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Ultimo anelito - Vladimiro Tomasi

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In copertina:<br />

"<strong>Ultimo</strong> <strong>anelito</strong>"<br />

di <strong>Vladimiro</strong> <strong>Tomasi</strong><br />

1º Edizione 1998


PRESENTAZIONE<br />

<strong>Vladimiro</strong> <strong>Tomasi</strong> è nato il 30,09,1931 a Comacchio (FE).<br />

rasferitosi a Torino nel 1945, dal 2002 vive e lavora a Cortoghiana (CA)<br />

Artista di riconosciute qualità pittoriche, ha al suo attivo una serie<br />

considerevole di mostre personali, di rassegne e di manifestazioni culturali sia in<br />

Italia, sia all'estero.<br />

Per la sua attività è stato insignito di prestigiosi riconoscimenti.<br />

Accademico - Accademia Tiberina - Legion D’Oro Roma 1977 –<br />

Oscar di Montecarlo 1978<br />

Maestro dell’Arte Contemporanea 1983<br />

Della sua figura e della sua opera si è ampiamente occupata una Monografia<br />

curata per lui dalle Edizioni Pentarco nel 1988, con una significativa, esauriente<br />

panoramica dei suoi lavori, accompagnata da alcuni degli innumerevoli saggi<br />

critici dedicati alle sue opere.<br />

<strong>Vladimiro</strong> <strong>Tomasi</strong>, il quale è noto a chi milita nel campo dell'arte come una<br />

personalità di spicco nella stesura figurativo-paesaggistica del dato reale, ha<br />

voluto con questa pubblicazione soffermarsi su alcuni momenti particolari della<br />

sua creatività, esplicitando e motivando le ragioni che lo hanno indotto a<br />

dedicarsi a soggetti ed a tematiche che apparentemente esorbitano dal suo<br />

abituale repertorio pittorico.<br />

A dimostrazione del fatto che ogni artista è - e deve essere - sempre figlio del<br />

suo tempo, <strong>Tomasi</strong> rimarca ed evidenzia la sua presenza nella contemporaneità,<br />

soffermandosi su alcuni accadimenti e tessendo una sorta d’argomentazioni di<br />

carattere morale, sociale e culturale su avvenimenti specifici i quali hanno avuto<br />

un impatto profondo e persino sofferto sulla sua sensibilità di uomo attento<br />

all'epoca in cui vive e in cui opera.<br />

2


Sono avvenimenti che hanno colpito non solo l'interiorità di <strong>Tomasi</strong>, ma gli<br />

animi di molta gente e talvolta l'intera umanità, se si prende, ad esempio, la<br />

vicenda drammatica che egli chiama "una tragedia americana", ossia l'uccisione<br />

dei fratelli John e Robert Kennedy e del simbolo dell'emancipazione della gente<br />

di colore, Martin Luther King.<br />

Trovandosi a ripercorrere eventi che hanno segnato marcatamente la storia<br />

italiana e mondiale, <strong>Vladimiro</strong> <strong>Tomasi</strong> indugia con pertinenti richiami sulla<br />

perdita di alcune idealità e di alcuni presupposti che hanno portato ad uno<br />

scadimento di valori e ad un declassamento della componente etica che ha<br />

preoccupato ed inquietato non poco le coscienze di chi a tale fenomeno ha<br />

guardato con occhio vigile e partecipe.<br />

Si tratta di una analisi ragionata su un lembo di vita contemporanea che ha<br />

inciso indelebilmente il tessuto della collettività, suscitando, ad un tempo,<br />

rimpianti e speranze, amarezze e illusioni, rinunce e proiezioni verso un domani<br />

dove ci sia posto per un comportamento meno belluino e meno materialistico<br />

della componente umana.<br />

3<br />

Giuseppe Nasillo


ULTIMO ANELITO<br />

4


Chi ha avuto modo di seguirmi nel tempo e di concedere la sua benevola<br />

attenzione alla mia attività di operatore del colore non può non convenire e<br />

ritrovarsi nell'assunto che, dal primo momento in cui mi sono cimentato con la<br />

tavolozza, ho sempre collocato - ma potrei dire elevato - ad oggetto, a<br />

protagonista, ad elemento prevalente del mio colloquio visivo, le voci e gli aspetti<br />

della natura, della quale ho cercato di cogliere presenze e suoni, in un contesto di<br />

prevalente armonia.<br />

Essa mi sono ripromesso di cantare, di celebrare, di evocare e di onorare col<br />

pennello, nelle mobili presenze stagionali, climatiche, ciclicamente rinnovabili,<br />

con tutta la suggestione dell'indecifrabile, cattivante mistero che da tempi<br />

immemorabili l'accompagna.<br />

Ho rivolto, cioè, il mio convinto intendimento per contemplare, - come è stato<br />

acutamente avvertito dalla critica più accorta e sensibile, - quella che Blaise<br />

Pascal chiamava la intera natura nella sua grande maestosità.<br />

Una nevicata, un campo squillante di papaveri, una marina carica di silenzi,<br />

un tramonto nella malinconica magia dell'autunno, una primavera rigogliosa di<br />

verde e di luce mattinale, una catena alpina che si confonde con flussi di nubi che<br />

la sovrastano in dissolvenza hanno sempre catturato il mio animo in una sorta di<br />

rapimento estatico, nel quale mi è agevole trovare la ragione di quella sintonia<br />

felice ed appagante con l'infinitudine del cosmo e con la precisione delle leggi<br />

che ad esso presiedono.<br />

La natura, quindi, come scenario privilegiato per le mie allocuzioni<br />

cromatiche, sottratte ad ogni intervento della componente umana che - fatta<br />

debita eccezione per alcuni rari casi - ho sempre cercato di tenere lontana dalle<br />

pagine di serena simbiosi con un mondo così diverso, così edenico ed in<br />

contrasto con quello propinatoci giornalmente dalla vita delle assordanti<br />

metropoli, come è stato più volte messo in evidenza .<br />

Era (ed è oggi ininterrottamente) quel mondo così rigogliosamente,<br />

generosamente prodigo di emozioni e di sensazioni non usuali l'interlocutore per<br />

antonomasia, dal momento che in esso io vedevo - e vedo - fusi il contingente e<br />

l'universale, il transuente e l'immanente trascorrere fugace della vita stessa, per<br />

consegnarsi ad una dimensione di eternità immodificabile. (*)<br />

(<br />

5


Ma in alcune specifiche, imprevedibili circostanze, qualcosa di folgorante, di<br />

insolitamente inedito ha colpito la mia sensibilità, ed ho avvertito il bisogno di<br />

dirigere come una forza inspiegabile, la direttrice della mia interiorità verso<br />

situazioni che definirei sconvolgenti per quanto mi riguarda, destinate a lasciare<br />

una traccia indelebile nella mia coscienza di uomo del ventesimo secolo,<br />

chiamato a vivere - in una temperie di angosce, di nevrosi, di lacerazioni<br />

psichiche, quasi in ossequio ad una condanna, ad una espiazione che incombe su<br />

un vulnerato tessuto sociale avviato lungo la strada della consunzione ad opera<br />

della violenza, della paura, della brutalità che ne scardinano le fondamenta e ne<br />

inquinano irreversibilmente le radici.<br />

In tali inquiete riflessioni si faceva sentire con crescente insistenza ciò che<br />

Italo Svevo metteva a conclusione de "La coscienza di Zeno", dove è lucidamente<br />

descritta l'ipotetica, apocalittica dissoluzione del pianeta, con una<br />

"conflagrazione" cosmica che non lascia spazio a speranze o a illusioni.<br />

Un uomo razionalmente devastato da una erronea, deformata concezione della<br />

scienza si accinge, secondo lo scrittore triestino deceduto nel 1928 a causa di un<br />

incidente automobilistico, a “ giocarsi ” le sorti della Terra ed a precipitarla nel<br />

caos e nell'annientamento.<br />

Su ciò andavo meditando, quando la mattina del 16 marzo 1978 mi colpì la<br />

notizia del rapimento di Aldo Moro, la cui drammatica cattura avvenuta a Roma<br />

in via Mario Fani a prezzo di sangue pagato da coloro che si erano assunti il<br />

compito di difenderlo, ferì profondamente il mio spirito di uomo libero, convinto<br />

- forse a torto - fino ad allora di far parte di un consorzio civile, nel quale era<br />

inimmaginabile che potesse esserci posto per simili gesti di inqualificabile<br />

barbarie e per cui gli autori di tale misfatto furono coralmente definiti “ belve ”.<br />

La sua lunga prigionia, il suo martirio penoso e ingiustificabile, la sua persona<br />

fisica ridotta ad una struttura vegetante priva di qualsiasi autonomia e della più<br />

elementare parvenza di dignità, che non si rifiuta nemmeno ad uno schiavo,<br />

avevano sconvolto il mio equilibrio, avevano percosso la mia coscienza legata ad<br />

una concezione civile dell'esistenza, categoricamente riluttante ad accettare il<br />

principio che un uomo non potesse avere il diritto di essere rispettato sempre e<br />

comunque.<br />

6


_____________________________________<br />

(*) cfr. monografia “<strong>Vladimiro</strong> <strong>Tomasi</strong>” curata dalle Edizioni Pentarco<br />

dove a pagina 60 si legge: “Non che <strong>Tomasi</strong> detesti la città, ma come tutti noi<br />

che siamo costretti a viverci ora dopo ora, giorno dopo giorno, consumando e<br />

talvolta, dimenticando le occasioni di una rigenerazione dal vivo, sente la necessità<br />

di ristorarsi in atmosfere dalla prospettiva dischiusa, dalle articolate smorzature di<br />

luce, dalle nevicate ritratte con il loro echeggiante silenzio che si disperde nelle<br />

vallate o tra gli alberi occhieggianti all’incerto bagliore di tonalità lucane, meridiane<br />

o serotine, che la mano dell’artista rende con disinvoltura e con obbiettiva<br />

descrizione del vero, senza invenzione stentata senza additivi che non siano quelli di<br />

chi poeticizza, vale a dire che, rende universali suoi particolari stati d’animo, suoi<br />

personali colloqui con il mondo che rinfrange le sue gioie e le sue emozioni”.<br />

Così non era accaduto per il parlamentare pugliese assurto a simbolo di un<br />

potere, palesemente usurato, che in nome del popolo era stato considerato, dai<br />

suoi carcerieri e inquisitori, lontano dagli interessi di quello stesso popolo.<br />

Indipendentemente dall'ideologia politica, provai ad immedesimarmi in quel<br />

corpo privato di ogni minima capacità decisionale, costretto a macerarsi in un<br />

ritaglio di spazio ricavato tra improvvisate pareti anguste e disadorne.<br />

Mi proiettai nella dolorosa povertà di quella cella senza luce e mi chiesi<br />

ripetutamente cosa avrei provato io, se mi si fosse stata d'un tratto preclusa ogni<br />

opportunità di tenere desto un rapporto con il mondo esterno.<br />

Recisi drasticamente e bruscamente legami affettivi coltivati per anni, spezzati<br />

cinicamente i contatti con la famiglia, con gli amici, vedevo in quell'essere,<br />

precipitato così di colpo nel baratro della distruzione psichica, la fine stessa<br />

dell'uomo del nostro tempo, al quale diventava sempre più difficile sperare e<br />

credere nei propri simili, così ostentatamente fieri di essere assurti a suoi<br />

implacabili aguzzini, torturatori, seviziatori e carnefici.<br />

Furono giorni di sofferenza inenarrabile e, come entità raziocinante, non<br />

riuscivo a trovare una giustificazione attendibile a quell'avvenimento così in<br />

attrito con i presupposti di rispetto e di tolleranza cui sembravamo esserci ormai<br />

assuefatti.<br />

7


L'annichilimento di quella mente e di quel corpo mi faceva piombare in uno<br />

struggimento tremendo, reso ancora più insostenibile dalla sensazione di<br />

impotenza che attanagliava me e tutti coloro che pativano per quel gesto ignobile,<br />

che non guadagnava alla perversa causa alcuna scusante.<br />

In tale lacerante abisso morale, visitato da tormenti continui, mi giunse la<br />

notizia che Aldo Moro era stato fisicamente soppresso con crudele<br />

determinazione.<br />

Introdotto come ammasso di carne spenta di ogni palpito vitale, il suo<br />

cadavere era offerto come spettacolo di sangue e di ferocia alla folla incredula<br />

che nel cuore della capitale attonita si avvicendava, tra stupita e affranta, in<br />

prossimità del bagagliaio posteriore della tristemente nota Renault rossa<br />

parcheggiata, in segno di ostentata sfida alle istituzioni, nella centralissima via<br />

Caetani.<br />

Era un palese, dichiarato insulto, una tracotante risposta a quanti ritenevano<br />

illusoriamente che si potesse sperare in un ravvedimento o in un ripensamento<br />

durante il trascorrere lento - ma frenetico - di quei 55 giorni di prigionia, da parte<br />

di coloro che avevano giudicato e definito l'agguato al Presidente dell'allora<br />

Democrazia Cristiana una "dimostrazione di geometrica potenza".<br />

Era una ennesima provocazione indirizzata a quanti occupavano<br />

immeritatamente le cariche più rappresentative di uno Stato, la cui impostazione<br />

cominciava a sgretolarsi proprio quel giorno fatidico per la Repubblica, in cui<br />

l'opposizione di Sinistra avrebbe garantito il suo appoggio al governo, e<br />

amaramente destinato a perpetuarsi con incolmabile strazio nelle pieghe intime<br />

della famiglia, che inutilmente aveva levato la sua voce di preghiera e di carità -<br />

così come aveva fatto lo stesso pontefice Paolo VI – perché fosse risparmiata<br />

quella che a me - e non solo a me - parve una vera immolazione. Negli artigli di<br />

quella pattuglia di inquisitori l'ostaggio Moro aveva messo da parte tutte le<br />

sottigliezze ed i bizantinismi, cui era solito fare ricorso nella sua carriera politica,<br />

ed aveva comprensibilmente prodigato le sue restanti energie, per salvare con<br />

istintivo accanimento la propria vita, onde uscire da quell'inferno dell'anima, in<br />

cui sapeva molto bene di essere stato drammaticamente catapultato dalla sorte.<br />

Era l'uomo disperato, il naufrago in balia di flutti spaventosi che cercava un<br />

approdo qualsiasi, che faceva giungere, dal covo non individuato da quegli<br />

organi che avrebbero dovuto liberarlo, la sua dolente richiesta di soccorso,<br />

sollecitando chi di dovere alla comprensione, all'indulgenza, alla compromissione<br />

8


ed alla complicità con quella che era una evidente illegalità: trattare con criminali<br />

travestiti da farneticanti ideologi (*) .<br />

Chiesi a me stesso se potevo emendare quella “colpa” che così fortemente mi<br />

opprimeva, mi pungeva, mi bruciava e mi rendeva come partecipe di quel<br />

calvario che ancora una volta si profilava sul cammino dell'umanità e si popolava<br />

di una eccellente vittima sacrificale.<br />

Si trattava di interrogare la coscienza sulla consistenza di quel traumatizzante<br />

fenomeno il quale, nella sua efferata concretizzazione, aveva sicuramente<br />

prodotto una lacerazione non lieve negli uomini ed aveva inficiato la teoria di chi<br />

supponeva che fosse stata definitivamente raggiunta la soglia di una non più<br />

discutibile civilizzazione.<br />

Mi rifugiai così nello studio popolato di pennelli, di colori, di tele serenamente<br />

evocanti manti di neve, esplosioni di verde, gratificanti, silenti escursioni verso<br />

un mondo senza confini, cioè così poco confacente al mio stato d'animo in quel<br />

momento di vertiginoso sconforto, e sul cavalletto iniziai a dare dei contorni<br />

caratteriali a quell’essere spogliato di ogni definizione materiale.<br />

Ne feci un paradigma, un simbolo di immolazione in nome della collettività,<br />

di quella società opulenta e perfetta che non era stata in grado di preservare un<br />

suo membro autorevole, che non si era dimostrata capace di sottrarre quell'uomo<br />

(<br />

(*) “ Moro non si curava della sua immagine pubblica, non sentiva alcuna suggestione<br />

per la "bella morte" dei patrioti, ma con le forze residue, con tutte le risorse della sua<br />

tortuosa intelligenza tesseva la sua ultima tela per farci cadere i notabili del suo<br />

partito e il pontefice, quel Paolo VI che lo aveva educato nell' associazione degli<br />

studenti cattolici al pessimismo e all' ambiguità con lo Stato. Non gli importava niente<br />

di restare nei libri di scuola come un Muzio Scevola o un martire di Belfiore, voleva<br />

venir fuori comunque da questa non prevista avventura politica. E ho saputo da<br />

Moretti e dagli altri che la scoperta di un simile personaggio fu come paralizzante per<br />

i brigatisti, gli rivelava un gioco di astuzie e di perfidie, di manovre e di chiusure al cui<br />

confronto si sentivano impotenti, impreparati. Una cosa che né Aldo Moro nè i<br />

brigatisti avevano messo in conto: che i baciapile, i devoti, i pacifisti democris-tiani,<br />

messo in gioco il loro potere, sarebbero diventati duri come l'acciaio e freddi come il<br />

ghiaccio. Sì, credo proprio che Moretti e gli altri abbiano capito quanto erano deboli e<br />

anacronistici con i loro gesti, i loro simboli , le loro impazienze, le loro utopie, le loro<br />

risoluzioni strategiche e i loro volantini, di fronte a chi cosceva il potere in tutti i suoi<br />

nodi, i suoi sotterranei, i suoi nessi” (Giorgio Bocca. Il provin ci al e , Mondadori, 1991,<br />

pp. 287-288).<br />

9


catturato al patimento di un rinnovato Golgota, così inqualificabile, così<br />

anacronistico alla fine del ventesimo secolo, definito come l'epoca del trionfo<br />

della scienza e della tecnica.<br />

Trascorsi giorni di indomabile inquietudine, proteso com'ero a depurare quella<br />

figura nota a tutti di ogni riferimento specifico, cercando di non farne un martire<br />

del suo tempo e sforzandomi di non cadere nella proposizione oleografica di un<br />

uomo che, sull'esempio di Cristo si era votato deliberatamente al sacrificio<br />

supremo e consapevole, perché così non era.<br />

In una scenografia corrusca e tempestata da nuvole attraversate da sinistri<br />

bagliori in lontananza, collocai una rudimentale croce fatta di tronchi di alberi<br />

mutilati dei propri rami, e vi riprodussi inchiodato nelle estremità il corpo<br />

anonimo di un uomo, il quale gridava nel vuoto il suo incontenibile spasimo, il<br />

suo solitario urlo di chi non vuole consegnarsi ante tempus ai tentacoli spietati<br />

della morte.<br />

Ciascuno di noi avrebbe potuto ritrovare se stesso in quelle fattezze arcuate in<br />

una tensione di divincolamento, con il capo rivolto all'indietro per più<br />

intensamente lanciare nel cielo obnubilato la sua struggente invocazione a non<br />

essere abbandonato al gorgo delle tenebre.<br />

Ma nel frattempo, come esumato da una dimensione remota, vedevo affiorare<br />

ed avanzare a mano a mano il volto di Aldo Moro, ricomposto e recuperato ad un<br />

edenica serenità, nettamente in contrasto con l'immagine icasticamente sconvolta<br />

e sconvolgente dell’entità umana allocata su quel rudimentale incrocio di legno.<br />

Lo sguardo del personaggio Moro (restituito come vilipeso relitto alla consorte<br />

e ai figli, i quali dichiararono categorica-mente di non gradire rappresentanti<br />

dello Stato alle meste esequie che prelusero alla tumulazione della salma nella<br />

cappella di Turrita Tiberina) sembrava essersi sgravato di ogni contrassegno<br />

dolente e si proiettava in perpendicolo verso l'osservatore, come se intendesse<br />

scrutare più alte verità in una dimensione non più terrena, ma appartenente alla<br />

sfera dell'infinito.<br />

Mi pareva volesse dirigere il suo ubi sunt? a quanti si erano dichiarati suoi<br />

amici. Avevo la sensazione che indirizzasse il suo atto d'accusa a tutti coloro che<br />

avevano scelto la strada del tradimento e della viltà.<br />

10


Nonostante il mio proponimento di oggettivare, di universalizzare l'immagine,<br />

essa si presentava sempre più incontrovertibilmente nei lineamenti di quell'uomo<br />

che aveva - cosa insolita per un politico - suscitato e polarizzato la solidale,<br />

commossa partecipazione dell'intera nazione, non tanto in virtù dei suoi<br />

particolari meriti o per qualità eccezionalmente diverse dai suoi colleghi, quanto<br />

perché era stato degradato a preda inerme e selvaggia di un branco di segugi<br />

famelici, immeritevoli di ogni appartenenza a quel popolo, nel cui nome e per cui<br />

delega, essi si arrogavano autonomamente ed unilateralmente il diritto di parlare,<br />

di agire, di giudicare, di condannare, di uccidere.<br />

Lo stesso titolo dell'opera pittorica che andava delineandosi - "<strong>Ultimo</strong> <strong>anelito</strong>"<br />

- assumeva pertanto una valenza molteplice, intendendo - con quella definizione -<br />

riferirmi alla fine materiale e cruenta di un mio simile, reso impotente e sradicato<br />

dal mondo abituale, nonché alla consumazione del gesto estremo di una banda di<br />

esaltati, i quali avevano per anni terrorizzato impunemente l'Italia, e che da quel<br />

momento videro inesorabilmente segnata la loro sconfitta e la loro caduta nelle<br />

mani della giustizia.<br />

E contemporaneamente intravedevo la marcia verso la disintegrazione di una<br />

classe politica, cui non doveva risultare difficile riconoscersi in quella agonia<br />

annunciata, impregnata di scandali, di vergogne morali, di reati non più<br />

occultabili, di delitti ormai non più inspiegabili, con l'inizio di processi condotti<br />

non in improvvisate celle insonorizzate, definite paranoicamente "prigioni del<br />

popolo", ma in aule di veri tribunali, al cospetto di un uditorio responsabile ed in<br />

nome di leggi che quella classe aveva promulgato e da parecchi dei suoi<br />

componenti criminosamente, ripetutamente trasgredite ed infrante.<br />

Era “l'<strong>Ultimo</strong> <strong>anelito</strong>” di un modo abnorme di concepire il diritto, la giustizia,<br />

la militanza al servizio degli elettori, la delega conferita in piena fiducia ad<br />

individui i quali si sarebbero rivelati emeriti accaparratori, perfidi mestatori<br />

corrotti, nutriti di arroganza, di alterigia, di dichiarato disprezzo nei confronti di<br />

chi osava ricordare che al di là e al di sopra delle loro nefandezze c'è - sì - il<br />

giudizio degli uomini, ma anche e soprattutto l'occhio vigile di Dio, sotto le cui<br />

ampie ali molti di quell'orda rapace erano soliti andare ad invocare protezione,<br />

onde meglio saccheggiare subdolamente, egoisticamente voti e consensi per<br />

azioni turpi e illecite.<br />

11


___________________________________________________<br />

(*) Si spegneva nell'ignominia, tra amari e sarcastici commenti, echeggianti su tutti gli<br />

organi di informazione mondiali, una razza dominante, adusa a fare della illiceità il suo<br />

modello di vita, sancendo così lo sgretolamento di tutte le strutture di cui si era<br />

macroscopicamente servita per i lunghi decenni di connivenza con la criminalità e con il<br />

malaffare. Parlando di quel virus dal quale la classe politica è stata per molti, troppi lustri<br />

affetta. Giorgio Bocca citava, tra gli altri, il caso di Carlo Alberto Dalla Chiesa, il<br />

debellatore delle Brigate Rosse, vale a dire un altro pezzo di umanità sacrificato alla<br />

voracità di un sottopotere ( o un contropotere), legittimato di nascosto da coloro i quali a<br />

Roma erano in disaccordo solo sul modo di eliminarlo dalla scena nazionale, mentre stavano<br />

sempre più mettendo a nudo, sotto gli occhi di tutti, le loro miserie morali e spirituali. Anche<br />

al generale piemontese trucidato a Palermo con la giovane moglie sarebbe toccato in sorte<br />

di entrare a far parte di quella nobile, sparuta, tenace minoranza di uomini "che hanno come<br />

principale nemico, sordo nemico, proprio lo Stato, proprio l'apparato burocratico"(*)<br />

(*) Giorgio Bocca, op. cit., p. 293.<br />

12


LA MOSTRA DI BRUXELLES<br />

14


Il dipinto su tela veniva completato, non senza una turbinosa sinusoide<br />

umorale, nell'arco di due mesi ed ebbi subito modo di accorgermi - con grande<br />

sorpresa - che, quasi per una inspiegabile coincidenza, nella nuvolaglia<br />

sovrastante la capigliatura bianca che incorona il volto di Aldo Moro, erano<br />

andati profilandosi dei contorni sfumati che mi suscitavano nella mente ora una<br />

smaterializzata iconografia somatica di Albert Einstein, ora i contrassegni vaghi,<br />

ma in realtà ben individuabili, di Arturo Toscanini, mentre forme di notevole<br />

fattura andavano stagliandosi negli altri nembi aggrumati nel quadro, agitati da<br />

un vento furente e visitati da sinistri bagliori chiaroscurali.<br />

Non era nelle previsioni, ma dovendo allestire una mostra personale dei miei<br />

lavori paesaggistici, programmata da mesi per il 9 gennaio 1979 a Bruxelles, su<br />

invito dell'Istituto Italiano di Cultura della nostra Ambasciata nella capitale belga,<br />

diretto egregiamente dal prof. Augusto Traversa papirologo di fama<br />

internazionale, ebbi non poche sollecitazioni affinché quell'opera appena<br />

ultimata, decisamente inusuale nella mia pluriennale attività pittorica, fosse<br />

presente, unitamente alle altre quarantacinque tele selezionate per l'evento.<br />

I riscontri tangibili non si fecero attendere, giacchè una moltitudine<br />

sorprendente di visitatori si soffermava ad osservare la composizione figurale<br />

così diversa dalle altre, che per me voleva avere il significato di una<br />

testimonianza viva e diretta di una cronaca amara e cocente, di un lembo di storia<br />

recente della nostra Patria, che mi accorsi aveva varcato di molto i confini della<br />

penisola ed era giunta alle coscienze di migliaia di persone, le quali - come me -<br />

avevano seguito con apprensione il dramma dell'uomo Aldo Moro.<br />

Inoltre non mancò chi, in quella occasione, colse altri riferimenti di profili<br />

nella sussultanza dei colori della parte superiore, fino ad evocare la sagoma di<br />

Verdi o la fronte di Leonardo ad indicare la grande intelligenza dell’essere<br />

umano, non esclusa la percezione di un androide, quasi a rimarcare l'ineluttabilità<br />

della violenza in questo mondo, nel quale i nostri primi fratelli sono stati Caino e<br />

Abele.<br />

Di certo posso asserire che mai come nell'esecuzione di quell'opera mi sono<br />

sentito guidato da una forza che trascendeva di molto la mia abituale razionalità,<br />

al punto da risentire io stesso di tale particolare ed irripetibile circostanza.<br />

Fu una visione? Un'intuizione? Un messaggio “sui generis” ?<br />

Nemmeno oggi, a distanza di molti anni, saprei dare una sufficiente ed<br />

esauriente motivazione.<br />

15


E facendo qualche fugace considerazione su quell'episodio destinato ad<br />

indicare nel tempo un periodo oscuro della nostra storia, non è difficile desumere<br />

che quegli individui imbevuti di sociologia malata, di illusi sovvertitori di uno<br />

Stato imbelle ed inefficiente, affidato ad una genia di ottusi calcolatori, con<br />

l'impresa infame perpetrata ai danni di Aldo Moro, offrirono ai governanti<br />

dell'epoca ed ai loro sostenitori un alibi imperdonabile.<br />

Difatti, se prima c'era qualcosa che poteva dividerli e renderli ideologicamente<br />

inconciliabili, dopo quel crimine orchestrato con scellerataggine, essi trovarono<br />

elementi di intesa e di concordia, in virtù dei quali poterono coprirsi dietro a<br />

facciate prismatiche come la ostentata e mai effettivamente conseguita legalità,<br />

mentre permaneva il sottobosco fatto di giudici collusi, di collaboratori venduti,<br />

di amministratori dalla discutibile moralità.<br />

E perdurando nella loro nefanda operazione di appropriazione degli organi<br />

vitali della Repubblica, ritardarono di molti anni indagini ed inchieste, nelle quali<br />

cominciavano nondimeno ad emergere i primi legittimi sospetti, le prime chiare<br />

avvisaglie, le prime vistose crepe di un intreccio dalle losche e malefiche finalità.<br />

In questo oceano maleodorante che giorno dopo giorno appestava l'aria,<br />

rendendola sempre meno respirabile, la figura di Aldo Moro si stagliava come un<br />

fantasma di nemesi e di vendetta. Si identificava sempre più con l'incombente<br />

presenza biblica di un angelo giustiziere.<br />

Dopo aver debellato con la sua morte i propri carnefici, facendoli arrestare<br />

unitamente al boia, si accingeva ora a trionfare su tutti coloro che artatamente di<br />

quelli si erano serviti, per propinare a lui il calice amaro dell'ultimo commiato e<br />

per avviare la Repubblica, da essi improvvidamente, malauguratamente<br />

devastata, verso quella catarsi palingenetica, la quale ha finito per ingoiarli, l'uno<br />

dopo l'altro, nelle fiamme della definitiva distruzione politica.<br />

Gli storici che vorranno occuparsi di questi avvenimenti dovranno penare non<br />

poco per collocare i “leader” o, meglio i ladri che hanno infangato il nome<br />

dell'Italia, nelle pagine dei libri che i nostri figli studieranno e sulle quali si<br />

soffermeranno sgomenti, pensando a quanto poté il denaro nei confronti di una<br />

generazione così meschina, e come abbia potuto distruggere alle fondamenta<br />

valori e virtù di quella terra che in passato era stata fucina di cultura e maestra di<br />

civiltà.<br />

16


REALTÀ DI UN SOGNO<br />

17


Il 14 agosto del 1988 veniva a mancare Enzo Ferrari, il fondatore della nota<br />

casa di Maranello, ed il mondo dello sport automobilistico perdeva con lui una<br />

delle figure più prestigiose e rappresentative.<br />

Egli era stato un personaggio completo che, partito dalla manovalanza<br />

empirica delle officine d'anteguerra, era assurto in ogni angolo della terra a<br />

simbolo di una disciplina agonistica, nella quale egli sarebbe diventato un mito<br />

ineguagliabile per milioni di individui legati per passione alla suggestione sempre<br />

accattivante e seducente delle quattro ruote.<br />

La storia stessa dell'automobile da competizione non può non annoverare<br />

come protagonista incontrastato colui che - per le sue doti eccezionali -, pur non<br />

avendo frequentato corsi accademici regolari, era stato insignito della laurea<br />

“honoris causa” in ingegneria meccanica.<br />

Nei sogni effervescenti della prima adolescenza e della giovinezza di noi tutti<br />

ha sempre fatto capolino e ci ha idealmente guidato verso traguardi di gioia e di<br />

gloria quel cavallino rampante della casa della cittadina modenese in quel di<br />

Maranello, che Ferrari ha reso celebre ed amato dappertutto, in una lunga,<br />

spasmodica altalena di affermazioni prestigiose ed esaltanti e di brucianti,<br />

clamorosi insuccessi.<br />

Tutti noi soffrivamo con lui quando la Ferrari, ultimo vanto<br />

dell'automobilismo italiano, dopo l'abbandono delle competizioni di Formula Uno<br />

da parte della Lancia, della Maserati, dell'Alfa Romeo e di altre non meno<br />

leggendarie marche nazionali ed estere, era costretta malauguratamente ad un<br />

improvviso ritiro, ad un umiliante piazzamento, in posizioni di scarso rilievo, ad<br />

una serie di sconfitte che alimentavano malumori, litigi, dissapori.<br />

Ferrari era forse il più espressivo e diretto ambasciatore dell’Italia nel mondo,<br />

e ricopriva quell'encomiabile, invidiabile ruolo con dedizione sincera e immutata,<br />

nonostante le sventure, i dispiaceri, i lutti, le perdite affettive ed i dolori familiari<br />

che l'hanno colpito nel corso degli anni, a cominciare dalla scomparsa prematura<br />

dell'amato figlio Dino, alla cui memoria la Fiat volle dedicare una sua famosa<br />

autovettura.<br />

La scomparsa di Enzo Ferrari in quella afosa estate di dieci anni fa era giunta<br />

a crearmi una tensione improvvisa, una sorta di fervore creativo al punto da<br />

sentirmi sospinto a prendere i pennelli e descrivere sulla tela le fattezze di quel<br />

vegliardo sempre giovane di cuore, cui mi legavano - oltre la passione per la sua<br />

encomiabile attività - le comuni origini in terra emiliano - romagnola.<br />

18


E, quindi, in un surreale alone di fumigante, convulsa atmosfera agonistica,<br />

riprodussi la sua immagine, ritraendola nell'attimo concitato in cui le sue due<br />

rosse conseguivano il primo ed il secondo posto nel circuito di Monza, per<br />

merito di Gerhard Berger e di Michele Alboreto, assicurando alla scuderia Ferrari<br />

il 10º prestigioso Gran Premio d'Italia.<br />

Tale straordinaria, esaltante vittoria giungeva a meno di un mese dalla sua<br />

scomparsa, ma a me era parso naturale farlo svettare nell'attimo in cui le sue<br />

"creature" ruggenti sfrecciavano veloci verso l'ambito traguardo, accompagnate<br />

da un incontenibile, comprensibile urlo di gioia per la sorprendente, tanto sperata<br />

e tanto attesa impresa, in ritardo di ben nove anni, coronata proprio lì a Monza<br />

sede amata da Enzo Ferrari, perché fu proprio a Monza che esultò di gioia per la<br />

sua prima vittoria nel 1949, per merito di Manuel Fangio che vinse il Gran<br />

Premio Autodromo di Monza percorrendo i 504 km alla media dei 160,149.<br />

Era un sogno inseguito da tempo che finalmente si avverava ( e di qui il titolo<br />

"Realtà di un sogno" che volli dare al mio lavoro). Esso levava ancora più in alto<br />

l'emblema e il prestigio di quel grande vecchio (in chiusura ed in ringraziamento<br />

per una vita spesa alla glorificazione di quello sport), di cui la sua pluridecorata<br />

scuderia, aveva fatto sventolare sui pennoni dei cinque continenti il tricolore<br />

italiano, tra ovazioni indescrivibili di folle festanti e tripudio di appassionati di<br />

quei siluri di acciaio, affidati alla mano di un uomo che per tutta la durata della<br />

corsa avrebbe avvertito l'aleggiare della morte sempre in agguato.<br />

Un attimo di distrazione, un improvviso guasto meccanico, una curva<br />

malamente abbordata, un sobbalzo non preventivato, una folata insidiosa di<br />

vento, una gomma surriscaldata o difettosa, il percorso reso sdrucciolevole dalla<br />

pioggia, una goccia d'olio caduta sulla pista dal motore della vettura di un altro<br />

concorrente, e l'audace, apparentemente invulnerabile "semidio" del volante<br />

sarebbe finito anch'egli a popolare gli annali listati a lutto, dove sono<br />

funestamente ospitati i vari Ascari, Musso, Von Trips, Villeneuve, De Portago,<br />

Bandini, Castellotti, Scarfiotti, Marimon, Bonetto, De Angelis, Hill, Rindt,<br />

Hawthorn, Clark ed altri idoli venerati, destinati a una fine clamorosamente<br />

tragica.<br />

Ricordo chiaramente l'esaltazione che percorse come un fremito gli animi<br />

degli amanti dell'automobilismo, allorché' lo scudo giallo con il cavallo che sale<br />

(regalato dalla vedova di Francesco Baracca ad Enzo Ferrari) si innalzò trionfante<br />

in quella memorabile circostanza, suscitando, in una infinità di persone,<br />

commozione indicibile fino alle lacrime ; quella commozione e quelle lacrime<br />

che io ho cercato di riprodurre sul volto rugoso, ma raggiante di Enzo Ferrari<br />

19


edivivo, esultante dietro gli occhiali scuri, che contrastano con il bianco dei<br />

capelli, per quel piazzamento insolito, il quale iterava l'altro del 1979, ottenuto da<br />

Gilles Villeneuve e dal bravo sudafricano Jody Scheckter su una 312 T 4.<br />

E mentre con la mente mi riporto a quegli anni in cui era ancora l'uomo ad<br />

avere la padronanza ed il dominio fisico del mezzo a lui affidato, ci colpiscono e<br />

ci feriscono le notizie annuncianti la morte a Imola dell'austriaco Roland<br />

Ratzenberger e dell'ineguagliabile brasiliano Ayrton Senna, per i quali la sorte è<br />

stata ancora una volta ferocemente spietata, accogliendoli sotto il suo cupo<br />

mantello a distanza di appena ventiquattro ore l'uno dall'altro, cui si è aggiunto<br />

dopo pochi giorni il dramma dell'altro austriaco Karl Wendlinger, finito contro un<br />

"guard-rail" a Montecarlo, alla velocità di 270 chilometri orari.<br />

La dinamica dei due incidenti di Imola si è rivelata paradossalmente identica a<br />

quella di cui era stato vittima poco prima il ventunenne Rubens Barrichello, ma<br />

per lui miracolosamente la fortuna ha finito per avere il sopravvento.<br />

Il mondo dell'automobilismo, in queste occasioni, non ha pianto di gioia,<br />

come era parso a me doversi verificare per Ferrari (nella cui scuderia Senna<br />

avrebbe voluto militare, per aggiungere anche quel colore rosso che nella sua<br />

collezione di pilota mancava), ma per la calamità che ha segnato la fine<br />

spaventosa di due campioni, due assi dei circuiti, di cui - soprattutto per quanto<br />

riguarda Senna - ci si ricorderà a lungo, tutte le volte che sarà offerta opportunità<br />

di rievocare vicende di un settore nel quale lo sport ed il confronto leale passano<br />

sovente in second'ordine.<br />

Ma per quanto attiene la personalità di Enzo Ferrari, siamo convinti del fatto<br />

che egli abbia dato all'Italia più di quanto gli sia venuto dalle istituzioni<br />

pubbliche della sua patria, dalle quali ci si sarebbe aspettato almeno un<br />

francobollo commemorativo che onorasse la sua figura di uomo leale e<br />

coraggioso, (se si pensa ai paesi toccati dal caravanserraglio delle corse nel<br />

periodo d'oro di Enzo Ferrari, quanti paesi hanno sognato di fasciare della loro<br />

bandiera un ambasciatore così blasonato).<br />

Ma egli probabilmente in questi ultimi tempi di ruggente, rabbioso<br />

rampantismo senza scrupoli potrebbe apparire anacronistico e superato, come un<br />

cavaliere di epoche remote, legato ad ideali ormai in disarmo.<br />

Mentre guardiamo a lui come all'amico dei piloti, vale a dire di coloro che per<br />

natura erano (e sono) i suoi fratelli, i suoi simili, i suoi colleghi, la morte di Enzo<br />

Ferrari, apparso a me come l'ultimo, solitario alfiere di uno sport nel quale<br />

audacia e prudenza, lealtà e agonismo, efficienza fisica e misura vigile delle<br />

20


proprie capacità riflessive non devono mai essere disgiunte, mi si è rivelata come<br />

il tramonto di un modo di rivaleggiare all'insegna dell'onestà e del riconoscimento<br />

degli altrui meriti.<br />

Ed il titolo “ Realtà di un sogno “ concretizza ed afferma tutte le vittorie in<br />

doppietta, esaltando perennemente lo spirito del grande Drake, ma anche grande<br />

soddisfazione fino alle lacrime in milioni di tifosi cresciuti nel suo mito, e<br />

l’ultimo mio lavoro, “passato, presente, futuro, Ferrari” profetizza questo sogno<br />

proiettandolo nel futuro; futuro che è già diventato realtà con le strabilianti e<br />

continuative vittorie, che se esaltano i suoi continuatori, ingigantiscono sempre<br />

più colui che ne è stato il fondatore.<br />

Proprio per questo motivo ho ritenuto doveroso inserire i contrassegni del<br />

volto di Enzo Ferrari nella gamma dei miei personaggi-simbolo, sicuro che a lui<br />

si guarderà come ad un intramontabile mito, nutrito di eroismo popolare e<br />

popolano, in cui una punta di amore patriottico sapeva conquistare un giusto,<br />

meritato spazio, senza cadere nella retorica e senza trasformarsi in un divismo<br />

esasperato o esagerato, che poco ha in comune con le qualità autentiche di chi si<br />

prodiga e si batte per arricchire la vita dell'uomo e non per avvilirne - come<br />

spesso succede - la dignità.<br />

21


UNA TRAGEDIA AMERICANA<br />

22


Sono tornato nuovamente a dialogare in silenzio con personaggi entrati a far<br />

parte drammaticamente della storia, allorché ho riflettuto su quella che è stata<br />

definita "la tragedia americana", vale a dire l'assassinio di John Fitzgerald<br />

Kennedy, l'uccisione di suo fratello Robert, l'eliminazione brutale di Martin<br />

Luther King. La morte cruenta ed imprevista del Presidente Kennedy, - come tutti<br />

sanno - era avvenuta a Dallas, nel Texas, il 22 novembre del 1963.<br />

Suo fratello sarebbe caduto sotto i colpi sparatigli nel 1968. Il portavoce del<br />

movimento per la liberazione del popolo di colore era stato freddato a Memphis,<br />

nel Tennessee, il 4 aprile di quello stesso 1968.<br />

Il trascorrere degli anni ha meglio precisato e definito quelli che erano stati i<br />

loro ideali, vale a dire ciò che il loro sforzo ed il loro impegno hanno prodotto in<br />

tutto il mondo, suscitando speranze, aspirazioni e traguardi di riscatto per intere<br />

popolazioni.<br />

Nel venticinquesimo anniversario evocante la scomparsa dalla scena politica<br />

mondiale del giovane Presidente americano, ebbi motivo di assistere alla<br />

proiezione di un documentario televisivo che suscitò di conseguenza in me<br />

alcune considerazioni sull'operato di quei tre grandi democratici d'oltreoceano, al<br />

punto da sceglierli come protagonisti di un mio lavoro, in una disposizione<br />

triadica dei loro volti, stagliati nel cielo e sui grattacieli di New York.<br />

John Kennedy, eletto nel 1960, aveva portato il Partito Democratico alla guida<br />

degli Stati Uniti, battendo Richard Nixon, il quale interpretava la politica<br />

conservatrice e rigorosamente antisovietica, facente capo al generale Dwight<br />

David Eisenhower.<br />

Era il primo Presidente cattolico che entrava come guida della Casa Bianca,<br />

mentre a Roma da due anni Angelo Giuseppe Roncalli, con il nome di Giovanni<br />

XXIII, era succeduto a Pio XII, il Papa che aveva assistito al disastro della<br />

seconda guerra mondiale.<br />

Erano tempi in cui l'America viveva un periodo di profonda incertezza, senza<br />

che tuttavia nessuno mettesse in discussione la sua superiorità non solo militare,<br />

ma anche industriale, economica e scientifica.<br />

Però, sia l'Europa occidentale, sia il Giappone in Estremo Oriente, il quale<br />

stava rapidamente riprendendosi e risollevandosi sorprendentemente dalla<br />

catastrofe bellica che lo aveva annientato, cominciavano ad insidiare il primato<br />

della potenza d'oltre Atlantico. A ciò si aggiungeva la presenza - industrialmente<br />

e finanziariamente sempre più minacciosa - della Germania, la quale - sebbene<br />

23


divisa in due - dimostrava di aspirare, come Repubblica Federale - ad una vera<br />

“leadership” in Europa.<br />

Il braccio di ferro con l'Unione Sovietica era diventato il cruccio principale<br />

degli Stati Uniti, i quali avevano assistito con stupore e con comprensibile<br />

disappunto al lancio dello "Sputnik" russo nello spazio, avvenuto nel 1957.<br />

Una generalizzata crisi di ideali attraversava gli "States", dove la spesa per la<br />

scuola, per la sanità, per la giustizia, per le pensioni era stata penalizzata e<br />

sacrificata a vantaggio delle somme stanziate dal Congresso per il potenziamento<br />

delle risorse militari, in previsione, non del tutto azzardata, di un eventuale<br />

scontro armato con i Paesi d'oltrecortina, legati al Patto di Varsavia, voluto e<br />

presieduto da Mosca.<br />

Le nuove generazioni, sia nei "campus" sia nelle grandi città, chiedevano<br />

insistentemente di partecipare alla vita pubblica e di far sentire il loro peso nelle<br />

più importanti scelte di politica interna ed estera.<br />

Il giovane Presidente di origini irlandesi (che aveva sposato il 12 settembre<br />

del 1953, a Newport, Jacqueline Bouvier, della quale si è nuovamente parlato,<br />

essendo venuta a mancare il 19 maggio 1994 dopo una dolorosa agonia ) aveva<br />

compreso che non si poteva durare all'infinito con lo spettro della guerra fredda e<br />

che non si sarebbe costruita un'era di pace, affidandosi alla pratica dello<br />

spionaggio, alla strategia della tensione ed al deterrente degli armamenti.<br />

Interpretando quella crescente insofferenza nazionale ( ed internazionale),<br />

John Kennedy abbracciò con passione e fece sua la causa di nuovi ideali, e tutti<br />

rimasero soggiogati dal suo eroico progetto della "nuova frontiera", vale a dire il<br />

ritorno all'epoca delle grandi speranze, di cui si erano resi straordinari animatori e<br />

realizzatori quei pionieri che avevano reso florido, ricco ed ammirato il Paese di<br />

cui facevano parte.<br />

A ciò si aggiungeva l'attenzione sempre consistente che egli riservava ai<br />

bisogni del Terzo Mondo, donde si levava impellente e non più procrastinabile<br />

l'<strong>anelito</strong> verso la libertà e verso una più dignitosa accettazione dell'esistenza.<br />

L'America democratica diventava così la difenditrice e la patrocinatrice delle<br />

istanze sociali rivendicate dai popoli più poveri e socialmente più arretrati.<br />

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Si trattava di una politica coraggiosa e sovente in attrito con interessi costituiti<br />

da alcune caste sulla consuetudine del sopruso, dello sfruttamento e<br />

dell'arricchimento illecito. Proprio per questo, il poco più che quarantenne<br />

Presidente dovette affrontare le resistenze non lievi dei conservatori, degli<br />

antisovietici più ostinati ed intransigenti, delle caste militari e degli apparati più<br />

refrattari ad ogni cambiamento, nella direzione indicata da Kennedy.<br />

Egli aveva risolto con energia, decisione e tempestività la provocazione della<br />

Russia di Nikita Krusciov, la quale si era introdotta pericolosamente nell'area<br />

americana, violando apertamente la “Dottrina di Monroe”, prima appoggiando la<br />

rivolta di Fidel Castro, che avrebbe messo fine al governo di Fulgencio Batista,<br />

poi procedendo alla installazione di basi missilistiche nella stessa isola di Cuba,<br />

dove si era insediato il dittatore comunista.<br />

La determinata e categorica presa di posizione di John Kennedy, in giorni nei<br />

quali da parte di tutti si temette veramente lo scoppio di un terzo conflitto<br />

mondiale con conseguenze inimmaginabili e devastanti, risollevò il prestigio del<br />

proprio Paese, costrinse i Russi, smascherati agli occhi dell'intera umanità, a<br />

ritirare i loro armamenti, riportando in tal modo la collettività mondiale alle<br />

speranze di intesa, di distensione e di convivenza pacifica, in ossequio a quelli<br />

che erano sempre stati gli intendimenti perseguiti da Kennedy.<br />

A tale proposito vale sicuramente la pena ricostruire nel dettaglio<br />

quell'avvenimento che avrebbe potuto conoscere sviluppi esistenziali e deleteri<br />

per l'intero pianeta: "La mattina del 16 ottobre (1962)” il Presidente statunitense<br />

Kennedy venne informato dai responsabili della sicurezza nazionale che,<br />

all'analisi delle rivelazioni compiute dagli aerei ricognitori U2, risultava che i<br />

sovietici stavano installando a Cuba, a sole 90 miglia dalle coste statunitensi, un<br />

certo numero di rampe di lancio per missili a media gittata, che potevano essere<br />

armate di testate nucleari e che erano in grado di raggiungere tutto il territorio<br />

americano.<br />

Questa scoperta riportò l'attenzione sulla questione di Cuba. Un anno e mezzo<br />

prima, nell'aprile 1961, l'amministra-zione Kennedy, da poco insediatasi alla<br />

Casa Bianca, aveva dato il via a un'operazione, predisposta dal precedente<br />

governo repubblicano di Eisenhower, consistente nello sbarco sull'isola di circa<br />

1.500 fuoriusciti cubani, che avrebbero dovuto sollevare la popolazione in<br />

un'insurrezione anticastrista. Ideata sulla base di valutazioni politiche errate e<br />

male organizzata, la spedizione era andata incontro a un clamoroso insuccesso,<br />

quando, alla Baia dei Porci, le forze armate cubane erano riuscite in un paio di<br />

giorni a mettere le mani sugli attaccanti.<br />

25


La riconfermata ostilità statunitense al regime cubano teneva in allarme le<br />

autorità dell'Avana, e indusse Fidel Castro a insistere su Mosca perché fossero<br />

installati nell'isola ordigni missilistici capaci di colpire gli Stati Uniti.<br />

Il “leader” sovietico Krusciov aveva già offerto a Castro, nel 1960, una<br />

dichiarazione ufficiale da cui risultava che l'URSS avrebbe considerato come un<br />

casus belli ogni aggressione americana. Castro, però, probabilmente per ragioni<br />

di prestigio, insistè per i missili e Krusciov, imbaldanzito dai successi conseguiti<br />

dall'URSS negli anni precedenti in campo spaziale e nella corsa agli armamenti,<br />

decise di accettare il rischio. L'installazione dei missili a Cuba avrebbe infatti<br />

notevolmente migliorato la posizione militare sovietica.<br />

Scottato dal precedente della Baia dei Porci, Kennedy stavolta volle verificare<br />

la validità delle informazioni fornitegli dalla CIA. Quando dalle analisi degli<br />

specialisti risultò chiaro che il pericolo era reale, che le rampe in costruzione<br />

erano tra 16 e 32 e che circa 25 navi sovietiche si stavano dirigendo verso Cuba<br />

per portare i materiali necessari al completamento del dispositivo missilistico, la<br />

Casa Bianca prese in considerazione tre ipotesi : un bombardamento delle basi di<br />

lancio, uno sbarco in forze sull'isola, un blocco aeronavale intorno a Cuba.<br />

Essendo sul momento impraticabile la seconda, la scelta si ridusse alle altre due,<br />

e alla fine si decise di dare la priorità alla terza.<br />

La domenica 21 ebbe inizio il blocco, mentre si predisponevano i preparativi<br />

per attuare eventualmente anche le altre. Nonostante l'autocensura che i giornali<br />

si erano imposti per non destare panico, le notizie su quanto stava avvenendo<br />

cominciarono a filtrare. Il lunedì mattina Kennedy rivolse un fermo messaggio<br />

alla nazione. Informò della situazione, delle contromisure adottate e concluse :<br />

Nessuno può prevedere esattamente quale piega prenderanno le cose o quale<br />

prezzo e perdita ci costerà. Ma sarebbe ancora più pericoloso non far nulla.<br />

A Krusciov rivolse l'invito a desistere dal suo proposito di dominare il<br />

mondo, e (ad ) unirsi allo sforzo comune per porre fine alla pericolosa corsa agli<br />

armamenti e cambiare la storia dell’umanità.<br />

Al messaggio di Kennedy seguirono alcuni giorni di attesa, nel corso dei quali<br />

gli USA attuarono il previsto blocco e portarono avanti i preparativi per un<br />

eventuale attacco, mentre a Cuba i lavori proseguivano. I sovietici si limitarono a<br />

chiedere un intervento mediatorio delle Nazioni Unite, che però non teneva conto<br />

del carattere d'urgenza che gli Stati Uniti attribuivano alla questione.<br />

26


Fu solo il venerdì 26 che i sovietici presero informali contatti col governo<br />

americano, lasciando intendere di essere disponibili a ritirare i missili in cambio<br />

di un impegno statunitense a non invadere Cuba. Gli USA fecero conoscere a<br />

Mosca che una proposta ufficiale di questo tenore avrebbe avuto il loro<br />

gradimento.<br />

Poche ore dopo Krusciov la fece pervenire ufficialmente.<br />

Ma proprio mentre alla Casa Bianca si stava preparando la risposta ufficiale,<br />

la mattina del 27 radio Mosca annunciò che i sovietici ponevano come<br />

condizione che gli USA smantellassero le loro basi missilistiche situate in<br />

Turchia, ai confini dell'URSS.<br />

La richiesta era, in astratto, abbastanza ragionevole, tanto che anche un<br />

consigliere di Kennedy aveva suggerito, nei primi giorni della crisi, una proposta<br />

del genere. Senonché al punto in cui stavano le cose, Kennedy decise di tenere<br />

una posizione intransigente e si rifiutò di aprire un negoziato su questa base.<br />

Su suggerimento di Robert Kennedy, che faceva parte del ristrettissimo staff<br />

presidenziale, la Casa Bianca decise semplicemente di ignorare il comunicato di<br />

Mosca e di rispondere a Krusciov, riconfermando la disponibilità americana per<br />

la soluzione indicata nel messaggio precedente, senza fare alcun accenno alla<br />

base in Turchia. Kennedy non si limitò però a impegnarsi a non attaccare Cuba,<br />

ma propose l'apertura di più ampi negoziati per ridurre le tensioni e riconfermò<br />

l'interesse americano a discutere qualsiasi proposta che potesse favorire la<br />

distensione.<br />

Ma cosa avrebbero fatto i sovietici? I piani per un attacco a Cuba erano pronti<br />

e da un momento all'altro potevano scattare.<br />

La “suspense” ebbe termine domenica 28 : radio Mosca dette lettura di un<br />

comunicato del Cremlino, in cui si annunciava che, per eliminare ogni minaccia<br />

alla pace, Krusciov aveva ordinato la rimozione dei missili da Cuba e il loro<br />

trasferimento in URSS.<br />

Durante quelle giornate gli Stati Uniti tennero costantemente informato il solo<br />

governo inglese, ma ebbero dagli alleati una sostanziale solidarietà. Essa però<br />

non fu priva di qualche riserva : gli alleati europei degli Stati Uniti si resero conto<br />

chiaramente del rischio reale che l'Europa venisse a trovarsi coinvolta in una<br />

guerra, senza aver effettivamente voce in capitolo e addirittura senza essere<br />

consultati.<br />

27


Fu questa un'esperienza che indusse i governi Europei, soprattutto quello<br />

francese di De Gaulle, a prendere le distanze dai progetti kennediani di un<br />

ulteriore rafforzamento dell'alleanza tra europei e Stati Uniti.<br />

Comunque a livello di governi - così come di fronte all'opinione<br />

pubblica americana - la leadership del giovane Presidente americano uscì<br />

rafforzata dalla crisi.<br />

Più contrastate furono le reazioni popolari fuori degli Stati Uniti. Non mancò<br />

infatti chi, come il filosofo inglese Bertrand Russell, pubblicamente ringraziò<br />

Krusciov per la sua politica di moderazione e accusò Kennedy di aver messo a<br />

repentaglio la pace.<br />

Per l'Unione Sovietica fu una sconfitta. Forse addirittura - lo ha sostenuto di<br />

recente il filosofo Karl Popper - una sconfitta decisiva, dal momento che fu<br />

quella l'unica occasione in cui i sovietici furono in grado di portare agli USA<br />

una minaccia di distruzione effettivamente pari a quella cui l'URSS stessa era<br />

sottoposta da parte americana.<br />

Certo è che lo svolgimento della crisi dimostrò la sproporzione tra obiettivi e<br />

mezzi della politica estera sovietica e fu uno dei fattori che incrinò il prestigio di<br />

Krusciov e favorì il suo successivo allontanamento dai vertici dell'URSS (*) .<br />

Nel suo breve, ma significativo periodo in cui era stato Presidente degli Stati<br />

Uniti d'America, John Fitzgerald Kennedy si era avvalso della collaborazione di<br />

valide figure e di esperti professionisti di risonanza mondiale, i quali si<br />

ispiravano, come d'altronde lo stesso Kennedy, alla politica di Franklin Delano<br />

Roosevelt e se ne dichiaravano i naturali continuatori.<br />

Suoi consiglieri erano lo storico Arthur Schlesinger, l'economista Kenneth<br />

Galbraith, Pierre Salinger (cui fu affidato il ruolo di addetto stampa), Angier<br />

Biddle Duke (in veste di capo del protocollo della Casa Bianca), Dean Rusk, al<br />

quale Kennedy affidò l'incarico di Segretario di Stato (mentre il vice di<br />

quest'ultimo era Chester Bowles), Robert Mac Namara, con le mansioni di<br />

Ministro della Difesa, il fratello Robert, messo a ricoprire la poltrona di Ministro<br />

della Giustizia.<br />

Finalità prioritarie dell'amministrazione Kennedy erano l'alleanza per il<br />

progresso, mirante ad instaurare una più intensa collaborazione economica e<br />

politica con i Paesi del Sudamerica, una più stretta intesa con gli alleati<br />

(*) Perugi-Bellucci, La crisi dei missili a Cub a , Bologna, 1994.<br />

28


dell'Europa occidentale ; la necessità di abbattere le tariffe doganali con una<br />

serie di specifiche contrattazioni con gli altri Stati (che sarebbe stata definita<br />

"Kennedy Round" ) e una sorta di comitato, incaricato di studiare i problemi dei<br />

popoli più indigenti, allo scopo di recare loro aiuto e fattivo appoggio.<br />

Per quanto concerne la politica interna, notevoli furono i suoi sforzi per<br />

alleggerire la pressione fiscale e rilanciare il ruolo delle imprese, senza per questo<br />

indebolire l'organizzazione e le strutture militari di cui il Paese non avrebbe mai<br />

potuto fare a meno, se non si voleva in tal modo incrinare la sua riconosciuta<br />

funzione di superpotenza.<br />

Grande impegno la sua amministrazione riservò - grazie alla sensibilità del<br />

giovane fratello Robert, cui, come si è detto, era stato affidato il Dicastero della<br />

Giustizia - al consolidamento dei diritti civili delle minoranze di colore, le quali<br />

avevano avanzato energicamente le proprie rivendicazioni proprio nell'estate del<br />

1963, affidando le loro richieste alla persona di Martin Luther King, un uomo di<br />

grandi qualità che aveva sposato da tempo la causa della lotta non violenta.<br />

Kennedy fece giungere la sua solidarietà a quelle masse di sfruttati che<br />

invocavano dignità e rispetto della persona in una famosa manifestazione<br />

organizzata a Washington, dove alle parole di Martin Luther King "I have a<br />

dream" ("Io ho un sogno ") faceva eco unanime il coro dei convenuti , "We shall<br />

overcome" ("Noi ce la faremo").<br />

E forse fu proprio quella dichiarata, esplicita apertura verso la gente di colore<br />

che inasprì gli animi dei reazionari e creò risentimenti negli Stati del Sud, dove la<br />

segregazione razziale era ancora ampiamente praticata.<br />

Infatti, in occasione di un viaggio in quelle terre, John Kennedy veniva colpito<br />

a morte sulla sua auto presidenziale, dove si trovava con la moglie, mettendo così<br />

bruscamente fine alle speranze di milioni di esseri umani che in lui avevano<br />

creduto, ed impedendo agli Stati Uniti di condurre a compimento il processo di<br />

emancipazione civile e sociale di cui il discendente cattolico di un immigrato<br />

irlandese si era reso alfiere e portavoce, ostinatamente proteso a compiere quel<br />

cammino con testarda e volitiva generosità.<br />

A Kennedy successe Lyndon B. Johnson, già suo vicepresidente, il quale<br />

sarebbe rimasto in carica fino al 1968 (essendo stato riconfermato nelle elezioni<br />

del 1964).<br />

29


Non essendosi questi più candidato alle consultazioni del 1968, la personalità<br />

sicuramente più accreditata alla carica di Presidente, nelle schiere del Partito<br />

Democratico, appariva il quarantatreenne Robert Kennedy, fermamente<br />

intenzionato a proseguire ed a completare l'opera di progresso e di conquiste<br />

sociali, iniziata dal fratello negli anni in cui era alla guida del Paese.<br />

A spegnere ogni ulteriore illusione di riscatto, una mano omicida aveva<br />

provveduto ad eliminare alle ore 18.01 del 4 aprile 1968, sulla terrazza del Motel<br />

Lorraine a Memphis, colui che del movimento dei neri d'America si era fatto<br />

interprete appassionato.<br />

Da quel giorno, in cui Robert con la voce rotta dall'emozione annunciava ad<br />

Indianapolis, dove si trovava per un convegno di gente di colore, la fine di quel<br />

martire Martin Luther King è entrato nella leggenda come colui che aveva<br />

sfidato con parole d'amore e di fratellanza un mondo nel quale la violenza, l'odio<br />

e l'egoismo sono difficili da sconfiggere e da cancellare.<br />

Ma era destino che il sogno kennediano non dovesse avere fortuna negli USA,<br />

e pertanto, come era avvenuto per John, anche Robert veniva assassinato a colpi<br />

d'arma da fuoco in piena campagna elettorale, alle ore 1,44 del mattino del 6<br />

giugno di quel fatidico 1968, all'Hôtel Ambassador in Los Angeles, mentre con<br />

la vittoria del repubblicano Nixon, gli Americani tornavano alla loro politica<br />

tradizionale, lontana dai sussulti ideali che tanta inquietudine avevano suscitato<br />

negli animi dei conservatori e tante speranze avevano alimentato nel cuore di<br />

milioni di miseri e diseredati.<br />

Ecco perché' ho voluto intitolare "Olocausto degli Anni 60" il quadro che è<br />

scaturito - nel silenzio del mio studio - da queste circostanziate riflessioni su<br />

eventi e su personaggi storici di trent'anni fa, ravvisando la piena attualità di un<br />

messaggio che ha dimostrato di avere possibilità di concretizzazione già negli<br />

anni successivi alla morte dei suoi profetici propugnatori, fino alla recente<br />

affermazione politica di Nelson Mandela in Sud Africa, dove la componente<br />

indigena, da sempre sottoposta a segregazione razziale, si è riscattata con<br />

orgoglio ed è riuscita ad affermarsi con pari diritti sulla secolare minoranza<br />

bianca, alla quale in precedenza era subordinata in ossequio al fin troppo abusato<br />

principio dell'apartheid (*) .<br />

(<br />

30


L'America democratica del dopo Kennedy, non vigorosamente rappresentata<br />

dagli uomini facenti capo a Hubert Humphrey ha dovuto cedere per anni il passo<br />

alla restaurazione nixoniana prima, e di Gerald Ford dopo, per riprendere quota<br />

nel 1976 con la vittoria di Jimmy Carter, che in virtù della sua non incisività<br />

politica ha spianato il cammino al ritorno dei repubblicani al potere, i quali<br />

eleggevano nel 1980 Ronald Reagan a Presidente degli Stati Uniti d'America.<br />

Con la popolarità di quest'ultimo, che era stato in passato attore in alcuni film<br />

( si ricorda - tra i cinquantatré da lui interpretati - "Delitto senza castigo" del<br />

1942 con Ann Sheridan, per la regia di Sam Wood, tratto da un “best-seller” di<br />

Bellaman e sceneggiato da Casey Robinson) e poi Governatore della California<br />

(popolarità di cui avrebbe fruito anche il suo successore - e già Vicepresidente -<br />

George Bush eletto nel 1988), il Partito Democratico sembrava avviato ad una<br />

lunga, patetica stagione di declino, fino a quando non è emersa la figura di Bill<br />

Clinton il quale proprio ritornando sulla ideologia kennediana, risollevava le sorti<br />

dei democratici vincendo le elezioni del 1992.<br />

Come a pochi esseri del nostro pianeta è concesso, Bill Clinton è riuscito a<br />

concretizzare il suo sogno unito ad un giuramento, (giuramento scattato circa<br />

trent'anni prima) in occasione di un incontro avvenuto alla Casa Bianca.<br />

E la molla che fece scattare il suo impegno politico fu la stretta di mano data<br />

all'allora Presidente John Fitzgerald Kennedy. Quali forze contribuirono alla<br />

realizzazione di quel sogno ?<br />

Le risultanze alla fine di una lunga analisi furono : la forza della sua<br />

convinzione, la forza della sua determinazione, la forza della sua fede nel cuore,<br />

elementi che, uniti insieme, permisero la realizzazione di quel sogno, e così<br />

diventare il 42º Presidente degli Stati Uniti d'America.<br />

(*) Rimarchevoli sono le parole pronunciate dallo stesso Nelson Mandela al<br />

momento dell’insediamento alla carica di Presidente del nuovo Sud Africa, davanti ad<br />

una folla di oltre 150.000 persone convenute nell’anfiteatro dell’Union Building di<br />

Pretoria: “Noi popolo del Sud Africa, ci sentiamo realizzati perché l’Umanità ci ha<br />

accolto nuovamente in seno, noi che fino a poco tempo fa eravamo considerati<br />

fuorilegge. Che ci sia giustizia per tutti. Che ci sia pace per tutti. Che ci sia lavoro,<br />

pane, acqua e sale per tutti. Che tutti sappiano che di ognuno è stato liberato il<br />

corpo, la mente e lo spirito, affinché possano esprimersi e essere felici.<br />

Dall’esperisnza di un disastro umano durato troppo a lungo deve nascere una società<br />

di cui tutta l’Umanità possa andare orgogliosa. Dedichiamo questa giornata a tutti gli<br />

eroi e le eroine che in questo paese e nel resto del mondo hanno sacrificato la vita<br />

perché potessimo essere liberi. I loro sogni sono divenuti realtà. Il loro premio è la<br />

libertà".<br />

31


La mia analisi mi ha permesso di rendere omaggio ad un uomo, e collocarne<br />

la grandezza nella giusta luce. Bill Clinton, (ne sono fermamente convinto) saprà<br />

essere un grande Presidente, se il suo popolo gli darà incondizionata fiducia;<br />

"fiducia" che è nelle sue aspettative per dare al Paese le sue migliori energie.<br />

Voglio aggiungere che dopo avere ricevuto la lettera di ringraziamento del<br />

Presidente Bill Clinton per l'opera avuta in donazione, rimasi un po’ sorpreso per<br />

il non riferimento alla mia persona (come entità anagrafica) ed all'opera stessa.<br />

Ma rileggendola e riflettendo, ne capii il significato, e posso dire che solo un<br />

grande Presidente è in grado di mettere da parte le proprie personali emozioni,<br />

per significare innanzi tutto, il dovere di portare a soluzione i problemi che<br />

stanno di fronte alla propria Nazione.<br />

E quanto affermo è riscontrabile leggendo la lettera che in questo libro è<br />

riprodotta assieme a tutte le altre.<br />

Il suo programma di apertura verso le sacche di arretratezza sociale, morale e<br />

culturale era una proposizione in termini di contemporaneità del grande "sogno"<br />

accarezzato dai tre mai dimenticati "profeti" degli Anni Sessanta.<br />

Immaginandolo legato a quel filo simbolico, nutrito di dichiarato impegno<br />

umanitario, ho voluto ritrarre l'attuale Presidente con lo sfondo della sua<br />

residenza ufficiale (immagine sempre riflessa nella sua mente, a ricordargli il<br />

punto di partenza e di arrivo del suo sogno) sormontata dalla bandiera a stelle e<br />

strisce che sventola nell'aria, in una scenografia dove compaiono richiami e<br />

presenze di alberi che abitualmente contrassegnano la mia pittura paesaggistica,<br />

cui non ho d'altronde mai smesso di dedicarmi in maniera prevalente e che resta<br />

comunque il mio signum individuationis, caratteriale e stilistico.<br />

Le sembianze di Bill Clinton in “smoking” che ho voluto fissare con i colori<br />

sono state da me intese come l'emblematizzazione, la personificazione di un<br />

mondo nuovo, di una nuova era ; un'era di serenità, di pace, di armonia tra i<br />

popoli, che ci porti lontano dalle apprensioni, dalle angosce e dai turbamenti che<br />

ci hanno accompagnato in tutti questi tormentati anni del secondo dopoguerra.<br />

32


UNA FINE ANNUNCIATA<br />

33


Ora che anche in Italia sono stati finalmente rimossi i ruderi politici che hanno<br />

guidato le sorti della penisola, buona parte dei quali erano in cariche di potere<br />

allorché vivevano ancora Eisenhower, Churchill, Stalin, De Gaulle, Mao Tse<br />

Tung e tutta la nomenclatura internazionale scomparsa ormai da decenni, una<br />

nuova rigenerante ondata di speranza sembra permeare il popolo italiano, il quale<br />

si era tristemente rassegnato a nutrirsi di sfiducia, a non sperare più in nulla,<br />

sommerso per di più da vicende che parlavano di scandali a catena, di ruberie a<br />

tutti i livelli, di degrado morale.<br />

La virata energica, impressa dalle recenti elezioni, sulle quali hanno pesato gli<br />

argomenti e le proposte della sinistra, la sferzata di ottimismo che la Nazione ha<br />

avvertito portano a proiettarci con motivate aspettative verso traguardi di<br />

conquiste sociali da molto tempo e da ciascuno invocate.<br />

Eppure c'era tanto bisogno di fare ritorno - anche in Italia come per l'America<br />

di John Kennedy - ad una "nuova frontiera" di onestà, di pulizia morale, di<br />

solidarietà, di amore e di considerazione per i propri simili, al cui riguardo non<br />

possiamo non condividere ciò che proprio , in un seguitissimo e affollatissimo<br />

incontro culturale, svoltosi a Torino presso il Teatro Carignano, su iniziativa del<br />

"Centro Culturale Socialità e Sviluppo", è stato sostenuto da autorevoli relatori,<br />

vale a dire che "gli uomini o vivono per essere utili al prossimo o non hanno<br />

motivo alcuno di giustificare la propria esistenza in un mondo, nel quale coloro<br />

che si discostano da tali presupposti finiscono per convalidare l'affermazione di<br />

Thomas Bernhard, secondo la quale ci si riduce inevitabilmente ad una<br />

mostruosa comunità di morituri" (*) .<br />

L'Italia che era risorta dalle macerie della guerra, grazie al sangue di coloro<br />

che non avevano esitato a dare la propria vita per riscattarla dalla barbarie e dalla<br />

tragedia in cui era precipitata, ed in virtù della limpidezza morale di uomini che<br />

si ispiravano ad Alcide De Gasperi, aveva finito per essere catapultata in una<br />

realtà, che l'hanno screditata e disonorata agli occhi del mondo.<br />

Califfi locali avevano trasformato il territorio dello stivale in una sorta di<br />

feudo per sè e per la propria famiglia, in ostentato dispregio per ogni forma di<br />

legalità e di giustizia.<br />

A questi esempi di pessimi rappresentanti dello Stato, il popolo ha avuto la<br />

forza di additare l'irreversibile viale del tramonto, anche se siamo più che<br />

convinti dell'asserzione proverbiale, secondo la quale l'erba cattiva non muore<br />

mai.<br />

(*) Giuseppe Nasillo, Un lung o ca m m i n o , pag. 61 Torino, 1994.<br />

34


E' un’agonia quella in cui è scivolato il regime partitocratico, responsabile del<br />

disastro economico, finanziario, morale e culturale, al quale tutti assistevamo<br />

avviliti e impotenti . Sia pure con una forma di comprensibile preoccupazione,<br />

siamo testimoni della fine di un’epoca di cui ha saputo essere simbolo questo<br />

Stato che si presuppone (e ci si augura) sia giunto finalmente al suo capolinea,<br />

così come è adesso, e che d'ora in avanti si provveda ad invertire la rotta verso un<br />

effettivo, totale recupero della componente morale e, quindi, sociale, perché non<br />

esiste l'una senza l'altra.<br />

Finora - e con crescente discredito - questa prima Repubblica, dopo un avvio<br />

di speranze e di attese tradite, è naufragata sotto i colpi dell'avventurismo, con<br />

grave smacco per i presupposti di giustizia, di solidarietà e di civiltà, che sono<br />

sempre i pilastri fondamentali di una convivenza ordinata e rispettosa dei propri<br />

membri.<br />

Sicuramente molti degli ideali che hanno fatto da sprone e da stimolo in<br />

passato sono miseramente caduti nel fango per colpa di personaggi i quali hanno<br />

amministrato il potere come una spavalda egemonia autocratica e non hanno<br />

pensato affatto che esso andava concepito come dedizione alla causa dell'utilità e<br />

del servizio per la comunità, dopo che la stessa aveva pensato di ritrovarsi e di<br />

rispecchiarsi fiduciosamente in loro.<br />

Se si riflette su casi clamorosi di uomini che solo pochi mesi addietro<br />

ricoprivano incarichi di grande, invidiabile prestigio, hanno popolato - come si<br />

suol dire - le patrie galere e, fanno la loro periodica, deprimente apparizione nei<br />

tribunali di mezza Italia, c'è da rimanere a dir poco allibiti.<br />

Ci torna difficile pensare ad un altro Paese dove ci sia stata una sorta di<br />

“Gotterdammerung” wagneriano, una vertiginosa caduta di idoli così<br />

clamorosamente rovinosa e sorprendente che possa paragonarsi a quella che ha<br />

investito l'Italia, tra l'incredulità di parecchi e la soddisfazione della maggior<br />

parte di coloro che da anni denunciavano il malaffare e l'aggressione sistematica<br />

alla eticità delle istituzioni.<br />

Vedere ora faccendieri "fidati", trafficanti senza ombra di sospetto, portaborse<br />

disposti a tutto, galoppini instancabilmente ligi nell'eseguire ordini, che<br />

smascherano senza reticenza alcuna i propri "signori", con prove tanto<br />

schiaccianti quanto inimmaginabili, può apparire persino paradossale.<br />

Chi avrebbe, infatti, mai potuto minimamente antivedere che l'incarnatore del<br />

nuovo corso sociale, il taurino, più accanito ed acclamato sostenitore<br />

dell'avanzata della sinistra riformista (e opportunista), colui che il segretario<br />

35


dell'O.N.U. aveva scelto a proprio collaboratore più che integerrimo, sarebbe<br />

finito così malamente nella polvere, coperto di ludibrio e accompagnato dal<br />

disprezzo generale?<br />

Chi poteva mai supporre che dopo l'incriminazione e la scomparsa dalla<br />

scena politica del suo collaboratore più intimo, anche l'altro suo proconsole in<br />

terra partenopea avrebbe inaugurato il penoso stuolo dei dignitari politici<br />

ammanettati ed assicurati alle celle della prigione?<br />

Quale fantasia - anche la più galoppante e sbrigliata - sarebbe stata in grado di<br />

ipotizzare un comportamento simile a quello tenuto da un Ministro della Sanità,<br />

raggiunto da oltre sessantasette capi di imputazione (associazione a delinquere,<br />

corruzione, violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti,<br />

emissione di fatture false e così via), il quale da una delle poltrone governative<br />

più prestigiose ed ambite e dalla cattedra universitaria é finito nei fatiscenti<br />

recinti di Poggioreale, il famigerato edificio per detenuti sito nella città di<br />

Napoli?<br />

L'uomo che agli occhi del mondo ha rappresentato la personificazione di<br />

questo travagliato cinquantennio di storia politica italiana è stato da più parti<br />

accusato di essere legato a poderose organizzazioni criminali, con non immotivati<br />

sospetti di essere stato il mandante di delitti eccellenti?<br />

Come non correre con la mente agli accorati versi della canzone "All'Italia"<br />

che il ventenne Leopardi scriveva piangendo le sventure della sua patria (come<br />

cadesti o quando / da tanta altezza in così basso loco)?<br />

Oggi ci giungono le notizie che assumono le connotazioni di veri e propri<br />

bollettini di guerra giudiziaria, con avvisi di garanzia, convocazioni, arresti a<br />

raffica in tutte le regioni della penisola, dove la trasgressione delle leggi e il<br />

depredamento del bene pubblico risultano essere stati elevati a norme abituali di<br />

ordinaria amministrazione.<br />

Da anni le nostre incredule orecchie erano bersagliate da "traghetti d'oro", da<br />

"carceri d'oro", da "lenzuoli d'oro", da "ricoveri d'oro", ma questa sorta di<br />

associazione pentapartitica che ha allungato gli artigli sul bene del popolo ha<br />

saputo però difendersi abilmente dai sospetti, dalle dicerie, dalle illusioni, dagli<br />

indizi non pochi e non lievi che venivano sollevati a suo carico.<br />

Ora tutti si prodigano ad imitare le note tre scimmie che nulla sentivano, nulla<br />

vedevano, nulla sapevano, come se il popolo italiano fosse una consorteria da<br />

imbonire con il solito zuccherino del pallone. Fatte poche e nobili eccezioni, dove<br />

36


erano i sedicenti uomini di cultura, la sempre ondeggiante “intellighentia”<br />

nostrana, gli “opinion's leader” che si piccano da sempre di essere la coscienza<br />

critica dell'Italia, quando questa ennesima calata di barbari invadeva il territorio<br />

nazionale?<br />

Erano esattamente, puntualmente là dove li aveva già individuati acutamente<br />

anni addietro Ennio Flaiano: a correre immancabilmente in soccorso del<br />

vincitore, e sempre pronti ad essere disponibili per un percorso liberal<br />

progressista in blazer e cravatta regimental o a pois sul fondo azzurro, che<br />

garantisse loro la poltrona, il prestigio, il rango e la presenza negli ambienti che<br />

contano e, che di tanto credito mondano godono nella nostra deviata high society.<br />

"All'uomo non resta altra via al bene che un doloroso e sofferto passaggio<br />

attraverso il male" ha scritto Fedor Michajlovic Dostoevskij, ed all'Italia sembra<br />

essere toccato in sorte il transito obbligato e catarticamente necessario, imposto<br />

da queste ineludibili forche caudine del nostro tempo.<br />

Un segmento buio, uno scorcio tetro e ambiguo della nostra storia si è<br />

concluso - speriamo per sempre - e un corpo malato di sfrenata conquista del<br />

potere da maneggiare a proprio piacimento ha esalato l'ultimo <strong>anelito</strong> delle<br />

proprie prevaricazioni, dei propri loschi intrallazzi, di cui la vicenda toccata ad<br />

Aldo Moro era stata già vent’anni fa una allarmante avvisaglia indicatrice.<br />

In questa Italia tempestata di vassalli ma sprovvista di autentici "Cavalieri", il<br />

termine "Onorevole" acquisti il significato che gli spetta di diritto, e quello di<br />

"Senatore" equivalga a sinonimo di uomo saggio e giusto.<br />

Di onore, di onestà di saggezza, di giustizia siamo ampiamente in credito da<br />

molti anni nei confronti di quanti non hanno messo in conto che scegliere di<br />

dedicarsi al servizio della collettività é la più alta missione che si possa compiere<br />

al mondo.<br />

Ne’ può essere ormai più accettata la massima brutalmente praticata da<br />

parecchi patres conscripti della ulcerata, estinta Repubblica, i quali, facendo<br />

credere al popolo di servirlo, si sono cinicamente, beffardamente,<br />

ignominiosamente serviti di esso.<br />

37


Chi ha spinto a descrivere questa analisi sulle opere scaturite da eventi storici<br />

sono state le testimonianze di consenso, di stima, di simpatia che tante persone<br />

hanno fatto pervenire, stimolando dopo lunga riflessione la penna a dare corpo<br />

alle sensazioni che hanno visualizzato le opere che qui sono state riprodotte.<br />

È doveroso da parte mia dichiarare che se ho abusato fortemente del mio<br />

pensiero per creare e realizzare opere di grande interesse, per contro mi è stato<br />

restituito un grande consenso, linfa vitale, necessaria per continuare l’opera mai<br />

terminata.<br />

38<br />

L’autore


“ULTIMO ANELITO”<br />

“LA MOSTRA DI BRUXELLES”<br />

“REALTÀ DI UN SOGNO”<br />

“UNA TRAGEDIA AMERICANA”<br />

“UNA FINE ANNUNCIATA”<br />

INDICE DEI CAPITOLI<br />

39


INDICE DELLE OPERE<br />

1 "<strong>Ultimo</strong> <strong>anelito</strong>" Olio cm 50 x 70 - 1978<br />

2 "Realtà di un sogno" Olio cm 50 x 70 - 1988<br />

3 "Olocausto degli Anni 60" Olio cm 50 x 70 - 1989<br />

4 "Bill Clinton" Olio cm 80 x 100 - 1993<br />

40


BIBLIOGRAFIA STORICA DEI CONSENSI<br />

1) Lettera di un ammiratore 1977<br />

2) Lettera del Segretario della D.C. Provinciale<br />

piemontese e ringraziamento di E. Moro 1980<br />

3) Lettera del Presidente della Repubblica Italiana<br />

Francesco Cossiga 1986<br />

4) Auguri del Presidente Francesco Cossiga 1986/1987<br />

5) Lettera del Vice Presidente del Consiglio<br />

On. Giuliano Amato 1987<br />

6) Lettera invito del Gen. Comandante Dei Carabinieri<br />

di Torino Sergio Colombini 1987<br />

7) Locandina della mia presenza alla Galleria Salambò<br />

di Parigi 1988<br />

8) Lettera di ringraziamento per la mia presenza a<br />

Tortona 1988<br />

9) Lettera di ringraziamento del Rotary Club Tortona<br />

per una mia opera donata in beneficenza 1988<br />

10) Telegrammi (premio cultura) e (collocazione Museo<br />

opera <strong>Ultimo</strong> <strong>anelito</strong> 1988<br />

11) Auguri del Ministro del Tesoro On. G. Amato 1989<br />

12) Auguri del Direttore Sportivo Autodromo di Monza<br />

Romolo Tavoni 1989<br />

13) Lettera del Segretario Presidente della Repubblica<br />

Italiana 1989<br />

14) Auguri dal Ministro On Giuliano Amato 1989/90<br />

15) Lettera di David Dinkins Sindaco New York 1990<br />

16) Lettera del Segretario Presidente della Repubblica<br />

Italiana 1990<br />

17) Lettera di ringraziamento del Dott. Raul<br />

Gardini 1990<br />

18) Lettera dal Capo Gabinetto per il Coordinamento<br />

delle Politiche Comunitarie 1991<br />

41


19) Lettera del Governatore dello Stato di New York<br />

Mario Cuomo 1991<br />

20) Lettera del giornalista Dott. Gino Rancati 1991<br />

21) Lettera del Segretario Presidente della Repubblica<br />

Italiana 1991<br />

22) Lettera del Presidente della Ferrari, Luca di<br />

Montezemolo 1991<br />

23) Telegramma invito conviviale da parte dell’Ass.<br />

Industriali di Foggia 1991<br />

24) Lettera di ringraziamento del tenore M° Luciano<br />

Pavarotti 1992<br />

25) Telegramma di ringraziamento del neo Presidente<br />

del Consiglio di Ministri On. Giuliano Amato 1992<br />

26) Lettera di ringraziamento del Duca d’Otranto 1992<br />

27) Invito alla presentazione del Rapporto Italia 92 a<br />

Roma 1992<br />

28) Lettera di ringraziamento del Comm. Pietro Barilla<br />

1993<br />

29) Lettera del Segretario dell’Ambasciata Italiana di<br />

Washington 1993<br />

30) Lettera di ringraziamento del Presidente degli<br />

Stati Uniti d’America Bill Clinton per la mia opera<br />

ricevuta in Donazione 1994<br />

31) Lettera del Presidente dellaFerrari, Luca di<br />

Montezemolo 1994<br />

32) Lettera di ringraziamento del Sindaco della Città<br />

di Comacchio Dott. Alessandro Pierotti 1994<br />

33) Lettera Invito del Sindaco Città di Napoli Antonio<br />

Bassolino 1994<br />

34) Lettera ringraziamento del Presidente Americano<br />

Bill Clinton avendogli inviato questo manoscritto<br />

tradotto in Inglese 1994<br />

35) Lettera di ringraziamento del Presidente della<br />

Ferrari Luca di Montezemolo 1995<br />

36) Ringraziamenti di Luca di Montezemolo<br />

7 maggio 1996<br />

37) Luca di Montezemolo 2 settembre 1996<br />

38) Lettera di ringraziamento del Presidente Bill Clinton<br />

in risposta ai miei auguri per la sua rielezione 1997<br />

42


1) Ringraziamento del Presidente Bill Clinton unitamente alla<br />

First Lady in risposta ai miei auguri di fine Anno 1998<br />

40) Lettera del Generale Comandante la Legione Carabinieri del<br />

Piemonte e Valle d’Aosta B. Franco Romano<br />

41) Attestato di accettazione di una Donazione di una<br />

mia opera all’Arma dei Carabinieri custodita nel<br />

Comando di Rivoli (TO) 1992/1998<br />

42) Invito per preparare una Mostra Personale da<br />

parte del Sindaco di Comacchio Dr, Pierotti 1998<br />

43) Lettera di ringraziamento del Presidente del<br />

Consiglio On. Professor Romano Prodi 1998<br />

44) Lettera di ringraziamento da parte di Sua Santità<br />

Giovanni Paolo II 1998<br />

45) Lettera del Presidente della Ferrari<br />

Luca Cordero di Montezemolo 1998<br />

Pensiero sull’arte<br />

“ L’arte è forza sublime della natura, componente dell’individuo:<br />

E l’artista, che con la sua sensibilità riesce meglio a recepirla, ne<br />

diventa l’artefice divulgatore”.<br />

Pensiero sulla vita.<br />

“ Vita?<br />

Sintesi spirituale dell’umano consenso:<br />

Essa è quel grande dipinto che tutti iniziamo<br />

tra luci ed ombre poi completiamo ”.<br />

43


Stampa “ Arti Grafiche Azzini “ Torino Settembre 1998<br />

44

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