questione <strong>de</strong>ll’intruso è passata in secondo piano. Questo tema <strong>de</strong>ll’intrusione, per dirlo in<br />
altro modo il tema <strong>de</strong>lla critica <strong>de</strong>i campi chiusi, non mi interessa, se è fine a se stessa. Oggi,<br />
24
preferisco conoscere le difficoltà che i professionisti incontrano nel quotidiano, nelle loro<br />
pratiche per arrivare all’ “apertura”.<br />
Lemaire<br />
Parlerò <strong>de</strong>llo sviluppo <strong>de</strong>l “lavoro terapeutico di rete”. Per dodici anni <strong>de</strong>lla mia formazione<br />
come psichiatra, sono stato educato ad un certo tipo di lavoro terapeutico tradizionale. Dopo<br />
questa prima esperienza, sono passato con difficoltà alla terapia familiare. Questa transizione<br />
si è rivelata <strong>de</strong>licata, perché ero consi<strong>de</strong>rato un contestatario; fu ancora più difficile da<br />
negoziare il passaggio al coordinamento, che non era allora consi<strong>de</strong>rata nella pratica<br />
terapeutica. Ci fu in seguito l’approccio comunitario, molto apprezzato a Trieste. Aggiungerei<br />
che una <strong>de</strong>lle difficoltà nell’affrontare gli altri tipi di lavoro non tradizionali può provenire dalla<br />
mancanza di opere di riferimento su questi soggetti. E’ stato scritto molto poco sulle figure<br />
terapeutiche che costituiscono il Coordinamento o il Passaggio. Questo stato di cose potrebbe<br />
<strong>de</strong>rivare dal fatto che sono le famiglie le vere esperte di queste nuove forme di lavoro. Sono loro<br />
che effettivamente ci insegnano come lavorare meglio. Le famiglie non vanno dove le<br />
aspettiamo, e dobbiamo quindi modificare il nostro modo di lavorare. Questa urgenza di un<br />
nuovo quadro terapeutico mi si è imposto quando ho sentito dire da alcuni professionisti, a<br />
proposito di queste famiglie in disagi multipli: “come dare da bere ad un asino che non ha<br />
sete?”. Dovevo reagire, e chie<strong>de</strong>rmi perché le famiglie non accettavano le nostre offerte.<br />
E’ allora che si sono posti diversi problemi. Accettare <strong>de</strong>i nuovi tipi di lavoro terapeutico<br />
significava rimettere in discussione la gerarchia tradizionale <strong>de</strong>l lavoro terapeutico. In<br />
quest’ultima, il primo posto è occupato evi<strong>de</strong>ntemente dal colloquio individuale – in maniera<br />
sintomatica il contratto liberale. A questo proposito, la coordinazione (che esiste<br />
evi<strong>de</strong>ntemente da molto tempo) si piazzava in seconda posizione. Dopo essersi resi conto che<br />
le famiglie non venivano dove le si aspettava, c’è stato il bisogno di chie<strong>de</strong>rsi dove ci<br />
aspettavano. Nella nuova gerarchia che proponevo allora, non si trattava più di lasciare il<br />
colloquio individuale al primo posto. E’ piuttosto la Clinica di Concertazione che occupava la<br />
prima posizione, seguita dalla Concertazione Clinica, la Clinica <strong>de</strong>lla Staffetta, il colloquio<br />
individuale, il Passaggio e il Coordinamento. La vera novità in questa nuova gerarchia<br />
consisteva sicuramente nella Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione, che non bisogna confon<strong>de</strong>re con un<br />
Coordinamento. Nella Clinica di Concertazione, si tratta di rinunciare alle finalità immediate,<br />
di coltivare i conflitti praticabili, il dibattito contraddittorio, e non di appianare il dibattito per<br />
trovare una soluzione a tutti i costi.<br />
Mi rendo conto oggi, dopo dieci anni, che fu un errore quello di opporre le due gerarchie,<br />
dando il mio consenso alla seconda. C’era sicuramente all’inizio una volontà negativa di critica<br />
<strong>de</strong>lla gerarchia tradizionale. Sicuramente mi sembrava che fosse necessaria l’opposizione <strong>de</strong>lle<br />
due gerarchie, al fine di voler far accettare la seconda. Tuttavia oggi, credo che con<br />
l’estensione alla Clinica di Concertazione non abbiamo più bisogno di gerarchie opposte.<br />
Inoltre, non nego assolutamente l’utilità <strong>de</strong>lla terapia individuale, io stesso pratico questo tipo<br />
di terapia, ricevo <strong>de</strong>i pazienti nel mio studio per <strong>de</strong>i colloqui individuali. Ma mi sembra che<br />
lavorare in Concertazione rinforzi proprio il lavoro individuale, e che rinforzi anche la<br />
“privacy”.<br />
Credo quindi che la cura non si possa limitare al colloquio individuale. Può capitare, a seconda<br />
<strong>de</strong>l compito e <strong>de</strong>ll’impegno che ci è chiesto, che ci si ritrovi in una terapia o in un’altra. Certo,<br />
la legge dice che soltanto i medici e gli psicologi possono fare <strong>de</strong>lla terapia, ma gli utenti non<br />
la pensano così. La terapia relazionale non può risolversi e non si risolve con la ricetta medica.<br />
Evi<strong>de</strong>ntemente non è un errore <strong>de</strong>lla famiglia il fatto che attivi numerose istituzioni nella rete,<br />
e non è che non si accontenti <strong>de</strong>ll’offerta tradizionale <strong>de</strong>l colloquio individuale. Questa vasta<br />
implicazione non nuoce, al contrario mi sembra che produca una crescita. Usciamo quindi<br />
<strong>de</strong>finitivamente dalle gerarchie e consi<strong>de</strong>riamo tutte le figure <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di rete<br />
sullo stesso piano. Al fine di non introdurre più gerarchia discriminante, proponiamo così di<br />
25
disporre le diverse figure <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di rete su di un cerchio, che può essere girato<br />
come si vuole.<br />
Vedi lo schema pag.seg.<br />
Le figure <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di rete<br />
I professionisti <strong>de</strong>ll’aiuto, <strong>de</strong>lla cura, <strong>de</strong>ll’educazione e <strong>de</strong>l controllo sono invitati dagli<br />
utenti a partecipare a diverse figure <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di rete. Questo invito può assumere<br />
le forme più diverse e più creative. Al momento <strong>de</strong>ll’appello, i professionisti non possono<br />
sempre sapere le condizioni che gli permetteranno di riconoscere, facilmente, le figure alla<br />
quale è invitato e qualche volta è obbligato a partecipare.<br />
La Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione è uno spazio di ricerca dove ci si impegna a migliorare<br />
l’intuito <strong>de</strong>i professionisti nel riconoscere le figure nella quale sta per implicarsi o sta per<br />
essere implicato e forse anche quelle che lui stesso può proporre se la ritiene migliore di quelle<br />
proposte.<br />
Per presentare le figure i<strong>de</strong>ntificate, senza introdurre una gerarchia discriminante, noi<br />
le abbiamo disposte in cerchio di conseguenza l’orientamento può essere facilmente<br />
modificato con un movimento di rotazione<br />
Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione = XUdC + XPdC + XPpC + XPndC + 1CC +Ag + Ag + Sg<br />
Pratica <strong>de</strong>l Passaggio = 1PdC + 1PpC<br />
Clinica <strong>de</strong>lla Staffetta = 1 o XUDC + 1PdC + XPpC + Ag + Ag<br />
Colloquio individuale, Clinica <strong>de</strong>lla Consultazione = 1PdC + 1 o XUdC + Ag + Ag<br />
Concertazione Clinica = XUdC + XPdC + XPpC + 1CC facoltativo + Sg + Ag + Ag<br />
Coordinamento = XPpC<br />
Legenda: C = coinvolto; dC = direttamente coinvolto; ndC = non direttamente coinvolto;<br />
pC = potenzialmente coinvolto; CC = Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione;<br />
26
P = professionista; U = utente; X = un certo numero di<br />
Ag = Agenda <strong>de</strong>gli utenti; Ag = Agenda <strong>de</strong>i professionisti<br />
Sg = sociogenogramma<br />
Psicologa argentina<br />
Come l’informazione arriva agli “asini”? Come i professionisti riescono a capire e a capirsi?<br />
Lemaire<br />
E’ la questione <strong>de</strong>lla forza convocatrice <strong>de</strong>lla famiglia che entra in gioco. A chi possono<br />
rivolgersi gli utenti? Questa domanda è stata posta un giorno qui da un genitore. Per questo,<br />
basta avere fiducia nella forza convocatrice <strong>de</strong>lla famiglia. E’ lei che sa meglio come attivare i<br />
professionisti. Per esempio, se un bambino ha <strong>de</strong>lle difficoltà a scuola, è possibile rivolgersi a<br />
una persona di fiducia, ovvero agli insegnanti, senza troppo chie<strong>de</strong>r loro, ma sapendo che essi<br />
stessi possono attivare altri professionisti che curano. E poi bisogna consi<strong>de</strong>rare il<br />
trasferimento di fiducia, <strong>de</strong>ve uscire dall’astratto e <strong>de</strong>ve essere verificato nella pratica<br />
concertativa.<br />
Gemelli<br />
Dove lo si può fare. Questo trasferimento di fiducia non si può effettuare ovunque. Per<br />
esempio, con il magistrato non si può.<br />
Lemaire<br />
Si, è vero. Nel campo <strong>de</strong>lla giustizia c’è una libertà da assicurare e il trasferimento <strong>de</strong>lla fiducia<br />
non è sempre possibile né auspicabile. A questo proposito, la separazione netta è garantita. Ma<br />
io valorizzerei gli spazi dove questo trasferimento <strong>de</strong>lla fiducia è possibile, piuttosto che gli<br />
spazi non praticabili. Ritornando alla domanda, credo che aprendo questa pratica al territorio<br />
si <strong>de</strong>stabilizzi rapidamente i professionisti. Certo, la perdita di un quadro rigido con <strong>de</strong>lle<br />
regole <strong>de</strong>ve essere compensata da un quadro rigoroso. Bisogna allora costruire una pratica<br />
rigorosa con <strong>de</strong>lle regole e questo si fa con il lavoro e la calma. Ad esempio, quando un<br />
genitore parla all’insegnante, cosa vuole veramente? Non è facile capirlo.<br />
Amerio<br />
Aprire la Concertazione è talvolta difficile a causa <strong>de</strong>lle risposte immediate di alcuni servizi. La<br />
risposta non è automatica nel campo psichiatrico. Anche per la famiglia a volte è difficile<br />
aprire la concertazione. E’ ancora più difficile quando si esce dallo spazio ristretto <strong>de</strong>l nucleo<br />
familiare.<br />
Lemaire<br />
Dobbiamo offrire uno spazio abitabile per le famiglie in disagio multiplo. E manca meno di<br />
quanto non si possa immaginare. E’ difficile in effetti rifiutare il richiamo di una famiglia in<br />
disagio. Una volta che questa ci ha attivato, ci riveliamo spesso capaci di offrirle uno spazio<br />
abitabile. Per aiutarci, bisogna quindi riconoscere e sostenere i diversi contatti. Ma anche<br />
negoziare con le figure <strong>de</strong>l lavoro di rete, utilizzare l’immaginazione. In questa prospettiva, il<br />
cerchio che contiene tutte le figure non <strong>de</strong>ve irrigidirci in questa rappresentazione. Non<br />
rappresenta che un’i<strong>de</strong>a generale, che può essere discussa. Il dibattito stesso attorno alle<br />
figure, o alla forza convocatrice <strong>de</strong>lla famiglia diventa terapeutico in sé.<br />
Aggiungiamo inoltre che l’agenda rappresentata sullo schema è l’agenda vera e propria, non è<br />
inserita in senso figurato. Le equazioni sottolineano l’aspetto concreto <strong>de</strong>l lavoro. Quando si<br />
parla di aprire all’incatenamento è ovvio che non è facile. La Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione non<br />
può essere aperta da un’istituzione, <strong>de</strong>ve essere un’esperienza sostenuta collettivamente con<br />
una staffetta politico-organizzativa.<br />
27
Tacchino<br />
Proveremo ad inviarvi le bozze <strong>de</strong>gli ultimi due lunedì, spero che le arricchirete con le vostre<br />
annotazioni. Il prossimo incontro avrà luogo il 26 di gennaio, per il venerdì ci si ve<strong>de</strong> il 12<br />
dicembre. Vi ricordo che il lunedì mattina è sempre a disposizione per i servizi o le scuole.<br />
Lemaire<br />
La dott.sa Mussio può aiutarvi per l’organizzazione perché la preparazione è fondamentale.<br />
Non ci si <strong>de</strong>ve spostare per forza. Questa sala è sempre disponibile.<br />
Mussio<br />
Siamo disponibili per anche per i venerdì.<br />
Tacchino<br />
Bisogna sempre pensare alla staffetta <strong>de</strong>i clinici. La disponibilità a impegnarsi nel territorio<br />
aumenta. Ci sono sei persone nella rete di Alessandria che si sono impegnate nella formazione<br />
a Torino (Marina Moreddu, Monica Ferrero, Betty Mussio, Graziana Vommaro, Margherita<br />
Bassini e Santina Gemelli), sarebbe importante pensare al modo in cui queste persone possono<br />
aiutare la rete. La loro disponibilità a pren<strong>de</strong>re in carico la staffetta come cliniche di<br />
concertazione consentirebbe di programmare <strong>de</strong>i nuovi interventi per il prossimo anno in un<br />
modo più articolato. Chiedo loro di essere presenti, se possibile, alla clinica di gennaio.<br />
28
Verbale incontro<br />
lunedi 26 gennaio 2004, Alessandria, Palazzo Guasco<br />
L’ARTICOLAZIONE DELLE VARIE FIGURE<br />
DEL LAVORO TERAPEUTICO DI RETE<br />
Jean Marie Lemaire, psichiatra, terapeuta familiare, clinico di concertazione<br />
Apertura – presentazione <strong>de</strong>i partecipanti<br />
Lemaire<br />
Dalla mia esperienza sono stato portato a modificare la gerarchia tradizionale <strong>de</strong>lle figure <strong>de</strong>l<br />
lavoro di rete nella quale il colloquio individuale si situa in cima. La scommessa è che la<br />
contestazione di questa gerarchia, il rifiuto <strong>de</strong>l primato <strong>de</strong>l solo colloquio individuale a<br />
discapito <strong>de</strong>gli altri tipi di terapie non siano distruttivi ma critici. A questo proposito, la<br />
gerarchia che avevo proposto, in modo un po’ caricaturale, <strong>de</strong>ve essere interpretata come un<br />
campanello d’allarme. Avevo allora cercato di articolare diversamente, in un’altra gerarchia,<br />
l’approccio collettivo, i campi di sovrapposizione, il lavoro di rete. Questa innovazione era<br />
richiesta dal fatto che possiamo essere attivati da diverse figure <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di rete, e<br />
dal fatto che la domanda <strong>de</strong>ll’utente spesso supera quella di un semplice colloquio individuale.<br />
In <strong>de</strong>finitiva bisognava quindi cercare di uscire dalla gerarchia, per entrare in un cerchio che<br />
gira.<br />
Esistono due vie attraverso le quali siamo attivati a lavorare in concertazione. O una sola<br />
persona attiva due istituzioni diverse che non ne sono a conoscenza, oppure molti soggetti<br />
sono attivati sullo stesso caso, e costruiscono così un’unità potenziale di trattamento. E’ a<br />
questo punto che andiamo ad introdurre questa nuova competenza che è il lavoro di rete nel<br />
nostro bagaglio.<br />
L’iniziativa di questo lavoro di rete proviene dagli utenti. Sono loro che, attraverso la loro forza<br />
convocatrice, ci obbligano a lavorare dove non siamo abituati a lavorare, nelle zone di<br />
sovrapposizione. Questo succe<strong>de</strong>, ad esempio, quando l’utente si rivolge allo sportello<br />
“sbagliato”, dove non lo si aspetta. Prendiamo una situazione in cui la rete è attivata da più<br />
poli: c’è un ragazzino di quattordici anni che è conosciuto dalla polizia; ha una sorella minore<br />
che frequenta la scuola materna e la madre parla <strong>de</strong>lla sua <strong>de</strong>pressione all’educatrice <strong>de</strong>lla<br />
materna. Potremmo dire che questa mamma ha sbagliato sportello, e non capire che lei sta<br />
facendo appello all’educatrice per un suo problema mentre non è il compito di quest’ultima.<br />
Ma si potrebbe anche capire questa situazione in maniera diversa, dicendosi che la mamma ha<br />
potuto verificare come la figlia è presa in carico e quindi ha più fiducia nell’educatrice che non<br />
in un buon psichiatra. La mamma, sbagliandosi di sportello, fa qualcosa di molto intelligente:<br />
fa progredire la rete. E se inoltre esiste un legame di fiducia tra l’educatrice e la/lo<br />
psicoterapeuta, l’educatrice acquisirà un ruolo fondamentale per il passaggio.<br />
In Belgio, i centri di aiuto sono divisi in centri per adulti, centri per adolescenti e centri per<br />
bambini. Un tale spezzettamento e divisione <strong>de</strong>lle pratiche rischia di nuovo di mostrare <strong>de</strong>lle<br />
incrinature quando si tratterà di occuparsi di alcune situazioni, come quelle <strong>de</strong>lle famiglie in<br />
disagio multiplo. Se ad esempio un ragazzino di quattordici anni è ricoverato per aver ingerito<br />
<strong>de</strong>lle pasticche e la mamma è ricoverata per una crisi <strong>de</strong>pressiva, il padre (e marito) tratterà<br />
29
con due équipes separate. Bisogna quindi consi<strong>de</strong>rare che questo disagio multiplo ha una<br />
dinamica estensiva che crea <strong>de</strong>lle risorse.<br />
Quando una famiglia attiva numerose istituzioni, sbagliando interlocutori inconsapevolmente,<br />
è importante esten<strong>de</strong>re la fiducia, ovvero bisogna riconoscere le figure chiamate dalla famiglia,<br />
senza per questo incoraggiare l’approccio sistemico o la terapia familiare. Non si vuole<br />
squalificare la psicoterapia, anch’io la pratico. Ma penso all’assistente sociale, all’educatrice,<br />
che creano un trasferimento di fiducia che è qualcosa di molto importante.<br />
Tacchino<br />
Ho due brevi doman<strong>de</strong>, che si riferiscono allo stesso tema, quello <strong>de</strong>l legame. Come si produce<br />
il trasferimento <strong>de</strong>lla fiducia allo scopo di costituire un’unità di trattamento?<br />
Carina<br />
La fiducia è la parola chiave che fa il sostegno. La persona va dove c’è fiducia, anche prima di<br />
avere coscienza <strong>de</strong>lla situazione. Sente dove si può fare qualcosa. La continuità tramite la<br />
fiducia crea un luogo abitabile perché l’utente (la persona in questione) sa che i professionisti<br />
sanno. La fiducia è la sicurezza <strong>de</strong>lla persona.<br />
E’ evi<strong>de</strong>ntemente perché l’utente trova <strong>de</strong>lle persone nelle quali ha fiducia che si può avere<br />
l’impressione che sbagli sportello, che rifiuti l’offerta, che rompa il legame. La competenza non<br />
è il primo criterio quando si ha bisogno di aiuto. Si preferisce spesso ricorrere innanzitutto alle<br />
persone di cui ci si fida. Nella situazione presentata qui sopra, la mamma, per parlare <strong>de</strong>lla sua<br />
<strong>de</strong>pressione, si rivolge all’educatrice <strong>de</strong>lla materna, con la quale ha avuto occasione di avere<br />
già qualche contatto, invece di ricorrere direttamente ad uno psicologo o psichiatra, forse più<br />
competente, ma che non conosce. Allora, piuttosto che consi<strong>de</strong>rare questo trasferimento di<br />
fiducia come inutile, come una perdita, bisognerebbe interessarsene e utilizzarlo allo scopo di<br />
costruire una rete utile all’utente.<br />
Lemaire<br />
Bisogna distinguere bene una “rete di fiducia” da una rete nella quale la fiducia venga<br />
capitalizzata. Non si tratta di creare una rete di assoluta trasparenza, nella quale tutti<br />
sarebbero al corrente di tutto. La discrezione è necessaria, e un lavoro di rete come questo<br />
pone ovviamente <strong>de</strong>lle questioni fondamentali, in particolare sul trasferimento<br />
<strong>de</strong>ll’informazione, e in particolare sul segreto professionale. Qual è l’informazione<br />
condivisibile? Quali informazioni <strong>de</strong>vono aiutare la creazione di spazi d’intimità? Per esempio,<br />
nella figura particolare <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di rete che costituisce la Clinica di<br />
Concertazione, il lavoro attorno ad una situazione, in presenza di numerosi professionisti,<br />
siano essi direttamente coinvolti o no, metterà l’accento su ciò di cui la famiglia va fiera<br />
piuttosto che su ciò di cui ha vergogna. Tutt’altra dinamica, positiva, sarà quindi creata, e<br />
permetterà di esaminare la situazione sotto un’altra prospettiva, applicandosi specialmente alle<br />
risorse residuali, agli elementi positivi, solidi <strong>de</strong>lla rete, piuttosto che alle mancanze su cui la<br />
psicoterapia si applica troppo spesso. La fiducia è il mattone <strong>de</strong>l lavoro di rete.<br />
La Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione è al servizio <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla staffetta e non il contrario. Noi<br />
comunichiamo che siamo disponibili a sperimentare nuovi mo<strong>de</strong>lli concertativi. Ma queste<br />
proposte di lavoro di rete incontrano <strong>de</strong>lle resistenze, che si possono capire. Se rappresentiamo<br />
schematicamente la situazione, possiamo consi<strong>de</strong>rare due estremi nel lavoro terapeutico: da un<br />
lato il colloquio individuale e dall’altro lato la “piazza gran<strong>de</strong>” (vedi schema a fine capitolo).<br />
Chi è abituato a lavorare nel privato pensa che se modifica la sua pratica, se apre il suo studio<br />
ermeticamente chiuso, allora si finirà necessariamente sulla piazza pubblica. E’ vero anche che<br />
quando si verifica questo salto brusco da un’estremità all’altra, questo possa rivelarsi<br />
distruttivo. Può capitare che si espongano sul giornale alcune informazioni molto intime, che<br />
non migliorano ovviamente la situazione esposta.<br />
30
Tuttavia, questo salto radicale da un estremo all’altro non è necessario. Crediamo infatti che<br />
c’è <strong>de</strong>llo spazio fra questi due poli per le altre figure <strong>de</strong>l lavoro terapeutico di rete, che oscillano<br />
tra la chiusura radicale <strong>de</strong>llo studio <strong>de</strong>llo psichiatra e l’apertura pericolosa, perché non pensata,<br />
<strong>de</strong>lla piazza pubblica. Al contrario, l’apertura che reclamiamo in maniera incondizionata per<br />
ciò che riguarda la Clinica di Concertazione non significa, l’abbiamo sottolineato, una<br />
trasparenza assoluta <strong>de</strong>lla situazione esposta. Abbiamo d’altron<strong>de</strong> confrontato il verbale di una<br />
Clinica con l’articolo di un giornale che trattavano lo stesso caso. Il verbale si è rivelato più<br />
rispettoso <strong>de</strong>ll’articolo. Aggiungiamo inoltre che queste figure intermediarie non sono create<br />
artificialmente da noi professionisti. Sono richieste dagli utenti.<br />
Nel quadro <strong>de</strong>i disagi multipli, le buone esperienze possono essere formative e possono quindi<br />
essere trasferite ad un altro pezzo <strong>de</strong>lla rete, dove si ve<strong>de</strong> che l’organizzazione <strong>de</strong>l lavoro di<br />
cura, di aiuto, di aiuto e di controllo diventa inseparabile dal lavoro di cura, di aiuto e di<br />
controllo. Ed è questa stessa associazione che ren<strong>de</strong>rà il lavoro terapeutico. Ad esempio, un<br />
professionista direttamente coinvolto, come l’educatrice <strong>de</strong>lla materna, ha guadagnato la<br />
fiducia <strong>de</strong>lla mamma a partire dal buon rapporto che ha con la figlia. Questo è uno spazio<br />
abitabile, che non può essere costruito se non attraverso la pratica. Il trasferimento di fiducia è<br />
essenziale nel lavoro di rete e non lo si impara in maniera astratta.<br />
Damaschi<br />
I legami disegnati sul sociogenogramma non sono ripartiti in maniera omogenea. Si ve<strong>de</strong><br />
chiaramente una certa distanza tra i professionisti.<br />
Lemaire<br />
I mezzi di comunicazione attivati dal ragazzo sono potenti, è vero, ma la fiducia si instaura più<br />
faticosamente. C’è molta più fiducia nell’interesse condiviso per la figlia. E’ un rapporto<br />
inversamente proporzionale. Bisogna riconoscere la forza convocatrice <strong>de</strong>lla famiglia che<br />
riesce ad attivare <strong>de</strong>lle pratiche legate ai campi di sovrapposizione. Di nuovo, sempre in questa<br />
situazione, bisogna rovesciare la gerarchia tradizionale <strong>de</strong>lla rete. Chi ha studiato molto<br />
potrebbe, ad esempio, conoscere poco <strong>de</strong>i campi dove le competenze si applicano, il che<br />
significa che non siamo formati a lavorare nelle figure intermediarie, dove gli utenti ci<br />
aspettano. E’ la famiglia che ci propone una nuova gerarchia.<br />
Tacchino<br />
Cosa ne è <strong>de</strong>ll’equilibrio <strong>de</strong>llo scambio? Si tratta di mettere la lente di ingrandimento sui<br />
campi di sovrapposizione seguendo il trasferimento di fiducia; ma non si tratta solo di una<br />
questione i<strong>de</strong>ologica? In pratica, come utilizzare questi campi di sovrapposizione? Come fare<br />
per superare i segmenti clinici tra le diverse istituzioni convocate dalla famiglia?<br />
Lemaire<br />
Stai parlando <strong>de</strong>i segmenti clinici. Tra la scuola materna e l’ospedale questo segmento è<br />
visibile, basta che la rete informale si manifesti. Dobbiamo capire, quando il ragazzo ha <strong>de</strong>i<br />
problemi, quale trasferimento di fiducia recuperare e come farlo, sotto l’aspetto educativo in<br />
questo caso. Ma come funziona l’alchimia scuola materna - ospedale? Non possiamo copiare<br />
da una situazione già affrontata, tutto è sempre da rifare, questo campo <strong>de</strong>ve essere praticato<br />
come se fosse la prima volta, perché le situazioni sono diverse. E il trasferimento è anch’esso<br />
sempre diverso, dobbiamo quindi sempre rapportarci alla pratica. Detto questo, il punto di<br />
vista teorico, che noi sviluppiamo al momento, non <strong>de</strong>ve essere consi<strong>de</strong>rato per questo come<br />
superfluo. La riflessione sui concetti ha ugualmente la sua importanza, e sarà forse bene<br />
recuperare la nostra esperienza di Alessandria, perché tutto ciò che abbiamo imparato non è<br />
ancora stato sistematizzato.<br />
31
Repetto<br />
Esiste una riconoscenza e una conoscenza reciproca a livello formale? Parlava di una rete<br />
informale e sociale, ma esiste un momento formalizzato e forse periodico che sia <strong>de</strong>dicato a<br />
questa ri-conoscenza?<br />
Lemaire<br />
Noi proponiamo effettivamente di avere uno spazio tutti i mesi che permetterebbe di occuparsi<br />
di questa ri-conoscenza. Ognuno può valutarvi il proprio lavoro, rispetto agli altri e alle<br />
concertazioni già viste. Quindi la riconoscenza reciproca <strong>de</strong>ve far parte di uno spazio abitato,<br />
vissuto, anche se è immerso in una realtà di rivalità che sappiamo esistere. Questa mattina<br />
abbiamo visto che in alcuni ambiti scolastici, i professionisti usano il metodo <strong>de</strong>llo<br />
scaricabarile, in una specie di dinamica negativa. Ma il CTP, se ci si pensa, trasforma in<br />
positivo questa realtà. Bisogna trasformare questo “scaricabarile” in una Clinica <strong>de</strong>lla staffetta,<br />
che accetterà questo compito in un modo positivo e pensato.<br />
Possiamo sommariamente far ve<strong>de</strong>re in cosa consista il trasferimento di fiducia in diverse<br />
figure terapeutiche <strong>de</strong>lla rete. Così, per quanto riguarda la Concertazione Clinica: è una messa<br />
in compresenza di diverse Cliniche <strong>de</strong>lla staffetta (ad es. la telefonata tra l’assistente sociale e il<br />
psicoterapeuta). In una Concertazione Clinica non prendiamo unicamente un segmento, ma<br />
tutta la storia <strong>de</strong>lla famiglia con la rete. Possiamo quindi, a partire da questa figura, trovare <strong>de</strong>i<br />
trasferimenti di fiducia interessanti. Rimane pur vero che questo trasferimento di fiducia è una<br />
pratica poco utilizzata. E lo spazio di riconoscimento, indispensabile a qualsiasi trasferimento,<br />
è difficile da creare, a causa <strong>de</strong>lla paura di per<strong>de</strong>rvi le proprie competenze specifiche.<br />
Proiezione <strong>de</strong>l lucido…<br />
Come può uno spazio in difficoltà imparare qualcosa da un’altra esperienza? Come scoprire i<br />
segmenti – risorse? La Clinica <strong>de</strong>lla concertazione consiste essa stessa in una sovrapposizione<br />
di diverse Concertazioni Cliniche. E’ uno spazio di supervisione permanente dove la nostra<br />
pratica è valutata dagli altri. Una parte <strong>de</strong>l nostro mestiere è giudicata dai nostri colleghi. E’<br />
ciò che la ren<strong>de</strong> temibile. Ma il riconoscimento non si produce sulla base <strong>de</strong>gli errori <strong>de</strong>gli<br />
altri. Al contrario, è creato dai punti positivi <strong>de</strong>ll’impegno nel lavoro. Non si distruggono le<br />
competenze, si condividono. Non si capitalizza la fiducia, si capitalizzano i mezzi per<br />
ottenerla. E questo costituisce forse una <strong>de</strong>lle vie che permettono il passaggio dal controllo<br />
all’aiuto, grazie all’utente.<br />
Tacchino<br />
Consi<strong>de</strong>ro il tema di oggi come importante e non esaurito. Sono cose su cui bisogna<br />
continuare a riflettere. Inoltre, mi sembrano centrali per i professionisti coinvolti nel settore<br />
scolastico. Abbiamo affrontato questi concetti anche come genitori e mi sembra che le<br />
categorie individuali e le consi<strong>de</strong>razioni generali non aiutino molto. Bisognerebbe sempre<br />
pensare queste questioni con la prospettiva di affrontare <strong>de</strong>lle situazioni concrete.<br />
Verbale redatto da Giorgio Abonante e Betty Mussio e tradotto da Ivana Pretta<br />
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Verbale incontro<br />
Lunedì 16 febbraio 2004 – Palazzo Guasco, Alessandria<br />
IL SEGRETO CHE FA PARLARE<br />
Vinciane Despret, filosofa, psicologa - Università di Liegi e Bruxelles<br />
Apertura – Presentazione <strong>de</strong>i partecipanti<br />
Vinciane Despret<br />
Mi interesso di psicologia animale e di etologia non tanto perché io sia un'amante <strong>de</strong>gli<br />
animali, quanto per l'ammirazione nei confronti <strong>de</strong>lle persone che si occupano di animali.<br />
Sono persone che hanno dovuto cambiare le proprie pratiche, che si chie<strong>de</strong>vano cosa avrebbe<br />
potuto interessare all'uomo e ora pensano a cosa sono interessati gli animali; un ribaltamento<br />
funzionale al tentativo di avvicinare gli animali, condizione minima per l'attività studio.<br />
Quindi i ricercatori si scoprono, fanno ve<strong>de</strong>re sempre cosa fanno, si mostrano per eliminare la<br />
diffi<strong>de</strong>nza. Con queste premesse diventa interessante chie<strong>de</strong>rsi come gli animali vedono noi. I<br />
ricercatori che hanno prodotto lavori significativi hanno usato la cortesia per far diventare<br />
l'apprendimento interessante. Studi condotti sui babbuini sono partiti dal presupposto che per<br />
studiarli occorre avvicinarli e per avvicinarli bisogna sapere se lo vogliono. Il babbuino ci <strong>de</strong>ve<br />
ve<strong>de</strong>re e <strong>de</strong>ve sempre sapere o poter preve<strong>de</strong>re ciò che stiamo per fare. Quando ci<br />
comportiamo in modo naturale e il babbuino lo ve<strong>de</strong> allora ci lascia avvicinare. Compren<strong>de</strong>re<br />
come farsi ospitare da un gruppo di babbuini passa da una domanda fondamentale; 'Cosa è<br />
importante per loro?'<br />
Più in generale la domanda è 'ciò che sto facendo è un mio problema o lo è per l'animale?', la<br />
risposta precisa non c'è anche perché l'animale non rispon<strong>de</strong>. Posso però chie<strong>de</strong>rmi come<br />
permetto loro di pren<strong>de</strong>re posizione nei miei confronti.<br />
La questione <strong>de</strong>l segreto in terapia si sviluppa attraverso queste consi<strong>de</strong>razioni. E' un<br />
problema per chi si rivolge al terapeuta o per il terapeuta stesso? Il segreto costringe a ripetere<br />
sempre le stesse cose oppure a trasgredire. Ci si <strong>de</strong>ve chie<strong>de</strong>re come aprire lo spazio, come<br />
ren<strong>de</strong>re le cose disponibili perché le persone possano pren<strong>de</strong>re posizione, la questione <strong>de</strong>l<br />
segreto è centrale per i professionisti. In altre culture il segreto è di proprietà <strong>de</strong>l terapeuta, non<br />
<strong>de</strong>l paziente. Nella nostra tradizione abbiamo due tipi di segreto con stessa funzione ma<br />
ragioni storiche diverse.<br />
Esempio: a Parigi alla fine <strong>de</strong>l XIX secolo Achille si presenta presso l'ospedale psichiatrico più<br />
famoso ma viene dirottato nell'istituto di un importante psichiatra. Achille presenta sintomi di<br />
presenze <strong>de</strong>moniache manifestate con urla e bestemmie, è convinto di essere posseduto. Il<br />
primario indaga nel suo passato, il paziente spiega che è un uomo d'affari di una piccola città<br />
<strong>de</strong>lla Provenza e che in un viaggio di lavoro ha tradito la moglie, il senso di colpa non gli dà<br />
tregua, da quel momento il diavolo secondo lui lo possie<strong>de</strong>. Lo psichiatra lentamente lo fa<br />
parlare, gli fa rivelare il segreto; Achille, liberatosi dal peso <strong>de</strong>l segreto, guarisce. Achille<br />
rappresenta due mondi che si incontrano, quello esterno in cui domina il diavolo e quello in<br />
cui è l'inconscio che agisce. C'è un mondo religioso all'esterno e uno laico all'interno dove il<br />
diavolo non c'è. Nel primo mondo la guarigione avverrà attraverso strumenti esterni, con le<br />
armi <strong>de</strong>ll'esorcista. Nel secondo caso lo specialista guarirà l'interno, agendo sulla rivelazione<br />
<strong>de</strong>l segreto. Abbiamo bisogno di un esorcista quando siamo posseduti, di uno psichiatra<br />
quando abbiamo un segreto. Abbiamo bisogno di essere posseduti quando siamo in una<br />
regione con tanti esorcisti? O di tanti segreti che facciano ammalare le persone se siamo in una<br />
regione con tanti psichiatri? Sono gli psichiatri americani che producono disagi multipli? In<br />
altre parole, sono i farmaci che producono patologie? C'è qualcosa nel segreto che non è<br />
33
innocente. Sono gli psichiatri che hanno bisogno <strong>de</strong>l segreto che crei persone che hanno<br />
bisogno di psichiatri? Nella terapia individuale il terapeuta induce il paziente a rivelare cose<br />
intime (e non banali), che sono poi il segreto blindato, qualcosa di intimo che non sarà rivelato<br />
e che obbliga anche il paziente. Il segreto è, paradossalmente, un qualcosa che fa parlare. La<br />
pratica <strong>de</strong>l segreto nella terapia, si dice, è liberale, però lo stesso segreto compromette la<br />
trasmissione mettendo <strong>de</strong>i limiti alla dimensione pubblica <strong>de</strong>lla terapia. Il segreto ren<strong>de</strong> i<br />
terapeuti pericolosi: chi li giudica? Il segreto come dimensione politica, a livello collettivo, è<br />
ciò che alimenta il potere e come tale non si nascon<strong>de</strong>, principalmente separa. La secrezione è<br />
ciò di cui il corpo si priva, da cui si separa, l'etimologia è la stessa. Per me il segreto è ciò che<br />
organizza la separazione. Chi (e quali informazioni, e a chi) ha il diritto di ripetere? Se<br />
chiediamo a uno psichiatra 'mi parli <strong>de</strong>l suo paziente' la risposta è 'no'. E nemmeno se lo<br />
chie<strong>de</strong> l'équipe che si occupa <strong>de</strong>l paziente? Quali operatori possono chie<strong>de</strong>re notizie? Quindi<br />
alla domanda 'chi ha il diritto di preten<strong>de</strong>re le informazioni' non si rispon<strong>de</strong> facilmente, lo<br />
psichiatra ha il diritto di non dire, ma allora il segreto non ha nessun potere di organizzazione?<br />
Tutti hanno gli stessi diritti e doveri (e quindi questo discorso no ha senso)? Lo vediamo alla<br />
lavagna.<br />
Mussio<br />
Ho incontrato un genitore per un'iniziativa da sviluppare con i bambini e poco dopo<br />
l'assistente sociale mi ha parlato <strong>de</strong>lla stessa famiglia rivelandomi un segreto che non avrei<br />
dovuto lasciarmi sfuggire. La mia situazione era strana: i genitori mi conoscono, senza sapere<br />
che sono a conoscenza <strong>de</strong>l fatto, ma non ignorano che conosco l'assistente sociale che loro<br />
sanno essere al corrente.<br />
Oliviero<br />
Segreto di Franceschiello.<br />
Despret<br />
I terapeuti hanno ereditato dai preti la creazione d'intimità (il segreto diventa tale perché si<br />
può dire solo lì); l'intimità fisiologica incrocia quella religiosa. Il segreto, come abbiamo visto,<br />
ha organizzato relazioni complesse, non è la caricatura <strong>de</strong>lla distribuzione <strong>de</strong>l potere. R.<br />
Barrett dice che il segreto dà potere al terapeuta perché lo protegge dall'esterno. E dal punto di<br />
vista <strong>de</strong>l paziente? Il segreto <strong>de</strong>lla confessione per esempio è vero che spetta al prete ma lo<br />
stesso peccatore dovrebbe evitare di confessare segreti che riguardano altri. Gli utenti di Betty<br />
partendo da un segreto hanno organizzato una rete in modo tale da poter dire che sono stati<br />
tutt'altro che passivi. Se l'operatore incoraggia il segreto in un certo modo allora spinge a<br />
raccontare il peggio, perché ricordiamoci che non è segreto ciò che è bello. Il dibattito su<br />
questo tema non è semplice ma quando Barrett afferma certe cose vuole criticare l'i<strong>de</strong>a <strong>de</strong>l<br />
segreto che organizza l'autonomia <strong>de</strong>lle professioni che a un certo punto non rendono conto<br />
più a nessuno. Durante gli anni '70 (e ancora oggi) alcune pratiche hanno permesso di ve<strong>de</strong>re<br />
la persona come coordinatrice <strong>de</strong>lla rete, <strong>de</strong>ll'équipe, attivata dal soggetto stesso. Diverso è se<br />
guardiamo all'individuo e ai legami sociali, un insieme tutto scomposto e rivisto, in un sistema<br />
organizzato invece dal segreto. In questa visione il professionista protegge se stesso<br />
dall'esterno, dallo Stato, da tutto ciò che sta fuori.<br />
Lemaire<br />
Sulla situazione di Betty mi sembra che i pazienti non abbiano accettato il mo<strong>de</strong>llo e abbiano<br />
provato a inventarne un altro.<br />
Despret<br />
I pazienti non si fanno irretire, sfruttano il potere organizzativo <strong>de</strong>l segreto.<br />
34
Oliviero<br />
Ad ogni livello c'è un segreto; psichiatra - paziente poi si passa allo psicologo che si occupa <strong>de</strong>l<br />
comportamento e c'è un altro segreto, poi all'assistente sociale e ce n'è un altro ancora. Chi ha<br />
il potere è quindi il paziente che mette gli altri nelle condizioni di parlarsi per completare il<br />
quadro.<br />
Despret<br />
La storia <strong>de</strong>i babbuini insegna a non fidarsi. Quando dicono 'è un problema nostro o <strong>de</strong>i<br />
babbuini?' sanno che non è quella la domanda ma come viene posta. Allora la domanda vera è<br />
'avrà ripercussioni sulla loro vita?, ma di fronte ad un interrogativo <strong>de</strong>l genere non si fa più<br />
niente.<br />
Lemaire<br />
La metafora ricercatori - babbuini funziona soprattutto a rapporti invertiti. Gli utenti sono<br />
ricercatori che utilizzano il segreto, che noi crediamo nostro, per scoprire.<br />
Gemelli<br />
Seguiamo un ergastolano, il giudice conce<strong>de</strong> la libertà condizionale se il soggetto si impegna<br />
nel volontariato. L'ufficio fornisce indicazioni alla persona la quale si presenta al colloquio dal<br />
sindaco che gli chie<strong>de</strong> che reato avesse commesso, lui spiega tutto senza omettere i particolari.<br />
Io chiaramente no avrei rivelato niente. Insomma il servizio sociale ha dovuto supportare l'ente<br />
ricevente rispetto al reato sconcertante per tutti.<br />
Lemaire<br />
Ma ha sbagliato o no? Se sì, chiu<strong>de</strong> la possibilità di andare avanti; preferisco pensare che abbia<br />
attivato qualcosa, che abbia fatto come i babbuini.<br />
Despret<br />
Certo è possibile. A questo punto non posso più chiu<strong>de</strong>rlo come prima. Preferisco dire che il<br />
segreto è uno strumento di potere e non possiamo sbarazzarcene. Voglio pensare a quante<br />
frecce si formano con la trasgressione <strong>de</strong>l segreto. Il segreto non è ciò che è, è ciò che produce.<br />
Tacchino<br />
Il segreto nella negoziazione, come regolatore di rapporti.<br />
Despret<br />
L'aspetto organizzativo lo imparo oggi qui. Oggi ho visto che il segreto può essere un mezzo<br />
per organizzare il lavoro <strong>de</strong>gli operatori. Utilizzando la metafore <strong>de</strong>l treno possiamo dire che<br />
l'utente attiva lo scambio. Rispetto all'assistente sociale tramite il segreto si verifica una<br />
sospensione ma anche la sua attivazione, il nuovo giro <strong>de</strong>lla rete per ripartire.<br />
Il segreto critico ci parla <strong>de</strong>lla vergogna, quello di Barrett invece <strong>de</strong>l potere sulla situazione.<br />
Una terza lettura l'abbiamo vista oggi, il segreto come fattore di organizzazione <strong>de</strong>lla rete.<br />
Lemaire<br />
Lo scambio, per tradurlo nel linguaggio <strong>de</strong>lla Clinica, sarebbe il campo di sovrapposizione.<br />
Tra l'esorcismo e la psicoanalisi c'è lo spazio per il dibattito, speriamo non sia l'esorcista a<br />
discutere.<br />
35
Verbale incontro<br />
Lunedì 22 marzo 2004, ore 14.30 – 17.00<br />
L’APPROCCIO CONTESTUALE<br />
TRA I DIVERSI MODELLI DI TERAPIA RELAZIONALE<br />
Pierre Michard, filosofo, psicologo, formatore, psicanalista infantile<br />
Apertura – presentazione <strong>de</strong>i partecipanti<br />
Michard<br />
Mi capita spesso di parlare di Approccio Contestuale e di non sapere dove andare a finire.<br />
Conto quindi sul vostro aiuto e sono consapevole <strong>de</strong>lla responsabilità che assumo<br />
nell'affrontare questo tema. Prima di tutto, e per situare l’Approccio contestuale rispetto ad<br />
altri approcci terapeutici, bisogna sottolineare che esso riconosce da una parte l’Approccio<br />
sistemico e dall’altra la psicoanalisi, anche se possie<strong>de</strong> una propria specificità.<br />
Indichiamo direttamente ciò che ci sembra essere il tratto caratteristico <strong>de</strong>ll’approccio di cui<br />
parleremo. Vogliamo parlare <strong>de</strong>ll’etica relazionale. Quest’ultima, inventata da Boszormenyi-<br />
Nagy, il fondatore <strong>de</strong>ll’Approccio contestuale, consiste in una nuova dimensione <strong>de</strong>lla<br />
relazione, che sovrasta tutte le altre.<br />
Egli crea quindi un’etica relazionale che riconosce un equilibrio fra le parti, un conto<br />
relazionale tra ciò che è dato e ciò che è reso. Nagy 4 ha sempre lavorato per la giustizia nella<br />
relazione, una ten<strong>de</strong>nza all'equilibrio che è spontanea e sempre presente. Il fatto di dare -<br />
ricevere - ren<strong>de</strong>re attiene al discorso <strong>de</strong>lla reciprocità, discorso non nuovo. Non è quindi<br />
questo che costituisce l’originalità <strong>de</strong>ll’Approccio contestuale. I legami familiari sono plasmati<br />
da questa contabilità. Inoltre Nagy introduce l’i<strong>de</strong>a che esiste un bilancio in ogni relazione. In<br />
questa prospettiva, possiamo <strong>de</strong>finire la terapia come una voce <strong>de</strong>l bilancio, mentre nella<br />
banalità <strong>de</strong>lla vita non c'è mai un dialogo tra queste voci. Ma qual è il ruolo di queste diverse<br />
voci? Uno <strong>de</strong>gli apporti <strong>de</strong>ll’Approccio contestuale consiste appunto, attraverso la parzialità<br />
multidirezionale 5 , nell’ascoltare tutte queste voci, cioè anche quella <strong>de</strong>l bambino. Anch’egli è<br />
infatti compreso nella dinamica <strong>de</strong>l dare - ricevere, perché anche lui è capace di donare e di<br />
sostenere. Questo tratto segna una rottura essenziale di un’altra concezione <strong>de</strong>l bambino,<br />
sostenuta dalla psicoanalisi. Infatti, ingran<strong>de</strong>ndo i tratti, possiamo dire che il bambino<br />
freudiano è potente, concentrato sui suoi <strong>de</strong>si<strong>de</strong>ri, capace di sognare di ucci<strong>de</strong>re il genitore <strong>de</strong>l<br />
proprio sesso e di posse<strong>de</strong>re sessualmente quello <strong>de</strong>ll'altro. Nagy non rifiuta questo punto di<br />
vista, ma non riduce il bambino ai soli <strong>de</strong>si<strong>de</strong>ri. Secondo lui occorre riconoscere i contributi<br />
<strong>de</strong>l bambino al genitore in difficoltà; il bambino ha il diritto di contribuire. Il bambino<br />
freudiano guardava dalla serratura i genitori in intimità (dalla quale era quindi escluso), il<br />
bambino di Nagy si trova di fronte ai genitori in difficoltà essendone il legame più stabile.<br />
Pensiamo ad un quindicenne che vive la separazione <strong>de</strong>lla coppia: ve<strong>de</strong> un film romantico con<br />
la madre quando avrebbe voluto che a ve<strong>de</strong>rlo con lei fosse il padre, cerca un partner per il<br />
genitore, lascia il divano per il nuovo partner, conosce i fratelli acquisiti da altre relazioni.<br />
Questo ragazzo gestisce un'enormità di relazioni, un sistema sempre ai limiti <strong>de</strong>ll'esplosione.<br />
L'Approccio contestuale prova a capire tutto questo, cioè gli sforzi <strong>de</strong>l bambino che prova a<br />
tenere la situazione, che è in grado di pren<strong>de</strong>rsi <strong>de</strong>lle responsabilità. La cosa principale credo<br />
sia di riconoscere l’impegno <strong>de</strong>l bambino.<br />
4 Per comodità <strong>de</strong>ll’esposizione, chiameremo Boszormenyi-Nagy semplicemente Nagy.<br />
5 Avremo occasione di ritornare su questo punto e di svilupparlo più avanti. Ci basti affermare che consiste “nel<br />
pren<strong>de</strong>re successivamente le parti di ogni membro <strong>de</strong>lla famiglia” (M.HEIREMANN, Du côté <strong>de</strong> chez soi, Paris, ESF<br />
éditeurs, 1989, p. 77)<br />
36
Personalmente, <strong>de</strong>ll'Approccio contestuale mi ha colpito favorevolmente proprio questo<br />
riconoscimento, che talvolta manca da parte <strong>de</strong>i professionisti e anche <strong>de</strong>i genitori. E'<br />
importante cosa si fa per aiutare i bambini a riqualificare la loro vita, e cosa si fa invece perché<br />
la loro vita venga riqualificata. Uno <strong>de</strong>i primi lavori <strong>de</strong>lla “Clinica <strong>de</strong>lla concertazione” è<br />
adoperarsi perché il bambino responsabilizzato venga preso in consi<strong>de</strong>razione. Malgrado la<br />
mancanza di esperienza rispetto all'adulto, il bambino ha una legittimazione quasi superiore.<br />
Questa questione <strong>de</strong>l riconoscimento è cruciale. Il bambino che non ve<strong>de</strong> riconosciuto il suo<br />
lavoro a un certo punto si stanca, si stanca nel dare perché viene meno la sua fiducia in sé.<br />
Questa analisi può valere per tutti i membri <strong>de</strong>lla famiglia, per tutti quelli che aiutano e che<br />
hanno meriti rispetto al sostegno offerto. Il merito diventa allora legittimità a ricevere, 'ho<br />
diritto ad essere ringraziato ', e così si può continuare a dare. Certo, la questione <strong>de</strong>lla bilancia<br />
tra il merito e il credito si pone sempre. E’ un concetto fondamentale quello <strong>de</strong>ll’equilibrio,<br />
<strong>de</strong>lla bilancia, che ha preoccupato molto Nagy. Una persona può cre<strong>de</strong>re di meritare molte<br />
cose ma non ve<strong>de</strong>re riconoscimenti. Il riconoscimento <strong>de</strong>ve venire dal bersaglio <strong>de</strong>ll'aiuto e<br />
non può essere soltanto un 'contro-dono'. Il fatto di dare e di non ricevere in cambio qualcosa<br />
di a<strong>de</strong>guato in termini di riconoscimento è un argomento nodale. Avete <strong>de</strong>lle doman<strong>de</strong>?<br />
Caruso<br />
Dott. Michard, lei dice 'è possibile che il bambino, o l'adulto, possa continuare a dare e a<br />
dare, poi però si pone a un certo punto la questione <strong>de</strong>i conti '. Quale evento pone la questione<br />
<strong>de</strong>l conto?<br />
Michard<br />
Spesso i conti di una generazione pesano su quella successiva, si scaricano sui figli cose non<br />
avute dai genitori appropriandosi <strong>de</strong>l diritto di ottenere ciò che non si è avuto in passato.<br />
L’Approccio contestuale non può aiutare in questo senso, perché si rischia semmai di reiterare<br />
gli errori. Questo non significa che il passato <strong>de</strong>i genitori non rivesta alcun ruolo. Esso entra<br />
nella vita <strong>de</strong>i genitori e attraversa la coppia. Ma l’Approccio contestuale tenta di riconoscere<br />
che il bambino spesso si impegna per ren<strong>de</strong>re meno duro il mondo per i genitori. Si tratta di<br />
ve<strong>de</strong>re e riconoscere il bambino per riparare alle aspettative tradite <strong>de</strong>i genitori. L'i<strong>de</strong>a è che<br />
nel dialogo e in terapia qualche questione <strong>de</strong>ve rimanere aperta. Pensiamo al marito che torna<br />
a casa e non fa niente, mentre il bambino, con gran<strong>de</strong> tristezza, non può aiutare la mamma.<br />
Come può il genitore aiutare il bambino a pren<strong>de</strong>rsi <strong>de</strong>lle responsabilità?<br />
Olivero<br />
La modalità che ha presentato mette in crisi il paradigma classico <strong>de</strong>gli operatori, i mo<strong>de</strong>lli<br />
ancestrali <strong>de</strong>lla crescita <strong>de</strong>l bambino; si punta tutto sulla relazione, sulla lettura <strong>de</strong>ll'agire e non<br />
<strong>de</strong>llo sviluppo. Questo mo<strong>de</strong>llo come può far cambiare la cultura <strong>de</strong>i servizi?<br />
Michard<br />
Non si ha la possibilità di essere ingenui. Per esempio, se prendiamo il caso di una ragazza<br />
sola in casa, con il padre <strong>de</strong>presso perché la mamma è andata via, il suo sforzo di badare a lui:<br />
se fosse un ragazzo la storia sarebbe diversa. Quindi sarebbe stupido non consi<strong>de</strong>rare gli<br />
sforzi, i sogni, il discorso psicanalitico. Dall'altra parte non ci si può fermare alla psicanalisi e<br />
semplificare le situazioni. Ogni relazione complessa che la figlia ha con il padre non può<br />
portare semplicemente ad un Edipo non risolto. E il metodo psicanalitico non è quindi il solo<br />
modo di trovare <strong>de</strong>lle soluzioni. Ricordo il lavoro fatto in un caso con una coppia separata, con<br />
due figlie, in cui il padre si ammala gravemente. Le figlie volevano occuparsi di lui. Abbiamo<br />
lavorato con le figlie, ma anche con la madre e sul modo di permettere alla mamma di aiutare<br />
le figlie ad aiutare il padre, sulla difficoltà nell'affrontare la morte e la solitudine <strong>de</strong>lle ragazze.<br />
37
Domanda<br />
Il rischio non è di rimanere ancorati ai genitori come se fossimo una loro estensione? Non<br />
compren<strong>de</strong>rsi come persone, creare un rischio di non vivere le età normalmente?<br />
Michard<br />
Questa questione si ricollega a quella <strong>de</strong>ll’individualizzazione. Come individualizzarsi<br />
all'interno <strong>de</strong>lla relazione? L’individualizzazione significa la negazione <strong>de</strong>lla relazione?<br />
L’autonomia è possibile senza eteronomia?<br />
[Se si osa affermare che la filosofia ha progredito lungo il corso <strong>de</strong>lla sua storia, uno <strong>de</strong>i suoi<br />
progressi sarebbe giustamente ciò che ci ha insegnato su questo punto, cioè che una persona<br />
non può individualizzarsi da sola. E’ senza dubbio vero che ogni persona non ha accesso al<br />
proprio vissuto, e non può quindi affermare con rigore e radicalità l’esistenza <strong>de</strong>ll’altro. Per<br />
dirlo brevemente, è impossibile raggiungere gli altri ponendo al principio soltanto il sé. Il solo<br />
modo di venirne fuori consiste allora nel mettere in primo piano la relazione. Una volta posta,<br />
sarà allora possibile cercare i termini <strong>de</strong>lla relazione, ovvero io e l’altro. In altri termini,<br />
nessuno può, da solo, diventare una persona. La relazione con gli altri è la condizione di<br />
possibilità di sé. L’io presuppone il tu. Così, l’individualizzazione presuppone la relazione, e<br />
l’autonomia non può effettuarsi senza eteronomia.]<br />
Pensiamo che più c'è credito tra le persone, più le persone sono vive all'interno <strong>de</strong>lla relazione.<br />
Pren<strong>de</strong>re l'individualizzazione in un senso comune, come negazione <strong>de</strong>lla relazione, significa<br />
chie<strong>de</strong>re di essere sleali rispetto alle proprie origini. Rischiamo quindi di far entrare in conflitto<br />
i professionisti ed il bambino che vuole sostenere i genitori. 'Occupati di te stesso e non di tuo<br />
padre in difficoltà, pensa alla tua vita!!!' è una frase che si sente. Vuol dire dimenticarsi che noi<br />
ci individualizziamo nelle relazioni, non al di fuori di esse.<br />
Caccavo<br />
Cos'è l'i<strong>de</strong>ntità per l'Approccio contestuale?<br />
Michard<br />
L’i<strong>de</strong>ntità, è poter mettere insieme la propria vita in una storia e poter testimoniare il proprio<br />
conto nella vita. Testimoniare alle persone che sono vicine perché possano pren<strong>de</strong>re una<br />
posizione, perché possano aiutare a riparare ciò che è stato ingiusto per me, permettendo loro<br />
di dare. E' appropriarsi <strong>de</strong>lla propria esistenza. Nell'Approccio contestuale c'è l'i<strong>de</strong>a che non<br />
si fa la propria storia da soli. Non posso sapere chi sono fino a quando non ho raccontato la<br />
mia storia a mio figlio ed ho avuto da lui una risposta. L'i<strong>de</strong>ntità è un'i<strong>de</strong>ntità etica, significa<br />
testimoniare alle persone che mi sono vicine, perché hanno bisogno di sapere qual è il mio<br />
conto verso i miei antenati e i miei genitori, perché possano posizionarsi senza alienarsi, senza<br />
che io sfrutti la loro lealtà.<br />
Domanda<br />
Cosa guadagna il bambino che si occupa <strong>de</strong>i genitori in difficoltà?<br />
Michard<br />
E' l'eterna questione <strong>de</strong>l cosa si guadagna nel dare. Provo a ripren<strong>de</strong>re le parole di Nagy. Cosa<br />
è che fa che si doni? Qual è il vantaggio nel dare? Prendiamo un esempio economico. Ci sono<br />
A e B, B ha bisogno di soldi e A gli dà 100 Euro. Si potrebbe dire che B ha un <strong>de</strong>bito di 100<br />
Euro con A e che quando li avrà li ren<strong>de</strong>rà. Resta qualcosa di questo scambio? Resta qualcosa<br />
che possiamo chiamare obbligazione supplementare per B, cioè quella di aiutare A nel<br />
momento <strong>de</strong>l bisogno. Per A rimane qualcosa da questo scambio, qualcosa che Nagy chiama<br />
“merito”, una sorta di diritto ad essere aiutato perché si è costruita una storia di fiducia fra le<br />
38
due parti. Il merito, secondo Nagy, si accumula per diventare “legittimità”, l'altezza etica<br />
<strong>de</strong>ll'essere umano, la gran<strong>de</strong>zza <strong>de</strong>ll'essere umano. Ma il merito e la legittimità non scattano<br />
se non c'è riconoscimento. Un aspetto importante <strong>de</strong>ll'Approccio contestuale consiste proprio<br />
nel validare le storie, l'insieme <strong>de</strong>i meriti che accumuliamo in termini di legittimità. Il merito è<br />
una richiesta di riconoscimento, è un diritto di ricevere. A quest’ultimo diritto si pone allora<br />
una questione inevitabile. In effetti, se non ottengo ciò che sono in diritto di ricevere, il mio<br />
merito non riconosciuto può diventare diritto di distruggere, legittimità distruttiva. Siamo<br />
allora nel campo <strong>de</strong>llo scambio squilibrato, <strong>de</strong>llo sfruttamento, con i rischi di conseguenze su<br />
altri protagonisti. Questo approccio permette allora un’altra comprensione di un fenomeno<br />
come l’aggressività. Essa non appare più semplicemente come una maleducazione, ma<br />
soprattutto rappresenta qualcosa di legittimo che non è stato riconosciuto.<br />
Detto questo, la situazione più grave per il bambino resta il fatto di essere nell’impossibilità di<br />
donare, di ricevere. Ciò che Nagy chiama la “lealtà scissa” è una situazione nella quale il<br />
bambino non può donare e ricevere dalla mamma senza ferire o far soffrire troppo il padre. Se<br />
ogni scambio è impossibile, il guadagno di legittimità diventa impossibile. Non bisogna però<br />
cre<strong>de</strong>re che il solo dono permetta il riconoscimento. Anche il fatto di ricevere è molto<br />
importante, perché in qualche modo ricevendo si guadagnano <strong>de</strong>i meriti, in questo senso si<br />
accetta la vita, il dare-ricevere <strong>de</strong>llo scambio (un proverbio dice “accettare con gioia è già<br />
donare”). Tutto l’Approccio contestuale è una riflessione su queste questioni, sulla fiducia<br />
nella relazione, sulla difficoltà di dare e di ricevere, sulla moneta <strong>de</strong>llo scambio. E’ proprio<br />
perché ci sono <strong>de</strong>gli psicologi, <strong>de</strong>gli insegnanti e <strong>de</strong>i genitori che è importante riflettere sulla<br />
relazione. Ad esempio chi dà di più tra l’insegnante e l’alunno? E tra lo psicoterapeuta e il<br />
paziente? Come si articola la questione <strong>de</strong>l transfert e <strong>de</strong>l contro-transfert?<br />
Domanda<br />
Conosco poco la “Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione”, ma credo che il fatto di mettere insieme i<br />
professionisti e gli utenti possa significare il riconoscimento di ciò che ognuno può dare.<br />
Michard<br />
E’ importante che il terapeuta riconosca i meriti di chi è presente, e che riconosca anche che il<br />
suo lavoro funziona anche grazie all’impegno <strong>de</strong>lle persone presenti.<br />
Lemaire<br />
La “Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione, rispetto ai disagi multipli, è un dispositivo che pren<strong>de</strong> in<br />
consi<strong>de</strong>razione le famiglie nelle quali lo scambio <strong>de</strong>i riconoscimenti <strong>de</strong>i meriti è stato<br />
interrotto. Ristabilendo il riconoscimento tra gli operatori, o tra un professionista e un membro<br />
<strong>de</strong>lla famiglia, ristabiliamo lo scambio nella famiglia. La “Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione”,<br />
durante le due ore circa <strong>de</strong>lla seduta, serve proprio a riaccen<strong>de</strong>re questa possibilità, per i<br />
professionisti e per la famiglia.<br />
Ad Alessandria, la Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione diventa “vecchia” ed è soltanto a<strong>de</strong>sso che<br />
introduciamo questi criteri, questi concetti, perché all’inizio sono poco praticabili. Si tratta di<br />
concetti che portano uno ribaltamento, un cambiamento di sguardo.<br />
Michard<br />
Quando ho un ragazzino in terapia che è stato maltrattato (ad esempio dal padre o dalla<br />
famiglia cui è stato affidato) e che è violento a scuola, e quando ricostruisco la sua storia con la<br />
mamma, mi capita di pensare che se i professionisti <strong>de</strong>lla scuola fossero presenti questo<br />
probabilmente consentirebbe loro di gestire in modo diverso i loro conti con ciò che il<br />
ragazzino fa loro vivere a scuola.<br />
39
Verbale incontro<br />
lunedi 26 aprile 2004, ore 14,15 – 17<br />
LA GIUSTIZIA RELAZIONALE<br />
Magda Heireman, psicologa, terapeuta familiare, formatrice - Università di Lovanio<br />
Apertura – presentazione <strong>de</strong>i partecipanti<br />
Magda Heiremann<br />
Vorrei parlarvi oggi <strong>de</strong>ll’Approccio contestuale e <strong>de</strong>lle quattro dimensioni relazionali tra gli<br />
esseri umani <strong>de</strong>finite da Nagy. Ma prima di cominciare, <strong>de</strong>si<strong>de</strong>ro dirvi perché mi sono<br />
specializzata in questo metodo. Ho lavorato come psicologa in un centro per la terapia di<br />
coppia e dopo in un ospedale, dove mi sono <strong>de</strong>dicata alle famiglie e ai gruppi di famiglie.<br />
Essendo spesso confrontata a situazioni di separazione, mi sono concentrata sulle famiglie e<br />
sui conflitti di lealtà con i bambini. L’approccio sistemico strutturale (sulle abitudini, i costumi<br />
e le regole <strong>de</strong>lla famiglia) mi ha aiutato, ma mancava qualcosa che credo di aver acquisito con<br />
Nagy. A Roma e a Milano, abbiamo avuto spesso occasione di incontrare <strong>de</strong>lle famiglie nelle<br />
quali i bambini maltrattati facevano prova di lealtà interessanti, di lealtà che si manifestano<br />
quando i bambini hanno ricevuto molto, di lealtà sconcertanti, forse anche superiori a quelle<br />
<strong>de</strong>i rapporti normali. Ho imparato molto da Nagy partecipando ad una formazione specifica in<br />
Olanda e a Phila<strong>de</strong>lphia. L’approccio contestuale è seducente perché si riflette sul nostro<br />
vissuto; all’inizio sembrava facile, ma applicandolo ci si ren<strong>de</strong> conto che le cose si complicano.<br />
Si va avanti e si torna indietro, perché la teoria aiuta, certo, ma non può fare tutto. E’ un lavoro<br />
guidato dalla famiglia stessa. Lo consi<strong>de</strong>ro come un approccio non esclusivo, ma<br />
complementare ad altri metodi. Prima di tutto vi espongo i 4 pilastri fondamentali<br />
<strong>de</strong>ll’Approccio contestuale, in seguito analizzerò le dimensioni (4) che ci interessano oggi.<br />
Psicanalisi – fenomenologia esistenziale – pratica clinica – teoria sistemica<br />
Innanzi tutto, sottolineiamo alcuni aspetti di altri approcci, per cogliere meglio la specificità<br />
<strong>de</strong>l nostro approccio. La scuola di Budapest metteva in rilievo le relazioni con gli altri, mentre<br />
Freud accentuava piuttosto l’intrapsichico. Da parte sua, Nagy pensa che è nella relazione con<br />
gli esseri umani che l’uomo si costruisce. Possiamo ve<strong>de</strong>rvi una forte influenza di Buber<br />
(l’essere umano si costruisce negli incontri), anche se Nagy non ha mai incontrato questo<br />
40
filosofo. Diversi tipi di relazione possono essere <strong>de</strong>finiti. Ad esempio, la relazione normale <strong>de</strong>i<br />
bambini rispetto alle istituzioni è funzionale, nella famiglia hanno una relazione ontica.<br />
Esistono molti modi per <strong>de</strong>scrivere le relazioni; per classificarle, possiamo consi<strong>de</strong>rare che le<br />
persone possano essere soggetto o oggetto nella relazione. In una relazione, tutto si gioca nei<br />
ruoli attribuiti alle due persone 6 .<br />
1 2<br />
S O<br />
O S<br />
Per esempio, un tipo di relazione è qualificato come fusionale quando non esiste alcuna<br />
<strong>de</strong>marcazione Soggetto-Oggetto. Questo tipo di relazione è caratterizzata da un “rifiuto di<br />
pren<strong>de</strong>re posizione e da una negazione <strong>de</strong>lle differenze” 7 . Un altro tipo di relazione, “essere<br />
l’oggetto”, si verifica quando una persona B è sempre e unicamente consi<strong>de</strong>rata come un<br />
oggetto da parte di una persona A 8 .<br />
Questi tipi di relazioni non sono fissati una volta per tutte. Una dinamica li anima e se nasce<br />
uno squilibrio, può in seguito sparire. In particolare, una giustizia relazionale apparirà se i due<br />
termini <strong>de</strong>lla relazione possono essere nello stesso tempo soggetto e oggetto. Se prendiamo<br />
l’esempio <strong>de</strong>ll’amore, ciò significa che <strong>de</strong>si<strong>de</strong>riamo essere amati (polo oggetto), volendo però<br />
allo stesso tempo amare (polo soggetto). Un altro esempio, quello <strong>de</strong>l capro espiatorio, non<br />
permette la giustizia relazionale, perché questa persona non può che trovarsi dalla parte<br />
<strong>de</strong>ll’oggetto. Ne risulta un blocco <strong>de</strong>lla relazione.<br />
Oltre a questi tipi di relazioni, Nagy distingue quattro dimensioni 9 nelle relazioni umane:<br />
6<br />
Per un’esposizione precisa <strong>de</strong>i tipi di relazioni possibili, cf M.HEIREMANN, Du côté <strong>de</strong> chez soi, op. cit.. pp. 37-41<br />
7<br />
Ibid, p.39<br />
8<br />
Rimandiamo alle ricche e profon<strong>de</strong> analisi di Sartre sull’essere-oggetto, e la cattiva fe<strong>de</strong> che vi è legata (cf. L’être et le<br />
néant, Paris, Gallimard, 1943).<br />
9<br />
Oggi ne aggiunge una quinta che non ci interessa qui.<br />
41
[Precisiamo un po’ queste quattro dimensioni, insistendo direttamente sul fatto che la quarta<br />
dimensione, che abbiamo già affrontato, costituisce l’originalità <strong>de</strong>ll’approccio contestuale 10 .<br />
La prima dimensione si riferisce ai fatti, cioè rimanda ai dati <strong>de</strong>l <strong>de</strong>stino, alle <strong>de</strong>terminazioni<br />
biologiche, ma anche ad alcuni elementi come l’adozione o il divorzio. La seconda dimensione<br />
dipen<strong>de</strong> dalla psicologia individuale. Tiene conto <strong>de</strong>i bisogni elementari come la riconoscenza,<br />
l’amore, il piacere, ma anche <strong>de</strong>i meccanismi di difesa, d’introiezione, di transfert. La terza<br />
dimensione, quella <strong>de</strong>i sistemi transazionali, contiene i pattern di comportamento osservabile<br />
e di comunicazione interpersonale. La sua <strong>de</strong>scrizione si effettua in termini sistemici. Infine, la<br />
quarta dimensione, che sovrasta le prime tre, è l’etica relazionale. “Si tratta <strong>de</strong>lla giustizia <strong>de</strong>lle<br />
relazioni, <strong>de</strong>lla bilancia <strong>de</strong>i meriti acquisiti e <strong>de</strong>i <strong>de</strong>biti, <strong>de</strong>scritti dalle nozioni di lealtà, di<br />
fiducia e di legittimità” 11 . Questa <strong>de</strong>scrizione, secondo Nagy, è legata alla condizione umana.<br />
In questo senso, la teoria di Nagy sostiene di appoggiarsi su un’ontologia, sull’essenza<br />
<strong>de</strong>ll’uomo. Si può ve<strong>de</strong>re, grazie a queste quattro dimensioni, che l’Approccio contestuale non<br />
squalifica gli altri approcci, ma li ingloba].<br />
La psicologia individuale rimane importante, ma ciò che bisogna dire sulla fenomenologia si<br />
trova sull’etica relazionale. Sul quarto pilastro, l’approccio sistemico, Nagy ha lavorato fin<br />
dall’inizio, anche se i terapeuti che lo stavano sviluppando gli creavano <strong>de</strong>i problemi. Ha<br />
collaborato con Salvini ed altri. Era <strong>de</strong>luso dai <strong>de</strong>boli risultati e dai contatti troppo bruschi con<br />
altri terapeuti e si era convinto che dovesse integrare il suo lavoro con altre teorie. L’Approccio<br />
contestuale non vuole essere soltanto un rimedio, ma anche un lavoro di prevenzione per le<br />
generazioni future. L’etica relazionale è la dimensione nella quale si possono ritrovare le altre<br />
tre dimensioni, e questa dimensione non <strong>de</strong>ve essere consi<strong>de</strong>rata unicamente in un quadro<br />
intra-famigliare. Riguarda anche il rapporto <strong>de</strong>i terapeuti con gli utenti.<br />
10 Per questi chiarimenti ci riferiamo ancora al testo di Magda Heiremann <strong>de</strong>dicato all’Approccio contestuale: Du côté<br />
<strong>de</strong> chez soi, Paris, ESF Editeur, 1989, pp. 44-45<br />
11 Ibid, p. 45<br />
42
Nagy osserva i fatti e le loro conseguenze nelle relazioni fra le persone. Le conseguenze <strong>de</strong>i<br />
cambiamenti sulle famiglie, sull’equilibrio <strong>de</strong>l dare e <strong>de</strong>l ricevere. Pensiamo ad una famiglia<br />
che adotta, e che quindi dà a qualcuno che non è abituato a ricevere; è un esempio, ma<br />
bisogna ricordare che è valido non soltanto per le conseguenze, ma anche per le risorse. Con<br />
una tale prospettiva, appaiono nuove questioni, come quella <strong>de</strong>lla responsabilità, che non è<br />
trattata dai sistemici puri. Sono soprattutto gli avvenimenti che hanno <strong>de</strong>lle conseguenze di<br />
questo tipo: l’immigrazione, l’adozione, il posto che si assume nella fratria.<br />
E’ importante lavorare sul dare-ricevere, non dimenticando mai questa bilancia, anche quando<br />
è nascosta. Spesso ricevo <strong>de</strong>i gruppi di famiglie con <strong>de</strong>lle persone <strong>de</strong>presse che sentono<br />
pressione attorno, il tentativo di aiuto da parte <strong>de</strong>gli altri; allora cerco di capire anche ciò che<br />
gli altri possono ricevere dalla persona <strong>de</strong>pressa.<br />
Caccavo<br />
Perché dice di essere ambigua nei confronti <strong>de</strong>ll’Approccio contestuale?<br />
Magda Heiremann<br />
Sono stata colpita dal lato seduttore di questo approccio, ma anche dalla difficoltà di<br />
applicarlo. Nagy scrive <strong>de</strong>lle bellissime cose teoriche, ma la pratica è dura. Sicuramente questo<br />
approccio ha bisogno di tempo per essere applicato. Il mio giudizio è ovviamente positivo,<br />
diversamente non sarei qui, ma ho avuto <strong>de</strong>i momenti di difficoltà. Non vedo l’Approccio<br />
contestuale come una religione. Nel caso <strong>de</strong>l bambino adottato, la sua lealtà nei confronti <strong>de</strong>i<br />
genitori biologici può trasformarsi in slealtà verso quelli adottivi, e questi ultimi si troverebbero<br />
di fronte ad enormi difficoltà.<br />
Il bambino che non va più a scuola perché i genitori si sono separati presenta una situazione<br />
che qualcuno affronterebbe lavorando sulla famiglia, per superare le difficoltà a scuola. Marie<br />
Claire Michaud ed io pensiamo che è per questo motivo che occorre lavorare sia a casa sia a<br />
scuola, cercando le risorse ovunque esse siano.<br />
Bassini<br />
L’Approccio sistemico, secondo lei, si sarebbe fermato al sintomo. Ma credo che la terapia<br />
famigliare sia andata più lontano rivalorizzando Nagy. Ripren<strong>de</strong> anche le nozioni di lealtà e di<br />
attaccamento. La scuola italiana di terapia famigliare è molto più ricca <strong>de</strong>lla scuola sistemica<br />
originaria.<br />
Magda Heiremann<br />
43
Sono d’accordo con lei, ma in Nagy si accentua maggiormente la ricerca <strong>de</strong>lle risorse. E<br />
introduce l’i<strong>de</strong>a <strong>de</strong>lla fiducia nel bambino. La sua osservazione è giusta, perché l’approccio<br />
sistemico non è vecchio. L’Approccio contestuale può servire da base sulla quale si innestano<br />
altre forme di terapia. Occorre quindi, partendo dalle risorse, utilizzare diversi contributi.<br />
Prima di darvi un esercizio, voglio ancora parlarvi di alcuni aspetti legati all’etica relazionale.<br />
Una famiglia che per<strong>de</strong> i suoi figli per una malattia ereditaria ha subito un’ingiustizia che <strong>de</strong>ve<br />
essere riconosciuta, perché la distribuzione <strong>de</strong>i pesi è a volte squilibrata. Se un figlio è disabile<br />
mentre l’altro non ha alcun problema, ci si aspetta che sia il secondo a sopportare il carico: c’è<br />
una giustizia distributiva e una giustizia retributiva. La prima è quindi legata in qualche modo<br />
al <strong>de</strong>stino, così una famiglia può essere toccata da una tara ereditaria, di cui nessuno può<br />
essere consi<strong>de</strong>rato responsabile. La seconda riguarda il modo in cui questa (in)giustizia sarà<br />
accettata dalla famiglia. Per Nagy la lealtà è una forza regolatrice, il bambino che ha ricevuto<br />
la vita vuole restituire qualcosa.<br />
Incontriamo tutti <strong>de</strong>i conflitti di lealtà. I conflitti di lealtà rendono le aspettative<br />
contraddittorie. Se la mamma non ha studiato, gli studi <strong>de</strong>i figli diventano molto importanti, se<br />
il padre è un “self-ma<strong>de</strong> man” non darà loro la stessa importanza. La <strong>de</strong>lusione di aspettative e<br />
l’assenza di fiducia possono allora ren<strong>de</strong>re le cose complicate. E’ il motivo per cui Nagy si è<br />
molto interessato alla questione <strong>de</strong>lla generazione. Se ciò che il bambino dà per valorizzare il<br />
padre non è riconosciuto, le conseguenze sulla sua i<strong>de</strong>ntità potranno essere importanti. E’<br />
come se la sua esistenza fosse spezzata. In questa prospettiva, il suicidio può essere un modo<br />
per avvicinare i genitori. Mi ricordo di una ragazza anoressica che bevendo <strong>de</strong>i prodotti tossici<br />
pensava che avrebbe rivisto la sua famiglia riunita davanti alla sua morte. E’ importante<br />
sottolineare la possibilità di dare di fronte a <strong>de</strong>lle persone che non hanno molta empatia; le si<br />
mette in contatto con altre figure, suggerendo che possono fare qualche cosa per loro.<br />
Possiamo distinguere diversi tipi di lealtà:<br />
Lealtà diretta: se noi operatori siamo scioccati dal fatto che i genitori non mantengano<br />
le loro promesse fatte ai figli, i figli pren<strong>de</strong>ranno le difese <strong>de</strong>i genitori.<br />
Lealtà indiretta: i bambini continuano le abitudini acquisite all’interno <strong>de</strong>lla famiglia.<br />
Lealtà ina<strong>de</strong>guata (agli occhi <strong>de</strong>i professionisti, non a quelli <strong>de</strong>i bambini): il bambino<br />
vuole dare troppo<br />
44
Lealtà invisibile: si può esprimere da sintomi che si manifestano molti anni dopo,<br />
pensiamo ai bambini genitorializzati che si comportano come <strong>de</strong>i genitori con i propri<br />
genitori.<br />
Cerchiamo ora di lavorare in gruppo per trovare <strong>de</strong>gli esempi di lealtà indiretta e invisibile.<br />
Nell’esempio che ho sviluppato si è vista la lealtà <strong>de</strong>i bambini verso la famiglia, ma c’è anche<br />
una forza che sale dai bambini verso l’alto. Noi professionisti possiamo utilizzare questa forza<br />
per migliorare le relazioni tra di noi al fine di aiutare meglio la famiglia.<br />
I partecipanti si dividono in gruppi, per trovare <strong>de</strong>lle situazioni in cui si manifestino <strong>de</strong>i<br />
rapporti di lealtà, indiretta o invisibile. Condivisione <strong>de</strong>gli esempi.<br />
Caccavo<br />
Rispetto al primo punto pensiamo alla slealtà <strong>de</strong>l figlio, che si preoccupa per la salute <strong>de</strong>l<br />
partner <strong>de</strong>lla mamma, nei confronti <strong>de</strong>l padre biologico.<br />
Damaschi<br />
Abbiamo un esempio, quello di un bambino di 5 anni che si rifiutava di dimostrare le sue<br />
capacità di lettura e di scrittura perché i suoi genitori erano analfabeti.<br />
Repetto<br />
Un bambino di tre anni alla scuola materna che ha difficoltà la mattina a separarsi dalla<br />
mamma e che, durante i giochi a scuola, <strong>de</strong>limita <strong>de</strong>gli spazi protetti (si crea <strong>de</strong>lle specie di<br />
ripari, di rifugi). Si era fatto carico <strong>de</strong>lla malattia <strong>de</strong>i nonni e soffriva <strong>de</strong>lla mancanza di<br />
attenzione nei suoi riguardi da parte <strong>de</strong>i genitori, impegnati a curare i nonni. Mi sembra sia un<br />
chiaro esempio <strong>de</strong>l “dare”. In effetti, in seguito il padre ha colto il consiglio che il bambino ci<br />
aveva dato e ha agito di conseguenza.<br />
Quarto gruppo<br />
Un ragazzo di 14 anni, aggressivo, con un fratello più piccolo. Il padre si suicida, poi anche la<br />
mamma muore; il figlio maggiore si occupa <strong>de</strong>l fratellino. Davanti alla minaccia di separarli e<br />
di trasferirli in due città diverse, l’aggressività <strong>de</strong>l maggiore aumenta, è meglio riconoscere i<br />
suoi meriti, ciò che riesce a dare.<br />
45
Magda Heiremann<br />
Su ognuno di questi esempi ci sarebbero molte cose da dire. Negli ultimi due esempi si parla<br />
di fratelli e sorelle, i far<strong>de</strong>lli sono molto pesanti e i professionisti pensano allo sviluppo <strong>de</strong>i<br />
bambini. Questa elaborazione nasce dalla seconda e dalla terza dimensione <strong>de</strong>ll’approccio<br />
contestuale. La quarta dimensione permette di andare più lontano: l’approccio contestuale ci<br />
dà la voglia di dare e quindi di riconoscerla, di ve<strong>de</strong>re se ci sono <strong>de</strong>i blocchi nella bilancia <strong>de</strong>l<br />
dare e <strong>de</strong>l ricevere. E’ possibile per il ragazzo di 14 anni che sia meglio vivere altrove.<br />
L’Approccio contestuale consiglia di riconoscerlo nel suo impegno, quindi di dialogare con lui<br />
per permettergli di “dare”.<br />
Interludio - il dono<br />
La bilancia <strong>de</strong>lla giustizia di cui si parla nell’Approccio contestuale può avviare una<br />
riflessione più generale sul dono. In effetti, Nagy accentua a più riprese l’importanza <strong>de</strong>l dono,<br />
ma anche e nello stesso tempo ciò che il donatore è in diritto di ricevere, in rapporto con ciò<br />
che ha già dato. Riprendiamo qualche elemento di una teoria <strong>de</strong>l dono, per poter giudicare in<br />
quale misura l’Approccio contestuale offra su questo tema un punto di vista pertinente.<br />
A prima vista, il dono può sembrare inseparabile da un <strong>de</strong>bito <strong>de</strong>l donatario nei<br />
confronti <strong>de</strong>l donatore. Se qualcuno mi fa un regalo, posso sentirmi in <strong>de</strong>bito verso questa<br />
persona. Le farò a mia volta un regalo quando si presenterà l’occasione. Questo è il punto di<br />
vista di un autore come Mauss. Secondo lui, il dono è inseparabile da una obbligazione di<br />
ricevere e dall’obbligazione di ren<strong>de</strong>re. Niente dono senza contro-dono. In questa prospettiva,<br />
un modo di pren<strong>de</strong>re il sopravvento sugli altri – ad esempio un capo di una tribù sul capo di<br />
una tribù rivale – si realizza facendo il dono più gran<strong>de</strong> possibile. Il donatario potrà essere<br />
schiacciato dall’enormità di questo dono, e se non possie<strong>de</strong> le stesse ricchezze per ren<strong>de</strong>rlo,<br />
questo capo sarà in<strong>de</strong>bitato, cioè in un certo modo sottomesso.<br />
Tuttavia, se in una situazione simile il mo<strong>de</strong>llo presentato da Mauss sembra a<strong>de</strong>guato, è<br />
legittimo interrogarsi sulla natura di un tale dono e porsi semplicemente la questione di sapere<br />
se un tale dono rimane un dono. In altri termini, non si tratta qui piuttosto di un puro rapporto<br />
di scambio, economico. E’ il motivo per cui alcuni autori hanno potuto affermare che il dono<br />
fosse impossibile: siccome il dono reclama un contro-dono, il dono iniziale sparisce in quanto<br />
dono per essere ridotto ad un rapporto strettamente economico.<br />
Ciononostante, ci sembra ancora pertinente parlare di dono. Ma per affermarsi come<br />
tale e come tale rimanere, occorrerà distaccarlo dallo scambio economico, dalla reciprocità.<br />
46
Un dono non può manifestarsi come tale se non nel momento in cui non reclama nessun<br />
contro-dono. A questo titolo, l’amore è un esempio molto rappresentativo. Colui che ama, in<br />
effetti, non può che amare , cioè senza poter preten<strong>de</strong>re di essere amato a sua volta. La<br />
relazione amorosa riesce appunto a superare il rapporto di scambio, economico. Si ama senza<br />
contare, senza ragione. Ci sembra che questa situazione non si possa applicare soltanto agli<br />
innamorati, ma anche ad altri tipi di amore, come l’amore filiale. E’ soprattutto in questo caso<br />
preciso che il dono sembra più palese, perché il bambino è giustamente incapace di ren<strong>de</strong>re<br />
tutto ciò che i genitori gli hanno dato. In questo senso, siccome il dono <strong>de</strong>i genitori non può<br />
essere reso, il dono rimane in quanto tale, e non può esser ridotto ad uno scambio.<br />
Ma allora, come bisogna consi<strong>de</strong>rare il donatario, che riceve tanto e che non può<br />
ren<strong>de</strong>re puramente e semplicemente al donatore? E’ qui che il punto di vista <strong>de</strong>ll’Approccio<br />
contestuale si rivela molto pertinente, da una parte non rifiutando il dono in quanto tale – cioè<br />
non reso – dall’altra parte tenendo conto nello stesso tempo <strong>de</strong>l <strong>de</strong>si<strong>de</strong>rio <strong>de</strong>l donatario di dare<br />
a sua volta. In effetti, se non può ren<strong>de</strong>re al donatore e cancellare il dono, e si sente comunque<br />
in <strong>de</strong>bito, potrà a sua volta dare, ma a qualcun altro. E’ così che il bambino, diventato lui<br />
stesso genitore, potrà a sua volta dare senza contare 12 .<br />
12 Quando si parla di bilancia di giustizia, non bisogna inten<strong>de</strong>rla in termini di reciprocità, ma in termini di equità<br />
(M.HEIREMANN, Du côté <strong>de</strong> chez soi, op. cit. , p. 50)<br />
47
Verbale incontro<br />
lunedi 24 maggio 2004, ore 14,15 – 17<br />
LA PARZIALITA’ MULTIDIREZIONALE<br />
Magda Heireman, psicologa, terapeuta familiare, formatrice -Università di Lovanio<br />
Apertura - Presentazione <strong>de</strong>i partecipanti<br />
M.Heiremann<br />
Oggi vorrei allacciarmi all’approfondimento <strong>de</strong>lla volta scorsa e al contributo di Pierre<br />
Michard. Siccome alcune persone presenti oggi non lo erano la volta scorsa, ricomincerò<br />
questa seduta facendo un breve accenno a ciò che avevamo sviluppato durante l’ultimo<br />
incontro. Avevamo parlato <strong>de</strong>lle quattro dimensioni <strong>de</strong>ll’Approccio contestuale e di alcuni<br />
concetti come la giustizia, l’ingiustizia, la lealtà, la lealtà invisibile. Avevamo anche parlato <strong>de</strong>i<br />
pilastri fondamentali, ma non ripeterò tutto. Riassumiamo semplicemente alcuni elementi. Se<br />
guardiamo una relazione possiamo distinguere: i fatti, la psicologia individuale, i sistemi<br />
transazionali, l’etica relazionale.<br />
L’etica relazionale è situata sopra tutto il resto, tocca tutti gli altri livelli, li colora in un certo<br />
modo. D’altron<strong>de</strong> è questa dimensione che costituisce la specificità <strong>de</strong>ll’Approccio<br />
contestuale. Questo campo – nel quale si tocca la responsabilità <strong>de</strong>lle persone, la bilancia <strong>de</strong>l<br />
dare e <strong>de</strong>l ricevere – è importante nella ricerca <strong>de</strong>lle risorse. Al fine di ben ricordare ciò che<br />
significano le quattro dimensioni, possiamo aiutarci con un esempio. Prendiamo la<br />
dimensione <strong>de</strong>i fatti: se <strong>de</strong>lle persone Congolesi arrivano in Belgio come rifugiati, è possibile<br />
che i loro genitori abbiano vissuto <strong>de</strong>lle situazioni dolorose in Congo a causa <strong>de</strong>i Belgi. Questo<br />
fatto – indipen<strong>de</strong>nte dalle persone, che si impone dall’esterno – giocherà un ruolo nelle<br />
relazioni tra queste persone e i servizi belgi.<br />
Ovviamente non bisogna fermarsi ai fatti, ma cercare le loro conseguenze. Questo compito<br />
non si può realizzare senza entrare in dialogo con le persone coinvolte. Ad esempio, una<br />
separazione o un divorzio non ha sempre le stesse conseguenze sui figli: ci sono <strong>de</strong>i divorzi<br />
che si consumano con un’enorme sfiducia tra i genitori, dove un genitore ha screditato l’altro<br />
genitore agli occhi <strong>de</strong>i figli, e queste situazioni sono molto più nocive per i bambini rispetto ad<br />
altri divorzi.<br />
La volta scorsa ho anche parlato <strong>de</strong>lla lealtà, verticale e orizzontale; la lealtà verticale presenta<br />
un aspetto diacronico. Si tratta <strong>de</strong>lla lealtà verso i propri genitori, se si sale nella linea <strong>de</strong>l<br />
tempo, o ancora la lealtà verso i figli e le generazioni future 13 , se si scen<strong>de</strong> lungo la linea <strong>de</strong>l<br />
tempo. Per quanto riguarda la lealtà orizzontale, essa presenta un aspetto diacronico. Si tratta<br />
<strong>de</strong>i rapporti di lealtà che si mantengono con le persone <strong>de</strong>lla stessa generazione: verso il<br />
marito, la moglie, il partner, i fratelli e le sorelle e anche nei confronti di tutti coloro che si<br />
occupano <strong>de</strong>lla cura e <strong>de</strong>ll’aiuto e che hanno meritato più o meno fiducia.<br />
L’Approccio contestuale sottolinea che non bisogna soltanto tenere conto <strong>de</strong>lle conseguenze<br />
che provengono dalle generazioni anteriori sulle generazioni future. La freccia <strong>de</strong>l tempo può<br />
anche essere consi<strong>de</strong>rata all’inverso ed è importante essere attenti anche al dono <strong>de</strong>l bambino<br />
verso i genitori, <strong>de</strong>lle nuove generazioni verso le vecchie.<br />
L’abbiamo già visto con Pierre Michard. Questo concetto cambia radicalmente la <strong>de</strong>finizione<br />
solita <strong>de</strong>l bambino. Si cerca di ve<strong>de</strong>re il bambino non soltanto come un essere che riceve <strong>de</strong>lle<br />
cose, che ha <strong>de</strong>i bisogni, ma anche come un essere che ha bisogno di dare alla propria<br />
famiglia. Nel migliore <strong>de</strong>i casi, i genitori possono riconoscere ciò che il bambino dà e il<br />
13 Ricordiamo che uno <strong>de</strong>i punti originali <strong>de</strong>ll’Approccio contestuale consiste nel tener conto <strong>de</strong>i membri assenti di una<br />
famiglia, di una rete, cioè anche <strong>de</strong>i figli non ancora nati, <strong>de</strong>lle generazioni in futuro in generale.<br />
48
ambino può interiorizzare il fatto che è capace di dare e di essere importante nella relazione.<br />
Ma esistono molte situazioni in cui i genitori non possono più riconoscere ciò che il bambino<br />
dà. In quel momento, e se noi siamo là in qualità di professionisti, esiste il pericolo di ren<strong>de</strong>re<br />
il bambino sleale se ci mettiamo al posto <strong>de</strong>lla famiglia. Infatti, in questo caso il bambino può<br />
trovarsi in un conflitto di lealtà: se noi cerchiamo di essere <strong>de</strong>i genitori migliori <strong>de</strong>i suoi<br />
genitori, è possibile che il bambino lasci il trattamento o che lo rifiuti a causa <strong>de</strong>lla lealtà che<br />
mantiene verso i suoi genitori.<br />
Se il bambino non può essere leale verso i suoi genitori, o se ad esempio una madre non può<br />
essere leale con i suoi figli, la lealtà rischia di passare ad un livello invisibile. Il fatto che diventi<br />
invisibile significa che la lealtà diventa inclusa in alcuni sintomi: ad esempio un bambino in<br />
un’istituzione si arrabbia con i professionisti, gli operatori, perché fanno <strong>de</strong>lle cose che non gli<br />
piacciono, perché sente che gli educatori non sono parziali o rispettosi <strong>de</strong>i suoi genitori.<br />
Oggi parliamo di parzialità multidirezionale, e se avremo tempo faremo un’esercitazione su<br />
questo. La parzialità multidirezionale è l’attitudine e il metodo più importante <strong>de</strong>l terapeuta e<br />
<strong>de</strong>i professionisti che utilizzano l’Approccio contestuale. Secondo tale approccio, le risorse<br />
vanno trovate nelle relazioni tra le persone che sono importanti le une per le altre. Spesso, nelle<br />
situazioni che incontriamo, le risorse sono bloccate, gli scambi sono bloccati al livello <strong>de</strong>l darericevere.<br />
Quindi questa attitudine alla parzialità multidirezionale <strong>de</strong>i terapeuti aiuta a<br />
sbloccare le situazioni. Si tratta realmente di una parzialità, non è una neutralità, come dicono<br />
i lavori di Salvini di Milano. Spieghiamo cosa intendiamo con questo.<br />
Si tratta di pren<strong>de</strong>re le parti di tutti i membri <strong>de</strong>l sistema, ma di non pren<strong>de</strong>re mai le parti<br />
contro qualcun altro 14 . E’ per questo motivo che viene <strong>de</strong>nominata “multidirezionale”: la<br />
parzialità <strong>de</strong>l terapeuta va verso molteplici direzioni. E lo scopo non è che tutte le persone si<br />
sentano comprese dal terapeuta, lo scopo è l’aumento <strong>de</strong>lla parzialità multidirezionale <strong>de</strong>lle<br />
persone verso gli altri 15 .<br />
[Dal punto di vista etico, questa attitudine mira a “scoprire l’umanità di ogni partecipante,<br />
fosse anche il mostro <strong>de</strong>lla famiglia 16 . Alcuni critici <strong>de</strong>ll’Approccio contestuale hanno voluto, a<br />
partire da questo punto metodologico, rifiutare l’insieme <strong>de</strong>ll’approccio. Il loro rimprovero<br />
<strong>de</strong>riva dal fatto che capiscono la parzialità multidirezionale come un’attitudine che mira a<br />
scusare gli atti di un membro <strong>de</strong>lla famiglia, a vittimizzare oltraggiosamente il colpevole. Non<br />
si tratta sicuramente di questo. La parzialità multidirezionale non è <strong>de</strong>stinata ad approvare in<br />
modo incondizionato gli atti di ognuno, a scusare ogni condotta qualunque essa sia. Piuttosto,<br />
accordando <strong>de</strong>l credito a tutti i membri <strong>de</strong>lla famiglia, <strong>de</strong>lla rete, permetterà l’introduzione di<br />
un dialogo, grazie all’esplorazione <strong>de</strong>lla relazione dal punto di vista di più persone.]<br />
L’attitudine <strong>de</strong>lla parzialità multidirezionale è già presente nel contratto <strong>de</strong>ll’intervento:<br />
quando ricevo una persona, dimostro di essere ugualmente interessata alle persone che sono<br />
importanti per lei e per le persone che sono coinvolte dal lavoro terapeutico, siano esse presenti<br />
o no, fino a tener conto di chi non è ancora nato. Ad esempio, se si parla con una coppia che<br />
ha molte difficoltà, si potrà porre la domanda: “In cosa pensate che queste difficoltà possano<br />
avere <strong>de</strong>lle conseguenze sul bambino che <strong>de</strong>si<strong>de</strong>rate o aspettate?”.<br />
Vorrei ora spiegare qualche aspetto <strong>de</strong>lla parzialità multidirezionale. Il primo aspetto evi<strong>de</strong>nte<br />
è l’empatia, attraverso la quale si cerca di mettersi al posto <strong>de</strong>lla persona coinvolta, di sentire e<br />
di vivere ciò che la persona vive in quella situazione. È chiaro però che non si è sempre capaci<br />
di essere empatici. Ad esempio, se ricevo una coppia in cui il marito ha maltrattato la moglie, è<br />
ovvio che avrò piuttosto la ten<strong>de</strong>nza ad avere <strong>de</strong>ll’empatia verso la donna. Penso che sarebbe<br />
l’opposto se fosse stata la donna ad aver maltrattato il marito, perché esiste anche questo.<br />
14 Il terapeuta non stringe quindi nessuna alleanza con un membro <strong>de</strong>lla famiglia contro un altro membro. “la parzialità<br />
multidirezionale non è questione di strategia” (M. HEIREMANN, Du côté <strong>de</strong> chez soi, op. cit. , p. 81)<br />
15 La parzialità multidirezionale non è quindi una variabile esclusiva <strong>de</strong>l terapeuta! Come modo terapeutico efficace,<br />
non funziona se non quando è capace di indurre un’altra attitudine all’interno <strong>de</strong>lla famiglia (ibid. p. 99)<br />
16 Ibid. , p. 76<br />
49
[Questa attitudine non si riduce ad uno “sguardo positivo incondizionato”. Tentare di<br />
immaginarsi come ogni membro <strong>de</strong>lla famiglia si sente non è sinonimo di una giustificazione<br />
<strong>de</strong>gli atti <strong>de</strong>lla famiglia. Si tratta semplicemente, attraverso questa attitudine, di “offrire ad<br />
ognuno la possibilità di rivendicare ciò di cui ha bisogno in funzione <strong>de</strong>i suoi interessi vitali<br />
sulle quattro dimensioni. L’empatia […] aiuta ad instaurare una consi<strong>de</strong>razione reciproca tra i<br />
membri” 17 ].<br />
Il secondo aspetto <strong>de</strong>lla parzialità multidirezionale è dare <strong>de</strong>l credito a qualcuno. È una<br />
nozione più propriamente contestuale che la prima, perché per poter dare <strong>de</strong>l credito a<br />
qualcuno si <strong>de</strong>ve andare alla ricerca <strong>de</strong>i meriti di questa persona. Nell’esempio <strong>de</strong>ll’uomo che<br />
ha maltrattato la moglie, una <strong>de</strong>lle possibilità potrebbe essere che egli abbia dato molto da<br />
giovane ai suoi genitori, e stia regolando con la moglie i conti che non ha potuto regolare con i<br />
genitori nel passato. Questo non vuol dire che giustifico questo marito, ma piuttosto che cerco<br />
di entrare in contatto con il suo lato positivo, con il suo lato responsabile, non tanto per me,<br />
quanto per lui stesso e per la moglie.<br />
Il terzo aspetto è l’aspettativa <strong>de</strong>l terapeuta; occorre cercare di aiutare la persona ad essere<br />
attenta ai bisogni <strong>de</strong>gli altri; si cerca di aprire la possibilità che possa essere attenta. Pensiamo<br />
a una persona che ha sofferto molto e che è in uno stato <strong>de</strong>pressivo: bisogna comunque<br />
chie<strong>de</strong>rle di fare <strong>de</strong>lle cose, per esempio di fare <strong>de</strong>lle cose per suo figlio; chie<strong>de</strong>ndole qualche<br />
cosa, le si offre la possibilità di essere in contatto con i suoi lati positivi, con la possibilità di<br />
donare. Questo terzo aspetto è importante per le istituzioni che lavorano con le famiglie,<br />
perché non vuole solo dire che si ascoltano i bisogni <strong>de</strong>lle famiglie, ma anche che si chie<strong>de</strong> alle<br />
famiglie di fare <strong>de</strong>lle cose per i loro figli; le istituzioni <strong>de</strong>vono andare alla ricerca <strong>de</strong>i bisogni<br />
<strong>de</strong>lle famiglie, ma anche alla ricerca <strong>de</strong>lle competenze <strong>de</strong>lle famiglie. Naturalmente si <strong>de</strong>ve<br />
essere realisti, non si può chie<strong>de</strong>re a qualcuno che è <strong>de</strong>presso di occuparsi <strong>de</strong>lle lezioni e <strong>de</strong>i<br />
compiti di scuola <strong>de</strong>l proprio figlio, gli si può però chie<strong>de</strong>re di fare con lui una passeggiata o di<br />
leggergli il suo racconto preferito.<br />
Il quarto aspetto è l’inclusività: tutti quelli che sono importanti per l’esistenza di questa<br />
persona sono inclusi in questa parzialità, anche se i legami attuali sono interrotti.<br />
Vado direttamente ad aggiungere il quinto aspetto, il timing, una parola inglese che significa<br />
“trovare il momento giusto”. Vuol dire che se per esempio lavoro con una famiglia, e so che ci<br />
sono i figli che hanno sofferto molto per un trattamento <strong>de</strong>i genitori, sarò innanzitutto parziale<br />
verso questi figli prima di essere parziale verso i genitori. Non ci sono molte regole su questo,<br />
è piuttosto l’esperienza che vi dà <strong>de</strong>lle indicazioni. Anche nell’esempio che ho appena citato,<br />
laddove sono parziale con i figli, <strong>de</strong>vo creare un legame con i genitori, perché altrimenti i<br />
genitori hanno diritto di abbandonare il trattamento. Non dipen<strong>de</strong> solo dal caso e dalla<br />
situazione, ma anche dal contesto in cui si lavora; per esempio in un contesto giudiziario, le<br />
persone sono obbligate ad andare e si può divi<strong>de</strong>re il tempo in modo diverso.<br />
[Questa questione <strong>de</strong>l timing può essere ricollegata al concetto di ritmo. Sviluppiamo i nostri<br />
pensieri. Roland Barthes, in un corso <strong>de</strong>l Collège <strong>de</strong> France sul “vivere insieme” osservava:<br />
“Dalla mia finestra (1° dicembre 1976), vedo una madre che tiene il suo bimbo per mano e che<br />
spinge il passeggino vuoto davanti a lei. Avanzava imperturbabilmente al suo passo, il bimbo<br />
era tirato, sballottato, costretto a correre tutto il tempo, come un animale o una vittima<br />
“sadica” che viene frustata. Ella avanza al suo ritmo, senza sapere che il ritmo <strong>de</strong>l bimbo è un<br />
altro. Eppure, è sua madre!”. Una tale osservazione, banale, mostra quello che può avere di<br />
traumatizzante, di violento, il fatto di ve<strong>de</strong>rsi imporre un ritmo altro dal proprio. E questo<br />
perché il ritmo è essenzialmente legato al potere. Ciò che il potere impone innanzitutto, è un<br />
ritmo – di vita, di pensiero, di tempo. A questo riguardo, la domanda di “idiorrythmie” (il<br />
ritmo proprio) si fa sempre contro il potere. Questa nozione <strong>de</strong>l ritmo, <strong>de</strong>ll’”idiorrythmie”, si<br />
può applicare a tutte le relazioni di potere. Si compren<strong>de</strong> allora il fatto che Barthes accordi un<br />
posto particolare a questo concetto nei suoi corsi sul “vivere insieme”. Ci offre così una nuova<br />
17 Ibid. , p. 78<br />
50
griglia di lettura per <strong>de</strong>cifrare le relazioni di potere nella società. Questa nuova griglia può<br />
essere fruttuosamente applicata alle pratiche <strong>de</strong>lla Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione. Spieghiamoci.<br />
Una famiglia in disagio multiplo si trova all’origine di una rete originale. Essa si confronta con<br />
diverse istituzioni, istituzioni che non intrattengono alcuna relazione tra loro. Così ogni<br />
istituzione si occupa <strong>de</strong>i problemi che la riguardano, e impone un ritmo particolare alla<br />
famiglia. Non essendovi alcuna concertazione tra i professionisti, i ritmi più diversi le sono<br />
imposti. Questi impediscono ogni fenomeno di risonanza, e non possono far altro che ren<strong>de</strong>re<br />
la famiglia diffi<strong>de</strong>nte. Essa si trova strattonata da diverse istituzioni, e rischia di manifestare<br />
<strong>de</strong>i rifiuti sempre più pronunciati alle risposte che le sono offerte. La Clinica <strong>de</strong>lla<br />
Concertazione propone una risposta a questo problema; non essendo il ritmo <strong>de</strong>ttato dai<br />
professionisti, ma anche dagli utenti, si ren<strong>de</strong> possibile la creazione di una nuova dinamica.]<br />
Vi ho quindi parlato <strong>de</strong>i 5 aspetti teorici, ma prima di darvi la possibilità di fare <strong>de</strong>lle doman<strong>de</strong><br />
vorrei parlarvi ancora <strong>de</strong>lla legittimità, costruttiva e distruttiva. La legittimità è un credito che<br />
si guadagna in una relazione, è un credito che ci può rassicurare per il fatto che c’è uno<br />
scambio di dare e ricevere abbastanza affidabile in quella relazione. È una garanzia<br />
relazionale: in una certa relazione nel momento in cui io ho dato qualche cosa, allora ho il<br />
diritto di ricevere qualche cosa, e viceversa, perché in una relazione si vuole entrambe le cose,<br />
non si vuole essere solo amati dall’altro, ma si vuole anche amare l’altro 18 .<br />
C’è la versione positiva che è la legittimità costruttiva, cioè dal fatto che ho consi<strong>de</strong>razione per<br />
i bisogni <strong>de</strong>gli altri aumenta la possibilità che ci sia reciprocità. Ci sono maggiori possibilità<br />
che gli altri abbiano <strong>de</strong>lla consi<strong>de</strong>razione verso di me. In questa situazione di legittimità<br />
costruttiva, la bilancia non è sempre in equilibrio, ma quantomeno c’è un’attenzione verso i<br />
bisogni reciproci <strong>de</strong>lle persone. E’ ovvio che se si tratta di relazione tra genitori e figli, si tratta<br />
di bisogni asimmetrici, il figlio ha molti più bisogni verso i propri genitori che l’inverso.<br />
Invece la legittimità distruttiva <strong>de</strong>riva da uno sfruttamento di una persona nella sua legittimità,<br />
ad esempio perché i genitori non hanno riconosciuto i suoi bisogni, perché hanno sfruttato la<br />
sua fiducia (e tutto ciò che rientra in questo contesto); a lungo termine se nessuno riconosce<br />
questa ingiustizia, la persona sfruttata acquisisce una legittimità distruttiva, si sentirà cioè<br />
legittimata a sfruttare gli altri, o a ricevere da queste altre persone quello che non ha ricevuto<br />
dai propri genitori. Questo si può tradurre con la ven<strong>de</strong>tta, forse su persone innocenti.<br />
Ciò che è importante malgrado tutto in questa legittimità, ma anche nella sua forma<br />
costruttiva, è che essa rappresenta una forza di vita nella relazione, il diritto di essere in vita.<br />
Nel caso <strong>de</strong>lla legittimità distruttiva lo scopo non è quindi di eliminarla, perché non è<br />
possibile. Penso che come operatori conosciate tutti <strong>de</strong>lle situazioni in cui le persone agiscono<br />
partendo da una legittimità distruttiva. Inoltre è proprio verso queste persone che abbiamo le<br />
maggiori difficoltà ad essere parziali, perché quando le persone sono gentili è più facile.<br />
Innanzitutto le persone che hanno una legittimità distruttiva hanno poca fiducia negli<br />
operatori. Con queste persone, penso che già il fatto che si presentino, anche se perché<br />
obbligati, <strong>de</strong>ve essere riconosciuto come un enorme passo da parte loro, anche se sappiamo<br />
che hanno poca fiducia. Occorre riconoscere ogni atto che la persona fa, per esempio quello di<br />
presentarsi, di parlare <strong>de</strong>i suoi problemi, anche se si tratta solo di accenni. Bisogna ve<strong>de</strong>re<br />
tutto questo come un dono di questa persona che è probabilmente bloccata nella<br />
comunicazione. Allora per parlare di questa legittimità distruttiva utilizzo un disegno che ho<br />
i<strong>de</strong>ato per aiutarmi: immaginiamo che questo cerchio sia la totalità <strong>de</strong>lla legittimità 19 . In<br />
questa totalità di legittimità troviamo <strong>de</strong>lla legittimità distruttiva (che disegno con <strong>de</strong>lle bolle).<br />
Ci sono persone che hanno molte legittimità distruttive nella loro vita, che sono state sfruttate,<br />
che hanno vissuto in situazioni di profonda sfiducia, e che hanno ten<strong>de</strong>nza ad agire nelle<br />
18<br />
Tuttavia una mezza nota può essere aggiunta su questo punto. Rimandiamo al nostro interludio prece<strong>de</strong>nte, sulla<br />
questione <strong>de</strong>l dono.<br />
19<br />
E’ importante sottolineare che la legittimità appartiene alla quarta dimensione (etica relazionale) e non alla seconda<br />
(psicologia individuale), non si tratta <strong>de</strong>l sentimento di legittimità.<br />
51
elazioni partendo dalla legittimità distruttiva. Hanno <strong>de</strong>lle i<strong>de</strong>e come ‘Io non valgo nulla;<br />
questo uomo o questa donna che mi ha appena visto, non <strong>de</strong>vo aspettarmi nulla da lui/lei, ho<br />
sfiducia ’ ‘Non valgo nulla, non ho diritto all’attenzione di nessuno ’, ‘Siccome non valgo<br />
niente, le persone che si prendono cura di me non sono poi tanto <strong>de</strong>gne di credibilità ’, oppure<br />
‘Non si può cre<strong>de</strong>re agli altri, sono tutti falsi o non mantengono la parola ’. Se si guardano le<br />
relazioni di una tale persona, per esempio una madre e suo figlio, si può dire che il bambino ha<br />
anche lui una certa legittimità distruttiva, ma ha ancora molta legittimità costruttiva; se il<br />
bambino ha <strong>de</strong>i bisogni rispetto alla mamma, è possibile che la madre, se ha molta legittimità<br />
distruttiva, sia sorda alle esigenze <strong>de</strong>l bambino, non perché il bambino non sia importante per<br />
lei, ma perché lei si vive come una persona che non è capace di amare il proprio figlio. Invece<br />
di essere attenta alle esigenze <strong>de</strong>l bambino, è possibile che lei chieda al figlio di amarla e di<br />
provarle che è una buona madre. Questo è ciò che si chiama la “genitorializzazione”, il<br />
bambino è messo in una situazione di genitore verso il proprio genitore.<br />
Ci si può chie<strong>de</strong>re allora ‘questo è <strong>de</strong>terminato, immutabile?’, soprattutto perché si guadagna<br />
<strong>de</strong>lla legittimità costruttiva pren<strong>de</strong>ndo in consi<strong>de</strong>razione i bisogni <strong>de</strong>gli altri; se si è ciechi nei<br />
confronti <strong>de</strong>gli altri si è in una sorta di impasse. Fortunatamente ci sono qui <strong>de</strong>gli “isolotti” di<br />
legittimità costruttiva; per dirlo in altro modo, ad esempio, diciamo che questa donna lega <strong>de</strong>i<br />
ricordi molto importanti a sua nonna, o ha sentito che la nonna l’apprezzava per alcune<br />
competenze. Sono cose molto semplici a volte: quando era in vacanza dalla nonna dava da<br />
mangiare ai polli con la nonna, e quest’ultima le ha fatto i complimenti per aver curato bene i<br />
polli; o il nonno che ha visto e riconosciuto che lei si era presa cura <strong>de</strong>l fratellino a scuola.<br />
Allora se si può riuscire a mettere in contatto la madre con questi “isolotti” positivi, ci sono più<br />
possibilità che lei possa donare qualcosa al bambino. Questo non vuol dire che tutte le azioni<br />
che <strong>de</strong>rivano da questa legittimità distruttiva, che può essere molto nociva, possono essere<br />
negate. Occorre fare entrambe le cose: metterla in contatto con le esperienze positive, ma allo<br />
stesso tempo cercare di <strong>de</strong>genitorializzare il bambino a lungo termine. Dico a lungo termine<br />
perché per il bambino innanzitutto è molto importante venire riconosciuto per quello che ha<br />
donato ai suoi genitori, prima che lo si voglia forzatamente <strong>de</strong>genitorializzare.<br />
Tornando all’inizio <strong>de</strong>l discorso, 'dare <strong>de</strong>l credito ' a qualcuno vuol dire andare alla ricerca<br />
<strong>de</strong>lla legittimità costruttiva, senza dimenticare allo stesso tempo la legittimità distruttiva che<br />
esiste, perché questa va a giocare un ruolo nella relazione tra operatori e persone.<br />
Se avete <strong>de</strong>lle doman<strong>de</strong> o <strong>de</strong>lle osservazioni le ascolto volentieri, sapendo che non è facile, che<br />
più semplice spiegarlo che metterlo in pratica.<br />
Marangi<br />
In una difficoltà per una separazione, o perché la mamma è morta o perché è lontana, come si<br />
fa ad affrontare il rapporto?<br />
Magda Heiremann<br />
Bisogna partire dalla ricerca <strong>de</strong>lle risorse. Per esempio mi ricordo di una situazione che ho<br />
seguito, in cui la madre si è suicidata quando la figlia aveva 10 anni. La ragazza all’età di 21<br />
soffriva di <strong>de</strong>pressione. L’ho conosciuta per questo motivo, era ricoverata nell’ospedale dove<br />
lavoro. Una cosa importante da dire è che in quel periodo stava facendo uno stage in<br />
un'istituzione per minori, in cui c’erano tra gli altri anche <strong>de</strong>i bambini che non avevano più<br />
contatti con i genitori. Penso che questo stage le abbia fatto rivivere la mancanza <strong>de</strong>lla madre.<br />
Non è stato l’unico fattore perché ci sono sempre diversi fattori che giocano un ruolo, ad<br />
esempio il fatto che il fratello era andato a vivere in un’altra città e lei era rimasta a vivere con il<br />
padre, per il quale si preoccupava. Ci sono quindi diversi elementi; quello che lei diceva era<br />
che la madre aveva una storia di patologia maniaco <strong>de</strong>pressiva. Quando la ragazza ha iniziato<br />
a soffrire di <strong>de</strong>pressione si sentiva molto sola, e diceva ‘Ora so ciò che mia mamma ha vissuto<br />
’. La madre aveva avuto questa malattia ed era stata ricoverata diverse volte in ospedale<br />
52
psichiatrico, e i vicini ritenevano che fosse meglio per i figli quando la madre era ricoverata,<br />
perché la situazione era pesante da sopportare. Il fatto che anche la ragazza si trovava in<br />
ospedale per una <strong>de</strong>pressione l’aveva messa in contatto in qualche modo con la madre che non<br />
aveva più da dieci anni, ed ha cominciato a porsi molte doman<strong>de</strong> sulla vita <strong>de</strong>lla madre, ma<br />
suo padre non le dava molte risposte. Allora abbiamo invitato la sorella <strong>de</strong>lla madre in presenza<br />
<strong>de</strong>l padre per parlare con la famiglia. Questa sorella ha parlato <strong>de</strong>lle preoccupazioni che la<br />
madre aveva nei confronti <strong>de</strong>i figli. Questo ha permesso alla ragazza di esprimere in un modo<br />
diretto una lealtà verso la madre, che lei aveva conosciuto in <strong>de</strong>i periodi stabili come un madre<br />
molto calorosa, molto simpatica, divertente addirittura; per gli altri era una madre matta, ma<br />
per lei era la sua mamma. E la lealtà invisibile che era nella <strong>de</strong>pressione è diventata una lealtà<br />
diretta grazie al ruolo <strong>de</strong>lla zia e <strong>de</strong>l padre. A volte, se la persona non è più in vita, può essere<br />
utile mettersi in contatto con altre persone <strong>de</strong>l suo contesto per esprimere una lealtà in una<br />
modalità diretta. Il fatto che lei potesse esprimere le sue lealtà dirette le offriva anche<br />
l’autorizzazione di esprimere la sua aggressività per averla lasciata.<br />
Il fatto di andare alla ricerca <strong>de</strong>lle persone risorse è quindi un modo di proce<strong>de</strong>re, ma in alcune<br />
situazioni può rivelarsi impossibile perché tutta la famiglia può essere morta. Per esempio, ho<br />
lavorato in Ruanda, dove, a causa <strong>de</strong>l genocidio, c’erano <strong>de</strong>lle persone che erano rimaste<br />
assolutamente sole. Ci sono comunque <strong>de</strong>lle doman<strong>de</strong> che si possono porre, per esempio<br />
‘Quali aspettative pensa che questa persona che è morta aveva nei suoi confronti? Se egli fosse<br />
ancora in vita, che cosa vorrebbe donargli? Quale memoria di questa persona, ad esempio di<br />
suo marito, vuole dare ai suoi figli?’. Mi ricordo che in un gruppo con cui ho lavorato con <strong>de</strong>i<br />
consiglieri ruan<strong>de</strong>si e con <strong>de</strong>lle donne che erano state tutte violentate, tutte vedove, malate di<br />
<strong>Ai</strong>ds, queste doman<strong>de</strong>, senza avere <strong>de</strong>lle vere risposte, hanno aiutato le madri a parlare <strong>de</strong>lla<br />
loro malattia in relazione ai propri figli, perché sapevano che sarebbero morte; hanno avuto la<br />
possibilità di esprimere la loro consi<strong>de</strong>razione che avevano <strong>de</strong>i figli che avrebbero continuato a<br />
vivere dopo la loro morte. Conosco <strong>de</strong>lle persone che lavorano nelle carceri (dico questo perché<br />
so che anche qui ce ne sono): in alcune situazioni in cui il padre ha ucciso la madre, come può<br />
il padre dare qualcosa ai suoi figli, quando c’è talvolta una rottura totale con i figli? In una di<br />
queste situazioni, dopo questo lavoro è stato di nuovo possibile che un bambino avesse un<br />
contatto con i nonni paterni con i quali non c’erano più stati contatti, e a lungo termine<br />
possono succe<strong>de</strong>re <strong>de</strong>lle cose nella relazione tra padre e figlio.<br />
Calosso<br />
Ci si trova talvolta di fronte a <strong>de</strong>lle situazioni di famiglie in cui ci sono molte persone con molti<br />
disagi diversi; come si fa a <strong>de</strong>ci<strong>de</strong>re, se si <strong>de</strong>ve <strong>de</strong>ci<strong>de</strong>re, con chi essere parziali, in quale<br />
momento. C’è un metodo per scegliere il “come” e il “quando”?<br />
Magda Heiremann<br />
È difficile parlarne in generale, vi darò due indizi. Innanzitutto si può pensare che quello che<br />
soffre di più merita la maggiore consi<strong>de</strong>razione. Ma questo non è sempre evi<strong>de</strong>nte, perché ci<br />
sono persone che hanno molti sintomi che chiedono attenzioni, ma ci sono <strong>de</strong>lle altre che sono<br />
molto più in disagio che non chiedono nulla. Secondariamente, se si parla di parzialità<br />
multidirezionale in una famiglia numerosa, è possibile che il terapeuta ponga una domanda<br />
che testimonia la sua parzialità nei confronti di un figlio, ma che nello stesso tempo offra una<br />
possibilità al padre di dare un riconoscimento al figlio. Quindi il terapeuta è anche parziale nei<br />
confronti <strong>de</strong>l padre, perché gli dà la possibilità di donare <strong>de</strong>lla legittimità costruttiva.<br />
Prendiamo un esempio. Se si può parlare <strong>de</strong>l fatto che il padre ha perso una sorella, e si<br />
domanda al bambino cosa può fare, che cosa sa fare per consolare il padre che è triste, in<br />
questo modo si è parziali verso il bambino, e verso il padre, e quindi verso questa relazione.<br />
Anche senza aver dato più tempo al padre per esprimere il suo dolore per la mancanza <strong>de</strong>lla<br />
sorella, lo si riconosce come padre che soffre e che è capace allo stesso tempo di ve<strong>de</strong>re ciò che<br />
il suo bambino fa per lui. Ma in una famiglia simile è possibile che ci sia ancora un altro<br />
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membro che ha <strong>de</strong>i problemi a scuola, un altro con problemi di droga: si ha la possibilità<br />
anche di influire nel loro pensiero domandando dove i membri <strong>de</strong>lla famiglia trovano <strong>de</strong>ll’aiuto<br />
o con chi possono parlare <strong>de</strong>i loro problemi. Si ha quindi la possibilità di integrare la rete nel<br />
lavoro. Fortunatamente non siamo soli sul territorio. È possibile che non si faccia nulla su<br />
questi due problemi citati, sul contenuto, ma che il fatto che si lavori insieme aumenta la<br />
possibilità che questi due membri trovino nel proprio sistema d’aiuto un po’ più di fiducia; il<br />
processo su cui si lavora è l’incremento <strong>de</strong>lla fiducia, quindi non si <strong>de</strong>ve fare tutto da soli. Io<br />
lavoro nella psichiatria, e mi capita di ricevere <strong>de</strong>i genitori senza ve<strong>de</strong>re gli altri membri <strong>de</strong>lla<br />
famiglia; sapendo che i genitori hanno fiducia in qualcuno, succe<strong>de</strong> che il figlio <strong>de</strong>cida anche<br />
lui di ve<strong>de</strong>re un’altra persona. Si può lavorare sul processo anche senza ve<strong>de</strong>re tutte le persone,<br />
e questo può aumentare la possibilità che si trovino <strong>de</strong>lle risorse altrove. Il terzo aspetto è che<br />
le persone che sono in una situazione particolare nella loro vita, che sono in fase di transizione,<br />
per esempio un bambino che non mostra <strong>de</strong>i sintomi ma che rischia di restare troppo<br />
implicato nella famiglia e di non costruire il proprio <strong>de</strong>stino, allora probabilmente in quel<br />
momento ha più diritto alla parzialità rispetto a qualcuno che ha probabilmente <strong>de</strong>i sintomi,<br />
ma che non si trova in una fase <strong>de</strong>cisiva <strong>de</strong>lla vita. Sono le famiglie che vi aiutano a trovare gli<br />
indizi.<br />
[Nella Clinica <strong>de</strong>lla Concertazione, il ritmo non è più controllato unicamente dagli operatori,<br />
ma anche e soprattutto dalla famiglia, che con la sua forza convocatrice si trova ad essere<br />
l’esperta <strong>de</strong>lle doman<strong>de</strong> multiple. Le famiglie ci aiutano veramente a lavorare meglio, a<br />
lavorare meglio insieme.]<br />
Facciamo un piccolo esercizio per applicare la parzialità multidirezionale.<br />
Teresa presenta una situazione.<br />
Teresa Premoli<br />
Ecco la famiglia: una mamma, due figli e una figlia, un padre che è morto e un nonno che è<br />
morto, non so se la nonna sia ancora in vita. Ci sono tre assistenti sociali di tre servizi diversi.<br />
Magda Heiremann<br />
Creiamo <strong>de</strong>i piccoli gruppi composti da due persone. Ogni gruppo <strong>de</strong>ve immaginare una<br />
domanda e <strong>de</strong>ve immaginare di essere dalla parte <strong>de</strong>lla madre, o <strong>de</strong>l figlio maggiore, o <strong>de</strong>lla<br />
figlia e così via fino ai nonni paterni. Pensiamo ai bisogni di tali persone ed agli investimenti<br />
nelle relazioni.<br />
Premoli<br />
Alfio, il figlio maggiore, ha compiuto 18 anni a febbraio, sembra trovarsi in una forte crisi, è<br />
tossicodipen<strong>de</strong>nte ed è stato ammesso da un anno al servizio; la giustizia minorile e la mamma<br />
sospettavano da tempo problemi di questo genere. All'ultimo arresto c'è stato il contatto fra la<br />
Giustizia e il Ser. T.<br />
Ad accompagnarlo chi è stato?<br />
In previsione <strong>de</strong>lla sua liberazione, la Giustizia e il Ser.T, hanno pensato a questa soluzione di<br />
ammetterlo al nostro servizio, a condizione che fosse presente anche la madre. Nutrivamo<br />
dubbi, invece sono venuti e per qualche mese hanno frequentato il servizio con costanza.<br />
Vive con la mamma?<br />
Sì, ed è stato mandato in Comunità di recupero senza successo.<br />
Le paure <strong>de</strong>lla mamma?<br />
Ha paura che possa finire male, pensa alle frequentazioni <strong>de</strong>l figlio che non lo hanno certo<br />
aiutato, Alfio ha avuto molte <strong>de</strong>nunce. Gli altri figli sono stati inseriti in una Comunità alloggio<br />
per minori.<br />
E <strong>de</strong>l papà, cosa si sa?<br />
La mamma dice che è stato ammazzato nel 1990 in Sicilia. La figlia è di un altro padre da cui<br />
poi la madre si è separata. Questo papà non mantiene contatti.<br />
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E l'assegno di mantenimento?<br />
Niente.<br />
Magda Heiremann<br />
Durante la presentazione <strong>de</strong>l caso qualcuno, si nota subito, si fa mettere in disparte. Della<br />
famiglia con chi vi sentite parziali?<br />
Diverse risposte: Con la figlia ultimogenita. - Con la mamma. - Con la mamma e Alfio.<br />
Normalmente questa domanda si ripete in momenti diversi.<br />
Questa semplice attitudine di parzialità multidirezionale porta <strong>de</strong>lle chiarificazioni sulla<br />
famiglia, sulla rete e sulle risorse disponibili. Servirsi di questo metodo permette di non<br />
dimenticare nessun componente <strong>de</strong>lla rete, di essere attenti ai componenti in disparte. Bisogna<br />
ad esempio chie<strong>de</strong>rsi se qualcuno è escluso. Peraltro, questa attitudine di parzialità<br />
multidirezionale dovrebbe essere assunta da tutti gli operatori, e questo permette di equilibrare<br />
alcuni rapporti. Lo abbiamo appena visto, il professionista ha spesso la ten<strong>de</strong>nza a mostrarsi<br />
più parziale verso un utente piuttosto che verso un altro. Potrebbe esserci un operatore che non<br />
è in buoni rapporti con la madre e accorgendosene gli altri potrebbero riequilibrare. E poi,<br />
quali sono i bisogni <strong>de</strong>lla madre e cosa vorrebbe donare agli altri membri <strong>de</strong>lla famiglia?<br />
Potrebbe esserci in Alfio la voglia di sostituire il padre nella cura <strong>de</strong>lla famiglia.<br />
Dal racconto non si capisce molto <strong>de</strong>l rapporto fra Alfio e i nonni. Inoltre vedo un parallelo con<br />
la nonna che non ha il marito, come la figlia. Questa potrebbe essere una risorsa. Per quanto<br />
riguarda i nonni paterni, si può notare il loro totale distacco, forse perché non c’è più loro<br />
figlio.<br />
Ecco, questa era una breve e semplice applicazione <strong>de</strong>lla parzialità multidirezionale.<br />
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