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CORSO DI GENETICA - la genetica a urbino

CORSO DI GENETICA - la genetica a urbino

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<strong>CORSO</strong> <strong>DI</strong> <strong>GENETICA</strong><br />

LA <strong>GENETICA</strong> <strong>DI</strong><br />

BATTERI E VIRUS<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


La coltivazione dei batteri<br />

Una colonia è formata da<br />

circa 10 7 cellule.<br />

Clone = discendenti di<br />

un’unica cellu<strong>la</strong>.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Scambio di materiale genetico<br />

Meccanismi mediante i quali avviene scambio<br />

di materiale genetico tra batteri:<br />

¸ trasformazione<br />

¸coniugazione<br />

¸ sesduzione<br />

¸trasduzione<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


La trasformazione<br />

La trasformazione è il trasferimento di materale genetico da un<br />

batterio all’altro mediato da frammenti di DNA extracellu<strong>la</strong>re.<br />

La trasformazione (in Streptococcus pneumoniae) è stata<br />

osservata per <strong>la</strong> prima volta da Frederick Griffith nel 1928.<br />

Nel 1944 Avery, MacLeod e<br />

McCarty dimostrarono che il<br />

principio<br />

DNA.<br />

trasformante era il<br />

Nel<strong>la</strong> trasformazione frammenti<br />

iso<strong>la</strong>ti di DNAvengonoassorbiti<br />

dall’esterno<br />

cellu<strong>la</strong>.<br />

all’interno del<strong>la</strong><br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


La mappa per<br />

trasformazione<br />

Con <strong>la</strong><br />

trasformazione è<br />

possibile mappare i<br />

geni: quanto più<br />

due marcatori sono<br />

vicini, tanto più<br />

probabile è <strong>la</strong> loro<br />

cotrasformazione.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”<br />

p ed o non stanno mai insieme -><br />

sono i più distanti -> q è al centro!


La trasformazione a livello<br />

moleco<strong>la</strong>re<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


La scoperta<br />

del<strong>la</strong><br />

coniugazione - 1<br />

Nel 1946 Joshua Lederberg e<br />

Edward Tatum dimostrarono<br />

che due ceppi di E.coli<br />

auxotrofi (E. coli A met- bio- thr + leu + thi + ed E. coli B met +<br />

bio + thr- leu- thi- ), posti a<br />

contatto, possono scambiarsi<br />

materiale genetico e creare<br />

dei batteri prototrofi.<br />

Colonie prototrofe: 1x10-7 Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


La scoperta del<strong>la</strong> coniugazione - 2<br />

Al<strong>la</strong> fine degli anni<br />

‘40 Bernard Davis<br />

scopre che se i<br />

due ceppi sono<br />

separati da un<br />

filtro attraverso<br />

cui possono<br />

passare sostanze<br />

(ma non batteri) non si ha <strong>la</strong><br />

formazione di prototrofi: il<br />

contatto fisico tra i due ceppi è<br />

indispensabile!<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Il fattore di fertilità (F)<br />

Nel 1953 William Hayes scoprì che il trasferimento<br />

genico avviene in una so<strong>la</strong> direzione: da un donatore<br />

(maschio) ad un ricevente (femmina). Hayes trovò<br />

un donatore “sterile” (cioè incapace di trasferire<br />

l’informazione) che si era trasformato in un<br />

ricevente, pertanto ipotizzò che <strong>la</strong> capacità di<br />

fungere da donatore fosse una condizione ereditaria<br />

determinata da una fattore di fertilità F. Iceppiche portano F sono<br />

donatori (F + ), quelli senza F sono riceventi (F- ). Inoltre osservò che il<br />

trasferimente genico era un evento raro, ma il fattore F veniva<br />

trasferito facilmente. Successivamente fu dimostrato che il fattore<br />

Fèunp<strong>la</strong>smide, cioèun anello di DNA indipendente dal cromosoma<br />

batterico e non facente parte del genoma batterico, chesireplica<br />

nel citop<strong>la</strong>sma batterico in maniera autonoma.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


La scoperta del<strong>la</strong><br />

coniugazione - 3<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Iceppi Hfr<br />

Luca Cavalli Sforza scoprì un nuovo ceppo<br />

derivato da un F+ chiamato high frequency of<br />

recombination (Hfr). L’incrocioHfrxF-dava<br />

1000 volte più ricombinanti dell’incrocio F+ x<br />

F-, ma nessuna cellu<strong>la</strong> F- diventava F+. Si<br />

scoprì poi che il ceppo Hfr si forma in seguito<br />

all’integrazione di F nel cromosoma batterico.<br />

Quando si mesco<strong>la</strong>no cellule F+ con cellule F- il fattore F si<br />

integra nel cromosoma batterico con una bassa frequenza. Ciò<br />

determina trasferimento di geni batterici ma con bassa<br />

frequenza. Nell’incrocio Hfr x F- invece, dal momento che tutti i<br />

batteri donatori hanno F integrato, <strong>la</strong> frequenza di ricombinanti<br />

è alta.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


L’integrazione<br />

di F<br />

La ricombinazione tra due anelli di<br />

DNA, in seguito ad un singolo<br />

crossing over, porta al<strong>la</strong><br />

formazione di un anello unico che<br />

è<strong>la</strong>sommadeidueprecedenti.In<br />

questo modo un ceppo F+ (con F<br />

p<strong>la</strong>smide libero) puòtrasformarsi<br />

in un ceppo Hfr. Una volta<br />

inserito, il p<strong>la</strong>smide F mantiene <strong>la</strong><br />

sua capacità di riconoscere un<br />

batterio F- e, in questo caso,<br />

tenta di iniziare <strong>la</strong> coniugazione.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Il trasferimento<br />

di Hfr - 1<br />

Il trasferimento di F integrato (Hfr)<br />

comincia sempre a partire dall’origine di<br />

replicazione O. Ma quando è integrato O<br />

non si trova all’estremità di F: il ricevente,<br />

per poter diventare F+, dovrebbe ricevere<br />

tutto il cromosoma batterico del<br />

donatore. Poiché il pilo sessuale è instabile,<br />

anche a causa del moto browniano del<br />

liquido di coltura, il trasferimento non è<br />

(quasi) mai completo: il ricevente resta Fma<br />

ottiene una parte di DNA batterico dal<br />

donatore che può eventualmente essere<br />

integrata nel cromosoma.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Il trasferimento di Hfr - 2<br />

A questo punto, il ricevente non ha ricevuto un DNA circo<strong>la</strong>re, ma<br />

lineare! Questopotràeventualmente essere integrato nel genoma<br />

del ricevente per ricombinazione sfruttando l’omologia del DNA<br />

batterico, e solo in seguito ad un numero pari di crossing over.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


La coniugazione interrotta<br />

Si può sfruttare <strong>la</strong> <strong>la</strong>bilità del<br />

pilo e l’inserzione di F per<br />

mappare i geni di un cromosoma<br />

batterico. Infatti, le<br />

integrazioni di F sono casuali<br />

sia come punto di inserzione,<br />

sia come orientamento del<br />

p<strong>la</strong>smide, quindi ogni ceppo<br />

batterico Hfr trasferirà geni<br />

nel ricevente con un ordine che<br />

riflette <strong>la</strong> disposizione dei geni<br />

lungo il cromosoma.<br />

Elie Wollman e François Jacob, 1957<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


I due tipi di cellule vengono<br />

mesco<strong>la</strong>te in gran quantità in<br />

un terreno liquido a 37°C. A<br />

vari tempi vengono prelevati<br />

dei campioni del<strong>la</strong> coltura,<br />

vengono agitati (per<br />

interrompere artificialmente<br />

<strong>la</strong> coniugazione) e piastrati su<br />

terreni selettivi (nell’esempio<br />

illustrato a <strong>la</strong>to, contenente<br />

streptomicina) per uccidere le<br />

cellule Hfr. Si ottiene in<br />

questo modo una mappa a<br />

tempo del cromosoma<br />

batterico donatore.<br />

La procedura<br />

Esempio: donatore HfrH thr + leu + azi R ton R <strong>la</strong>c + gal + str S<br />

ricevente: F- thr leu azi S ton S <strong>la</strong>c gal str R<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Le mappe a tempo<br />

Wollman e Jacob arrivarono a queste conclusioni perché:<br />

¸ ogni allele del donatore appariva nel ricevente F- dopo un intervallo<br />

di tempo ben preciso dall’inizio del<strong>la</strong> coniugazione;<br />

¸ gli alleli del donatore si presentavano sempre in una specifica<br />

sequenza;<br />

¸ i marcatori che entravano più tardi comparivano in un numero<br />

minore di cellule.<br />

Da queste osservazioni dedussero che il trasferimento avviene a<br />

partire da un punto ben preciso sul cromosoma del donatore chiamato<br />

origine O e prosegue secondo una modalità lineare.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Costruzione del<strong>la</strong><br />

mappa<br />

Come unità di misura siusailtempoin<br />

minuti impiegato dagli alleli del donatore<br />

ad entrare nel ricevente.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”<br />

Solo dopo circa 2orei riceventi diventano<br />

F+ Ÿ il fattore F entra per ultimo.


L’integrazione di F<br />

Fu Campbell che scoprì che l’integrazione di F avviene tramite un singolo<br />

crossing over tra i due anelli di DNA, portando al<strong>la</strong> loro fusione e<br />

creando un unico anello che è <strong>la</strong> somma dei due componenti. Poiché<br />

esistono nel cromosoma batterico vari siti con sequenza omologa al<strong>la</strong><br />

regione di appaiamento di F, si possono ottenere tanti ceppi Hfr, ognuno<br />

dei quali trasferisce i geni in un ordine diverso.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Il cromosoma batterico<br />

è circo<strong>la</strong>re<br />

Usando vari ceppi Hfr ed ottenendo mappe diverse, Campbell ipotizzò<br />

che il cromosoma batterico fosse circo<strong>la</strong>re.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Il saggio a tre punti nei batteri<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


La sesduzione,<br />

ovvero F’<br />

Nel 1959 E. Adelber scoprì che in<br />

un ceppo Hfr il fattore F può<br />

excidersi e generare un ceppo F+.<br />

Se però excide in maniera errata,<br />

può incorporare il gene batterico<br />

accanto al quale era inserito. In<br />

questo caso prende il nome di F’. Il<br />

p<strong>la</strong>smide F’ può coniugare ed<br />

inserire il gene che ha incorporato<br />

in un batterio ricevente<br />

(sesduzione) che diventa F+ e<br />

produce un diploide parziale<br />

stabile, o merozigote.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


La trasduzione<br />

Èiltrasferimentodeigeni batterici mediato<br />

da batteriofagi.<br />

I fagi che effettuano <strong>la</strong> trasduzione<br />

generalizzata veico<strong>la</strong>no qualsiasi porzione<br />

del genoma dell’ospite, mentre i fagi che<br />

effettuano <strong>la</strong> trasduzione specializzata<br />

trasferiscono solo porzioni specifiche.<br />

La trasduzione generalizzata fu scoperta nel<br />

1951 da Joshua Lederberg e Norton Zinder<br />

che ottennero prototrofi anche con<br />

l’esperimento del “tubo a U”. Il meccanismo<br />

venne poi chiarito da Ikeda e Tomizawa con<br />

il fago P1 nel 1965.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Il ciclo vitale di un fago litico<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


La trasduzione generalizzata<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”<br />

NB: nel<strong>la</strong><br />

testa del<br />

fago non<br />

restano<br />

geni fagici!


La mappa per trasduzione<br />

Con <strong>la</strong> trasduzione generalizzata sipossono stabilire re<strong>la</strong>zioni<br />

di associazione tra i geni.<br />

La cotrasduzione è il trasferimento di due geni batterici<br />

(molto vicini) ad opera dello stesso fago. Ad esempio:<br />

donatore leu+thr+azi R x<br />

ricevente leu-thr-azi S<br />

Dal<strong>la</strong> prima parte (leu + ):<br />

thr leu azi<br />

thr<br />

oppure<br />

azi leu<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”<br />

Ma dal<strong>la</strong> seconda parte si deduce che è <strong>la</strong> prima, <strong>la</strong> mappa giusta!


a+b-<br />

a-b+<br />

a+b+<br />

La frequenza di cotrasduzione<br />

trasduttanti<br />

donatore a+b+ x ricevente a-b-<br />

selezionando per a+<br />

freq. di cotrasduzione =<br />

numero dei trasduttanti<br />

frequenza di<br />

per entrambi i marcatori<br />

cotrasduzione =<br />

numero di trasduttanti totali<br />

(a+b+)<br />

(a+b-)+(a+b+)<br />

x 100<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”<br />

selezionando per b+ (a+b+)<br />

freq. di cotrasduzione = x 100%<br />

(a-b+)+(a+b+)<br />

x 100


La trasduzione specializzata<br />

Alcuni batteriofagi, una volta entrati nell’ospite, possono seguire<br />

due strade alternative. Come descritto, possono procedere con il<br />

c<strong>la</strong>ssico ciclo litico. Oppure possono entrare in un ciclo detto<br />

lisogenico (o lisogeno); in questo caso si par<strong>la</strong> di fagi temperati o<br />

profagi. I fagi temperati sono dei fagi quiescenti che<br />

sopravvivono nell’ospite attraverso le generazioni cellu<strong>la</strong>ri senza<br />

lisarlo, e sfruttano <strong>la</strong> replicazione del DNA batterico per <strong>la</strong> loro<br />

stessa replicazione e sopravvivenza. La quiescenza avviene grazie<br />

ad un sistema di controllo genetico che impedisce al fago di<br />

innescare il ciclo litico finché non si verificano determinate<br />

condizioni. In questo modo il fago può sopravvivere senza nuocere<br />

all’ospite, in teoria indefinitamente.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Il ciclo lisogenico<br />

del profago l<br />

Il profago l si può integrare con un<br />

singolo crossing over alivellodel“sitodi<br />

attacco di <strong>la</strong>mbda” tra i geni gal e bio.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Meccanismo del<strong>la</strong><br />

trasduzione specializzata<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”<br />

NB: nel<strong>la</strong> testa del<br />

fago restano<br />

ANCHE i geni fagici!


Riassumendo…<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Un organismo eterozigote<br />

doppio rispetto a due<br />

mutazioni può essere cis o<br />

trans eterozigote rispetto ad<br />

esse. Se le due mutazioni sono<br />

sullo stesso cromosoma, allora<br />

si dice che esse sono in cis.<br />

Altrimenti sono in trans. In<br />

generale, tutti gli elementi<br />

genetici che si trovano sul<strong>la</strong><br />

stessa moleco<strong>la</strong> di DNA sono<br />

in cis tra loro.<br />

Gli eterozigoti<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Le<br />

muta-<br />

zioni<br />

in cis<br />

Le due<br />

mutazioni<br />

possono<br />

essere<br />

intrageniche<br />

o<br />

intergeniche!<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Le muta-<br />

zioni in<br />

trans<br />

Le mutazioni in<br />

trans possono<br />

NON dare<br />

fenotipo<br />

selvatico!<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Marcatori del fago T2:<br />

Ifenotipi dei fagi<br />

Ifenotipifagici possono essere riconosciuti per <strong>la</strong> forma e/o le<br />

dimensioni delle p<strong>la</strong>cche di lisi, e per <strong>la</strong> specificità d’ospite (ceppo<br />

batterico che un fago è in grado di lisare).<br />

h+ lisa il ceppo B di E. coli ma non il ceppoB/2<br />

h lisa sia il ceppo B che il B/2<br />

r+ forma p<strong>la</strong>cche piccole con margini indistinti<br />

r forma p<strong>la</strong>cche grandi con margini netti<br />

Quando i fagi h+ crescono su uno strato misto di cellule B e B/2<br />

formano p<strong>la</strong>cche torbide perché lisano solo i batteri B, mentre i<br />

batteri B/2 crescono nelle p<strong>la</strong>cche provocandone <strong>la</strong> torbidità. I<br />

fagi h formano invece p<strong>la</strong>cche chiare.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Ifenotipi dei fagi<br />

Esistono alleli mutanti del gene<br />

r detti rII.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


L’incrocio<br />

tra fagi<br />

Per incrociare tra loro<br />

dei fagi (organismi<br />

aploidi, riproduzione<br />

non sessuata) di<br />

genotipo diverso si può<br />

coinfettare un batterio<br />

ospite usando opportune<br />

concentrazioni dei<br />

tre organismi. I DNA<br />

fagici nel batterio<br />

possono eventualmente<br />

ricombinare tra loro.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Mappatura dei geni fagici<br />

Frequenza di<br />

ricombinazione<br />

tra h ed r<br />

p<strong>la</strong>cche (h + r + ) + (h - r - )<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”<br />

p<strong>la</strong>cche totali<br />

x 100


La complementazione nei fagi<br />

Esistono tanti ceppi mutanti di fagi di tipo rII; per vedere se questi<br />

appartengono tutti allo stesso locus genetico si esegue un test di<br />

complementazione.<br />

Ifagimutanti rII producono p<strong>la</strong>cche grandi con margini netti; sono in<br />

grado di lisare il ceppo B di E. coli ma non il ceppo K(l).<br />

IfagiselvaticirII+ producono p<strong>la</strong>cche piccole con margini irrego<strong>la</strong>ri;<br />

sono in grado di lisare sia il ceppo B di E. coli che il ceppo K(l).<br />

Per fare il test di complementazione tra due fagi mutanti rII (es.<br />

rII1 erII2 )sifaunadoppiainfezione(oinfezione mista) su K(l) esi<br />

verifica se avviene <strong>la</strong> lisi oppure no.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”<br />

Ifagideidueceppi mutanti vengono piastrati ad alta molteplicità di<br />

infezione, cioè ad un concentrazione elevata in modo che i batteri<br />

vengano infettati allo stesso tempo da entrambi i tipi fagici mutanti.


I risultati di una doppia<br />

infezione<br />

Se si ha <strong>la</strong> lisi delle cellule K(l) vuol<br />

dire che le mutazioni sono a carico di<br />

geni diversi e pertanto complementano.<br />

Se non si osserva lisi le mutazioni sono<br />

a carico dello stesso gene e di<br />

conseguenza non complementano.<br />

Nel<strong>la</strong> complementazione i genotipi del<strong>la</strong><br />

progenie fagica rimangono mutanti come<br />

quelli dei genitori. Avviene solo un<br />

mesco<strong>la</strong>mento di prodotti genici.<br />

Viceversa, nel<strong>la</strong> ricombinazione i<br />

genotipi del<strong>la</strong> progenie sono diversi da<br />

quelli dei genitori.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Complementazione<br />

Ricombinazione<br />

Analisi <strong>genetica</strong> del<strong>la</strong><br />

progenie fagica<br />

La progenie fagica si piastra su<br />

E.coli B E.coli K(l)<br />

tutti i fagi<br />

formano p<strong>la</strong>cche<br />

(titolo elevato)<br />

tutti i fagi<br />

formano p<strong>la</strong>cche<br />

(titolo molto<br />

basso)<br />

non si osserva<br />

formazione di<br />

p<strong>la</strong>cche<br />

formano p<strong>la</strong>cche<br />

<strong>la</strong> metà dei fagi<br />

(i selvatici) che<br />

lisano B. I doppi<br />

mutanti non<br />

formano p<strong>la</strong>cche<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”<br />

La frequenza di ricombinazione è di solito molto<br />

bassa e non interferisce con <strong>la</strong> complementazione.


Il cistrone<br />

Mediante il test di<br />

complementazione<br />

èpossibile definire<br />

il gene come unità<br />

trans<br />

m1<br />

+<br />

+<br />

m2<br />

m1<br />

+<br />

cis<br />

m2<br />

+<br />

di funzione. Un complementazione complementazione<br />

gene o cistrone è<strong>la</strong><br />

regione <strong>genetica</strong><br />

trans<br />

cis<br />

all’interno del<strong>la</strong> m1 + +<br />

m1 m2 +<br />

quale non c’è + m2 +<br />

+ + +<br />

complementazione<br />

tra mutazioni. Il<br />

cistrone è l’unità<br />

di funzione.<br />

assenza di<br />

complementazione<br />

complementazione<br />

Il cistrone prende il nome dal test di complementazione che si<br />

chiama test cis-trans.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


La struttura fine del gene - 1<br />

Negli anni ‘40 Edward B. Lewis, <strong>la</strong>vorando<br />

sul locus Star del cromosoma 2 di<br />

Drosophi<strong>la</strong> (che control<strong>la</strong> le dimensioni<br />

dell’occhio) trovò che su 57.000 individui<br />

nati dall’incrocio S (Star, dominante) per<br />

ast (asteroid, recessivo, anch’esso con<br />

occhio ridotto) solo 16 avevano occhi<br />

normali (quindi con genotipo +/+). La<br />

spiegazione più semplice era che fosse<br />

avvenuta ricombinazione tra mutazioni in<br />

siti diversi dello stesso gene. S ed ast<br />

furono chiamati pseudoalleli.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


La struttura fine del gene - 2<br />

Nel 1940 Oliver <strong>la</strong>vorava sul gene lozenge (lz) sul<br />

cromosoma X di Drosophi<strong>la</strong> (gli individui lz/lz hanno occhi<br />

con superficie lucida e liscia). Isolò molti alleli lz che<br />

mappavano allo stesso locus (lzBS lzK lzl lzg )edineterozigosi<br />

davano fenotipo mutante. Reincrociando eterozigoti per due<br />

diversi alleli lz si ottenevano selvatici, a bassa frequenza.<br />

Anche in questo caso si suppose che avvenisse<br />

ricombinazione all’interno del gene lozenge e gli alleli lz<br />

furono chiamati pseudoalleli. Usando <strong>la</strong> frequenza dei<br />

ricombinanti selvatici si poteva costruire una mappa delle<br />

mutazioni lz all’interno del locus lozenge.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


K(l)<br />

B<br />

rII<br />

assenza di<br />

lisi<br />

p<strong>la</strong>cche<br />

grandi<br />

margini<br />

netti<br />

Seymour Benzer<br />

rII +<br />

Benzer negli anni ‘50 utilizzò un sistema molto<br />

sensibile per mettere in evidenza <strong>la</strong><br />

ricombinazione intragenica nel fago T4 e costruì<br />

una mappa <strong>genetica</strong> dettagliata di siti all’interno<br />

del gene rII. Lasensibilitàdelsistemaadottato<br />

era data dal fatto che i fagi producono progenie<br />

p<strong>la</strong>cche<br />

piccole<br />

margini<br />

irrego<strong>la</strong>ri<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”<br />

p<strong>la</strong>cche<br />

piccole<br />

margini<br />

irrego<strong>la</strong>ri<br />

molto numerosa, per cui era possibile<br />

mettere in evidenza eventi di<br />

ricombinazione estremamente rari come<br />

quelli che si verificano all’interno di un<br />

singolo gene. Egli isolò circa 3.000<br />

mutanti rII e li saggiò acoppie, tramite<br />

doppie infezioni, per vedere se erano<br />

allelici o no.


IIA ed rIIB<br />

Dai dati di complementazione Benzer capì che le mutazioni rII<br />

mappavano in due unità di funzione, che chiamò cistrone A e cistrone B.<br />

I mutanti del cistrone A non complementavano tra loro ma<br />

complementavano con tutti i mutanti del cistrone B. I mutanti del<br />

cistrone B non complementavano tra loro ma complementavano con tutti<br />

i mutanti del cistrone A. Il numero dei mutanti assegnati a ciascun<br />

cistrone risultò più o meno lo stesso (circa 1.500).<br />

Benzer fece doppie infezioni con<br />

coppie di mutanti rII (tutti<br />

appartenenti allo stesso cistrone)<br />

sul ceppo B ed il lisato fagico<br />

ottenuto lo piastrò sul ceppo K(l) (sul quale potevano crescere solo i<br />

ricombinanti selvatici) ed ottenne ricombinanti selvatici che si erano<br />

originati da ricombinazione intragenica.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


I dati di Benzer<br />

confermarono ciò<br />

che avevano intuito<br />

Lewis e Oliver, cioè<br />

che <strong>la</strong> ricombinazione<br />

può avvenire<br />

anche tra siti all’<br />

interno del gene<br />

stesso. Questi siti<br />

furono all’epoca<br />

chiamati reconi.<br />

frequenza di<br />

ricombinazione<br />

tra due alleli<br />

La metodologia<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”<br />

ricombinanti rII+ x2<br />

totale progenie<br />

(numero di p<strong>la</strong>cche<br />

presenti sul ceppo B)<br />

=


I risultati ottenuti<br />

Per ciascun incrocio Benzer faceva un controllo piastrando<br />

singo<strong>la</strong>rmente i fagi di partenza (mutanti) sul ceppo B e poi<br />

trasferendo il lisato su K(l). In questo modo era possibile calco<strong>la</strong>re<br />

<strong>la</strong> frequenza di retromutazione. Intuttiicasisividecheessaera<br />

trascurabile rispetto al<strong>la</strong> frequenza di ricombinazione.<br />

Benzer non osservò mai frequenze di ricombinazione inferiori allo<br />

0,01% anche se il suo sistema era in grado di mettere in evidenza<br />

frequenze di ricombinazione dello 0,0001%. Ciò suggeriva l’esistenza<br />

di un limite fisico al di sotto del quale non può avvenire<br />

ricombinazione.<br />

Successivamente si capì che <strong>la</strong> più picco<strong>la</strong> unità di ricombinazione<br />

(il recone) coincide con <strong>la</strong> singo<strong>la</strong> coppia nucleotidica.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Risultati strani<br />

Benzer notò che<br />

alcune coppie di<br />

mutanti rII analizzati<br />

non davano mai luogo<br />

né a reversione<br />

(retromutazione) né a<br />

ricombinazione. Quali<br />

tipi di mutazioni<br />

possono<br />

risultati?<br />

dare questi<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”<br />

complementazione ricombinazione retromutazione +<br />

intragenica assenza di p<strong>la</strong>cche


Le delezioni<br />

Benzer ipotizzò che<br />

si potesse trattare<br />

di delezioni. Queste<br />

infatti non possono<br />

ricombinare con mutazioni<br />

puntiformi<br />

sovrapposte.<br />

Benzer mappò le delezioni<br />

incrociandole tra loro: se<br />

dall’incrocio tra due diverse<br />

delezioni non si ottengono<br />

ricombinanti selvatici, allora<br />

esse si sovrappongono.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Due delezioni NON sovrapposte<br />

possono invece ricombinare<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Le delezioni scoperte da Benzer<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Benzer mappò le<br />

delezioni tra<br />

loro e poi le<br />

utilizzò per<br />

mappare più<br />

velocemente<br />

tutte le<br />

mutazioni<br />

puntiformi del<strong>la</strong><br />

regione rII<br />

tramite test di<br />

complementazione<br />

a due a<br />

due.<br />

La mappa per delezione<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


La tecnica <strong>genetica</strong><br />

Come si mappa un mutante utilizzando le delezioni? Siano per esempio<br />

D1 e D2 due delezioni del gene rIIA. Esse definiscono treareedel<br />

gene, che chiameremo i, ii, iii.<br />

m m m<br />

Se una mutazione dà ricombinanti<br />

selvatici solo se incrociata con<br />

D2, allora risulterà localizzata<br />

nel<strong>la</strong> regione i.<br />

Se una mutazione non dà ricombinanti selvatici né con D1 né con D2,<br />

allora risulterà localizzata nel<strong>la</strong> regione ii.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”<br />

Se una mutazione dà ricombinanti selvatici solo se incrociata con D1,<br />

allora risulterà localizzata nel<strong>la</strong> regione iii.


La mappa fine dei loci rII - 1<br />

Benzer utilizzò deficienze sempre più piccole ed infine incrociò in tutti<br />

imodipossibiliimutantipuntiformiinterniadunostessosegmentoper<br />

costruire una mappa <strong>genetica</strong> dettagliata.<br />

Se due mutazioni puntiformi incrociate tra loro non davano ricombinanti<br />

selvatici significava che esse erano a carico dello stesso sito.<br />

Benzer notò che i siti non erano tutti uguali rispetto al<strong>la</strong> suscettibilità<br />

al<strong>la</strong> mutazione. In molti casi si aveva una so<strong>la</strong> mutazione per sito, ma in<br />

alcuni casi se ne avevano molte. I siti maggiormente mutabili furono<br />

chiamati hot spots (punti caldi).<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”<br />

Gli hot spots si mettono in evidenza anche trattando con mutageni.


La mappa fine dei loci rII -2<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”


Conclusioni<br />

L’analisi del<strong>la</strong> struttura fine del gene ha dimostrato che<br />

ciascun gene è costituito da una serie lineare di subelementi<br />

o siti che possono essere alterati dalle mutazioni<br />

e possono essere separati dal<strong>la</strong> ricombinazione.<br />

Successivamente si vide che ciascun sito consiste in una<br />

singo<strong>la</strong> coppia di basi del<strong>la</strong> doppia elica del DNA.<br />

Roberto Piergentili<br />

Università di Urbino “Carlo Bo”

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