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2 07<br />

Notiziario del <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> - Casalmaggiore<br />

MUSEO DIOTTI


2<br />

ATTIVITA’ DEL DEL MUSEO MUSEO - - EVENTI<br />

EVENTI<br />

“2007” (Notiziario (Notiziario del <strong>Museo</strong> <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>)<br />

<strong>Diotti</strong>)<br />

non è un periodico, né un bollettino bollettino di<br />

di<br />

studi, ma ma un un contenitore contenitore in in cui cui sedimentare,<br />

sedimentare,<br />

secondo vari vari livelli livelli di di approfondimento,<br />

approfondimento,<br />

tutte le attività svolte presso il <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>.<br />

“2007” inaugura una serie di numeri<br />

numeri<br />

unici, che che cambieranno cambieranno ogni volta titolo<br />

e veste, veste, non non vincolati vincolati a a cadenze, cadenze, ma<br />

ma<br />

editati solo quando si presentano la<br />

necessità e l’opportunità di poterli poterli fare.<br />

Stampato in in poche copie digitali che<br />

possono essere essere acquistate acquistate direttamente<br />

al <strong>Museo</strong>, viene diffuso gratuitamente gratuitamente in<br />

in<br />

rete attraverso il sito del <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>.<br />

Ne sono sono principali redattori Roberta<br />

Ronda (Direttore (Direttore dei dei Musei Civici Civici e<br />

e<br />

Responsabile dei dei Servizi Servizi Educativi), Educativi), Valter<br />

Valter<br />

Rosa (Conservatore (Conservatore delle Civiche Raccolte<br />

d’Arte), Arte), con con la la collaborazione collaborazione di Letizia<br />

Letizia<br />

Frigerio (Segreteria e e Uffi cio stampa) e<br />

di Luisa Luisa Zanacchi Zanacchi (operatrice (operatrice didattica).<br />

didattica).<br />

I temi trattati trattati in queste pagine sono sono quelli<br />

relativi a mostre, conferenze, didattica<br />

e attività legate al al patrimonio patrimonio e e alla<br />

alla<br />

conservazione, svolte nell’anno anno 2007. Molti<br />

testi sono sono la trascrizione di di conferenze e ne<br />

mantengono la la forma forma colloquiale. colloquiale. Poiché Poich Poiché la<br />

programmazione di queste queste iniziative iniziative segue<br />

segue<br />

gli obiettivi obiettivi generali che il il <strong>Museo</strong> <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> <strong>Diotti</strong> si<br />

si è<br />

dato nel nel suo suo atto atto costitutivo, costitutivo, il notiziario notiziario si<br />

offre anche come come una una prima prima verifi verifi ca ca del del lavoro<br />

lavoro<br />

svolto in relazione alle fi nalità qui riportate.<br />

riportate.<br />

Il <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> fa proprie innanzitutto le<br />

fi nalità generali di ogni istituzione museale<br />

defi nite dall’International Council Council of Museums<br />

e costituisce “un’istituzione permanente,<br />

senza fi fi ni ni di di lucro, lucro, al al servizio servizio della della società<br />

societ<br />

e del del suo suo sviluppo, sviluppo, aperta aperta al al pubblico,<br />

pubblico,<br />

che conduce attività di ricerca su tutte tutte le<br />

le<br />

testimonianze materiali materiali dell’uomo dell’uomo e e del<br />

suo ambiente, le colleziona, le conserva, ne<br />

ne<br />

diffonde la conoscenza e soprattutto le espone<br />

espone<br />

con fi nalità di studio, studio, di di didattica didattica e e di di diletto diletto”.<br />

Il <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> è un’istituzione civica<br />

che intende intende alimentare nei cittadini la<br />

consapevolezza dell’importanza del patrimonio,<br />

quale premessa indispensabile per<br />

per<br />

una sua più effi cace cace tutela tutela e e valorizzazione;<br />

valorizzazione;<br />

è inoltre un un luogo luogo privilegiato privilegiato in in cui<br />

cui<br />

l’identità artistica del territorio trova la<br />

massima espressione espressione e, e, nello nello stesso stesso tempo,<br />

tempo,<br />

si apre apre al confronto con forme artistiche e<br />

pubblici di diversa natura natura e e provenienza.<br />

provenienza.<br />

Finalità specifi che del del <strong>Museo</strong> <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> <strong>Diotti</strong> sono:<br />

sono:<br />

1) riunire, per quanto possibile, in un’unica<br />

sede il patrimonio delle Civiche Raccolte<br />

d’Arte, garantendone garantendone in in questo questo modo modo una<br />

una<br />

miglior conservazione, valorizzazione e<br />

fruizione pubblica;<br />

2) dare visibilità al patrimonio artistico<br />

artistico<br />

locale conferendogli conferendogli signifi signifi cativit catività entro<br />

un disegno storico-culturale tradotto<br />

nel percorso espositivo;<br />

3) valorizzare il il periodo periodo compreso compreso fra fra l’età<br />

l’et<br />

teresiana e l’unità d’Italia in quanto<br />

momento culturale fecondo della della storia<br />

storia<br />

cittadina;<br />

4) assecondare, attraverso attraverso le le scelte scelte espoespo-<br />

5)<br />

sitive, l’antica vocazione didattica del<br />

palazzo in cui Giuseppe <strong>Diotti</strong> tenne<br />

un’accademia privata e allestì una<br />

raccolta d’arte già aperta al pubblico ed<br />

oggi dispersa;<br />

documentare documentare la produzione degli artisti<br />

locali del Novecento più signifi cativi<br />

e di una certa visibilità nel panorama<br />

nazionale, con particolare riguardo<br />

6) all’atelier e al metodo di lavoro dell’artista;<br />

documentare, attraverso opere di autori<br />

estranei al territorio, il collezionismo<br />

locale e l’attività espositiva fra Otto<br />

e Novecento, fi no ai giorni nostri;<br />

7) svolgere e favorire attività di ricerca,<br />

espositive ed editoriali nei settori<br />

d’interesse del <strong>Museo</strong>, anche in<br />

collaborazione con altri musei,<br />

Università ed Istituti di ricerca;<br />

8) proporre, attraverso l’attività espositiva<br />

temporanea, occasioni di conoscenza<br />

della produzione artistica contemporanea;<br />

9) favorire l’inserimento del <strong>Museo</strong><br />

entro reti territoriali e tematiche, con<br />

particolare riguardo ai circuiti del<br />

turismo culturale, in collaborazione con<br />

altre istituzioni della città e del territorio;<br />

10) promuovere attività didattiche, percorsi<br />

e e laboratori specifi camente pensati per<br />

i docenti e le scolaresche; realizzare<br />

progetti in partenariato con la scuola;<br />

valorizzare i servizi educativi in quanto<br />

requisito qualifi cante di un museo<br />

attento alle esigenze dei diversi pubblici;<br />

11) incrementare in modo coerente le<br />

collezioni attraverso gli acquisti,<br />

ma anche ricercando forme di<br />

contribuzione contribuzione pubblica, favorendo il<br />

mecenatismo mecenatismo privato e sollecitando<br />

sponsorizzazioni, donazioni e depositi;<br />

12) provvedere agli interventi di restauro<br />

che che dovessero rendersi necessari per<br />

la miglior conservazione delle opere e<br />

accogliere in deposito a fi ni conservativi<br />

opere a rischio di dispersione;<br />

13) istituire rapporti di collaborazione<br />

con le associazioni del territorio che<br />

operano nel campo artistico e culturale.<br />

C A L E N D A R I O<br />

Lunedì 18 dicembre 2006, ore 18<br />

Milano, Galleria d’Arte Moderna, Salone<br />

delle Colonne<br />

Presentazione uffi ciale del <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong><br />

(relatore Valter Rosa) nell’ambito della<br />

Giornata di studi dedicata a Giovanni<br />

Carnovali detto il Piccio.<br />

giovedì 29 marzo 2007, ore 11, presso il<br />

<strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong><br />

Presentazione alla stampa: il Sindaco<br />

di Casalmaggiore Luciano Toscani,<br />

l’assessore alla Cultura Francesco<br />

Sanfi lippo e il conservatore Valter Rosa<br />

presentano alla stampa il <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>.<br />

Venerdì 30 marzo 2007<br />

Ore 17, Istituto Santa Chiara<br />

Presentazione dell’apertura del <strong>Museo</strong><br />

<strong>Diotti</strong>.<br />

Relatori: il Sindaco di Casalmaggiore<br />

Luciano Toscani, il Presidente del<br />

Consiglio della Regione Lombardia<br />

Ettore A. Albertoni, il Presidente della<br />

Provincia di Cremona on. Giuseppe<br />

Torchio, il Soprintendente per i Beni<br />

Architettonici e per il Paesaggio Luca<br />

Rinaldi, l’architetto Giacomo Zani e il<br />

conservatore del museo Valter Rosa.<br />

Ore 18, <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong><br />

Cerimonia dell’inaugurazione con<br />

benedizione del luogo da parte del<br />

parrocco di Santo Stefano don Alberto<br />

Franzini.<br />

Per l’occasione vengono pubblicate e<br />

diffuse la prima guida breve (pp. 16) del<br />

<strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> e una cartolina con speciale<br />

annullo fi latelico.<br />

Contestualmente con l’apertura del<br />

<strong>Museo</strong>, vengono inaugurate due mostre:<br />

- L’opera incisa di Gianfranco<br />

Manara, allestita al primo piano<br />

nelle due sale sopra le rimesse<br />

delle vetture;<br />

- I Padova di Florenzio.<br />

Antologica di Goliardo Padova<br />

dalla collezione del fi glio<br />

Florenzio, allestita fi no al 7<br />

ottobre nello Spazio Rossari e<br />

nel Laboratorio didattico.<br />

8, 15, 25 aprile, 1, 13, 27 maggio<br />

Inserimento del <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> nel<br />

percorso delle “Visite di primavera”<br />

proposte in collaborazione con<br />

l’Associazione Pro Loco.<br />

15 aprile, 6 e 27 maggio<br />

Tappe di gara dell’iniziativa “Chi trova<br />

un museo trova un tesoro” realizzata<br />

in collaborazione con il GAL Oglio Po<br />

Terre d’acqua.<br />

Domenica 6 maggio, ore 17,<br />

Conferenza: “L’opera incisa di<br />

Gianfranco Manara”: incontro in<br />

occasione della mostra omonima, a<br />

cura di Stefano Fugazza, Direttore della<br />

Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di<br />

Piacenza. Intervengono anche Valter<br />

Rosa e Francesco Garrone, curatore del<br />

Catalogo ragionato delle acqueforti,<br />

puntesecche e litografi e (2004). Presente<br />

la moglie dell’artista Maria Giovanna<br />

Brovetto Rondo. Segue visita guidata<br />

alla mostra.


ATTIVITA’ DEL DEL MUSEO MUSEO - - EVENTI<br />

EVENTI<br />

Sabato 19 maggio, ore 17<br />

Conferenza-intervista: In occasione<br />

della mostra “I Padova di Florenzio”,<br />

Conversazione sulla pittura di<br />

Goliardo Padova, a cura di Valter Rosa<br />

e Florenzio Padova.<br />

Domenica 20 maggio<br />

Visite guidate: In occasione della IX<br />

Settimana della Cultura “C’è l’arte<br />

per te”, visite guidate per adulti a cura<br />

del Conservatore. Partecipa alla visita<br />

una delegazione della Società Storica<br />

Viadanese.<br />

Visita V animata per ragazzi e famiglie a<br />

cura di Luisa Zanacchi.<br />

Giovedì 24 maggio<br />

Visita dell’ANISA di Cremona.<br />

Venerdì 25 maggio<br />

Mini mostre-maxi opere: da oggi sino<br />

al 31 dicembre 2007 è esposto un dipinto<br />

di Giovanni Carnovali raffi gurante<br />

l’Adorazione dei magi di collezione<br />

privata. L’opera viene collocata sopra<br />

un antico cavalletto nella sala del<br />

Giuramento di Pontida.<br />

Sabato 26 maggio, ore 17<br />

Conferenza-proiezione: Presentazione<br />

del fi lmato “Giovanni Carnovali<br />

detto il Piccio (1804-1873) attraverso<br />

i luoghi della sua vita e della<br />

sua pittura” realizzato da Achille<br />

Locatelli e Carolina De Vittori, a cura<br />

dell’Associazione Culturale Amici di<br />

Giovanni Carnovali detto il Piccio,<br />

Montegrino (Varese). Dopo la relazione<br />

introduttiva di Carolina De Vittori, segue<br />

la proiezione del fi lmato.<br />

Fine maggio- inizio giugno<br />

Riallestimento della vetrina nella sala<br />

del Giuramento di Pontida con alcune<br />

nuove opere concesse in deposito dal<br />

nob. Pietro Longari Ponzone, fra cui un<br />

disegno di Giovanni Carnovali.<br />

Domenica 3 giugno, Brescia, via dei<br />

Musei, ore 10-18<br />

Apertura di uno stand del <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong><br />

in occasione della Festa di Santa Giulia.<br />

Martedì 6 giugno, ore 19<br />

Visita guidata a cura del Conservatore<br />

per i soci del Rotary Club Casalmaggiore<br />

Oglio Po.<br />

Mercoledì 13 giugno, ore 21<br />

Conferenza: Civiche Raccolte<br />

d’Arte: presentazione dei restauri<br />

recenti a cura dello Studio di restauro<br />

Dario e Marco Sanguanini di Rivarolo<br />

Mantovano, con intervento di Giovanni<br />

Rodella, funzionario di zona della<br />

Soprintendenza per il Patrimonio<br />

Storico, Artistico ed Etnoantropologico<br />

delle Province di Brescia, Cremona e<br />

Mantova. In sala sono esposti la Trinità<br />

di M.A, Ghislina e Simone e Giuda di<br />

scuola bresciana del Cinquecento.<br />

Mercoledì 27 giugno, ore 21<br />

Serata fi nale di premiazione<br />

dell’iniziativa “Chi trova un museo<br />

trova un tesoro” realizzata dalla rete<br />

Leadermuseum del GAL Oglio Po Terre<br />

d’acqua.<br />

Giovedì 28 giugno, ore 21-23<br />

Apertura straordinaria serale gratuita con<br />

visite guidate in occasione dell’iniziativa<br />

“I giovedì dei commercianti”.<br />

Mercoledì 18 luglio, ore 21,<br />

Inaugurazione di due installazioni<br />

di giovani artisti, presentate dal<br />

Conservatore ed esposte sino al 30<br />

agosto.<br />

- Nel Laboratorio didattico: Michele<br />

Napoli, Forma, ambiente sonoro.<br />

Cinque sfere in ceramica, terracotta<br />

e gesso;<br />

- Nel cortile del del <strong>Museo</strong>: Luisa<br />

Vanzetta, Bosco sonoro.<br />

Installazione sonora in abete rosso<br />

da risonanza della Val di Fiemme.<br />

L’evento si colloca nell’ambito delle<br />

iniziative a latere del “Casalmaggiore<br />

International Festival”.<br />

Con questa mostra prende avvio<br />

l’iniziativa “Lettera d’artista”, un<br />

foglio A4 di carta intestata del <strong>Museo</strong><br />

sul quale ciascun artista è invitato ad<br />

autopresentarsi o a presentare il proprio<br />

lavoro o ad esprimere un pensiero.<br />

Sabato 15 settembre 2007, ore 17<br />

Presentazione catalogo: Presentazione<br />

del volume di Valter Rosa, Goliardo<br />

Padova. Catalogo della mostra “I<br />

Padova di Florenzio”. Seguito dal<br />

catalogo delle opere dell’artista<br />

conservate nelle Civiche Raccolte d’Arte<br />

di Casalmaggiore, Casalmaggiore,<br />

Biblioteca A. E. Mortara, 2007.<br />

Inaugurazione: Saletta della quadreria<br />

dei benefattori della Fondazione Conte<br />

Busi onlus, allestita nel laboratorio di<br />

restauro, ora punto di connessione fra la<br />

sala didattica e l’ala del Palazzo <strong>Diotti</strong><br />

occupata dal Centro di documentazione e<br />

dallo Spazio Rossari.<br />

Sabato 22 settembre<br />

Visita guidata, a cura del Conservatore,<br />

del CdA della Fondazione Conte Busi<br />

onlus di Casalmaggiore.<br />

Sabato 29 settembre, ore 20,30-23,30<br />

Una notte al <strong>Museo</strong>. <strong>Museo</strong><br />

Concerto L’opera ... da Camera<br />

del<br />

Trio Fernando Fernando Sor<br />

Sor (M. P. Morijon,<br />

mezzosoprano; mezzosoprano D. Gaspari, tenore; M.<br />

Zanatta, chitarra) chitarra nello Spazio Rossari.<br />

Visita animata<br />

per ragazzi e famiglie a<br />

cura di Luisa Zanacchi.<br />

Martedì 2 ottobre<br />

Visita guidata<br />

di rappresentanti della<br />

Delegazione ONU dei Popoli.<br />

Giovedì 18 ottobre 2007<br />

Conferenza stampa stampa: stampa l’assessore<br />

alla cultura Francesco Sanfi lippo,<br />

lippo, la<br />

Responsabile dei Servizi Educativi<br />

dei Musei Civici Roberta Ronda e<br />

l’operatrice operatrice didattica Luisa Zanacchi<br />

presentano i 13 percorsi predisposti dal<br />

<strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> per le scuole.<br />

Sabato 20 ottobre 2007, ore 17<br />

Inaugurazione mostra: mostra Laura Locci,<br />

Mani di fata. Sculture in maglia di lana, lana<br />

aperta sino al 18 novembre nello Spazio<br />

Rossari. Presentazione a cura di V. Rosa. Rosa<br />

Viene diffusa diffusa la<br />

la “Lettera d’artista” n. 3.<br />

Domenica 21 ottobre, Casteldidone,<br />

Cascina Cavalca, ore 17-19<br />

Apertura di uno stand del <strong>Museo</strong><br />

<strong>Diotti</strong> in occasione della manifestazione<br />

“Nonsolomelone”.<br />

1, 2, 3, 4 novembre 2007<br />

Apertura gratuita del <strong>Museo</strong> in<br />

occasione della Fiera di San Carlo.<br />

Sabato 24 novembre 2007, ore 15<br />

Visita guidata<br />

a cura del Conservatore<br />

per la delegazione cremonese del FAI<br />

coordinata da Paola Murador Oradini.<br />

Lunedì 10 dicembre, Milano, Auditorium<br />

“Giorgio Gaber”, Gaber”, ore ore 14<br />

14<br />

La qualità entra al museo! Cerimonia<br />

di consegna del marchio ai Musei e<br />

alle Raccolte museali riconosciuti dalla<br />

Regione Lombardia.<br />

Sabato 15 dicembre 2007, ore 17<br />

Inaugurazione mostra: mostra Animula vagula<br />

blandula di Giorgio Tentolini Tentolini, Tentolini allestita<br />

nello Spazio Rossari e aperta sino al 27<br />

gennaio 2008. Presentazione di Valter<br />

Rosa. Per l’occasione l’<br />

Tentolini realizza<br />

un catalogo-opera diffuso gratuitamente<br />

gratuitamente<br />

e proposto incorniciato e fi rmato rmato come<br />

come<br />

gadget del <strong>Museo</strong>.<br />

Viene diffusa la<br />

“Lettera d’artista” n. 4.<br />

3


4<br />

E S P O S I Z I O N I<br />

Mostre 2007<br />

Goliardo Padova, Gianfranco Manara,<br />

Giorgio Tentolini, Laura Locci, Luisa<br />

Vanzetta e Michele Napoli sono i nomi<br />

degli artisti presentati con antologiche o<br />

installazioni nel 2007 al <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>.<br />

Di Goliardo Padova abbiamo dato conto<br />

nel relativo catalogo e, in questa sede,<br />

nella sezione delle conferenze. Per<br />

quanto riguarda Gianfranco Manara, di<br />

cui si è tenuta una mostra di incisioni<br />

e una conferenza del prof. Stefano<br />

Fugazza, direttore della Galleria d’Arte<br />

Moderna Ricci Oddi di Piacenza, i<br />

materiali raccolti confluiranno nel<br />

prossimo notiziario.<br />

Vogliamo qui dare spazio invece del<br />

lavoro dei giovanissimi, a partire dagli<br />

artisti in formazione, come i già bravi<br />

Vanzetta, Napoli e Locci, neodiplomati<br />

dell’Accademia di Brera, che<br />

presentiamo attraverso alcune immagini<br />

delle loro installazioni e soprattutto<br />

attraverso le loro “lettere d’artista”,<br />

mentre aggiungiamo un testo critico<br />

sulle opere di Giorgio Tentolini, giovane<br />

artista locale già presente sulla scena<br />

internazionale, il cui lavoro si presta a<br />

qualche considerazione sull’uso della<br />

storia dell’arte nella critica.<br />

LUISA VANZETTA<br />

Lettera d’artista n. 1<br />

BOSCO SONORO<br />

Quando mi allontano dalla mia valle, soffro<br />

del distacco e gioisco dell’abbraccio che essa<br />

mi offre ad ogni ritorno.<br />

Da questo è nata l’esigenza di realizzare<br />

un lavoro per il bosco, il nostro bosco, e di<br />

stringere una collaborazione con la Magnifica<br />

Comunità di Fiemme che nei secoli ha saputo<br />

conservare e valorizzare questo bosco,<br />

ritenendolo il primo bene della valle.<br />

Tutto quello che percepiamo attraverso la<br />

vista e l’udito giunge a noi tramite onde,<br />

onde sonore o luminose. Attraverso questa<br />

installazione sonora voglio rendere visibile<br />

l’onda che si propaga nello spazio. L’energia<br />

che mette in vibrazione la prima tavoletta si<br />

trasmette con un effetto a catena alle tavolette<br />

successive producendo un suono che si propaga<br />

nell’etere, e il processo di trasmissione del<br />

suono che avviene in ogni singola tavoletta di<br />

legno diventa evidente nell’intera struttura.<br />

Ogni tavoletta comunica con la successiva<br />

e con la precedente, insieme comunicano<br />

all’aria. Sette le serie di tavolette, come sette<br />

le note musicali e sette i colori dello spettro<br />

solare che si manifestano sia nella colorazione<br />

delle tavolette sia nella lunghezza delle stesse<br />

che riportano ingigantita la lunghezza d’onda<br />

d’ogni singolo colore.<br />

Così il bosco compare sia visivamente, - la<br />

luce filtra dall’alto fra i rami, passa attraverso<br />

l’umidità del mattino e si scompone in mille<br />

colori, - sia nei suoi suoni legnosi, come quelli<br />

del picchio, dello scricchiolio nel vento, dei<br />

boscaioli che lo curano.<br />

Il protagonista assoluto è il legno. Quelli che si<br />

ottengono sono suoni di legno.<br />

Al suo interno la vibrazione percorre il suo<br />

spazio; spostandosi nello spazio, si trasmette<br />

al pezzo successivo e così via. Lo spazio è<br />

percorso, misurato sia visivamente, attraverso<br />

il movimento delle tavolette, sia sonoramente,<br />

dalle onde sonore trasmesse all’aria con un<br />

“tic toc” ritmico che misura il tempo, a volte<br />

frenetico, a volte tranquillo.<br />

Un grazie ad Alessandro Tossani, maestro liutaio.<br />

Luisa Vanzetta<br />

Nata a Cavalese nel 1976, consegue la maturità<br />

d’arte applicata presso l’Istituto d’Arte di Pozza di<br />

Fassa. Dopo esperienze lavorative diverse, tra cui<br />

quella di grafico in uno studio di comunicazione<br />

pubblicitaria, si trasferisce nel 2001 a Milano<br />

dove frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera,<br />

conseguendo il diploma nel corso di Scultura. In<br />

questi anni partecipa a diverse mostre collettive, tra<br />

cui il “Salon Primo” al palazzo della Permanente<br />

nel 2002, “Le stanze del cibo” al Macef nel 2005<br />

e “- passato + domani” al Centro Leoni di Milano<br />

sempre nello stesso anno. Nel 2004 realizza una<br />

Madonna Assunta lignea per la chiesa di Castello<br />

di Brenzone nel comune di Malcesine. Tra il 2004 e<br />

il 2005 ottiene dalla Magnifica Comunità di Fiemme<br />

una sponsorizzazione per la realizzazione dell’opera<br />

Bosco sonoro. Nel 2006, con il patrocinio del<br />

comune di Melegnano, realizza una prima personale<br />

dal titolo “Legni”.<br />

MICHELE NAPOLI<br />

Lettera d’artista n. 2<br />

FORMA, AMBIENTE SONORO<br />

Forma, ambiente sonoro” è il risultato di una<br />

riflessione sulla dimensione della Scultura.<br />

La materia immersa nella realtà circostante<br />

è linguaggio, mezzo di comunicazione<br />

tra fruitore e opera. L’ambiente stesso è<br />

componente fondamentale del loro dialogo, e<br />

il contesto in cui sono posti (sia esso spaziale,<br />

temporale, culturale o storico) stabilisce il<br />

punto di partenza per l’avvicinamento al lavoro<br />

artistico. L’opera genera una relazione che si<br />

esplica nella comunicazione artistica (nelle sue<br />

forme più varie) esclusivamente nella misura<br />

in cui si fa presente alla sensibilità percettiva/<br />

cognitiva/emozionale dell’osservatore, attende<br />

il suo risuonare nell’Uomo per poter essere.<br />

L’installazione per questa mostra vuole<br />

evidenziare l’aspetto fondante che l’ambiente<br />

ha per la comunicazione tra soggetti. Qui la<br />

materia propria della scultura diventa traduttrice<br />

dello spazio che la circonda, agendo come<br />

cassa di risonanza. “Forma, ambiente sonoro”<br />

è così nome esplicativo del meccanismo<br />

che si innesta tra spettatore e opera grazie<br />

al ruolo della fisicità di quest’ultima come<br />

mezzo di comunicazione. La modificazione<br />

dell’ambiente trasforma l’aspetto dell’opera<br />

che viene offerta come continua variazione alla<br />

sensibilità dell’osservatore. Il suono diventa<br />

forma, prende una dimensione spaziale.<br />

Il video, parte integrante dell’installazione, non<br />

vuole essere né esecuzione né performance,<br />

ma semplicemente il modo di rendere<br />

esplicito come questo meccanismo s’instauri<br />

non solo tra scultura e spettatore, ma anche<br />

tra le sculture stesse. Le frequenze sonore,<br />

generate dalla traduzione che le sfere attuano<br />

sull’ambiente, influiscono sull’ambiente stesso<br />

e quindi sulle altre sfere. Interferire in questa<br />

dinamica impedendo l’emissione sonora delle<br />

sculture dà luogo ad un dialogo in continua<br />

variazione.<br />

Michele Napoli<br />

Michele Napoli, nato a Milano nel 1983, vive e<br />

lavora a Lodi.<br />

Dopo la maturità scientifica, si è iscritto<br />

all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano,<br />

dove attualmente frequenta l’ultimo anno del corso<br />

quadriennale di Scultura del prof. Paolo Gallerani.<br />

2003 Partecipa al 1°Workshop di Scultura in legno,<br />

Faculty of Fine Arts of Brno University<br />

of Tecnology, Brno, Repubblica Ceca,<br />

prof Michael Gabriel, Accademia<br />

di Belle Arti di Brera, Milano, prof.<br />

Paolo Gallerani.<br />

2004 Partecipa al 9°Workshop di Scultura in pietra<br />

di Vicenza, Grancona (Vicenza),<br />

Accademia di Belle Arti di Brera,<br />

Milano, prof. Paolo Gallerani.<br />

2005 Partecipa al 10°Workshop di Scultura in pietra<br />

di Vicenza, Grancona (Vicenza),<br />

Accademia di Belle Arti di Brera,<br />

Milano, prof. Paolo Gallerani.<br />

2007 Partecipa al Salon Primo dell’Accademia di<br />

Brera al <strong>Museo</strong> della Permanente di<br />

Milano.


E S P O S I Z I O N I<br />

LUISA VANZETTA


E S P O S I Z I O N I<br />

MICHELE NAPOLI


E S P O S I Z I O N I<br />

LAURA LOCCI<br />

Lettera dʼartista n. 3<br />

MANI DI FATA<br />

La forma, specialmente in natura, ha in<br />

sè qualcosa di matematico, poiché ogni<br />

forma, vivente o meno, è caratterizzata<br />

da un peculiare processo generativo “a<br />

catena”, che le permette di svilupparsi.Il<br />

processo generativo pone allo sviluppo di<br />

ogni forma dei limiti proporzionali formali<br />

e temporali, motivo per il quale non<br />

ci sono uomini alti 7 metri o diamanti<br />

quadrati che si formano in pochi giorni. I<br />

dati dell’equazione che determina questi<br />

processi generativi sono intrinseci nelle<br />

caratteristiche chimiche e meccaniche di<br />

ogni materiale e nel DNA per gli esseri<br />

viventi.Nell’atto di fare queste forme di<br />

lana, esse stesse mi hanno dimostrato<br />

come la definibilità delle forme attraverso<br />

precise sequenze numeriche sia<br />

indispensabile alla natura per ottenere la<br />

stabilità e alla “forma” stessa, per non<br />

essere definita informe. Pensiamo ad<br />

esempio alle chiocciole: se il materiale<br />

calcareo con cui costruiscono il proprio<br />

guscio si disponesse intorno ad esse<br />

in maniera casuale, sarebbe instabile,<br />

rischiando di rompersi, magari di ferire<br />

la lumaca, oppure sarebbe semplicemente<br />

d’intralcio. Anche la struttura frattale<br />

delle piante è loro indispensabile per<br />

crescere, sostenersi e nutrirsi.Allo stesso<br />

modo il filato di lana, fantastico materia-<br />

le di origine animale, pare quasi affamato<br />

di matematica: nelle forme coniche infatti<br />

ho notato che quanto più si segue un<br />

processo generativo calcolato, costante e<br />

ripetibile all’infinito, tanto più il cono si<br />

regge in piedi da solo. Con questa tecnica<br />

facciamo coincidere la forma interna con<br />

quella esterna.Il tappeto che propongo,<br />

invece, ha forme molto meno controllate<br />

e univoche rispetto ai coni. L’equazione<br />

che lo determina non segue un andamento<br />

concentrico ma la sovrapposizione<br />

sequenziale di uno stesso principio, riga<br />

su riga. Qui le matematiche generative<br />

sono state definite a priori e la forma<br />

è stata lasciata più libera di reagire ad<br />

esse, quindi le forme sono più complesse<br />

e, a seconda di come lo si dispone,<br />

molto diverse tra loro anche se generate<br />

dallo stesso calcolo. Del tappeto si<br />

possono percepire simultaneamente due<br />

“equazioni” o “regole” o “limiti”posti<br />

dal principio generativo: l’andamento<br />

orizzontale e le posizioni dei punti di<br />

aumento che generano la forma. Questi si<br />

presentano come dimensioni inconciliabili<br />

che però, nel loro punto di intersezione,<br />

entrano nella sfera del visibile,<br />

presentandoci questo particolare tappeto.<br />

I concetti di forma interna ed esterna e di<br />

coesistenza tra vari livelli di significato<br />

nella realtà sono effimeri e instabili. Il<br />

grande William Hogarth (1697-1764),<br />

con il saggio L’Analisi della bellezza<br />

(1753), e io, con le mie sculture di lana,<br />

abbiamo cercato di regalare un po’ di<br />

pace a questi irrequieti concetti.Il nostro<br />

fantastico materiale di origine animale,<br />

arricchito delle più svariate colorazioni,<br />

si è prestato anche alla produzione di<br />

alcune maschere che dal mio armadio si<br />

sono scelte degli abiti, tutti fatti a mano,<br />

e in un attimo sono diventate personaggi<br />

a sè stanti, con un carattere proprio, che<br />

persiste se indossate da me, da un manichino<br />

o da uno qualunque di voi. Esse<br />

si muovono insieme alla faccia di chi le<br />

indossa, impedendogli di riconoscersi<br />

allo specchio, sortendo sul soggetto un<br />

vago effetto psicotropo, simile a quello<br />

della maschera verde di un famoso film<br />

comico.<br />

Chi poi lo vorrà, sarà libero di pensare<br />

che sono solo dei cappelli di lana da<br />

folletto!<br />

Laura Locci<br />

Laura Locci, giovane artista milanese, si è diplomata<br />

in Scultura all’Accademia di Belle Arti di Brera-<br />

Milano. Questa è la sua prima mostra personale.<br />

7


E S P O S I Z I O N I<br />

LAURA LOCCI


E S P O S I Z I O N I<br />

GIORGIO TENTOLINI<br />

Lettera d’artista n. 4<br />

ANIMULA VAGULA BLANDULA<br />

Le mie piccole anime sono frammenti di<br />

tempo, simili a leggere scosse elettriche, sono<br />

quegli istanti in cui l’attenzione è catturata da<br />

un particolare che concentra lo sguardo, sono<br />

momenti di silenzio circondati da frastuono,<br />

sono il “la” per una fuga di pensieri e talvolta<br />

la soluzione di enigmi.<br />

Partendo da questi istanti rubati, scavando<br />

le ombre e stratificando le profondità, lavoro<br />

su una diversa fruizione dell’immagine<br />

fotografica. Tralascio l’aspetto narrativo e<br />

queste immagini non esternano nulla di intimo<br />

o di emozionale. Sono profondamente legato<br />

alle mie piccole anime, la fatica di realizzare<br />

queste opere è come un piccolo patto di<br />

gratitudine rivolto a loro.<br />

Giorgio Tentolini<br />

Giorgio Tentolini è nato a Casalmaggiore nel 1978.<br />

Compie i primi studi in arti grafiche presso l’Istituto<br />

d’Arte P. Toschi di Parma; nel 1999 consegue il<br />

diploma del corso di Design e Comunicazione<br />

presso l’Università del Progetto di Reggio Emilia.<br />

Dopo un tirocinio formativo presso l’atelier di<br />

artisti e designer come Marco Nereo Rotelli e<br />

Denis Santachiara, nel 2002 inizia la sua attività<br />

di grafico e illustratore per case e riviste di moda<br />

presso l’agenzia Lifesaver s.r.l. di Parma. Negli<br />

stessi anni prende avvio la sua attività propriamente<br />

artistica con videoinstallazioni presentate in alcune<br />

collettive, dove ottiene significativi riconoscimenti:<br />

si segnala la sua partecipazione alla manifestazione<br />

“Chimere in città”, tenuta nell’ottobre 2003 alla<br />

Galleria Ricci Oddi di Piacenza, dove l’installazione<br />

Talkingheads consegue il primo premio della<br />

giuria. Seguono nel 2004 installazioni a Cremona<br />

(Alfabeto luminoso, videoproiezione sulla facciata<br />

del Palazzo Comunale), Casalmaggiore (Settestrade<br />

nell’Edicola dell’Arte), Viadana (Genomi, Galleria<br />

Bedoli), Ferrara (Biennale internazionale nelle sale<br />

dell’Imbarcadero del Castello Estense), Brescia,<br />

Torino e Napoli.<br />

Tiene le sue prime personali a Parma nel 2005<br />

(Elevazioni 1, Galleria Alphacentauri) e nel 2006<br />

(Genomi 7, Vetrina d’Arte). Nella sua attività<br />

espositiva più recente si segnala la partecipazione<br />

alle seguenti rassegne:<br />

2005, Sguardi, in Arte Parma 2005, Parma Fiere,<br />

Parma;<br />

2005, Fotosintesi, Chiesa di Sant’Agostino,<br />

Piacenza;<br />

2005, Oltre il corpo, Galleria Carloulivi115, Prato;<br />

2006, Primavera, Tara Bryan Gallery, Londra;<br />

2006, MUV-Music and Digital Art Festival,<br />

Limonaia di Villa Strozzi, Firenze;<br />

2006, Elevazioni 2, Corte delle Giare, Ragazzola<br />

(Parma);<br />

2006, Confini, Palazzo Pigorini, Parma.<br />

Nel 2007 vince la selezione locale di Arti Visive<br />

organizzata dal Comune di Parma che gli consentirà<br />

di partecipare alla XIII Biennale dei Giovani Artisti<br />

dell’Europa e del Mediterraneo (maggio 2008).<br />

<strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong><br />

15 dicembre 2007 ore 17,00<br />

“Animula Vagula Blandula”:<br />

inaugurazione della mostra di Giorgio<br />

Tentolini<br />

Valter Rosa<br />

Giorgio Tentolini, giovanissimo artista, ha<br />

già un curriculum piuttosto significativo,<br />

con attestati di stima e riconoscimenti che<br />

ha acquisito nel corso di diverse esposizioni,<br />

anche in luoghi prestigiosi, in Italia e<br />

all’estero. Artista locale, certamente, ma<br />

già proiettato in dimensione internazionale.<br />

Un omaggio a lui era quasi in un certo<br />

senso dovuto, non solamente perché fra i<br />

giovani artisti locali è, secondo me, uno<br />

dei più interessanti, non solo per la sua<br />

alta professionalità, che coniuga l’attività<br />

legata alla sua professione di grafico<br />

pubblicitario, a questa attività propriamente<br />

artistica, senza che ci sia in realtà una<br />

vera e propria soluzione di continuità<br />

fra queste due esperienze, anzi con una<br />

felice confluenza delle due esperienze<br />

che è interessante rimarcare anche ai fini<br />

della lettura del suo lavoro. Un omaggio<br />

dovuto, dicevo, anche per quanto riguarda<br />

lo spazio in cui ci troviamo: in occasione<br />

della prima esposizione che si è tenuta<br />

a Palazzo <strong>Diotti</strong>, quando non era ancora<br />

<strong>Museo</strong> (l’antologica dedicata a Goliardo<br />

Padova), Giorgio Tentolini ci ha dato un aiuto<br />

formidabile nella fase di allestimento, di regia<br />

complessiva di quel primo evento, quindi<br />

era giusto tributargli anche questo tipo di<br />

riconoscimento legato proprio al luogo in cui<br />

ci troviamo.<br />

Il lavoro di Giorgio è a una prima occhiata<br />

semplice. Se ci affidiamo ad uno sguardo<br />

piuttosto superficiale, guardando i suoi<br />

lavori abbiamo l’impressione di trovarci di<br />

fronte a dei giochi di ottica. Il suo atelier<br />

ideale potrebbe sembrare a prima vista un<br />

gabinetto di fisica divertente, come quelli che<br />

si usavano nel ‘700 e che appassionavano<br />

appunto sia i dilettanti di fisica, ma anche<br />

filosofi e scienziati in senso stretto. In realtà<br />

i suoi apparenti giochi di ottica stratificano<br />

una complessità di sensi, di significati che<br />

di volta in volta si resta sorpresi di scoprire<br />

e intravedere, e poche spiegazioni riescono<br />

ad esaurire compiutamente il senso di questi<br />

lavori. Ciò avviene a volte attraverso piccoli<br />

scarti che lui introduce dentro un’operazione<br />

apparentemente solo ottica, certi travasi di<br />

immagini da superfici fredde o da supporti<br />

di tipo fotografico digitale a supporti che<br />

implicano una materialità, un contatto<br />

fisico, supporti più caldi, ecco. Il rischio di<br />

ogni lettura critica applicata al suo lavoro è<br />

proprio quello di operare in senso riduttivo,<br />

semplificatorio rispetto alla complessità di<br />

questi temi. La miglior chiave critica credo<br />

l’abbia fornita proprio lui nel testo pubblicato<br />

sul catalogo e che noi abbiamo riproposto<br />

nella solita “lettera d’artista” che affianca<br />

la mostra. Giorgio Tentolini afferma di non<br />

sapere scrivere, eppure in quelle poche<br />

righe che lui ha scritto sul proprio lavoro<br />

ha fornito un punto di vista estremamente<br />

efficace, prezioso, che ha guidato anche me<br />

per la presentazione che ho scritto per la<br />

stampa locale. Quindi il mio non vuole essere<br />

un intervento critico sul suo lavoro, anche<br />

perché io intendo il mio lavoro di studioso<br />

e di critico d’arte (focalizzato non solo sul<br />

contemporaneo, ma sull’intero percorso della<br />

storia dell’arte) in una accezione particolare,<br />

e non solo il solo a pensarla in questo modo:<br />

per me fare critica in relazione a un’opera<br />

attuale assume il senso di un’operazione<br />

interessante se investe completamente l’intero<br />

arco della storia dell’arte. Il grande valore<br />

dell’arte contemporanea è questo: riattivare<br />

la storia, capovolgerla, portarci a misurarla,<br />

a valutarla, a ripercorrerla con un’ottica<br />

diversa, scoprendo anche delle potenzialità,<br />

delle bombe inesplose anche nel corso di tutta<br />

la storia dell’arte che non è mai un percorso<br />

definito una volta per tutte, ma qualcosa da<br />

riscrivere continuamente in relazione al farsi<br />

dell’arte attuale. Allora facendo riferimento<br />

alle ultime opere che Tentolini ha sviluppato,<br />

che poi hanno dato il titolo (bellissimo) da lui<br />

scelto per questa mostra, propongo in maniera<br />

molto rapida una sequenza di opere famose,<br />

tratte dalla storia dell’arte, in relazione al<br />

tema, che io ritengo possa fornire una traccia<br />

importante, “l’uomo che cammina” e in<br />

relazione anche alla forma attraverso cui<br />

l’artista ha portato il suo contributo intorno<br />

a questo tema. Più che una chiave di lettura,<br />

quella che intendo offrire è una sorta di<br />

suggestione, che può suggerire delle idee,<br />

un modo di guardare anche il suo lavoro, ma<br />

che certamente non lo spiega e non lo vuole<br />

esaurire.<br />

Artisticamente parlando, l’uomo antico non<br />

cammina. L’antichità non conosce questa<br />

dimensione, nel senso che tutti quelli che<br />

hanno cominciato a riflettere su questa<br />

questione, a partire dal Laocoonte di Lessing<br />

sino all’età contemporanea, non hanno<br />

potuto fare a meno di rilevare la misura<br />

attraverso cui l’antico esprimeva il senso<br />

del movimento e l’espressione. C’è sempre<br />

una misura per cui un movimento reale<br />

deve essere in qualche modo modificato<br />

ad arte, non reso nella sua verità, così pure<br />

come l’espressione di un dolore, di una<br />

gioia estrema devono trovare una forma,<br />

una misura per poter essere espressi. Tutto<br />

questo apparteneva all’antico, che conosceva<br />

questo stato di grazia attraverso cui anche<br />

un movimento, lo spostamento del corpo<br />

non era espresso attraverso una marcia, ma<br />

era espresso attraverso un lento incedere, un<br />

modo di porre il corpo esprimente armonia<br />

e non disarmonia. Questa riflessione che<br />

scaturisce a partire dal XVIII secolo culmina<br />

poi con il magistrale saggio di Freud sulla<br />

Gradiva, dove la nostalgia dell’antico modo<br />

di intendere il movimento sfociava poi nel<br />

delirio, nell’inseguire questo fantasma di<br />

fanciulla incedente.<br />

L’uomo che cammina è una conquista<br />

invece della modernità: dentro la tradizione<br />

giudaico-cristiana mi piace iniziare il<br />

9


10<br />

E S P O S I Z I O N I<br />

percorso con questa opera celeberrima del<br />

Masaccio, La cacciata dal Paradiso Terrestre,<br />

dalla Chiesa del Carmine di Firenze, 1425:<br />

l’uomo cammina e quindi abbandona una<br />

situazione di grazia, perde l’Eden e in questo<br />

cammino scopre anche la sua nudità. Ecco,<br />

il tema della nudità è centrale in tutta la<br />

vicenda che si può raccontare attraverso<br />

l’arte dell’uomo che<br />

cammina.<br />

Il senso della caduta<br />

e della fatalità<br />

dell’andare verso<br />

la morte è espresso<br />

sul piano di una<br />

parabola, la Parabola<br />

dei Ciechi (1568),<br />

in questo dipinto di<br />

Bruegel il Vecchio.<br />

Ma procedendo<br />

velocemente in<br />

direzione dell’arte a<br />

noi più vicina, ecco<br />

L’homme qui marche,<br />

di Rodin: forse non<br />

tutti ricordano che è<br />

una rielaborazione<br />

tardiva del 1900-<br />

1907 di un’idea<br />

precedente di almeno<br />

20 anni, legata a una<br />

scultura raffigurante<br />

S. Giovanni Battista.<br />

Quindi questo è<br />

ancora un San<br />

Giovanni decollato,<br />

però proiettato in<br />

una dimensione<br />

totalmente nuova,<br />

moderna; diventa<br />

l’uomo che cammina<br />

e si apre ad altre<br />

considerazioni, a<br />

questa volontà di<br />

potenza senza testa,<br />

a questo movimento<br />

inteso come pura<br />

azione, senza<br />

soggettività, senza<br />

sentimenti. Questa<br />

scultura sfida proprio<br />

l’idea della rappresentabilità del movimento<br />

stesso, di questo movimento potente<br />

attraverso la forma plastica.<br />

Naturalmente proprio negli stessi anni, anzi<br />

un po’ prima, la fotografia svolge un ruolo<br />

fondamentale nel mettere a nudo l’impensato,<br />

l’invisibile nel movimento umano. Marey,<br />

La marcia dell’uomo vista da sopra, una<br />

cronofotografia, una delle tante di Marey<br />

che aiutano a intravedere ciò che non è mai<br />

stato rappresentato in arte nella percezione<br />

del movimento stesso: anche la parte più<br />

disarmonica del movimento.<br />

Esperienza fondamentale, la fotografia, che è<br />

la base del Futurismo; ma l’acquisizione, la<br />

Giorgio Tentolini, Unknouwns, 2007, carta, 29,7x21 cm<br />

conseguenza più interessante non è certo nelle<br />

forme uniche nella continuità dello spazio di<br />

Boccioni, quanto invece nel Nudo che scende<br />

le scale di Marcel Duchamp, del 1912, opera<br />

antiboccioniana da molti punti di vista: non<br />

è tanto la deformazione plastica prodotta<br />

dal moto che interessa l’artista, quanto una<br />

sorta di trasformazione, un cambiamento di<br />

stato. In fondo è ancora l’uomo cacciato dal<br />

Paradiso Terrestre, però è un altro paradiso da<br />

cui viene cacciato. Infatti questa nuova nudità<br />

non segna il passaggio dall’animale all’uomo,<br />

bensì dall’uomo a una condizione ulteriore,<br />

macchinica, metamorfica, altra comunque<br />

rispetto all’umanità.<br />

Ma c’è un’altra<br />

dimensione in cui<br />

leggere l’homme<br />

qui marche, l’uomo<br />

che cammina, in un<br />

percorso a ritroso,<br />

alla ricerca dell’Eden<br />

perduto, o meglio in<br />

quella dimensione<br />

possibile dell’Eden che<br />

sta nella domenica, nel<br />

momento festivo, nella<br />

conquista dell’ozio<br />

come liberazione dal<br />

lavoro. È un grande<br />

fotografo questo,<br />

August Sander, Giovani<br />

contadini che vanno a<br />

ballare, 1914.<br />

Oppure ancora in<br />

maniera più decisa,<br />

questo passo, questo<br />

uomo che cammina<br />

procede nella direzione<br />

di un riscatto, di un<br />

movimento di liberazione,<br />

verso il “sol<br />

dell’avvenire”: questo è<br />

uno studio del 1895<br />

di Pellizza da Volpedo<br />

finalizzato alla realizzazione<br />

del grande dipinto<br />

del Quarto Stato.<br />

Da leggersi subito in<br />

stretta relazione con<br />

un’altra età di rivolte,<br />

di tensioni sociali e di<br />

utopie con quest’opera<br />

di Beuys, La rivoluzione<br />

siamo noi, 1971.<br />

Di nuovo, la fotografia<br />

è stata nel ‘900 uno<br />

degli strumenti più<br />

formidabili per ridare<br />

vita a delle percezioni distratte, per rimettere<br />

in scena dei fantasmi, delle ombre, fantasmi<br />

di persone o di animali e così via. Sotto la<br />

pioggia, nella nebbia, là dove la nostra facoltà<br />

di mettere a fuoco, in tutti i sensi, sia in senso<br />

ottico sia in un senso più profondo, risulta<br />

più complicata o comunque deviata: André


E S P O S I Z I O N I<br />

Kertész, Place du Carosel, Parigi, 1929.<br />

Naturalmente non poteva mancare Alberto<br />

Giacometti, L’homme qui marche, lo stesso<br />

titolo della scultura di Rodin, 1960, con<br />

questa idea di tradurre in forma plastica le<br />

ombre, l’ombra dell’uomo.<br />

O ancor meglio questo disegno di Alberto<br />

Giacometti (1951) che è già la nostra<br />

“animula”.<br />

Poi c’è il problema della forma. Il lavoro di<br />

Giorgio Tentolini tocca a vari livelli, a vari<br />

strati (proprio come sono costruite le sue<br />

opere: a vari strati), la<br />

questione del tempo<br />

e della memoria. Sul<br />

tempo noi abbiamo tante<br />

idee, però riconducibili<br />

fondamentalmente a<br />

due, un’idea ciclica<br />

e un’idea di tempo<br />

irreversibile, come<br />

la freccia, oppure,<br />

come si dice, come<br />

l’acqua, come un fiume<br />

che scorre. Non ci si<br />

bagna mai due volte<br />

nella stessa acqua, se<br />

ci si immerge in un<br />

fiume. In realtà non<br />

è vero, perché se noi<br />

immergiamo questa<br />

mano nel fiume, si crea<br />

una specie di gorgo<br />

e nel gorgo l’acqua<br />

ritorna indietro, quindi<br />

ribagna per una seconda<br />

volta la stessa mano.<br />

E poi la mano trattiene<br />

un po’ di questa acqua.<br />

Il senso del presente,<br />

dell’ora è un senso che<br />

si è smarrito nella nostra<br />

società: si è smarrito<br />

curiosamente a fronte<br />

dell’ipervalutazione del<br />

presente. Conta solo il presente: il passato,<br />

la memoria non contano più e non conta<br />

nemmeno il futuro, perché non abbiamo<br />

abbastanza sogni e risorse per pensare al<br />

futuro; tutto è focalizzato sul qui e ora. Ma<br />

proprio in questa focalizzazione, in questa<br />

presa stretta e avara del presente, si smarrisce<br />

il senso del presente, che non è propriamente<br />

questo: il presente, l’ora è, come suggerisce<br />

un filosofo francese, il participio presente<br />

del verbo ‘mantenere’, mantenente, cioè<br />

letteralmente ‘trattenere con la mano’. In<br />

francese si dice proprio così, maintenant.<br />

C’è una bellissima leggenda tramandata da<br />

Plinio, una leggenda romana, che riguarda la<br />

vestale Tuccia, una delle sacerdotesse custodi<br />

del fuoco sacro nel tempio dedicato ad Estia,<br />

la dea del focolare. Tuccia ad un certo punto<br />

venne accusata di adulterio e condannata<br />

ad una pena terribile, cioè ad essere sepolta<br />

viva; per provare la propria innocenza Tuccia<br />

scese al Tevere per attingere l’acqua con un<br />

setaccio e questo riuscì a trattenere l’acqua<br />

senza perderne una goccia. In questo modo<br />

Tuccia dimostrò la propria verginità e potè<br />

Giorgio Tentolini, Unheard, 2007, tecnica mista, 45x45x45 cm.<br />

essere riaccolta al tempio di Estia. Questa<br />

è un’opera straordinaria, una delle ultime<br />

di Andrea Mantegna, La vestale Tuccia,<br />

del 1500 circa, nella National Gallery di<br />

Londra, una tempera su tavola. Un’opera<br />

straordinaria da più punti di vista perché tutta<br />

l’opera è il setaccio: il setaccio è il presente,<br />

la possibilità di mantenere qualcosa che<br />

scorre come l’acqua; ma tutto il dipinto è<br />

un setaccio, perché il pittore ha solidificato<br />

qualcosa di estremamente mobile, come il<br />

movimento dell’aria, che fa volteggiare in<br />

maniera straordinaria questo panneggio, e<br />

ha solidificato anche l’atmosfera che c’è<br />

dietro la figura: questa grisaille meravigliosa<br />

vuole fingere il bronzo dorato, mentre quello<br />

sfondo che sembra stia per liquefarsi finge un<br />

antico marmo orientale. E’ un trompe-l’oeil<br />

al quadrato, un inganno, un vero rebus per<br />

lo spirito. Si dice di Mantegna che aveva un<br />

cuore di marmo, proprio perché solidificava<br />

l’idea stessa del movimento: in realtà questo<br />

mi sembra un banalissimo modo di leggere il<br />

Mantegna. Il pittore giudica le cose, il tempo,<br />

la vita degli uomini, da un punto di vista<br />

che non è quello<br />

della temporalità<br />

umana, si pone in<br />

una dimensione più<br />

vasta, cosmica; il<br />

suo tempo è quello<br />

geologico, ben oltre<br />

i limiti della storia<br />

umana, per cui in<br />

questo senso tutta<br />

l’opera è questo<br />

straordinario setaccio<br />

che trattiene la<br />

roccia e condensa<br />

nel presente l’infinità<br />

temporale.<br />

Non c’è niente di<br />

più liquido oggi<br />

del mondo delle<br />

immagini, più<br />

liquide dell’acqua: le<br />

immagini scorrono<br />

a milioni davanti<br />

ai nostri occhi, e<br />

il grosso lavoro,<br />

la grossa fatica è<br />

quella di riuscire a<br />

trattenere qualcosa<br />

di significativo: un<br />

setaccio non sempre<br />

trattiene quello che<br />

serve, anzi il più<br />

delle volte serve<br />

per trattenere quello che è da buttare via.<br />

Tutto il problema sta lì, in quella soglia del<br />

setaccio, cioè nel capire quanto di quello che<br />

viene trattenuto è utile per la nostra memoria,<br />

quindi per formare la nostra coscienza, e<br />

quanto invece è quello che sta passando in<br />

quel momento e che forse dobbiamo cercare<br />

di mantenere in un altro modo. Questo mi<br />

ha suggerito di leggere i lavori di Giorgio<br />

Tentolini come dei formidabili crivelli…ma<br />

può darsi che non sia così.<br />

Trascrizione di Letizia Frigerio<br />

11


12<br />

C O N F E R E N Z E<br />

Valter Rosa<br />

Conversazione sulla pittura di Goliardo<br />

Padova, con Florenzio Padova<br />

<strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>, Sala Didattica, 19 maggio 2007<br />

Questo incontro è dedicato all’opera di<br />

Goliardo Padova e alla mostra che è stata<br />

allestita nel nuovo padiglione del museo,<br />

ovvero lo Spazio Rossari, e in parte in questo<br />

Laboratorio didattico. Prima di introdurre<br />

l’ospite, inizierei con una brevissima<br />

relazione, giusto un rapido commento<br />

ad alcune immagini, che mostrerò, per<br />

sottolineare l’importanza anche di questo<br />

secondo evento, a distanza di circa una decina<br />

d’anni dall’antologica dedicata al pittore dalla<br />

città di Casalmaggiore, sempre in questo<br />

stesso spazio. Nel 1999 la mostra di Padova<br />

inaugurava un’attività espositiva che ha avuto<br />

una sua continuità nel tempo - ricordo che<br />

prima di allora questo luogo era stato una<br />

biblioteca; ora la nuova mostra di Padova<br />

inaugura il <strong>Museo</strong>.<br />

Casalmaggiore per circa 30 anni si è<br />

dimenticata di Goliardo Padova: praticamente<br />

da quando la famiglia si è trasferita a Parma<br />

(1962), salvo qualche rarissima presenza di<br />

suoi dipinti in occasioni particolari come<br />

potevano essere le antologiche a tema, le<br />

famose mostre sul Po, la sua opera è rimasta<br />

lontana da questo luogo, anche se nel cuore e<br />

nel ricordo dei cittadini di Casalmaggiore la<br />

figura di Padova è ben presente, anche perché<br />

ha insegnato per anni presso la scuola media<br />

o presso la Scuola di disegno “G. Bottoli” (tra<br />

il pubblico è presente un allievo della scuola<br />

Bottoli, il pittore Tarcisio Bosoni che ha<br />

voluto così omaggiare il suo maestro). A parte<br />

questi ricordi soggettivi, individuali, la città<br />

ha dovuto aspettare parecchio tempo prima di<br />

tributare un omaggio significativo all’artista,<br />

e questo è avvenuto appunto nel 1999: una<br />

mostra che, pur con tutti i limiti delle mostre<br />

fatte un po’ artigianalmente, ha segnato<br />

una svolta negli studi critici, come è stato<br />

riconosciuto anche recentemente da Arturo<br />

Carlo Quintavalle, uno dei primi estimatori<br />

di Goliardo Padova. Soprattutto il saggio in<br />

catalogo di Claudio Zambianchi ha aperto una<br />

prospettiva nuova che ha consentito anche<br />

di cogliere uno spessore dell’artista inatteso,<br />

anche su un piano dove non si pensava di<br />

doverlo cercare. Della sua pittura Goliardo<br />

Padova ha sempre lasciato parlare gli altri,<br />

i poeti prima di tutto, gli scrittori e i critici<br />

d’arte. Si è scoperto però che in circostanze<br />

private, meno pubbliche, quella parola se l’è<br />

presa in prima persona, scrivendo delle cose<br />

molto importanti e profonde, sia sulla sua<br />

pittura sia sulla pittura degli altri, affidate<br />

soprattutto a lettere scritte agli amici più<br />

intimi. Quindi è emerso questo lato “teorico”,<br />

narrativo, che non si sospettava, che nessuno<br />

pensava potesse appartenere all’artista<br />

interamente votato al linguaggio della pittura.<br />

L’altro importante contributo di quella mostra<br />

riguarda la questione dell’appartenenza al<br />

chiarismo: si è accertato finalmente che<br />

il pittore non è figura di secondo piano<br />

rispetto a maestri conclamati e riconosciuti<br />

del chiarismo, quelli i cui nomi compaiono<br />

oramai nei manuali di storia dell’arte, ma<br />

assume invece il ruolo di comprimario.<br />

Questo lo abbiamo ribadito tirando fuori<br />

documenti, mostrando opere non viste prima<br />

di allora, perché legate a collezioni private,<br />

dimostrando inoltre che non c’è un Padova<br />

“parmigiano” o un chiarismo parmigiano<br />

piuttosto che un chiarismo mantovano, ma<br />

che c’è stato un fenomeno, che non era<br />

un movimento, che non era legato a un<br />

manifesto, ma semplicemente a un lavoro di<br />

squadra in un periodo determinato, e che di<br />

quella squadra faceva parte Goliardo Padova.<br />

Di lì, con grande fatica, non dico mia, ma<br />

di chi ha collaborato a questa mostra (c’è<br />

stato un fondamentale contributo, anche<br />

per reperire le opere, da parte dell’Archivio<br />

Padova, fondato dalla figlia Fiammetta<br />

Padova e coordinato dall’ing. Bongrani,<br />

che è stato fonte preziosissima per scoprire<br />

dipinti di cui si ignorava l’esistenza) si è<br />

riscontrato un corpus pittorico, compreso<br />

fra la metà degli anni ’30 e i primi anni ’40,<br />

che ha rivelato questo apporto dentro la<br />

grande pittura della Milano di quegli anni,<br />

una Milano che vedeva un fermento culturale<br />

molto forte, legato sia all’iniziativa pubblica<br />

(le mostre dei littoriali, quelle sindacali<br />

interregionali, ecc) ma anche all’iniziativa<br />

privata (cito ad esempio l’importanza che<br />

ha avuto in quegli anni una galleria come il<br />

Milione). Così abbiamo potuto sbarazzarci di<br />

tante inesattezze che sono state accumulate<br />

sul pittore, e ora finalmente il Padova<br />

chiarista è stato restituito a pieno titolo alla<br />

fase storica centrale di questo momento<br />

fondamentale della nostra pittura del XX<br />

secolo. Aggiungo inoltre che, mentre quasi<br />

tutti i suoi compagni di squadra sono rimasti<br />

per così dire ancorati a questa formula che<br />

per loro è diventata uno stile da cui non<br />

sono più riusciti ad uscire, Goliardo Padova,<br />

non solo per la sua ricettività pronta ai<br />

mutamenti, ma proprio per un suo intimo<br />

sentire che già si manifesta sotto la pelle<br />

chiara della pittura chiarista, ma che pian<br />

piano emerge in maniera sempre più forte via<br />

via ci avviciniamo agli anni ’40, si esprime<br />

costantemente attraverso sensibili mutamenti<br />

di linguaggio verso quello che è stato definito<br />

il suo naturalismo informale.<br />

L’Anitra muta è un’opera di importanza<br />

capitale che, come tante altre presenti in<br />

mostra di notevole qualità, consente di<br />

colmare alcune lacune dell’esposizione del<br />

’99. Si tratta delle opere che l’artista ha<br />

custodito gelosamente per tanto tempo, a cui<br />

teneva in modo particolare, e che hanno avuto<br />

poche occasioni di visibilità. L’Anitra muta,<br />

del 1946, documenta appunto una delle prime<br />

importanti svolte dell’artista in direzione<br />

dell’appropriazione del colore e della materia<br />

pittorica: di questa fase è stato scritto che il<br />

pittore si era avvicinato molto al gruppo di<br />

“Corrente” e anche alla Scuola Romana e che<br />

Sandro Angelini, Acquaforte, da “Corrente di Vita<br />

Giovanile”, 15 gennaio 1939.<br />

era anche molto attento a quello che avveniva<br />

od era avvenuto qualche decennio prima<br />

nel panorama artistico europeo, mi riferisco<br />

all’École de Paris e in particolare a Soutine<br />

e ad altri pittori che tutta la critica ha citato<br />

come probabili riferimenti.<br />

Per quanto riguarda il suo avvicinamento al<br />

gruppo di “Corrente”, giusto per rispolverare<br />

un po’ di storia, ricordo brevemente cos’è<br />

stato “Corrente”: una rivista innanzitutto,<br />

fondata da Ernesto Treccani, che inizialmente<br />

si chiamava “Vita giovanile”, quando<br />

è uscita nel ‘38, poi “Corrente di vita<br />

giovanile”, e infine ha perso questo primo<br />

titolo ancora di vago sentore fascista,<br />

divenendo semplicemente “Corrente” negli<br />

ultimi numeri del ‘40. Ho aperto una pagina<br />

a caso, inquietante per l’argomento, che<br />

certamente imbarazza molto, soprattutto<br />

per una rivista come questa, che nel ‘39 era<br />

ancora espressione del cosiddetto “fascismo<br />

critico”, ovvero rappresentava una posizione<br />

intermedia, che non poteva eludere comunque<br />

il confronto con il fascismo, ma che,<br />

soprattutto sul piano delle scelte poetiche e<br />

artistiche, era già un’alternativa molto forte<br />

al Novecento sarfattiano e a tutto quello che<br />

di decisamente più truce e propagandista il<br />

fascismo della fine degli anni ‘30 andava<br />

proponendo. Però, come vedete bene, anche<br />

un titolo come questo – Pratica attuazione del<br />

nostro razzismo - in una rivista comunemente<br />

considerata espressione dell’antifascismo<br />

sul piano artistico e letterario, crea qualche<br />

imbarazzo e più di un interrogativo. Se però<br />

scorriamo le pagine di questo numero, che<br />

è del 15 gennaio 1939, alla sesta pagina<br />

troviamo alcuni articoli, uno di Guttuso<br />

e un altro di Lattuada, ma soprattutto<br />

quell’immagine in alto, che è un’acquaforte<br />

di Sandro Angelini, incisore di origine<br />

bergamasca, che raffigura un pollo morto,<br />

un’opera che ricorda molto da vicino un<br />

disegno di Goliardo Padova del 1952 donato<br />

dagli eredi allo CSAC di Parma. Lo ricorda<br />

proprio da un punto di vista iconografico,<br />

anche se accostamenti come questi sono un<br />

po’ facili e non è detto che siano probanti


C O N F E R E N Z E<br />

Goliardo Padova, Lʼanitra muta, 1946, olio su tavola. Collezione Florenzio Padova.<br />

di alcunché. Certo nel 1952 questo tema fa<br />

riflettere sotto vari profili: sappiamo dalla<br />

biografia di Goliardo Padova che dal 1948-<br />

49 al 1957 il pittore smette di dipingere, per<br />

una forte crisi esistenziale, oltre che artistica.<br />

Dopo quella prima ripresa successiva alla<br />

guerra, di cui abbiamo visto un’opera molto<br />

rappresentativa come l’Anitra muta, c’è una<br />

lunghissima pausa che dura sino al ‘57. Però<br />

il pittore non ha smesso completamente di<br />

dipingere: in mezzo ci sono anche cose come<br />

questi disegni, e c’è un’opera che bisogna<br />

infine sottrarre all’aneddotica del folklore<br />

paesano, ovvero quel ciclo di affreschi<br />

che Padova realizzò nel suo allevamento<br />

razionale di polli a Casalmaggiore. Su<br />

questo singolare lavoro avevano già messo<br />

gli occhi naturalmente i primi estimatori<br />

di Padova, come il poeta Attilio Bertolucci<br />

o lo storico e critico d’arte Quintavalle,<br />

cogliendo l’importanza e la singolarità<br />

del tema stesso affrontato. In quel ciclo di<br />

affreschi Goliardo Padova rappresentava, lui<br />

allevatore di polli, la storia dell’allevamento,<br />

la storia degli animali: ecco, già essersi posto<br />

questo problema che gli animali abbiano una<br />

storia e che non solo l’uomo sia portatore<br />

di una storia e di una temporalità, ma anche<br />

l’animale, nel suo rapporto con l’uomo, è<br />

veramente una pensata geniale. Al di là del<br />

fatto che lui artisticamente in quel momento<br />

fosse coinvolto, in una sorta di rivisitazione<br />

personale di tutta la storia della pittura, dalle<br />

avanguardie, dal Cubismo e dal Futurismo in<br />

particolare, al di là dell’esito artistico, il fatto<br />

stesso di aver creato un ciclo, una narrazione<br />

sul tema della storia degli animali è qualcosa<br />

che fa pensare, anche per l’importanza che<br />

l’animale riveste nella pittura di Goliardo<br />

Padova. Un soggetto come questo, quindi,<br />

non è da vedersi semplicemente come legato<br />

a una ripresa di un tema di grande fortuna<br />

nella pittura dell’École de Paris, piuttosto che<br />

presso la Scuola Romana - vedi per esempio<br />

questi Tre polli morti di Mario Mafai, esposti<br />

in una mostra sempre nel ‘39 alla Galleria<br />

Arcobaleno di Venezia, pubblicati sempre<br />

dalla rivista “Corrente”, oppure ancora, se<br />

risaliamo nel tempo e allarghiamo lo sguardo<br />

al panorama europeo, questa opera di Soutine,<br />

il Gallo morto (1926), oppure ancora, se<br />

vogliamo seguire questo filone della pittura<br />

simbolista ed espressionista, un’opera di<br />

Ensor del 1917, dove ancora abbiamo la<br />

stessa figura di animale sempre in questa<br />

collocazione. In realtà tutti questi quadri non<br />

sono che riproposizioni (e lo è a maggior<br />

titolo quello di Goliardo Padova) del tema<br />

della pietà, sono rivisitazioni profane del<br />

Chaim Soutine, Il gallo morto, 1926. Chicago, The<br />

Art Institute<br />

tema ultrasacro della pietà cristiana. Anche<br />

il rapporto con l’animale, con il gallo ucciso,<br />

con questi elementi che tornano più volte<br />

nella pittura di questi artisti, ha a che fare con<br />

questo discorso.<br />

Dopo l’interruzione, finalmente nel 1957<br />

Goliardo Padova ritorna alla pittura, dapprima<br />

con una serie di tempere. Ringrazio il figlio<br />

Florenzio Padova per aver donato al museo<br />

questo piccolo, ma preziosissimo catalogo<br />

della mostra del 1958 a Milano. Io già lo<br />

conoscevo in fotocopia, così come il testo di<br />

presentazione scritto per quella occasione.<br />

Ma tenendo l’oggetto in mano, a lungo, ne<br />

ho capito finalmente l’importanza. Questa<br />

è veramente una pietra miliare in tutto il<br />

percorso di Goliardo Padova. Intanto il luogo<br />

della ripresa: Padova torna ad esporre la<br />

propria pittura non in una piccola galleria<br />

di provincia, ma alla galleria Cairola, e il<br />

nome stesso evoca una storia importante.<br />

Stefano Cairola è stato il maggior gallerista<br />

di Genova dalla metà degli anni ‘30 fino ai<br />

primi anni ‘40, e la sua galleria era il punto<br />

di riferimento del Gruppo di Corrente. Presso<br />

di lui, a Genova, espongono gli artisti più<br />

importanti di Corrente e tra questi anche<br />

Sandro Cherchi, di cui il <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>, grazie<br />

agli Amici di Palazzo Te, possiede ora una<br />

bella scultura.<br />

Comunque Cairola a un certo punto comincia<br />

a trasferire la sua attività a Milano, dapprima<br />

subentrando al Gruppo di Corrente nella<br />

loro galleria in via della Spiga, poi aprendo<br />

uno spazio proprio, dopo che la Galleria di<br />

Genova (che aveva questo nome) era stata<br />

bombardata durante la guerra.<br />

Padova dunque riprende dopo questo periodo,<br />

che sembrava un periodo perso, riallacciando<br />

questo filo, questa continuità molto<br />

importante che passa attraverso la Galleria<br />

Cairola. In copertina è riprodotta un’opera<br />

non so se scelta da lui o dal poeta Bertolucci<br />

che lo presenta in questa occasione. È stata<br />

scelta proprio l’opera che vedete esposta in<br />

questa sala, una delle opere più belle e più<br />

riuscite, la n. 10 della serie delle Ruspe in<br />

terra di golena, tema veramente originale<br />

e nuovo, un tema di grandissima attualità:<br />

immagino che molti di voi abbiano visto<br />

l’ultimo film di Ermanno Olmi, Cento chiodi,<br />

un film bellissimo girato da una persona che<br />

veramente conosce la nostra terra, la terra<br />

di Po intendo, e conosce la sensibilità della<br />

gente, uno che potrebbe benissimo capire la<br />

pittura di Goliardo Padova quando Padova<br />

raffigura i terrazzieri, la gente che lavora sul<br />

Po. Ecco, il film di Ermanno Olmi si chiude<br />

in maniera abbastanza drammatica con queste<br />

ruspe incombenti che distruggono le rive del<br />

fiume.<br />

Questo tema, questo rapporto di violenza<br />

fra la macchina e la terra che lui amava<br />

tantissimo, aveva già scosso in maniera molto<br />

forte Goliardo Padova. Questo si traduce con<br />

una pittura estremamente energica, dove il<br />

disegno, il contorno, la linea vorticosa fa a<br />

gara con il colore; all’inizio domina la linea,<br />

in quelle che hanno la numerazione bassa,<br />

13


14<br />

C O N F E R E N Z E<br />

Catalogo della personale di Goliardo Padova alla<br />

Galleria Cairola di Milano, 1958.<br />

fino ad arrivare a Ruspe in terra di golena<br />

n. 10, che è stata scelta per la copertina del<br />

catalogo, dove finalmente la linea stessa<br />

diventa colore e tutt’uno con la matassa<br />

cromatica con cui lui ha costruito questa<br />

figurazione molto mossa.<br />

Apriamo il catalogo, dove troviamo un<br />

ritratto dell’artista e due opere tutto sommato<br />

accostabili a un dipinto presente in mostra<br />

che rappresenta sempre il Po con le barche,<br />

oltre al profilo biografico molto breve, ma<br />

significativo, scritto da Bertolucci: “Goliardo<br />

Padova è nato nel ‘9 a Casalmaggiore, il<br />

margine ultimo della provincia di Cremona,<br />

fra l’umidore arborescente del Po con le<br />

sue lanche e l’espandersi della campagna<br />

verso il mantovano. Ha studiato a Parma<br />

all’Istituto d’arte, poi a Milano, a Brera dove<br />

in seguito ancora giovane ha svolto attività di<br />

insegnante. Dal ‘30 al ‘42 risiedette a Milano<br />

e in quel periodo partecipò a varie mostre<br />

regionali e nazionali, poi venne la guerra,<br />

la prigionia. Ora dopo un lungo silenzio ha<br />

ricominciato a dipingere”. Ebbene, davanti<br />

a queste opere, e per questo sottolineo<br />

l’importanza dei dipinti che sono stati riuniti<br />

in questa mostra, Attilio Bertolucci molto<br />

profeticamente scrive queste cose: “Nel<br />

primo tempo della sua ripresa, Padova ha<br />

dipinto esclusivamente a tempera, quasi<br />

temendo che altre tecniche potessero tradire<br />

la sua intuizione fiammante del mondo<br />

[bellissima questa espressione]. I quadri<br />

di questo periodo svariano come stendardi<br />

in lode della vita. Ma negli oli ultimi la<br />

vena non s’è perduta, s’è approfondito il<br />

discorso. La naturale evoluzione del pittore<br />

ci promette una stagione ricca di frutti.<br />

Auguriamogli, auguriamoci che si svolga<br />

con felice continuità. È giusto che Padova<br />

riacquisti gli anni della prigionia, giusto che<br />

questi anni non siano stati del tutto buttati<br />

via: la sofferenza d’allora avrà servito a dargli<br />

quella tempra morale che gli ha fatto superare<br />

i pericoli dell’inaridimento e quelli ancora più<br />

pericolosi della facilità”.<br />

Una cosa davvero va sottolineata: la pittura di<br />

Padova non è una pittura facile, che si possa<br />

amare con un’occhiata superficiale, ma, così<br />

come è stata concepita con una pazienza di<br />

visione, come ha scritto bene Paolo Fossati,<br />

Goliardo Padova, Ruspe in terra di golena n. 10, 1957, tempera su carta. Collezione Florenzio Padova.<br />

allo stesso modo richiede una pazienza di<br />

osservazione. Ma poi scorriamo rapidamente<br />

l’elenco dei dipinti esposti: troviamo dei titoli<br />

di opere che sono confluite allo CSAC di<br />

Parma, ma anche un certo numero di opere<br />

presenti in questa mostra, tra cui sottolineo<br />

anche Mia madre in cucina, del ‘57, oltre alla<br />

serie delle Ruspe in terra di golena. Dopo<br />

questa mostra, a quanto mi risulta, queste<br />

opere non sono più state esposte, quindi è<br />

veramente un privilegio per Casalmaggiore e<br />

per chi verrà a visitare la mostra approfittare<br />

di questa occasione per scoprire un Padova<br />

importantissimo, ma quasi inedito.<br />

Altra opera poco vista, a cui il pittore teneva<br />

moltissimo, è questa Lanca, eccezionale<br />

per le dimensioni, ma soprattutto per questa<br />

ricerca cromatica. Si tratta di una vera e<br />

propria invenzione figurativa. La lanca non<br />

è solo un elemento paesaggistico legato al<br />

Po, è la scena primordiale, è la scena della<br />

creazione con tutti gli animali radunati<br />

attorno, animali che, per quanto in apparenza<br />

fantastici o favolistici, in realtà Padova ha<br />

visto concretamente: ecco gli aironi cinerini,<br />

animali che ancora adesso, se si ha un po’ di<br />

fortuna, si possono incontrare nelle poche<br />

lanche in terre golenali risparmiate dalle<br />

ruspe. Anche gli insetti che Padova dipinge<br />

dalla metà degli anni ‘60 in poi, quegli insetti<br />

stranissimi che poi diventano giganti, li ho<br />

proprio incontrati visitando la sua casa sulle<br />

colline parmensi: questi insetti, verso sera, ti<br />

saltano addosso, girando in maniera caotica<br />

e vorticosa e hanno quell’aspetto che si<br />

vede nei dipinti di Padova. Il pittore certo<br />

trasfigura la realtà, ma parte sempre da un<br />

rapporto molto concreto, molto diretto con le<br />

cose. E ritorna ancora la figura dell’animale,<br />

sul cui spessore simbolico varrebbe la pena di<br />

riflettere, di indagare.<br />

Penso la stessa cosa guardando i Cardi:<br />

ho sempre pensato da bambino ai cardi<br />

come a dei non-vegetali, a dei vegetali un<br />

po’animali. C’è qualcosa di familiare, ma<br />

anche d’inquietante nella figura del cardo: il<br />

cardo ritorna spesso nei dipinti degli anni ‘60<br />

del pittore e sono quasi sempre dipinti molto<br />

belli, anche dal punto di vista dell’uso della<br />

materia, delle luci.<br />

Chiudo questa rapidissima panoramica su<br />

Goliardo Padova con la Gatta di notte: è<br />

un nero su nero, ma in realtà è molto di più<br />

di questo, - e nessun confronto con pittori<br />

del Novecento ci appare a questo punto<br />

convincente -, è un porsi dalla parte della cosa<br />

amata, dell’animale, verso cui l’artista prova<br />

compassione, prova pietà, interrogandosi<br />

anche su come ci si può mettere dall’altra<br />

parte. Solo i grandi pensatori del secolo<br />

scorso, penso ai grandi scienziati come<br />

Einstein, ai grandi poeti o ai grandi pittori,<br />

hanno potuto pensare alle cose come sono<br />

senza di noi. Questa domanda, questo<br />

interrogativo il pittore se lo pone in questo<br />

modo, cioè togliendo completamente la luce<br />

(cioè togliendo ciò che è essenziale per il<br />

pittore, ciò che è vitale per la sua pittura),<br />

lasciando solamente filtrare quel poco di<br />

luce che è prodotta in realtà dall’effetto<br />

tattile della pittura, dal suo rilievo. In questo<br />

azzeramento della luce Padova recupera<br />

questa intimità, questa vicinanza con le cose,<br />

non violate appunto dallo sguardo dell’uomo.<br />

Ringrazio Florenzio Padova per la sua<br />

disponibilità, sia per aver concesso per un<br />

lunghissimo prestito le opere che si possono<br />

ammirare in questa mostra, sia per aver<br />

accettato, lui abbastanza restio ad esporsi in<br />

pubblico, di partecipare a questo incontro.<br />

Mi sono preparato all’ultimo momento<br />

qualche domanda, di cui Florenzio Padova è<br />

del tutto all’oscuro, perché non volevo che<br />

questo dialogo avesse il sapore della minestra<br />

riscaldata.<br />

Florenzio Padova: Volevo fare alcune<br />

precisazioni. Ringrazio innanzitutto lei,


C O N F E R E N Z E<br />

professore, le persone presenti e la dottoressa<br />

Ronda che oggi non ha potuto partecipare<br />

a questo incontro. Io devo ringraziare voi<br />

perché senza la dottoressa Ronda e il prof.<br />

Rosa non ci sarebbe stata questa mostra in un<br />

posto che - io penso - Goliardo non avrebbe<br />

potuto desiderare migliore, vista la luce, visto<br />

tutto questo verde, queste case che erano le<br />

case che lui amava, non certo i condomini<br />

che vedo anche a Casalmaggiore, va beh, è il<br />

progresso! Il nostro è stato un incontro molto<br />

cordiale di persone che, ho notato, avevano<br />

piacere a fare questa cosa, mentre altre volte<br />

ho visto mostre che…non so, forse era meglio<br />

non venissero fatte.<br />

Lei ha dato un appellativo a Goliardo,<br />

chiamandolo “allevatore di polli”: fin per<br />

carità, professore, lui mi si rivolta nella<br />

tomba, perché lui odiava i polli! Era là che<br />

dipingeva, ma se avesse potuto, secondo me,<br />

avrebbe tirato il collo a tutti… Non esiste un<br />

quadro con un pollo: ha fatto tanti animali,<br />

ma i polli sono entrati solo nel ciclo che ha<br />

dipinto in due estati: si alzava prestissimo al<br />

mattino, alle 9 smetteva perché si crollava dal<br />

caldo e riprendeva la sera. Quando abbiamo<br />

lasciato la casa, il prof. Quintavalle si era<br />

attivato con la Soprintendenza di Verona<br />

perché il pollaio non venisse abbattuto,<br />

ma delle brave persone, i proprietari<br />

dell’immobile, venute a conoscenza della<br />

cosa, in tre giorni hanno distrutto tutto.<br />

Riguardo al signor Cairola, sarà stato pure un<br />

grande gallerista, ma con Goliardo è stato un<br />

gangster, perché Goliardo in questa mostra,<br />

quando era andato a smontarla, ha notato<br />

che mancava una tempera e pensava che<br />

fosse stata venduta. In realtà era stata rubata,<br />

e allora non esistevano le assicurazioni<br />

come ora. Per Goliardo è stata una grossa<br />

delusione e l’inizio di quel cattivo rapporto<br />

con i galleristi che forse è stata la sua fortuna.<br />

Così è riuscito a dipingere e a tenersi di più<br />

i quadri, visto che lui li amava i suoi quadri:<br />

non li faceva per venderli, ma per tenerli. Poi<br />

è stato costretto anche a venderli, perché nella<br />

vita senza i soldi…<br />

Valter Rosa: Visto che siamo in tema,<br />

affrontiamo il problema della mancata<br />

fortuna critica di Padova. È veramente<br />

incredibile come un pittore, che ha avuto<br />

la ventura di incontrare poeti come Attilio<br />

Bertolucci, critici del livello di Roberto<br />

Tassi, di Quintavalle, di Fossati, Arcangeli e<br />

di tanti altri, non sia mai riuscito ad entrare<br />

in una grande sintesi dell’arte italiana,<br />

penso ai manuali di storia dell’arte italiana<br />

che pure accolgono nomi come quelle di<br />

Morlotti e di Cassinari, artisti grandi per<br />

carità, ma nei confronti dei quali Padova non<br />

doveva assolutamente restare in secondo<br />

piano. Sicuramente il rapporto difficile con<br />

il mercato è un elemento chiave per capire<br />

le ragioni di questa assenza; sicuramente il<br />

fatto di essersi ritirato in provincia per un<br />

arco di tempo abbastanza significativo della<br />

sua vita ha avuto il suo peso, anche se in<br />

provincia i grandi critici di cui si diceva lo<br />

frequentavano, quindi non era una posizione<br />

La casa di Goliardo Padova a Casalmaggiore con la torretta-studio (1960 circa).<br />

di isolamento quella che lui ha vissuto<br />

negli anni trascorsi a Casalmaggiore. Certo<br />

le ragioni del mercato sono implacabili e<br />

portano a vere e proprie censure: la sua<br />

esclusione dal gruppo maggiore dei chiaristi<br />

io non me la spiego se non proprio in<br />

relazione a questo. Insomma non si capisce<br />

perché Goliardo Padova, citato da Carrà,<br />

citato da Sinisgalli e da altri come il più<br />

significativo dei chiaristi, debba essere<br />

relegato in un’appendice del chiarismo<br />

mantovano e non messo vicino a De Rocchi,<br />

Del Bon e Lilloni: questo veramente è<br />

incomprensibile.<br />

F. P.: Come del resto la collocazione a<br />

Palazzo Bagatti Valsecchi [n.d.r. la mostra<br />

su Il Chiarismo lombardo del 1986], dove<br />

Goliardo era messo fuori, con la nebbia che<br />

aleggiava attorno ai quadri, quando dentro<br />

c’erano dei pittori come Sassu. Allora io<br />

sinceramente mi sono chiesto che mostra<br />

del chiarismo fosse quella, perché c’erano<br />

dei rossi, c’erano dei verdi, c’erano dei<br />

gialli… Ma se queste cose le noto io, sono<br />

il figlio e chiuso, ma queste cose le ha<br />

notate e le ha scritte il prof. Quintavalle,<br />

in un articolo dedicato alla mostra dove<br />

su quattro colonne due erano su Goliardo.<br />

Sono tutte quelle cose che negli anni si<br />

sono ripetute: “dobbiamo, dobbiamo”, ma<br />

poi… La morale è molto semplice: Goliardo<br />

non aveva un mercante. Di quadri di quel<br />

periodo ce n’erano pochissimi: i quadri<br />

erano di tutti gli altri pittori, quindi quella<br />

mostra era servita a muovere una certa cosa<br />

dove c’erano degli interessi. Dietro all’arte<br />

ci sono i soldi: dei galleristi, dei critici, che<br />

guarda caso parlano sempre bene di tutti.<br />

Allora sono tutti dei grandi pittori. Io non<br />

ho mai letto qualcuno che avesse la forza<br />

di dire: beh, questo può essere meglio di<br />

quello. Sono tutti bravissimi. Ma se tu ti<br />

leghi a qualcuno, allora cominci a fare il<br />

commerciante e smetti di essere un pittore.<br />

Quindi io ringrazio mio padre di non essere<br />

stato un commerciante, di avere continuato a<br />

fare quello che si sentiva di fare senza nessun<br />

tipo di legame economico. La riprova è che<br />

di tanti altri pittori ormai è stato visto tutto,<br />

mentre nella mostra ora qui al <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong><br />

su 29 opere ce ne sono 23 che, tranne pochi<br />

amici (e qualcuno è presente) che le hanno<br />

viste su da me a Tizzano, nessuno aveva<br />

mai visto. E chiudo la faccenda ricordando<br />

che nessun critico, prima, quando mio padre<br />

era in vita, e dopo, si è mai preso la briga di<br />

dire “andiamo a vedere cosa ha fatto Padova<br />

negli anni ‘60-‘70, perché tutti i critici che<br />

lei prima ha nominato (e non ho paura a<br />

dirlo), bravissimi per carità, ma amici no,<br />

eh professore, perché l’amicizia è un’altra<br />

cosa. E di amici ne ha avuti pochi: il prof.<br />

Quintavalle lo ha scritto “non permetteva<br />

se non ad amici critici e intellettuali di<br />

avvicinarlo”: l’unico è stato Giuseppe Tonna.<br />

Il prof. Tonna è stata la persona che, dopo<br />

la crisi del dopoguerra, gli ha permesso e<br />

gli ha dato la forza di ricominciare perché ci<br />

credeva, non perchè aveva degli interessi. E<br />

ci credeva lasciandogli fare tutto quello che<br />

lui voleva fare. Io ricordo quando veniva lì a<br />

Casalmaggiore, finita la scuola: Goliardo gli<br />

faceva vedere queste opere sul cavalletto in<br />

modo quasi timoroso, lui le guardava dall’alto<br />

della sua statura (era il doppio di mio padre)<br />

e gli batteva la mano sulla testa dicendogli:<br />

“Goliardo, te li mangi tutti!”. Per lui questa è<br />

stata una forza che non ha saputo trasmettergli<br />

nessun altro. In quei momenti venivano giù,<br />

mangiavano e bevevano… È un po’ come il<br />

quadro che ho su io e che le ho fatto vedere:<br />

“Dove sono gli amici del Po?”. Era la stessa<br />

cosa: venivano giù, andavano all’Eridanea,<br />

mangiavano e bevevano, però lui già da allora<br />

era il primo ad essere consapevole che il<br />

Po lo stavano distruggendo. Adesso stanno<br />

15


16<br />

C O N F E R E N Z E<br />

lanciando gli allarmi, ma ormai è tardi: lui<br />

l’ha visto 50 anni fa cosa stava succedendo.<br />

Il discorso è molto semplice: lui ha deciso di<br />

dipingere, mentre ci sono pittori che hanno<br />

deciso di dipingere, ma anche di arricchirsi<br />

e a quel punto non puoi fare quello che vuoi,<br />

devi fare quello che vuole il mercato. Diceva<br />

che servivano due generazioni dalla morte del<br />

pittore prima che si potesse dire se aveva fatto<br />

qualcosa di valido o meno: sono passati 28<br />

anni dalla sua morte, una generazione è qui,<br />

aspettiamo la seconda e poi si vedrà quello<br />

che succederà. Però io vedo una persona<br />

come lei che si è avvicinata a mio padre<br />

senza averlo conosciuto, sensibile: mio padre<br />

cercava persone come lei, non quelle che<br />

scrivevano sui grandi pittori, i grandi articoli,<br />

perché erano spinti da altre ragioni: è per<br />

questo che la voglio ringraziare ancora.<br />

V. R.: Sicuramente, da quanto ho capito, suo<br />

padre ha avuto un rapporto privilegiato con i<br />

poeti e gli scrittori piuttosto che con i critici,<br />

un rapporto più diretto, anche di amicizia,<br />

come giustamente diceva lei, però non vorrei<br />

cadere nell’atteggiamento opposto di non<br />

riconoscere il lavoro molto importante di<br />

chi lo ha studiato sul versante della critica<br />

d’arte e della storia. Mi riferisco ad esempio<br />

alla prima grande mostra curata allo CSAC<br />

di Parma da Vania Strukely e dal prof.<br />

Quintavalle, che è risultata determinante per<br />

la riscoperta dell’artista.<br />

F. P.: Forse se l’avessero aiutato un po’<br />

prima… Io sono contento così, però resta<br />

il fatto che questi rapporti che ha avuto con<br />

Bertolucci e con Tonna sono stati rapporti<br />

molto più sentiti, perché lui diceva che i<br />

suoi quadri andavano visti con il cuore.<br />

Adesso io non posso nominare un grande<br />

critico, che ha scritto molto su mio padre:<br />

mi ha sempre detto che, per ragioni di un<br />

suo lavoro precedente, le opere le vedeva<br />

più con il cervello che con il cuore. E mi<br />

aveva chiesto un parere su un ultimo articolo<br />

che aveva scritto: queste cose però non le<br />

scriveva quando era in vita Goliardo, forse<br />

se l’avesse fatto… Goliardo non ha avuto<br />

questo aiuto, però lui è andato avanti per<br />

la sua strada. Se c’è un pittore che non ha<br />

scopiazzato come è successo per diversi, è<br />

lui: le cose son lì da vedere, le carte bisogna<br />

metterle giù sul tavolo. Degli altri si conosce<br />

moltissimo, di Goliardo si conosce molto<br />

poco perché lui amava le sue cose e amava<br />

tenersele: pian pianino stan venendo fuori,<br />

grazie anche a persone come lei. Voglio solo<br />

fare una precisazione: il dott. Tassi quando<br />

venne a casa mia a fare la scelta per le opere<br />

da inserire alla mostra della Permanente, non<br />

si era ancora reso conto che gli insetti (e lo<br />

fece notare Zambianchi) li aveva fatti dieci<br />

anni prima di Sutherland. Questo significa<br />

aver seguito o imitato un pittore? No, non mi<br />

sembra. Goliardo non era quello che andava<br />

a cercarli, non l’avrebbe mai fatto per il suo<br />

carattere, però apriva le porte e il cuore a chi<br />

ci andava.<br />

V. R.: Lei ha mai osservato suo padre mentre<br />

dipingeva? E lui glielo permetteva?<br />

F. P.: Non lo ha mai permesso a nessuno.<br />

Nessuno ha mai visto mio padre dipingere,<br />

perché lui a Casalmaggiore aveva il suo<br />

studio nella torretta e appena sentiva<br />

qualcuno che saliva sulla scala e apriva la<br />

bottola d’ingresso, lui smetteva. Addirittura<br />

nei due studi di Parma, a Borgo delle<br />

Colonne e prima al Borgo del Naviglio,<br />

aveva una tenda dove dipingeva. Non c’erano<br />

campanelli, per cui era impossibile andare<br />

là a disturbarlo. Se andava qualcuno di noi<br />

certamente ci accettava ben volentieri, ma<br />

non dipingeva sotto i nostri occhi. Non so<br />

cosa volesse dire questo atteggiamento,<br />

probabilmente era molto geloso di quello che<br />

stava facendo.<br />

V. R.: Magari qualche volta sbirciava nello<br />

spazio di lavoro di suo padre?<br />

F. P.: No, avevo un rispetto totale, anche dopo<br />

che è mancato, per parecchio tempo, perché<br />

so quanto ci teneva che le cose fossero tenute<br />

in un certo modo, che non si rovinassero.<br />

V. R.: Noi possiamo ancora ammirare i suoi<br />

cavalletti e i suoi strumenti di lavoro. In<br />

questo museo abbiamo un po’ enfatizzato<br />

questo aspetto del lavoro dell’artista, non<br />

certo perché siamo convinti che tutto il<br />

lavoro dell’artista risieda nella dimensione<br />

puramente materiale del mestiere. Tuttavia<br />

prestare attenzione al modo concreto di<br />

lavorare, di costruire l’opera, a partire<br />

anche dagli strumenti stessi della pittura<br />

ci è sembrato che, in un luogo come<br />

questo che è stato la casa-studio del pittore<br />

Giuseppe <strong>Diotti</strong>, potesse essere un elemento<br />

interessante da sottolineare, da farne quasi<br />

una sorta di traccia, di guida, di questo<br />

particolare museo di provincia. Così abbiamo<br />

chiesto a Florenzio Padova di prestarci due<br />

cavalletti, uno da studio, largamente usato dal<br />

pittore come si può notare dalle incrostazioni<br />

di colore, e uno più antico, da campo, che lui<br />

non usava, ma che si vede in una sequenza<br />

del film Prima della rivoluzione girato nel<br />

1964 dal regista Bernardo Bertolucci, figlio<br />

del poeta Attilio.<br />

F. P.: Eravamo presso la lanca di Agoiolo,<br />

piena di ninfee. Gliel’avevamo trovato noi<br />

quel posto: io ci andavo a pescare, lui veniva<br />

di fianco a me perché aveva il terrore che<br />

io potessi cadere in acqua; io e mio padre<br />

stavamo là delle ore, io a pescare, lui stava<br />

fermo, si guardava questi aironi… Ricordo<br />

che dopo il primo giorno di ripresa del film<br />

sono stati tutti in albergo, si sono rifiutati di<br />

continuare a girare il film perché erano tutti<br />

colpiti dalle zanzare! Ci ha chiesto Bernando<br />

come mai non avevamo punture: “Sarà perché<br />

voi venite da Roma!” Dopo hanno dovuto<br />

cospargersi tutti con prodotti, tipo Autan, però<br />

non vedevano l’ora di finire quella scena,<br />

perché erano stati assaliti!<br />

V. R.: Immagino che il pubblico presente in<br />

sala abbia visto quel film – forse i più giovani<br />

no – dove c’è una sequenza abbastanza<br />

lunga in cui si vede il pittore, seduto su uno<br />

sgabello molto basso, che finge di dipingere<br />

davanti a quel cavalletto che è in mostra: ora<br />

sappiamo che non avrebbe mai dipinto sul<br />

serio non solo davanti a una cinepresa, ma<br />

neanche in presenza di un osservatore.<br />

F. P.: Non voleva neppure apparire, ma<br />

poi Bernardo ha insistito, e probabilmente<br />

grazie al papà con cui aveva un rapporto<br />

bellissimo… Ma anche con lui aveva ottimi<br />

rapporti: era un ragazzo, agli inizi della sua<br />

carriere, e parlava della famosa ranina [n.d.r.<br />

la lenticchia d’acqua]. In pratica quel film<br />

è un altro grido di allarme e la prova è che<br />

questo budrio dove c’erano tutte quelle ninfee<br />

non c’è più. Ora capisco perché a Goliardo<br />

piaceva venire lì. Quando siamo entrati in<br />

questa lanca (ci si entrava passando sotto a<br />

tutta una vegetazione folta), Bernardo e tutto<br />

il resto della troupe sono come impazziti:<br />

capirai, abituati a Roma, gli sarà sembrato di<br />

entrare nella foresta amazzonica.<br />

V. R.: Si diceva della casa di Casalmaggiore<br />

frequentata dagli amici scrittori e critici:<br />

era frequentata anche da altri artisti, suoi<br />

compagni di strada?<br />

F. P.: Forse lei professore non sa perché<br />

Goliardo ha cominciato a essere frequentato<br />

dai vari Tassi, Bertolucci, Artoni, Carlo<br />

Mattioli… e se lei legge un articolo, una<br />

presentazione di Ubaldo Bertoli scritta per<br />

una mostra, trova la spiegazione: Carlo<br />

Mattioli disse a questa gente: se volete,<br />

vi porto a casa sua, vista l’amicizia fra<br />

Mattioli e mio padre, cosa molto strana, eh.<br />

La mattina del funerale di mio padre, prima<br />

che arrivassimo io e mia madre, c’era Carlo<br />

Mattioli alle 7.30 dentro la camera mortuaria,<br />

per dire il rispetto che aveva Mattioli per<br />

mio padre. Ed è stato lui che dicendo questo<br />

ha organizzato questo primo giro da Parma<br />

a Casalmaggiore: sono venuti giù, hanno<br />

incominciato… dopo non so se Mattioli sia<br />

stato contento di questa cosa! Quando c’è<br />

stata l’inaugurazione della mostra nell’’89<br />

della donazione allo CSAC, dopo qualche<br />

giorno sono passato di là e ho incontrato il<br />

prof. Quintavalle, il quale prendendomi da<br />

parte, mi ha detto: “Florenzio, posso dirle una<br />

cosa che dovrebbe farle molto piacere? La<br />

mostra è stata visitata l’altro giorno dal pittore<br />

Carlo Mattioli, non era mai successo che una<br />

volta fatto il giro delle Scuderie venisse da<br />

me e mi dicesse “Complimenti, gran bella<br />

mostra”; questo è il più bel complimento che<br />

poteva ricevere Goliardo, perché detto da<br />

Carlo Mattioli , che già è venuto pochissime<br />

volte”. Mi aveva fatto molto piacere,<br />

insomma, detta poi dal prof. Quintavalle, non<br />

dal primo che passava per strada!<br />

V. R.: Vi sono stati altri artisti che hanno<br />

frequentato la casa? Anche la casa di Parma,<br />

naturalmente…<br />

F. P.: L’artista che l’ha frequentato di più è<br />

stato Bruno Zoni, un suo grande amico. C’è<br />

stato un periodo che era lì da noi una sera sì<br />

e una sera no e facevano delle risate pazze<br />

perché Zoni, a differenza di Goliardo, non<br />

poteva vedersi con Mattioli e lui raccontava<br />

delle cose (vai poi a sapere se erano vere<br />

o meno) talmente assurde che diventavano<br />

quasi delle barzellette. Mio padre, che non ho<br />

mai sentito ridere in quel modo, si divertiva


C O N F E R E N Z E<br />

un mondo: io delle volte dormivo già, perché<br />

erano magari le due di notte, e gli dicevo<br />

“Ma, Goliardo, che cos’hai da ridere così?”<br />

“Ma vieni a sentire cosa ha detto…!” E lui<br />

si divertiva. Lui era una persona così. Io non<br />

ho mai sentito mio padre parlare male di un<br />

pittore, né come persona né come pittore. Poi<br />

lui le sue idee le aveva sicuramente, però non<br />

ha mai avuto delle discriminazioni per uno o<br />

per l’altro, diceva che ognuno aveva i propri<br />

occhi e ciascuno doveva guardare con i propri<br />

occhi la pittura degli altri pittori.<br />

V. R.: Vorrei affrontare l’argomento del<br />

trauma della prigionia in Germania, nel<br />

campo di concentramento. Sappiamo quanto<br />

questo abbia inciso anche sulla sua pittura<br />

e sia stato elaborato in vari modi; ma nella<br />

vita quotidiana, nel rapporto anche con la<br />

famiglia, nei racconti che lui può aver fatto, è<br />

trapelato o filtrato o è stato comunque tenuto<br />

dentro? Magari anche a distanza di tempo...<br />

F. P.: Io sono nato nel 1947. Io non l’ho mai<br />

sentito narrare qualcosa sulla prigionia tranne<br />

il mangiare kartofen (odiava le patate), il<br />

fatto che avesse dovuto cedere un bellissimo<br />

Omega, con cronometro d’oro, con fasi lunari<br />

e il resto, visto che, negli ultimi momenti, era<br />

ridotto allo stremo, perché era 37 chili (alla<br />

fine è arrivato a 55 e mi diceva “Florenzio,<br />

ho messo su la pancetta da commenda!”<br />

“Oh, ma quanto sei?” “55” “Ah, cavoli! - gli<br />

dicevo - occhio che sei ingrassato proprio!”).<br />

A quel punto aveva preferito donare a una<br />

delle guardie questo orologio in cambio<br />

di qualche pasto come tutti gli altri. E poi<br />

hanno continuato a incontrarsi, quelli che<br />

sono riusciti a venire a casa: ogni due anni<br />

facevano una cena (una l’avevano fatta anche<br />

al City), si ritrovavano i superstiti di questo<br />

campo. Però le posso dire: quando c’erano,<br />

negli anni Sessanta, i film sulla guerra, lui<br />

appena vedeva alla televisione uno di quei<br />

film (io da piccolo non lo capivo, l’ho capito<br />

dopo), non batteva parola e si ritirava in<br />

un’altra stanza. E non sopportava le reti, tanto<br />

è vero che su a Tizzano c’erano recintati i<br />

due lati in confine con quello che ha la casa<br />

di sopra, ma non verso la strada, dove invece<br />

adesso ho recintato per il mio cane. Ma lui<br />

di recinti meno ne vedeva e meglio era. Ma<br />

non è stato senz’altro l’unico trauma della<br />

sua vita, eh, professore, perché il trauma di<br />

venir via da Casalmaggiore come è venuto<br />

via, - io ne so qualcosa anche se avevo solo<br />

14 anni - è stato un trauma non piccolo. È<br />

andata bene che l’anno dopo ha trovato quel<br />

posto lì in montagna, ha fatto questa casetta<br />

e via, dove è andata quella grande “lanca”<br />

che è in mostra che non è mai stata esposta<br />

perché l’ha dipinta nel ’61 e nel ‘62 l’ha<br />

messa in quella sala dove l’ha vista lei, da<br />

dove non si è mai spostata, e di questo sono<br />

sicuro, perché adesso poi ci abito stabilmente.<br />

Quindi, secondo me, quella è stata un’altra<br />

cosa che lui ha patito molto: il distacco dalla<br />

sua casa, dal suo ambiente, dal suo paesaggio,<br />

non detto da me, per carità che sono l’ultimo<br />

a dover parlare, ma detto da Fossati, da<br />

Mendogni e da altri. Ecco, Mendogni è stata<br />

un’altra persona che mio padre ha apprezzato<br />

molto: non un critico puro, ma un letterato.<br />

Lui aveva trasportato i suoi colori della Bassa<br />

sull’Appennino: è andata bene che è riuscito<br />

a ritrovarsi… E qualche tempo dopo:”Non<br />

mi ha neanche detto grazie il comune<br />

di Casalmaggiore”. Perché poi bisogna<br />

interpretare la persona sulla sua sensibilità:<br />

ci sono persone per cui fatti del genere sono<br />

una cosa normalissima, ci sono persone<br />

come Goliardo con una sensibilità tale che<br />

penso si veda dalle opere che ha fatto, perché<br />

altrimenti non sarebbe passato da quello che<br />

ha passato…<br />

Tornando alla mostra da Cairola, il fatto<br />

di quella tempera per lui è stato un dolore<br />

enorme, una grossa delusione; dopo quella<br />

mostra, sì, ne ha fatte altre. Però a Parma,<br />

alla Ruota, è successo ancora di peggio.<br />

Vede, bisognerebbe saper tante cose per<br />

comprendere perché Goliardo non ha avuto<br />

questo famoso mercato: Brando Bocchi, pace<br />

all’anima sua, dopo avere fatto le prime due<br />

mostre andate meglio di tutti gli altri pittori<br />

del ‘900, perché alla Galleria La Ruota nel<br />

‘60, sono passati tutti i più grandi pittori del<br />

‘900 (Goliardo alla prima mostra, la sera<br />

dell’inaugurazione - me lo ricordo come fosse<br />

adesso - aveva venduto metà delle opere,<br />

grazie a Bocchi – ed è stato lì che Parma ha<br />

conosciuto mio padre, preparata naturalmente<br />

dai vari Tassi, Bertolucci eccetera), acquistò<br />

un certo numero di oli di Goliardo. A parte<br />

che mio padre non ha quasi più visto una<br />

lira di questi quaranta oli, ma a un certo<br />

momento questo Bocchi ha litigato con la<br />

sua compagna e la galleria è andata a zero: le<br />

opere (e me ne sono trovate anch’io facendo<br />

un lavoro tutto diverso) sono state disperse a<br />

dei prezzi ridicoli, perché lui aveva l’acqua<br />

alla gola… Quindi ci sono state tante cose<br />

che hanno ferito Goliardo, non solo la guerra.<br />

La guerra poi l’aveva passata, perché basta<br />

vedere i suoi dipinti della ripresa: uno dopo<br />

10 anni non avrebbe avuto la forza, 50 anni<br />

fa, di fare queste cose. E poi ci sono tante<br />

altre questioni, ma lasciamo stare, perché<br />

entriamo in temi troppo particolari…<br />

V. R.: Aggiungo una piccola cosa a<br />

commento di quello che lei ha appena detto.<br />

La storia non si fa con i se e con i ma, eppure<br />

la storia di Goliardo Padova, pensando a<br />

quello che gli è capitato, poteva anche essere<br />

diversa: senza la persecuzione degli ebrei<br />

(sono documentate le angherie subite, anche<br />

a Brera, a causa di un cognome scomodo) e<br />

senza l’internamento in Germania, avrebbe<br />

guadagnato anni cruciali. Non dimentichiamo<br />

che nel secondo dopoguerra, nel periodo<br />

in cui smette di dipingere o quantomeno di<br />

esporre il proprio lavoro, si delinea un profilo<br />

dell’arte italiana intorno a un certo numero<br />

di autori che vengono lanciati dalla critica,<br />

promossi da grandi mostre, e sono poi gli<br />

artisti che si vedono anche alle Biennali<br />

di Venezia. Si tratta di mostre che fanno il<br />

punto sull’arte italiana in quegli anni cruciali,<br />

gli anni ‘50 dell’arte italiana, e non avervi<br />

potuto partecipare vuol dire effettivamente<br />

aver perso un treno formidabile, che avrebbe<br />

potuto facilmente trainarlo dentro la storia<br />

con la S maiuscola.<br />

F. P.: Non aveva voluto legarsi a dei partiti.<br />

V. R.: Altra cosa: aver vissuto anche eventi<br />

sociali e politici non dico con distacco, ma<br />

con una partecipazione personale non legata<br />

a delle bandiere, anche questo gli ha precluso<br />

le scorciatoie, se non le vie… Effettivamente<br />

la sua storia avrebbe potuto svolgersi in altri<br />

modi, con altre forze. Avrebbe potuto anche<br />

non essere il pittore del Po, secondo me, al<br />

di là di questo legame iniziale con la terra e<br />

che in genere sentono tutti quelli che hanno<br />

trascorso la propria infanzia sulle rive del<br />

fiume. Bene o male questa cosa entra dentro<br />

ed è difficile sbarazzarsene. Però negli anni<br />

in cui lui ha vissuto a Milano ed è diventato<br />

anche un promotore di mostre altrui, perché<br />

parte attiva nell’organizzazione delle più<br />

importanti rassegne degli anni ‘30, non era<br />

particolarmente legato al paesaggio del fiume.<br />

Il fiume entra dopo, in un secondo momento<br />

della sua pittura, e anche comunque avendo<br />

alla fine dipinto il Po, ha dipinto qualcosa di<br />

più universale e che non possiamo confinare<br />

nel localismo, nel folklore. Dipingendo il<br />

Po, o la collina intorno a Tizzano, Goliardo<br />

Padova ha dipinto temi universali. Il suo<br />

modo di vedere trasfigura la natura.<br />

F. P.: Penso abbia dipinto quello che amava,<br />

e penso che questo sia un grande valore, se<br />

un pittore riesce a dipingere quello che ama<br />

dipingere, non quello che viene imposto per<br />

qualche motivo.<br />

Trascrizione di Letizia Frigerio<br />

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18<br />

S E R V I Z I E D U C A T I V I<br />

I servizi educativi sono oggi una delle aree<br />

su cui si concentrano molti degli sforzi<br />

progettuali dei musei, nella convinzione<br />

che non si tratti di un’attività residuale<br />

o meno nobile rispetto ad altre, quali<br />

la conservazione, la ricerca o l’attività<br />

espositiva temporanea, ma di uno degli<br />

ambiti con cui maggiormente si realizza la<br />

democratizzazione della cultura e attraverso<br />

cui il museo svolge realmente un ruolo di<br />

pubblico servizio. Tanto che da alcuni anni la<br />

normativa di settore ha imposto la figura di un<br />

apposito Responsabile dei servizi educativi<br />

fra gli standard minimi da garantire, al pari<br />

delle figure del Direttore o del Conservatore.<br />

I servizi educativi comprendono<br />

tradizionalmente l’attività didattica rivolta<br />

alle scolaresche ma anche, in un’accezione<br />

più estesa e strettamente connessa con<br />

le altre funzioni del museo (dalle scelte<br />

d’allestimento ai supporti informativi),<br />

tutta una serie di interventi volti a facilitare<br />

l’approccio al museo da parte di diverse e più<br />

ampie categorie di pubblico.<br />

Alcune delle prime iniziative proposte<br />

dal <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> a pochi giorni dalla sua<br />

inaugurazione sono state rivolte al pubblico<br />

delle famiglie: si è trattato di visite “animate”<br />

organizzate a maggio in occasione della<br />

IX Settimana della Cultura e a settembre<br />

in occasione della Notte dei Musei, e di tre<br />

tappe di una caccia al tesoro svoltesi fra aprile<br />

e maggio nell’ambito dell’iniziativa “Chi<br />

trova un museo trova un tesoro” realizzata in<br />

collaborazione con la rete “Leadermuseum”<br />

costituitasi fra 12 musei del territorio del<br />

GAL Oglio Po terre d’acqua. Il Comune di<br />

Casalmaggiore ha svolto il ruolo di Comune<br />

capofila del progetto che ogni <strong>Museo</strong> aderente<br />

ha poi realizzato in autonomia, cercando di<br />

valorizzare al massimo la specificità delle<br />

proprie collezioni; obiettivo comune però<br />

è stato quello di promuovere il territorio<br />

attraverso le risorse museali, spesso poco note<br />

anche alla popolazione residente, e di farlo<br />

attraverso attività di carattere ludico rivolte a<br />

squadre composte da elementi di età diversa:<br />

bambini, adolescenti, adulti. L’esperienza è<br />

stata faticosa, sia per gli organizzatori che<br />

per le squadre partecipanti che – in tre finesettimana<br />

– hanno visitato tutti i 12 musei<br />

dell’area interessata, ma è stata sicuramente<br />

gratificante e significativa per gli sforzi di<br />

rinnovamento compiuti dai musei nel modo<br />

di proporsi. Le gare, le singole prove, ma<br />

soprattutto le modalità e lo spirito di questa<br />

iniziativa potranno ora essere riproposte e<br />

mandate a regime nell’ambito più ampio di<br />

tutte le proposte per la scuola o per altri tipi<br />

di pubblico. La sostenibilità del progetto nel<br />

tempo, al di là dell’occasione contingente, è<br />

probabilmente il risultato più soddisfacente, e<br />

si è dimostrato che al museo, anche nei nostri<br />

piccoli musei, si possono fare esperienze<br />

piacevoli. E soprattutto si possono fare<br />

esperienze, non subire passivamente dei<br />

contenuti. L’interazione, la fruizione a tutto<br />

tondo delle risorse museali, la dimensione<br />

comunicativa e narrativa del museo, la<br />

dimensione ludica che non necessariamente<br />

contrasta con quella culturale: su questi<br />

aspetti varrà la pena di confrontarsi e lavorare<br />

ancora.<br />

Sul fronte scolastico va rilevato che nei primi<br />

mesi dopo l’apertura, in corrispondenza<br />

con la fine dell’anno scolastico 2006/2007<br />

e l’inizio del successivo, il <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong><br />

è stato visitato dalle scuole cittadine, in<br />

particolare da classi dell’Istituto d’Istruzione<br />

“G.Romani” e dell’Istituto Comprensivo<br />

“G.<strong>Diotti</strong>”: si è trattato per lo più di visite<br />

volte a prender contatto con la nuova realtà<br />

museale della città, guidate dagli operatori<br />

didattici del <strong>Museo</strong> o dagli insegnanti stessi.<br />

Nell’ultima fase dell’anno ha cominciato<br />

invece ad affermarsi una diversa modalità<br />

di fruizione da parte delle scuole, legata a<br />

percorsi tematici relativi a particolari opere<br />

o temi delle raccolte e integrati da attività<br />

laboratoriali di vario genere. Ciò alla luce<br />

della diffusione di una precisa proposta<br />

per le scolaresche messa a punto nel corso<br />

dell’estate in collaborazione con l’operatrice<br />

didattica Luisa Zanacchi e diffusa attraverso<br />

la stampa e il sito internet del <strong>Museo</strong> nel<br />

mese di ottobre. Le prime classi che, sul finire<br />

del 2007, hanno aderito alle proposte sono<br />

state classi di Scuola Primaria provenienti da<br />

Gussola, Rivarolo Mantovano e Rivarolo del<br />

Re.<br />

I percorsi sono variamente rivolti agli alunni<br />

dalla Scuola dell’Infanzia alle Superiori, a<br />

seconda del tema trattato. E’ possibile che in<br />

alcuni casi si rivolgano a fasce d’età molto<br />

ampie poiché gli argomenti, le modalità<br />

espositive o le attività pratiche si prestano<br />

facilmente ad essere variati a seconda<br />

dell’ordine di scuola frequentato. E’ inoltre<br />

previsto che, durante tutto l’anno scolastico,<br />

i diversi percorsi siano integrati dalla<br />

possibilità di visitare le mostre temporanee e<br />

di svolgere attività in linea con i contenuti e<br />

le caratteristiche delle mostre stesse. Per tutti<br />

i percorsi è stata prevista la durata di un’ora<br />

e mezza circa di attività effettiva; il costo per<br />

alunno, comprensivo del biglietto d’ingresso,<br />

è di € 3,50.<br />

COS’E’ UN MUSEO?<br />

Visita di approccio al <strong>Museo</strong> per conoscerne<br />

la tipologia (casa-museo e pinacoteca del<br />

patrimonio locale), le funzioni, i criteri e le<br />

finalità espositive, le modalità di fruizione<br />

e conservazione, il ruolo di chi ci lavora,<br />

la provenienza e l’origine delle collezioni,<br />

il significato dei termini tecnici utilizzati.<br />

Il percorso svolto può variare e si presta a<br />

diversi livelli di approfondimento. (da 4 a 18<br />

anni)<br />

LA NATURA NEGLI OCCHI DEI PITTORI<br />

L’incontro si tiene nella sezione moderna<br />

del <strong>Museo</strong> ed è volto a far conoscere


S E R V I Z I E D U C A T I V I<br />

ai più piccoli come alcuni artisti hanno<br />

interpretato lo spazio che ci circonda,<br />

anche attraverso la presentazione di alcuni<br />

oggetti utilizzati dall’artista per realizzare<br />

l’opera. La conclusione del percorso<br />

prevede differenti soluzioni, in quanto<br />

l’insegnante potrà decidere di sviluppare in<br />

aula didattica un tema a scelta fra “albero”,<br />

“cielo” e “acqua”. In ogni caso, dopo un<br />

recupero delle osservazioni raccolte al<br />

<strong>Museo</strong> e delle sensazioni vissute, i bambini<br />

saranno stimolati con esperienze tattili o<br />

con la visione di insolite immagini e, divisi<br />

in gruppi, potranno ricreare vari aspetti<br />

dell’elemento naturale preso in esame. (da 4<br />

a 8 anni)<br />

LINEE PER RACCONTARE<br />

In aula didattica, prima di visitare il <strong>Museo</strong>,<br />

vengono proposte alcune semplici attività<br />

per chiarire in quanti modi e con quante<br />

possibilità le linee possono essere utilizzate<br />

per creare simboli, forme semplici e<br />

complesse: ci interessa capire come utilizzare<br />

questo segno per arricchire il nostro modo<br />

di comunicare. I ragazzi potranno quindi<br />

osservare le opere esposte con una nuova<br />

consapevolezza e l’operatore li aiuterà a<br />

riconoscere gli artisti nel cui lavoro la linea<br />

ha una funzione significativa e importante.<br />

(da 6 a 14 anni)<br />

I CIELI DI TINO<br />

Durante la visita alla sezione moderna del<br />

<strong>Museo</strong>, l’attenzione dei ragazzi sarà rivolta<br />

alla conoscenza della pittura di paesaggio<br />

e alle differenti modalità con cui gli artisti<br />

locali hanno saputo interpretare e raccontare<br />

gli spazi conosciuti. Oggetto di una lettura<br />

più approfondita saranno le tele realizzate<br />

da Tino Aroldi per capirne le scelte formali,<br />

il linguaggio e i contenuti. Le osservazioni<br />

sull’utilizzo dello spazio, la divisione dei<br />

piani, la distribuzione e il disegno delle<br />

forme, le scelte cromatiche saranno riprese<br />

e “sperimentate” nell’attività in aula. (da 8 a<br />

11 anni)<br />

DI RITRATTO IN RITRATTO<br />

Il percorso si svolge nella sezione antica<br />

del <strong>Museo</strong> (XVIII-XIX sec.) e offre una<br />

chiave di lettura utile alla comprensione del<br />

genere pittorico in questione (caratteristiche,<br />

funzione, modalità esecutive…).<br />

L’osservazione e le informazioni ricevute<br />

durante la visita serviranno poi ai ragazzi per<br />

un’attività in laboratorio in cui vestiranno i<br />

panni degli storici e ricostruiranno, attraverso<br />

oggetti e documenti, una sorta di carta<br />

d’identità di alcuni degli antichi personaggi<br />

incontrati. (da 8 a 14 anni)<br />

TRASPARENTI COLORI<br />

Attraverso un insolito accostamento fra<br />

un’opera antica ed un’opera contemporanea<br />

e attraverso alcune semplici attività<br />

laboratoriali i ragazzi apprenderanno l’antica<br />

tecnica della velatura, o stesura levigata<br />

del colore con sovrapposizione di materia<br />

pittorica applicata in diversi momenti. (da 8<br />

a 14 anni)<br />

TELE, PIGMENTI, VERNICI<br />

La visita al <strong>Museo</strong> e la successiva attività<br />

pratica sono volte a presentare i materiali e<br />

gli attrezzi tradizionali della tecnica pittorica.<br />

I ragazzi potranno manipolare alcuni oggetti<br />

(tele, tavole e pennelli vari); l’operatore<br />

mostrerà l’utilizzo di strumenti particolari<br />

(il pentolino per scaldare resine e colle, il<br />

mortaio per pestare i pigmenti, ecc.) e si<br />

sperimenterà l’uso del colore attraverso<br />

precise applicazioni cromatiche. (da 6 a 14<br />

anni)<br />

LABORATORIO DI-SEGNO<br />

I musei conservano in genere numerosi<br />

disegni: per molti artisti (come <strong>Diotti</strong>)<br />

disegnare è un’operazione molto importante<br />

perché con essa si crea e si progetta l’opera<br />

d’arte in ogni suo aspetto. Altri prediligono il<br />

disegno come tecnica espressiva che permette<br />

di dare libertà anche alle forme più fantasiose<br />

e surreali. Attraverso alcune sperimentazioni<br />

pratiche i ragazzi apprenderanno le<br />

caratteristiche e l’utilizzo di matite,<br />

carboncini, sanguigne, pastelli vari e penne<br />

scoprendo le possibilità espressive offerte<br />

da questi materiali e dai diversi supporti.<br />

La successiva visita al <strong>Museo</strong> sarà dedicata<br />

all’osservazione dei disegni esposti di epoche<br />

e autori diversi. (da 8 a 14 anni)<br />

LETTERE DAL PASSATO<br />

Il museo si suddivide in una sezione storica<br />

ottocentesca e in una parte dedicata agli artisti<br />

del XX secolo che si conclude con opere<br />

d’arte contemporanea. Pur nella differenza<br />

dei temi e dei contenuti di riferimento, la<br />

modalità di visita proposta dall’operatore<br />

privilegerà la possibilità di affiancare<br />

all’osservazione delle opere la lettura di brevi<br />

brani legati alle opere o agli spazi del <strong>Museo</strong>.<br />

Questo potrà risultare agli occhi dei ragazzi<br />

più vivo e presente attraverso lettere, stralci<br />

di documenti, testimonianze degli artisti, testi<br />

critici. (da 8 a 18 anni)<br />

IMMAGINI D’ARTISTA<br />

L’artista ha riprodotto spesso la propria<br />

immagine dando ad essa precise funzioni,<br />

utilizzando iconografie e soluzioni sempre<br />

19


20<br />

S E R V I Z I E D U C A T I V I<br />

differenti. Ritraendosi egli narra del rapporto<br />

con il mondo che lo circonda, rivela la propria<br />

anima oppure mostra il ruolo raggiunto<br />

nella società del suo tempo. L’analisi degli<br />

autoritratti esposti al <strong>Museo</strong> sarà integrata in<br />

aula didattica da una presentazione di come<br />

altri artisti di tutti i tempi hanno affrontato<br />

questo genere pittorico e da un’attività pratica<br />

di fotoritocco digitale. (da 11 a 18 anni)<br />

PAESAGGIO<br />

In aula didattica viene inizialmente proposto<br />

un incontro volto a fornire ai ragazzi un<br />

insieme di dati utili per una visione più<br />

approfondita di questo genere pittorico e per<br />

una successiva lettura delle opere esposte<br />

nella sezione moderna durante la quale essere<br />

partecipi e protagonisti. “Leggendo” con<br />

attenzione la selezione di opere proposte,<br />

i ragazzi capiranno che con il termine<br />

paesaggio non si intende solo l’immagine da<br />

cartolina o lo sfondo che dà ambientazione<br />

alle azioni dei personaggi. Il paesaggio è<br />

anche riflesso dell’anima, autobiografia di<br />

momenti vissuti, presa di coscienza della<br />

realtà circostante, luogo della fantasia… (da<br />

11 a 18 anni)<br />

DIOTTI GIUSEPPE STUDENTE D’ARTE<br />

La visita alla casa-atelier e il successivo<br />

incontro in aula didattica si soffermeranno<br />

sulla cultura e l’arte a Casalmaggiore alla<br />

fine del XVIII secolo, sulla scuola del<br />

Chiozzi e sulla formazione del <strong>Diotti</strong> fra<br />

Casalmaggiore, Parma e Roma. Agli studenti<br />

d’oggi sarà offerta una visione del momento<br />

di formazione artistica e intellettuale dello<br />

studente d’arte coinvolgendoli anche nella<br />

conoscenza di aspetti di vita quotidiana:<br />

il volto delle città e dei luoghi frequentati,<br />

il mondo delle Accademie, le difficoltà<br />

nell’apprendere linguaggi figurativi nuovi,<br />

nel confrontarsi con le opere più “grandi” o<br />

nel rispettare in tempo le consegne. (da 11 a<br />

18 anni)<br />

NEOCLASSICISMO<br />

Il percorso comprende inizialmente una<br />

visita alla casa-atelier del <strong>Diotti</strong>, alternando<br />

momenti di riflessione sulla realtà storica<br />

e politica del tempo (fine XVIII-XIX<br />

sec.) a momenti di analisi delle opere.<br />

Successivamente, in aula didattica, alcune<br />

delle opere conosciute all’interno del <strong>Museo</strong><br />

vengono riprese e utilizzate come traccia<br />

e chiave per capire contenuti e linguaggi<br />

della poetica neoclassica e scoprire nuove<br />

immagini che esse richiamano. (da 14 a 18<br />

anni)<br />

Attraverso le proprie collezioni permanenti,<br />

le mostre, le pubblicazioni, gli incontri,<br />

i corsi e in particolare attraverso queste<br />

proposte rivolte alle scuole, il <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong><br />

ambisce a diventare un punto di riferimento<br />

per la conoscenza dell’arte del territorio,<br />

la formazione di una sensibilità per il<br />

patrimonio, lo sviluppo del gusto e delle<br />

competenze estetiche e creative dei più<br />

giovani.<br />

Tutti i percorsi sono stati studiati tenendo<br />

conto di alcuni principi fondamentali a cui<br />

riteniamo debbano ispirarsi i moderni servizi<br />

educativi dei musei.<br />

1. La visita al museo non deve<br />

essere casuale e generica, ma<br />

deve rappresentare un’esperienza<br />

autenticamente formativa che<br />

integra utilmente il programma<br />

educativo dell’insegnante. Ogni<br />

percorso risponde pertanto a<br />

precisi bisogni e si propone precisi<br />

obiettivi.<br />

2. La visita al museo deve<br />

comunque configurarsi come<br />

un’esperienza “fuori classe” che<br />

mantiene il carattere dell’evento<br />

e la suggestione dell’incontro<br />

ravvicinato con l’opera d’arte<br />

originale. Ogni percorso punta a<br />

guidare i ragazzi ad una fruizione<br />

attenta e consapevole dell’opera nei<br />

suoi molteplici significati, senza<br />

dimenticare il ruolo delle scelte<br />

museologiche compiute.<br />

3. La visita al museo deve essere per i<br />

ragazzi un’esperienza coinvolgente,<br />

non deve “scorrere” lasciandoli<br />

indifferenti. Ecco quindi la<br />

necessità di confrontarsi con le loro<br />

conoscenze pregresse e con le loro<br />

esperienze dirette, di stimolare le<br />

loro osservazioni e di coinvolgerli<br />

in attività pratiche che consentano<br />

di apprendere facendo.<br />

4. La visita al museo non deve<br />

essere giustapposta ad attività<br />

di laboratorio che si configurino<br />

come momenti di sfogo o relax<br />

compensativo per l’attenzione<br />

posta alle spiegazioni della guida:<br />

l’attività in aula didattica integra<br />

il percorso di visita prescelto, può<br />

essere propedeutica alla visita o può<br />

costituire un momento di riflessione<br />

successivo, può essere rappresentata<br />

da attività manuali e pratiche, ma<br />

anche da dimostrazioni proposte<br />

dall’operatore o dalla fruizione di<br />

risorse multimediali utili per una<br />

miglior comprensione di quanto<br />

sperimentato direttamente.<br />

5. La visita al museo non deve<br />

pretendere di essere esaustiva<br />

perché finirebbe col proporre ai<br />

ragazzi contenuti così numerosi e<br />

così diversi che ben difficilmente<br />

risulterebbero incisivi. Ecco perché<br />

tutti i percorsi proposti prevedono<br />

una visita al museo e alle collezioni<br />

limitata ad una precisa tematica,<br />

ad una sezione o ad alcune opere<br />

di particolari autori. Ogni percorso<br />

proposto è autonomo, ma potrebbe<br />

essere interessante tornare al museo<br />

per sperimentarne più d’uno,<br />

magari attraverso un programma<br />

pluriennale di fruizione del museo<br />

concordato con le singole classi.<br />

6. La visita al museo da parte delle<br />

scolaresche è una responsabilità<br />

molto grande per l’operatore: un<br />

approccio corretto oppure sbagliato<br />

da parte dei ragazzi con l’arte e con<br />

il patrimonio può infatti influire sui<br />

comportamenti degli adulti futuri.<br />

Non sfugga quindi il significato<br />

anche civico di tante nostre scelte.<br />

a cura di Roberta Ronda<br />

con la collaborazione di Luisa Zanacchi


P A T R I M O N I O<br />

Acquisizioni, doni e<br />

depositi 2007<br />

Premessa fondamentale alla creazione del<br />

<strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> è stata la formazione di una<br />

collezione di opere d’arte, pubbliche e<br />

private, organizzate secondo un percorso<br />

logico basato sulla chiara identificazione di<br />

una genealogia artistica non solo locale – ma<br />

vale la pena di sottolineare la territorialità<br />

di questa istituzione, come peculiarità<br />

qualificante, piuttosto che come limite ed<br />

indizio di provincialismo – quale criterio<br />

essenziale finalizzato a quel montaggio di<br />

cose e immagini, più che di parole, attraverso<br />

cui un museo può raccontare una storia.<br />

Individuata la genealogia, con il suo snodo<br />

fondamentale nella figura di Giuseppe <strong>Diotti</strong><br />

e nella sua scuola, approfondite le vicende<br />

artistiche dei protagonisti, sperimentati<br />

attraverso esposizioni alcuni segmenti di<br />

quel possibile disegno storico-artistico, si è<br />

iniziato a comporre il mosaico, chiamando<br />

a raccolta opere per lo più isolate – fa<br />

eccezione la raccolta di disegni della Scuola<br />

“Bottoli” – e disperse, misconosciute a volte,<br />

nascoste o sottoutilizzate, riconferendo loro<br />

antichi e nuovi significati in virtù della nuova<br />

collocazione. Genealogia e montaggio sono<br />

le linee guida non solo per la costituzione<br />

del patrimonio iniziale - per il quale si è<br />

dovuto attingere anche a collezioni di altri<br />

enti e di privati, sollecitando depositi o doni,<br />

e, limitatamente alle risorse pubbliche, si<br />

è provveduto anche ad alcuni significativi<br />

acquisti - ma pure per ogni incremento<br />

successivo. La crescita futura del patrimonio<br />

artistico del museo non potrà che avvenire<br />

secondo questo tracciato, perchè ogni<br />

scelta arbitraria, non importa se legata a<br />

doni o acquisti, rischierebbe di rompere<br />

la genealogia e di far saltare il montaggio,<br />

ovvero, in definitiva, il filo logico che tiene<br />

insieme la collezione.<br />

Nella fase in cui il progetto museale ha<br />

iniziato a tradursi nel concreto recupero<br />

del suo contenitore, il Palazzo <strong>Diotti</strong>, il<br />

patrimonio artistico è quintuplicato, ma<br />

è stata l’approssimarsi dell’apertura che<br />

ha attivato sinergie prima impensabili,<br />

richiamando l’attenzione di generosi<br />

donatori e prestatori, circostanze diverse<br />

che fortunatamente hanno portato al <strong>Museo</strong><br />

proprio quelle tessere mancanti per comporre<br />

il mosaico.<br />

Il primo importante accordo è stato firmato<br />

nel 2006 con la Fondazione Busi onlus<br />

che, grazie alla disponibilità del dott.<br />

Taracchini, alla sensibilità del suo Consiglio<br />

d’amministrazione e in particolare del<br />

Presidente dott. Paolo Bini, ha concesso in<br />

comodato la sua quadreria di benefattori,<br />

che comprende anche opere di pregio cui<br />

si è attinto per la “costruzione” di molte<br />

sale del <strong>Museo</strong>. Così pure l’Accademia di<br />

Belle Arti di Brera ha concesso in deposito<br />

due opere fondamentali della formazione<br />

artistica di Giuseppe <strong>Diotti</strong>, il Mosè e<br />

Giuseppe <strong>Diotti</strong>, LʼOlimpo, 1817, disegno a grafite, matita grassa e gessetto bianco, particolare. Dono di<br />

Giuseppe e Lucia Mainoldi.<br />

l’Adorazione dei pastori, ovvero i più<br />

importanti saggi del suo pensionato romano<br />

(colgo qui l’occasione per ringraziare il<br />

Direttore prof. Fernando De Filippi, le proff.<br />

sse Francesca Valli, conservatore delle<br />

Raccolte Storiche dell’Accademia, e Chiara<br />

Nenci, responsabile della Quadreria). Anche<br />

l’Accademia di Bergamo, attraverso il suo<br />

Direttore prof. Giovanni Valagussa, e con<br />

l’assenso della Soprintendenza competente,<br />

si è dichiarata disponibile a concedere per<br />

un deposito a lungo termine quattro grandi<br />

cartoni diotteschi, operazione che si spera<br />

di poter realizzare nei prossimi anni. Sul<br />

fronte diottesco il Comune di Casalmaggiore<br />

aveva comunque per tempo messo a segno<br />

l’acquisizione di due preziosi disegni<br />

autografi del maestro, utili a illustrare il suo<br />

metodo di lavoro, nonché di alcune incisioni<br />

neoclassiche grazie all’interessamento<br />

dell’allora Assessore alla Cultura Ferruccio<br />

Martelli. Autografo diottesco è poi il dipinto<br />

con le Quattro teste dal Giuramento di<br />

Pontida, pervenuto in dono nel 1999 dai<br />

signori Lina e Mario Ravera. Dalla parrocchia<br />

di Santo Stefano e precisamente dalla<br />

Biblioteca Abbaziale è pervenuto il Ritratto<br />

del Cardinal Fontana, dipinto di Paolo<br />

Araldi, concesso in deposito da don Alberto<br />

Franzini.<br />

Per la parte “storica” del <strong>Museo</strong>, su<br />

segnalazione del dott. Ulisse Bocchi, si sono<br />

potute realizzare nel 2006 altre importanti<br />

acquisizioni: il Ritratto di Camillo Mantovani<br />

(Scuola di Francesco Chiozzi, XVIII sec.),<br />

donato dai coniugi Primo e Lia Ferrari,<br />

prezioso tassello dell’età dell’Arcadia a<br />

Casalmaggiore; lo studio per l’Allegoria della<br />

Provincia di Cremona, disegno di Tommaso<br />

Aroldi del 1907, donato dalla signora<br />

Giordana Guareschi Bocchi; due grandi tele,<br />

della serie degli Apostoli, ovvero San Pietro<br />

e San Giacomo Maggiore, fra le migliori<br />

opere di Marcantonio Ghislina (XVIII sec.),<br />

per le quali si è attivata una sottoscrizione<br />

pubblica, promossa in prima persona dal<br />

Sindaco Luciano Toscani, grazie anche al<br />

sostegno della stampa locale e in particolare<br />

21


22<br />

P A T R I M O N I O<br />

del giornale “Cronaca”. Accolto sempre nel<br />

percorso “storico” è un altro significativo<br />

dipinto di fine Ottocento, I filòs, opera di<br />

un grande pittore ancora quasi sconosciuto,<br />

ovvero Alessandro Mina, concessa in<br />

deposito dal proprietario che desidera restare<br />

anonimo.<br />

Fra le acquisizioni è comunque il Novecento<br />

a farla da padrone, e il contributo di<br />

privati, per lo più eredi di artisti, è stato<br />

fondamentale: oltre alle opere già acquisite<br />

nel 1999 (citiamo solo le due tele di Goliardo<br />

Padova donate dalla figlia Fiammetta e il<br />

dipinto di Gianfranco Manara, donato dalla<br />

moglie Maria Giovanna Brovetto Rondo),<br />

si sono aggiunte trentacinque opere di Tino<br />

Aroldi che con grande generosità la sorella<br />

Carla ha voluto destinare al <strong>Museo</strong> e che<br />

oramai costituiscono uno dei nuclei più<br />

qualificanti della parte contemporanea. A<br />

questa donazione si sono subito affiancate<br />

quelle altrettanto significative di opere di<br />

Gianfranco Manara (12 dipinti e 6 disegni),<br />

sempre grazie alla generosità della moglie,<br />

e di Goliardo Padova, donate dal figlio<br />

Florenzio, queste ultime rese note nel<br />

catalogo della mostra antologica tenuta<br />

al museo nel 2007. Un dipinto di Mario<br />

Beltrami, l’Autoritratto del cappello di<br />

paglia (1975), ormai opera-simbolo di quella<br />

sezione che coniuga i temi dell’autoritratto<br />

e del paesaggio, è stato donato dalla nipote<br />

Marisa Coppini, mentre 4 dipinti di Franco<br />

Rossari, bibliotecario e pittore a cui è stato<br />

intitolato lo spazio delle mostre temporanee,<br />

sono pervenuti dalla sorella Gilda e dal nipote<br />

Alessandro Osti.<br />

Un discorso a parte merita l’acquisizione<br />

delle opere artistiche e dei materiali da lavoro<br />

dello studio del pittore Palmiro Vezzoni (vedi<br />

la sezione “Centro di documentazione”),<br />

dovuta al generoso dono delle figlie Luisa e<br />

Maria.<br />

Per quanto riguarda gli autori viventi,<br />

oltre ad opere precedentemente acquisite<br />

(citiamo fra queste una grande scultura di<br />

Brunivo Buttarelli, alcuni disegni di Roberto<br />

Sguazzi, un dipinto del giovane artista<br />

milanese Matteo Bergamasco), il nucleo più<br />

consistente è quello costituito dalle opere<br />

donate dall’artista milanese Elena Mezzadra,<br />

solo in parte esposte e comunque rese note<br />

con la recente mostra dedicata alla grafica,<br />

mentre, grazie alle esposizioni promosse dalla<br />

delegazione locale degli Amici di Palazzo<br />

Te, sono pervenuti in dono dipinti di Sturla,<br />

Casagrande, Hoellering, Bargoni e una<br />

scultura di Sandro Cherchi.<br />

Dopo l’inaugurazione, il <strong>Museo</strong> ha<br />

incrementato il suo patrimonio sia in<br />

direzione della parte storica che del<br />

contemporaneo (segnalo solo, per questa<br />

parte, che hanno donato opere a chiusura<br />

delle rispettive personali, due giovani artisti,<br />

come Laura Locci e Giorgio Tentolini).<br />

Fra gli acquisti, si segnala una bella litografia<br />

ottocentesca acquarellata raffigurante<br />

l’Ugolino del <strong>Diotti</strong> (vedi immagine qui a<br />

lato) e altra piccola incisione col Congresso<br />

di Pontida.<br />

Merita però una particolare menzione il<br />

preziosissimo dono da parte di Giuseppe<br />

e Lucia Mainoldi di un disegno autografo<br />

inedito di Giuseppe <strong>Diotti</strong>, L’Olimpo, 1817<br />

(studio per l’affresco di Palazzo Mina-Bolzesi<br />

a Cremona), proveniente dalla raccolta<br />

ottocentesca dell’ing. Giovanni Montani,<br />

opera che, appena restaurata, per ragioni<br />

conservative non potrà essere esposta, ma<br />

che risulta di grande interesse per gli studi<br />

sull’artista. Allegato a questo dono è poi un<br />

disegno acquarellato di Tommaso Aroldi.<br />

Per quanto riguarda i depositi è di assoluto<br />

rilievo per qualità e interesse storico quello<br />

effettuato dal nobile dott. Pietro Longari<br />

Ponzoni, fedele in questo a una tradizione<br />

familiare di mecenatismo legato soprattutto<br />

a Giuseppe <strong>Diotti</strong>. Ma devo anche alla<br />

sensibilità e all’interessamento di Paola<br />

Cirani se alcuni beni artistici di casa Longari<br />

Ponzone sono entrati nel 2007 a Palazzo<br />

<strong>Diotti</strong>, con una significativa addenda nel 2008<br />

di cui daremo compiutamente notizia nel<br />

prossimo notiziario.<br />

Per il momento mi riferisco al superbo<br />

disegno del Mosè e il serpente di bronzo,<br />

al disegno del Piccio riproducente il Tobia<br />

diottesco della Cappella Colleoni e alla<br />

medaglia del Beltrami col profilo di Giuseppe<br />

<strong>Diotti</strong>.<br />

Giovanni Carnovali detto il Piccio, Tobia ridà la<br />

vista al padre (da G. <strong>Diotti</strong>), 1827 ca. Collezione<br />

Longari Ponzone, deposito.


P A T R I M O N I O<br />

Gianfranco Manara, Autoritratto nello studio, 1984,<br />

olio su tela. Dono di Maria Giovanna Brovetto<br />

Rondo Manara, 2007.<br />

Goliardo Padova, Paesaggio con gli insetti, 1969,<br />

olio su tela. Dono di Florenzio Padova, 2007.<br />

Palmiro Vezzoni, SantʼIgnazio, anni ʻ50 circa, olio<br />

su carta. Dono di Maria e Luisa Vezzoni, 2007.<br />

Gianfranco Manara, Greto, 1981, olio su<br />

tela. Dono di Maria Giovanna Brovetto<br />

Rondo Manara, 2007.<br />

Tino Aroldi, Campagna, 1975, olio su tela.<br />

Dono di Carla Aroldi, 2007.<br />

23


24<br />

R E S T A U R I<br />

Restauri 2007<br />

a cura di Valter Rosa<br />

L’apertura del <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> ha richiesto<br />

l’attivazione di una consistente campagna di<br />

restauri sulle opere facenti parte delle Civiche<br />

Raccolte o concesse in deposito allo stesso<br />

<strong>Museo</strong>, giovandosi per altro di altri restauri<br />

eseguiti negli ultimi anni in occasione delle<br />

mostre “Giovanni Romani e il suo tempo”<br />

(2003) e “L’Età progettuale” (2006). Nel<br />

2007, anche grazie al sostegno economico<br />

della Regione Lombardia, si sono così potute<br />

recuperare altre quindici tele e un disegno.<br />

Partiamo dal dipinto più importante: si tratta<br />

dell’Adorazione dei pastori o Presepe a lume<br />

di notte (1809), saggio finale del pensionato<br />

romano di Giuseppe <strong>Diotti</strong>, opera di proprietà<br />

dell’Accademia di Belle Arti di Brera,<br />

lungamente esposta nel corso dell’Ottocento<br />

in Pinacoteca, ma conservata sino a qualche<br />

tempo fa in un deposito esterno. Il dipinto<br />

(olio su tela, cm 174x225), come si legge<br />

nella scheda di restauro, presentava nella<br />

parte superiore grandi scodellature del colore<br />

con craquelure rialzata, oltre a piccole cadute<br />

nella pellicola pittorica che richiedevano un<br />

intervento di consolidamento e di integrazione.<br />

Il Comune di Casalmaggiore ne ha finanziato<br />

il restauro che l’Accademia ha affidato allo<br />

studio Carlotta Beccaria di Milano, sotto la<br />

direzione di Matteo Ceriana, funzionario<br />

della Soprintendenza per il Patrimonio<br />

Storico Artistico ed Etnoantropologico di<br />

Milano. In cambio l’Accademia di Brera<br />

ha concesso il dipinto in deposito al <strong>Museo</strong><br />

<strong>Diotti</strong>, dove l’opera costituisce ormai un<br />

tassello fondamentale nel percorso espositivo<br />

che documenta la carriera artistica del <strong>Diotti</strong>.<br />

Chi scrive ha reso noto qualche anno fa il<br />

modelletto dello stesso dipinto, già appartenuto<br />

all’ingegner Giovanni Montani ed attualmente<br />

in collezione privata casalasca, col quale ora<br />

sarà più agevole poter stabilire un confronto.<br />

Sempre proveniente dalla raccolta Montani è<br />

un’altra opera autografa di Giuseppe <strong>Diotti</strong>,<br />

un disegno inedito raffigurante L’Olimpo<br />

(1817), di cui si dirà più ampiamente in altra<br />

rubrica, donato al <strong>Museo</strong> da Giuseppe e Lucia<br />

Mainoldi. Si tratta di un disegno a grafite,<br />

matita grassa con lumi a gessetto bianco su<br />

carta bruna (mm 265x375). Il supporto, di<br />

carta sottile e fragile, con piccoli strappi,<br />

fortemente imbrunito per l’ossidazione e con<br />

alcune macchie, rendeva pressoché illeggibile<br />

il disegno che già aveva perso nella parte destra<br />

tutte le lumeggiature. L’accurato intervento<br />

di restauro, condotto da Lucia Tarantola di<br />

Milano, ha mirato essenzialmente a consolidare<br />

il supporto e le tracce del disegno riuscendo a<br />

migliorarne solo parzialmente la leggibilità,<br />

in quanto si è ritenuto che un’operazione<br />

di sbiancatura della carta avrebbe causato<br />

la perdita dei lumi superstiti. Per esigenze<br />

conservative, il disegno, ora in apposita<br />

custodia di cartone non acido, non può essere<br />

collocato stabilmente nel percorso espositivo.<br />

Fra i dipinti concessi in comodato dalla<br />

Fondazione Conte Busi onlus sono stati<br />

Marcantonio Ghislina, Trinità, inizi XVIII sec., olio<br />

su tela. Scuola di disegno “G. Bottoli”, deposito.<br />

restaurati cinque ritratti di benefattori (fra di<br />

essi si segnalano due opere di buona fattura che<br />

ho restituito al pittore Francesco Chiozzi su<br />

base stilistica e documentaria, ovvero i ritratti<br />

di Anna Maria Faita Porcelli e di Leonardo<br />

Badalotti) e la Sibilla Persica (una copia di<br />

primo Ottocento dal Guercino): si trattava<br />

in questo caso di un intervento di carattere<br />

manutentivo, volto soprattutto a rimediare i<br />

guasti di precedenti restauri eseguito qualche<br />

decennio fa. Lo stesso dicasi per le quattro<br />

tele di Francesco Chiozzi raffiguranti Aronne,<br />

Davide, Mosè e Giosuè, opere di proprietà<br />

comunale che ritornano in piena forma in quella<br />

che dagli anni Settanta è sempre stata la loro<br />

sede, ovvero il Palazzo <strong>Diotti</strong>, mentre una vera e<br />

propria sorpresa è riservata dal recupero di una<br />

tela molto iscurita, raffigurante il benefattore<br />

locale Luigi Chiozzi, fondatore dell’omonimo<br />

asilo, opera di notevole qualità che reca una<br />

data, 1840, ma che non ha ancora trovato una<br />

sicura attribuzione. Al dipinto, già provvisto<br />

di una cornice a pastiglia dorata fortemente<br />

deteriorata, è stata adattata una più sontuosa<br />

cornice, già parte del patrimonio comunale,<br />

restaurata nel 1995 nell’ambito del corso di<br />

restauro della Scuola di Disegno “G. Bottoli”<br />

diretto dal maestro restauratore Lodovico Savi.<br />

In questa circostanza sempre il maestro<br />

Savi si è fatto carico di alcuni ritocchi a<br />

due console settecentesche che, sempre<br />

sotto la sua cura e direzione, erano state<br />

miracolosamente recuperate nel ’95.<br />

Un dipinto salvato da sicura rovina, restituito<br />

alla sua bella cromia ed ora esposto sulla<br />

seconda rampa dello scalone è il San Nicola,<br />

Sant’Andrea e San Francesco da Paola<br />

di Marcantonio Ghislina (olio su tela, cm<br />

248x170), un tempo conservato nel vecchio<br />

ospedale. Il restauro, eseguito sempre dallo<br />

Studio Sanguanini, ha comportato anche<br />

la rimozione del vecchio telaio, debole e<br />

infestato da insetti xilofagi, e la foderatura<br />

della tela. L’opera giaceva da anni in un<br />

deposito di Palazzo <strong>Diotti</strong> in condizioni<br />

veramente precarie: una diffusissima crettatura<br />

della superficie pittorica con numerosi<br />

sollevamenti e cadute di colore che avevano<br />

allora richiesto di farla interamente velinare<br />

prima che venisse traslocata a causa dei<br />

lavori di ristrutturazione del palazzo. Ricordo<br />

questo episodio solo per sottolineare come<br />

molti recuperi, sia di arredi che di dipinti<br />

che oggi ornano il <strong>Museo</strong>, si sono potuti<br />

realizzare grazie agli interventi messi in atto,<br />

ormai una decina di anni fa, dal lungimirante<br />

assessore alla cultura Ferruccio Martelli.<br />

Ma fra i restauri eseguiti dallo studio<br />

Sanguanini vogliamo segnalare in particolare<br />

due dipinti delle Civiche Raccolte d’Arte del<br />

Comune di Casalmaggiore, testimonianze<br />

pregevoli del disperso patrimonio delle chiese<br />

soppresse, conservate presso la Scuola di<br />

Disegno “G. Bottoli”. Si tratta di un ovale<br />

raffigurante la Trinità, opera giovanile di<br />

Marcantonio Ghislina, e di una tela molto più<br />

antica coi Santi Simone e Giuda, proveniente<br />

dalla distrutta chiesa di Santa Lucia, opera<br />

già ritenuta di scuola bresciana del tardo<br />

Cinquecento, ma di cui ora, dopo la pulitura<br />

che ne ha rivelato appieno la qualità e la<br />

bella cromia, potrà essere avanzata una più<br />

circostanziata ipotesi attributiva. Se la prima,<br />

ora collocata come sovrapporta nell’ambiente<br />

dello scalone, si aggiunge al già significativo<br />

numero di opere del Ghislina recentemente<br />

recuperate o acquisite, contribuendo così<br />

a una conoscenza sempre più approfondita<br />

del pittore, la seconda costituisce invece<br />

un prezioso tassello del Cinquecento a<br />

Casalmaggiore, un secolo ancora poco<br />

indagato. Sappiamo per certo dalle visite<br />

pastorali che la tela coi Santi Simone e Giuda è<br />

legata all’omonimo altare della chiesa di Santa<br />

Lucia, il cui beneficio risaliva al 1469, e che<br />

intorno al 1579 un dipinto con questo soggetto<br />

(forse il nostro) aveva sostituito una più antica<br />

immagine sacra. Sul quadro ora restaurato,<br />

qualche tempo fa, Marco Tanzi, sottolineando<br />

l’attardato sapore savoldesco, aveva avanzato<br />

il nome del pittore Pietro Maria Bagnadore,<br />

ma la questione attributiva è ancora aperta.<br />

Le due tele sono state ufficialmente presentate<br />

al pubblico mercoledì 13 giugno 2007,<br />

negli spazi del nuovo <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>, dagli<br />

stessi protagonisti di questo importante<br />

recupero attuato col contributo della Regione<br />

Lombardia, ovvero i restauratori Dario e Marco<br />

Sanguanini di Rivarolo Mantovano che, oltre<br />

agli interventi attuati, hanno illustrato anche la<br />

fase diagnostica, proponendo saggi degli esami<br />

riflettografici, particolarmente interessanti<br />

nel caso del dipinto cinquecentesco, mentre<br />

i risultati del restauro sono stati commentati<br />

dal dr. Giovanni Rodella, funzionario di<br />

zona della Soprintendenza per il Patrimonio<br />

Storico Artistico ed Etnoantropologico<br />

delle Province di Brescia, Cremona e<br />

Mantova, che ha seguito costantemente<br />

i lavori. Ne riportiamo qui gli interventi.


R E S T A U R I<br />

Giuseppe <strong>Diotti</strong>, LʼOlimpo, 1817, disegno a grafite, matita grassa e gessetto bianco su carta bruna. <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>, dono di Giuseppe e Lucia Mainoldi.<br />

Giovanni Rodella<br />

Rivolgo un cordiale saluto a tutti i presenti e<br />

un ringraziamento agli organizzatori di questo<br />

incontro dedicato alla presentazione dei quadri<br />

restaurati del <strong>Museo</strong>. E’ un museo, questo di<br />

Casalmaggiore, per il quale io devo<br />

riconfermare tutto il mio apprezzamento, che<br />

già avevo espresso con poche parole nel<br />

registro dei visitatori quando alcuni giorni fa<br />

sono venuto in visita. Ero venuto appositamente<br />

da solo, proprio per trovare la necessaria<br />

concentrazione e soffermarmi meglio sulle<br />

opere e sulla loro esposizione; solo, quindi,<br />

senza la sollecitazione di persone che potevano<br />

magari farmi fretta ed indurmi ad accelerare la<br />

visita. Ho potuto così vedere il museo nelle<br />

condizioni migliori e cogliere meglio il filo<br />

conduttore della logica museale che tiene<br />

insieme le opere esposte che sono qui<br />

conservate. Creare un museo oggi, per una<br />

città come Casalmaggiore che ha avuto una<br />

sua storia anche abbastanza singolare per gli<br />

aspetti che l’hanno caratterizzata, soprattutto<br />

come importante avamposto fluviale, di una<br />

terra di confine, ecco questa impresa di creare<br />

un museo non deve essere stata molto semplice.<br />

Rispetto ad altre realtà però Casalmaggiore<br />

aveva la fortuna di conservare ancora la<br />

memoria di una realtà storica ancora molto<br />

forte, rappresentata proprio da un personaggio<br />

di grandissima valenza, un artista quale<br />

Giuseppe <strong>Diotti</strong>. Che ha fatto, come dire, da<br />

elemento aggregante per la costituzione di<br />

questo museo e per far legare insieme, nello<br />

stesso tempo, due grandi epoche, il ‘700 e l’<br />

‘800, per i periodi a cui appartengono buona<br />

parte delle opere esposte e direi anche periodi<br />

che a mio giudizio sembrano caratterizzare il<br />

volto generale di Casalmaggiore e della cultura<br />

artistica trascorsa che ancora oggi è<br />

sopravvissuta nella città. Questo museo sembra<br />

avere anche la funzione “riparatrice”, di<br />

risarcire cioè le non poche dispersioni artistiche<br />

che anche Casalmaggiore ebbe a subire nei<br />

secoli passati e quindi dare finalmente pubblica<br />

visione ad opere da considerarsi significative<br />

direi in senso duplice, sia come documenti<br />

prettamente storici, che come testimonianze<br />

importanti della cultura artistica casalasca, dal<br />

‘7 fino al ‘900. Penso d’altronde che siano ben<br />

poche le opere che possano sottrarsi a questa<br />

duplice considerazione: si considerino a questo<br />

riguardo ad esempio i tanti paesaggi della<br />

sezione dedicata al ‘900 di questo museo, che<br />

ritengo molto interessanti non solo come<br />

testimonianza della cultura artistica locale del<br />

secolo trascorso, ma anche documenti dei<br />

luoghi, delle loro conformazioni originarie che<br />

spesso sono state purtroppo del tutto cambiate<br />

o addirittura completamente stravolte. Ho<br />

appena accennato alle dispersioni che il<br />

patrimonio artistico di Casalmaggiore subì nei<br />

secoli trascorsi e al fatto che questo museo può<br />

considerarsi idealmente una specie di<br />

risarcimento per la comunità cittadina. Qualche<br />

giorno fa avevo scorso le pagine di un<br />

approfondito saggio del prof. Valter Rosa,<br />

comparso nel catalogo della mostra “Il Barocco<br />

nella Bassa” del 1999, che verteva appunto<br />

sulla storia delle dispersioni delle opere d’arte<br />

di Casalmaggiore, specie di quelle contenute<br />

nelle chiese, fra la fine del ‘500 e il periodo<br />

napoleonico. Senz’altro una delle opere più<br />

importanti, sottratta a Casalmaggiore negli<br />

anni 1647-1648, in concomitanza con la guerra<br />

fra Francia e Spagna e con lo stanziamento a<br />

Casalmaggiore delle truppe francesi e<br />

modenesi, fu la celebre tavola del Parmigianino<br />

raffigurante Santo Stefano, opera che passò<br />

prima a Modena nelle collezioni del duca<br />

estense e in seguito, con la disgraziata vendita<br />

nel 1647 di buona parte delle collezioni estensi,<br />

a Dresda per arricchire le collezioni artistiche<br />

del principe elettore di Sassonia. Non meno<br />

rovinose furono le dispersioni che si ebbero a<br />

seguito delle soppressioni delle istituzioni<br />

religiose, nell’epoca soprattutto napoleonica,<br />

che intaccarono fortemente, come in tante altre<br />

città dell’Italia padana, a cavallo fra il ‘7 e<br />

l’800, un enorme patrimonio, quello appunto<br />

degli ordini ecclesiastici che in rilevante<br />

misura andò quasi completamente disperso. Si<br />

ricordino solo a questo proposito la chiesa e il<br />

25


26<br />

R E S T A U R I<br />

convento di S. Lorenzo, che erano stati<br />

ricostruiti poco dopo la metà del ‘700 e che<br />

vennero poi soppressi nel 1810 e addirittura<br />

abbattuti l’anno dopo. Tra i tanti arredi<br />

prestigiosi e opere d’arte di questo complesso<br />

monastico che furono dispersi, si ricorda, fra<br />

le opere più significative, un dipinto del grande<br />

pittore di questa terra, Marcantonio Ghislina.<br />

Era un quadro che raffigurava S. Antonio da<br />

Padova, dipinto nel 1708. Doveva quindi<br />

appartenere al periodo giovanile del Ghislina e<br />

rappresentare una delle opere dei primi anni<br />

della sua attività. Scorrendo poi il saggio, che<br />

penso sia il più completo<br />

prodotto fino ad ora sul<br />

Ghislina, scritto dalla dott.ssa<br />

Ronda per lo stesso catalogo<br />

de “Il Barocco nella Bassa”,<br />

ho potuto appurare che la<br />

produzione del pittore a noi<br />

nota inizia a partire dal 1699 e<br />

rappresentò per tutta la prima<br />

metà del ‘700, fino al 1756<br />

(anno della morte dell’artista)<br />

il riferimento più significativo<br />

e autorevole dell’attività<br />

pittorica di tutta la Bassa<br />

Cremonese. Una produzione<br />

rivolta soprattutto a soddisfare<br />

le richieste di una numerosa<br />

committenza ecclesiastica,<br />

dalle chiese parrocchiali ai<br />

grandi ordini ecclesiastici,<br />

come i Gerolamini di Cremona<br />

che nel 1725 gli affidarono due<br />

grandi tele per la prestigiosa<br />

cappella di Santa Cecilia -<br />

Santa Caterina; una<br />

commissione questa di grande<br />

importanza che segnò<br />

l’ingresso ufficiale del Ghislina<br />

a Cremona. L’introduzione del<br />

pittore a Cremona è legata<br />

probabilmente, come sottolinea<br />

sempre la dott.ssa Ronda, ad<br />

una temporanea rarefazione<br />

degli artisti di maggior fama<br />

che fino ad allora erano stati<br />

presenti a Cremona, primi fra tutti il Massarotti,<br />

forse il pittore più rappresentativo del primo<br />

‘700 cremonese e ai cui modi pittorici il<br />

Ghislina mostrò di ispirarsi in modo molto<br />

diretto, in particolare proprio nelle opere di S.<br />

Sigismondo. Pochi anni più tardi,<br />

presumibilmente verso il 1727, si dovrebbe<br />

poi collocare un’altra importantissima impresa<br />

pittorica del Ghislina, questa volta nella sua<br />

città d’origine, Casalmaggiore appunto, dove<br />

ritorna da Cremona dopo aver acquisito una<br />

fama ancora maggiore, proprio per il successo<br />

conquistato con l’impresa di S. Sigismondo. Si<br />

tratta delle grandi tele del ciclo, con episodi di<br />

grandi eroi biblici, per la decorazione del<br />

tamburo della chiesa dell’ospedale di<br />

Casalmaggiore, un’impresa particolarmente<br />

impegnativa che vide il pittore impegnato<br />

anche nelle decorazioni del presbiterio. Poco<br />

fa dicevo che questo museo io lo vedo anche<br />

come una realtà che in qualche modo sembra<br />

risarcire le numerose dispersioni che sono<br />

avvenute nei secoli passati e a questo riguardo<br />

il Ghislina viene proprio a proposito. Prima vi<br />

avevo nominato questo quadro del Ghislina<br />

disperso nel 1708, con la soppressione del<br />

complesso monastico di S. Lorenzo: ecco, una<br />

perdita che in qualche modo sembra<br />

ricompensata in questo museo da altri due<br />

dipinti riferiti al Ghislina, due quadri che sono<br />

stati restaurati e il cui intervento vi verrà<br />

presentato dal restauratore Dario Sanguanini<br />

che l’ha eseguito insieme al figlio. Uno di<br />

questi due dipinti raffigura i santi Nicolò,<br />

Andrea e Francesco da Paola: è un dipinto<br />

Scuola bresciana del ʻ500, I santi Simone e Giuda, olio su tela.<br />

veramente splendido, che rivela in modo<br />

indubitabile la mano del Ghislina; una pittura<br />

di grande effetto, dai forti cromatismi, molto<br />

accesi, resi ancora più vividi dai timbri<br />

particolarmente forti, dai contrasti delle luci e<br />

delle ombre. Gli stessi personaggi raffigurati,<br />

per gli atteggiamenti e le posizioni, spesso un<br />

po’ sinuose, avvitate, sembrano imprimere a<br />

questo dipinto sensazioni di notevole<br />

dinamismo, e guardando i dipinti del Ghislina<br />

si avverte un gusto del Barocco ormai<br />

pienamente maturo: il pittore sembra ormai<br />

pienamente partecipe di un comune linguaggio<br />

tipico del ‘700, avvertibile nella fortissima<br />

luminosità dei colori e anche in questo<br />

dinamismo delle figure, con questi panneggi<br />

fortemente mossi, quasi spezzati, per caricare<br />

di movimento le figure. Giustamente il<br />

Ghislina, per quanto riguarda i suoi orizzonti<br />

di riferimento culturale, è stato definito un<br />

pittore un po’ eclettico, proprio perché<br />

partecipe di diversi linguaggi pittorici, anche<br />

se la principale fonte di ispirazione, sempre<br />

come conferma la dott.sa Ronda, è l’ambito<br />

della grande pittura emiliana, in particolare la<br />

pittura dei grandi Ludovico e Annibale<br />

Carracci. Della provenienza di questo quadro,<br />

restaurato dal Sanguanini, la dott.ssa Ronda,<br />

che ha svolto la sua tesi di laurea proprio sul<br />

Ghislina, mi ha riferito che sembra provenire<br />

dall’ospedale di Casalmaggiore.<br />

Per rimanere ancora nell’ambito delle<br />

dispersioni del patrimonio artistico casalasco,<br />

occorre ricordare che il <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> annovera<br />

un dipinto che sembra corrispondere proprio<br />

all’unica opera superstite di<br />

una chiesa di Casalmaggiore<br />

che venne soppressa nel<br />

1795, la chiesa di S. Lucia,<br />

un edificio di culto mai<br />

del tutto scomparso e dalla<br />

quale proviene quel dipinto<br />

qui presente raffigurante<br />

i santi Simone e Giuda<br />

Taddeo, (vedi foto a lato)<br />

anche questo facente parte<br />

del gruppo di opere che<br />

sono state restaurate. Si<br />

tratta di una tela che venne<br />

fortunatamente conservata<br />

nella gloriosa scuola di<br />

disegno Giuseppe Bottoli che<br />

rappresentò a lungo una delle<br />

istituzioni didattiche fra le<br />

più importanti di Casalmaggiore<br />

e di maggiore aggregazione<br />

per la formazione locale<br />

di tanti artisti e artigiani<br />

soprattutto nella prima metà<br />

del ‘900. Questo quadro<br />

è riferibile all’ambiente<br />

pittorico bresciano del primo<br />

‘600, come sembrano rivelare<br />

i caratteri del dipinto, in<br />

particolare nella definizione<br />

soprattutto della luce sulle<br />

figure e anche nei cieli,<br />

che sembrano rivelare un<br />

lontano ricordo della pittura<br />

del grande artista bresciano<br />

Girolamo Savoldo. L’autore di questo<br />

dipinto, che mostra in modo palese l’adesione<br />

abbastanza stretta alla pittura veneta del ‘500<br />

(mi sembrano scontati i riferimenti alla pittura<br />

del grande Paolo Veronese, soprattutto nei<br />

cieli, in questo contrasto fortissimo fra le<br />

nuvole e l’azzurro profondo dello sfondo del<br />

cielo) sembra molto vicino stilisticamente ad<br />

un pittore bresciano, Camillo Rama, che operò<br />

nella prima metà del ‘600. Camillo Rama fu<br />

allievo di Palma il Giovane e lavorò qui a<br />

Casalmaggiore per la scomparsa chiesa di<br />

S. Lorenzo, eseguendo un martirio che andò<br />

disperso con la soppressione della chiesa stessa.<br />

Un’altra (e forse l’ultima) grande dispersione<br />

del patrimonio storico artistico casalasco ebbe<br />

ad essere quella della notevolissima raccolta<br />

di dipinti che Giuseppe <strong>Diotti</strong> collezionò in<br />

questo che fu il suo palazzo. Una raccolta di<br />

opere di grandissimi artisti che, a quanto ci<br />

informano le schede del museo, redatte dal prof.<br />

Rosa (che mi sono letto molto attentamente),


R E S T A U R I<br />

dovevano avere anche una funzione didattica,<br />

per gli allievi che frequentavano la sua casa,<br />

casa che venne definita, con un termine che<br />

mi sembra molto appropriato, “casa-atelier”;<br />

la raccolta, che, dopo la morte del <strong>Diotti</strong> nel<br />

1846, era stata aperta al pubblico nel 1865<br />

dalla nipote Lucia, andò però poi purtroppo<br />

del tutto dispersa: ho letto con grandissima<br />

meraviglia che comprendeva opere di artisti<br />

strabilianti: Rubens, Correggio, Annibale<br />

Carracci, Guercino, Guido Reni, Veronese,<br />

Tiziano, Tintoretto e tanti altri pittori di<br />

primissimo ordine. Certo sarebbe stato del<br />

tutto impossibile, impensabile, in questo nuovo<br />

museo, concepire l’idea di un risarcimento di<br />

tali opere da esporre per importanza di autori<br />

alla collezione del <strong>Diotti</strong> andata dispersa, ma<br />

l’importante è che si sia riusciti a ricreare,<br />

attraverso l’iter museale delle opere esposte,<br />

l’ambiente culturale casalasco del periodo del<br />

<strong>Diotti</strong> e pure della Casalmaggiore settecentesca<br />

in cui si radica la formazione del <strong>Diotti</strong> stesso<br />

che a Casalmaggiore era nato nel 1779. Nel<br />

‘700 a Casalmaggiore, e precisamente nel 1767,<br />

era stata fondata una scuola di disegno, una<br />

delle tante realtà di aggregazione accademica<br />

e didattica che si erano andate diffondendo in<br />

Italia in tanti centri, grandi e piccoli, soprattutto<br />

a partire dal ‘600. Ecco, fondatore di questa<br />

scuola fu il pittore locale Francesco Antonio<br />

Chiozzi che pure a sua volta si era formato<br />

nella Accademia Clementina di Bologna e poi<br />

a Roma. La sua pittura risentì in particolare<br />

del Classicismo e della grande pittura emiliana<br />

ed è ben rappresentata in questo museo dalle<br />

quattro tele, restaurate anch’esse, con gli<br />

eroi biblici Aronne, Davide, Mosè e Giosuè.<br />

Altrettanto interessante del pittore Chiozzi è il<br />

dipinto restaurato con il ritratto del benefattore<br />

di Casalmaggiore Leonardo Badalotti che,<br />

come ricorda la scritta in alto a sinistra, fu<br />

anche un socio della Confraternita della Buona<br />

Morte, una delle associazioni caritatevoli fra<br />

le più diffuse nelle città e nelle campagne a<br />

partire dal Medioevo, che aveva la funzione<br />

di assistenza ai moribondi e ai funerali. Erano<br />

associazioni laiche che in parte assolvevano a<br />

quei compiti che ai nostri giorni sono svolte<br />

un po’ dalle imprese delle pompe funebri.<br />

L’assistenza ai sofferenti estremi e l’attività<br />

nella confraternita dovettero rappresentare<br />

nella vita di questo personaggio punti di<br />

riferimento particolarmente forti, tanto da<br />

costituire appunto l’unico motivo di ricordo<br />

nelle iscrizioni dedicate alla sua esistenza.<br />

Anche l’iscrizione sul foglio che tiene<br />

nella mano sinistra, pur di non chiarissima<br />

interpretazione, sembra comunque riferirsi<br />

chiaramente al suo impegno assistenziale<br />

dei sofferenti, come si evince nella parola<br />

languentium. Non poteva ovviamente<br />

mancare, nella iscrizione in alto a destra, anche<br />

il momento della sua morte, ricordata con una<br />

semplice data, cioè il giorno 25 dicembre<br />

dell’anno 1769. Direi che alla forte pregnanza<br />

di queste iscrizioni che ci introducono<br />

nell’esistenza di questo personaggio e ai più<br />

sentiti convincimenti di vita, ben si addicono<br />

anche gli accenti abbastanza realistici che<br />

caratterizzano questo dipinto, come si può<br />

vedere dalle fattezze del volto, un po’ aspre,<br />

che marcano abbastanza fortemente la<br />

fisionomia del viso. Questo ritratto sembra<br />

appartenere pienamente alla tradizione di quel<br />

naturalismo che ha caratterizzato tantissima<br />

parte della pittura lombarda a partire dal ‘500,<br />

una cultura pittorica alla quale si ricollegano<br />

anche parte degli anonimi autori di altri<br />

ritratti del museo, alcuni di questi restaurati,<br />

come ad esempio la benefattrice Anna Maria<br />

Faita Porcelli, sul cui volto sono sottolineate<br />

in modo abbastanza impietoso le rughe, gli<br />

appesantimenti della cute, caratterizzata anche<br />

da una certa leggera peluria che sembra di<br />

intravedere sopra la bocca. Non mi soffermo<br />

sugli altri ritratti restaurati, ma solo su quello<br />

comprendente la figura di Luigi Chiozzi, un<br />

discendente della famiglia cui appartenne<br />

anche il pittore Francesco Chiozzi di cui<br />

abbiamo appena parlato. Doveva essere un<br />

personaggio particolarmente ragguardevole,<br />

se si considera anche l’abbigliamento, che<br />

denota un certo censo: si osservi ad esempio il<br />

pastrano, molto scuro, con questi bottoni neri,<br />

arricchito da questo colletto rialzato, con questi<br />

ricchi richiami in rilievo; e si osservino anche<br />

in basso, sottolineati da leggere luminescenze,<br />

l’elsa di una spada e l’angolo delle pieghe di<br />

una borsa a sinistra. Sono due elementi che<br />

potrebbero alludere, forse l’elsa della spada,<br />

ad una trascorsa attività militare, forse in alti<br />

ranghi dell’esercito, e la borsa ad un’attività<br />

forse più pertinente all’epoca in cui venne<br />

eseguito il ritratto, cioè l’attività di funzionario<br />

amministrativo, o anche magari dedito<br />

all’amministrazione dei suoi beni privati:<br />

Luigi Chiozzi doveva essere infatti titolare di<br />

un patrimonio privato notevolmente cospicuo;<br />

il suo nome infatti è legato ad un generoso<br />

lascito che fu da lui elargito per costituire<br />

un’istituzione che ebbe a Casalmaggiore una<br />

grandissima importanza sociale, cioè l’asilo<br />

Chiozzi, un asilo per l’infanzia che fu eretto in<br />

ente morale autonomo nel 1862 e che mi pare<br />

abbia funzionato a lungo, per molti decenni.<br />

Ritornando al ritratto, c’è da dire che il livello<br />

qualitativo mi sembra notevolmente alto. Si<br />

noti come l’aver tenuto l’abbigliamento della<br />

figura e lo sfondo su tinte molto scure abbia<br />

portato inevitabilmente a concentrare tutta<br />

l’attenzione dell’osservatore sul volto del<br />

personaggio raffigurato, rischiarato proprio da<br />

una luce nettissima, quasi violenta: la pennellata<br />

appare molto vibrante, molto mossa, è condotta<br />

in modo straordinario e riesce a restituirci in<br />

modo quasi tattile la fisicità dell’epidermide, le<br />

sue lucentezze, i pochi e leggeri appesantimenti<br />

dovuti all’età del personaggio che potremmo<br />

definire pienamente matura. Lo stile ci porta<br />

senz’altro al di fuori dello stretto ambito della<br />

ritrattistica locale, soprattutto del <strong>Diotti</strong>, che<br />

era caratterizzata da un modo di dipingere<br />

molto più raffrenato, più chiuso, cioè una<br />

pittura quella del <strong>Diotti</strong> sostanzialmente<br />

legata ai canoni della ritrattistica neoclassica.<br />

Non voglio spingermi oltre, anche perché so<br />

che il prof. Valter Rosa ha già avanzato una<br />

propria attribuzione che forse avrà in animo di<br />

approfondire, cioè l’attribuzione a un pittore<br />

di origini marchigiane, questo Francesco<br />

Podesti che operò prevalentemente nell’Italia<br />

centrale ma che ebbe anche contatti con<br />

Milano, soprattutto con l’Accademia di Brera.<br />

Per introdurre l’argomento dei restauri di<br />

questi dipinti vorrei anche ricordare che la<br />

Soprintendenza per il patrimonio storico e<br />

artistico di Mantova, Cremona e Brescia,<br />

di cui appunto faccio parte, era stata come<br />

di norma coinvolta per dare la preventiva<br />

autorizzazione al restauro, sulla base di<br />

relazioni progettuali che erano state redatte<br />

dal restauratore Sanguanini al quale erano<br />

stati affidati gli interventi di restauro. Questi<br />

quadri restaurati, essendo di proprietà di un<br />

ente pubblico, in questo caso il Comune di<br />

Casalmaggiore, sono soggetti ad un regime di<br />

stretta tutela da parte dello Stato, il quale viene<br />

coinvolto attraverso i suoi organi periferici, in<br />

questo caso le Soprintendenze, affinché queste<br />

esercitino il loro controllo. E non solo, ricordo,<br />

in caso di restauri, ma anche ad esempio<br />

in caso di spostamenti temporanei, come<br />

quando vengono ad esempio richiesti per le<br />

mostre, per le quali noi della Soprintendenza<br />

ci pronunciamo sull’opportunità o meno,<br />

considerando sempre prima di tutto lo stato<br />

conservativo delle opere e se queste possono<br />

essere o meno trasferite e sostenere l’aggravio<br />

di spostamenti, in situazioni anche ambientali<br />

che a volte sono molto differenti da quelle<br />

in cui attraverso lunghi secoli sono state<br />

conservate. Questo regime di tutela da parte<br />

dello Stato vale anche per i beni di proprietà<br />

ecclesiastica e questi sono generalmente<br />

quelli che ci tengono maggiormente occupati,<br />

prima di tutto in considerazione del loro<br />

rilevantissimo numero che sopravanza di gran<br />

lunga quello delle opere di proprietà pubblica.<br />

In questi ultimi anni comunque la costituzione<br />

di numerosi musei locali, ad opera soprattutto<br />

dei Comuni, sta coinvolgendo sempre di più<br />

le Soprintendenze anche su questo versante,<br />

cioè quello della tutela del patrimonio storicoartistico<br />

degli enti pubblici. Spesso oltre alle<br />

tipologie di beni a noi più familiari, come<br />

possono essere i dipinti su tela, le statue,<br />

le tavole, ci troviamo a dover affrontare<br />

problemi di conservazione e di restauro di<br />

generi di oggetti abbastanza inusuali per<br />

le comuni conoscenze dei funzionari delle<br />

Soprintendenze; poco tempo fa, in occasione<br />

ad esempio della mostra sull’Età Progettuale,<br />

ero stato chiamato per visionare una serie di<br />

strumenti scientifici che erano serviti nelle<br />

scuole di Casalmaggiore a scopo didattico:<br />

anche questi sono oggetti che vanno strettamente<br />

tutelati, proprio per la loro importanza<br />

storica, in riferimento, in questo caso, alla<br />

storia e al progredire del sapere scientifico.<br />

Dario Sanguanini<br />

L’intervento di restauro per il quale ci siamo<br />

avvalsi, io e mio figlio Marco, della valida<br />

collaborazione di due stagiste, Raschi e Sarzi<br />

Amadè, comprende il restauro di 14 dipinti<br />

ad olio su tela. Vedremo tutti e 14 questi<br />

dipinti, anche se per ragioni di tempo dovremo<br />

soffermarci sulle operazioni più significative.<br />

In pratica tutti i 14 dipinti sono stati analizzati,<br />

sono stati analizzati la tela, la preparazione,<br />

27


28<br />

R E S T A U R I<br />

la pellicola pittorica, e queste analisi hanno<br />

favorito una attribuzione, perché analizzare<br />

la tecnica pittorica è significativo per poter<br />

dare un’attribuzione più veritiera all’opera.<br />

Il primo dipinto è quello di S. Nicolò, S.<br />

Andrea e S. Francesco di Paola: dipinto ad<br />

olio su tela delle dimensioni di 248 cm x 170.<br />

Il dipinto, quando siamo venuti a prelevarlo,<br />

si trovava in queste condizioni perché su<br />

consiglio della Soprintendenza, alcuni anni<br />

or sono, era stata applicata una carta velina<br />

sul retto del dipinto perché si stava talmente<br />

deteriorando e molte particelle di pellicola<br />

pittorica si stavano staccando: per lo meno<br />

questa velinatura ha consentito al colore di<br />

rimanere adeso al supporto. Queste operazioni<br />

vengono spesso fatte prima degli spostamenti<br />

delle opere ai laboratori di restauro: tante volte<br />

il colore è talmente sollevato che anche solo<br />

il muovere la tela costituisce un fortissimo<br />

rischio, quindi viene preventivamente velinato<br />

per impedire che le scaglie di colore cadano nel<br />

trasferimento del quadro. In pratica si tratta di<br />

incollare carte di riso con del collante animale,<br />

quindi acqua, colla di coniglio, melassa, che<br />

si toglie con una semplice spugnatura con<br />

acqua calda. La prima operazione che è stata<br />

necessaria è stato togliere piano piano queste<br />

veline senza togliere minimamente particelle<br />

di colore. Questo lo si è fatto perché, essendo<br />

passato molto tempo dalla operazione di<br />

velinatura la colletta animale cominciava già<br />

a fare delle muffe, che si possono intravedere<br />

sul retro: le muffe si inseriscono fra supporto<br />

e pellicola pittorica e lentamente lo possono<br />

staccare. Da notare anche il vecchio telaio,<br />

che è stato sostituito perchè era privo di<br />

tensori. Nel ‘900 viene adottata la soluzione<br />

dei telai a supporto della tela con inseriti negli<br />

angoli dei supporti, dei cunei lignei o negli<br />

ultimi decenni anche metallici, che possono<br />

consentire di tenere esteso l’angolo, per cui il<br />

telaio viene tenuto ben teso e di conseguenza<br />

anche la tela viene tenuta ben tirata. Nel<br />

vecchio telaio non compariva alcun tipo di<br />

tensore angolare; quando è possibile sarebbe<br />

opportuno restaurare anche il vecchio telaio,<br />

perché spesso è quello originale e fra tela e<br />

telaio, vivendo insieme per tanto tempo, si crea<br />

quel connubio che è sempre meglio mantenere,<br />

potendo. In questo caso non era possibile<br />

perché il telaio si era ormai usurato a tal punto<br />

che non permetteva più una giusta tensione alla<br />

tela e quindi si è optato per la sostituzione del<br />

telaio. E’ a forma centinata, la cornice molto<br />

probabilmente era originale ed era dorata,<br />

anche se la doratura era andata persa quasi<br />

completamente; con ogni probabilità nell’’800<br />

era stata ripristinata con una tinteggiatura finto<br />

marmo bianco con venature nere. In questa<br />

foto in videomicroscopia si notano tutte queste<br />

tessere di pigmento unito a preparazione che<br />

letteralmente si stanno staccando, spingendosi<br />

l’una con l’altra; la tela è in puro lino, però ha<br />

tramatura piuttosto larga. In queste situazioni<br />

è sufficiente un piccolo colpo o che anche una<br />

sola di queste tantissime tessere venga via<br />

per tirarsi dietro una buona parte di tutta la<br />

policromia. L’opera più complessa dell’intero<br />

restauro è stata quella di poter dare spazio a<br />

queste “vesciche”, affinché si adagiassero<br />

perfettamente nei loro alloggi; essendo<br />

rigonfiate e non avendo più spazio per potersi<br />

dilatare quel tanto, con una foderatura ed una<br />

stiratura piuttosto energica si poteva anche<br />

fare in modo che si formassero delle grinze<br />

sul colore, proprio per la sovrapposizione del<br />

colore stesso. La fase di rifoderatura è quella<br />

operazione per cui si incolla una tela nuova sul<br />

retro, agendo sul telaio: si è dato così lo spazio<br />

necessario a tutte queste tessere per potersi<br />

riadagiare com’erano originariamente. E’<br />

una tipica crettatura “a mosaico”, causata più<br />

che altro dal troppo secco, infatti questo è un<br />

quadro che non era mai stato verniciato, quindi<br />

era molto secco e le continue sollecitazioni del<br />

supporto, della tela in pratica, provocano questo<br />

tipo di crettatura. Il dipinto è stato rifoderato,<br />

quindi è stato rinforzato con una nuova tela in<br />

puro lino sul retro, stirato, consolidato e poi è<br />

stato riteso sul nuovo telaio, munito di doppia<br />

crociera e di quei tensori di cui parlavamo<br />

prima, che sono dei tensori angolari metallici<br />

estendibili: hanno dei piccoli dadi che si<br />

possono tendere con una piccola chiavetta<br />

senza bisogno di picchiare sulle biette che<br />

forzano sempre sull’incastro del telaio;<br />

l’incastro non viene toccato minimamente, ma<br />

si può esercitare una tensione forte, perché un<br />

dipinto, affinché sia bene conservato, è bene<br />

che sia ben teso, altrimenti si formano delle<br />

borse, degli spanciamenti sul dipinto che poi<br />

generano un degrado piuttosto importante.<br />

Queste sono le prove di pulitura: avviene<br />

sempre dopo il consolidamento e la foderatura<br />

e sono i primi tasselli che si fanno, poi si<br />

concorda con la Soprintendenza il grado di<br />

pulitura da adottare, si fanno alcune prove a<br />

diversi spessori e poi si concorda il grado di<br />

pulitura da adottare su tutta l’opera. Qui si nota<br />

proprio che era molto sporco: non uno sporco<br />

di vernici ma di polveri e sudiciumi vari che<br />

con il tempo si erano depositati più che altro<br />

per effetto della condensazione sulla superficie<br />

pittorica; quindi la pulitura è avvenuta<br />

solamente per mezzo di solventi piuttosto<br />

blandi come acqua saponata oppure solventi<br />

anionici che asportano solamente la polvere.<br />

Dopo avviene la stuccatura del dipinto,<br />

nelle parti di caduta di colore: si è proceduto<br />

per la reintegrazione delle parti mancanti<br />

eseguita a tratteggio in selezione cromatica,<br />

in modo che a una certa distanza dall’opera<br />

(bastano due o tre metri) non si nota niente,<br />

mentre se si guarda il dipinto a 10/20 cm si<br />

nota questo ritocco a tratteggio. I colori usati<br />

sono normalmente colori a vernice perché<br />

così con il tempo non cambiano; un tempo si<br />

ritoccava molto con il colore ad olio, ma l’olio<br />

con il tempo ossida e quindi le alterazioni dei<br />

ritocchi sono evidenti anche dopo poco tempo.<br />

Questa è l’opera finita: un’opera molto bella,<br />

importante, sia per la storia che per la cultura.<br />

Si vede anche il viso del paggetto, che era<br />

molto rovinato; le parti mancanti sul viso<br />

del paggetto sono state integrate a tratteggio.<br />

Secondo me è giusto integrare le parti<br />

mancanti, in modo che si possa ricostruire la<br />

forma del viso, anche per rendere il quadro<br />

più leggibile. Ci sono state altre mode, quella<br />

di tenere il dipinto a tela, quella della tinta<br />

neutra: io credo che si debba sempre rispettare<br />

l’opera, eseguire questi tratteggi in selezione<br />

solamente nella parte della mancanza, ma<br />

la ricostruzione a mio parere ci deve essere.<br />

Questa è l’altra opera, la Trinità. Le misure<br />

sono 145 cm x 105. E’ sempre un dipinto ad<br />

olio su tela, era molto rovinato, c’erano dei<br />

depositi molto spessi di diverse verniciature<br />

che erano state applicate e delle ridipinture<br />

piuttosto estese, fatte con colore ad olio che<br />

con il tempo si altera e quindi le ridipinture<br />

erano visibili anche ad occhio nudo. Anche qui<br />

si notano segni dell’umidità, c’erano inoltre<br />

degli strappi e degli squarci che erano tenuti<br />

insieme da toppe incollate sul retro. Anche<br />

qui il telaio è stato sostituito perché non aveva<br />

più la forza di tendere la tela, era un telaio<br />

ormai sconnesso, attaccato molto dal tarlo<br />

e quindi fragile, ed era inoltre rigido e non<br />

permetteva certo l’estensione del dipinto. La<br />

cornice era probabilmente ottocentesca, nera:<br />

abbiamo guardato sotto la laccatura nera se<br />

ci fossero tracce d’oro o di argento, ma non<br />

c’era nulla, era proprio nera, tipica della prima<br />

metà dell’’800. Anche qui lo stesso tipo di<br />

degrado che abbiamo visto precedentemente:<br />

le tessere che ormai si spingono fortemente fra<br />

di loro e se non si interveniva velocemente era<br />

facile trovarsi il dipinto molto più rovinato:<br />

ci voleva davvero poco perché queste<br />

tessere cadessero; rimanevano attaccate<br />

grazie a tutte quelle verniciature che erano<br />

state fatte precedentemente. L’analisi in<br />

lampada di Wood fa notare alcuni ritocchi,<br />

delle ridipinture non coeve con il resto della<br />

pellicola pittorica. La fluorescenza fortissima<br />

che si nota intorno è data dagli strati di vernice<br />

che ormai ossidata e alterata doveva essere<br />

tolta. Questo è il nuovo telaio, munito di<br />

crociera centrale con i vari tensori metallici<br />

che permettono la dilatazione in caso la tela si<br />

debba allentare. Solito tassello di pulitura con<br />

asportazione delle vernici, che in questo caso<br />

è stata piuttosto complessa perché lo strato<br />

di vernici era piuttosto spesso (erano state<br />

fatte almeno tre verniciature); la asportazione<br />

delle vernici avviene all’inizio con miste di<br />

solventi volatili e alla fine quando si arriva alla<br />

pellicola pittorica si agisce anche con il bisturi<br />

per togliere gli ultimi residui. Rappresenta<br />

la Trinità, un soggetto tratto dal passo del<br />

Credo (Cristo siede alla destra del Padre).<br />

Ultima delle opere restaurate, una tela molto<br />

rovinata, con ampi squarci sul lato destro, e sul<br />

petto del santo di sinistra e sulla spalla sinistra<br />

dell’altro santo, provocati molto probabilmente<br />

da qualche colpo che ha preso, tenuti insieme<br />

da delle toppe incollate sul retro con un<br />

collante molto forte, molto probabilmente<br />

una colla da falegname. Il quadro sicuramente<br />

è stato leggermente ridimensionato su tutti<br />

e quattro i lati, forse la parte maggiormente<br />

ridimensionata è quella in alto, in pratica<br />

quell’occhio di cielo, quella luce dove c’è la<br />

colomba era un po’ più alta, infatti i due santi<br />

hanno lo sguardo diretto un po’ più in alto e si<br />

notano i segni del vecchio telaio, quelle pieghe<br />

sul bordo perimetrale che non concordano<br />

assolutamente con il telaio e quindi denotano


R E S T A U R I<br />

un ridimensionamento e poi anche il fatto che<br />

scompare la famosa “ghirlanda” che si fa sul<br />

bordo perimetrale della tela, cioè da chiodo a<br />

chiodo, forma come un arco, invece sul bordo la<br />

tela era tagliata tutta dritta: significa in pratica<br />

che è stato ridimensionato. Erano dei tagli che<br />

facevano anche i restauratori nell’’800 quando<br />

vedevano che la tela era tutta lacerata sul bordo,<br />

pensavano bene di tagliare via la parte lacerata<br />

per poi tendere il dipinto sul nuovo telaio.<br />

Si notano inoltre i piedi che sono proprio al<br />

massimo, sono proprio sul bordo: certamente<br />

in origine il dipinto, anche nella parte bassa,<br />

aveva un po’ più di spazio. Comunque una tela<br />

bellissima. Si notano le toppe che sono state<br />

incollate sul retro. Anche questo è un dipinto<br />

ad olio su tela della dimensioni di cm.176 x<br />

152, quasi quadrato. E’ un dipinto costruito<br />

con due vele cucite in mezzo, anche queste<br />

in puro lino e con una bellissima cucitura.<br />

Anche queste contano molto per dare anche<br />

delle attribuzioni, è giusto proprio dire la<br />

costruzione dell’opera d’arte, come venivano<br />

costruite. Nell’antichità prima di cominciare<br />

a dipingere, ad applicare il colore, c’era una<br />

costruzione tutta particolare del telaio, della<br />

tela, della preparazione. Il telaio, come si nota,<br />

è fisso, quindi anche questo è stato necessario<br />

sostituirlo con un nuovo telaio e poi con delle<br />

aste che sono state sostituite più tardi, poi è<br />

stato messo in piedi in un qualche modo<br />

per poterlo solamente appendere, ma non<br />

è il telaio originale e anche per questo si è<br />

pensato di sostituirlo con un telaio più idoneo.<br />

Questo è un particolare dello spazio<br />

che c’era, manca proprio la tela.<br />

Anche qui si nota una fitta crettatura, e poi qui<br />

si vede solo quella visibile a occhio nudo, con il<br />

videomicroscopio si notava un’altra crettatura<br />

molto più fine, intermedia, che denota che il<br />

dipinto è molto vecchio: è la tipica crettatura<br />

che avviene sui dipinti del ‘500-inizi ‘600.<br />

Questa è un’analisi a lampada di Wood, dove si<br />

notano delle ridipinture, si nota questa rossa…<br />

Anche qui la prova tassello di pulitura. Qui<br />

c’erano molte vernici, almeno due mani di<br />

vernici e poi c’erano anche delle stesure di<br />

olio sopra il dipinto. E’ quello che facevano<br />

specialmente nell’’800 e anche nei primi<br />

del ‘900 quando davano l’olio ai mobili e<br />

veniva dato anche ai dipinti: al momento<br />

apparivano lucidi e belli, però l’olio col<br />

tempo si ossida, diventa nero, attira la<br />

polvere e dopo qualche mese cominciano<br />

a diventare peggio di come erano prima.<br />

Questo è il telaio, sempre in legno tulipier,<br />

che è un legno molto bello, senza nodi,<br />

quindi permette di poter avere delle aste<br />

lunghe senza che si incurvino, è un legno<br />

che è un po’ fra il pioppo e il noce come<br />

consistenza, ma è molto utile proprio per i<br />

telai. E’ stata applicata una traversa intermedia<br />

e tensori angolari di metallo regolabili.<br />

Anche qui la integrazione a selezione<br />

cromatica, a tratteggio, sempre, un tratteggio<br />

che segue l’andamento delle pennellate<br />

originarie. Tutte queste procedure vengono<br />

sempre concordate con la Soprintendenza.<br />

Questa è una videomicroscopia, si vedono<br />

appunto quelle piccole cretature di cui si<br />

diceva prima: fra quelle tessere di quella<br />

specie di mosaico che vedevamo prima,<br />

dentro ad ogni tessera ci sono tutte queste<br />

cretature che ad occhio nudo non sono visibili,<br />

ma che si vedono in videomicroscopia e<br />

denotano proprio che molto probabilmente è<br />

un quadro della fine del ‘500, inizi del ‘600.<br />

Questa è una fotografia in riflettografia, in<br />

pratica sarebbero i raggi infrarossi, e qui si<br />

nota la tecnica: si notano queste pennellate<br />

scure e delle pennellate bianche. Questa<br />

indagine dimostra che le pennellate scure che<br />

sono le ultime, i massimi scuri, e i massimi<br />

chiari (le pennellate bianche) sono state<br />

applicate quando il colore era già secco, quindi<br />

vuol dire che il pittore che ha eseguito l’opera,<br />

deve avere aspettato almeno… io penso 6<br />

o 7 mesi prima di poter applicare i massimi<br />

scuri e i massimi chiari, perché non si sono<br />

minimamente amalgamati con la policromia<br />

che c’era sotto. Erano proprio tecniche,<br />

queste, che per ottenere questi forti contrasti<br />

dovevano attendere che il colore sotto fosse<br />

completamente asciugato. Questa indagini<br />

servono appunto per conoscere la tecnica.<br />

Questa è la mano del santo di sinistra; questa è<br />

sempre una riflettografia e si nota il disegno che<br />

il pittore deve avere eseguito con un pennello<br />

piuttosto piccolo e con del colore nero. Quindi<br />

molto probabilmente prima veniva fatto il<br />

bozzetto, poi veniva ingrandito sulla tela<br />

con una quadrettatura, probabilmente, e poi<br />

il pittore passava con il pennello e del nero.<br />

Qui si nota proprio una facilità di esecuzione<br />

molto forte, era un vero pittore, un vero artista<br />

questo, vista la sicurezza della pennellata.<br />

Questo è il dipinto finito. Si notano quelle<br />

chiazze bianche, queste luci molto forti, e questi<br />

neri, che danno appunto questo insieme molto<br />

contrastato ma che è dato proprio dalla tecnica,<br />

questi scuri e chiari applicati quando il dipinto<br />

era già perfettamente asciutto, altrimenti questi<br />

contrasti sarebbero impossibili da ottenere.<br />

Adesso facciamo una carrellata di immagini:<br />

erano dipinti che erano stati restaurati alcuni<br />

decenni orsono, infatti in accordo con la<br />

Soprintendenza si è optato per un restauro<br />

conservativo. Questo è il Mosè. Si è mantenuta<br />

la foderatura precedente perché era ancora<br />

buona, si sono applicati i tensori e soprattutto<br />

si è data una pulitura alla superficie perché sia<br />

i vecchi ritocchi che le vernici si erano ormai<br />

alterati a tal punto che rendevano illeggibile<br />

l’opera nei suoi giusti valori. Anche le cornici,<br />

che sono molto belle, sono state recuperate<br />

totalmente. Qui si vede un velo grigiastro<br />

che ricopre tutta l’opera e la manutenzione<br />

dice che queste vernici dopo un certo periodo<br />

(dipende anche dal luogo di collocazione<br />

e da tanti fattori) diventano gialle o grigie e<br />

vanno sostituite. Ecco questa è l’opera finita.<br />

In questo quadro non ci sono stati particolari<br />

ritocchi ma solo un’opera di asportazione delle<br />

vernici, pulitura del retro, e sono stati mantenuti<br />

sia la foderatura che il telaio anche se non era<br />

originale, e sono stati applicati i tensori angolari.<br />

Questo è Giosuè. Anche qui si notano bene le<br />

parti chiare che sono i vecchi ritocchi, molto<br />

probabilmente eseguiti a tempera all’uovo<br />

che con il tempo diventano bianchi, mentre<br />

l’olio diventa nero, e poi un po’ di sporcizia<br />

su tutta la superficie che disturba certamente<br />

la lettura e che deve essere rimossa.<br />

Davide, con la cetra e la corona. Anche qui<br />

la stessa cosa. Questi quattro dipinti sono<br />

tutti delle dimensioni di cm 92 x 62. Sono<br />

piuttosto belli, una bella luce. Anche qui<br />

vedete parecchi ritocchi che con il tempo<br />

si sono alterati e che devono essere tolti.<br />

Queste invece sono altre 7 opere. Questo è il<br />

ritratto della Sibilla Persica, che è una copia<br />

del Guercino, che aveva eseguito nel 1647.<br />

E’ una bella copia, ottocentesca, l’unica cosa<br />

che manca dell’originale è una scritta qui sul<br />

libro, “Sibilla Persica”, che il Guercino aveva<br />

eseguito ma che nella copia è stata omessa.<br />

Anche questo quadro era molto sporco; forse<br />

nella fotografia i bagliori sono un po’ troppo<br />

forti e comunque… Anche qui è stato praticato<br />

un intervento di manutenzione, asportazione<br />

dei ritocchi e delle vernici, la solita pulitura<br />

sul retro e applicazione dei tensori angolari.<br />

Questo è il Ritratto denominato “di gentildonna<br />

con il cappello”; qui sono chiari i ritocchi<br />

e i bianchi che si sono fortemente alterati,<br />

specialmente sul braccio, un po’ dappertutto.<br />

E’ una vernice che ormai si è talmente<br />

alterata che doveva essere tolta totalmente.<br />

E questo è il dipinto pulito. Naturalmente<br />

quando si puliscono questi quadri vengono<br />

asportate sia le vernici che i ritocchi, che<br />

poi vengono rifatti in modo più opportuno.<br />

Questo è il Ritratto di Annamaria Faita<br />

Porcelli. Anche qui stessa cosa: dopo<br />

la pulitura i colori diventano molto più<br />

luminosi e il quadro acquista tantissimo.<br />

Anche il Ritratto di gentiluomo era molto<br />

deteriorato dai depositi di vernici; il rosso<br />

del mantello ora è molto più luminoso,<br />

anche tutta la decorazione dell’abito.<br />

Questo è il Ritratto di gentildonna, non si sa chi<br />

sia; molto bello questo manto, questo vestito,<br />

solo che lì non era leggibile e dopo la pulitura<br />

si nota molto bene, l’abito e la sua preziosità.<br />

Questo era quello che era ridotto peggio:<br />

vedete queste chiazze bianche che denotano<br />

dei ritocchi piuttosto estesi e che andavano a<br />

interessare anche parte della cromia originale.<br />

Si è fatta una asportazione generale di tutti<br />

questi ritocchi e delle vernici. La scritta non<br />

era forse stata ben capita, non l’avevano<br />

ritoccata neanche nel modo giusto. Questa<br />

scritta la si è vista bene con la reflettografia,<br />

si è visto sotto cosa c’era veramente scritto,<br />

quindi si è andati a ritoccarlo. Ritratto<br />

molto interessante e piuttosto bello.<br />

L’ultimo, il Ritratto di Luigi Chiozzi: era<br />

molto opacizzato e ingrigito da questi depositi<br />

di vernici e fumi, su tutta la superficie.<br />

C’era una cornice che era in condizioni<br />

talmente disastrate che si è resa necessaria<br />

una sostituzione, con una cornice ancora<br />

più bella. Il quadro è interessante, si nota il<br />

viso molto intenso, molto bello. Sono state<br />

fatte delle analisi particolareggiate sulla<br />

pellicola pittorica, sul tipo di pennellata che<br />

potranno essere utili per una attribuzione.<br />

Trascrizione di Letizia Frigerio<br />

29


30<br />

CENTRO DI DOCUMENTAZIONE<br />

Attività del<br />

Centro di Documentazione 2007<br />

Contestualmente all’apertura delle sale del<br />

<strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> è stato attivato il Centro di<br />

Documentazione con l’allestimento al piano<br />

terra di una sala dedicata all’arte sacra e<br />

all’opera di Palmiro Vezzoni, e la creazione<br />

della biblioteca del <strong>Museo</strong> comprendente,<br />

oltre a un fondo librario in formazione, anche<br />

numerosi materiali d’archivio.<br />

Tale Centro intende sviluppare quattro filoni:<br />

a) Relativamente al <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>, la<br />

funzione primaria del Centro è quella<br />

di raccogliere tutta la documentazione<br />

manoscritta e a stampa sull’opera di<br />

Giuseppe <strong>Diotti</strong> e la schedatura completa<br />

dei dipinti, dei disegni e di tutte le<br />

opere conosciute della sua scuola, da<br />

aggiornarsi costantemente in base alle<br />

segnalazioni pervenute e alle ricerche<br />

messe in campo; in prospettiva, gli<br />

studi sulla scuola del <strong>Diotti</strong> potrebbero<br />

estendersi, in generale, all’Ottocento<br />

cremonese.<br />

b) Il Centro si occupa in particolare degli<br />

artisti locali, o che abbiano avuto<br />

rapporti con la città di Casalmaggiore,<br />

a partire dalla seconda metà<br />

dell’Ottocento sino ad oggi, non solo<br />

promuovendo il censimento fotografico<br />

e la catalogazione delle opere prodotte<br />

conservate in collezioni pubbliche<br />

e private, ma soprattutto favorendo<br />

la conservazione e l’acquisizione di<br />

archivi d’artista (materiali di studio,<br />

appunti, schizzi, corrispondenza,<br />

biblioteca personale, cataloghi delle<br />

mostre). L’attività espositiva condotta<br />

negli ultimi anni ha già consentito<br />

la costituzione di un primo corpus<br />

di materiale documentario, a volte<br />

fortunosamente recuperato e altrimenti<br />

destinato alla dispersione. Sono stati<br />

raccolti materiali d’archivio relativi al<br />

pittore Mario Beltrami (1902-1979), al<br />

pittore Goliardo Padova (1909-1979) e<br />

allo scultore Carlo Cerati (1865-1948).<br />

E’ inoltre in corso di allestimento una<br />

raccolta in originale, in fotocopia e su<br />

supporto digitale dei cataloghi delle<br />

esposizioni collettive a Casalmaggiore<br />

dal 1865 ai giorni nostri. Le biblioteche<br />

personali degli artisti eventualmente<br />

acquisite costituiranno dei fondi<br />

specifici, di cui i singoli titoli entreranno<br />

comunque a far parte del catalogo<br />

generale della biblioteca specializzata<br />

delle Civiche raccolte d’arte.<br />

c) La centralità dei temi religiosi nella<br />

produzione artistica di Giuseppe <strong>Diotti</strong> e<br />

della sua scuola ha suggerito di ampliare<br />

il campo di studio a tutto il fenomeno<br />

dell’arte sacra nel territorio casalasco<br />

e cremonese nei secoli XIX e XX. La<br />

donazione Vezzoni costituisce, in tal<br />

senso, una premessa fondamentale<br />

per avviare e sviluppare tale lavoro di<br />

documentazione<br />

d) La recente proposta di donazione di<br />

alcune raccolte di grafica (è già stata<br />

acquisita, ad esempio, quella della<br />

pittrice milanese Elena Mezzadra<br />

a cui è stata dedicata recentemente<br />

un’antologica), di disegni e di<br />

fotografie, suggerisce – per la qualità<br />

dei materiali offerti – la possibilità<br />

di una specializzazione del Centro<br />

di Documentazione in ambiti ancora<br />

poco seguiti nelle raccolte lombarde,<br />

relativamente alla produzione e<br />

documentazione artistica degli anni più<br />

recenti, soprattutto per quegli autori,<br />

spesso di grande rilievo, operanti ai<br />

margini del mercato dell’arte.<br />

Sala dell’arte sacra di Palmiro Vezzoni<br />

In questa sala trova spazio una ricostruzione<br />

ideale dell’atelier di Palmiro Vezzoni, il<br />

pittore certamente più rappresentativo nel<br />

campo dell’arte sacra.<br />

Nato a Rivarolo del Re nel 1908, Palmiro<br />

Vezzoni studia a Milano all’Accademia di<br />

Brera, dove è allievo di Ambrogio Alciati,<br />

Giuseppe Palanti e di Aldo Carpi, e dove<br />

riceve due premi nel 1926 e nel 1927.<br />

Frequenta anche i corsi artistici della scuola<br />

del Castello Sforzesco.<br />

All’inizio degli anni Quaranta intraprende<br />

una feconda attività di decoratore e<br />

restauratore nelle chiese del territorio che<br />

proseguirà soprattutto nel dopoguerra, con la<br />

realizzazione di affreschi nelle parrocchiali di<br />

Ardole San Marino, Quattrocase, Scandolara<br />

Ravara, Rivarolo del Re, Casaletto e Cizzolo.<br />

Oltre i confini locali, la sua attività tocca<br />

località più lontane quali San Colombano,


CENTRO DI DOCUMENTAZIONE<br />

Carrara e alcuni centri della diocesi bresciana.<br />

Di queste grandi imprese restano numerosi<br />

cartoni in scala reale per gli affreschi,<br />

progetti di decorazione d’insieme realizzati<br />

ad acquarello e numerosi bozzetti di singole<br />

scene religiose; una parte significativa di<br />

queste opere è esposta alle pareti di questa<br />

sala e nell’adiacente biblioteca.<br />

Alla pittura sacra Vezzoni affianca una pittura<br />

di genere o di natura morta (alcuni esempi<br />

sono esposti in biblioteca), con intento<br />

decorativo di dimore private, come in alcune<br />

ville di Rivarolo del Re. Nel 1963 esegue, tra<br />

l’altro, gli affreschi del salone centrale della<br />

Direzione Provinciale delle Poste e delle<br />

telecomunicazioni di Cremona.<br />

Artista di profonda fede e amico di don<br />

Mazzolari, Palmiro Vezzoni, scomparso nel<br />

1997, trova ora nel <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> una prima<br />

occasione di pieno riconoscimento del suo<br />

valore, grazie alla donazione, da parte delle<br />

figlie Maria e Luisa, di un consistente fondo<br />

comprendente anche gli strumenti di lavoro<br />

dell’atelier, come ad esempio il monumentale<br />

cavalletto posto all’ingresso del Centro di<br />

documentazione.<br />

I materiali esposti, ancora in parte da studiare,<br />

sono oggetto di una ricerca in corso, i cui<br />

risultati saranno pubblicati nel 2009.<br />

La Biblioteca del <strong>Museo</strong><br />

Si è costituita nel marzo 2007 a partire da<br />

alcuni piccoli nuclei di volumi e riviste della<br />

Scuola di Disegno “Giuseppe Bottoli” e da<br />

un deposito di libri della Biblioteca Civica<br />

“A. E. Mortara”. La sua dotazione è poi stata<br />

arricchita da alcuni doni, in particolare da<br />

parte di chi scrive (circa 200 pubblicazioni di<br />

arte moderna e contemporanea), di Fiammetta<br />

Padova (110 cataloghi di mostre di artisti del<br />

‘900), di Florenzio Padova (alcuni cataloghi<br />

di mostre del padre Goliardo), di Elena<br />

Mezzadra (monografie, cataloghi e libri<br />

d’artista), dello studioso Ulisse Bocchi (una<br />

decina di monografie sulla natura morta in<br />

Italia e sui beni artistici nel casalasco) e di<br />

Ombretta Vecchini (vecchie e antiche edizioni<br />

di pregio appartenute al padre Giulio, scultore<br />

intagliatore).<br />

La biblioteca, accessibile agli studiosi solo<br />

su richiesta, intende proporsi come sezione<br />

specialistica collegata alla Biblioteca Civica,<br />

relativamente a tre principali ambiti:<br />

- arte e artisti (non solo locali) legati al<br />

territorio, ovvero gli “artisti del <strong>Museo</strong>”;<br />

- arte contemporanea;<br />

- beni culturali e museologia.<br />

In alto a destra:<br />

Lo studio del pittore Palmiro Vezzoni a Rivarolo<br />

del Re (Cremona).<br />

Sotto:<br />

La sala del Centro di documentazione dedicata<br />

all’arte sacra di Palmiro Vezzoni.<br />

31


Sistema Museale<br />

della Provincia di Cremona<br />

Comitato di Coordinamento<br />

Cremona, corso Vittorio Emanuele 17<br />

Tel. 0372 406345<br />

cultura@provincia.cremona.it<br />

CASALMAGGIORE - EDIZIONI BIBLIOTECA A. E. MORTARA - Maggio 2008 ISBN 88-88-087-30-3

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