28.05.2013 Views

descrivere e spiegare: l'ininterrotto continuum diagnostico - Brinkster

descrivere e spiegare: l'ininterrotto continuum diagnostico - Brinkster

descrivere e spiegare: l'ininterrotto continuum diagnostico - Brinkster

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

Versión electrónica a cargo de Álvaro T. Quiñones Bergeret. Editado por: Grupo de investigación en psicoterapia cognitiva de orientación<br />

postracionalista (GIP).<br />

www33.brinkster.com/gipsicoterapia<br />

Publicado con autorización<br />

Alcini, S. (2004). Descrivere e <strong>spiegare</strong>: l’ininterrotto <strong>continuum</strong> <strong>diagnostico</strong>. Quaderni di<br />

Psicoterapia Cognitiva 14, Vol. 7 n°1.<br />

DESCRIVERE E SPIEGARE: L’ININTERROTTO CONTINUUM<br />

DIAGNOSTICO<br />

di Stefano Alcini<br />

Il presente vuole essere un tentativo di integrare due modelli psicopatologici troppo spesso considerati antitetici a livello<br />

tanto formale che contenutistico. La trattazione dell’approccio descrittivo prima ed esplicativo poi, dei quali l’aspetto<br />

psicopatologico è soltanto una loro componente, evolverà pertanto lungo un ininterrotto <strong>continuum</strong> secondo un costante<br />

rimando tra livelli logici diversi. Partendo così dal presupposto che non si può <strong>spiegare</strong> ciò che prima non si è descritto,<br />

si formalizzerà la diagnosi quale atto composito costituito da momenti diversi che esemplificativamente, anche da un<br />

punto di vista grafico, saranno rappresentati conseguenti.<br />

Parole chiave: Psicopatologia, Diagnosi, Costruttivismo.<br />

1 - ALCUNE CONSIDERAZIONI STORICHE<br />

Nel campo del disagio psichico, della Psicologia e Psichiatria in generale – riconosciute da Dilthey<br />

come scienze specificamente “idiografiche”: centrate cioè su aspetti unici e non facilmente<br />

generalizzabili dell’esperienza umana – la concezione stessa di “malattia mentale” è un costrutto<br />

tutt’altro che scevro da controversie clinico-accademiche, difficile quindi da operazionalizzare in<br />

variabili fenomenologicamente osservabili ed empiricamente rilevabili. In proposito Gaston (1987)<br />

sottolinea come la stessa medicina non si occupi che “di singole persone, di singoli fatti, di<br />

espressioni isolate ed uniche, di particolarità non solo singolari ma addirittura irripetibili”. Di<br />

fatto in tale scienza sanitaria l’identificazione e la valutazione dei sintomi vengono desunte da una<br />

serie di metodiche atte a distinguere, a livello anatomo-fisiologico, eventuali disfunzioni strutturali<br />

e/o funzionali dei vari organi ed apparati. Nel campo del “mentale” invece, tralasciando un numero<br />

piuttosto esiguo di malattie a base organica, la diagnosi in sé viene solitamente eseguita mediante<br />

una descrizione sintomatologica la cui stessa validità di criterio è resa alquanto problematica “dalla<br />

mancanza di riferimenti su quello che dovremmo definire un funzionamento normale dei sistemi<br />

emotivi, cognitivi e comportamentali di un essere umano” (Reda, 1988).<br />

LE ENTITA’ NOSOGRAFICHE DI KRAEPELIN<br />

Intorno alla seconda metà del secolo scorso discipline quali la Psichiatria e la Psicopatologia clinica<br />

hanno definito i loro status operativi con modalità conformi a quelli già in uso in altre scienze<br />

mediche. Per tali branche del moderno sistema sanitario valsero quindi gli imperanti principi del<br />

Naturalismo “sia per quanto concerne il significato da attribuirsi ai fatti psichici e psicopatologici,<br />

sia in relazione al concetto medico di malattia” (Giacomini, 2001a). Questa concezione della<br />

patologia mentale, tipicamente teorizzata da Kraepelin – considerato a ragione il fondatore della<br />

psichiatria clinica moderna col ben noto modello delle entità nosografiche – ritiene addirittura<br />

inesatto a livello terminologico parlare di malattie della psiche: “Sono invece le<br />

1


Versión electrónica a cargo de Álvaro T. Quiñones Bergeret. Editado por: Grupo de investigación en psicoterapia cognitiva de orientación<br />

postracionalista (GIP).<br />

www33.brinkster.com/gipsicoterapia<br />

alterazioni del substrato corporeo della nostra vita mentale quelle sulle quali noi dobbiamo, dal<br />

punto di vista medico, dirigere la nostra attività e i nostri sforzi terapeutici” (Kraepelin, 1901).<br />

Su un versante medico il disagio psichico viene così considerato espressione di una sottostante<br />

alterazione strutturale dell’organismo biologico (la psiche), un mero sintomo quindi interessante<br />

un’alterazione delle strutture neurobiologiche dell’organismo fisico: vera e propria causa del<br />

“malessere”. Data tale premessa risulta ovvio come per questo Autore, al fine di studiare con la<br />

massima accuratezza le leggi di dipendenza che esistono tra fatti fisici e psichici, si ci debba basare<br />

sulla conoscenza delle dinamiche che connettono l’anatomia patologica con l’eziologia e la<br />

sintomatologia; solo così si è in grado di costituire categorie, formare gruppi morbosi con relative<br />

cause, manifestazioni e decorsi “ben certi e sicuri” (Kraepelin, 1904) (1). Da quanto detto appare<br />

chiaro come il naturalismo ricerchi e valorizzi l’oggettività fenomenica che, nel mito<br />

dell’insindacabilità fisiologica, trova la sua unica, autentica, realtà investigativa. E’ indubbio che<br />

nel perseguire tale ideale esso rappresenti la negazione stessa della soggettività ed unicità del<br />

singolo paziente, le cui autodescrizioni vengono qui ignorate e sottovalutate, considerandole del<br />

tutto inattendibili, se non addirittura inutili (Kraepelin, 1920).<br />

LA FENOMENOLOGIA DI JASPERS<br />

Su un versante totalmente opposto la prospettiva Fenomenologica si è invece interessata al vissuto<br />

esperienziale riportato dal paziente sofferente il sintomo; di questo si è quindi ricercato il senso<br />

specifico, qui inteso quale “segno” che rimanda continuamente ad altro in qualità di una traccia di<br />

un mondo marcato antropologicamente. La relativa psicopatologia ha comportato un ricercare le<br />

discontinuità nei diversi agglomerati sindromici, leggendole nell’ottica di una “continuità narrativa”<br />

interrotta, capace di comprendere storie, eventi e trame di vita.<br />

Così facendo la psicopatologia clinica legata a Jaspers (1959) ha riconsegnato scientificità alla vita<br />

interiore dei pazienti, alla loro irripetibile soggettività che, mediante la decifrazione dei segni dotati<br />

di senso, porta ad una conoscenza dei modi di essere di ogni esperienza psichica tanto nevrotica che<br />

psicotica. Lo stesso Jaspers (1913) definisce ed estende così il concetto di psicopatologia generale<br />

“a tutto lo psichico che possa essere colto in concetti di valore immutabile e comunicabile (...).<br />

L’oggetto della psicopatologia è l'accadere psichico reale e cosciente. Noi vogliamo sapere che<br />

cosa provano gli esseri umani nelle loro esperienze e come le vivono, vogliamo conoscere le<br />

dimensioni delle realtà psichiche”.<br />

LE UNITA’ CLINICHE DI SCHNEIDER<br />

Ad un livello intermedio tra questi due estremi – anche se non troppo dissimile da una prospettiva<br />

nosografica – si situa infine la psicopatologia clinica concepita da Schneider (1967) che, secondo le<br />

stesso Autore, “si occupa dell’abnorme psichico guardando alle unità cliniche”. Il concetto qui di<br />

“unità clinica” individua sostanzialmente la possibilità di poter comunque definire una sorta di<br />

proto-configurazione sindromica in cui il sintomo diventa un tratto, si caratteristico del soggetto che<br />

lo manifesta, ma sempre ed ugualmente reperibile in un quadro di stato o di decorso.<br />

LA RIVOLUZIONE COSTRUTTIVISTA<br />

Il Costruttivismo radicale, al cui più ampio paradigma certa psicopatologia esplicativa appartiene,<br />

ha originalmente operato un “sostanzioso” cambiamento nell’ambito delle scienze cognitive. La sua<br />

versione “forte” ha messo in discussione il concetto di “oggettività”, di verità assoluta, di sapere<br />

esaustivo rappresentante una realtà esterna indipendente dall’osservatore che l’esperisce (Giordano<br />

e Arciero, 2002). In questa ottica la conoscenza non è più assimilabile ad una concezione di realtà<br />

quale essa è (rappresentazione), ma come appare (costruzione) ad un osservatore che la esamina in<br />

2


Versión electrónica a cargo de Álvaro T. Quiñones Bergeret. Editado por: Grupo de investigación en psicoterapia cognitiva de orientación<br />

postracionalista (GIP).<br />

www33.brinkster.com/gipsicoterapia<br />

base un proprio assetto esperienziale, al suo specifico modo d’essere. Particolare enfasi viene quindi<br />

posta sull’esperienza soggettiva, sulla necessità di dover comprendere la messe di significati che la<br />

persona le attribuisce dal momento che “non possiamo mai percepire nessun ordine indipendente<br />

da noi stessi.” (Guidano, 1989) dato che “non riflette in alcun modo un ordine esterno ma è un<br />

prodotto della nostra mente.” (Hayek, 1952). Di pari passo le stesse impressioni, convinzioni,<br />

credenze di un soggetto esperiente una propria realtà, da sé stesso significata, non possono che<br />

riferirsi all’esperienza che questi stesso ne fa (Mannino, 2002). Un’ottica così articolata sulla<br />

soggettività del singolo trova perfetta consonanza con l’evoluzione in campo epistemologico delle<br />

scienze moderne in quanto “più che descrittive sono esplicative. La spiegazione consiste nel<br />

rendere comprensibile come e perché i fenomeni appartenenti ad un dato campo di esperienza<br />

constano di tutte quelle proprietà che, descrittivamente, essi esibiscono.” (Weimer, 1982).<br />

2 - L’APPROCCIO ATEORICO-DESCRITTIVO<br />

In accordo con un impianto psicopatologico di tipo eminentemente descrittivo, focalizzato sul<br />

sintomo manifesto, si è assistito negli ultimi decenni all’enorme diffusione dei manuali diagnostici<br />

costituiti da articolate quanto esaustive classificazioni dei disturbi mentali. Queste possono dirsi<br />

descrittive in quanto le definizioni dei sintomi che se ne danno consistono unicamente (2) nelle<br />

descrizioni appunto degli aspetti clinici, così come appaiono all’osservatore responsabile di eseguire<br />

la diagnosi. Nonostante nei manuali che le contengono si attesti esplicitamente che per la maggior<br />

parte dei disturbi ivi inclusi l’eziologia sia sconosciuta (3) o volutamente non presa in<br />

considerazione (4), queste considerevoli raccolte sintomatologiche hanno trovato ampio uso negli<br />

ambienti più disparati della sanità, della ricerca e della didattica. Un tale successo non può che<br />

essere ricondotto in massima parte all’aver suggerito e promosso la condivisione di una<br />

terminologia ufficialmente accettata, con l’innegabile pregio di permettere un’efficace<br />

comunicazione tra figure di varia estrazione professionale ed epistemologica. In particolare il DSM-<br />

IV si presenta come un classico sistema multiassiale in base al quale la valutazione diagnostica<br />

viene eseguita su cinque diversi assi, ognuno dei quali si riferisce ad una specifica fonte di<br />

informazioni (5). La classificazione dei disturbi mentali in esso contenuta è di tipo categoriale in<br />

quanto suddivide i disturbi mentali sulla base di ben definiti “set di criteri” composti da liste di<br />

singoli sintomi, loro costellazioni, e/o criteri temporali. Nella pratica corrente un tale approccio<br />

classificatorio è funzionale nella misura in cui consente di riconoscere un certo grado di omogeneità<br />

tra tutti i componenti appartenenti ad una classe diagnostica data; ovvero quando vi sono limiti netti<br />

che distinguono con evidenza discriminatoria più classi tra loro in una situazione mutualmente<br />

escludentesi (APA, 1994). Limite di un sistema così pensato ed articolato è la rigidità con la quale<br />

un clinico si deve prima o poi confrontare nel novero dei presunti “distinguo” sottendenti l’assunto<br />

che una qualsiasi categoria di disturbo mentale debba considerarsi un’entità totalmente distinta dalle<br />

altre, delimitata e definita da specifici confini che la discriminino sia dagli altri disturbi mentali che<br />

dallo stesso concetto di “normalità”. Chiunque abbia un minimo di disinvoltura con le forme del<br />

disagio psichico non potrà che riconoscere come un’eccessiva esemplificazione esplicativa,<br />

piuttosto “forzata” nel suo rigore formale, lo sterile incasellamento di questo manuale che porta a<br />

constatare un’evidente mancanza di aderenza con la proteiforme fenomenologia psichiatrica.<br />

Qualsiasi tentativo di fare diagnosi<br />

prendendo spunto da tali premesse è così destinato a centrare le sue attenzioni solo ed unicamente<br />

sulla componente “oggettiva” dell’esperienza clinica. Pregi o limiti delle descrizioni nosografiche<br />

dei manuali DSM – a seconda che ci si riconosca tra gli entusiasti o i detrattori –<br />

3


Versión electrónica a cargo de Álvaro T. Quiñones Bergeret. Editado por: Grupo de investigación en psicoterapia cognitiva de orientación<br />

postracionalista (GIP).<br />

www33.brinkster.com/gipsicoterapia<br />

sono fondamentalmente l’ateoricità ed il descrittivismo che, se da una parte hanno rincorso il mito<br />

della neutralità scientifica non viziata da “correnti di pensiero” che rendesse possibile un<br />

ordinamento nosografico universalmente condivisibile, dall’altra hanno relegato in secondo piano,<br />

fino a perdere completamente di vista, la componente eziologia delle manifestazioni<br />

psicopatologiche (Guidano, 1988, Reda, 1986). Ciò ha comportato la diffusione di una pressoché<br />

totale ignoranza riguardo le motivazioni, le cause sottostanti il disturbo psichico di riferimento, i<br />

suoi specifici significati nell’economia personale del paziente che ne soffre (Guidano, 1992). In tal<br />

senso il DSM si configura come niente più che un modo di fare psicopatologia secondo “formalismi<br />

descrittivi” estremamente indicativi e spesso fuorvianti nella necessità di dover inscrivere il “casopaziente”<br />

in una delle celle diagnostiche previste dagli Autori dell’edizione in corso. Una diagnosi<br />

psicologica viene così eseguita in base alla covariazione di più sintomi tra loro connessi – con una<br />

frequenza tale che faccia decadere l’ipotesi di “casualità” di un loro fortuito assemblaggio – e che<br />

vanno così a costituire un “disturbo” riconosciuto come tale ed identificato secondo uso.<br />

Ad oggi una classificazione così definita nella e dalla pratica di “etichettamento” trova<br />

probabilmente la sua unica ragione d’essere nell’ambito di una terapia farmacologica che ignora<br />

per suo statuto una ricostruzione eziologica delle cause o del significato del disturbo (Maselli e<br />

Cheli, 2000). Conseguenza più evidente alla quale si approda usando il DSM quale mappa<br />

d’orientamento nel periglioso mare della malattia mentale consta dell’esasperazione della<br />

descrittività più parcellizzata. La tendenza infatti a scomporre minuziosamente il “malessere” per<br />

un uso e consumo votato all’assemblaggio sintomatologico “di tendenza” secondo maniera,<br />

conduce il clinico o il ricercatore di turno a dover considerare i sintomi come singole tessere di un<br />

puzzle da incastrare tra loro a formare più pattern sindromici, il cui senso è ad essi stesso<br />

immanente: un nonsenso. Tutto ciò negli anni si è istantaneamente tradotto in una marcata<br />

propensione alla frammentazione categoriale rinvenibile nelle diverse edizioni dei DSM (6).<br />

EPISTEMOLOGIA DEI MANUALI DIAGNOSTICI<br />

Da un punto di vista epistemologico il DSM abbraccia le intuizioni del riduzionismo più estremo,<br />

rifacendosi quindi al funzionalismo operazionistico radicale. Tale complesso movimento di critica<br />

del metodo scientifico si inscrisse all’interno della più ampia corrente del neopositivismo logico,<br />

mostrando profonde concordanze sia con l’operazionismo di Bridgman che con il<br />

comportamentismo di Watson; oltre che con diverse formulazioni del neoempirismo riduzionistico<br />

di stampo anglosassone. Da questa breve premessa si può facilmente immaginare come il DSM non<br />

sia affatto immune da una qualsiasi parvenza residuale di teoricità, assumendo invece una visione<br />

meramente utilitaristica ed economicistica della scienza che rende di fatto discutibile la tesi che lo<br />

rappresenta sintesi e felice “superamento” della psicopatologia classica (Giacomini, 2001b).<br />

A partire dalla psichiatria funzionalistica si è messo in evidenza come il criterio di specificità –<br />

tipico delle prime formulazioni kraepeliniane – relativo all’importanza che veniva tributata ai<br />

rapporti di dipendenza ed interconnessione tra sintomatologia, anatomia patologica ed eziologia,<br />

non poteva trovare una reale applicazione clinica. Si osservava infatti come a sindromi<br />

psicopatologiche tipiche (acute e/o croniche) potessero fare riscontro sul piano neurobiologico<br />

condizioni assai differenti in senso tanto anatomopatologico che eziopatogenico; al contrario ad una<br />

specifica condizione di malattia, ben definita dal punto di vista anatomopatologico ed<br />

eziopatogenetico, potevano corrispondere su un versante d’osservazione clinica quadri<br />

psicopatologici assai differenti (Migone, 1995). Sul piano dell’osservazione empirica e della pratica<br />

clinica la psicopatologia classica funzionalistica ha così ritenuto opportuno introdurre il concetto di<br />

“sindromi psicopatologiche”, ponendole in relazione ad altrettanti modelli di risposta ed aspecifico<br />

4


Versión electrónica a cargo de Álvaro T. Quiñones Bergeret. Editado por: Grupo de investigación en psicoterapia cognitiva de orientación<br />

postracionalista (GIP).<br />

www33.brinkster.com/gipsicoterapia<br />

adattamento a condizioni patogene di varia natura. Mentre così nello strutturalismo il fondamento<br />

della malattia mentale è rappresentato da una patologia cerebrale localizzabile a livello di substrato<br />

fisiologico (il cui quadro fenomenologico di sintomo è sua diretta conseguenza), dal punto di vista<br />

funzionalistico ciò che caratterizza la cosiddetta malattia mentale è il disadattamento funzionale<br />

dell’organismo biopsichico al proprio ambiente fisico, psichico e sociale. Così facendo la<br />

psicopatologia è pervenuta, evolvendosi nel tempo, ad una rigorosa differenziazione epistemologica<br />

e metodologica dei quadri clinici tanto nell’ambito delle psicosi che delle nevrosi.<br />

CRITICA DEI DSM<br />

Ben diversa è stata la “storia” dei manuali DSM (7) e della “filosofia” loro sottostante, che hanno<br />

seguito un andamento addirittura involutivo se paragonato a quanto appena esposto. Il DSM infatti,<br />

partendo nelle sue prime edizioni da un’adesione al modello funzionalistico, è approdato nella III,<br />

III-R e ancor di più IV edizione a posizioni innegabilmente legate all’operazionismo riduzionistico<br />

più estremo. Esempio illuminante di tale tendenza è stata la pretesa di intendere e presentare le<br />

reazioni psicopatologiche aspecifiche quali l’ansia, il panico, le fobie, le ossessioni, le distimie ecc.,<br />

con pieno valore di “diagnosi cliniche” a sé stanti; una posizione del tutto incompatibile con la<br />

psicopatologia classica (tanto strutturalistica che funzionalistica) oltre che con la metodologia<br />

diagnostica della clinica medica. Secondo la psicopatologia classica infatti tale ordine di fenomeni<br />

clinici non possono mai, di per sé, rappresentare autentiche entità nosografiche cui corrispondono<br />

altrettante diagnosi di specificità. Nel caso infatti che tali fenomeni annuncino la presenza di una<br />

malattia cerebrale essi potranno valere come meri sintomi di un più ampio processo<br />

neuropatologico in atto: la reale malattia cui dovrà riferirsi l’opportuna diagnosi. Diversamente tali<br />

sintomi, qualora vengano escluse possibili patologie di ordine neurobiologico, saranno invece<br />

ascrivibili e riferiti a situazioni cliniche che chiameranno in causa l’interiorità soggettiva, rientrando<br />

nella tipologia delle psicopatie più varie.<br />

Nella sua III edizione (APA, 1980) il DSM aveva ancora conservato infatti una distinzione tra la<br />

categoria dei disturbi mentali organici e la categoria delle tipologie nevrotiche e psicopatiche. Una<br />

simile specifica, per le sue implicazioni di ordine patogenetico ed anatomopatologico, consentiva<br />

ancora di adottare soluzioni nosografiche non eccessivamente distanti da quelle in uso nella<br />

psicopatologia classica. Con l’introduzione invece della successiva edizione: il DSM III-R (APA,<br />

1987), tutte le depressioni psicopatiche e “nevrotiche” sono state invece ricondotte ad un’unica<br />

etichetta nosografica: il cosiddetto “disturbo distimico”, privo di qualsiasi giustificazione clinicoteorica<br />

nell’ambito della psicopatologia classica. Brevemente infatti è da rilevare come tale<br />

arbitraria omologazione delle depressioni psicopatiche in un’unica categoria (pseudo)nosografica,<br />

porti ad ignorare le correlazioni tra le depressioni psicopatiche e le specifiche tipologie<br />

personologiche in cui esse si manifestano. Infine, a compimento di tale scotomizzazione dal<br />

modello classico di psicopatologia, la IV edizione (APA, 1994) del DSM, dopo aver già abolito la<br />

categoria funzionalistica delle “nevrosi”, elimina anche quella delle psicosi organiche e delle<br />

sindromi psicorganiche che da sempre hanno rappresentato il pilastro portante della nosografia<br />

“storica”.<br />

3 – L’APPROCCIO SISTEMICO-PROCESSUALE<br />

A partire dagli anni ’80 il mai troppo rimpianto Vittorio F. Guidano (Roma 1944 – Buenos Aires<br />

1999) concepisce un impianto psicopatologico fondato sulla continuità e la coerenza dei processi di<br />

sviluppo, di cui riportiamo un breve quadro sinottico alla fine del presente capitolo. In accordo con<br />

5


Versión electrónica a cargo de Álvaro T. Quiñones Bergeret. Editado por: Grupo de investigación en psicoterapia cognitiva de orientación<br />

postracionalista (GIP).<br />

www33.brinkster.com/gipsicoterapia<br />

le teorizzazioni epistemologiche dei cileni Maturana e Varela (1987), inerenti i cosiddetti sistemi<br />

autopoietici, considera l’Uomo ed il suo sistema conoscitivo – al pari di qualsiasi altro “sistema<br />

vivente” – come una complessità organizzata. Nel novero del Costruttivismo più radicale l’uomo<br />

costruisce attivamente la propria identità personale attraverso un ordinamento della realtà che retroagisce<br />

sul senso di sé. Nell’arco di circa un ventennio Guidano elabora il concetto di<br />

“Organizzazione di Significato Personale” quale specifica modalità conoscitiva di ordinare la<br />

propria esperienza – con senso di unicità personale e continuità storica – secondo uno specifico<br />

assemblaggio dei processi cognitivi (ed in prima istanza affettivi) attraverso cui assimilare,<br />

decodificare e riordinare in maniera personale gli eventi esperiti nella quotidiana prassi del vivere.<br />

Il modello Cognitivista sistemico-processuale, così come originalmente articolato (Guidano, 1988 e<br />

1992), definisce quattro distinte Organizzazioni (8), ognuna delle quali si caratterizza in base a<br />

specifiche attivazioni emotive (il caratteristico dominio affettivo) che appunto ne condizionano le<br />

peculiari modalità di riferirsi l’esperienza di vita vissuta e le modalità di sequenzializzare le scene<br />

ricorrenti da cui estrarre a posteriori (e poi sempre più in maniera anticipatoria) gli specifici temi di<br />

vita (9). Queste, in concomitanza di specifiche attivazioni emotive innescate a loro volta da<br />

accadimenti del ciclo di vita particolarmente intensi, imprevedibili e quindi scompensanti, possono<br />

dar luogo a determinati disturbi di rilevanza clinica (Guidano, 1988; Onofri e Tombolini, 1997). Ciò<br />

che è qui rilevante è il significato personale che tali eventi, comportamenti, emozioni e pensieri<br />

assumono nell’ambito generale delle leggi che governano l’organizzazione e l’evoluzione dello<br />

specifico sistema “paziente” (Semerari e Mancini, 1988). E’ nel dato sintomatologico lamentato che<br />

il clinico rinviene la sola, possibile, forma espressiva manifestabile da quella organizzazione di<br />

riferimento, in quella fase di vita, in concomitanza di quegli eventi. La persona rifuggirebbe quindi<br />

nella condotta sintomatica in un estremo tentativo di mantenere l’integrità organizzativa al<br />

momento fortemente minacciata (Semerari e Mancini, 1988).<br />

Abbiamo precedentemente visto come la psicopatologia descrittiva rimanga ancorata, con<br />

inamovibile staticità, alla fenomenologia in corso o pregressa del disagio psichico. Il clinico che vi<br />

si attenga strettamente perde così qualsiasi chance di “connettere” il disturbo (da lui stesso<br />

osservato, da lui stesso riconosciuto, da lui stesso definito ed inquadrato) al soggetto che ne soffre<br />

in termini di causalità esplicativa: primo fondamentale passo nella pianificazione di un intervento<br />

terapeutico. Come sinteticamente schematizzata da Maselli e Cheli (2000) l’ottica esplicativa<br />

abbandona invece l’indagine interpretativa – condotta da un terapeuta “interprete” comunque<br />

esterno all’esperienza del paziente “interpretato” – in favore di una “ricostruzione” effettuata dal<br />

punto di vista del paziente stesso, che tributerà il suo insindacabile significato all’esperienza<br />

disturbante e alla gestione della sua attività conoscitiva. La diagnosi consiste quindi nel cogliere la<br />

logica individuale del paziente per consentirgli di spiegar-si i motivi che, per la sua specifica<br />

modalità organizzativa, hanno costituito l’elemento destrutturante la sua continuità esperienziale<br />

(Reda, 1996). A tale scopo la psicopatologia esplicativa presenta alcune specifiche caratteristiche<br />

che, sul recupero della qualità esperienziale dell’elemento psicopatologico in sé (Van Praag, 1992),<br />

passano attraverso una rivalutazione del dato emotivo più che cognitivo in sensu strictu,<br />

preoccupazione invece degli approcci “razionalisti”(10).<br />

PROCESSUALITA’ E SINTOMATIZZAZIONE<br />

Nel novero di una processualità ontologica, immanente l’individuo stesso, possiamo quindi a livello<br />

generale distinguere e riconoscere una sorta di determinismo sintomatologico il cui solco viene<br />

tracciato a partire dalle prime esperienze intersoggettive sulla base dell’iter:<br />

6


Versión electrónica a cargo de Álvaro T. Quiñones Bergeret. Editado por: Grupo de investigación en psicoterapia cognitiva de orientación<br />

postracionalista (GIP).<br />

www33.brinkster.com/gipsicoterapia<br />

A – Processi primari geneticamente determinati strutturanti l’Identità personale<br />

A.1 – Qualità della relazione con la figura d’accudimento e costituzione dei pattern d’attaccamento:<br />

elementi discriminanti sono l’accessibilità e l’empatia di tale figura che permettano al neonato di<br />

imparare a differenziare/selezionare/ordinare (modulando intensità, frequenza, durata) gli schemi<br />

relazionali innati. Il neonato inizia così a dedurre un senso di sé a partire da tali prime relazioni<br />

intermodali. Qui l’attaccamento assume quindi tutte le caratteristiche di un sistema auto-referenziale<br />

basilare nello sviluppo e nella strutturazione di una propria identità personale in ragione della<br />

particolare valenza emozionale che contraddistingue tali relazioni intersoggettive.<br />

A.2 – Selezione del dominio emotivo con assemblaggio delle tonalità basiche: dallo specifico stile<br />

d’attaccamento instauratosi si costituisce l’esclusivo dominio emotivo, quale sistema affettivo in<br />

base al quale iniziare a strutturare un senso di sé stabile nel ricorsivo riconoscimento di<br />

un’emotività comunque invariante.<br />

B – Processi sottesi al costituirsi di una sempre più specifica e definita Individualità<br />

B.1 – Definirsi dell’Organizzazione di Significato Personale: con l’emergere del pensiero astratto<br />

logico-formale si ha un riordinamento, tanto tacito-emotivo che esplicito-cognitivo, del flusso<br />

esperienziale in termini di significazione personale. In tal modo il senso di unicità personale e<br />

continuità storica vengono preservati nonostante le numerose trasformazioni che un individuo<br />

sperimenta durante il corso del ciclo di vita.<br />

B.2 – Stagliarsi dei temi di vita e strutturarsi della trama narrativa: gli specifici temi di vita si<br />

configurano come spiegazioni invarianti che l’individuo si dà della realtà fenomenica esperita, in<br />

sintonia con una rappresentazione coerente di sé e del mondo.<br />

Il linguaggio permette inoltre di differenziare tra accadimenti e loro significazione, dando così<br />

luogo ad un flusso interiore di narrazioni che definiscono anch’esse, nella loro peculiarità<br />

soggettiva, l’identità dell’individuo.<br />

C – Dinamiche propedeutiche al manifestarsi di una “emergenza” clinica<br />

C.1 – Dinamica dello scompenso clinico: partendo dal sintomo lamentato, non più quindi punto di<br />

arrivo della diagnosi in quanto tale, ma incipit per una ricostruzione a posteriore dello scompenso,<br />

esso si va a ri-configurare come una necessità espressiva del paziente che lo manifesta in quella<br />

specifica fase del suo percorso evolutivo.<br />

C.2 – Sintomo come processo conoscitivo: la sintomatologia lamentata è quindi tutt’altro che da<br />

considerarsi un “accidente” esterno alla persona che ne soffre, divenendo così processo conoscitivo<br />

che ci consente di considerare “come”, secondo quale modalità, si è venuta a modificare la coerenza<br />

interna del paziente da quando è cambiato il suo bilancio interno.<br />

7


Versión electrónica a cargo de Álvaro T. Quiñones Bergeret. Editado por: Grupo de investigación en psicoterapia cognitiva de orientación<br />

postracionalista (GIP).<br />

www33.brinkster.com/gipsicoterapia<br />

TABELLA 1: Quadro sinottico circa la processualità ontologica del singolo<br />

ATTACCAMENTO O.S.P. DOMINIO<br />

EMOTIVO<br />

A DEP. DISPERAZIONE<br />

RABBIA<br />

A4/C D.A.P. COLPA<br />

COLLERA<br />

A1,2,3/C OSS. DESIDERIO<br />

COLLERA<br />

C FOB. PAURA<br />

CURIOSITA’<br />

TEMI DI VITA EVENTI<br />

POTENZIALMENTE<br />

COLPA<br />

INDEGNITA’<br />

AMABILITA’<br />

CONFERMA<br />

DISCONFERMA<br />

DUBBIO<br />

CERTEZZA<br />

PROTEZIONE<br />

AUTONOMIA<br />

SCOMPENSANTI<br />

PERDITA<br />

ABBANDONO<br />

SEPARAZIONE<br />

AMBIGUITA’<br />

AMBIVALENZA<br />

ALLONTANAMENTO<br />

INTIMITA’<br />

LE DIMENSIONI D’ELABORAZIONE DEL SIGNIFICATO PERSONALE<br />

Progredendo nella ri-lettura di una psicopatologia descrittiva con le lenti del modello esplicativo<br />

possiamo intendere le stesse categorie concettuali di “normalità”, “nevrosi” e “psicosi” sia dotate di<br />

un carattere di reversibilità e mutevolezza che rappresentabili, topograficamente, lungo un<br />

<strong>continuum</strong>. Lungo il dispiegarsi del flusso di vita un’Organizzazione di Significato Personale può<br />

infatti modularsi, in relazione alla specifica qualità e tipologia d’elaborazione delle proprie<br />

esperienze evolutive, su uno di tali tre livelli. Questi, caratterizzandosi nella loro varietà sempre e<br />

comunque in base ad un nucleo di significati invarianti, possono essere schematizzati usando una<br />

semplificazione esplicativa secondo un iter che dalla “normalità” giunge alla “psicosi” passando per<br />

la fase intermedia di “nevrosi” (11). Le differenze di elaborazione che principalmente fungono da<br />

marcapasso tra una dimensione e l’altra si riferiscono agli aspetti che riguardano la trama narrativa<br />

e la struttura della sequenzializzazione dell’esperienza in corso (12). Mentre la normalità viene a<br />

coincidere con un’elaborazione flessibile e generativa degli eventi critici permettendo,<br />

contestualmente all’assimilazione dell’evento discrepante, una progressione della storia ed<br />

un’articolazione più ampia del senso di sé; nella condizione nevrotica la situazione discrepante<br />

viene invece elaborata al di fuori della percezione del senso sé, avvertendola quindi come<br />

un’esperienza “aliena”. Nella situazione psicotica, infine, l’incapacità di elaborare l’evento<br />

discrepante produce addirittura una disgregazione del senso di sé e quindi dell’intera identità<br />

narrativa. (Arciero e Guidano, 2000).<br />

4 - UN’IPOTESI DI INTEGRAZIONE<br />

Considerando le dinamiche di scompenso e gli specifici domini di emotività tipici delle quattro<br />

Organizzazioni di personalità sopra accennate è possibile elencare, da un punto di vista descrittivo, i<br />

quadri sindromici più rappresentativi che, tanto coerentemente quanto caratteristicamente,<br />

emergono in ognuna di esse in concomitanza di una loro eccessiva perturbazione. Nel fare ciò<br />

risulta quanto mai evidente come il tentativo di operare una distinzione netta tra una psicopatologia<br />

d’ordine descrittivo ed una psicopatologia invece esplicativa risulti alla prova dei fatti una pratica<br />

“infelice”, se non una vera e propria forzatura, in quanto la descrizione è un momento fondamentale<br />

della spiegazione stessa. Certamente più proficuo risulterà quindi immaginare un’integrazione che<br />

nello specifico di una loro reciproca<br />

8


Versión electrónica a cargo de Álvaro T. Quiñones Bergeret. Editado por: Grupo de investigación en psicoterapia cognitiva de orientación<br />

postracionalista (GIP).<br />

www33.brinkster.com/gipsicoterapia<br />

connessione può essere così formalizzata topograficamente considerando una sorta di livello logico<br />

costituito dal definito numero di manifestazioni empiricamente e categoricamente rilevabili da un<br />

punto di vista fenomenologico (psicopatologia descrittiva), poggiante su un secondo piano<br />

caratterizzato invece dalla poliedricità idiografica dei significati personali del paziente che<br />

esperisce, significa e sintomaticizza di conseguenza (psicopatologia esplicativa). Mano a mano che<br />

quindi ci si sposta dal più basale substrato significativo e significante, d’ordine esplicativo, rispetto<br />

a quello sovraordinato invece descrittivo, si registra una sorta di restringimento ad imbuto<br />

capovolto, dove la polimorfica varietà individuale che ogni singolo soggetto tributa in termini<br />

“personali” ad un accadimento di vita qualsiasi viene notevolmente ridotta dal confluire canalizzato<br />

in un numero relativamente ristretto di espressioni cliniche quali quelle riportate negli elenchi dei<br />

manuali diagnostici.<br />

FIGURA 1: Rapporto tra significato personale e sintomo manifesto<br />

Ci sembra che tutto ciò vada a costituire nella prassi clinica corrente un’effettiva, più che formale,<br />

integrazione tra i due modelli, dai quali desumere i rispettivi apporti d’irriducibile arricchimento.<br />

Da una parte si riconosce alla nosologia l’innegabile vantaggio di costituire un sistema<br />

classificatorio largamente condiviso senza il quale, come precisa Kendell (1977), “sarebbero<br />

impossibili tutte le comunicazioni scientifiche, e le nostre riviste professionali conterebbero solo<br />

relazioni su singoli casi, aneddoti e espressioni di opinioni personali”;<br />

9


Versión electrónica a cargo de Álvaro T. Quiñones Bergeret. Editado por: Grupo de investigación en psicoterapia cognitiva de orientación<br />

postracionalista (GIP).<br />

www33.brinkster.com/gipsicoterapia<br />

dall’altra si propone comunque il ridimensionamento di una psicopatologia eminentemente<br />

descrittiva nelle sue velleità di ateorica scientificità. Così facendo ci si augura che ben presto si<br />

smetterà di confondere l’importanza della numerologia statistica con la capacità, ma soprattutto la<br />

possibilità, di individuare il significato specifico, in quanto personale, di un disturbo mentale.<br />

Anche Gregory Bateson (in Brunello, 1992) d’altro canto avvertiva come le categorie descrittive<br />

vadano intese soltanto alla stregua di strumenti operativi dell’osservatore, assolvendo alla funzione<br />

di etichettare e catalogare il materiale raccolto per essere meglio sistemizzato nella sua spiegazione.<br />

LONGITUDINALITA’ DESCRITTIVA<br />

In merito all’integrazione tra una psicopatologia descrittiva ed una esplicativa possiamo constatare<br />

come nella pratica clinica la vasta gamma di manifestazioni psicopatologiche – qui intese a livello<br />

di quadro fenomenologicamente rilevabile come appunto riportato nei manuali diagnostici – è di<br />

fatto esplicativamente riconducibile alle quattro Organizzazioni di Significato Personale che, a loro<br />

volta, rimandano ad una vastissima gamma di temi di vita sottendenti appunto i significati specifici<br />

di quella particolare persona. Pertanto è evidente come uno stesso sintomo manifestato con la<br />

medesima sintomatologia in pazienti diversi sottenda, a livello invece di coerenza sistemica del<br />

singolo sofferente, significati profondamente diversi in accordo con i suoi specifici temi di vita. In<br />

pratica la sostanziale differenza qui da cogliere per similitudine e parallelismo è esattamente la<br />

stessa che in genetica intercorre tra il genotipo, “in sé” non direttamente manifesto, ma comunque<br />

esplicitato nel relativo fenotipo invece fenomenologicamente descrivibile.<br />

Partendo da un’accurata valutazione fenomenologica (il perché del sintomo), qui usata come base<br />

per orientare una ricostruzione che possa dare un senso alla sintomatologia, ben presto si giunge al<br />

senso (il come del sintomo) che il paziente riferisce dell’esperienza stessa; tutto ciò, ricordiamo, in<br />

contrasto con un approccio descrittivo in cui la raccolta dei dati definisce automaticamente la<br />

diagnosi attraverso un confronto tra i sintomi raccolti ed i criteri diagnostici di riferimento adottati.<br />

Partendo così da un livello logico di mera evidenza descrittiva – più superficiale si diceva prima –<br />

non sfuggirà come diverse forme sintomatologiche o l’intesità di alcuni vissuti, tali da assumere<br />

connotazioni problematiche per il paziente assurgendo all’area d’interesse clinico, siano di fatto<br />

trasversali in quanto comuni agli scompensi riscontrabili in più Organizzazioni. Si pensi ad<br />

esempio come un vissuto quale la depressione, o una sintomatologia fobica quale gli attacchi di<br />

panico, o ancora un quadro composito come i disturbi del comportamento sessuale, assumano tanti<br />

significati diversi quanti i temi di vita delle persone che ne soffrono.<br />

10


Versión electrónica a cargo de Álvaro T. Quiñones Bergeret. Editado por: Grupo de investigación en psicoterapia cognitiva de orientación<br />

postracionalista (GIP).<br />

www33.brinkster.com/gipsicoterapia<br />

FIGURA 2: Lettura multilivellare del processo di sintomatizzazione<br />

SPECIFICITA’ ESPLICATIVA<br />

Come già accennato ciò che va a dare il senso della particolare sensibilità di una persona a questo o<br />

a quell’evento (e della sofferenza ad esso connessa) è essenzialmente la qualità esperienziale con la<br />

quale i vissuti perturbanti vengono esperiti ed integrati all’interno della propria coerenza sistemica.<br />

Ogni scompenso clinico, più che collegabile in termini causali a specifici eventi esterni oggettivabili<br />

in termini di “gravità” per la persona coinvolta, vanno fatti riferire al valore che tale esperienza<br />

assume per il soggetto (Guidano, 1999). Tanto per fare un esempio a delucidazione di ciò si pensi<br />

alla trasversalità esperienziale di vissuti quali la “disperazione” o la “depressione” in quanto noti a<br />

tutti gli esseri umani indipendentemente appunto dall’Organizzazione di riferimento. Queste<br />

esperienze emotive complesse, che nei soggetti a base non “depressiva” rimangono comunque<br />

circoscritte allo specifico evento o ambito di vita nel quale vengono vissute, in persone appartenenti<br />

a tale organizzazione, una volta innescate, si generalizzano con modalità pervasiva ed ineluttabile a<br />

tutti gli altri settori esperienziali, assumendo un senso di perdita e sconfitta esperito con un’intensità<br />

intollerabile ed inscindibile dal proprio senso di sé (13). In genere tali reazioni depressive si<br />

originano da eventi di vita elaborati immancabilmente come abbandoni, perdite nel mondo delle<br />

relazioni interpersonali ed affettive (Guidano, 1998). In ambito lavorativo risposte emotive del<br />

genere sono conseguenti alla percezione dell’inutilità dello sforzo in cui si stanno impegnando per il<br />

11


Versión electrónica a cargo de Álvaro T. Quiñones Bergeret. Editado por: Grupo de investigación en psicoterapia cognitiva de orientación<br />

postracionalista (GIP).<br />

www33.brinkster.com/gipsicoterapia<br />

raggiungimento di un dato obiettivo – una sorta di vera e propria “impotenza autocolpevolizzante” –<br />

che li fa immediatamente precipitare nel vissuto di solitudine ed esclusione dal resto dei generici<br />

“altri”, per poi espandersi progressivamente a tutti gli altri domini ed aspetti di vita con modalità<br />

totalitaria e totalizzante. In una organizzazione di tipo “disturbo alimentare psicogeno” il disturbo<br />

depressivo è tipicamente innescato dall’esperienza di svalutazione ed inadeguatezza, manifestandosi<br />

in termini di evitamento attivo (con funzione quindi anticipatoria) verso tutte quelle situazioni di<br />

confronto ed esposizione in cui appunto il ritiro sociale è l’alternativa elettiva perseguibile. Da<br />

quanto appena detto appare evidente come insieme alle organizzazioni a base “depressiva” gli<br />

aspetti disforici in seguito ad una delusione (tanto subita quanto agita nei confronti altrui) siano qui<br />

i più ricorrenti e manifesti in particolari fasi dello scompenso. Esistono tuttavia delle sostanziali<br />

differenze che rendono riconoscibili distinte sfumature emotive nelle disforie da organizzazione<br />

depressiva da quelle a base “dappica” (Guidano, 1998) (14). Nelle organizzazioni a base “fobica” si<br />

registrano disturbi depressivi spesso mascherati da somatizzazioni come nel caso dell’inibizione<br />

psicomotoria, strettamente concomitanti col senso di precarietà/vulnerabilità personale e delle<br />

figure di riferimento. Qui la distimia è quindi una conseguenza diretta dell’impossibilità di<br />

controllare la situazione o le figure significative come si vorrebbe, comparendo secondariamente al<br />

vissuto di precarietà. A tale situazione il soggetto spesso reagisce con manifestazioni di rabbia<br />

aperta contro le persone ritenute responsabili di non essere sufficientemente supportive, o al<br />

contrario mette in atto una modalità di manifesta fragilità, con pianto e continue richieste di<br />

vicinanza, protezione e considerazione del proprio stato di malessere. Infine associati agli<br />

scompensi a base “ossessiva” si rinvengono varie forme di distimia di tipo cronico in relazione per<br />

lo più ad un vissuto di incapacità personale (senso di negatività) nel non essere così perfetti come si<br />

vorrebbe data la forte connotazione di “dovere” che impernia tale costante ricerca. Forme<br />

depressive si hanno invece in concomitanza dell’angoscioso crollo delle certezze con<br />

compromissione del senso unitario di sé (senso di sconfitta totale). Si ricorre al suicidio come forma<br />

di fuga da una situazione percepita come insopportabile, ove l’idea di poter controllare in maniera<br />

assoluta e totale ogni aspetto di sé e della realtà cade miseramente in crisi senza nessuna prospettiva<br />

di scenario alternativo.<br />

12


Versión electrónica a cargo de Álvaro T. Quiñones Bergeret. Editado por: Grupo de investigación en psicoterapia cognitiva de orientación<br />

postracionalista (GIP).<br />

www33.brinkster.com/gipsicoterapia<br />

TABELLA 2: Confronto riassuntivo tra i due modelli psicopatologici<br />

13


Versión electrónica a cargo de Álvaro T. Quiñones Bergeret. Editado por: Grupo de investigación en psicoterapia cognitiva de orientación<br />

postracionalista (GIP).<br />

www33.brinkster.com/gipsicoterapia<br />

NOTE<br />

(1) E’ evidente come all’interno di una tale concezione, così articolata a livello di alterazioni del substrato cerebrale,<br />

una grande difficoltà sia rappresentata dal problema delle “nevrosi”: tutte quelle alterazioni psichiche cui non è<br />

possibile rinvenire un qualche danno alle strutture neurali. Di fatto forme di disagio mentale quali stati ansiosi, disforici,<br />

comportamenti maniacali, fobici, ossessivi, compulsioni di vario genere e grado sono soltanto riferibili all'esperienza<br />

interiore del soggetto sulla base di confronti che l’osservatore stabilisce con riferimento alla propria esperienza<br />

(Giacomini, 2001a).<br />

(2) Nella presentazione delle quarta edizione italiana DSM IV-TR (APA, 2001) si specifica come venga preso in<br />

considerazione “(…) l’atteggiamento empirico della osservazione e della sistematizzazione di ciò che appare e non di<br />

ciò che è causa delle manifestazioni cliniche”.<br />

(3) Dalla prefazione del DSM III (APA, 1980): “l'approccio adottato dal DSM III è ateoretico per quanto concerne<br />

l'eziologia e i processi fisiopatologici, eccetto per quei disturbi per i quali ciò sia stato stabilito con precisione (...)”.<br />

(4) Dalla prefazione del DSM III-R (APA, 1987): “l’espressione “dovuto a” è stata criticata (…) nel DSM-III, e non<br />

compare più nel DSM III-R.”.<br />

(5) Asse I: Disturbi clinici/Altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica, Asse II: Disturbi di<br />

personalità/Ritardo mentale, Asse III: Condizioni mediche generali, Asse IV: Problemi psicosociali ed ambientali, Asse<br />

V: Valutazione globale del funzionamento.<br />

(6) Si è di fatto passati dai 106 disturbi descritti nel DSM I (1952) ai 182 del DSM II (1968), dai 265 del DSM III<br />

(1980) ai 292 della sua versione revised (1987), dai 370 del DSM IV (1994) agli oltre circa 500 della sua ultima<br />

edizione text-revised (2001).<br />

(7) Circa le problematiche metodologiche nell’uso del DSM-IV Paolo Migone (1995) riporta tre specifici ordini<br />

argomentativi: 1) validità e attendibilità; 2) sistema categoriale versus sistema dimensionale; 3) sistema politetico<br />

versus sistema monotetico.<br />

Validità e attendibilità: la validità di una diagnosi si riferisce alla sua capacità di riferirsi effettivamente ad una<br />

determinata malattia, entità o costrutto sottostante; l’attendibilità indica invece il grado con cui operatori diversi<br />

concordano su una diagnosi data fatta indipendentemente l'uno dall'altro: questi due termini si riferiscono quindi ad<br />

oggetti differenti (Boncori, 1993). In base a tale distinzione risulta facile progettare un sistema <strong>diagnostico</strong> dotato di<br />

un’alta attendibilità fornendo criteri diagnostici ben definiti (come nel caso dei DSM), mentre più difficile è fornire una<br />

validità alle diagnosi proposte (Areni, Ercolani e Scalisi, 1994). Come già precedentemente accennato altrove per molte<br />

delle malattie mentali si tratta di convenzioni di accordo raggiunte tramite il cosiddetto “consenso degli esperti”,<br />

disponendo raramente di veri e propri costrutti sottostanti o di certe anormalità anatomo-fisiologiche giustificanti<br />

l’inequivocabilità della diagnosi stessa (Reda, 1986). A questo proposito va ricordato che i DSM hanno accresciuto in<br />

maniera sostanziale solo l’attendibilità diagnostica, ma non la validità delle diagnosi stesse che è rimasta immutata: vero<br />

tallone d'Achille di questi manuali. Il problema fondamentale è che in psichiatria non esiste un validatore ultimo su cui<br />

misurare l'accuratezza delle diagnosi, come invece accade in altre branche della medicina (Reda, 1988).<br />

Sistema categoriale versus sistema dimensionale: altro interessante problema <strong>diagnostico</strong> riguarda le specifiche<br />

modalità con le quali classificare, e di conseguenza concepire, l’idea stessa di malattia. Utilizzare “categorie” significa<br />

suddividere le malattie mentali appunto in gruppi diagnostici secondo un modello medico-psichiatrico di derivazione<br />

kraepeliniana e neo-kraepeliniana che affonda le proprie radici filosofiche nella scuola platonica. Al contrario un<br />

sistema basato su “dimensioni” significa prendere in considerazione l’aspetto quantitativo delle malattie stesse (come<br />

già teorizzato da Ippocrate), secondo appunto variazioni relative alla gravità del disturbo, a caratteristiche<br />

personologiche, alla percezione, alla cognizione, alla tonalità dell’umore, ecc. Tale metodologia consente, a differenza<br />

della precedente, di distribuire i disturbi lungo un <strong>continuum</strong> con diverse “gradazioni di gravità” ad un cui estremo del<br />

range troviamo la normalità. Vale la pena ricordare come il dibattito teorico tra tali due approcci rifletta in parte un<br />

dibattito “politico”, associando il modello dimensionale all’area “psicologica” e quello categoriale a quella<br />

“psichiatrica” in base ad un modello biologico con evidenze di una sottostante alterazione a livello di substrato. I DSM<br />

hanno adottato l’approccio categoriale distinguendo così qualitativamente lo stato di malattia da quello di sanità<br />

mentale, ed ogni disturbo da un altro in maniera netta e separata. Tale ottica implica quindi l’esistenza di zone neutre tra<br />

una diagnosi (categoria) e l’altra, con la necessità di prendere in considerazione quadri ibridi costituiti da forme<br />

“atipiche”, “miste” o “residue”. A fini pratico-funzionali il sistema categoriale si applica meglio alle malattie gravi,<br />

molto meno a quei malesseri quotidianamente diffusi da riferirsi all’asse nevrotico. Inoltre il processo di<br />

patologizzazione alla base dei criteri in uso in questi manuali diagnostici implica<br />

14


Versión electrónica a cargo de Álvaro T. Quiñones Bergeret. Editado por: Grupo de investigación en psicoterapia cognitiva de orientación<br />

postracionalista (GIP).<br />

www33.brinkster.com/gipsicoterapia<br />

l’inclusione di qualsiasi condotta, dinamica, comportamento, funzione corporale o problema di vita all’interno di<br />

un’etichetta di relativa “devianza” o discostamento da una supposta idea di “normalità”.<br />

Sistema politetico versus sistema monotetico: nei DSM per ciascuna diagnosi viene specificato un numero minimo di<br />

criteri la cui presenza è necessaria per l’assegnazione della diagnosi stessa, precisando inoltre criteri sia di inclusione<br />

che di esclusione. Nelle ultime tre edizioni del DSM è stato adottato un sistema di tipo “politetico” (APA, 1980) in cui i<br />

membri di ciascuna categoria diagnostica non devono necessariamente possedere un determinato elemento potendone<br />

condividere soltanto alcuni, anche pochi, e in molti casi addirittura nessuno in particolare. Limite intrinseco di un<br />

sistema così definito è intuitivamente rappresentato però dall’eccessiva eterogeneità diagnostica, il che può addirittura<br />

vanificare il senso dell’inclusione di due pazienti nella medesima categoria.<br />

(8) I quattro tipi di Organizzazioni di Significato Personale sono: tipo “depressivo” (DEP.), tipo “disturbi alimentari<br />

psicogeni” (D.A.P.), tipo “fobico” (FOB.) e tipo “ossessivo” (OSS.), per la cui puntuale trattazione rimandiamo a Reda<br />

(1986), Guidano (1988), Nardi (2001) e Arciero (2002).<br />

(9) ) Essenzialmente, seguendo un criterio di priorità prototipica, temi di vita caratteristici delle quattro organizzazione<br />

descritte sono in maniera estremamente generica: di “negatività” nella DEP., di “inadeguatezza” nella D.A.P., di<br />

“sprotezione” nella FOB., ed ambivalente “instabilità” nell’OSS.<br />

(10) Una delle fondamentali differenze che distinguono gli approcci cognitivisti si stampo “razionalista” dal modello<br />

sistemico processuale (altresì definito “Post-razionalista”) consiste nell’assunto che i primi intendono il disagio psichico<br />

come conseguenza di uno scostamento del paziente da una forma mentis “normale” a causa di belief disfunzionali,<br />

irrazionali, in termini di convinzioni distorte che devono essere quindi cambiate per ristabilire l’equilibrio alterato e<br />

manifesto sintomatologicamente nelle emozioni disturbanti. La terapia qui si focalizza sulle strutture rappresentazionali<br />

del soggetto (immaginazione, convinzioni, dialogo interno), sulla semantica quindi del disturbo e non la sua sintassi a<br />

livello di significati profondi. Partendo dal presupposto che i disturbi psichici sono disturbi relativi la sfera<br />

dell’emotività, un dato da tenere presente è che in terapia “razionalista”, mediante una tecnica persuasiva quale il<br />

dialogo socratico, si va a far leva sul livello razionale-cognitivo del paziente; mutandone al più i convincimenti<br />

sottostanti il sintomo. Al contrario, attraverso una perturbazione strategicamente mirata dell’emotività stessa – una volta<br />

chiare quindi le polarità emotive caratteristiche dell’organizzazione di significato alla quale il paziente appartiene – si<br />

innescano i riordinamenti che ad un livello profondo articolano i piani di significazione che il soggetto si riferisce in<br />

merito alla sua prassi del vivere (Dodet, 2000). Haviland (1984) rileva tra l’altro come i temi centrali affettivi siano più<br />

costanti nel tempo delle articolazioni cognitive ed i primi siano scarsamente influenzati dalle regole logiche in maniera<br />

plausibile da poter affermare che “mentre il pensare cambia di solito i pensieri, solo il sentire può modificare le<br />

emozioni” (Guidano, 1992).<br />

(11) Solitamente una persona “compensata” presenta un alto livello di flessibilità, ovvero “quando uno stato interno<br />

emergente può essere visto da molti punti di vista, non solo dal punto di vista in cui uno l’ha percepito nel momento in<br />

cui l’ha sentito” (Guidano, 1998). Tale molteplicità di punti di vista, con cui può essere riordinato e riferito uno stesso<br />

stato d’animo, porta necessariamente ad un incremento d’astrazione come stimolo alla generatività e creatività di nuove<br />

ipotesi. A qualsiasi organizzazione appartenga un soggetto così “articolato” le modalità di rapportarsi alla realtà e a sé<br />

stessi sono le medesime, imperniate cioè sulla consapevolezza del proprio modo di funzionare.<br />

In una elaborazione invece di tipo “nevrotico” troveremo una diminuzione della capacità a modificare le proprie<br />

spiegazioni dell’esperienza in corso, in dis-accordo con i mutamenti avvenuti in seno alla consuetudinarietà degli stati<br />

emotivi usualmente esperiti. Un’elaborazione dell’esperienza con modalità così concrete porta il soggetto a rimanere<br />

legato allo specifico contesto percettivo immediato, senza possibilità di generalizzazione e di poter quindi considerare<br />

un punto di vista alternativo. Il soggetto è ancora in grado di operare una distinzione tra l’esperienza e la significazione,<br />

come nel rendere tra loro integrati i vari aspetti della prima. Scadenti e limitate risultano al contrario le capacità di<br />

generare ed articolare nuove chiavi di lettura di sé in base ai nuovi eventi.<br />

Infine nell’elaborazione di tipo “psicotico” tutte le dimensioni appaiono fortemente coartate ed impossibilitate a<br />

svolgere le loro rispettive funzioni in vista di una continuità del senso di sé unitaria ed ininterrotta. Una riduzione della<br />

Flessibilità ed Astrazione implica sia l’incapacità a modificare le proprie spiegazioni in base all’esperienza in corso, che<br />

un rigido legame al contesto percettivo immediato. La compromissione della Generatività impossibilita la creazione di<br />

nuove forme di significarsi le novità esperienziali. Manca in parte o del tutto la capacità di mantenere un senso di sé<br />

stabile nel tempo integrando aspetti che, vissuti invece come “alieni”, esterni alla propria esperienza, vengono esperiti<br />

come allucinatori o deliranti. Notevoli difficoltà risultano anche nel distinguere tra dato esperienziale e suo significato,<br />

mentre l’immagine cosciente di sé così “impoverita” a livello di emozioni riconoscibili e decodificabili diventa<br />

eccessivamente stabile stereotipandosi “improduttivamente”. Una caratteristica<br />

15


Versión electrónica a cargo de Álvaro T. Quiñones Bergeret. Editado por: Grupo de investigación en psicoterapia cognitiva de orientación<br />

postracionalista (GIP).<br />

www33.brinkster.com/gipsicoterapia<br />

di tale elaborazione è anche un’evidente compromissione della capacità di sequenzializzare temporalmente gli eventi<br />

lungo un asse cronologico tanto tematico che strutturale, portando ad un’interruzione della trama narrativa.<br />

(12) Più nello specifico distinguiamo sei dimensioni d’elaborazione del significato personale di una persona:<br />

Flessibilità, Astrazione, Generatività, Integrazione, Metacognizione e Articolazione (Dodet, training di formazione<br />

professionale in psicoterapia cognitiva. 1999), le cui alterazioni qualitative decretano il progressivo slittamento di<br />

un’organizzazione personale attraverso la sequenza appena descritta.<br />

A) Con “Flessibilità” intendiamo la capacità di modificare le spiegazioni sull’esperienza attuale in corso per<br />

annetterla, insieme al relativo bagaglio emotivo, al proprio flusso narrativo. Questa dimensione in pratica riguarda<br />

la possibilità di una persona di significarsi, coerentemente con la messe di conoscenze che costituiscono il proprio<br />

senso di sé, nuovi inaspettati accadimenti, eventi di vita emotivamente pregnanti e particolarmente attivanti per<br />

quella data organizzazione di significato che altrimenti la scompenserebbero.<br />

B) La dimensione di “Astrazione” si riferisce al livello in cui il soggetto è in grado di operare un processo di<br />

generalizzazione dei significati, prescindendo quindi dall’attuale contesto percettivo in cui sul momento li adduce,<br />

relativi alle proprie esperienze. Permette così di “sdoganare” in altri ambiti e domini di interesse o coinvolgimento,<br />

nei quali si trova ad agire ed esperire, un bagaglio esperienziale mutuato da precedenti eventi da cui ha sintetizzato<br />

significati attinenti allo scenario presente.<br />

C) La ”Generatività”, conseguente al riconoscimento della discrepanza avvertita tra il proprio percepirsi ed il proprio<br />

intendersi, è la fattuale produzione di nuove modalità di autolettura che tengano appunto in considerazione tali<br />

stravolgimenti ora adeguatamente “normalizzati” nel flusso esperienziale corrente. Si tratta così di derivare nuove<br />

sfumature relative al senso di sé in base alle quali riferirsi inedite modalità di ritenersi alla luce delle nuove<br />

acquisizioni ottenute.<br />

D) La dimensione di “Integrazione” consiste invece nella specifica capacità di rendere tra loro coerentemente<br />

omogenei i diversi aspetti dell’esperienza in corso tanto sequenzializzandola in senso longitudinale (integrazione<br />

diacronica) – secondo le direttrici cronologiche “passato”, “presente” e “futuro” – quanto nell’hic et nunc<br />

(integrazione sincronica) del vivere. Una sua specifica disfunzione porta nel soggetto una disgregazione relativa la<br />

continuità storica, qui intesa nei termini di uno smarrimento del senso di sé come racconto che il soggetto fa di sé<br />

stesso.<br />

E) La “Metacognizione” è la generale capacità di differenziare l’atto dell’esperire dalla relativa significazione nei<br />

termini di una riflessione su di sé che implichi tanto la progettualità d’azione che la considerazione dei propri ed<br />

altrui pensieri/ragionamenti. Si struttura in maniera complessa sulla base di elementi cognitivi, emotivi,<br />

comportamentali e relazionali, e comprende così processi di memorizzazione, elaborazione, decisione e soprattutto<br />

di consapevolezza su di sé e gli altri.<br />

F) La “Articolazione” è infine la capacità di riconoscere i vari aspetti della propria esperienza, del proprio senso di sé,<br />

così come costituitisi attraverso processi di sommazione e sedimentazione delle esperienze di vita, a partire dalle<br />

più precoci relazioni di attaccamento con una figura elettiva di riferimento.<br />

(13) “La reazione depressiva in un’altra organizzazione di significato è circoscritta al dominio dell’esperienza dove si<br />

è prodotta la discrepanza che ha colpito la persona, e nella reazione depressiva, in un’organizzazione di significato<br />

depressivo, quando si produce una discrepanza in un settore determinato dell’esperienza, in una frazione di secondo si<br />

generalizza in tutti gli altri fino a diventare cosmica” (Guidano intervista 1996 in Medina Diaz 1998).<br />

(14) Nei D.A.P. l’esperienza deludente è accompagnata da un senso di perdita dei contorni del sé (“il mondo m’è<br />

caduto addosso”) dato che il soggetto si era modulato, stabilizzandosi, su di un assetto venuto improvvisamente meno.<br />

Il L.O.C. interno – vissuto in termini di inadeguatezza – rende tangibile e cocente il senso di colpa ed inefficienza con<br />

una messe di indefinite attivazioni emotive tendenti a vissuti di inutilità e fallimento che il soggetto fatica a mettere a<br />

fuoco. Nel soggetto DEP. la delusione viene invece vissuta con uno sconfortante senso di tragica ineluttabilità (“tanto<br />

prima o poi doveva accadere”) derivante dal proprio senso di inamabilità e negatività generale che rimanda ad una serie<br />

di vissuti emotivi ben precisi e netti, modulati su attivazioni di rabbia e disperazione.<br />

16


Versión electrónica a cargo de Álvaro T. Quiñones Bergeret. Editado por: Grupo de investigación en psicoterapia cognitiva de orientación<br />

postracionalista (GIP).<br />

www33.brinkster.com/gipsicoterapia<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

American Psychiatric Association (1952) Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders -<br />

DSM-I, APA, Washington D.C.<br />

American Psychiatric Association (1968) Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders -<br />

DSM-II, APA, Washington D.C.<br />

American Psychiatric Association (1980) Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders -<br />

DSM-III, APA, Washington D.C.<br />

American Psychiatric Association (1987) Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders -<br />

DSM-III - R, APA, Washington D.C.<br />

American Psychiatric Association (1994) Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders -<br />

DSM-IV, APA, Washington D.C.<br />

American Psychiatric Association (2001) Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders -<br />

DSM-IV-TR, APA, Washington D.C.<br />

Arciero, G., Studi e dialoghi sull'identità personale, Boringhieri, Torino. 2002.<br />

Arciero, G. e Guidano, V.F., (2000) Experience, explanation, and the quest for coherence, in<br />

Neimeyer R.A., Raskin J.D. (Eds.) Construction of disorders, American Psychological Press,<br />

Washington D.C. (Trad. it. Esperienza, spiegazione e la ricerca della coerenza. Articolo web dal sito<br />

www.IPRA.it).<br />

Areni, A. Ercolani, A.P. e Scalisi, G.T., Introduzione all’uso della statistica in psicologia. Edizioni<br />

Universitarie di Lettere Economia Diritto, 1994.<br />

Bateson, G., in S. Brunello “Gregory Bateson”, Edizioni GB, Padova 1992.<br />

Boncori, L., Teoria e tecniche dei test. Bollati Boringhieri, Torino,1993.<br />

Dodet, M., lezioni del training di formazione professionale in psicoterapia cognitiva anno<br />

accademico 1999-2000.<br />

Dodet, M., lezioni del training di formazione professionale in psicoterapia cognitiva anno<br />

accademico 2000-2001.<br />

Gaston, A., (1987) “La psicopatologia fra scienza della natura e scienza dello spirito” in “Breviario<br />

di psicopatologia” a cura di A. Ballerini e B. Callieri, 1996.<br />

Giacomini, G., (2001a) Psicopatologia clinica, diagnosi psichiatrica, tipologia delle psicopatie,<br />

teoria della personalità e giustificazione teoretica della psicoterapia, in un inquadramento dialettico”<br />

da: “Psicoterapia Professionale”, AA. XII-XIX, 2001 (Fondamenti metodologici - Psicopatologia<br />

clinica, pagg. 53-122).<br />

Giacomini, G., (2001b) “Psicopatologia classica e DSM: un dilemma epistemologico, clinico e<br />

didattico per la psichiatria contemporanea”, articolo dal sito web POL.it.<br />

Giordano, V.F. e Arciero, G., (2002). VIII Congresso Internazionale sul Costruttivismo in<br />

Psicoterapia "Costruttivismo, fenomenologia e brain imagining", articolo dal sito web<br />

www.IPRA.it.<br />

Guidano, V.F., Complexity of the Self. New York: Guilford Press, 1987. (Trad. it. La complessità<br />

del Sé. Torino, Bollati Boringhieri, 1988).<br />

Guidano, V.F., La storia del paziente secondo Vittorio F. Guidano in Storie di vita – narrazione e<br />

cura in psicoterapia cognitiva (a cura di) Bara. Bollati Boringhieri, Torino, 1999.<br />

Guidano, V.F., Lo sviluppo del Sé in Manuale di psicoterapia cognitiva (a cura di) Bara. Bollati<br />

Boringhieri, Torino, 1996.<br />

17


Versión electrónica a cargo de Álvaro T. Quiñones Bergeret. Editado por: Grupo de investigación en psicoterapia cognitiva de orientación<br />

postracionalista (GIP).<br />

www33.brinkster.com/gipsicoterapia<br />

Guidano, V.F., The Self in Process. New York: Guilford Press, 1991. (Trad. it. Il Sé nel suo<br />

divenire. Torino, Bollati Boringhieri 1992).<br />

Guidano, V.F., trascrizione dell’intervista a cura di J.Minerva Medina Dìaz (V Congresso di<br />

Costruttivismo in Psicoterapia nell’Università di La Laguna, Tenerife, 1996.<br />

Guidano, V.F., trascrizione seminario del 21/04/1989.<br />

Guidano, V.F., trascrizioni delle lezioni del training di formazione professionale in psicoterapia<br />

cognitiva anno 1998.<br />

Hayek, F.A., The Sensory Order, University of Chicago Press, Chicago, 1952.<br />

Haviland, J.M., Personality Development from Childhood to Young Adulthood: Thinking and<br />

Feeling in Woolf’s Writings, in Izard, Kagan e Zajonc (1984).<br />

Jaspers, K., (1913) - Allgemeine Psychopathologie.-Trad. it. ed. Il Pensiero Scientifico, Roma 1988.<br />

Jaspers, K., (1959) Psicopatologia generale,(Trad. it., Il Pensiero Scientifico, Roma, 1964).<br />

Kendell, R.E., Il ruolo della diagnosi in psichiatria, Il Pensiero Scientifico, Roma, 1977.<br />

Kraepelin, E., (1901) Introduzione alla clinica psichiatrica, S.E.L., Milano, 1905.<br />

Kraepelin, E., (1904) Trattato di psichiatria, Vallardi, Milano, 1907 (2 voll.).<br />

Kraepelin, E., Die Erscheinungsformen des Irreseins, "Zeitschrift für die gesamte Neurologie und<br />

Psychiatrie", 62, 1920, pp. 1-29.<br />

Mannino, G., (2002) Introduzione all'approccio post-razionalista: l'epistemologia, articolo web dal<br />

sito www.IPRA.it.<br />

Maselli, P. e Cheli, C., (2000). Psicopatologia descrittiva e psicopatologia esplicativa dei disturbi<br />

alimentari psicogerni, articolo web dal sito www.IPRA.it.<br />

Maturana, H.R. e Varela, F., L'albero della conoscenza, Garzanti, 1987.<br />

Migone, P., L'elaborazione della fine della terapia come intervento terapeutico, Il Ruolo<br />

Terapeutico, 1995, 68: 41-44.<br />

Nardi, B., “Processi psichici e psicopatologia nell’approccio cognitivo – Nuove prospettive in<br />

psicologia e in psichiatria clinica” Franco Angeli edizioni, 2001.<br />

Onofri, A. e Tombolini, L., Il sé autopoietico e il sé con l’altro, Psicobiettivo Vol 17 Num 2 (1997).<br />

Reda, M.A., L’atteggiamento <strong>diagnostico</strong> in psicoterapia cognitiva, Vol 8 Num 3 Settembre-<br />

Dicembre 1988.<br />

Reda, M.A., L’organizzazione della conoscenza in Manuale di psicoterapia cognitiva (a cura di)<br />

Bara. Bollati Boringhieri, Torino, 1996.<br />

Reda, M.A., Sistemi cognitivi complessi e psicoterapia. NIS. Roma, 1986.<br />

Schneider, K., (1967) Psicopatologia clinica, Città Nuova, Roma, 1983.<br />

Semerari, A. e Mancini, F., I modelli cognitivo-costruttivisti della sintomatologia nevrotica,<br />

Psicobiettivo Vol 8 Num 1 Gennaio-Aprile 1988.<br />

Van Praag, H.M., Reconquest of the Subjective: Against the Waining of Psychiatric Diagnosis,<br />

British Journal of Psychiatry, 1992, 160, 266-271.<br />

Weimer, W.B., Ambiguity and the Future of Psychology: Meditations Leibniziennes, in Weimer,<br />

W.B. e Palermo D.S. (a cura di), Cognition and the Symbolic Processes vol.2, Erlbaum, Hillsdale,<br />

1982.<br />

18

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!