File pdf - Museo Diotti
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2 07<br />
Notiziario del <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> - Casalmaggiore<br />
MUSEO DIOTTI
2<br />
ATTIVITA’ DEL DEL MUSEO MUSEO - - EVENTI<br />
EVENTI<br />
“2007” (Notiziario (Notiziario del <strong>Museo</strong> <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>)<br />
<strong>Diotti</strong>)<br />
non è un periodico, né un bollettino bollettino di<br />
di<br />
studi, ma ma un un contenitore contenitore in in cui cui sedimentare,<br />
sedimentare,<br />
secondo vari vari livelli livelli di di approfondimento,<br />
approfondimento,<br />
tutte le attività svolte presso il <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>.<br />
“2007” inaugura una serie di numeri<br />
numeri<br />
unici, che che cambieranno cambieranno ogni volta titolo<br />
e veste, veste, non non vincolati vincolati a a cadenze, cadenze, ma<br />
ma<br />
editati solo quando si presentano la<br />
necessità e l’opportunità di poterli poterli fare.<br />
Stampato in in poche copie digitali che<br />
possono essere essere acquistate acquistate direttamente<br />
al <strong>Museo</strong>, viene diffuso gratuitamente gratuitamente in<br />
in<br />
rete attraverso il sito del <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>.<br />
Ne sono sono principali redattori Roberta<br />
Ronda (Direttore (Direttore dei dei Musei Civici Civici e<br />
e<br />
Responsabile dei dei Servizi Servizi Educativi), Educativi), Valter<br />
Valter<br />
Rosa (Conservatore (Conservatore delle Civiche Raccolte<br />
d’Arte), Arte), con con la la collaborazione collaborazione di Letizia<br />
Letizia<br />
Frigerio (Segreteria e e Uffi cio stampa) e<br />
di Luisa Luisa Zanacchi Zanacchi (operatrice (operatrice didattica).<br />
didattica).<br />
I temi trattati trattati in queste pagine sono sono quelli<br />
relativi a mostre, conferenze, didattica<br />
e attività legate al al patrimonio patrimonio e e alla<br />
alla<br />
conservazione, svolte nell’anno anno 2007. Molti<br />
testi sono sono la trascrizione di di conferenze e ne<br />
mantengono la la forma forma colloquiale. colloquiale. Poiché Poich Poiché la<br />
programmazione di queste queste iniziative iniziative segue<br />
segue<br />
gli obiettivi obiettivi generali che il il <strong>Museo</strong> <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> <strong>Diotti</strong> si<br />
si è<br />
dato nel nel suo suo atto atto costitutivo, costitutivo, il notiziario notiziario si<br />
offre anche come come una una prima prima verifi verifi ca ca del del lavoro<br />
lavoro<br />
svolto in relazione alle fi nalità qui riportate.<br />
riportate.<br />
Il <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> fa proprie innanzitutto le<br />
fi nalità generali di ogni istituzione museale<br />
defi nite dall’International Council Council of Museums<br />
e costituisce “un’istituzione permanente,<br />
senza fi fi ni ni di di lucro, lucro, al al servizio servizio della della società<br />
societ<br />
e del del suo suo sviluppo, sviluppo, aperta aperta al al pubblico,<br />
pubblico,<br />
che conduce attività di ricerca su tutte tutte le<br />
le<br />
testimonianze materiali materiali dell’uomo dell’uomo e e del<br />
suo ambiente, le colleziona, le conserva, ne<br />
ne<br />
diffonde la conoscenza e soprattutto le espone<br />
espone<br />
con fi nalità di studio, studio, di di didattica didattica e e di di diletto diletto”.<br />
Il <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> è un’istituzione civica<br />
che intende intende alimentare nei cittadini la<br />
consapevolezza dell’importanza del patrimonio,<br />
quale premessa indispensabile per<br />
per<br />
una sua più effi cace cace tutela tutela e e valorizzazione;<br />
valorizzazione;<br />
è inoltre un un luogo luogo privilegiato privilegiato in in cui<br />
cui<br />
l’identità artistica del territorio trova la<br />
massima espressione espressione e, e, nello nello stesso stesso tempo,<br />
tempo,<br />
si apre apre al confronto con forme artistiche e<br />
pubblici di diversa natura natura e e provenienza.<br />
provenienza.<br />
Finalità specifi che del del <strong>Museo</strong> <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> <strong>Diotti</strong> sono:<br />
sono:<br />
1) riunire, per quanto possibile, in un’unica<br />
sede il patrimonio delle Civiche Raccolte<br />
d’Arte, garantendone garantendone in in questo questo modo modo una<br />
una<br />
miglior conservazione, valorizzazione e<br />
fruizione pubblica;<br />
2) dare visibilità al patrimonio artistico<br />
artistico<br />
locale conferendogli conferendogli signifi signifi cativit catività entro<br />
un disegno storico-culturale tradotto<br />
nel percorso espositivo;<br />
3) valorizzare il il periodo periodo compreso compreso fra fra l’età<br />
l’et<br />
teresiana e l’unità d’Italia in quanto<br />
momento culturale fecondo della della storia<br />
storia<br />
cittadina;<br />
4) assecondare, attraverso attraverso le le scelte scelte espoespo-<br />
5)<br />
sitive, l’antica vocazione didattica del<br />
palazzo in cui Giuseppe <strong>Diotti</strong> tenne<br />
un’accademia privata e allestì una<br />
raccolta d’arte già aperta al pubblico ed<br />
oggi dispersa;<br />
documentare documentare la produzione degli artisti<br />
locali del Novecento più signifi cativi<br />
e di una certa visibilità nel panorama<br />
nazionale, con particolare riguardo<br />
6) all’atelier e al metodo di lavoro dell’artista;<br />
documentare, attraverso opere di autori<br />
estranei al territorio, il collezionismo<br />
locale e l’attività espositiva fra Otto<br />
e Novecento, fi no ai giorni nostri;<br />
7) svolgere e favorire attività di ricerca,<br />
espositive ed editoriali nei settori<br />
d’interesse del <strong>Museo</strong>, anche in<br />
collaborazione con altri musei,<br />
Università ed Istituti di ricerca;<br />
8) proporre, attraverso l’attività espositiva<br />
temporanea, occasioni di conoscenza<br />
della produzione artistica contemporanea;<br />
9) favorire l’inserimento del <strong>Museo</strong><br />
entro reti territoriali e tematiche, con<br />
particolare riguardo ai circuiti del<br />
turismo culturale, in collaborazione con<br />
altre istituzioni della città e del territorio;<br />
10) promuovere attività didattiche, percorsi<br />
e e laboratori specifi camente pensati per<br />
i docenti e le scolaresche; realizzare<br />
progetti in partenariato con la scuola;<br />
valorizzare i servizi educativi in quanto<br />
requisito qualifi cante di un museo<br />
attento alle esigenze dei diversi pubblici;<br />
11) incrementare in modo coerente le<br />
collezioni attraverso gli acquisti,<br />
ma anche ricercando forme di<br />
contribuzione contribuzione pubblica, favorendo il<br />
mecenatismo mecenatismo privato e sollecitando<br />
sponsorizzazioni, donazioni e depositi;<br />
12) provvedere agli interventi di restauro<br />
che che dovessero rendersi necessari per<br />
la miglior conservazione delle opere e<br />
accogliere in deposito a fi ni conservativi<br />
opere a rischio di dispersione;<br />
13) istituire rapporti di collaborazione<br />
con le associazioni del territorio che<br />
operano nel campo artistico e culturale.<br />
C A L E N D A R I O<br />
Lunedì 18 dicembre 2006, ore 18<br />
Milano, Galleria d’Arte Moderna, Salone<br />
delle Colonne<br />
Presentazione uffi ciale del <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong><br />
(relatore Valter Rosa) nell’ambito della<br />
Giornata di studi dedicata a Giovanni<br />
Carnovali detto il Piccio.<br />
giovedì 29 marzo 2007, ore 11, presso il<br />
<strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong><br />
Presentazione alla stampa: il Sindaco<br />
di Casalmaggiore Luciano Toscani,<br />
l’assessore alla Cultura Francesco<br />
Sanfi lippo e il conservatore Valter Rosa<br />
presentano alla stampa il <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>.<br />
Venerdì 30 marzo 2007<br />
Ore 17, Istituto Santa Chiara<br />
Presentazione dell’apertura del <strong>Museo</strong><br />
<strong>Diotti</strong>.<br />
Relatori: il Sindaco di Casalmaggiore<br />
Luciano Toscani, il Presidente del<br />
Consiglio della Regione Lombardia<br />
Ettore A. Albertoni, il Presidente della<br />
Provincia di Cremona on. Giuseppe<br />
Torchio, il Soprintendente per i Beni<br />
Architettonici e per il Paesaggio Luca<br />
Rinaldi, l’architetto Giacomo Zani e il<br />
conservatore del museo Valter Rosa.<br />
Ore 18, <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong><br />
Cerimonia dell’inaugurazione con<br />
benedizione del luogo da parte del<br />
parrocco di Santo Stefano don Alberto<br />
Franzini.<br />
Per l’occasione vengono pubblicate e<br />
diffuse la prima guida breve (pp. 16) del<br />
<strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> e una cartolina con speciale<br />
annullo fi latelico.<br />
Contestualmente con l’apertura del<br />
<strong>Museo</strong>, vengono inaugurate due mostre:<br />
- L’opera incisa di Gianfranco<br />
Manara, allestita al primo piano<br />
nelle due sale sopra le rimesse<br />
delle vetture;<br />
- I Padova di Florenzio.<br />
Antologica di Goliardo Padova<br />
dalla collezione del fi glio<br />
Florenzio, allestita fi no al 7<br />
ottobre nello Spazio Rossari e<br />
nel Laboratorio didattico.<br />
8, 15, 25 aprile, 1, 13, 27 maggio<br />
Inserimento del <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> nel<br />
percorso delle “Visite di primavera”<br />
proposte in collaborazione con<br />
l’Associazione Pro Loco.<br />
15 aprile, 6 e 27 maggio<br />
Tappe di gara dell’iniziativa “Chi trova<br />
un museo trova un tesoro” realizzata<br />
in collaborazione con il GAL Oglio Po<br />
Terre d’acqua.<br />
Domenica 6 maggio, ore 17,<br />
Conferenza: “L’opera incisa di<br />
Gianfranco Manara”: incontro in<br />
occasione della mostra omonima, a<br />
cura di Stefano Fugazza, Direttore della<br />
Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di<br />
Piacenza. Intervengono anche Valter<br />
Rosa e Francesco Garrone, curatore del<br />
Catalogo ragionato delle acqueforti,<br />
puntesecche e litografi e (2004). Presente<br />
la moglie dell’artista Maria Giovanna<br />
Brovetto Rondo. Segue visita guidata<br />
alla mostra.
ATTIVITA’ DEL DEL MUSEO MUSEO - - EVENTI<br />
EVENTI<br />
Sabato 19 maggio, ore 17<br />
Conferenza-intervista: In occasione<br />
della mostra “I Padova di Florenzio”,<br />
Conversazione sulla pittura di<br />
Goliardo Padova, a cura di Valter Rosa<br />
e Florenzio Padova.<br />
Domenica 20 maggio<br />
Visite guidate: In occasione della IX<br />
Settimana della Cultura “C’è l’arte<br />
per te”, visite guidate per adulti a cura<br />
del Conservatore. Partecipa alla visita<br />
una delegazione della Società Storica<br />
Viadanese.<br />
Visita V animata per ragazzi e famiglie a<br />
cura di Luisa Zanacchi.<br />
Giovedì 24 maggio<br />
Visita dell’ANISA di Cremona.<br />
Venerdì 25 maggio<br />
Mini mostre-maxi opere: da oggi sino<br />
al 31 dicembre 2007 è esposto un dipinto<br />
di Giovanni Carnovali raffi gurante<br />
l’Adorazione dei magi di collezione<br />
privata. L’opera viene collocata sopra<br />
un antico cavalletto nella sala del<br />
Giuramento di Pontida.<br />
Sabato 26 maggio, ore 17<br />
Conferenza-proiezione: Presentazione<br />
del fi lmato “Giovanni Carnovali<br />
detto il Piccio (1804-1873) attraverso<br />
i luoghi della sua vita e della<br />
sua pittura” realizzato da Achille<br />
Locatelli e Carolina De Vittori, a cura<br />
dell’Associazione Culturale Amici di<br />
Giovanni Carnovali detto il Piccio,<br />
Montegrino (Varese). Dopo la relazione<br />
introduttiva di Carolina De Vittori, segue<br />
la proiezione del fi lmato.<br />
Fine maggio- inizio giugno<br />
Riallestimento della vetrina nella sala<br />
del Giuramento di Pontida con alcune<br />
nuove opere concesse in deposito dal<br />
nob. Pietro Longari Ponzone, fra cui un<br />
disegno di Giovanni Carnovali.<br />
Domenica 3 giugno, Brescia, via dei<br />
Musei, ore 10-18<br />
Apertura di uno stand del <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong><br />
in occasione della Festa di Santa Giulia.<br />
Martedì 6 giugno, ore 19<br />
Visita guidata a cura del Conservatore<br />
per i soci del Rotary Club Casalmaggiore<br />
Oglio Po.<br />
Mercoledì 13 giugno, ore 21<br />
Conferenza: Civiche Raccolte<br />
d’Arte: presentazione dei restauri<br />
recenti a cura dello Studio di restauro<br />
Dario e Marco Sanguanini di Rivarolo<br />
Mantovano, con intervento di Giovanni<br />
Rodella, funzionario di zona della<br />
Soprintendenza per il Patrimonio<br />
Storico, Artistico ed Etnoantropologico<br />
delle Province di Brescia, Cremona e<br />
Mantova. In sala sono esposti la Trinità<br />
di M.A, Ghislina e Simone e Giuda di<br />
scuola bresciana del Cinquecento.<br />
Mercoledì 27 giugno, ore 21<br />
Serata fi nale di premiazione<br />
dell’iniziativa “Chi trova un museo<br />
trova un tesoro” realizzata dalla rete<br />
Leadermuseum del GAL Oglio Po Terre<br />
d’acqua.<br />
Giovedì 28 giugno, ore 21-23<br />
Apertura straordinaria serale gratuita con<br />
visite guidate in occasione dell’iniziativa<br />
“I giovedì dei commercianti”.<br />
Mercoledì 18 luglio, ore 21,<br />
Inaugurazione di due installazioni<br />
di giovani artisti, presentate dal<br />
Conservatore ed esposte sino al 30<br />
agosto.<br />
- Nel Laboratorio didattico: Michele<br />
Napoli, Forma, ambiente sonoro.<br />
Cinque sfere in ceramica, terracotta<br />
e gesso;<br />
- Nel cortile del del <strong>Museo</strong>: Luisa<br />
Vanzetta, Bosco sonoro.<br />
Installazione sonora in abete rosso<br />
da risonanza della Val di Fiemme.<br />
L’evento si colloca nell’ambito delle<br />
iniziative a latere del “Casalmaggiore<br />
International Festival”.<br />
Con questa mostra prende avvio<br />
l’iniziativa “Lettera d’artista”, un<br />
foglio A4 di carta intestata del <strong>Museo</strong><br />
sul quale ciascun artista è invitato ad<br />
autopresentarsi o a presentare il proprio<br />
lavoro o ad esprimere un pensiero.<br />
Sabato 15 settembre 2007, ore 17<br />
Presentazione catalogo: Presentazione<br />
del volume di Valter Rosa, Goliardo<br />
Padova. Catalogo della mostra “I<br />
Padova di Florenzio”. Seguito dal<br />
catalogo delle opere dell’artista<br />
conservate nelle Civiche Raccolte d’Arte<br />
di Casalmaggiore, Casalmaggiore,<br />
Biblioteca A. E. Mortara, 2007.<br />
Inaugurazione: Saletta della quadreria<br />
dei benefattori della Fondazione Conte<br />
Busi onlus, allestita nel laboratorio di<br />
restauro, ora punto di connessione fra la<br />
sala didattica e l’ala del Palazzo <strong>Diotti</strong><br />
occupata dal Centro di documentazione e<br />
dallo Spazio Rossari.<br />
Sabato 22 settembre<br />
Visita guidata, a cura del Conservatore,<br />
del CdA della Fondazione Conte Busi<br />
onlus di Casalmaggiore.<br />
Sabato 29 settembre, ore 20,30-23,30<br />
Una notte al <strong>Museo</strong>. <strong>Museo</strong><br />
Concerto L’opera ... da Camera<br />
del<br />
Trio Fernando Fernando Sor<br />
Sor (M. P. Morijon,<br />
mezzosoprano; mezzosoprano D. Gaspari, tenore; M.<br />
Zanatta, chitarra) chitarra nello Spazio Rossari.<br />
Visita animata<br />
per ragazzi e famiglie a<br />
cura di Luisa Zanacchi.<br />
Martedì 2 ottobre<br />
Visita guidata<br />
di rappresentanti della<br />
Delegazione ONU dei Popoli.<br />
Giovedì 18 ottobre 2007<br />
Conferenza stampa stampa: stampa l’assessore<br />
alla cultura Francesco Sanfi lippo,<br />
lippo, la<br />
Responsabile dei Servizi Educativi<br />
dei Musei Civici Roberta Ronda e<br />
l’operatrice operatrice didattica Luisa Zanacchi<br />
presentano i 13 percorsi predisposti dal<br />
<strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> per le scuole.<br />
Sabato 20 ottobre 2007, ore 17<br />
Inaugurazione mostra: mostra Laura Locci,<br />
Mani di fata. Sculture in maglia di lana, lana<br />
aperta sino al 18 novembre nello Spazio<br />
Rossari. Presentazione a cura di V. Rosa. Rosa<br />
Viene diffusa diffusa la<br />
la “Lettera d’artista” n. 3.<br />
Domenica 21 ottobre, Casteldidone,<br />
Cascina Cavalca, ore 17-19<br />
Apertura di uno stand del <strong>Museo</strong><br />
<strong>Diotti</strong> in occasione della manifestazione<br />
“Nonsolomelone”.<br />
1, 2, 3, 4 novembre 2007<br />
Apertura gratuita del <strong>Museo</strong> in<br />
occasione della Fiera di San Carlo.<br />
Sabato 24 novembre 2007, ore 15<br />
Visita guidata<br />
a cura del Conservatore<br />
per la delegazione cremonese del FAI<br />
coordinata da Paola Murador Oradini.<br />
Lunedì 10 dicembre, Milano, Auditorium<br />
“Giorgio Gaber”, Gaber”, ore ore 14<br />
14<br />
La qualità entra al museo! Cerimonia<br />
di consegna del marchio ai Musei e<br />
alle Raccolte museali riconosciuti dalla<br />
Regione Lombardia.<br />
Sabato 15 dicembre 2007, ore 17<br />
Inaugurazione mostra: mostra Animula vagula<br />
blandula di Giorgio Tentolini Tentolini, Tentolini allestita<br />
nello Spazio Rossari e aperta sino al 27<br />
gennaio 2008. Presentazione di Valter<br />
Rosa. Per l’occasione l’<br />
Tentolini realizza<br />
un catalogo-opera diffuso gratuitamente<br />
gratuitamente<br />
e proposto incorniciato e fi rmato rmato come<br />
come<br />
gadget del <strong>Museo</strong>.<br />
Viene diffusa la<br />
“Lettera d’artista” n. 4.<br />
3
4<br />
E S P O S I Z I O N I<br />
Mostre 2007<br />
Goliardo Padova, Gianfranco Manara,<br />
Giorgio Tentolini, Laura Locci, Luisa<br />
Vanzetta e Michele Napoli sono i nomi<br />
degli artisti presentati con antologiche o<br />
installazioni nel 2007 al <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>.<br />
Di Goliardo Padova abbiamo dato conto<br />
nel relativo catalogo e, in questa sede,<br />
nella sezione delle conferenze. Per<br />
quanto riguarda Gianfranco Manara, di<br />
cui si è tenuta una mostra di incisioni<br />
e una conferenza del prof. Stefano<br />
Fugazza, direttore della Galleria d’Arte<br />
Moderna Ricci Oddi di Piacenza, i<br />
materiali raccolti confluiranno nel<br />
prossimo notiziario.<br />
Vogliamo qui dare spazio invece del<br />
lavoro dei giovanissimi, a partire dagli<br />
artisti in formazione, come i già bravi<br />
Vanzetta, Napoli e Locci, neodiplomati<br />
dell’Accademia di Brera, che<br />
presentiamo attraverso alcune immagini<br />
delle loro installazioni e soprattutto<br />
attraverso le loro “lettere d’artista”,<br />
mentre aggiungiamo un testo critico<br />
sulle opere di Giorgio Tentolini, giovane<br />
artista locale già presente sulla scena<br />
internazionale, il cui lavoro si presta a<br />
qualche considerazione sull’uso della<br />
storia dell’arte nella critica.<br />
LUISA VANZETTA<br />
Lettera d’artista n. 1<br />
BOSCO SONORO<br />
Quando mi allontano dalla mia valle, soffro<br />
del distacco e gioisco dell’abbraccio che essa<br />
mi offre ad ogni ritorno.<br />
Da questo è nata l’esigenza di realizzare<br />
un lavoro per il bosco, il nostro bosco, e di<br />
stringere una collaborazione con la Magnifica<br />
Comunità di Fiemme che nei secoli ha saputo<br />
conservare e valorizzare questo bosco,<br />
ritenendolo il primo bene della valle.<br />
Tutto quello che percepiamo attraverso la<br />
vista e l’udito giunge a noi tramite onde,<br />
onde sonore o luminose. Attraverso questa<br />
installazione sonora voglio rendere visibile<br />
l’onda che si propaga nello spazio. L’energia<br />
che mette in vibrazione la prima tavoletta si<br />
trasmette con un effetto a catena alle tavolette<br />
successive producendo un suono che si propaga<br />
nell’etere, e il processo di trasmissione del<br />
suono che avviene in ogni singola tavoletta di<br />
legno diventa evidente nell’intera struttura.<br />
Ogni tavoletta comunica con la successiva<br />
e con la precedente, insieme comunicano<br />
all’aria. Sette le serie di tavolette, come sette<br />
le note musicali e sette i colori dello spettro<br />
solare che si manifestano sia nella colorazione<br />
delle tavolette sia nella lunghezza delle stesse<br />
che riportano ingigantita la lunghezza d’onda<br />
d’ogni singolo colore.<br />
Così il bosco compare sia visivamente, - la<br />
luce filtra dall’alto fra i rami, passa attraverso<br />
l’umidità del mattino e si scompone in mille<br />
colori, - sia nei suoi suoni legnosi, come quelli<br />
del picchio, dello scricchiolio nel vento, dei<br />
boscaioli che lo curano.<br />
Il protagonista assoluto è il legno. Quelli che si<br />
ottengono sono suoni di legno.<br />
Al suo interno la vibrazione percorre il suo<br />
spazio; spostandosi nello spazio, si trasmette<br />
al pezzo successivo e così via. Lo spazio è<br />
percorso, misurato sia visivamente, attraverso<br />
il movimento delle tavolette, sia sonoramente,<br />
dalle onde sonore trasmesse all’aria con un<br />
“tic toc” ritmico che misura il tempo, a volte<br />
frenetico, a volte tranquillo.<br />
Un grazie ad Alessandro Tossani, maestro liutaio.<br />
Luisa Vanzetta<br />
Nata a Cavalese nel 1976, consegue la maturità<br />
d’arte applicata presso l’Istituto d’Arte di Pozza di<br />
Fassa. Dopo esperienze lavorative diverse, tra cui<br />
quella di grafico in uno studio di comunicazione<br />
pubblicitaria, si trasferisce nel 2001 a Milano<br />
dove frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera,<br />
conseguendo il diploma nel corso di Scultura. In<br />
questi anni partecipa a diverse mostre collettive, tra<br />
cui il “Salon Primo” al palazzo della Permanente<br />
nel 2002, “Le stanze del cibo” al Macef nel 2005<br />
e “- passato + domani” al Centro Leoni di Milano<br />
sempre nello stesso anno. Nel 2004 realizza una<br />
Madonna Assunta lignea per la chiesa di Castello<br />
di Brenzone nel comune di Malcesine. Tra il 2004 e<br />
il 2005 ottiene dalla Magnifica Comunità di Fiemme<br />
una sponsorizzazione per la realizzazione dell’opera<br />
Bosco sonoro. Nel 2006, con il patrocinio del<br />
comune di Melegnano, realizza una prima personale<br />
dal titolo “Legni”.<br />
MICHELE NAPOLI<br />
Lettera d’artista n. 2<br />
FORMA, AMBIENTE SONORO<br />
Forma, ambiente sonoro” è il risultato di una<br />
riflessione sulla dimensione della Scultura.<br />
La materia immersa nella realtà circostante<br />
è linguaggio, mezzo di comunicazione<br />
tra fruitore e opera. L’ambiente stesso è<br />
componente fondamentale del loro dialogo, e<br />
il contesto in cui sono posti (sia esso spaziale,<br />
temporale, culturale o storico) stabilisce il<br />
punto di partenza per l’avvicinamento al lavoro<br />
artistico. L’opera genera una relazione che si<br />
esplica nella comunicazione artistica (nelle sue<br />
forme più varie) esclusivamente nella misura<br />
in cui si fa presente alla sensibilità percettiva/<br />
cognitiva/emozionale dell’osservatore, attende<br />
il suo risuonare nell’Uomo per poter essere.<br />
L’installazione per questa mostra vuole<br />
evidenziare l’aspetto fondante che l’ambiente<br />
ha per la comunicazione tra soggetti. Qui la<br />
materia propria della scultura diventa traduttrice<br />
dello spazio che la circonda, agendo come<br />
cassa di risonanza. “Forma, ambiente sonoro”<br />
è così nome esplicativo del meccanismo<br />
che si innesta tra spettatore e opera grazie<br />
al ruolo della fisicità di quest’ultima come<br />
mezzo di comunicazione. La modificazione<br />
dell’ambiente trasforma l’aspetto dell’opera<br />
che viene offerta come continua variazione alla<br />
sensibilità dell’osservatore. Il suono diventa<br />
forma, prende una dimensione spaziale.<br />
Il video, parte integrante dell’installazione, non<br />
vuole essere né esecuzione né performance,<br />
ma semplicemente il modo di rendere<br />
esplicito come questo meccanismo s’instauri<br />
non solo tra scultura e spettatore, ma anche<br />
tra le sculture stesse. Le frequenze sonore,<br />
generate dalla traduzione che le sfere attuano<br />
sull’ambiente, influiscono sull’ambiente stesso<br />
e quindi sulle altre sfere. Interferire in questa<br />
dinamica impedendo l’emissione sonora delle<br />
sculture dà luogo ad un dialogo in continua<br />
variazione.<br />
Michele Napoli<br />
Michele Napoli, nato a Milano nel 1983, vive e<br />
lavora a Lodi.<br />
Dopo la maturità scientifica, si è iscritto<br />
all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano,<br />
dove attualmente frequenta l’ultimo anno del corso<br />
quadriennale di Scultura del prof. Paolo Gallerani.<br />
2003 Partecipa al 1°Workshop di Scultura in legno,<br />
Faculty of Fine Arts of Brno University<br />
of Tecnology, Brno, Repubblica Ceca,<br />
prof Michael Gabriel, Accademia<br />
di Belle Arti di Brera, Milano, prof.<br />
Paolo Gallerani.<br />
2004 Partecipa al 9°Workshop di Scultura in pietra<br />
di Vicenza, Grancona (Vicenza),<br />
Accademia di Belle Arti di Brera,<br />
Milano, prof. Paolo Gallerani.<br />
2005 Partecipa al 10°Workshop di Scultura in pietra<br />
di Vicenza, Grancona (Vicenza),<br />
Accademia di Belle Arti di Brera,<br />
Milano, prof. Paolo Gallerani.<br />
2007 Partecipa al Salon Primo dell’Accademia di<br />
Brera al <strong>Museo</strong> della Permanente di<br />
Milano.
E S P O S I Z I O N I<br />
LUISA VANZETTA
E S P O S I Z I O N I<br />
MICHELE NAPOLI
E S P O S I Z I O N I<br />
LAURA LOCCI<br />
Lettera dʼartista n. 3<br />
MANI DI FATA<br />
La forma, specialmente in natura, ha in<br />
sè qualcosa di matematico, poiché ogni<br />
forma, vivente o meno, è caratterizzata<br />
da un peculiare processo generativo “a<br />
catena”, che le permette di svilupparsi.Il<br />
processo generativo pone allo sviluppo di<br />
ogni forma dei limiti proporzionali formali<br />
e temporali, motivo per il quale non<br />
ci sono uomini alti 7 metri o diamanti<br />
quadrati che si formano in pochi giorni. I<br />
dati dell’equazione che determina questi<br />
processi generativi sono intrinseci nelle<br />
caratteristiche chimiche e meccaniche di<br />
ogni materiale e nel DNA per gli esseri<br />
viventi.Nell’atto di fare queste forme di<br />
lana, esse stesse mi hanno dimostrato<br />
come la definibilità delle forme attraverso<br />
precise sequenze numeriche sia<br />
indispensabile alla natura per ottenere la<br />
stabilità e alla “forma” stessa, per non<br />
essere definita informe. Pensiamo ad<br />
esempio alle chiocciole: se il materiale<br />
calcareo con cui costruiscono il proprio<br />
guscio si disponesse intorno ad esse<br />
in maniera casuale, sarebbe instabile,<br />
rischiando di rompersi, magari di ferire<br />
la lumaca, oppure sarebbe semplicemente<br />
d’intralcio. Anche la struttura frattale<br />
delle piante è loro indispensabile per<br />
crescere, sostenersi e nutrirsi.Allo stesso<br />
modo il filato di lana, fantastico materia-<br />
le di origine animale, pare quasi affamato<br />
di matematica: nelle forme coniche infatti<br />
ho notato che quanto più si segue un<br />
processo generativo calcolato, costante e<br />
ripetibile all’infinito, tanto più il cono si<br />
regge in piedi da solo. Con questa tecnica<br />
facciamo coincidere la forma interna con<br />
quella esterna.Il tappeto che propongo,<br />
invece, ha forme molto meno controllate<br />
e univoche rispetto ai coni. L’equazione<br />
che lo determina non segue un andamento<br />
concentrico ma la sovrapposizione<br />
sequenziale di uno stesso principio, riga<br />
su riga. Qui le matematiche generative<br />
sono state definite a priori e la forma<br />
è stata lasciata più libera di reagire ad<br />
esse, quindi le forme sono più complesse<br />
e, a seconda di come lo si dispone,<br />
molto diverse tra loro anche se generate<br />
dallo stesso calcolo. Del tappeto si<br />
possono percepire simultaneamente due<br />
“equazioni” o “regole” o “limiti”posti<br />
dal principio generativo: l’andamento<br />
orizzontale e le posizioni dei punti di<br />
aumento che generano la forma. Questi si<br />
presentano come dimensioni inconciliabili<br />
che però, nel loro punto di intersezione,<br />
entrano nella sfera del visibile,<br />
presentandoci questo particolare tappeto.<br />
I concetti di forma interna ed esterna e di<br />
coesistenza tra vari livelli di significato<br />
nella realtà sono effimeri e instabili. Il<br />
grande William Hogarth (1697-1764),<br />
con il saggio L’Analisi della bellezza<br />
(1753), e io, con le mie sculture di lana,<br />
abbiamo cercato di regalare un po’ di<br />
pace a questi irrequieti concetti.Il nostro<br />
fantastico materiale di origine animale,<br />
arricchito delle più svariate colorazioni,<br />
si è prestato anche alla produzione di<br />
alcune maschere che dal mio armadio si<br />
sono scelte degli abiti, tutti fatti a mano,<br />
e in un attimo sono diventate personaggi<br />
a sè stanti, con un carattere proprio, che<br />
persiste se indossate da me, da un manichino<br />
o da uno qualunque di voi. Esse<br />
si muovono insieme alla faccia di chi le<br />
indossa, impedendogli di riconoscersi<br />
allo specchio, sortendo sul soggetto un<br />
vago effetto psicotropo, simile a quello<br />
della maschera verde di un famoso film<br />
comico.<br />
Chi poi lo vorrà, sarà libero di pensare<br />
che sono solo dei cappelli di lana da<br />
folletto!<br />
Laura Locci<br />
Laura Locci, giovane artista milanese, si è diplomata<br />
in Scultura all’Accademia di Belle Arti di Brera-<br />
Milano. Questa è la sua prima mostra personale.<br />
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E S P O S I Z I O N I<br />
LAURA LOCCI
E S P O S I Z I O N I<br />
GIORGIO TENTOLINI<br />
Lettera d’artista n. 4<br />
ANIMULA VAGULA BLANDULA<br />
Le mie piccole anime sono frammenti di<br />
tempo, simili a leggere scosse elettriche, sono<br />
quegli istanti in cui l’attenzione è catturata da<br />
un particolare che concentra lo sguardo, sono<br />
momenti di silenzio circondati da frastuono,<br />
sono il “la” per una fuga di pensieri e talvolta<br />
la soluzione di enigmi.<br />
Partendo da questi istanti rubati, scavando<br />
le ombre e stratificando le profondità, lavoro<br />
su una diversa fruizione dell’immagine<br />
fotografica. Tralascio l’aspetto narrativo e<br />
queste immagini non esternano nulla di intimo<br />
o di emozionale. Sono profondamente legato<br />
alle mie piccole anime, la fatica di realizzare<br />
queste opere è come un piccolo patto di<br />
gratitudine rivolto a loro.<br />
Giorgio Tentolini<br />
Giorgio Tentolini è nato a Casalmaggiore nel 1978.<br />
Compie i primi studi in arti grafiche presso l’Istituto<br />
d’Arte P. Toschi di Parma; nel 1999 consegue il<br />
diploma del corso di Design e Comunicazione<br />
presso l’Università del Progetto di Reggio Emilia.<br />
Dopo un tirocinio formativo presso l’atelier di<br />
artisti e designer come Marco Nereo Rotelli e<br />
Denis Santachiara, nel 2002 inizia la sua attività<br />
di grafico e illustratore per case e riviste di moda<br />
presso l’agenzia Lifesaver s.r.l. di Parma. Negli<br />
stessi anni prende avvio la sua attività propriamente<br />
artistica con videoinstallazioni presentate in alcune<br />
collettive, dove ottiene significativi riconoscimenti:<br />
si segnala la sua partecipazione alla manifestazione<br />
“Chimere in città”, tenuta nell’ottobre 2003 alla<br />
Galleria Ricci Oddi di Piacenza, dove l’installazione<br />
Talkingheads consegue il primo premio della<br />
giuria. Seguono nel 2004 installazioni a Cremona<br />
(Alfabeto luminoso, videoproiezione sulla facciata<br />
del Palazzo Comunale), Casalmaggiore (Settestrade<br />
nell’Edicola dell’Arte), Viadana (Genomi, Galleria<br />
Bedoli), Ferrara (Biennale internazionale nelle sale<br />
dell’Imbarcadero del Castello Estense), Brescia,<br />
Torino e Napoli.<br />
Tiene le sue prime personali a Parma nel 2005<br />
(Elevazioni 1, Galleria Alphacentauri) e nel 2006<br />
(Genomi 7, Vetrina d’Arte). Nella sua attività<br />
espositiva più recente si segnala la partecipazione<br />
alle seguenti rassegne:<br />
2005, Sguardi, in Arte Parma 2005, Parma Fiere,<br />
Parma;<br />
2005, Fotosintesi, Chiesa di Sant’Agostino,<br />
Piacenza;<br />
2005, Oltre il corpo, Galleria Carloulivi115, Prato;<br />
2006, Primavera, Tara Bryan Gallery, Londra;<br />
2006, MUV-Music and Digital Art Festival,<br />
Limonaia di Villa Strozzi, Firenze;<br />
2006, Elevazioni 2, Corte delle Giare, Ragazzola<br />
(Parma);<br />
2006, Confini, Palazzo Pigorini, Parma.<br />
Nel 2007 vince la selezione locale di Arti Visive<br />
organizzata dal Comune di Parma che gli consentirà<br />
di partecipare alla XIII Biennale dei Giovani Artisti<br />
dell’Europa e del Mediterraneo (maggio 2008).<br />
<strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong><br />
15 dicembre 2007 ore 17,00<br />
“Animula Vagula Blandula”:<br />
inaugurazione della mostra di Giorgio<br />
Tentolini<br />
Valter Rosa<br />
Giorgio Tentolini, giovanissimo artista, ha<br />
già un curriculum piuttosto significativo,<br />
con attestati di stima e riconoscimenti che<br />
ha acquisito nel corso di diverse esposizioni,<br />
anche in luoghi prestigiosi, in Italia e<br />
all’estero. Artista locale, certamente, ma<br />
già proiettato in dimensione internazionale.<br />
Un omaggio a lui era quasi in un certo<br />
senso dovuto, non solamente perché fra i<br />
giovani artisti locali è, secondo me, uno<br />
dei più interessanti, non solo per la sua<br />
alta professionalità, che coniuga l’attività<br />
legata alla sua professione di grafico<br />
pubblicitario, a questa attività propriamente<br />
artistica, senza che ci sia in realtà una<br />
vera e propria soluzione di continuità<br />
fra queste due esperienze, anzi con una<br />
felice confluenza delle due esperienze<br />
che è interessante rimarcare anche ai fini<br />
della lettura del suo lavoro. Un omaggio<br />
dovuto, dicevo, anche per quanto riguarda<br />
lo spazio in cui ci troviamo: in occasione<br />
della prima esposizione che si è tenuta<br />
a Palazzo <strong>Diotti</strong>, quando non era ancora<br />
<strong>Museo</strong> (l’antologica dedicata a Goliardo<br />
Padova), Giorgio Tentolini ci ha dato un aiuto<br />
formidabile nella fase di allestimento, di regia<br />
complessiva di quel primo evento, quindi<br />
era giusto tributargli anche questo tipo di<br />
riconoscimento legato proprio al luogo in cui<br />
ci troviamo.<br />
Il lavoro di Giorgio è a una prima occhiata<br />
semplice. Se ci affidiamo ad uno sguardo<br />
piuttosto superficiale, guardando i suoi<br />
lavori abbiamo l’impressione di trovarci di<br />
fronte a dei giochi di ottica. Il suo atelier<br />
ideale potrebbe sembrare a prima vista un<br />
gabinetto di fisica divertente, come quelli che<br />
si usavano nel ‘700 e che appassionavano<br />
appunto sia i dilettanti di fisica, ma anche<br />
filosofi e scienziati in senso stretto. In realtà<br />
i suoi apparenti giochi di ottica stratificano<br />
una complessità di sensi, di significati che<br />
di volta in volta si resta sorpresi di scoprire<br />
e intravedere, e poche spiegazioni riescono<br />
ad esaurire compiutamente il senso di questi<br />
lavori. Ciò avviene a volte attraverso piccoli<br />
scarti che lui introduce dentro un’operazione<br />
apparentemente solo ottica, certi travasi di<br />
immagini da superfici fredde o da supporti<br />
di tipo fotografico digitale a supporti che<br />
implicano una materialità, un contatto<br />
fisico, supporti più caldi, ecco. Il rischio di<br />
ogni lettura critica applicata al suo lavoro è<br />
proprio quello di operare in senso riduttivo,<br />
semplificatorio rispetto alla complessità di<br />
questi temi. La miglior chiave critica credo<br />
l’abbia fornita proprio lui nel testo pubblicato<br />
sul catalogo e che noi abbiamo riproposto<br />
nella solita “lettera d’artista” che affianca<br />
la mostra. Giorgio Tentolini afferma di non<br />
sapere scrivere, eppure in quelle poche<br />
righe che lui ha scritto sul proprio lavoro<br />
ha fornito un punto di vista estremamente<br />
efficace, prezioso, che ha guidato anche me<br />
per la presentazione che ho scritto per la<br />
stampa locale. Quindi il mio non vuole essere<br />
un intervento critico sul suo lavoro, anche<br />
perché io intendo il mio lavoro di studioso<br />
e di critico d’arte (focalizzato non solo sul<br />
contemporaneo, ma sull’intero percorso della<br />
storia dell’arte) in una accezione particolare,<br />
e non solo il solo a pensarla in questo modo:<br />
per me fare critica in relazione a un’opera<br />
attuale assume il senso di un’operazione<br />
interessante se investe completamente l’intero<br />
arco della storia dell’arte. Il grande valore<br />
dell’arte contemporanea è questo: riattivare<br />
la storia, capovolgerla, portarci a misurarla,<br />
a valutarla, a ripercorrerla con un’ottica<br />
diversa, scoprendo anche delle potenzialità,<br />
delle bombe inesplose anche nel corso di tutta<br />
la storia dell’arte che non è mai un percorso<br />
definito una volta per tutte, ma qualcosa da<br />
riscrivere continuamente in relazione al farsi<br />
dell’arte attuale. Allora facendo riferimento<br />
alle ultime opere che Tentolini ha sviluppato,<br />
che poi hanno dato il titolo (bellissimo) da lui<br />
scelto per questa mostra, propongo in maniera<br />
molto rapida una sequenza di opere famose,<br />
tratte dalla storia dell’arte, in relazione al<br />
tema, che io ritengo possa fornire una traccia<br />
importante, “l’uomo che cammina” e in<br />
relazione anche alla forma attraverso cui<br />
l’artista ha portato il suo contributo intorno<br />
a questo tema. Più che una chiave di lettura,<br />
quella che intendo offrire è una sorta di<br />
suggestione, che può suggerire delle idee,<br />
un modo di guardare anche il suo lavoro, ma<br />
che certamente non lo spiega e non lo vuole<br />
esaurire.<br />
Artisticamente parlando, l’uomo antico non<br />
cammina. L’antichità non conosce questa<br />
dimensione, nel senso che tutti quelli che<br />
hanno cominciato a riflettere su questa<br />
questione, a partire dal Laocoonte di Lessing<br />
sino all’età contemporanea, non hanno<br />
potuto fare a meno di rilevare la misura<br />
attraverso cui l’antico esprimeva il senso<br />
del movimento e l’espressione. C’è sempre<br />
una misura per cui un movimento reale<br />
deve essere in qualche modo modificato<br />
ad arte, non reso nella sua verità, così pure<br />
come l’espressione di un dolore, di una<br />
gioia estrema devono trovare una forma,<br />
una misura per poter essere espressi. Tutto<br />
questo apparteneva all’antico, che conosceva<br />
questo stato di grazia attraverso cui anche<br />
un movimento, lo spostamento del corpo<br />
non era espresso attraverso una marcia, ma<br />
era espresso attraverso un lento incedere, un<br />
modo di porre il corpo esprimente armonia<br />
e non disarmonia. Questa riflessione che<br />
scaturisce a partire dal XVIII secolo culmina<br />
poi con il magistrale saggio di Freud sulla<br />
Gradiva, dove la nostalgia dell’antico modo<br />
di intendere il movimento sfociava poi nel<br />
delirio, nell’inseguire questo fantasma di<br />
fanciulla incedente.<br />
L’uomo che cammina è una conquista<br />
invece della modernità: dentro la tradizione<br />
giudaico-cristiana mi piace iniziare il<br />
9
10<br />
E S P O S I Z I O N I<br />
percorso con questa opera celeberrima del<br />
Masaccio, La cacciata dal Paradiso Terrestre,<br />
dalla Chiesa del Carmine di Firenze, 1425:<br />
l’uomo cammina e quindi abbandona una<br />
situazione di grazia, perde l’Eden e in questo<br />
cammino scopre anche la sua nudità. Ecco,<br />
il tema della nudità è centrale in tutta la<br />
vicenda che si può raccontare attraverso<br />
l’arte dell’uomo che<br />
cammina.<br />
Il senso della caduta<br />
e della fatalità<br />
dell’andare verso<br />
la morte è espresso<br />
sul piano di una<br />
parabola, la Parabola<br />
dei Ciechi (1568),<br />
in questo dipinto di<br />
Bruegel il Vecchio.<br />
Ma procedendo<br />
velocemente in<br />
direzione dell’arte a<br />
noi più vicina, ecco<br />
L’homme qui marche,<br />
di Rodin: forse non<br />
tutti ricordano che è<br />
una rielaborazione<br />
tardiva del 1900-<br />
1907 di un’idea<br />
precedente di almeno<br />
20 anni, legata a una<br />
scultura raffigurante<br />
S. Giovanni Battista.<br />
Quindi questo è<br />
ancora un San<br />
Giovanni decollato,<br />
però proiettato in<br />
una dimensione<br />
totalmente nuova,<br />
moderna; diventa<br />
l’uomo che cammina<br />
e si apre ad altre<br />
considerazioni, a<br />
questa volontà di<br />
potenza senza testa,<br />
a questo movimento<br />
inteso come pura<br />
azione, senza<br />
soggettività, senza<br />
sentimenti. Questa<br />
scultura sfida proprio<br />
l’idea della rappresentabilità del movimento<br />
stesso, di questo movimento potente<br />
attraverso la forma plastica.<br />
Naturalmente proprio negli stessi anni, anzi<br />
un po’ prima, la fotografia svolge un ruolo<br />
fondamentale nel mettere a nudo l’impensato,<br />
l’invisibile nel movimento umano. Marey,<br />
La marcia dell’uomo vista da sopra, una<br />
cronofotografia, una delle tante di Marey<br />
che aiutano a intravedere ciò che non è mai<br />
stato rappresentato in arte nella percezione<br />
del movimento stesso: anche la parte più<br />
disarmonica del movimento.<br />
Esperienza fondamentale, la fotografia, che è<br />
la base del Futurismo; ma l’acquisizione, la<br />
Giorgio Tentolini, Unknouwns, 2007, carta, 29,7x21 cm<br />
conseguenza più interessante non è certo nelle<br />
forme uniche nella continuità dello spazio di<br />
Boccioni, quanto invece nel Nudo che scende<br />
le scale di Marcel Duchamp, del 1912, opera<br />
antiboccioniana da molti punti di vista: non<br />
è tanto la deformazione plastica prodotta<br />
dal moto che interessa l’artista, quanto una<br />
sorta di trasformazione, un cambiamento di<br />
stato. In fondo è ancora l’uomo cacciato dal<br />
Paradiso Terrestre, però è un altro paradiso da<br />
cui viene cacciato. Infatti questa nuova nudità<br />
non segna il passaggio dall’animale all’uomo,<br />
bensì dall’uomo a una condizione ulteriore,<br />
macchinica, metamorfica, altra comunque<br />
rispetto all’umanità.<br />
Ma c’è un’altra<br />
dimensione in cui<br />
leggere l’homme<br />
qui marche, l’uomo<br />
che cammina, in un<br />
percorso a ritroso,<br />
alla ricerca dell’Eden<br />
perduto, o meglio in<br />
quella dimensione<br />
possibile dell’Eden che<br />
sta nella domenica, nel<br />
momento festivo, nella<br />
conquista dell’ozio<br />
come liberazione dal<br />
lavoro. È un grande<br />
fotografo questo,<br />
August Sander, Giovani<br />
contadini che vanno a<br />
ballare, 1914.<br />
Oppure ancora in<br />
maniera più decisa,<br />
questo passo, questo<br />
uomo che cammina<br />
procede nella direzione<br />
di un riscatto, di un<br />
movimento di liberazione,<br />
verso il “sol<br />
dell’avvenire”: questo è<br />
uno studio del 1895<br />
di Pellizza da Volpedo<br />
finalizzato alla realizzazione<br />
del grande dipinto<br />
del Quarto Stato.<br />
Da leggersi subito in<br />
stretta relazione con<br />
un’altra età di rivolte,<br />
di tensioni sociali e di<br />
utopie con quest’opera<br />
di Beuys, La rivoluzione<br />
siamo noi, 1971.<br />
Di nuovo, la fotografia<br />
è stata nel ‘900 uno<br />
degli strumenti più<br />
formidabili per ridare<br />
vita a delle percezioni distratte, per rimettere<br />
in scena dei fantasmi, delle ombre, fantasmi<br />
di persone o di animali e così via. Sotto la<br />
pioggia, nella nebbia, là dove la nostra facoltà<br />
di mettere a fuoco, in tutti i sensi, sia in senso<br />
ottico sia in un senso più profondo, risulta<br />
più complicata o comunque deviata: André
E S P O S I Z I O N I<br />
Kertész, Place du Carosel, Parigi, 1929.<br />
Naturalmente non poteva mancare Alberto<br />
Giacometti, L’homme qui marche, lo stesso<br />
titolo della scultura di Rodin, 1960, con<br />
questa idea di tradurre in forma plastica le<br />
ombre, l’ombra dell’uomo.<br />
O ancor meglio questo disegno di Alberto<br />
Giacometti (1951) che è già la nostra<br />
“animula”.<br />
Poi c’è il problema della forma. Il lavoro di<br />
Giorgio Tentolini tocca a vari livelli, a vari<br />
strati (proprio come sono costruite le sue<br />
opere: a vari strati), la<br />
questione del tempo<br />
e della memoria. Sul<br />
tempo noi abbiamo tante<br />
idee, però riconducibili<br />
fondamentalmente a<br />
due, un’idea ciclica<br />
e un’idea di tempo<br />
irreversibile, come<br />
la freccia, oppure,<br />
come si dice, come<br />
l’acqua, come un fiume<br />
che scorre. Non ci si<br />
bagna mai due volte<br />
nella stessa acqua, se<br />
ci si immerge in un<br />
fiume. In realtà non<br />
è vero, perché se noi<br />
immergiamo questa<br />
mano nel fiume, si crea<br />
una specie di gorgo<br />
e nel gorgo l’acqua<br />
ritorna indietro, quindi<br />
ribagna per una seconda<br />
volta la stessa mano.<br />
E poi la mano trattiene<br />
un po’ di questa acqua.<br />
Il senso del presente,<br />
dell’ora è un senso che<br />
si è smarrito nella nostra<br />
società: si è smarrito<br />
curiosamente a fronte<br />
dell’ipervalutazione del<br />
presente. Conta solo il presente: il passato,<br />
la memoria non contano più e non conta<br />
nemmeno il futuro, perché non abbiamo<br />
abbastanza sogni e risorse per pensare al<br />
futuro; tutto è focalizzato sul qui e ora. Ma<br />
proprio in questa focalizzazione, in questa<br />
presa stretta e avara del presente, si smarrisce<br />
il senso del presente, che non è propriamente<br />
questo: il presente, l’ora è, come suggerisce<br />
un filosofo francese, il participio presente<br />
del verbo ‘mantenere’, mantenente, cioè<br />
letteralmente ‘trattenere con la mano’. In<br />
francese si dice proprio così, maintenant.<br />
C’è una bellissima leggenda tramandata da<br />
Plinio, una leggenda romana, che riguarda la<br />
vestale Tuccia, una delle sacerdotesse custodi<br />
del fuoco sacro nel tempio dedicato ad Estia,<br />
la dea del focolare. Tuccia ad un certo punto<br />
venne accusata di adulterio e condannata<br />
ad una pena terribile, cioè ad essere sepolta<br />
viva; per provare la propria innocenza Tuccia<br />
scese al Tevere per attingere l’acqua con un<br />
setaccio e questo riuscì a trattenere l’acqua<br />
senza perderne una goccia. In questo modo<br />
Tuccia dimostrò la propria verginità e potè<br />
Giorgio Tentolini, Unheard, 2007, tecnica mista, 45x45x45 cm.<br />
essere riaccolta al tempio di Estia. Questa<br />
è un’opera straordinaria, una delle ultime<br />
di Andrea Mantegna, La vestale Tuccia,<br />
del 1500 circa, nella National Gallery di<br />
Londra, una tempera su tavola. Un’opera<br />
straordinaria da più punti di vista perché tutta<br />
l’opera è il setaccio: il setaccio è il presente,<br />
la possibilità di mantenere qualcosa che<br />
scorre come l’acqua; ma tutto il dipinto è<br />
un setaccio, perché il pittore ha solidificato<br />
qualcosa di estremamente mobile, come il<br />
movimento dell’aria, che fa volteggiare in<br />
maniera straordinaria questo panneggio, e<br />
ha solidificato anche l’atmosfera che c’è<br />
dietro la figura: questa grisaille meravigliosa<br />
vuole fingere il bronzo dorato, mentre quello<br />
sfondo che sembra stia per liquefarsi finge un<br />
antico marmo orientale. E’ un trompe-l’oeil<br />
al quadrato, un inganno, un vero rebus per<br />
lo spirito. Si dice di Mantegna che aveva un<br />
cuore di marmo, proprio perché solidificava<br />
l’idea stessa del movimento: in realtà questo<br />
mi sembra un banalissimo modo di leggere il<br />
Mantegna. Il pittore giudica le cose, il tempo,<br />
la vita degli uomini, da un punto di vista<br />
che non è quello<br />
della temporalità<br />
umana, si pone in<br />
una dimensione più<br />
vasta, cosmica; il<br />
suo tempo è quello<br />
geologico, ben oltre<br />
i limiti della storia<br />
umana, per cui in<br />
questo senso tutta<br />
l’opera è questo<br />
straordinario setaccio<br />
che trattiene la<br />
roccia e condensa<br />
nel presente l’infinità<br />
temporale.<br />
Non c’è niente di<br />
più liquido oggi<br />
del mondo delle<br />
immagini, più<br />
liquide dell’acqua: le<br />
immagini scorrono<br />
a milioni davanti<br />
ai nostri occhi, e<br />
il grosso lavoro,<br />
la grossa fatica è<br />
quella di riuscire a<br />
trattenere qualcosa<br />
di significativo: un<br />
setaccio non sempre<br />
trattiene quello che<br />
serve, anzi il più<br />
delle volte serve<br />
per trattenere quello che è da buttare via.<br />
Tutto il problema sta lì, in quella soglia del<br />
setaccio, cioè nel capire quanto di quello che<br />
viene trattenuto è utile per la nostra memoria,<br />
quindi per formare la nostra coscienza, e<br />
quanto invece è quello che sta passando in<br />
quel momento e che forse dobbiamo cercare<br />
di mantenere in un altro modo. Questo mi<br />
ha suggerito di leggere i lavori di Giorgio<br />
Tentolini come dei formidabili crivelli…ma<br />
può darsi che non sia così.<br />
Trascrizione di Letizia Frigerio<br />
11
12<br />
C O N F E R E N Z E<br />
Valter Rosa<br />
Conversazione sulla pittura di Goliardo<br />
Padova, con Florenzio Padova<br />
<strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>, Sala Didattica, 19 maggio 2007<br />
Questo incontro è dedicato all’opera di<br />
Goliardo Padova e alla mostra che è stata<br />
allestita nel nuovo padiglione del museo,<br />
ovvero lo Spazio Rossari, e in parte in questo<br />
Laboratorio didattico. Prima di introdurre<br />
l’ospite, inizierei con una brevissima<br />
relazione, giusto un rapido commento<br />
ad alcune immagini, che mostrerò, per<br />
sottolineare l’importanza anche di questo<br />
secondo evento, a distanza di circa una decina<br />
d’anni dall’antologica dedicata al pittore dalla<br />
città di Casalmaggiore, sempre in questo<br />
stesso spazio. Nel 1999 la mostra di Padova<br />
inaugurava un’attività espositiva che ha avuto<br />
una sua continuità nel tempo - ricordo che<br />
prima di allora questo luogo era stato una<br />
biblioteca; ora la nuova mostra di Padova<br />
inaugura il <strong>Museo</strong>.<br />
Casalmaggiore per circa 30 anni si è<br />
dimenticata di Goliardo Padova: praticamente<br />
da quando la famiglia si è trasferita a Parma<br />
(1962), salvo qualche rarissima presenza di<br />
suoi dipinti in occasioni particolari come<br />
potevano essere le antologiche a tema, le<br />
famose mostre sul Po, la sua opera è rimasta<br />
lontana da questo luogo, anche se nel cuore e<br />
nel ricordo dei cittadini di Casalmaggiore la<br />
figura di Padova è ben presente, anche perché<br />
ha insegnato per anni presso la scuola media<br />
o presso la Scuola di disegno “G. Bottoli” (tra<br />
il pubblico è presente un allievo della scuola<br />
Bottoli, il pittore Tarcisio Bosoni che ha<br />
voluto così omaggiare il suo maestro). A parte<br />
questi ricordi soggettivi, individuali, la città<br />
ha dovuto aspettare parecchio tempo prima di<br />
tributare un omaggio significativo all’artista,<br />
e questo è avvenuto appunto nel 1999: una<br />
mostra che, pur con tutti i limiti delle mostre<br />
fatte un po’ artigianalmente, ha segnato<br />
una svolta negli studi critici, come è stato<br />
riconosciuto anche recentemente da Arturo<br />
Carlo Quintavalle, uno dei primi estimatori<br />
di Goliardo Padova. Soprattutto il saggio in<br />
catalogo di Claudio Zambianchi ha aperto una<br />
prospettiva nuova che ha consentito anche<br />
di cogliere uno spessore dell’artista inatteso,<br />
anche su un piano dove non si pensava di<br />
doverlo cercare. Della sua pittura Goliardo<br />
Padova ha sempre lasciato parlare gli altri,<br />
i poeti prima di tutto, gli scrittori e i critici<br />
d’arte. Si è scoperto però che in circostanze<br />
private, meno pubbliche, quella parola se l’è<br />
presa in prima persona, scrivendo delle cose<br />
molto importanti e profonde, sia sulla sua<br />
pittura sia sulla pittura degli altri, affidate<br />
soprattutto a lettere scritte agli amici più<br />
intimi. Quindi è emerso questo lato “teorico”,<br />
narrativo, che non si sospettava, che nessuno<br />
pensava potesse appartenere all’artista<br />
interamente votato al linguaggio della pittura.<br />
L’altro importante contributo di quella mostra<br />
riguarda la questione dell’appartenenza al<br />
chiarismo: si è accertato finalmente che<br />
il pittore non è figura di secondo piano<br />
rispetto a maestri conclamati e riconosciuti<br />
del chiarismo, quelli i cui nomi compaiono<br />
oramai nei manuali di storia dell’arte, ma<br />
assume invece il ruolo di comprimario.<br />
Questo lo abbiamo ribadito tirando fuori<br />
documenti, mostrando opere non viste prima<br />
di allora, perché legate a collezioni private,<br />
dimostrando inoltre che non c’è un Padova<br />
“parmigiano” o un chiarismo parmigiano<br />
piuttosto che un chiarismo mantovano, ma<br />
che c’è stato un fenomeno, che non era<br />
un movimento, che non era legato a un<br />
manifesto, ma semplicemente a un lavoro di<br />
squadra in un periodo determinato, e che di<br />
quella squadra faceva parte Goliardo Padova.<br />
Di lì, con grande fatica, non dico mia, ma<br />
di chi ha collaborato a questa mostra (c’è<br />
stato un fondamentale contributo, anche<br />
per reperire le opere, da parte dell’Archivio<br />
Padova, fondato dalla figlia Fiammetta<br />
Padova e coordinato dall’ing. Bongrani,<br />
che è stato fonte preziosissima per scoprire<br />
dipinti di cui si ignorava l’esistenza) si è<br />
riscontrato un corpus pittorico, compreso<br />
fra la metà degli anni ’30 e i primi anni ’40,<br />
che ha rivelato questo apporto dentro la<br />
grande pittura della Milano di quegli anni,<br />
una Milano che vedeva un fermento culturale<br />
molto forte, legato sia all’iniziativa pubblica<br />
(le mostre dei littoriali, quelle sindacali<br />
interregionali, ecc) ma anche all’iniziativa<br />
privata (cito ad esempio l’importanza che<br />
ha avuto in quegli anni una galleria come il<br />
Milione). Così abbiamo potuto sbarazzarci di<br />
tante inesattezze che sono state accumulate<br />
sul pittore, e ora finalmente il Padova<br />
chiarista è stato restituito a pieno titolo alla<br />
fase storica centrale di questo momento<br />
fondamentale della nostra pittura del XX<br />
secolo. Aggiungo inoltre che, mentre quasi<br />
tutti i suoi compagni di squadra sono rimasti<br />
per così dire ancorati a questa formula che<br />
per loro è diventata uno stile da cui non<br />
sono più riusciti ad uscire, Goliardo Padova,<br />
non solo per la sua ricettività pronta ai<br />
mutamenti, ma proprio per un suo intimo<br />
sentire che già si manifesta sotto la pelle<br />
chiara della pittura chiarista, ma che pian<br />
piano emerge in maniera sempre più forte via<br />
via ci avviciniamo agli anni ’40, si esprime<br />
costantemente attraverso sensibili mutamenti<br />
di linguaggio verso quello che è stato definito<br />
il suo naturalismo informale.<br />
L’Anitra muta è un’opera di importanza<br />
capitale che, come tante altre presenti in<br />
mostra di notevole qualità, consente di<br />
colmare alcune lacune dell’esposizione del<br />
’99. Si tratta delle opere che l’artista ha<br />
custodito gelosamente per tanto tempo, a cui<br />
teneva in modo particolare, e che hanno avuto<br />
poche occasioni di visibilità. L’Anitra muta,<br />
del 1946, documenta appunto una delle prime<br />
importanti svolte dell’artista in direzione<br />
dell’appropriazione del colore e della materia<br />
pittorica: di questa fase è stato scritto che il<br />
pittore si era avvicinato molto al gruppo di<br />
“Corrente” e anche alla Scuola Romana e che<br />
Sandro Angelini, Acquaforte, da “Corrente di Vita<br />
Giovanile”, 15 gennaio 1939.<br />
era anche molto attento a quello che avveniva<br />
od era avvenuto qualche decennio prima<br />
nel panorama artistico europeo, mi riferisco<br />
all’École de Paris e in particolare a Soutine<br />
e ad altri pittori che tutta la critica ha citato<br />
come probabili riferimenti.<br />
Per quanto riguarda il suo avvicinamento al<br />
gruppo di “Corrente”, giusto per rispolverare<br />
un po’ di storia, ricordo brevemente cos’è<br />
stato “Corrente”: una rivista innanzitutto,<br />
fondata da Ernesto Treccani, che inizialmente<br />
si chiamava “Vita giovanile”, quando<br />
è uscita nel ‘38, poi “Corrente di vita<br />
giovanile”, e infine ha perso questo primo<br />
titolo ancora di vago sentore fascista,<br />
divenendo semplicemente “Corrente” negli<br />
ultimi numeri del ‘40. Ho aperto una pagina<br />
a caso, inquietante per l’argomento, che<br />
certamente imbarazza molto, soprattutto<br />
per una rivista come questa, che nel ‘39 era<br />
ancora espressione del cosiddetto “fascismo<br />
critico”, ovvero rappresentava una posizione<br />
intermedia, che non poteva eludere comunque<br />
il confronto con il fascismo, ma che,<br />
soprattutto sul piano delle scelte poetiche e<br />
artistiche, era già un’alternativa molto forte<br />
al Novecento sarfattiano e a tutto quello che<br />
di decisamente più truce e propagandista il<br />
fascismo della fine degli anni ‘30 andava<br />
proponendo. Però, come vedete bene, anche<br />
un titolo come questo – Pratica attuazione del<br />
nostro razzismo - in una rivista comunemente<br />
considerata espressione dell’antifascismo<br />
sul piano artistico e letterario, crea qualche<br />
imbarazzo e più di un interrogativo. Se però<br />
scorriamo le pagine di questo numero, che<br />
è del 15 gennaio 1939, alla sesta pagina<br />
troviamo alcuni articoli, uno di Guttuso<br />
e un altro di Lattuada, ma soprattutto<br />
quell’immagine in alto, che è un’acquaforte<br />
di Sandro Angelini, incisore di origine<br />
bergamasca, che raffigura un pollo morto,<br />
un’opera che ricorda molto da vicino un<br />
disegno di Goliardo Padova del 1952 donato<br />
dagli eredi allo CSAC di Parma. Lo ricorda<br />
proprio da un punto di vista iconografico,<br />
anche se accostamenti come questi sono un<br />
po’ facili e non è detto che siano probanti
C O N F E R E N Z E<br />
Goliardo Padova, Lʼanitra muta, 1946, olio su tavola. Collezione Florenzio Padova.<br />
di alcunché. Certo nel 1952 questo tema fa<br />
riflettere sotto vari profili: sappiamo dalla<br />
biografia di Goliardo Padova che dal 1948-<br />
49 al 1957 il pittore smette di dipingere, per<br />
una forte crisi esistenziale, oltre che artistica.<br />
Dopo quella prima ripresa successiva alla<br />
guerra, di cui abbiamo visto un’opera molto<br />
rappresentativa come l’Anitra muta, c’è una<br />
lunghissima pausa che dura sino al ‘57. Però<br />
il pittore non ha smesso completamente di<br />
dipingere: in mezzo ci sono anche cose come<br />
questi disegni, e c’è un’opera che bisogna<br />
infine sottrarre all’aneddotica del folklore<br />
paesano, ovvero quel ciclo di affreschi<br />
che Padova realizzò nel suo allevamento<br />
razionale di polli a Casalmaggiore. Su<br />
questo singolare lavoro avevano già messo<br />
gli occhi naturalmente i primi estimatori<br />
di Padova, come il poeta Attilio Bertolucci<br />
o lo storico e critico d’arte Quintavalle,<br />
cogliendo l’importanza e la singolarità<br />
del tema stesso affrontato. In quel ciclo di<br />
affreschi Goliardo Padova rappresentava, lui<br />
allevatore di polli, la storia dell’allevamento,<br />
la storia degli animali: ecco, già essersi posto<br />
questo problema che gli animali abbiano una<br />
storia e che non solo l’uomo sia portatore<br />
di una storia e di una temporalità, ma anche<br />
l’animale, nel suo rapporto con l’uomo, è<br />
veramente una pensata geniale. Al di là del<br />
fatto che lui artisticamente in quel momento<br />
fosse coinvolto, in una sorta di rivisitazione<br />
personale di tutta la storia della pittura, dalle<br />
avanguardie, dal Cubismo e dal Futurismo in<br />
particolare, al di là dell’esito artistico, il fatto<br />
stesso di aver creato un ciclo, una narrazione<br />
sul tema della storia degli animali è qualcosa<br />
che fa pensare, anche per l’importanza che<br />
l’animale riveste nella pittura di Goliardo<br />
Padova. Un soggetto come questo, quindi,<br />
non è da vedersi semplicemente come legato<br />
a una ripresa di un tema di grande fortuna<br />
nella pittura dell’École de Paris, piuttosto che<br />
presso la Scuola Romana - vedi per esempio<br />
questi Tre polli morti di Mario Mafai, esposti<br />
in una mostra sempre nel ‘39 alla Galleria<br />
Arcobaleno di Venezia, pubblicati sempre<br />
dalla rivista “Corrente”, oppure ancora, se<br />
risaliamo nel tempo e allarghiamo lo sguardo<br />
al panorama europeo, questa opera di Soutine,<br />
il Gallo morto (1926), oppure ancora, se<br />
vogliamo seguire questo filone della pittura<br />
simbolista ed espressionista, un’opera di<br />
Ensor del 1917, dove ancora abbiamo la<br />
stessa figura di animale sempre in questa<br />
collocazione. In realtà tutti questi quadri non<br />
sono che riproposizioni (e lo è a maggior<br />
titolo quello di Goliardo Padova) del tema<br />
della pietà, sono rivisitazioni profane del<br />
Chaim Soutine, Il gallo morto, 1926. Chicago, The<br />
Art Institute<br />
tema ultrasacro della pietà cristiana. Anche<br />
il rapporto con l’animale, con il gallo ucciso,<br />
con questi elementi che tornano più volte<br />
nella pittura di questi artisti, ha a che fare con<br />
questo discorso.<br />
Dopo l’interruzione, finalmente nel 1957<br />
Goliardo Padova ritorna alla pittura, dapprima<br />
con una serie di tempere. Ringrazio il figlio<br />
Florenzio Padova per aver donato al museo<br />
questo piccolo, ma preziosissimo catalogo<br />
della mostra del 1958 a Milano. Io già lo<br />
conoscevo in fotocopia, così come il testo di<br />
presentazione scritto per quella occasione.<br />
Ma tenendo l’oggetto in mano, a lungo, ne<br />
ho capito finalmente l’importanza. Questa<br />
è veramente una pietra miliare in tutto il<br />
percorso di Goliardo Padova. Intanto il luogo<br />
della ripresa: Padova torna ad esporre la<br />
propria pittura non in una piccola galleria<br />
di provincia, ma alla galleria Cairola, e il<br />
nome stesso evoca una storia importante.<br />
Stefano Cairola è stato il maggior gallerista<br />
di Genova dalla metà degli anni ‘30 fino ai<br />
primi anni ‘40, e la sua galleria era il punto<br />
di riferimento del Gruppo di Corrente. Presso<br />
di lui, a Genova, espongono gli artisti più<br />
importanti di Corrente e tra questi anche<br />
Sandro Cherchi, di cui il <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>, grazie<br />
agli Amici di Palazzo Te, possiede ora una<br />
bella scultura.<br />
Comunque Cairola a un certo punto comincia<br />
a trasferire la sua attività a Milano, dapprima<br />
subentrando al Gruppo di Corrente nella<br />
loro galleria in via della Spiga, poi aprendo<br />
uno spazio proprio, dopo che la Galleria di<br />
Genova (che aveva questo nome) era stata<br />
bombardata durante la guerra.<br />
Padova dunque riprende dopo questo periodo,<br />
che sembrava un periodo perso, riallacciando<br />
questo filo, questa continuità molto<br />
importante che passa attraverso la Galleria<br />
Cairola. In copertina è riprodotta un’opera<br />
non so se scelta da lui o dal poeta Bertolucci<br />
che lo presenta in questa occasione. È stata<br />
scelta proprio l’opera che vedete esposta in<br />
questa sala, una delle opere più belle e più<br />
riuscite, la n. 10 della serie delle Ruspe in<br />
terra di golena, tema veramente originale<br />
e nuovo, un tema di grandissima attualità:<br />
immagino che molti di voi abbiano visto<br />
l’ultimo film di Ermanno Olmi, Cento chiodi,<br />
un film bellissimo girato da una persona che<br />
veramente conosce la nostra terra, la terra<br />
di Po intendo, e conosce la sensibilità della<br />
gente, uno che potrebbe benissimo capire la<br />
pittura di Goliardo Padova quando Padova<br />
raffigura i terrazzieri, la gente che lavora sul<br />
Po. Ecco, il film di Ermanno Olmi si chiude<br />
in maniera abbastanza drammatica con queste<br />
ruspe incombenti che distruggono le rive del<br />
fiume.<br />
Questo tema, questo rapporto di violenza<br />
fra la macchina e la terra che lui amava<br />
tantissimo, aveva già scosso in maniera molto<br />
forte Goliardo Padova. Questo si traduce con<br />
una pittura estremamente energica, dove il<br />
disegno, il contorno, la linea vorticosa fa a<br />
gara con il colore; all’inizio domina la linea,<br />
in quelle che hanno la numerazione bassa,<br />
13
14<br />
C O N F E R E N Z E<br />
Catalogo della personale di Goliardo Padova alla<br />
Galleria Cairola di Milano, 1958.<br />
fino ad arrivare a Ruspe in terra di golena<br />
n. 10, che è stata scelta per la copertina del<br />
catalogo, dove finalmente la linea stessa<br />
diventa colore e tutt’uno con la matassa<br />
cromatica con cui lui ha costruito questa<br />
figurazione molto mossa.<br />
Apriamo il catalogo, dove troviamo un<br />
ritratto dell’artista e due opere tutto sommato<br />
accostabili a un dipinto presente in mostra<br />
che rappresenta sempre il Po con le barche,<br />
oltre al profilo biografico molto breve, ma<br />
significativo, scritto da Bertolucci: “Goliardo<br />
Padova è nato nel ‘9 a Casalmaggiore, il<br />
margine ultimo della provincia di Cremona,<br />
fra l’umidore arborescente del Po con le<br />
sue lanche e l’espandersi della campagna<br />
verso il mantovano. Ha studiato a Parma<br />
all’Istituto d’arte, poi a Milano, a Brera dove<br />
in seguito ancora giovane ha svolto attività di<br />
insegnante. Dal ‘30 al ‘42 risiedette a Milano<br />
e in quel periodo partecipò a varie mostre<br />
regionali e nazionali, poi venne la guerra,<br />
la prigionia. Ora dopo un lungo silenzio ha<br />
ricominciato a dipingere”. Ebbene, davanti<br />
a queste opere, e per questo sottolineo<br />
l’importanza dei dipinti che sono stati riuniti<br />
in questa mostra, Attilio Bertolucci molto<br />
profeticamente scrive queste cose: “Nel<br />
primo tempo della sua ripresa, Padova ha<br />
dipinto esclusivamente a tempera, quasi<br />
temendo che altre tecniche potessero tradire<br />
la sua intuizione fiammante del mondo<br />
[bellissima questa espressione]. I quadri<br />
di questo periodo svariano come stendardi<br />
in lode della vita. Ma negli oli ultimi la<br />
vena non s’è perduta, s’è approfondito il<br />
discorso. La naturale evoluzione del pittore<br />
ci promette una stagione ricca di frutti.<br />
Auguriamogli, auguriamoci che si svolga<br />
con felice continuità. È giusto che Padova<br />
riacquisti gli anni della prigionia, giusto che<br />
questi anni non siano stati del tutto buttati<br />
via: la sofferenza d’allora avrà servito a dargli<br />
quella tempra morale che gli ha fatto superare<br />
i pericoli dell’inaridimento e quelli ancora più<br />
pericolosi della facilità”.<br />
Una cosa davvero va sottolineata: la pittura di<br />
Padova non è una pittura facile, che si possa<br />
amare con un’occhiata superficiale, ma, così<br />
come è stata concepita con una pazienza di<br />
visione, come ha scritto bene Paolo Fossati,<br />
Goliardo Padova, Ruspe in terra di golena n. 10, 1957, tempera su carta. Collezione Florenzio Padova.<br />
allo stesso modo richiede una pazienza di<br />
osservazione. Ma poi scorriamo rapidamente<br />
l’elenco dei dipinti esposti: troviamo dei titoli<br />
di opere che sono confluite allo CSAC di<br />
Parma, ma anche un certo numero di opere<br />
presenti in questa mostra, tra cui sottolineo<br />
anche Mia madre in cucina, del ‘57, oltre alla<br />
serie delle Ruspe in terra di golena. Dopo<br />
questa mostra, a quanto mi risulta, queste<br />
opere non sono più state esposte, quindi è<br />
veramente un privilegio per Casalmaggiore e<br />
per chi verrà a visitare la mostra approfittare<br />
di questa occasione per scoprire un Padova<br />
importantissimo, ma quasi inedito.<br />
Altra opera poco vista, a cui il pittore teneva<br />
moltissimo, è questa Lanca, eccezionale<br />
per le dimensioni, ma soprattutto per questa<br />
ricerca cromatica. Si tratta di una vera e<br />
propria invenzione figurativa. La lanca non<br />
è solo un elemento paesaggistico legato al<br />
Po, è la scena primordiale, è la scena della<br />
creazione con tutti gli animali radunati<br />
attorno, animali che, per quanto in apparenza<br />
fantastici o favolistici, in realtà Padova ha<br />
visto concretamente: ecco gli aironi cinerini,<br />
animali che ancora adesso, se si ha un po’ di<br />
fortuna, si possono incontrare nelle poche<br />
lanche in terre golenali risparmiate dalle<br />
ruspe. Anche gli insetti che Padova dipinge<br />
dalla metà degli anni ‘60 in poi, quegli insetti<br />
stranissimi che poi diventano giganti, li ho<br />
proprio incontrati visitando la sua casa sulle<br />
colline parmensi: questi insetti, verso sera, ti<br />
saltano addosso, girando in maniera caotica<br />
e vorticosa e hanno quell’aspetto che si<br />
vede nei dipinti di Padova. Il pittore certo<br />
trasfigura la realtà, ma parte sempre da un<br />
rapporto molto concreto, molto diretto con le<br />
cose. E ritorna ancora la figura dell’animale,<br />
sul cui spessore simbolico varrebbe la pena di<br />
riflettere, di indagare.<br />
Penso la stessa cosa guardando i Cardi:<br />
ho sempre pensato da bambino ai cardi<br />
come a dei non-vegetali, a dei vegetali un<br />
po’animali. C’è qualcosa di familiare, ma<br />
anche d’inquietante nella figura del cardo: il<br />
cardo ritorna spesso nei dipinti degli anni ‘60<br />
del pittore e sono quasi sempre dipinti molto<br />
belli, anche dal punto di vista dell’uso della<br />
materia, delle luci.<br />
Chiudo questa rapidissima panoramica su<br />
Goliardo Padova con la Gatta di notte: è<br />
un nero su nero, ma in realtà è molto di più<br />
di questo, - e nessun confronto con pittori<br />
del Novecento ci appare a questo punto<br />
convincente -, è un porsi dalla parte della cosa<br />
amata, dell’animale, verso cui l’artista prova<br />
compassione, prova pietà, interrogandosi<br />
anche su come ci si può mettere dall’altra<br />
parte. Solo i grandi pensatori del secolo<br />
scorso, penso ai grandi scienziati come<br />
Einstein, ai grandi poeti o ai grandi pittori,<br />
hanno potuto pensare alle cose come sono<br />
senza di noi. Questa domanda, questo<br />
interrogativo il pittore se lo pone in questo<br />
modo, cioè togliendo completamente la luce<br />
(cioè togliendo ciò che è essenziale per il<br />
pittore, ciò che è vitale per la sua pittura),<br />
lasciando solamente filtrare quel poco di<br />
luce che è prodotta in realtà dall’effetto<br />
tattile della pittura, dal suo rilievo. In questo<br />
azzeramento della luce Padova recupera<br />
questa intimità, questa vicinanza con le cose,<br />
non violate appunto dallo sguardo dell’uomo.<br />
Ringrazio Florenzio Padova per la sua<br />
disponibilità, sia per aver concesso per un<br />
lunghissimo prestito le opere che si possono<br />
ammirare in questa mostra, sia per aver<br />
accettato, lui abbastanza restio ad esporsi in<br />
pubblico, di partecipare a questo incontro.<br />
Mi sono preparato all’ultimo momento<br />
qualche domanda, di cui Florenzio Padova è<br />
del tutto all’oscuro, perché non volevo che<br />
questo dialogo avesse il sapore della minestra<br />
riscaldata.<br />
Florenzio Padova: Volevo fare alcune<br />
precisazioni. Ringrazio innanzitutto lei,
C O N F E R E N Z E<br />
professore, le persone presenti e la dottoressa<br />
Ronda che oggi non ha potuto partecipare<br />
a questo incontro. Io devo ringraziare voi<br />
perché senza la dottoressa Ronda e il prof.<br />
Rosa non ci sarebbe stata questa mostra in un<br />
posto che - io penso - Goliardo non avrebbe<br />
potuto desiderare migliore, vista la luce, visto<br />
tutto questo verde, queste case che erano le<br />
case che lui amava, non certo i condomini<br />
che vedo anche a Casalmaggiore, va beh, è il<br />
progresso! Il nostro è stato un incontro molto<br />
cordiale di persone che, ho notato, avevano<br />
piacere a fare questa cosa, mentre altre volte<br />
ho visto mostre che…non so, forse era meglio<br />
non venissero fatte.<br />
Lei ha dato un appellativo a Goliardo,<br />
chiamandolo “allevatore di polli”: fin per<br />
carità, professore, lui mi si rivolta nella<br />
tomba, perché lui odiava i polli! Era là che<br />
dipingeva, ma se avesse potuto, secondo me,<br />
avrebbe tirato il collo a tutti… Non esiste un<br />
quadro con un pollo: ha fatto tanti animali,<br />
ma i polli sono entrati solo nel ciclo che ha<br />
dipinto in due estati: si alzava prestissimo al<br />
mattino, alle 9 smetteva perché si crollava dal<br />
caldo e riprendeva la sera. Quando abbiamo<br />
lasciato la casa, il prof. Quintavalle si era<br />
attivato con la Soprintendenza di Verona<br />
perché il pollaio non venisse abbattuto,<br />
ma delle brave persone, i proprietari<br />
dell’immobile, venute a conoscenza della<br />
cosa, in tre giorni hanno distrutto tutto.<br />
Riguardo al signor Cairola, sarà stato pure un<br />
grande gallerista, ma con Goliardo è stato un<br />
gangster, perché Goliardo in questa mostra,<br />
quando era andato a smontarla, ha notato<br />
che mancava una tempera e pensava che<br />
fosse stata venduta. In realtà era stata rubata,<br />
e allora non esistevano le assicurazioni<br />
come ora. Per Goliardo è stata una grossa<br />
delusione e l’inizio di quel cattivo rapporto<br />
con i galleristi che forse è stata la sua fortuna.<br />
Così è riuscito a dipingere e a tenersi di più<br />
i quadri, visto che lui li amava i suoi quadri:<br />
non li faceva per venderli, ma per tenerli. Poi<br />
è stato costretto anche a venderli, perché nella<br />
vita senza i soldi…<br />
Valter Rosa: Visto che siamo in tema,<br />
affrontiamo il problema della mancata<br />
fortuna critica di Padova. È veramente<br />
incredibile come un pittore, che ha avuto<br />
la ventura di incontrare poeti come Attilio<br />
Bertolucci, critici del livello di Roberto<br />
Tassi, di Quintavalle, di Fossati, Arcangeli e<br />
di tanti altri, non sia mai riuscito ad entrare<br />
in una grande sintesi dell’arte italiana,<br />
penso ai manuali di storia dell’arte italiana<br />
che pure accolgono nomi come quelle di<br />
Morlotti e di Cassinari, artisti grandi per<br />
carità, ma nei confronti dei quali Padova non<br />
doveva assolutamente restare in secondo<br />
piano. Sicuramente il rapporto difficile con<br />
il mercato è un elemento chiave per capire<br />
le ragioni di questa assenza; sicuramente il<br />
fatto di essersi ritirato in provincia per un<br />
arco di tempo abbastanza significativo della<br />
sua vita ha avuto il suo peso, anche se in<br />
provincia i grandi critici di cui si diceva lo<br />
frequentavano, quindi non era una posizione<br />
La casa di Goliardo Padova a Casalmaggiore con la torretta-studio (1960 circa).<br />
di isolamento quella che lui ha vissuto<br />
negli anni trascorsi a Casalmaggiore. Certo<br />
le ragioni del mercato sono implacabili e<br />
portano a vere e proprie censure: la sua<br />
esclusione dal gruppo maggiore dei chiaristi<br />
io non me la spiego se non proprio in<br />
relazione a questo. Insomma non si capisce<br />
perché Goliardo Padova, citato da Carrà,<br />
citato da Sinisgalli e da altri come il più<br />
significativo dei chiaristi, debba essere<br />
relegato in un’appendice del chiarismo<br />
mantovano e non messo vicino a De Rocchi,<br />
Del Bon e Lilloni: questo veramente è<br />
incomprensibile.<br />
F. P.: Come del resto la collocazione a<br />
Palazzo Bagatti Valsecchi [n.d.r. la mostra<br />
su Il Chiarismo lombardo del 1986], dove<br />
Goliardo era messo fuori, con la nebbia che<br />
aleggiava attorno ai quadri, quando dentro<br />
c’erano dei pittori come Sassu. Allora io<br />
sinceramente mi sono chiesto che mostra<br />
del chiarismo fosse quella, perché c’erano<br />
dei rossi, c’erano dei verdi, c’erano dei<br />
gialli… Ma se queste cose le noto io, sono<br />
il figlio e chiuso, ma queste cose le ha<br />
notate e le ha scritte il prof. Quintavalle,<br />
in un articolo dedicato alla mostra dove<br />
su quattro colonne due erano su Goliardo.<br />
Sono tutte quelle cose che negli anni si<br />
sono ripetute: “dobbiamo, dobbiamo”, ma<br />
poi… La morale è molto semplice: Goliardo<br />
non aveva un mercante. Di quadri di quel<br />
periodo ce n’erano pochissimi: i quadri<br />
erano di tutti gli altri pittori, quindi quella<br />
mostra era servita a muovere una certa cosa<br />
dove c’erano degli interessi. Dietro all’arte<br />
ci sono i soldi: dei galleristi, dei critici, che<br />
guarda caso parlano sempre bene di tutti.<br />
Allora sono tutti dei grandi pittori. Io non<br />
ho mai letto qualcuno che avesse la forza<br />
di dire: beh, questo può essere meglio di<br />
quello. Sono tutti bravissimi. Ma se tu ti<br />
leghi a qualcuno, allora cominci a fare il<br />
commerciante e smetti di essere un pittore.<br />
Quindi io ringrazio mio padre di non essere<br />
stato un commerciante, di avere continuato a<br />
fare quello che si sentiva di fare senza nessun<br />
tipo di legame economico. La riprova è che<br />
di tanti altri pittori ormai è stato visto tutto,<br />
mentre nella mostra ora qui al <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong><br />
su 29 opere ce ne sono 23 che, tranne pochi<br />
amici (e qualcuno è presente) che le hanno<br />
viste su da me a Tizzano, nessuno aveva<br />
mai visto. E chiudo la faccenda ricordando<br />
che nessun critico, prima, quando mio padre<br />
era in vita, e dopo, si è mai preso la briga di<br />
dire “andiamo a vedere cosa ha fatto Padova<br />
negli anni ‘60-‘70, perché tutti i critici che<br />
lei prima ha nominato (e non ho paura a<br />
dirlo), bravissimi per carità, ma amici no,<br />
eh professore, perché l’amicizia è un’altra<br />
cosa. E di amici ne ha avuti pochi: il prof.<br />
Quintavalle lo ha scritto “non permetteva<br />
se non ad amici critici e intellettuali di<br />
avvicinarlo”: l’unico è stato Giuseppe Tonna.<br />
Il prof. Tonna è stata la persona che, dopo<br />
la crisi del dopoguerra, gli ha permesso e<br />
gli ha dato la forza di ricominciare perché ci<br />
credeva, non perchè aveva degli interessi. E<br />
ci credeva lasciandogli fare tutto quello che<br />
lui voleva fare. Io ricordo quando veniva lì a<br />
Casalmaggiore, finita la scuola: Goliardo gli<br />
faceva vedere queste opere sul cavalletto in<br />
modo quasi timoroso, lui le guardava dall’alto<br />
della sua statura (era il doppio di mio padre)<br />
e gli batteva la mano sulla testa dicendogli:<br />
“Goliardo, te li mangi tutti!”. Per lui questa è<br />
stata una forza che non ha saputo trasmettergli<br />
nessun altro. In quei momenti venivano giù,<br />
mangiavano e bevevano… È un po’ come il<br />
quadro che ho su io e che le ho fatto vedere:<br />
“Dove sono gli amici del Po?”. Era la stessa<br />
cosa: venivano giù, andavano all’Eridanea,<br />
mangiavano e bevevano, però lui già da allora<br />
era il primo ad essere consapevole che il<br />
Po lo stavano distruggendo. Adesso stanno<br />
15
16<br />
C O N F E R E N Z E<br />
lanciando gli allarmi, ma ormai è tardi: lui<br />
l’ha visto 50 anni fa cosa stava succedendo.<br />
Il discorso è molto semplice: lui ha deciso di<br />
dipingere, mentre ci sono pittori che hanno<br />
deciso di dipingere, ma anche di arricchirsi<br />
e a quel punto non puoi fare quello che vuoi,<br />
devi fare quello che vuole il mercato. Diceva<br />
che servivano due generazioni dalla morte del<br />
pittore prima che si potesse dire se aveva fatto<br />
qualcosa di valido o meno: sono passati 28<br />
anni dalla sua morte, una generazione è qui,<br />
aspettiamo la seconda e poi si vedrà quello<br />
che succederà. Però io vedo una persona<br />
come lei che si è avvicinata a mio padre<br />
senza averlo conosciuto, sensibile: mio padre<br />
cercava persone come lei, non quelle che<br />
scrivevano sui grandi pittori, i grandi articoli,<br />
perché erano spinti da altre ragioni: è per<br />
questo che la voglio ringraziare ancora.<br />
V. R.: Sicuramente, da quanto ho capito, suo<br />
padre ha avuto un rapporto privilegiato con i<br />
poeti e gli scrittori piuttosto che con i critici,<br />
un rapporto più diretto, anche di amicizia,<br />
come giustamente diceva lei, però non vorrei<br />
cadere nell’atteggiamento opposto di non<br />
riconoscere il lavoro molto importante di<br />
chi lo ha studiato sul versante della critica<br />
d’arte e della storia. Mi riferisco ad esempio<br />
alla prima grande mostra curata allo CSAC<br />
di Parma da Vania Strukely e dal prof.<br />
Quintavalle, che è risultata determinante per<br />
la riscoperta dell’artista.<br />
F. P.: Forse se l’avessero aiutato un po’<br />
prima… Io sono contento così, però resta<br />
il fatto che questi rapporti che ha avuto con<br />
Bertolucci e con Tonna sono stati rapporti<br />
molto più sentiti, perché lui diceva che i<br />
suoi quadri andavano visti con il cuore.<br />
Adesso io non posso nominare un grande<br />
critico, che ha scritto molto su mio padre:<br />
mi ha sempre detto che, per ragioni di un<br />
suo lavoro precedente, le opere le vedeva<br />
più con il cervello che con il cuore. E mi<br />
aveva chiesto un parere su un ultimo articolo<br />
che aveva scritto: queste cose però non le<br />
scriveva quando era in vita Goliardo, forse<br />
se l’avesse fatto… Goliardo non ha avuto<br />
questo aiuto, però lui è andato avanti per<br />
la sua strada. Se c’è un pittore che non ha<br />
scopiazzato come è successo per diversi, è<br />
lui: le cose son lì da vedere, le carte bisogna<br />
metterle giù sul tavolo. Degli altri si conosce<br />
moltissimo, di Goliardo si conosce molto<br />
poco perché lui amava le sue cose e amava<br />
tenersele: pian pianino stan venendo fuori,<br />
grazie anche a persone come lei. Voglio solo<br />
fare una precisazione: il dott. Tassi quando<br />
venne a casa mia a fare la scelta per le opere<br />
da inserire alla mostra della Permanente, non<br />
si era ancora reso conto che gli insetti (e lo<br />
fece notare Zambianchi) li aveva fatti dieci<br />
anni prima di Sutherland. Questo significa<br />
aver seguito o imitato un pittore? No, non mi<br />
sembra. Goliardo non era quello che andava<br />
a cercarli, non l’avrebbe mai fatto per il suo<br />
carattere, però apriva le porte e il cuore a chi<br />
ci andava.<br />
V. R.: Lei ha mai osservato suo padre mentre<br />
dipingeva? E lui glielo permetteva?<br />
F. P.: Non lo ha mai permesso a nessuno.<br />
Nessuno ha mai visto mio padre dipingere,<br />
perché lui a Casalmaggiore aveva il suo<br />
studio nella torretta e appena sentiva<br />
qualcuno che saliva sulla scala e apriva la<br />
bottola d’ingresso, lui smetteva. Addirittura<br />
nei due studi di Parma, a Borgo delle<br />
Colonne e prima al Borgo del Naviglio,<br />
aveva una tenda dove dipingeva. Non c’erano<br />
campanelli, per cui era impossibile andare<br />
là a disturbarlo. Se andava qualcuno di noi<br />
certamente ci accettava ben volentieri, ma<br />
non dipingeva sotto i nostri occhi. Non so<br />
cosa volesse dire questo atteggiamento,<br />
probabilmente era molto geloso di quello che<br />
stava facendo.<br />
V. R.: Magari qualche volta sbirciava nello<br />
spazio di lavoro di suo padre?<br />
F. P.: No, avevo un rispetto totale, anche dopo<br />
che è mancato, per parecchio tempo, perché<br />
so quanto ci teneva che le cose fossero tenute<br />
in un certo modo, che non si rovinassero.<br />
V. R.: Noi possiamo ancora ammirare i suoi<br />
cavalletti e i suoi strumenti di lavoro. In<br />
questo museo abbiamo un po’ enfatizzato<br />
questo aspetto del lavoro dell’artista, non<br />
certo perché siamo convinti che tutto il<br />
lavoro dell’artista risieda nella dimensione<br />
puramente materiale del mestiere. Tuttavia<br />
prestare attenzione al modo concreto di<br />
lavorare, di costruire l’opera, a partire<br />
anche dagli strumenti stessi della pittura<br />
ci è sembrato che, in un luogo come<br />
questo che è stato la casa-studio del pittore<br />
Giuseppe <strong>Diotti</strong>, potesse essere un elemento<br />
interessante da sottolineare, da farne quasi<br />
una sorta di traccia, di guida, di questo<br />
particolare museo di provincia. Così abbiamo<br />
chiesto a Florenzio Padova di prestarci due<br />
cavalletti, uno da studio, largamente usato dal<br />
pittore come si può notare dalle incrostazioni<br />
di colore, e uno più antico, da campo, che lui<br />
non usava, ma che si vede in una sequenza<br />
del film Prima della rivoluzione girato nel<br />
1964 dal regista Bernardo Bertolucci, figlio<br />
del poeta Attilio.<br />
F. P.: Eravamo presso la lanca di Agoiolo,<br />
piena di ninfee. Gliel’avevamo trovato noi<br />
quel posto: io ci andavo a pescare, lui veniva<br />
di fianco a me perché aveva il terrore che<br />
io potessi cadere in acqua; io e mio padre<br />
stavamo là delle ore, io a pescare, lui stava<br />
fermo, si guardava questi aironi… Ricordo<br />
che dopo il primo giorno di ripresa del film<br />
sono stati tutti in albergo, si sono rifiutati di<br />
continuare a girare il film perché erano tutti<br />
colpiti dalle zanzare! Ci ha chiesto Bernando<br />
come mai non avevamo punture: “Sarà perché<br />
voi venite da Roma!” Dopo hanno dovuto<br />
cospargersi tutti con prodotti, tipo Autan, però<br />
non vedevano l’ora di finire quella scena,<br />
perché erano stati assaliti!<br />
V. R.: Immagino che il pubblico presente in<br />
sala abbia visto quel film – forse i più giovani<br />
no – dove c’è una sequenza abbastanza<br />
lunga in cui si vede il pittore, seduto su uno<br />
sgabello molto basso, che finge di dipingere<br />
davanti a quel cavalletto che è in mostra: ora<br />
sappiamo che non avrebbe mai dipinto sul<br />
serio non solo davanti a una cinepresa, ma<br />
neanche in presenza di un osservatore.<br />
F. P.: Non voleva neppure apparire, ma<br />
poi Bernardo ha insistito, e probabilmente<br />
grazie al papà con cui aveva un rapporto<br />
bellissimo… Ma anche con lui aveva ottimi<br />
rapporti: era un ragazzo, agli inizi della sua<br />
carriere, e parlava della famosa ranina [n.d.r.<br />
la lenticchia d’acqua]. In pratica quel film<br />
è un altro grido di allarme e la prova è che<br />
questo budrio dove c’erano tutte quelle ninfee<br />
non c’è più. Ora capisco perché a Goliardo<br />
piaceva venire lì. Quando siamo entrati in<br />
questa lanca (ci si entrava passando sotto a<br />
tutta una vegetazione folta), Bernardo e tutto<br />
il resto della troupe sono come impazziti:<br />
capirai, abituati a Roma, gli sarà sembrato di<br />
entrare nella foresta amazzonica.<br />
V. R.: Si diceva della casa di Casalmaggiore<br />
frequentata dagli amici scrittori e critici:<br />
era frequentata anche da altri artisti, suoi<br />
compagni di strada?<br />
F. P.: Forse lei professore non sa perché<br />
Goliardo ha cominciato a essere frequentato<br />
dai vari Tassi, Bertolucci, Artoni, Carlo<br />
Mattioli… e se lei legge un articolo, una<br />
presentazione di Ubaldo Bertoli scritta per<br />
una mostra, trova la spiegazione: Carlo<br />
Mattioli disse a questa gente: se volete,<br />
vi porto a casa sua, vista l’amicizia fra<br />
Mattioli e mio padre, cosa molto strana, eh.<br />
La mattina del funerale di mio padre, prima<br />
che arrivassimo io e mia madre, c’era Carlo<br />
Mattioli alle 7.30 dentro la camera mortuaria,<br />
per dire il rispetto che aveva Mattioli per<br />
mio padre. Ed è stato lui che dicendo questo<br />
ha organizzato questo primo giro da Parma<br />
a Casalmaggiore: sono venuti giù, hanno<br />
incominciato… dopo non so se Mattioli sia<br />
stato contento di questa cosa! Quando c’è<br />
stata l’inaugurazione della mostra nell’’89<br />
della donazione allo CSAC, dopo qualche<br />
giorno sono passato di là e ho incontrato il<br />
prof. Quintavalle, il quale prendendomi da<br />
parte, mi ha detto: “Florenzio, posso dirle una<br />
cosa che dovrebbe farle molto piacere? La<br />
mostra è stata visitata l’altro giorno dal pittore<br />
Carlo Mattioli, non era mai successo che una<br />
volta fatto il giro delle Scuderie venisse da<br />
me e mi dicesse “Complimenti, gran bella<br />
mostra”; questo è il più bel complimento che<br />
poteva ricevere Goliardo, perché detto da<br />
Carlo Mattioli , che già è venuto pochissime<br />
volte”. Mi aveva fatto molto piacere,<br />
insomma, detta poi dal prof. Quintavalle, non<br />
dal primo che passava per strada!<br />
V. R.: Vi sono stati altri artisti che hanno<br />
frequentato la casa? Anche la casa di Parma,<br />
naturalmente…<br />
F. P.: L’artista che l’ha frequentato di più è<br />
stato Bruno Zoni, un suo grande amico. C’è<br />
stato un periodo che era lì da noi una sera sì<br />
e una sera no e facevano delle risate pazze<br />
perché Zoni, a differenza di Goliardo, non<br />
poteva vedersi con Mattioli e lui raccontava<br />
delle cose (vai poi a sapere se erano vere<br />
o meno) talmente assurde che diventavano<br />
quasi delle barzellette. Mio padre, che non ho<br />
mai sentito ridere in quel modo, si divertiva
C O N F E R E N Z E<br />
un mondo: io delle volte dormivo già, perché<br />
erano magari le due di notte, e gli dicevo<br />
“Ma, Goliardo, che cos’hai da ridere così?”<br />
“Ma vieni a sentire cosa ha detto…!” E lui<br />
si divertiva. Lui era una persona così. Io non<br />
ho mai sentito mio padre parlare male di un<br />
pittore, né come persona né come pittore. Poi<br />
lui le sue idee le aveva sicuramente, però non<br />
ha mai avuto delle discriminazioni per uno o<br />
per l’altro, diceva che ognuno aveva i propri<br />
occhi e ciascuno doveva guardare con i propri<br />
occhi la pittura degli altri pittori.<br />
V. R.: Vorrei affrontare l’argomento del<br />
trauma della prigionia in Germania, nel<br />
campo di concentramento. Sappiamo quanto<br />
questo abbia inciso anche sulla sua pittura<br />
e sia stato elaborato in vari modi; ma nella<br />
vita quotidiana, nel rapporto anche con la<br />
famiglia, nei racconti che lui può aver fatto, è<br />
trapelato o filtrato o è stato comunque tenuto<br />
dentro? Magari anche a distanza di tempo...<br />
F. P.: Io sono nato nel 1947. Io non l’ho mai<br />
sentito narrare qualcosa sulla prigionia tranne<br />
il mangiare kartofen (odiava le patate), il<br />
fatto che avesse dovuto cedere un bellissimo<br />
Omega, con cronometro d’oro, con fasi lunari<br />
e il resto, visto che, negli ultimi momenti, era<br />
ridotto allo stremo, perché era 37 chili (alla<br />
fine è arrivato a 55 e mi diceva “Florenzio,<br />
ho messo su la pancetta da commenda!”<br />
“Oh, ma quanto sei?” “55” “Ah, cavoli! - gli<br />
dicevo - occhio che sei ingrassato proprio!”).<br />
A quel punto aveva preferito donare a una<br />
delle guardie questo orologio in cambio<br />
di qualche pasto come tutti gli altri. E poi<br />
hanno continuato a incontrarsi, quelli che<br />
sono riusciti a venire a casa: ogni due anni<br />
facevano una cena (una l’avevano fatta anche<br />
al City), si ritrovavano i superstiti di questo<br />
campo. Però le posso dire: quando c’erano,<br />
negli anni Sessanta, i film sulla guerra, lui<br />
appena vedeva alla televisione uno di quei<br />
film (io da piccolo non lo capivo, l’ho capito<br />
dopo), non batteva parola e si ritirava in<br />
un’altra stanza. E non sopportava le reti, tanto<br />
è vero che su a Tizzano c’erano recintati i<br />
due lati in confine con quello che ha la casa<br />
di sopra, ma non verso la strada, dove invece<br />
adesso ho recintato per il mio cane. Ma lui<br />
di recinti meno ne vedeva e meglio era. Ma<br />
non è stato senz’altro l’unico trauma della<br />
sua vita, eh, professore, perché il trauma di<br />
venir via da Casalmaggiore come è venuto<br />
via, - io ne so qualcosa anche se avevo solo<br />
14 anni - è stato un trauma non piccolo. È<br />
andata bene che l’anno dopo ha trovato quel<br />
posto lì in montagna, ha fatto questa casetta<br />
e via, dove è andata quella grande “lanca”<br />
che è in mostra che non è mai stata esposta<br />
perché l’ha dipinta nel ’61 e nel ‘62 l’ha<br />
messa in quella sala dove l’ha vista lei, da<br />
dove non si è mai spostata, e di questo sono<br />
sicuro, perché adesso poi ci abito stabilmente.<br />
Quindi, secondo me, quella è stata un’altra<br />
cosa che lui ha patito molto: il distacco dalla<br />
sua casa, dal suo ambiente, dal suo paesaggio,<br />
non detto da me, per carità che sono l’ultimo<br />
a dover parlare, ma detto da Fossati, da<br />
Mendogni e da altri. Ecco, Mendogni è stata<br />
un’altra persona che mio padre ha apprezzato<br />
molto: non un critico puro, ma un letterato.<br />
Lui aveva trasportato i suoi colori della Bassa<br />
sull’Appennino: è andata bene che è riuscito<br />
a ritrovarsi… E qualche tempo dopo:”Non<br />
mi ha neanche detto grazie il comune<br />
di Casalmaggiore”. Perché poi bisogna<br />
interpretare la persona sulla sua sensibilità:<br />
ci sono persone per cui fatti del genere sono<br />
una cosa normalissima, ci sono persone<br />
come Goliardo con una sensibilità tale che<br />
penso si veda dalle opere che ha fatto, perché<br />
altrimenti non sarebbe passato da quello che<br />
ha passato…<br />
Tornando alla mostra da Cairola, il fatto<br />
di quella tempera per lui è stato un dolore<br />
enorme, una grossa delusione; dopo quella<br />
mostra, sì, ne ha fatte altre. Però a Parma,<br />
alla Ruota, è successo ancora di peggio.<br />
Vede, bisognerebbe saper tante cose per<br />
comprendere perché Goliardo non ha avuto<br />
questo famoso mercato: Brando Bocchi, pace<br />
all’anima sua, dopo avere fatto le prime due<br />
mostre andate meglio di tutti gli altri pittori<br />
del ‘900, perché alla Galleria La Ruota nel<br />
‘60, sono passati tutti i più grandi pittori del<br />
‘900 (Goliardo alla prima mostra, la sera<br />
dell’inaugurazione - me lo ricordo come fosse<br />
adesso - aveva venduto metà delle opere,<br />
grazie a Bocchi – ed è stato lì che Parma ha<br />
conosciuto mio padre, preparata naturalmente<br />
dai vari Tassi, Bertolucci eccetera), acquistò<br />
un certo numero di oli di Goliardo. A parte<br />
che mio padre non ha quasi più visto una<br />
lira di questi quaranta oli, ma a un certo<br />
momento questo Bocchi ha litigato con la<br />
sua compagna e la galleria è andata a zero: le<br />
opere (e me ne sono trovate anch’io facendo<br />
un lavoro tutto diverso) sono state disperse a<br />
dei prezzi ridicoli, perché lui aveva l’acqua<br />
alla gola… Quindi ci sono state tante cose<br />
che hanno ferito Goliardo, non solo la guerra.<br />
La guerra poi l’aveva passata, perché basta<br />
vedere i suoi dipinti della ripresa: uno dopo<br />
10 anni non avrebbe avuto la forza, 50 anni<br />
fa, di fare queste cose. E poi ci sono tante<br />
altre questioni, ma lasciamo stare, perché<br />
entriamo in temi troppo particolari…<br />
V. R.: Aggiungo una piccola cosa a<br />
commento di quello che lei ha appena detto.<br />
La storia non si fa con i se e con i ma, eppure<br />
la storia di Goliardo Padova, pensando a<br />
quello che gli è capitato, poteva anche essere<br />
diversa: senza la persecuzione degli ebrei<br />
(sono documentate le angherie subite, anche<br />
a Brera, a causa di un cognome scomodo) e<br />
senza l’internamento in Germania, avrebbe<br />
guadagnato anni cruciali. Non dimentichiamo<br />
che nel secondo dopoguerra, nel periodo<br />
in cui smette di dipingere o quantomeno di<br />
esporre il proprio lavoro, si delinea un profilo<br />
dell’arte italiana intorno a un certo numero<br />
di autori che vengono lanciati dalla critica,<br />
promossi da grandi mostre, e sono poi gli<br />
artisti che si vedono anche alle Biennali<br />
di Venezia. Si tratta di mostre che fanno il<br />
punto sull’arte italiana in quegli anni cruciali,<br />
gli anni ‘50 dell’arte italiana, e non avervi<br />
potuto partecipare vuol dire effettivamente<br />
aver perso un treno formidabile, che avrebbe<br />
potuto facilmente trainarlo dentro la storia<br />
con la S maiuscola.<br />
F. P.: Non aveva voluto legarsi a dei partiti.<br />
V. R.: Altra cosa: aver vissuto anche eventi<br />
sociali e politici non dico con distacco, ma<br />
con una partecipazione personale non legata<br />
a delle bandiere, anche questo gli ha precluso<br />
le scorciatoie, se non le vie… Effettivamente<br />
la sua storia avrebbe potuto svolgersi in altri<br />
modi, con altre forze. Avrebbe potuto anche<br />
non essere il pittore del Po, secondo me, al<br />
di là di questo legame iniziale con la terra e<br />
che in genere sentono tutti quelli che hanno<br />
trascorso la propria infanzia sulle rive del<br />
fiume. Bene o male questa cosa entra dentro<br />
ed è difficile sbarazzarsene. Però negli anni<br />
in cui lui ha vissuto a Milano ed è diventato<br />
anche un promotore di mostre altrui, perché<br />
parte attiva nell’organizzazione delle più<br />
importanti rassegne degli anni ‘30, non era<br />
particolarmente legato al paesaggio del fiume.<br />
Il fiume entra dopo, in un secondo momento<br />
della sua pittura, e anche comunque avendo<br />
alla fine dipinto il Po, ha dipinto qualcosa di<br />
più universale e che non possiamo confinare<br />
nel localismo, nel folklore. Dipingendo il<br />
Po, o la collina intorno a Tizzano, Goliardo<br />
Padova ha dipinto temi universali. Il suo<br />
modo di vedere trasfigura la natura.<br />
F. P.: Penso abbia dipinto quello che amava,<br />
e penso che questo sia un grande valore, se<br />
un pittore riesce a dipingere quello che ama<br />
dipingere, non quello che viene imposto per<br />
qualche motivo.<br />
Trascrizione di Letizia Frigerio<br />
17
18<br />
S E R V I Z I E D U C A T I V I<br />
I servizi educativi sono oggi una delle aree<br />
su cui si concentrano molti degli sforzi<br />
progettuali dei musei, nella convinzione<br />
che non si tratti di un’attività residuale<br />
o meno nobile rispetto ad altre, quali<br />
la conservazione, la ricerca o l’attività<br />
espositiva temporanea, ma di uno degli<br />
ambiti con cui maggiormente si realizza la<br />
democratizzazione della cultura e attraverso<br />
cui il museo svolge realmente un ruolo di<br />
pubblico servizio. Tanto che da alcuni anni la<br />
normativa di settore ha imposto la figura di un<br />
apposito Responsabile dei servizi educativi<br />
fra gli standard minimi da garantire, al pari<br />
delle figure del Direttore o del Conservatore.<br />
I servizi educativi comprendono<br />
tradizionalmente l’attività didattica rivolta<br />
alle scolaresche ma anche, in un’accezione<br />
più estesa e strettamente connessa con<br />
le altre funzioni del museo (dalle scelte<br />
d’allestimento ai supporti informativi),<br />
tutta una serie di interventi volti a facilitare<br />
l’approccio al museo da parte di diverse e più<br />
ampie categorie di pubblico.<br />
Alcune delle prime iniziative proposte<br />
dal <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> a pochi giorni dalla sua<br />
inaugurazione sono state rivolte al pubblico<br />
delle famiglie: si è trattato di visite “animate”<br />
organizzate a maggio in occasione della<br />
IX Settimana della Cultura e a settembre<br />
in occasione della Notte dei Musei, e di tre<br />
tappe di una caccia al tesoro svoltesi fra aprile<br />
e maggio nell’ambito dell’iniziativa “Chi<br />
trova un museo trova un tesoro” realizzata in<br />
collaborazione con la rete “Leadermuseum”<br />
costituitasi fra 12 musei del territorio del<br />
GAL Oglio Po terre d’acqua. Il Comune di<br />
Casalmaggiore ha svolto il ruolo di Comune<br />
capofila del progetto che ogni <strong>Museo</strong> aderente<br />
ha poi realizzato in autonomia, cercando di<br />
valorizzare al massimo la specificità delle<br />
proprie collezioni; obiettivo comune però<br />
è stato quello di promuovere il territorio<br />
attraverso le risorse museali, spesso poco note<br />
anche alla popolazione residente, e di farlo<br />
attraverso attività di carattere ludico rivolte a<br />
squadre composte da elementi di età diversa:<br />
bambini, adolescenti, adulti. L’esperienza è<br />
stata faticosa, sia per gli organizzatori che<br />
per le squadre partecipanti che – in tre finesettimana<br />
– hanno visitato tutti i 12 musei<br />
dell’area interessata, ma è stata sicuramente<br />
gratificante e significativa per gli sforzi di<br />
rinnovamento compiuti dai musei nel modo<br />
di proporsi. Le gare, le singole prove, ma<br />
soprattutto le modalità e lo spirito di questa<br />
iniziativa potranno ora essere riproposte e<br />
mandate a regime nell’ambito più ampio di<br />
tutte le proposte per la scuola o per altri tipi<br />
di pubblico. La sostenibilità del progetto nel<br />
tempo, al di là dell’occasione contingente, è<br />
probabilmente il risultato più soddisfacente, e<br />
si è dimostrato che al museo, anche nei nostri<br />
piccoli musei, si possono fare esperienze<br />
piacevoli. E soprattutto si possono fare<br />
esperienze, non subire passivamente dei<br />
contenuti. L’interazione, la fruizione a tutto<br />
tondo delle risorse museali, la dimensione<br />
comunicativa e narrativa del museo, la<br />
dimensione ludica che non necessariamente<br />
contrasta con quella culturale: su questi<br />
aspetti varrà la pena di confrontarsi e lavorare<br />
ancora.<br />
Sul fronte scolastico va rilevato che nei primi<br />
mesi dopo l’apertura, in corrispondenza<br />
con la fine dell’anno scolastico 2006/2007<br />
e l’inizio del successivo, il <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong><br />
è stato visitato dalle scuole cittadine, in<br />
particolare da classi dell’Istituto d’Istruzione<br />
“G.Romani” e dell’Istituto Comprensivo<br />
“G.<strong>Diotti</strong>”: si è trattato per lo più di visite<br />
volte a prender contatto con la nuova realtà<br />
museale della città, guidate dagli operatori<br />
didattici del <strong>Museo</strong> o dagli insegnanti stessi.<br />
Nell’ultima fase dell’anno ha cominciato<br />
invece ad affermarsi una diversa modalità<br />
di fruizione da parte delle scuole, legata a<br />
percorsi tematici relativi a particolari opere<br />
o temi delle raccolte e integrati da attività<br />
laboratoriali di vario genere. Ciò alla luce<br />
della diffusione di una precisa proposta<br />
per le scolaresche messa a punto nel corso<br />
dell’estate in collaborazione con l’operatrice<br />
didattica Luisa Zanacchi e diffusa attraverso<br />
la stampa e il sito internet del <strong>Museo</strong> nel<br />
mese di ottobre. Le prime classi che, sul finire<br />
del 2007, hanno aderito alle proposte sono<br />
state classi di Scuola Primaria provenienti da<br />
Gussola, Rivarolo Mantovano e Rivarolo del<br />
Re.<br />
I percorsi sono variamente rivolti agli alunni<br />
dalla Scuola dell’Infanzia alle Superiori, a<br />
seconda del tema trattato. E’ possibile che in<br />
alcuni casi si rivolgano a fasce d’età molto<br />
ampie poiché gli argomenti, le modalità<br />
espositive o le attività pratiche si prestano<br />
facilmente ad essere variati a seconda<br />
dell’ordine di scuola frequentato. E’ inoltre<br />
previsto che, durante tutto l’anno scolastico,<br />
i diversi percorsi siano integrati dalla<br />
possibilità di visitare le mostre temporanee e<br />
di svolgere attività in linea con i contenuti e<br />
le caratteristiche delle mostre stesse. Per tutti<br />
i percorsi è stata prevista la durata di un’ora<br />
e mezza circa di attività effettiva; il costo per<br />
alunno, comprensivo del biglietto d’ingresso,<br />
è di € 3,50.<br />
COS’E’ UN MUSEO?<br />
Visita di approccio al <strong>Museo</strong> per conoscerne<br />
la tipologia (casa-museo e pinacoteca del<br />
patrimonio locale), le funzioni, i criteri e le<br />
finalità espositive, le modalità di fruizione<br />
e conservazione, il ruolo di chi ci lavora,<br />
la provenienza e l’origine delle collezioni,<br />
il significato dei termini tecnici utilizzati.<br />
Il percorso svolto può variare e si presta a<br />
diversi livelli di approfondimento. (da 4 a 18<br />
anni)<br />
LA NATURA NEGLI OCCHI DEI PITTORI<br />
L’incontro si tiene nella sezione moderna<br />
del <strong>Museo</strong> ed è volto a far conoscere
S E R V I Z I E D U C A T I V I<br />
ai più piccoli come alcuni artisti hanno<br />
interpretato lo spazio che ci circonda,<br />
anche attraverso la presentazione di alcuni<br />
oggetti utilizzati dall’artista per realizzare<br />
l’opera. La conclusione del percorso<br />
prevede differenti soluzioni, in quanto<br />
l’insegnante potrà decidere di sviluppare in<br />
aula didattica un tema a scelta fra “albero”,<br />
“cielo” e “acqua”. In ogni caso, dopo un<br />
recupero delle osservazioni raccolte al<br />
<strong>Museo</strong> e delle sensazioni vissute, i bambini<br />
saranno stimolati con esperienze tattili o<br />
con la visione di insolite immagini e, divisi<br />
in gruppi, potranno ricreare vari aspetti<br />
dell’elemento naturale preso in esame. (da 4<br />
a 8 anni)<br />
LINEE PER RACCONTARE<br />
In aula didattica, prima di visitare il <strong>Museo</strong>,<br />
vengono proposte alcune semplici attività<br />
per chiarire in quanti modi e con quante<br />
possibilità le linee possono essere utilizzate<br />
per creare simboli, forme semplici e<br />
complesse: ci interessa capire come utilizzare<br />
questo segno per arricchire il nostro modo<br />
di comunicare. I ragazzi potranno quindi<br />
osservare le opere esposte con una nuova<br />
consapevolezza e l’operatore li aiuterà a<br />
riconoscere gli artisti nel cui lavoro la linea<br />
ha una funzione significativa e importante.<br />
(da 6 a 14 anni)<br />
I CIELI DI TINO<br />
Durante la visita alla sezione moderna del<br />
<strong>Museo</strong>, l’attenzione dei ragazzi sarà rivolta<br />
alla conoscenza della pittura di paesaggio<br />
e alle differenti modalità con cui gli artisti<br />
locali hanno saputo interpretare e raccontare<br />
gli spazi conosciuti. Oggetto di una lettura<br />
più approfondita saranno le tele realizzate<br />
da Tino Aroldi per capirne le scelte formali,<br />
il linguaggio e i contenuti. Le osservazioni<br />
sull’utilizzo dello spazio, la divisione dei<br />
piani, la distribuzione e il disegno delle<br />
forme, le scelte cromatiche saranno riprese<br />
e “sperimentate” nell’attività in aula. (da 8 a<br />
11 anni)<br />
DI RITRATTO IN RITRATTO<br />
Il percorso si svolge nella sezione antica<br />
del <strong>Museo</strong> (XVIII-XIX sec.) e offre una<br />
chiave di lettura utile alla comprensione del<br />
genere pittorico in questione (caratteristiche,<br />
funzione, modalità esecutive…).<br />
L’osservazione e le informazioni ricevute<br />
durante la visita serviranno poi ai ragazzi per<br />
un’attività in laboratorio in cui vestiranno i<br />
panni degli storici e ricostruiranno, attraverso<br />
oggetti e documenti, una sorta di carta<br />
d’identità di alcuni degli antichi personaggi<br />
incontrati. (da 8 a 14 anni)<br />
TRASPARENTI COLORI<br />
Attraverso un insolito accostamento fra<br />
un’opera antica ed un’opera contemporanea<br />
e attraverso alcune semplici attività<br />
laboratoriali i ragazzi apprenderanno l’antica<br />
tecnica della velatura, o stesura levigata<br />
del colore con sovrapposizione di materia<br />
pittorica applicata in diversi momenti. (da 8<br />
a 14 anni)<br />
TELE, PIGMENTI, VERNICI<br />
La visita al <strong>Museo</strong> e la successiva attività<br />
pratica sono volte a presentare i materiali e<br />
gli attrezzi tradizionali della tecnica pittorica.<br />
I ragazzi potranno manipolare alcuni oggetti<br />
(tele, tavole e pennelli vari); l’operatore<br />
mostrerà l’utilizzo di strumenti particolari<br />
(il pentolino per scaldare resine e colle, il<br />
mortaio per pestare i pigmenti, ecc.) e si<br />
sperimenterà l’uso del colore attraverso<br />
precise applicazioni cromatiche. (da 6 a 14<br />
anni)<br />
LABORATORIO DI-SEGNO<br />
I musei conservano in genere numerosi<br />
disegni: per molti artisti (come <strong>Diotti</strong>)<br />
disegnare è un’operazione molto importante<br />
perché con essa si crea e si progetta l’opera<br />
d’arte in ogni suo aspetto. Altri prediligono il<br />
disegno come tecnica espressiva che permette<br />
di dare libertà anche alle forme più fantasiose<br />
e surreali. Attraverso alcune sperimentazioni<br />
pratiche i ragazzi apprenderanno le<br />
caratteristiche e l’utilizzo di matite,<br />
carboncini, sanguigne, pastelli vari e penne<br />
scoprendo le possibilità espressive offerte<br />
da questi materiali e dai diversi supporti.<br />
La successiva visita al <strong>Museo</strong> sarà dedicata<br />
all’osservazione dei disegni esposti di epoche<br />
e autori diversi. (da 8 a 14 anni)<br />
LETTERE DAL PASSATO<br />
Il museo si suddivide in una sezione storica<br />
ottocentesca e in una parte dedicata agli artisti<br />
del XX secolo che si conclude con opere<br />
d’arte contemporanea. Pur nella differenza<br />
dei temi e dei contenuti di riferimento, la<br />
modalità di visita proposta dall’operatore<br />
privilegerà la possibilità di affiancare<br />
all’osservazione delle opere la lettura di brevi<br />
brani legati alle opere o agli spazi del <strong>Museo</strong>.<br />
Questo potrà risultare agli occhi dei ragazzi<br />
più vivo e presente attraverso lettere, stralci<br />
di documenti, testimonianze degli artisti, testi<br />
critici. (da 8 a 18 anni)<br />
IMMAGINI D’ARTISTA<br />
L’artista ha riprodotto spesso la propria<br />
immagine dando ad essa precise funzioni,<br />
utilizzando iconografie e soluzioni sempre<br />
19
20<br />
S E R V I Z I E D U C A T I V I<br />
differenti. Ritraendosi egli narra del rapporto<br />
con il mondo che lo circonda, rivela la propria<br />
anima oppure mostra il ruolo raggiunto<br />
nella società del suo tempo. L’analisi degli<br />
autoritratti esposti al <strong>Museo</strong> sarà integrata in<br />
aula didattica da una presentazione di come<br />
altri artisti di tutti i tempi hanno affrontato<br />
questo genere pittorico e da un’attività pratica<br />
di fotoritocco digitale. (da 11 a 18 anni)<br />
PAESAGGIO<br />
In aula didattica viene inizialmente proposto<br />
un incontro volto a fornire ai ragazzi un<br />
insieme di dati utili per una visione più<br />
approfondita di questo genere pittorico e per<br />
una successiva lettura delle opere esposte<br />
nella sezione moderna durante la quale essere<br />
partecipi e protagonisti. “Leggendo” con<br />
attenzione la selezione di opere proposte,<br />
i ragazzi capiranno che con il termine<br />
paesaggio non si intende solo l’immagine da<br />
cartolina o lo sfondo che dà ambientazione<br />
alle azioni dei personaggi. Il paesaggio è<br />
anche riflesso dell’anima, autobiografia di<br />
momenti vissuti, presa di coscienza della<br />
realtà circostante, luogo della fantasia… (da<br />
11 a 18 anni)<br />
DIOTTI GIUSEPPE STUDENTE D’ARTE<br />
La visita alla casa-atelier e il successivo<br />
incontro in aula didattica si soffermeranno<br />
sulla cultura e l’arte a Casalmaggiore alla<br />
fine del XVIII secolo, sulla scuola del<br />
Chiozzi e sulla formazione del <strong>Diotti</strong> fra<br />
Casalmaggiore, Parma e Roma. Agli studenti<br />
d’oggi sarà offerta una visione del momento<br />
di formazione artistica e intellettuale dello<br />
studente d’arte coinvolgendoli anche nella<br />
conoscenza di aspetti di vita quotidiana:<br />
il volto delle città e dei luoghi frequentati,<br />
il mondo delle Accademie, le difficoltà<br />
nell’apprendere linguaggi figurativi nuovi,<br />
nel confrontarsi con le opere più “grandi” o<br />
nel rispettare in tempo le consegne. (da 11 a<br />
18 anni)<br />
NEOCLASSICISMO<br />
Il percorso comprende inizialmente una<br />
visita alla casa-atelier del <strong>Diotti</strong>, alternando<br />
momenti di riflessione sulla realtà storica<br />
e politica del tempo (fine XVIII-XIX<br />
sec.) a momenti di analisi delle opere.<br />
Successivamente, in aula didattica, alcune<br />
delle opere conosciute all’interno del <strong>Museo</strong><br />
vengono riprese e utilizzate come traccia<br />
e chiave per capire contenuti e linguaggi<br />
della poetica neoclassica e scoprire nuove<br />
immagini che esse richiamano. (da 14 a 18<br />
anni)<br />
Attraverso le proprie collezioni permanenti,<br />
le mostre, le pubblicazioni, gli incontri,<br />
i corsi e in particolare attraverso queste<br />
proposte rivolte alle scuole, il <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong><br />
ambisce a diventare un punto di riferimento<br />
per la conoscenza dell’arte del territorio,<br />
la formazione di una sensibilità per il<br />
patrimonio, lo sviluppo del gusto e delle<br />
competenze estetiche e creative dei più<br />
giovani.<br />
Tutti i percorsi sono stati studiati tenendo<br />
conto di alcuni principi fondamentali a cui<br />
riteniamo debbano ispirarsi i moderni servizi<br />
educativi dei musei.<br />
1. La visita al museo non deve<br />
essere casuale e generica, ma<br />
deve rappresentare un’esperienza<br />
autenticamente formativa che<br />
integra utilmente il programma<br />
educativo dell’insegnante. Ogni<br />
percorso risponde pertanto a<br />
precisi bisogni e si propone precisi<br />
obiettivi.<br />
2. La visita al museo deve<br />
comunque configurarsi come<br />
un’esperienza “fuori classe” che<br />
mantiene il carattere dell’evento<br />
e la suggestione dell’incontro<br />
ravvicinato con l’opera d’arte<br />
originale. Ogni percorso punta a<br />
guidare i ragazzi ad una fruizione<br />
attenta e consapevole dell’opera nei<br />
suoi molteplici significati, senza<br />
dimenticare il ruolo delle scelte<br />
museologiche compiute.<br />
3. La visita al museo deve essere per i<br />
ragazzi un’esperienza coinvolgente,<br />
non deve “scorrere” lasciandoli<br />
indifferenti. Ecco quindi la<br />
necessità di confrontarsi con le loro<br />
conoscenze pregresse e con le loro<br />
esperienze dirette, di stimolare le<br />
loro osservazioni e di coinvolgerli<br />
in attività pratiche che consentano<br />
di apprendere facendo.<br />
4. La visita al museo non deve<br />
essere giustapposta ad attività<br />
di laboratorio che si configurino<br />
come momenti di sfogo o relax<br />
compensativo per l’attenzione<br />
posta alle spiegazioni della guida:<br />
l’attività in aula didattica integra<br />
il percorso di visita prescelto, può<br />
essere propedeutica alla visita o può<br />
costituire un momento di riflessione<br />
successivo, può essere rappresentata<br />
da attività manuali e pratiche, ma<br />
anche da dimostrazioni proposte<br />
dall’operatore o dalla fruizione di<br />
risorse multimediali utili per una<br />
miglior comprensione di quanto<br />
sperimentato direttamente.<br />
5. La visita al museo non deve<br />
pretendere di essere esaustiva<br />
perché finirebbe col proporre ai<br />
ragazzi contenuti così numerosi e<br />
così diversi che ben difficilmente<br />
risulterebbero incisivi. Ecco perché<br />
tutti i percorsi proposti prevedono<br />
una visita al museo e alle collezioni<br />
limitata ad una precisa tematica,<br />
ad una sezione o ad alcune opere<br />
di particolari autori. Ogni percorso<br />
proposto è autonomo, ma potrebbe<br />
essere interessante tornare al museo<br />
per sperimentarne più d’uno,<br />
magari attraverso un programma<br />
pluriennale di fruizione del museo<br />
concordato con le singole classi.<br />
6. La visita al museo da parte delle<br />
scolaresche è una responsabilità<br />
molto grande per l’operatore: un<br />
approccio corretto oppure sbagliato<br />
da parte dei ragazzi con l’arte e con<br />
il patrimonio può infatti influire sui<br />
comportamenti degli adulti futuri.<br />
Non sfugga quindi il significato<br />
anche civico di tante nostre scelte.<br />
a cura di Roberta Ronda<br />
con la collaborazione di Luisa Zanacchi
P A T R I M O N I O<br />
Acquisizioni, doni e<br />
depositi 2007<br />
Premessa fondamentale alla creazione del<br />
<strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> è stata la formazione di una<br />
collezione di opere d’arte, pubbliche e<br />
private, organizzate secondo un percorso<br />
logico basato sulla chiara identificazione di<br />
una genealogia artistica non solo locale – ma<br />
vale la pena di sottolineare la territorialità<br />
di questa istituzione, come peculiarità<br />
qualificante, piuttosto che come limite ed<br />
indizio di provincialismo – quale criterio<br />
essenziale finalizzato a quel montaggio di<br />
cose e immagini, più che di parole, attraverso<br />
cui un museo può raccontare una storia.<br />
Individuata la genealogia, con il suo snodo<br />
fondamentale nella figura di Giuseppe <strong>Diotti</strong><br />
e nella sua scuola, approfondite le vicende<br />
artistiche dei protagonisti, sperimentati<br />
attraverso esposizioni alcuni segmenti di<br />
quel possibile disegno storico-artistico, si è<br />
iniziato a comporre il mosaico, chiamando<br />
a raccolta opere per lo più isolate – fa<br />
eccezione la raccolta di disegni della Scuola<br />
“Bottoli” – e disperse, misconosciute a volte,<br />
nascoste o sottoutilizzate, riconferendo loro<br />
antichi e nuovi significati in virtù della nuova<br />
collocazione. Genealogia e montaggio sono<br />
le linee guida non solo per la costituzione<br />
del patrimonio iniziale - per il quale si è<br />
dovuto attingere anche a collezioni di altri<br />
enti e di privati, sollecitando depositi o doni,<br />
e, limitatamente alle risorse pubbliche, si<br />
è provveduto anche ad alcuni significativi<br />
acquisti - ma pure per ogni incremento<br />
successivo. La crescita futura del patrimonio<br />
artistico del museo non potrà che avvenire<br />
secondo questo tracciato, perchè ogni<br />
scelta arbitraria, non importa se legata a<br />
doni o acquisti, rischierebbe di rompere<br />
la genealogia e di far saltare il montaggio,<br />
ovvero, in definitiva, il filo logico che tiene<br />
insieme la collezione.<br />
Nella fase in cui il progetto museale ha<br />
iniziato a tradursi nel concreto recupero<br />
del suo contenitore, il Palazzo <strong>Diotti</strong>, il<br />
patrimonio artistico è quintuplicato, ma<br />
è stata l’approssimarsi dell’apertura che<br />
ha attivato sinergie prima impensabili,<br />
richiamando l’attenzione di generosi<br />
donatori e prestatori, circostanze diverse<br />
che fortunatamente hanno portato al <strong>Museo</strong><br />
proprio quelle tessere mancanti per comporre<br />
il mosaico.<br />
Il primo importante accordo è stato firmato<br />
nel 2006 con la Fondazione Busi onlus<br />
che, grazie alla disponibilità del dott.<br />
Taracchini, alla sensibilità del suo Consiglio<br />
d’amministrazione e in particolare del<br />
Presidente dott. Paolo Bini, ha concesso in<br />
comodato la sua quadreria di benefattori,<br />
che comprende anche opere di pregio cui<br />
si è attinto per la “costruzione” di molte<br />
sale del <strong>Museo</strong>. Così pure l’Accademia di<br />
Belle Arti di Brera ha concesso in deposito<br />
due opere fondamentali della formazione<br />
artistica di Giuseppe <strong>Diotti</strong>, il Mosè e<br />
Giuseppe <strong>Diotti</strong>, LʼOlimpo, 1817, disegno a grafite, matita grassa e gessetto bianco, particolare. Dono di<br />
Giuseppe e Lucia Mainoldi.<br />
l’Adorazione dei pastori, ovvero i più<br />
importanti saggi del suo pensionato romano<br />
(colgo qui l’occasione per ringraziare il<br />
Direttore prof. Fernando De Filippi, le proff.<br />
sse Francesca Valli, conservatore delle<br />
Raccolte Storiche dell’Accademia, e Chiara<br />
Nenci, responsabile della Quadreria). Anche<br />
l’Accademia di Bergamo, attraverso il suo<br />
Direttore prof. Giovanni Valagussa, e con<br />
l’assenso della Soprintendenza competente,<br />
si è dichiarata disponibile a concedere per<br />
un deposito a lungo termine quattro grandi<br />
cartoni diotteschi, operazione che si spera<br />
di poter realizzare nei prossimi anni. Sul<br />
fronte diottesco il Comune di Casalmaggiore<br />
aveva comunque per tempo messo a segno<br />
l’acquisizione di due preziosi disegni<br />
autografi del maestro, utili a illustrare il suo<br />
metodo di lavoro, nonché di alcune incisioni<br />
neoclassiche grazie all’interessamento<br />
dell’allora Assessore alla Cultura Ferruccio<br />
Martelli. Autografo diottesco è poi il dipinto<br />
con le Quattro teste dal Giuramento di<br />
Pontida, pervenuto in dono nel 1999 dai<br />
signori Lina e Mario Ravera. Dalla parrocchia<br />
di Santo Stefano e precisamente dalla<br />
Biblioteca Abbaziale è pervenuto il Ritratto<br />
del Cardinal Fontana, dipinto di Paolo<br />
Araldi, concesso in deposito da don Alberto<br />
Franzini.<br />
Per la parte “storica” del <strong>Museo</strong>, su<br />
segnalazione del dott. Ulisse Bocchi, si sono<br />
potute realizzare nel 2006 altre importanti<br />
acquisizioni: il Ritratto di Camillo Mantovani<br />
(Scuola di Francesco Chiozzi, XVIII sec.),<br />
donato dai coniugi Primo e Lia Ferrari,<br />
prezioso tassello dell’età dell’Arcadia a<br />
Casalmaggiore; lo studio per l’Allegoria della<br />
Provincia di Cremona, disegno di Tommaso<br />
Aroldi del 1907, donato dalla signora<br />
Giordana Guareschi Bocchi; due grandi tele,<br />
della serie degli Apostoli, ovvero San Pietro<br />
e San Giacomo Maggiore, fra le migliori<br />
opere di Marcantonio Ghislina (XVIII sec.),<br />
per le quali si è attivata una sottoscrizione<br />
pubblica, promossa in prima persona dal<br />
Sindaco Luciano Toscani, grazie anche al<br />
sostegno della stampa locale e in particolare<br />
21
22<br />
P A T R I M O N I O<br />
del giornale “Cronaca”. Accolto sempre nel<br />
percorso “storico” è un altro significativo<br />
dipinto di fine Ottocento, I filòs, opera di<br />
un grande pittore ancora quasi sconosciuto,<br />
ovvero Alessandro Mina, concessa in<br />
deposito dal proprietario che desidera restare<br />
anonimo.<br />
Fra le acquisizioni è comunque il Novecento<br />
a farla da padrone, e il contributo di<br />
privati, per lo più eredi di artisti, è stato<br />
fondamentale: oltre alle opere già acquisite<br />
nel 1999 (citiamo solo le due tele di Goliardo<br />
Padova donate dalla figlia Fiammetta e il<br />
dipinto di Gianfranco Manara, donato dalla<br />
moglie Maria Giovanna Brovetto Rondo),<br />
si sono aggiunte trentacinque opere di Tino<br />
Aroldi che con grande generosità la sorella<br />
Carla ha voluto destinare al <strong>Museo</strong> e che<br />
oramai costituiscono uno dei nuclei più<br />
qualificanti della parte contemporanea. A<br />
questa donazione si sono subito affiancate<br />
quelle altrettanto significative di opere di<br />
Gianfranco Manara (12 dipinti e 6 disegni),<br />
sempre grazie alla generosità della moglie,<br />
e di Goliardo Padova, donate dal figlio<br />
Florenzio, queste ultime rese note nel<br />
catalogo della mostra antologica tenuta<br />
al museo nel 2007. Un dipinto di Mario<br />
Beltrami, l’Autoritratto del cappello di<br />
paglia (1975), ormai opera-simbolo di quella<br />
sezione che coniuga i temi dell’autoritratto<br />
e del paesaggio, è stato donato dalla nipote<br />
Marisa Coppini, mentre 4 dipinti di Franco<br />
Rossari, bibliotecario e pittore a cui è stato<br />
intitolato lo spazio delle mostre temporanee,<br />
sono pervenuti dalla sorella Gilda e dal nipote<br />
Alessandro Osti.<br />
Un discorso a parte merita l’acquisizione<br />
delle opere artistiche e dei materiali da lavoro<br />
dello studio del pittore Palmiro Vezzoni (vedi<br />
la sezione “Centro di documentazione”),<br />
dovuta al generoso dono delle figlie Luisa e<br />
Maria.<br />
Per quanto riguarda gli autori viventi,<br />
oltre ad opere precedentemente acquisite<br />
(citiamo fra queste una grande scultura di<br />
Brunivo Buttarelli, alcuni disegni di Roberto<br />
Sguazzi, un dipinto del giovane artista<br />
milanese Matteo Bergamasco), il nucleo più<br />
consistente è quello costituito dalle opere<br />
donate dall’artista milanese Elena Mezzadra,<br />
solo in parte esposte e comunque rese note<br />
con la recente mostra dedicata alla grafica,<br />
mentre, grazie alle esposizioni promosse dalla<br />
delegazione locale degli Amici di Palazzo<br />
Te, sono pervenuti in dono dipinti di Sturla,<br />
Casagrande, Hoellering, Bargoni e una<br />
scultura di Sandro Cherchi.<br />
Dopo l’inaugurazione, il <strong>Museo</strong> ha<br />
incrementato il suo patrimonio sia in<br />
direzione della parte storica che del<br />
contemporaneo (segnalo solo, per questa<br />
parte, che hanno donato opere a chiusura<br />
delle rispettive personali, due giovani artisti,<br />
come Laura Locci e Giorgio Tentolini).<br />
Fra gli acquisti, si segnala una bella litografia<br />
ottocentesca acquarellata raffigurante<br />
l’Ugolino del <strong>Diotti</strong> (vedi immagine qui a<br />
lato) e altra piccola incisione col Congresso<br />
di Pontida.<br />
Merita però una particolare menzione il<br />
preziosissimo dono da parte di Giuseppe<br />
e Lucia Mainoldi di un disegno autografo<br />
inedito di Giuseppe <strong>Diotti</strong>, L’Olimpo, 1817<br />
(studio per l’affresco di Palazzo Mina-Bolzesi<br />
a Cremona), proveniente dalla raccolta<br />
ottocentesca dell’ing. Giovanni Montani,<br />
opera che, appena restaurata, per ragioni<br />
conservative non potrà essere esposta, ma<br />
che risulta di grande interesse per gli studi<br />
sull’artista. Allegato a questo dono è poi un<br />
disegno acquarellato di Tommaso Aroldi.<br />
Per quanto riguarda i depositi è di assoluto<br />
rilievo per qualità e interesse storico quello<br />
effettuato dal nobile dott. Pietro Longari<br />
Ponzoni, fedele in questo a una tradizione<br />
familiare di mecenatismo legato soprattutto<br />
a Giuseppe <strong>Diotti</strong>. Ma devo anche alla<br />
sensibilità e all’interessamento di Paola<br />
Cirani se alcuni beni artistici di casa Longari<br />
Ponzone sono entrati nel 2007 a Palazzo<br />
<strong>Diotti</strong>, con una significativa addenda nel 2008<br />
di cui daremo compiutamente notizia nel<br />
prossimo notiziario.<br />
Per il momento mi riferisco al superbo<br />
disegno del Mosè e il serpente di bronzo,<br />
al disegno del Piccio riproducente il Tobia<br />
diottesco della Cappella Colleoni e alla<br />
medaglia del Beltrami col profilo di Giuseppe<br />
<strong>Diotti</strong>.<br />
Giovanni Carnovali detto il Piccio, Tobia ridà la<br />
vista al padre (da G. <strong>Diotti</strong>), 1827 ca. Collezione<br />
Longari Ponzone, deposito.
P A T R I M O N I O<br />
Gianfranco Manara, Autoritratto nello studio, 1984,<br />
olio su tela. Dono di Maria Giovanna Brovetto<br />
Rondo Manara, 2007.<br />
Goliardo Padova, Paesaggio con gli insetti, 1969,<br />
olio su tela. Dono di Florenzio Padova, 2007.<br />
Palmiro Vezzoni, SantʼIgnazio, anni ʻ50 circa, olio<br />
su carta. Dono di Maria e Luisa Vezzoni, 2007.<br />
Gianfranco Manara, Greto, 1981, olio su<br />
tela. Dono di Maria Giovanna Brovetto<br />
Rondo Manara, 2007.<br />
Tino Aroldi, Campagna, 1975, olio su tela.<br />
Dono di Carla Aroldi, 2007.<br />
23
24<br />
R E S T A U R I<br />
Restauri 2007<br />
a cura di Valter Rosa<br />
L’apertura del <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> ha richiesto<br />
l’attivazione di una consistente campagna di<br />
restauri sulle opere facenti parte delle Civiche<br />
Raccolte o concesse in deposito allo stesso<br />
<strong>Museo</strong>, giovandosi per altro di altri restauri<br />
eseguiti negli ultimi anni in occasione delle<br />
mostre “Giovanni Romani e il suo tempo”<br />
(2003) e “L’Età progettuale” (2006). Nel<br />
2007, anche grazie al sostegno economico<br />
della Regione Lombardia, si sono così potute<br />
recuperare altre quindici tele e un disegno.<br />
Partiamo dal dipinto più importante: si tratta<br />
dell’Adorazione dei pastori o Presepe a lume<br />
di notte (1809), saggio finale del pensionato<br />
romano di Giuseppe <strong>Diotti</strong>, opera di proprietà<br />
dell’Accademia di Belle Arti di Brera,<br />
lungamente esposta nel corso dell’Ottocento<br />
in Pinacoteca, ma conservata sino a qualche<br />
tempo fa in un deposito esterno. Il dipinto<br />
(olio su tela, cm 174x225), come si legge<br />
nella scheda di restauro, presentava nella<br />
parte superiore grandi scodellature del colore<br />
con craquelure rialzata, oltre a piccole cadute<br />
nella pellicola pittorica che richiedevano un<br />
intervento di consolidamento e di integrazione.<br />
Il Comune di Casalmaggiore ne ha finanziato<br />
il restauro che l’Accademia ha affidato allo<br />
studio Carlotta Beccaria di Milano, sotto la<br />
direzione di Matteo Ceriana, funzionario<br />
della Soprintendenza per il Patrimonio<br />
Storico Artistico ed Etnoantropologico di<br />
Milano. In cambio l’Accademia di Brera<br />
ha concesso il dipinto in deposito al <strong>Museo</strong><br />
<strong>Diotti</strong>, dove l’opera costituisce ormai un<br />
tassello fondamentale nel percorso espositivo<br />
che documenta la carriera artistica del <strong>Diotti</strong>.<br />
Chi scrive ha reso noto qualche anno fa il<br />
modelletto dello stesso dipinto, già appartenuto<br />
all’ingegner Giovanni Montani ed attualmente<br />
in collezione privata casalasca, col quale ora<br />
sarà più agevole poter stabilire un confronto.<br />
Sempre proveniente dalla raccolta Montani è<br />
un’altra opera autografa di Giuseppe <strong>Diotti</strong>,<br />
un disegno inedito raffigurante L’Olimpo<br />
(1817), di cui si dirà più ampiamente in altra<br />
rubrica, donato al <strong>Museo</strong> da Giuseppe e Lucia<br />
Mainoldi. Si tratta di un disegno a grafite,<br />
matita grassa con lumi a gessetto bianco su<br />
carta bruna (mm 265x375). Il supporto, di<br />
carta sottile e fragile, con piccoli strappi,<br />
fortemente imbrunito per l’ossidazione e con<br />
alcune macchie, rendeva pressoché illeggibile<br />
il disegno che già aveva perso nella parte destra<br />
tutte le lumeggiature. L’accurato intervento<br />
di restauro, condotto da Lucia Tarantola di<br />
Milano, ha mirato essenzialmente a consolidare<br />
il supporto e le tracce del disegno riuscendo a<br />
migliorarne solo parzialmente la leggibilità,<br />
in quanto si è ritenuto che un’operazione<br />
di sbiancatura della carta avrebbe causato<br />
la perdita dei lumi superstiti. Per esigenze<br />
conservative, il disegno, ora in apposita<br />
custodia di cartone non acido, non può essere<br />
collocato stabilmente nel percorso espositivo.<br />
Fra i dipinti concessi in comodato dalla<br />
Fondazione Conte Busi onlus sono stati<br />
Marcantonio Ghislina, Trinità, inizi XVIII sec., olio<br />
su tela. Scuola di disegno “G. Bottoli”, deposito.<br />
restaurati cinque ritratti di benefattori (fra di<br />
essi si segnalano due opere di buona fattura che<br />
ho restituito al pittore Francesco Chiozzi su<br />
base stilistica e documentaria, ovvero i ritratti<br />
di Anna Maria Faita Porcelli e di Leonardo<br />
Badalotti) e la Sibilla Persica (una copia di<br />
primo Ottocento dal Guercino): si trattava<br />
in questo caso di un intervento di carattere<br />
manutentivo, volto soprattutto a rimediare i<br />
guasti di precedenti restauri eseguito qualche<br />
decennio fa. Lo stesso dicasi per le quattro<br />
tele di Francesco Chiozzi raffiguranti Aronne,<br />
Davide, Mosè e Giosuè, opere di proprietà<br />
comunale che ritornano in piena forma in quella<br />
che dagli anni Settanta è sempre stata la loro<br />
sede, ovvero il Palazzo <strong>Diotti</strong>, mentre una vera e<br />
propria sorpresa è riservata dal recupero di una<br />
tela molto iscurita, raffigurante il benefattore<br />
locale Luigi Chiozzi, fondatore dell’omonimo<br />
asilo, opera di notevole qualità che reca una<br />
data, 1840, ma che non ha ancora trovato una<br />
sicura attribuzione. Al dipinto, già provvisto<br />
di una cornice a pastiglia dorata fortemente<br />
deteriorata, è stata adattata una più sontuosa<br />
cornice, già parte del patrimonio comunale,<br />
restaurata nel 1995 nell’ambito del corso di<br />
restauro della Scuola di Disegno “G. Bottoli”<br />
diretto dal maestro restauratore Lodovico Savi.<br />
In questa circostanza sempre il maestro<br />
Savi si è fatto carico di alcuni ritocchi a<br />
due console settecentesche che, sempre<br />
sotto la sua cura e direzione, erano state<br />
miracolosamente recuperate nel ’95.<br />
Un dipinto salvato da sicura rovina, restituito<br />
alla sua bella cromia ed ora esposto sulla<br />
seconda rampa dello scalone è il San Nicola,<br />
Sant’Andrea e San Francesco da Paola<br />
di Marcantonio Ghislina (olio su tela, cm<br />
248x170), un tempo conservato nel vecchio<br />
ospedale. Il restauro, eseguito sempre dallo<br />
Studio Sanguanini, ha comportato anche<br />
la rimozione del vecchio telaio, debole e<br />
infestato da insetti xilofagi, e la foderatura<br />
della tela. L’opera giaceva da anni in un<br />
deposito di Palazzo <strong>Diotti</strong> in condizioni<br />
veramente precarie: una diffusissima crettatura<br />
della superficie pittorica con numerosi<br />
sollevamenti e cadute di colore che avevano<br />
allora richiesto di farla interamente velinare<br />
prima che venisse traslocata a causa dei<br />
lavori di ristrutturazione del palazzo. Ricordo<br />
questo episodio solo per sottolineare come<br />
molti recuperi, sia di arredi che di dipinti<br />
che oggi ornano il <strong>Museo</strong>, si sono potuti<br />
realizzare grazie agli interventi messi in atto,<br />
ormai una decina di anni fa, dal lungimirante<br />
assessore alla cultura Ferruccio Martelli.<br />
Ma fra i restauri eseguiti dallo studio<br />
Sanguanini vogliamo segnalare in particolare<br />
due dipinti delle Civiche Raccolte d’Arte del<br />
Comune di Casalmaggiore, testimonianze<br />
pregevoli del disperso patrimonio delle chiese<br />
soppresse, conservate presso la Scuola di<br />
Disegno “G. Bottoli”. Si tratta di un ovale<br />
raffigurante la Trinità, opera giovanile di<br />
Marcantonio Ghislina, e di una tela molto più<br />
antica coi Santi Simone e Giuda, proveniente<br />
dalla distrutta chiesa di Santa Lucia, opera<br />
già ritenuta di scuola bresciana del tardo<br />
Cinquecento, ma di cui ora, dopo la pulitura<br />
che ne ha rivelato appieno la qualità e la<br />
bella cromia, potrà essere avanzata una più<br />
circostanziata ipotesi attributiva. Se la prima,<br />
ora collocata come sovrapporta nell’ambiente<br />
dello scalone, si aggiunge al già significativo<br />
numero di opere del Ghislina recentemente<br />
recuperate o acquisite, contribuendo così<br />
a una conoscenza sempre più approfondita<br />
del pittore, la seconda costituisce invece<br />
un prezioso tassello del Cinquecento a<br />
Casalmaggiore, un secolo ancora poco<br />
indagato. Sappiamo per certo dalle visite<br />
pastorali che la tela coi Santi Simone e Giuda è<br />
legata all’omonimo altare della chiesa di Santa<br />
Lucia, il cui beneficio risaliva al 1469, e che<br />
intorno al 1579 un dipinto con questo soggetto<br />
(forse il nostro) aveva sostituito una più antica<br />
immagine sacra. Sul quadro ora restaurato,<br />
qualche tempo fa, Marco Tanzi, sottolineando<br />
l’attardato sapore savoldesco, aveva avanzato<br />
il nome del pittore Pietro Maria Bagnadore,<br />
ma la questione attributiva è ancora aperta.<br />
Le due tele sono state ufficialmente presentate<br />
al pubblico mercoledì 13 giugno 2007,<br />
negli spazi del nuovo <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>, dagli<br />
stessi protagonisti di questo importante<br />
recupero attuato col contributo della Regione<br />
Lombardia, ovvero i restauratori Dario e Marco<br />
Sanguanini di Rivarolo Mantovano che, oltre<br />
agli interventi attuati, hanno illustrato anche la<br />
fase diagnostica, proponendo saggi degli esami<br />
riflettografici, particolarmente interessanti<br />
nel caso del dipinto cinquecentesco, mentre<br />
i risultati del restauro sono stati commentati<br />
dal dr. Giovanni Rodella, funzionario di<br />
zona della Soprintendenza per il Patrimonio<br />
Storico Artistico ed Etnoantropologico<br />
delle Province di Brescia, Cremona e<br />
Mantova, che ha seguito costantemente<br />
i lavori. Ne riportiamo qui gli interventi.
R E S T A U R I<br />
Giuseppe <strong>Diotti</strong>, LʼOlimpo, 1817, disegno a grafite, matita grassa e gessetto bianco su carta bruna. <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>, dono di Giuseppe e Lucia Mainoldi.<br />
Giovanni Rodella<br />
Rivolgo un cordiale saluto a tutti i presenti e<br />
un ringraziamento agli organizzatori di questo<br />
incontro dedicato alla presentazione dei quadri<br />
restaurati del <strong>Museo</strong>. E’ un museo, questo di<br />
Casalmaggiore, per il quale io devo<br />
riconfermare tutto il mio apprezzamento, che<br />
già avevo espresso con poche parole nel<br />
registro dei visitatori quando alcuni giorni fa<br />
sono venuto in visita. Ero venuto appositamente<br />
da solo, proprio per trovare la necessaria<br />
concentrazione e soffermarmi meglio sulle<br />
opere e sulla loro esposizione; solo, quindi,<br />
senza la sollecitazione di persone che potevano<br />
magari farmi fretta ed indurmi ad accelerare la<br />
visita. Ho potuto così vedere il museo nelle<br />
condizioni migliori e cogliere meglio il filo<br />
conduttore della logica museale che tiene<br />
insieme le opere esposte che sono qui<br />
conservate. Creare un museo oggi, per una<br />
città come Casalmaggiore che ha avuto una<br />
sua storia anche abbastanza singolare per gli<br />
aspetti che l’hanno caratterizzata, soprattutto<br />
come importante avamposto fluviale, di una<br />
terra di confine, ecco questa impresa di creare<br />
un museo non deve essere stata molto semplice.<br />
Rispetto ad altre realtà però Casalmaggiore<br />
aveva la fortuna di conservare ancora la<br />
memoria di una realtà storica ancora molto<br />
forte, rappresentata proprio da un personaggio<br />
di grandissima valenza, un artista quale<br />
Giuseppe <strong>Diotti</strong>. Che ha fatto, come dire, da<br />
elemento aggregante per la costituzione di<br />
questo museo e per far legare insieme, nello<br />
stesso tempo, due grandi epoche, il ‘700 e l’<br />
‘800, per i periodi a cui appartengono buona<br />
parte delle opere esposte e direi anche periodi<br />
che a mio giudizio sembrano caratterizzare il<br />
volto generale di Casalmaggiore e della cultura<br />
artistica trascorsa che ancora oggi è<br />
sopravvissuta nella città. Questo museo sembra<br />
avere anche la funzione “riparatrice”, di<br />
risarcire cioè le non poche dispersioni artistiche<br />
che anche Casalmaggiore ebbe a subire nei<br />
secoli passati e quindi dare finalmente pubblica<br />
visione ad opere da considerarsi significative<br />
direi in senso duplice, sia come documenti<br />
prettamente storici, che come testimonianze<br />
importanti della cultura artistica casalasca, dal<br />
‘7 fino al ‘900. Penso d’altronde che siano ben<br />
poche le opere che possano sottrarsi a questa<br />
duplice considerazione: si considerino a questo<br />
riguardo ad esempio i tanti paesaggi della<br />
sezione dedicata al ‘900 di questo museo, che<br />
ritengo molto interessanti non solo come<br />
testimonianza della cultura artistica locale del<br />
secolo trascorso, ma anche documenti dei<br />
luoghi, delle loro conformazioni originarie che<br />
spesso sono state purtroppo del tutto cambiate<br />
o addirittura completamente stravolte. Ho<br />
appena accennato alle dispersioni che il<br />
patrimonio artistico di Casalmaggiore subì nei<br />
secoli trascorsi e al fatto che questo museo può<br />
considerarsi idealmente una specie di<br />
risarcimento per la comunità cittadina. Qualche<br />
giorno fa avevo scorso le pagine di un<br />
approfondito saggio del prof. Valter Rosa,<br />
comparso nel catalogo della mostra “Il Barocco<br />
nella Bassa” del 1999, che verteva appunto<br />
sulla storia delle dispersioni delle opere d’arte<br />
di Casalmaggiore, specie di quelle contenute<br />
nelle chiese, fra la fine del ‘500 e il periodo<br />
napoleonico. Senz’altro una delle opere più<br />
importanti, sottratta a Casalmaggiore negli<br />
anni 1647-1648, in concomitanza con la guerra<br />
fra Francia e Spagna e con lo stanziamento a<br />
Casalmaggiore delle truppe francesi e<br />
modenesi, fu la celebre tavola del Parmigianino<br />
raffigurante Santo Stefano, opera che passò<br />
prima a Modena nelle collezioni del duca<br />
estense e in seguito, con la disgraziata vendita<br />
nel 1647 di buona parte delle collezioni estensi,<br />
a Dresda per arricchire le collezioni artistiche<br />
del principe elettore di Sassonia. Non meno<br />
rovinose furono le dispersioni che si ebbero a<br />
seguito delle soppressioni delle istituzioni<br />
religiose, nell’epoca soprattutto napoleonica,<br />
che intaccarono fortemente, come in tante altre<br />
città dell’Italia padana, a cavallo fra il ‘7 e<br />
l’800, un enorme patrimonio, quello appunto<br />
degli ordini ecclesiastici che in rilevante<br />
misura andò quasi completamente disperso. Si<br />
ricordino solo a questo proposito la chiesa e il<br />
25
26<br />
R E S T A U R I<br />
convento di S. Lorenzo, che erano stati<br />
ricostruiti poco dopo la metà del ‘700 e che<br />
vennero poi soppressi nel 1810 e addirittura<br />
abbattuti l’anno dopo. Tra i tanti arredi<br />
prestigiosi e opere d’arte di questo complesso<br />
monastico che furono dispersi, si ricorda, fra<br />
le opere più significative, un dipinto del grande<br />
pittore di questa terra, Marcantonio Ghislina.<br />
Era un quadro che raffigurava S. Antonio da<br />
Padova, dipinto nel 1708. Doveva quindi<br />
appartenere al periodo giovanile del Ghislina e<br />
rappresentare una delle opere dei primi anni<br />
della sua attività. Scorrendo poi il saggio, che<br />
penso sia il più completo<br />
prodotto fino ad ora sul<br />
Ghislina, scritto dalla dott.ssa<br />
Ronda per lo stesso catalogo<br />
de “Il Barocco nella Bassa”,<br />
ho potuto appurare che la<br />
produzione del pittore a noi<br />
nota inizia a partire dal 1699 e<br />
rappresentò per tutta la prima<br />
metà del ‘700, fino al 1756<br />
(anno della morte dell’artista)<br />
il riferimento più significativo<br />
e autorevole dell’attività<br />
pittorica di tutta la Bassa<br />
Cremonese. Una produzione<br />
rivolta soprattutto a soddisfare<br />
le richieste di una numerosa<br />
committenza ecclesiastica,<br />
dalle chiese parrocchiali ai<br />
grandi ordini ecclesiastici,<br />
come i Gerolamini di Cremona<br />
che nel 1725 gli affidarono due<br />
grandi tele per la prestigiosa<br />
cappella di Santa Cecilia -<br />
Santa Caterina; una<br />
commissione questa di grande<br />
importanza che segnò<br />
l’ingresso ufficiale del Ghislina<br />
a Cremona. L’introduzione del<br />
pittore a Cremona è legata<br />
probabilmente, come sottolinea<br />
sempre la dott.ssa Ronda, ad<br />
una temporanea rarefazione<br />
degli artisti di maggior fama<br />
che fino ad allora erano stati<br />
presenti a Cremona, primi fra tutti il Massarotti,<br />
forse il pittore più rappresentativo del primo<br />
‘700 cremonese e ai cui modi pittorici il<br />
Ghislina mostrò di ispirarsi in modo molto<br />
diretto, in particolare proprio nelle opere di S.<br />
Sigismondo. Pochi anni più tardi,<br />
presumibilmente verso il 1727, si dovrebbe<br />
poi collocare un’altra importantissima impresa<br />
pittorica del Ghislina, questa volta nella sua<br />
città d’origine, Casalmaggiore appunto, dove<br />
ritorna da Cremona dopo aver acquisito una<br />
fama ancora maggiore, proprio per il successo<br />
conquistato con l’impresa di S. Sigismondo. Si<br />
tratta delle grandi tele del ciclo, con episodi di<br />
grandi eroi biblici, per la decorazione del<br />
tamburo della chiesa dell’ospedale di<br />
Casalmaggiore, un’impresa particolarmente<br />
impegnativa che vide il pittore impegnato<br />
anche nelle decorazioni del presbiterio. Poco<br />
fa dicevo che questo museo io lo vedo anche<br />
come una realtà che in qualche modo sembra<br />
risarcire le numerose dispersioni che sono<br />
avvenute nei secoli passati e a questo riguardo<br />
il Ghislina viene proprio a proposito. Prima vi<br />
avevo nominato questo quadro del Ghislina<br />
disperso nel 1708, con la soppressione del<br />
complesso monastico di S. Lorenzo: ecco, una<br />
perdita che in qualche modo sembra<br />
ricompensata in questo museo da altri due<br />
dipinti riferiti al Ghislina, due quadri che sono<br />
stati restaurati e il cui intervento vi verrà<br />
presentato dal restauratore Dario Sanguanini<br />
che l’ha eseguito insieme al figlio. Uno di<br />
questi due dipinti raffigura i santi Nicolò,<br />
Andrea e Francesco da Paola: è un dipinto<br />
Scuola bresciana del ʻ500, I santi Simone e Giuda, olio su tela.<br />
veramente splendido, che rivela in modo<br />
indubitabile la mano del Ghislina; una pittura<br />
di grande effetto, dai forti cromatismi, molto<br />
accesi, resi ancora più vividi dai timbri<br />
particolarmente forti, dai contrasti delle luci e<br />
delle ombre. Gli stessi personaggi raffigurati,<br />
per gli atteggiamenti e le posizioni, spesso un<br />
po’ sinuose, avvitate, sembrano imprimere a<br />
questo dipinto sensazioni di notevole<br />
dinamismo, e guardando i dipinti del Ghislina<br />
si avverte un gusto del Barocco ormai<br />
pienamente maturo: il pittore sembra ormai<br />
pienamente partecipe di un comune linguaggio<br />
tipico del ‘700, avvertibile nella fortissima<br />
luminosità dei colori e anche in questo<br />
dinamismo delle figure, con questi panneggi<br />
fortemente mossi, quasi spezzati, per caricare<br />
di movimento le figure. Giustamente il<br />
Ghislina, per quanto riguarda i suoi orizzonti<br />
di riferimento culturale, è stato definito un<br />
pittore un po’ eclettico, proprio perché<br />
partecipe di diversi linguaggi pittorici, anche<br />
se la principale fonte di ispirazione, sempre<br />
come conferma la dott.sa Ronda, è l’ambito<br />
della grande pittura emiliana, in particolare la<br />
pittura dei grandi Ludovico e Annibale<br />
Carracci. Della provenienza di questo quadro,<br />
restaurato dal Sanguanini, la dott.ssa Ronda,<br />
che ha svolto la sua tesi di laurea proprio sul<br />
Ghislina, mi ha riferito che sembra provenire<br />
dall’ospedale di Casalmaggiore.<br />
Per rimanere ancora nell’ambito delle<br />
dispersioni del patrimonio artistico casalasco,<br />
occorre ricordare che il <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> annovera<br />
un dipinto che sembra corrispondere proprio<br />
all’unica opera superstite di<br />
una chiesa di Casalmaggiore<br />
che venne soppressa nel<br />
1795, la chiesa di S. Lucia,<br />
un edificio di culto mai<br />
del tutto scomparso e dalla<br />
quale proviene quel dipinto<br />
qui presente raffigurante<br />
i santi Simone e Giuda<br />
Taddeo, (vedi foto a lato)<br />
anche questo facente parte<br />
del gruppo di opere che<br />
sono state restaurate. Si<br />
tratta di una tela che venne<br />
fortunatamente conservata<br />
nella gloriosa scuola di<br />
disegno Giuseppe Bottoli che<br />
rappresentò a lungo una delle<br />
istituzioni didattiche fra le<br />
più importanti di Casalmaggiore<br />
e di maggiore aggregazione<br />
per la formazione locale<br />
di tanti artisti e artigiani<br />
soprattutto nella prima metà<br />
del ‘900. Questo quadro<br />
è riferibile all’ambiente<br />
pittorico bresciano del primo<br />
‘600, come sembrano rivelare<br />
i caratteri del dipinto, in<br />
particolare nella definizione<br />
soprattutto della luce sulle<br />
figure e anche nei cieli,<br />
che sembrano rivelare un<br />
lontano ricordo della pittura<br />
del grande artista bresciano<br />
Girolamo Savoldo. L’autore di questo<br />
dipinto, che mostra in modo palese l’adesione<br />
abbastanza stretta alla pittura veneta del ‘500<br />
(mi sembrano scontati i riferimenti alla pittura<br />
del grande Paolo Veronese, soprattutto nei<br />
cieli, in questo contrasto fortissimo fra le<br />
nuvole e l’azzurro profondo dello sfondo del<br />
cielo) sembra molto vicino stilisticamente ad<br />
un pittore bresciano, Camillo Rama, che operò<br />
nella prima metà del ‘600. Camillo Rama fu<br />
allievo di Palma il Giovane e lavorò qui a<br />
Casalmaggiore per la scomparsa chiesa di<br />
S. Lorenzo, eseguendo un martirio che andò<br />
disperso con la soppressione della chiesa stessa.<br />
Un’altra (e forse l’ultima) grande dispersione<br />
del patrimonio storico artistico casalasco ebbe<br />
ad essere quella della notevolissima raccolta<br />
di dipinti che Giuseppe <strong>Diotti</strong> collezionò in<br />
questo che fu il suo palazzo. Una raccolta di<br />
opere di grandissimi artisti che, a quanto ci<br />
informano le schede del museo, redatte dal prof.<br />
Rosa (che mi sono letto molto attentamente),
R E S T A U R I<br />
dovevano avere anche una funzione didattica,<br />
per gli allievi che frequentavano la sua casa,<br />
casa che venne definita, con un termine che<br />
mi sembra molto appropriato, “casa-atelier”;<br />
la raccolta, che, dopo la morte del <strong>Diotti</strong> nel<br />
1846, era stata aperta al pubblico nel 1865<br />
dalla nipote Lucia, andò però poi purtroppo<br />
del tutto dispersa: ho letto con grandissima<br />
meraviglia che comprendeva opere di artisti<br />
strabilianti: Rubens, Correggio, Annibale<br />
Carracci, Guercino, Guido Reni, Veronese,<br />
Tiziano, Tintoretto e tanti altri pittori di<br />
primissimo ordine. Certo sarebbe stato del<br />
tutto impossibile, impensabile, in questo nuovo<br />
museo, concepire l’idea di un risarcimento di<br />
tali opere da esporre per importanza di autori<br />
alla collezione del <strong>Diotti</strong> andata dispersa, ma<br />
l’importante è che si sia riusciti a ricreare,<br />
attraverso l’iter museale delle opere esposte,<br />
l’ambiente culturale casalasco del periodo del<br />
<strong>Diotti</strong> e pure della Casalmaggiore settecentesca<br />
in cui si radica la formazione del <strong>Diotti</strong> stesso<br />
che a Casalmaggiore era nato nel 1779. Nel<br />
‘700 a Casalmaggiore, e precisamente nel 1767,<br />
era stata fondata una scuola di disegno, una<br />
delle tante realtà di aggregazione accademica<br />
e didattica che si erano andate diffondendo in<br />
Italia in tanti centri, grandi e piccoli, soprattutto<br />
a partire dal ‘600. Ecco, fondatore di questa<br />
scuola fu il pittore locale Francesco Antonio<br />
Chiozzi che pure a sua volta si era formato<br />
nella Accademia Clementina di Bologna e poi<br />
a Roma. La sua pittura risentì in particolare<br />
del Classicismo e della grande pittura emiliana<br />
ed è ben rappresentata in questo museo dalle<br />
quattro tele, restaurate anch’esse, con gli<br />
eroi biblici Aronne, Davide, Mosè e Giosuè.<br />
Altrettanto interessante del pittore Chiozzi è il<br />
dipinto restaurato con il ritratto del benefattore<br />
di Casalmaggiore Leonardo Badalotti che,<br />
come ricorda la scritta in alto a sinistra, fu<br />
anche un socio della Confraternita della Buona<br />
Morte, una delle associazioni caritatevoli fra<br />
le più diffuse nelle città e nelle campagne a<br />
partire dal Medioevo, che aveva la funzione<br />
di assistenza ai moribondi e ai funerali. Erano<br />
associazioni laiche che in parte assolvevano a<br />
quei compiti che ai nostri giorni sono svolte<br />
un po’ dalle imprese delle pompe funebri.<br />
L’assistenza ai sofferenti estremi e l’attività<br />
nella confraternita dovettero rappresentare<br />
nella vita di questo personaggio punti di<br />
riferimento particolarmente forti, tanto da<br />
costituire appunto l’unico motivo di ricordo<br />
nelle iscrizioni dedicate alla sua esistenza.<br />
Anche l’iscrizione sul foglio che tiene<br />
nella mano sinistra, pur di non chiarissima<br />
interpretazione, sembra comunque riferirsi<br />
chiaramente al suo impegno assistenziale<br />
dei sofferenti, come si evince nella parola<br />
languentium. Non poteva ovviamente<br />
mancare, nella iscrizione in alto a destra, anche<br />
il momento della sua morte, ricordata con una<br />
semplice data, cioè il giorno 25 dicembre<br />
dell’anno 1769. Direi che alla forte pregnanza<br />
di queste iscrizioni che ci introducono<br />
nell’esistenza di questo personaggio e ai più<br />
sentiti convincimenti di vita, ben si addicono<br />
anche gli accenti abbastanza realistici che<br />
caratterizzano questo dipinto, come si può<br />
vedere dalle fattezze del volto, un po’ aspre,<br />
che marcano abbastanza fortemente la<br />
fisionomia del viso. Questo ritratto sembra<br />
appartenere pienamente alla tradizione di quel<br />
naturalismo che ha caratterizzato tantissima<br />
parte della pittura lombarda a partire dal ‘500,<br />
una cultura pittorica alla quale si ricollegano<br />
anche parte degli anonimi autori di altri<br />
ritratti del museo, alcuni di questi restaurati,<br />
come ad esempio la benefattrice Anna Maria<br />
Faita Porcelli, sul cui volto sono sottolineate<br />
in modo abbastanza impietoso le rughe, gli<br />
appesantimenti della cute, caratterizzata anche<br />
da una certa leggera peluria che sembra di<br />
intravedere sopra la bocca. Non mi soffermo<br />
sugli altri ritratti restaurati, ma solo su quello<br />
comprendente la figura di Luigi Chiozzi, un<br />
discendente della famiglia cui appartenne<br />
anche il pittore Francesco Chiozzi di cui<br />
abbiamo appena parlato. Doveva essere un<br />
personaggio particolarmente ragguardevole,<br />
se si considera anche l’abbigliamento, che<br />
denota un certo censo: si osservi ad esempio il<br />
pastrano, molto scuro, con questi bottoni neri,<br />
arricchito da questo colletto rialzato, con questi<br />
ricchi richiami in rilievo; e si osservino anche<br />
in basso, sottolineati da leggere luminescenze,<br />
l’elsa di una spada e l’angolo delle pieghe di<br />
una borsa a sinistra. Sono due elementi che<br />
potrebbero alludere, forse l’elsa della spada,<br />
ad una trascorsa attività militare, forse in alti<br />
ranghi dell’esercito, e la borsa ad un’attività<br />
forse più pertinente all’epoca in cui venne<br />
eseguito il ritratto, cioè l’attività di funzionario<br />
amministrativo, o anche magari dedito<br />
all’amministrazione dei suoi beni privati:<br />
Luigi Chiozzi doveva essere infatti titolare di<br />
un patrimonio privato notevolmente cospicuo;<br />
il suo nome infatti è legato ad un generoso<br />
lascito che fu da lui elargito per costituire<br />
un’istituzione che ebbe a Casalmaggiore una<br />
grandissima importanza sociale, cioè l’asilo<br />
Chiozzi, un asilo per l’infanzia che fu eretto in<br />
ente morale autonomo nel 1862 e che mi pare<br />
abbia funzionato a lungo, per molti decenni.<br />
Ritornando al ritratto, c’è da dire che il livello<br />
qualitativo mi sembra notevolmente alto. Si<br />
noti come l’aver tenuto l’abbigliamento della<br />
figura e lo sfondo su tinte molto scure abbia<br />
portato inevitabilmente a concentrare tutta<br />
l’attenzione dell’osservatore sul volto del<br />
personaggio raffigurato, rischiarato proprio da<br />
una luce nettissima, quasi violenta: la pennellata<br />
appare molto vibrante, molto mossa, è condotta<br />
in modo straordinario e riesce a restituirci in<br />
modo quasi tattile la fisicità dell’epidermide, le<br />
sue lucentezze, i pochi e leggeri appesantimenti<br />
dovuti all’età del personaggio che potremmo<br />
definire pienamente matura. Lo stile ci porta<br />
senz’altro al di fuori dello stretto ambito della<br />
ritrattistica locale, soprattutto del <strong>Diotti</strong>, che<br />
era caratterizzata da un modo di dipingere<br />
molto più raffrenato, più chiuso, cioè una<br />
pittura quella del <strong>Diotti</strong> sostanzialmente<br />
legata ai canoni della ritrattistica neoclassica.<br />
Non voglio spingermi oltre, anche perché so<br />
che il prof. Valter Rosa ha già avanzato una<br />
propria attribuzione che forse avrà in animo di<br />
approfondire, cioè l’attribuzione a un pittore<br />
di origini marchigiane, questo Francesco<br />
Podesti che operò prevalentemente nell’Italia<br />
centrale ma che ebbe anche contatti con<br />
Milano, soprattutto con l’Accademia di Brera.<br />
Per introdurre l’argomento dei restauri di<br />
questi dipinti vorrei anche ricordare che la<br />
Soprintendenza per il patrimonio storico e<br />
artistico di Mantova, Cremona e Brescia,<br />
di cui appunto faccio parte, era stata come<br />
di norma coinvolta per dare la preventiva<br />
autorizzazione al restauro, sulla base di<br />
relazioni progettuali che erano state redatte<br />
dal restauratore Sanguanini al quale erano<br />
stati affidati gli interventi di restauro. Questi<br />
quadri restaurati, essendo di proprietà di un<br />
ente pubblico, in questo caso il Comune di<br />
Casalmaggiore, sono soggetti ad un regime di<br />
stretta tutela da parte dello Stato, il quale viene<br />
coinvolto attraverso i suoi organi periferici, in<br />
questo caso le Soprintendenze, affinché queste<br />
esercitino il loro controllo. E non solo, ricordo,<br />
in caso di restauri, ma anche ad esempio<br />
in caso di spostamenti temporanei, come<br />
quando vengono ad esempio richiesti per le<br />
mostre, per le quali noi della Soprintendenza<br />
ci pronunciamo sull’opportunità o meno,<br />
considerando sempre prima di tutto lo stato<br />
conservativo delle opere e se queste possono<br />
essere o meno trasferite e sostenere l’aggravio<br />
di spostamenti, in situazioni anche ambientali<br />
che a volte sono molto differenti da quelle<br />
in cui attraverso lunghi secoli sono state<br />
conservate. Questo regime di tutela da parte<br />
dello Stato vale anche per i beni di proprietà<br />
ecclesiastica e questi sono generalmente<br />
quelli che ci tengono maggiormente occupati,<br />
prima di tutto in considerazione del loro<br />
rilevantissimo numero che sopravanza di gran<br />
lunga quello delle opere di proprietà pubblica.<br />
In questi ultimi anni comunque la costituzione<br />
di numerosi musei locali, ad opera soprattutto<br />
dei Comuni, sta coinvolgendo sempre di più<br />
le Soprintendenze anche su questo versante,<br />
cioè quello della tutela del patrimonio storicoartistico<br />
degli enti pubblici. Spesso oltre alle<br />
tipologie di beni a noi più familiari, come<br />
possono essere i dipinti su tela, le statue,<br />
le tavole, ci troviamo a dover affrontare<br />
problemi di conservazione e di restauro di<br />
generi di oggetti abbastanza inusuali per<br />
le comuni conoscenze dei funzionari delle<br />
Soprintendenze; poco tempo fa, in occasione<br />
ad esempio della mostra sull’Età Progettuale,<br />
ero stato chiamato per visionare una serie di<br />
strumenti scientifici che erano serviti nelle<br />
scuole di Casalmaggiore a scopo didattico:<br />
anche questi sono oggetti che vanno strettamente<br />
tutelati, proprio per la loro importanza<br />
storica, in riferimento, in questo caso, alla<br />
storia e al progredire del sapere scientifico.<br />
Dario Sanguanini<br />
L’intervento di restauro per il quale ci siamo<br />
avvalsi, io e mio figlio Marco, della valida<br />
collaborazione di due stagiste, Raschi e Sarzi<br />
Amadè, comprende il restauro di 14 dipinti<br />
ad olio su tela. Vedremo tutti e 14 questi<br />
dipinti, anche se per ragioni di tempo dovremo<br />
soffermarci sulle operazioni più significative.<br />
In pratica tutti i 14 dipinti sono stati analizzati,<br />
sono stati analizzati la tela, la preparazione,<br />
27
28<br />
R E S T A U R I<br />
la pellicola pittorica, e queste analisi hanno<br />
favorito una attribuzione, perché analizzare<br />
la tecnica pittorica è significativo per poter<br />
dare un’attribuzione più veritiera all’opera.<br />
Il primo dipinto è quello di S. Nicolò, S.<br />
Andrea e S. Francesco di Paola: dipinto ad<br />
olio su tela delle dimensioni di 248 cm x 170.<br />
Il dipinto, quando siamo venuti a prelevarlo,<br />
si trovava in queste condizioni perché su<br />
consiglio della Soprintendenza, alcuni anni<br />
or sono, era stata applicata una carta velina<br />
sul retto del dipinto perché si stava talmente<br />
deteriorando e molte particelle di pellicola<br />
pittorica si stavano staccando: per lo meno<br />
questa velinatura ha consentito al colore di<br />
rimanere adeso al supporto. Queste operazioni<br />
vengono spesso fatte prima degli spostamenti<br />
delle opere ai laboratori di restauro: tante volte<br />
il colore è talmente sollevato che anche solo<br />
il muovere la tela costituisce un fortissimo<br />
rischio, quindi viene preventivamente velinato<br />
per impedire che le scaglie di colore cadano nel<br />
trasferimento del quadro. In pratica si tratta di<br />
incollare carte di riso con del collante animale,<br />
quindi acqua, colla di coniglio, melassa, che<br />
si toglie con una semplice spugnatura con<br />
acqua calda. La prima operazione che è stata<br />
necessaria è stato togliere piano piano queste<br />
veline senza togliere minimamente particelle<br />
di colore. Questo lo si è fatto perché, essendo<br />
passato molto tempo dalla operazione di<br />
velinatura la colletta animale cominciava già<br />
a fare delle muffe, che si possono intravedere<br />
sul retro: le muffe si inseriscono fra supporto<br />
e pellicola pittorica e lentamente lo possono<br />
staccare. Da notare anche il vecchio telaio,<br />
che è stato sostituito perchè era privo di<br />
tensori. Nel ‘900 viene adottata la soluzione<br />
dei telai a supporto della tela con inseriti negli<br />
angoli dei supporti, dei cunei lignei o negli<br />
ultimi decenni anche metallici, che possono<br />
consentire di tenere esteso l’angolo, per cui il<br />
telaio viene tenuto ben teso e di conseguenza<br />
anche la tela viene tenuta ben tirata. Nel<br />
vecchio telaio non compariva alcun tipo di<br />
tensore angolare; quando è possibile sarebbe<br />
opportuno restaurare anche il vecchio telaio,<br />
perché spesso è quello originale e fra tela e<br />
telaio, vivendo insieme per tanto tempo, si crea<br />
quel connubio che è sempre meglio mantenere,<br />
potendo. In questo caso non era possibile<br />
perché il telaio si era ormai usurato a tal punto<br />
che non permetteva più una giusta tensione alla<br />
tela e quindi si è optato per la sostituzione del<br />
telaio. E’ a forma centinata, la cornice molto<br />
probabilmente era originale ed era dorata,<br />
anche se la doratura era andata persa quasi<br />
completamente; con ogni probabilità nell’’800<br />
era stata ripristinata con una tinteggiatura finto<br />
marmo bianco con venature nere. In questa<br />
foto in videomicroscopia si notano tutte queste<br />
tessere di pigmento unito a preparazione che<br />
letteralmente si stanno staccando, spingendosi<br />
l’una con l’altra; la tela è in puro lino, però ha<br />
tramatura piuttosto larga. In queste situazioni<br />
è sufficiente un piccolo colpo o che anche una<br />
sola di queste tantissime tessere venga via<br />
per tirarsi dietro una buona parte di tutta la<br />
policromia. L’opera più complessa dell’intero<br />
restauro è stata quella di poter dare spazio a<br />
queste “vesciche”, affinché si adagiassero<br />
perfettamente nei loro alloggi; essendo<br />
rigonfiate e non avendo più spazio per potersi<br />
dilatare quel tanto, con una foderatura ed una<br />
stiratura piuttosto energica si poteva anche<br />
fare in modo che si formassero delle grinze<br />
sul colore, proprio per la sovrapposizione del<br />
colore stesso. La fase di rifoderatura è quella<br />
operazione per cui si incolla una tela nuova sul<br />
retro, agendo sul telaio: si è dato così lo spazio<br />
necessario a tutte queste tessere per potersi<br />
riadagiare com’erano originariamente. E’<br />
una tipica crettatura “a mosaico”, causata più<br />
che altro dal troppo secco, infatti questo è un<br />
quadro che non era mai stato verniciato, quindi<br />
era molto secco e le continue sollecitazioni del<br />
supporto, della tela in pratica, provocano questo<br />
tipo di crettatura. Il dipinto è stato rifoderato,<br />
quindi è stato rinforzato con una nuova tela in<br />
puro lino sul retro, stirato, consolidato e poi è<br />
stato riteso sul nuovo telaio, munito di doppia<br />
crociera e di quei tensori di cui parlavamo<br />
prima, che sono dei tensori angolari metallici<br />
estendibili: hanno dei piccoli dadi che si<br />
possono tendere con una piccola chiavetta<br />
senza bisogno di picchiare sulle biette che<br />
forzano sempre sull’incastro del telaio;<br />
l’incastro non viene toccato minimamente, ma<br />
si può esercitare una tensione forte, perché un<br />
dipinto, affinché sia bene conservato, è bene<br />
che sia ben teso, altrimenti si formano delle<br />
borse, degli spanciamenti sul dipinto che poi<br />
generano un degrado piuttosto importante.<br />
Queste sono le prove di pulitura: avviene<br />
sempre dopo il consolidamento e la foderatura<br />
e sono i primi tasselli che si fanno, poi si<br />
concorda con la Soprintendenza il grado di<br />
pulitura da adottare, si fanno alcune prove a<br />
diversi spessori e poi si concorda il grado di<br />
pulitura da adottare su tutta l’opera. Qui si nota<br />
proprio che era molto sporco: non uno sporco<br />
di vernici ma di polveri e sudiciumi vari che<br />
con il tempo si erano depositati più che altro<br />
per effetto della condensazione sulla superficie<br />
pittorica; quindi la pulitura è avvenuta<br />
solamente per mezzo di solventi piuttosto<br />
blandi come acqua saponata oppure solventi<br />
anionici che asportano solamente la polvere.<br />
Dopo avviene la stuccatura del dipinto,<br />
nelle parti di caduta di colore: si è proceduto<br />
per la reintegrazione delle parti mancanti<br />
eseguita a tratteggio in selezione cromatica,<br />
in modo che a una certa distanza dall’opera<br />
(bastano due o tre metri) non si nota niente,<br />
mentre se si guarda il dipinto a 10/20 cm si<br />
nota questo ritocco a tratteggio. I colori usati<br />
sono normalmente colori a vernice perché<br />
così con il tempo non cambiano; un tempo si<br />
ritoccava molto con il colore ad olio, ma l’olio<br />
con il tempo ossida e quindi le alterazioni dei<br />
ritocchi sono evidenti anche dopo poco tempo.<br />
Questa è l’opera finita: un’opera molto bella,<br />
importante, sia per la storia che per la cultura.<br />
Si vede anche il viso del paggetto, che era<br />
molto rovinato; le parti mancanti sul viso<br />
del paggetto sono state integrate a tratteggio.<br />
Secondo me è giusto integrare le parti<br />
mancanti, in modo che si possa ricostruire la<br />
forma del viso, anche per rendere il quadro<br />
più leggibile. Ci sono state altre mode, quella<br />
di tenere il dipinto a tela, quella della tinta<br />
neutra: io credo che si debba sempre rispettare<br />
l’opera, eseguire questi tratteggi in selezione<br />
solamente nella parte della mancanza, ma<br />
la ricostruzione a mio parere ci deve essere.<br />
Questa è l’altra opera, la Trinità. Le misure<br />
sono 145 cm x 105. E’ sempre un dipinto ad<br />
olio su tela, era molto rovinato, c’erano dei<br />
depositi molto spessi di diverse verniciature<br />
che erano state applicate e delle ridipinture<br />
piuttosto estese, fatte con colore ad olio che<br />
con il tempo si altera e quindi le ridipinture<br />
erano visibili anche ad occhio nudo. Anche qui<br />
si notano segni dell’umidità, c’erano inoltre<br />
degli strappi e degli squarci che erano tenuti<br />
insieme da toppe incollate sul retro. Anche<br />
qui il telaio è stato sostituito perché non aveva<br />
più la forza di tendere la tela, era un telaio<br />
ormai sconnesso, attaccato molto dal tarlo<br />
e quindi fragile, ed era inoltre rigido e non<br />
permetteva certo l’estensione del dipinto. La<br />
cornice era probabilmente ottocentesca, nera:<br />
abbiamo guardato sotto la laccatura nera se<br />
ci fossero tracce d’oro o di argento, ma non<br />
c’era nulla, era proprio nera, tipica della prima<br />
metà dell’’800. Anche qui lo stesso tipo di<br />
degrado che abbiamo visto precedentemente:<br />
le tessere che ormai si spingono fortemente fra<br />
di loro e se non si interveniva velocemente era<br />
facile trovarsi il dipinto molto più rovinato:<br />
ci voleva davvero poco perché queste<br />
tessere cadessero; rimanevano attaccate<br />
grazie a tutte quelle verniciature che erano<br />
state fatte precedentemente. L’analisi in<br />
lampada di Wood fa notare alcuni ritocchi,<br />
delle ridipinture non coeve con il resto della<br />
pellicola pittorica. La fluorescenza fortissima<br />
che si nota intorno è data dagli strati di vernice<br />
che ormai ossidata e alterata doveva essere<br />
tolta. Questo è il nuovo telaio, munito di<br />
crociera centrale con i vari tensori metallici<br />
che permettono la dilatazione in caso la tela si<br />
debba allentare. Solito tassello di pulitura con<br />
asportazione delle vernici, che in questo caso<br />
è stata piuttosto complessa perché lo strato<br />
di vernici era piuttosto spesso (erano state<br />
fatte almeno tre verniciature); la asportazione<br />
delle vernici avviene all’inizio con miste di<br />
solventi volatili e alla fine quando si arriva alla<br />
pellicola pittorica si agisce anche con il bisturi<br />
per togliere gli ultimi residui. Rappresenta<br />
la Trinità, un soggetto tratto dal passo del<br />
Credo (Cristo siede alla destra del Padre).<br />
Ultima delle opere restaurate, una tela molto<br />
rovinata, con ampi squarci sul lato destro, e sul<br />
petto del santo di sinistra e sulla spalla sinistra<br />
dell’altro santo, provocati molto probabilmente<br />
da qualche colpo che ha preso, tenuti insieme<br />
da delle toppe incollate sul retro con un<br />
collante molto forte, molto probabilmente<br />
una colla da falegname. Il quadro sicuramente<br />
è stato leggermente ridimensionato su tutti<br />
e quattro i lati, forse la parte maggiormente<br />
ridimensionata è quella in alto, in pratica<br />
quell’occhio di cielo, quella luce dove c’è la<br />
colomba era un po’ più alta, infatti i due santi<br />
hanno lo sguardo diretto un po’ più in alto e si<br />
notano i segni del vecchio telaio, quelle pieghe<br />
sul bordo perimetrale che non concordano<br />
assolutamente con il telaio e quindi denotano
R E S T A U R I<br />
un ridimensionamento e poi anche il fatto che<br />
scompare la famosa “ghirlanda” che si fa sul<br />
bordo perimetrale della tela, cioè da chiodo a<br />
chiodo, forma come un arco, invece sul bordo la<br />
tela era tagliata tutta dritta: significa in pratica<br />
che è stato ridimensionato. Erano dei tagli che<br />
facevano anche i restauratori nell’’800 quando<br />
vedevano che la tela era tutta lacerata sul bordo,<br />
pensavano bene di tagliare via la parte lacerata<br />
per poi tendere il dipinto sul nuovo telaio.<br />
Si notano inoltre i piedi che sono proprio al<br />
massimo, sono proprio sul bordo: certamente<br />
in origine il dipinto, anche nella parte bassa,<br />
aveva un po’ più di spazio. Comunque una tela<br />
bellissima. Si notano le toppe che sono state<br />
incollate sul retro. Anche questo è un dipinto<br />
ad olio su tela della dimensioni di cm.176 x<br />
152, quasi quadrato. E’ un dipinto costruito<br />
con due vele cucite in mezzo, anche queste<br />
in puro lino e con una bellissima cucitura.<br />
Anche queste contano molto per dare anche<br />
delle attribuzioni, è giusto proprio dire la<br />
costruzione dell’opera d’arte, come venivano<br />
costruite. Nell’antichità prima di cominciare<br />
a dipingere, ad applicare il colore, c’era una<br />
costruzione tutta particolare del telaio, della<br />
tela, della preparazione. Il telaio, come si nota,<br />
è fisso, quindi anche questo è stato necessario<br />
sostituirlo con un nuovo telaio e poi con delle<br />
aste che sono state sostituite più tardi, poi è<br />
stato messo in piedi in un qualche modo<br />
per poterlo solamente appendere, ma non<br />
è il telaio originale e anche per questo si è<br />
pensato di sostituirlo con un telaio più idoneo.<br />
Questo è un particolare dello spazio<br />
che c’era, manca proprio la tela.<br />
Anche qui si nota una fitta crettatura, e poi qui<br />
si vede solo quella visibile a occhio nudo, con il<br />
videomicroscopio si notava un’altra crettatura<br />
molto più fine, intermedia, che denota che il<br />
dipinto è molto vecchio: è la tipica crettatura<br />
che avviene sui dipinti del ‘500-inizi ‘600.<br />
Questa è un’analisi a lampada di Wood, dove si<br />
notano delle ridipinture, si nota questa rossa…<br />
Anche qui la prova tassello di pulitura. Qui<br />
c’erano molte vernici, almeno due mani di<br />
vernici e poi c’erano anche delle stesure di<br />
olio sopra il dipinto. E’ quello che facevano<br />
specialmente nell’’800 e anche nei primi<br />
del ‘900 quando davano l’olio ai mobili e<br />
veniva dato anche ai dipinti: al momento<br />
apparivano lucidi e belli, però l’olio col<br />
tempo si ossida, diventa nero, attira la<br />
polvere e dopo qualche mese cominciano<br />
a diventare peggio di come erano prima.<br />
Questo è il telaio, sempre in legno tulipier,<br />
che è un legno molto bello, senza nodi,<br />
quindi permette di poter avere delle aste<br />
lunghe senza che si incurvino, è un legno<br />
che è un po’ fra il pioppo e il noce come<br />
consistenza, ma è molto utile proprio per i<br />
telai. E’ stata applicata una traversa intermedia<br />
e tensori angolari di metallo regolabili.<br />
Anche qui la integrazione a selezione<br />
cromatica, a tratteggio, sempre, un tratteggio<br />
che segue l’andamento delle pennellate<br />
originarie. Tutte queste procedure vengono<br />
sempre concordate con la Soprintendenza.<br />
Questa è una videomicroscopia, si vedono<br />
appunto quelle piccole cretature di cui si<br />
diceva prima: fra quelle tessere di quella<br />
specie di mosaico che vedevamo prima,<br />
dentro ad ogni tessera ci sono tutte queste<br />
cretature che ad occhio nudo non sono visibili,<br />
ma che si vedono in videomicroscopia e<br />
denotano proprio che molto probabilmente è<br />
un quadro della fine del ‘500, inizi del ‘600.<br />
Questa è una fotografia in riflettografia, in<br />
pratica sarebbero i raggi infrarossi, e qui si<br />
nota la tecnica: si notano queste pennellate<br />
scure e delle pennellate bianche. Questa<br />
indagine dimostra che le pennellate scure che<br />
sono le ultime, i massimi scuri, e i massimi<br />
chiari (le pennellate bianche) sono state<br />
applicate quando il colore era già secco, quindi<br />
vuol dire che il pittore che ha eseguito l’opera,<br />
deve avere aspettato almeno… io penso 6<br />
o 7 mesi prima di poter applicare i massimi<br />
scuri e i massimi chiari, perché non si sono<br />
minimamente amalgamati con la policromia<br />
che c’era sotto. Erano proprio tecniche,<br />
queste, che per ottenere questi forti contrasti<br />
dovevano attendere che il colore sotto fosse<br />
completamente asciugato. Questa indagini<br />
servono appunto per conoscere la tecnica.<br />
Questa è la mano del santo di sinistra; questa è<br />
sempre una riflettografia e si nota il disegno che<br />
il pittore deve avere eseguito con un pennello<br />
piuttosto piccolo e con del colore nero. Quindi<br />
molto probabilmente prima veniva fatto il<br />
bozzetto, poi veniva ingrandito sulla tela<br />
con una quadrettatura, probabilmente, e poi<br />
il pittore passava con il pennello e del nero.<br />
Qui si nota proprio una facilità di esecuzione<br />
molto forte, era un vero pittore, un vero artista<br />
questo, vista la sicurezza della pennellata.<br />
Questo è il dipinto finito. Si notano quelle<br />
chiazze bianche, queste luci molto forti, e questi<br />
neri, che danno appunto questo insieme molto<br />
contrastato ma che è dato proprio dalla tecnica,<br />
questi scuri e chiari applicati quando il dipinto<br />
era già perfettamente asciutto, altrimenti questi<br />
contrasti sarebbero impossibili da ottenere.<br />
Adesso facciamo una carrellata di immagini:<br />
erano dipinti che erano stati restaurati alcuni<br />
decenni orsono, infatti in accordo con la<br />
Soprintendenza si è optato per un restauro<br />
conservativo. Questo è il Mosè. Si è mantenuta<br />
la foderatura precedente perché era ancora<br />
buona, si sono applicati i tensori e soprattutto<br />
si è data una pulitura alla superficie perché sia<br />
i vecchi ritocchi che le vernici si erano ormai<br />
alterati a tal punto che rendevano illeggibile<br />
l’opera nei suoi giusti valori. Anche le cornici,<br />
che sono molto belle, sono state recuperate<br />
totalmente. Qui si vede un velo grigiastro<br />
che ricopre tutta l’opera e la manutenzione<br />
dice che queste vernici dopo un certo periodo<br />
(dipende anche dal luogo di collocazione<br />
e da tanti fattori) diventano gialle o grigie e<br />
vanno sostituite. Ecco questa è l’opera finita.<br />
In questo quadro non ci sono stati particolari<br />
ritocchi ma solo un’opera di asportazione delle<br />
vernici, pulitura del retro, e sono stati mantenuti<br />
sia la foderatura che il telaio anche se non era<br />
originale, e sono stati applicati i tensori angolari.<br />
Questo è Giosuè. Anche qui si notano bene le<br />
parti chiare che sono i vecchi ritocchi, molto<br />
probabilmente eseguiti a tempera all’uovo<br />
che con il tempo diventano bianchi, mentre<br />
l’olio diventa nero, e poi un po’ di sporcizia<br />
su tutta la superficie che disturba certamente<br />
la lettura e che deve essere rimossa.<br />
Davide, con la cetra e la corona. Anche qui<br />
la stessa cosa. Questi quattro dipinti sono<br />
tutti delle dimensioni di cm 92 x 62. Sono<br />
piuttosto belli, una bella luce. Anche qui<br />
vedete parecchi ritocchi che con il tempo<br />
si sono alterati e che devono essere tolti.<br />
Queste invece sono altre 7 opere. Questo è il<br />
ritratto della Sibilla Persica, che è una copia<br />
del Guercino, che aveva eseguito nel 1647.<br />
E’ una bella copia, ottocentesca, l’unica cosa<br />
che manca dell’originale è una scritta qui sul<br />
libro, “Sibilla Persica”, che il Guercino aveva<br />
eseguito ma che nella copia è stata omessa.<br />
Anche questo quadro era molto sporco; forse<br />
nella fotografia i bagliori sono un po’ troppo<br />
forti e comunque… Anche qui è stato praticato<br />
un intervento di manutenzione, asportazione<br />
dei ritocchi e delle vernici, la solita pulitura<br />
sul retro e applicazione dei tensori angolari.<br />
Questo è il Ritratto denominato “di gentildonna<br />
con il cappello”; qui sono chiari i ritocchi<br />
e i bianchi che si sono fortemente alterati,<br />
specialmente sul braccio, un po’ dappertutto.<br />
E’ una vernice che ormai si è talmente<br />
alterata che doveva essere tolta totalmente.<br />
E questo è il dipinto pulito. Naturalmente<br />
quando si puliscono questi quadri vengono<br />
asportate sia le vernici che i ritocchi, che<br />
poi vengono rifatti in modo più opportuno.<br />
Questo è il Ritratto di Annamaria Faita<br />
Porcelli. Anche qui stessa cosa: dopo<br />
la pulitura i colori diventano molto più<br />
luminosi e il quadro acquista tantissimo.<br />
Anche il Ritratto di gentiluomo era molto<br />
deteriorato dai depositi di vernici; il rosso<br />
del mantello ora è molto più luminoso,<br />
anche tutta la decorazione dell’abito.<br />
Questo è il Ritratto di gentildonna, non si sa chi<br />
sia; molto bello questo manto, questo vestito,<br />
solo che lì non era leggibile e dopo la pulitura<br />
si nota molto bene, l’abito e la sua preziosità.<br />
Questo era quello che era ridotto peggio:<br />
vedete queste chiazze bianche che denotano<br />
dei ritocchi piuttosto estesi e che andavano a<br />
interessare anche parte della cromia originale.<br />
Si è fatta una asportazione generale di tutti<br />
questi ritocchi e delle vernici. La scritta non<br />
era forse stata ben capita, non l’avevano<br />
ritoccata neanche nel modo giusto. Questa<br />
scritta la si è vista bene con la reflettografia,<br />
si è visto sotto cosa c’era veramente scritto,<br />
quindi si è andati a ritoccarlo. Ritratto<br />
molto interessante e piuttosto bello.<br />
L’ultimo, il Ritratto di Luigi Chiozzi: era<br />
molto opacizzato e ingrigito da questi depositi<br />
di vernici e fumi, su tutta la superficie.<br />
C’era una cornice che era in condizioni<br />
talmente disastrate che si è resa necessaria<br />
una sostituzione, con una cornice ancora<br />
più bella. Il quadro è interessante, si nota il<br />
viso molto intenso, molto bello. Sono state<br />
fatte delle analisi particolareggiate sulla<br />
pellicola pittorica, sul tipo di pennellata che<br />
potranno essere utili per una attribuzione.<br />
Trascrizione di Letizia Frigerio<br />
29
30<br />
CENTRO DI DOCUMENTAZIONE<br />
Attività del<br />
Centro di Documentazione 2007<br />
Contestualmente all’apertura delle sale del<br />
<strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> è stato attivato il Centro di<br />
Documentazione con l’allestimento al piano<br />
terra di una sala dedicata all’arte sacra e<br />
all’opera di Palmiro Vezzoni, e la creazione<br />
della biblioteca del <strong>Museo</strong> comprendente,<br />
oltre a un fondo librario in formazione, anche<br />
numerosi materiali d’archivio.<br />
Tale Centro intende sviluppare quattro filoni:<br />
a) Relativamente al <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong>, la<br />
funzione primaria del Centro è quella<br />
di raccogliere tutta la documentazione<br />
manoscritta e a stampa sull’opera di<br />
Giuseppe <strong>Diotti</strong> e la schedatura completa<br />
dei dipinti, dei disegni e di tutte le<br />
opere conosciute della sua scuola, da<br />
aggiornarsi costantemente in base alle<br />
segnalazioni pervenute e alle ricerche<br />
messe in campo; in prospettiva, gli<br />
studi sulla scuola del <strong>Diotti</strong> potrebbero<br />
estendersi, in generale, all’Ottocento<br />
cremonese.<br />
b) Il Centro si occupa in particolare degli<br />
artisti locali, o che abbiano avuto<br />
rapporti con la città di Casalmaggiore,<br />
a partire dalla seconda metà<br />
dell’Ottocento sino ad oggi, non solo<br />
promuovendo il censimento fotografico<br />
e la catalogazione delle opere prodotte<br />
conservate in collezioni pubbliche<br />
e private, ma soprattutto favorendo<br />
la conservazione e l’acquisizione di<br />
archivi d’artista (materiali di studio,<br />
appunti, schizzi, corrispondenza,<br />
biblioteca personale, cataloghi delle<br />
mostre). L’attività espositiva condotta<br />
negli ultimi anni ha già consentito<br />
la costituzione di un primo corpus<br />
di materiale documentario, a volte<br />
fortunosamente recuperato e altrimenti<br />
destinato alla dispersione. Sono stati<br />
raccolti materiali d’archivio relativi al<br />
pittore Mario Beltrami (1902-1979), al<br />
pittore Goliardo Padova (1909-1979) e<br />
allo scultore Carlo Cerati (1865-1948).<br />
E’ inoltre in corso di allestimento una<br />
raccolta in originale, in fotocopia e su<br />
supporto digitale dei cataloghi delle<br />
esposizioni collettive a Casalmaggiore<br />
dal 1865 ai giorni nostri. Le biblioteche<br />
personali degli artisti eventualmente<br />
acquisite costituiranno dei fondi<br />
specifici, di cui i singoli titoli entreranno<br />
comunque a far parte del catalogo<br />
generale della biblioteca specializzata<br />
delle Civiche raccolte d’arte.<br />
c) La centralità dei temi religiosi nella<br />
produzione artistica di Giuseppe <strong>Diotti</strong> e<br />
della sua scuola ha suggerito di ampliare<br />
il campo di studio a tutto il fenomeno<br />
dell’arte sacra nel territorio casalasco<br />
e cremonese nei secoli XIX e XX. La<br />
donazione Vezzoni costituisce, in tal<br />
senso, una premessa fondamentale<br />
per avviare e sviluppare tale lavoro di<br />
documentazione<br />
d) La recente proposta di donazione di<br />
alcune raccolte di grafica (è già stata<br />
acquisita, ad esempio, quella della<br />
pittrice milanese Elena Mezzadra<br />
a cui è stata dedicata recentemente<br />
un’antologica), di disegni e di<br />
fotografie, suggerisce – per la qualità<br />
dei materiali offerti – la possibilità<br />
di una specializzazione del Centro<br />
di Documentazione in ambiti ancora<br />
poco seguiti nelle raccolte lombarde,<br />
relativamente alla produzione e<br />
documentazione artistica degli anni più<br />
recenti, soprattutto per quegli autori,<br />
spesso di grande rilievo, operanti ai<br />
margini del mercato dell’arte.<br />
Sala dell’arte sacra di Palmiro Vezzoni<br />
In questa sala trova spazio una ricostruzione<br />
ideale dell’atelier di Palmiro Vezzoni, il<br />
pittore certamente più rappresentativo nel<br />
campo dell’arte sacra.<br />
Nato a Rivarolo del Re nel 1908, Palmiro<br />
Vezzoni studia a Milano all’Accademia di<br />
Brera, dove è allievo di Ambrogio Alciati,<br />
Giuseppe Palanti e di Aldo Carpi, e dove<br />
riceve due premi nel 1926 e nel 1927.<br />
Frequenta anche i corsi artistici della scuola<br />
del Castello Sforzesco.<br />
All’inizio degli anni Quaranta intraprende<br />
una feconda attività di decoratore e<br />
restauratore nelle chiese del territorio che<br />
proseguirà soprattutto nel dopoguerra, con la<br />
realizzazione di affreschi nelle parrocchiali di<br />
Ardole San Marino, Quattrocase, Scandolara<br />
Ravara, Rivarolo del Re, Casaletto e Cizzolo.<br />
Oltre i confini locali, la sua attività tocca<br />
località più lontane quali San Colombano,
CENTRO DI DOCUMENTAZIONE<br />
Carrara e alcuni centri della diocesi bresciana.<br />
Di queste grandi imprese restano numerosi<br />
cartoni in scala reale per gli affreschi,<br />
progetti di decorazione d’insieme realizzati<br />
ad acquarello e numerosi bozzetti di singole<br />
scene religiose; una parte significativa di<br />
queste opere è esposta alle pareti di questa<br />
sala e nell’adiacente biblioteca.<br />
Alla pittura sacra Vezzoni affianca una pittura<br />
di genere o di natura morta (alcuni esempi<br />
sono esposti in biblioteca), con intento<br />
decorativo di dimore private, come in alcune<br />
ville di Rivarolo del Re. Nel 1963 esegue, tra<br />
l’altro, gli affreschi del salone centrale della<br />
Direzione Provinciale delle Poste e delle<br />
telecomunicazioni di Cremona.<br />
Artista di profonda fede e amico di don<br />
Mazzolari, Palmiro Vezzoni, scomparso nel<br />
1997, trova ora nel <strong>Museo</strong> <strong>Diotti</strong> una prima<br />
occasione di pieno riconoscimento del suo<br />
valore, grazie alla donazione, da parte delle<br />
figlie Maria e Luisa, di un consistente fondo<br />
comprendente anche gli strumenti di lavoro<br />
dell’atelier, come ad esempio il monumentale<br />
cavalletto posto all’ingresso del Centro di<br />
documentazione.<br />
I materiali esposti, ancora in parte da studiare,<br />
sono oggetto di una ricerca in corso, i cui<br />
risultati saranno pubblicati nel 2009.<br />
La Biblioteca del <strong>Museo</strong><br />
Si è costituita nel marzo 2007 a partire da<br />
alcuni piccoli nuclei di volumi e riviste della<br />
Scuola di Disegno “Giuseppe Bottoli” e da<br />
un deposito di libri della Biblioteca Civica<br />
“A. E. Mortara”. La sua dotazione è poi stata<br />
arricchita da alcuni doni, in particolare da<br />
parte di chi scrive (circa 200 pubblicazioni di<br />
arte moderna e contemporanea), di Fiammetta<br />
Padova (110 cataloghi di mostre di artisti del<br />
‘900), di Florenzio Padova (alcuni cataloghi<br />
di mostre del padre Goliardo), di Elena<br />
Mezzadra (monografie, cataloghi e libri<br />
d’artista), dello studioso Ulisse Bocchi (una<br />
decina di monografie sulla natura morta in<br />
Italia e sui beni artistici nel casalasco) e di<br />
Ombretta Vecchini (vecchie e antiche edizioni<br />
di pregio appartenute al padre Giulio, scultore<br />
intagliatore).<br />
La biblioteca, accessibile agli studiosi solo<br />
su richiesta, intende proporsi come sezione<br />
specialistica collegata alla Biblioteca Civica,<br />
relativamente a tre principali ambiti:<br />
- arte e artisti (non solo locali) legati al<br />
territorio, ovvero gli “artisti del <strong>Museo</strong>”;<br />
- arte contemporanea;<br />
- beni culturali e museologia.<br />
In alto a destra:<br />
Lo studio del pittore Palmiro Vezzoni a Rivarolo<br />
del Re (Cremona).<br />
Sotto:<br />
La sala del Centro di documentazione dedicata<br />
all’arte sacra di Palmiro Vezzoni.<br />
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Sistema Museale<br />
della Provincia di Cremona<br />
Comitato di Coordinamento<br />
Cremona, corso Vittorio Emanuele 17<br />
Tel. 0372 406345<br />
cultura@provincia.cremona.it<br />
CASALMAGGIORE - EDIZIONI BIBLIOTECA A. E. MORTARA - Maggio 2008 ISBN 88-88-087-30-3