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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE<br />
FACOLTÀ DI INGEGNERIA<br />
CORSO DI LAUREA TRIENNALE<br />
IN INGEGNERIA CIVILE IDRAULICA<br />
Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale<br />
Sezione Idraulica e Geotecnica<br />
TESI DI LAUREA<br />
MODELLAZIONE IDROLOGICA<br />
DI BACINI MONTANI<br />
Laureando: Relatore:<br />
PAOLO MARTINIS Chiar.mo Prof. Ing. VIRGILIO FIOROTTO<br />
Correlatori:<br />
Chiar.mo Prof. Ing. ELPIDIO CARONI<br />
Dott. Ing. DANIELE TIRELLI<br />
ANNO ACCADEMICO 2005 - 2006
Indice generale<br />
1. Introduzione 1<br />
2. Il bacino del Cellina 5<br />
2.1. Inquadramento geografico 5<br />
2.1.1. Geomorfologia 6<br />
2.1.2. Idrografia 7<br />
2.1.3. Il regime pluviometrico 8<br />
2.1.4. Il contesto terr<strong>it</strong>oriale 11<br />
2.2. Le opere di regimazione 12<br />
2.2.1. Il lago di Barcis 12<br />
2.2.2. Il lago di Ravedis 14<br />
3. Il modello idrologico 18<br />
3.1. Il TOPMODEL 19<br />
3.1.1. Considerazioni generali 19<br />
3.1.2. Struttura del TOPMODEL 20<br />
3.2. Calcolo dell’indice topografico 21<br />
3.2.1. Preprocesso 21<br />
3.2.2. Calcolo 22<br />
3.3. Calcolo dei deflussi 24<br />
3.3.1. Permeabil<strong>it</strong>à 24<br />
3.3.2. Superficie 27<br />
3.3.3. Zona delle radici 28<br />
3.3.4. Zona insatura 28<br />
3.3.5. Zona satura 29<br />
3.3.6. Condizioni iniziali 29<br />
3.4. L’idrogramma un<strong>it</strong>ario istantaneo geomofrologico 30<br />
3.4.1. L’idrogramma un<strong>it</strong>ario istantaneo 30<br />
3.4.2. I modelli geomorfologici 32<br />
3.4.3. La funzione d’ampiezza 33<br />
3.4.4. Espressione dell’idrogramma 34<br />
3.5. La propagazione lungo l’asta fluviale 35<br />
3.5.1. Il modello parabolico 35<br />
3.5.2. La laminazione nei laghi 39<br />
4. Fase operativa 41<br />
4.1. Reperimento dati e software 41<br />
4.2. Utilizzo del GIS 42<br />
4.2.1. Introduzione ai Sistemi Informativi Terr<strong>it</strong>oriali 42<br />
4.2.2. Dalla cartografia numerica al DEM 43<br />
4.3. Elaborazione DTM 44<br />
4.4. Distribuzione spaziale delle precip<strong>it</strong>azioni 44<br />
4.5. Determinazione della funzione d’ampiezza 45<br />
4.6. Ottimizzazione del software 45<br />
I
5. Analisi dei risultati e conclusioni 48<br />
5.1. I parametri scelti 48<br />
5.2. Confronto tra portate calcolate e misurate 49<br />
5.2.1. Portate a Ravedis 49<br />
5.2.2. Laminazione a Barcis 50<br />
5.2.3. Scarti 51<br />
5.3. Dinamica del deflusso 53<br />
5.4. Influenza del ruscellamento hortoniano 55<br />
5.4.1. Piogge sintetiche 55<br />
5.4.2. Piogge reali e d’intens<strong>it</strong>à multipla 57<br />
II
1. Introduzione<br />
L’obiettivo del presente lavoro di tesi è quello di applicare il modello idrologico<br />
afflussi-deflussi sviluppato dalla Sezione di Idraulica e Geotecnica del Dipartimento<br />
di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Univers<strong>it</strong>à di Trieste al bacino montano del<br />
torrente Cellina, s<strong>it</strong>o nella Provincia di Pordenone.<br />
Come si vedrà dettagliatamente nel cap<strong>it</strong>olo 3, il modello è basato sulla modellistica<br />
semi-distribu<strong>it</strong>a rappresentata dal TOPMODEL dell’Univers<strong>it</strong>à di Lancaster, alla<br />
quale sono state aggiunte la generazione dell’onda di piena secondo cr<strong>it</strong>eri<br />
geomorfologici, la laminazione della stessa nei serbatoi artificiali e la produzione di<br />
ruscellamento superficiale secondo la legge di Horton.<br />
Il lavoro di tesi si incentra principalmente sull’analisi di quest’ultima<br />
implementazione, ovvero della sua potenza nel descrivere le immediate risposte dei<br />
sistemi idrografici alpini dell’Alto Adriatico ad eventi di pioggia con intens<strong>it</strong>à<br />
eccezionale, come verificato nella recente alluvione nell’area del Tarvisiano.<br />
Il modello ottenuto potrà simulare il comportamento idrologico del bacino in<br />
corrispondenza della stretta di Ravedis a partire dai soli ietogrammi di progetto e,<br />
con alcune ricalibrature, anche in corrispondenza dell’immissione del Cellina nel<br />
futuro lago di Ravedis.<br />
Il meccanismo di trasformazione degli afflussi meteorici in deflussi delle acque è<br />
oggetto di notevole interesse sia per l’importanza dei processi fisici coinvolti, sia per<br />
le potenzial<strong>it</strong>à della modellazione come strumento di gestione della risorsa idrica<br />
presente sul terr<strong>it</strong>orio. Se essa, infatti, in condizioni ordinarie risulta valutabile e<br />
sfruttabile secondo le esigenze, non altrettanto si può asserire per gli eventi estremi.<br />
Esistono diverse tipologie di modelli per la trasformazione afflussi-deflussi,<br />
catalogate in tre gruppi in funzione del dettaglio nella descrizione spaziale:<br />
concentrati, distribu<strong>it</strong>i e semidistribu<strong>it</strong>i. La modellazione di tipo concentrato,<br />
utilizzando solo equazioni differenziali ordinarie e non consentendo una<br />
distribuzione spaziale delle grandezze in gioco, fornisce dei risultati spesso<br />
approssimativi ma, a volte, validi soprattutto per la relativa semplic<strong>it</strong>à con cui sono<br />
stati costru<strong>it</strong>i. Dall’altra parte i modelli di tipo distribu<strong>it</strong>o vanno ad utilizzare dati<br />
spazialmente variabili consentendone una diversificazione sul terr<strong>it</strong>orio in analisi, la<br />
cui risposta idrologica è però fortemente dipendente dalla completa ed omogenea<br />
distribuzione sul terr<strong>it</strong>orio dei dati raccolti.<br />
I modelli semidistribu<strong>it</strong>i, pur essendo strutturati in termini di processi fisicamente<br />
basati, rappresentano l’effetto complessivo dell’interazione tra fenomeni ben più<br />
articolati. Ne risulta quindi indispensabile una taratura, legata però in qualche<br />
misura al loro significato fisico: in questo sta il loro pregio. Lo sviluppo dei GIS<br />
(Geographical Information System o Sistemi Informativi Terr<strong>it</strong>oriali) ha cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o le<br />
basi necessarie alla realizzazione dei modelli idrologici semidistribu<strong>it</strong>i. Una famiglia<br />
di questi è derivata dallo schema TOPMODEL, un modello concettuale ad area<br />
Introduzione – pag. 1
contribuente variabile in cui i fattori predominanti che determinano la generazione<br />
del deflusso sono la topografia del bacino ed una legge esponenziale che lega la<br />
conduttiv<strong>it</strong>à idraulica del terreno con la profond<strong>it</strong>à rispetto al piano campagna. In<br />
questo senso, rispetto alle variabili di input-output, esso è di tipo concentrato, ma<br />
tiene conto sia della distribuzione planoaltimetrica del bacino che delle caratteristiche<br />
della rete idrografica. Sua caratteristica specifica è, inoltre, quella di utilizzare un<br />
idrogramma un<strong>it</strong>ario istantaneo (IUH) forn<strong>it</strong>o dall’utente quale kernel di<br />
convoluzione alla sezione d’usc<strong>it</strong>a della portata totale prodotta nel bacino.<br />
Nella presente applicazione, il TOPMODEL è stato impiegato per rappresentare<br />
singoli sottobacini che alimentano la rete del canale principale al fine di considerare,<br />
in qualche misura, anche la distribuzione spaziale delle precip<strong>it</strong>azioni. I vari<br />
idrogrammi di piena, ottenuti per i singoli sottobacini in risposta alle sequenze di<br />
precip<strong>it</strong>azione, sono stati quindi propagati lungo l’asta principale sino alla sezione di<br />
chiusura, tenendo anche conto dell’effetto di laminazione nei bacini di r<strong>it</strong>enuta, in<br />
particolare nel lago di Barcis.<br />
Il torrente Cellina presenta tutte le caratteristiche chiave dei bacini alpini del nordest,<br />
fondamentalmente: risposte molto rapide a piogge di particolare intens<strong>it</strong>à, dovute al<br />
clima tipico dell’alto Adriatico; presenza di invasi artificiali per sfruttamento<br />
idroelettrico ed irriguo; bassa antropizzazione del terr<strong>it</strong>orio ma forte importanza per<br />
la produzione delle piene a valle.<br />
Insieme al torrente Meduna, il Cellina fa parte del bacino montano che insiste sulla<br />
zona dell’alta pianura pordenonese. L’ab<strong>it</strong>ato di Pordenone risulta essere in una<br />
posizione decisamente sfavorevole per quanto riguarda i possibili allagamenti, sia<br />
perché in prossim<strong>it</strong>à della confluenza dei torrenti sopra c<strong>it</strong>ati, sia perché posto in<br />
zona leggermente depressa rispetto ai terr<strong>it</strong>ori circostanti ed anche a causa di<br />
differenti problemi idrologici creati da altri corsi d’acqua come il Noncello.<br />
Figura 1.1 : Elaborazione DTM del bacino idrografico del Cellina all’interno della regione<br />
Friuli Venezia Giulia a partire dalla Carta Regionale Numerica 1:25000; in rosso i confini dei<br />
sottobacini, in blu il reticolo idrografico<br />
Introduzione – pag. 2
Nel mese di novembre 2002 il terr<strong>it</strong>orio della regione Friuli Venezia Giulia è stato<br />
ripetutamente interessato da precip<strong>it</strong>azioni meteoriche di forte intens<strong>it</strong>à, tanto da<br />
raggiungere per alcune zone circa un terzo della piovos<strong>it</strong>à media annuale. In<br />
particolare, nei giorni 3 e 4, 6 e 7, 15-17, 20-21 e 24-26 novembre 2002 eventi<br />
meteorici di particolare intens<strong>it</strong>à e persistenza si sono verificati con effetti rovinosi<br />
nei terr<strong>it</strong>ori delle province di Gorizia, Udine e Pordenone. La successione delle<br />
ondate di maltempo ha provocato estesi allagamenti, gravissimi dissesti d’alveo,<br />
frane, colate detr<strong>it</strong>iche e notevoli danni alle infrastrutture pubbliche ed ai beni mobili<br />
ed immobili di privati ed imprese, in particolare nel bacino pordenonese del fiume<br />
Livenza di cui il Cellina fa parte.<br />
Intens<strong>it</strong>à di pioggia (m/h)<br />
30.0<br />
25.0<br />
20.0<br />
15.0<br />
10.0<br />
5.0<br />
0.0<br />
21/11/02 0.00<br />
22/11/02 0.00<br />
23/11/02 0.00<br />
Piogge registrate a Prescudin<br />
24/11/02 0.00<br />
25/11/02 0.00<br />
Tempo (h)<br />
Figura 1.2 : Ietogramma nella stazione di Prescudin dal 21 al 28 novembre 2002<br />
Va osservato che le forti piogge che hanno interessato il bacino nelle giornate del 24,<br />
25 e 26 novembre, da sole, non possono dar ragione della grav<strong>it</strong>à delle condizioni<br />
idrauliche venutesi a determinare: il sistema idraulico della pianura pordenonese ha<br />
infatti retto, nel passato, piene con maggiori valori di picco delle portate provenienti<br />
dal bacino montano, subendo danni più contenuti. Un caso recente di utile confronto<br />
risulta la piena del novembre 2000, quando le portate in arrivo raggiunsero al colmo i<br />
1700 m 3 /s, valori superiori del 30% rispetto a quanto registrato nell’ultimo evento del<br />
2002.<br />
Si è scelto in defin<strong>it</strong>iva il secondo evento di piena del novembre 2002 (piogge dal 21<br />
al 28 del mese) per la sua importanza nella generazione di eventi calam<strong>it</strong>osi, per le<br />
sue caratteristiche di intens<strong>it</strong>à elevata ma lontana dai valori massimi, di<br />
conformazione a tre picchi successivi dello ietogramma e infine perchè è stato<br />
possibile effettuare alcuni confronti con modellazioni precedenti relative allo stesso<br />
evento.<br />
I cap<strong>it</strong>oli che seguono presentano il lavoro svolto seguendo la sua scansione<br />
temporale. Il secondo cap<strong>it</strong>olo analizza l’area di studio in relazione alle sue<br />
caratteristiche geomorfologiche, idrografiche, pluviometriche e terr<strong>it</strong>oriali, oltre alle<br />
opere di regimazione dei deflussi posizionate lungo il corso d’acqua. Il terzo cap<strong>it</strong>olo<br />
presenta i lineamenti teorici che stanno alla base del modello afflussi-deflussi<br />
sviluppato dall’Univers<strong>it</strong>à di Trieste, focalizzando l’attenzione sugli algor<strong>it</strong>mi<br />
26/11/02 0.00<br />
27/11/02 0.00<br />
28/11/02 0.00<br />
29/11/02 0.00<br />
Introduzione – pag. 3
implementati alla formulazione originale del TOPMODEL dal Dipartimento di<br />
Ingegneria Civile e Ambientale. Il quarto cap<strong>it</strong>olo presenta le operazioni che si sono<br />
rese necessarie al fine di preparare e calibrare il modello sull’area di studio. Nel<br />
quinto ed ultimo cap<strong>it</strong>olo si analizzano i risultati ottenuti e si fanno alcune<br />
considerazioni in mer<strong>it</strong>o all’importanza della produzione del ruscellamento per<br />
eccesso di infiltrazione nei bacini montani.<br />
Introduzione – pag. 4
2. Il bacino del Cellina<br />
Il presente cap<strong>it</strong>olo si propone di inquadrare l’area di studio in relazione alle<br />
caratteristiche maggiormente rilevanti del bacino imbrifero del Cellina, al fine di<br />
impostare correttamente l’analisi idrologica. C<strong>it</strong>ando Ke<strong>it</strong>h Beven, la modellazione<br />
idrologica non può prescindere da una buona conoscenza dell’area di studio e da<br />
un’attenta valutazione di tutte le componenti del sistema imbrifero. È facile, infatti,<br />
incorrere in errori anche grossolani e proporre modelli calibrati che, nella realtà, male<br />
approssimano le dinamiche di produzione dei deflussi a causa di analisi e<br />
considerazioni poco attente sulle caratteristiche particolari dell’area di studio.<br />
In questo cap<strong>it</strong>olo verrà presentata la s<strong>it</strong>uazione geografica del bacino in relazione<br />
alla geomorfologia, all’idrografia, al regime pluviometrico e al contesto terr<strong>it</strong>oriale.<br />
Infine si andranno a presentare le principali opere di regimazione dei deflussi<br />
posizionate lungo il corso d’acqua.<br />
2.1. Inquadramento geografico<br />
Il bacino montano del torrente Cellina si estende su circa 446km 2 ed è racchiuso tra i<br />
bacini del fiume Tagliamento a nordest, del torrente Meduna ad est, del Piave ad<br />
ovest e l’alta pianura pordenonese a sud.<br />
Nella zona settentrionale sono presenti le tre valli a ventaglio dei torrenti Cimoliana,<br />
Settimana e Cellina (l’unico a carattere perenne) dove si notano un’imponente<br />
presenza di alluvioni dovute al forte trasporto solido in atto assieme ad importanti<br />
fenomeni di degradazione delle rocce. I tre torrenti confluiscono in un vasto depos<strong>it</strong>o<br />
alluvionale chiamato “conca di Pinedo”. Da Pinedo fino alla stretta di Barcis si ha poi<br />
una valle stretta dove il canale è stato scavato nella roccia: qui il Cellina riceve<br />
l’apporto di sei torrenti prima di immettersi nel serbatoio artificiale di Barcis. Dopo<br />
Barcis il letto assume il carattere di forra, e sono ben visibili i fenomeni erosivi<br />
denominati “marm<strong>it</strong>te dei giganti”. Si r<strong>it</strong>rova una modesta espansione solo prima<br />
della chiusura del bacino montano, rappresentata dalla stretta di Ravedis. Infine il<br />
Cellina esce dal proprio corso montano per immettersi nel Meduna attraverso un<br />
ampio letto scavato dalle alluvioni.<br />
La linea dello spartiacque è quasi sempre superiore ai 1500m sul medio mare: lungo<br />
essa si incontrano i monti Raut (2020m), Caserine (2309m), Cima Monfalcon (2703m),<br />
Col Nudo (2471m) e Monte Cavallo (2250m). L’orografia è abbastanza disomogenea:<br />
nella parte settentrionale si trova una successione di catene montuose che si<br />
protendono da nordest a sudovest, mentre a meridione una serie di poderosi speroni<br />
della catena cretacea divide il bacino montano dalla pianura pordenonese.<br />
Il bacino del Cellina – pag. 5
2.1.1. Geomorfologia<br />
La geologia del terr<strong>it</strong>orio si presenta alquanto complessa a causa delle molte<br />
viciss<strong>it</strong>udini geologiche che hanno portato ad un forte disordine idrogeologico<br />
dell’insieme.<br />
2.1.1.1. L<strong>it</strong>ologia e tettonica<br />
La l<strong>it</strong>ologia è ben individuabile dall’affioramento superficiale di varie rocce,<br />
prevalentemente:<br />
- la dolomia principale, alla quale sono dovuti crostoni, campanili, guglie e<br />
pinnacoli;<br />
- la dolomia a facies di Dachstein ed i calcari giura-liassici, che cost<strong>it</strong>uiscono<br />
imponenti massicci con ripide pareti, tozzi torrioni e valli anguste;<br />
- il calcare ippur<strong>it</strong>ico cretaceo, che si presenta in altopiani carsici con doline e<br />
campi carreggiati.<br />
Figura 3.1 : Carta degli affioramenti l<strong>it</strong>ologici nel Friuli Venezia Giulia; fonte: Protezione<br />
Civile Regionale.<br />
Dell’era del Triassico si trovano le formazioni dei calcari dei Caprizzi e della dolomia<br />
principale, in una successione di calcari dolom<strong>it</strong>ici e dolomie dal tipico colore grigio.<br />
La potenza di tale strato risulta notevole, tra i 1200m ed i 1400m, e rappresenta il<br />
substrato più antico con cui inizia la successione stratigrafica affiorante.<br />
All’era giurassica appartengono i calcari grigi di Noriglio, la cui formazione ha<br />
sub<strong>it</strong>o nel tempo ripetuti schiacciamenti e deformazioni, i calcari ool<strong>it</strong>ici di San<br />
Vigilio e i calcari appartenenti alla formazione del rosso ammon<strong>it</strong>ico veneto.<br />
L’Eocene si presenta nella zona come formazione flyschoide, un’alternanza di strati<br />
di arenaria e di marna, la cui potenza risulta assai variabile.<br />
I tipi l<strong>it</strong>ologici del Terziario, fondamentalmente scaglia rossa, marne eoceniche e<br />
arenarie mioceniche, sono presenti in piccola percentuale e formano dei lenti dossi<br />
collinosi.<br />
I l<strong>it</strong>otipi che caratterizzano il Quaternario sono esclusivamente di tipo sciolto, non<br />
essendo rilevata la presenza di alcun depos<strong>it</strong>o che abbia sub<strong>it</strong>o fenomeni di<br />
cementazione: soprattutto nella parte nordoccidentale sono consistenti i depos<strong>it</strong>i<br />
Il bacino del Cellina – pag. 6
alluvionali e morenici, i detr<strong>it</strong>i di falda ed i coni di deiezione, dovuti agli importanti<br />
fenomeni di dissesto idrogeologico ancora in atto.<br />
Le condizioni tettoniche hanno dato luogo generalmente a dei versanti meridionali<br />
molto più ripidi di quelli settentrionali; è infatti possibile dividere il bacino in tre<br />
parti:<br />
- a sud di Barcis gli strati cost<strong>it</strong>uiscono una ampia volta che culmina lungo la<br />
linea lim<strong>it</strong>e del bacino e si immergono con modesta inclinazione a<br />
settentrione;<br />
- la parte media comprende un fascio di quattro pieghe sinclinali dove gli strati<br />
sono generalmente immersi a settentrione con inclinazioni variabili;<br />
- la parte settentrionale è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a da una potente successione di strati<br />
dolom<strong>it</strong>ici sub-orizzontali, che formano il nucleo di un’anticlinale rovesciata<br />
sulla quarta piega sinclinale della parte media.<br />
2.1.1.2. Permeabil<strong>it</strong>à<br />
Per quanto riguarda la permeabil<strong>it</strong>à l’area totale del bacino può essere così ripart<strong>it</strong>a:<br />
- le rocce poco permeabili per imbibizione (scaglie, scisti eocenici, arenarie<br />
mioceniche) rappresentano circa il 5%;<br />
- le rocce molto permeabili per imbibizione (alluvioni terrazzate, detr<strong>it</strong>i di falda,<br />
coni di deiezione, alluvioni attuali) rappresentano circa il 5.6%;<br />
- le rocce poco permeabili per fessurazione (dolomie marnose, dolomie e calcari<br />
dolom<strong>it</strong>ici, calcari mandorlati) rappresentano circa il 75%;<br />
- le rocce carsiche (fondamentalmente calcari ippur<strong>it</strong>ici) rappresentano circa il<br />
14,3%.<br />
In defin<strong>it</strong>iva il bacino è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o solo per un quinto del totale da rocce permeabili,<br />
concentrate soprattutto nella parte meridionale.<br />
2.1.1.3. Dissesto idrogeologico<br />
In generale i versanti, fino a circa 1600m sul medio mare, sono ammantati di<br />
vegetazione boschiva con prevalenza di faggi, abeti e larici; a quote più elevate le<br />
macchie di pini e ontani si inframmezzano a vaste zone erbose. Stando ai rilievi<br />
dell’Autor<strong>it</strong>à Forestale, effettuati nel lontano 1930, le aree coperte da vegetazione<br />
ammontavano a circa il 40% della superficie totale.<br />
In conseguenza di tale scarsa protezione vegetale, dell’eccezionale intens<strong>it</strong>à delle<br />
precip<strong>it</strong>azioni che caratterizzano l’area e della natura dei versanti, i fenomeni di<br />
disordine idrogeologico sono vari ed intensi, con frane più o meno estese localizzate<br />
soprattutto negli alvei minori ed in corrispondenza dei depos<strong>it</strong>i morenici e fluviali.<br />
Considerato poi il grande potere erosivo dei tronchi superiori e il forte trasporto<br />
solido durante gli eventi di piena, nei tratti inferiori degli alvei si presentano<br />
inghiaiamenti di notevole spessore. A monte del lago di Barcis, ad esempio, si nota<br />
una cospicua formazione di alluvioni deltizie per un tratto di notevole lunghezza.<br />
2.1.2. Idrografia<br />
Il Cellina nasce dalle pendici del Monte Caserine, nei pressi della Forcella Clautana,<br />
per poi seguire il suo corso in direzione Ovest, attraversando l’ab<strong>it</strong>ato di Claut.<br />
Sub<strong>it</strong>o a valle di Claut il Cellina riceve in destra idrografica il torrente Settimana,<br />
corso d’acqua normalmente asciutto ma capace di dar luogo a portate notevoli con<br />
risposte molto brevi durante eventi meteorici rilevanti. In condizioni di piena<br />
Il bacino del Cellina – pag. 7
ordinaria il Settimana è interessato da eventi che coinvolgono solamente una parte<br />
dell’alveo, che in epoca storica era di poche decine di metri: in occasione dell’evento<br />
alluvionale del 1966 si è avuto un allargamento dello stesso che ha determinato la<br />
s<strong>it</strong>uazione attuale.<br />
Poco più a valle il Cellina riceve un altro affluente in destra, il torrente Cimoliana,<br />
che assume anch’esso un carattere tipicamente torrentizio ed è quindi asciutto<br />
durante gran parte dell’anno. Il Cimoliana nasce ai piedi del Monfalcon di Montanaia<br />
per poi scorrere prevalentemente in direzione sud e, dopo aver attraversato l’ab<strong>it</strong>ato<br />
di Cimolais, gettarsi nelle acque del Cellina.<br />
Le due confluenze hanno dato luogo alla cosiddetta conca di Pinedo, una zona a forte<br />
carattere alluvionale, singolare per la sua ampiezza in un terr<strong>it</strong>orio così montuoso.<br />
Va anche notato che la stretta del Cellina, immediatamente a valle della confluenza<br />
con il Cimoliana, determina un fenomeno di rigurg<strong>it</strong>o: il livello delle ghiaie nel tratto<br />
terminale del Cimoliana, per circa 2km, è in condizioni di contropendenza.<br />
Il sistema idrografico del Cellina è così cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o nell’estrema parte settentrionale dal<br />
ventaglio delle tre valli principali. Il torrente procede poi in direzione sud, col nome<br />
di Cellina di Barcis, scorrendo in una stretta valle e ricevendo il contributo di vari<br />
affluenti. Dopo aver attraversato la conca di Pinedo il Cellina riceve in destra i<br />
torrenti Pentina, Chialedina e Prescudin, tutti caratterizzati da uno spiccato carattere<br />
torrentizio e da un bacino tributario modesto. In sinistra si c<strong>it</strong>a l’apporto forn<strong>it</strong>o dal<br />
Torrente Varma, di piccolissime dimensioni per quanto riguarda il bacino ad esso<br />
sotteso ma di grande fama per gli ingenti danni provocati durante gli eventi di piena<br />
alla Strada Statale della Valcellina.<br />
Il torrente si immette poi nel bacino artificiale di Barcis, entrato in esercizio nel 1954,<br />
che verrà trattato in un paragrafo successivo.<br />
Dalla diga di Barcis a Ponte Ravedis il corso del Torrente Cellina cambia<br />
radicalmente, andando a percorrere una valle caratterizzata da versanti a strapiombo<br />
e con una larghezza che in alcuni casi raggiunge poche decine di metri. In questa<br />
caratteristica vallata, oggi chiusa al traffico per lasciar posto al futuro lago di Ravedis<br />
ed al ”Parco naturale della forra del Cellina”, il torrente riceve in sinistra il torrente<br />
Alba, anch’esso con caratteristiche di forra. Nonostante l’apparente importanza<br />
trascurabile che sembra avere quest’ultimo, ad esso confluiscono acque da una<br />
notevole area montana e le portate misurate alla confluenza risultano tutt’altro che<br />
trascurabili, dell’ordine di 100m 3 /s con picchi fino a 150 m 3 /s.<br />
Dopo un successivo percorso in una stretta gola, dove sono ben visibili gli<br />
spettacolari fenomeni erosivi denominati “marm<strong>it</strong>te dei giganti”, il Torrente Cellina<br />
esce dal suo bacino montano a Ponte Ravedis, per immettersi in un ampio letto<br />
scavato nelle alluvioni. Per circa trenta chilometri il corso d’acqua percorre il letto<br />
alluvionale senza fare la sua comparsa in superficie, per immettersi finalmente nel<br />
corso del Meduna. Per il progetto della diga a grav<strong>it</strong>à di Ponte Ravedis è stata<br />
analizzata con particolare attenzione la potenza del letto alluvionale, che è risultata<br />
molto elevata, con punte di 200m nei punti più depressi.<br />
2.1.3. Il regime pluviometrico<br />
2.1.3.1. Clima<br />
Tutto il bacino del Livenza appartiene alla zona di clima temperato-continentale ed<br />
umido che è comune a molte zone del versante meridionale delle Alpi.<br />
Il bacino del Cellina – pag. 8
Le stagioni sono ben defin<strong>it</strong>e, a prescindere dagli effetti dell’alt<strong>it</strong>udine e del mare.<br />
L’inverno è freddo ma non eccessivamente rigido, con una forte escursione termica; è<br />
la stagione meno piovosa e la neve raggiunge quant<strong>it</strong>ativi degni di nota anche in<br />
pianura. La primavera è molto variabile; nel mese di marzo generalmente terminano<br />
le gelate, le precip<strong>it</strong>azioni si fanno più abbondanti e nel mese di maggio si possono<br />
già raggiungere punte di 30 gradi. L’estate inizia con giugno, che generalmente<br />
registra uno dei due massimi annuali di precip<strong>it</strong>azione, per proseguire<br />
stabilizzandosi in lunghi periodi di bel tempo e caldo con molto sole e umid<strong>it</strong>à<br />
elevate. I temporali pomeridiani, specie vicino ai monti, sono comunque molto<br />
frequenti. L’autunno porta spesso lunghi periodi di giornate grigie, umide e piovose.<br />
I mesi autunnali sono i più ricchi di precip<strong>it</strong>azioni, che normalmente raggiungono in<br />
novembre l’altro massimo annuale.<br />
In montagna il clima si fa più rigido rispetto a questa s<strong>it</strong>uazione generale man mano<br />
che si sale di quota e ci si addentra nelle valli interne verso le Alpi. Anche<br />
l’esposizione e la pendenza giocano un ruolo determinante, per cui è difficile dare<br />
una descrizione sintetica del clima montano. Va comunque notato che, rispetto alla<br />
pianura, le precip<strong>it</strong>azioni aumentano fortemente in frequenza ed intens<strong>it</strong>à,<br />
raggiungendo valori molto elevati. Anche la neve varia molto per quant<strong>it</strong>à caduta e<br />
spessore al suolo, ma in generale si scioglie molto velocemente per l’elevata piovos<strong>it</strong>à<br />
e le temperature massime, che risultano generalmente pos<strong>it</strong>ive anche nel periodo<br />
invernale.<br />
2.1.3.2. Piovos<strong>it</strong>à<br />
Come precedentemente affermato, la fascia prealpina, nella quale è inser<strong>it</strong>o il bacino<br />
del Cellina, è quella di maggiore apporto idrico per il Livenza. La piovos<strong>it</strong>à media<br />
annua, pur non raggiungendo il livello dei vicini Canal del Ferro e Valcanale, si<br />
attesta mediamente sugli elevati valori di 1700-2300mm con minimi di 1400mm e<br />
massimi di 3000mm. I mesi mediamente più piovosi sono giugno e novembre con<br />
180-300mm circa, quello mediamente meno piovoso è febbraio con 100-140mm. Nel<br />
corso dell’ultimo trentennio i mesi estivi meno piovosi hanno garant<strong>it</strong>o comunque<br />
40-50mm, escludendo sicc<strong>it</strong>à gravi nella zona.<br />
Figura 2.2: Carta della piovos<strong>it</strong>à media nel Friuli Venezia Giulia rifer<strong>it</strong>a all’ultimo trentennio;<br />
fonte: Protezione Civile Regionale.<br />
Il bacino del Cellina – pag. 9
Nel bacino montano del Cellina le altezze medie annue di precip<strong>it</strong>azione si<br />
presentano con un andamento crescente da ovest verso est. I centri di massima<br />
piovos<strong>it</strong>à sono localizzati nei contigui bacini del Meduna e del Colvera, mentre<br />
quelle di minima piovos<strong>it</strong>à sono poste a ovest, ai confini con il bacino del Piave.<br />
Per il bacino del Cellina sono disponibili i dati di altezze di precip<strong>it</strong>azione medie<br />
annue e numero dei giorni piovosi in alcune stazioni rappresentative, raccolti<br />
dall’Ufficio Idrografico del Magistrato alle Acque e dall’Autor<strong>it</strong>à di Bacino dell’Alto<br />
Adriatico e riportate nella tabella sottostante.<br />
2.1.3.3. Le piogge intense<br />
Un accenno al regime delle piogge intense risulta utile, ai fini del presente lavoro di<br />
tesi, per avere un termine di confronto con lo ietogramma adoperato in fase di<br />
taratura e con quelli utilizzati per mettere in evidenza i diversi tipi di risposta dei tre<br />
metodi di calcolo della produzione di deflusso superficiale considerati.<br />
A tal fine si può fare riferimento alle altezze totali di precip<strong>it</strong>azione registrate in<br />
occasione dei più gravosi eventi di piena verificatisi nel recente passato, oppure<br />
trattare statisticamente le serie storiche disponibili, ricavando le altezze di<br />
precip<strong>it</strong>azione corrispondenti a prefissati tempi di r<strong>it</strong>orno.<br />
Gli eventi estremi di riferimento sono quelli, disastrosi, occorsi nel settembre 1965 e<br />
nel novembre 1966, cui si riferisce la tabella seguente.<br />
L’elaborazione statistico-probabilistica, svolta dall’Autor<strong>it</strong>à di Bacino dell’Alto<br />
Adriatico nel piano stralcio per la sicurezza idraulica del bacino del Livenza<br />
mediante la legge del valore estremo doppia esponenziale o di Gumbel, riporta i<br />
risultati della tabella a pagina seguente.<br />
Il bacino del Cellina – pag. 10
Si può quindi notare che nel corso dei disastrosi eventi del settembre 1965 e del<br />
novembre 1966 non si ebbero, in generale, fenomeni di afflusso meteorico<br />
eccezionale:<br />
2.1.4. Il contesto terr<strong>it</strong>oriale<br />
Le maggiori interferenze tra il sistema fluviale del Livenza, gli insediamenti<br />
residenziali e produttivi e la rete delle infrastrutture si ha nell’area di Pordenone e<br />
Sacile. L’area del bacino montano presenta insediamenti più rarefatti e minori<br />
occasioni di interferenze nell’uso del terr<strong>it</strong>orio, ma sono per contro presenti<br />
complessi problemi di salvaguardia ambientale.<br />
La zona montana non ha infatti sub<strong>it</strong>o in passato manomissioni rilevanti o capaci di<br />
incrinare irreversibilmente il naturale equilibrio biofisico, ma non mancano aree in<br />
cui si rilevano gravi dissesti idrogeologici, dovuti soprattutto alla mancata opera di<br />
sistemazione e manutenzione del terr<strong>it</strong>orio, che oggigiorno è ancora più scarsa a<br />
fronte del progressivo spopolamento.<br />
Gli insediamenti urbani sono di modeste dimensioni e sparsi su di un vasto<br />
terr<strong>it</strong>orio. Le attiv<strong>it</strong>à produttive di tipo industriale sono pressoché assenti, e<br />
Il bacino del Cellina – pag. 11
comunque lim<strong>it</strong>ate a scale medio-piccole. Dal punto di vista agrario, la zona montana<br />
rientra nel complesso delle Prealpi Carniche ed è prevalentemente interessata da<br />
boschi di scarsa rilevanza forestale e da pascoli; la coltura agraria è ristretta ai<br />
modesti fondovalle.<br />
La maglia viaria è estremamente rarefatta e la viabil<strong>it</strong>à principale è praticamente<br />
cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a dalla Strada Statale 251 della Valcellina.<br />
2.2. Le opere di regimazione<br />
Le opere di regimazione delle acque hanno, generalmente, un forte impatto tanto<br />
sulla m<strong>it</strong>igazione delle onde di piena quanto sulle interazioni con il terr<strong>it</strong>orio<br />
circostante, in quanto possono modificarne clima, vegetazione, morfologia,<br />
antropizzazione. Per il secondo aspetto gli effetti sono chiaramente visibili, ma una<br />
trattazione approfond<strong>it</strong>a esula dallo scopo del presente lavoro. Per quanto riguarda<br />
la laminazione delle piene, invece, nei prossimi cap<strong>it</strong>oli si vedrà che essa è modesta<br />
lungo l’asta del Cellina, soprattutto a causa della prevalenza degli usi idroelettrico e<br />
irriguo dei laghi di Barcis e Ravedis. Una descrizione generale dei due serbatoi<br />
artificiali può comunque aiutare a comprendere meglio il funzionamento delle<br />
dinamiche idrologiche nel bacino.<br />
2.2.1. Il lago di Barcis<br />
Il bacino artificiale di Barcis si sviluppa su di un’area di circa 90 ettari nel terr<strong>it</strong>orio<br />
del comune omonimo, e rappresenta il termine del medio corso del Cellina. La<br />
capac<strong>it</strong>à del bacino era, nel 1963, di circa 22 milioni di metri cubi, che oggigiorno si<br />
sono ridotti a circa 13 per il progressivo interrimento del lago dovuto al forte<br />
trasporto solido.<br />
Figura 2.3 : Foto aerea del lago di Barcis e della diga di Ponte Antoi.<br />
La diga di Ponte Antoi è del tipo a volta a doppia curvatura. È stata realizzata su<br />
progetto dell’Ing. Semenza negli anni 1950-54 per garantire un miglior impiego<br />
elettro-irriguo delle acque del Cellina, il cui sfruttamento idroelettrico era iniziato nel<br />
primo decennio del 1900 mediante quella che oggi è conosciuta come la vecchia diga<br />
Il bacino del Cellina – pag. 12
di Barcis. La quota del coronamento è posta a 405,15m s.m.m., mentre quella di<br />
massima regolazione è a 402m s.m.m. Lo sbarramento è alto 50m, ha uno sviluppo di<br />
83m e un volume di circa 9000m 3 .<br />
Figura 2.4: Il coronamento e lo sfioratore della diga di Ponte Antoi.<br />
Dal serbatoio di Barcis le acque sono addotte, mediante una galleria in pressione<br />
della lunghezza di 2km, alla centrale omonima con un salto di 47,30m e una portata<br />
di 14,20 m 3 /s, che consentono una potenza media di 6585 kW con una produzione<br />
annua di 50 milioni di kWh.<br />
L’utilizzo idroelettrico pone dei consistenti problemi nella gestione degli impianti:<br />
per salvaguardare l'ab<strong>it</strong>ato di Barcis spesso si rende necessaria l'apertura degli<br />
scarichi al fine di regolare il livello del lago. Per questo motivo presso la diga è stato<br />
costru<strong>it</strong>o uno scarico di superficie notevole, sia per le dimensioni che per il suo<br />
funzionamento. Lo scarico offre un doppia funzional<strong>it</strong>à: nello stato normale è chiuso<br />
e la sua funzione risulta quella di un “troppo pieno”; quando invece viene alzato il<br />
cilindro in acciaio si effettua lo scarico. In questo modo, a scarichi completamente<br />
aperti, l'impianto è in grado di svuotare nella valle sottostante circa 190 m 3 /s. Lo<br />
scarico di fondo consente invece una portata di 340 m 3 /s.<br />
Figura 2.5 : Vista dello scarico di superficie a diversi livelli del lago.<br />
Il bacino del Cellina – pag. 13
Come si vedrà nel prosieguo, nel modello idrologico non sarà però possibile tenere<br />
conto della laminazione prodotta dall’apertura di questo particolare scarico di<br />
superficie.<br />
2.2.2. Il lago di Ravedis<br />
Allo stato attuale la diga di Ravedis è in fase di collaudo; i primi progetti per<br />
costruire uno sbarramento nei pressi la stretta di Ravedis risalgono agli anni 50, ma<br />
furono temporaneamente abbandonati dopo il disastro del Vajont; il progetto<br />
esecutivo è stato redatto nel 1979, i lavori sono iniziati alla fine degli anni ’90 e sono<br />
terminati nel 2005. Dalla figura seguente è possibile osservare la futura estensione<br />
dell’invaso, il lago di Barcis in alto a sinistra e l’ab<strong>it</strong>ato di Montereale Valcellina in<br />
basso a destra. A nordovest rispetto a quest’ultimo si può notare l’ampio letto<br />
alluvionale che assume il Cellina al termine del suo percorso montano.<br />
Figura 2.6 : Estensione del futuro lago di Ravedis elaborata in ambiente GIS e costru<strong>it</strong>a<br />
seguendo le isoipse derivanti dalla Carta Tecnica Regionale; fonte: tesi di laurea di Daniele<br />
Tirelli.<br />
L’invaso è finalizzato all’utilizzazione ai fini multipli della risorsa idrica potenziale<br />
del torrente Cellina. Il fine preminente, come si desume dal progetto esecutivo, è<br />
quello della laminazione delle piene. Subordinatamente alla regimazione saranno<br />
possibili il soddisfacimento del fabbisogno idropotabile dei comuni di Montereale<br />
Valcellina e Maniago, di una parte del fabbisogno irriguo del Consorzio Cellina-<br />
Meduna nonché il potenziamento degli impianti idroelettrici esistenti.<br />
La domanda idrica complessiva che si intende soddisfare dalla realizzazione<br />
dell’invaso, desumibile dal progetto esecutivo, è riportata nella tabella alla pagina<br />
seguente.<br />
Il bacino del Cellina – pag. 14
Per quanto attiene l’uso irriguo, il fine è quello di consentire la pratica irrigua su un<br />
terr<strong>it</strong>orio di 8450 ettari nei comuni di Montereale Valcellina e Maniago, così da<br />
consentire la riconversione delle pratiche agricole da colture di tipo seminativo a<br />
quelle arboree per frutta e ai vigneti tipici della zona.<br />
Figura 2.7 : Schema dell’attuale sistema di sfruttamento idroelettrico del Cellina<br />
Con riguardo all’utilizzazione idroelettrica, il serbatoio di Ravedis consentirà<br />
all’ENEL di sfruttare in forma ottimale le proprie strutture già realizzate a valle della<br />
diga, aventi un potenziale idroelettrico di oltre 500 milioni di KWh. La prima centrale<br />
è ubicata in local<strong>it</strong>à ponte Giulio, sulla somm<strong>it</strong>à della scarpata del torrente Cellina,<br />
ad una quota tale da assicurare alle acque di irrigazione consegnate allo scarico una<br />
pressione corrispondente alle necess<strong>it</strong>à irrigue dei terreni. La seconda centrale è<br />
ubicata in local<strong>it</strong>à S. Leonardo, in prossim<strong>it</strong>à della vasca di carico dell’impianto di<br />
San Foca, alla quale si allaccia; l’ultimo impianto è quello di Villa Rinaldi. In<br />
Il bacino del Cellina – pag. 15
defin<strong>it</strong>iva la realizzazione dell’opera consentirà di incrementare il salto disponibile<br />
per la prima centrale idroelettrica posta a valle (quella di Ponte Giulio) ed<br />
aumentarne la produzione annua di circa 15 milioni di kWh.<br />
La necess<strong>it</strong>à di assicurare le sopra precisate competenze implica naturalmente che<br />
per un congruo periodo dell’anno gli scarichi di fondo vengano chiusi. A tal fine, il<br />
progetto esecutivo, elaborando le serie di valori delle portate decadiche medie,<br />
individua i periodi più opportuni per la chiusura degli scarichi di fondo: quello di<br />
maggiore sicurezza risulta compreso tra il 1° giugno ed il 31 agosto mentre, ad un<br />
livello di rischio ovviamente superiore si collocano i periodi compresi tra il 21 aprile<br />
ed il 30 settembre, tra l’11 maggio ed il 31 agosto, tra il 1° giugno ed il 30 settembre.<br />
L’opera di r<strong>it</strong>enuta è del tipo a grav<strong>it</strong>à massiccia in calcestruzzo, quasi simmetrica<br />
rispetto all’asse long<strong>it</strong>udinale della valle, suddivisa in dieci conci: quello centrale<br />
largo 18 m, otto conci per lato larghi 16,5 m ed un ulteriore concio in sinistra largo<br />
10,5 m. I cinque conci centrali sono tracimabili con ciglio a quota 338,50m s.m.m.;<br />
sulla loro somm<strong>it</strong>à sono ricavate cinque luci sfioranti della lunghezza di 15 m<br />
ciascuna. Il piano di coronamento è previsto a quota 343m s.m.m., con una larghezza<br />
carrabile di 3,50 m ed una lunghezza di 170m. L’altezza del corpo diga, valutata dal<br />
punto più depresso di fondazione, è di 95m. Nel corpo diga sono ubicati gli scarichi<br />
di mezzofondo e di esaurimento, i cunicoli di ispezione ed il sistema di drenaggio<br />
per il controllo delle sottopressioni.<br />
Figura 2.8 : Vista dall'alto dello scarico di superfice destro. Si nota la conformazione per<br />
massimizzarne il perimetro.<br />
La diga di Ravedis risulta progettata per laminare portate, con tempo di r<strong>it</strong>orno di<br />
cento anni, pari a circa 2000 m 3 /s. Con riguardo agli scarichi, l’impianto di Ravedis è<br />
dotato di:<br />
- due scarichi di superficie con una conformazione a becco d’anatra tale da<br />
massimizzare il perimetro a par<strong>it</strong>à di superficie;<br />
- due scarichi di fondo dal diametro di 8m, che permettono di far defluire una<br />
portata massima di 1400 m 3 /s, pari a 700 m 3 /s ciascuno.<br />
Come ha fatto notare Daniele Tirelli nella sua tesi di laurea, per eventi di piena con<br />
portate inferiori ai 1400 m 3/s (o alla metà nell’ipotesi di sbarramento di uno dei due<br />
Il bacino del Cellina – pag. 16
scarichi di fondo), l’invaso non crea alcun effetto di laminazione sulle portate uscenti<br />
e quindi, ai fini pratici, risulta ininfluente sulle portate a valle, con le conseguenze<br />
disastrose che eventi di questo genere hanno già creato in passato. Come già<br />
accennato nell’introduzione, va ricordato che la piena del novembre 2002, utilizzata<br />
per calibrare il modello in questo lavoro di tesi, ha toccato punte di soli 700 m 3 /s<br />
quando i danni nell’ab<strong>it</strong>ato di Pordenone e dintorni sono risultati ingenti, tali da<br />
bloccare l’intera popolazione.<br />
Il bacino del Cellina – pag. 17
3. Il modello idrologico<br />
Un modello idrologico si propone di fornire una descrizione dei processi che si<br />
svolgono all’interno di un bacino imbrifero, ed ha come obiettivo la definizione della<br />
trasformazione degli afflussi meteorici in deflussi delle acque. Non prende in<br />
considerazione, quindi, l’intero ciclo idrologico ma solo alcuni dei suoi aspetti<br />
fondamentali.<br />
Figura 3.1 : La modellazione idrologica prende in considerazione solo gli aspetti fondamentali<br />
dell’intero ciclo idrologico<br />
Inoltre, come per ogni modello matematico, un modello afflussi-deflussi può solo<br />
approssimare la realtà, a causa della compless<strong>it</strong>à dei fenomeni e delle relazioni che<br />
intercorrono tra gli elementi del processo. I bacini idrografici sono così schematizzati<br />
come dei sistemi, più o meno complessi, che sono soggetti ad un ingresso, ossia<br />
l’intens<strong>it</strong>à di pioggia, e che rest<strong>it</strong>uiscono in usc<strong>it</strong>a l’andamento nel tempo della<br />
portata in una data sezione di chiusura.<br />
Il motivo principale del recente progresso della modellazione idrologica è stato il<br />
forte incremento nella potenza di calcolo dei computer. Da una parte si è avuta la<br />
possibil<strong>it</strong>à di integrare la modellazione idrologica con i sistemi informativi terr<strong>it</strong>oriali<br />
(GIS) ed è cresciuta la disponibil<strong>it</strong>à di modelli dig<strong>it</strong>ali del terreno (DTM). Dall’altra è<br />
stato possibile scrivere del software che approssima sempre meglio i reali processi<br />
che avvengono nella formazione dei deflussi.<br />
Questo cap<strong>it</strong>olo presenta il modello idrologico sviluppato dalla Sezione di Idraulica e<br />
Geotecnica del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Univers<strong>it</strong>à di<br />
Trieste, usato nel presente lavoro di tesi.<br />
Il modello idrologico – pag. 18
3.1. Il TOPMODEL<br />
TOPMODEL (TOPograghy based hydrological MODEL) è un set di programmi per<br />
la modellazione afflussi-deflussi per bacini singoli o sottobacini, che segue le ipotesi<br />
di un modello semidistribu<strong>it</strong>o e che usa come dato in ingresso l’elevazione delle celle<br />
di un’immagine raster. E’ considerato un modello fisicamente basato, ossia con un<br />
riscontro fisico sul campo, in quanto i parametri utilizzati per la modellazione sono<br />
quant<strong>it</strong>à misurabili con un preciso significato fisico.<br />
“Il TOPMODEL non è un programma per la modellazione idrologica, ma piuttosto<br />
un insieme di strumenti concettuali che possono essere usati per riprodurre il<br />
comportamento idrologico di un bacino in un modo relativamente semplice, e per<br />
seguire la dinamica delle aree contribuenti superficiali e profonde” (Beven, 1997).<br />
TOPMODEL è stato sviluppato all’inizio degli anni ’70 dal Prof. J. Kirkby<br />
dell’Univers<strong>it</strong>à di Leeds e dal Prof. K. Beven dell’Univers<strong>it</strong>à di Lancaster, e da allora<br />
ha visto una continua evoluzione ed implementazione di nuovi algor<strong>it</strong>mi, anche e<br />
soprattutto per il fatto di essere uno dei primi esempi di software open-source.<br />
La variante più importante del software è stata realizzata dal Prof. G.M. Saulnier del<br />
Pol<strong>it</strong>ecnico di Grenoble ed è nota con il nome di TOPSIMPL: ha la stessa struttura e si<br />
basa sulle stesse assunzioni del TOPMODEL, ma effettua alcune importanti<br />
semplificazioni oltre ad alcune implementazioni.<br />
Nel segu<strong>it</strong>o sono presentate le basi teoriche del TOPMODEL, nonché le principali<br />
assunzioni del modello realizzato a Trieste.<br />
3.1.1. Considerazioni generali<br />
Il punto di partenza di tipo anal<strong>it</strong>ico che sta alla base del TOPMODEL è<br />
rappresentato, semplicemente, dall’equazione di continu<strong>it</strong>à e dall’equazione di<br />
Darcy.<br />
La caratterizzazione topologica del bacino è invece affidata al topographic index<br />
(indice topografico), defin<strong>it</strong>o come:<br />
⎛ a ⎞<br />
k = ln ⎜ ⎟<br />
⎝tan β ⎠ (3.1)<br />
A<br />
dove a = è la quant<strong>it</strong>à A di area a monte drenata attraverso la cella in esame per<br />
L<br />
un<strong>it</strong>à di lunghezza L della cella stessa<br />
β rappresenta l’inclinazione della superficie topografica locale<br />
L’indice topografico risulta il parametro che maggiormente caratterizza il<br />
TOPMODEL: le celle del bacino vengono raggruppate in classi che presentano una<br />
simil<strong>it</strong>udine idrologica, corrispondenti ad un certo intervallo di indice topografico. I<br />
calcoli vengono effettuati sulla distribuzione delle classi di celle, in modo da snellire<br />
le operazioni di analisi. L’indice topografico discrimina così il comportamento delle<br />
diverse aree del bacino, indipendentemente dalla loro ubicazione, con riferimento sia<br />
allo stato di saturazione sia alla produzione di runoff (deflusso superficiale).<br />
La variazione dell’altezza della falda è calcolata nel tempo tram<strong>it</strong>e l’equazione di<br />
bilancio, in regime semi permanente, tra la portata che s’infiltra alla superficie del<br />
bacino e quella che defluisce alla rete idrografica. Inoltre la pioggia che interessa<br />
Il modello idrologico – pag. 19
zone sature di bacino viene trasformata direttamente in runoff. In questo modo è<br />
defin<strong>it</strong>o l’andamento nel tempo dello ietogramma efficace.<br />
Il programma prevede che il profilo di permeabil<strong>it</strong>à locale del terreno vari con la<br />
profond<strong>it</strong>à o con il soil moisture defic<strong>it</strong> (defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à). Quest’ultimo rappresenta<br />
la differenza fra la quant<strong>it</strong>à di acqua attualmente nel terreno e la quant<strong>it</strong>à di acqua<br />
che il terreno può contenere, detta field capac<strong>it</strong>y (capac<strong>it</strong>à di campo), ed è sol<strong>it</strong>amente<br />
espresso con le dimensioni di una lunghezza.<br />
Il deflusso ipodermico è calcolato in funzione della profond<strong>it</strong>à della falda z come:<br />
− fz<br />
q= T0e tan β<br />
(3.2)<br />
dove T 0 rappresenta la trasmissiv<strong>it</strong>à del suolo in condizioni di saturazione, con<br />
falda a quota del terreno<br />
f è un parametro di scala che determina il tasso di decadimento della<br />
trasmissiv<strong>it</strong>à con la profond<strong>it</strong>à<br />
oppure in funzione del defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à d come:<br />
d<br />
−<br />
m<br />
0 tan<br />
q= T e β<br />
(3.3)<br />
dove il parametro di scala diventa m .<br />
Le ipotesi fondamentali che governano il TOPMODEL risultano in defin<strong>it</strong>iva essere:<br />
- le celle della griglia con indice topografico simile hanno lo stesso<br />
comportamento idrologico;<br />
- il gradiente idraulico è approssimato alla pendenza della superficie terrestre,<br />
in modo che la tavola d’acqua e il flusso nella zona satura risultino paralleli<br />
alla pendenza locale della superficie (approssimazione di Dupu<strong>it</strong>);<br />
- la distribuzione dell’andamento della trasmissiv<strong>it</strong>à con la profond<strong>it</strong>à è una<br />
funzione esponenziale della distanza dalla tavola d’acqua o del soil moisture<br />
defic<strong>it</strong>.<br />
Per ottenere la portata alla sezione di chiusura il software richiede infine la<br />
definizione dello IUH per il bacino in analisi. Normalmente si utilizzano degli<br />
idrogrammi un<strong>it</strong>ari istantanei basati sull’approccio geomorfologico, nelle due<br />
varianti della numerazione di Strehler o della funzione di ampiezza.<br />
Uno dei vantaggi dell’approccio del TOPMODEL risulta essere quello di mantenere<br />
molto basso il numero di parametri richiesti: nella modellazione idrologica è infatti<br />
fondamentale operare con un numero minimo di parametri da calibrare, vista la<br />
mancanza di misure effettuabili sul terr<strong>it</strong>orio. Il TOPMODEL prevede che la<br />
dinamica del deflusso e l’andamento spaziale della saturazione del suolo si<br />
ottengano a partire dai soli dati temporali di precip<strong>it</strong>azione e di evapotraspirazione, e<br />
sulla base di informazioni di tipo geografico. In questo modo non è necessaria alcuna<br />
informazione sulla tipologia del terreno e sulle sue caratteristiche. Per stimare,<br />
invece, l’andamento della tavola d’acqua o il livello di saturazione delle aree<br />
contribuenti si rende necessario possedere alcune informazioni sul terreno, come la<br />
trasmissiv<strong>it</strong>à in condizioni di saturazione al livello della superficie.<br />
3.1.2. Struttura del TOPMODEL<br />
Il TOPMODEL è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o da un insieme di tre moduli sequenziali intimamente<br />
vincolati: vanno infatti ad operare in una stretta sequenza logica e forniscono le<br />
informazioni necessarie al modulo successivo.<br />
Il modello idrologico – pag. 20
Il primo modulo è chiamato DTM: utilizza i dati geografici per fornire la base<br />
topografica su cui elaborare il modello. L’input è un file di testo che rappresenta la<br />
matrice di elevazione delle singole celle, estratto a partire dalla cartografia numerica<br />
mediante le funzional<strong>it</strong>à di un software GIS. L’output è rappresentato dalla<br />
distribuzione di indice topografico all’interno del bacino.<br />
Il secondo modulo, denominato TOP, è caratteristico dell’analisi dei processi<br />
idrologici e fornisce come risultato l’idrogramma di piena valutato in funzione dei<br />
parametri immessi.<br />
Il terzo e ultimo modulo, chiamato GLUE, tratta in senso statistico l’output del<br />
modulo TOP ai fini della calibrazione del modello ed effettua una stima di sens<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à<br />
dei parametri. In questo lavoro di tesi quest’ultimo modulo non sarà utilizzato,<br />
pertanto non verrà descr<strong>it</strong>to nel presente cap<strong>it</strong>olo. Si faranno comunque alcune<br />
considerazioni sul suo funzionamento nelle conclusioni.<br />
Gli algor<strong>it</strong>mi che caratterizzano i tre moduli, compilati in linguaggio Fortran,<br />
vengono liberamente diffusi per permettere la variazione delle equazioni che<br />
regolano il fenomeno, in modo da condurre una trattazione più affine e più aderente<br />
alla realtà del bacino in analisi.<br />
3.2. Calcolo dell’indice topografico<br />
3.2.1. Preprocesso<br />
Come precedentemente affermato, i dati di input per il modulo DTM sono facilmente<br />
ottenibili a partire da un’elaborazione mediante sistemi GIS della cartografia<br />
numerica. Le operazioni per passare dal GIS ai dati di input del modulo TOP saranno<br />
trattate nel prossimo cap<strong>it</strong>olo.<br />
Il processo di semplificazione ins<strong>it</strong>o nelle analisi spaziali dei software GIS comporta<br />
però notevoli approssimazioni, che possono creare degli inconvenienti nella fase di<br />
estrazione dell’indice topografico. Il problema maggiore è rappresentato dalla<br />
presenza, nella matrice di elevazione delle celle, dei sinks (pozzi), ossia di celle la cui<br />
alt<strong>it</strong>udine risulta inferiore a tutte le celle adiacenti. Al fine di sopperire a questo<br />
inconveniente il modulo DTM è forn<strong>it</strong>o di una particolare funzione, detta automatic<br />
sink removal, che modella il terr<strong>it</strong>orio in modo da rendere possibile il deflusso delle<br />
acque sul terreno rimuovendo le celle che non hanno una naturale via di sbocco.<br />
Figura 3.2: Schematizzazione della funzione sink removal del modulo DTM<br />
Procedendo dalla sezione di chiusura verso monte il modulo DTM analizza ogni<br />
singola cella e opera una media pesata tra le alt<strong>it</strong>udini delle celle adiacenti,<br />
producendo così una via di deflusso all’acqua, che si fermerebbe nella cella se questa<br />
non fosse modificata. Allo stesso modo la funzione prevede anche la rimozione delle<br />
steeples (guglie) create dalla non perfetta analisi terr<strong>it</strong>oriale.<br />
Il modello idrologico – pag. 21
Un’ulteriore funzional<strong>it</strong>à di preprocesso del modulo DTM consiste nell’escludere<br />
automaticamente le celle il cui flusso non è diretto verso la sezione di chiusura, in<br />
altre parole le celle non appartenenti al bacino preso in considerazione. Queste sono<br />
presenti per una errata definizione della linea dello spartiacque e l’ent<strong>it</strong>à della loro<br />
presenza va controllata al fine di effettuare una corretta analisi.<br />
3.2.2. Calcolo<br />
Una volta completata la fase di correzione della matrice di elevazione delle celle, il<br />
modulo DTM procede con l’estrazione dell’indice topografico.<br />
L’indice topografico, che ricordiamo essere espresso dalla relazione (3.1):<br />
⎛ a ⎞<br />
k = ln ⎜ ⎟<br />
⎝tan β ⎠<br />
rappresenta un rapporto tra le forze in gioco nella dinamica della produzione di<br />
runoff.<br />
Il termine a riflette infatti la tendenza dell’acqua ad accumularsi in alcuni punti del<br />
bacino, mentre il termine tan β rappresenta la tendenza della forza grav<strong>it</strong>azionale a<br />
far muovere l’acqua. Così le celle corrispondenti ad elevati valori di indice<br />
topografico tenderanno a saturare per prime e sono, pertanto, indicatrici di zone ad<br />
elevata area contribuente specifica, oppure di minor pendenza caratteristica. In altre<br />
parole ci si aspetta che i valori più elevati corrispondano alle principali vie di<br />
deflusso.<br />
Il calcolo dei valori di indice topografico dipende strettamente:<br />
- dalla risoluzione del modello dig<strong>it</strong>ale utilizzato per l’analisi;<br />
- dall’algor<strong>it</strong>mo di direzione di deflusso utilizzato.<br />
Inizialmente le analisi usavano un algor<strong>it</strong>mo a direzione di deflusso singola: era<br />
previsto che da ogni cella presa in considerazione il deflusso potesse avvenire<br />
solamente in una delle direzioni assunte tra le possibili, sol<strong>it</strong>amente le quattro<br />
cardinali e le quattro diagonali, basandosi sulla direzione di massima pendenza.<br />
Nel 1991 Quinn et al. svilupparono invece un algor<strong>it</strong>mo di deflusso multiplo, più<br />
preciso quando le celle del DTM hanno una maglia pari o inferiore ai 50m, quale è il<br />
caso di questo lavoro di tesi. L’algor<strong>it</strong>mo di deflusso multiplo permette infatti di<br />
assegnare a tutte le direzioni uscenti dalla cella una quota dell’area di deflusso<br />
accumulata a monte, in maniera proporzionale alle relative pendenze. Le direzioni di<br />
usc<strong>it</strong>a considerate sono ricavate dall’intersezione tra le varie direzioni possibili e<br />
quelle in cui l’alt<strong>it</strong>udine delle celle adiacenti risulta minore. Va notato che in questo<br />
caso il termine L di larghezza della cella usato nel calcolo di a varia, nel caso di una<br />
direzione cardinale oppure diagonale, secondo lo schema sottostante.<br />
Figura 3.3 : Direzioni di deflusso per la cella del raster<br />
Il modello idrologico – pag. 22
La frazione di area drenata attraverso ciascuna cella verso le singole direzioni è così<br />
proporzionale al gradiente idraulico corrispettivo, in modo che gradienti maggiori<br />
richiamino quant<strong>it</strong>à d’acqua maggiore. Il calcolo dell’area contribuente risulta in<br />
defin<strong>it</strong>iva un processo a cascata, in cui l’area della cella sovrastante si ripartisce nelle<br />
celle sottostanti, partendo dalle celle più elevate.<br />
Figura 3.4 : Processo a cascata del calcolo dell'area contribuente<br />
Per ricavare l’indice topografico si parte dall’equazione per il calcolo della frazione di<br />
area contribuente:<br />
Δ Ai =<br />
ALj<br />
tan β j<br />
n<br />
= CLj<br />
tan β j<br />
(3.4)<br />
L tan β<br />
∑(<br />
j j)<br />
j=<br />
1<br />
dove A è l’area totale di deflusso accumulata nella cella considerata<br />
tan β j è il gradiente idraulico della cella nella i -esima direzione<br />
L i è la frazione di lato interessata dal deflusso<br />
C = n<br />
A<br />
può essere raccolto in quanto termine comune a tutte le<br />
L tan β<br />
∑(<br />
j j)<br />
j=<br />
1<br />
direzioni<br />
Assumendo poi che il gradiente idraulico per ogni cella sia una somma dei singoli<br />
termini, pesati a seconda della lunghezza del segmento interessato, abbiamo:<br />
n<br />
∑(<br />
Lj<br />
tan β j )<br />
j=<br />
1<br />
tan β = n<br />
L<br />
∑<br />
j=<br />
1<br />
Unendo le due equazioni otteniamo:<br />
j<br />
n<br />
∑<br />
Lj<br />
a A j=<br />
1<br />
A<br />
= =<br />
tan β L<br />
n n<br />
∑( Lj tan β j) ∑(<br />
Lj<br />
tan β j)<br />
j= 1 j=<br />
1<br />
Così l’indice topografico per la cella sarà pari all’area totale drenata dalle celle<br />
sovrastanti, divisa per tutte le larghezze dei segmenti ortogonali ai relativi deflussi e<br />
per tan β :<br />
Il modello idrologico – pag. 23
⎛ ⎞<br />
⎜ ⎟<br />
⎛ a ⎞ A<br />
ln ⎜ ⎟=<br />
ln ⎜ ⎟=<br />
ln C<br />
n<br />
⎝tan β ⎠ ⎜ ⎟<br />
⎜∑( Lj<br />
tan β j)<br />
⎟<br />
⎝ j=<br />
1 ⎠<br />
3.3. Calcolo dei deflussi<br />
(3.5)<br />
Il modello schematizza i processi idrologici dei quali tiene conto con quattro stadi,<br />
corrispondenti al comportamento dell’acqua in quattro diverse zone del suolo.<br />
Vengono infatti utilizzati dei semplici meccanismi di trasferimento dell’acqua dalla<br />
superficie alla zona satura per tener conto del r<strong>it</strong>ardo tra input meteorici e deflusso<br />
profondo.<br />
Praticamente si analizza:<br />
- il ruscellamento superficiale che avviene sulla superficie;<br />
- l’immagazzinamento dell’acqua nella zona delle radici e nella zona insatura;<br />
- il flusso nella zona satura.<br />
Zona delle radici<br />
Zona non attiva<br />
Superficie<br />
Zona satura<br />
Zona insatura<br />
Figura 3.5 : Schema delle zone in cui avvengono i diversi processi idrologici<br />
Base comune per tutti gli stadi idrologici è la terza ipotesi fondamentale del<br />
TOPMODEL, ossia che il profilo della permeabil<strong>it</strong>à locale vari con la profond<strong>it</strong>à o con<br />
il soil moisture defic<strong>it</strong>. In funzione di questa assunzione il software calcola per ogni<br />
passo temporale la profond<strong>it</strong>à della tavola d’acqua (o il defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à) per ogni<br />
intervallo di indice topografico, e quindi per ogni cella.<br />
3.3.1. Permeabil<strong>it</strong>à<br />
TOPMODEL, in generale, usa una funzione di decadimento esponenziale della<br />
permeabil<strong>it</strong>à con la profond<strong>it</strong>à del tipo:<br />
fz<br />
K z K e −<br />
= (3.6)<br />
( ) 0<br />
Il modello idrologico – pag. 24
dove K 0 è la permeabil<strong>it</strong>à del terreno in superficie in caso di saturazione<br />
z è la profond<strong>it</strong>à locale del punto di cui si valuta la permeabil<strong>it</strong>à<br />
f è un parametro di scala che controlla l’andamento del declino<br />
I parametri K 0 ed f sono assunti, per semplic<strong>it</strong>à, costanti su tutto il bacino.<br />
zona insatura<br />
zona satura<br />
zi<br />
Z<br />
z<br />
Figura 6 : Schema del deflusso sotterraneo<br />
β<br />
dx<br />
Q<br />
y<br />
dy<br />
x<br />
In riferimento allo schema di figura, dalla legge di Darcy abbiamo:<br />
dQ dQ<br />
= = V = KJ<br />
(3.7)<br />
dA dydz e quindi, prendendo in considerazione il flusso sotterraneo per un<strong>it</strong>à di larghezza:<br />
dQ<br />
= dq= ( Kdz) J<br />
d y<br />
Dall’approssimazione di Dupu<strong>it</strong> (seconda ipotesi di base del TOPMODEL), ossia che<br />
la tavola d’acqua è parallela alla superficie terrestre, otteniamo:<br />
dQ<br />
= dq= ( Kdz) tanβ<br />
d y<br />
Integrando lungo la verticale, dal piano di riferimento posto a profond<strong>it</strong>à Z alla<br />
profond<strong>it</strong>à di falda, si ha:<br />
zi<br />
⎡ ⎤<br />
q= ⎢∫ K( z) dz⎥tanβ= T( zi)<br />
tanβ<br />
(3.8)<br />
⎢⎣Z⎥⎦ dove la funzione T( z i ) viene detta trasmissiv<strong>it</strong>à del terreno alla quota z i , e può<br />
quindi essere ricavata per integrazione della (3.6) sulla profond<strong>it</strong>à di falda:<br />
zi<br />
K0<br />
− fz 1<br />
i − fZ<br />
T( zi) = ∫ K( z) d z = ⎡e e ⎤ K( zi) K( Z)<br />
f ⎣<br />
−<br />
⎦<br />
= ⎡ − ⎤<br />
f<br />
⎣ ⎦<br />
(3.9)<br />
Z<br />
Trascurando poi la permeabil<strong>it</strong>à ad elevate profond<strong>it</strong>à, ossia per valori molto grandi<br />
di Z , il flusso nella cella i -esima (ossia con profond<strong>it</strong>à di falda z i ) è pari a:<br />
K0<br />
− fzi − fzi<br />
qi = T( zi) tan βi = e tan βi = T0e tan βi<br />
(3.10)<br />
f<br />
dove T 0 è la trasmissiv<strong>it</strong>à alla superficie del suolo in condizioni di saturazione, che<br />
viene assunta costante su tutto il bacino.<br />
z<br />
k<br />
Il modello idrologico – pag. 25
In condizioni stazionarie, raggiunto cioè l’equilibrio tra piogge e deflussi,<br />
ipotizzando di trascurare la fase trans<strong>it</strong>oria in cui il terreno non risulta ancora saturo<br />
e dove le approssimazioni di continu<strong>it</strong>à non risulterebbero possibili, vale<br />
l’espressione:<br />
− fzi<br />
qi = aR i = T0e tan βi<br />
dove a i è l’area per un<strong>it</strong>à di larghezza della cella<br />
R è l’intens<strong>it</strong>à di pioggia<br />
In tal modo ricaviamo per la profond<strong>it</strong>à di falda z i il valore:<br />
1 ⎛ aR ⎞ i<br />
zi<br />
= ln ⎜ ⎟<br />
f ⎝T0tan βi<br />
⎠<br />
(3.11)<br />
che andrà integrato su tutto il bacino e diviso per l’area totale dello stesso al fine di<br />
trovarne il valore medio:<br />
1<br />
z =<br />
Ab 1 ⎛ aR ⎞ i 1<br />
∫ zidAb = ln dAb fA ∫ ⎜ ⎟ =<br />
0 tan Ab b Ab ⎝T βi ⎠ fAb ⎡ ⎛ a ⎞⎤<br />
i<br />
∫ ⎢lnR+ ln⎜ ⎟⎥dAb<br />
0 tan<br />
Ab⎣<br />
⎝T βi<br />
⎠⎦<br />
1<br />
=<br />
fAb ⎡ ⎛T0tan βi<br />
− fz ⎞ ⎛ a ⎞⎤<br />
i<br />
i<br />
∫ ⎢ln ⎜ e ⎟+ ln ⎜ ⎟⎥dAb<br />
a 0 tan<br />
Ab<br />
⎣ ⎝ i ⎠ ⎝Tβi ⎠⎦<br />
1 ⎡ 1<br />
= ⎢− f ⎢⎣ Ab ⎛ a ⎞ ⎛ i a ⎞⎤<br />
i<br />
∫ ln ⎜ ⎟dAb + fzi<br />
+ ln ⎜ ⎟⎥<br />
T0 tan β 0 tan<br />
Ab<br />
⎝ i ⎠ ⎝T βi<br />
⎠⎥⎦<br />
Per la profond<strong>it</strong>à di falda nell’ i -esima cella otteniamo così l’espressione:<br />
1 ⎛ a ⎞ i<br />
zi= z − ln ⎜ ⎟+<br />
λ<br />
f ⎝T0tan βi<br />
⎠<br />
dove abbiamo messo in evidenza la costante<br />
(3.12)<br />
1<br />
λ =<br />
Ab ⎛ a ⎞ i<br />
∫ ln ⎜ ⎟dAb<br />
T0tan<br />
β<br />
Ab<br />
⎝ i ⎠<br />
Avendo imposto che il terreno sia omogeneo, ossia che T 0 è costante su tutto il<br />
bacino, l’espressione di λ è ricavabile a partire dalla media dell’indice topografico di<br />
tutte le celle del bacino:<br />
⎡ ⎛ a ⎞⎤<br />
i<br />
λ = media ⎢ln⎜ ⎟⎥−<br />
ln T0 = λ*<br />
−lnT0<br />
⎣ ⎝tan βi<br />
⎠⎦<br />
(3.13)<br />
A questo punto possiamo affermare che, per il calcolo della profond<strong>it</strong>à di falda, si<br />
rendono necessari unicamente il parametro f e l’indice topografico:<br />
1 ⎛ a ⎞ i<br />
zi= z − ln ⎜ ⎟+<br />
λ *<br />
f ⎝tan βi<br />
⎠<br />
(3.14)<br />
In altre parole la differenza tra la profond<strong>it</strong>à di falda mediata e locale è pari alla<br />
differenza tra l’indice topografico mediato e locale:<br />
⎛ a ⎞ i<br />
f ( z − zi) = λ * −ln⎜ ⎟<br />
⎝tan βi<br />
⎠<br />
(3.15)<br />
È possibile effettuare anche per defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à il medesimo ragionamento<br />
condotto finora per la profond<strong>it</strong>à di falda, utilizzando il parametro di scala m al<br />
posto di f . Così le equazioni prima ricavate diventano:<br />
Il modello idrologico – pag. 26
( ) 0<br />
d<br />
m<br />
K d K e −<br />
= (3.16)<br />
di<br />
−<br />
m<br />
i 0 tan i<br />
q = T e β<br />
(3.17)<br />
d − d ⎛ i a ⎞ i<br />
= λ * −ln⎜ ⎟<br />
m ⎝tan βi<br />
⎠<br />
(3.18)<br />
3.3.2. Superficie<br />
Come già accennato, il presente lavoro di tesi si concentra sulla diversa affidabil<strong>it</strong>à<br />
della modellistica semidistribu<strong>it</strong>a basata sul TOPMODEL nel considerare, per la<br />
produzione del deflusso superficiale, meccanismi di tipo dunniano o hortoniano.<br />
Il TOPMODEL parte infatti dal presupposto che tutti i punti con una profond<strong>it</strong>à di<br />
falda z i minore o uguale a zero danno v<strong>it</strong>a ad una zona del bacino in condizione di<br />
saturazione, dove la precip<strong>it</strong>azione ruscella immediatamente:<br />
q= aR<br />
(3.19)<br />
Questo meccanismo di formazione del deflusso superficiale viene chiamato saturation<br />
excess runoff ed è stato teorizzato da Dunne; in <strong>it</strong>aliano si parla anche di meccanismo<br />
ad area contribuente.<br />
Il meccanismo di Horton, chiamato anche infiltration excess runoff, tiene invece conto<br />
del ruscellamento in maniera completamente diversa: tutta l’acqua precip<strong>it</strong>ata viene<br />
infiltrata fintantoché l’intens<strong>it</strong>à di pioggia R ( t ) è inferiore all’intens<strong>it</strong>à di<br />
infiltrazione f , mentre quando si ha R ( t) > f la parte d’acqua j − f può ristagnare<br />
sul terreno o, se la superficie è acclive, accumularsi negli invasi.<br />
Già nella variante TOPSIMPL si considera un infiltration excess accanto al<br />
ruscellamento dunniano prodotto per intercettazione del piano campagna da parte<br />
della falda freatica. In questo caso l’intens<strong>it</strong>à di infiltrazione è posta pari alla<br />
permeabil<strong>it</strong>à a saturazione K 0 sulla superficie: quando l’intens<strong>it</strong>à di precip<strong>it</strong>azione<br />
R ( t ) è più grande di 0 K , allora la quota ( ) R t − K0viene<br />
trasformata in runoff, mentre<br />
la rimanente quant<strong>it</strong>à va ad infiltrarsi; in caso contrario tutta la pioggia si infiltra nel<br />
terreno.<br />
Il modello sviluppato a Trieste considera invece una intens<strong>it</strong>à di infiltrazione<br />
variabile in maniera lineare in funzione del soil misture defic<strong>it</strong> del terreno. In questo<br />
caso abbiamo, per l’infiltrazione, l’espressione:<br />
d<br />
f () t = fc + max ( f0− fc)<br />
(3.20)<br />
SR<br />
dove d è il soil misture defic<strong>it</strong><br />
f 0 è l’intens<strong>it</strong>à di infiltrazione quando il terreno è asciutto<br />
f c è l’intens<strong>it</strong>à di infiltrazione quando il terreno è saturo<br />
max<br />
S R è la capac<strong>it</strong>à di campo<br />
Il soil misture defic<strong>it</strong>, come già affermato, viene ricalcolato ad ogni istante temporale<br />
per ogni singola classe di indice topografico, mentre le quant<strong>it</strong>à f 0 , f c e la field<br />
capac<strong>it</strong>y max<br />
S R sono parametri di taratura del modello.<br />
Il modello idrologico – pag. 27
3.3.3. Zona delle radici<br />
La quant<strong>it</strong>à di acqua che si infiltra nel terreno viene dapprima immagazzinata nella<br />
zona delle radici, dove va a compensare il relativo defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à: questa zona è<br />
considerata non attiva fino a quando non viene raggiunta la capac<strong>it</strong>à di campo, e la<br />
quant<strong>it</strong>à d’acqua immagazzinata è quindi disponibile per l’evapotraspirazione. È<br />
infatti previsto che la ricarica della falda avvenga unicamente oltrepassato questo<br />
valore di acqua infiltrata, in modo da simulare il r<strong>it</strong>ardo tra piogge e deflussi nella<br />
zona satura.<br />
Secondo quanto detto al punto precedente, in riferimento ad ogni passo temporale,<br />
nella zona delle radici si ha un incremento di umid<strong>it</strong>à pari all’intens<strong>it</strong>à di<br />
infiltrazione. Se, in segu<strong>it</strong>o a questo incremento, l’umid<strong>it</strong>à totale supera la capac<strong>it</strong>à di<br />
campo max<br />
R<br />
S , allora l’eccedenza va ad alimentare la zona insatura. Le quant<strong>it</strong>à di<br />
evapotraspirazione e di intercettazione dei vegetali sono sottratte dalla tavola<br />
d’acqua presente nella zona delle radici, secondo un tasso dipendente dal parametro<br />
Inter, espresso in m<br />
h .<br />
3.3.4. Zona insatura<br />
Il trasferimento dell’acqua dalla zona delle radici alla zona satura avviene nella zona<br />
insatura secondo un semplice processo di deflusso per grav<strong>it</strong>à. Il flusso dell’insaturo<br />
è infatti eterogeneo e per molti versi sconosciuto, e si renderebbe necessaria<br />
l’introduzione di nuovi e svariati parametri per un’analisi più approfond<strong>it</strong>a.<br />
Punto di appassimento<br />
Zona non attiva<br />
Capac<strong>it</strong>à di campo<br />
Contenuto d'acqua<br />
Zona delle radici<br />
Zona satura<br />
Zona insatura<br />
Deflusso<br />
per grav<strong>it</strong>à<br />
qv<br />
Saturazione<br />
Figura 3.7 : Schema bidimensionale dei processi di immagazzinamento dell'acqua<br />
Come si è visto il defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à viene calcolato in funzione del valore di indice<br />
topografico del gruppo di celle, secondo la relazione (3.18):<br />
⎛ ⎛ a ⎞⎞<br />
d( k, t) = d () t + m⎜λ-ln⎜ ⎟⎟<br />
⎝ ⎝tan β ⎠⎠<br />
dove d () t è il defic<strong>it</strong> medio nell’intero bacino all’istante t<br />
λ è il valore medio dell’indice topografico nel bacino<br />
k è la classe di indice topografico<br />
Il modello idrologico – pag. 28
Quando il defic<strong>it</strong> è minore o uguale a 0 la zona è considerata satura, così la tavola<br />
S k, t presente va interamente ad alimentare la produzione di runoff di<br />
d’acqua uz ( )<br />
Dunne secondo il peso wk ( ) della k -esima classe di celle (defin<strong>it</strong>o come il numero di<br />
celle sul totale).<br />
Quando invece si ha d > 0 la zona viene considerata insatura: in questo caso il<br />
software ripartisce il contenuto d’acqua verso la superficie e verso la falda.<br />
Se il defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à è più basso della tavola d’acqua, allora si ha il cosiddetto<br />
overflowing: l’eccedenza Suz ( k, t) − d( k, t) w( k)<br />
va ad alimentare la produzione di<br />
saturation excess runoff e la tavola d’acqua diventa pari a d .<br />
Il software calcola poi un valore di deflusso per grav<strong>it</strong>à pari al rapporto tra la tavola<br />
d’acqua nella zona insatura e il defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à:<br />
Suz ( k, t)<br />
QV( k, t)<br />
= (3.21)<br />
d( k, t)<br />
Quando questo rapporto è maggiore della tavola d’acqua, il drenaggio verticale per<br />
la singola classe di celle è pari alla tavola d’acqua nella zona insatura, che diventa<br />
Suz ( k, t+Δ t) = Suz ( k, t) − QV( k)<br />
. Quando invece si ha QV < Suz<br />
allora il drenaggio per<br />
grav<strong>it</strong>à è semplicemente pari a Q V . La ricarica di falda totale è pari alla somma di<br />
tutte queste ricariche locali, pesate in funzione del loro peso wk ( ) .<br />
3.3.5. Zona satura<br />
Il valore medio della profond<strong>it</strong>à della tavola d’acqua sull’intero bacino viene<br />
ricalcolato ad ogni intervallo temporale Δ t secondo la relazione<br />
t t<br />
t+ 1 t QV − QB<br />
z = z − Δ t<br />
Ab<br />
(3.22)<br />
dove Q V è il drenaggio verticale nel tempo t Δ<br />
Q B è il flusso profondo uscente dalla zona satura<br />
A b è l’area del bacino<br />
Il flusso entrante è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o dai contributi che ogni classe di celle con indice<br />
topografico simile fornisce:<br />
t<br />
Q<br />
t<br />
= ∑ α q<br />
(3.23)<br />
V i V<br />
i∈Ab Il flusso profondo è invece defin<strong>it</strong>o in funzione della lunghezza dei canali di flusso:<br />
t<br />
di<br />
−<br />
t m QB= ∫ T0e tan βdL<br />
(3.24)<br />
L<br />
dove L è il doppio della lunghezza dei canali di flusso<br />
Tenendo conto della (3.18) possiamo scrivere<br />
t<br />
B = ∫<br />
L<br />
t<br />
⎛ d a ⎞<br />
0 tan β exp ⎜− − λ*<br />
+ ln ⎟d<br />
⎝ m tan β ⎠<br />
= 0<br />
t<br />
d<br />
−<br />
m −λ*<br />
∫ d<br />
L<br />
t t<br />
d d<br />
− −<br />
m −λ*<br />
m<br />
= ATe b 0 e = Qe 0<br />
Q T L T e e a L<br />
(3.25)<br />
poiché l’integrale dell’area un<strong>it</strong>aria su tutto il bacino è uguale all’area del bacino.<br />
Il modello idrologico – pag. 29
3.3.6. Condizioni iniziali<br />
Al fine di valutare il processo fino ad ora defin<strong>it</strong>o, vanno impostate delle condizioni<br />
iniziali dalle quali far partire la simulazione.<br />
Si ipotizza che il processo parta dopo un periodo relativamente secco: il terreno dove<br />
è preponderante il flusso dell’insaturo (la zona delle radici) è asciutto, ossia la field<br />
capac<strong>it</strong>y è ridotta al minimo. Il flusso, all’istante iniziale, è così dovuto unicamente al<br />
deflusso profondo in quanto non si ha apporto di acqua dalla zona insatura.<br />
Le condizioni iniziali risultano quindi:<br />
1<br />
⎪⎧<br />
QV<br />
= 0<br />
⎨ 1 1<br />
⎪⎩ QB = Qmis<br />
Inserendo queste condizioni nell’equazione (3.25) si trova lo stato iniziale della falda:<br />
1<br />
1 ⎛Q⎞ mis<br />
d = mln<br />
⎜ ⎟<br />
(3.26)<br />
⎝ Q0<br />
⎠<br />
3.4. L’idrogramma un<strong>it</strong>ario<br />
istantaneo geomofrologico<br />
3.4.1. L’idrogramma un<strong>it</strong>ario istantaneo<br />
3.4.1.1. Sistemi lineari e stazionari<br />
La teoria dell’idrogramma un<strong>it</strong>ario istantaneo per la risposta idrologica proposto da<br />
Sherman si basa sull’utilizzo di un sistema lineare e stazionario per rappresentare:<br />
• lo scorrimento superficiale<br />
ingresso: portata di pioggia netta che affluisce al bacino (afflusso efficace)<br />
usc<strong>it</strong>a: portata di pioggia alla sezione di chiusura (risposta rapida)<br />
• lo scorrimento sotterraneo<br />
ingresso: portata di percolazione profonda che affluisce all’acquifero<br />
usc<strong>it</strong>a: portata di deflusso ipodermico<br />
Considerando un sistema a parametri concentrati con un solo ingresso ed una sola<br />
usc<strong>it</strong>a concentrati, l’equazione differenziale che lega ingresso e usc<strong>it</strong>a è:<br />
a + a D+ a<br />
2<br />
D + …+ a<br />
n<br />
D y t =<br />
2<br />
b + b D+ b D + … + b<br />
m<br />
D x t<br />
( 0 1 2 n ) ( ) ( 0 1 2<br />
m ) ()<br />
b b b b<br />
a a a a<br />
+ D+ 2<br />
D + …+<br />
m<br />
D<br />
0 + 1D+ 2<br />
2D<br />
+ …+<br />
n<br />
n D<br />
0 1 2<br />
m<br />
⇒ y () t =<br />
x() t<br />
(3.27)<br />
dove D è l’operatore derivata o di Heaviside<br />
Si ipotizza che tale sistema sia:<br />
• lineare: non compaiono potenze di grado diverso da 0 e da 1 di x() t , y( t ) e<br />
delle derivate, inoltre i coefficienti sono indipendenti da x() t e y() t ;<br />
• stazionario: i coefficienti sono costanti, ossia non dipendono dal tempo;<br />
• con memoria: i coefficienti delle derivate al denominatore sono diversi da 0,<br />
quindi l’usc<strong>it</strong>a y() t contiene termini cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>i da integrali nel tempo di x( t ) ;<br />
• stabile e fortemente smorzato: ci sono varie condizioni, una è che l’ordine di<br />
derivazione m non superi l’ordine di derivazione n .<br />
Il modello idrologico – pag. 30
L’integrale generale di un’equazione differenziale lineare non omogenea è uguale<br />
alla somma:<br />
• dell’integrale generale dell’equazione omogenea associata, che rappresenta<br />
l’usc<strong>it</strong>a dovuta alla parte di ingresso che precede l’istante iniziale;<br />
• di un integrale particolare dell’equazione non omogenea, che rappresenta<br />
l’usc<strong>it</strong>a dovuta alla parte di ingresso che segue l’istante iniziale.<br />
L’integrale particolare coincide con la soluzione per le condizioni iniziali:<br />
n−1<br />
y() t = Dy() t = … = D y( t)<br />
= 0 per t = 0<br />
La soluzione corrispondente alle condizioni iniziali nulle ha quindi la forma<br />
dell’integrale di convoluzione:<br />
t<br />
() = ( − )( )<br />
y t ∫ h t τ x τ dτ<br />
(3.28)<br />
0<br />
La funzione ht () prende il nome di risposta impulsiva o funzione di peso del sistema<br />
e dipende dai soli coefficienti dell’equazione differenziale, ossia dalle sole<br />
caratteristiche del sistema. È possibile chiarire il significato della risposta impulsiva<br />
introducendo il concetto di impulso un<strong>it</strong>ario o impulso di Dirac, rappresentato con il<br />
simbolo δ () t , che è la forma lineare assunta da un’onda rettangolare di altezza d<br />
diversa da 0 nell’intervallo ( 0, t)<br />
con Δt→ 0 si ha d →∞.<br />
x t = Xδt abbiamo<br />
Assumendo un ingresso () ( )<br />
+∞ +∞<br />
() δ ()<br />
∫ ∫<br />
x t dt = X t dt<br />
= X<br />
−∞ −∞<br />
e l’integrale di convoluzione diventa<br />
t t<br />
() = ( − )( ) = ( − ) ( )<br />
y t h t τ x τ dτ h t τ Xδ<br />
τ dτ<br />
0 0<br />
Δ , con integrale generale δ ()d t t = dΔ t = 1:<br />
quindi<br />
∫ ∫ (3.29)<br />
Per la definizione dell’impulso un<strong>it</strong>ario, abbiamo Xδ ( τ ) = 0 per ogni τ eccetto che<br />
per τ = 0 , dove abbiamo dτ = 1.<br />
Quindi in defin<strong>it</strong>iva si ha:<br />
y() t = h() t X<br />
Assumendo il valore X = 1 la risposta impulsiva risulta numericamente coincidente<br />
ma dimensionalmente non coincidente con la risposta del sistema (infatti ht () ha<br />
sempre le dimensioni dell’inverso di un tempo) e possiamo così dire che la risposta<br />
impulsiva coincide numericamente con la risposta del sistema a un ingresso in forma<br />
di impulso un<strong>it</strong>ario.<br />
3.4.1.2. Espressione dell’IUH<br />
Fatte le opportune premesse sulla teoria dei sistemi lineari e stazionari, possiamo<br />
affermare che il sistema che rappresenta lo scorrimento superficiale è dato<br />
dall’equazione differenziale (3.27) con q= y e r = x:<br />
2<br />
m<br />
b0 + b1D+ b2D + …+<br />
bmD<br />
q() t =<br />
r 2<br />
n () t<br />
a0 + a1D+ a2D + …+<br />
anD<br />
con q() t = portata di risposta rapida<br />
+∞<br />
∫<br />
−∞<br />
Il modello idrologico – pag. 31
() t = portata di afflusso efficace<br />
Il rispetto dell’equazione di continu<strong>it</strong>à impone<br />
∞ ∞<br />
() = ()<br />
∫ ∫<br />
r t dt q t dt<br />
0 0<br />
R<br />
e quindi, poiché 0 0 1 a = b = , il sistema diventa<br />
2<br />
m<br />
1+ b1D+ b2D + …+<br />
bmD<br />
q() t = r 2<br />
n () t<br />
(3.30)<br />
1+ a1D+ a2D + …+<br />
anD<br />
La soluzione del sistema corrispondente alle condizioni iniziali nulle ha la forma<br />
dell’integrale di convoluzione<br />
t<br />
() = ( − )( )<br />
q t ∫ h t τ r τ dτ<br />
(3.31)<br />
0<br />
con ht= () risposta impulsiva<br />
La risposta impulsiva coincide con l’idrogramma della portata in usc<strong>it</strong>a provocata da<br />
un ingresso in forma di impulso di Dirac (afflusso di un volume un<strong>it</strong>ario in un tempo<br />
infin<strong>it</strong>esimo) e prende il nome di instantaneous un<strong>it</strong> hydrograph (IUH, o idrogramma<br />
un<strong>it</strong>ario istantaneo nella lingua <strong>it</strong>aliana).<br />
Figura 3.8 : Schema dell’IUH<br />
Poichè l’integrale dell’impulso di Dirac è, per definizione, uguale all’un<strong>it</strong>à abbiamo:<br />
∞<br />
∫<br />
0<br />
()<br />
r t dt = 1<br />
e allora, per l’equazione di continu<strong>it</strong>à, abbiamo anche<br />
∞ ∞ ∞<br />
() () ()<br />
∫ ∫ ∫<br />
r t dt = q t dt = h t dt = 1<br />
R<br />
0 0 0<br />
La funzione ht () dovrebbe, per semplici considerazioni fisiche, annullarsi quindi ad<br />
un tempo fin<strong>it</strong>o t b detto tempo base del bacino, coincidente con il tempo di<br />
corrivazione.<br />
Il modello idrologico – pag. 32
3.4.2. I modelli geomorfologici<br />
Il processo che trasforma la pioggia netta in portata alla sezione di chiusura dipende,<br />
tra i vari fattori, dalle caratteristiche della rete idrografica. È naturale attendersi<br />
quindi che anche l’IUH dipenda da tali caratteristiche, poiché rappresenta una<br />
descrizione sintetica del processo di trasformazione.<br />
Rodriguez-Iturbe e Valdés nel 1979 hanno introdotto un particolare modello di tipo<br />
concettuale che indaga sulla relazione tra IUH e caratteristiche della rete idrografica.<br />
Il modello si basa su due osservazioni fondamentali:<br />
• immaginando che all’ingresso si abbia un impulso di Dirac (ossia<br />
immaginando che piove un volume un<strong>it</strong>ario in un tempo infin<strong>it</strong>esimo) il<br />
volume d’acqua V che attraversa la sezione di chiusura cresce da 0 all’istante<br />
iniziale a 1 all’istante finale, e possiamo così definire una V () t tale che<br />
( )<br />
dV t<br />
dt<br />
sia pari all’idrogramma della portata alla sezione di chiusura e quindi pari<br />
all’IUH del bacino;<br />
• una goccia d’acqua, presa a caso, che cade nel bacino raggiungerà la sezione di<br />
chiusura in un tempo t , pertanto il tempo t è una variabile aleatoria ed è<br />
quindi possibile definire la probabil<strong>it</strong>à P( t) di non superamento della<br />
variabile t .<br />
Tale probabil<strong>it</strong>à è rappresentata dalla funzione che fornisce il volume d’acqua che al<br />
tempo t ha già raggiunto la sezione di chiusura:<br />
P() t = V () t<br />
(3.32)<br />
e quindi la dens<strong>it</strong>à di probabil<strong>it</strong>à di t coinciderà con l’IUH del bacino.<br />
Vari autori hanno trovato delle relazioni che legano l’IUH con alcune caratteristiche<br />
geomorfologiche del bacino basate sulla geometria frattale e su cr<strong>it</strong>eri di ordinamento<br />
del reticolo idrografico, come ad esempio la numerazione di Strehler.<br />
3.4.3. La funzione d’ampiezza<br />
Una delle formulazioni della teoria geomorfologica è quella basata sulla funzione di<br />
ampiezza, ossia una funzione che associa a ciascuna lunghezza del percorso che<br />
impiega una particella d’acqua a giungere alla sezione di chiusura del bacino la<br />
relativa area. Lo scopo della modellazione è quello di trovare la <strong>pdf</strong> (funzione dens<strong>it</strong>à<br />
di probabil<strong>it</strong>à) del tempo che una particella passa nel bacino prima di raggiungere la<br />
sezione di chiusura, chiamato tempo di residenza.<br />
La funzione d’ampiezza riesce anche a “mappare” l’area del bacino, che è un oggetto<br />
bidimensionale, su di un supporto a dimensione inferiore: contiene informazioni sui<br />
meccanismi di generazione della rete di drenaggio, ossia sul modo nel quale questa<br />
occupa lo spazio bidimensionale del bacino.<br />
Nella variante defin<strong>it</strong>a da Rodriguez-Iturbe e Rinaldo nel 1997, la funzione di<br />
ampiezza è determinata dalla descrizione del reticolo di drenaggio superficiale<br />
prescindendo da cr<strong>it</strong>eri di ordinamento del reticolo stesso. Il modello è del tipo<br />
exponentially distributed GIUH, in quanto si assume che la dens<strong>it</strong>à di probabil<strong>it</strong>à del<br />
tempo di percorrenza delle particelle nei canali è di tipo esponenziale.<br />
In questo caso la width function fornisce il numero di s<strong>it</strong>i della rete idrografica posti<br />
alla distanza x , misurata lungo la rete stessa, dall’usc<strong>it</strong>a.<br />
Il modello idrologico – pag. 33
Figura 3.9 : Definizione della funzione d'ampiezza<br />
Si nota immediatamente che se W( x ) è tale numero la lunghezza totale Z della rete<br />
idrografica può essere espressa dalla relazione:<br />
∞<br />
0<br />
( )<br />
Z = ∫ W x d x<br />
Assumendo che la veloc<strong>it</strong>à dell’acqua nei rami della rete di drenaggio sia costante, a<br />
ciascuna distanza può essere associato un tempo di percorrenza, ovvero un tempo di<br />
residenza nel bacino. Si dimostra infatti che la portata per un<strong>it</strong>à di area ottenuta in<br />
usc<strong>it</strong>a da ogni singolo stato è anche la distribuzione dei tempi di residenza dei<br />
volumi meteorici all’interno dello stato stesso. In defin<strong>it</strong>iva la funzione d’ampiezza<br />
cost<strong>it</strong>uisce la risposta idrologica del bacino in esame.<br />
Il metodo comunemente più utilizzato per la definizione della funzione d’ampiezza è<br />
quello manuale: individuato il reticolo idrografico, si va a contare manualmente il<br />
numero di rami ad una distanza fissata, <strong>it</strong>erando il procedimento per passi<br />
successivi.<br />
3.4.4. Espressione dell’idrogramma<br />
La distribuzione dei tempi di residenza in un dato percorso è interpretata con<br />
l’impiego di un modello lineare di convezione - diffusione (cfr. punto 3.5.5.1) retto<br />
dall’equazione:<br />
2<br />
∂g ∂g ∂ g<br />
+ c = D<br />
(3.33)<br />
2<br />
∂t ∂x ∂x<br />
dove g( x, t) è la dens<strong>it</strong>à di probabil<strong>it</strong>à della posizione delle particelle<br />
x è la distanza dalla sezione di chiusura valutata lungo il percorso di<br />
drenaggio<br />
c è la celer<strong>it</strong>à nei principali canali di deflusso<br />
D è la diffusiv<strong>it</strong>à sugli overland<br />
La distribuzione delle veloc<strong>it</strong>à ipotizzata lungo i versanti è di tipo gaussiano, in<br />
quanto le ramificazioni della rete di drenaggio prendono forma a partire dalle scale<br />
minori e quindi con veloc<strong>it</strong>à che variano da pressoché nulle ad elevate. Resta così<br />
possibile definire il valore medio delle veloc<strong>it</strong>à di deflusso, tram<strong>it</strong>e il parametro c , e<br />
la dispersione intorno a tale valore, legata al parametro D .<br />
I corsi d’acqua ben sviluppati avranno una distribuzione più stretta intorno al valor<br />
medio di veloc<strong>it</strong>à, e cioè con un valore per il parametro di diffusione minore rispetto<br />
a quello caratteristico di corsi d’acqua ancora non ben defin<strong>it</strong>i, tipici degli overland.<br />
Sotto queste ipotesi la distribuzione gt (| x ) dei tempi di residenza in un percorso di<br />
drenaggio di lunghezza x è espressa dalla distribuzione inversa di Gauss:<br />
Il modello idrologico – pag. 34
( ) 2<br />
x − ct<br />
gt (| x)<br />
=<br />
x<br />
3<br />
4π<br />
Dt<br />
⎡<br />
exp⎢−<br />
⎢⎣ 4Dt<br />
⎤<br />
⎥<br />
⎥⎦<br />
La probabil<strong>it</strong>à che un percorso di drenaggio abbia lunghezza x è data, per<br />
immissioni uniformemente distribu<strong>it</strong>e, dalla funzione d’ampiezza geomorfologica<br />
W( x ) . Il width function based instantaneous un<strong>it</strong> hydrograph, o WGIUH, si può pertanto<br />
calcolare come dens<strong>it</strong>à di probabil<strong>it</strong>à marginale delle variabili aleatorie t e x :<br />
gt () =<br />
1<br />
3<br />
4π<br />
Dt<br />
l<br />
2<br />
max<br />
⎡ ( x−ct) ⎤<br />
∫ xW ⋅ ( x)exp⎢− ⎥ dx<br />
4Dt<br />
0<br />
⎢⎣ ⎥⎦<br />
(3.34)<br />
dove l max = massima distanza di un punto del bacino dalla sezione di chiusura<br />
Tale idrogramma dipende dai parametri:<br />
- celer<strong>it</strong>à c di propagazione dell’onda di piena nella rete idrografica;<br />
- coefficiente D di dispersione idrodinamica.<br />
In generale il WGIUH risulterà dall’unione di due equazioni del tipo (3.34), in quanto<br />
va tenuto conto delle differenze di comportamento nei canali e negli overland. Le<br />
celer<strong>it</strong>à nei percorsi lungo i versanti e lungo i canali sono variabili, ma si possono<br />
assumere entrambi dello stesso ordine di grandezza. Per quanto riguarda invece la<br />
diffusiv<strong>it</strong>à, essa rappresenta:<br />
- nei canali gli effetti di laminazione indotti dagli invasi di rete;<br />
- negli overland gli effetti diffusivi dovuti allo scorrimento lungo i versanti, e<br />
quindi una dispersione geomorfologica cui corrispondono valori di D di un<br />
ordine di grandezza o più di quelli tipici dei corsi d’acqua.<br />
3.5. La propagazione lungo l’asta<br />
fluviale<br />
Le portate che fluiscono attraverso le sezioni di chiusura dei singoli sottobacini<br />
vanno trasportate lungo l’asta principale fino alla sezione di chiusura dell’intero<br />
bacino.<br />
Le modal<strong>it</strong>à con cui le onde di piena si propagano lungo le aste fluviali sono<br />
strettamente correlate con l’ent<strong>it</strong>à e la natura delle diverse forze in gioco,<br />
sostanzialmente forza peso e forze resistenti, e con le modal<strong>it</strong>à degli invasi<br />
disseminati lungo il percorso. Si può affermare che negli alvei fluviali le onde di<br />
piena si propagano con uno schema intermedio tra due casi lim<strong>it</strong>e:<br />
• il primo descrive approssimativamente il comportamento di alvei piuttosto<br />
regolari, privi di grandi capac<strong>it</strong>à di invaso e piuttosto ripidi ed è caratterizzato<br />
da onde che traslano lungo l’alveo senza subire sostanziali modifiche, con gli<br />
idrogrammi relativi a successive sezioni trasversali che differiscono tra loro<br />
solo perchè sfasati nel tempo;<br />
• il secondo si verifica nei laghi naturali o artificiali, dove la portata si invasa<br />
temporaneamente provocando l’attenuazione dell’onda, ovvero la sua<br />
laminazione.<br />
Normalmente, infatti, man mano che l’onda si sposta verso valle si può osservare,<br />
insieme allo sfasamento dell’istante in cui si presenta il colmo, un’attenuazione dello<br />
stesso, tanto più pronunciata quanto più l’alveo è irregolare e quanto più frequenti<br />
Il modello idrologico – pag. 35
ed importanti sono i volumi d’acqua che possono invasarsi temporaneamente nelle<br />
golene o in altre zone allagabili.<br />
3.5.1. Il modello parabolico<br />
Nei corsi d’acqua naturali, a causa delle variazioni di alimentazione idrica<br />
proveniente dai bacini idrografici, il moto è generalmente di tipo vario. Per la lenta<br />
evoluzione delle onde di piena, spesso è lec<strong>it</strong>o considerare il moto come<br />
gradualmente variato: si fa l’ipotesi che le grandezze che definiscono la corrente<br />
siano funzioni continue del tempo e della sola coordinata spaziale x (moto<br />
unidimensionale). Ciò implica che le sezioni trasversali sono piane e verticali, e che la<br />
pressione è distribu<strong>it</strong>a su di esse con legge approssimativamente idrostatica. Queste<br />
condizioni sono, di sol<strong>it</strong>o, abbastanza ben verificate nei corsi d’acqua naturali<br />
durante gli eventi di piena.<br />
Con queste assunzioni è possibile scrivere le equazioni che governano il problema,<br />
dette equazioni di De Saint Venant, come:<br />
∂Q ∂A<br />
+ = 0<br />
equazione di continu<strong>it</strong>à (3.35)<br />
∂x ∂t<br />
∂H 1 ∂U<br />
+ + J = 0 equazione del moto (3.36)<br />
∂x g ∂t<br />
dove Q è la portata<br />
A è l’area bagnata<br />
H è il carico totale medio<br />
U è la veloc<strong>it</strong>à media<br />
J è la perd<strong>it</strong>a specifica di energia<br />
Nei casi di propagazione dell’onda di piena risulta accettabile trascurare i termini<br />
cinetici, così le equazioni di De Saint Venant diventano le equazioni del modello<br />
parabolico, che descrive le caratteristiche principali del fenomeno propagatorio delle<br />
onde di piena negli alvei naturali:<br />
⎧∂Q<br />
∂h<br />
+ B = 0<br />
⎪ ∂x ∂t<br />
⎨ (3.37)<br />
⎪ ∂h<br />
= i− j<br />
⎩⎪∂<br />
x<br />
dove B è la larghezza della corrente sulla superficie libera<br />
h è l’altezza d’acqua<br />
i è la pendenza del fondo<br />
3.5.1.1. L’equazione di convezione – diffusione<br />
Trascurando i termini inerziali, è possibile ricavare dal sistema (3.37) del modello<br />
parabolico un’unica equazione, detta equazione della convezione - diffusione, che<br />
rappresenta il fenomeno del moto vario unidimensionale:<br />
2<br />
∂Q ∂Q ∂ Q<br />
+ c⋅ = D<br />
(3.38)<br />
2<br />
∂t ∂x ∂x<br />
Similmente rispetto a quanto visto nella costruzione del WGIUH, abbiamo i due<br />
parametri:<br />
1 ∂J ∂Q<br />
c =− che rappresenta la celer<strong>it</strong>à dell’onda;<br />
B ∂h ∂ J<br />
Il modello idrologico – pag. 36
1 ∂Q<br />
D =− che rappresenta la diffusione.<br />
B ∂ J<br />
∂x<br />
Dall’equazione si rileva che un osservatore che percorra la riva con veloc<strong>it</strong>à c =<br />
∂ t<br />
osserva una portata Q variabile nel tempo in modo che la sua derivata sia pari al<br />
2<br />
∂ Q<br />
termine di diffusione D . Tale termine è negativo in corrispondenza della sezione<br />
2<br />
∂x<br />
del fiume ove si ha il massimo di portata, mentre D è sempre pos<strong>it</strong>ivo: l’osservatore<br />
mobile registra quindi una variazione di portata negativa, ossia la portata si propaga<br />
verso valle attenuandosi progressivamente. Per questioni di continu<strong>it</strong>à l’onda di<br />
piena, durante la propagazione, deve anche allungarsi.<br />
3.5.1.2. Soluzione dell’equazione<br />
L’equazione differenziale di convezione – diffusione va risolta imponendo la<br />
condizione iniziale:<br />
⎧⎪ Q( x,0) = Q0 per x<<br />
0<br />
⎨<br />
⎪⎩ Q( x,0) = 0 per x><br />
0<br />
e quella al contorno:<br />
Q( x, t) = 0 per x→∞, ∀ t<br />
Al fine di ricavare una soluzione anal<strong>it</strong>ica dell’equazione va operata la sost<strong>it</strong>uzione<br />
di variabili:<br />
ξ = x − ct<br />
τ = t<br />
per cui, sost<strong>it</strong>uendo nell’equazione di convezione - diffusione, si ha:<br />
⎧ ∂Q ∂Q ∂ξ ∂Q ∂τ ∂Q<br />
⎪<br />
= + =<br />
⎪ ∂x ∂ξ ∂x ∂τ ∂x ∂ξ<br />
⎨<br />
⎪ ∂Q ∂Q ∂ξ ∂Q ∂τ ∂Q ∂Q<br />
= + = − c +<br />
⎪⎩ ∂t ∂ξ∂t ∂τ ∂t ∂ξ ∂τ<br />
e si ottiene così l’equazione della diffusione:<br />
2<br />
∂Q ∂ Q<br />
= D<br />
(3.39)<br />
2<br />
∂τ∂ξ Passando alle trasformate di Laplace si trova, per tale equazione, con le condizioni<br />
iniziali e al contorno sopra specificate, la soluzione:<br />
Q ⎡ 0 ⎛ ξ ⎞⎤<br />
Q ( ξ, τ ) = ⎢1− erf<br />
2<br />
⎜ ⎟⎥<br />
(3.40)<br />
⎣ ⎝ 4 D ⋅τ<br />
⎠⎦<br />
dove la funzione erf( x ) , detta error function, è defin<strong>it</strong>a come:<br />
2<br />
2<br />
−t<br />
erf( x) e d t<br />
π<br />
x<br />
= ∫ (3.41)<br />
0<br />
Il modello idrologico – pag. 37
1.2<br />
1<br />
0.8<br />
0.6<br />
0.4<br />
0.2<br />
0<br />
-15 -10 -5 0 5 10 15<br />
-0.2<br />
-0.4<br />
-0.6<br />
-0.8<br />
-1<br />
-1.2<br />
erf(x)<br />
Figura 3.10: La error function; si nota l’andamento tendente asintoticamente ad 1 e –1<br />
rispettivamente per valori tendenti a +∞ e -∞<br />
Andando a operare la sost<strong>it</strong>uzione di variabili inversa a quella fatta prima, per<br />
ottenere la soluzione in funzione delle variabili dirette si ottiene:<br />
Q ⎡ 0 ⎛ x − ct ⎞⎤<br />
Q( x, t)<br />
= ⎢1− erf<br />
2<br />
⎜ ⎟⎥<br />
(3.42)<br />
⎣ ⎝ 4 D t ⎠⎦<br />
Gli idrogrammi di piena uscenti dai singoli sottobacini sono approssimati da una<br />
successione di impulsi rettangolari con intervallo di discretizzazione T pari all’ora.<br />
La funzione erf( x ) è una funzione che tende a valori diversi dallo zero: per<br />
rappresentare al meglio il propagarsi di un impulso ad onda quadra la soluzione<br />
migliore risulta la sovrapposizione di due onde inizialmente quadre, una pos<strong>it</strong>iva ed<br />
una negativa, sfasate del periodo di discretizzazione delle portate, ossia nella<br />
mezz’ora. Si giunge così alla seguente soluzione per l’impulso rettangolare di<br />
ampiezza Q 0 :<br />
Q x t<br />
Q ⎡ ⎛ x − ct ⎞⎤<br />
= ⎢ −<br />
2<br />
⎜ ⎟⎥<br />
⎣ ⎝ 4 Dt ⎠⎦<br />
0 ( , ) 1 erf<br />
Q<br />
⎡ ⎛ x − c( t −T ) ⎞<br />
⎛ x − ct ⎞<br />
⎤<br />
= ⎢ ⎜ ⎟<br />
2<br />
⎜ ⎟<br />
⎥<br />
⎢ ⎜ 4 D( t − T ) ⎟ ⎝ 4 Dt ⎠⎥<br />
⎣ ⎝ ⎠<br />
⎦<br />
0 ( , ) erf erf<br />
Q x t<br />
Portate [m3/s]<br />
20<br />
15<br />
10<br />
5<br />
0<br />
-5<br />
-10<br />
-15<br />
-20<br />
x<br />
Tempo [min]<br />
0 20 40 60 80 100 120<br />
Onda 1<br />
Onda 2<br />
Somma<br />
per t ≤ T<br />
per t ≥ T<br />
Figura 3.11: Somma algebrica delle onde sfasate di mezz’ora ad una distanza fissata<br />
Il modello idrologico – pag. 38
È facile notare come il termine diffusione risulti essere responsabile della variazione<br />
di forma dell’onda: da onda quadra con impulso a scalino essa si trasforma in una<br />
curva continua, tendente asintoticamente al valore assunto dall’onda quadra.<br />
La convoluzione su tutto il periodo studiato riproduce infine l’onda di piena per<br />
qualsiasi coppia ( x, t ) .<br />
Per quanto riguarda la stima dei parametri di celer<strong>it</strong>à dell’onda cinematica e della<br />
diffusione, questi possono essere valutati utilizzando le espressioni:<br />
c= 1.5v0<br />
(3.43)<br />
Q<br />
D = (3.44)<br />
2Bim dove Q rappresenta la portata trans<strong>it</strong>ante<br />
B è la larghezza media della sezione rettangolare, equivalente alla larghezza<br />
dell’alveo<br />
i m è la pendenza media del tratto di corso d’acqua considerato<br />
v 0 è la veloc<strong>it</strong>à media a moto uniforme del fiume<br />
Quest’ultima si ottiene utilizzando la nota formula di Gauckler – Strickler:<br />
2<br />
v = K R i<br />
3<br />
s H m<br />
dove K s è il coefficiente di scabrezza secondo Gauckler – Strickler<br />
R H indica il raggio idraulico<br />
3.5.2. La laminazione nei laghi<br />
I grandi invasi eventualmente presenti nel bacino, come laghi naturali e artificiali o<br />
casse di espansione, comportano degli effetti di laminazione dell’onda di piena dei<br />
quali è necessario tenere conto nella fase di trasporto dell’onda.<br />
3.5.2.1. Idraulica dei serbatoi<br />
Il moto della corrente nei serbatoi è di tipo vario, ma può essere studiato trascurando<br />
i fenomeni propagatori che si verificano nel serbatoio. Per fare ciò occorre ipotizzare<br />
che il riempimento e lo svuotamento avvengano istantaneamente e che il pelo libero<br />
rimanga sempre orizzontale, secondo un modello che viene defin<strong>it</strong>o zero-dimensionale<br />
statico.<br />
Le equazioni che governano i fenomeni di invaso e svaso nei serbatoi, nell’ipotesi di<br />
modello statico, sono l’equazione di continu<strong>it</strong>à, scr<strong>it</strong>ta in forma integrale per tutto il<br />
serbatoio, e l’equazione dinamica, cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a dalla relazione fra volume invasato V e<br />
portata effluente Q u dalle luci di scarico:<br />
⎧ dV<br />
⎪Qe<br />
− Qu<br />
=<br />
⎨ dt<br />
(3.46)<br />
⎪ n<br />
⎩Qu=<br />
aV<br />
L’equazione dinamica è ottenuta integrando quella delle correnti lineari<br />
∂E 1 ∂v<br />
=− − j<br />
(3.47)<br />
∂s g ∂t<br />
fra l’istantaneo pelo libero del serbatoio e la sezione di sbocco della luce.<br />
Trascurando i termini cinetici connessi alla veloc<strong>it</strong>à di spostamento del pelo libero<br />
nel serbatoio e l’inerzia locale del sistema, generalmente molto piccoli, è possibile<br />
Il modello idrologico – pag. 39
esprimere la portata uscente come nel caso del moto permanente, ossia come<br />
funzione dell’altezza del pelo libero e, quindi, del volume invasato.<br />
In generale, indicato con h il carico sulla luce, si ha:<br />
Q = C A 2gh<br />
= c h per luci a battente<br />
u Q b<br />
3 3<br />
u Q 2 2<br />
s<br />
2<br />
Q = C L gh = c h per luci a sfioro libero<br />
dove C Q è un coefficiente di ragguaglio<br />
A è l’area del battente<br />
L è la larghezza dello sfioro<br />
Il deflusso dal serbatoio può avvenire da vari altri tipi di scarico, quali canali a<br />
debole o forte pendenza, gallerie di derivazione, imboccature a calice, ecc per ognuno<br />
Q = f h .<br />
dei quali è ben nota, dall’idraulica, la relazione ( )<br />
3.5.2.2. I serbatoi artificiali a scopo multiplo<br />
Va detto, innanz<strong>it</strong>utto, che raramente un serbatoio artificiale viene realizzato per sole<br />
final<strong>it</strong>à di regimentazione delle acque di piena, che sono sol<strong>it</strong>amente secondarie<br />
rispetto agli usi idroelettrici o irrigui. Ai fini della moderazione delle piene, infatti,<br />
nei serbatoi a scopo multiplo sono previsti i soli scarichi di superficie, generalmente<br />
sfioratori aventi il petto alla quota di massima regolazione, poiché quelli di fondo<br />
vengono di regola chiusi durante un evento eccezionale. Posto poi che per<br />
massimizzare gli altri usi del serbatoio si cerca di mantenere il livello il più alto<br />
possibile, il sistema è poco efficace: si ha a disposizione una capac<strong>it</strong>à di invaso<br />
ridotta, cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a dal volume compreso tra la quota di massima regolazione e quella<br />
di massimo invaso, pari alla quota del piano di coronamento meno il franco.<br />
Figura 3.12: Schema della capac<strong>it</strong>à di invaso disponibile per la laminazione delle piene nei<br />
serbatoi a scopo multiplo; va notato che il franco è pari alla somma del franco netto e della<br />
semiampiezza dell’onda provocata dal vento<br />
Il sistema 3.46 può essere risolto numericamente con vari algor<strong>it</strong>mi, basati tutti<br />
sul metodo delle differenze fin<strong>it</strong>e. L’equazione di continu<strong>it</strong>à dei serbatoi,<br />
differenziale ordinaria del primo ordine, viene discretizzata sost<strong>it</strong>uendo alla derivata<br />
un rapporto incrementale e valutando il secondo membro con i valori medi<br />
dell’intervallo:<br />
k+ 1 k<br />
V −V ⎡1 k k+ 1 1 k k+<br />
1 ⎤<br />
= ( Qe + Qe ) − ( Qu + Qu<br />
)<br />
Δt ⎢<br />
⎣2 2 ⎥<br />
⎦ (3.48)<br />
avendo indicato con gli indici k e k + 1 i valori delle portate e del volume ai tempi<br />
kΔ t e ( k+ 1)<br />
Δ t .<br />
Nell’equazione 3.48, che è risolta ad ogni passo temporale, sono noti:<br />
- il valore della portata entrante nel serbatoio, media nell’intervallo Δt;<br />
- la quota h del pelo libero del serbatoio all’inizio dell’intervallo e, quindi, il<br />
volume accumulato e la portata uscente.<br />
u<br />
Il modello idrologico – pag. 40
Sono invece incogn<strong>it</strong>i nell’equazione la portata uscente e il volume accumulato alla<br />
fine dell’intervallo.<br />
Per procedere nella risoluzione dell’EDO del primo ordine bisogna assegnare una<br />
condizione iniziale, cioè il valore del volume invasato V 0 al tempo t = 0 , ricavabile<br />
conoscendo la quota iniziale del pelo libero h 0 .<br />
L’ulteriore equazione che rende determinato il problema è la relazione fra il volume<br />
invasato e la portata uscente, determinabile conoscendo la geometria del serbatoio e<br />
Q = f h .<br />
l’equazione esprimente la legge di efflusso ( )<br />
u<br />
Il modello idrologico – pag. 41
4. Fase operativa<br />
In questo cap<strong>it</strong>olo si presentano le operazioni che si sono rese necessarie al fine di<br />
preparare e calibrare il modello sull’area di studio, così da mettere in evidenza le<br />
varie fasi occorrenti per condurre una analisi idrologica.<br />
4.1. Reperimento dati e software<br />
Per quanto riguarda la base cartografica su cui iniziare l’analisi terr<strong>it</strong>oriale è stata<br />
usata la Carta Regionale Numerica in scala 1:25000, forn<strong>it</strong>a dal Centro di Calcolo<br />
dell’Univers<strong>it</strong>à degli Studi di Trieste. Si è r<strong>it</strong>enuto opportuno basare le operazioni<br />
nella media scala in quanto risultava essere adeguata sia in termini di precisione che<br />
in termini di compless<strong>it</strong>à gestionale e di dimensione dei file di calcolo.<br />
Il software utilizzato per le elaborazioni GIS è l’ArcView 3.2 della ESRI, forn<strong>it</strong>o<br />
dall’Univers<strong>it</strong>à degli Studi di Trieste.<br />
I dati di pioggia sono stati forn<strong>it</strong>i dall’Un<strong>it</strong>à Operativa Idrografica di Udine e sono<br />
relativi alle stazioni di Claut, Cimolais, Barcis, Prescudin, Andreis e Piancavallo.<br />
Pioggia (m)<br />
0.035<br />
0.03<br />
0.025<br />
0.02<br />
0.015<br />
0.01<br />
0.005<br />
0<br />
1<br />
51<br />
Piogge divise per sottobacino<br />
101<br />
Tempo (h)<br />
151<br />
Cellina basso<br />
Alba<br />
Barcis<br />
Cellina medio<br />
Cimoliana<br />
Settimana<br />
Cellina alto<br />
Figura 4.1 : Piogge assegnate ai singoli sottobacini in funzione della posizione dei pluviometri,<br />
riportata a destra, anche tram<strong>it</strong>e media per i sottobacini in cui non è disponibile un<br />
pluviometro e per quelli vicini a Piancavallo (cfr. paragrafo 4.4); quest’ultima stazione non è<br />
riportata in quanto planimetricamente esterna all’area di studio<br />
Di particolare interesse risulta essere la stazione di Piancavallo poiché, sebbene<br />
planimetricamente appena al di fuori dei confini dell’area di studio, è posta ad<br />
un’alt<strong>it</strong>udine rilevante, superiore ai 1300m s.m.m. Ciò consente un’ottima stima<br />
Fase operativa – pag. 42
dell’ent<strong>it</strong>à con cui piove nelle zone montane particolarmente aspre, e quindi<br />
difficilmente raggiungibili per il posizionamento di uno strumento quale il<br />
pluviometro o l’idrometro.<br />
I dati idrometrici sono quelli relativi alle comunicazioni dei gestori degli impianti<br />
alla Prefettura di Pordenone per le stazioni idrometriche di Barcis e Ravedis, e<br />
dell’Un<strong>it</strong>à Operativa Idrografica per Cimolais e Claut.<br />
4.2. Utilizzo del GIS<br />
4.2.1. Introduzione ai Sistemi Informativi Terr<strong>it</strong>oriali<br />
Per GIS (Geographical Information System) s’intende qualsiasi tipo di risorsa<br />
informatica utilizzata per la gestione e la manipolazione di dati terr<strong>it</strong>oriali. Le<br />
principali funzioni di un GIS si riscontrano nella caratterizzazione del terr<strong>it</strong>orio<br />
secondo varie tematiche: si possono attribuire al terr<strong>it</strong>orio caratteristiche interessanti<br />
per valutazioni d’aspetto ingegneristico, sociale, economico, scientifico o di qualsiasi<br />
altra tipologia di parametro che necess<strong>it</strong>a di una visione ampia, completa e<br />
chiarificatrice.<br />
Le principali funzioni di un software di questo tipo sono quindi l’organizzazione, la<br />
verifica, la modifica e la gestione dei dati: è possibile lo scambio d’informazioni,<br />
l’immagazzinamento e l’immissione da parte d’ogni utente di nuove caratteristiche<br />
con un continuo aggiornamento, revisione e implementazione delle tematiche<br />
disponibili. Tutte queste operazioni sono applicate da un GIS ai dati geografici che<br />
vanno a formare un database.<br />
Figura 4.2 : Schematizzazione del funzionamento di un GIS<br />
Tutti i dati di un GIS sono georeferenziati ossia legati, tram<strong>it</strong>e uno specifico sistema<br />
di coordinate, ad una localizzazione sulla superficie terrestre caratteristica d’ogni<br />
sistema di riferimento. I dati terr<strong>it</strong>oriali sono così immagazzinati con un binomio di<br />
caratteristiche e localizzazione delle stesse. I vari “temi” possono essere puntuali o<br />
classificati come linee o aree, e quindi immagazzinate con la forma dell’elemento.<br />
È inoltre possibile creare nuovi tematismi personalizzati dall'interazione degli<br />
elementi di diversi temi attraverso operazioni logiche di vario tipo. Quello di<br />
maggiore interesse per la modellistica idrologica è la creazione di una triangulated<br />
irregular network (TIN o rete triangolata irregolare) a partire dalla cartografia<br />
Fase operativa – pag. 43
numerica, che potrà poi essere trasformata in un file ASCII in cui per ogni cella del<br />
bacino sia riportata la quota: si è così ottenuto un modello dig<strong>it</strong>ale del terreno (DEM)<br />
dell’area di studio. Questo rappresenterà il file di input del modulo DTM del<br />
TOPMODEL.<br />
Figura 4.3 : Operazioni di analisi spaziale in un GIS<br />
4.2.2. Dalla cartografia numerica al DEM<br />
Il primo approccio al problema consiste, in defin<strong>it</strong>iva, nella manipolazione dei dati<br />
terr<strong>it</strong>oriali con lo scopo di ottenere la base cartografica su cui poi procedere con la<br />
modellazione idrologica. Partendo dalla Carta Regionale Numerica in scala 1:25000 ci<br />
si pone come obiettivo il ricavare i file del DEM corrispondenti ad ogni bacino da<br />
elaborare poi con il primo dei tre moduli caratterizzanti TOPMODEL.<br />
Per quanto riguarda la suddivisioni dell’area di studio nei sottobacini che formano il<br />
bacino idrografico del torrente Cellina, si è fatto riferimento al Sistema Informativo<br />
Terr<strong>it</strong>oriale per l’Idraulica (SITI) messo a disposizione online dalla Regione<br />
Autonoma Friuli Venezia Giulia nel formato nativo di ArcView, lo shapefile. In questa<br />
fase si sono rese necessarie alcune operazioni sul tematismo forn<strong>it</strong>o dal SITI al fine di<br />
evidenziare i relativi bacini.<br />
Figura 4.4 : Suddivisione dell’area di studio in sottobacini sulla base del SITI<br />
Si sono così considerati separatamente il bacino imbrifero del torrente Cimoliana,<br />
dalla sua sorgente alla confluenza con il torrente Cellina; del torrente Settimana; della<br />
prima parte del torrente Cellina, fino alla confluenza con il torrente Settimana; di una<br />
seconda parte del torrente Cellina, fino al lago di Barcis, comprensivo del terr<strong>it</strong>orio in<br />
cui si evidenziano tra gli affluenti i torrenti Chialedina, Prescudin e Pentina in destra<br />
Fase operativa – pag. 44
e il torrente Varma in sinistra; il bacino imbrifero che insiste direttamente sul lago di<br />
Barcis; il bacino del torrente Alba che confluisce direttamente nella Val Cellina dove<br />
si attesterà il lago di Ravedis; il bacino idrografico competente direttamente al futuro<br />
lago di Ravedis.<br />
In segu<strong>it</strong>o, sovrapponendo il tematismo ottenuto alla CRN e utilizzando l’extension di<br />
ArcView denominata Spatial Analyst è stato possibile creare la TIN relativa ad ogni<br />
sottobacino. Da questa, sempre in ambiente ArcView, è stato creato il DEM del<br />
singolo sottobacino da inserire nel modulo DTM.<br />
Figura 4.5 : File raster del sottobacino del torrente Settimana che associa colori diversi a quote<br />
diverse, dal bianco al marrone per alt<strong>it</strong>udini crescenti<br />
4.3. Elaborazione DTM<br />
In questa fase si sono riscontrati alcuni problemi: la versione più recente del modulo<br />
DTM, disponibile presso il s<strong>it</strong>o internet dell’Univers<strong>it</strong>à di Lancaster, lavora in<br />
ambiente Microsoft Windows ed ha una interfaccia grafica abbastanza sviluppata.<br />
Presenta però notevoli problemi nel calcolo delle correzioni alla matrice di elevazione<br />
e dell’indice topografico: in certi casi, infatti, il software manda il sistema in overflow<br />
(eccedenza di dati) e non riesce a convergere ad un risultato.<br />
Si è quindi reso necessario utilizzare la versione nota come Gridtab, sviluppata nel<br />
1998, che lavora in ambiente DOS e che non presenta alcuna interfaccia grafica. Il<br />
procedimento di calcolo è lo stesso ed i risultati sono comunque validi.<br />
4.4. Distribuzione spaziale delle<br />
precip<strong>it</strong>azioni<br />
La definizione della distribuzione spaziale delle piogge presenta problemi di qualche<br />
delicatezza per precip<strong>it</strong>azioni che, almeno in alcune fasi, non interessano<br />
completamente la superficie del bacino. Ogni qualvolta la dimensione di un bacino<br />
sia minore delle dimensioni caratteristiche dei fronti perturbativi che su di esso<br />
insistono, l’assunzione di una precip<strong>it</strong>azione costante risulta lec<strong>it</strong>a e non ha<br />
conseguenze circa l’attendibil<strong>it</strong>à delle portate previste. Nel caso di bacini molto estesi<br />
quest’ipotesi non è verificata e si rende quindi necessaria un’esplic<strong>it</strong>a modellazione<br />
della distribuzione spaziale della precip<strong>it</strong>azione.<br />
Fase operativa – pag. 45
Va infatti considerato che la modellazione afflussi – deflussi è dipendente dalle<br />
misurazioni dell’intens<strong>it</strong>à di pioggia sia di breve che di lungo periodo, che sono<br />
necessariamente puntuali. Esse dipendono fortemente dallo svolgimento della<br />
precip<strong>it</strong>azione, dalle condizioni del vento e dall’altezza della misurazione sul suolo.<br />
Volumi ed intens<strong>it</strong>à di pioggia possono inoltre variare rapidamente nello spazio oltre<br />
che nel tempo.<br />
Diverse tecniche d’integrazione spaziale sono state sviluppate in alcuni testi<br />
introduttivi all’idrologia, dalla semplice media dei dati a disposizione alla tecnica dei<br />
poligoni di Thiessen, da quella che utilizza l’inverso della distanza all’algor<strong>it</strong>mo di<br />
Kriging, ecc. In questo lavoro, considerata la lim<strong>it</strong>ata estensione dei singoli<br />
sottobacini, è stata utilizzata la tecnica della media dei dati pluviometrici afferenti ad<br />
ognuno di essi.<br />
4.5. Determinazione della funzione<br />
d’ampiezza<br />
La mappatura del reticolo idrografico di ogni singolo sottobacino al fine di ricavarne<br />
la funzione d’ampiezza è stata svolta manualmente. Si sono quindi andate a contare<br />
le intersezioni del reticolo idrografico con un passo di 250m sulla cartografia ufficiale<br />
della Regione in scala 1:25000.<br />
Rami della rete<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
30<br />
20<br />
10<br />
0<br />
0<br />
2000<br />
4000<br />
6000<br />
8000<br />
Cimoliana<br />
10000<br />
12000<br />
14000<br />
16000<br />
Distanza dalla sezione di chiusura (m)<br />
Figura 4.6 : Funzione d’ampiezza relativa al sottobacino del torrente Cimoliana<br />
4.6. Ottimizzazione del software<br />
Il codice sorgente in linguaggio Fortran relativo al modulo TOP, completo delle<br />
implementazioni effettuate dal Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, è<br />
stato analizzato nella sua interezza al fine di valutare le eventuali modifiche o<br />
ottimizzazioni da attuare.<br />
Innanz<strong>it</strong>utto va detto che, per le considerazioni di cui al successivo punto 5.2.3, si è<br />
scelto di non utilizzando il modulo GLUE per la calibrazione del modello, che con la<br />
simulazione Montecarlo ev<strong>it</strong>a all’utente di inserire per tentativi lunghe serie di<br />
parametri. Si è pensato così di creare un unico file eseguibile che fornisca<br />
direttamente le portate alla sezione di chiusura in funzione degli input dei parametri,<br />
18000<br />
20000<br />
22000<br />
24000<br />
Fase operativa – pag. 46
delle caratteristiche e degli ietogrammi dei sottobacini e infine delle caratteristiche<br />
degli invasi lungo l’asta fluviale. Un lavoro simile era già stato esegu<strong>it</strong>o, ad eccezione<br />
della parte relativa ai serbatoi, per il bacino del fiume Isonzo nella tesi di laurea di<br />
Marco Zorba c<strong>it</strong>ata in bibliografia. In quel caso, però, i parametri venivano tarati sui<br />
singoli sottobacini, mentre per il presente lavoro si è optato per una taratura dei<br />
parametri sull’intero bacino del Cellina: si è reso così necessario cambiare alcune<br />
parti del codice sorgente e effettuarne il debugging relativo. Per assicurare comunque<br />
una certa variabil<strong>it</strong>à spaziale al sistema, oltre alla differenza degli ietogrammi per i<br />
diversi sottobacini, il deflusso profondo iniziale è stato suddiviso tra questi ultimi<br />
secondo un peso proporzionale al rapporto tra la singola area ed il totale.<br />
Si è poi proceduto a implementare direttamente nel codice sorgente una subroutine<br />
che modellasse la laminazione dell’onda di piena nel lago di Barcis, basata su quanto<br />
visto al punto 3.5.2. Tale modellazione veniva precedentemente realizzata in<br />
Microsoft Excel ed allungava notevolmente i tempi di calibratura del modello.<br />
Sono stati poi aggiunti degli statements di stampa dei valori intermedi in opportuni<br />
file di testo di output, importabili in Microsoft Excel per realizzare i grafici riportati<br />
nel successivo paragrafo 5.3.<br />
Infine, per raddoppiare o triplicare l’intens<strong>it</strong>à delle piogge, si è ag<strong>it</strong>o direttamente<br />
nella subroutine di lettura degli input di pioggia moltiplicando direttamente i valori<br />
letti dal programma.<br />
Fase operativa – pag. 47
5. Analisi dei risultati e<br />
conclusioni<br />
5.1. I parametri scelti<br />
Terminato il processo di calibrazione per la sezione di Ravedis sono stati ottenuti i<br />
parametri riportati nella tabella seguente:<br />
Parametro Valore Un<strong>it</strong>à Significato<br />
m 0.115 m decadimento della permeabil<strong>it</strong>à con la profond<strong>it</strong>à<br />
T0 0.4 m 2 /h trasmissiv<strong>it</strong>à al suolo in condizioni di saturazione<br />
dt 1 h intervallo temporale di input e di calcolo<br />
srmax 0.25 m capac<strong>it</strong>à di campo<br />
Q0 20 m 3 /s deflusso profondo iniziale<br />
srin<strong>it</strong> 0.06 m defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à iniziale<br />
f0 0.03 m/h intens<strong>it</strong>à di infiltrazione con terreno asciutto<br />
fc 0.018 m/h intens<strong>it</strong>à di infiltrazione con terreno saturo<br />
cch 1.5 m/s celer<strong>it</strong>à nei canali (a livello di sottobacino)<br />
Dch 300 m 2 /s diffusiv<strong>it</strong>à nei canali (a livello di sottobacino)<br />
cov 1m/s celer<strong>it</strong>à negli overland (a livello di sottobacino)<br />
Dov 3000 m 2 /s diffusiv<strong>it</strong>à negli overland (a livello di sottobacino)<br />
ct 3m/s celer<strong>it</strong>à nei canali (lungo l'asta principale)<br />
Dt 500 m 2 /s diffusiv<strong>it</strong>à nei canali (lungo l'asta principale)<br />
Tali parametri risultano fisicamente basati ed in linea con i valori ottenuti dalle<br />
calibrazioni effettuate per studi precedenti, effettuate per altri eventi di piena e con<br />
modelli sempre afferenti alla metodologia TOPMODEL con IUH geomorfologico, ma<br />
diversi per quanto riguarda l’infiltrazione (e quindi la produzione di deflusso<br />
superficiale) e la definizione dell’IUH.<br />
Un confronto può essere condotto, ad esempio, con la pubblicazione di Tirelli,<br />
Scramoncin e Fiorotto c<strong>it</strong>ata in bibliografia, per la quale il bacino è stato modellato<br />
mediante la variante TOPSIMPL. In questo caso i due parametri significativi per la<br />
descrizione delle dinamiche del deflusso profondo sono molto simili a quelli scelti:<br />
0,12m per il tasso di decadimento della permeabil<strong>it</strong>à con la profond<strong>it</strong>à e 0,36m 2 /h per<br />
la trasmissiv<strong>it</strong>à alla superficie in condizioni di saturazione. I valori di celer<strong>it</strong>à e<br />
diffusiv<strong>it</strong>à relativi ai sottobacini risultano invece pari al doppio di quelli usati nel<br />
presente lavoro di tesi: 3m/s e 500m 2 /s per i canali e 2m/s e 5000m 2 /s per gli<br />
overland. Ciò è dovuto al fatto che, utilizzando un diverso modello di infiltrazione e<br />
di produzione del deflusso superficiale, l’idrogramma un<strong>it</strong>ario istantaneo deve<br />
necessariamente risultare diverso al fine di simulare le stesse portate. L’ordine di<br />
Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 48
grandezza rimane comunque lo stesso e i valori scelti risultano, come detto,<br />
accettabili.<br />
5.2. Confronto tra portate calcolate<br />
e misurate<br />
A questo punto è possibile effettuare alcune considerazioni in mer<strong>it</strong>o alle differenze<br />
tra i valori di portata calcolati dal software e quelli effettivamente misurati nelle<br />
relative sezioni.<br />
5.2.1. Portate a Ravedis<br />
Consideriamo innanz<strong>it</strong>utto l’idrogramma relativo alla sezione di chiusura<br />
corrispondente alla diga di Ravedis, sulla quale il modello è stato calibrato.<br />
portata (m 3 /s)<br />
800<br />
700<br />
600<br />
500<br />
400<br />
300<br />
200<br />
100<br />
Portate a Ravedis<br />
misurate<br />
calcolate<br />
0<br />
21/11/02 22/11/02 23/11/02 24/11/02 25/11/02<br />
tempo (ora)<br />
26/11/02 27/11/02 28/11/02 29/11/02<br />
Figura 5.1 : Idrogramma delle portate misurate e calcolate nella sezione di chiusura di Ravedis<br />
Innanz<strong>it</strong>utto va chiar<strong>it</strong>o che, almeno per gli eventi di piena, per portate misurate in<br />
una sezione si intende la definizione di una scala che lega le portate al tirante<br />
d’acqua, ossia all’unica quant<strong>it</strong>à effettivamente misurabile. Le portate così<br />
estrapolate risultano quindi affette da vari errori: innanz<strong>it</strong>utto quelli legati alla<br />
variabil<strong>it</strong>à, con la variazione del tirante, della veloc<strong>it</strong>à media defin<strong>it</strong>a nei periodi di<br />
magra sulla base di misure con mulinelli idrometrici. A questi va aggiunta<br />
l’approssimazione nella determinazione della geometria dell’alveo, che in generale<br />
cambierà durante le piene a causa del trasporto solido. Si arriva così ad un errore<br />
quantificabile nel 10÷20%. Nel caso di misure effettuate in corrispondenza di opere<br />
idrauliche come ponti o sfioratori di piena, quale è il caso dei dati a disposizione per<br />
questo lavoro di tesi, la misura è più precisa, con errori nell’ordine del 3÷5%. È infatti<br />
lec<strong>it</strong>o assumere che in tali sezioni, che in generale sono note ed invariabili, la corrente<br />
raggiunga l’altezza cr<strong>it</strong>ica.<br />
Ciò premesso si può notare, in corrispondenza dei due picchi di piena, che le portate<br />
di calcolo risultano leggermente sovrastimate rispetto a quelle misurate: l’errore è<br />
Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 49
contenuto in 20m 3 /s, pari a circa il 3% delle grandezze in gioco e quindi<br />
paragonabile a quello relativo al processo di definizione della scala delle portate.<br />
Si nota poi la buona approssimazione della fase di cresc<strong>it</strong>a, mentre le fasi di<br />
decadimento sembrano male approssimate: la modellazione considera un calo della<br />
portata molto più veloce di quello misurato, che comporta la notevole differenza di<br />
circa 120m 3 /s nella sella successiva al primo picco (ben il 30% della portata<br />
misurata). Ciò è dovuto al fatto che per il modello, come si vedrà nel segu<strong>it</strong>o, la<br />
formazione del primo picco di piena è ascrivibile principalmente al meccanismo<br />
hortoniano di produzione del deflusso superficiale, che ha una risposta veloce sia<br />
nella fase di cresc<strong>it</strong>a che nella fase di estinzione dell’idrogramma. Un’altra<br />
conseguenza di questo fatto è lo sfasamento in anticipo (circa 2 ore) del primo picco<br />
di piena, dovuto comunque anche ad altri fattori come la variazione con il tirante,<br />
assieme alle veloc<strong>it</strong>à medie (cfr. equazione 3.43), della celer<strong>it</strong>à dei canali che abbiamo<br />
assunto costante. Altri ancora che considereremo nel segu<strong>it</strong>o sono: l’assunzione degli<br />
stessi parametri per tutti i sottobacini, la scansione oraria delle piogge e quindi dei<br />
calcoli ad esse relativi e la scarsa aderenza alla realtà del modello di laminazione.<br />
Va comunque osservato che l’accuratezza nella stima della fase di decadimento della<br />
piena ha poca importanza ai fini della sicurezza idraulica del bacino, o comunque<br />
un’importanza minore rispetto all’ent<strong>it</strong>à dei picchi di portata o alla fase di cresc<strong>it</strong>a.<br />
5.2.2. Laminazione a Barcis<br />
Per quanto riguarda l’influenza del lago di Barcis sulla modellazione, dal grafico<br />
seguente si possono osservare alcuni fatti importanti.<br />
portata (m 3 /s)<br />
700<br />
600<br />
500<br />
400<br />
300<br />
200<br />
100<br />
Portate e laminazione nel lago di Barcis<br />
fluente (mis)<br />
scarico (mis)<br />
entrante (calc)<br />
uscente (calc)<br />
0<br />
22/11/02 23/11/02 24/11/02 25/11/02 26/11/02 27/11/02 28/11/02 29/11/02<br />
tempo<br />
Figura 5.2 : Idrogramma delle portate misurate e calcolate nel lago di Barcis; le portate “entrante”<br />
e “fluente” fanno riferimento alla sezione dove il Cellina si immette nel lago, quella “uscente” è<br />
relativa allo sfioratore sul coronamento della diga, lo “scarico” è misurato immediatamente a<br />
valle dello sbarramento<br />
Innanz<strong>it</strong>utto si nota come l’ent<strong>it</strong>à della laminazione calcolata sia notevolmente<br />
inferiore a quella misurata. Questa forte differenza discende dal fatto, già accennato<br />
nel cap<strong>it</strong>olo 2, che durante le piene si rende necessaria l'apertura dello scarico a<br />
Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 50
cilindro mobile al fine di salvaguardare l'ab<strong>it</strong>ato di Barcis dagli allagamenti. La<br />
modellazione dello scarico di superficie è in generale realizzabile, ma avrebbe una<br />
scarsa valenza ai fini di un modello da utilizzare per piene di progetto: non si<br />
possono prevedere con sicurezza le manovre che il gestore dell’impianto andrà ad<br />
operare durante l’evento. Inoltre la s<strong>it</strong>uazione di progetto deve corrispondere a<br />
quella più sfavorevole, in questo caso coincidente con lo scarico di superficie chiuso.<br />
Il modello di laminazione esposto nel cap<strong>it</strong>olo 3 e usato nel software risulta pertanto<br />
corretto sotto il profilo teorico, ma al contempo poco aderente alla realtà.<br />
In seconda battuta si può osservare come i picchi calcolati risultino sottostimati e<br />
sfasati in r<strong>it</strong>ardo rispetto a quelli misurati, quindi una s<strong>it</strong>uazione diametralmente<br />
opposta a quanto accadeva per la sezione di Ravedis. Ciò è dovuto prima di tutto al<br />
fatto che i parametri del modello sono stati tarati su quest’ultima sezione, dove la<br />
portata in output è funzione di molti fattori, ognuno con il proprio grado di errore.<br />
Alcuni sono caratteristici dei singoli sottobacini, come l’ent<strong>it</strong>à della produzione di<br />
deflusso superficiale, il lasso di tempo che intercorre tra la pioggia e il relativo<br />
deflusso profondo, ecc. Altri sono caratteristici della fase di trasporto delle portate,<br />
dove ad esempio la celer<strong>it</strong>à sarà diversa per i diversi tratti delle aste fluviali e varierà<br />
con il tirante, come si è visto nel punto precedente. L’assunzione degli stessi<br />
parametri per tutti i sottobacini, e quindi la loro definizione in funzione della risposta<br />
a Ravedis, implica una media che minimizza le differenze tra misura e simulazione.<br />
In generale i parametri scelti sono diversi da quelli che andrebbero defin<strong>it</strong>i in<br />
corrispondenza delle sezioni di chiusura dei singoli sottobacini, e quindi diversi<br />
anche da quelli che approssimano nel migliore dei modi l’idrogramma a Barcis.<br />
In defin<strong>it</strong>iva il modello tarato a Ravedis potrà essere usato unicamente per calcolare<br />
idrogrammi di progetto a Ravedis, mentre per altre sezioni di chiusura il modello<br />
andrà ricalibrato. L’unico modo per superare questo lim<strong>it</strong>e sarebbe quello di avere a<br />
disposizione le misure di portata di tutte le diverse sezioni di chiusura, ed effettuare<br />
prima una calibrazione per ogni sottobacino e poi una calibrazione per il trasporto<br />
dell’onda. Come si è già visto, però, i dati di portata a disposizione sono relativi a<br />
pochi eventi di piena, affetti da notevole errore e lim<strong>it</strong>ati a poche sezioni.<br />
5.2.3. Scarti<br />
Alla fine di questo paragrafo risulta interessante osservare l’andamento e l’ent<strong>it</strong>à<br />
degli scarti tra portate calcolate e misurate durante l’evento di piena, al fine di<br />
effettuare qualche considerazione sulla metodologia di calibrazione del modello<br />
contenuta nel terzo modulo del TOPMODEL, chiamata GLUE, che non è stata<br />
utilizzata nel presente lavoro di tesi.<br />
La metodologia Generalized Likelihood Uncertainty Estimation si basa su misure di<br />
efficienza della risposta del modello a più set di parametri, generati con metodi<br />
Montecarlo all’interno di un range defin<strong>it</strong>o dall’utente. La funzione obiettivo da<br />
minimizzare per raggiungere il più alto grado di efficienza risulta essere un rapporto<br />
al cui numeratore si trova la media degli scarti quadratici:<br />
Var ( E)<br />
Eff = 1− Var Q<br />
( )<br />
Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 51
Var<br />
( E)<br />
=<br />
Nstep<br />
( ) 2<br />
∑ Qi − Qi,<br />
oss<br />
i=<br />
1<br />
N<br />
step<br />
Nstep 2<br />
∑Q i, oss<br />
Nstep<br />
∑Qi,<br />
oss<br />
i= 1 i=<br />
1<br />
Var ( Q)<br />
=<br />
Nstep ⎛<br />
⎜<br />
−⎜ ⎜<br />
⎜<br />
⎝<br />
Nstep<br />
⎞<br />
⎟<br />
⎟<br />
⎟<br />
⎟<br />
⎠<br />
dove Eff è l’efficienza del set di parametri<br />
Q è il valore della portata misurato all’i–esima ora<br />
portata (m 3 /s)<br />
ioss ,<br />
Q i è il valore della portata calcolato all’i–esima ora<br />
N è il numero di ore della durata della simulazione<br />
800<br />
700<br />
600<br />
500<br />
400<br />
300<br />
200<br />
100<br />
0<br />
step<br />
24/11/02 18.00<br />
25/11/02 0.00<br />
25/11/02 6.00<br />
25/11/02 12.00<br />
25/11/02 18.00<br />
26/11/02 0.00<br />
26/11/02 6.00<br />
26/11/02 12.00<br />
Scarti<br />
26/11/02 18.00<br />
27/11/02 0.00<br />
tempo (ora)<br />
27/11/02 6.00<br />
27/11/02 12.00<br />
27/11/02 18.00<br />
28/11/02 0.00<br />
28/11/02 6.00<br />
misurate<br />
calcolate<br />
scarti<br />
Figura 5.3 : Scarti (in valore assoluto) tra portate misurate e calcolate nella sezione di chiusura di<br />
Ravedis, sovrapposti agli idrogrammi di figura 5.1<br />
È interessante notare che, essendo i termini al denominatore gli stessi per ogni<br />
simulazione, il GLUE valuta come più efficiente il set di parametri che, mediamente,<br />
minimizza gli scarti tra realtà e simulazione. In questo modo il peso degli scarti è lo<br />
stesso per ogni istante dell’evento di piena, mentre nella pratica gli istanti<br />
significativi ai fini della validazione di un set di parametri sono generalmente<br />
rappresentati dai picchi di piena. Può così accadere che un set che approssima bene<br />
le portate massime venga considerato meno efficiente di uno, o di molti, che<br />
presentano uno scarto elevato in corrispondenza dei picchi.<br />
Sempre a tal propos<strong>it</strong>o, va osservato anche che nella metodologia TOPMODEL in<br />
generale si assumono i valori di celer<strong>it</strong>à e diffusiv<strong>it</strong>à come costanti caratteristiche,<br />
rispettivamente di overland e canali per la definizione dell’idrogramma del<br />
sottobacino e del canale principale per quanto concerne il trasporto dell’onda di<br />
piena. Può così accadere che un set di parametri che riproduce correttamente la<br />
forma dell’idrogramma misurato, ma che risulta sfasato da questo per una errata<br />
definizione delle celer<strong>it</strong>à, venga considerato poco efficiente. Data la cadenza oraria<br />
28/11/02 12.00<br />
Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 52<br />
28/11/02 18.00<br />
29/11/02 0.00
delle piogge e quindi di calcoli e risultati, gli scarti che per un dato sfasamento<br />
risultano elevati potrebbero essere piccoli per una traslazione dell’idrogramma<br />
calcolato anche di una sola ora, soprattutto considerando risposte veloci del modello<br />
alle piogge.<br />
5.3. Dinamica del deflusso<br />
Con l’implementazione nel codice sorgente degli output cui si è accennato nel<br />
cap<strong>it</strong>olo 4, è possibile visualizzare una serie di grafici relativi alle varie fasi di<br />
produzione e di trasporto dei deflussi, sia per completezza nella presentazione dei<br />
risultati quanto per effettuare un controllo sulla bontà della simulazione.<br />
Nel segu<strong>it</strong>o si riportano, in quanto maggiormente significativi, i grafici relativi ad<br />
infiltrazione, ruscellamento e deflusso profondo e si tralasciano quelli relativi alla<br />
dinamica interna del flusso sotterraneo. Il tempo viene espresso in ore ed è contato a<br />
partire dalle ore 9.00 del 21 novembre 2002.<br />
Innanz<strong>it</strong>utto si può visualizzare l’andamento nel tempo del tasso di infiltrazione, che<br />
seguirà la legge di Horton defin<strong>it</strong>a dall’equazione (3.21):<br />
d<br />
f () t = fc + max ( f0− fc)<br />
SR<br />
Va ricordato che il modello ripartisce, in funzione dell’area del sottobacino, la portata<br />
iniziale Q 0 necessaria all’inizializzazione del calcolo del defic<strong>it</strong> d . In conseguenza di<br />
ciò l’evoluzione temporale del rate di infiltrazione varia da sottobacino a sottobacino,<br />
ma parte per tutti dallo stesso valore iniziale e termina con lo stesso valore a<br />
saturazione f 0 .<br />
Tasso infiltrazione (m/h)<br />
0.0215<br />
0.021<br />
0.0205<br />
0.02<br />
0.0195<br />
0.019<br />
0.0185<br />
0.018<br />
0.0175<br />
Infiltrazione<br />
0 20 40 60 80 100<br />
Tempo (h)<br />
120 140 160 180<br />
Cellina alto Settimana Cimoliana Cellina medio Barcis Alba Cellina basso<br />
Figura 5.4 : Variazione del tasso di infiltrazione nel tempo<br />
Per quanto riguarda il runoff, nei grafici seguenti possiamo distinguere l’aliquota<br />
dovuta al meccanismo di Horton, ossia l’eccesso di infiltrazione, da quella dovuta al<br />
meccanismo di Dunne, ossia per intercettazione del piano campagna da parte della<br />
falda freatica. Va ricordato che i valori si riferiscono al runoff prodotto nell’istante<br />
temporale, quindi non ancora trasportato alla sezione di chiusura.<br />
Come era lec<strong>it</strong>o attendersi l’infiltration excess, ossia il runoff prodotto secondo la legge<br />
di Horton, entra in gioco in modo significativo quasi unicamente attorno all’ora 100,<br />
Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 53
ossia in corrispondenza dei massimi valori di pioggia misurati (cfr. figura 4.1). In<br />
riferimento all’idrogramma di figura 5.1, il primo picco di portata risulta così<br />
determinato, oltre che dal saturation excess, anche dall’eccesso di infiltrazione.<br />
Osservando l’ultimo grafico proposto si può poi notare che il secondo picco risulta<br />
invece determinato in maniera preminente dal deflusso di base oltre che dall’eccesso<br />
per saturazione.<br />
Con queste osservazioni è possibile giustificare in maniera più aderente alla realtà la<br />
conformazione anti-intu<strong>it</strong>iva della piena utilizzata in questo lavoro di tesi: tenuto<br />
comunque conto dei tempi di corrivazione, il picco assoluto della portata non<br />
corrisponde infatti al picco assoluto delle piogge. Se non si tenesse conto<br />
dell’infiltration excess, la calibrazione del modello si tradurrebbe in una sovrastima<br />
della risposta del flusso sotterraneo. Di conseguenza, come si vedrà nel prossimo<br />
paragrafo, i due modelli con e senza il ruscellamento alla Horton si comporteranno in<br />
maniera molto diversa nelle previsioni con piogge di progetto, in generale multiple<br />
di quella a intens<strong>it</strong>à relativamente bassa utilizzata per calibrare il modello.<br />
Deflusso superficiale hortoniano (m 3 /s)<br />
120<br />
100<br />
80<br />
60<br />
40<br />
20<br />
Infiltration excess (non trasportato)<br />
0<br />
0 20 40 60 80 100<br />
Tempo (h)<br />
120 140 160 180<br />
Cellina alto Settimana Cimoliana Cellina medio Barcis Alba Cellina basso<br />
Figura 5.5 : Ruscellamento superficiale alla Horton per i diversi sottobacini<br />
Deflusso superficiale di Dunne (m 3 /s)<br />
250<br />
200<br />
150<br />
100<br />
50<br />
Saturation excess (non trasportato)<br />
0<br />
0 20 40 60 80 100<br />
Tempo (h)<br />
120 140 160 180<br />
Cellina alto Settimana Cimoliana Cellina medio Barcis Alba Cellina basso<br />
Figura 5.6 : Ruscellamento superficiale alla Dunne per i diversi sottobacini<br />
Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 54
Deflusso di base (m 3 /s)<br />
45<br />
40<br />
35<br />
30<br />
25<br />
20<br />
15<br />
10<br />
5<br />
0<br />
Baseflow totale (non trasportato)<br />
0 20 40 60 80 100<br />
Tempo (h)<br />
120 140 160 180<br />
Cellina alto Settimana Cimoliana Cellina medio Barcis Alba Cellina basso<br />
Figura 5.7 : Deflusso di base per i diversi sottobacini<br />
5.4. Influenza del ruscellamento<br />
hortoniano<br />
Questo paragrafo si propone di confermare, da un punto di vista numerico oltre che<br />
teorico, la valid<strong>it</strong>à dell’utilizzo del modello di Horton per la quantificazione del<br />
ruscellamento superficiale. A tale scopo sono state condotte alcune simulazioni con e<br />
senza l’algor<strong>it</strong>mo di calcolo dell’infiltration excess, per piogge d’intens<strong>it</strong>à sia uguale<br />
che multipla di quella utilizzata per calibrare il modello.<br />
5.4.1. Piogge sintetiche<br />
Prima di analizzare le differenze tra la risposta dei differenti modelli alla pioggia<br />
utilizzata per la calibrazione, conviene effettuare il confronto utilizzando una pioggia<br />
sintetica, ossia costante in un certo intervallo temporale. Ciò permette infatti di<br />
visualizzare immediatamente le differenze sostanziali tra i diversi metodi di<br />
modellazione e quindi di verificarne concettualmente il funzionamento.<br />
È stata utilizzata una pioggia con intens<strong>it</strong>à costante di 20mm/h (per oltrepassare il<br />
valore del tasso di infiltrazione a saturazione, pari a 18mm/h) che inizia dopo 24 ore<br />
e di durata fissata in 85 ore, che è poi stata raddoppiata e triplicata.<br />
Innanz<strong>it</strong>utto ci si attende che il modello con l’infiltration excess risponda prima di<br />
quello che contempla il solo saturation excess. Con il ruscellamento alla Horton la<br />
quant<strong>it</strong>à d’acqua che non si infiltra viene infatti trasportata direttamente alla sezione<br />
di chiusura per mezzo dell’IUH geomorfologico: per avere runoff non occorre<br />
attendere che venga superata la capac<strong>it</strong>à di campo nella zona delle radici e che la<br />
classe di celle venga saturata.<br />
Ci si aspetta inoltre che, essendo l’input una pioggia d’intens<strong>it</strong>à costante, i valori di<br />
portata calcolati dai due modelli dopo un certo lasso tempo siano pressoché gli stessi.<br />
Le equazioni ed i parametri che governano le dinamiche delle aree contribuenti<br />
profonde sono infatti le medesime per entrambi i modelli: l’unica differenza sta<br />
quindi nei volumi disponibili in quest’ultima fase, che differiranno tra i due modelli<br />
della quant<strong>it</strong>à che si trasforma immediatamente in ruscellamento hortoniano.<br />
Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 55
Dopo un certo periodo di tempo, nell’ipotesi teorica di pioggia costante di durata<br />
indefin<strong>it</strong>a, il bacino risulterà completamente saturo e verrà annullata la sua capac<strong>it</strong>à<br />
di invasare le piogge per rest<strong>it</strong>uirle con un certo r<strong>it</strong>ardo. Gli inputs e gli outputs<br />
verranno quindi a coincidere: la pioggia viene trasformata interamente in un runoff<br />
costante, a meno della quant<strong>it</strong>à (anch’essa costante) necessaria a ricaricare la falda<br />
per garantire il deflusso profondo. Per entrambi i modelli la portata tenderà così<br />
asintoticamente al massimo valore ammissibile, ossia al prodotto dell’intens<strong>it</strong>à di<br />
pioggia per l’area del bacino.<br />
portata (m 3 /s)<br />
8000<br />
7000<br />
6000<br />
5000<br />
4000<br />
3000<br />
2000<br />
1000<br />
Portate a Ravedis da piogge sintetiche (x=20mm/h)<br />
H1x T1x<br />
H2x T2x<br />
H3x T3x<br />
0<br />
0 20 40 60 80<br />
tempo (ora)<br />
100 120 140<br />
Figura 5.8 : Portate alla sezione di chiusura per piogge sintetiche; il codice H è relativo al modello<br />
con infiltration excess alla Horton, il codice T per il modello senza infiltration excess<br />
Volendo porre la questione in termini quant<strong>it</strong>ativi, possiamo vedere i due diversi<br />
idrogrammi come funzioni dei tre meccanismi di produzione del deflusso, e quindi<br />
in generale come funzione dei soli defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à locale d( k, t ) e medio d ( t ) :<br />
⎧⎪ ⎡ d( k, t)<br />
⎤ ⎫⎪<br />
I () t = Ab{ R() t − ∑ ⎡f ( k, t) w( k) } Ab R() t fc max ( f0 fc) w( k)<br />
k⎣ ⎤⎦ = ⎨ − ∑ + −<br />
k⎢<br />
⎥ ⎬<br />
⎪⎩ ⎣ SR<br />
⎦ ⎭⎪<br />
S() t = Ab∑ ⎡SUZ ( k, t) −d(<br />
k, t) ⎤w(<br />
k)<br />
k ⎣ ⎦<br />
()<br />
()<br />
d t<br />
m<br />
QBt Q0e −<br />
=<br />
dove I () t è il ruscellamento per infiltration excess<br />
S() t è il ruscellamento per saturation excess<br />
QB() t è il deflusso di base<br />
wk ( ) è il peso relativo alla k -esima classe di indice topografico<br />
Queste tre quant<strong>it</strong>à, prodotte in ogni istante temporale, vengono trasportate alla<br />
sezione di chiusura secondo la funzione di risposta data dall’idrogramma un<strong>it</strong>ario<br />
geomorfologico relativo al runoff (basato sui valori celer<strong>it</strong>à e diffusiv<strong>it</strong>à negli<br />
overland) e relativo al deflusso profondo (basato su celer<strong>it</strong>à e diffusiv<strong>it</strong>à nei canali).<br />
Nella forma discreta, ossia per steps temporali fin<strong>it</strong>i, le equazioni che descrivono i<br />
due idrogrammi al generico tempo t sono esprimibili nella maniera seguente:<br />
Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 56
() = ⎡<br />
⎣ () + () ⎤<br />
⎦ O() + ⎡<br />
⎣ ( − 1) + ( − 1) ⎤<br />
⎦ O(<br />
+ 1 ) + ... +<br />
H<br />
+ ⎡<br />
⎣I( t− nO) + S ( t− nO) ⎤<br />
⎦aO(<br />
t+ nO)<br />
+<br />
H H H<br />
+ QB() t aC() t + QB ( t− 1) aC( t+ 1 ) + ... + QB ( t− nC) aC( t+ nC)<br />
() = ( ) O( ) + ... + ( − O) O( + O)<br />
D<br />
+ Q () t a<br />
D () t + ... + Q ( t− n ) a ( t+ n )<br />
H H H<br />
Q t I t S t a t I t S t a t<br />
D D D<br />
Q t S t a t S t n a t n<br />
B C B C C C<br />
dove l’indice H è relativo al modello con l’infiltration excess<br />
l’indice D è relativo al modello con il solo saturation excess<br />
a O è la funzione di risposta per gli overland<br />
a C è la funzione di risposta per i canali<br />
In generale, con piogge molto intense come quelle utilizzate, la quant<strong>it</strong>à I () t diventa<br />
costante dopo pochi steps. Nel modello senza l’eccesso di infiltrazione, tale quant<strong>it</strong>à è<br />
a disposizione del terreno: aumenterà così la frazione di bacino in condizioni di<br />
saturazione e quindi il ruscellamento per saturazione e il deflusso profondo.<br />
Osservando la figura 5.8 si può così verificare che, dopo la fase iniziale in cui si ha<br />
H D<br />
Q () t > Q () t per la risposta più rapida del ruscellamento hortoniano, ad un certo<br />
punto la s<strong>it</strong>uazione si inverte perchè la frazione di area in condizioni di saturazione<br />
del modello D diventa maggiore di quella relativa al modello H .<br />
Si può infine osservare che, per questioni di continu<strong>it</strong>à, i volumi immessi con le<br />
piogge e rest<strong>it</strong>u<strong>it</strong>i nei canali devono eguagliarsi, a meno delle quant<strong>it</strong>à trattenute nel<br />
terreno per sopperire al defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à e rilasciate poi come esaurimento delle<br />
sorgenti con il termine della pioggia.<br />
5.4.2. Piogge reali e d’intens<strong>it</strong>à multipla<br />
Le stesse operazioni condotte con le piogge sintetiche sono state applicate alle piogge<br />
reali dell’evento di piena considerato.<br />
portata (m 3 /s)<br />
800<br />
700<br />
600<br />
500<br />
400<br />
300<br />
200<br />
100<br />
con infiltration<br />
excess<br />
senza infiltration<br />
excess<br />
Confronto modelli - Portate a Ravedis con piogge singole<br />
0<br />
21/11/02 22/11/02 23/11/02 24/11/02 25/11/02<br />
tempo (ora)<br />
26/11/02 27/11/02 28/11/02 29/11/02<br />
Figura 5.9 : Portate alla sezione di chiusura per piogge reali<br />
Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 57
Come è lec<strong>it</strong>o attendersi, le differenze numeriche tra i due modelli con e senza<br />
l’algor<strong>it</strong>mo di calcolo dell’infiltration excess alla Horton sostanzialmente non<br />
differiscono tra loro se non per quanto riguarda la stima del primo picco di piena.<br />
Questo potrebbe sembrare ininfluente ai fini dell’utilizzo del modello per<br />
simulazioni future: l’unico valore che si prende in considerazione in fase di<br />
progettazione è la massima portata stimata.<br />
Dall’applicazione dei due modelli a piogge d’intens<strong>it</strong>à doppia e tripla, più vicine ai<br />
valori delle piogge di progetto che sol<strong>it</strong>amente si adottano, si può invece notare che il<br />
considerare o meno il ruscellamento hortoniano discrimina fortemente la<br />
simulazione della risposta del sistema imbrifero.<br />
portata (m 3 /s)<br />
5000<br />
4500<br />
4000<br />
3500<br />
3000<br />
2500<br />
2000<br />
1500<br />
1000<br />
500<br />
con infiltration excess 2x<br />
senza infiltration excess 2x<br />
con infiltration excess 3x<br />
senza infiltration excess 3x<br />
Confronto modelli - Portate a Ravedis con piogge multiple<br />
0<br />
21/11/02 22/11/02 23/11/02 24/11/02 25/11/02<br />
tempo (ora)<br />
26/11/02 27/11/02 28/11/02 29/11/02<br />
Figura 5.10 : Portate alla sezione di chiusura per piogge reali<br />
Innanz<strong>it</strong>utto si può notare come l’idrogramma perde il suo carattere antintu<strong>it</strong>ivo solo<br />
con piogge triple per la variante senza infiltration excess, mentre per quella che<br />
contempla il ruscellamento alla Horton il picco delle portate coincide con quello delle<br />
precip<strong>it</strong>azioni già con piogge doppie. Inoltre la differenza nella stima della massima<br />
portata tra i due modelli per le piogge triple è pari a circa 800m 3 /s, che equivalgono<br />
al 20÷30%.<br />
In defin<strong>it</strong>iva il considerare o meno il ruscellamento hortoniano, che ha una base fisica<br />
ben precisa e verificata in altri eventi di piena dei bacini montani dell’Alto Adriatico,<br />
potrebbe portare ad errori sia concettuali che numerici significativi nella stima delle<br />
portate massime per assegnate piogge di progetto.<br />
Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 58
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