29.05.2013 Views

Documento della psicoterapeuta Carla Narni Mancinelli

Documento della psicoterapeuta Carla Narni Mancinelli

Documento della psicoterapeuta Carla Narni Mancinelli

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

Le fiabe nella pratica clinica<br />

<strong>Carla</strong> <strong>Narni</strong> <strong>Mancinelli</strong><br />

1. Premessa<br />

“C’era una volta, tanto tanto tempo fa, in una terra lontana<br />

lontana, un minuscolo regno pacifico, prospero e ricco di<br />

antiche e poetiche tradizioni. Là, in un maestoso castello,<br />

viveva un nobile signore, vedovo, con la sua bambina. Benché<br />

egli fosse un padre gentile ed affettuoso, che non faceva mai<br />

mancare nulla alla sua figlioletta adorata, tuttavia si rendeva<br />

conto che ella avrebbe avuto bisogno delle cure di una mamma.<br />

E così, si risposò, scegliendo come seconda moglie una vedova<br />

di nobile famiglia che aveva due figliole dell’età di sua figlia,<br />

Anastasia e Genoveffa…”<br />

Le prime frasi <strong>della</strong> fiaba di Cenerentola hanno per me una<br />

suggestione particolare. Riescono a proiettarmi in una<br />

dimensione diversa, facendo riaffiorare vari tipi di ricordi e di<br />

emozioni.<br />

Emozioni legate alla favola stessa, alla storia <strong>della</strong> bambina<br />

buona, bella e sfortunata che realizza poi tutti i suoi sogni per<br />

magia, con l’aiuto <strong>della</strong> fatina, una storia nella quale è così<br />

facile immedesimarsi, con la quale è così facile sognare…<br />

I ricordi più remoti, di quando, bambina, ascoltavo il racconto<br />

<strong>della</strong> fiaba, incantandomi e perdendomi nell’immaginare il<br />

ballo, il castello, la zucca che si trasforma in un magnifico<br />

cocchio, le scarpine di cristallo, il principe azzurro, mentre<br />

un’emozione intensa di attesa, di curiosità e di gioia mi<br />

riempiva il cuore, ed il ricordo recente dei volti attenti, sognanti<br />

e sereni dei miei bambini mentre la racconto loro, che<br />

combattono con il sonno per continuare ad ascoltare.<br />

La suggestione delle parole di questa fiaba riesce a superare le<br />

barriere temporali, restando identica con il passare delle


generazioni, e riesce a superare, anche, le barriere sociali e<br />

culturali.<br />

Una delle esperienze per me più forti, è quando, a sedici anni,<br />

mi trovai a fare l’animatrice in una colonia estiva per bambini<br />

con grave disagio sociale, provenienti dall’interland napoletano.<br />

E’ superfluo descrivere il loro modo di rapportarsi tra di loro e<br />

con gli adulti, e non c’è, credo, bisogno di sottolineare la<br />

situazione di carenza affettiva vissuta dai più.<br />

La prima sera che passai con loro, ricordo che li accompagnai<br />

nella camerata e mi venne l’idea di raccontargli una fiaba. I<br />

quindici bambini si fiondarono nei letti e si misero ad ascoltare.<br />

I loro volti stupiti, attenti, sognanti e sereni, il silenzio che mi<br />

regalarono nell’ascoltare la favola, il loro scivolare,<br />

dolcemente, nel sonno, io non l’ho più dimenticato.<br />

Per questo, e per altri motivi, credo che le fiabe siano uno<br />

strumento eccezionale per mettersi in comunicazione con le<br />

altre persone, uno strumento adatto anche ad essere usato per<br />

promuovere il cambiamento, nella psicoterapia come nelle<br />

attività psico-educative.<br />

E’ uno strumento, la fiaba, che io amo molto, e che nella mia<br />

personale esperienza clinica ho utilizzato tante e tante volte, sia<br />

con i bambini che con gli adulti.<br />

2. Pratica clinica. La psicoterapia come narrazione<br />

Parlare di fiabe nella pratica clinica vuol dire aprire il discorso<br />

su cosa si intende come pratica clinica e, quindi, su come poter<br />

utilizzare le fiabe come strumento terapeutico.<br />

Per “pratica clinica” qui intendiamo sia la psicoterapia, con il<br />

suo setting individuale, di coppia, familiare, di gruppo, sia altri<br />

tipi di intervento volti a modificare delle situazioni esistenziali,<br />

quali l’intervento clinico in classe, la conduzione di gruppi di<br />

confronto con insegnanti ed alunni, la messa in atto di tecniche<br />

di cambiamento, quali il problem solving o il role playing.<br />

Ciascuna di queste possibilità presuppone, per poter essere<br />

considerata terapeutica, la costituzione, alla base, di un contesto


elazionale che giustifichi e connoti l’intervento come<br />

terapeutico, e, soprattutto, la creazione di una relazione<br />

terapeutica.<br />

L’intervento clinico richiede, per essere considerato tale, un<br />

riconoscimento da entrambe le parti che entrano in gioco,<br />

riconoscimento che dia senso a quello che avviene in quel<br />

contesto, definendone, quindi, i significati.<br />

La definizione del contesto è quindi il primo elemento da<br />

considerare affinché una serie di azioni possano essere<br />

considerate o meno terapia.<br />

Non sono, infatti, le azioni in sé, le tecniche, a definire il<br />

contesto dell’intervento, ma viceversa.<br />

Ai fini <strong>della</strong> promozione del movimento, e quindi del<br />

cambiamento, possono essere utilizzate svariate metodiche, che<br />

vanno dal gioco alla discussione, dall’espressione di<br />

associazioni libere allo psicodramma, dal colloquio clinico alla<br />

musicoterapia o alla danzaterapia.<br />

Quello che rende terapeutiche le tecniche, utilizzabili peraltro<br />

in mille altre situazioni, sono principalmente due aspetti:<br />

la definizione del contesto come terapeutico<br />

la relazione tra terapeuta e paziente.<br />

La considerazione di questi due aspetti ci consente di stabilire,<br />

quindi, chi è il terapeuta, e quali obiettivi può – e dovrebbe –<br />

perseguire. Il rischio comune, per chi fa questo lavoro, è di<br />

ergersi in cattedra, di porsi su un piedistallo, forte delle teorie<br />

epistemologiche di cui è a conoscenza e delle spiegazioni <strong>della</strong><br />

psicopatologia, che somigliano tanto alla verità, ma ne<br />

detengono in realtà solo una parte.<br />

Ma il terapeuta non è un maestro, non è una guida, non è uno<br />

che indica la strada.<br />

Mi è stato insegnato a pensare al terapeuta come ad un tassista,<br />

che guida l’auto che conduce il passeggero a destinazione.<br />

Non è il tassista che stabilisce dove andare, né perché. Il tassista<br />

non giudica, non si intromette con la scelta del passeggero di<br />

andare in un tal posto, ma sceglie per lui il percorso più adatto,<br />

e lo accompagna.


Il terapeuta deve quindi “solo traghettare individui, coppie,<br />

famiglie, allievi da una sponda all’altra, mettendoci anche noi al<br />

“servizio del bambino”, rinunciando “al conforto delle verità<br />

ultime e non lasciandoci mai guidare da ciò che possiamo<br />

sapere <strong>della</strong> follia.<br />

Nessun concetto <strong>della</strong> psicopatologia dovrà, anche e soprattutto<br />

nel gioco implicito delle retrospezioni, esercitare un ruolo<br />

organizzatore.<br />

Costitutivo è il gesto che separa la follia e non la scienza che si<br />

stabilisce, dopo questa separazione, nella calma<br />

ritrovata”(Focault, 1996). Scopriremo che ogni traversata è<br />

diversa e che noi l’affrontiamo differentemente, a seconda del<br />

“carico”, <strong>della</strong> pioggia o del sole, del fondo del fiume, del<br />

traffico di barche, delle stagioni, delle soste necessarie…” (Di<br />

Cesare, 1999)<br />

La psicoterapia è una narrazione, è la costruzione di un racconto<br />

a più mani.<br />

Costituisce nel raccontare a una persona esterna dei fatti, in<br />

genere relativi alla propria vita, significativi, quindi lasciare che<br />

l’altro li ascolti, ed ascoltarsi mentre si racconta.<br />

L’altro, poi, rielabora questo racconto con parole sue,<br />

riempiendo i vuoti con dei significati, attinti dalla sua<br />

esperienza e dalla pratica acquisita nell’ascoltare storie e<br />

rielaborarle, compiendo la cosiddetta “restituzione”.<br />

La psicoterapia altro non è che un leggere la storia di una<br />

persona, di una coppia, di una famiglia, e riscriverla insieme,<br />

per giungere ad una storia uguale alla prima nei fatti, ma più<br />

ampia, allargata, nell’attribuzione dei significati.<br />

Bateson diceva che due descrizioni sono meglio di una<br />

(Bateson, 1999). La psicoterapia è questo, è la costruzione <strong>della</strong><br />

descrizione <strong>della</strong> realtà di una persona aggiungendovi un altro<br />

punto di vista, che non ha la pretesa di essere più obiettivo, più<br />

razionale, più illuminato, ma solo di essere un altro punto di<br />

vista.<br />

Aprire porte, ampliare lo sguardo, allargare il contesto, creare<br />

collegamenti semantici, associare eventi di epoche diverse,


notare le ridondanze nei comportamenti nel tempo, le ripetizioni<br />

di modelli e di stili.<br />

Comprendere i legami, le trame, che come in un romanzo si<br />

snodano, si intrecciano, e creano altri legami, altre trame, altre<br />

storie parallele.<br />

Questo è reso possibile dal particolare legame che si crea tra<br />

terapeuta e paziente, una relazione che ha una sua specificità<br />

data dagli obiettivi condivisi, ma soprattutto da quella<br />

particolare intesa che si crea, al di là delle parole, per riprendere<br />

la metafora, tra il traghettatore ed il passeggero. Un’intesa<br />

simile all’amicizia, o all’amore, ma nella quale i sentimenti non<br />

vengono alla luce per se stessi, e per essere vissuti come<br />

nell’amicizia o nell’amore, ma per essere compresi, elaborati,<br />

attribuendoli, poi alle sedi originali.<br />

Il terapeuta si fa quindi specchio, ma non è uno specchio inerte.<br />

Piuttosto è uno specchio d’acqua, vivo, che si muove non solo<br />

grazie all’immagine che accoglie e riflette, ma anche per le sue<br />

proprie correnti, e l’immagine riflessa è colorata anche dal<br />

riflesso delle piante che crescono attorno al laghetto, dai pesci<br />

che vi nuotano, ed è più o meno limpida a seconda, anche, <strong>della</strong><br />

purezza dell’acqua. Il terapeuta, quindi, ci mette del suo. La<br />

relazione terapeutica non è, quindi, un contenitore, ma una<br />

relazione altra, diversa, un nuovo contesto in cui si vivono e si<br />

rielaborano, insieme, situazioni, emozioni, storie. Al di là<br />

dell’illusione dell’obiettività.<br />

3. Pratica clinica e fantasia<br />

“Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si<br />

allargano sulla sua superficie, coinvolgendo nel loro moto, a<br />

distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la<br />

barchetta di carta e il galleggiante del pescatore. Oggetti che se<br />

ne stavano ciascuno per conto proprio, nella sua pace o nel suo<br />

sonno, sono come richiamati in vita, obbligati a reagire, a<br />

entrare in rapporto tra loro. Altri movimenti invisibili si


propagano in profondità, in tutte le direzioni, mentre il sasso<br />

precipita smovendo alghe, spaventando pesci, causando sempre<br />

nuove agitazioni molecolari. Quando poi tocca il fondo,<br />

sommuove la fanghiglia, urta gli oggetti che vi giacevano<br />

dimenticati, alcuni dei quali ora vengono dissepolti, altri<br />

ricoperti a turno dalla sabbia. Innumerevoli eventi, o<br />

microeventi, si succedono in un tempo brevissimo. Forse<br />

nemmeno ad aver tempo e voglia si potrebbero registrare tutti,<br />

senza omissioni.<br />

Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso,<br />

produce onde di superficie o di profondità, provoca una serie<br />

infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta<br />

suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, in un<br />

movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia<br />

e l’inconscio e che è complicato dal fatto che la stessa mente<br />

non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene<br />

continuamente, per accettare e respingere, collegare e censurare<br />

costruire e distruggere.” (Gianni Rodari, 1973, pag.7)<br />

Non diversamente avviene nella cosiddetta pratica clinica. Una<br />

persona racconta una storia, la sua storia, usando parole,<br />

esempi, rappresentazioni. Il terapeuta usa altre parole, per<br />

aiutarla nella ricostruzione <strong>della</strong> storia. Le parole rimbalzano<br />

nella mente, risuonano, creano echi, coinvolgono e richiamano<br />

alla mente altre parole, altri pensieri.<br />

Come e onde concentriche nello stagno, le parole dette nello<br />

spazio <strong>della</strong> terapia richiamano altre parole, altri significati.<br />

Così il movimento delle parole stesse produce altro movimento,<br />

ed eventi che sembravano lontani, diversi, distanti, vengono<br />

loro malgrado coinvolti, avvicinati, collegati. Entrando in<br />

rapporto tra loro, gli eventi <strong>della</strong> vita <strong>della</strong> persona generano<br />

interpretazioni nuove, collegamenti semantici che spesso vanno<br />

al di là delle interpunzioni fatte fino a quel momento, superando<br />

i legami di causalità semplici, di causa-effetto.<br />

Si creano quindi dei movimenti nella mente <strong>della</strong> persona, e<br />

questi movimenti generano cambiamenti, smovendo certezze,


agitando pensieri, alimentando dubbi, causando agitazione,<br />

caos. Quando poi le parole toccano corde profonde dell’anima,<br />

la smuovono.<br />

Non è possibile prevedere le reazioni a catena che verranno<br />

prodotte, le analogie e le immagini che saranno richiamate alla<br />

mente, riguardate, rielaborate, ripensate.<br />

Nel lavoro <strong>della</strong> persona che produce l’analogia, “l’asse <strong>della</strong><br />

selezione si proietta sull’asse <strong>della</strong> combinazione: può essere un<br />

suono (una rima) a evocare un significato, un’analogia verbale a<br />

suscitare la metafora. Quando il bambino inventa una storia,<br />

succede la stessa cosa. Si tratta di un’operazione creativa che ha<br />

anche un aspetto estetico: qui ci interessa in relazione alla<br />

creatività, non all’arte.” (Gianni Rodari, 1973, p.14)<br />

La fantasia e la memoria si incontrano, stimolate dalle parole, e<br />

la visione <strong>della</strong> storia che ne emerge non è più lineare, ma<br />

circolare.<br />

La ricostruzione è più complessa, le esperienze, gli influssi<br />

esterni, le storie intrecciate vengono fuori, contribuiscono a<br />

allargare il cerchio. Non è più solo la storia di una persona, ma<br />

la sua storia in un contesto storico, culturale, sociale; la sua<br />

storia in un contesto relazionale, fatto di legami presenti e<br />

passati, di storie di rapporti semplici e complessi.<br />

Non c’è più solo la storia di un problema, il motivo che ha<br />

portato la persona in terapia. Il problema, il sintomo, acquista<br />

significato, parla, all’interno <strong>della</strong> storia <strong>della</strong> persona che lo<br />

porta, all’interno del complesso delle sue relazioni significative,<br />

le spiega.<br />

Freud diceva che il sogno è la via regia per l’inconscio (Freud,<br />

1977), ed ha utilizzato, nella sua pratica clinica, le fantasie<br />

prodotte dai suoi pazienti per aiutarli nell’interpretazione <strong>della</strong><br />

loro realtà. Loro realtà, non semplicemente realtà. E’<br />

conoscenza comune, infatti, che ciascuno di noi costruisce una<br />

propria interpretazione del mondo che lo circonda, e gli dà<br />

significato partendo dai propri parametri e dalle proprie<br />

esperienze.


I bambini nascono con la capacità di interpretare, di dare<br />

significato alle esperienze che vivono, e lo svolgersi <strong>della</strong><br />

nostra esistenza richiede lo sviluppo di questa innata capacità.<br />

Gli adulti spesso sorridono nell’ascoltare le spiegazioni dei<br />

fenomeni <strong>della</strong> vita quotidiana prodotte dai bambini. E’<br />

divertente ascoltare le loro interpretazioni, le loro attribuzioni di<br />

significato. “I dinosauri sono estinti, cioè sono tutti morti,<br />

quindi stanno da Gesù. I dinosauri sono il terrore di Gesù”<br />

(Gabriele, 3 anni).<br />

Molto si è scritto circa l’utilità <strong>della</strong> metafora in psicoterapia.<br />

L’uso <strong>della</strong> metafora in psicoterapia permette di superare le<br />

barriere poste dalla razionalità, che con la crescita aumenta, e<br />

consente di andare oltre le censure ai pensieri più segreti e/o<br />

inaccettabili.<br />

La metafora, così come il gioco, pone una distanza tra gli eventi<br />

raccontati, rappresentati, e il giudizio su di loro, consentendo,<br />

quindi, un’espressione più libera.<br />

La fantasia è uno strumento, una risorsa, una possibilità. Così<br />

come il terapeuta, per poter essere utile, deve entrare ed uscire<br />

dalla storia del suo paziente, così il paziente può entrare ed<br />

uscire dalla sua storia, riuscendo in un certo senso a prenderne<br />

le distanze ed a guardarla da fuori.<br />

4. Cosa sono le fiabe?<br />

Le fiabe sono racconti fantastici. Racconti più o meno brevi in<br />

cui, utilizzando il linguaggio allegorico, possono essere<br />

trasmessi dei messaggi. Sono degli spaccati <strong>della</strong> realtà, delle<br />

interpretazioni, dalle quali vengono tratte elaborazioni e<br />

conclusioni. Tradizionalmente, le favole venivano tramandate<br />

oralmente, per poi essere raccolte e trascritte. Le fiabe parlano<br />

<strong>della</strong> realtà dalla quale sono state generate, dei suoi contesti,<br />

delle sue abitudini.


La struttura del racconto è semplice, prevede un inizio, con il<br />

delinearsi del personaggio principale, il protagonista, al quale si<br />

contrappone l’antagonista; c’è quindi un evento o una serie di<br />

eventi che modificano lo status, l’azione del personaggio<br />

principale o di un altro, l’aiutante, che lo affianca, la<br />

conclusione, di solito a lieto fine ed accompagnata da una<br />

morale. In genere, il tutto è condito da un pizzico di magia.<br />

I personaggi sono di due tipi, buoni e cattivi, ed in genere non<br />

c’è sfumatura nella struttura <strong>della</strong> loro personalità. C’è la<br />

principessa, buona, bella, brava, dolce, sfortunata, che subisce<br />

pazientemente le angherie del destino e non si ribella “…ma<br />

Cenerentola non si lamentava mai perché ad ogni levar del sole<br />

ella sentiva rinascere in cuore la speranza che un giorno il suo<br />

sogno di felicità si sarebbe avverato…” E intorno a lei ci sono i<br />

suoi amici, di solito miti e delicati come lei, che la confortano,<br />

ma non hanno la forza di ribellarsi al destino.<br />

C’è la strega, cattivissima, terribile, spietata, senza cuore, che è<br />

di solito invidiosa delle qualità <strong>della</strong> principessa e vuole<br />

liberarsene, con l’aiuto dei suoi servitori, cattivi come lei e, in<br />

più, timorosi <strong>della</strong> sua possibile vendetta su di loro “…<br />

conducila nel bosco, in un luogo appartato,dove possa cogliere<br />

fiori selvatici e là, mio cacciatore e fedele amico, tu<br />

l’ucciderai…” e lui risponde “ma maestà, la principessa…” e<br />

lei, ancora più cattiva “silenzio, tu sai che ti accadrà se non mi<br />

obbedirai”…<br />

I personaggi gregari, poi, fanno la loro parte, avallando e<br />

rinforzando le qualità dei personaggi principali. E’, ad esempio,<br />

il caso del cacciatore nella fiaba di Biancaneve, obbediente e<br />

timoroso, che però all’ultimo momento “non ebbe il cuore” di<br />

uccidere la bambina e la lasciò andare, mettendo, così, ancora<br />

più in risalto la perfidia <strong>della</strong> regina che glielo aveva ordinato.


L’eroe che salva, infine, è come la principessa, immacolato,<br />

buono, retto, perfetto e coraggioso: il principe che affronta il<br />

drago per salvare la principessa rinchiusa nella torre, incurante<br />

del pericolo, o il principe che sfida la morte, baciando<br />

Biancaneve e risvegliandola con il primo bacio d’amore, o,<br />

ancora, il principe che riconosce e sposa Cenerentola,<br />

salvandola dal suo destino di tristezza nella casa <strong>della</strong> matrigna<br />

e delle sorellastre.<br />

Questi eroi, i principi azzurri, utilizzano le armi del coraggio e<br />

<strong>della</strong> rettitudine, forti del loro valore ma anche del loro rango,<br />

del coraggio dato dall’appartenenza alla stirpe reale. Ma in ogni<br />

caso viene fuori che nella struttura narrativa <strong>della</strong> fiaba c’è<br />

sempre, e comunque, una morale, che non consente al cattivo di<br />

trionfare o, se questo trionfa, è perché c’era un motivo, qualcosa<br />

da scontare.<br />

Ciò che emerge, nella delineazione <strong>della</strong> personalità dell’eroe,<br />

nelle favole, è che le qualità personali possono avere una forza,<br />

una potenza salvifica, sconfiggendo, così, le forze del male,<br />

che, nel corso dei secoli, si sono concretizzate in modi diversi.<br />

Così, ad esempio, Pollicino salva i suoi fratelli grazie al<br />

coraggio ed alla furbizia, che riescono a conquistare anche la<br />

moglie dell’orco cattivo, che si commuove, mentre Gretel tira<br />

fuori la forza <strong>della</strong> disperazione per cacciare la strega nel forno<br />

e liberare il fratello.<br />

E se non ci riescono da soli, ecco giungere l’aiuto <strong>della</strong> magia,<br />

la fatina buona, gli stivali delle sette leghe, il fagiolo magico…<br />

Il messaggio originale viene comunque veicolato attraverso la<br />

fiaba, e giunge a destinazione, in genere, in maniera univoca e<br />

comprensibile.<br />

Anche le versioni più moderne e apparentemente dissacranti,<br />

come la storia di Shreck, presentata come “favola al contrario”,


iprendono, seppure in chiave ironica e divertente, lo schema<br />

classico bene/male. L’orco, Shreck, è bruttissimo, orrendo, ma<br />

buono, e si trova a dover affrontare un’impresa eroica, salvare<br />

la principessa Fiona dalla terribile fortezza difesa dal drago. La<br />

storia è un susseguirsi di colpi di scena, di personaggi che nella<br />

tradizione delle favole sono buoni e che, invece, qui sono<br />

presentati come cattivissimi.<br />

Le fiabe sono uno strumento terapeutico da sempre. Qui<br />

terapeutico non vuol essere inteso in senso necessariamente<br />

positivo, ma nel senso <strong>della</strong> promozione del cambiamento.<br />

Venivano – e vengono – usate per fare paura ai bambini,<br />

inducendoli a modificare il loro comportamento, a fare i buoni.<br />

Pinocchio, ad esempio, è una fiaba molto pedagogicamente<br />

corretta, che insegna ai bambini che se non obbediscono ai<br />

genitori saranno guai…” Io non me e anderò di qui, - rispose il<br />

Grillo -se prima non ti avrò detto una gran verità. - Dimmela e<br />

spicciati. -- Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori<br />

e che abbandonano capricciosamente la casa paterna!Non<br />

avranno mai bene in questo mondo;e prima o poi dovranno<br />

pentirsene amaramente…” (Collodi, 2004)<br />

Certo, nell’era dell’automazione è strano parlare di fiabe, di<br />

fate, streghe, dragoni, principesse incantate. A uno sguardo<br />

superficiale, può apparire che questi personaggi appartengano a<br />

generazioni precedenti. A ben guardare, però, i videogiochi<br />

sono popolati di mostri, di personaggi cattivi da uccidere con il<br />

joestick, mentre i cartoni animati più seguiti ancora parlano di<br />

fatine (le Winx, ad esempio, o le Witch), così come ancora sono<br />

amate le serie fantastiche di Harry Potter, o le Cronache di<br />

<strong>Narni</strong>a.<br />

Gli elementi fondamentali ci sono ancora tutti, l’eroe, il cattivo,<br />

la magia, il sortilegio…e l’elemento fantastico aiuta, ancora<br />

oggi, ad affrontare, e ad esorcizzare le proprie paure e a<br />

sperimentarsi immaginandosi come eroe, o come principessa,<br />

per vivere emozioni, altrimenti, precluse.


5. Perché leggere le fiabe ai bambini<br />

La lettura di fiabe ai bambini li aiuta nello sviluppo del<br />

linguaggio. Aumenta il loro repertorio di parole, alimenta la<br />

capacità di espressione.<br />

La lettura di fiabe in terapia aiuta nello sviluppo del linguaggio<br />

<strong>della</strong> terapia. Aumenta il repertorio di parole, alimenta la<br />

capacità di espressione dei contenuti emotivi, dei significati.<br />

Scrivere insieme fiabe e racconti aiuta certamente a ricostruire<br />

visioni <strong>della</strong> realtà alternative, a dare respiro ai pensieri, a<br />

creare nuove possibili interpunzioni.<br />

La lettura ad alta voce di favole è una fondamentale pratica di<br />

avvicinamento alla lettura, una pratica che dovrebbe<br />

incominciare quando i bambini sono ancora piccolissimi e non<br />

dovrebbe interrompersi fino a che i bambini, poi ragazzi, poi<br />

adulti, mostrano di accogliere la proposta come un dono,<br />

un’affettuosa, divertita, partecipata condivisione di un momento<br />

di straordinaria intensità comunicativa.<br />

La lettura di fiabe in famiglia e lo scambio, il confronto verbale<br />

che ne segue, favorisce lo sviluppo cognitivo del bambino,<br />

portandolo alla scuola dell’infanzia con una migliore capacità di<br />

esprimersi, di fare domande, di interessarsi in maniera attiva<br />

alle proposte educative che gli verranno fatte.<br />

Inoltre, è ampiamente dimostrato che i bambini che hanno<br />

esperienza di lettura di fiabe in famiglia sviluppano un<br />

repertorio lessicale ed una capacità di mantenere i tempi di<br />

attenzione maggiore rispetto ai coetanei.<br />

Negli Stati Uniti sono state condotte molte ricerche e<br />

sperimentazioni in merito, che hanno verificato l’efficacia<br />

dell’esposizione dei bambini alla lettura in età prescolare,<br />

strumento utile a colmare le lacune linguistiche e per avviare in<br />

modo corretto il rapporto con la lettura. Senza contare, poi, che<br />

l’adulto significativo che legge una storia al bambino veicola un<br />

ulteriore messaggio, il suo proprio piacere per la lettura, e in


questo, come in altri casi, l’esempio positivo ha un valore<br />

infinitamente maggiore rispetto a qualunque spiegazione,<br />

promovendo spontaneamente l’imitazione.<br />

Ricerche recenti condotte in Italia confermano quanto detto,<br />

aggiungendovi il dato – per la verità abbastanza prevedibile -<br />

che i bambini che statisticamente amano di più la lettura hanno<br />

genitori che leggono molto, e che, quindi, li hanno esposti al<br />

contatto con la cultura fin da piccoli.<br />

Le motivazioni per cui è utile leggere le favole ai bambini sono<br />

tante, principalmente<br />

vengono migliorate le capacità espressive, sia dal punto<br />

di vista linguistico che emotivo;<br />

vengono esercitati e quindi aumentati i tempi di<br />

attenzione;<br />

il bambino viene educato all’ascolto rispettoso, al<br />

silenzio, migliorando, in tal modo, le proprie attitudini<br />

relazionali;<br />

viene promossa la capacità di creare immagini mentali<br />

partendo unicamente dall’ascolto, alimentando, quindi,<br />

il collegamento tra il canale uditivo e quello visivo e la<br />

capacità di fantasticare autonomamente;<br />

viene promosso un rapporto positivo e fecondo con la<br />

lettura, ed il desiderio autonomo di imparare a leggere,<br />

in quanto essa è proposta come attività essenzialmente<br />

piacevole, anche in contrasto con la diffusa<br />

convenzione sociale di collegare la lettura<br />

esclusivamente alla scuola, e quindi di attribuirle una<br />

connotazione negativa, legata più che altro all’obbligo;<br />

viene avviata la conoscenza di generi letterari diversi e<br />

di caratteristiche stilistiche legate anche ai contesti<br />

sociali e culturali: la lettura di fiabe provenienti da<br />

diverse parti del mondo insegna al bambino le diverse<br />

consuetudini dei diversi popoli, favorendo, inoltre, un<br />

pensiero più aperto alla multi-culturalità;


vengono poste le premesse per uno sviluppo precoce<br />

del senso <strong>della</strong> storia, ovvero <strong>della</strong> capacità di<br />

riconoscere, individuare la struttura narrativa;<br />

viene promossa la creazione di un territorio comune di<br />

idee, emozioni, immagini.<br />

Gli aspetti positivi <strong>della</strong> lettura di fiabe ai bambini sono<br />

evidenti, quindi, sia per il carico di crescita cognitiva che<br />

quest’esperienza porta con sé, sia, soprattutto, per la possibilità<br />

di creare, utilizzando questo strumento, momenti di crescita e di<br />

comunicazione positiva intergenerazionale, in cui lo scambio<br />

emotivo è pieno e ricco di stimoli per lo sviluppo di relazioni<br />

sociali positive.<br />

6. Funzioni <strong>della</strong> fiaba<br />

A che servono le favole? Le fiabe servono a fantasticare, a<br />

rilassarsi, ad addormentarsi, ad essere rassicurati, ad esorcizzare<br />

ed affrontare le paure, ad esplorare e conoscere altri mondi, a<br />

migliorare la conoscenza del linguaggio, ad imparare ad<br />

esprimersi.<br />

Le fiabe aiutano nello sviluppo del linguaggio, e consentono, a<br />

chi le ascolta o le legge, di aumentare il proprio repertorio di<br />

parole e di significati.<br />

Dal punto di vista relazionale, le fiabe sono uno strumento<br />

straordinario. Metafore <strong>della</strong> realtà, consentono la sua scoperta,<br />

la sua conoscenza, ma in maniera per così dire protetta. Possono<br />

essere lette, ascoltate, raccontate, rappresentate graficamente,<br />

musicate, recitate, e si prestano a infinite possibili elaborazioni<br />

e rielaborazioni.<br />

Le fiabe consentono la comunicazione su temi difficili, quali la<br />

morte o l’amore, e su argomenti tabù, permettendo così di<br />

sperimentare le proprie emozioni al riguardo in maniera<br />

controllata.


Per approfondire quest’argomento, è utile la lettura <strong>della</strong><br />

Grammatica <strong>della</strong> fantasia di Gianni Rodari, sull’uso delle<br />

parolacce e sulle elaborazioni fatte dai bambini delle scuole<br />

elementari sui temi “scottanti”, partendo dalle storie inventate<br />

dai bimbi dove intervengono “l’inconscio con i suoi conflitti,<br />

l’esperienza, la memoria, l’ideologia, la parola in tutte le sue<br />

funzioni. Una lettura puramente psicologica, o psicanalitica,<br />

non sarebbe bastata a illuminarne tutte le risultanze” (Rodari,<br />

1973, pag.25).<br />

Certamente, raccontare una fiaba può servire a comunicare ed a<br />

manifestare attenzione, affetto, considerazione.<br />

Un bambino che ascolta ogni sera la fiaba <strong>della</strong> buonanotte<br />

imparerà presto a poterci contare, ci farà l’abitudine. Questo<br />

piccolo rito quotidiano sarà, per lui e per la mamma o il papà un<br />

momento di intima condivisione di un’esperienza, e la sua<br />

ripetizione, implicitamente, comunicherà al piccolo che chi si<br />

prende cura di lui è affidabile, in un certo senso prevedibile, e<br />

ciò è rassicurante.<br />

Il linguaggio delle fiabe è analogico, oltre che digitale, e<br />

consente di giocare con la storia, di sperimentare sequenze di<br />

eventi, di lasciarsi andare, di immergersi per un po’ in un<br />

mondo diverso, di vivere, per un po’, in un’altra dimensione.<br />

I bambini, di solito, sono istintivamente bravi nel passare da<br />

una dimensione all’altra, come quando passano dalla finzione<br />

del gioco alla realtà.<br />

Con la crescita, se non alimentata, questa capacità diminuisce,<br />

senza però mai svanire del tutto.<br />

La dimensione “altra”, il cosiddetto pensiero magico, è comune<br />

ai bambini ed agli psicotici, ma è una capacità, oserei dire una<br />

possibilità, che può tornare utile anche da adulti.<br />

7. Imparare ad ascoltare le fiabe: un percorso educativo da<br />

iniziare il più presto possibile – dalle immagini alle storie


Non tutti i bambini hanno la possibilità di essere educati<br />

all’ascolto delle fiabe. Nella cultura attuale, che predilige le<br />

immagini, le comunicazioni immediate, l’uso del racconto <strong>della</strong><br />

fiaba è in costante diminuzione. Anche i programmi per<br />

bambini, attualmente proposti, danno la precedenza a modalità<br />

più veloci ed immediate, ed i cartoni più visti mostrano<br />

immagini senza sfumature, in cui gli avvenimenti si susseguono<br />

in fretta, e non c’è tempo di attesa.<br />

Ascoltare le favole, invece, richiede pazienza. Richiede tempo,<br />

sia a chi legge, o racconta, che a chi ascolta. E la pazienza, che<br />

poi può tradursi in aumento dei tempi di attenzione, va<br />

esercitata.<br />

Già durante il primo anno di vita è possibile porre le basi per<br />

l’educazione all’ascolto ed alla lettura delle favole. I bambini<br />

molto piccoli sono alla ricerca costante di stimoli, e l’adulto che<br />

li accudisce può guidare questa ricerca, proponendo al bambino<br />

immagini, suoni, parole che alimentino la sua fantasia.<br />

Perché ciò avvenga, è importante non partire da situazioni già<br />

strutturate, ma proporre al bambino un’esposizione graduale,<br />

consentendogli, così, di aumentare la sua capacità di attenzione<br />

insieme con l’interesse per l’oggetto.<br />

Il bambino, così, sperimenterà il piacere dato dal racconto e,<br />

insieme, avrà la sensazione di essere padrone di quella<br />

situazione, che non gli genererà frustrazione.<br />

Per fare un esempio, per avvicinare un bambino alla lettura<br />

delle fiabe si può partire da un libro illustrato, in cui immagini<br />

di oggetti comuni siano presentate in maniera piacevolmente<br />

colorata ma chiara e riconoscibile. Si può sfogliare il libro<br />

insieme al bambino, nominando le immagini ed indicandole con<br />

il dito. Quindi, una volta che il bambino abbia preso confidenza<br />

con l’oggetto-libro, le immagini possono essere commentate, al<br />

nome si possono aggiungere degli aggettivi, e poi si possono<br />

inventare e raccontare brevissime storielle ispirate alle<br />

immagini.


Il passaggio successivo può prevedere libri di fiabe illustrati, in<br />

cui, però, ancora le parole siano poche, e la preferenza viene<br />

data all’immagine.<br />

La gradualità è importante. Il bambino, piano piano, imparerà<br />

ad ascoltare l’altro raccontare e, sempre piano piano, potrà<br />

appassionarsi a quei racconti.<br />

Una cosa importante è creare l’atmosfera. Raccontare una fiaba<br />

richiede una preparazione, che consiste in movimenti ed<br />

aggiustamenti fisici e psicologici, che possano connotare la<br />

situazione. Trovare la posizione adatta, la distanza ottimale,<br />

scegliere la luminosità dell’ambiente, stabilire il contatto visivo<br />

e fisico, porsi in una situazione di tranquillità.<br />

L’atmosfera, poi, viene creata anche dalle parole usate per<br />

introdurre l’attività, e soprattutto dal tono <strong>della</strong> voce. Un po’<br />

come nella musica, anche nel racconto delle favole è essenziale<br />

la preparazione, il silenzio, e la modulazione dei toni, <strong>della</strong><br />

velocità dei suoni, delle parole, ed anche dei gesti.<br />

Tutte queste cose definiscono un rapporto, una situazione<br />

comunicativa molto intima e particolare.<br />

Non esiste un tempo uguale per ogni bambino per imparare ad<br />

ascoltare le storie (nel mio piccolo, posso dire che i miei tre<br />

hanno avuto tempi diversi), e neanche un tempo uguale per ogni<br />

genitore per imparare a raccontarle; a ciascuno va lasciato il<br />

tempo necessario per appassionarsi alla storia, per<br />

padroneggiarla.<br />

E pazienza se il bambino chiede che gli si racconti sempre la<br />

stessa storia, vuol dire che essa per lui ha una funzione<br />

rassicurante, costituisce una sorta di rituale.<br />

E i bambini hanno bisogno dei rituali, un po’ come i popoli.<br />

8. Funzioni <strong>della</strong> fiaba nella pratica clinica<br />

“Solo più tardi cominciò a farsi strada la verità:<br />

non era il paziente ad avere bisogno di quella tecnica,<br />

ma il terapeuta.”


(Whitaker, 1990)<br />

La scelta <strong>della</strong> tecnica da utilizzare nella pratica clinica è<br />

condizionata di solito, da una serie di fattori. Principalmente,<br />

dalle tecniche conosciute dal terapeuta.<br />

Gli altri fattori che orientano la scelta sono legati alle<br />

caratteristiche degli utenti e dal contesto in cui avviene<br />

l’intervento.<br />

L’ utente può essere un adulto, presentare difficoltà personali ed<br />

il contesto può essere un colloquio clinico individuale.<br />

Può essere una coppia, e la terapia può essere, appunto, di<br />

coppia, relativa a difficoltà comunicative, relazionali, sessuali<br />

tra i due, ma può anche vertere principalmente sui problemi e<br />

sulle difficoltà di uno dei due; con una coppia si può ragionare<br />

anche dei figli senza portarli in terapia, o compiere una<br />

mediazione familiare, sostenendoli nel percorso <strong>della</strong><br />

separazione o orientandoli riguardo a difficoltà genitoriali.<br />

L’utente può essere una famiglia, che si mette in discussione<br />

per risolvere i problemi emersi e manifestati da uno dei suoi<br />

membri, il cosiddetto “paziente designato”, o per risolvere<br />

situazioni di conflitto intergenerazionale, difficoltà di<br />

comunicazione tra i membri e così via.<br />

L’utente può essere un bambino, ed il contesto uno sportello di<br />

ascolto e consulenza all’interno <strong>della</strong> scuola.<br />

L’utente può essere una classe, ed il contesto dell’intervento<br />

può essere un progetto di sensibilizzazione su una determinata<br />

tematica, o un’attività di prevenzione o di intervento per casi di<br />

pedofilia, bullismo, difficoltà scolastiche, di gruppo, e così via.<br />

I contesti degli interventi sono gli studi privati degli psicologi,<br />

le sedi delle associazioni, i servizi pubblici, le scuole. Ed ogni<br />

contesto viene definito da una serie di ulteriori fattori quali la<br />

disposizione dell’ambiente, la luminosità e l’ampiezza degli<br />

spazi, la silenziosità oppure la rumorosità <strong>della</strong> situazione e,<br />

non ultime, le altre persone presenti durante l’intervento,<br />

presenti per partecipare o per caso.


Le caratteristiche fisiche e sociali <strong>della</strong> situazione, unite alle<br />

individualità delle persone che entrano in gioco, ed ai loro<br />

contesti di apprendimento, contribuiscono a caratterizzare<br />

l’intervento.<br />

Perché un contesto diventi terapeutico, però, è essenziale che si<br />

crei la relazione.<br />

Il tipo di tecnica utilizzata ha un’importanza relativa. E’ infatti<br />

oggi ampiamente dimostrato che le percentuali di successo in<br />

termini di “guarigione” sono più o meno le stesse per le diverse<br />

scuole di psicoterapia, dalla psicoanalisi all’indirizzo cognitivocomportamentale.<br />

Ciò che importa è la relazione, oltre alla chiarezza nel<br />

perseguire gli obiettivi <strong>della</strong> psicoterapia.<br />

Durante le sedute di psicoterapia, e durante le diverse fasi di un<br />

intervento psicologico con delle persone, non è tanto importante<br />

cosa si fa, quale tecnica venga utilizzata, se il colloquio<br />

individuale su un determinato tema, la “scultura familiare”, il<br />

“genogramma”, ma quello che conta è che il terapeuta abbia<br />

ben chiaro in mente l’obiettivo, e che sappia perché sta facendo<br />

o dicendo una determinata cosa con quel determinato paziente o<br />

gruppo.<br />

L’uso delle fiabe nella pratica clinica, quindi, è una delle<br />

possibili tecniche, che può rivelarsi molto utile e proficua in<br />

determinate situazioni e con determinati tipi di utenti.<br />

Personalmente, ho utilizzato spesso questa tecnica nella mia<br />

esperienza clinica, in quanto la trovo particolarmente<br />

interessante e utile, e con diverse tipologie di utenti.<br />

Con i bambini, l’utilizzo <strong>della</strong> fiaba è un mezzo che favorisce<br />

l’instaurarsi di un linguaggio comune, l’espressione mediata di<br />

contenuti anche complessi ed anche il racconto di esperienze<br />

vissute e difficili da esternare altrimenti.<br />

Spesso i bambini che hanno subito abusi sessuali, ad esempio,<br />

riescono con questa tecnica a esprimere le loro emozioni e<br />

vissuti, compiendo dei passi verso l’elaborazione<br />

dell’esperienza in maniera graduale e più semplice.


Possono essere sollecitati ad inventare favole con protagonisti<br />

che abbiano caratteristiche simili alle loro, elaborando però<br />

diversi finali per la stessa storia, o anche raccontare la propria<br />

vicenda attribuendola ad altri, per esempio ad animali.<br />

E’ un po’ il concetto dei test proiettivi, comunemente utilizzati<br />

nella pratica clinica, e che partono al presupposto che nel<br />

parlare di una situazione, nel raccontare una storia, una persona<br />

parla di sé, e racconta la sua storia, proiettandola nella storia dei<br />

personaggi che descrive. Ad esempio, il test T.A.T. (Thematic<br />

Apperception Test) di Henry A. Murray, universalmente<br />

riconosciuto come uno degli strumenti più efficaci per<br />

l'indagine <strong>della</strong> personalità e per la comprensione delle sue<br />

manifestazioni problematiche, consiste nel presentare all’utente<br />

delle immagini stimolo, chiedendo poi di inventare una storia<br />

per ogni tavola. In particolare, il T.A.T. consente di giungere a<br />

conoscenza di emozioni, sentimenti, complessi e conflitti <strong>della</strong><br />

personalità, rivelando inoltre tendenze rimosse o inibite, che la<br />

persona non vuole o non può ammettere, in quanto non ne è<br />

cosciente. Proprio in relazione alla necessità di comprendere le<br />

tendenze ed emozioni nascoste del soggetto in questione, viene<br />

scelta questa particolare metodica, che consente di individuare<br />

con una buona attendibilità i bisogni ed i sentimenti consci ed<br />

inconsci, espressi in conformità con le esperienze vissute<br />

dall’analizzato, senza che quest’ultimo ne sia consapevole.<br />

Anche con gli adulti le fiabe possono essere un utile strumento<br />

terapeutico, per le loro caratteristiche, cioè per la loro struttura<br />

narrativa, formale, per i contenuti delle storie utilizzate, ma<br />

anche, e soprattutto, quando sia utile il ricorso alla metafora<br />

9. Racconto di un’esperienza di psicoterapia di coppia<br />

Questa è una storia a lieto fine.


E’ la storia di una terapia di coppia iniziata sei mesi dopo il<br />

matrimonio dei protagonisti e finita quindici giorni prima <strong>della</strong><br />

nascita <strong>della</strong> loro bambina.<br />

Renato ed Emilia sono stati inviati al mio studio privato da una<br />

pediatra amica comune che, frequentandoli, aveva rilevato un<br />

forte disagio legato alla nascita imminente <strong>della</strong> prima figlia<br />

<strong>della</strong> coppia.<br />

Preoccupata soprattutto per la bambina, ha insistito perché si<br />

facessero aiutare.<br />

A chiamare è stato lui, ed abbiamo preso il primo<br />

appuntamento, nel febbraio del 2003.<br />

Renato ha 29 anni, è ingegnere elettronico e sta per presentare<br />

la tesi del suo dottorato di ricerca al Politecnico di Milano.<br />

Unico figlio maschio nato parecchi anni dopo tre femmine, è<br />

cresciuto in una famiglia molto tradizionale. E’ un ragazzone<br />

alto ed allampanato, con spessi occhiali da vista, il sorriso facile<br />

e l’aria un po’ distratta. Passa la maggior parte del tempo<br />

all’università o al computer.<br />

Emilia ha 27 anni, una laurea in Lettere classiche ed una in<br />

Conservazione dei beni culturali, oltre ad un master in<br />

economia ed una serie interminabile di specializzazioni.<br />

E’ una bella ragazza, alta e bruna, e se non ci si facesse caso,<br />

non sembrerebbe neanche incinta.<br />

Lavora part time presso un archivio storico. E’ orfana di padre<br />

da dieci anni ed ha una mamma molto presente, alla quale è<br />

molto legata e con cui passa la maggior parte del suo tempo.<br />

Ha due sorelle, una più grande di tre anni ed una più piccola,<br />

entrambe sposate e con un bambino.<br />

La sorella minore si è sposata un mese prima di Emilia, con un<br />

“matrimonio riparatore”, cosa che ha fatto arrabbiare Emilia,<br />

che pensava di poter affidare a lei la mamma sposandosi, e<br />

invece…<br />

Emilia e Renato provengono da famiglie tradizionali, di<br />

ambiente cattolico, ed entrambi hanno trascorso l’infanzia e<br />

l’adolescenza negli oratori salesiani. E’ lì che si sono<br />

conosciuti, circa dodici anni prima di sposarsi.


Sono caratterizzati dalla conversazione brillante e dalla<br />

tendenza ad intellettualizzare e “psicologizzare” tutto,<br />

specialmente lei.<br />

Il motivo che li spinge a chiedere aiuto è il forte disagio vissuto<br />

da Emilia in relazione al loro matrimonio, disagio che li mette<br />

in discussione come coppia e li fa vivere in una tensione<br />

continua.<br />

“Il matrimonio è una cosa assurda. Aiuta a crescere nella<br />

misura in cui è anticonformista. E’ un’esperienza che minaccia<br />

l’integrità di un individuo, il suo proprio essere, e che<br />

sconvolge fin nel profondo. E’ uno stato di coscienza alterato,<br />

come l’ipnosi: più si va in profondità, più è facile che accada<br />

qualcosa.<br />

Una nota di avvertimento: se non sopportate la solitudine, non<br />

sposatevi.<br />

La maggior parte delle persone ragiona in questo modo: “è<br />

una donnaccia, pover’uomo, mi dispiace per lui”, oppure: “lui<br />

è un maledetto bastardo, povera donna”. Credo che le mie<br />

prime scoperte in questo campo siano universalmente valide:<br />

l’accoppiamento tra due partner è perfetto, non solo perché<br />

uno completa l’altro nel presente, ma anche perché ciascuno<br />

sceglie l’altro in funzione <strong>della</strong> crescita di coppia. La scelta del<br />

partner tiene conto dell’altalena coniugale: l’adattabilità<br />

dell’altro alla tua depressione o al tuo sadismo. Non credete a<br />

nessuno che dica che il suo è stato un matrimonio di<br />

convenienza o che affermi “dovevo essere ubriaco”.<br />

I dieci miliardi di cellule contenute in quell’elaboratore che è il<br />

nostro cervello, si accoppiano esattamente con l’altro<br />

elaboratore con il quale ci colleghiamo.”<br />

(Whi<br />

taker, 1990, pag. 111)


Il giorno del matrimonio Emilia entrò in chiesa al braccio dello<br />

zio, commossa ed emozionata, nel suo splendido abito bianco<br />

da principessa delle favole.<br />

Man mano che si avvicinava all’altare, però, cresceva in lei un<br />

senso di smarrimento, che all’arrivo si trasformò in una cocente<br />

delusione: perché mai Renato non si commuove? Perché non<br />

sviene? La visione di cotanta grazia e bellezza non stravolge i<br />

suoi sentimenti, non turba i suoi sensi?<br />

L’ignaro sposo la bacia ed ha inizio la cerimonia, condita dalle<br />

copiose lacrime delle mamme degli sposi, inconsolabili.<br />

Poi c’è il ricevimento, infine Renato ed Emilia si ritirano nella<br />

loro meritata intimità.<br />

La prima notte fu un disastro.<br />

Emilia pianse tutto il tempo, sia per il rimorso di aver lasciato<br />

sola la mamma, a casa, sia perché Renato, vedendola arrivare in<br />

chiesa, non aveva avuto nessuna manifestazione emotiva forte<br />

ed eclatante che potesse consolarla e rassicurarla nella sua<br />

dolorosa scelta.<br />

In più, l’ignaro sposo ha avuto i modi soliti, pacati e dolci, nel<br />

loro primo incontro coniugale, dandole così l’impressione tanto<br />

sgradevole <strong>della</strong> “minestra riscaldata”. La prima notte di nozze.<br />

Per inciso, quando ne abbiamo parlato, Emilia ha detto di essere<br />

rimasta profondamente delusa da lui, dal quale avrebbe<br />

desiderato un gesto inconsulto; lui ha ribattuto: “se lo avessi<br />

fatto, non me lo avresti mai perdonato”.<br />

Emilia questa non gliel’ha perdonata, ha messo il muso e l’ha<br />

tenuto per tutto il viaggio di nozze<br />

Emilia e Renato si sono conosciuti che avevano 16 e 17 anni e<br />

sono stati fidanzati undici anni prima di sposarsi. Il loro<br />

rapporto è stato movimentato dalle periodiche crisi di Emilia, e<br />

dai suoi frequenti sbalzi di umore.<br />

Renato è una persona molto lineare, solida, squadrata (anche<br />

fisicamente); Emilia lo definisce un tetragono. Fin dal giorno in<br />

cui si sono conosciuti aveva già immaginato, deciso e<br />

pianificato il loro futuro insieme.


Emilia invece ha un carattere molto instabile, inquieto e<br />

tormentato, che la porta ad analizzare ed a mettere in<br />

discussione ogni attimo <strong>della</strong> vita, sia la sua personale che la<br />

loro di coppia.<br />

Afferma di aver impiegato anni ad innamorarsi di Renato e che<br />

per lei una decisione non è mai definitiva, tutto va vagliato ed<br />

analizzato decine e decine di volte.<br />

Tutto questo pensare ed analizzare, unito ad una forte<br />

sensibilità, la porta ad amplificare la percezione di ogni<br />

emozione, perdendo facilmente il controllo dei propri impulsi<br />

ed assumendo atteggiamenti e mettendo in atto comportamenti<br />

dei quali poi si pente.<br />

Le emozioni di Emilia prendono spesso corpo, con<br />

somatizzazioni e malori, che la costringono a letto anche per<br />

giorni.<br />

La tanto apprezzata solidità di Renato, in questi casi viene<br />

considerata mancanza di attenzione, la sua stabilità diventa<br />

assenza di capacità emotiva o, negli ultimi tempi, incapacità ad<br />

esprimere le emozioni.<br />

Emilia afferma di provare molta difficoltà di fronte ai<br />

cambiamenti, che la scombussolano e la mandano in crisi;<br />

Renato evidenzia la coincidenza temporale delle crisi di Emilia<br />

con periodi di forte stress.<br />

Il desiderio di lei di tenere gli eventi sotto controllo e di guidare<br />

le emozioni nella direzione da lei desiderata ha un duro colpo<br />

con la scoperta di essere rimasta incinta praticamente la prima<br />

notte di nozze, durante il loro primo, deludentissimo, rapporto<br />

completo.<br />

Emilia prova un rifiuto deciso verso la creatura che porta in<br />

grembo, tanto che, inizialmente, prende in considerazione la<br />

possibilità di non riconoscerla e darla in adozione.<br />

I sensi di colpa per i sentimenti provati sono profondi,<br />

accentuati tra l’altro dal suo senso morale, per il quale sono<br />

inaccettabili.<br />

Ma ha paura di crescere, di perdere di colpo la sua<br />

indipendenza, di non avere più tempo per sé. E piange.


Mentre Emilia piange, la sua pancia cresce, e con essa il rifiuto<br />

per la nascitura.<br />

A questo rifiuto si aggiunge sempre più il risentimento ed<br />

aumenta l’ostilità verso Renato, che tanto ha deluso le sue<br />

aspettative ed i suoi sogni.<br />

Decido di partire da questi per aiutarli a superare l’empasse.<br />

La terapia è durata circa tre mesi, con sedute a cadenza<br />

quindicinale.<br />

Gli obiettivi fissati dall’inizio hanno riguardato la conoscenza<br />

<strong>della</strong> coppia, la sua storia, la conoscenza di quello che l’ha<br />

unita.<br />

La storia ed i contesti di apprendimento dei singoli nella coppia<br />

e <strong>della</strong> coppia come sistema, avrebbero potuto dare un’idea di<br />

quello che c’era dietro l’attuale situazione di stallo.<br />

Decisi di partire dalla storia personale e <strong>della</strong> coppia, facendo<br />

leva sulle risorse, le affinità, le ricchezze e le peculiarità che<br />

rendevano possibile l’esistenza <strong>della</strong> coppia stessa.<br />

Il sistema terapeutico avrebbe dovuto introdurre confusione,<br />

introdurre elementi di differenza, che potessero portare a nuove<br />

possibili interpunzioni, per favorire una visione circolare<br />

(Bateson, 1987).<br />

Avrei quindi cercato di individuare le caratteristiche delle<br />

persone che avevo di fronte, e metterle in luce, sostenerle,<br />

valorizzarle. L’obiettivo principale era di aiutarli a vedere le<br />

proprie vie alternative, lavorando ad un livello di<br />

comportamento piuttosto che ad un livello profondo (Haley,<br />

1974).<br />

Il sistema terapeutico, quindi, aveva il compito di rompere la<br />

ridondanza di modelli di comportamento nella coppia,<br />

introducendo nuovi elementi nella relazione, dando luogo ad<br />

una descrizione nuova, diversa, di livello logico superiore. Una<br />

descrizione che andasse al di là <strong>della</strong> linearità, e che avesse<br />

almeno due punti di vista differenti (due descrizioni sono<br />

meglio di una).


Un po’ per aiutarli a ripercorrere la loro storia senza perdersi<br />

troppo in elucubrazioni mentali inutili e noiose, un po’ perché è<br />

un mezzo a me congeniale, mi sono divertita facendogli<br />

inventare e raccontare storie metaforiche ed a fargliele<br />

commentare.<br />

Con mia grande sorpresa e soddisfazione, dopo un’iniziale<br />

concentrazione sugli aspetti stilistici delle storie, Renato ed<br />

Emilia si sono divertiti insieme a me a tirare fuori le loro<br />

emozioni ed i pensieri, sdrammatizzando le isterie di Emilia e<br />

prendendo in giro l’eccessiva “tetragonicità” di Renato.<br />

Per farli parlare <strong>della</strong> loro storia di coppia ed in particolare dei<br />

sogni e delle aspettative che avevano reciprocamente, anche in<br />

rapporto al matrimonio, ho chiesto loro di inventare<br />

separatamente una storia metaforica, una fiaba.<br />

La storia raccontata da Renato parla di un pollo e una pollastra<br />

che si incontrano nell’aia e partono insieme “alla ricerca di un<br />

cortile dove razzolare sereni e farsi compagnia”.<br />

Pensando di conoscere la strada, cammina cammina arrivano in<br />

un grande prato verde; felici di aver trovato il posto dei loro<br />

sogni, si fermano lì, ma… all’improvviso iniziano a piovere<br />

schioppettate: non si erano accorti di essersi accampati in un<br />

poligono di tiro!<br />

Il commento di Emilia a questa favola verte inizialmente<br />

sull’aspetto stilistico: si meraviglia <strong>della</strong> capacità inventiva e di<br />

astrazione di Renato; dietro mia insistenza, sottolinea poi altri<br />

aspetti che la colpiscono: il fatto che dicano “questo è il posto<br />

dei nostri sogni, anche se non se lo erano detto” (Renato<br />

interviene: “come no, se lo erano detto!), il fatto che i due polli<br />

erano accomunati dalla meta comune.<br />

Emilia evidenzia l’essenzialità dei desideri di Renato, la sua<br />

linearità, il suo desiderio di condividere una vita comune con<br />

lei, la sua capacità di adattamento.<br />

Lui risponde che lei scambia questa adattabilità con passiva<br />

accettazione degli eventi, ma non è così, se no non ci sarebbe<br />

felicità.


La storia di Emilia parla di un principe ed una fatina che si<br />

incontrano, si innamorano “perdendosi uno nell’altra” e si<br />

sposano (descrizione del matrimonio con dovizia di particolari<br />

stile Cenerentola) perché “non riuscivano ad immaginare<br />

altro”.<br />

Il commento di Renato evidenzia la corrispondenza <strong>della</strong><br />

metafora con le aspettative di Emilia riguardo il matrimonio e<br />

dice che gli è piaciuto il fatto che il principe e la fatina si<br />

capiscono guardandosi negli occhi, cosa che piacerebbe anche a<br />

lui, ma che non sempre è possibile.<br />

Dice che lui si aspettava di essere felice, spensierato, e di poter<br />

finalmente approfittare dell’intimità, mentre nei primi mesi era<br />

una continuità la crisi: “vorrei capire di che cosa ha bisogno,<br />

leggerle nella mente sarebbe un dono divino”.<br />

Gli ho fatto poi inventare il seguito delle storie.<br />

Renato racconta dei due pollastri che, pur trovandosi all’interno<br />

del poligono di tiro, non vengono colpiti e continuano felici a<br />

razzolare; Emilia contesta: “per tutta la vita?!” e lui ribatte: “ma<br />

lo sai quanto è grande un poligono di tiro?!"<br />

Nacquero poi tanti pulcini e vissero felici e contenti, come ogni<br />

fiaba che si rispetti.<br />

Emilia continua invece la fiaba del marito dicendo che i polli<br />

vengono colpiti entrambi dalla stessa freccia, la freccia<br />

dell’amore, e dopo si bastano l’uno all’altra…ma come<br />

mangiano, commenta Renato?<br />

Il seguito <strong>della</strong> storia di Emilia, per Renato è uguale alla sua:<br />

nascono tanti bambini e tutti vissero felici e contenti, mentre per<br />

Emilia il seguito non c’è.<br />

Emilia, infatti, mette in evidenza che le sue aspettative vengono<br />

deluse perché non si concretizzano in qualcosa, sono indefinite.<br />

“Non è un fare, è un essere. Io non riesco a pensare ad un<br />

seguito, penso che restino lì a guardarsi…ho aspettative su<br />

cose impalpabili, per questo è difficile che io le individui”.


Nella seduta successiva al seguito delle storie, l’attenzione è<br />

stata spostata sulla gravidanza di Emilia, turbata per<br />

l’avvicinarsi <strong>della</strong> data prevista per il parto, che sarebbe stato<br />

probabilmente un cesareo.<br />

Ne parlammo a lungo e con serenità, ripercorrendo la storia<br />

<strong>della</strong> gravidanza dall’inizio ed affrontando uno per uno i motivi<br />

del rifiuto:<br />

1. la paura di perdere la libertà di gestire la propria vita;<br />

2. la paura di essere inadeguata, di non essere in grado di<br />

amare questa bambina in maniera sufficiente, quindi il<br />

pensiero all’adozione;<br />

3. il vincolo che la bambina rappresenta tra i genitori, il<br />

dubbio sui sentimenti provati per Renato;<br />

4. la paura di crescere.<br />

Mettendo in gioco la mia esperienza, allora, risposi punto per<br />

punto alle paure di Emilia, pensando che affrontarle insieme<br />

potesse renderle concrete, quindi magari superarle:<br />

1. E’ vero che quando nasce un bambino si perde in parte<br />

la libertà di gestire la propria vita, si perde anche la<br />

libertà di dormire quando si vuole…<br />

2. la paura di essere inadeguati è una paura “sana”, che<br />

credo abbiano tutte le persone consapevoli del passo<br />

che stanno facendo quando mettono al mondo un figlio<br />

(chi lo insegna?); il desiderio di darla in adozione l’ho<br />

riletto come un atto di estremo sacrificio, la bambina<br />

donata a chi può darle di più… ma chi può darle di più<br />

di chi la ama a tal punto?<br />

Emilia disse che era una lettura “poetica” <strong>della</strong><br />

situazione, ma non ha negato e mi è sembrato che le<br />

piacesse pensarlo.<br />

3. Il vincolo è reale, per cui forse vale la pena, per una<br />

volta, di


decidere se ci si ama o no, mantenendo la possibilità di<br />

rimettersi in discussione come coppia ma senza iniziare<br />

da capo ad ogni occasione.<br />

4. Crescere fa paura, è vero, ma a volte non si può<br />

scegliere se<br />

farlo o meno, quando ci si trova di fronte ad eventi<br />

definitivi (nascita, morte…)<br />

Ho quindi fatto un intervento contrario alle mie abitudini e un<br />

po’ fuori dal mio stile: un intervento di responsabilizzazione<br />

verso la maternità, che metteva in forte evidenza l’importanza<br />

per questa bambina di nascere in un ambiente accogliente, tra<br />

genitori che fossero pronti ad amarla senza perdersi in<br />

chiacchiere. Il succo era che si può essere buoni genitori anche<br />

se come coppia non si è perfetti, e che un bambino in genere<br />

non chiede una mamma ed un papà perfetti, ma solo genitori<br />

sufficientemente buoni, che gli vogliano bene a modo loro. Se<br />

poi si vogliono bene anche tra loro, tanto meglio per tutti.<br />

L’ultima seduta, quindici giorni prima del parto, fu molto<br />

serena.<br />

Emilia, quando le chiesi come andasse, mi disse di aver<br />

superato perlopiù la fase del rifiuto, e di “temere ora<br />

soprattutto di non essere capace di amarla come una madre<br />

dovrebbe, in modo totale, spostando l’attenzione da me a lei”.<br />

Le chiesi se amasse suo marito, disse si.<br />

Mi dissero che le cose andavano meglio tra loro, e che le crisi<br />

erano diventate più rare.<br />

Inizialmente, l’obiettivo è stato di mettere gli argini alla terapia:<br />

stabilire un termine, dei tempi, dei modi.<br />

La cornice, e l’attenzione al suo mantenimento e rispetto, è<br />

stato il punto centrale dell’avvio dell’intervento terapeutico.


Poi, è stata posta in maniera decisa l’attenzione sul rifiuto <strong>della</strong><br />

gravidanza, stabilendo di combatterlo in modo energico.<br />

Lei tende a “psicologizzare” e complicare, il compito era:<br />

semplifica, demistifica.<br />

Bisognava responsabilizzare la madre sul fatto che la futura<br />

figlia è una cosa seria, anche in modo shockante: non deve<br />

arzigogolare per fare bene la madre (“hai voluto la<br />

bicicletta…”), il richiamo è ad un dovere morale.<br />

Tutte le storie che hanno raccontato vanno bene per una coppia,<br />

meno per una coppia genitoriale.<br />

Anche qui, l’obiettivo era di semplificare, demistificare<br />

affettuosamente le loro intellettualizzazioni.<br />

Lei si aspettava che lui cambiasse: esplorare questo desiderio<br />

pericoloso… Dopo undici anni, lui deve cambiare? Che vuol<br />

dire? E se poi cambia davvero?<br />

Bisognava sfidarli sulla concretezza per aiutarli ad uscire dalle<br />

loro elucubrazioni mentali, contrastando l’eccessiva<br />

mentalizzazione.<br />

L’intervento sulla maternità, poi, era rischioso: richiamare la<br />

responsabilità va bene anche se fatto in modo accusatorio e<br />

forte, ma bisogna tenere a bada una partecipazione emozionale,<br />

che in questa occasione era molto alta.<br />

La differenza tra il terapeuta e l’educatore sta proprio qui:<br />

l’educatore crede che è importante far fare quella cosa che<br />

predica;<br />

il terapeuta non vuole far fare una cosa in particolare, ma<br />

smuovere una determinata situazione lasciando lo spazio <strong>della</strong><br />

scelta alla persona, evitando che il suo giudizio morale, emotivo<br />

influenzi.<br />

Infine, un pensiero all’esito delle terapie: va bene quando sono<br />

soddisfatti i pazienti; ma quando sono molto contenti, gatta ci<br />

cova?


10. Racconto di un’esperienza di prevenzione del disagio<br />

con i bambini di una scuola – il progetto Hansel e Gretel<br />

Il progetto “Hansel e Gretel: un percorso nascosto nella favola”<br />

è stato messo a punto dall'Associazione Cam Telefono Azzurro,<br />

di concerto con l'Assessorato alle Politiche Sociali del Comune<br />

di Pellezzano (Sa), nell'ambito delle iniziative previste dalla L.<br />

328/00 relativa ai Piani Sociali di Zona, Ambito S/8, al fine di<br />

compiere un lavoro di prevenzione e rilevazione del disagio in<br />

ragazzi di scuola elementare e di scuola media inferiore.<br />

Per trattare con dei bambini un tema difficile e scottante come<br />

l'abuso sessuale ai danni di minori, ed in particolare per fornire<br />

degli elementi di riflessione su come potersi difendere dalla<br />

pedofilia, il Cam di Salerno ha scelto di utilizzare il linguaggio<br />

<strong>della</strong> fiaba.<br />

Il percorso è stato effettuato presso l'Istituto Comprensivo di<br />

Pellezzano, in tre prime ed in una seconda media, nel 2006-<br />

2007 e presso le Scuole Elementari del Circolo Didattico di<br />

Pellezzano, in tutte le quarte, nel 2007-2008.<br />

La scelta di Hansel e Gretel è dovuta al fatto che essa è<br />

particolarmente evocativa per queste tematiche.<br />

Vicino ad una foresta viveva un povero taglialegna che aveva<br />

così poco lavoro da non sapere come portare tutti i giorni un<br />

pezzo di pane alla moglie e ai suoi due bambini, Hansel e<br />

Gretel. Venne il tempo che furono proprio ridotti a patir la<br />

fame senza sapere a chi chiedere aiuto...<br />

Inizia così la fiaba di Hansel e Gretel, una delle più conosciute<br />

tra quelle dei fratelli Grimm. Narra le vicende di due bambini<br />

che, abbandonati dai genitori nel bosco, trovano una casetta di


marzapane, e vengono catturati dalla strega che vi abita. I due<br />

bimbi trascorrono molto tempo a casa <strong>della</strong> strega, Hansel<br />

ridotta a farle da serva, Gretel rinchiuso in una gabbia in attesa<br />

di diventare abbastanza grasso per essere mangiato. La furbizia<br />

dei due fratelli però li salva: riescono infatti, alla fine <strong>della</strong><br />

favola, a scampare alla terribile strega ed a tornare a casa, dove<br />

vivranno felici e contenti.<br />

Ci sono tanti modi per raccontare la stessa storia, modi che<br />

rispecchiano chi la narra, modi che evocano i suoi contesti di<br />

apprendimento.<br />

Le parole scelte, ed ancor più le immagini rappresentate, le<br />

forme, i colori, sono rappresentazioni del mondo interiore<br />

dell'autore.<br />

I bambini sono abili nell'uso delle metafore, ed esse sono una<br />

via regia per comunicare con loro.<br />

L'obiettivo principale era di promuovere una riflessione in<br />

classe sulle tematiche <strong>della</strong> pedofilia e dell'abuso all'infanzia,<br />

ponendo l'attenzione non tanto sui particolari di questi pericoli,<br />

quanto sulla promozione <strong>della</strong> messa in atto -da parte dei<br />

ragazzi- di risorse e strategie per potersene difendere.<br />

Il percorso è stato condotto con incontri in classe in cui, alla<br />

presenza dell'insegnante di riferimento, veniva proposta agli<br />

alunni una serie di attività sul tema <strong>della</strong> fiaba.<br />

L'attività in classe è stata condotta dalla psicologa<br />

dell'Associazione Cam Telefono Azzurro, responsabile del<br />

Progetto, coadiuvata da due volontarie.<br />

Dopo la presentazione dell'Associazione, è stato distribuito ai<br />

ragazzi il testo <strong>della</strong> fiaba di Hansel e Gretel, uno per ciascuno.


Il testo è stato letto insieme, quindi ciascuno è stato invitato ad<br />

elencare, su di un foglio numerato, i personaggi <strong>della</strong> storia,<br />

descrivendone le caratteristiche principali.<br />

Il passo successivo è consistito nell'associare, sempre in<br />

maniera individuale, ciascun personaggio con una persona<br />

realmente esistente, indicando per iscritto il motivo <strong>della</strong> scelta<br />

effettuata.<br />

Quindi, ognuno di loro ha disegnato su di un altro foglio<br />

-sempre numerato, per permetterne il riconoscimento da parte<br />

delle operatrici- la scena <strong>della</strong> fiaba che maggiormente lo aveva<br />

colpito, spiegando il perchè <strong>della</strong> scelta.<br />

E' stata poi condotta la discussione in classe, sulla base degli<br />

elaborati prodotti dai ragazzi.<br />

Ognuno è stato invitato a leggerli ed a mostrare il disegno, e la<br />

discussione è stata quindi orientata sui temi specifici dell'abuso,<br />

<strong>della</strong> pedofilia, dell'adescamento da parte di adulti.<br />

Sono state definite, quindi, le cose elementari da sapere per<br />

potersene difendere, schematizzate in tre parole, scritte alla<br />

lavagna: SEGRETO, SEDUZIONE, INGANNO.<br />

Il segreto allude al fatto che, in genere, quando avviene<br />

l'adescamento, il minore-vittima è invitato a tenere per sè la<br />

notizia, a non farne parola con nessuno: rompere il segreto,<br />

confidandosi con i genitori o con un adulto di riferimento,<br />

costituisce il primo passo per difendersi dall'abuso.<br />

La seduzione e l'inganno, come è ovvio, fanno riflettere sul<br />

fatto che, come nella fiaba di Hansel e Gretel, il pericolo si<br />

presenta di solito camuffato sotto vesti invitanti ed attraenti


come la casetta di zucchero o regali e privilegi, quindi bisogna<br />

essere molto attenti per riconoscere l'insidia che si nasconde<br />

dietro l'inganno.<br />

I ragazzi hanno risposto molto bene alla sollecitazione proposta<br />

con questa attività, partecipando attivamente alle sue varie fasi<br />

e mantenendo l'attenzione viva soprattutto durante la fase finale<br />

<strong>della</strong> discussione, a dimostrazione del loro reale interesse per<br />

temi scottanti come quelli trattati, e del loro desiderio di saperne<br />

di più.<br />

Gli elaborati prodotti, sia gli scritti che i disegni, sono poi stati<br />

raccolti ed esaminati dal punto di vista psicologico e<br />

grafologico.<br />

E' stato infatti condotto uno studio individualizzato di ciascun<br />

prodotto scritto e grafico, al fine di poter meglio evidenziare<br />

situazioni di disagio, confrontando i risultati con quanto emerso<br />

dall'osservazione durante le attività condotte in classe.<br />

Il percorso compiuto è stato quindi illustrato in una riunione,<br />

alla quale erano presenti il Sindaco, l'Assessore alle Politiche<br />

Sociali, l'Assistente Sociale del Servizio Sociale Territoriale di<br />

Pellezzano, la Dirigente Scolastica dell'Istituto Comprensivo, il<br />

Direttore Didattico, gli insegnanti interessati ed alcuni genitori<br />

degli alunni coinvolti nel Progetto.<br />

Infine, è stato tenuto un incontro tecnico con gli insegnanti delle<br />

classi che hanno partecipato, durante il quale la psicologa e la<br />

grafologa hanno preso in esame ciascun elaborato prodotto dai<br />

ragazzi,evidenziando quelli per i quali poteva essere opportuno<br />

un approfondimento, in quanto erano emersi elementi di disagio<br />

o rischio.<br />

Con i registri di classe alla mano, è stato quindi effettuato un<br />

confronto su ciascun alunno delle quattro classi che hanno


partecipato al Progetto, delineando le risorse e gli aspetti<br />

problematici sula base dell'indagine psicologica e grafologica<br />

effettuata.<br />

Si è sviluppata quindi una discussione alla quale i docenti<br />

hanno apportato il loro fecondo contributo, pervenendo ad una<br />

comune decisione di promuovere un periodo di attenzione<br />

particolare per alcuni alunni, risultati più a rischio.<br />

In seguito, si potrà verificare se e come poter interagire per<br />

mettere in atto strategie di intervento relative agli alunni<br />

risultati portatori di disagio.<br />

Durante questi incontri sono state, quindi, poste le basi per una<br />

eventuale futura collaborazione tra il CAM e la Scuola, per<br />

portare avanti iniziative relative agli alunni che dovessero<br />

dimostrare di aver bisogno dello specifico intervento del Cam<br />

Telefono Azzurro.<br />

A questo punto, si dovrebbe scrivere “e tutti vissero felici e<br />

contenti”...e invece no, perchè questa favola, reinventata<br />

insieme ai bambini di Pellezzano, ne ha suscitate altre,<br />

portandoci a riscrivere il progetto sulla base dei suggerimenti<br />

dei suoi veri autori, i bambini.<br />

11. Conclusioni<br />

L’uso delle fiabe nella pratica clinica è una possibilità, un<br />

metodo, un’opportunità. Sono tante le motivazioni che possono<br />

renderlo opportuno: le caratteristiche specifiche degli utenti, il<br />

contesto in cui avviene l’intervento, gli obiettivi che sono stati<br />

posti, e perché no, le attitudini del terapeuta. Raccontare una<br />

storia, la propria storia, giocarci, rielaborarla, riscriverla<br />

insieme, è uno dei compiti precipui <strong>della</strong> terapia. Se da questo


nascono nuove storie, vuol dire che l’intervento è efficace,<br />

perché ha prodotto cambiamento, movimento, caos.<br />

A conclusione di questa riflessione, mi piace riportare una<br />

filastrocca di Gianni Rodari<br />

Riferimenti bibliografici<br />

“le storie che sapevamo<br />

raccontate ve le abbiamo:<br />

se altre ne volete ascoltare<br />

ce le dovete insegnare”…<br />

1. Focault M., 1961, “Prefazione alla storia <strong>della</strong> follia”,<br />

in arrivo Focault, 1961-1970a cura di Revel J.,<br />

Feltrinelli, Milano, 1996.<br />

2. Di Cesare G., Cotugno A., “I traghettatori”, da<br />

“Ecologia <strong>della</strong> Mente n.2, 1999, Il Pensiero Scientifico<br />

Editore, Roma, 2000.<br />

3. Bateson G., “Mente e natura”, Adelphi, 1995, Roma.<br />

4. Bateson G., “Verso un’ecologia <strong>della</strong> mente”,<br />

Adelphi, 1999, Roma.<br />

5. Freud S., “L’interpretazione dei sogni”, Einaudi,<br />

1984, Torino.<br />

6. AA.VV. “Fiabe per sognare”, Ge.D. Edizioni


7. Collodi C., “Le avventure di Pinocchio”, Sansoni,<br />

1974, Firenze.<br />

8. Whitaker C. A., “Considerazioni notturne di un<br />

terapeuta <strong>della</strong> famiglia”, Astrolabio, 1990, Roma.<br />

9. Rodari G., “Grammatica <strong>della</strong> fantasia”, Piccola<br />

Biblioteca Einaudi, 1973,Torino.<br />

10. Rodari G., a cura di, “Enciclopedia <strong>della</strong> favola”,<br />

Editori Riuniti, 2004, Roma.<br />

11. Cancrini M. G., Harrison L., Potere in amore, Editori<br />

Riuniti, 1986, Roma.<br />

12. Cancrini L., La psicoterapia, grammatica e sintassi,<br />

Carocci, Roma.<br />

13. Haley J., Le strategie <strong>della</strong> psicoterapia, Sansoni,<br />

1974, Firenze

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!