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Sergio De Felice, Della nullita' del provvedimento amministrativo.

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SERGIO DE FELICE<br />

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<strong>De</strong>lla nullità <strong>del</strong> <strong>provvedimento</strong> <strong>amministrativo</strong><br />

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1.La nullità e la annullabilità. 2.Inadeguatezza <strong>del</strong>la mera annullabilità. 3. La generale annullabilità<br />

e la violazione <strong>del</strong>le norme imperative. I precedenti casi di nullità nella legge. 4. La legge 15/2005<br />

sulla nullità (art. 21 septies). 5. La giurisdizione. 6. Altre conseguenti regole sulla nullità <strong>del</strong>l’atto<br />

<strong>amministrativo</strong>. 7. La inesistenza? L’ultima parola, come sempre, alla giurisprudenza.<br />

1.La nullità e la annullabilità.<br />

Ancora una volta il diritto <strong>amministrativo</strong> mima e mutua le categorie giuridiche <strong>del</strong> <strong>provvedimento</strong><br />

(in particolare, le sue invalidità) dal diritto civile e dal diritto romano, le madri di tutti i diritti.<br />

Si conferma l’assunto di quel grande autore secondo il quale il civile è il diritto, il penale è il fatto,<br />

l’<strong>amministrativo</strong> è il nulla, se non altro, perché esso deve rivolgersi alle altre branche <strong>del</strong> diritto per<br />

disciplinare le categorie patologiche (come dimostra il tentativo di costruzione negoziale <strong>del</strong><br />

<strong>provvedimento</strong>).<br />

E’ noto che la disciplina <strong>del</strong>le invalidità (in particolare <strong>del</strong>la annullabilità, che richiede l’intervento<br />

<strong>del</strong> giudice) deriva dalla sovrapposizione, in diritto romano, <strong>del</strong>lo jus civile e <strong>del</strong> diritto pretorio, e<br />

dalla integrazione, quindi, <strong>del</strong> diritto processuale con quello sostanziale.<br />

La invalidità è in generale la difformità dal diritto (in senso lato la irregolarità) <strong>del</strong>l’atto che<br />

comporta la sanzione <strong>del</strong>la inefficacia definitiva.<br />

La categoria <strong>del</strong>la invalidità comprende sia la nullità che la annullabilità (in diritto privato, secondo<br />

una certa tesi, anche la rescissione).<br />

La inosservanza di norme giuridiche si sostanzia in una qualifica negativa <strong>del</strong>l’atto.<br />

Tale sanzione può essere automatica (opera di diritto, come nel caso <strong>del</strong>la nullità) oppure di<br />

necessaria applicazione giudiziale (è il caso <strong>del</strong>la annullabilità).<br />

L’atto nullo è inefficace di diritto, mentre quello annullabile è provvisoriamente efficace, salvo a<br />

perdere la sua efficacia al momento <strong>del</strong>l’annullamento.<br />

La nullità corrisponde alla massima <strong>del</strong>le sanzioni, quella perfetta tra di esse, in quanto opera di<br />

diritto (ipso iure), non richiede neppure l’intervento <strong>del</strong> giudice, mentre con l’annullamento la<br />

restaurazione <strong>del</strong>l’ordine violato avviene proprio ad opera <strong>del</strong> giudice.<br />

Attualmente, le categorie <strong>del</strong>la nullità e <strong>del</strong>la annullabilità sono diverse a seconda <strong>del</strong>le branche <strong>del</strong><br />

diritto.<br />

In diritto civile, la regola per violazione a norme imperative è la nullità, mentre la annullabilità è<br />

prevista a tutela di interessi particolari (salve particolari, ma significative eccezioni, come in<br />

materia di <strong>del</strong>ibere assembleari, di matrimonio, di testamento).<br />

In diritto processuale civile, la difformità a diritto risponde nominalisticamente alla nullità, ma<br />

corrisponde in realtà alla annullabilità, tanto che la giurisprudenza ha creato la categoria <strong>del</strong>la<br />

inesistenza <strong>del</strong>la sentenza (per esempio, non sottoscritta o emessa a non judice).<br />

In diritto comunitario, la regola <strong>del</strong>l’atto <strong>amministrativo</strong> comunitario viziato è la annullabilità, come<br />

<strong>del</strong> resto è sempre stato per il diritto <strong>amministrativo</strong> nazionale.<br />

In diritto <strong>amministrativo</strong>, la invalidità, in generale, ricade sub specie di annullabilità.


La medesima tutela <strong>del</strong>l’interesse legittimo (oggi, per la Carta Europea, si tratta <strong>del</strong> diritto alla<br />

buona amministrazione) è stata intesa come tutela necessariamente costitutiva in senso lato, e quindi<br />

estintiva e demolitoria nei confronti <strong>del</strong>l’atto impugnato.<br />

Solo il giudice <strong>amministrativo</strong>, in linea di principio (salve significative eccezioni, come la legge<br />

689/1981) può annullare l’atto <strong>amministrativo</strong>.<br />

La regola generale è quella <strong>del</strong>la annullabilità ad istanza di parte e nei limiti <strong>del</strong>la domanda, in<br />

quanto da un lato si verte in un sistema di giurisdizione di tipo soggettivo, dall’altro lato, le<br />

esigenze di giustizia amministrativa impongono che il ricorso di parte sia prodotto entro un dato<br />

termine e che indichi e specifichi i mezzi di gravame.<br />

Tale particolare annullabilità, inoltre, si differenzia da quella civilistica: non solo è previsto un<br />

breve termine di decadenza in luogo <strong>del</strong>la prescrizione breve, ma il vizio non si può fare valere in<br />

via di eccezione, quando la prescrizione (o la decadenza) sia scaduta.<br />

E’ vero pure che in diritto <strong>amministrativo</strong> esiste l’autoannullamento che, pur con varie limitazioni,<br />

non sconta il termine di decadenza (ma sconta il limite <strong>del</strong> tempo ragionevole).<br />

Il regime di invalidità degli atti amministrativi si accosta, più significativamente, al particolare<br />

regime <strong>del</strong>le invalidità <strong>del</strong>le <strong>del</strong>ibere assembleari (<strong>del</strong>le società di capitali e <strong>del</strong> condominio) che si<br />

evince dagli artt. 2377-2379 c.c., laddove la regola generale prevista è la annullabilità, la nullità è la<br />

eccezione (la nullità è limitata dall’art. 2379 c.c. ai casi di impossibilità o illiceità <strong>del</strong>l’oggetto),<br />

laddove la regola, mentre la giurisprudenza ha reagito a tale rigidità inventando, per vizi<br />

particolarmente gravi (la mancata convocazione in assenza di totalità), la inesistenza <strong>del</strong>le <strong>del</strong>ibere.<br />

La ratio è comune, in quanto il regime di decadenza è previsto proprio perché la legalità e la<br />

conformità al diritto devono tenere conto, in ambiti particolari (in ordinamenti particolari, direbbe il<br />

Santi Romano) <strong>del</strong>le esigenze di continuità, stabilità, presunzione di legittimità, affidamento dei<br />

privati, inoppugnabilità <strong>del</strong>l’atto, in definitiva, <strong>del</strong>la mitizzata certezza <strong>del</strong> diritto.<br />

Tali esigenze, in diritto commerciale, si esprimono evocando il favor societatis, che ha portato il<br />

legislatore, per esempio, a convertire le cause di nullità <strong>del</strong>l’atto di società in cause di scioglimento,<br />

una volta sorta la società (art. 2332 c.c.).<br />

In diritto <strong>amministrativo</strong>, il <strong>provvedimento</strong> è l’atto che costituisce, modifica o estingue una<br />

situazione giuridica amministrativa (in parallelo con la definizione di contratto di cui all’art. 1321<br />

c.c.), mentre la sentenza costitutivo-estintiva (art. 2908 c.c.) <strong>del</strong> giudice <strong>amministrativo</strong> è la risposta<br />

al diritto potestativo, a necessario esercizio giudiziale, da parte <strong>del</strong>l’interessato.<br />

Pur in estrema sintesi, il regime differenziato tra la nullità e la annullabilità (in potenza, mentre<br />

l’annullamento è in atto) riguarda il fattore temporale (la decadenza o la prescrizione, al cui<br />

proposito si ricorda che non esiste una differenza ontologica tra le due, ma la decadenza risponde di<br />

solito ad esigenze più impellenti, il termine è minore, il tempo è visto come non eccessiva distanza<br />

dal fatto costitutivo e non come durata <strong>del</strong>la inerzia), la rilevabilità di ufficio o su istanza di parte, la<br />

insanabilità o la sanabilità (oggi oltre i limiti di cui alla L.1968 n.249), la legittimazione generale o<br />

speciale (esistono però anche nullità relative e annullabilità assolute), la conversione, la natura<br />

costitutiva o solo dichiarativa e accertativa <strong>del</strong>la sentenza.<br />

Si dice anche che la nullità è la mancanza di elementi essenziali, mentre la annullabilità sarebbe il<br />

vizio di tali elementi.<br />

In realtà, i due casi di invalidità (invalido è ciò che non vale per l’ordinamento) si distinguono, a<br />

monte, per la natura (generale o particolare) <strong>del</strong>l’interesse tutelato e per il rango di primaria<br />

importanza o meno <strong>del</strong>le norme violate.<br />

Di conseguenza, in ragione <strong>del</strong>la importanza <strong>del</strong> vizio, la nullità si definisce come assoluta<br />

insuscettibilità di produrre effetti, mentre la annullabilità conduce ad una efficacia interinale,<br />

destinata ad essere caducata in caso di azione di annullamento.<br />

Introducendo positivamente la categoria generale <strong>del</strong> vizio di nullità nel diritto <strong>amministrativo</strong>, si<br />

rendono, in parte, recessivi i principi di presunzione di legittimità, di preclusione da decadenza, di<br />

continuità, di affidamento, che comportavano la generale annullabilità.


La nullità <strong>del</strong> <strong>provvedimento</strong> <strong>amministrativo</strong>, al contrario di quello annullabile, determinerà,<br />

rispetto ad esso, la mancanza dei caratteri di imperatività, efficacia, esecutività, esecutorietà se <strong>del</strong><br />

caso: in sostanza, l’atto nullo, per i suoi gravi vizi, non è in grado di determinare una modificazione<br />

<strong>del</strong>la situazione preesistente.<br />

Il <strong>provvedimento</strong> <strong>amministrativo</strong> nullo non è quindi in grado di produrre quella degradazione <strong>del</strong>la<br />

situazione soggettiva, che, con la metafora <strong>del</strong> Nigro, estingueva il diritto dalle cui ceneri sorgeva<br />

l’interesse legittimo.<br />

A seguito <strong>del</strong> <strong>provvedimento</strong> nullo vi è una immodificazione <strong>del</strong>la altrui sfera giuridica.<br />

Conseguentemente, l’atto nullo, dal punto di vista sostanziale, non necessiterà di interventi di<br />

secondo grado (o, se interverranno, si tratterà di qualcosa di analogo, ma non identico, alla<br />

autoannullamento), non determinando l’affievolimento o degradazione.<br />

2.Inadeguatezza <strong>del</strong>la mera annullabilità.<br />

E’ noto che la nullità deve logicamente e teoricamente essere distinta dalla inesistenza, definibile<br />

come inqualificazione giuridica, appartenente ad un ordinamento pre-giuridico, all’ordinamento<br />

sociale, diverso da quello giuridico.<br />

L’atto inesistente è un quid facti, giuridicamente irrilevante. La inesistenza è un vizio ancora più<br />

grave <strong>del</strong>la nullità.<br />

La giurisprudenza amministrativa e quella <strong>del</strong>la Cassazione avevano attinto proprio alla categoria<br />

<strong>del</strong>la nullità-inesistenza (senza chiarire, in realtà, se si trattasse di nullità o di inesistenza e<br />

distinguendola soltanto dalla generale annullabilità) per definire le situazioni involte da<br />

provvedimenti affetti da vizi talmente gravi da non poter essere ritenuti meramente annullabili.<br />

In sostanza, tali fattispecie - che venivano riscontrate, di solito nelle vicende espropriative -<br />

attenevano alle famose ipotesi di carenza di potere in astratto e in concreto; soprattutto, tali<br />

fattispecie, ancorate sempre alla distinzione di posizioni soggettive attive (diritto soggettivo o<br />

interesse legittimo) si inquadravano in quella che è stata definita la lunga vicenda <strong>del</strong> riparto di<br />

giurisdizione, mai sopita, anche, anzi soprattutto, dopo la sentenza n.204/2004 <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>le<br />

leggi.<br />

Era chiaro alla giurisprudenza che la generale annullabilità poteva risultare inadeguata alla esigenza<br />

di regolare i vizi più gravi.<br />

Di tale inadeguatezza, per altro versante, si è fatto carico il legislatore, completando il sistema di<br />

tutele, a mezzo <strong>del</strong>la attribuzione dinanzi al giudice <strong>amministrativo</strong> <strong>del</strong>la tutela non solo di<br />

legittimità-validità <strong>del</strong>l’atto (sull’honeste et recte vivere, secondo la massima ulpianea), ma anche di<br />

spettanza (sul cuique suum tribuere) e di responsabilità di tipo risarcitorio (alterum non laedere).<br />

Ma anche sotto il limitato profilo <strong>del</strong>la invalidità <strong>del</strong>l’atto (nel giudizio di legittimità), la mera<br />

annullabilità (con i suoi limiti decadenziali stretti) è risultata inadeguata in alcuni casi, tanto che la<br />

giurisprudenza (Ad. Plenaria C. di Stato n.4/2003) ha ribadito che può (deve) utilizzarsi lo<br />

strumento <strong>del</strong>la disapplicazione nei confronti di regolamenti illegittimi, pur non ritualmente e<br />

tempestivamente impugnati.<br />

In tale caso, il giudice, che applica la legge, risolve, di ufficio, nel giudizio concreto, il conflitto tra<br />

norme antitetiche di rango diverso, dando applicazione a quella superiore: non tanto si disapplica il<br />

regolamento, quanto, di ufficio, si applica la legge alla quale esso è difforme.<br />

Lo strumento limitato <strong>del</strong>la disapplicazione è però consentito solo avverso atti normativi (di<br />

secondo grado) proprio a causa di quella che il Santi Romano definiva la “natura anfibologica” dei<br />

regolamenti, che sono atti rispetto alle leggi, ma che sono norme rispetto agli atti successivi.<br />

La inadeguatezza <strong>del</strong>la fissità <strong>del</strong>la annullabilità è stata tenuta presente dal legislatore <strong>del</strong> 2005<br />

anche nel più limitato ambito dei vizi <strong>del</strong> <strong>provvedimento</strong>; si sentiva, secondo lo spirito <strong>del</strong>la legge,<br />

una esigenza di graduare le sanzioni di invalidità, aggiungendo alla regola generale, anche la nullità<br />

per casi più gravi (art. 21 septies) e la annullabilità sanabile o irregolarità, per i casi meno gravi (art.<br />

21 opties).


Si osservi anche che, pure nell’ambito <strong>del</strong> diritto civile, attualmente si propone una concezione <strong>del</strong>la<br />

nullità che presenti una certa misura di graduabilità in relazione alle singole fattispecie.<br />

Le nuove ipotesi di nullità speciale previste dalle recenti leggi (tra tutte, l’art. 1469 bis e seguenti, e<br />

la legge sulla subfornitura) prevedono ipotesi di nullità, caratterizzate però dalla relatività, che<br />

altera le normali caratteristiche <strong>del</strong>la nullità (che resta rilevabile di ufficio, imprescrittibile,<br />

definitiva), concedendo alla parte interessata di avvalersi <strong>del</strong> rimedio <strong>del</strong>la nullità o di profittare<br />

<strong>del</strong>la clausola invalida, attestando quindi, come osserva il Bianca, una nuova flessibilità <strong>del</strong>la<br />

nullità.<br />

Si prospetta una visione nuova <strong>del</strong>la nullità, nella quale è assolutamente nullo il contratto che<br />

offende interessi generali, mentre è solo relativamente nullo il contratto che offende interessi<br />

generali attraverso l’offesa di interessi particolari.<br />

Va considerato che tale esigenza di graduare le varie patologie <strong>del</strong>l’atto e che coinvolge ogni branca<br />

<strong>del</strong> diritto, se anche finalizzata ad una maggiore giustizia sostanziale, può essere foriera, al<br />

contrario, di pessimo servizio al sistema di giustizia amministrativa, in quanto determina a sua volta<br />

la incertezza <strong>del</strong> diritto <strong>amministrativo</strong>, governato, da sempre, dall’annullamento (giurisdizionale,<br />

giustiziale, <strong>amministrativo</strong>, di ufficio, in autotutela, governativo) <strong>del</strong>l’atto.<br />

3.La generale annullabilità e la violazione <strong>del</strong>le norme imperative. I precedenti casi di nullità nella<br />

legge.<br />

In precedenza, i vizi di validità <strong>del</strong> <strong>provvedimento</strong> non erano entrati a fare parte <strong>del</strong>l’oggetto <strong>del</strong>la<br />

legge.<br />

Tale situazione era motivata dalla considerazione che in diritto pubblico tutte le norme sono<br />

imperative (e determinano la annullabilità), tanto che i tre vizi <strong>del</strong>l’atto erano contenuti solo nelle<br />

leggi processuali (T.U. C. di Stato e Legge T.A.R.) e in sostanza potevano ridursi ad uno solo che<br />

tutti li comprende (la violazione di legge).<br />

La novella alla legge 241/1990, invece, la ha trasformata da legge sul procedimento in legge sul<br />

<strong>provvedimento</strong>, occupandosi anche dei vizi <strong>del</strong>l’atto.<br />

Non può però dirsi che la categoria <strong>del</strong>la nullità fosse estranea al legislatore precedente.<br />

La inadeguatezza <strong>del</strong>la annullabilità, riscontrata dalla giurisprudenza, era stata alla base di alcuni<br />

provvedimenti anche a livello legislativo.<br />

Ne erano esempi la situazione <strong>del</strong>le assunzioni senza concorso (art.3, comma 6 d.P.R.1957/3), la<br />

assegnazione di mansioni superiori (art. 52 al comma 2 <strong>del</strong> D.Lgs. n.165 <strong>del</strong> 2001), l’accertamento<br />

tributario difforme dalla risposta all’interpello (art. 11 L.212/2002), gli accordi procedimentali privi<br />

<strong>del</strong> requisito di forma (art. 11 L.241/1990), gli atti emessi dopo il regime di prorogatio di<br />

quarantacinque giorni (L.444/1994).<br />

La legge si era cioè preoccupata di individuare situazioni, pure gravemente lesive <strong>del</strong>l’interesse<br />

pubblico, nelle quali potevano, in fatto, mancare legittimati o interessati a ricorrere, e nelle quali<br />

l’amministrazione poteva avere remore e timori ad esercitare la potestà di autotutela (si pensi che<br />

nel diritto processuale civile, dove pure vale la regola <strong>del</strong>la iniziativa di parte e <strong>del</strong> processo<br />

dispositivo, artt. 99 c.p.c. e 2907 c.c., esistono sia marginali ipotesi di azionabilità di ufficio, come<br />

l’art. 6 L.F. per la dichiarazione di fallimento o alcuni casi di volontaria giurisdizione, sia ipotesi in<br />

cui l’azione è concessa al pubblico ministero).<br />

In tali situazioni, si è ritenuto che la eliminazione <strong>del</strong>l’atto non potesse essere condizionato alla<br />

attivazione di un interesse di parte.<br />

La giurisprudenza <strong>del</strong> Consiglio di Stato aveva accolto con favore, quindi, superando i precedenti<br />

che trattavano la nullità come una specie di annullabilità aggravata (secondo Giannini tali ipotesi<br />

venivano ritenute nullità non sanabili, ma gli atti venivano di fatto annullati dal G.A.), l’idea di una<br />

nullità di tipo civilistico, rilevabile di ufficio, in ogni tempo, imprescrittibile (Ad. Pl., nn.1,2,5,6 e<br />

10 <strong>del</strong> 1992).<br />

Almeno in altri due casi, tesi dottrinali (e in parte giurisprudenziali) minoritarie hanno evocato la<br />

categoria più grave <strong>del</strong>la nullità in luogo <strong>del</strong>la annullabilità, in ragione <strong>del</strong>la natura comunitaria


(diretta o indiretta) <strong>del</strong>le norme violate. Si tratta <strong>del</strong> vizio <strong>del</strong> contratto stipulato a seguito<br />

<strong>del</strong>l’annullamento <strong>del</strong>la aggiudicazione e <strong>del</strong>l’atto <strong>amministrativo</strong> contrario a normativa<br />

comunitaria (viziato da anticomunitarietà).<br />

Una certa dottrina, poco seguita, invero, aveva addirittura scomodato l’imperativo categorico<br />

kantiano per distinguere le norme imperative (categoriche) che davano luogo a nullità, da quelle<br />

solo imperative (ipotetiche) che davano luogo alla mera annullabilità, anche se la distinzione voleva<br />

soltanto riguardare l’attività priva di discrezionalità da quella che ne ha invece un alto tasso.<br />

Anche in diritto civile si è chiarito che non tutte le norme imperative, se violate, determinano nullità<br />

e che nell’ambito di esse (o da esse) vanno distinte i divieti, le norme cogenti, quelle inderogabili,<br />

quelle proibitive, ordinative, quelle precettive e così via (si pensi, ma sono solo alcuni esempi, che<br />

la violazione che assurge a fatto penale, per esempio la truffa, porta solo alla annullabilità per dolo<br />

quale vizio <strong>del</strong>la volontà, così come la violazione <strong>del</strong>le norme imperative a tutela <strong>del</strong>la quota di<br />

legittima porta alla sola esperibilità <strong>del</strong>la inefficacia successiva, tramite la azione di riduzione).<br />

In realtà, molte volte un negozio che si pone in contrasto con una norma imperativa è sanzionato<br />

con una sanzione diversa dalla nullità assoluta (basti pensare al contratto elusivo in fraudem fisci,<br />

che resta civilisticamente valido e paga soltanto la sanzione fiscale).<br />

Mentre il diritto civile prevede sia la regola che la sanzione di invalidità, il diritto <strong>amministrativo</strong><br />

prevedeva solo la regola da rispettare, ma non anche la sanzione, essendo valida la regola generale<br />

<strong>del</strong>la annullabilità, stabilità dalle leggi processuali (art. 2 legge TAR e art. 26 TU. Consiglio di<br />

Stato).<br />

D’altronde, la necessità <strong>del</strong>la sanzione è propria <strong>del</strong> diritto <strong>del</strong>la autonomia privata, <strong>del</strong>la libertà di<br />

agire, nel quale la legalità (nel senso di liceità e legittimità) costituisce solo il limite da non<br />

travalicare (salva la meritevolezza <strong>del</strong>l’atipico ai sensi <strong>del</strong>l’art. 1322 c.c.), mentre per il pubblico,<br />

che è il campo <strong>del</strong>la autorità e <strong>del</strong>la funzione esecutiva, la legalità e la legittimità sono non solo il<br />

limite, ma soprattutto il fine, il precetto da attuare.<br />

L’ordinamento <strong>del</strong>la amministrazione è sempre esecutivo <strong>del</strong>la legge, alla quale deve essere<br />

conforme e non difforme, sicchè, essendo unica la sanzione di invalidità (la annullabilità) ed<br />

essendo generale il parametro normativo da rispettare (la legge ma non solo), era logica<br />

conseguenza la superfluità di norme sulla invalidità <strong>del</strong>l’atto.<br />

.La legge 15/2005 sulla nullità (art. 21 septies).<br />

E’ noto, inoltre, che la legge 241/1990 era definita una legge imperfetta, nel senso di legge non<br />

completa (per esempio, all’art. 2 stabilisce il termine <strong>del</strong> procedimento, ma non il tempo <strong>del</strong>la legge<br />

applicabile in relazione alle fasi <strong>del</strong> procedimento), ma che solo stabiliva (alcuni) principi generali<br />

<strong>del</strong>la azione amministrativa.<br />

La legge 15/2005 ha, al contrario, previsto anche le sanzioni, mentre prima prevedeva solo i precetti<br />

(artt. 3, 7 e 8) senza sanzione, visto che essa era la generale annullabilità.<br />

Sull’esempio evidente <strong>del</strong> codice civile, che all’art. 1325 prevede quali siano i requisiti <strong>del</strong> contratto<br />

(e <strong>del</strong> negozio) e all’art. 1418 stabilisce che la loro mancanza o illiceità o indeterminabilità dà luogo<br />

a nullità, l’art. 21 septies stabilisce che sono cause di nullità <strong>del</strong> <strong>provvedimento</strong> <strong>amministrativo</strong> la<br />

mancanza di requisiti essenziali, il difetto assoluto di attribuzione, la violazione o elusione <strong>del</strong><br />

giudicato, nonché le altre cause di nullità previste dalla legge.<br />

Il secondo comma prevede che nei casi di violazione o elusione <strong>del</strong> giudicato (deve ritenersi anche<br />

per sentenze non coperte dal giudicato ma solo esecutive) la cognizione è attribuita in via esclusiva<br />

al giudice <strong>amministrativo</strong>.<br />

La possibile alternativa <strong>del</strong> novello legislatore era la costruzione di una nullità strutturale, per<br />

difetto dei requisiti essenziali <strong>del</strong>l’atto, una nullità testuale o nominativa, nei casi previsti dalla<br />

legge, e una nullità virtuale, per violazione di norme imperative.<br />

Mentre le prime due ipotesi trovano riscontro nella novella, la terza ipotesi, la violazione di norme<br />

imperative, continua a ricadere sotto la regola <strong>del</strong>la generale annullabilità (la norma che ribadiva


tale principio nel disegno di legge è stata espunta dalla legge approvata, ma ciò non rileva al fine<br />

<strong>del</strong>la ricostruzione <strong>del</strong> sistema).<br />

La nullità strutturale attiene al difetto dei requisiti essenziali <strong>del</strong>l’atto (soggetto, oggetto, forma,<br />

causa) e riporta alla sempre contrastata costruzione negoziale <strong>del</strong> <strong>provvedimento</strong>.<br />

Il soggetto manca nella ipotesi di atto emesso da chi non fa parte <strong>del</strong>la amministrazione pubblica o<br />

in caso di atto affetto da incompetenza assoluta.<br />

Nella incompetenza assoluta si fa ricadere la ipotesi di invasione da parte <strong>del</strong>la P.A. dei poteri<br />

legislativo o giudiziario oppure la emanazione di un atto rientrante nella sfera di attribuzione di un<br />

settore completamente diverso.<br />

Anche a proposito <strong>del</strong> difetto di oggetto e contenuto, si tratta di casi di scuola, vicini alla irrealtà.<br />

Andrebbe quindi chiarito quali siano i requisiti essenziali <strong>del</strong>l’atto, visto che praticamente molti dei<br />

casi individuati dalla dottrina vanno considerati casi di scuola.<br />

Tra essi, si menzionano la violenza fisica, il difetto di forma o di sottoscrizione, la omissione di<br />

verbalizzazione <strong>del</strong>la <strong>del</strong>ibera collegiale, la imperfezione <strong>del</strong>la fattispecie, il caso <strong>del</strong>l’atto emesso<br />

ioci o docendi causa, l’usurpazione di pubbliche funzioni o la ordinanza con oggetto impossibile,<br />

comportante, per esempio, l’ordine al proprietario di non fare abbaiare i cani di notte.<br />

Va chiarito anche quale sia la differenza tra mancanza di un elemento essenziale e un vizio <strong>del</strong>lo<br />

stesso (in ciò taluni ravvisano la differenza tra l’atto nullo e quello annullabile).<br />

La giurisprudenza chiarirà quale sarà il vizio che inficia i c.d. comportamenti senza potere, che però<br />

il più <strong>del</strong>le volte si traducono in meri comportamenti materiali, come tali, inesistenti come atti (per<br />

esempio la voie de fait <strong>del</strong>la dottrina francese).<br />

Menzionando il difetto assoluto di attribuzioni, la legge non chiarisce se si faccia riferimento al<br />

difetto <strong>del</strong> potere in senso assoluto o alla incompetenza assoluta, né se il potere non deve sussistere<br />

in assoluto o solo in capo a quella determinata autorità; né è chiaro se per autorità si intende quel<br />

soggetto giuridico (lo Stato, la Regione) o il plesso <strong>amministrativo</strong> ricompreso in quel soggetto (per<br />

esempio, il Ministero, che appartiene alla persona giuridica statale).<br />

<strong>De</strong>ve probabilmente ritenersi che sussista l vizio ordinario di legittimità-annullabilità quando l’atto,<br />

proveniente da ente diverso, sia stato emanato nell’esercizio di una attività riferita ad un settore<br />

<strong>amministrativo</strong> ordinato unitariamente in seno al quale i due organi svolgono compiti ripartiti<br />

secondo il sistema proprio <strong>del</strong>la divisione <strong>del</strong>le competenze.<br />

A proposito di tale vizio di nullità, solitamente, si fanno esempi di scuola: il titolo di studio<br />

rilasciato dal Prefetto e così via.<br />

Si manifestano dubbi sulla bontà di tale definizione, nell’attuale contesto.<br />

Non è chiaro cosa accada nei rapporti tra Stato e Regioni e tra Regioni e enti minori, soprattutto in<br />

una fase in cui si sconta il fatto che il legislatore costituzionale <strong>del</strong> 2001 è ricaduto nella c.d.<br />

trappola materialistica, nella suddivisione <strong>del</strong>le materie, che a volte esse sono sub-materie, a volte<br />

sono diversi punti di vista, a volte sono contitolarità di funzioni, a volte sono solo obiettivi da<br />

raggiungere.<br />

<strong>De</strong>ve tenersi presente anche la funzione attualmente espletata da altri organismi non rientranti nella<br />

classica suddivisione ministeriale <strong>del</strong>lo Stato, come le agenzie e ancora di più le Autorità<br />

indipendenti.<br />

Appare comunque all’interprete, che ricada nel vizio di nullità il caso <strong>del</strong>la carenza di potere in<br />

astratto, nella quale si ha violazione <strong>del</strong>la norma attributiva <strong>del</strong> potere, mentre ricade sub specie di<br />

annullabilità (come <strong>del</strong> resto aveva affermato l’Adunanza Plenaria n.4/2003) la c.d. carenza di<br />

potere in concreto, nella quale non si viola la norma attributiva <strong>del</strong> potere, che esiste, ma solo <strong>del</strong>le<br />

norme che ne limitano l’esercizio e lo condizionano (cosiddetto cattivo esercizio <strong>del</strong> potere), in<br />

quanto ne manca il fatto permissivo (per esempio, la omissione dei termini per l’inizio e la<br />

ultimazione dei lavori comporta, secondo Ad. Plenaria n.4/2003, la annullabilità e non la nullità,<br />

<strong>del</strong>la dichiarazione di pubblica utilità; pertanto non determina carenza di potere rispetto ai<br />

successivi atti espropriativi).


<strong>De</strong>sta perplessità il fatto che il secondo comma attribuisca alla giurisdizione esclusiva (nei limiti in<br />

cui ne è residuata dopo la sentenza <strong>del</strong>la Corte Costituzionale) il caso <strong>del</strong>la violazione o elusione <strong>del</strong><br />

giudicato.<br />

In tale caso, si tratta di nullità testuale o nominativa ma al contempo di difetto assoluto di<br />

attribuzione, perché l’atto è adottato in violazione <strong>del</strong>le norme che attribuiscono al potere<br />

giurisdizionale la definizione <strong>del</strong>la controversia (non più a quello <strong>amministrativo</strong>, che ha esaurito la<br />

sua funzione nella vicenda, perlomeno di provvedere in senso difforme al dictum <strong>del</strong> giudice), che<br />

prima trovava soddisfazione nel giudizio di ottemperanza (quindi in sede di giurisdizione di merito).<br />

Il giudizio di ottemperanza, in tale caso, dovrebbe essere fatto salvo anche oggi, se non a costo di<br />

una inspiegabile deminutio di tutela, nonostante il lapsus sfuggito al legislatore.<br />

In definitiva, a commento finale sul sistema <strong>del</strong>la invalidità, può dirsi che la violazione di regole<br />

(non più distinte in regole di azione o di relazione), di tutte le regole di legalità e buona<br />

amministrazione, può trovare tutela in rimedi sia dichiarativi (di nullità) che demolitori (di<br />

annullabilità).<br />

In senso romanistico, la tutela <strong>del</strong>l’interesse legittimo (inteso nel senso di pretesa alla legittimità<br />

<strong>del</strong>la azione amministrativa) avviene in modi e forme che sempre più si avvicinano ai rimedi <strong>del</strong><br />

diritto civile, come l’azione di nullità oltre a quella di annullamento. Quasi, la varietà dei rimedi fa<br />

desumere che da essi (ubi remedium, ibi jus) si definisce la situazione soggettiva tutelata, e non<br />

viceversa (ubi jus, ibi remedium) come ritiene la sentenza <strong>del</strong>la Corte Costituzionale n.204/2004).<br />

5.Il processo e la giurisdizione.<br />

La legge non chiarisce se la tutela nei confronti <strong>del</strong>l’atto nullo vada esperita dinanzi al giudice<br />

ordinario o dinanzi al giudice <strong>amministrativo</strong>, salva la ipotesi già menzionata <strong>del</strong>la giurisdizione<br />

esclusiva (o di merito?) <strong>del</strong> giudice <strong>amministrativo</strong> per i casi di violazione o elusione <strong>del</strong> giudicato.<br />

La disciplina <strong>del</strong>l’atto nullo, invero, comporta domande sia in ordine alla disciplina sostanziale che<br />

a quella processuale, ma le risposte vanno trovate, a parere di chi scrive, ricorrendo ai principi<br />

generali.<br />

In generale, al di fuori <strong>del</strong>le ipotesi di giurisdizione esclusiva (comprendente anche i diritti), nelle<br />

quali il giudice <strong>amministrativo</strong> “siede” come il giudice ordinario, escludendolo, si riteneva<br />

inammissibile, in sede di legittimità, per difetto di attuale interesse (in sostanza per mancanza di<br />

lesività) l’azione proposta contro un atto nullo, non in grado, quindi, di produrre l’effetto<br />

degradatorio, anche se non si negava a tale pronuncia processuale un sostanziale effetto di<br />

giudicato.<br />

Oggi, non può negarsi che giudice <strong>del</strong>la legittimità, anche in caso di violazioni più gravi, sia il<br />

giudice <strong>amministrativo</strong>, perlomeno quando si tratta di interessi pretensivi e quindi di interessi<br />

legittimi (si pensi ad un atto nullo in risposta ad una istanza di concessione o di autorizzazione).<br />

Né può sostenersi in ogni caso la giurisdizione <strong>del</strong> giudice ordinario per ogni azione di nullità, se<br />

non ritenendo, erratamente, che un determinato comportamento <strong>del</strong>la amministrazione (viziato<br />

gravemente, perché l’atto è nullo) sia in grado produrre da solo, l’effetto ampliativo facendo sorgere<br />

ex novo una situazione di diritto prima inesistente.<br />

Sarebbe, invece competente giurisdizionalmente il giudice ordinario in caso di interessi oppositivi,<br />

aggrediti (attaccati, per così dire) da un atto però viziato in maniera così grave, da non produrre<br />

l’effetto degradatorio e da lasciarlo al rango di diritto soggettivo.<br />

Fatta questa distinzione, va osservato che nessuna vera novità comporta una generale potestà di<br />

accertamento da parte <strong>del</strong> giudice <strong>amministrativo</strong> in sede di legittimità, sicchè essa potrebbe<br />

esplicarsi in ogni caso, anche in presenza di diritti soggettivi coinvolti dall’atto nullo, bastando la<br />

sola presenza (ed esistenza) di un <strong>provvedimento</strong> <strong>amministrativo</strong> a radicare la giurisdizione sulla<br />

validità <strong>del</strong>l’atto.<br />

E’ noto, come insegnano i processualisti, che ogni attività giurisdizionale, di cognizione, costitutiva,<br />

di condanna, di esecuzione, comprende, a monte, un minimo di accertamento, sicchè l’attività <strong>del</strong><br />

giudice consiste sempre e prima di tutto in una attività accertativa.


In senso processuale, l’interesse, inteso come bisogno di tutela giurisdizionale<br />

(Rechtsschutzbedurfnis), c’è sempre, anche nelle azioni di mero accertamento o dichiarative, in<br />

quanto diretto a rimuovere una situazione di incertezza e di contestazione.<br />

La vera particolarità <strong>del</strong>la azione dichiarativa o di mero accertamento è che quella particolare<br />

funzione di ogni giudice, che si chiama cognizione, soltanto in tale vicenda processuale si presenta<br />

allo stato puro, senza sovrapposizione di altre funzioni (quale quella demolitoria, di condanna,<br />

esecutiva, sostitutiva), ma in realtà l’accertamento <strong>del</strong>la invalidità non si discosta molto da quanto<br />

avviene in sede di annullamento.<br />

D’altronde, come insegnava il Torrente (estensore <strong>del</strong>la sentenza <strong>del</strong>la Cassazione a Sezione Unite<br />

n.2157/1952) il mutamento operato dalla sentenza (la definizione vale sia per la nullità che per<br />

l’annullamento), resta una realtà spirituale, una qualificazione giuridica <strong>del</strong>la situazione.<br />

Come osservato anche da un acuto civilista (di Majo), d’altra parte, le pronuncie dei giudici, rese su<br />

atti invalidi, esercitano la loro concreta funzione di tutela solo nel momento in cui vengono rese.<br />

Non è neanche vero che, come dice Lucrezio, ex nihilo nihil in quanto l’atto nullo produce<br />

determinati effetti pratici (determina non effetti giuridici, ma fatti, che a loro volta determinano<br />

effetti giuridici, secondo la connessione fatto-effetto), costituenti meri fatti materiali, ma che a loro<br />

volta possono produrre effetti giuridici (Falzea).<br />

Anche se la distinzione teorica va mantenuta (tra insuscettibilità in assoluto a produrre effetti<br />

propria <strong>del</strong>la nullità e efficacia instabile <strong>del</strong>la annullabilità), di fatto, per il periodo anteriore alla<br />

sentenza, tanto l’atto nullo che quello annullabile produrranno gli effetti di cui sono capaci (saranno<br />

eventualmente anche rispettati, se eseguiti, possono comportare ulteriori situazioni, quantomeno di<br />

fatto, dando luogo ad ulteriori esigenze di tutela, tanto che il codice civile prevede appositi rimedi<br />

restitutori, come si argomenta dai limiti posti alla usucapione e alla prescrizione <strong>del</strong>la azione di<br />

ripetizione dall’art. 1422 c.c.).<br />

Se la massima vale per la natura <strong>del</strong>le cose, in diritto è vero solo fino ad un certo punto che “nulla<br />

nasce dal nulla”: un <strong>provvedimento</strong> nullo sarà innanzitutto stato emesso, e potrà essere stato<br />

eseguito, nonostante il suo deficit di imperatività; allo stesso modo, è possibile che ad esso abbiano<br />

fatto seguito atti consequenziali che l’avranno preso a loro presupposto.<br />

Se davvero l’atto nullo non fosse capace di alcun effetto né giuridico né materiale, non sorgerebbe<br />

mai, invero, la necessità e l’onere di ricorrere giurisdizionalmente per farne dichiarare il vizio e per<br />

esperire le consequenziali azioni ripetitive, restitutorie, risarcitorie.<br />

6.Altre conseguenti regole sulla nullità <strong>del</strong>l’atto <strong>amministrativo</strong>.<br />

Dopo i chiarimenti in punto di giurisdizione, occorre domandarsi quali regole processuali e<br />

sostanziali ne conseguono, in tema di legittimazione, rilevabilità di ufficio, convalidabilità,<br />

imprescrittibilità <strong>del</strong>la azione, autotutela, pregiudizialità, rapporto con la inesistenza.<br />

Quanto alla legittimazione e all’interesse, di regola, generale per la nullità, la norma processuale<br />

(chiunque vi ha interesse, ai sensi <strong>del</strong>l’art. 99 c.p.c.) determina la <strong>del</strong>imitazione, in concreto, a quei<br />

soli soggetti, pure diversi dai destinatari naturali <strong>del</strong>l’atto, che il <strong>provvedimento</strong> sia suscettibile di<br />

ledere.<br />

Quanto alla rilevabilità di ufficio (da intendersi per ogni vizio che il giudice rilevi, prescindendo<br />

non solo dalle censure ma anche dalle difese di parte), va ponderata bene, anzi, probabilmente va<br />

rifiutata, la applicazione di quel principio <strong>del</strong> giudice civile secondo il quale la nullità è rilevata di<br />

ufficio dal giudice nei soli casi in cui si agisca per fare valere diritti presupponenti la validità <strong>del</strong><br />

contratto (per esempio, per la esecuzione), mentre il rilievo di ufficio non varrebbe quando si fanno<br />

valere altri vizi (l’annullabilità o anche la risoluzione), in quanto, contrariamente, si andrebbe extra<br />

o ultra petita, sanzionando un vizio più grave o diverso da quello richiesto dalla parte.<br />

Tale principio non avrebbe senso in una giurisdizione di legittimità nella quale, di regola, si agisce<br />

proprio per l’annullamento e nella quale, proprio a seguito <strong>del</strong>la novella, può non essere chiaro fino<br />

in fondo, al ricorrente che agisce, se il vizio lamentato sia ascrivibile alla nullità o alla annullabilità.


Quanto alla insanabilità, è noto che ciò che è nullo “non potest tractu temporis convalescere”;<br />

d’altronde, la regola generale <strong>del</strong>la inammissibilità <strong>del</strong>la convalida (che la novella esprime per i casi<br />

di annullabilità), si desume dall’art. 1423 c.c..<br />

E’ verò però che l’amministrazione, per la quale vale il principio di continuità <strong>del</strong>la azione e di<br />

permanenza <strong>del</strong>la medesima potestà, può rimuovere, in via postuma, i vizi <strong>del</strong>l’atto con valenza ex<br />

nunc: tale atto assume la nozione e definizione di rinnovazione <strong>del</strong>l’atto nullo.<br />

Più semplice si prospetta la situazione <strong>del</strong>la conversione, che tradizionalmente si manifesta in una<br />

operazione conservativa di tipo interpretativo-riduttivo, che modifica legalmente l’atto<br />

rispettandone lo scopo sostanziale.<br />

Quanto al tempo per fare valere o dichiarare la nullità di un atto, fermo restando che non vale,<br />

naturalmente la decadenza breve, la opinione preferibile ritiene che si applichi la regola generale<br />

<strong>del</strong>la imprescrittibilità (non manca però chi ritiene di applicare il termine ordinario di prescrizione<br />

decennale, ma tale tesi è priva di fondamento teorico).<br />

La soluzione <strong>del</strong>la imprescrittibilità pone tuttavia il problema di capire a quali limiti temporali sia<br />

soggetta la azione risarcitoria per danni consequenziali all’atto nullo, al fine <strong>del</strong> completamento di<br />

tutela, secondo la sentenza n.204/2004 <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>le leggi (osservava il Sandulli che i danni<br />

possono derivare da atto, anche non imperativo, ma che pur tuttavia è stato emanato, e può, di fatto,<br />

essere eseguito).<br />

In caso di nullità imprescrittibile, non può valere la regola <strong>del</strong>la pregiudizialità (esperimento e con<br />

successo, nei termini di decadenza, <strong>del</strong>la azione demolitoria, ai sensi <strong>del</strong>la Adunanza Plenaria<br />

n.4/2003) in quanto essa è fondata sulla necessità di non eludere il termine decadenziale <strong>del</strong>la<br />

azione di annullamento, sicchè la azione risarcitoria sarebbe praticamente soggetta a tempi<br />

indefiniti.<br />

Di tale problema, la giurisprudenza dovrà farsi carico operando sul requisito non <strong>del</strong>la ingiustizia,<br />

ma <strong>del</strong>la colpa, richiamando, probabilmente, il principio di cui all’art. 1227 codice civile (sulla<br />

attivazione diligente <strong>del</strong> danneggiato creditore ad agire in tempi ragionevoli al fine di evitare la<br />

produzione di danni ulteriori).<br />

Quanto alla autotutela, anche se oggi è definita dai paradigmi giurisprudenziali, confermati dalla<br />

novella (non è sufficiente il mero interesse pubblico al ripristino <strong>del</strong>la legalità violata, tempo non<br />

irragionevole, valutazione <strong>del</strong>l’affidamento dei privati), non può negarsi che la situazione di nullità,<br />

derivando da una violazione più forte, di fatto dovrebbe trovare minori limiti (per esempio, di<br />

tempo) rispetto agli atti di autoannullamento. In realtà, la autotutela decisoria nel senso di<br />

autoannullamento è richiamata a sproposito, non trattandosi, per ipotesi, di annullabilità, ma di<br />

nullità.<br />

7.La inesistenza? L’ ultima parola, come sempre, alla giurisprudenza.<br />

Quanto ai confini tra l’atto nullo e l’atto inesistente, ferma restando la chiara distinzione in teoria<br />

generale, tanto che l’una appartiene al mondo <strong>del</strong> giuridicamente rilevante, l’altra no, nella pratica,<br />

occorrerà vedere in quale categoria verranno comprese le fattispecie prima liquidate sotto la<br />

generale e onnicomprensiva “nullità-inesistenza” <strong>del</strong>l’atto <strong>amministrativo</strong>.<br />

Sotto tale aspetto, mentre non desteranno problemi pratici, i cosiddetti casi di scuola (atto emesso<br />

ioci o docendi causa, la violenza fisica), maggiori problemi, al limite tra nullità e inesistenza,<br />

creeranno altre fattispecie, come il caso <strong>del</strong>l’usurpatore di pubbliche funzioni (art. 347 c.p.), i casi<br />

più gravi di funzionario di fatto, i casi di imperfezione materiale (per non completamento <strong>del</strong>la<br />

fattispecie), il difetto di sottoscrizione di un atto.<br />

Ancora una volta, sarà la giurisprudenza amministrativa a chiarire se residuano ipotesi di<br />

inesistenza, quali sono i requisiti essenziali <strong>del</strong>l’atto ai sensi <strong>del</strong>l’art. 21 septies e così via.<br />

Allo stesso modo, la giurisprudenza dovrà affrontare i nodi tra il rimedio <strong>del</strong>la azione dichiarativa di<br />

nullità, il rapporto con la disapplicazione o inapplicazione, che considera l’atto tamquam non esset e<br />

non lo applica (e che perciò dovrebbe riguardare solo gli atti imperativi), ne prescinde, ma non lo


espunge definitivamente dal sistema - mentre la nullità dichiara che l’atto è di diritto difforme<br />

dall’ordinamento.<br />

La giustizia amministrativa conferma ancora una volta, ed è chiamata a confermare, il suo ruolo di<br />

creatrice <strong>del</strong> diritto <strong>amministrativo</strong>.<br />

Essa è senz’altro giurisdizione (lo conferma la sentenza n.204/2004 <strong>del</strong>la Corte Costituzionale);<br />

essa è amministrazione (judgér l’administration est administrer) quando compara interessi (nella<br />

fase cautelare) o quando entra in punto di contatto, annullando l’atto, o quando sostituisce un<br />

segmento di attività, nella giurisdizione di merito.<br />

Soprattutto, nella specie, la giurisprudenza si conferma il legislatore di fatto <strong>del</strong> diritto<br />

<strong>amministrativo</strong>, avendo, il legislatore nazionale ripreso dagli orientamenti consolidati in via<br />

giurisprudenziale le varie definizioni di invalidità, di nullità, conseguimento <strong>del</strong>lo scopo, i casi di<br />

esecutorietà e così via.<br />

Resta la osservazione finale che sarà la giurisprudenza a completare (vel adiuvandi, vel supplendi,<br />

vel corrigendi) l’opera <strong>del</strong> legislatore <strong>del</strong> 2005.<br />

Venuta meno la fiducia nel mito <strong>del</strong>la completezza <strong>del</strong>la legge, è chiaro che il legislatore non è né<br />

completo, né perfetto (né, d’altronde, deve esserlo).<br />

Osservava la dottrina commercialistica a seguito <strong>del</strong>la invenzione <strong>del</strong>la categoria <strong>del</strong>la inesistenza<br />

<strong>del</strong>le <strong>del</strong>ibere assembleari (nata proprio per contrastare la rigida regola, voluta dal legislatore, <strong>del</strong>la<br />

generale annullabilità a pena di decadenza, e la tassatività <strong>del</strong>le nullità <strong>del</strong>le <strong>del</strong>ibere agli artt. 2377-<br />

2379 c.c.), che il legislatore non è onnipotente, ma è il giudice che adegua la norma al fatto, che<br />

trova il punto di equilibrio <strong>del</strong> sistema, unendo “ li mezzi alle regole e la teoria alla pratica”.<br />

La storia, e anche il futuro, <strong>del</strong>la invalidità <strong>del</strong> <strong>provvedimento</strong>, ma in realtà tutto il diritto<br />

<strong>amministrativo</strong>, poggeranno ancora una volta, emulando una espressione <strong>del</strong>la dottrina francese,<br />

sulle ginocchia <strong>del</strong> Consiglio di Stato.

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