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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE<br />

FACOLTÀ DI INGEGNERIA<br />

CORSO DI LAUREA TRIENNALE<br />

IN INGEGNERIA CIVILE IDRAULICA<br />

Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale<br />

Sezione Idraulica e Geotecnica<br />

TESI DI LAUREA<br />

MODELLAZIONE IDROLOGICA<br />

DI BACINI MONTANI<br />

Laureando: Relatore:<br />

PAOLO MARTINIS Chiar.mo Prof. Ing. VIRGILIO FIOROTTO<br />

Correlatori:<br />

Chiar.mo Prof. Ing. ELPIDIO CARONI<br />

Dott. Ing. DANIELE TIRELLI<br />

ANNO ACCADEMICO 2005 - 2006


Indice generale<br />

1. Introduzione 1<br />

2. Il bacino del Cellina 5<br />

2.1. Inquadramento geografico 5<br />

2.1.1. Geomorfologia 6<br />

2.1.2. Idrografia 7<br />

2.1.3. Il regime pluviometrico 8<br />

2.1.4. Il contesto terr<strong>it</strong>oriale 11<br />

2.2. Le opere di regimazione 12<br />

2.2.1. Il lago di Barcis 12<br />

2.2.2. Il lago di Ravedis 14<br />

3. Il modello idrologico 18<br />

3.1. Il TOPMODEL 19<br />

3.1.1. Considerazioni generali 19<br />

3.1.2. Struttura del TOPMODEL 20<br />

3.2. Calcolo dell’indice topografico 21<br />

3.2.1. Preprocesso 21<br />

3.2.2. Calcolo 22<br />

3.3. Calcolo dei deflussi 24<br />

3.3.1. Permeabil<strong>it</strong>à 24<br />

3.3.2. Superficie 27<br />

3.3.3. Zona delle radici 28<br />

3.3.4. Zona insatura 28<br />

3.3.5. Zona satura 29<br />

3.3.6. Condizioni iniziali 29<br />

3.4. L’idrogramma un<strong>it</strong>ario istantaneo geomofrologico 30<br />

3.4.1. L’idrogramma un<strong>it</strong>ario istantaneo 30<br />

3.4.2. I modelli geomorfologici 32<br />

3.4.3. La funzione d’ampiezza 33<br />

3.4.4. Espressione dell’idrogramma 34<br />

3.5. La propagazione lungo l’asta fluviale 35<br />

3.5.1. Il modello parabolico 35<br />

3.5.2. La laminazione nei laghi 39<br />

4. Fase operativa 41<br />

4.1. Reperimento dati e software 41<br />

4.2. Utilizzo del GIS 42<br />

4.2.1. Introduzione ai Sistemi Informativi Terr<strong>it</strong>oriali 42<br />

4.2.2. Dalla cartografia numerica al DEM 43<br />

4.3. Elaborazione DTM 44<br />

4.4. Distribuzione spaziale delle precip<strong>it</strong>azioni 44<br />

4.5. Determinazione della funzione d’ampiezza 45<br />

4.6. Ottimizzazione del software 45<br />

I


5. Analisi dei risultati e conclusioni 48<br />

5.1. I parametri scelti 48<br />

5.2. Confronto tra portate calcolate e misurate 49<br />

5.2.1. Portate a Ravedis 49<br />

5.2.2. Laminazione a Barcis 50<br />

5.2.3. Scarti 51<br />

5.3. Dinamica del deflusso 53<br />

5.4. Influenza del ruscellamento hortoniano 55<br />

5.4.1. Piogge sintetiche 55<br />

5.4.2. Piogge reali e d’intens<strong>it</strong>à multipla 57<br />

II


1. Introduzione<br />

L’obiettivo del presente lavoro di tesi è quello di applicare il modello idrologico<br />

afflussi-deflussi sviluppato dalla Sezione di Idraulica e Geotecnica del Dipartimento<br />

di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Univers<strong>it</strong>à di Trieste al bacino montano del<br />

torrente Cellina, s<strong>it</strong>o nella Provincia di Pordenone.<br />

Come si vedrà dettagliatamente nel cap<strong>it</strong>olo 3, il modello è basato sulla modellistica<br />

semi-distribu<strong>it</strong>a rappresentata dal TOPMODEL dell’Univers<strong>it</strong>à di Lancaster, alla<br />

quale sono state aggiunte la generazione dell’onda di piena secondo cr<strong>it</strong>eri<br />

geomorfologici, la laminazione della stessa nei serbatoi artificiali e la produzione di<br />

ruscellamento superficiale secondo la legge di Horton.<br />

Il lavoro di tesi si incentra principalmente sull’analisi di quest’ultima<br />

implementazione, ovvero della sua potenza nel descrivere le immediate risposte dei<br />

sistemi idrografici alpini dell’Alto Adriatico ad eventi di pioggia con intens<strong>it</strong>à<br />

eccezionale, come verificato nella recente alluvione nell’area del Tarvisiano.<br />

Il modello ottenuto potrà simulare il comportamento idrologico del bacino in<br />

corrispondenza della stretta di Ravedis a partire dai soli ietogrammi di progetto e,<br />

con alcune ricalibrature, anche in corrispondenza dell’immissione del Cellina nel<br />

futuro lago di Ravedis.<br />

Il meccanismo di trasformazione degli afflussi meteorici in deflussi delle acque è<br />

oggetto di notevole interesse sia per l’importanza dei processi fisici coinvolti, sia per<br />

le potenzial<strong>it</strong>à della modellazione come strumento di gestione della risorsa idrica<br />

presente sul terr<strong>it</strong>orio. Se essa, infatti, in condizioni ordinarie risulta valutabile e<br />

sfruttabile secondo le esigenze, non altrettanto si può asserire per gli eventi estremi.<br />

Esistono diverse tipologie di modelli per la trasformazione afflussi-deflussi,<br />

catalogate in tre gruppi in funzione del dettaglio nella descrizione spaziale:<br />

concentrati, distribu<strong>it</strong>i e semidistribu<strong>it</strong>i. La modellazione di tipo concentrato,<br />

utilizzando solo equazioni differenziali ordinarie e non consentendo una<br />

distribuzione spaziale delle grandezze in gioco, fornisce dei risultati spesso<br />

approssimativi ma, a volte, validi soprattutto per la relativa semplic<strong>it</strong>à con cui sono<br />

stati costru<strong>it</strong>i. Dall’altra parte i modelli di tipo distribu<strong>it</strong>o vanno ad utilizzare dati<br />

spazialmente variabili consentendone una diversificazione sul terr<strong>it</strong>orio in analisi, la<br />

cui risposta idrologica è però fortemente dipendente dalla completa ed omogenea<br />

distribuzione sul terr<strong>it</strong>orio dei dati raccolti.<br />

I modelli semidistribu<strong>it</strong>i, pur essendo strutturati in termini di processi fisicamente<br />

basati, rappresentano l’effetto complessivo dell’interazione tra fenomeni ben più<br />

articolati. Ne risulta quindi indispensabile una taratura, legata però in qualche<br />

misura al loro significato fisico: in questo sta il loro pregio. Lo sviluppo dei GIS<br />

(Geographical Information System o Sistemi Informativi Terr<strong>it</strong>oriali) ha cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o le<br />

basi necessarie alla realizzazione dei modelli idrologici semidistribu<strong>it</strong>i. Una famiglia<br />

di questi è derivata dallo schema TOPMODEL, un modello concettuale ad area<br />

Introduzione – pag. 1


contribuente variabile in cui i fattori predominanti che determinano la generazione<br />

del deflusso sono la topografia del bacino ed una legge esponenziale che lega la<br />

conduttiv<strong>it</strong>à idraulica del terreno con la profond<strong>it</strong>à rispetto al piano campagna. In<br />

questo senso, rispetto alle variabili di input-output, esso è di tipo concentrato, ma<br />

tiene conto sia della distribuzione planoaltimetrica del bacino che delle caratteristiche<br />

della rete idrografica. Sua caratteristica specifica è, inoltre, quella di utilizzare un<br />

idrogramma un<strong>it</strong>ario istantaneo (IUH) forn<strong>it</strong>o dall’utente quale kernel di<br />

convoluzione alla sezione d’usc<strong>it</strong>a della portata totale prodotta nel bacino.<br />

Nella presente applicazione, il TOPMODEL è stato impiegato per rappresentare<br />

singoli sottobacini che alimentano la rete del canale principale al fine di considerare,<br />

in qualche misura, anche la distribuzione spaziale delle precip<strong>it</strong>azioni. I vari<br />

idrogrammi di piena, ottenuti per i singoli sottobacini in risposta alle sequenze di<br />

precip<strong>it</strong>azione, sono stati quindi propagati lungo l’asta principale sino alla sezione di<br />

chiusura, tenendo anche conto dell’effetto di laminazione nei bacini di r<strong>it</strong>enuta, in<br />

particolare nel lago di Barcis.<br />

Il torrente Cellina presenta tutte le caratteristiche chiave dei bacini alpini del nordest,<br />

fondamentalmente: risposte molto rapide a piogge di particolare intens<strong>it</strong>à, dovute al<br />

clima tipico dell’alto Adriatico; presenza di invasi artificiali per sfruttamento<br />

idroelettrico ed irriguo; bassa antropizzazione del terr<strong>it</strong>orio ma forte importanza per<br />

la produzione delle piene a valle.<br />

Insieme al torrente Meduna, il Cellina fa parte del bacino montano che insiste sulla<br />

zona dell’alta pianura pordenonese. L’ab<strong>it</strong>ato di Pordenone risulta essere in una<br />

posizione decisamente sfavorevole per quanto riguarda i possibili allagamenti, sia<br />

perché in prossim<strong>it</strong>à della confluenza dei torrenti sopra c<strong>it</strong>ati, sia perché posto in<br />

zona leggermente depressa rispetto ai terr<strong>it</strong>ori circostanti ed anche a causa di<br />

differenti problemi idrologici creati da altri corsi d’acqua come il Noncello.<br />

Figura 1.1 : Elaborazione DTM del bacino idrografico del Cellina all’interno della regione<br />

Friuli Venezia Giulia a partire dalla Carta Regionale Numerica 1:25000; in rosso i confini dei<br />

sottobacini, in blu il reticolo idrografico<br />

Introduzione – pag. 2


Nel mese di novembre 2002 il terr<strong>it</strong>orio della regione Friuli Venezia Giulia è stato<br />

ripetutamente interessato da precip<strong>it</strong>azioni meteoriche di forte intens<strong>it</strong>à, tanto da<br />

raggiungere per alcune zone circa un terzo della piovos<strong>it</strong>à media annuale. In<br />

particolare, nei giorni 3 e 4, 6 e 7, 15-17, 20-21 e 24-26 novembre 2002 eventi<br />

meteorici di particolare intens<strong>it</strong>à e persistenza si sono verificati con effetti rovinosi<br />

nei terr<strong>it</strong>ori delle province di Gorizia, Udine e Pordenone. La successione delle<br />

ondate di maltempo ha provocato estesi allagamenti, gravissimi dissesti d’alveo,<br />

frane, colate detr<strong>it</strong>iche e notevoli danni alle infrastrutture pubbliche ed ai beni mobili<br />

ed immobili di privati ed imprese, in particolare nel bacino pordenonese del fiume<br />

Livenza di cui il Cellina fa parte.<br />

Intens<strong>it</strong>à di pioggia (m/h)<br />

30.0<br />

25.0<br />

20.0<br />

15.0<br />

10.0<br />

5.0<br />

0.0<br />

21/11/02 0.00<br />

22/11/02 0.00<br />

23/11/02 0.00<br />

Piogge registrate a Prescudin<br />

24/11/02 0.00<br />

25/11/02 0.00<br />

Tempo (h)<br />

Figura 1.2 : Ietogramma nella stazione di Prescudin dal 21 al 28 novembre 2002<br />

Va osservato che le forti piogge che hanno interessato il bacino nelle giornate del 24,<br />

25 e 26 novembre, da sole, non possono dar ragione della grav<strong>it</strong>à delle condizioni<br />

idrauliche venutesi a determinare: il sistema idraulico della pianura pordenonese ha<br />

infatti retto, nel passato, piene con maggiori valori di picco delle portate provenienti<br />

dal bacino montano, subendo danni più contenuti. Un caso recente di utile confronto<br />

risulta la piena del novembre 2000, quando le portate in arrivo raggiunsero al colmo i<br />

1700 m 3 /s, valori superiori del 30% rispetto a quanto registrato nell’ultimo evento del<br />

2002.<br />

Si è scelto in defin<strong>it</strong>iva il secondo evento di piena del novembre 2002 (piogge dal 21<br />

al 28 del mese) per la sua importanza nella generazione di eventi calam<strong>it</strong>osi, per le<br />

sue caratteristiche di intens<strong>it</strong>à elevata ma lontana dai valori massimi, di<br />

conformazione a tre picchi successivi dello ietogramma e infine perchè è stato<br />

possibile effettuare alcuni confronti con modellazioni precedenti relative allo stesso<br />

evento.<br />

I cap<strong>it</strong>oli che seguono presentano il lavoro svolto seguendo la sua scansione<br />

temporale. Il secondo cap<strong>it</strong>olo analizza l’area di studio in relazione alle sue<br />

caratteristiche geomorfologiche, idrografiche, pluviometriche e terr<strong>it</strong>oriali, oltre alle<br />

opere di regimazione dei deflussi posizionate lungo il corso d’acqua. Il terzo cap<strong>it</strong>olo<br />

presenta i lineamenti teorici che stanno alla base del modello afflussi-deflussi<br />

sviluppato dall’Univers<strong>it</strong>à di Trieste, focalizzando l’attenzione sugli algor<strong>it</strong>mi<br />

26/11/02 0.00<br />

27/11/02 0.00<br />

28/11/02 0.00<br />

29/11/02 0.00<br />

Introduzione – pag. 3


implementati alla formulazione originale del TOPMODEL dal Dipartimento di<br />

Ingegneria Civile e Ambientale. Il quarto cap<strong>it</strong>olo presenta le operazioni che si sono<br />

rese necessarie al fine di preparare e calibrare il modello sull’area di studio. Nel<br />

quinto ed ultimo cap<strong>it</strong>olo si analizzano i risultati ottenuti e si fanno alcune<br />

considerazioni in mer<strong>it</strong>o all’importanza della produzione del ruscellamento per<br />

eccesso di infiltrazione nei bacini montani.<br />

Introduzione – pag. 4


2. Il bacino del Cellina<br />

Il presente cap<strong>it</strong>olo si propone di inquadrare l’area di studio in relazione alle<br />

caratteristiche maggiormente rilevanti del bacino imbrifero del Cellina, al fine di<br />

impostare correttamente l’analisi idrologica. C<strong>it</strong>ando Ke<strong>it</strong>h Beven, la modellazione<br />

idrologica non può prescindere da una buona conoscenza dell’area di studio e da<br />

un’attenta valutazione di tutte le componenti del sistema imbrifero. È facile, infatti,<br />

incorrere in errori anche grossolani e proporre modelli calibrati che, nella realtà, male<br />

approssimano le dinamiche di produzione dei deflussi a causa di analisi e<br />

considerazioni poco attente sulle caratteristiche particolari dell’area di studio.<br />

In questo cap<strong>it</strong>olo verrà presentata la s<strong>it</strong>uazione geografica del bacino in relazione<br />

alla geomorfologia, all’idrografia, al regime pluviometrico e al contesto terr<strong>it</strong>oriale.<br />

Infine si andranno a presentare le principali opere di regimazione dei deflussi<br />

posizionate lungo il corso d’acqua.<br />

2.1. Inquadramento geografico<br />

Il bacino montano del torrente Cellina si estende su circa 446km 2 ed è racchiuso tra i<br />

bacini del fiume Tagliamento a nordest, del torrente Meduna ad est, del Piave ad<br />

ovest e l’alta pianura pordenonese a sud.<br />

Nella zona settentrionale sono presenti le tre valli a ventaglio dei torrenti Cimoliana,<br />

Settimana e Cellina (l’unico a carattere perenne) dove si notano un’imponente<br />

presenza di alluvioni dovute al forte trasporto solido in atto assieme ad importanti<br />

fenomeni di degradazione delle rocce. I tre torrenti confluiscono in un vasto depos<strong>it</strong>o<br />

alluvionale chiamato “conca di Pinedo”. Da Pinedo fino alla stretta di Barcis si ha poi<br />

una valle stretta dove il canale è stato scavato nella roccia: qui il Cellina riceve<br />

l’apporto di sei torrenti prima di immettersi nel serbatoio artificiale di Barcis. Dopo<br />

Barcis il letto assume il carattere di forra, e sono ben visibili i fenomeni erosivi<br />

denominati “marm<strong>it</strong>te dei giganti”. Si r<strong>it</strong>rova una modesta espansione solo prima<br />

della chiusura del bacino montano, rappresentata dalla stretta di Ravedis. Infine il<br />

Cellina esce dal proprio corso montano per immettersi nel Meduna attraverso un<br />

ampio letto scavato dalle alluvioni.<br />

La linea dello spartiacque è quasi sempre superiore ai 1500m sul medio mare: lungo<br />

essa si incontrano i monti Raut (2020m), Caserine (2309m), Cima Monfalcon (2703m),<br />

Col Nudo (2471m) e Monte Cavallo (2250m). L’orografia è abbastanza disomogenea:<br />

nella parte settentrionale si trova una successione di catene montuose che si<br />

protendono da nordest a sudovest, mentre a meridione una serie di poderosi speroni<br />

della catena cretacea divide il bacino montano dalla pianura pordenonese.<br />

Il bacino del Cellina – pag. 5


2.1.1. Geomorfologia<br />

La geologia del terr<strong>it</strong>orio si presenta alquanto complessa a causa delle molte<br />

viciss<strong>it</strong>udini geologiche che hanno portato ad un forte disordine idrogeologico<br />

dell’insieme.<br />

2.1.1.1. L<strong>it</strong>ologia e tettonica<br />

La l<strong>it</strong>ologia è ben individuabile dall’affioramento superficiale di varie rocce,<br />

prevalentemente:<br />

- la dolomia principale, alla quale sono dovuti crostoni, campanili, guglie e<br />

pinnacoli;<br />

- la dolomia a facies di Dachstein ed i calcari giura-liassici, che cost<strong>it</strong>uiscono<br />

imponenti massicci con ripide pareti, tozzi torrioni e valli anguste;<br />

- il calcare ippur<strong>it</strong>ico cretaceo, che si presenta in altopiani carsici con doline e<br />

campi carreggiati.<br />

Figura 3.1 : Carta degli affioramenti l<strong>it</strong>ologici nel Friuli Venezia Giulia; fonte: Protezione<br />

Civile Regionale.<br />

Dell’era del Triassico si trovano le formazioni dei calcari dei Caprizzi e della dolomia<br />

principale, in una successione di calcari dolom<strong>it</strong>ici e dolomie dal tipico colore grigio.<br />

La potenza di tale strato risulta notevole, tra i 1200m ed i 1400m, e rappresenta il<br />

substrato più antico con cui inizia la successione stratigrafica affiorante.<br />

All’era giurassica appartengono i calcari grigi di Noriglio, la cui formazione ha<br />

sub<strong>it</strong>o nel tempo ripetuti schiacciamenti e deformazioni, i calcari ool<strong>it</strong>ici di San<br />

Vigilio e i calcari appartenenti alla formazione del rosso ammon<strong>it</strong>ico veneto.<br />

L’Eocene si presenta nella zona come formazione flyschoide, un’alternanza di strati<br />

di arenaria e di marna, la cui potenza risulta assai variabile.<br />

I tipi l<strong>it</strong>ologici del Terziario, fondamentalmente scaglia rossa, marne eoceniche e<br />

arenarie mioceniche, sono presenti in piccola percentuale e formano dei lenti dossi<br />

collinosi.<br />

I l<strong>it</strong>otipi che caratterizzano il Quaternario sono esclusivamente di tipo sciolto, non<br />

essendo rilevata la presenza di alcun depos<strong>it</strong>o che abbia sub<strong>it</strong>o fenomeni di<br />

cementazione: soprattutto nella parte nordoccidentale sono consistenti i depos<strong>it</strong>i<br />

Il bacino del Cellina – pag. 6


alluvionali e morenici, i detr<strong>it</strong>i di falda ed i coni di deiezione, dovuti agli importanti<br />

fenomeni di dissesto idrogeologico ancora in atto.<br />

Le condizioni tettoniche hanno dato luogo generalmente a dei versanti meridionali<br />

molto più ripidi di quelli settentrionali; è infatti possibile dividere il bacino in tre<br />

parti:<br />

- a sud di Barcis gli strati cost<strong>it</strong>uiscono una ampia volta che culmina lungo la<br />

linea lim<strong>it</strong>e del bacino e si immergono con modesta inclinazione a<br />

settentrione;<br />

- la parte media comprende un fascio di quattro pieghe sinclinali dove gli strati<br />

sono generalmente immersi a settentrione con inclinazioni variabili;<br />

- la parte settentrionale è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a da una potente successione di strati<br />

dolom<strong>it</strong>ici sub-orizzontali, che formano il nucleo di un’anticlinale rovesciata<br />

sulla quarta piega sinclinale della parte media.<br />

2.1.1.2. Permeabil<strong>it</strong>à<br />

Per quanto riguarda la permeabil<strong>it</strong>à l’area totale del bacino può essere così ripart<strong>it</strong>a:<br />

- le rocce poco permeabili per imbibizione (scaglie, scisti eocenici, arenarie<br />

mioceniche) rappresentano circa il 5%;<br />

- le rocce molto permeabili per imbibizione (alluvioni terrazzate, detr<strong>it</strong>i di falda,<br />

coni di deiezione, alluvioni attuali) rappresentano circa il 5.6%;<br />

- le rocce poco permeabili per fessurazione (dolomie marnose, dolomie e calcari<br />

dolom<strong>it</strong>ici, calcari mandorlati) rappresentano circa il 75%;<br />

- le rocce carsiche (fondamentalmente calcari ippur<strong>it</strong>ici) rappresentano circa il<br />

14,3%.<br />

In defin<strong>it</strong>iva il bacino è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o solo per un quinto del totale da rocce permeabili,<br />

concentrate soprattutto nella parte meridionale.<br />

2.1.1.3. Dissesto idrogeologico<br />

In generale i versanti, fino a circa 1600m sul medio mare, sono ammantati di<br />

vegetazione boschiva con prevalenza di faggi, abeti e larici; a quote più elevate le<br />

macchie di pini e ontani si inframmezzano a vaste zone erbose. Stando ai rilievi<br />

dell’Autor<strong>it</strong>à Forestale, effettuati nel lontano 1930, le aree coperte da vegetazione<br />

ammontavano a circa il 40% della superficie totale.<br />

In conseguenza di tale scarsa protezione vegetale, dell’eccezionale intens<strong>it</strong>à delle<br />

precip<strong>it</strong>azioni che caratterizzano l’area e della natura dei versanti, i fenomeni di<br />

disordine idrogeologico sono vari ed intensi, con frane più o meno estese localizzate<br />

soprattutto negli alvei minori ed in corrispondenza dei depos<strong>it</strong>i morenici e fluviali.<br />

Considerato poi il grande potere erosivo dei tronchi superiori e il forte trasporto<br />

solido durante gli eventi di piena, nei tratti inferiori degli alvei si presentano<br />

inghiaiamenti di notevole spessore. A monte del lago di Barcis, ad esempio, si nota<br />

una cospicua formazione di alluvioni deltizie per un tratto di notevole lunghezza.<br />

2.1.2. Idrografia<br />

Il Cellina nasce dalle pendici del Monte Caserine, nei pressi della Forcella Clautana,<br />

per poi seguire il suo corso in direzione Ovest, attraversando l’ab<strong>it</strong>ato di Claut.<br />

Sub<strong>it</strong>o a valle di Claut il Cellina riceve in destra idrografica il torrente Settimana,<br />

corso d’acqua normalmente asciutto ma capace di dar luogo a portate notevoli con<br />

risposte molto brevi durante eventi meteorici rilevanti. In condizioni di piena<br />

Il bacino del Cellina – pag. 7


ordinaria il Settimana è interessato da eventi che coinvolgono solamente una parte<br />

dell’alveo, che in epoca storica era di poche decine di metri: in occasione dell’evento<br />

alluvionale del 1966 si è avuto un allargamento dello stesso che ha determinato la<br />

s<strong>it</strong>uazione attuale.<br />

Poco più a valle il Cellina riceve un altro affluente in destra, il torrente Cimoliana,<br />

che assume anch’esso un carattere tipicamente torrentizio ed è quindi asciutto<br />

durante gran parte dell’anno. Il Cimoliana nasce ai piedi del Monfalcon di Montanaia<br />

per poi scorrere prevalentemente in direzione sud e, dopo aver attraversato l’ab<strong>it</strong>ato<br />

di Cimolais, gettarsi nelle acque del Cellina.<br />

Le due confluenze hanno dato luogo alla cosiddetta conca di Pinedo, una zona a forte<br />

carattere alluvionale, singolare per la sua ampiezza in un terr<strong>it</strong>orio così montuoso.<br />

Va anche notato che la stretta del Cellina, immediatamente a valle della confluenza<br />

con il Cimoliana, determina un fenomeno di rigurg<strong>it</strong>o: il livello delle ghiaie nel tratto<br />

terminale del Cimoliana, per circa 2km, è in condizioni di contropendenza.<br />

Il sistema idrografico del Cellina è così cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o nell’estrema parte settentrionale dal<br />

ventaglio delle tre valli principali. Il torrente procede poi in direzione sud, col nome<br />

di Cellina di Barcis, scorrendo in una stretta valle e ricevendo il contributo di vari<br />

affluenti. Dopo aver attraversato la conca di Pinedo il Cellina riceve in destra i<br />

torrenti Pentina, Chialedina e Prescudin, tutti caratterizzati da uno spiccato carattere<br />

torrentizio e da un bacino tributario modesto. In sinistra si c<strong>it</strong>a l’apporto forn<strong>it</strong>o dal<br />

Torrente Varma, di piccolissime dimensioni per quanto riguarda il bacino ad esso<br />

sotteso ma di grande fama per gli ingenti danni provocati durante gli eventi di piena<br />

alla Strada Statale della Valcellina.<br />

Il torrente si immette poi nel bacino artificiale di Barcis, entrato in esercizio nel 1954,<br />

che verrà trattato in un paragrafo successivo.<br />

Dalla diga di Barcis a Ponte Ravedis il corso del Torrente Cellina cambia<br />

radicalmente, andando a percorrere una valle caratterizzata da versanti a strapiombo<br />

e con una larghezza che in alcuni casi raggiunge poche decine di metri. In questa<br />

caratteristica vallata, oggi chiusa al traffico per lasciar posto al futuro lago di Ravedis<br />

ed al ”Parco naturale della forra del Cellina”, il torrente riceve in sinistra il torrente<br />

Alba, anch’esso con caratteristiche di forra. Nonostante l’apparente importanza<br />

trascurabile che sembra avere quest’ultimo, ad esso confluiscono acque da una<br />

notevole area montana e le portate misurate alla confluenza risultano tutt’altro che<br />

trascurabili, dell’ordine di 100m 3 /s con picchi fino a 150 m 3 /s.<br />

Dopo un successivo percorso in una stretta gola, dove sono ben visibili gli<br />

spettacolari fenomeni erosivi denominati “marm<strong>it</strong>te dei giganti”, il Torrente Cellina<br />

esce dal suo bacino montano a Ponte Ravedis, per immettersi in un ampio letto<br />

scavato nelle alluvioni. Per circa trenta chilometri il corso d’acqua percorre il letto<br />

alluvionale senza fare la sua comparsa in superficie, per immettersi finalmente nel<br />

corso del Meduna. Per il progetto della diga a grav<strong>it</strong>à di Ponte Ravedis è stata<br />

analizzata con particolare attenzione la potenza del letto alluvionale, che è risultata<br />

molto elevata, con punte di 200m nei punti più depressi.<br />

2.1.3. Il regime pluviometrico<br />

2.1.3.1. Clima<br />

Tutto il bacino del Livenza appartiene alla zona di clima temperato-continentale ed<br />

umido che è comune a molte zone del versante meridionale delle Alpi.<br />

Il bacino del Cellina – pag. 8


Le stagioni sono ben defin<strong>it</strong>e, a prescindere dagli effetti dell’alt<strong>it</strong>udine e del mare.<br />

L’inverno è freddo ma non eccessivamente rigido, con una forte escursione termica; è<br />

la stagione meno piovosa e la neve raggiunge quant<strong>it</strong>ativi degni di nota anche in<br />

pianura. La primavera è molto variabile; nel mese di marzo generalmente terminano<br />

le gelate, le precip<strong>it</strong>azioni si fanno più abbondanti e nel mese di maggio si possono<br />

già raggiungere punte di 30 gradi. L’estate inizia con giugno, che generalmente<br />

registra uno dei due massimi annuali di precip<strong>it</strong>azione, per proseguire<br />

stabilizzandosi in lunghi periodi di bel tempo e caldo con molto sole e umid<strong>it</strong>à<br />

elevate. I temporali pomeridiani, specie vicino ai monti, sono comunque molto<br />

frequenti. L’autunno porta spesso lunghi periodi di giornate grigie, umide e piovose.<br />

I mesi autunnali sono i più ricchi di precip<strong>it</strong>azioni, che normalmente raggiungono in<br />

novembre l’altro massimo annuale.<br />

In montagna il clima si fa più rigido rispetto a questa s<strong>it</strong>uazione generale man mano<br />

che si sale di quota e ci si addentra nelle valli interne verso le Alpi. Anche<br />

l’esposizione e la pendenza giocano un ruolo determinante, per cui è difficile dare<br />

una descrizione sintetica del clima montano. Va comunque notato che, rispetto alla<br />

pianura, le precip<strong>it</strong>azioni aumentano fortemente in frequenza ed intens<strong>it</strong>à,<br />

raggiungendo valori molto elevati. Anche la neve varia molto per quant<strong>it</strong>à caduta e<br />

spessore al suolo, ma in generale si scioglie molto velocemente per l’elevata piovos<strong>it</strong>à<br />

e le temperature massime, che risultano generalmente pos<strong>it</strong>ive anche nel periodo<br />

invernale.<br />

2.1.3.2. Piovos<strong>it</strong>à<br />

Come precedentemente affermato, la fascia prealpina, nella quale è inser<strong>it</strong>o il bacino<br />

del Cellina, è quella di maggiore apporto idrico per il Livenza. La piovos<strong>it</strong>à media<br />

annua, pur non raggiungendo il livello dei vicini Canal del Ferro e Valcanale, si<br />

attesta mediamente sugli elevati valori di 1700-2300mm con minimi di 1400mm e<br />

massimi di 3000mm. I mesi mediamente più piovosi sono giugno e novembre con<br />

180-300mm circa, quello mediamente meno piovoso è febbraio con 100-140mm. Nel<br />

corso dell’ultimo trentennio i mesi estivi meno piovosi hanno garant<strong>it</strong>o comunque<br />

40-50mm, escludendo sicc<strong>it</strong>à gravi nella zona.<br />

Figura 2.2: Carta della piovos<strong>it</strong>à media nel Friuli Venezia Giulia rifer<strong>it</strong>a all’ultimo trentennio;<br />

fonte: Protezione Civile Regionale.<br />

Il bacino del Cellina – pag. 9


Nel bacino montano del Cellina le altezze medie annue di precip<strong>it</strong>azione si<br />

presentano con un andamento crescente da ovest verso est. I centri di massima<br />

piovos<strong>it</strong>à sono localizzati nei contigui bacini del Meduna e del Colvera, mentre<br />

quelle di minima piovos<strong>it</strong>à sono poste a ovest, ai confini con il bacino del Piave.<br />

Per il bacino del Cellina sono disponibili i dati di altezze di precip<strong>it</strong>azione medie<br />

annue e numero dei giorni piovosi in alcune stazioni rappresentative, raccolti<br />

dall’Ufficio Idrografico del Magistrato alle Acque e dall’Autor<strong>it</strong>à di Bacino dell’Alto<br />

Adriatico e riportate nella tabella sottostante.<br />

2.1.3.3. Le piogge intense<br />

Un accenno al regime delle piogge intense risulta utile, ai fini del presente lavoro di<br />

tesi, per avere un termine di confronto con lo ietogramma adoperato in fase di<br />

taratura e con quelli utilizzati per mettere in evidenza i diversi tipi di risposta dei tre<br />

metodi di calcolo della produzione di deflusso superficiale considerati.<br />

A tal fine si può fare riferimento alle altezze totali di precip<strong>it</strong>azione registrate in<br />

occasione dei più gravosi eventi di piena verificatisi nel recente passato, oppure<br />

trattare statisticamente le serie storiche disponibili, ricavando le altezze di<br />

precip<strong>it</strong>azione corrispondenti a prefissati tempi di r<strong>it</strong>orno.<br />

Gli eventi estremi di riferimento sono quelli, disastrosi, occorsi nel settembre 1965 e<br />

nel novembre 1966, cui si riferisce la tabella seguente.<br />

L’elaborazione statistico-probabilistica, svolta dall’Autor<strong>it</strong>à di Bacino dell’Alto<br />

Adriatico nel piano stralcio per la sicurezza idraulica del bacino del Livenza<br />

mediante la legge del valore estremo doppia esponenziale o di Gumbel, riporta i<br />

risultati della tabella a pagina seguente.<br />

Il bacino del Cellina – pag. 10


Si può quindi notare che nel corso dei disastrosi eventi del settembre 1965 e del<br />

novembre 1966 non si ebbero, in generale, fenomeni di afflusso meteorico<br />

eccezionale:<br />

2.1.4. Il contesto terr<strong>it</strong>oriale<br />

Le maggiori interferenze tra il sistema fluviale del Livenza, gli insediamenti<br />

residenziali e produttivi e la rete delle infrastrutture si ha nell’area di Pordenone e<br />

Sacile. L’area del bacino montano presenta insediamenti più rarefatti e minori<br />

occasioni di interferenze nell’uso del terr<strong>it</strong>orio, ma sono per contro presenti<br />

complessi problemi di salvaguardia ambientale.<br />

La zona montana non ha infatti sub<strong>it</strong>o in passato manomissioni rilevanti o capaci di<br />

incrinare irreversibilmente il naturale equilibrio biofisico, ma non mancano aree in<br />

cui si rilevano gravi dissesti idrogeologici, dovuti soprattutto alla mancata opera di<br />

sistemazione e manutenzione del terr<strong>it</strong>orio, che oggigiorno è ancora più scarsa a<br />

fronte del progressivo spopolamento.<br />

Gli insediamenti urbani sono di modeste dimensioni e sparsi su di un vasto<br />

terr<strong>it</strong>orio. Le attiv<strong>it</strong>à produttive di tipo industriale sono pressoché assenti, e<br />

Il bacino del Cellina – pag. 11


comunque lim<strong>it</strong>ate a scale medio-piccole. Dal punto di vista agrario, la zona montana<br />

rientra nel complesso delle Prealpi Carniche ed è prevalentemente interessata da<br />

boschi di scarsa rilevanza forestale e da pascoli; la coltura agraria è ristretta ai<br />

modesti fondovalle.<br />

La maglia viaria è estremamente rarefatta e la viabil<strong>it</strong>à principale è praticamente<br />

cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a dalla Strada Statale 251 della Valcellina.<br />

2.2. Le opere di regimazione<br />

Le opere di regimazione delle acque hanno, generalmente, un forte impatto tanto<br />

sulla m<strong>it</strong>igazione delle onde di piena quanto sulle interazioni con il terr<strong>it</strong>orio<br />

circostante, in quanto possono modificarne clima, vegetazione, morfologia,<br />

antropizzazione. Per il secondo aspetto gli effetti sono chiaramente visibili, ma una<br />

trattazione approfond<strong>it</strong>a esula dallo scopo del presente lavoro. Per quanto riguarda<br />

la laminazione delle piene, invece, nei prossimi cap<strong>it</strong>oli si vedrà che essa è modesta<br />

lungo l’asta del Cellina, soprattutto a causa della prevalenza degli usi idroelettrico e<br />

irriguo dei laghi di Barcis e Ravedis. Una descrizione generale dei due serbatoi<br />

artificiali può comunque aiutare a comprendere meglio il funzionamento delle<br />

dinamiche idrologiche nel bacino.<br />

2.2.1. Il lago di Barcis<br />

Il bacino artificiale di Barcis si sviluppa su di un’area di circa 90 ettari nel terr<strong>it</strong>orio<br />

del comune omonimo, e rappresenta il termine del medio corso del Cellina. La<br />

capac<strong>it</strong>à del bacino era, nel 1963, di circa 22 milioni di metri cubi, che oggigiorno si<br />

sono ridotti a circa 13 per il progressivo interrimento del lago dovuto al forte<br />

trasporto solido.<br />

Figura 2.3 : Foto aerea del lago di Barcis e della diga di Ponte Antoi.<br />

La diga di Ponte Antoi è del tipo a volta a doppia curvatura. È stata realizzata su<br />

progetto dell’Ing. Semenza negli anni 1950-54 per garantire un miglior impiego<br />

elettro-irriguo delle acque del Cellina, il cui sfruttamento idroelettrico era iniziato nel<br />

primo decennio del 1900 mediante quella che oggi è conosciuta come la vecchia diga<br />

Il bacino del Cellina – pag. 12


di Barcis. La quota del coronamento è posta a 405,15m s.m.m., mentre quella di<br />

massima regolazione è a 402m s.m.m. Lo sbarramento è alto 50m, ha uno sviluppo di<br />

83m e un volume di circa 9000m 3 .<br />

Figura 2.4: Il coronamento e lo sfioratore della diga di Ponte Antoi.<br />

Dal serbatoio di Barcis le acque sono addotte, mediante una galleria in pressione<br />

della lunghezza di 2km, alla centrale omonima con un salto di 47,30m e una portata<br />

di 14,20 m 3 /s, che consentono una potenza media di 6585 kW con una produzione<br />

annua di 50 milioni di kWh.<br />

L’utilizzo idroelettrico pone dei consistenti problemi nella gestione degli impianti:<br />

per salvaguardare l'ab<strong>it</strong>ato di Barcis spesso si rende necessaria l'apertura degli<br />

scarichi al fine di regolare il livello del lago. Per questo motivo presso la diga è stato<br />

costru<strong>it</strong>o uno scarico di superficie notevole, sia per le dimensioni che per il suo<br />

funzionamento. Lo scarico offre un doppia funzional<strong>it</strong>à: nello stato normale è chiuso<br />

e la sua funzione risulta quella di un “troppo pieno”; quando invece viene alzato il<br />

cilindro in acciaio si effettua lo scarico. In questo modo, a scarichi completamente<br />

aperti, l'impianto è in grado di svuotare nella valle sottostante circa 190 m 3 /s. Lo<br />

scarico di fondo consente invece una portata di 340 m 3 /s.<br />

Figura 2.5 : Vista dello scarico di superficie a diversi livelli del lago.<br />

Il bacino del Cellina – pag. 13


Come si vedrà nel prosieguo, nel modello idrologico non sarà però possibile tenere<br />

conto della laminazione prodotta dall’apertura di questo particolare scarico di<br />

superficie.<br />

2.2.2. Il lago di Ravedis<br />

Allo stato attuale la diga di Ravedis è in fase di collaudo; i primi progetti per<br />

costruire uno sbarramento nei pressi la stretta di Ravedis risalgono agli anni 50, ma<br />

furono temporaneamente abbandonati dopo il disastro del Vajont; il progetto<br />

esecutivo è stato redatto nel 1979, i lavori sono iniziati alla fine degli anni ’90 e sono<br />

terminati nel 2005. Dalla figura seguente è possibile osservare la futura estensione<br />

dell’invaso, il lago di Barcis in alto a sinistra e l’ab<strong>it</strong>ato di Montereale Valcellina in<br />

basso a destra. A nordovest rispetto a quest’ultimo si può notare l’ampio letto<br />

alluvionale che assume il Cellina al termine del suo percorso montano.<br />

Figura 2.6 : Estensione del futuro lago di Ravedis elaborata in ambiente GIS e costru<strong>it</strong>a<br />

seguendo le isoipse derivanti dalla Carta Tecnica Regionale; fonte: tesi di laurea di Daniele<br />

Tirelli.<br />

L’invaso è finalizzato all’utilizzazione ai fini multipli della risorsa idrica potenziale<br />

del torrente Cellina. Il fine preminente, come si desume dal progetto esecutivo, è<br />

quello della laminazione delle piene. Subordinatamente alla regimazione saranno<br />

possibili il soddisfacimento del fabbisogno idropotabile dei comuni di Montereale<br />

Valcellina e Maniago, di una parte del fabbisogno irriguo del Consorzio Cellina-<br />

Meduna nonché il potenziamento degli impianti idroelettrici esistenti.<br />

La domanda idrica complessiva che si intende soddisfare dalla realizzazione<br />

dell’invaso, desumibile dal progetto esecutivo, è riportata nella tabella alla pagina<br />

seguente.<br />

Il bacino del Cellina – pag. 14


Per quanto attiene l’uso irriguo, il fine è quello di consentire la pratica irrigua su un<br />

terr<strong>it</strong>orio di 8450 ettari nei comuni di Montereale Valcellina e Maniago, così da<br />

consentire la riconversione delle pratiche agricole da colture di tipo seminativo a<br />

quelle arboree per frutta e ai vigneti tipici della zona.<br />

Figura 2.7 : Schema dell’attuale sistema di sfruttamento idroelettrico del Cellina<br />

Con riguardo all’utilizzazione idroelettrica, il serbatoio di Ravedis consentirà<br />

all’ENEL di sfruttare in forma ottimale le proprie strutture già realizzate a valle della<br />

diga, aventi un potenziale idroelettrico di oltre 500 milioni di KWh. La prima centrale<br />

è ubicata in local<strong>it</strong>à ponte Giulio, sulla somm<strong>it</strong>à della scarpata del torrente Cellina,<br />

ad una quota tale da assicurare alle acque di irrigazione consegnate allo scarico una<br />

pressione corrispondente alle necess<strong>it</strong>à irrigue dei terreni. La seconda centrale è<br />

ubicata in local<strong>it</strong>à S. Leonardo, in prossim<strong>it</strong>à della vasca di carico dell’impianto di<br />

San Foca, alla quale si allaccia; l’ultimo impianto è quello di Villa Rinaldi. In<br />

Il bacino del Cellina – pag. 15


defin<strong>it</strong>iva la realizzazione dell’opera consentirà di incrementare il salto disponibile<br />

per la prima centrale idroelettrica posta a valle (quella di Ponte Giulio) ed<br />

aumentarne la produzione annua di circa 15 milioni di kWh.<br />

La necess<strong>it</strong>à di assicurare le sopra precisate competenze implica naturalmente che<br />

per un congruo periodo dell’anno gli scarichi di fondo vengano chiusi. A tal fine, il<br />

progetto esecutivo, elaborando le serie di valori delle portate decadiche medie,<br />

individua i periodi più opportuni per la chiusura degli scarichi di fondo: quello di<br />

maggiore sicurezza risulta compreso tra il 1° giugno ed il 31 agosto mentre, ad un<br />

livello di rischio ovviamente superiore si collocano i periodi compresi tra il 21 aprile<br />

ed il 30 settembre, tra l’11 maggio ed il 31 agosto, tra il 1° giugno ed il 30 settembre.<br />

L’opera di r<strong>it</strong>enuta è del tipo a grav<strong>it</strong>à massiccia in calcestruzzo, quasi simmetrica<br />

rispetto all’asse long<strong>it</strong>udinale della valle, suddivisa in dieci conci: quello centrale<br />

largo 18 m, otto conci per lato larghi 16,5 m ed un ulteriore concio in sinistra largo<br />

10,5 m. I cinque conci centrali sono tracimabili con ciglio a quota 338,50m s.m.m.;<br />

sulla loro somm<strong>it</strong>à sono ricavate cinque luci sfioranti della lunghezza di 15 m<br />

ciascuna. Il piano di coronamento è previsto a quota 343m s.m.m., con una larghezza<br />

carrabile di 3,50 m ed una lunghezza di 170m. L’altezza del corpo diga, valutata dal<br />

punto più depresso di fondazione, è di 95m. Nel corpo diga sono ubicati gli scarichi<br />

di mezzofondo e di esaurimento, i cunicoli di ispezione ed il sistema di drenaggio<br />

per il controllo delle sottopressioni.<br />

Figura 2.8 : Vista dall'alto dello scarico di superfice destro. Si nota la conformazione per<br />

massimizzarne il perimetro.<br />

La diga di Ravedis risulta progettata per laminare portate, con tempo di r<strong>it</strong>orno di<br />

cento anni, pari a circa 2000 m 3 /s. Con riguardo agli scarichi, l’impianto di Ravedis è<br />

dotato di:<br />

- due scarichi di superficie con una conformazione a becco d’anatra tale da<br />

massimizzare il perimetro a par<strong>it</strong>à di superficie;<br />

- due scarichi di fondo dal diametro di 8m, che permettono di far defluire una<br />

portata massima di 1400 m 3 /s, pari a 700 m 3 /s ciascuno.<br />

Come ha fatto notare Daniele Tirelli nella sua tesi di laurea, per eventi di piena con<br />

portate inferiori ai 1400 m 3/s (o alla metà nell’ipotesi di sbarramento di uno dei due<br />

Il bacino del Cellina – pag. 16


scarichi di fondo), l’invaso non crea alcun effetto di laminazione sulle portate uscenti<br />

e quindi, ai fini pratici, risulta ininfluente sulle portate a valle, con le conseguenze<br />

disastrose che eventi di questo genere hanno già creato in passato. Come già<br />

accennato nell’introduzione, va ricordato che la piena del novembre 2002, utilizzata<br />

per calibrare il modello in questo lavoro di tesi, ha toccato punte di soli 700 m 3 /s<br />

quando i danni nell’ab<strong>it</strong>ato di Pordenone e dintorni sono risultati ingenti, tali da<br />

bloccare l’intera popolazione.<br />

Il bacino del Cellina – pag. 17


3. Il modello idrologico<br />

Un modello idrologico si propone di fornire una descrizione dei processi che si<br />

svolgono all’interno di un bacino imbrifero, ed ha come obiettivo la definizione della<br />

trasformazione degli afflussi meteorici in deflussi delle acque. Non prende in<br />

considerazione, quindi, l’intero ciclo idrologico ma solo alcuni dei suoi aspetti<br />

fondamentali.<br />

Figura 3.1 : La modellazione idrologica prende in considerazione solo gli aspetti fondamentali<br />

dell’intero ciclo idrologico<br />

Inoltre, come per ogni modello matematico, un modello afflussi-deflussi può solo<br />

approssimare la realtà, a causa della compless<strong>it</strong>à dei fenomeni e delle relazioni che<br />

intercorrono tra gli elementi del processo. I bacini idrografici sono così schematizzati<br />

come dei sistemi, più o meno complessi, che sono soggetti ad un ingresso, ossia<br />

l’intens<strong>it</strong>à di pioggia, e che rest<strong>it</strong>uiscono in usc<strong>it</strong>a l’andamento nel tempo della<br />

portata in una data sezione di chiusura.<br />

Il motivo principale del recente progresso della modellazione idrologica è stato il<br />

forte incremento nella potenza di calcolo dei computer. Da una parte si è avuta la<br />

possibil<strong>it</strong>à di integrare la modellazione idrologica con i sistemi informativi terr<strong>it</strong>oriali<br />

(GIS) ed è cresciuta la disponibil<strong>it</strong>à di modelli dig<strong>it</strong>ali del terreno (DTM). Dall’altra è<br />

stato possibile scrivere del software che approssima sempre meglio i reali processi<br />

che avvengono nella formazione dei deflussi.<br />

Questo cap<strong>it</strong>olo presenta il modello idrologico sviluppato dalla Sezione di Idraulica e<br />

Geotecnica del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Univers<strong>it</strong>à di<br />

Trieste, usato nel presente lavoro di tesi.<br />

Il modello idrologico – pag. 18


3.1. Il TOPMODEL<br />

TOPMODEL (TOPograghy based hydrological MODEL) è un set di programmi per<br />

la modellazione afflussi-deflussi per bacini singoli o sottobacini, che segue le ipotesi<br />

di un modello semidistribu<strong>it</strong>o e che usa come dato in ingresso l’elevazione delle celle<br />

di un’immagine raster. E’ considerato un modello fisicamente basato, ossia con un<br />

riscontro fisico sul campo, in quanto i parametri utilizzati per la modellazione sono<br />

quant<strong>it</strong>à misurabili con un preciso significato fisico.<br />

“Il TOPMODEL non è un programma per la modellazione idrologica, ma piuttosto<br />

un insieme di strumenti concettuali che possono essere usati per riprodurre il<br />

comportamento idrologico di un bacino in un modo relativamente semplice, e per<br />

seguire la dinamica delle aree contribuenti superficiali e profonde” (Beven, 1997).<br />

TOPMODEL è stato sviluppato all’inizio degli anni ’70 dal Prof. J. Kirkby<br />

dell’Univers<strong>it</strong>à di Leeds e dal Prof. K. Beven dell’Univers<strong>it</strong>à di Lancaster, e da allora<br />

ha visto una continua evoluzione ed implementazione di nuovi algor<strong>it</strong>mi, anche e<br />

soprattutto per il fatto di essere uno dei primi esempi di software open-source.<br />

La variante più importante del software è stata realizzata dal Prof. G.M. Saulnier del<br />

Pol<strong>it</strong>ecnico di Grenoble ed è nota con il nome di TOPSIMPL: ha la stessa struttura e si<br />

basa sulle stesse assunzioni del TOPMODEL, ma effettua alcune importanti<br />

semplificazioni oltre ad alcune implementazioni.<br />

Nel segu<strong>it</strong>o sono presentate le basi teoriche del TOPMODEL, nonché le principali<br />

assunzioni del modello realizzato a Trieste.<br />

3.1.1. Considerazioni generali<br />

Il punto di partenza di tipo anal<strong>it</strong>ico che sta alla base del TOPMODEL è<br />

rappresentato, semplicemente, dall’equazione di continu<strong>it</strong>à e dall’equazione di<br />

Darcy.<br />

La caratterizzazione topologica del bacino è invece affidata al topographic index<br />

(indice topografico), defin<strong>it</strong>o come:<br />

⎛ a ⎞<br />

k = ln ⎜ ⎟<br />

⎝tan β ⎠ (3.1)<br />

A<br />

dove a = è la quant<strong>it</strong>à A di area a monte drenata attraverso la cella in esame per<br />

L<br />

un<strong>it</strong>à di lunghezza L della cella stessa<br />

β rappresenta l’inclinazione della superficie topografica locale<br />

L’indice topografico risulta il parametro che maggiormente caratterizza il<br />

TOPMODEL: le celle del bacino vengono raggruppate in classi che presentano una<br />

simil<strong>it</strong>udine idrologica, corrispondenti ad un certo intervallo di indice topografico. I<br />

calcoli vengono effettuati sulla distribuzione delle classi di celle, in modo da snellire<br />

le operazioni di analisi. L’indice topografico discrimina così il comportamento delle<br />

diverse aree del bacino, indipendentemente dalla loro ubicazione, con riferimento sia<br />

allo stato di saturazione sia alla produzione di runoff (deflusso superficiale).<br />

La variazione dell’altezza della falda è calcolata nel tempo tram<strong>it</strong>e l’equazione di<br />

bilancio, in regime semi permanente, tra la portata che s’infiltra alla superficie del<br />

bacino e quella che defluisce alla rete idrografica. Inoltre la pioggia che interessa<br />

Il modello idrologico – pag. 19


zone sature di bacino viene trasformata direttamente in runoff. In questo modo è<br />

defin<strong>it</strong>o l’andamento nel tempo dello ietogramma efficace.<br />

Il programma prevede che il profilo di permeabil<strong>it</strong>à locale del terreno vari con la<br />

profond<strong>it</strong>à o con il soil moisture defic<strong>it</strong> (defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à). Quest’ultimo rappresenta<br />

la differenza fra la quant<strong>it</strong>à di acqua attualmente nel terreno e la quant<strong>it</strong>à di acqua<br />

che il terreno può contenere, detta field capac<strong>it</strong>y (capac<strong>it</strong>à di campo), ed è sol<strong>it</strong>amente<br />

espresso con le dimensioni di una lunghezza.<br />

Il deflusso ipodermico è calcolato in funzione della profond<strong>it</strong>à della falda z come:<br />

− fz<br />

q= T0e tan β<br />

(3.2)<br />

dove T 0 rappresenta la trasmissiv<strong>it</strong>à del suolo in condizioni di saturazione, con<br />

falda a quota del terreno<br />

f è un parametro di scala che determina il tasso di decadimento della<br />

trasmissiv<strong>it</strong>à con la profond<strong>it</strong>à<br />

oppure in funzione del defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à d come:<br />

d<br />

−<br />

m<br />

0 tan<br />

q= T e β<br />

(3.3)<br />

dove il parametro di scala diventa m .<br />

Le ipotesi fondamentali che governano il TOPMODEL risultano in defin<strong>it</strong>iva essere:<br />

- le celle della griglia con indice topografico simile hanno lo stesso<br />

comportamento idrologico;<br />

- il gradiente idraulico è approssimato alla pendenza della superficie terrestre,<br />

in modo che la tavola d’acqua e il flusso nella zona satura risultino paralleli<br />

alla pendenza locale della superficie (approssimazione di Dupu<strong>it</strong>);<br />

- la distribuzione dell’andamento della trasmissiv<strong>it</strong>à con la profond<strong>it</strong>à è una<br />

funzione esponenziale della distanza dalla tavola d’acqua o del soil moisture<br />

defic<strong>it</strong>.<br />

Per ottenere la portata alla sezione di chiusura il software richiede infine la<br />

definizione dello IUH per il bacino in analisi. Normalmente si utilizzano degli<br />

idrogrammi un<strong>it</strong>ari istantanei basati sull’approccio geomorfologico, nelle due<br />

varianti della numerazione di Strehler o della funzione di ampiezza.<br />

Uno dei vantaggi dell’approccio del TOPMODEL risulta essere quello di mantenere<br />

molto basso il numero di parametri richiesti: nella modellazione idrologica è infatti<br />

fondamentale operare con un numero minimo di parametri da calibrare, vista la<br />

mancanza di misure effettuabili sul terr<strong>it</strong>orio. Il TOPMODEL prevede che la<br />

dinamica del deflusso e l’andamento spaziale della saturazione del suolo si<br />

ottengano a partire dai soli dati temporali di precip<strong>it</strong>azione e di evapotraspirazione, e<br />

sulla base di informazioni di tipo geografico. In questo modo non è necessaria alcuna<br />

informazione sulla tipologia del terreno e sulle sue caratteristiche. Per stimare,<br />

invece, l’andamento della tavola d’acqua o il livello di saturazione delle aree<br />

contribuenti si rende necessario possedere alcune informazioni sul terreno, come la<br />

trasmissiv<strong>it</strong>à in condizioni di saturazione al livello della superficie.<br />

3.1.2. Struttura del TOPMODEL<br />

Il TOPMODEL è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o da un insieme di tre moduli sequenziali intimamente<br />

vincolati: vanno infatti ad operare in una stretta sequenza logica e forniscono le<br />

informazioni necessarie al modulo successivo.<br />

Il modello idrologico – pag. 20


Il primo modulo è chiamato DTM: utilizza i dati geografici per fornire la base<br />

topografica su cui elaborare il modello. L’input è un file di testo che rappresenta la<br />

matrice di elevazione delle singole celle, estratto a partire dalla cartografia numerica<br />

mediante le funzional<strong>it</strong>à di un software GIS. L’output è rappresentato dalla<br />

distribuzione di indice topografico all’interno del bacino.<br />

Il secondo modulo, denominato TOP, è caratteristico dell’analisi dei processi<br />

idrologici e fornisce come risultato l’idrogramma di piena valutato in funzione dei<br />

parametri immessi.<br />

Il terzo e ultimo modulo, chiamato GLUE, tratta in senso statistico l’output del<br />

modulo TOP ai fini della calibrazione del modello ed effettua una stima di sens<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à<br />

dei parametri. In questo lavoro di tesi quest’ultimo modulo non sarà utilizzato,<br />

pertanto non verrà descr<strong>it</strong>to nel presente cap<strong>it</strong>olo. Si faranno comunque alcune<br />

considerazioni sul suo funzionamento nelle conclusioni.<br />

Gli algor<strong>it</strong>mi che caratterizzano i tre moduli, compilati in linguaggio Fortran,<br />

vengono liberamente diffusi per permettere la variazione delle equazioni che<br />

regolano il fenomeno, in modo da condurre una trattazione più affine e più aderente<br />

alla realtà del bacino in analisi.<br />

3.2. Calcolo dell’indice topografico<br />

3.2.1. Preprocesso<br />

Come precedentemente affermato, i dati di input per il modulo DTM sono facilmente<br />

ottenibili a partire da un’elaborazione mediante sistemi GIS della cartografia<br />

numerica. Le operazioni per passare dal GIS ai dati di input del modulo TOP saranno<br />

trattate nel prossimo cap<strong>it</strong>olo.<br />

Il processo di semplificazione ins<strong>it</strong>o nelle analisi spaziali dei software GIS comporta<br />

però notevoli approssimazioni, che possono creare degli inconvenienti nella fase di<br />

estrazione dell’indice topografico. Il problema maggiore è rappresentato dalla<br />

presenza, nella matrice di elevazione delle celle, dei sinks (pozzi), ossia di celle la cui<br />

alt<strong>it</strong>udine risulta inferiore a tutte le celle adiacenti. Al fine di sopperire a questo<br />

inconveniente il modulo DTM è forn<strong>it</strong>o di una particolare funzione, detta automatic<br />

sink removal, che modella il terr<strong>it</strong>orio in modo da rendere possibile il deflusso delle<br />

acque sul terreno rimuovendo le celle che non hanno una naturale via di sbocco.<br />

Figura 3.2: Schematizzazione della funzione sink removal del modulo DTM<br />

Procedendo dalla sezione di chiusura verso monte il modulo DTM analizza ogni<br />

singola cella e opera una media pesata tra le alt<strong>it</strong>udini delle celle adiacenti,<br />

producendo così una via di deflusso all’acqua, che si fermerebbe nella cella se questa<br />

non fosse modificata. Allo stesso modo la funzione prevede anche la rimozione delle<br />

steeples (guglie) create dalla non perfetta analisi terr<strong>it</strong>oriale.<br />

Il modello idrologico – pag. 21


Un’ulteriore funzional<strong>it</strong>à di preprocesso del modulo DTM consiste nell’escludere<br />

automaticamente le celle il cui flusso non è diretto verso la sezione di chiusura, in<br />

altre parole le celle non appartenenti al bacino preso in considerazione. Queste sono<br />

presenti per una errata definizione della linea dello spartiacque e l’ent<strong>it</strong>à della loro<br />

presenza va controllata al fine di effettuare una corretta analisi.<br />

3.2.2. Calcolo<br />

Una volta completata la fase di correzione della matrice di elevazione delle celle, il<br />

modulo DTM procede con l’estrazione dell’indice topografico.<br />

L’indice topografico, che ricordiamo essere espresso dalla relazione (3.1):<br />

⎛ a ⎞<br />

k = ln ⎜ ⎟<br />

⎝tan β ⎠<br />

rappresenta un rapporto tra le forze in gioco nella dinamica della produzione di<br />

runoff.<br />

Il termine a riflette infatti la tendenza dell’acqua ad accumularsi in alcuni punti del<br />

bacino, mentre il termine tan β rappresenta la tendenza della forza grav<strong>it</strong>azionale a<br />

far muovere l’acqua. Così le celle corrispondenti ad elevati valori di indice<br />

topografico tenderanno a saturare per prime e sono, pertanto, indicatrici di zone ad<br />

elevata area contribuente specifica, oppure di minor pendenza caratteristica. In altre<br />

parole ci si aspetta che i valori più elevati corrispondano alle principali vie di<br />

deflusso.<br />

Il calcolo dei valori di indice topografico dipende strettamente:<br />

- dalla risoluzione del modello dig<strong>it</strong>ale utilizzato per l’analisi;<br />

- dall’algor<strong>it</strong>mo di direzione di deflusso utilizzato.<br />

Inizialmente le analisi usavano un algor<strong>it</strong>mo a direzione di deflusso singola: era<br />

previsto che da ogni cella presa in considerazione il deflusso potesse avvenire<br />

solamente in una delle direzioni assunte tra le possibili, sol<strong>it</strong>amente le quattro<br />

cardinali e le quattro diagonali, basandosi sulla direzione di massima pendenza.<br />

Nel 1991 Quinn et al. svilupparono invece un algor<strong>it</strong>mo di deflusso multiplo, più<br />

preciso quando le celle del DTM hanno una maglia pari o inferiore ai 50m, quale è il<br />

caso di questo lavoro di tesi. L’algor<strong>it</strong>mo di deflusso multiplo permette infatti di<br />

assegnare a tutte le direzioni uscenti dalla cella una quota dell’area di deflusso<br />

accumulata a monte, in maniera proporzionale alle relative pendenze. Le direzioni di<br />

usc<strong>it</strong>a considerate sono ricavate dall’intersezione tra le varie direzioni possibili e<br />

quelle in cui l’alt<strong>it</strong>udine delle celle adiacenti risulta minore. Va notato che in questo<br />

caso il termine L di larghezza della cella usato nel calcolo di a varia, nel caso di una<br />

direzione cardinale oppure diagonale, secondo lo schema sottostante.<br />

Figura 3.3 : Direzioni di deflusso per la cella del raster<br />

Il modello idrologico – pag. 22


La frazione di area drenata attraverso ciascuna cella verso le singole direzioni è così<br />

proporzionale al gradiente idraulico corrispettivo, in modo che gradienti maggiori<br />

richiamino quant<strong>it</strong>à d’acqua maggiore. Il calcolo dell’area contribuente risulta in<br />

defin<strong>it</strong>iva un processo a cascata, in cui l’area della cella sovrastante si ripartisce nelle<br />

celle sottostanti, partendo dalle celle più elevate.<br />

Figura 3.4 : Processo a cascata del calcolo dell'area contribuente<br />

Per ricavare l’indice topografico si parte dall’equazione per il calcolo della frazione di<br />

area contribuente:<br />

Δ Ai =<br />

ALj<br />

tan β j<br />

n<br />

= CLj<br />

tan β j<br />

(3.4)<br />

L tan β<br />

∑(<br />

j j)<br />

j=<br />

1<br />

dove A è l’area totale di deflusso accumulata nella cella considerata<br />

tan β j è il gradiente idraulico della cella nella i -esima direzione<br />

L i è la frazione di lato interessata dal deflusso<br />

C = n<br />

A<br />

può essere raccolto in quanto termine comune a tutte le<br />

L tan β<br />

∑(<br />

j j)<br />

j=<br />

1<br />

direzioni<br />

Assumendo poi che il gradiente idraulico per ogni cella sia una somma dei singoli<br />

termini, pesati a seconda della lunghezza del segmento interessato, abbiamo:<br />

n<br />

∑(<br />

Lj<br />

tan β j )<br />

j=<br />

1<br />

tan β = n<br />

L<br />

∑<br />

j=<br />

1<br />

Unendo le due equazioni otteniamo:<br />

j<br />

n<br />

∑<br />

Lj<br />

a A j=<br />

1<br />

A<br />

= =<br />

tan β L<br />

n n<br />

∑( Lj tan β j) ∑(<br />

Lj<br />

tan β j)<br />

j= 1 j=<br />

1<br />

Così l’indice topografico per la cella sarà pari all’area totale drenata dalle celle<br />

sovrastanti, divisa per tutte le larghezze dei segmenti ortogonali ai relativi deflussi e<br />

per tan β :<br />

Il modello idrologico – pag. 23


⎛ ⎞<br />

⎜ ⎟<br />

⎛ a ⎞ A<br />

ln ⎜ ⎟=<br />

ln ⎜ ⎟=<br />

ln C<br />

n<br />

⎝tan β ⎠ ⎜ ⎟<br />

⎜∑( Lj<br />

tan β j)<br />

⎟<br />

⎝ j=<br />

1 ⎠<br />

3.3. Calcolo dei deflussi<br />

(3.5)<br />

Il modello schematizza i processi idrologici dei quali tiene conto con quattro stadi,<br />

corrispondenti al comportamento dell’acqua in quattro diverse zone del suolo.<br />

Vengono infatti utilizzati dei semplici meccanismi di trasferimento dell’acqua dalla<br />

superficie alla zona satura per tener conto del r<strong>it</strong>ardo tra input meteorici e deflusso<br />

profondo.<br />

Praticamente si analizza:<br />

- il ruscellamento superficiale che avviene sulla superficie;<br />

- l’immagazzinamento dell’acqua nella zona delle radici e nella zona insatura;<br />

- il flusso nella zona satura.<br />

Zona delle radici<br />

Zona non attiva<br />

Superficie<br />

Zona satura<br />

Zona insatura<br />

Figura 3.5 : Schema delle zone in cui avvengono i diversi processi idrologici<br />

Base comune per tutti gli stadi idrologici è la terza ipotesi fondamentale del<br />

TOPMODEL, ossia che il profilo della permeabil<strong>it</strong>à locale vari con la profond<strong>it</strong>à o con<br />

il soil moisture defic<strong>it</strong>. In funzione di questa assunzione il software calcola per ogni<br />

passo temporale la profond<strong>it</strong>à della tavola d’acqua (o il defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à) per ogni<br />

intervallo di indice topografico, e quindi per ogni cella.<br />

3.3.1. Permeabil<strong>it</strong>à<br />

TOPMODEL, in generale, usa una funzione di decadimento esponenziale della<br />

permeabil<strong>it</strong>à con la profond<strong>it</strong>à del tipo:<br />

fz<br />

K z K e −<br />

= (3.6)<br />

( ) 0<br />

Il modello idrologico – pag. 24


dove K 0 è la permeabil<strong>it</strong>à del terreno in superficie in caso di saturazione<br />

z è la profond<strong>it</strong>à locale del punto di cui si valuta la permeabil<strong>it</strong>à<br />

f è un parametro di scala che controlla l’andamento del declino<br />

I parametri K 0 ed f sono assunti, per semplic<strong>it</strong>à, costanti su tutto il bacino.<br />

zona insatura<br />

zona satura<br />

zi<br />

Z<br />

z<br />

Figura 6 : Schema del deflusso sotterraneo<br />

β<br />

dx<br />

Q<br />

y<br />

dy<br />

x<br />

In riferimento allo schema di figura, dalla legge di Darcy abbiamo:<br />

dQ dQ<br />

= = V = KJ<br />

(3.7)<br />

dA dydz e quindi, prendendo in considerazione il flusso sotterraneo per un<strong>it</strong>à di larghezza:<br />

dQ<br />

= dq= ( Kdz) J<br />

d y<br />

Dall’approssimazione di Dupu<strong>it</strong> (seconda ipotesi di base del TOPMODEL), ossia che<br />

la tavola d’acqua è parallela alla superficie terrestre, otteniamo:<br />

dQ<br />

= dq= ( Kdz) tanβ<br />

d y<br />

Integrando lungo la verticale, dal piano di riferimento posto a profond<strong>it</strong>à Z alla<br />

profond<strong>it</strong>à di falda, si ha:<br />

zi<br />

⎡ ⎤<br />

q= ⎢∫ K( z) dz⎥tanβ= T( zi)<br />

tanβ<br />

(3.8)<br />

⎢⎣Z⎥⎦ dove la funzione T( z i ) viene detta trasmissiv<strong>it</strong>à del terreno alla quota z i , e può<br />

quindi essere ricavata per integrazione della (3.6) sulla profond<strong>it</strong>à di falda:<br />

zi<br />

K0<br />

− fz 1<br />

i − fZ<br />

T( zi) = ∫ K( z) d z = ⎡e e ⎤ K( zi) K( Z)<br />

f ⎣<br />

−<br />

⎦<br />

= ⎡ − ⎤<br />

f<br />

⎣ ⎦<br />

(3.9)<br />

Z<br />

Trascurando poi la permeabil<strong>it</strong>à ad elevate profond<strong>it</strong>à, ossia per valori molto grandi<br />

di Z , il flusso nella cella i -esima (ossia con profond<strong>it</strong>à di falda z i ) è pari a:<br />

K0<br />

− fzi − fzi<br />

qi = T( zi) tan βi = e tan βi = T0e tan βi<br />

(3.10)<br />

f<br />

dove T 0 è la trasmissiv<strong>it</strong>à alla superficie del suolo in condizioni di saturazione, che<br />

viene assunta costante su tutto il bacino.<br />

z<br />

k<br />

Il modello idrologico – pag. 25


In condizioni stazionarie, raggiunto cioè l’equilibrio tra piogge e deflussi,<br />

ipotizzando di trascurare la fase trans<strong>it</strong>oria in cui il terreno non risulta ancora saturo<br />

e dove le approssimazioni di continu<strong>it</strong>à non risulterebbero possibili, vale<br />

l’espressione:<br />

− fzi<br />

qi = aR i = T0e tan βi<br />

dove a i è l’area per un<strong>it</strong>à di larghezza della cella<br />

R è l’intens<strong>it</strong>à di pioggia<br />

In tal modo ricaviamo per la profond<strong>it</strong>à di falda z i il valore:<br />

1 ⎛ aR ⎞ i<br />

zi<br />

= ln ⎜ ⎟<br />

f ⎝T0tan βi<br />

⎠<br />

(3.11)<br />

che andrà integrato su tutto il bacino e diviso per l’area totale dello stesso al fine di<br />

trovarne il valore medio:<br />

1<br />

z =<br />

Ab 1 ⎛ aR ⎞ i 1<br />

∫ zidAb = ln dAb fA ∫ ⎜ ⎟ =<br />

0 tan Ab b Ab ⎝T βi ⎠ fAb ⎡ ⎛ a ⎞⎤<br />

i<br />

∫ ⎢lnR+ ln⎜ ⎟⎥dAb<br />

0 tan<br />

Ab⎣<br />

⎝T βi<br />

⎠⎦<br />

1<br />

=<br />

fAb ⎡ ⎛T0tan βi<br />

− fz ⎞ ⎛ a ⎞⎤<br />

i<br />

i<br />

∫ ⎢ln ⎜ e ⎟+ ln ⎜ ⎟⎥dAb<br />

a 0 tan<br />

Ab<br />

⎣ ⎝ i ⎠ ⎝Tβi ⎠⎦<br />

1 ⎡ 1<br />

= ⎢− f ⎢⎣ Ab ⎛ a ⎞ ⎛ i a ⎞⎤<br />

i<br />

∫ ln ⎜ ⎟dAb + fzi<br />

+ ln ⎜ ⎟⎥<br />

T0 tan β 0 tan<br />

Ab<br />

⎝ i ⎠ ⎝T βi<br />

⎠⎥⎦<br />

Per la profond<strong>it</strong>à di falda nell’ i -esima cella otteniamo così l’espressione:<br />

1 ⎛ a ⎞ i<br />

zi= z − ln ⎜ ⎟+<br />

λ<br />

f ⎝T0tan βi<br />

⎠<br />

dove abbiamo messo in evidenza la costante<br />

(3.12)<br />

1<br />

λ =<br />

Ab ⎛ a ⎞ i<br />

∫ ln ⎜ ⎟dAb<br />

T0tan<br />

β<br />

Ab<br />

⎝ i ⎠<br />

Avendo imposto che il terreno sia omogeneo, ossia che T 0 è costante su tutto il<br />

bacino, l’espressione di λ è ricavabile a partire dalla media dell’indice topografico di<br />

tutte le celle del bacino:<br />

⎡ ⎛ a ⎞⎤<br />

i<br />

λ = media ⎢ln⎜ ⎟⎥−<br />

ln T0 = λ*<br />

−lnT0<br />

⎣ ⎝tan βi<br />

⎠⎦<br />

(3.13)<br />

A questo punto possiamo affermare che, per il calcolo della profond<strong>it</strong>à di falda, si<br />

rendono necessari unicamente il parametro f e l’indice topografico:<br />

1 ⎛ a ⎞ i<br />

zi= z − ln ⎜ ⎟+<br />

λ *<br />

f ⎝tan βi<br />

⎠<br />

(3.14)<br />

In altre parole la differenza tra la profond<strong>it</strong>à di falda mediata e locale è pari alla<br />

differenza tra l’indice topografico mediato e locale:<br />

⎛ a ⎞ i<br />

f ( z − zi) = λ * −ln⎜ ⎟<br />

⎝tan βi<br />

⎠<br />

(3.15)<br />

È possibile effettuare anche per defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à il medesimo ragionamento<br />

condotto finora per la profond<strong>it</strong>à di falda, utilizzando il parametro di scala m al<br />

posto di f . Così le equazioni prima ricavate diventano:<br />

Il modello idrologico – pag. 26


( ) 0<br />

d<br />

m<br />

K d K e −<br />

= (3.16)<br />

di<br />

−<br />

m<br />

i 0 tan i<br />

q = T e β<br />

(3.17)<br />

d − d ⎛ i a ⎞ i<br />

= λ * −ln⎜ ⎟<br />

m ⎝tan βi<br />

⎠<br />

(3.18)<br />

3.3.2. Superficie<br />

Come già accennato, il presente lavoro di tesi si concentra sulla diversa affidabil<strong>it</strong>à<br />

della modellistica semidistribu<strong>it</strong>a basata sul TOPMODEL nel considerare, per la<br />

produzione del deflusso superficiale, meccanismi di tipo dunniano o hortoniano.<br />

Il TOPMODEL parte infatti dal presupposto che tutti i punti con una profond<strong>it</strong>à di<br />

falda z i minore o uguale a zero danno v<strong>it</strong>a ad una zona del bacino in condizione di<br />

saturazione, dove la precip<strong>it</strong>azione ruscella immediatamente:<br />

q= aR<br />

(3.19)<br />

Questo meccanismo di formazione del deflusso superficiale viene chiamato saturation<br />

excess runoff ed è stato teorizzato da Dunne; in <strong>it</strong>aliano si parla anche di meccanismo<br />

ad area contribuente.<br />

Il meccanismo di Horton, chiamato anche infiltration excess runoff, tiene invece conto<br />

del ruscellamento in maniera completamente diversa: tutta l’acqua precip<strong>it</strong>ata viene<br />

infiltrata fintantoché l’intens<strong>it</strong>à di pioggia R ( t ) è inferiore all’intens<strong>it</strong>à di<br />

infiltrazione f , mentre quando si ha R ( t) > f la parte d’acqua j − f può ristagnare<br />

sul terreno o, se la superficie è acclive, accumularsi negli invasi.<br />

Già nella variante TOPSIMPL si considera un infiltration excess accanto al<br />

ruscellamento dunniano prodotto per intercettazione del piano campagna da parte<br />

della falda freatica. In questo caso l’intens<strong>it</strong>à di infiltrazione è posta pari alla<br />

permeabil<strong>it</strong>à a saturazione K 0 sulla superficie: quando l’intens<strong>it</strong>à di precip<strong>it</strong>azione<br />

R ( t ) è più grande di 0 K , allora la quota ( ) R t − K0viene<br />

trasformata in runoff, mentre<br />

la rimanente quant<strong>it</strong>à va ad infiltrarsi; in caso contrario tutta la pioggia si infiltra nel<br />

terreno.<br />

Il modello sviluppato a Trieste considera invece una intens<strong>it</strong>à di infiltrazione<br />

variabile in maniera lineare in funzione del soil misture defic<strong>it</strong> del terreno. In questo<br />

caso abbiamo, per l’infiltrazione, l’espressione:<br />

d<br />

f () t = fc + max ( f0− fc)<br />

(3.20)<br />

SR<br />

dove d è il soil misture defic<strong>it</strong><br />

f 0 è l’intens<strong>it</strong>à di infiltrazione quando il terreno è asciutto<br />

f c è l’intens<strong>it</strong>à di infiltrazione quando il terreno è saturo<br />

max<br />

S R è la capac<strong>it</strong>à di campo<br />

Il soil misture defic<strong>it</strong>, come già affermato, viene ricalcolato ad ogni istante temporale<br />

per ogni singola classe di indice topografico, mentre le quant<strong>it</strong>à f 0 , f c e la field<br />

capac<strong>it</strong>y max<br />

S R sono parametri di taratura del modello.<br />

Il modello idrologico – pag. 27


3.3.3. Zona delle radici<br />

La quant<strong>it</strong>à di acqua che si infiltra nel terreno viene dapprima immagazzinata nella<br />

zona delle radici, dove va a compensare il relativo defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à: questa zona è<br />

considerata non attiva fino a quando non viene raggiunta la capac<strong>it</strong>à di campo, e la<br />

quant<strong>it</strong>à d’acqua immagazzinata è quindi disponibile per l’evapotraspirazione. È<br />

infatti previsto che la ricarica della falda avvenga unicamente oltrepassato questo<br />

valore di acqua infiltrata, in modo da simulare il r<strong>it</strong>ardo tra piogge e deflussi nella<br />

zona satura.<br />

Secondo quanto detto al punto precedente, in riferimento ad ogni passo temporale,<br />

nella zona delle radici si ha un incremento di umid<strong>it</strong>à pari all’intens<strong>it</strong>à di<br />

infiltrazione. Se, in segu<strong>it</strong>o a questo incremento, l’umid<strong>it</strong>à totale supera la capac<strong>it</strong>à di<br />

campo max<br />

R<br />

S , allora l’eccedenza va ad alimentare la zona insatura. Le quant<strong>it</strong>à di<br />

evapotraspirazione e di intercettazione dei vegetali sono sottratte dalla tavola<br />

d’acqua presente nella zona delle radici, secondo un tasso dipendente dal parametro<br />

Inter, espresso in m<br />

h .<br />

3.3.4. Zona insatura<br />

Il trasferimento dell’acqua dalla zona delle radici alla zona satura avviene nella zona<br />

insatura secondo un semplice processo di deflusso per grav<strong>it</strong>à. Il flusso dell’insaturo<br />

è infatti eterogeneo e per molti versi sconosciuto, e si renderebbe necessaria<br />

l’introduzione di nuovi e svariati parametri per un’analisi più approfond<strong>it</strong>a.<br />

Punto di appassimento<br />

Zona non attiva<br />

Capac<strong>it</strong>à di campo<br />

Contenuto d'acqua<br />

Zona delle radici<br />

Zona satura<br />

Zona insatura<br />

Deflusso<br />

per grav<strong>it</strong>à<br />

qv<br />

Saturazione<br />

Figura 3.7 : Schema bidimensionale dei processi di immagazzinamento dell'acqua<br />

Come si è visto il defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à viene calcolato in funzione del valore di indice<br />

topografico del gruppo di celle, secondo la relazione (3.18):<br />

⎛ ⎛ a ⎞⎞<br />

d( k, t) = d () t + m⎜λ-ln⎜ ⎟⎟<br />

⎝ ⎝tan β ⎠⎠<br />

dove d () t è il defic<strong>it</strong> medio nell’intero bacino all’istante t<br />

λ è il valore medio dell’indice topografico nel bacino<br />

k è la classe di indice topografico<br />

Il modello idrologico – pag. 28


Quando il defic<strong>it</strong> è minore o uguale a 0 la zona è considerata satura, così la tavola<br />

S k, t presente va interamente ad alimentare la produzione di runoff di<br />

d’acqua uz ( )<br />

Dunne secondo il peso wk ( ) della k -esima classe di celle (defin<strong>it</strong>o come il numero di<br />

celle sul totale).<br />

Quando invece si ha d > 0 la zona viene considerata insatura: in questo caso il<br />

software ripartisce il contenuto d’acqua verso la superficie e verso la falda.<br />

Se il defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à è più basso della tavola d’acqua, allora si ha il cosiddetto<br />

overflowing: l’eccedenza Suz ( k, t) − d( k, t) w( k)<br />

va ad alimentare la produzione di<br />

saturation excess runoff e la tavola d’acqua diventa pari a d .<br />

Il software calcola poi un valore di deflusso per grav<strong>it</strong>à pari al rapporto tra la tavola<br />

d’acqua nella zona insatura e il defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à:<br />

Suz ( k, t)<br />

QV( k, t)<br />

= (3.21)<br />

d( k, t)<br />

Quando questo rapporto è maggiore della tavola d’acqua, il drenaggio verticale per<br />

la singola classe di celle è pari alla tavola d’acqua nella zona insatura, che diventa<br />

Suz ( k, t+Δ t) = Suz ( k, t) − QV( k)<br />

. Quando invece si ha QV < Suz<br />

allora il drenaggio per<br />

grav<strong>it</strong>à è semplicemente pari a Q V . La ricarica di falda totale è pari alla somma di<br />

tutte queste ricariche locali, pesate in funzione del loro peso wk ( ) .<br />

3.3.5. Zona satura<br />

Il valore medio della profond<strong>it</strong>à della tavola d’acqua sull’intero bacino viene<br />

ricalcolato ad ogni intervallo temporale Δ t secondo la relazione<br />

t t<br />

t+ 1 t QV − QB<br />

z = z − Δ t<br />

Ab<br />

(3.22)<br />

dove Q V è il drenaggio verticale nel tempo t Δ<br />

Q B è il flusso profondo uscente dalla zona satura<br />

A b è l’area del bacino<br />

Il flusso entrante è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o dai contributi che ogni classe di celle con indice<br />

topografico simile fornisce:<br />

t<br />

Q<br />

t<br />

= ∑ α q<br />

(3.23)<br />

V i V<br />

i∈Ab Il flusso profondo è invece defin<strong>it</strong>o in funzione della lunghezza dei canali di flusso:<br />

t<br />

di<br />

−<br />

t m QB= ∫ T0e tan βdL<br />

(3.24)<br />

L<br />

dove L è il doppio della lunghezza dei canali di flusso<br />

Tenendo conto della (3.18) possiamo scrivere<br />

t<br />

B = ∫<br />

L<br />

t<br />

⎛ d a ⎞<br />

0 tan β exp ⎜− − λ*<br />

+ ln ⎟d<br />

⎝ m tan β ⎠<br />

= 0<br />

t<br />

d<br />

−<br />

m −λ*<br />

∫ d<br />

L<br />

t t<br />

d d<br />

− −<br />

m −λ*<br />

m<br />

= ATe b 0 e = Qe 0<br />

Q T L T e e a L<br />

(3.25)<br />

poiché l’integrale dell’area un<strong>it</strong>aria su tutto il bacino è uguale all’area del bacino.<br />

Il modello idrologico – pag. 29


3.3.6. Condizioni iniziali<br />

Al fine di valutare il processo fino ad ora defin<strong>it</strong>o, vanno impostate delle condizioni<br />

iniziali dalle quali far partire la simulazione.<br />

Si ipotizza che il processo parta dopo un periodo relativamente secco: il terreno dove<br />

è preponderante il flusso dell’insaturo (la zona delle radici) è asciutto, ossia la field<br />

capac<strong>it</strong>y è ridotta al minimo. Il flusso, all’istante iniziale, è così dovuto unicamente al<br />

deflusso profondo in quanto non si ha apporto di acqua dalla zona insatura.<br />

Le condizioni iniziali risultano quindi:<br />

1<br />

⎪⎧<br />

QV<br />

= 0<br />

⎨ 1 1<br />

⎪⎩ QB = Qmis<br />

Inserendo queste condizioni nell’equazione (3.25) si trova lo stato iniziale della falda:<br />

1<br />

1 ⎛Q⎞ mis<br />

d = mln<br />

⎜ ⎟<br />

(3.26)<br />

⎝ Q0<br />

⎠<br />

3.4. L’idrogramma un<strong>it</strong>ario<br />

istantaneo geomofrologico<br />

3.4.1. L’idrogramma un<strong>it</strong>ario istantaneo<br />

3.4.1.1. Sistemi lineari e stazionari<br />

La teoria dell’idrogramma un<strong>it</strong>ario istantaneo per la risposta idrologica proposto da<br />

Sherman si basa sull’utilizzo di un sistema lineare e stazionario per rappresentare:<br />

• lo scorrimento superficiale<br />

ingresso: portata di pioggia netta che affluisce al bacino (afflusso efficace)<br />

usc<strong>it</strong>a: portata di pioggia alla sezione di chiusura (risposta rapida)<br />

• lo scorrimento sotterraneo<br />

ingresso: portata di percolazione profonda che affluisce all’acquifero<br />

usc<strong>it</strong>a: portata di deflusso ipodermico<br />

Considerando un sistema a parametri concentrati con un solo ingresso ed una sola<br />

usc<strong>it</strong>a concentrati, l’equazione differenziale che lega ingresso e usc<strong>it</strong>a è:<br />

a + a D+ a<br />

2<br />

D + …+ a<br />

n<br />

D y t =<br />

2<br />

b + b D+ b D + … + b<br />

m<br />

D x t<br />

( 0 1 2 n ) ( ) ( 0 1 2<br />

m ) ()<br />

b b b b<br />

a a a a<br />

+ D+ 2<br />

D + …+<br />

m<br />

D<br />

0 + 1D+ 2<br />

2D<br />

+ …+<br />

n<br />

n D<br />

0 1 2<br />

m<br />

⇒ y () t =<br />

x() t<br />

(3.27)<br />

dove D è l’operatore derivata o di Heaviside<br />

Si ipotizza che tale sistema sia:<br />

• lineare: non compaiono potenze di grado diverso da 0 e da 1 di x() t , y( t ) e<br />

delle derivate, inoltre i coefficienti sono indipendenti da x() t e y() t ;<br />

• stazionario: i coefficienti sono costanti, ossia non dipendono dal tempo;<br />

• con memoria: i coefficienti delle derivate al denominatore sono diversi da 0,<br />

quindi l’usc<strong>it</strong>a y() t contiene termini cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>i da integrali nel tempo di x( t ) ;<br />

• stabile e fortemente smorzato: ci sono varie condizioni, una è che l’ordine di<br />

derivazione m non superi l’ordine di derivazione n .<br />

Il modello idrologico – pag. 30


L’integrale generale di un’equazione differenziale lineare non omogenea è uguale<br />

alla somma:<br />

• dell’integrale generale dell’equazione omogenea associata, che rappresenta<br />

l’usc<strong>it</strong>a dovuta alla parte di ingresso che precede l’istante iniziale;<br />

• di un integrale particolare dell’equazione non omogenea, che rappresenta<br />

l’usc<strong>it</strong>a dovuta alla parte di ingresso che segue l’istante iniziale.<br />

L’integrale particolare coincide con la soluzione per le condizioni iniziali:<br />

n−1<br />

y() t = Dy() t = … = D y( t)<br />

= 0 per t = 0<br />

La soluzione corrispondente alle condizioni iniziali nulle ha quindi la forma<br />

dell’integrale di convoluzione:<br />

t<br />

() = ( − )( )<br />

y t ∫ h t τ x τ dτ<br />

(3.28)<br />

0<br />

La funzione ht () prende il nome di risposta impulsiva o funzione di peso del sistema<br />

e dipende dai soli coefficienti dell’equazione differenziale, ossia dalle sole<br />

caratteristiche del sistema. È possibile chiarire il significato della risposta impulsiva<br />

introducendo il concetto di impulso un<strong>it</strong>ario o impulso di Dirac, rappresentato con il<br />

simbolo δ () t , che è la forma lineare assunta da un’onda rettangolare di altezza d<br />

diversa da 0 nell’intervallo ( 0, t)<br />

con Δt→ 0 si ha d →∞.<br />

x t = Xδt abbiamo<br />

Assumendo un ingresso () ( )<br />

+∞ +∞<br />

() δ ()<br />

∫ ∫<br />

x t dt = X t dt<br />

= X<br />

−∞ −∞<br />

e l’integrale di convoluzione diventa<br />

t t<br />

() = ( − )( ) = ( − ) ( )<br />

y t h t τ x τ dτ h t τ Xδ<br />

τ dτ<br />

0 0<br />

Δ , con integrale generale δ ()d t t = dΔ t = 1:<br />

quindi<br />

∫ ∫ (3.29)<br />

Per la definizione dell’impulso un<strong>it</strong>ario, abbiamo Xδ ( τ ) = 0 per ogni τ eccetto che<br />

per τ = 0 , dove abbiamo dτ = 1.<br />

Quindi in defin<strong>it</strong>iva si ha:<br />

y() t = h() t X<br />

Assumendo il valore X = 1 la risposta impulsiva risulta numericamente coincidente<br />

ma dimensionalmente non coincidente con la risposta del sistema (infatti ht () ha<br />

sempre le dimensioni dell’inverso di un tempo) e possiamo così dire che la risposta<br />

impulsiva coincide numericamente con la risposta del sistema a un ingresso in forma<br />

di impulso un<strong>it</strong>ario.<br />

3.4.1.2. Espressione dell’IUH<br />

Fatte le opportune premesse sulla teoria dei sistemi lineari e stazionari, possiamo<br />

affermare che il sistema che rappresenta lo scorrimento superficiale è dato<br />

dall’equazione differenziale (3.27) con q= y e r = x:<br />

2<br />

m<br />

b0 + b1D+ b2D + …+<br />

bmD<br />

q() t =<br />

r 2<br />

n () t<br />

a0 + a1D+ a2D + …+<br />

anD<br />

con q() t = portata di risposta rapida<br />

+∞<br />

∫<br />

−∞<br />

Il modello idrologico – pag. 31


() t = portata di afflusso efficace<br />

Il rispetto dell’equazione di continu<strong>it</strong>à impone<br />

∞ ∞<br />

() = ()<br />

∫ ∫<br />

r t dt q t dt<br />

0 0<br />

R<br />

e quindi, poiché 0 0 1 a = b = , il sistema diventa<br />

2<br />

m<br />

1+ b1D+ b2D + …+<br />

bmD<br />

q() t = r 2<br />

n () t<br />

(3.30)<br />

1+ a1D+ a2D + …+<br />

anD<br />

La soluzione del sistema corrispondente alle condizioni iniziali nulle ha la forma<br />

dell’integrale di convoluzione<br />

t<br />

() = ( − )( )<br />

q t ∫ h t τ r τ dτ<br />

(3.31)<br />

0<br />

con ht= () risposta impulsiva<br />

La risposta impulsiva coincide con l’idrogramma della portata in usc<strong>it</strong>a provocata da<br />

un ingresso in forma di impulso di Dirac (afflusso di un volume un<strong>it</strong>ario in un tempo<br />

infin<strong>it</strong>esimo) e prende il nome di instantaneous un<strong>it</strong> hydrograph (IUH, o idrogramma<br />

un<strong>it</strong>ario istantaneo nella lingua <strong>it</strong>aliana).<br />

Figura 3.8 : Schema dell’IUH<br />

Poichè l’integrale dell’impulso di Dirac è, per definizione, uguale all’un<strong>it</strong>à abbiamo:<br />

∞<br />

∫<br />

0<br />

()<br />

r t dt = 1<br />

e allora, per l’equazione di continu<strong>it</strong>à, abbiamo anche<br />

∞ ∞ ∞<br />

() () ()<br />

∫ ∫ ∫<br />

r t dt = q t dt = h t dt = 1<br />

R<br />

0 0 0<br />

La funzione ht () dovrebbe, per semplici considerazioni fisiche, annullarsi quindi ad<br />

un tempo fin<strong>it</strong>o t b detto tempo base del bacino, coincidente con il tempo di<br />

corrivazione.<br />

Il modello idrologico – pag. 32


3.4.2. I modelli geomorfologici<br />

Il processo che trasforma la pioggia netta in portata alla sezione di chiusura dipende,<br />

tra i vari fattori, dalle caratteristiche della rete idrografica. È naturale attendersi<br />

quindi che anche l’IUH dipenda da tali caratteristiche, poiché rappresenta una<br />

descrizione sintetica del processo di trasformazione.<br />

Rodriguez-Iturbe e Valdés nel 1979 hanno introdotto un particolare modello di tipo<br />

concettuale che indaga sulla relazione tra IUH e caratteristiche della rete idrografica.<br />

Il modello si basa su due osservazioni fondamentali:<br />

• immaginando che all’ingresso si abbia un impulso di Dirac (ossia<br />

immaginando che piove un volume un<strong>it</strong>ario in un tempo infin<strong>it</strong>esimo) il<br />

volume d’acqua V che attraversa la sezione di chiusura cresce da 0 all’istante<br />

iniziale a 1 all’istante finale, e possiamo così definire una V () t tale che<br />

( )<br />

dV t<br />

dt<br />

sia pari all’idrogramma della portata alla sezione di chiusura e quindi pari<br />

all’IUH del bacino;<br />

• una goccia d’acqua, presa a caso, che cade nel bacino raggiungerà la sezione di<br />

chiusura in un tempo t , pertanto il tempo t è una variabile aleatoria ed è<br />

quindi possibile definire la probabil<strong>it</strong>à P( t) di non superamento della<br />

variabile t .<br />

Tale probabil<strong>it</strong>à è rappresentata dalla funzione che fornisce il volume d’acqua che al<br />

tempo t ha già raggiunto la sezione di chiusura:<br />

P() t = V () t<br />

(3.32)<br />

e quindi la dens<strong>it</strong>à di probabil<strong>it</strong>à di t coinciderà con l’IUH del bacino.<br />

Vari autori hanno trovato delle relazioni che legano l’IUH con alcune caratteristiche<br />

geomorfologiche del bacino basate sulla geometria frattale e su cr<strong>it</strong>eri di ordinamento<br />

del reticolo idrografico, come ad esempio la numerazione di Strehler.<br />

3.4.3. La funzione d’ampiezza<br />

Una delle formulazioni della teoria geomorfologica è quella basata sulla funzione di<br />

ampiezza, ossia una funzione che associa a ciascuna lunghezza del percorso che<br />

impiega una particella d’acqua a giungere alla sezione di chiusura del bacino la<br />

relativa area. Lo scopo della modellazione è quello di trovare la <strong>pdf</strong> (funzione dens<strong>it</strong>à<br />

di probabil<strong>it</strong>à) del tempo che una particella passa nel bacino prima di raggiungere la<br />

sezione di chiusura, chiamato tempo di residenza.<br />

La funzione d’ampiezza riesce anche a “mappare” l’area del bacino, che è un oggetto<br />

bidimensionale, su di un supporto a dimensione inferiore: contiene informazioni sui<br />

meccanismi di generazione della rete di drenaggio, ossia sul modo nel quale questa<br />

occupa lo spazio bidimensionale del bacino.<br />

Nella variante defin<strong>it</strong>a da Rodriguez-Iturbe e Rinaldo nel 1997, la funzione di<br />

ampiezza è determinata dalla descrizione del reticolo di drenaggio superficiale<br />

prescindendo da cr<strong>it</strong>eri di ordinamento del reticolo stesso. Il modello è del tipo<br />

exponentially distributed GIUH, in quanto si assume che la dens<strong>it</strong>à di probabil<strong>it</strong>à del<br />

tempo di percorrenza delle particelle nei canali è di tipo esponenziale.<br />

In questo caso la width function fornisce il numero di s<strong>it</strong>i della rete idrografica posti<br />

alla distanza x , misurata lungo la rete stessa, dall’usc<strong>it</strong>a.<br />

Il modello idrologico – pag. 33


Figura 3.9 : Definizione della funzione d'ampiezza<br />

Si nota immediatamente che se W( x ) è tale numero la lunghezza totale Z della rete<br />

idrografica può essere espressa dalla relazione:<br />

∞<br />

0<br />

( )<br />

Z = ∫ W x d x<br />

Assumendo che la veloc<strong>it</strong>à dell’acqua nei rami della rete di drenaggio sia costante, a<br />

ciascuna distanza può essere associato un tempo di percorrenza, ovvero un tempo di<br />

residenza nel bacino. Si dimostra infatti che la portata per un<strong>it</strong>à di area ottenuta in<br />

usc<strong>it</strong>a da ogni singolo stato è anche la distribuzione dei tempi di residenza dei<br />

volumi meteorici all’interno dello stato stesso. In defin<strong>it</strong>iva la funzione d’ampiezza<br />

cost<strong>it</strong>uisce la risposta idrologica del bacino in esame.<br />

Il metodo comunemente più utilizzato per la definizione della funzione d’ampiezza è<br />

quello manuale: individuato il reticolo idrografico, si va a contare manualmente il<br />

numero di rami ad una distanza fissata, <strong>it</strong>erando il procedimento per passi<br />

successivi.<br />

3.4.4. Espressione dell’idrogramma<br />

La distribuzione dei tempi di residenza in un dato percorso è interpretata con<br />

l’impiego di un modello lineare di convezione - diffusione (cfr. punto 3.5.5.1) retto<br />

dall’equazione:<br />

2<br />

∂g ∂g ∂ g<br />

+ c = D<br />

(3.33)<br />

2<br />

∂t ∂x ∂x<br />

dove g( x, t) è la dens<strong>it</strong>à di probabil<strong>it</strong>à della posizione delle particelle<br />

x è la distanza dalla sezione di chiusura valutata lungo il percorso di<br />

drenaggio<br />

c è la celer<strong>it</strong>à nei principali canali di deflusso<br />

D è la diffusiv<strong>it</strong>à sugli overland<br />

La distribuzione delle veloc<strong>it</strong>à ipotizzata lungo i versanti è di tipo gaussiano, in<br />

quanto le ramificazioni della rete di drenaggio prendono forma a partire dalle scale<br />

minori e quindi con veloc<strong>it</strong>à che variano da pressoché nulle ad elevate. Resta così<br />

possibile definire il valore medio delle veloc<strong>it</strong>à di deflusso, tram<strong>it</strong>e il parametro c , e<br />

la dispersione intorno a tale valore, legata al parametro D .<br />

I corsi d’acqua ben sviluppati avranno una distribuzione più stretta intorno al valor<br />

medio di veloc<strong>it</strong>à, e cioè con un valore per il parametro di diffusione minore rispetto<br />

a quello caratteristico di corsi d’acqua ancora non ben defin<strong>it</strong>i, tipici degli overland.<br />

Sotto queste ipotesi la distribuzione gt (| x ) dei tempi di residenza in un percorso di<br />

drenaggio di lunghezza x è espressa dalla distribuzione inversa di Gauss:<br />

Il modello idrologico – pag. 34


( ) 2<br />

x − ct<br />

gt (| x)<br />

=<br />

x<br />

3<br />

4π<br />

Dt<br />

⎡<br />

exp⎢−<br />

⎢⎣ 4Dt<br />

⎤<br />

⎥<br />

⎥⎦<br />

La probabil<strong>it</strong>à che un percorso di drenaggio abbia lunghezza x è data, per<br />

immissioni uniformemente distribu<strong>it</strong>e, dalla funzione d’ampiezza geomorfologica<br />

W( x ) . Il width function based instantaneous un<strong>it</strong> hydrograph, o WGIUH, si può pertanto<br />

calcolare come dens<strong>it</strong>à di probabil<strong>it</strong>à marginale delle variabili aleatorie t e x :<br />

gt () =<br />

1<br />

3<br />

4π<br />

Dt<br />

l<br />

2<br />

max<br />

⎡ ( x−ct) ⎤<br />

∫ xW ⋅ ( x)exp⎢− ⎥ dx<br />

4Dt<br />

0<br />

⎢⎣ ⎥⎦<br />

(3.34)<br />

dove l max = massima distanza di un punto del bacino dalla sezione di chiusura<br />

Tale idrogramma dipende dai parametri:<br />

- celer<strong>it</strong>à c di propagazione dell’onda di piena nella rete idrografica;<br />

- coefficiente D di dispersione idrodinamica.<br />

In generale il WGIUH risulterà dall’unione di due equazioni del tipo (3.34), in quanto<br />

va tenuto conto delle differenze di comportamento nei canali e negli overland. Le<br />

celer<strong>it</strong>à nei percorsi lungo i versanti e lungo i canali sono variabili, ma si possono<br />

assumere entrambi dello stesso ordine di grandezza. Per quanto riguarda invece la<br />

diffusiv<strong>it</strong>à, essa rappresenta:<br />

- nei canali gli effetti di laminazione indotti dagli invasi di rete;<br />

- negli overland gli effetti diffusivi dovuti allo scorrimento lungo i versanti, e<br />

quindi una dispersione geomorfologica cui corrispondono valori di D di un<br />

ordine di grandezza o più di quelli tipici dei corsi d’acqua.<br />

3.5. La propagazione lungo l’asta<br />

fluviale<br />

Le portate che fluiscono attraverso le sezioni di chiusura dei singoli sottobacini<br />

vanno trasportate lungo l’asta principale fino alla sezione di chiusura dell’intero<br />

bacino.<br />

Le modal<strong>it</strong>à con cui le onde di piena si propagano lungo le aste fluviali sono<br />

strettamente correlate con l’ent<strong>it</strong>à e la natura delle diverse forze in gioco,<br />

sostanzialmente forza peso e forze resistenti, e con le modal<strong>it</strong>à degli invasi<br />

disseminati lungo il percorso. Si può affermare che negli alvei fluviali le onde di<br />

piena si propagano con uno schema intermedio tra due casi lim<strong>it</strong>e:<br />

• il primo descrive approssimativamente il comportamento di alvei piuttosto<br />

regolari, privi di grandi capac<strong>it</strong>à di invaso e piuttosto ripidi ed è caratterizzato<br />

da onde che traslano lungo l’alveo senza subire sostanziali modifiche, con gli<br />

idrogrammi relativi a successive sezioni trasversali che differiscono tra loro<br />

solo perchè sfasati nel tempo;<br />

• il secondo si verifica nei laghi naturali o artificiali, dove la portata si invasa<br />

temporaneamente provocando l’attenuazione dell’onda, ovvero la sua<br />

laminazione.<br />

Normalmente, infatti, man mano che l’onda si sposta verso valle si può osservare,<br />

insieme allo sfasamento dell’istante in cui si presenta il colmo, un’attenuazione dello<br />

stesso, tanto più pronunciata quanto più l’alveo è irregolare e quanto più frequenti<br />

Il modello idrologico – pag. 35


ed importanti sono i volumi d’acqua che possono invasarsi temporaneamente nelle<br />

golene o in altre zone allagabili.<br />

3.5.1. Il modello parabolico<br />

Nei corsi d’acqua naturali, a causa delle variazioni di alimentazione idrica<br />

proveniente dai bacini idrografici, il moto è generalmente di tipo vario. Per la lenta<br />

evoluzione delle onde di piena, spesso è lec<strong>it</strong>o considerare il moto come<br />

gradualmente variato: si fa l’ipotesi che le grandezze che definiscono la corrente<br />

siano funzioni continue del tempo e della sola coordinata spaziale x (moto<br />

unidimensionale). Ciò implica che le sezioni trasversali sono piane e verticali, e che la<br />

pressione è distribu<strong>it</strong>a su di esse con legge approssimativamente idrostatica. Queste<br />

condizioni sono, di sol<strong>it</strong>o, abbastanza ben verificate nei corsi d’acqua naturali<br />

durante gli eventi di piena.<br />

Con queste assunzioni è possibile scrivere le equazioni che governano il problema,<br />

dette equazioni di De Saint Venant, come:<br />

∂Q ∂A<br />

+ = 0<br />

equazione di continu<strong>it</strong>à (3.35)<br />

∂x ∂t<br />

∂H 1 ∂U<br />

+ + J = 0 equazione del moto (3.36)<br />

∂x g ∂t<br />

dove Q è la portata<br />

A è l’area bagnata<br />

H è il carico totale medio<br />

U è la veloc<strong>it</strong>à media<br />

J è la perd<strong>it</strong>a specifica di energia<br />

Nei casi di propagazione dell’onda di piena risulta accettabile trascurare i termini<br />

cinetici, così le equazioni di De Saint Venant diventano le equazioni del modello<br />

parabolico, che descrive le caratteristiche principali del fenomeno propagatorio delle<br />

onde di piena negli alvei naturali:<br />

⎧∂Q<br />

∂h<br />

+ B = 0<br />

⎪ ∂x ∂t<br />

⎨ (3.37)<br />

⎪ ∂h<br />

= i− j<br />

⎩⎪∂<br />

x<br />

dove B è la larghezza della corrente sulla superficie libera<br />

h è l’altezza d’acqua<br />

i è la pendenza del fondo<br />

3.5.1.1. L’equazione di convezione – diffusione<br />

Trascurando i termini inerziali, è possibile ricavare dal sistema (3.37) del modello<br />

parabolico un’unica equazione, detta equazione della convezione - diffusione, che<br />

rappresenta il fenomeno del moto vario unidimensionale:<br />

2<br />

∂Q ∂Q ∂ Q<br />

+ c⋅ = D<br />

(3.38)<br />

2<br />

∂t ∂x ∂x<br />

Similmente rispetto a quanto visto nella costruzione del WGIUH, abbiamo i due<br />

parametri:<br />

1 ∂J ∂Q<br />

c =− che rappresenta la celer<strong>it</strong>à dell’onda;<br />

B ∂h ∂ J<br />

Il modello idrologico – pag. 36


1 ∂Q<br />

D =− che rappresenta la diffusione.<br />

B ∂ J<br />

∂x<br />

Dall’equazione si rileva che un osservatore che percorra la riva con veloc<strong>it</strong>à c =<br />

∂ t<br />

osserva una portata Q variabile nel tempo in modo che la sua derivata sia pari al<br />

2<br />

∂ Q<br />

termine di diffusione D . Tale termine è negativo in corrispondenza della sezione<br />

2<br />

∂x<br />

del fiume ove si ha il massimo di portata, mentre D è sempre pos<strong>it</strong>ivo: l’osservatore<br />

mobile registra quindi una variazione di portata negativa, ossia la portata si propaga<br />

verso valle attenuandosi progressivamente. Per questioni di continu<strong>it</strong>à l’onda di<br />

piena, durante la propagazione, deve anche allungarsi.<br />

3.5.1.2. Soluzione dell’equazione<br />

L’equazione differenziale di convezione – diffusione va risolta imponendo la<br />

condizione iniziale:<br />

⎧⎪ Q( x,0) = Q0 per x<<br />

0<br />

⎨<br />

⎪⎩ Q( x,0) = 0 per x><br />

0<br />

e quella al contorno:<br />

Q( x, t) = 0 per x→∞, ∀ t<br />

Al fine di ricavare una soluzione anal<strong>it</strong>ica dell’equazione va operata la sost<strong>it</strong>uzione<br />

di variabili:<br />

ξ = x − ct<br />

τ = t<br />

per cui, sost<strong>it</strong>uendo nell’equazione di convezione - diffusione, si ha:<br />

⎧ ∂Q ∂Q ∂ξ ∂Q ∂τ ∂Q<br />

⎪<br />

= + =<br />

⎪ ∂x ∂ξ ∂x ∂τ ∂x ∂ξ<br />

⎨<br />

⎪ ∂Q ∂Q ∂ξ ∂Q ∂τ ∂Q ∂Q<br />

= + = − c +<br />

⎪⎩ ∂t ∂ξ∂t ∂τ ∂t ∂ξ ∂τ<br />

e si ottiene così l’equazione della diffusione:<br />

2<br />

∂Q ∂ Q<br />

= D<br />

(3.39)<br />

2<br />

∂τ∂ξ Passando alle trasformate di Laplace si trova, per tale equazione, con le condizioni<br />

iniziali e al contorno sopra specificate, la soluzione:<br />

Q ⎡ 0 ⎛ ξ ⎞⎤<br />

Q ( ξ, τ ) = ⎢1− erf<br />

2<br />

⎜ ⎟⎥<br />

(3.40)<br />

⎣ ⎝ 4 D ⋅τ<br />

⎠⎦<br />

dove la funzione erf( x ) , detta error function, è defin<strong>it</strong>a come:<br />

2<br />

2<br />

−t<br />

erf( x) e d t<br />

π<br />

x<br />

= ∫ (3.41)<br />

0<br />

Il modello idrologico – pag. 37


1.2<br />

1<br />

0.8<br />

0.6<br />

0.4<br />

0.2<br />

0<br />

-15 -10 -5 0 5 10 15<br />

-0.2<br />

-0.4<br />

-0.6<br />

-0.8<br />

-1<br />

-1.2<br />

erf(x)<br />

Figura 3.10: La error function; si nota l’andamento tendente asintoticamente ad 1 e –1<br />

rispettivamente per valori tendenti a +∞ e -∞<br />

Andando a operare la sost<strong>it</strong>uzione di variabili inversa a quella fatta prima, per<br />

ottenere la soluzione in funzione delle variabili dirette si ottiene:<br />

Q ⎡ 0 ⎛ x − ct ⎞⎤<br />

Q( x, t)<br />

= ⎢1− erf<br />

2<br />

⎜ ⎟⎥<br />

(3.42)<br />

⎣ ⎝ 4 D t ⎠⎦<br />

Gli idrogrammi di piena uscenti dai singoli sottobacini sono approssimati da una<br />

successione di impulsi rettangolari con intervallo di discretizzazione T pari all’ora.<br />

La funzione erf( x ) è una funzione che tende a valori diversi dallo zero: per<br />

rappresentare al meglio il propagarsi di un impulso ad onda quadra la soluzione<br />

migliore risulta la sovrapposizione di due onde inizialmente quadre, una pos<strong>it</strong>iva ed<br />

una negativa, sfasate del periodo di discretizzazione delle portate, ossia nella<br />

mezz’ora. Si giunge così alla seguente soluzione per l’impulso rettangolare di<br />

ampiezza Q 0 :<br />

Q x t<br />

Q ⎡ ⎛ x − ct ⎞⎤<br />

= ⎢ −<br />

2<br />

⎜ ⎟⎥<br />

⎣ ⎝ 4 Dt ⎠⎦<br />

0 ( , ) 1 erf<br />

Q<br />

⎡ ⎛ x − c( t −T ) ⎞<br />

⎛ x − ct ⎞<br />

⎤<br />

= ⎢ ⎜ ⎟<br />

2<br />

⎜ ⎟<br />

⎥<br />

⎢ ⎜ 4 D( t − T ) ⎟ ⎝ 4 Dt ⎠⎥<br />

⎣ ⎝ ⎠<br />

⎦<br />

0 ( , ) erf erf<br />

Q x t<br />

Portate [m3/s]<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

-5<br />

-10<br />

-15<br />

-20<br />

x<br />

Tempo [min]<br />

0 20 40 60 80 100 120<br />

Onda 1<br />

Onda 2<br />

Somma<br />

per t ≤ T<br />

per t ≥ T<br />

Figura 3.11: Somma algebrica delle onde sfasate di mezz’ora ad una distanza fissata<br />

Il modello idrologico – pag. 38


È facile notare come il termine diffusione risulti essere responsabile della variazione<br />

di forma dell’onda: da onda quadra con impulso a scalino essa si trasforma in una<br />

curva continua, tendente asintoticamente al valore assunto dall’onda quadra.<br />

La convoluzione su tutto il periodo studiato riproduce infine l’onda di piena per<br />

qualsiasi coppia ( x, t ) .<br />

Per quanto riguarda la stima dei parametri di celer<strong>it</strong>à dell’onda cinematica e della<br />

diffusione, questi possono essere valutati utilizzando le espressioni:<br />

c= 1.5v0<br />

(3.43)<br />

Q<br />

D = (3.44)<br />

2Bim dove Q rappresenta la portata trans<strong>it</strong>ante<br />

B è la larghezza media della sezione rettangolare, equivalente alla larghezza<br />

dell’alveo<br />

i m è la pendenza media del tratto di corso d’acqua considerato<br />

v 0 è la veloc<strong>it</strong>à media a moto uniforme del fiume<br />

Quest’ultima si ottiene utilizzando la nota formula di Gauckler – Strickler:<br />

2<br />

v = K R i<br />

3<br />

s H m<br />

dove K s è il coefficiente di scabrezza secondo Gauckler – Strickler<br />

R H indica il raggio idraulico<br />

3.5.2. La laminazione nei laghi<br />

I grandi invasi eventualmente presenti nel bacino, come laghi naturali e artificiali o<br />

casse di espansione, comportano degli effetti di laminazione dell’onda di piena dei<br />

quali è necessario tenere conto nella fase di trasporto dell’onda.<br />

3.5.2.1. Idraulica dei serbatoi<br />

Il moto della corrente nei serbatoi è di tipo vario, ma può essere studiato trascurando<br />

i fenomeni propagatori che si verificano nel serbatoio. Per fare ciò occorre ipotizzare<br />

che il riempimento e lo svuotamento avvengano istantaneamente e che il pelo libero<br />

rimanga sempre orizzontale, secondo un modello che viene defin<strong>it</strong>o zero-dimensionale<br />

statico.<br />

Le equazioni che governano i fenomeni di invaso e svaso nei serbatoi, nell’ipotesi di<br />

modello statico, sono l’equazione di continu<strong>it</strong>à, scr<strong>it</strong>ta in forma integrale per tutto il<br />

serbatoio, e l’equazione dinamica, cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a dalla relazione fra volume invasato V e<br />

portata effluente Q u dalle luci di scarico:<br />

⎧ dV<br />

⎪Qe<br />

− Qu<br />

=<br />

⎨ dt<br />

(3.46)<br />

⎪ n<br />

⎩Qu=<br />

aV<br />

L’equazione dinamica è ottenuta integrando quella delle correnti lineari<br />

∂E 1 ∂v<br />

=− − j<br />

(3.47)<br />

∂s g ∂t<br />

fra l’istantaneo pelo libero del serbatoio e la sezione di sbocco della luce.<br />

Trascurando i termini cinetici connessi alla veloc<strong>it</strong>à di spostamento del pelo libero<br />

nel serbatoio e l’inerzia locale del sistema, generalmente molto piccoli, è possibile<br />

Il modello idrologico – pag. 39


esprimere la portata uscente come nel caso del moto permanente, ossia come<br />

funzione dell’altezza del pelo libero e, quindi, del volume invasato.<br />

In generale, indicato con h il carico sulla luce, si ha:<br />

Q = C A 2gh<br />

= c h per luci a battente<br />

u Q b<br />

3 3<br />

u Q 2 2<br />

s<br />

2<br />

Q = C L gh = c h per luci a sfioro libero<br />

dove C Q è un coefficiente di ragguaglio<br />

A è l’area del battente<br />

L è la larghezza dello sfioro<br />

Il deflusso dal serbatoio può avvenire da vari altri tipi di scarico, quali canali a<br />

debole o forte pendenza, gallerie di derivazione, imboccature a calice, ecc per ognuno<br />

Q = f h .<br />

dei quali è ben nota, dall’idraulica, la relazione ( )<br />

3.5.2.2. I serbatoi artificiali a scopo multiplo<br />

Va detto, innanz<strong>it</strong>utto, che raramente un serbatoio artificiale viene realizzato per sole<br />

final<strong>it</strong>à di regimentazione delle acque di piena, che sono sol<strong>it</strong>amente secondarie<br />

rispetto agli usi idroelettrici o irrigui. Ai fini della moderazione delle piene, infatti,<br />

nei serbatoi a scopo multiplo sono previsti i soli scarichi di superficie, generalmente<br />

sfioratori aventi il petto alla quota di massima regolazione, poiché quelli di fondo<br />

vengono di regola chiusi durante un evento eccezionale. Posto poi che per<br />

massimizzare gli altri usi del serbatoio si cerca di mantenere il livello il più alto<br />

possibile, il sistema è poco efficace: si ha a disposizione una capac<strong>it</strong>à di invaso<br />

ridotta, cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a dal volume compreso tra la quota di massima regolazione e quella<br />

di massimo invaso, pari alla quota del piano di coronamento meno il franco.<br />

Figura 3.12: Schema della capac<strong>it</strong>à di invaso disponibile per la laminazione delle piene nei<br />

serbatoi a scopo multiplo; va notato che il franco è pari alla somma del franco netto e della<br />

semiampiezza dell’onda provocata dal vento<br />

Il sistema 3.46 può essere risolto numericamente con vari algor<strong>it</strong>mi, basati tutti<br />

sul metodo delle differenze fin<strong>it</strong>e. L’equazione di continu<strong>it</strong>à dei serbatoi,<br />

differenziale ordinaria del primo ordine, viene discretizzata sost<strong>it</strong>uendo alla derivata<br />

un rapporto incrementale e valutando il secondo membro con i valori medi<br />

dell’intervallo:<br />

k+ 1 k<br />

V −V ⎡1 k k+ 1 1 k k+<br />

1 ⎤<br />

= ( Qe + Qe ) − ( Qu + Qu<br />

)<br />

Δt ⎢<br />

⎣2 2 ⎥<br />

⎦ (3.48)<br />

avendo indicato con gli indici k e k + 1 i valori delle portate e del volume ai tempi<br />

kΔ t e ( k+ 1)<br />

Δ t .<br />

Nell’equazione 3.48, che è risolta ad ogni passo temporale, sono noti:<br />

- il valore della portata entrante nel serbatoio, media nell’intervallo Δt;<br />

- la quota h del pelo libero del serbatoio all’inizio dell’intervallo e, quindi, il<br />

volume accumulato e la portata uscente.<br />

u<br />

Il modello idrologico – pag. 40


Sono invece incogn<strong>it</strong>i nell’equazione la portata uscente e il volume accumulato alla<br />

fine dell’intervallo.<br />

Per procedere nella risoluzione dell’EDO del primo ordine bisogna assegnare una<br />

condizione iniziale, cioè il valore del volume invasato V 0 al tempo t = 0 , ricavabile<br />

conoscendo la quota iniziale del pelo libero h 0 .<br />

L’ulteriore equazione che rende determinato il problema è la relazione fra il volume<br />

invasato e la portata uscente, determinabile conoscendo la geometria del serbatoio e<br />

Q = f h .<br />

l’equazione esprimente la legge di efflusso ( )<br />

u<br />

Il modello idrologico – pag. 41


4. Fase operativa<br />

In questo cap<strong>it</strong>olo si presentano le operazioni che si sono rese necessarie al fine di<br />

preparare e calibrare il modello sull’area di studio, così da mettere in evidenza le<br />

varie fasi occorrenti per condurre una analisi idrologica.<br />

4.1. Reperimento dati e software<br />

Per quanto riguarda la base cartografica su cui iniziare l’analisi terr<strong>it</strong>oriale è stata<br />

usata la Carta Regionale Numerica in scala 1:25000, forn<strong>it</strong>a dal Centro di Calcolo<br />

dell’Univers<strong>it</strong>à degli Studi di Trieste. Si è r<strong>it</strong>enuto opportuno basare le operazioni<br />

nella media scala in quanto risultava essere adeguata sia in termini di precisione che<br />

in termini di compless<strong>it</strong>à gestionale e di dimensione dei file di calcolo.<br />

Il software utilizzato per le elaborazioni GIS è l’ArcView 3.2 della ESRI, forn<strong>it</strong>o<br />

dall’Univers<strong>it</strong>à degli Studi di Trieste.<br />

I dati di pioggia sono stati forn<strong>it</strong>i dall’Un<strong>it</strong>à Operativa Idrografica di Udine e sono<br />

relativi alle stazioni di Claut, Cimolais, Barcis, Prescudin, Andreis e Piancavallo.<br />

Pioggia (m)<br />

0.035<br />

0.03<br />

0.025<br />

0.02<br />

0.015<br />

0.01<br />

0.005<br />

0<br />

1<br />

51<br />

Piogge divise per sottobacino<br />

101<br />

Tempo (h)<br />

151<br />

Cellina basso<br />

Alba<br />

Barcis<br />

Cellina medio<br />

Cimoliana<br />

Settimana<br />

Cellina alto<br />

Figura 4.1 : Piogge assegnate ai singoli sottobacini in funzione della posizione dei pluviometri,<br />

riportata a destra, anche tram<strong>it</strong>e media per i sottobacini in cui non è disponibile un<br />

pluviometro e per quelli vicini a Piancavallo (cfr. paragrafo 4.4); quest’ultima stazione non è<br />

riportata in quanto planimetricamente esterna all’area di studio<br />

Di particolare interesse risulta essere la stazione di Piancavallo poiché, sebbene<br />

planimetricamente appena al di fuori dei confini dell’area di studio, è posta ad<br />

un’alt<strong>it</strong>udine rilevante, superiore ai 1300m s.m.m. Ciò consente un’ottima stima<br />

Fase operativa – pag. 42


dell’ent<strong>it</strong>à con cui piove nelle zone montane particolarmente aspre, e quindi<br />

difficilmente raggiungibili per il posizionamento di uno strumento quale il<br />

pluviometro o l’idrometro.<br />

I dati idrometrici sono quelli relativi alle comunicazioni dei gestori degli impianti<br />

alla Prefettura di Pordenone per le stazioni idrometriche di Barcis e Ravedis, e<br />

dell’Un<strong>it</strong>à Operativa Idrografica per Cimolais e Claut.<br />

4.2. Utilizzo del GIS<br />

4.2.1. Introduzione ai Sistemi Informativi Terr<strong>it</strong>oriali<br />

Per GIS (Geographical Information System) s’intende qualsiasi tipo di risorsa<br />

informatica utilizzata per la gestione e la manipolazione di dati terr<strong>it</strong>oriali. Le<br />

principali funzioni di un GIS si riscontrano nella caratterizzazione del terr<strong>it</strong>orio<br />

secondo varie tematiche: si possono attribuire al terr<strong>it</strong>orio caratteristiche interessanti<br />

per valutazioni d’aspetto ingegneristico, sociale, economico, scientifico o di qualsiasi<br />

altra tipologia di parametro che necess<strong>it</strong>a di una visione ampia, completa e<br />

chiarificatrice.<br />

Le principali funzioni di un software di questo tipo sono quindi l’organizzazione, la<br />

verifica, la modifica e la gestione dei dati: è possibile lo scambio d’informazioni,<br />

l’immagazzinamento e l’immissione da parte d’ogni utente di nuove caratteristiche<br />

con un continuo aggiornamento, revisione e implementazione delle tematiche<br />

disponibili. Tutte queste operazioni sono applicate da un GIS ai dati geografici che<br />

vanno a formare un database.<br />

Figura 4.2 : Schematizzazione del funzionamento di un GIS<br />

Tutti i dati di un GIS sono georeferenziati ossia legati, tram<strong>it</strong>e uno specifico sistema<br />

di coordinate, ad una localizzazione sulla superficie terrestre caratteristica d’ogni<br />

sistema di riferimento. I dati terr<strong>it</strong>oriali sono così immagazzinati con un binomio di<br />

caratteristiche e localizzazione delle stesse. I vari “temi” possono essere puntuali o<br />

classificati come linee o aree, e quindi immagazzinate con la forma dell’elemento.<br />

È inoltre possibile creare nuovi tematismi personalizzati dall'interazione degli<br />

elementi di diversi temi attraverso operazioni logiche di vario tipo. Quello di<br />

maggiore interesse per la modellistica idrologica è la creazione di una triangulated<br />

irregular network (TIN o rete triangolata irregolare) a partire dalla cartografia<br />

Fase operativa – pag. 43


numerica, che potrà poi essere trasformata in un file ASCII in cui per ogni cella del<br />

bacino sia riportata la quota: si è così ottenuto un modello dig<strong>it</strong>ale del terreno (DEM)<br />

dell’area di studio. Questo rappresenterà il file di input del modulo DTM del<br />

TOPMODEL.<br />

Figura 4.3 : Operazioni di analisi spaziale in un GIS<br />

4.2.2. Dalla cartografia numerica al DEM<br />

Il primo approccio al problema consiste, in defin<strong>it</strong>iva, nella manipolazione dei dati<br />

terr<strong>it</strong>oriali con lo scopo di ottenere la base cartografica su cui poi procedere con la<br />

modellazione idrologica. Partendo dalla Carta Regionale Numerica in scala 1:25000 ci<br />

si pone come obiettivo il ricavare i file del DEM corrispondenti ad ogni bacino da<br />

elaborare poi con il primo dei tre moduli caratterizzanti TOPMODEL.<br />

Per quanto riguarda la suddivisioni dell’area di studio nei sottobacini che formano il<br />

bacino idrografico del torrente Cellina, si è fatto riferimento al Sistema Informativo<br />

Terr<strong>it</strong>oriale per l’Idraulica (SITI) messo a disposizione online dalla Regione<br />

Autonoma Friuli Venezia Giulia nel formato nativo di ArcView, lo shapefile. In questa<br />

fase si sono rese necessarie alcune operazioni sul tematismo forn<strong>it</strong>o dal SITI al fine di<br />

evidenziare i relativi bacini.<br />

Figura 4.4 : Suddivisione dell’area di studio in sottobacini sulla base del SITI<br />

Si sono così considerati separatamente il bacino imbrifero del torrente Cimoliana,<br />

dalla sua sorgente alla confluenza con il torrente Cellina; del torrente Settimana; della<br />

prima parte del torrente Cellina, fino alla confluenza con il torrente Settimana; di una<br />

seconda parte del torrente Cellina, fino al lago di Barcis, comprensivo del terr<strong>it</strong>orio in<br />

cui si evidenziano tra gli affluenti i torrenti Chialedina, Prescudin e Pentina in destra<br />

Fase operativa – pag. 44


e il torrente Varma in sinistra; il bacino imbrifero che insiste direttamente sul lago di<br />

Barcis; il bacino del torrente Alba che confluisce direttamente nella Val Cellina dove<br />

si attesterà il lago di Ravedis; il bacino idrografico competente direttamente al futuro<br />

lago di Ravedis.<br />

In segu<strong>it</strong>o, sovrapponendo il tematismo ottenuto alla CRN e utilizzando l’extension di<br />

ArcView denominata Spatial Analyst è stato possibile creare la TIN relativa ad ogni<br />

sottobacino. Da questa, sempre in ambiente ArcView, è stato creato il DEM del<br />

singolo sottobacino da inserire nel modulo DTM.<br />

Figura 4.5 : File raster del sottobacino del torrente Settimana che associa colori diversi a quote<br />

diverse, dal bianco al marrone per alt<strong>it</strong>udini crescenti<br />

4.3. Elaborazione DTM<br />

In questa fase si sono riscontrati alcuni problemi: la versione più recente del modulo<br />

DTM, disponibile presso il s<strong>it</strong>o internet dell’Univers<strong>it</strong>à di Lancaster, lavora in<br />

ambiente Microsoft Windows ed ha una interfaccia grafica abbastanza sviluppata.<br />

Presenta però notevoli problemi nel calcolo delle correzioni alla matrice di elevazione<br />

e dell’indice topografico: in certi casi, infatti, il software manda il sistema in overflow<br />

(eccedenza di dati) e non riesce a convergere ad un risultato.<br />

Si è quindi reso necessario utilizzare la versione nota come Gridtab, sviluppata nel<br />

1998, che lavora in ambiente DOS e che non presenta alcuna interfaccia grafica. Il<br />

procedimento di calcolo è lo stesso ed i risultati sono comunque validi.<br />

4.4. Distribuzione spaziale delle<br />

precip<strong>it</strong>azioni<br />

La definizione della distribuzione spaziale delle piogge presenta problemi di qualche<br />

delicatezza per precip<strong>it</strong>azioni che, almeno in alcune fasi, non interessano<br />

completamente la superficie del bacino. Ogni qualvolta la dimensione di un bacino<br />

sia minore delle dimensioni caratteristiche dei fronti perturbativi che su di esso<br />

insistono, l’assunzione di una precip<strong>it</strong>azione costante risulta lec<strong>it</strong>a e non ha<br />

conseguenze circa l’attendibil<strong>it</strong>à delle portate previste. Nel caso di bacini molto estesi<br />

quest’ipotesi non è verificata e si rende quindi necessaria un’esplic<strong>it</strong>a modellazione<br />

della distribuzione spaziale della precip<strong>it</strong>azione.<br />

Fase operativa – pag. 45


Va infatti considerato che la modellazione afflussi – deflussi è dipendente dalle<br />

misurazioni dell’intens<strong>it</strong>à di pioggia sia di breve che di lungo periodo, che sono<br />

necessariamente puntuali. Esse dipendono fortemente dallo svolgimento della<br />

precip<strong>it</strong>azione, dalle condizioni del vento e dall’altezza della misurazione sul suolo.<br />

Volumi ed intens<strong>it</strong>à di pioggia possono inoltre variare rapidamente nello spazio oltre<br />

che nel tempo.<br />

Diverse tecniche d’integrazione spaziale sono state sviluppate in alcuni testi<br />

introduttivi all’idrologia, dalla semplice media dei dati a disposizione alla tecnica dei<br />

poligoni di Thiessen, da quella che utilizza l’inverso della distanza all’algor<strong>it</strong>mo di<br />

Kriging, ecc. In questo lavoro, considerata la lim<strong>it</strong>ata estensione dei singoli<br />

sottobacini, è stata utilizzata la tecnica della media dei dati pluviometrici afferenti ad<br />

ognuno di essi.<br />

4.5. Determinazione della funzione<br />

d’ampiezza<br />

La mappatura del reticolo idrografico di ogni singolo sottobacino al fine di ricavarne<br />

la funzione d’ampiezza è stata svolta manualmente. Si sono quindi andate a contare<br />

le intersezioni del reticolo idrografico con un passo di 250m sulla cartografia ufficiale<br />

della Regione in scala 1:25000.<br />

Rami della rete<br />

70<br />

60<br />

50<br />

40<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

0<br />

2000<br />

4000<br />

6000<br />

8000<br />

Cimoliana<br />

10000<br />

12000<br />

14000<br />

16000<br />

Distanza dalla sezione di chiusura (m)<br />

Figura 4.6 : Funzione d’ampiezza relativa al sottobacino del torrente Cimoliana<br />

4.6. Ottimizzazione del software<br />

Il codice sorgente in linguaggio Fortran relativo al modulo TOP, completo delle<br />

implementazioni effettuate dal Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, è<br />

stato analizzato nella sua interezza al fine di valutare le eventuali modifiche o<br />

ottimizzazioni da attuare.<br />

Innanz<strong>it</strong>utto va detto che, per le considerazioni di cui al successivo punto 5.2.3, si è<br />

scelto di non utilizzando il modulo GLUE per la calibrazione del modello, che con la<br />

simulazione Montecarlo ev<strong>it</strong>a all’utente di inserire per tentativi lunghe serie di<br />

parametri. Si è pensato così di creare un unico file eseguibile che fornisca<br />

direttamente le portate alla sezione di chiusura in funzione degli input dei parametri,<br />

18000<br />

20000<br />

22000<br />

24000<br />

Fase operativa – pag. 46


delle caratteristiche e degli ietogrammi dei sottobacini e infine delle caratteristiche<br />

degli invasi lungo l’asta fluviale. Un lavoro simile era già stato esegu<strong>it</strong>o, ad eccezione<br />

della parte relativa ai serbatoi, per il bacino del fiume Isonzo nella tesi di laurea di<br />

Marco Zorba c<strong>it</strong>ata in bibliografia. In quel caso, però, i parametri venivano tarati sui<br />

singoli sottobacini, mentre per il presente lavoro si è optato per una taratura dei<br />

parametri sull’intero bacino del Cellina: si è reso così necessario cambiare alcune<br />

parti del codice sorgente e effettuarne il debugging relativo. Per assicurare comunque<br />

una certa variabil<strong>it</strong>à spaziale al sistema, oltre alla differenza degli ietogrammi per i<br />

diversi sottobacini, il deflusso profondo iniziale è stato suddiviso tra questi ultimi<br />

secondo un peso proporzionale al rapporto tra la singola area ed il totale.<br />

Si è poi proceduto a implementare direttamente nel codice sorgente una subroutine<br />

che modellasse la laminazione dell’onda di piena nel lago di Barcis, basata su quanto<br />

visto al punto 3.5.2. Tale modellazione veniva precedentemente realizzata in<br />

Microsoft Excel ed allungava notevolmente i tempi di calibratura del modello.<br />

Sono stati poi aggiunti degli statements di stampa dei valori intermedi in opportuni<br />

file di testo di output, importabili in Microsoft Excel per realizzare i grafici riportati<br />

nel successivo paragrafo 5.3.<br />

Infine, per raddoppiare o triplicare l’intens<strong>it</strong>à delle piogge, si è ag<strong>it</strong>o direttamente<br />

nella subroutine di lettura degli input di pioggia moltiplicando direttamente i valori<br />

letti dal programma.<br />

Fase operativa – pag. 47


5. Analisi dei risultati e<br />

conclusioni<br />

5.1. I parametri scelti<br />

Terminato il processo di calibrazione per la sezione di Ravedis sono stati ottenuti i<br />

parametri riportati nella tabella seguente:<br />

Parametro Valore Un<strong>it</strong>à Significato<br />

m 0.115 m decadimento della permeabil<strong>it</strong>à con la profond<strong>it</strong>à<br />

T0 0.4 m 2 /h trasmissiv<strong>it</strong>à al suolo in condizioni di saturazione<br />

dt 1 h intervallo temporale di input e di calcolo<br />

srmax 0.25 m capac<strong>it</strong>à di campo<br />

Q0 20 m 3 /s deflusso profondo iniziale<br />

srin<strong>it</strong> 0.06 m defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à iniziale<br />

f0 0.03 m/h intens<strong>it</strong>à di infiltrazione con terreno asciutto<br />

fc 0.018 m/h intens<strong>it</strong>à di infiltrazione con terreno saturo<br />

cch 1.5 m/s celer<strong>it</strong>à nei canali (a livello di sottobacino)<br />

Dch 300 m 2 /s diffusiv<strong>it</strong>à nei canali (a livello di sottobacino)<br />

cov 1m/s celer<strong>it</strong>à negli overland (a livello di sottobacino)<br />

Dov 3000 m 2 /s diffusiv<strong>it</strong>à negli overland (a livello di sottobacino)<br />

ct 3m/s celer<strong>it</strong>à nei canali (lungo l'asta principale)<br />

Dt 500 m 2 /s diffusiv<strong>it</strong>à nei canali (lungo l'asta principale)<br />

Tali parametri risultano fisicamente basati ed in linea con i valori ottenuti dalle<br />

calibrazioni effettuate per studi precedenti, effettuate per altri eventi di piena e con<br />

modelli sempre afferenti alla metodologia TOPMODEL con IUH geomorfologico, ma<br />

diversi per quanto riguarda l’infiltrazione (e quindi la produzione di deflusso<br />

superficiale) e la definizione dell’IUH.<br />

Un confronto può essere condotto, ad esempio, con la pubblicazione di Tirelli,<br />

Scramoncin e Fiorotto c<strong>it</strong>ata in bibliografia, per la quale il bacino è stato modellato<br />

mediante la variante TOPSIMPL. In questo caso i due parametri significativi per la<br />

descrizione delle dinamiche del deflusso profondo sono molto simili a quelli scelti:<br />

0,12m per il tasso di decadimento della permeabil<strong>it</strong>à con la profond<strong>it</strong>à e 0,36m 2 /h per<br />

la trasmissiv<strong>it</strong>à alla superficie in condizioni di saturazione. I valori di celer<strong>it</strong>à e<br />

diffusiv<strong>it</strong>à relativi ai sottobacini risultano invece pari al doppio di quelli usati nel<br />

presente lavoro di tesi: 3m/s e 500m 2 /s per i canali e 2m/s e 5000m 2 /s per gli<br />

overland. Ciò è dovuto al fatto che, utilizzando un diverso modello di infiltrazione e<br />

di produzione del deflusso superficiale, l’idrogramma un<strong>it</strong>ario istantaneo deve<br />

necessariamente risultare diverso al fine di simulare le stesse portate. L’ordine di<br />

Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 48


grandezza rimane comunque lo stesso e i valori scelti risultano, come detto,<br />

accettabili.<br />

5.2. Confronto tra portate calcolate<br />

e misurate<br />

A questo punto è possibile effettuare alcune considerazioni in mer<strong>it</strong>o alle differenze<br />

tra i valori di portata calcolati dal software e quelli effettivamente misurati nelle<br />

relative sezioni.<br />

5.2.1. Portate a Ravedis<br />

Consideriamo innanz<strong>it</strong>utto l’idrogramma relativo alla sezione di chiusura<br />

corrispondente alla diga di Ravedis, sulla quale il modello è stato calibrato.<br />

portata (m 3 /s)<br />

800<br />

700<br />

600<br />

500<br />

400<br />

300<br />

200<br />

100<br />

Portate a Ravedis<br />

misurate<br />

calcolate<br />

0<br />

21/11/02 22/11/02 23/11/02 24/11/02 25/11/02<br />

tempo (ora)<br />

26/11/02 27/11/02 28/11/02 29/11/02<br />

Figura 5.1 : Idrogramma delle portate misurate e calcolate nella sezione di chiusura di Ravedis<br />

Innanz<strong>it</strong>utto va chiar<strong>it</strong>o che, almeno per gli eventi di piena, per portate misurate in<br />

una sezione si intende la definizione di una scala che lega le portate al tirante<br />

d’acqua, ossia all’unica quant<strong>it</strong>à effettivamente misurabile. Le portate così<br />

estrapolate risultano quindi affette da vari errori: innanz<strong>it</strong>utto quelli legati alla<br />

variabil<strong>it</strong>à, con la variazione del tirante, della veloc<strong>it</strong>à media defin<strong>it</strong>a nei periodi di<br />

magra sulla base di misure con mulinelli idrometrici. A questi va aggiunta<br />

l’approssimazione nella determinazione della geometria dell’alveo, che in generale<br />

cambierà durante le piene a causa del trasporto solido. Si arriva così ad un errore<br />

quantificabile nel 10÷20%. Nel caso di misure effettuate in corrispondenza di opere<br />

idrauliche come ponti o sfioratori di piena, quale è il caso dei dati a disposizione per<br />

questo lavoro di tesi, la misura è più precisa, con errori nell’ordine del 3÷5%. È infatti<br />

lec<strong>it</strong>o assumere che in tali sezioni, che in generale sono note ed invariabili, la corrente<br />

raggiunga l’altezza cr<strong>it</strong>ica.<br />

Ciò premesso si può notare, in corrispondenza dei due picchi di piena, che le portate<br />

di calcolo risultano leggermente sovrastimate rispetto a quelle misurate: l’errore è<br />

Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 49


contenuto in 20m 3 /s, pari a circa il 3% delle grandezze in gioco e quindi<br />

paragonabile a quello relativo al processo di definizione della scala delle portate.<br />

Si nota poi la buona approssimazione della fase di cresc<strong>it</strong>a, mentre le fasi di<br />

decadimento sembrano male approssimate: la modellazione considera un calo della<br />

portata molto più veloce di quello misurato, che comporta la notevole differenza di<br />

circa 120m 3 /s nella sella successiva al primo picco (ben il 30% della portata<br />

misurata). Ciò è dovuto al fatto che per il modello, come si vedrà nel segu<strong>it</strong>o, la<br />

formazione del primo picco di piena è ascrivibile principalmente al meccanismo<br />

hortoniano di produzione del deflusso superficiale, che ha una risposta veloce sia<br />

nella fase di cresc<strong>it</strong>a che nella fase di estinzione dell’idrogramma. Un’altra<br />

conseguenza di questo fatto è lo sfasamento in anticipo (circa 2 ore) del primo picco<br />

di piena, dovuto comunque anche ad altri fattori come la variazione con il tirante,<br />

assieme alle veloc<strong>it</strong>à medie (cfr. equazione 3.43), della celer<strong>it</strong>à dei canali che abbiamo<br />

assunto costante. Altri ancora che considereremo nel segu<strong>it</strong>o sono: l’assunzione degli<br />

stessi parametri per tutti i sottobacini, la scansione oraria delle piogge e quindi dei<br />

calcoli ad esse relativi e la scarsa aderenza alla realtà del modello di laminazione.<br />

Va comunque osservato che l’accuratezza nella stima della fase di decadimento della<br />

piena ha poca importanza ai fini della sicurezza idraulica del bacino, o comunque<br />

un’importanza minore rispetto all’ent<strong>it</strong>à dei picchi di portata o alla fase di cresc<strong>it</strong>a.<br />

5.2.2. Laminazione a Barcis<br />

Per quanto riguarda l’influenza del lago di Barcis sulla modellazione, dal grafico<br />

seguente si possono osservare alcuni fatti importanti.<br />

portata (m 3 /s)<br />

700<br />

600<br />

500<br />

400<br />

300<br />

200<br />

100<br />

Portate e laminazione nel lago di Barcis<br />

fluente (mis)<br />

scarico (mis)<br />

entrante (calc)<br />

uscente (calc)<br />

0<br />

22/11/02 23/11/02 24/11/02 25/11/02 26/11/02 27/11/02 28/11/02 29/11/02<br />

tempo<br />

Figura 5.2 : Idrogramma delle portate misurate e calcolate nel lago di Barcis; le portate “entrante”<br />

e “fluente” fanno riferimento alla sezione dove il Cellina si immette nel lago, quella “uscente” è<br />

relativa allo sfioratore sul coronamento della diga, lo “scarico” è misurato immediatamente a<br />

valle dello sbarramento<br />

Innanz<strong>it</strong>utto si nota come l’ent<strong>it</strong>à della laminazione calcolata sia notevolmente<br />

inferiore a quella misurata. Questa forte differenza discende dal fatto, già accennato<br />

nel cap<strong>it</strong>olo 2, che durante le piene si rende necessaria l'apertura dello scarico a<br />

Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 50


cilindro mobile al fine di salvaguardare l'ab<strong>it</strong>ato di Barcis dagli allagamenti. La<br />

modellazione dello scarico di superficie è in generale realizzabile, ma avrebbe una<br />

scarsa valenza ai fini di un modello da utilizzare per piene di progetto: non si<br />

possono prevedere con sicurezza le manovre che il gestore dell’impianto andrà ad<br />

operare durante l’evento. Inoltre la s<strong>it</strong>uazione di progetto deve corrispondere a<br />

quella più sfavorevole, in questo caso coincidente con lo scarico di superficie chiuso.<br />

Il modello di laminazione esposto nel cap<strong>it</strong>olo 3 e usato nel software risulta pertanto<br />

corretto sotto il profilo teorico, ma al contempo poco aderente alla realtà.<br />

In seconda battuta si può osservare come i picchi calcolati risultino sottostimati e<br />

sfasati in r<strong>it</strong>ardo rispetto a quelli misurati, quindi una s<strong>it</strong>uazione diametralmente<br />

opposta a quanto accadeva per la sezione di Ravedis. Ciò è dovuto prima di tutto al<br />

fatto che i parametri del modello sono stati tarati su quest’ultima sezione, dove la<br />

portata in output è funzione di molti fattori, ognuno con il proprio grado di errore.<br />

Alcuni sono caratteristici dei singoli sottobacini, come l’ent<strong>it</strong>à della produzione di<br />

deflusso superficiale, il lasso di tempo che intercorre tra la pioggia e il relativo<br />

deflusso profondo, ecc. Altri sono caratteristici della fase di trasporto delle portate,<br />

dove ad esempio la celer<strong>it</strong>à sarà diversa per i diversi tratti delle aste fluviali e varierà<br />

con il tirante, come si è visto nel punto precedente. L’assunzione degli stessi<br />

parametri per tutti i sottobacini, e quindi la loro definizione in funzione della risposta<br />

a Ravedis, implica una media che minimizza le differenze tra misura e simulazione.<br />

In generale i parametri scelti sono diversi da quelli che andrebbero defin<strong>it</strong>i in<br />

corrispondenza delle sezioni di chiusura dei singoli sottobacini, e quindi diversi<br />

anche da quelli che approssimano nel migliore dei modi l’idrogramma a Barcis.<br />

In defin<strong>it</strong>iva il modello tarato a Ravedis potrà essere usato unicamente per calcolare<br />

idrogrammi di progetto a Ravedis, mentre per altre sezioni di chiusura il modello<br />

andrà ricalibrato. L’unico modo per superare questo lim<strong>it</strong>e sarebbe quello di avere a<br />

disposizione le misure di portata di tutte le diverse sezioni di chiusura, ed effettuare<br />

prima una calibrazione per ogni sottobacino e poi una calibrazione per il trasporto<br />

dell’onda. Come si è già visto, però, i dati di portata a disposizione sono relativi a<br />

pochi eventi di piena, affetti da notevole errore e lim<strong>it</strong>ati a poche sezioni.<br />

5.2.3. Scarti<br />

Alla fine di questo paragrafo risulta interessante osservare l’andamento e l’ent<strong>it</strong>à<br />

degli scarti tra portate calcolate e misurate durante l’evento di piena, al fine di<br />

effettuare qualche considerazione sulla metodologia di calibrazione del modello<br />

contenuta nel terzo modulo del TOPMODEL, chiamata GLUE, che non è stata<br />

utilizzata nel presente lavoro di tesi.<br />

La metodologia Generalized Likelihood Uncertainty Estimation si basa su misure di<br />

efficienza della risposta del modello a più set di parametri, generati con metodi<br />

Montecarlo all’interno di un range defin<strong>it</strong>o dall’utente. La funzione obiettivo da<br />

minimizzare per raggiungere il più alto grado di efficienza risulta essere un rapporto<br />

al cui numeratore si trova la media degli scarti quadratici:<br />

Var ( E)<br />

Eff = 1− Var Q<br />

( )<br />

Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 51


Var<br />

( E)<br />

=<br />

Nstep<br />

( ) 2<br />

∑ Qi − Qi,<br />

oss<br />

i=<br />

1<br />

N<br />

step<br />

Nstep 2<br />

∑Q i, oss<br />

Nstep<br />

∑Qi,<br />

oss<br />

i= 1 i=<br />

1<br />

Var ( Q)<br />

=<br />

Nstep ⎛<br />

⎜<br />

−⎜ ⎜<br />

⎜<br />

⎝<br />

Nstep<br />

⎞<br />

⎟<br />

⎟<br />

⎟<br />

⎟<br />

⎠<br />

dove Eff è l’efficienza del set di parametri<br />

Q è il valore della portata misurato all’i–esima ora<br />

portata (m 3 /s)<br />

ioss ,<br />

Q i è il valore della portata calcolato all’i–esima ora<br />

N è il numero di ore della durata della simulazione<br />

800<br />

700<br />

600<br />

500<br />

400<br />

300<br />

200<br />

100<br />

0<br />

step<br />

24/11/02 18.00<br />

25/11/02 0.00<br />

25/11/02 6.00<br />

25/11/02 12.00<br />

25/11/02 18.00<br />

26/11/02 0.00<br />

26/11/02 6.00<br />

26/11/02 12.00<br />

Scarti<br />

26/11/02 18.00<br />

27/11/02 0.00<br />

tempo (ora)<br />

27/11/02 6.00<br />

27/11/02 12.00<br />

27/11/02 18.00<br />

28/11/02 0.00<br />

28/11/02 6.00<br />

misurate<br />

calcolate<br />

scarti<br />

Figura 5.3 : Scarti (in valore assoluto) tra portate misurate e calcolate nella sezione di chiusura di<br />

Ravedis, sovrapposti agli idrogrammi di figura 5.1<br />

È interessante notare che, essendo i termini al denominatore gli stessi per ogni<br />

simulazione, il GLUE valuta come più efficiente il set di parametri che, mediamente,<br />

minimizza gli scarti tra realtà e simulazione. In questo modo il peso degli scarti è lo<br />

stesso per ogni istante dell’evento di piena, mentre nella pratica gli istanti<br />

significativi ai fini della validazione di un set di parametri sono generalmente<br />

rappresentati dai picchi di piena. Può così accadere che un set che approssima bene<br />

le portate massime venga considerato meno efficiente di uno, o di molti, che<br />

presentano uno scarto elevato in corrispondenza dei picchi.<br />

Sempre a tal propos<strong>it</strong>o, va osservato anche che nella metodologia TOPMODEL in<br />

generale si assumono i valori di celer<strong>it</strong>à e diffusiv<strong>it</strong>à come costanti caratteristiche,<br />

rispettivamente di overland e canali per la definizione dell’idrogramma del<br />

sottobacino e del canale principale per quanto concerne il trasporto dell’onda di<br />

piena. Può così accadere che un set di parametri che riproduce correttamente la<br />

forma dell’idrogramma misurato, ma che risulta sfasato da questo per una errata<br />

definizione delle celer<strong>it</strong>à, venga considerato poco efficiente. Data la cadenza oraria<br />

28/11/02 12.00<br />

Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 52<br />

28/11/02 18.00<br />

29/11/02 0.00


delle piogge e quindi di calcoli e risultati, gli scarti che per un dato sfasamento<br />

risultano elevati potrebbero essere piccoli per una traslazione dell’idrogramma<br />

calcolato anche di una sola ora, soprattutto considerando risposte veloci del modello<br />

alle piogge.<br />

5.3. Dinamica del deflusso<br />

Con l’implementazione nel codice sorgente degli output cui si è accennato nel<br />

cap<strong>it</strong>olo 4, è possibile visualizzare una serie di grafici relativi alle varie fasi di<br />

produzione e di trasporto dei deflussi, sia per completezza nella presentazione dei<br />

risultati quanto per effettuare un controllo sulla bontà della simulazione.<br />

Nel segu<strong>it</strong>o si riportano, in quanto maggiormente significativi, i grafici relativi ad<br />

infiltrazione, ruscellamento e deflusso profondo e si tralasciano quelli relativi alla<br />

dinamica interna del flusso sotterraneo. Il tempo viene espresso in ore ed è contato a<br />

partire dalle ore 9.00 del 21 novembre 2002.<br />

Innanz<strong>it</strong>utto si può visualizzare l’andamento nel tempo del tasso di infiltrazione, che<br />

seguirà la legge di Horton defin<strong>it</strong>a dall’equazione (3.21):<br />

d<br />

f () t = fc + max ( f0− fc)<br />

SR<br />

Va ricordato che il modello ripartisce, in funzione dell’area del sottobacino, la portata<br />

iniziale Q 0 necessaria all’inizializzazione del calcolo del defic<strong>it</strong> d . In conseguenza di<br />

ciò l’evoluzione temporale del rate di infiltrazione varia da sottobacino a sottobacino,<br />

ma parte per tutti dallo stesso valore iniziale e termina con lo stesso valore a<br />

saturazione f 0 .<br />

Tasso infiltrazione (m/h)<br />

0.0215<br />

0.021<br />

0.0205<br />

0.02<br />

0.0195<br />

0.019<br />

0.0185<br />

0.018<br />

0.0175<br />

Infiltrazione<br />

0 20 40 60 80 100<br />

Tempo (h)<br />

120 140 160 180<br />

Cellina alto Settimana Cimoliana Cellina medio Barcis Alba Cellina basso<br />

Figura 5.4 : Variazione del tasso di infiltrazione nel tempo<br />

Per quanto riguarda il runoff, nei grafici seguenti possiamo distinguere l’aliquota<br />

dovuta al meccanismo di Horton, ossia l’eccesso di infiltrazione, da quella dovuta al<br />

meccanismo di Dunne, ossia per intercettazione del piano campagna da parte della<br />

falda freatica. Va ricordato che i valori si riferiscono al runoff prodotto nell’istante<br />

temporale, quindi non ancora trasportato alla sezione di chiusura.<br />

Come era lec<strong>it</strong>o attendersi l’infiltration excess, ossia il runoff prodotto secondo la legge<br />

di Horton, entra in gioco in modo significativo quasi unicamente attorno all’ora 100,<br />

Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 53


ossia in corrispondenza dei massimi valori di pioggia misurati (cfr. figura 4.1). In<br />

riferimento all’idrogramma di figura 5.1, il primo picco di portata risulta così<br />

determinato, oltre che dal saturation excess, anche dall’eccesso di infiltrazione.<br />

Osservando l’ultimo grafico proposto si può poi notare che il secondo picco risulta<br />

invece determinato in maniera preminente dal deflusso di base oltre che dall’eccesso<br />

per saturazione.<br />

Con queste osservazioni è possibile giustificare in maniera più aderente alla realtà la<br />

conformazione anti-intu<strong>it</strong>iva della piena utilizzata in questo lavoro di tesi: tenuto<br />

comunque conto dei tempi di corrivazione, il picco assoluto della portata non<br />

corrisponde infatti al picco assoluto delle piogge. Se non si tenesse conto<br />

dell’infiltration excess, la calibrazione del modello si tradurrebbe in una sovrastima<br />

della risposta del flusso sotterraneo. Di conseguenza, come si vedrà nel prossimo<br />

paragrafo, i due modelli con e senza il ruscellamento alla Horton si comporteranno in<br />

maniera molto diversa nelle previsioni con piogge di progetto, in generale multiple<br />

di quella a intens<strong>it</strong>à relativamente bassa utilizzata per calibrare il modello.<br />

Deflusso superficiale hortoniano (m 3 /s)<br />

120<br />

100<br />

80<br />

60<br />

40<br />

20<br />

Infiltration excess (non trasportato)<br />

0<br />

0 20 40 60 80 100<br />

Tempo (h)<br />

120 140 160 180<br />

Cellina alto Settimana Cimoliana Cellina medio Barcis Alba Cellina basso<br />

Figura 5.5 : Ruscellamento superficiale alla Horton per i diversi sottobacini<br />

Deflusso superficiale di Dunne (m 3 /s)<br />

250<br />

200<br />

150<br />

100<br />

50<br />

Saturation excess (non trasportato)<br />

0<br />

0 20 40 60 80 100<br />

Tempo (h)<br />

120 140 160 180<br />

Cellina alto Settimana Cimoliana Cellina medio Barcis Alba Cellina basso<br />

Figura 5.6 : Ruscellamento superficiale alla Dunne per i diversi sottobacini<br />

Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 54


Deflusso di base (m 3 /s)<br />

45<br />

40<br />

35<br />

30<br />

25<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

Baseflow totale (non trasportato)<br />

0 20 40 60 80 100<br />

Tempo (h)<br />

120 140 160 180<br />

Cellina alto Settimana Cimoliana Cellina medio Barcis Alba Cellina basso<br />

Figura 5.7 : Deflusso di base per i diversi sottobacini<br />

5.4. Influenza del ruscellamento<br />

hortoniano<br />

Questo paragrafo si propone di confermare, da un punto di vista numerico oltre che<br />

teorico, la valid<strong>it</strong>à dell’utilizzo del modello di Horton per la quantificazione del<br />

ruscellamento superficiale. A tale scopo sono state condotte alcune simulazioni con e<br />

senza l’algor<strong>it</strong>mo di calcolo dell’infiltration excess, per piogge d’intens<strong>it</strong>à sia uguale<br />

che multipla di quella utilizzata per calibrare il modello.<br />

5.4.1. Piogge sintetiche<br />

Prima di analizzare le differenze tra la risposta dei differenti modelli alla pioggia<br />

utilizzata per la calibrazione, conviene effettuare il confronto utilizzando una pioggia<br />

sintetica, ossia costante in un certo intervallo temporale. Ciò permette infatti di<br />

visualizzare immediatamente le differenze sostanziali tra i diversi metodi di<br />

modellazione e quindi di verificarne concettualmente il funzionamento.<br />

È stata utilizzata una pioggia con intens<strong>it</strong>à costante di 20mm/h (per oltrepassare il<br />

valore del tasso di infiltrazione a saturazione, pari a 18mm/h) che inizia dopo 24 ore<br />

e di durata fissata in 85 ore, che è poi stata raddoppiata e triplicata.<br />

Innanz<strong>it</strong>utto ci si attende che il modello con l’infiltration excess risponda prima di<br />

quello che contempla il solo saturation excess. Con il ruscellamento alla Horton la<br />

quant<strong>it</strong>à d’acqua che non si infiltra viene infatti trasportata direttamente alla sezione<br />

di chiusura per mezzo dell’IUH geomorfologico: per avere runoff non occorre<br />

attendere che venga superata la capac<strong>it</strong>à di campo nella zona delle radici e che la<br />

classe di celle venga saturata.<br />

Ci si aspetta inoltre che, essendo l’input una pioggia d’intens<strong>it</strong>à costante, i valori di<br />

portata calcolati dai due modelli dopo un certo lasso tempo siano pressoché gli stessi.<br />

Le equazioni ed i parametri che governano le dinamiche delle aree contribuenti<br />

profonde sono infatti le medesime per entrambi i modelli: l’unica differenza sta<br />

quindi nei volumi disponibili in quest’ultima fase, che differiranno tra i due modelli<br />

della quant<strong>it</strong>à che si trasforma immediatamente in ruscellamento hortoniano.<br />

Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 55


Dopo un certo periodo di tempo, nell’ipotesi teorica di pioggia costante di durata<br />

indefin<strong>it</strong>a, il bacino risulterà completamente saturo e verrà annullata la sua capac<strong>it</strong>à<br />

di invasare le piogge per rest<strong>it</strong>uirle con un certo r<strong>it</strong>ardo. Gli inputs e gli outputs<br />

verranno quindi a coincidere: la pioggia viene trasformata interamente in un runoff<br />

costante, a meno della quant<strong>it</strong>à (anch’essa costante) necessaria a ricaricare la falda<br />

per garantire il deflusso profondo. Per entrambi i modelli la portata tenderà così<br />

asintoticamente al massimo valore ammissibile, ossia al prodotto dell’intens<strong>it</strong>à di<br />

pioggia per l’area del bacino.<br />

portata (m 3 /s)<br />

8000<br />

7000<br />

6000<br />

5000<br />

4000<br />

3000<br />

2000<br />

1000<br />

Portate a Ravedis da piogge sintetiche (x=20mm/h)<br />

H1x T1x<br />

H2x T2x<br />

H3x T3x<br />

0<br />

0 20 40 60 80<br />

tempo (ora)<br />

100 120 140<br />

Figura 5.8 : Portate alla sezione di chiusura per piogge sintetiche; il codice H è relativo al modello<br />

con infiltration excess alla Horton, il codice T per il modello senza infiltration excess<br />

Volendo porre la questione in termini quant<strong>it</strong>ativi, possiamo vedere i due diversi<br />

idrogrammi come funzioni dei tre meccanismi di produzione del deflusso, e quindi<br />

in generale come funzione dei soli defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à locale d( k, t ) e medio d ( t ) :<br />

⎧⎪ ⎡ d( k, t)<br />

⎤ ⎫⎪<br />

I () t = Ab{ R() t − ∑ ⎡f ( k, t) w( k) } Ab R() t fc max ( f0 fc) w( k)<br />

k⎣ ⎤⎦ = ⎨ − ∑ + −<br />

k⎢<br />

⎥ ⎬<br />

⎪⎩ ⎣ SR<br />

⎦ ⎭⎪<br />

S() t = Ab∑ ⎡SUZ ( k, t) −d(<br />

k, t) ⎤w(<br />

k)<br />

k ⎣ ⎦<br />

()<br />

()<br />

d t<br />

m<br />

QBt Q0e −<br />

=<br />

dove I () t è il ruscellamento per infiltration excess<br />

S() t è il ruscellamento per saturation excess<br />

QB() t è il deflusso di base<br />

wk ( ) è il peso relativo alla k -esima classe di indice topografico<br />

Queste tre quant<strong>it</strong>à, prodotte in ogni istante temporale, vengono trasportate alla<br />

sezione di chiusura secondo la funzione di risposta data dall’idrogramma un<strong>it</strong>ario<br />

geomorfologico relativo al runoff (basato sui valori celer<strong>it</strong>à e diffusiv<strong>it</strong>à negli<br />

overland) e relativo al deflusso profondo (basato su celer<strong>it</strong>à e diffusiv<strong>it</strong>à nei canali).<br />

Nella forma discreta, ossia per steps temporali fin<strong>it</strong>i, le equazioni che descrivono i<br />

due idrogrammi al generico tempo t sono esprimibili nella maniera seguente:<br />

Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 56


() = ⎡<br />

⎣ () + () ⎤<br />

⎦ O() + ⎡<br />

⎣ ( − 1) + ( − 1) ⎤<br />

⎦ O(<br />

+ 1 ) + ... +<br />

H<br />

+ ⎡<br />

⎣I( t− nO) + S ( t− nO) ⎤<br />

⎦aO(<br />

t+ nO)<br />

+<br />

H H H<br />

+ QB() t aC() t + QB ( t− 1) aC( t+ 1 ) + ... + QB ( t− nC) aC( t+ nC)<br />

() = ( ) O( ) + ... + ( − O) O( + O)<br />

D<br />

+ Q () t a<br />

D () t + ... + Q ( t− n ) a ( t+ n )<br />

H H H<br />

Q t I t S t a t I t S t a t<br />

D D D<br />

Q t S t a t S t n a t n<br />

B C B C C C<br />

dove l’indice H è relativo al modello con l’infiltration excess<br />

l’indice D è relativo al modello con il solo saturation excess<br />

a O è la funzione di risposta per gli overland<br />

a C è la funzione di risposta per i canali<br />

In generale, con piogge molto intense come quelle utilizzate, la quant<strong>it</strong>à I () t diventa<br />

costante dopo pochi steps. Nel modello senza l’eccesso di infiltrazione, tale quant<strong>it</strong>à è<br />

a disposizione del terreno: aumenterà così la frazione di bacino in condizioni di<br />

saturazione e quindi il ruscellamento per saturazione e il deflusso profondo.<br />

Osservando la figura 5.8 si può così verificare che, dopo la fase iniziale in cui si ha<br />

H D<br />

Q () t > Q () t per la risposta più rapida del ruscellamento hortoniano, ad un certo<br />

punto la s<strong>it</strong>uazione si inverte perchè la frazione di area in condizioni di saturazione<br />

del modello D diventa maggiore di quella relativa al modello H .<br />

Si può infine osservare che, per questioni di continu<strong>it</strong>à, i volumi immessi con le<br />

piogge e rest<strong>it</strong>u<strong>it</strong>i nei canali devono eguagliarsi, a meno delle quant<strong>it</strong>à trattenute nel<br />

terreno per sopperire al defic<strong>it</strong> di umid<strong>it</strong>à e rilasciate poi come esaurimento delle<br />

sorgenti con il termine della pioggia.<br />

5.4.2. Piogge reali e d’intens<strong>it</strong>à multipla<br />

Le stesse operazioni condotte con le piogge sintetiche sono state applicate alle piogge<br />

reali dell’evento di piena considerato.<br />

portata (m 3 /s)<br />

800<br />

700<br />

600<br />

500<br />

400<br />

300<br />

200<br />

100<br />

con infiltration<br />

excess<br />

senza infiltration<br />

excess<br />

Confronto modelli - Portate a Ravedis con piogge singole<br />

0<br />

21/11/02 22/11/02 23/11/02 24/11/02 25/11/02<br />

tempo (ora)<br />

26/11/02 27/11/02 28/11/02 29/11/02<br />

Figura 5.9 : Portate alla sezione di chiusura per piogge reali<br />

Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 57


Come è lec<strong>it</strong>o attendersi, le differenze numeriche tra i due modelli con e senza<br />

l’algor<strong>it</strong>mo di calcolo dell’infiltration excess alla Horton sostanzialmente non<br />

differiscono tra loro se non per quanto riguarda la stima del primo picco di piena.<br />

Questo potrebbe sembrare ininfluente ai fini dell’utilizzo del modello per<br />

simulazioni future: l’unico valore che si prende in considerazione in fase di<br />

progettazione è la massima portata stimata.<br />

Dall’applicazione dei due modelli a piogge d’intens<strong>it</strong>à doppia e tripla, più vicine ai<br />

valori delle piogge di progetto che sol<strong>it</strong>amente si adottano, si può invece notare che il<br />

considerare o meno il ruscellamento hortoniano discrimina fortemente la<br />

simulazione della risposta del sistema imbrifero.<br />

portata (m 3 /s)<br />

5000<br />

4500<br />

4000<br />

3500<br />

3000<br />

2500<br />

2000<br />

1500<br />

1000<br />

500<br />

con infiltration excess 2x<br />

senza infiltration excess 2x<br />

con infiltration excess 3x<br />

senza infiltration excess 3x<br />

Confronto modelli - Portate a Ravedis con piogge multiple<br />

0<br />

21/11/02 22/11/02 23/11/02 24/11/02 25/11/02<br />

tempo (ora)<br />

26/11/02 27/11/02 28/11/02 29/11/02<br />

Figura 5.10 : Portate alla sezione di chiusura per piogge reali<br />

Innanz<strong>it</strong>utto si può notare come l’idrogramma perde il suo carattere antintu<strong>it</strong>ivo solo<br />

con piogge triple per la variante senza infiltration excess, mentre per quella che<br />

contempla il ruscellamento alla Horton il picco delle portate coincide con quello delle<br />

precip<strong>it</strong>azioni già con piogge doppie. Inoltre la differenza nella stima della massima<br />

portata tra i due modelli per le piogge triple è pari a circa 800m 3 /s, che equivalgono<br />

al 20÷30%.<br />

In defin<strong>it</strong>iva il considerare o meno il ruscellamento hortoniano, che ha una base fisica<br />

ben precisa e verificata in altri eventi di piena dei bacini montani dell’Alto Adriatico,<br />

potrebbe portare ad errori sia concettuali che numerici significativi nella stima delle<br />

portate massime per assegnate piogge di progetto.<br />

Analisi dei risultati e conclusioni – pag. 58


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